antologia crisi della civiltà
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PREFAZIONE
L’antologia presentata dalla classe V A è il risultato di
un lavoro svolto nell’ultimo trimestre dell’anno scolastico
e progettato nel corso del secondo trimestre, nell’ambito
dell’area di progetto discussa e approvata dal consiglio di
classe.
Dopo aver scelto come argomento da trattare la prima
guerra mondiale e il contemporaneo svilupparsi di un
dibattito sulla crisi della civiltà europea, sono stati forniti alla
classe circa trenta brani, rappresentativi delle più
significative posizioni che, nel periodo tra le due guerre,
vennero ad affermarsi negli ambienti intellettuali europei;
tra questi testi gli alunni hanno operato una selezione
individuandone un numero più ristretto da sottoporre ad
analisi.
L’esame dei brani così selezionati ha condotto ad
individuare quattro principali aree tematiche secondo cui
era possibile articolare il dibattito sulla crisi: la ribellione
delle masse; i problemi sollevati in sede teorica dal sempre
più importante ruolo svolto da scienza e tecnica nelle
società europee tra fine XIX e prima parte del XX secolo; la
crisi dei valori e il tramonto dell’occidente.
L’antologia è stata quindi suddivisa in quattro parti,
ciascuna dedicata all’esame di uno dei problemi sopra
riportati.
1
Gli studenti hanno quindi approntato una serie di
strumenti critici atti a inquadrare storicamente e
culturalmente le aree tematiche individuate e a fornire
un’adeguata comprensione dei brani prescelti.
Ognuna delle quattro sezioni in cui è stata suddivisa
l’antologia è preceduta da una premessa di carattere teorico
e storico, tendente a inquadrare filosoficamente e
storicamente l’area tematica e a individuare le principali
problematiche e le più significative posizioni in essa
rinvenibili intorno ai problemi assunti quale oggetto
d’analisi.
Gli studenti hanno quindi creato una serie di strumenti
critici, atti alla comprensione dei singoli brani,
predisponendo una scheda sulla biografia e il pensiero degli
autori dei brani antologici. Per ciascun brano è stata poi
predisposta una scheda di commento, al fine di chiarire la
posizione sostenuta dall’autore sulla crisi della civiltà
europea.
La fase di realizzazione pratica del progetto ha presentato
difficoltà poiché gli studenti non avevano dimestichezza con
gli strumenti informatici di videoscrittura. Hanno quindi
dovuto acquisire le competenze essenziali per l’utilizzo del
computer. La digitazione, la stampa, la correzione delle
bozze, la definitiva impaginazione e redazione
dell’antologia, sono state condotte dalla classe nell’ultimo
periodo dell’anno scolastico.
2
Il mio contributo è stato sostanziale nella fase di
progettazione iniziale del lavoro, nelle successive
operazioni sopra descritte mi sono limitato a svolgere una
funzione di coordinazione e guida.
Ritengo che il lavoro svolto dalla classe vada giudicato non
solo per il suo valore storico e filosofico intrinseco, che
va commisurato al livello di preparazione e maturità
conseguito dalla classe, ma ancor più come esperienza in cui
si sono confrontati con tutti i problemi connessi allo
svolgimento di una ricerca - pur limitata nei suoi obiettivi
- come il reperimento e vaglio delle fonti, la schedatura e
organizzazione del materiale, la progettazione complessiva
dell’opera, la stesura del testo, la realizzazione materiale
dell’antologia.
L’Insegnante
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Prima parte
La rivolta delle masse
1. PREMESSA
In questa premessa abbiamo cercato di delineare brevemente
l’ambiente storico entro il quale il fenomeno della
“ribellione delle masse” si attua. Per poter valutare appieno
il rilievo storico di questo, che fu vissuto come un “evento
epocale” nella coscienza dei protagonisti di quell’epoca,
abbiamo cercato di definire le principali linee attraverso
cui la “massificazione” si sviluppa e diffonde in modo
pervasivo nella società. Abbiamo sinteticamente illustrato i
limiti che caratterizzavano la struttura istituzionale dello
stato liberale, il quale appariva inadeguato ad affrontare
con successo il problema dell’integrazione delle masse nello
stato. Ci siamo anche brevemente soffermati ad illustrare il
carattere di “irrazionalità” con cui l’agire delle masse
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
appariva all’élite politica e culturale del tempo, se
contrapposto agli ideali liberali, positivistici e razionali,
che avevano costituito il paradigma dominante in ambito
intellettuale e sociale nel corso dell’ottocento.
In conclusione, partendo dai problemi che la tematica presa
in esame coinvolge, abbiamo cercato di stilare un certo
numero di domande fondamentali, da utilizzare come termini di
riferimento per la lettura e analisi dei testi riportati in
questa parte dell’antologia.
1. La massificazione della società
A partire dalla seconda metà del XIX secolo la dinamica
storico sociale è caratterizzata, secondo l’unanime giudizio
della storiografia sul periodo, da un fenomeno rilevante e
che costituisce una delle principali sorgenti della civiltà
occidentale del XX secolo: la massificazione della società a
tutti i suoi livelli.
1.1. la massificazione in ambito economico
Durante la “fin de siècle”, era giunta a compimento una
profonda trasformazione che aveva condotto economia e
società, dalla fase del liberismo a quella del capitalismo organizzato,
in conseguenza della Grande Depressione (1873 – 1895) e della
cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale. Un dato generale, tra
quelli che hanno maggiore rilievo, è dato dalla
massificazione sistematica della società e non solo a livello
economico, ma anche politico e ideologico.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Mentre la società della prima metà dell’ottocento appariva
incentrata sull’individuo, sulla rivendicazione dei suoi
diritti e delle sue libertà, tra la fine del XIX e l’inizio
del XX secolo, “le masse” si affermano con un nuovo ruolo in
ogni ambito sociale.
In economia tanto il sistema della produzione dei beni,
quanto quello della distribuzione, si massificano. Nasce la
produzione di massa che raggiunge il suo culmine con il fordismo e
con il taylorismo. Gli sviluppi della scienza e della tecnologia
vengono sistematicamente applicati non solo alla produzione,
ma anche all’organizzazione del lavoro secondo i principi
dello scientific management e danno vita al modello produttivo
della catena di montaggio, di cui si fa promotore per primo Henry
Ford. Anche sul piano della distribuzione dei beni si assiste
alla nascita, dapprima negli Usa e in seguito in Europa, del
consumo di massa quale necessario sbocco delle maggiori
capacità di produzione.
Questo fenomeno non ebbe solo implicazioni di tipo
economico, ma anche di carattere sociale, ideologico e
culturale: nasceva un “nuovo tipo d’umanità”: l’uomo-massa.
Sembrava, inoltre, avverarsi l’ideale positivistico di
progresso: grazie alla scienza si sarebbe potuta produrre una
quantità di ricchezza sufficiente per tutti, ripartendola
secondo criteri oggettivi e in funzione del contributo da
ciascuno offerto. Il sogno di “abbondanza materiale” forniva
la base su cui fondare “le luminose e progressive sorti”
dell’umanità anche in campo spirituale.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
1.2. La massificazione in campo sociale e ideologico
Nuove ideologie, come il comunismo o il nazionalismo a
sfondo bellicista e imperialista; o antiche ideologie, come
il cristianesimo, prendono gradualmente il sopravvento sul
liberalismo e il positivismo, la cui influenza rimane
confinata alle élite politiche e culturali e non riesce ad
allargarsi ai ceti popolari, se non in misura marginale.
Comunismo, nazionalismo, cristianesimo si presentano invece
come ideologie di massa, capaci di diffondersi in modo capillare
tra tutti gli strati sociali – contadini, proletariato
operaio, piccola e media borghesia – e capaci, soprattutto,
di esercitare un potere di “mobilitazione” enorme. I governi
europei non potranno ignorare, nelle loro decisioni, il
decisivo peso che tali ideologie assunsero e, anche se
tentarono di esercitare su esse un’azione di controllo, non
riusciranno ad assimilare entro le istituzioni politiche ed
il sistema di valori liberale, tutte le spinte e
sollecitazioni provenienti da questi movimenti. Infatti, al
fenomeno delle ideologie di massa, si accompagnò quello della
crescita e diffusione delle organizzazioni di massa, cooperative,
sindacati, partiti, che davano un inquadramento non solo
ideologico e rivendicativo alle “masse”, ma anche una
strategia politica e sociale con precisi obiettivi e nuovi
strumenti di lotta quali lo sciopero generale e, in alcuni
casi, la lotta violenta e la rivoluzione.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
1.3. la società di massa e la crisi della politica
Con il graduale affermarsi del suffragio universale maschile; dei
partiti di massa di ispirazione cristiana o socialista; oltre ai
fenomeni di massificazione in ambito economico e ideologico
appena sopra ricordati, si attua anche una massificazione
generalizzata di tutta la società che conduce lo stato
liberale ad affrontare un’importante sfida, quella della
democrazia: da un lato, la popolazione tende ad organizzarsi
autonomamente sottraendosi al potere dello stato; dall’altro,
lo stato, tende a controllare la società civile, integrare la
popolazione entro le proprie strutture giuridico-
istituzionali, esercitare il proprio controllo sulle masse,
secondo quel progetto che è stato definito dagli storici
nazionalizzazione delle masse. Era, quindi, necessaria un’opera di
globale ristrutturazione dell’apparato politico e
istituzionale dello stato liberale. Questo problema diede
luogo ad un lungo e complesso processo che si realizzò in
Europa tra la fine del XIX e la prima parte del XX secolo,
determinando la crisi dello stato liberale, incapace di
adattarsi alle nuove condizioni storiche. La dissoluzione del
sistema liberale tradizionale darà luogo a due differenti
esiti: la democrazia ed il totalitarismo.
Il modello istituzionale dello stato liberal democratico,
risultato dell’evoluzione dello stato liberale verso forme
democratiche grazie alla diffusione della rappresentanza e
del principio di sovranità popolare, sembra uscire vincitore
dalla Grande Guerra. Infatti le potenze dell’Intesa
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Prima Parte: la rivolta delle masse
costituivano un blocco di paesi repubblicani o a regime
monarchico costituzionale ed il loro trionfo sugli Imperi
Centrali, ancora caratterizzati da residui di assolutismo,
venne interpretato come una vittoria dello stato liberal -
democratico. Tuttavia, già a partire dagli anni venti, in
alcuni paesi - Unione Sovietica, Italia, Europa centro-
orientale, quindi Germania, Spagna - si assiste alla
sconfitta dello stato liberale ed all’affermazione di regimi
autoritari.
Come si è cercato di mostrare, il fenomeno della
massificazione della società, tocca problemi decisivi e di
grande portata che influenzeranno profondamente il dibattito
sulla “crisi della civiltà”, dibattito che si sviluppò già
durante il corso della Grande Guerra e raggiunse il suo apice
negli anni venti e trenta.
Il fenomeno della massificazione, attraverso cui la società
andava plasmandosi secondo nuove forme che cambiavano
radicalmente la vita economica, politica e culturale, trovò
la sua più compiuta ed eclatante espressione proprio nel
corso del primo conflitto mondiale. La mobilitazione di massa
cui si assistette sul piano militare, economico, ideologico e
politico, sta a dimostrare come la trasformazione delle
società occidentali fosse ormai giunta a compimento;
dimostra, inoltre, come anche da questo punto di vista, la
Grande Guerra, abbia costituito uno spartiacque tra due
epoche diverse. L’evidenza della massificazione sociale, dopo
la prima guerra mondiale, non poteva più essere ignorata; se
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Prima Parte: la rivolta delle masse
è vero che tale fenomeno era il risultato di un processo
iniziato nella seconda metà del secolo precedente, è anche
vero che la piena consapevolezza di tutte le sue implicazioni
e conseguenze, maturò negli ambienti intellettuali e
nell’opinione pubblica europea, solo dopo la tragica
esperienza della guerra.
2. L’irrazionalità come forma dell’uomo-massa
L’uomo-massa diviene il simbolo di una nuova umanità che ha
perduto la propria identità standardizzazione dei consumi.
Abbruttito, ridotto ad un ingranaggio dell’immenso meccanismo
produttivo posto in atto dalla tecnica e dall’industrialismo,
plasmato perfino nello “spirito” dalla nascente società dei
consumi e dalla pubblicità, l’uomo-massa viene pensato dagli
autori del tempo secondo alcune metafore che ritornano con
una certa frequenza nel dibattito sulla “crisi della civiltà”
che si sviluppa tra le due guerre. L’uomo automa, privo di
consapevolezza e ridotto egli stesso ad una macchina, o
l’uomo “animale”, la cui dimensione esistenziale è ridotta al
solo momento biologico, istintuale, emotivo. In entrambe le
metafore, usate anche dagli autori dei brani da noi scelti,
appare evidente un punto comune, la perdita dell’essenza
razionale, il venir meno del dominio della ragione, che non
costituisce più il tratto dominante dell’identità dell’uomo-
massa.
Se da Cartesio fino al positivismo, attraversando
l’illuminismo e una parte dello stesso romanticismo,
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Prima Parte: la rivolta delle masse
l’essenza della modernità era stata individuata nella
consapevolezza razionale del soggetto e, quindi, la
soggettività pensata come autocoscienza razionale, ora, con
l’avvento di quella nuova forma di uomo che è l’uomo massa,
questa dimensione appare irrimediabilmente perduta e
sostituita da una concezione in cui elementi irrazionali,
come la volontà di potenza o l’inconscio, vengono a
costituire l’essenza ultima dell’uomo.
Già prima della guerra, autori come Gustav Le Bon, Sigmund
Freud, Ortega y Gasset, si erano occupati del fenomeno della
massificazione sociale evidenziandone non solo le molteplici
conseguenze in vari campi, ma anche cercando di mettere a
fuoco la logica dell’agire sociale in quanto agire di massa e
le implicazioni che da tale logica discendevano sul piano
politico e storico.
La scelta di questi autori, nasce dal fatto che le loro
opere acquistarono un valore esemplare, sia perché
focalizzarono l’attenzione dell’opinione pubblica e degli
studiosi su questa tematica, sia perché fornirono il quadro
teorico di riferimento entro il quale il dibattito sulle
“masse” si andò sviluppando tra le due guerre.
L’impatto delle masse, quali nuove protagoniste del divenire
storico, sulla cultura dominante di matrice positivista e
liberale è drastico, per Ortega y Gasset l’avvento delle masse
quale protagoniste di una nuova società e portatrici di una
nuova forma di umanità è il ritorno alla barbarie, un
pericolo mortale per quei valori faticosamente conquistati
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Prima Parte: la rivolta delle masse
nel corso del XIX secolo. Irrazionalità e impulsività, sono i
moventi ultimi della “psicologia delle folle” e costituiscono
il fondamento di qualsiasi forma di agire politico e sociale
“moderno” secondo Le Bon. In Freud la civiltà viene paragonato
ad un sottile velo di convenzioni e vincoli che occultano,
contenendola, la natura aggressiva e irrazionale dell’uomo.
2.1. La perdita dei valori e la disgregazione sociale
Anche la sociologia, tra i due secoli, aveva affrontato il
problema delle conseguenze che si producono nella coscienza
del singolo in una società di massa. Per Durkheim, la
divisione sociale del lavoro e le rapide trasformazioni che
caratterizzano la società moderna, minano la solidarietà
sociale producendo una situazione di anomia. La società non
appare più fondata su un sistema di valori vincolanti e
comuni, ma senza tale sistema gli individui appaiono come
atomi slegati, privi di riferimento e di un’identità
d’appartenenza. La mancanza di norme morali comuni,
costituisce una caratteristica della moderna società di massa
e getta l’individuo in una condizione di perdita della
propria identità sociale. Lo stesso Durkheim si farà
portatore, durante la Grande Guerra, di un progetto per
ricostituire un sistema di solidarietà capace di integrare
gli individui, tale progetto mirava a sostituire i valori
tradizionali, venuti meno con quella che Nietzsche aveva
chiamato la morte di dio, con un nuovo sistema di valori
incentrato su un forte nazionalismo antigermanico.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Un altro importante autore è Ferdinand Tönnies1 che in un
saggio del 1887, “Gemeinschaft und Gesellschaft”, descrive la
situazione della civiltà di massa come il risultato del
passaggio dalla comunità – Gemeinschaft – in cui il gruppo
sociale è organizzato su vincoli religiosi e sulla
tradizione; alla società – Gesellschaft – in cui
l’integrazione tradizionale è venuta meno, sostituita dalla
divisione del lavoro, e dal dominio dello stato.
Le analisi di Durkheim e Tönnies2 sono utili per completare
il quadro generale entro il quale si svolge il dibattito
sulla civiltà di massa e l’uomo massa. Le conclusioni della
maggior parte degli autori su tali punti sono ben
rappresentate dalle posizioni di Ortega y Gasset e Le Bon;
massificazione e democratizzazione sono processi
d’imbarbarimento dei costumi, di perdita dei valori, di
standardizzazione di uomini e idee, di fine del “regno della
qualità” e di trionfo del “regno della quantità”. L’uomo-
massa è infatti il risultato del dominio della macchina
statale e della macchina produttiva sulla società.
1 Ferdinand Tönnies (1855 – 1936), sociologo e filosofo tedesco, la cuiopera principale è proprio Comunità e Società. In polemica con marxismo epositivismo studiò la dinamica sociale secondo i due contrapposti modellidi comunità e società. 2 Pur essendo molto importanti per una completa ricostruzione deldibattito sulle masse e la civiltà di massa, non abbiamo preso inconsiderazione questi autori per motivi di tempo, ma anche per la sceltadeliberata di mantenere la nostra analisi entro un ambito limitato , perevitare che si presentasse troppo dispersiva.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
2.2. La rivolta delle masse
Le paure di un crollo della civiltà ad opera dell’avvento
delle masse-barbariche, vengono a rafforzarsi proprio quando,
durante il primo conflitto mondiale, la rivoluzione russa del
1917 travolge l’impero zarista. Non abbiamo approfondito nel
corso di questo lavoro le tematiche relative alla
“rivoluzione russa”, questo avrebbe comportato un lavoro di
analisi per noi troppo vasto e complesso, tuttavia è
importante segnalare come la rivoluzione, specie quella di
ottobre, rafforzò i timori, anzi, sembrò offrire una prova
decisiva che le paure di una ribellione delle masse e di una
nuova barbarie non erano infondate, ma si presentavano come
un possibile, perfino probabile esito, cui la civiltà europea
andava incontro.
Se la rivoluzione russa viene vissuta come realizzarsi delle
paure che agitano gli animi degli esponenti della cultura
europea, un altro paese cui molti autori guardano come ad un
possibile esempio di quello che potrebbe essere il futuro
della civiltà occidentale sono gli Stati Uniti. Tra le due
guerre americanismo diviene sinonimo di “civiltà di massa”; la
civiltà americana diviene il paradigma di un mondo
interamente dominato dai valori del produttivismo, del
consumismo, dell’efficientismo tecnico. Le principali
metafore utilizzate in questi anni per indicare il destino
dell’uomo entro una simile civiltà sono, a questo riguardo,
significative dei timori degli autori che a vario titolo
parteciparono a tale dibattito: l’uomo come una formica, una
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Prima Parte: la rivolta delle masse
pecora, un’ape. Ancora una volta il tema della
spersonalizzazione, della perdita dell’identità,
dell’alienazione, vengono visti, e non in astratto - ma come
già storicamente dati nella società statunitense - come il
destino dell’umanità futura.
E’ nostra opinione che gli aspetti del dibattito che abbiamo
tentato, sinteticamente, di ricostruire, così come le paure
di un crollo della civiltà ad opera del dominio esercitato
dalla tecnica sull’uomo ridotto alla forma di uomomassa,
siano rappresentati in modo esemplare in un film del 1927:
Metropolis, di Fritz Lang. In questo film, che costituisce
una vera e propria testimonianza della coscienza collettiva
dell’epoca, l’automa diviene uomo e domina gli uomini che, a
loro volta, sono ridotti a schiavi sottomessi alla macchina.
L’intreccio si risolverà, ma questo comporterà il crollo
della “civiltà delle macchine”.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
2. GUSTAVE LE BON
2.1. La Vita e il Pensiero
Gustave Le Bon, medico, psicologo e saggista francese di
formazione positivista (Nogent-le Rotrou, Eure-et-Loir 1841,-
Parigi 1931), si dedicò allo studio della psicologia delle
masse, di cui può considerarsi uno dei fondatori.
Fra le sue opere principali: “Le leggi psicologiche
dell’evoluzione dei popoli”(1894), “La psicologia delle
folle”(1895),”La Rivoluzione francese e la psicologia della
rivoluzione”(1912).
Il lavoro di Le Bon trasse stimolo dagli studi sulla massa
rivoluzionaria durante la rivoluzione francese.
Secondo la sua visione il comportamento degli individui
quando sono coinvolti nell’emozione collettiva di una folla,
differisce in modo significativo dalle loro azioni in gruppi
più piccoli. Sotto l’influsso di una folla focalizzata, gli
individui diventano capaci di atti di barbarie come di
eroismo, che singolarmente non arriverebbero a contemplare.
Secondo Le Bon, quando sono coinvolti nell’eccitazione
collettiva generata dalle folle, gli individui perdono
temporaneamente alcune delle loro facoltà di ragionamento
critico normalmente attivate nella loro vita quotidiana. Essi
diventano altamente suggestionabili e facilmente esposti alle
incitazioni dei capi-massa. Sotto l’influenza della folla gli
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
individui regrediscono verso reazioni di tipo più
“primitivo”.
Sebbene molti autori abbiano attinto alle idee di Le Bon,
esse suscitano qualche riserva. Egli scriveva nelle vesti di
un conservatore che criticava la democrazia, che vedeva la
Rivoluzione francese come l’inizio di un’era in cui le folle,
la massa di gente comune, avrebbero dominato sui legittimi
governanti. Secondo Le Bon i gruppi numerosi, comprese le
assemblee parlamentari, non sono in grado di prendere delle
decisioni razionali, diversamente dai singoli individui.
Le Bon era interessato a dimostrare che la democrazia
avrebbe scatenato gli impulsi più primitivi degli esseri
umani e schiacciato le facoltà superiori e più civili.
“La psicologia delle folle” (1895) aveva dato un ritratto
delle folle tutto centrato sulla trasformazione che avrebbe
in esse del comportamento individuale. Irrazionalità,
isterismo, e impulsività caratterizzano secondo Le Bon la
natura di questi assembramenti umani, che dalla Rivoluzione
in poi (fino alle nostre assemblee parlamentari e alle giurie
penali) fanno la storia.
Negli anni fra le due guerre si accende un grande interesse
per l’opera di Le Bon: egli appare a molti un precursore, lo
scopritore geniale di un carattere nuovo dell’uomo moderno,
quello che gli deriva dallo stare in gruppo. Se questa
formulazione molto emotiva di psicologia sociale poteva
apparire frutto di una scoperta pionieristica, ciò si doveva
al fatto che la letteratura della crisi vedeva, nelle folle
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Prima Parte: la rivolta delle masse
di Le Bon, la ripetizione innumerevole del tipo umano
rappresentato dall’uomo-massa. Psicologia collettiva e
sociologia della società contemporanea tendevano a coincidere
e questo è il motivo per il quale le pagine de “La psicologia
delle folle”, in cui è presente la tipologia della massa,
costituiranno un necessario punto di riferimento per tutta la
cultura della crisi.
2.2. Le Bon: La psicologia delle folle
L'epoca attuale costituisce uno di quei momenti critici,
durante i quali il pensiero umano si trasforma. Due fattori
fondamentali stanno alla base di tale trasformazione. Il
primo è la fine delle credenze religiose, politiche e sociali
[…]. Il secondo è la nascita di condizioni di vita e di
pensiero interamente nuove, che risultano prodotte dalle
moderne scoperte delle scienze e dell'industria.
Dato che le idee del passato, sebbene meno salde, sono
ancora molto forti, mentre quelle che devono sostituirle sono
ancora in via di formazione, l'età moderna rappresenta un
periodo di transizione e di anarchia.
Al momento attuale non è facile dire che cosa potrà nascere
un giorno da quest'epoca piuttosto caotica. Su quali idee
saranno fondate le società che succederanno alla nostra?
Ancora lo ignoriamo, e tuttavia fin d'ora possiamo prevedere
che, nella loro organizzazione, queste società dovranno fare
i conti con una potenza nuova, la più recente sovrana
dell'età moderna: la potenza delle folle. Sulle rovine di
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
tante idee, ritenute vere un tempo e oggi defunte, e di tanti
poteri successivamente infranti dalle rivoluzioni, tale
potenza è la sola che continui a crescere e che paia
destinata ad assorbire le altre. Mentre le antiche credenze
barcollano e spariscono, e le vetuste colonne delle società
si schiantano ad una ad una, la potenza delle folle è la sola
che non subisca minacce e che vede crescere di continuo il
suo prestigio. L'età che inizia sarà veramente l'era delle folle.
Non più di un secolo fa, la politica tradizionale degli
Stati e le rivalità tra i prìncipi costituivano i principali
fattori degli avvenimenti. L'opinione delle folle, nella
maggioranza dei casi, non contava affatto. Oggi, invece, le
tradizioni politiche, le tendenze individuali dei sovrani e
le rivalità esistenti tra questi ultimi hanno ben scarso
peso. La voce delle folle è divenuta preponderante. Detta
ordini ai re. E’ nell'anima delle folle, e non più nei
consigli dei prìncipi, che si preparano i destini delle
nazioni.
L'ingresso delle classi popolari nella vita politica, la
loro trasformazione progressiva in classi dirigenti, è una
delle caratteristiche più rilevanti della nostra epoca di
transizione. Tale ingresso non ha coinciso, in verità, con il
suffragio universale, che per molto tempo ebbe limitata
influenza e agli inizi fu tanto facilmente diretto. La
potenza della folla nacque dapprima col propagarsi di certe
idee che si radicavano lentamente negli spiriti, poi grazie
al graduale associarsi degli individui che consentì la
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Prima Parte: la rivolta delle masse
realizzazione di concetti fino ad allora teorici. Il fatto di
associarsi ha permesso alle folle di farsi un’idea, se non
molto giusta, almeno molto precisa dei propri interessi, e di
prendere coscienza della propria forza. Le folle formano i
sindacati davanti ai quali tutti i poteri capitolano, creano
le camere del lavoro che, a dispetto delle leggi economiche,
tendono a regolare le condizioni dell'impiego e del salario.
Inviano nelle assemblee governative i loro rappresentanti
sprovvisti di ogni iniziativa, di ogni indipendenza, e
ridotti nella maggioranza dei casi ad essere soltanto i
portavoce dei comitati che li hanno eletti.
Poco inclini al ragionamento, le folle si dimostrano, al
contrario adattissime all'azione. L'organizzazione attuale
rende immensa la loro potenza. i dogmi che vediamo nascere
acquisteranno ben presto la forza di quelli antichi, cioè la
forza tirannica e sovrana che mette al riparo da ogni
discussione. Il diritto divino delle folle sostituisce il
diritto divino dei re.
Ciò che più ci colpisce di una folla psicologica è che gli
individui che la compongono - indipendentemente dal tipo di
vita, dalle occupazioni, dal temperamento o dall'intelligenza
- acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto
di appartenere alla folla. Tale anima li fa sentire, pensare
ed agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di
loro - isolatamente - sentirebbe, penserebbe ed agirebbe.
Certe idee, certi sentimenti nascono e si trasformano in atti
soltanto negli individui costituenti una folla. La folla
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Prima Parte: la rivolta delle masse
psicologica è una creatura provvisoria, composta di elementi
eterogenei saldati assieme per un istante, esattamente come
le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere
nuovo con caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna
di queste cellule possiede. […] nell'aggregato di una folla
non vi è affatto somma o media di elementi, ma combinazione e
creazione di elementi nuovi. La stessa cosa accade in
chimica. Le basi e gli acidi, per esempio, si combinano per
formare un corpo nuovo dotato di proprietà diverse da quelle
dei corpi che hanno servito alla sua formazione.
Si può constatare facilmente quanto l’individuo immerso in
una folla differisca dall'individuo isolato. Ma è assai meno
facile scoprire le cause di tale differenza.
Per arrivare a intravederle, bisogna ricordare anzitutto una
scoperta fatta dalla psicologia moderna: che i fenomeni
inconsci svolgono una parte preponderante non soltanto nella
vita organica, ma anche nel funzionamento dell'intelligenza.
La vita consapevole dello spirito ha una parte minima
rispetto alla vita inconsapevole di esso. L'analista più
sottile, l'osservatore più penetrante arriva a scoprire
soltanto una piccola parte dei motivi inconsci da cui egli
stesso è guidato. I nostri atti coscienti derivano da un
substrato inconscio formato soprattutto da influenze
ereditarie. Questo substrato racchiude gli innumerevoli
residui ancestrali che costituiscono l'anima della razza. Nei
nostri atti, dietro alle cause da noi confessate, ve ne sono
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
di segrete da noi stessi ignorate. La maggior parte di motivi
occulti che ci sfuggono. [ … ]
La folla (lo abbiamo già detto studiandone i caratteri
fondamentali) è guidata quasi esclusivamente dall’inconscio.
I suoi atti nascono dall'influenza del midollo spinale più
che dall'influenza del cervello. Le azioni da essa compiute
possono essere perfette quanto all'esecuzione, ma dato che
non sono dirette dal cervello. dipendono in realtà dai moti
casuali dell’eccitazione. La folla, strumento di tutti gli
stimoli esteriori, riflette le incessanti variazioni di
questi. E’ dunque schiava degli impulsi ricevuti. L’individuo
isolato può essere soggetto alle stesse eccitazioni, ma non
cede ad esse, poiché la ragione gli indica quali svantaggi
deriverebbero dal cedere. Si può fisiologicamente definire
tale fenomeno dicendo che l'individuo isolato ha la
possibilità di controllare i suoi riflessi, mentre la folla
ne è sprovvista.
I diversi impulsi ai quali le folle obbediscono, potranno
essere, secondo le stimolazioni ricevute, generosi o crudeli,
eroici o vili, ma saranno sempre tanto imperiosi che persino
l'istinto di conservazione si annullerà davanti ad essi.
Le folle sono mutevoli poiché gli stimoli capaci di
suggestionarle sono svariati, e le folle vi obbediscono
immancabilmente. Le vediamo passare in un attimo dalla
ferocia più sanguinaria alla generosità o all'eroismo più
assoluti. La folla diventa facilmente carnefice, ma
altrettanto facilmente martire. Dal suo seno hanno zampillato
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
i fiumi di sangue che sono stati necessari per il trionfo di
ogni fede. E’ inutile risalire ai tempi eroici per vedere di
cosa son capaci le folle. Non danno troppo peso alla vita
durante le sommosse, e pochi anni fa un generale, divenuto
improvvisamente popolare, avrebbe trovato con facilità
centomila uomini pronti a farsi uccidere per la sua causa.
Nelle folle, insomma, non c'è premeditazione. Possono
percorrere successivamente la gamma dei più opposti
sentimenti sotto l'influsso di momentanee eccitazioni.
Somigliano alle foglie che l'uragano solleva, disperde e poi
lascia ricadere. Lo studio di certe folle rivoluzionarie ci
fornirà qualche esempio della mutevolezza dei loro
sentimenti.
Questa mutevolezza rende le folle molto difficilmente
governabili, specie quando una parte dei poteri pubblici è
finita nelle loro mani. Se le necessità della vita quotidiana
non costituissero una sorta di regolatore invisibile degli
eventi, le democrazie quasi non potrebbero sussistere. Ma le
folle, che desiderano certe cose con frenesia, non le
desiderano a lungo. Sono incapaci di volontà costante, così
come sono incapaci di pensare.
La folla non è soltanto impulsiva e mutevole. Come il
selvaggio, non ammette ostacoli tra un desiderio e la sua
realizzazione, tanto più se il numero dà ad essa la
sensazione di costituire una irresistibile potenza. Per
l'individuo nella folla, la nozione di impossibilità
scompare. L'uomo isolato sa benissimo che non potrebbe, da
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
solo, incendiare un palazzo o saccheggiare un negozio. La
tentazione di farlo non lo sfiora nemmeno. Ma quando si trova
in una folla, prende coscienza della forza che gli viene dal
numero, e cede immediatamente alla prima istigazione al
massacro o al saccheggio. L'ostacolo inatteso sarà infranto
con frenesia. Se l'organismo umano permettesse la perpetuità
del furore, vedremmo allora che lo stato normale di una folla
contrariata sarebbe appunto il furore.
Nell'irritabilità delle folle, nella loro impulsività e
mutevolezza, così come in tutti i sentimenti popolari che
analizzeremo, intervengono sempre i caratteri fondamentali
della razza. Questi costituiscono il terreno invariabile su
cui germinano i nostri sentimenti. Le folle sono senza dubbio
irritabili e impulsive, ma con notevoli variazioni di
intensità. La differenza tra una folla latina e una folla
anglosassone, ad esempio, è lampante. I fatti recenti della
nostra storia gettano viva luce su questo punto. Nel 1870, la
pubblicazione di un semplice telegramma dove si parlava di un
supposto insulto bastò per determinare in Francia
un'esplosione di furore che sfociò in una guerra terribile.
[...] Le folle sono, dunque, femminili, ma le più femminili
di tutte sono le latine. Chi si appoggia ad esse può salire
molto in alto e molto in fretta, ma sfiorando sempre il
ciglio della rupe Tarpea e con la certezza di precipitare un
giorno nell'abisso.
G. Le Bon, La psicologia delle folle, Mondadori, Milano
1980, pp. 24-45
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
2.3. Commento al brano di Le Bon: L’irrazionalità delle folle
L’occidente, nel momento in cui scrive Le Bon, ossia il
momento in cui si affermano le masse, sta attraversando un
momento di significativi cambiamenti sociali. Le masse hanno
ormai preso il sopravvento sull’individuo, le tradizioni
politiche hanno ormai perso il loro peso e, con loro, tutte
le tendenze individuali. Sembra quasi una profezia di ciò che
avverrà qualche anno dopo la pubblicazione di questo libro:
lo scoppio della prima guerra mondiale.
Le masse, che sono diventate il soggetto politico più
importante della vita pubblica, agiscono secondo un
comportamento che, nella concezione freudiana della
psicologia, sarebbe consono ad un bambino che non ammette
alcun ostacolo tra desiderio e realizzabilità di
quest’ultimo. Le folle sono prive della nozione di
impossibilità. Nella vita organica delle folle, infatti, una
parte preponderante dell’attività psichica è “occupata”
dall’attività inconscia. Il comportamento di un individuo
all’interno della “massa” gli permette di abbattere gli
ostacoli attraverso la frenesia e il furore. Le masse,
inoltre, seguono irrazionalmente gli istinti, agiscono con
immediatezza, senza premeditazione e consapevolezza. Esse
sfuggono, però, al controllo di chi tenta di influenzarle, e
si affidano con altrettanta facilità a chi riesce ad
indirizzare il loro odio a favore del proprio scopo. Le folle
sono schiave degli impulsi ricevuti, non riescono a dominarli
e non riescono a controllare i propri riflessi, agiscono
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
mutevolmente a seconda degli stimoli esterni che le
influenzano rendendole molto difficili da governare.
Riguardo ai problemi studiati nell’area progettuale, Le Bon
dimostra che le folle sono capaci di modificare la vita
politica e sociale, la loro presa di coscienza politica
potrebbe, secondo lui risultare pericolosa data
l’irrazionalità con la quale esse agiscono.
Al termine “folle” sarebbe quindi più appropriato
sostituire quello di “masse”.
Il pessimismo di Le Bon sulla presa di coscienza delle
masse deriva anche e soprattutto dal fatto che esse agiscono
secondo una pulsione violenta dettata dall’irrazionalità e
dalla foga.
Alla base del comportamento impulsivo delle masse vi sono i
caratteri della razza. La diversa razza della folla fa si che
essa subisca delle variazioni di intensità. Le folle sostiene
Le Bon sono di sesso femminile e le più femminili di tutte
sono le latine (rif. Rivoluzione francese).
Dall’analisi portata avanti da Le Bon scaturisce una
concezione della società attuale pessimista e un sentimento
di nostalgia causato dalla perdita dell’equilibrio che stava
alla base della società prima della ”presa di potere” delle
masse. Coloro che fanno affidamento alle masse si espongono
al carattere effimero della volontà di queste ultime.
Solo l’uomo che agisce individualmente riuscirà un giorno a
risollevarsi, perché l’organismo umano non permette, al
contrario delle folle, -il perpetuarsi del furore.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
3. ORTEGA Y GASSET JOSÈ
3.1. La Vita
Saggista e filosofo spagnolo. Dopo la laurea e la docenza,
nel 1906 studiò in Germania dove fu allievo di Cohen a
Marburgo. Dal 1910 al 1936, insegnò metafisica all’università
di Madrid. Nel 1923 fondò “la Rivista de Occidente”, che
diffuse in Spagna la filosofia e la cultura europea.
Tra le principali opere di Ortega si possono ricordare:
“Meditazioni sul Chisciotte”, “Spettatore”, “Spagna
invertebrata”, “La ribellione delle masse”
3.2. Il pensiero
La filosofia di Ortega s’ispira al realismo per
l’affermazione che l’intelligenza, la scienza, la cultura
sono subordinate alla vita e non hanno altra funzione se non
quella di essere strumenti al servizio di questa. La credenza
contraria, la subordinazione della vita all’intelligenza,
intelligenza priva di qualsiasi rapporto con la realtà, getta
la vita in balia di due atteggiamenti opposti che concordano
nel distruggerla: il bigottismo (l’ipocrisia) della cultura e
l’insolenza anticulturale contro l’intellettualismo. Ortega
afferma che l’uomo per vivere deve pensare, e se pensa male
vive male.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
La subordinazione del sapere alla vita richiede che l’uomo
assuma in modo consapevole la responsabilità di divenire
“artefice del proprio destino”, dominando con la propria
ragione il suo istinto e riuscendo sempre a discriminare tra
ciò che “deve” e ciò che “non deve” fare. In realtà ognuno ha
bisogno di sapere che cosa debba fare delle cose che lo
circondano; questo è il senso vero del sapere. Le cose sono
prive di un senso ontologico dato e assoluto, il loro
significato è funzione del comportamento dell’essere umano
nei loro confronti. Il vero problema non concerne quindi le
cose, ciò che è sempre posto in gioco è l’atteggiamento umano
nei confronti della realtà. Questo, però non rende le cose
stesse soggettive, più che non renda oggettivo l’io, il suo
rapporto con le cose. “Io sono io e la mia circostanza” dice
Ortega nelle meditazioni su Chisciotte, comprendendo nella
circostanza tutto il mondo esterno ed interno, il mondo cioè
che è in rapporto con l’io, ma non s’identifica con esso.
La ragione dell’uomo ha il compito di dominare la
circostanza che la sua prospettiva gli offre, di riassorbirla
nell’uomo stesso al fine di umanizzarla; la ragione èè perciò
una ragione vitale, non opposta alla vita né diversa da essa.
Ortega fu uno dei maggiori esponenti dell'esistenzialismo
europeo. L’elemento esistenzialistico della filosofia di
Ortega si riconosce nella contrapposizione che egli
stabilisce tra autenticità e inautenticità. L’uomo può
perdere di vista se stesso, la salvezza per lui è, allora,
tornare a coincidere con se stesso, sapere chiaramente qual è
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
il suo atteggiamento di fronte ad ogni cosa. In questa
coincidenza dell’uomo con se stesso, nella pace interiore
dell’individuo con la sua stessa spiritualità, è
l’autenticità della vita cioè quella che si chiama felicità.
L’epoca di crisi è un’epoca d’instabilità in cui, per
l’assenza di convinzioni positive, l’uomo può passare dal
bianco al nero, quindi tutto è quindi possibile. L’essenza
della crisi, quella che investì la natura stessa dell’uomo e
il suo destino, si è verificata nel mondo occidentale negli
ultimi secoli dell’impero romano. La sua soluzione, il
Cristianesimo, appare in qualche modo ad Ortega come la
soluzione delle soluzioni, l’unica veramente radicale, la
negazione dell’uomo e del mondo e di tutti i loro problemi,
l’abbandono al soprannaturale. Dall’altro lato l’epoca
attuale, caratterizzata dalla “ribellione delle masse”,
appare ad Ortega come la peggiore di tutte, per l’incertezza
in cui l’avvento delle masse e la socializzazione dell’uomo
hanno gettato la società attuale. Non c’è più “definitezza
dei tempi” perché questa società presuppone un avvenire
chiaro, prestabilito, inequivocabile, com’era quello del
secolo XIX. Allora si credeva di sapere ciò che sarebbe
accaduto l’indomani. Ora il futuro è sconosciuto, dato che
non si sa chi potrà comandare e non si sa come si dividerà il
potere sopra la terra: “Chi potrà comandare? Quale popolo?
Quale ideologia? Quale sistema di preferenze e di norme?”.
Il concetto di crisi, di cui Ortega è il più eloquente
difensore, nasce da una nostalgia mitologizzante, che pone
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
nel passato quella perfetta stabilità e sicurezza di vita che
l’uomo sente mancargli al presente. Nel saggio “La storia
come sistema”, c’è il riconoscimento esplicito della
storicità fondamentale dell’uomo: “Un pellegrino dell’essere,
un sostanziale emigrante è l’uomo”.
Per questo manca di senso mettere i limiti a ciò che l’uomo
è capace di essere. In questa illimitatezza delle sue
possibilità, c’è solo un limite: il passato. Le esperienze di
vita fatte restringono il futuro dell’uomo. Se non sappiamo
ciò che sarà, sappiamo ciò che non sarà. Si vive in vista del
passato.
3.3. Il Brano di Ortega: La ribellione delle masse
C'è un fatto che, bene o male che sia, è il più importante
nella vita pubblica europea dell'ora presente. Questo fatto è
l'avvento delle masse al pieno potere sociale. E siccome le
masse, per definizione, non devono né possono dirigere la
propria esistenza, e tanto meno governare la società, vuol
dire che l'Europa soffre attualmente la più grave crisi che
tocchi di sperimentare a popoli, nazioni, culture. Questa
crisi s'è verificata più d'una volta nella storia. La sua
fisionomia e le sue conseguenze sono note. Se ne conosce
anche il nome. Si chiama la ribellione delle masse.
Per l'intelligenza del formidabile fenomeno conviene che si
eviti di dare, fin d'ora, ai termini «ribellione», «massa»,
«potere sociale», ecc., un significato esclusivamente o
principalmente politico. La vita pubblica non è soltanto
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
politica, ma, in pari tempo e in prevalenza, è intellettuale,
morale, economica, religiosa; comprende tutti i costumi
collettivi, inclusa la maniera di vestire e la maniera di
godere.
Forse il modo migliore di avvicinarsi a questo fenomeno
storico è quello di riferirci a un'esperienza visiva,
sottolineando un aspetto della nostra epoca che è visibile
con gli occhi della fronte.
Semplicissimo ad essere enunciato, per quanto non sia
altrettanto semplice ad essere analizzato, lo possiamo
denominare il fenomeno dell'agglomerazione, del «pieno». Le
città sono piene di gente. Le case, piene d'inquilini. Gli
alberghi, pieni di ospiti. I treni, pieni di viaggiatori. I
caffè, pieni di consumatori. Le strade, piene di passanti. Le
anticamere dei medici più noti, piene d'ammalati. Gli
spettacoli, appena non siano molto estemporanei, pieni di
spettatori. Le spiagge, piene di bagnanti. Quello che prima
non soleva essere un problema, incomincia ad esserlo quasi a
ogni momento: trovar posto. [...]
Che cosa è ciò che vediamo, e la cui considerazione ci
sorprende tanto? Vediamo la moltitudine, come tale, che
s'impossessa dei luoghi e dei mezzi creati dalla civiltà.
Il concetto di moltitudine è quantitativo e visivo.
Traduciamolo, senza alterarlo, nella terminologia
sociologica. Allora troviamo l'idea della massa sociale. La
società è sempre una unità dinamica di due fattori: minoranze
e masse. Le minoranze sono individui o gruppi d'individui
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
particolarmente qualificati. La massa è l'insieme di persone
non particolarmente qualificate. Non s'intenda, però, per
masse soltanto, né principalmente, «le masse operaie». Massa
è l'uomo medio. In questo modo si converte ciò che era mera
quantità - la moltitudine - in una determinazione
qualitativa: è la qualità comune, è il campione sociale, è
l'uomo in quanto non si differenzia dagli altri uomini, ma
ripete in se stesso un tipo generico. E che abbiamo
guadagnato con questa conversione della quantità in qualità?
E’ assai semplice: per mezzo di questa comprendiamo la genesi
di quella. E’ evidente, perfino banale, che la formazione
normale d'una moltitudine implica la coincidenza di desideri,
di idee, del modo d'essere, negl'individui che la
costituiscono. […]
A rigore, la massa può definirsi, come fatto psicologico,
senza necessità d'attendere che appaiano gl'individui come
agglomerato. Anche per una sola persona possiamo sapere se è
massa o no. Massa è tutto ciò che non valuta se stesso - né
in bene né in male - mediante ragioni speciali, ma che si
sente «come tutto il mondo», e tuttavia non se ne angustia,
anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli
altri. […]
E non c'è dubbio che la divisione più radicale che occorre
fare in seno all’Umanità è questa, in due classi di creature:
quelle che esigono molto e accumulano sopra se stesse
difficoltà e doveri, e quelle che non esigono nulla di
speciale, se non che per esse vivere consiste nell'essere a
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
ogni momento ciò che già sono, senza sforzo di perfezione
dentro di se stesse, galleggianti che vanno alla deriva. […]
La divisione della società in masse e minoranze selezionate
non è, pertanto, una divisione in classi sociali, ma in
classi di uomini, e non può identificarsi nell'ordine
gerarchico di classi superiori e inferiori. […]
Ebbene: esistono nella società operazioni, attività,
funzioni dei più diversi ordini, che sono, per la loro stessa
indole, speciali, e, di conseguenza, non possono essere
eseguite senza qualità anch'esse speciali. Per esempio: certi
godimenti di carattere artistico e lussuoso, oppure le
funzioni di governare o di giudicare politicamente intorno
agli affari pubblici. Prima queste attività speciali erano
esercitate da minoranze qualificate - qualificate, almeno,
come presunzione. La massa non pretendeva d'intervenire in
esse: si rendeva conto che se voleva intervenire doveva
effettivamente acquistare queste doti speciali e cessare di
essere massa. Conosceva la sua funzione in una sana dinamica
sociale. […]
Nessuno, io credo, deplorerà che le folle godano oggi in
numero e misura maggiori che per il passato, dato che ne
hanno il gusto e i mezzi. Il male è che questa decisione
presa dalle masse di assumere le attività proprie alle
minoranze, non si manifesta, né potrebbe manifestarsi,
soltanto nell'ordine dei godimenti, ma essa si rivela come
una maniera generale di questo tempo. Così - anticipando ciò
che vedremo a momenti - credo che le innovazioni politiche
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
degli anni più recenti non significano altro che l'impero
politico delle masse. La vecchia democrazia viveva temperata
da un'abbondante dose di liberalismo e d'entusiasmo per la
legge. A servire questi principi l'individuo si obbligava a
sostenere in se stesso una disciplina difficile. Sotto la
protezione del principio liberale e della norma giuridica
potevano agire e vivere le minoranze. Democrazia e legge,
convivenza legale, erano sinonimi. Oggi assistiamo al trionfo
d'una iperdemocrazia in cui la massa opera direttamente senza
legge, per mezzo di pressioni materiali, imponendo le sue
aspirazioni e i suoi gusti, è falso interpretare le nuove
situazioni come se la massa si fosse stancata della politica
e ne devolvesse l'esercizio a persone «speciali» Tutto il
contrario. Questo era quello che accadeva nel passato, questo
era la democrazia liberale. La massa presumeva che, in ultima
analisi, con tutti i loro difetti e le loro magagne, le
minoranze dei politici s’intendevano degli affari pubblici un
po' più di essa. Adesso, invece, la massa ritiene d'avere il
diritto d'imporre e dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni
da caffè. Io dubito che ci siano state altre epoche della
storia in cui la moltitudine giungesse a governare così
direttamente come nel nostro tempo. Per questo parlo
d'iperdemocrazia.
Iil fatto caratteristico del momento è che l'anima volgare,
riconoscendosi volgare, ha l'audacia d'affermare il diritto
della volgarità e lo impone dovunque. La massa travolge tutto
ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e
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Prima Parte: la rivolta delle masse
selezionato Chi non sia come «tutto il mondo», chi non pensi
come «tutto il mondo» corre il rischio di esser eliminato. Ed
è chiaro che questo «tutto il mondo» non è «tutto il mondo».
«Tutto il mondo» era normalmente l'unità complessa di massa e
minoranze discrepanti, speciali. Adesso «tutto mondo» è
soltanto la massa.
Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, Il Mulino, Bologna
1962, pp. 3-12
3.4. 0rtega commento
Nel brano Ortega affronta un problema tipico della società
del tempo: l’avvento al potere delle masse,(nonostante la
loro incapacità di auto guidarsi)che porta ad una inevitabile
crisi dell’Europa, già verificatasi in passato, ma molto più
intensa poiché non si trattava solo della presa di potere
nell’ambito politico ma anche, e soprattutto, religioso,
morale, economico ed intellettuale.
Questo problema per quanto evidente sia, comporta delle
enormi difficoltà d’analisi. Ortega utilizza un particolare
metodo, che Ortega stesso definisce di facile enunciazione,
ma che comporta delle difficoltà non indifferenti di analisi.
Tale fenomeno viene convenzionalmente definito «del pieno».
Una prima spiegazione del fenomeno viene fornita da Ortega
utilizzando una terminologia non sociologica. Ortega
sottolinea come qualsiasi parte della città sia popolata; da
qui nasce una prima considerazione per quanto riguarda la
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
massa che popola tali città: la moltitudine, quindi un
concetto quantitativo e visivo.
Questa prima definizione viene poi tradotta in termini
sociologici: si potrà allora parlare di massa sociale. Ortega
sottolinea come in ogni società massa siano presenti una
minoranza ed una maggioranza(massa).
I primi, sono gruppi di individui qualificati, che
compongono però, come è logico, una ristretta élite. La
maggioranza, che compone invece la massa, rappresenta le
persone non qualificate. Nella massa ogni singolo individuo
appare “inutile, poiché è semplicemente la parte di un tutto
in cui ciò che prevale è, come già detto, la quantità, e
viene contemporaneamente svalutata la qualità. In questo
senso ogni singolo individuo che compone la massa si sente
sicuro solo se si sente uguale all’altro.
Da ciò deriva una degradazione anche della cultura in quanto
anch’essa diviene fenomeno di massa. La riaffermazione di una
concezione elitaria si potrebbe verificare solo se si
verificasse un ritorno al passato.
Il brano si conclude con affermazione da parte di Ortega
dell’inevitabile presa del potere da parte delle masse, le
quali riusciranno nell’intento di realizzare un regime
iperdemocratico, che porterà poi alla nascita di un
inevitabile regime totalitario.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
4. SIGMUND FREUD
4.1. La Vita
Benché tutta risolta all'interno di una borghesia della
quale seppe esprimere e interpretare le inquietudini, la vita
di Sigmund Freud si identifica nel tempo con lo sviluppo
della sua rivoluzionaria concezione dell'uomo, e con la
diffusione dl movimento psicoanalitico stesso, del quale egli
fu fondatore e capo carismatico.
Nato il 6 maggio 1856 da modesta famiglia israelitica, a
Freiberg (Moravia), Freud attribuiva a questa sua condizione
- l'essere ebreo e austriaco - la propria capacita di
sopportare il peso di una posizione impopolare, il
misconoscimento, la solitudine, le accuse, le calunnie che
gliene derivavano. A Vienna, dove la famiglia si era
trasferita quattro anni dopo la sua nascita, si iscrisse
dapprima alla facoltà di Scienze, dedicandosi, con alcuni
successi, alla ricerca pura. Sua guida era in questo periodo
lo psicologo Brucke, portavoce di quel fervore scientifico,
di quella positivistica fede nella scienza, che dominava
allora la maggior parte degli studiosi. Questo atteggiamento
penetro profondamente il giovane Freud.
Costretto da problemi economici a lasciare la facoltà' di
Scienze, si iscrisse a Medicina. Nel 1881 si laureo. Quattro
anni dopo ebbe la libera docenza in neuropatologia ed una
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
borsa di studio; ne approfitto per andare a Parigi, da
Charcot, il più grande neurologo europeo di quei tempi. Nel
1886, dopo il matrimonio, Freud apri un gabinetto privato per
la cura delle malattie nervose. Decisivo, fu in questo
momento l'incontro con J. Breuer, che lo indusse ad
utilizzare l'ipnosi.
Dal lungo periodo di collaborazione con Breuer (1887-1895),
Freud ricava alcune acquisizioni che resteranno fondamentali
per la terapia dell'isteria e più tardi delle altre nevrosi.
E' proprio nel 1895 che Freud pubblica, insieme a Breuer, la
sua prima opera, Studi sull'isteria.
Motivi teorici e pratici, e soprattutto una sostanziale
diversità di carattere e approccio alla terapia,
allontanarono i due poco dopo la pubblicazione degli studi.
Freud si mette sulla strada della psicoanalisi. Sempre nel
1895 Freud aveva iniziato la propria autoanalisi. Punto di
partenza fu un sogno; attraverso questo sogno Freud giunse
alla conclusione che tutti i sogni hanno un significato.
Nel 1896 muore il padre e questo sarà un periodo straziante
per Freud. L'autoanalisi, con il sostegno dei sogni, continuò
e si approfondì, dilatandosi nello spazio psichico e nel
tempo e aprendogli la strada a fondamentali scoperte
scientifiche e personali: l'inconscio e la censura, la libido
ed il complesso edipico. Continuerà poi ad occuparsi dei
sogni, strumento del quale egli diveniva sempre più' padrone,
sino alla pubblicazione del libro a lui più caro,
L'interpretazione dei sogni (Die Traumdeutung) nel 1899.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Nella sua autoanalisi Freud aveva inoltre scoperto alcune
caratteristiche sintomatiche dette "casuali", presenti in un
individuo normale. ma che potevano ricondursi a sintomi
nevrotici: lapsus, amnesie passeggere, sbadataggini,
smarrimenti di oggetti. Da questa idea nacque un'altra opera
fondamentale che è La psicopatologia della vita quotidiana
(Psychopathologie des Alltagslebens) pubblicata nel 1901.
Approfondendo le intuizioni elaborate nel corso
dell'autoanalisi e confermate, per quanto possibile, nella
pratica medica, Freud pubblica nel 1905, i Tre saggi sulla
sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie): in cui
esamina le aberrazioni sessuali, l'importanza della
sessualità infantile, la tendenza alla perversione, che egli
ritiene essenziale nell'istinto sessuale. Questi anni
straordinariamente fertili, tra 1895 e 1905, saranno definiti
da Freud di "splendido isolamento", quelli in cui non aveva
ancora seguaci. In seguito pubblicò varie opere tra le quali
Totem e tabù ( 1913 ), Al di la' del principio e del piacere
(1920), Psicologia delle masse e analisi dell'io (1920/21),
L'io e l'Es.
Nelle opere di questi anni affiora, in modo talvolta
sotterraneo, talvolta esplicito, il disagio dell'animale-uomo
posto, dalla Grande Guerra, di fronte alla rivelazione della
sua natura più vera, della sua natura rimossa, il suo
sconvolgimento nel pacifico possesso di quei beni, portati
dal progresso e dal benessere, che credeva definitivamente
acquisiti.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Nel 1930 ebbe il premio Goethe della città di Francoforte.
Conobbe altre notissime personalità del suo tempo come Thomas
Mann e Albert Einstein, con il quale scrisse Perche' la
guerra? pubblicato nel 1932.
Nel 1933 i nazisti prendono il potere in Germania;
nonostante i cattivi presagi di un'aggressione all'Austria e
le ripetute esortazioni degli amici, Freud non vuole lasciare
Vienna. Si deciderà solo cinque anni più tardi, di fronte
all'Anschluss. I suoi libri vengono bruciati, così nel 1938
la famiglia si trasferisce a Londra. Freud prosegue il suo
lavoro; scrive articoli, lavora al Compendio di psicoanalisi
che resterà incompiuto e verrà pubblicato postumo. Nonostante
l'intensificazione del dolore data dal cancro che aveva alla
mascella, fu sino al fine estremamente lucido e, persino,
completamente consapevole e rassegnato.
Continuò le analisi fino a qualche settimana prima della sua
morte avvenuta a Londra il 23 settembre 1939.
4.2. Il pensiero: Il disagio della civiltà
L’opinione di Freud riguardo la società è individuabile nel
saggio “Il Disagio della civiltà”, pubblicato nel 1929.
Il fondamentale proposito freudiano in quest’opera, è di
analizzare la genesi, le funzioni e l’essenza della civiltà
dal punto di vista dell’individuo e della sua felicità.
Ciò che secondo Freud caratterizza la civiltà (costituendone
anche le genesi), è la “sostituzione del potere della
comunità a quello del singolo”, mediante una serie di
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
limitazioni alla libertà individuale. Nell’imporre un potere
esterno alla persona, nel limitarne la libertà, la civiltà
provoca, secondo Freud, dei danni gravissimi nell’individuo
medesimo. Essa, infatti, obbliga l’uomo ad inibire un numero
considerevole di desideri e pulsioni, a rinunciare al
soddisfacimento di molte esigenze profonde del suo essere, e
a “deviare” l’energia libidica e la ricerca del piacere in
prestazioni sociali e lavorative. In questo modo la società
cerca con vari mezzi di spersonalizzare i propri membri,
eliminando la ricerca individuale della felicità e diventando
per costoro il modello in cui riflettersi, o ancor più, il
polo cui vincolare le pulsioni libidiche al fine di renderle
inoffensive.
Ciò non significa che Freud sia contro la civiltà o che
vagheggi un’umanità buona e felice da recuperarsi oltre le
imposizioni sociali. Al contrario egli ritiene che l’uomo non
possa essere veramente felice, perché la sofferenza è la
componente strutturale della vita, in quanto siamo costretti
a patire nel corpo e nella psiche, a decadere e a morire.
Inoltre, secondo Freud, l’uomo non è “una creatura gentile
che vuol essere amata, e che al massimo può difendere se
stessa se viene attaccata”, ma è una creatura malvagia, ed una
delle sue pulsioni più profonde è l’aggressività. Per evitare
all’uomo di dare libera espressione ai suoi istinti e di
distruggere la civiltà, la società pone la necessità di
reprimere gli istinti più negativi dell’uomo.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
I modi o gli strumenti principali mediante i quali la
società soggioga l’individuo, sono l’instaurazione del Super-
io e del sentimento di colpa. Attraverso i meccanismi
educativi ed altri sistemi di socializzazione, la società,
proseguendo l’opera paterna, dà origine ad un Super-io sociale,
incarnato in una serie di divieti, valori, principi e norme
di comportamento, lontani dalle esigenze profonde dell'essere
umano. In questo modo, la società, riesce ad introiettare
nell’individuo quei sensi di colpa che ne fiaccano
irrimediabilmente la capacità di ricercare attivamente e
autonomamente il proprio piacere.
Perfettamente consapevole delle esigenze connesse con la
convivenza intersoggettiva, Freud ha però denunciato con
fermezza le implicazioni di una pratica sociale
eccessivamente repressiva. Ha riproposto la tematica
rousseauiana della contraddizione tra il bonheur
dell’individuo e le esigenze del progresso sociale; ha
demistificato valori e prìncipi morali ritenuti ovvi ed
universali, mostrando in quale misura essi possono turbare
l’equilibrio psichico dell’individuo.
Questo discorso si colloca nell’ambito di un ripensamento da
parte di Freud della sua teoria psicologica generale. Negli
ultimi scritti, infatti, Freud ha diviso le pulsioni in due
specie: quelle che tendono a conservare ed unire e sono
quindi erotiche o genericamente sessuali; e quelle che invece
tendono a distruggere e uccidere, comprese nelle
denominazioni di pulsioni aggressive o distruttive. Ed è
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Prima Parte: la rivolta delle masse
proprio nella lotta tra Eros e Thanatos che Freud ha visto
condensata l’intera storia del genere umano.
4.3. Il Brano di Freud: individuo e massa
La contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia
sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può
sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più
attenta, gran parte della sua nettezza.
La psicologia individuale verte sull'uomo singolo e mira a
scoprire per quali tramiti questo cerca di conseguire il
soddisfacimento dei propri moti pulsionali, ma solo
raramente, in determinate condizioni eccezionali, riesce a
prescindere dalle relazioni di tale singolo con altri
individui.
Nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente
presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come
nemico, e pertanto, in quest'accezione più ampia ma
indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è
anche, fin dall'inizio, psicologia sociale.
Il rapporto che il singolo istituisce con i suoi genitori e
fratelli, con il suo oggetto d'amore, con il suo maestro e
con il suo medico, ossia tutte le relazioni finora divenute
materia precipua della ricerca psicoanalitica, possono
legittimamente venir considerate alla stregua di fenomeni
sociali, e contrapporsi quindi a taluni altri processi, da
noi chiamati «narcisistici», nei quali il soddisfacimento
delle pulsioni elude o rifiuta l'influsso di altre persone.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
La contrapposizione tra atti psichici sociali e atti
narcisistici rientra quindi per intero nell'ambito della
psicologia individuale e non consente di separare questa
dalla psicologia sociale o delle masse.
Nei menzionati rapporti che istituisce con i genitori e i
fratelli, con la persona amata, con l’amico, il maestro e il
medico, il singolo subisce l’influsso di un’unica persona o
di un numero assai limitato di persone, ognuna delle quali ha
per lui acquistato un'importanza straordinaria. Ora nel
parlare di psicologia sociale o delle masse, è invalsa
l'abitudine di prescindere da tali relazioni e di isolare,
quale oggetto della ricerca, il simultaneo influsso
esercitato sul singolo da un numero rilevante di persone cui
esso è legato da qualcosa, ma che per molti aspetti possono
essergli estranee.
La psicologia delle masse considera quindi l'uomo singolo in
quanto membro di una stirpe, di un popolo, di una casta, di
un ceto sociale, di un'istituzione, o in quanto elemento di
un raggruppamento umano che a un certo momento e in vista di
un determinato fine si è organizzato come massa. Recisa in
tal modo una connessione naturale, è facile scorgere nei
fenomeni che si manifestano in tali condizioni specifiche
l'espressione di una pulsione specifica e ulteriormente
irriducibile: la pulsione sociale - herd instinct, group mind
[istinto gregario, psiche collettiva] - che in altre
situazioni non si manifesta.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Possiamo però obiettare che ci sembra difficile attribuire
al fattore numerico un'importanza tale da renderlo di per sé
capace di suscitare nella vita psichica dell'uomo una
pulsione nuova, altrimenti non operante. Propendiamo quindi
per due altre possibilità: che la pulsione sociale non possa
essere originaria e indecomponibile, e che gli inizi del suo
costituirsi possano venir individuati in un ambito più
ristretto, quello della famiglia ad esempio.
Siamo partiti dal dato di fatto fondamentale che,
all'interno di una massa e per influsso di questa, il singolo
subisce una profonda modificazione della propria attività
psichica. La sua affettività viene straordinariamente
esaltata, la sua capacità intellettuale si riduce in misura
considerevole, ed entrambi i processi tendono manifestamente
a uguagliarlo agli altri individui della massa; questo
risultato può venir conseguito unicamente tramite
l'annullamento delle inibizioni pulsionali peculiari ad ogni
singolo e attraverso la rinuncia agli specifici modi di
esprimersi delle sue inclinazioni.
Ci è stato detto che tali effetti, spesso indesiderati,
possono in parte almeno venir neutralizzati da una superiore
«organizzazione» delle masse; ciò tuttavia non contraddice il
fatto fondamentale della psicologia delle masse, enunciato
nelle due proposizioni dell'esaltazione dell'affetto e
dell'inibizione del pensiero entro la massa primitiva.
Intendiamo ora trovare la spiegazione psicologica di tale
trasformazione psichica del singolo all'interno della massa.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Fattori razionali, come la sopra menzionata intimidazione
del singolo e pertanto l'azione della sua pulsione di auto-
conservazione, non riescono evidentemente a spiegare per
intero i fenomeni che s'impongono all'osservazione. Per il
resto, ciò che ci viene offerto dagli autori occupatisi di
sociologia e di psicologia delle masse è, anche se designata
con nomi diversi, sempre la stessa cosa: si tratta della
magica parola suggestione. In Tarde aveva nome «imitazione», ma
dobbiamo dar ragione a un autore che obietta che l'imitazione
è assunta sotto il concetto di suggestione, di cui anzi
costituisce una conseguenza. In Le Bon tutto ciò che di
sorprendente caratterizza i fenomeni sociali viene ricondotto
a due fattori: la suggestione reciproca fra i singoli e il
prestigio del capo. Ma il prestigio si esprime a sua volta
solo nella sua conseguenza, vale a dire suscitando la
suggestione. [...]
Cercherò invece di utilizzare, in vista di una delucidazione
della psicologia delle masse, il concetto di libido, che ci ha
reso servizi tanto eccellenti nello studio della
psiconevrosi.
Libido è un termine desunto dalla teoria dell'affettività.
Chiamiamo così - considerandola una grandezza quantitativa,
anche se per ora non misurabile - l'energia delle pulsioni
attinenti a tutto ciò che può venir compendiato come «amore».
Il nocciolo di ciò che intendiamo per amore è naturalmente
costituito da ciò che viene chiamato amore comunemente e che
i poeti celebrano, ossia dall'amore fra l'uomo e la donna che
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Prima Parte: la rivolta delle masse
tende all'unione sessuale. Non ne escludiamo tuttavia tutto
ciò che anche altrimenti inerisce al nome di amore, come da
un lato l'amore per se stessi, dall'altro quello per i
genitori e per i bambini, l'amicizia e l'amore per gli uomini
in generale, come pure l'attaccamento a oggetti concreti e a
idee astratte. Ci è lecito farlo dacché la ricerca
psicoanalitica ci ha insegnato che tutte queste tendenze sono
l'espressione dei medesimi moti pulsionali che nei rapporti
tra i sessi spingono all'unione sessuale, mentre in altre
circostanze vengono deviati da tale meta sessuale od
ostacolati nel suo raggiungimento, pur serbando ancora la
loro natura originaria in misura sufficiente da mantenere
riconoscibile la loro identità (casi dell'autosacrificio,
dell'aspirazione all'avvicinamento).
Riteniamo quindi che, tramite la parola «amore» nelle sue
molteplici accezioni, la lingua abbia creato una sintesi
perfettamente legittima e di non poter fare nulla di meglio
che porla a fondamento delle nostre discussioni e descrizioni
scientifiche.
Con questa decisione la psicoanalisi ha scatenato una
tempesta d'indignazione, quasi si fosse resa colpevole di
un'innovazione delittuosa. Eppure, tramite tale concezione
«ampliata» dell'amore, la psicoanalisi non ha creato nulla di
originale.
L'«Eros» del filosofo Platone mostra, riguardo alla sua
provenienza, alla sua funzione e al suo rapporto con l'amore
sessuale, una coincidenza perfetta con la forza amorosa, la
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Prima Parte: la rivolta delle masse
libido della psicoanalisi, come hanno particolareggiatamente
dimostrato Nachmansohn e Pfister; e allorché nella sua famosa
Lettera ai Corinzi l'apostolo Paolo celebra al di sopra di ogni
cosa l'amore, lo intende certamente nella medesima accezione
«ampliata»; dal che si ricava soltanto che, pur ammirandoli
molto in apparenza, non sempre gli uomini prendono sul serio
i loro grandi pensatori.
Nella psicoanalisi tali pulsioni amorose vengono chiamate, a
maggior ragione e in base alla loro provenienza, pulsioni
sessuali. Le persone «colte» hanno perlopiù considerato tale
denominazione un'offesa e si sono vendicate ritorcendo contro
la psicoanalisi la taccia di «pansessualismo». Chi nella
sessualità scorge qualcosa di vergognoso e di degradante per
la natura umana è libero di servirsi dei più distinti termini
«eros» ed «erotismo». Anch'io avrei potuto fare così fin
dall'inizio e mi sarei in tal modo risparmiato molta
opposizione. Ma non ho voluto farlo perché preferisco evitare
le concessioni alla pusillanimità. E’ impossibile sapere dove
si va a finire per questa strada; si comincia con concessioni
sulle parole per finire a poco a poco con concessioni sulla
cosa. Non posso scorgere alcun merito nel fatto di
vergognarsi della sessualità: la parola greca eros, che
dovrebbe mitigare lo sconcio, non è in ultima analisi altro
che la traduzione della nostra parola tedesca Liebe [amore], e
infine, chi è in grado di attendere non ha bisogno di fare
concessioni.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
Cercheremo pertanto di considerare l'ipotesi che le
relazioni d'amore (in termini neutri: i legami emotivi)
costituiscano del pari l'essenza della psiche collettiva.
Ricordiamo che gli autori non le menzionano: ciò che a esse
dovrebbe corrispondere risulta evidentemente nascosto dietro
il riparo, il paravento, della suggestione.
Cominceremo col basare la nostra ipotesi su due idee non
ancora chiaramente delineate. La prima è che la massa vien
evidentemente tenuta insieme da qualche potenza. A quale
potenza potremmo attribuire meglio questo risultato se non a
Eros, che tiene unite tutte le cose nel mondo? La seconda è
che se nella massa il singolo rinuncia al proprio modo
d'essere personale e si lascia suggestionare dagli altri, ciò
avviene probabilmente perché vi è in lui un bisogno di stare
in armonia con gli altri anziché di contrapporsi a essi, e
quindi forse si comporta così «per amor loro».
S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Boringhieri, Torino
1975, pp. 11-12; 32-35.
4.4. Il Commento
L’uomo non si rende conto delle proprie capacità,
finché non prova, arde e vuole.
Ugo Foscolo
Nel brano preso in considerazione, relazionando le posizioni
contrapposte e le affinità associative tra il comportamento
individuale e le esigenze fortemente irrazionali
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Prima Parte: la rivolta delle masse
dell’aggregato sociale massa, Freud traccia i contorni
dell’attività psichica dell’individuo, asserendo che essa
viene influenzata dalla componente strutturale della società
umana nel suo insieme; fornendo con ciò una valida
spiegazione, su base psicoanalitica, dell’organizzazione
comportamentale del singolo inserito nel contesto impersonale
della massa. Grazie inoltre ad un esaustiva, seppure mirata,
presentazione delle facoltà psichiche, sostenuta da aperte ma
pacate condanne nei confronti della rigorosa, austera ma
“corruttibile” morale dell’opinione pubblica, egli rivendica,
anche implicitamente, la portata sociale della psicoanalisi,
destinata ad essere ben più che una nuova corrente
psicologica fondata esclusivamente sullo studio teorico dei
processi psichici dell’inconscio, ma ancor più una nuova
scienza umana in grado di individuare, analizzare e
interpretare l’agire sociale dell’individuo come della
collettività in relazione alla propria vita mentale.
Limitatamente al testo le tesi e le risoluzioni proposte da
Freud sono diverse. Innanzitutto nel considerare
l’individualità del singolo come profondamente condizionata
dalle relazioni attive o indirette di esso con le altre
componenti sociali che si animano nel dinamismo della
quotidianità e che vengono assunte, o in positivo o in
negativo, come termini di confronto costante; si conclude che
l’evolversi della psicologia individuale trova da subito un
corrispondente diretto nella psicologia della massa, ossia è
proprio nei rapporti che il singolo instaura con gli altri
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Prima Parte: la rivolta delle masse
individui, viventi la sua stessa realtà sociale, che si
stabilisce l’insieme dei fenomeni sociali. Ed è infatti
l’individuo in quanto parte relativa e costituente di un
raggruppamento umano che, in virtù di determinate scelte
orientate al raggiungimento incondizionato di una meta
comune, dà vita all’aggregazione di massa. Questa viene
concepita da Freud come un organizzazione eterogenea,
all’interno della quale, come è chiaro, gli interessi e le
aspirazioni del soggetto singolo vengono meno, per
compenetrarsi, confondersi e, in conclusione, essere
uniformate alla visione monolitica ed inequivocabile del fine
perseguito dalla massa. In termini di psicoanalisi freudiana,
nel momento in cui l’espressione di una pulsione specifica
avvalorata come pulsione sociale, che comunque non risiede come
un “a priori” nell’attività psichica umana, ma viene
forgiandosi attraverso l’esperienza ed il contatto sociale
trovando il suo soddisfacimento nella psicologia di massa,
l’attività psichica del singolo è soggetta a inevitabili
modificazioni che prevedono la soppressione dei processi
psichici razionali e vagliati, oscurati da un aumento
sconsiderato degli impulsi affettivi, convergenti però
esclusivamente nella psiche collettiva.
E se una forza irrazionale governa le strategie
comportamentali del soggetto all’interno della massa, essa è
la libido, un’energia pulsionale estrema e caratterizzante,
che si sintetizza nelle qualità proprie dell’amore
nell’accezione più ampia del termine: sia soprattutto come
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Prima Parte: la rivolta delle masse
desiderio irresistibile, brama di avere, ottenere, possedere
un determinato oggetto tra i più svariati; sia come
sentimento naturale che attrae e unisce i due sessi per la
conservazione della specie, che può assumere forme nobilmente
spirituali o può avere natura di passione fino ad esprimersi
in forme morbosamente sensuali. Essa, in qualsiasi tendenza
si presenti, è comunque la rappresentazione costante delle
stesse cariche pulsionali, che pur nascondendosi dietro mete
tra le più differenti tra loro, non perdono la loro identità
essenziale ed originaria di impulsi sessuali.
Le relazioni amorose rappresentano la dimensione peculiare
della psiche collettiva.
In conclusione:
1.La potenza che consente alla massa di mantenere la propria
peculiarità di aggregato umano è l’amore.
2.Nel caos irrazionale ed impersonale che caratterizza la
psicologia delle masse, una forma primitiva di organizzazione
collettiva può provenire da una comune direttiva
intimidatoria.
3.Se la suggestione reciproca all’interno della massa
implica l’inibizione della naturale individualità del
singolo, in quanto appartenente ad un gruppo sociale, ciò
proviene probabilmente da una singolare esigenza di
armonizzare il rapporto con gli altri e convivere coralmente
secondo un comune denominatore; seppure ciò comporta
sacrificare l’inviolata essenza del soggetto.
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Prima Parte: la rivolta delle masse
…rido della felicità delle “masse” perché il mio piccolo cervello
non concepisce una massa felice composta di individui
non felici.
Giacomo Leopardi
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Seconda parte
La crisi del positivismo e il
dibattito sulla tecnologia
1. PREMESSA
1.1. La crisi delle scienze e il crollo del paradigma
positivistico
La seconda parte di quest’antologia è dedicata agli
interventi di alcuni importanti autori che, durante gli anni
tra le due guerre, dibattono e prendono posizione su un
problema chiave per la cultura del tempo e per il “destino”
della civiltà occidentale: l’età moderna come età della
scienza e della tecnica. Allo scopo di valutare il
significato storico di questi interventi, il loro valore di
testimonianza, la diagnosi sulla società occidentale in essi
espressa, i timori sulle conseguenze del dominio della
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
scienza sulla società e la natura, abbiamo ricostruito
brevemente la crisi del paradigma culturale e scientifico del
positivismo e brevemente sintetizzato i principali eventi che
condussero ad una rivoluzione in ambito scientifico.
Prima di affrontare questo lavoro abbiamo però pensato di
sottolineare il rapporto che, secondo noi, esiste tra la
Grande Guerra e il problema della scienza e della tecnica.
Dalle letture che abbiamo fatto abbiamo derivato due
principali tesi riguardo a tale rapporto:
1. pur essendo vero che la crisi dell’ideale positivistico
- in campo artistico, letterario, ma anche scientifico - era
già in atto alla fine del XIX secolo; essa diviene evidente
per tutti solo con la Grande Guerra. Tale conflitto fu
infatti il primo conflitto “moderno”, la sua natura fu
determinata in modo decisivo dagli sviluppi della scienza e
della tecnica;
2. è con la Grande Guerra che crolla in modo definitivo e
senza possibilità di dubbio l’equazione tra scienza = civiltà
= progresso = libertà e benessere per tutti. Con il primo
conflitto mondiale la scienza e le sue applicazioni
tecnologico-industriali vengono pensate, da tutti, ormai
anche dall’opinione pubblica, come un problema, perfino una
possibile minaccia a quella civiltà e a quel progresso di cui
prima costituivano l’essenza.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
1.2. Le magnifiche sorti e progressive
L’ideale di progresso, che tanta importanza aveva avuto nella
cultura ed ideologia della seconda metà dell’ottocento, si
può definire come una concezione del tempo storico unilineare
e irreversibile, ciascun momento della linea temporale
costituisce un miglioramento rispetto a quello precedente e
rappresenta una conquista acquisita in modo definitivo, non
si può tornare indietro. Un altro importante tratto
caratteristico di questa concezione del tempo è dato dalla
necessità del processo storico, pur attraverso problemi,
momentanei arresti, parziali arretramenti e altre difficoltà,
l’evoluzione storica avanza inarrestabilmente, su binari
diritti, verso la sua destinazione finale, come una
locomotiva, simbolo del dominio dello spazio e del tempo e
dell’era scientifica e industriale. La destinazione finale di
un tale percorso storico era pensata dai positivisti come
l’emancipazione definitiva dell’uomo dalla miseria e dalla
penuria; il benessere materiale, per la prima volta nella
storia umana, poteva essere alla portata di tutti. Se la
radice di ogni ingiustizia, come pensava ad esempio Frederick
Taylor3, era data dalla scarsità delle risorse non equamente
distribuibili tra tutti, per cui, inevitabilmente, ci
sarebbero sempre stati ricchi e poveri, privilegiati e
3 F. W. Taylor (1856–1915). Ingegnere statunitense, teorizzòl’applicazione di criteri scientifici all’organizzazione del lavoro. Lesue posizioni influenzarono incisivamente la complessiva ristrutturazionedel sistema produttivo intorno alla fine del XIX secolo.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
nullatenenti; una disponibilità di risorse sufficiente per
tutti sembrava essere una solida base su cui costruire una
società giusta. In conclusione, i principali esponenti del
positivismo pensano che la scienza sia la chiave per il
progresso materiale, ma anche morale, dell’umanità. Sia Comte
che Spencer insistono molto su questo punto. Per Comte
l’obiettivo etico-politico del progresso è l’armonia tra le
classi; per Spencer l’evoluzione sociale raggiunge il suo
culmine con la moralità assoluta, consistente nel perfetto
accordo tra egoismo e altruismo. Nel suo insieme questa
concezione della storia e della civiltà viene racchiusa nel
concetto di progresso una parola chiave che, come poche
altre, permette di cogliere un aspetto essenziale
dell’identità culturale e sociale del XX secolo.
Tutta la concezione del tempo che abbiamo sopra illustrato,
poggia su una premessa: la misura del progresso, il
fondamento dell’evoluzione della civiltà occidentale, è
costituito dalla scienza e dalle sue applicazioni
tecnologiche. E’, infatti, la scienza che, assicurando una
conoscenza obbiettiva della natura e il dominio su essa,
costituisce il motore del progresso, il fattore principale di
quelle “magnifiche sorti e progressive” verso cui l’umanità,
o almeno l’umanità europea, appare avviata. Per questo
motivo, il cuore del progetto filosofico positivista, è
quello di ridefinire su basi interamente scientifiche
l’intero sapere umano e di rimodellare su basi scientifiche
l’intera società.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
A questo punto è importante riassumere brevemente la
concezione della scienza propria del positivismo. Abbiamo
liberamente tratto dal nostro manuale di filosofia4, le
caratteristiche principali del programma filosofico del
positivismo:
1. Il metodo scientifico si articola in due importanti
operazioni:
1.1. la matematizzazione dell’esperienza, consistente
nella riduzione dell’esperienza al suo aspetto quantitativo e
misurabile;
1.2. la registrazione obiettiva dei dati sensibili da
parte del soggetto conoscente concepito come osservatore
neutrale.
2. Finalità della scienza è quella di formulare leggi
generali capaci di fornire una descrizione fedele e oggettiva
di tutti i fenomeni, tale, in altre parole, da essere valida
rispetto ad ogni tempo e ad ogni luogo.
3. La scienza costituisce il modello unico di sapere
valido, ogni altra forma di sapere che si allontani dal
metodo scientifico – arte, metafisica, religione – è da
respingere.
4. Il metodo scientifico deve essere applicato anche alle
scienze umane.
5. Scopo della filosofia è quello di ricostruire un quadro
omogeneo del sapere, un’enciclopedia delle scienze che
combini, in modo armonico e sistematico, i contributi di ogni
4 AbbagnanoFornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol. III,Torino, Paravia, 1996.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
disciplina scientifica integrandola in una concezione globale
della realtà.
Entro questo progetto la tecnica doveva costituire
l’elemento di raccordo tra la ricerca scientifica e la
società, era attraverso la tecnica che il progresso
scientifico si sarebbe riversato sulla società garantendone
il perfezionamento materiale e morale.
1.3. La seconda rivoluzione scientifica e la crisi del
positivismo
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, si hanno
importanti sviluppi sia nelle scienze naturali che in quelle
umane, tali sviluppi mettono radicalmente in discussione il
paradigma positivistico e scatenano un dibattito in ambito
filosofico e scientifico che porta a ridefinire gli aspetti
essenziali sia delle scienze, che della concezione della
razionalità scientifica. Proprio quelli che il positivismo
considerava tratti essenziali del metodo scientifico sono
abbandonati e/o capovolti. E’ il periodo che molti autori
hanno definito con l’espressione “crisi della razionalità
classica”, intendendo con quest’espressione il venire meno di
quella concezione della ragione fondata sulla meccanica
classica di Newton e Laplace.
Poiché non abbiamo affrontato tali tematiche né in fisica,
né in filosofia, abbiamo pensato di limitarci a una sintetica
descrizione dei principali tra questi mutamenti, del resto il
nostro scopo non è quello di approfondire tale aspetto, ma
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
solo quello di mostrare come il dibattito sulla crisi della
civiltà che si sviluppa in ambito letterario e culturale,
fosse anche influenzato dalla crisi del positivismo e della
scienza cui esso s’ispirava.
Nel campo delle discipline logico-matematiche, già dalla
fine del XIX secolo, si era avuta una sconvolgente scoperta:
quella delle geometrie non euclidee. Matematici come Riemann,
Lobacewski, Gauss e Bolyai, per vie diverse e
indipendentemente l’uno dall’altro, erano giunti a formulare
sistemi geometrici perfettamente coerenti, ma incompatibili
con il quinto postulato della geometria euclidea. Se nella
geometria classica di matrice euclidea si assume, in base al
quinto postulato, che per un punto esterno ad una retta passi
una sola retta parallela a quella data, la geometria
iperbolica assumeva che passassero più rette parallele alla
prima, quella ellittica che non né passasse nessuna. Si giungeva
così a dimostrare la possibilità di una configurazione dello
spazio completamente differente rispetto a quello data
nell’intuizione sensibile. Veniva anche meno la
corrispondenza tra le rappresentazioni teoriche dello spazio
- su cui in ultima analisi si basava la fisica – e le
proprietà fisiche dello spazio rilevabili empiricamente. Non
esistevano più una sola geometria e un solo spazio possibili.
Anche in matematica veniva meno il progetto, condotto da
vari logici tra cui il tedesco Frege e l’inglese Russell, di
dare una legittimazione logica alla matematica fondandola
sulla teoria degli insiemi. Il tentativo di ricondurre a
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
principi logici coerenti la matematica dava luogo a
contraddizioni irrisolvibili.
Quelle che erano definite scienze esatte per antonomasia
giungevano così, paradossalmente, ad esiti contraddittori,
veniva quindi meno quella che era sempre stata considerata
come la loro proprietà essenziale e costitutiva: la coerenza.
Nella fisica si assistette, agli inizi del secolo, ad una
profonda rivoluzione: la nascita della teoria della
relatività e della meccanica quantistica.
Nel 1905 Albert Einstein, mostrava come lo spazio e il tempo non
fossero parametri assoluti, universali e immutabili, ma
dipendano dagli strumenti d’osservazione e dai sistemi di
riferimento. In altri termini, mentre nella fisica classica
di matrice newtoniana, spazio e tempo costituiscono le
coordinate assolute a partire dalle quali viene definito in
modo univoco il significato fisico degli eventi – la
determinazione della posizione e velocità di un corpo;
Einstein sostenne che spazio e tempo variano e sono
funzionali al sistema di osservazione dal quale vengono
misurati posizione e velocità.
Nei primi due decenni del XX secolo, ad opera dello stesso
Einstein, del danese Niels Bohr e del tedesco Werner
Heisenberg, nasceva la meccanica quantistica, lo studio del
comportamento delle particelle subatomiche. Gli sviluppi di
questa nuova branca della fisica conducevano a mettere in
discussione alcuni capisaldi della fisica classica. In base
agli studi di Heisenberg si giungeva alla conclusione che il
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
principio del determinismo causale, per il quale, dato un
sistema fisico di cui si conoscano le proprietà in termini di
posizione e velocità è sempre possibile determinarne in modo
univoco lo stato in un dato tempo futuro, non è sostenibile
nell’ambito delle microparticelle. In base al principio di
indeterminazione veniva anche meno la neutralità dello
scienziato-osservatore: ogni rilevazione delle proprietà
fisiche di un sistema, interferisce con esso mutandone le
caratteristiche.
Il principio di causalità e il principio di un’osservazione
neutrale dei fatti, non sembrano essere compatibili con lo
studio dei sistemi fisici subatomici.
In conclusione si può sostenere che, nel giro di pochi anni,
tutte le certezze su cui si fondava l’immagine della scienza
che era stata fatta propria dal positivismo, si mostrano
infondate. E’ un colpo mortale che non getta nello scompiglio
solo filosofi e scienziati, ma che produce un effetto d’ampio
raggio anche al di fuori degli ambienti scientifici e
intellettuali dell’epoca.
Se è vero che il positivismo aveva costruito il suo progetto
sociale, culturale e filosofico su una certa immagine della
scienza e che questo progetto, sintetizzato nella parola-
simbolo di progresso era divenuto patrimonio comune, al punto
da poter esser considerato come parte dell’identità di
un’intera epoca e società, allora è evidente che,
l’insostenibilità di quest’immagine, provocò un generale
senso di disorientamento che fu parallelo, e forse
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
complementare, al “crollo dei valori” e alla denuncia
dell’incalzare del nichilismo, sul terreno della morale e
della religione.
La parabola discendente del positivismo doveva avere
notevoli ripercussioni nelle vicende che segnarono il
dibattito intorno alla crisi della civiltà. Proprio quando la
crisi del sistema tradizionale di valori morali, religiosi e
culturali esplodeva, negli anni immediatamente successivi
alla Grande Guerra, il progetto filosofico e scientifico del
positivismo non poteva offrire una valida alternativa, capace
di fornire un sistema di riferimento assoluto e stabile ad
una società, quella europea occidentale, che aveva smarrito
il senso della propria identità e la fiducia nella propria
missione storica. Anzi, la crisi di quella ragione
scientifica, ragione di cui il positivismo aveva teorizzato
la centralità, doveva costituire un ulteriore motivo
d’aggravamento della crisi, un segno che ci si trovava di
fronte non ad un semplice ostacolo nel cammino
dell’occidente, ma ad un momento di svolta epocale, che
toccava l’essenza stessa della civiltà europea ponendone in
questione, radicalmente, quella storica missione di
civilizzazione su cui essa aveva costruito la propria
identità e il proprio senso di superiorità.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
1.4. Il fallimento del progetto sociale e politico del
positivismo
Se si intende come positivismo non tanto e non solo una
concezione epistemologica delle scienze naturali, ma una
“visione del mondo”, la forma di autorappresentazione che la
civiltà europea del XIX secolo, dava di sé, allora è
necessario dare una valutazione più vasta della “crisi del
positivismo”, che non si può ridurre alla sola crisi di
quelle scienze su cui il positivismo aveva costruito il
proprio progetto scientifico, ma che coinvolse anche il
progetto politico e sociale di cui il positivismo si era
fatto portatore. In questo senso la connessione tra
razionalità scientifica, progresso tecnico e riforma su basi
scientifiche della società e della politica, che, come si è
detto in precedenza, costituiva l’idea di fondo su cui si
basava il progetto politico-sociale del positivismo, diviene
problematica già prima della Grande Guerra, per cadere del
tutto dopo il conflitto mondiale.
Due erano i capisaldi su cui questo progetto era edificato:
L’imperativo tecnologico: il principio secondo cui “tutto
ciò che è tecnologicamente possibile fare, deve essere
fatto". Tale assunto nasceva da una valutazione del progresso
scientifico e tecnologico come avente un valore morale
intrinseco, qualsiasi sviluppo della tecnica è in se stesso
un fatto positivo, moralmente “buono”. Ogni sviluppo che la
scienza rendeva possibile era immediatamente valutato come
qualcosa di legittimo ed eticamente soddisfacente. Non si
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
poneva il problema di discriminare fra tutto ciò che la
scienza e la tecnica rendevano possibile, ciò che andava
perseguito in quanto utile, eticamente accettabile, giusto; e
ciò che andava scartato in quanto indesiderabile, eticamente
inaccettabile, non giusto.
L’equazione tra sviluppo tecno-scientifico e sviluppo
morale costituiva l’altra premessa di quella visione che
andrà a pezzi durante la guerra, ma che mostrò i primi segni
di cedimento già prima di essa. Nelle parole di S. Zweig
l’importanza di quest’assunzione e il suo carattere
illusorio, sono evidenziati in modo esemplare: “è facile
deridere l'illusione ottimistica di quella generazione
accecata dal suo idealismo: illusione che il progresso
tecnico dovesse immancabilmente avere per effetto un non meno
rapido miglioramento morale”5.
La prima Guerra Mondiale fu vissuta come un traumatico
risveglio anche da quest’illusione, la scienza e la tecnica
mostravano il loro volto distruttivo, la necessità della
correlazione tra scienza e progresso e scienza ed eticità,
non appariva più come una certezza che si potesse dare per
scontata. Tra le potenzialità della scienza andava annoverata
anche la brutale negazione di quei valori morali e sociali su
cui era edificata l’illusione di cui parlava Zweig, non solo
la scienza mostrava di non essere quella luce che avrebbe
potuto illuminare il progresso morale e civile dell’umanità,
ma l’esperienza della guerra, sembrava addirittura avvalorare
5 S. Zweig, Il mondo di ieri, 1941, 134139.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
l’idea che la scienza potesse divenire lo strumento
attraverso il quale, quei valori di umanità e moralità,
sarebbero andati distrutti.
1.4.1 La scienza e il futuro
Nel 1924 il biochimico inglese Haldane teneva una conferenza
dal titolo “Daedalus or Science and the Future”. Haldane
rappresentava il valore liberatorio della scienza nella
figura di Dedalo, Russell entrava in polemica con questa
concezione ottimistica della scienza e ne sottolineava i
pericoli incentrando la sua risposta a Haldane nella figura
di Icaro. Di fronte all’esaltazione della scienza, capace di
liberare l’uomo dalla miseria materiale e morale, fatta da
Haldane, che pure non mostra un’assoluta fiducia nella
scienza; Russell rispondeva che il buon uso dei prodotti
della scienza non può essere dato per scontato, esso è anzi
improbabile, dato che richiederebbe un essere umano
perfettamente razionale, un essere umano, che come avevano
mostrato Freud e più ancora la guerra, non esisteva. Unica
alternativa, seconda Russell, quella tra una dittatura
mondiale capace di tenere sotto controllo le potenzialità
distruttive insite nella scienza – e nell’uomo che ne fa uso;
o la distruzione dell’umanità.
I timori sollevati da Russell sono ben raffigurati in
Metropolis, film che, anche da questo punto di vista, assume
il valore d’importante testimonianza storica. La società
totalmente tecnologizzata e governata dalla scienza non ha i
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
caratteri della società perfetta, al contrario è la
realizzazione di un incubo. Scienza e tecnica hanno ridotto
l’uomo o ad un vuoto meccanismo, ad un automa abbruttito da
un lavoro in cui il livello d’alienazione è divenuto totale,
com’è il caso delle masse operaie di Metropolis, raffigurate
come moderni schiavi delle macchine e macchine esse stesse; o
ad un individuo unicamente proteso alla ricerca del piacere,
privo di coscienza morale e di scrupoli, com’è invece il caso
dell’élite che domina la città tecnologica di Metropolis. Il
banale lieto fine, un matrimonio suggella la pacificazione
tra le due classi la cui lotta avrebbe altrimenti prodotto la
distruzione di entrambe, appare, come sostenne lo stesso
regista Fritz Lang, malamente giustapposto al reale
significato della vicenda: la tecnologia e massificazione
della società, la scienza, avevano condotto l’umanità ad una
totale regressione e sembravano minacciare l’esistenza stessa
della civiltà. E’ il totale capovolgimento dell’illusione
positivista.
Durante il periodo tra le due guerre si assiste, dunque, al
venir meno di quei due postulati su cui si fondava il
progetto sociale e politico del positivismo, diviene comune
la denuncia della scienza quale strumento di dominio
dell’uomo sull’uomo o quale strumento di spersonalizzazione e
disumanizzazione dell’uomo se non, addirittura, di morte.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
1.4.2. La divaricazione tra etica e politica
Se il progetto scientifico e sociale del positivismo viene
meno e per ragioni epistemologiche e per il rivelarsi del
volto demonico dello sviluppo tecnologico, anche il sogno di
un indefinito progresso sociale frutto di una direzione
scientifica della società, teorizzato da autori come Comte e
Spencer, viene meno tra i due secoli. La crisi del pensiero
sociale positivista prende le mosse dalle ricerche della
sociologia, disciplina che proprio il positivismo aveva
tenuto a battesimo e che, nella concezione di Comte,
costituiva il vertice delle scienze e il motore del
progresso.
La parabola discendente dell’ideale di un illimitato
progresso sociale può essere illustrata soffermandosi
brevemente su alcune acquisizioni della sociologia di
Durkheim e Weber e sulla critica al positivismo condotta da
Nietzsche, critica centrata sull’idea di nichilismo che,
ripresa da Spengler, doveva costituire uno dei cardini della
sua tesi del tramonto dell’occidente, forse la più influente e
importante opera sulla crisi della civiltà che venne
pubblicata tra il 1918 e il 1922.
Nell’introduzione alla precedente sezione sono già stati
trattati alcuni dei più importanti concetti della sociologia
di fine ottocento.
Già Marx aveva evidenziato come la modernizzazione
comportasse la disumanizzazione dell’uomo. Proprio dove il
progetto positivistico vedeva il pieno dispiegarsi delle
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
potenzialità umane e il realizzarsi di una società del
benessere materiale e spirituale, Marx denunciava il fenomeno
dell’alienazione come costitutivo dell’essenza stessa della
modernizzazione. Se il lavoro libero e creativo costituisce
il Wesen proprio del genere umano, allora nel lavoro
meccanizzato tipico della società capitalistica industriale,
l’uomo perdeva la propria essenza, costretto ad un lavoro
ripetitivo, schiavo della macchina. Lo stesso Durkheim, che
non si collocava nei confronti del sistema capitalistico
sulle stesse posizioni di rifiuto di Marx, avanza delle
pesanti riserve su alcuni aspetti essenziali della
modernizzazione. Il passaggio dalla solidarietà meccanica, in cui
ciascun membro della società si trova in un rapporta di
identificazione col proprio gruppo a causa dell’indistinzione
funzionale e culturale che caratterizza gli individui nelle
società premoderne, lascia il posto alla solidarietà organica, in
cui si stabilisce un’interdipendenza tra i membri del gruppo,
frutto della divisione del lavoro, che cementa la società. Ma
il prezzo che si deve pagare è il crollo dei valori
tradizionali, l’allentarsi dei vincoli di solidarietà
all’interno della comunità, la trasformazione dei vincoli da
personali a funzionali e anonimi. Si viene a determinare
quella situazione d’anomia che contribuisce ad allentare
l’identificazione tra il singolo ed il gruppo cui appartiene,
lasciando l’individuo isolato, anonimo, privo di un sistema
di riferimento che gli consenta e di orientare il suo agire e
di comprendere la realtà sociale in cui vive.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Anche il sociologo tedesco Max Weber6, uno dei padri della
sociologia e tra i principali studiosi della modernizzazione,
giunge a conclusioni problematiche intorno alla società
moderna. Il prevalere di un modello economico industriale e
di un modello politico burocratico e centralizzato, conducono
al fenomeno della razionalizzazione. L’agire sociale si viene
a caratterizzare secondo il modello della razionalità
tecnica, perduto ogni riferimento ai valori ed ai fini
dell’azione, l’agire diviene mero calcolo dei mezzi per il
raggiungimento di scopi determinati dalla logica del sistema
economico, da quella che Marx chiamò la logica del profitto.
Parallelamente all’imporsi di una razionalità tecnica
nell’agire umano, si sviluppa il processo di disincanto del
mondo tipico della modernizzazione. La sfera di valori
morali religiosi tradizionali, che costituivano il
riferimento immediato dell’agire sociale e che s’incarnavano
nelle istituzioni e tradizioni delle società occidentali,
vengono destituiti di senso a causa del progresso tecnico e
scientifico e della “razionalizzazione della società”. L’uomo
si trova quindi ad agire in un immenso meccanismo produttivo
e amministrativo, retto da una logica utilitaristica e privo
di qualsiasi finalità morale e di qualsiasi diretto
riferimento alla sfera dei valori. Ciò conduce alla crisi
6 Max Weber (1864 – 1920), sociologo tedesco, autore di importanti studisul capitalismo e il fenomeno della modernizzazione, considerato uno deipadri della sociologia. Si occupò dei problemi della modernizzazione inriferimento all’agire sociale, alla burocratizzazione, alla crisi deivalori, al rapporto tra etica e politica.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
dell’etica ed alla mancanza di un qualsiasi sistema di
riferimento capace di dare un senso morale all’agire sociale.
1.4.3. Il trionfo del nichilismo e il destino dell’Occidente
La critica radicale mossa da Nietzsche all’intera storia
della civiltà occidentale, trova il proprio coronamento
nell’annuncio della morte di dio e nello smascheramento
dell’essenza nichilistica della civiltà occidentale. Perduto
ogni riferimento ad un sistema di valori oltremondani,
fondati sulla trascendenza di un essere assoluto, l’occidente
si muove nella dimensione del nichilismo. Tra i nuovi idoli,
surrogati del dio cristiano, che l’uomo occidentale prende a
venerare, vi sono quelli della scienza e della tecnica.
Riprendendo la denuncia di Nietzsche, Spengler, che scrive
nell’immediato dopoguerra, considera concluso il percorso
storico della civiltà occidentale. Il tramonto teorizzato da
Spengler trova la sua giustificazione proprio nel fatto che,
ai tradizionali valori, entrati in crisi per via della
modernizzazione e definitivamente spazzati via dalla guerra,
si sostituiscono il dominio tecnico della natura, ridotta a
mero oggetto da manipolare secondo i principi della
razionalità tecnica e utilitaristica, e il dominio dell’uomo
sull’uomo, che si caratterizza con la sterilità e
artificiosità dell’apparato burocratico statale. L’uomo
occidentale vive nella completa assenza d’ogni valore vitale
e la sua civiltà si avvia verso un’inesorabile decadenza che
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
porterà al declino dell’Europa7. Appare evidente in questi
autori che la causa della “morte dell’occidente” viene posta
proprio nel prevalere di quella scientifizzazione e
tecnologizzazione della società che, secondo il progetto
positivista, avrebbe dovuto costituire il motore di un
progresso illimitato e il trionfo del benessere materiale e
spirituale. In questo modo il sogno positivistico si rovescia
nel suo contrario e la Grande Guerra fu vissuta, sia nella
coscienza degli intellettuali che presso l’opinione pubblica,
come la concreta dimostrazione del tramonto, se non
dell’occidente, certo del suo sogno, la corsa del progresso
aveva condotto l’Europa non al regno del benessere ma alla
carneficina della guerra mondiale.
7 Un più esauriente esame delle posizioni di Spengler, sarà fornitonell’introduzione all’ultima parte dell’antologia che prende proprio inesame la sua opera.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
2. HALDANE, JOHN BURDON SANDERSON
2.1. La Vita
Biologo (Oxford 1892), figlio di John Scott; professore di
genetica a Londra (1932), poi di biometria (dal 1937)
all’University College di Londra. Autore di fondamentali
contributi in fisiologia, biochimica, genetica, biometria. Di
decisiva importanza per la moderna teoria dell’evoluzione è
una serie di suoi lavori sulla teoria matematica della
selezione. A lui, tra l’altro, e a L. S. Penrose, si deve
anche la prima valutazione statistica della frequenza di
mutazione di un gene umano (studi sull’emofilia).
Fu molto importante la polemica che sostenne col filosofo e
matematico B. Russell nel 1924 sulla natura e le implicazioni
dello sviluppo scientifico e tecnologico. La posizione
sostenuta da Haldane, pur non ignorando gli aspetti più
problematici e pericolosi della scienza, fornisce di questa
una valutazione positiva. Nella scienza Haldane, in
conformità con gli ideali del positivismo, continua a vedere
la principale guida per la civiltà umana. Russell prese
posizione contro le tesi di Haldane, mostrando una visione
più critica della scienza e sottolineandone i rischi e
pericoli.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
2.2. Il brano di Haldane: Dedalo, la scienza e il futuro.
Mi chiedo perché l'interesse sentimentale per Prometeo ha
così indebitamente distratto la nostra attenzione dalla
figura assai più interessante di Dedalo. E’ con un gran
sollievo che, in mezzo al tumulto degli eroi armati con la
testa di Gorgone o protetti dal battesimo nelle acque dello
Stige, lo studente di mitologia greca si imbatte nel primo
uomo moderno. Dopo i suoi inizi come scultore realistico
(Dedalo fu il primo a produrre statue con i piedi separati),
era naturale che egli procedesse alla costruzione di una
immagine di Afrodite le cui membra erano attivate
dall'argento vivo; dopo di che il suo interesse si indirizzò
inevitabilmente ai problemi biologici ed è ben certo che
nessuno dei suoi successori lo ha mai eguagliato nel suo
unico successo documentato in fatto di genetica sperimentale.
Se alloggiare e mantenere il Minotauro fosse stato meno
dispendioso, è probabile che Dedalo avrebbe saputo anticipare
Mendel.
E’ naturalmente un'impresa disperata tentare una qualsiasi
profezia esatta su quanto la conoscenza scientifica
rivoluzionerà nei dettagli la vita umana, ma io credo che
essa continuerà a essere rivoluzionaria, e assai più
profondamente di quanto ho fin qui suggerito. Possiamo
guardare alla scienza da tre punti di vista. In primo luogo
essa è la libera attività delle divine facoltà umane della
ragione e dell'immaginazione. In secondo luogo essa è la
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
risposta a talune delle richieste diffuse di ricchezza e
benessere, doni che la scienza garantirà solo in cambio della
pace, della sicurezza, della quiete. Infine, essa è la
graduale conquista da parte dell'uomo dello spazio e del
tempo, poi della materia, quindi del suo corpo e di quello
degli altri esseri viventi, e in ultimo la soggiogazione
degli elementi oscuri e malvagi della sua stessa anima.
Nessuna di queste conquiste sarà mai completa, ma tutte,
come io credo, saranno progressive. La questione di ciò che
l'uomo farà di questi suoi poteri è nella sua essenza una
questione che riguarda la religione e l'estetica. Possiamo
limitarci a insistere che essi sono adatti solo alle mani di
un essere che abbia appreso il controllo di se stesso e che
l'uomo armato della scienza è come un bambino con una scatola
di fiammiferi.
[…]
Credo che la tendenza della scienza applicata sia quella di
enfatizzare le ingiustizie fino a che esse divengano
decisamente intollerabili e quell'uomo medio da cui profeti e
poeti non dovrebbero mai allontanarsi alla fine si ribelli e
ponga fine al male alla sua fonte. La teoria di Marx
sull'evoluzione industriale è un caso particolare di questa
tendenza, anche se non necessariamente dovrà essere adottata
la sua soluzione un po' artificiale del problema.
Probabilmente il progresso biologico risulterà essere
incompatibile con alcuni dei nostri mali sociali proprio come
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
il progresso industriale è risultato esserlo con la guerra o
certi sistemi di proprietà privata.
[...]
A conti fatti la scienza appare ancora nella sua infanzia e
ben poco possiamo anticipare del futuro, se non che ciò che
non è stato è ciò che sarà; e che nessuna credenza, nessun
valore, nessuna istituzione è al sicuro. Lungi dall'essere un
fenomeno isolato, l'ultima guerra è solo un esempio di quei
risultati distruttivi che potremmo costantemente attenderci
dal progresso della scienza. Il futuro non sarà certo una
passeggiata e avrà i suoi problemi. Alcuni saranno quelli
secolari del passato, fiori giganti del male che sbocciano
infine verso la loro distruzione, altri saranno completamente
nuovi. Se in fin dei conti l'uomo sopravviverà o no al suo
raggiungimento del potere non possiamo dirlo. Ma non si
tratta di un problema nuovo. E’ solo il vecchio paradosso
della libertà richiamato in causa con il genere umano come
attore e la terra come palcoscenico. Per coloro che credono
nella divinità di quella parte dell'uomo che, per la propria
salvezza, aspira a qualcosa che va oltre la conoscenza la
prospettiva apparirà assai promettente. Ma è solo oggetto di
speranza che il genere umano possa adattare la sua moralità
ai suoi poteri. Se avremo successo in questo, allora la
scienza tiene davvero nelle sue mani una almeno delle chiavi
dello spinoso e arduo sentiero del progresso morale.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
2.3. Commento ad Haldane: l’uomo del futuro come Dedalo
L’intera polemica tra Haldane e Russel si alimenta
dell’ambiguità di fondo della scienza; a Russell essa appare
nelle tragiche vesti di Icaro, a Haldane in quella dell’uomo
“artefice di sé e del proprio mondo”, le vesti di Dedalo. “Mi
chiedo perché l’interesse sentimentale per Prometeo ha così
indebitamente distratto la nostra attenzione dalla figura
assai più interessante di Dedalo. E’ con un grande sollievo
che, in mezzo al tumulo degli eroi armati con la testa di
Gorgone o protetti dal battesimo nelle acque dello Stige, lo
studente di mitologia greca si imbatte nel primo uomo
moderno. Dopo i suoi inizi come scultore realistico (Dedalo
fu il primo a produrre statue con i piedi separati), era
naturale che egli procedesse alla costruzione di un immagine
di Afrodite le cui membra erano attivate dall’argento vivo;
dopo di che il suo interesse si indirizzò inevitabilmente ai
problemi biologici ed è ben certo che nessuno dei suoi
successori lo ha mai eguagliato nel suo unico successo
documentato in fatto di genetica sperimentale”.
Dedalo è il simbolo dell’uomo moderno perché è espressione
della razionalità scientifica e tecnica che mira a dominare
la natura. Il minotauro rappresenta invece il caos
originario, nel senso di ciò che va contro ragione
(l’irrazionalità). Analizzando la prima parte del testo,
scaturisce un importante quesito: “Qual è l’impatto dello
sviluppo scientifico sulla vita dell’uomo e della società
umana?”.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Haldane ritiene che sia un impresa disperata tentare una
qualsiasi profezia esatta su quanto la conoscenza scientifica
rivoluzionerà la vita sociale e l’esistenza dell’uomo, forse
tali cambiamenti sono inimmaginabili. La scienza potrà
portare l’uomo a controllare gli elementi oscuri e malvagi,
secondo il modello positivistico. Ci sarà del progresso, ma
nel tempo. E’ possibile osservare la scienza da tre punti di
vista: essa è la libera attività delle divine facoltà umane
della ragione e della immaginazione; essa è la risposta ad
alcune delle richieste di ricchezza e benessere. Questi
ultimi sono dei doni che la scienza garantirà solo in cambio
della pace, della sicurezza, della quiete.
Essa è la graduale conquista da parte dell’uomo dello spazio
e del tempo, poi della materia e quindi del suo corpo e di
quello degli esseri viventi.
Bisogna avere il controllo della potenzialità che la scienza
offre. Haldane sostiene che “l’uomo armato della scienza è
come un bambino con una scatola di fiammiferi”. Il progresso
nelle mani dell’uomo può essere pericoloso se l’uomo non
assume una piena coscienza di sé. Sorge quindi un importante
problema: è necessario avere il controllo della potenzialità
che la scienza offre. Inoltre lo della scienza rende
intollerabile le ingiustizie. La teoria di Marx
sull’evoluzione industriale è un caso particolare di questa
tendenza. Haldane afferma poi che il progresso biologico sarà
incompatibile con qualche male sociale proprio come lo
sviluppo industriale è incompatibile con la guerra.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Haldane riconosce quindi la problematicità della scienza, e
un altro problema che si pone è questo: riuscirà l’uomo a
progredire moralmente in modo proporzionale a quanto è
progredito sul piano tecnologico? Dobbiamo avere la capacità
morale di saper scegliere cosa fare. Haldane sostiene che la
scienza appare ancora nella sua infanzia e non si può
anticipare molto sul futuro e che nessuna credenza, nessun
valore, nessuna istituzione è al sicuro. Afferma inoltre che
la guerra è solo un esempio degli esiti distruttivi che
possiamo attenderci dal progresso della scienza. Il futuro
avrà i suoi problemi che potranno essere quelli del passato
ed altro saranno invece del tutto nuovi: “se in fin dei conti
l’uomo sopravviverà o no al suo raggiungimento del potere non
possiamo dirlo”. Egli afferma che la prospettiva è assai
promettente per quelli che credono nella divinità di quella
parte dell’uomo che aspira a qualcosa che va al di là della
conoscenza. Il fatto che l’uomo possa adattare la sua
moralità ai suoi poteri costituisce l’oggetto di speranza
dell’uomo stesso.
A questo punto Haldane afferma che il progresso scientifico
cambia non solo ciò che è sbagliato, ma anche ciò che è
giusto. Non si capisce in effetti se la scienza sia
moralmente neutra oppure se la scienza sia buona in sé. Le
virtù morali e fisiche sono essenzialmente una questione di
quantità. Perciò un’alterazione nella scala del potere umano
può rendere cattive quelle azioni che prima erano buone.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Alla fine Haldane suggerisce di non prendere troppo
seriamente le morali tradizionali perché anche la meno
dogmatica delle religioni, si associa con qualche genere di
morale tradizionale inalterabile. Alla fine giunge alla
conclusione che la scienza ha quindi in sé una sua morale e
dei valori propri.
Haldane ritiene infine che tra scienza e religione non potrà
mai esserci una tregua.
Il lavoratore scientifico del futuro rassomiglierà, dice
Haldane, alla figura di Dedalo, che, più diventa consapevole
della sua terribile missione, più ne sarà orgoglioso.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
3. BERTRAND RUSSELL
3.1. La Vita
Bertrand Russell nacque il 18 Maggio 1872 da famiglia nobile
inglese. Studiò al Trinity College di Cambridge, dove insegnò
dal 1910 al 1916. Proprio in quell’anno fu destituito dalla
cattedra per aver partecipato alla campagna contro la
coscrizione obbligatoria e in favore dell’obiezione di
coscienza. Nel 1918 per un articolo in favore del pacifismo
fu condannato a sei mesi di carcere; e proprio qui si dedicò
al componimento dell’ “Introduzione alla Filosofia
matematica”. Dopo la guerra visitò vari Paesi tra cui Russia,
Cina e Stati Uniti dove ebbe alcuni incarichi. Più tardi, nel
1940, dovette rinunciare alla cattedra del City College di
New York per lo scandalo causato dalle sue teorie etiche e
sociali; e per lo stesso motivo la Fondazione di Marion in
Pennsylvania revocò il contratto di 5 anni che gli aveva
offerto. Nel 1944 riconquista la cattedra al Trinity College
e qui terminò una delle sue opere fondamentali: “La
conoscenza umana, il suo ambito ed i suoi limiti”.
Nel 1950 ricevette il Premio Nobel per la letteratura. Negli
ultimi anni della sua vita, Russell si dedicò completamente
all’attività di difesa dei suoi ideali etico-politici, e
soprattutto di libertà e pace. Morì nel Galles, il 3 Febbraio
1970.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
3.2. Il Pensiero
Russell restò fedele fino all’ultimo alla propria scelta di
campo realistica, logistica e “scientistica”8. Pur avendo
spaziato filosoficamente in campo logico ed epistemologico,
Russell si è cimentato ampiamente anche nella riflessione
etica e politica. I contributi più significativi sono:
“Quello che io credo” (1925); “Saggi scettici” (1928); e
“Saggi impopolari” (1951). Russell si dedicò anche alla
liberalizzazione dei costumi, alla riforma dell’educazione
(“Matrimonio e Morale” 1929); alla questione della pace, del
disarmo, dei diritti civili e della difesa delle vittime
dell’intolleranza. Il pensiero etico russelliano, più
specificamente, si muove su una prospettiva laica e terrena.
La morale deve essere affrancata da presupposti e valori di
carattere trascendente (“Religione e Scienza” 1935). La
religione deve affrontare dei problemi concreti che
riguardano comportamenti dell’uomo sia come singolo, che come
membro di una società. L’etica di Russell è di tipo
umanistico, rivolta alla tutela della persona umana, con una
riabilitazione dell’essere rispetto al “dover essere”: i
desideri dell’uomo non vanno condannati, il vero problema e
compito dell’etica è quello di moderare quelli creatori di
conflitti e infelicità, e di favorire quelli che si orientano
verso la pacifica convivenza sociale. Non si può certamente
chiedere all’etica di enunciare indicazioni valide
8 Scientistica: l’assolutizzazione del metodo scientifico el’affermazione della sua applicabilità a tutti i roblemi della filosofia.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
universalmente ed oggettivamente, questo perché l’universo
dei valori morali è indipendente e diverso dalla razionalità
e dalla scienza.
Il punto su cui Russell si è soffermato più spesso è quello
della differenza tra etica e scienza: “l’etica, consiste di
desideri di un certo tipo generale […], la scienza può
discutere le cause dei desideri e i mezzi per attuarli, ma
non può contenere alcun giudizio etico”. Da ciò, si deduce
che Russell abbia respinto ogni ipotesi di fondazione di
un’etica scientifica. Nella stessa ottica egli guardò con
preoccupazione alla pretesa della società moderna di imporre
principi morali “oggettivi”. Successivamente egli si convinse
che uno dei problemi della società fosse la sua tendenza a
soverchiare, attraverso il sapere scientifico-tecnologico, la
sfera del privato e della ricerca individuale dei valori.
Nonostante ciò non si deve credere che il messaggio “morale”
di Russell sia contro la scienza, al contrario egli ha sempre
creduto profondamente nella validità del sapere scientifico e
nello stile di vita pratico che quest’ultimo può insegnare
agli uomini.
3.3 Il Brano di Russell: Icaro, il futuro della scienza
Il libro di Haldane, Daedalus, presenta un'attraente immagine
del futuro, quale potrebbe essere attraverso un uso delle
scoperte scientifiche capace di promuovere la felicità umana.
Sarei ben lieto di potermi dichiarare concorde con le sue
previsioni, ma una lunga esperienza di statisti e governi mi
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
ha reso piuttosto scettico. Mi sento costretto ad aver timore
che la scienza sarà usata per promuovere il potere dei gruppi
dominanti piuttosto che per rendere gli uomini felici. Icaro,
dopo che suo padre Dedalo gli ebbe insegnato a volare, fu
distrutto dalla sua avventatezza. Temo che lo stesso destino
possa toccare ai popoli cui i moderni uomini di scienza hanno
insegnato a volare.
[...]
I cambiamenti cui è stato soggetto negli ultimi due secoli
il mondo in cui viviamo in seguito all'applicazione delle
scoperte scientifiche sono stati in parte buoni, in parte
cattivi; ma se, alla fine, la scienza proverà di essere stata
una benedizione o una maledizione è ancora, a mio avviso, una
questione dubbia. [...]
La scienza ha accresciuto il controllo umano sulla natura
e si potrebbe perciò ugualmente supporre che aumenterà la sua
felicità e il suo benessere. Le cose starebbero così se gli
uomini fossero razionali, ma di fatto essi sono solo grovigli
di passioni e istinti. Una specie animale in un ambiente
stabile, se non si estingue, acquisisce un equilibrio fra le
sue passioni e le sue condizioni di vita. Se queste
condizioni sono improvvisamente alterate, l'equilibrio si
sconvolge. I lupi hanno difficoltà allo stato selvaggio a
procurarsi il cibo e perciò hanno bisogno dello stimolo di
una fame molto insistente. Il risultato è che i loro
discendenti, i cani domestici hanno la tendenza a mangiare
troppo, se si permette loro di farlo. Quando una certa
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
quantità di qualcosa è profittevole e la difficoltà per
ottenerla diminuisce, normalmente l'istinto condurrà un
animale che si trova nelle nuove circostanze a eccedere.
L'improvviso mutamento prodotto dalla scienza ha sconvolto
l'equilibrio fra i nostri istinti e le nostre condizioni, ma
in una direzione non sufficientemente studiata. L'eccesso nel
mangiare non è un serio pericolo, ma quello nel combattere
sì. Gli istinti umani del potere e della rivalità, come il
lupesco appetito del cane, hanno bisogno di essere dominati
artificialmente, se l'industrialismo finirà per affermarsi.
[...]
Il nostro pianeta è di dimensioni finite, ma la misura più
efficiente di una organizzazione è continuamente in aumento
in seguito alle nuove invenzioni scientifiche. Il mondo
diventa sempre più una unità economica e ben presto
esisteranno le condizioni tecniche per l'organizzazione del
mondo intero come una unità di produzione e consumo.
Se, quando sarà arrivato il tempo, due gruppi rivali si
contenderanno la supremazia, la vittoria di uno dei due
potrebbe essere in grado di introdurre quella organizzazione
su scala mondiale che è necessaria per prevenire lo sterminio
reciproco delle nazioni civilizzate. Il mondo che ne
risulterà sarà sulle prime assai diverso sia dai sogni dei
liberali che da quelli dei socialisti. Da principio ci sarà
una tirannide politica ed economica dei vincitori, la
minaccia di continue sollevazioni e quindi una drastica
soppressione della libertà. Ma se le prime cinque o sei
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
rivolte saranno una dopo l’altra represse, il vinto rinuncerà
alla speranza e accetterà il ruolo subordinato assegnatogli
dal vincitore nel nuovo assetto mondiale. Non appena i
detentori del potere si sentiranno sicuri, essi diventeranno
meno tirannici e meno brutali. Essendo stato rimosso il
motivo della rivalità, essi non si comporteranno più così
duramente come al principio e alleggeriranno la pressione sui
loro subordinati. La vita sarà all'inizio assai spiacevole,
ma potrà alla fine essere possibile, cosa che andrebbe
abbastanza a favore del sistema, dopo un lungo periodo di
guerra. Data un'organizzazione mondiale economica e politica
stabile, anche se essa da prima non poggerà altro che sulla
forza armata, i mali che ora minacciano la civiltà
diminuirebbero gradualmente e diventerebbe possibile una
democrazia più completa di quella esistente ora. Sono
convinto che, grazie alla follia umana, un governo mondiale
potrà essere stabilito solo con la forza, e sarà perciò da
principio crudele e dispotico; ma credo anche che esso sarà
necessario per la preservazione della civiltà scientifica e
che, una volta realizzato, darà origine un po' per volta alle
condizioni per una esistenza tollerabile. [...]
Possiamo riassumere questa discussione in poche parole. La
scienza non ha dato agli uomini più autocontrollo, urbanità o
potere di ridurre le proprie passioni quando decidono sul da
farsi. Ha dato invece ai gruppi più potere per indulgere alle
passioni collettive, ma, rendendo la società più organica, ha
diminuito la parte giocata dalle passioni private. Le
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
passioni collettive dell'uomo sono per lo più cattive; di
gran lunga le peggiori sono l'odio e la rivalità nei
confronti di altri gruppi. Perciò attualmente tutto ciò che
consente all'uomo di abbandonarsi alle sue passioni
collettive è cattivo. E’ per questo che la scienza minaccia
di produrre la distruzione della nostra civiltà. La sola
speranza sembra essere la possibilità di un dominio mondiale
da parte di un gruppo, ad esempio gli Stati Uniti, che
conduca alla formazione di un ordinato governo mondiale
politico ed economico. Ma forse, tenendo conto della
sterilità dell'Impero romano, il collasso della nostra
civiltà sarebbe in fin dei conti preferibile a questa
alternativa.
(B. Russell, Icarus or the Future of Science [1924], pp. 5-7, 12-13,
40-42, 62-64)
3.4. Commento: “Icaro” come destino dell’uomo nell’età della
scienza
Il brano “Icaro, il futuro della scienza” è una risposta
alla tesi sostenuta da Haldane in “Dedalo, la scienza e il
futuro”. Russell, infatti, appare assai scettico nei
confronti di quella vaga immagine del futuro designata da
Haldane, in cui la scienza diviene garante non solo del
benessere materiale dell’umanità, ma anche di quello
spirituale, della vera felicità dell’uomo. Non si dichiara
concorde con tale tesi, in quanto egli teme che l’uomo possa
fare uso politico della scienza e che questa possa essere
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
strumentalizzata dai gruppi dominanti per altri fini, quali
il potere e la supremazia. Questi ultimi imponendo il loro
potere, infatti, darebbero luogo ad individui repressi,
anziché felici e appagati; ne scaturisce dunque un’immagine
pessimista della scienza derivante dal possibile uso politico
di essa.
Ma Russell si pone anche ora un altro problema, che
certamente i “positivisti”, lo dice la parola stessa, non si
erano mai posti, ossia: “La scienza sarà per l’umanità un
valore positivo o negativo, una benedizione o una
maledizione?” Questa è per lui una questione assai dubbia.
Certamente, dice Russell, l’uomo attraverso la scienza
potrebbe dominare la natura e come conseguenza di ciò si
avrebbe felicità e benessere; ma essendo l’uomo un essere
“irrazionale” e dominato da passioni e istinti malvagi, egli
non sempre trae i suoi vantaggi dalla natura in maniera
coerente e senza provocare danni: al contrario l’uomo ha
mutato l’ambiente secondo le sue esigenze e senza
preoccuparsi dei danni che poteva arrecargli. Egli ha
alterato profondamente le condizioni ambientali. L’unica
speranza, afferma Russell, è che l’uomo riesca a dominare il
suo lupesco appetito di potere e dominio.
Nella seconda parte del testo (Il nostro pianeta è di
dimensioni finite…) Russell sembra quasi farsi profeta dello
scoppio di una seconda guerra mondiale. Egli si domanda ora
“quale sarà in futuro l’ordine mondiale?”. Due gruppi di
potenze, sostiene Russell, si contenderanno la supremazia sul
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
mondo; colui che vincerà porrà il mondo sotto il suo dominio,
in un primo momento attraverso la forza e un governo
autoritario e tirannico, poiché solo con la forza possono
essere controllati gli istinti malvagi che dominano l’umanità
e che potrebbero costituire la ragione stessa di una futura
distruzione della nostra civiltà. Conseguenze di ciò saranno
le continue rivolte da parte dei popoli che vedranno
soppressi i loro ideali, i loro diritti di libertà.
Alla fine l’unico risultato di tali sommosse non sarà altro
che la rinunzia alla speranza da parte dei popoli della
terra, che accetteranno di essere “sudditi” di un governo
mondiale. Solo allora coloro che detengono il potere
alleggeriranno la pressione e le brutalità sui loro
subordinati. Ne conseguirà un’organizzazione mondiale
economico-politica stabile e democratica, l’unica capace di
preservare la civiltà scientifica e di creare un’esigenza
sopportabile per tutti gli uomini.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
4. MAX SCHELER
4.1. La Vita e il Pensiero
L’analisi fenomenologica degli aspetti emotivi e pratici
della coscienza è stata impiantata e condotta avanti
dall’opera di Max Scheler (1874/1928). Scheler fu professore
a Colonia dal 1919; la morte che lo colse a cinquantatré anni
interruppe bruscamente un’attività intensa e feconda. La sua
opera più nota, intitolata “Il formalismo nell’etica
materiale del valore”, comparve per la prima volta nello
“Jahrbuch” di Husserl tra il 1913 e il 1916. Ma l’opera che
costituisce il suo maggiore contributo alla filosofia
contemporanea è quella intitolata “Essenza e forme della
simpatia”(1923). Gli altri scritti principali sono i
seguenti: “Il risentimento e il giudizio morale dei
valori”(1912), “Guerra e costruzione”(1916), “Le forme del
sapere e la società”(1926).
L’etica di Scheler è un’analisi fenomenologica
dell’esperienza emotiva, diretta allo scopo di mettere in
luce gli oggetti specifici di quest’esperienza, vale a dire i
valori. Ma i valori non sono né beni né fini. Il bene è la
cosa che incorpora un valore; il fine è il termine di
un’aspirazione e di una tendenza che può avere valore come
può non averlo; ma l’essere incorporato in una cosa non
modifica in alcun modo l’essere del valore che è dato in modo
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
diretto e immediato all’esperienza emotiva. L’esperienza
emotiva, alla quale il valore si rivela, non è la semplice
emozione ma è l’esperienza intenzionale che Scheler chiama
anche intuizione emotiva. Il mondo dei valori si presenta
all’intuizione emotiva, come un mondo oggettivo, cioè
indipendente dall’atto dell’apprendimento dei valori. Come
mondo oggettivo ha delle leggi a priori che determinano la
gerarchia dei valori (anch’essa indipendente dai valori
realizzati o dalle attività che li realizzano).
PRIMA modalità = gradevole o sgradevole: corrisponde la
funzione del sentire sensibile con i suoi modi del godere e
del soffrire.
SECONDA modalità = valori vitali: tutte le qualità comprese
tra il nobile e il volgare, che corrispondono ai modi del
sentimento vitale (salute, malattia, vecchiaia e morte).
TERZA modalità = valori spirituali: appresi dal sentire
spirituale. Ritroviamo i valori estetici ( bello e brutto), i
valori giuridici; i valori della conoscenza pura, dove la
filosofia, a differenza della scienza, non è guidata dallo
scopo di dominare i fatti naturali.
QUARTA modalità = valori religiosi: tra sacro e profano.
Questi valori corrispondono ai sentimenti della beatitudine e
della disperazione, determinati dalla vicinanza o dalla
lontananza del sacro nella vita vissuta. L’atto con cui si
apprendono i valori del sacro è la maniera di amare rivolta a
persone. Nella sfera del sacro il valore genuino
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
4.2. Il Brano di Scheler: il capovolgimento dei valori e
l’industrialismo come decadenza
La concezione moderna del mondo guidata dal risentimento […]
specula al ribasso, come fa ogni pensiero poggiante su una
depressione vitale, e cerca di comprendere tutto ciò che è
vivente secondo un'analogia con ciò che è morto, cerca di
capire in generale la vita come un episodio casuale dentro un
processo cosmico meccanico, l’organicità vivente come un
adattamento casuale ad un mondo circostante inanimato
saldamente fissato: l'occhio per analogia con l'occhiale, la
mano per analogia con la pala, l'organo per analogia con
l'utensile! Non fa meraviglia che veda nella civiltà
meccanica - che non è che una conseguenza di un'attività
vitale relativamente stagnante e quindi un surrogato di una
formazione di organi deficiente - proprio il trionfo, lo
sviluppo e l'ampliamento dell'attività vitale; non fa
meraviglia che veda nel suo sconfinato «progresso» proprio il
«fine» autentico di ogni attività vitale, nella smodata
elaborazione di un'intelligenza calcolatrice il «senso» della
vita.
Il fatto che il valore specifico di utilità dell'utensile
venga anteposto sia al «valore vitale» che al «valore
culturale» non è che una conseguenza di questa prospettiva di
fondo circa il rapporto tra organo e utensile. Anzi questo
spostamento dei valori in ultima istanza non è la conseguenza
bensì il fondamento di questa falsa concezione del mondo.
Ceteris paribus è l'essere umano relativamente stagnante, il
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
«malcapitato», che pone l'utensile al di sopra dei valori
vitali che naturalmente a lui mancano! E’ il miope che loda
gli occhiali, lo storpio che loda il bastone, il cattivo
arrampicatore che loda i ramponi e la corda che il migliore
gli regge con le sue braccia. Non si deve d'altra parte con
ciò intendere l'orribile sciocchezza che l'uomo non debba
costruire utensili, che la civiltà in genere sia stata una
«mossa sbagliata». L'uomo, essendo il più stabilizzato
biologicamente tra gli animali, è necessitato a forgiare una
civiltà e lo deve in quanto così vengono lasciate più libere
forze più nobili grazie al servizio prestatogli dalle forze a
lui soggette, le forze cioè in ultima analisi della natura
inanimata. Ciò tuttavia soltanto entro questi limiti ossia fino
a tanto che l'utensile serve alla vita e alla vita più alta.
Effetto del risentimento è non già l'apprezzamento positivo
del valore dell'utensile bensì il conferimento a questo di un
valore pari al valore dell'organo! Non esiste forse alcun
punto su cui le persone intelligenti e di retta intenzione
della nostra epoca siano più concordi che sul fatto che nel
dispiegarsi della civiltà moderna la cosa sia diventata
signora e padrona dell'uomo, la macchina della vita, la Natura - che
l'uomo voleva dominare e che per questo cercò di ridurre ad
un meccanismo - dell'uomo: le «cose» sono diventate sempre
più complesse e potenti, più belle e grandi, mentre l'uomo,
che le ha create, è diventato sempre più una rotella dentro
la macchina da lui stesso fabbricata.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Ci si rende però troppo poco conto che questo fatto
riconosciuto da ogni parte è effetto di un fondamentale
rovesciamento del giudizio di valore, che ha la sua radice nella
vittoria. del giudizio degli esseri vitalmente inferiori,
degli ultimi, dei paria della specie umana: e la radice è
appunto il risentimento! Tutta quanta la Weltanschauung
meccanicista (per quanto si attribuisce un senso di verità
metafisica) non è che l'immane simbolo intellettuale della
rivolta degli schiavi nella morale.
Soltanto un cedimento, un indebolimento divenuto
costituzionale della signoria della vita, nei confronti della
materia, della signoria dello spirito, e prima ancora della
volontà nei confronti dell'automatismo della vita può
spiegare la genesi e la diffusione della concezione
meccanicistica e dei giudizi di valore relativi che l’hanno
creata.
A chi si sia reso conto dell'erroneità di questa concezione
del rapporto organo-utensile si scopre il senso di una
quantità di fenomeni del nostro tempo, che poggiano
complessivamente su questo presupposto. In primo luogo tutti
i fenomeni conseguenti negativi di un industrialismo
unilaterale. Chi considera la civiltà dell'utensile una
prosecuzione della formazione degli organi non può che
augurare all’industrialismo una crescita illimitata. Possono
in tale caso essere considerati danni più o meno
«passeggeri», destinati ad essere superati da una crescita
ulteriore dell'industrialismo stesso, tutti i danneggiamenti
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
vitali che l'industrialismo produce: ad esempio il lavoro
delle donne e dei bambini, la tendenza dissolutrice nei
confronti della famiglia, la formazione di grandi città con
le conseguenze dannose alla salute imposte da un tale
abitato, il danneggiamento costituzionale di intere
professioni ad opera dei veleni connessi con il processo
tecnico, specializzazione dell'attività umana al servizio
delle macchine fino alla riduzione dell'uomo a ingranaggio,
crescente dipendenza della possibilità di sposarsi e
addirittura di mettere al mondo figli dalla proprietà e dal
denaro indipendentemente dalle qualità vitali, dissoluzione
delle unità nazionali.
La prospettiva cambia invece qualora si sia giunti a
rinunciare a questo errore fondamentale! A questo punto ogni
avanzata dell'industrialismo non è più incondizionata, ma è
positivamente valida solo a condizione che non abbia a
danneggiare durevolmente i valori vitali. Dovremo a questo
punto dire ad esempio che il mantenimento della salute della
razza e dentro questa la conservazione della sanità dei
gruppi in proporzione alla loro idoneità vitale e alle loro
qualità e forze «nobili» vitalmente valide è un valore in sé nei
confronti delle sue prestazioni utili e merita il primato,
anche se ciò comporti un rallentamento dello sviluppo
industriale. L'unità della famiglia e della nazione esige una
cura ed un appoggio anche là dove ciò rallenti, come si è
detto, lo sviluppo industriale e la diffusione della civiltà.
I gruppi nei quali si fraziona un popolo meritano
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
agevolazioni nella distribuzione dei beni e degli onori non
in proporzione del contributo che essi danno alla produzione
dei beni di utilità e di consumo bensì innanzi tutto in
funzione del significato storico-politico che essi hanno in vista
dell'edificazione e della conservazione di relazioni di
predominio nel popolo: vitalmente valide.
L'agricoltura è una attività in sé più valida che
l'industria e il commercio e merita di essere protetta e
incrementata non fosse altro che per il fatto che comporta
una maniera di vivere più sana e capace di impegnare in
maniera equilibrata tutte le energie: essa poi, per il fatto
di rendere le unità nazionali indipendenti dall'estero,
merita cura e assistenza anche se il progresso
dell'industrializzazione da un punto di vista meramente
economico desse di fatto un reddito migliore. Lo stesso dicasi per
la difesa contro le tendenze distruttrici dell'industrialismo
nei confronti delle specie animali e vegetali, dei boschi,
del paesaggio.
Se si considera il capovolgimento dei valori nel rapporto
organo-utensile nella sua totalità, lo spirito della civiltà
moderna non costituisce affatto - come pensa Spencer - un
«progresso» ma al contrario un declino nello sviluppo
dell'Umanità: rappresenta il predominio dei deboli sui forti,
dei furbi sui nobili, delle mere quantità sulle qualità. Si
dimostra documentabilmente fenomeno di decadenza in quanto
dovunque significa un cedimento delle forze conduttrici centrali
dell’uomo nei confronti dell’anarchia delle sue tensioni
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
automatiche: un oblio dei fini contro il dispiegarsi di meri
mezzi: e la decadenza sta proprio qui! [M. Scheler, Il
risentimento nella edificazione delle morali, [1915], pp. 181-185]
4.3. Commento a Scheler: la società moderna come risultato di
un ribaltamento dei valori
Abbiamo scelto questo brano di Scheler poiché ci è sembrato
abbastanza significativo per quanto riguarda il rovesciamento
dei valori e le contraddizioni dell’industrializzazione.
La tecnologia è divenuta il fondamento della civiltà
moderna, ma per Scheler una società che pone come sua più
alta finalità il processo meccanico, può essere definita
solamente antivitale. Infatti, la concezione moderna del
mondo vede nella civiltà meccanica il trionfo, lo sviluppo e
l’ampliamento dell’attività vitale, (falsa per Scheler, vera
secondo l’ideologia del progresso), il cui fine è quello di
creare surrogati artificiali dei nostri organismi. In questo
senso non contano più i valori vitali, ma solo i vantaggi,
l’utilità e i profitti che apporta il progresso. Il
fondamento di questa falsa concezione del mondo è costituito
dallo spostamento dei valori autentici, da quelli vitali e
culturali a quello specifico dell’utilità dell’utensile. Si
ha quindi un rovesciamento dei valori, che ha la sua radice nel
risentimento, vale a dire nella vittoria del giudizio degli
esseri vitalmente inferiori. Questa visione meccanicista del
mondo, non è altro che il simbolo intellettuale della rivolta
degli schiavi nella morale, che sgorga, come affermava
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
Nietzsche, da un sentimento di debolezza e risulta improntata
ai valori antivitali. La morale degli schiavi è rappresentata
dalla tecnologia. L’uomo debole, per superare la propria
inferiorità, deve essere in grado di costruire una civiltà
sviluppando le proprie forze tecnologiche. Tuttavia bisogna
porre un limite allo sviluppo tecnologico, per evitare che
l’uomo venga assoggettato alla macchina da lui stesso
fabbricata: egli non deve essere al servizio dell’utensile,
ma deve semplicemente servirsi di esso.
Di fronte all’erroneità della concezione del rapporto
organo-utensile, si possono delineare due prospettive. La
prima è quella di considerare l’industrializzazione come una
crescita illimitata: si deve progredire ad ogni costo. I
possibili danneggiamenti vitali creati da questo processo
saranno superati grazie ad un’ulteriore crescita
dell’industrialismo stesso.
La seconda prospettiva è quella di rinunciare a questo
errore fondamentale. In questo senso lo sviluppo industriale
non è più incondizionato, ma è positivamente accettabile solo
a condizione che non danneggi durevolmente i valori vitali.
Il capovolgimento dei valori deve essere quindi considerato
in relazione al rapporto organo-utensile nella sua totalità;
perciò l’industrializzazione non costituisce un progresso,
come sosteneva Spencer, bensì un declino nello sviluppo
dell’umanità, poiché rappresenta il predominio dei deboli sui
forti, dei furbi sui nobili, della quantità sulla quantità.
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
5. ROBERT MUSIL
5.1. La Vita e l’opera (1890-1942)
Il “nobile animale”, abbandonata la carriera militare,
studiò costruzione di macchine ed ingegneria, poi filosofia e
in particolar modo psicologia. Questa complessa evoluzione
scientifico-filosofica rispecchia alla perfezione la storia
della sua opera letteraria. Uscì dall’accademia militare
austriaca con lo spirito irrobustito dalla tremenda crisi
dell’adolescenza e reso straordinariamente lucido dalle
meditazioni sulla matematica. Egli si collocava sulla
difficile via intermedia tra chi vuole la verità e chi vuole
lasciare libero gioco alla sua soggettività, nessuno è andato
così lontano come lo scienziato e psicologo Musil, offrendo
un panorama “saggistico” così completo delle tendenze dello
spirito contemporaneo. Di stile conservatore non desiderava
cambiare più di quanto non fosse necessario. Ora il bisogno
per Musil di imporre alla realtà una nuova strutturazione
geometrica, nasce dalla consapevolezza che le parole sono
soltanto sotterfugi fortuiti, che egli riassumerà nella
formula mistico-scientifica “anima e precisione”. L’uomo
senza qualità (DER MANN OHNE EIGENSCHAFTEN) di Musil, è
l’uomo la cui anima è una “rete di sensazioni” (rese crudeli
da un ragionare logico e rigoroso). La “struttura spaziale”
del tempo è un “campo di tensione”. L’io non possiede quindi
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
un carattere immutabile. La ricerca di Musil è condotta sul
mondo esteriore e nello stesso tempo sul ricercatore che fa
la ricerca anche su se medesimo. Musil vive per far rivivere
il proprio passato, ricostruirne l’unità e trovarsi un senso.
Egli sperimenta inoltre scientificamente, la possibilità di
provocare, con un atto deliberato di volontà, un sentimento
che sia tuttavia ingenuo e spontaneo (coincidenza anima-
precisione); questo contrastava con la formalità e decadenza
della società viennese del suo tempo e l’opera nella quale
egli cercò di realizzare tale progetto non poté essere
conclusa. Ma il suo intento fu anche quello di rappresentare
tutti gli aspetti contrastanti della grande crisi europea, il
sentimento del crollo dei valori, là dove esso era forse più
evidente: nell’ambiente politico e culturale di Vienna
(1913). E’ l’azione parallela (l’azione austriaca svolta
parallelamente a un’azione tedesca) il centro inesistente del
romanzo che permetterà a Musil di situare i suoi problemi
psicologici e scientifici nella realtà concretissima di
Vienna e di riempire i suoi astratti schemi strutturali di
una multiforme e vivissima sostanza umana.
Tuttavia l’Austria del 1913-1914 è solo un esempio per
Musil. La sua vera originalità è nella profondità abissale,
in fondo nichilista, che potenzia ed esaspera la crisi di
un’età, tanto da ricavarne una filosofia della crisi come
sostanza imprescindibile dell’esistenza. Dice Musil: “se
esiste il senso della realtà, deve esistere anche il senso
della possibilità”, la paura su cosa scegliere tra le diverse
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
possibilità, paura di fare la scelta sbagliata, dopo la
distruzione dei valori”.
Musil realizza la sua filosofia dell’assoluta inadeguatezza,
attraverso una particolare tecnica linguistica. Egli non
conosce la gioia e il pericolo dell’abbandono totale. La
realtà è secondo Musil inadeguata allo spirito, ed egli
dichiara di voler rappresentare non il tempo reale ma quello
irreale. Tutto il mondo di Musil è condannato allo sfacelo,
perché nessuna parola è capace di dire ciò che quel mondo
veramente è. E’ proprio dalla soppressione della possibilità
di giungere al “linguaggio della totalità” nasce lo stile di
questo grande autore. Anima ed assenza significano, appunto,
come già citato, precisione nella passione, significano anche
passione nella precisione. E’ possibile, dice Musil, che
nell’amore ci sia sempre una “lieve mania di scoprire
connessioni”. Certo è che nello scrivere di Musil non si
distinguono più intelletto e immaginazione. Con ciò la
condizione transnormale dell’artista acquista una pericolosa
somiglianza con quella subnormale del pazzo. L’artista o il
pazzo cercano dei motivi, e il motivo, spiega Musil, è ciò
che ci muove in generale, ed in particolare ciò che spinge
l’artista da un immagine all’altra. Così Musil cerca ovunque
motivi e rapporti per comprendere e chiarire, per ordinare la
realtà della sua epoca, che gli appare priva di organica
unità. E così “DER MENSCH OHNE EIGENSCHAFTEN” è tragicamente
sospeso fra il vagheggiamento nostalgico di una realtà
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
storica che non ha più il diritto di esistere e la speranza
di una grande conquista mistica non conseguibile.
5.2. Il brano di Musil: il mondo dell'uomo senza qualità.
Se è attuazione di sogni ancestrali il poter volare con gli
uccelli e navigare coi pesci, penetrare nel corpo di
gigantesche montagne, inviare messaggi con la rapidità degli
dei, scorgere e udire ciò che è invisibile e lontano, sentir
parlare i morti, affondare in miracolosi sonni risanatori,
vedere con occhi vivi l’aspetto che avremo vent'anni dopo la
morte, nelle notti sfavillanti esser consapevoli di mille
cose al di sopra e al di sotto di questo mondo, che nessuno
conosceva prima; se luce, calore, forza, godimento, comodità
sono i sogni primordiali dell'uomo, allora la ricerca odierna
non è scienza soltanto: allora è anche magia, è un rito di
grandissima forza sentimentale e intellettuale, che induce
Dio a sollevare l'una dopo l'altra le pieghe del suo manto,
una religione la cui dogmatica è retta e penetrata dalla
dura, agile, coraggiosa logica matematica, fredda e tagliente
come una lama di coltello.
Certo è innegabile che secondo l'opinione dei non matematici
tutti questi antichissimi sogni atavici si sono avverati in
modo totalmente diverso dall'immaginazione primitiva. Il
corno da caccia di Múnchausen era più bello di una voce
conservata in scatola, lo stivale delle sette leghe era più
bello dell'automobile, il regno di re Laurin era più bello
d'una galleria ferroviaria, la magica radice della mandragora
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
era più bella d'un fotogramma, mangiare il cuore della
propria madre e capire il linguaggio dei passeri era più
bello di uno studio zoopsicologico sulle modulazioni
espressive e affettive nella voce degli uccelli. Noi abbiamo
conquistato la realtà e perduto il sogno.
Non stiamo più sdraiati sotto un albero a contemplare il
cielo attraverso le dita dei piedi, ma lavoriamo e
fatichiamo; d'altronde non si può starsene trasognati a
stomaco vuoto, se si vuol essere gente di polso: bisogna
muoversi e mangiare bistecche. E’ precisamente come se la
vecchia inetta umanità si fosse addormentata su un formicaio;
e la nuova svegliandosi s'è trovate le formiche nel sangue,
sicché da allora è costretta a compiere i moti più violenti
senza potersi liberare da quella sordida smania di animalesca
laboriosità. Non occorre davvero dilungarsi troppo
sull'argomento, giacché quasi tutti gli uomini oggi si
rendono ben conto che la matematica è entrata come un demone
in tutte le applicazioni della vita.
Forse non tutti credono alla storia del diavolo a cui si può
vendere l'anima, ma quelli che di anima devono intendersene,
perché in qualità di preti, storici e artisti ne traggono
lauti guadagni, attestano che essa è stata rovinata dalla
matematica, e che la matematica è l'origine di un perfido
raziocinio che fa, sì, dell'uomo il padrone del mondo, ma lo
schiavo della macchina. L'intima sterilità, il mostruoso
miscuglio di rigore nelle minuzie e d'indifferenza per
l'insieme, la desolata solitudine dell'uomo in un groviglio
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
di particolari, la sua inquietudine, la malvagità, la
spaventosa aridità di cuore, la sete di denaro, la freddezza
e la violenza, che contraddistinguono il nostro tempo,
sarebbero secondo questi giudizi unicamente e semplicemente
conseguenze del danno che un ragionare logico e rigoroso
arreca all'anima! E così anche allora, quando Ulrich divenne
matematico, v'erano persone che predicevano il crollo della
cultura europea perché l'uomo non albergava più in cuore né
fede né amore, né innocenza né bontà; ed è significativo
notare che tutti costoro da ragazzi e scolari erano cattivi
matematici. Con ciò essi ritennero più tardi per dimostrato
che la matematica madre delle scienze esatte, nonna della
tecnica, fosse anche la matrice di quello spirito che ha poi
prodotto i gas asfissianti e gli aeroplani da bombardamento.
[...]
Se ci si chiede senza pregiudizi come la scienza abbi
assunto il suo aspetto attuale - cosa importante per se
stessa, perché la scienza regna su di noi e neppure un
analfabeta si salva dal suo dominio giacché impara a
convivere con innumerevoli cose che son nate dotte -
s'ottiene un'immagine alquanto diversa. Secondo tradizioni
attendibili s'è incominciato nel sedicesimo secolo, un
periodo di fortissimo movimento spirituale, a non più
sforzarsi di penetrare i segreti della natura, com'era
successo fino allora in due millenni di speculazione
religiosa e filosofica, bensì ad accontentarsi di esplorare
la superficie, in un modo che non si può fare a meno di
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
chiamare superficiale. Il grande Galileo Galilei ad esempio,
il primo nome che sempre si cita a questo proposito, tolse di
mezzo il problema: per quale causa intrinseca la natura abbia
orrore degli spazi vuoti, così da obbligare un corpo che cade
ad attraversare spazi su spazi, finché esso giunge su un
terreno solido; e s'accontentò di una constatazione molto più
volgare: stabilì semplicemente la velocità di quel corpo che
cade, la via che percorre, il tempo che impiega, e
l'accelerazione della caduta. La Chiesa cattolica ha commesso
un grave errore minacciando di morte un tal uomo e
costringendolo alla ritrattazione invece di ammazzarlo senza
tanti complimenti; perché il suo modo, e quello dei suoi
simili, di considerare le cose, ha poi dato origine - in
brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia - agli
orari ferroviari, alle macchine utensili, alla psicologia
fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e
ormai non può più porvi rimedio. Probabilmente ha commesso
quest'errore per troppa prudenza, giacché Galileo non era
soltanto lo scopritore del moto della terra e della legge
della caduta dei gravi, ma era anche un inventore al quale
s'interessava, come si direbbe oggi, il gran capitale; e
inoltre non era l'unico che fosse pervaso allora dallo
spirito nuovo; al contrario, la storia c'insegna come il
freddo positivismo che lo animava si diffondesse violento e
disordinato come un'epidemia e per quanto possa essere
urtante sentir dire, quasi vanto, che uno era «animato da
freddo positivismo», mentre ci sembra di averne già fìn
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
troppo, a quel tempo il risveglio dalla metafisica per darsi
al severo esame delle cose secondo differenti testimonianze
dev'esser stato addirittura un fuoco, un'ebbrezza di
positività! Ma se ci si chiede come mai fosse venuto in mente
all'umanità di cambiare così, ecco la risposta: l'umanità
fece semplicemente quello che fanno tutti i bambini di buon
senso che si son trovati troppo presto a camminare; si
sedette per terra, e la toccò con una parte del corpo non
molto nobile ma sicura, diciamolo pure: con quella parte su
cui ci si siede. Lo strano è che la terra si sia mostrata
così sensibile a quel contatto, sì da lasciarsi strappare
cognizioni, scoperte e comodità in un'abbondanza che ha del
miracoloso.
Dopo tali antecedenti si potrebbe sostenere non interamente
a torto che ci troviamo nel bel mezzo del miracolo
dell'Anticristo; perché la similitudine del contatto con la
terra non si deve interpretare solo nel senso della
sicurezza, ma anche in quello dell'indecoroso e
dell'illecito. E in verità, prima che il mondo intellettuale
scoprisse la sua passione per i fatti materiali, questa
passione era propria soltanto dei guerrieri, dei cacciatori e
dei mercanti, cioè dei temperamenti astuti e violenti. Nella
lotta per la vita non vi sono sentimentalismi speculativi ma
soltanto il desiderio di ammazzare il nemico nel modo più
rapido e più reale, ognuno in tal caso è positivista; così
negli affari non sarebbe una virtù lasciarsi mistificare
invece di andar sul sicuro, là dove il guadagno in ultima
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
analisi costituisce una sopraffazione psicologica
dell'avversario derivante dalle circostanze.
Se d'altra parte guardiamo quali siano le qualità che
conducono a invenzioni e scoperte, troviamo: libertà da
scrupoli e riguardi tradizionali, spirito d'iniziativa e di
distruzione in uguale quantità, esclusione di considerazioni
morali, paziente mercanteggiamento del minimo vantaggio,
tenace attesa sulla via del successo, se è necessario, e un
rispetto per il numero e per la misura che è l'espressione
più acuta della diffidenza di fronte a ogni cosa incerta; in
altre parole, non troviamo nient'altro che gli antichi vizi
dei cacciatori, dei soldati e dei mercanti, trasportati qui
sul piano intellettuale e nuovamente interpretati come virtù.
Ed è vero che così restano al di sopra della corsa al vile
vantaggio personale; ma l'elemento del male originale, come
si potrebbe chiamarlo, non scompare nemmeno mediante questa
trasformazione, perché a quanto pare è indistruttibile ed
eterno, almeno eterno quanto tutte le grandezze umane, perché
è precisamente ed esclusivamente il piacere di dar lo
sgambetto a quelle grandezze e di vederle battere il naso per
terra. Chi non ha provato almeno una volta, contemplando un
bel vaso di vetro iridescente, la seduzione del pensiero che
con una bastonata lo si potrebbe mandare in mille pezzi?
Elevato all'eroismo dell'amara persuasione che in questo
mondo non ci si può fidare di nulla che non sia ben fermo al
chiodo, quest'è un sentimento fondamentale incluso nella
positività della scienza, e se per rispetto non lo si vuol
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
chiamare il diavolo, bisogna almeno dire che puzza lievemente
di zolfo.
5.3. Commento al brano di Musil: il demone della logica
matematica
“Noi abbiamo conquistato la realtà e perduto il sogno”
Il testo si profila come un riflesso della complessa
evoluzione scientifico-filosofica musiliana. Musil argomenta
e sviluppa la sua riflessione sulla scienza: egli è convinto
che l’odierna ricerca non sia soltanto scienza, ma anche
magia e religione, entrambe rette dalle leggi della logica
matematica.
Con le innovazioni tecnologiche e con l’attuazione di quelli
che prima erano solo “sogni”, si è conquistata la realtà ma
perduto il sogno. Non c’è più tempo per contemplare la
realtà, poiché esso deve essere utilizzato per lavorare e per
procurarsi i mezzi necessari alla sopravvivenza.
L’umanità ormai si rende conto che la matematica è entrata a
far parte di tutte le applicazioni della vita: essa
rappresenta l’origine di un perfido raziocinio che di fatto
toglie all’uomo il suo ruolo di padrone del mondo,
riducendolo a misero schiavo di esso. A causa della
matematica e del progresso l’uomo non ha più qualità ma è
ridotto a numero, a quantità. L’uomo non lavora più per
vivere ma vive per lavorare. La frenesia del lavoro ha
allontanato l’uomo dalla propria essenza: egli non considera
più le cose in profondità ma in modo alquanto superficiale.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia
La scienza ha potuto assumere l’attuale aspetto attraverso
una trasposizione sul piano intellettuale degli antichi vizi
dei cacciatori, dei soldati e dei mercanti, nuovamente
interpretati come virtù. Infatti, prima che il mondo
scoprisse la sua passione per i fatti materiali, questa
passione apparteneva solamente alle categorie sopracitate.
Tuttavia questa trasformazione non è in grado di far
scomparire l’elemento del male originale, la violenza della
lotta per la sopravvivenza, perché è, a quanto pare, eterno e
indistruttibile.
In questo modo la scienza regna su di noi e sul mondo e non
c’è possibilità di mutare questa condizione.
L’interpretazione che Musil offre della scienza è perciò
problematica; egli cerca di mettere in evidenza proprio
l’ambiguità del problema. La sua conclusione è che nella
scienza non ci sono cose chiare, per questo non la si può né
demonizzare, né divinizzare.
(R. Musil, L'uomo senza qualità [1930-1932], vol. I, pp. 34-36,
291-293)
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Parte terza
La morte di dio e il crollo dei
valori
1. PREMESSA: IL CROLLO DEI VALORI
1.1. La crisi dei valori
Uno dei più chiari indizi che compravano la crisi di una
civiltà è il venir meno dei suoi valori, il diffondersi, tra
i testimoni dell’epoca, della sensazione che i valori, su cui
la loro civiltà aveva costruito il proprio senso d’identità,
perdono la loro forza, non sono più capaci che orientare
l’agire umano e di rendere possibile la comprensione di ciò
che sta accadendo.
Questa diffusa insicurezza si manifesta, principalmente,
nella perdita del senso di continuità del divenire storico.
Se è vero che una cultura fonda la propria identità nel
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
tempo, riconducendo il passato al presente e costruendo sul
presente il proprio progetto per il futuro, allora la perdita
della continuità temporale può essere assunta come la prova
più evidente della crisi di quella civiltà. La tesi che
intendiamo sostenere, dopo aver studiato questo periodo e
aver esaminato come venne vissuto nella coscienza di alcuni
tra i più significativi intellettuali del tempo, è che questa
crisi trova una delle sue cause più importanti nella
disgregazione dei valori tradizionali della civiltà
occidentale.
Il percorso che intendiamo seguire in questa breve
premessa prenderà le mosse proprio da questa perdita di
continuità tra passato, presente e futuro. Cercheremo poi di
chiarire il concetto di valore così come veniva concepito
nella cultura tradizionale; l’esame dell’annuncio della morte
di dio, ci consentirà, quindi, di definire il significato che
il crollo dei valori tradizionali assume per la cultura del
tempo. Concluderemo questa introduzione soffermandoci sui
concetti di nichilismo e relativismo che, riferiti ai valori,
ben rappresentano il diffuso stato d’animo che è presente tra
gli intellettuali europei già prima della Grande Guerra, ma
che divengono quasi luoghi comuni nel periodo tra le due
guerre.
1.2. Nelle nebbie del domani
La sensazione dell’irrompere di un evento epocale che ha
spezzato il corso della storia, conducendo la civiltà
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
occidentale ad una svolta, è espressa con drammaticità nelle
parole di S. Zweig: “Si fra il nostro oggi, il nostro ieri ed
il nostro altroieri tutti i ponti sono crollati. Io stesso
debbo stupire rievocando la quantità e la molteplicità di
vita per noi compressa nel breve spazio di un'unica
esistenza, sia pure incomoda e pericolosa; e tanto più mi
stupisco se la paragono al modo di vivere dei miei
predecessori”9. L’immagine del crollo del ponte che collega
il passato al futuro è la registrazione di una discontinuità
venutasi a produrre nello sviluppo temporale dell’occidente,
ciò che è stato prima e ciò che è venuto dopo, non sono più
pensabili come due momenti successivi dello stesso percorso.
La prima guerra mondiale ha segnato una svolta, ciò che la
civiltà europea era prima della guerra è qualcosa di
completamente diverso da ciò che essa è divenuta dopo la
guerra. Gli uomini che vivono dopo la guerra sono diversi
rispetto a quelli che vissero prima, Zweig non si riconosce,
non può riconoscersi, nel “modo di vivere” dei suoi
predecessori. Il senso d’estraneità nei confronti di coloro
che “vissero prima” è, implicitamente, il riconoscimento che
essi non possono essere realmente “i nostri predecessori”, in
loro non vi sono le radici dell’identità di coloro che sono
venuti dopo. In altri termini, l’incapacità di rispecchiarsi
nel passato, che si trova in tutti i brani che abbiamo
esaminato, è indice della difficoltà di chiarire la propria
9 Stephan Zweig,
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
identità presente se non nei termini negativi del “che cosa
non siamo”.
Un altro importante indizio presente nel brano citato e in
tutti gli autori esaminati, è l’incapacità di comprendere il
presente. Zweig, che scrive nel 1941 e ha presente l’intera
vicenda dai suoi inizi al tragico epilogo del secondo
conflitto mondiale, percepisce gli accadimenti verificatisi
in quest’arco temporale come un “caotico groviglio di eventi
che vengono subiti”. Se è vero, come noi intendiamo
sostenere, che i valori non hanno solo una funzione pratica,
ma anche teoretica - su essi si fondano infatti anche gli
strumenti per interpretare conoscitivamente la realtà tanto
storica, quanto naturale – allora appare evidente che il
fatto di “non riuscire a comprendere gli eventi” e di
“subirli”, indica una incapacità di comprendere ed agire.
Zweig e i suoi contemporanei si muovono ancora nel contesto
di quei valori morali e conoscitivi dell’epoca anteriore,
questo impedisce loro di comprendere il loro tempo e di agire
in esso; il loro tempo è divenuto incomprensibile partendo
dalla concezione del mondo e della storia che è ormai in
crisi, ma di cui essi sono ancora portatori.
Se nelle parole di Zweig il ponte tra passato e futuro
appare crollato, nel titolo di una delle più significative
opere di denuncia della crisi in atto, anche il ponte tra
presente e futuro non esiste più.
Lo storico e letterato olandese Huizinga, diede alla sua
opera il significativo titolo di “Nelle nebbie del domani”.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Non si vede alcuno sbocco per la crisi, né si riesce a
concepire alcun progetto per uscire da essa, l’incertezza del
futuro è un altro segno che, nella percezione dei
contemporanei, ci si trova ad una svolta, si sa cosa si è
perduto ma non si sa ancora che cosa si è acquistato. Da ciò
il tono apocalittico di molte riflessioni sulla civiltà
occidentale: da Russell che intravede la possibilità di una
dittatura mondiale, a Ortega che registra un ritorno dei
“barbari” in Europa, fino all’annuncio della morte
dell’occidente di Spengler. Sola possibile forma di agire che
si prospetta alla maggior parte di questi autori è la
testimonianza personale della propria fedeltà a quei valori
andati perduti: “Se però con la nostra testimonianza
tramanderemo alla generazione futura anche soltanto una
scheggia di verità, non avremo lavorato invano”.10
All’intellettuale liberale e cosmopolita resta la sola
missione di tramandare quei valori della cui scomparsa egli è
il testimone. Ma anche questo scopo appare da solo incapace
di fondare un nuovo progetto, dare un significato a ciò che
accade, e se allo sguardo di Huizinga il futuro appare
avvolto tra le nebbie, Zweig rinuncerà perfino a fissare il
suo sguardo nel futuro, si ucciderà nel 1942.
In conclusione, appare perduto il legame di continuità col
passato, il presente risulta incomprensibile e il futuro
incerto.
10 S. Zweig,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
114
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
1.3. La morte di dio
I brani di Nietzsche che abbiamo preso in considerazione,
benché tale autore si collochi in un altro contesto storico e
culturale, sono tuttavia essenziali per comprendere sia le
caratteristiche formali del secolare sistema di valori su cui
la civiltà occidentale era fondata, sia per valutare
correttamente la portata delle conseguenze che il crollo di
quei valori doveva avere.
Non intendiamo qui esaminare la filosofia di Nietzsche in
quanto tale, ma solo ricordare brevemente il quadro della
civiltà occidentale e della sua storia che egli fornisce.
Dio, come assoluto trascendente la dimensione spaziale e
temporale, costituiva il fondamento della tavola di valori su
cui, il platonismo e il cristianesimo, avevano edificato
l’edificio della cultura occidentale. Trascendenza e dualismo
sono i due termini chiave della ricostruzione niciana. Solo
la trascendenza, l’assoluta alterità di dio, principio primo
e fine ultimo, consentono di garantirne l’universalità e
immutabilità sottraendolo al divenire e molteplice. Tale
trascendenza indica anche il dualismo tra mondano e
ultramondano che caratterizza la strategia metafisico-
religiosa che ha guidato la costruzione dell’identità della
civiltà occidentale. Solo su tale base era infatti possibile
ricondurre interamente il mondo storico e naturale ad un
unico principio capace di operarne la sintesi in una totalità
sistematica e globale, assegnando all’esistenza una precisa
finalità, alla vita uno scopo determinato. Solo in questo
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
115
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
modo, era inoltre possibile, assegnare una solida base alla
tavola di valori che doveva guidare, sia in ambito morale che
gnoseologico, la civiltà occidentale. E’ quindi sulla figura
di dio che l’occidente aveva costruito il proprio destino e
aveva concepito la propria identità, conferendo un senso
assoluto all’essere. Non interessa, ai fini di quest’analisi,
la vicenda attraverso la quale Nietzsche ricostruisce questo
processo storico, ne giudica il significato, ne interpreta la
dissoluzione. Non interessa neanche valutare la correttezza
dell’interpretazione niciana della storia dell’occidente,
quella che invece vogliamo rendere evidente è la stretta
correlazione, entro la cultura occidentale, tra il carattere
assoluto dell’idea di dio e l’incondizionatezza della tavola
dei valori che su tale fondamento era stata posta. La morte di
dio, sviluppatasi in conseguenza delle vicende storiche e
culturali che hanno caratterizzato la storia dell’occidente
tra il XVII e il XIX secolo, porterà al crollo dei valori,
alla perdita dell’identità, al non senso ed al nichilismo:
“Come potemmo vuotare il calice bevendolo fino all'ultima
goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero
orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla
catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci
muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno
precipitare? E' all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti
i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse
vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di
noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere
lanterne la mattina?”11
Morto dio, cade ogni sistema di riferimento assoluto e
l’umanità smarrisce il significato dell’essere in generale e
del proprio destino in particolare, ad un universo dotato di
un ordine e di un senso assoluti, segue una situazione di
assoluto relativismo in cui ogni senso - teoretico, morale,
storico - è smarrito.
L’uomo, l’uomo occidentale, cercherà nuovi idoli con cui
sostituire il “vecchio dio”, ma ormai il seme del nichilismo,
secondo Nietzsche, è stato gettato. La ragione scientifica,
il nuovo idolo del positivismo, mostrerà i suoi limiti – come
si è visto nel paragrafo precedente – e sarà incapace di
sostituire il vecchio dio: tramontato ormai il sole della
ragione, l’Europa è entrata nella notte del nichilismo.
1.4. La decadenza dell’occidente come “epoca del nichilismo”
Venuto meno il suo centro unificatore, del secolare edificio
culturale dell’occidente restano solo frammenti slegati,
reciprocamente irriducibili, l’orizzonte annunciato da
Nietzsche è quello del nichilismo. “Assenza di ogni valore”,
questa la definizione data dal filosofo tedesco dell’epoca
moderna, ciò che è andato perduto è l’assolutezza del valore,
la dimensione morale in cui nasce e si sviluppa il dibattito
sulla crisi dell’occidente è dunque quella del relativismo
dei valori.
11 Nietzsche,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
117
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
La nostra tesi al riguardo è che, nel dibattito sulla crisi
della civiltà il principale concetto di cui gli intellettuali
del tempo, che ne siano consapevoli o meno, si servono, sia
molto simile a quello del nichilismo di Nietzsche.
Il termine nichilismo deriva dal latino nihil, nulla, ed
indica l’atteggiamento di coloro che negano che l’essere
possieda un senso, che esista un sistema di valori oggettivo
e universale.
Nella filosofia di Nietzsche, il concetto di nichilismo è
fondamentale, esso viene utilizzato per interpretare la crisi
che minaccia di dissoluzione la civiltà occidentale. In
questo senso nichilismo è la svalutazione di tutti i valori, il
rifiuto, prima ancora che di un sistema determinato di
valori, della stessa possibilità che possa esistere un
qualsiasi valore. L’essere non possiede alcun fondamento di
senso, l’esistenza è assurda: “nichilismo: manca il fine;
manca la risposta al “perché”; che cosa significa nichilismo?
Che i valori supremi si svalorizzano”.
Sul piano ontologico, il presupposto da cui si genera il
nichilismo è la morte di dio, vale a dire il riconoscimento del
carattere illusorio di un principio supremo capace di fondare
un senso assoluto dell’essere e dell’esistenza. Sul piano
storico il nichilismo è il risultato della situazione di
decadenza in cui si trova una civiltà. Il mondo moderno è per
Nietzsche un mondo malato, la figura della decadenza,
conseguente alla morte di dio ed all’incapacità di affrontare
l’essenza assurda e tragica di un’esistenza senza senso,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
118
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
conduce al disgregarsi della civiltà a tutti i suoi livelli.
Nell’epoca della decadenza la volontà cessa di volere, si
abbandona passivamente agli eventi, si ripiega su se stessa e
si nutre del sentimento del risentimento. Il risentimento è
tipico della volontà malata nell’epoca della decadenza. La
dinamica del risentimento è simile a quello che Freud
definirà principio di morte, Thanatos, una rabbiosa tensione
interiore e autodistruttiva che si scaglia contro tutto ciò
che è vitale e tende a disgregarlo, a ridurlo
all’inorganicità.
La figura del nichilismo e della decadenza che abbiamo fin
qui delineato, corrispondono a quel nichilismo imperfetto che
Nietzsche indicava col termine di nichilismo passivo, caduti i
fini e i valori, il nichilismo passivo si limita a subire gli
eventi, regredendo all’atteggiamento della fuga e della
rinuncia di fronte alla vita. Come si sa, il nichilismo
perfettamente compiuto, è quello attivo, che assume come
proprio dovere la distruzione dei valori tradizionali per
preparare l’avvento del superuomo.
Da Spengler a Mann, da Broch a Scheler, quasi tutti gli
autori che abbiamo trattato o fanno esplicito riferimento al
concetto niciano di nichilismo e di decadenza, o utilizzano
concetti e strumenti interpretativi molto simili a quello di
Nietzsche.
Rivelatore di quest’atteggiamento è il riferimento che molti
di questi autori fanno al medioevo visto come termine di
riferimento per valutare la crisi moderna. A fronte di
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
un’epoca come quella odierna in cui “diviene di colpo
impossibile collegare i singoli campi di valore ad un valore
centrale”, in cui “viene sottratto all’essere il suo
carattere di statica immutabilità”12, in cui i valori appaiono
slegati e manca un senso unitario dell’essere, il medioevo
viene visto come un mondo caratterizzato da una struttura
unitaria fondata su un valore assoluto – la fede nel dio
cristiano – capace di fornire un ordinamento finalistico al
mondo e alla vita umana.
Nichilismo e decadenza, perdita dei valori, trionfo della
mera funzionalità tecnica, troveranno, agli occhi di questi
intellettuali, piena conferma nella Grande Guerra, essa
costituisce, infatti, secondo questa chiave di lettura, il
trionfo del nichilismo, il rivoltarsi della civiltà europea
contro se stessa, il trionfo della pulsione di
autodistruzione inevitabile per un’umanità che ha smarrito i
suoi antichi valori e si mostra incapace di riempire il
vuoto, così venutosi a creare, con una nuova tavola di
valori.
12 H. Broch, Disgregazione dei valori,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
1. NIETZSCHE
1.1. La vita
Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque a Roken il 15 ottobre
del 1844. Figlio di un pastore protestante, studiò dapprima
nel ginnasio di Pforta, poi nell’università di Bonn e in
quella di Lipsia. Il suo maestro di Lipsia, il famoso
filosofo Friedrich Ritsche, procurò a Nietzsche non ancora
venticinquenne, nel 1869 la chiamata all’università di
Basilea, su una cattedra di lingua e letteratura greca. A
Basilea Nietzsche insegnò dal 1869 al 1879. A questo periodo
risalgono, oltre a studi di carattere filologico, le sue
prime grandi opere filosofiche: “La nascita della tragedia
dallo Spirito della musica” (1872); “Considerazioni
inattuali” (1873-1876); “Umano troppo umano” (1878). Dal 1879
(quando lasciò definitivamente l’insegnamento) Nietzsche
visse con una modesta pensione assegnatagli dall’università,
soggiornando sulla riviera francese e italiana, in Alta
Engandina, e infine a Torino. Naquero in questo periodo le
opere della maturità: “Il viandante e la sua ombra (1880);
“Aurora” (1881); “La gaia scienza (1882); “Così parlò
Zarathustra (1883-1885); “Al di là del bene e del male”
(1886); “Genealogia della morale”(1887); “Il caso Wagner”
(1888); “Crepuscolo degli idoli” (1881); “L’anticristo, Ecce
Homo e Nietzsche contro Wagner (postumi).
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Nel gennaio del 1889 Nietzsche, che nel frattempo si era
trasferito a Torino, che egli chiama “la città che si è
rivelata come la mia città”, fu colto da un grave attacco di
pazzia. Sulla natura e sull’origine di essa hanno discusso a
lungo i biografi. Fin dal 1873 Nietzsche aveva cominciato a
soffrire di forti emicranie, indebolimento della vista,
disturbi digestivi, insonnia. Questi mali aggravatisi, lo
avevano costretto a lasciare l’insegnamento. La pazzia,
scoppiata in modo definitivo nel 1889 era probabilmente un
male ereditario.
Salute e malattia hanno un peso teorico centrale nelle
opere del Nietzsche maturo; ma, soprattutto, la circostanza
biografica della sua malattia ebbe un ruolo decisivo nel far
sorgere il problema degli scritti postumi. Dopo l’attacco di
Torino, infatti, Nietzsche, trascorso un periodo in casa di
cura, visse con sua sorella Elisabeth maritata Förster. Fu
proprio lei, dopo la morte del fratello, a riordinare e
preparare per la pubblicazione un insieme di appunti, che
Nietzsche scrisse con il proposito di formare una grande
opera intitolata “La volontà di potenza”, proposito che però
egli abbandonò.
1.2. Il Pensiero
Nel giovane Nietzsche, ebbero una grande importanza, oltre
agli studi filologici, il pensiero di Schopenhauer. Durante
gli anni trascorsi a Basilea fu ospite di Wagner, ed è
proprio lì che scrisse la sua prima opera “La nascita della
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
122
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
tragedia”. In quest’opera Nietzsche propone una nuova visione
della classicità e un nuovo concetto di decadenza. L’immagine
classica che aveva dominato dal Rinascimento al Romanticismo
rifletteva la civiltà greca in una fase già decadente.
L’armonia e la compostezza delle forme greche nascono,
secondo Nietzsche, da una reazione di difesa. Lo spirito
greco è composto da un elemento, il dionisiaco, che
percepisce la caoticità dell’essere e che si esprime sul
piano artistico nella musica, ma lo spirito greco nasce anche
da un elemento apollineo che reagisce producendo un mondo di
forme limpide e definite e che si esprime nella scultura. In
altre parole Nietzsche, in antitesi all’immagine tradizionale
dell’Ellade vista come mondo di equilibrio ed armonia (regno
dell’apollineo) contrappone un’immagine dionisiaca del mondo
greco.
Nietzsche sostiene che l’apollineo nacque nel momento in
cui ci si accorse del dramma della vita, della morte e degli
aspetti crudeli dell’essere. Gli dei nacquero, infatti, per
sopportare mediante una sublimazione della vita, il dolore
degli uomini. Nietzsche è in effetti un discepolo del
dionisiaco, poiché Dioniso rappresenta l’accettazione della
vita così come si presenta. Lo spirito dionisiaco non si
propone come l’accettazione rassegnata della vita, come un
“si” totale al mondo. Dioniso è, infatti, il dio
dell’ebbrezza, della gioia, il dio che canta e ride, un Dio
che esalta tutte quelle virtù che tendono ad esaltare la vita
e che sono degne dell’uomo.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
123
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Nietzsche parte dall’accettazione della vita per
polemizzare contro la morale, la morale è, per Nietzsche, una
forma della coscienza che ha posto l’uomo contro la vita.
Secondo Nietzsche nel mondo classico vi era, inizialmente,
una morale, quella dei signori, fondata sui valori vitali
della forza, della fierezza, della gioia; in un secondo
momento alla morale dei signori si contrappose quella degli
schiavi fondata sui valori antivitali della abnegazione, del
disinteresse. Tutto ciò accade perché la morale dei signori
non comprendeva solo l’etica dei signori ma anche quella dei
sacerdoti. Ma i sacerdoti provavano verso i guerrieri un
certo risentimento, un desiderio di rivalsa, non potendoli
però battere sul loro stesso terreno, decisero di creare una
nuova tavola dei valori opposta a quella dei signori. Ora, il
sacerdote si rispecchiava nelle virtù dello spirito, mentre
il guerriero si rispecchiava in quelle del corpo. Fu per
questo motivo che al corpo vediamo anteposto lo spirito,
all’orgoglio l’umiltà, etc. Si ebbe quindi, un rovesciamento
dei valori effettuato dagli ebrei che vengono definiti come
il popolo sacerdotale per eccellenza. Venne mutata la
tradizionale equazione che vedeva nel buono il nobile, il
potente, il caro agli dei, il felice; adesso invece solo i
poveri, gli umili possono essere considerati buoni. Nietzsche
considera questa morale, che poi diede origine al
cristianesimo, il simbolo attraverso cui l’uomo si è posto
contro la vita stessa, una morale che ha identificato nella
gioia e nel piacere, il peccato. Ed è per questo motivo che
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
il cristiano si presenta come un uomo malato e represso, in
preda a continui sensi di colpa.
L’uomo cristiano è dunque un auto-tormentato che nasconde
in sé un atteggiamento aggressivo e risentimento verso il
prossimo; è per questo che la casta sacerdotale, obbediente
alla religione dell’amore, ha scatenato lotte di sangue.
Nietzsche pensa inoltre, che la vita umana sia una vita
terrestre; l’uomo è nato per vivere sulla terra e non c’è
altro mondo per lui.
L’uomo è sostanzialmente corpo; il corpo, che era
considerato prigione o tomba dell’anima, diviene il concreto
modo di essere dell’uomo, l’anima assume in Nietzsche un
altro significato, in quanto è considerata una semplice
particella del corpo e la terra diviene la dimora gioiosa e
propria dell’uomo.
Nietzsche parte dalla critica della morale tradizionale e
dal cristianesimo per affrontare il tema della “morte di
Dio”. Per Nietzsche Dio rappresenta il simbolo di ogni
prospettiva oltre-mondana ed anti-vitale, secondo il
filosofo, Dio non è altro che una fuga dalla vita e una
rivolta verso il mondo. Dio è la menzogna delle menzogne, è
l’espressione della paura di fronte all’essere, in quanto
l’uomo, dopo aver scoperto che la realtà è caotica,
disarmonica, crudele, non provvidenziale, contraddittoria,
per poter sopportare la durezza dell’esistenza, si è creato
un mondo ordinato, buono, provvidenziale, razionale. Dio è
quindi, la personificazione di tutte quelle certezze,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
125
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
credenze di cui l’uomo da sempre, si è servito per continuare
a vivere.
1.3. Il brano di Nietzsche: "La morte di dio"
L'Uomo folle. Avete sentito di quell'uomo folle che accese una
lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si
mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? E
poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che
non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «Si è forse
perduto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino? Fece un
altro». «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è
imbarcato? È emigrato»? Gridavano e ridevano in una gran
confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò
con i suoi sguardi: «Dove se n'è andato Dio»? gridò «ve lo
voglio dire! L'abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il
calice bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la
spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo
per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è
che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i
soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E' all'indietro,
di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto
e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un
infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? - Non si
è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più
notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello
strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
126
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
ci è giunto ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è
morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci
consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto
di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi
si è dissanguato sotto i nostri coltelli - chi detergerà da
noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali
riti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo
inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di
questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dei, per
apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più
grande - e tutti coloro che verranno dopo di noi
apparterranno, in virtù di questa azione, a una storia più
alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad
oggi!». -A questo punto l'uomo folle tacque, e rivolse di
nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e
lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua
lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo
presto», proseguì «non è ancora il mio tempo. Questo enorme
evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino - non
è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e
tuono vogliono tempo, la luce delle stelle vuole tempo, le
azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute,
perché siano viste e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre
più lontana dagli uomini delle stelle più lontane - eppure son
loro che l'hanno compiuta!». Si racconta ancora che l'uomo folle
abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo.
Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato
a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono
ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio»?
La Gaia Scienza
"Il nichilismo"
Il nichilismo Come Stato NORMALE
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al «perché»?;
che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi si
svalorizzano.
Esso è AMBIGUO:
A) Nichilismo come segno della cresciuta potenza dello
spirito: Come NICHILISMO ATTIVO.
Può essere un segno di forza: l'energia dello spirito può
essere cresciuta tanto, che i fini sinora perseguiti
(«convinzioni, articoli di fede») le riescano inadeguati.
- Una fede cioè esprime in genere la costrizione esercitata
da condizioni di esistenza, una sottomissione all'autorità di
situazioni in cui un essere prospera, cresce, acquista
potenza...
D'altra parte un segno di forza non sufficiente per porsi
ora nuovamente, in maniera creativa, un fine, un perché, una
fede.
Il suo massimo di forza relativa, lo raggiunge come forza
violenta di DISTRUZIONE, come nichilismo attivo. Il suo
contrario sarebbe il nichilismo stanco, che non aggredisce
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
128
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
più; la forma più famosa di questo è il buddhismo, come
nichilismo passivo.
Il nichilismo rappresenta uno stato intermedio patologico
(patologica è l'immensa generalizzazione, la conclusione che
non c'è nessun senso): sia che le energie creative non siano
ancora forti abbastanza, sia che la decadenza indugi ancora e
non abbia ancora trovato i suoi rimedi.
B) Nichilismo come declino e regresso della potenza dello
spirito: il NICHILISMO PASSIVO: come segno di debolezza:
l'energia dello spirito può essere stanca, esaurita, in modo
che i fini sinora perseguiti sono inadeguati e non trovano
più credito; la sintesi dei valori e dei fini (su cui riposa
ogni forte cultura) si scioglie, in modo che i singoli valori
si fanno la guerra: disgregamento; tutto ciò che ristora,
guarisce, tranquillizza, stordisce, sarà in primo piano,
sotto diversi travestimenti, religiosi o morali o politici o,
estetici, ecc.
2. PRESUPPOSTI DI QUEST'IPOTESI:
Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione
assoluta delle cose una «cosa in sé»; - ciò stesso è un
nichilismo, è anzi il nichilismo estremo. Esso ripone il
valore delle cose proprio nel fatto che a tale valore non
corrisponda né abbia corrisposto nessun realtà, ma solo un
sintomo di forza da parte di chi pone il valore, una
semplificazione ai fini della vita.
Frammenti postumi
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
1.4. Il Commento
Analizzeremo adesso il brano tratto da “La gaia scienza”
dal titolo: “il grande annuncio”. Grazie ad esso potremmo
comprendere meglio il significato della nietzschiana morte di
Dio.
Questo passo nietzschiano ricorda il mito della caverna di
Platone, infatti anche in questo brano ritroviamo una ricca
simbologia filosofica. Il brano si apre con l’annuncio
dell’uomo folle, un annuncio drammatico , in quanto egli
proclama la morte di Dio. L’uomo folle, che simboleggia il
filosofo profeta, comprende la gravità dell’annuncio, in
quanto sa che la morte di Dio ha come conseguenza il crollo
di tutti quei valori di cui l’uomo si è impadronito per
riuscire ad affrontare la dolorosa esistenza. Le grida della
gente del mercato, rappresentano l’ateismo ottimistico e
superficiale degli intellettuali dell’ottocento, che sono,
invece, insensibili alla portata e agli effetti della morte
di Dio. Zarathustra, a cui Nietzsche diede il compito di
rivelare la notizia, accusa gli uomini di aver ucciso Dio,
inoltre egli considera l’uccisione di Dio un’azione ardua e
sovrumana.
La morte di Dio viene considerata tale perché si ha come
conseguenza lo smarrimento dell’uomo che non può più contare
su delle certezze.
L’uccisione di Dio è però necessaria in quanto permette
all’uomo di divenire superuomo. Anche se in effetti
Zarathustra comprende di essere arrivato troppo presto, visto
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
130
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
che non è ancora avvenuta la nascita del superuomo. Infatti
Nietzsche dice che solo colui che avrà il coraggio di
guardare in faccia la realtà e che avrà la forza per
affrontare la caducità dolorosa del mondo può divenire
superuomo. Quindi, la morte di Dio costituisce un trauma ma
solo in relazione al fatto che l’uomo non si sia ancora posto
come superuomo, ed è proprio in virtù della morte di Dio che
l’uomo può diventarlo. Il brano si concluderà con la visita
del profeta alle chiese, che costituiscono i sepolcri di Dio,
alludendo, quindi, alla crisi delle religioni, considerate
“cadaverici residui” del passato.
Conseguenza della morte di Dio è il nichilismo.
Il nichilismo si configura in Nietzsche in un atteggiamento
di fuga e di disgusto nei confronti del mondo che egli vede
incarnato nel cristianesimo e nel platonismo; ma vede anche
nel nichilismo la condizione dell’uomo moderno che, essendosi
accorto che la vita non ha più un senso o uno scopo, finisce
per avvertire un senso di vuoto e nulla. La nascita del
nichilismo è collegata, secondo Nietzsche, al fatto che
l’uomo dopo aver scoperto che gli oltre-mondi non esistono,
che l’essere non è né uno né vero né buono e che quindi, i
fini assoluti sono solo delle menzogne, è piombato
nell’angoscia nichilistica. Nietzsche afferma che il
nichilismo rappresenta la condizione dell’uomo cristiano, in
quanto il cristiano aveva creduto nell’aldilà, nel Dio-
provvidenza e avendo, poi , smesso di credere, soffre e sente
un senso di vuoto.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Nietzsche individua anche un equivoco del nichilismo.
Questo consiste nel dire che il mondo, non avendo più quelle
verità assolute, non abbia più un senso.
I fini e le verità non esistono come dati assoluti, ma come
prodotti della volontà di potenza, che ergendosi al di sopra
del caos dell’essere, impone all’essere stesso i suoi fini.
Il nichilismo si configura, quindi, come un “no” alla vita,
che presenta un grande “si” alla vita stessa.
Nietzsche distingue un nichilismo attivo e uno passivo. Il
nichilismo attivo è visto come una forza violenta in grado di
distruggere le vecchie fedi, esso si può presentare come una
forza non sufficiente per porsi in maniera creativa un fine,
uno scopo; ma può servire anche come superamento del
nichilismo stesso e per l’affermazione della volontà di
potenza.
Il nichilismo passivo è, invece, un segno di debolezza e di
disgregazione dello spirito.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
2. HERMANN BROCH
2.1. La Vita
Scrittore austriaco. Nato a Vienna nel 1886 e morto, figlio
di un industriale tessile, diresse per un certo tempo
l’industria paterna, finché a quarant’anni non risolse di
darsi allo studio (della matematica, della filosofia, della
psicologia) e alla letteratura. Nel 1931-32 fu pubblicata a
Zurigo la sua prima opera, la trilogia narrativa “I
Sonnambuli” (Die Schlafwandler), mentre nel 1934 apparve “La
grandezza sconosciuta” (Die unbekonnte Grosse). In seguito
Broch si ritirò nel Tirolo, dove lavorò tra l’altro al
romanzo “Il tentatore” (Der Versucher), pubblicato postumo
nel 1953. Nel 1938, dopo l’Anschluss e dopo aver patito la
prigionia nelle carceri naziste, emigrò negli Stati Uniti,
dove ottenne la cittadinanza americana. Là gli furono
assegnate una Rockefeller Fellowship per le ricerche
filosofiche presso l’università di Princeton (1942-44) e la
cattedra di tedesco presso l’università di Yala (incarico che
tenne sino alla morte). Nel 1945 diede alla stampa il romanzo
“La morte di Virgilio” (Der Tod des Vergil) e nel 1950 un
nuovo romanzo, “Gli innocenti” (Die Schuldlosen). Gli altri
scritti di Broch sono costituiti dal dramma “La
purificazione” (Die Entsuhung), da racconti, da saggi critici
(su Joyce, su Hofmannsthal, sull’eredità mitica della poesia
ecc.), da poesie e da un’indagine, rimasta frammentaria,
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
sulla “Psicologia delle masse” (Massenpsycologie, postumo
1959). Hermann Broch morì nel 1951 a New Haven.
Nella tragedia “Die Schlafwandler” rivive la drammatica
metamorfosi della società tedesca tra la fine dell’Ottocento
e la prima Guerra Mondiale. La stessa trasformazione di
valori si ritrova in “Posenow oder die Romantik” (1888),
“Huguenau oder die Sachlichkeit (1918) e “Die Schuldlosen”,
scritto tra i due conflitti, polemico atto d’accusa contro le
egoistiche classi abbienti che dimenticano i bisogni del
proletariato. Ma il capolavoro di Broch è considerato il
romanzo “Der Tod des Virgel” che pone l’aspirazione
dell’anima a valori ideali contrapposti al caduco mondo
terreno.
2.2. Temi dell’opera di Broch
Motivi centrali dell’opera di Broch sono la fine di una
civiltà e di una cultura, lo sfaldarsi di una vita spirituale
che ha smarrito obiettivi e valori. Interprete acuto
dell’intima frattura e instabilità della società tedesca del
Novecento e indagatore della crisi sociale e morale
dell’epoca borghese, Broch ha intrecciato a questi temi anche
una componente più risolutamente metafisica, esprimendo la
solitudine angosciata di fronte alla morte, l’ansia
d’infinito, la ricerca del divino.
Ebreo convertitosi al cattolicesimo, ma soprattutto
intellettuale consapevole dell’irrecuperabilità di certi beni
perduti, Broch vuole in fondo trovare alcuni elementi
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
134
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
sostitutivi della fede, cercando in una sorta di nuova
mitologia il medicamento necessario ad un’età malata e
prigioniera dell’oggettività. La narrativa sperimentale di
Broch si fonda su una strumentazione espressiva assai ricca
in cui si alternano moduli di prosa naturalistica e brani
poetici d’alto lirismo, il dialogo drammatico e il saggio
psicologico-filosofico. Il superamento del romanzo avviene,
infatti, secondo molteplici direttrici; spesso Broch sembra
studiare non tanto la realtà quanto le virtualità che sono
implicite in quel genere letterario e che segnano, al limite,
la sua disgregazione. Densa di significati e di riferimenti
culturali, d’allusioni e di reminiscenze, di simmetrie
interne e d’amplificazioni (esemplari in questo senso
l’immenso monologo interiore che costituisce “la morte di
Virgilio”), la narrativa di Broch è uno dei risultati più
affascinanti e grandiosi della letteratura del nostro secolo.
2.3. Il brano di Broch: la disgregazione dei valori
Questa la grande creazione dello spirito occidentale,
fondata su una assolutizzazione del particolare che sembra
destinata a toccare l’assurdo in un processo di continuo
autosuperamento. A la guerre comme à la guerre, art pour l'art, business is
business, il fine politico giustifica i mezzi; queste formule significano
tutte la stessa cosa e rivelano tutte lo stesso aggressivo
radicalismo; sono espressioni di quella sinistra, direi quasi
metafisica mancanza di riguardi, di quella crudele, rigorosa,
incurante logicità che guarda dritto davanti a sé, al fatto
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
135
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
concreto e a nient'altro e che costituisce lo stile di
pensiero della nostra epoca!
Non ci si può sottrarre a questa logica brutale e
aggressiva che erompe da tutti i valori e i disvalori del
nostro tempo, neppure rintanandosi nella solitudine di un
castello o nell'isolamento di una casa ebrea. Chi teme la
verità, chi non vuole conoscere e riconoscere la realtà (e
quindi il romantico, l'uomo che tiene all'armonia e che cerca
nostalgicamente nel passato una armonica immagine del mondo)
si volge - e a ragione - al Medioevo. Il Medioevo ha infatti
posseduto un ideale centro di valore, indispensabile per dare
al mondo una struttura unitaria; il Medioevo ha posseduto un
valore superiore a cui si assoggettavano e si subordinavano
tutti gli altri valori: la fede nel Dio cristiano.
Da questo valore centrale dipendevano tanto la cosmogonia
(che poteva addirittura venirne scolasticamente dedotta)
quanto l'uomo stesso. L'uomo e ogni sua attività costituivano
una frazione di quell'ordinamento del mondo che era soltanto
un riflesso speculare della gerarchia ecclesiastica, a sua
volta riflesso, in sé compiuto e finito, di un’armonia eterna
e infinita.
[...]
Era un universo costituito sulla fede, un universo
finalistico, non causale, un mondo che si fondava
esclusivamente sull'essere e non sul divenire. La sua
struttura sociale, la sua arte, i suoi vincoli sociali,
insomma tutta la sua organizzazione dei valori, erano
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
sottoposti al valore onnicomprensivo della fede. La fede era
il punto di plausibilità su cui finiva ogni catena di
problemi e la fede, impregnando di sé la logica, conferiva a
quest'ultima quella specifica coloritura, quel potere di
creazione stilistica che si espresse non soltanto come stile
del pensiero ma anche (almeno fino a quando la fede
sopravvisse) come stile dell'epoca.
Ma il pensiero ha osato compiere il passo dalla concezione
monoteista all'astrazione, e dio, il dio personale e visibile
della trinità, è divenuto qualcosa di cui non si può più
pronunciare il nome. Qualcosa di irrappresentabile. Esso è al
tempo stesso asceso e sprofondato nell’infinita neutralità
dell'assoluto, svanito in un terribile essere che non è più
in quiete e resta inattingibile.
Il turbine del rovesciamento violento, provocato dal
processo di radicalizzazione, anzi si potrebbe dire dallo
scatenamento del logico, questo ribaltamento del punto di
plausibilità su un nuovo piano infinito, questa cacciata
della fede dal mondo, sottraggono all'essere il suo carattere
di statica immutabilità. […]
Dissolto l’essere in pura funzionalità, dissolta persino
l'immagine fisica del mondo, e ad un tale livello di
astrazione che basteranno due generazioni per dissolvere
anche il concetto di spazio, la strada verso l'astrazione
pura è ormai imboccata. Di fronte a questo orizzonte
infinitamente lontano, di fronte a questo punto
irraggiungibile, noumenico, verso cui tende e dovrà d'ora in
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
poi tendere ogni catena di plausibilità e di problemi,
diviene di colpo impossibile collegare i singoli campi di
valore ad un valore centrale. L’astratto penetra
inesorabilmente nella logica di ogni attività creatrice di
valori; scarnificando i contenuti esso non soltanto impedisce
ogni deviazione della forma funzionale (si tratti della
funzionalità architettonica o di qualsiasi altra
funzionalità) ma radicalizza anche le singole sfere di
valore. Fondate ormai soltanto su se stesse e proiettate
nell'assoluto, queste si separano l’una dall’altra, si
dispongono su piani paralleli e non essendo in grado di
formare un comune corpus di valori divengono paritetiche. Così
la sfera dei valori economici si fonda ora sulla «attività
commerciale in sé», si giustappone, estranea e ostile, a
quella artistica dell'art pour l'art; la sfera dei valori militari a
quella dei valori tecnici o dei valori sportivi. Ognuna di
queste sfere è autonoma, ognuna è «in sé», ognuna è
«scatenata» nella sua autonomia, ognuna si sforza di tirare
con estrema radicalità le conseguenze ultime della sua logica
interna e di battere tutti i propri records. E guai se in
questa lotta tra le diverse sfere dei valori l'equilibrio si
rompe ed una di esse riesce ad emergere e ad avere il
sopravvento su tutte le altre (come proprio adesso, con la
guerra, è riuscita a fare la sfera dei valori militari, o
come ha fatto la concezione economica del mondo cui anche la
guerra soggiace); guai, perché essa finisce per abbracciare
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
il mondo e tutti gli altri valori e per divorarli come uno
sciame di cavallette che si posi su un campo.
L’uomo invece, un tempo immagine di Dio, specchio del valore-
mondo di cui era depositario, non è più nulla di tutto ciò.
Può bensì conservare una oscura reminiscenza della sicura
posizione di un tempo e chiedersi quale logica superiore gli
abbia sconvolto la mente; in ogni caso è ormai stato gettato
nell'abisso terribile dell’infinito e a nulla serve il suo
raccapriccio, a nulla valgono il suo romanticismo e la sua
sentimentalità che lo spingono talvolta a rifugiarsi
nostalgicamente sotto la protezione della fede. Stordito e in
balia del meccanismo dei valori ormai divenuti autonomi non
gli rimase che assoggettarsi a quel valore singolo che è oggi
la sua professione; non gli rimane che farsi funzione di
questo suo valore. L’uomo diventa così il professionista,
divorato dalla logica radicale ed esclusivista del valore su
cui è caduto prigioniero. Broch, Disgregazione dei valori [1932]
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
2.4. Commento a Broch: la dissoluzione dei valori
Broch individua lo stile di pensiero della nostra epoca. La
logica che costituisce tale stile è fine a se stessa. Questa
logica si basa sull’assolutizzazione e sull’astrazione.
Assolutizzare significa isolare un aspetto o una dimensione
della società dandole un valore assoluto. Col termine
astrazione si suole indicare un aspetto o una parte di un
tutto, considerato isolatamente dal contesto che da ad esso
un senso. Broch afferma che l’uomo romantico si volge al
medioevo, per sfuggire alla realtà e mantenere l’equilibrio e
l’armonia. Broch individua nel Medioevo un modello positivo
rispetto alla nostra epoca. Il Medioevo è una società dove i
valori sono incentrati su un modello assoluto: Dio. Tale
società rappresenta ciò che abbiamo perduto, e ci aiuta a
comprendere la crisi in cui è vissuto Broch. Infatti
l’umanità ha limitato la concezione di divinità, passando da
un dio personale ad una astrazione dell’assoluto resa in
termini scientifici e matematici.
Questa astrazione di dio ha prodotto una serie di
conseguenze, come sottrarre dall’essere il carattere di
statica immutabilità; quindi tutto cambia, non esistono punti
di riferimento.
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Nel frattempo viene alla luce la teoria della relatività,
che annulla l’immagine del mondo che si delineava
precedentemente, e la sostituisce con una che suggerisce
molteplici punti di vista atti a comprenderlo. Senza troppi
sforzi si cancellerà il concetto di spazio e di tempo sul
quale si basava l’esistenza.
Viene perduta l’unità della conoscenza e del valore, diviene
impossibile ricondurre i singoli campi di valore ad un valore
assoluto e unico. Le singole sfere di valori divengono
autonome e reciprocamente inconfrontabili, ciascuna centrata
unicamente su se stessa. In tal modo viene perduta l’unità ed
armonia del mondo del valore e della conoscenza e si cade nel
relativismo. Tali mondi di valore si confrontano e scontrano,
ciascuno tendendo a sopprimere e l’altro.
L’uomo, una volta immagine di dio, conserva solo un vago
ricordo di ciò che era in passato e può solamente chiedersi
quale sia stata la forza che l’ha portato a questo
cambiamento. L’uomo si trova ora nell’abisso dell’infinito e
ignora ciò che in passato lo portava a rifugiarsi nella fede.
Egli si sente in balia del meccanismo dei valori autonomi e
si assoggetta all’unico valore a lui concesso: la sua
professione.
L’uomo è diventato quindi il professionista, immerso nella logica
radicale ed esclusivista di questo valore che lo rende
prigioniero.
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
3. JOHAN HUIZINGA
3.1. La Vita
Johan Huizinga è nato a Groninga il 7 dicembre del 1872 da
un’agiata famiglia. Nella città natale compì i suoi studi e
dopo un breve periodo di perfezionamento in Germania, si
dedicò all’insegnamento universitario, finché non fu chiamato
nel 1905 alla cattedra di storia universale nella stessa
Groninga. Nel 1915 passò all’università di Leida, dove
trascorse gran parte della sua vita di studioso. In un saggio
autobiografico del 1943, “Mein Weg zur Geschichte”, egli ci
ha narrato il suo itinerario intellettuale che, dai giovanili
interessi prevalentemente filosofico-letterari per le civiltà
orientali, lo condusse agli studi storici rivolti soprattutto
all’occidente medioevale. Il suo nome è infatti legato
principalmente al lavoro pubblicato a Leida nel 1919,
“l’autunno del Medioevo”, dove con potente suggestività
tratteggia un vivace affresco della società borgognona tra il
XIV e il XV secolo, introducendo con originalità e finezza in
un classico studio di Kultrurgeschichte, problemi di storia e
sensibilità. Già ispiratrice di questo lavoro, la sua
concezione della civiltà come “gioco”, “stile”,
“convenzione”, che s’innalza al di sopra della vita
“ordinaria”, in un mondo fittizio eppure vivo dalle regole e
dai limiti peculiari e inviolabili, è stata esposta
felicemente dallo storico olandese nel saggio “Homo ludens”.
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
La sua formazione intellettuale e le sue tendenze
conservatrici non gli impedirono di avvertire subito, fino
dal 1933, il pericolo che il nazismo rappresentava per
l’Europa e per la civiltà, e gli scritti dei suoi ultimi anni
sono spesso ispirati da questa preoccupazione che gli dettava
angosciosi interrogativi esposti nell’opera “Crisi della
civiltà”. Nell’Europa ormai in gran parte ottenebrata dal
fascismo, questo libro poté costituire un grido d’allarme
lanciato da uno studioso di fama internazionale per ricordare
il lavoro irrinunciabile della libertà e della dignità umana.
All’indomani dell’invasione tedesca della sua terra, Huizinga
celebrava fieramente l’anniversario dell’indipendenza
olandese e della lotta di Guglielmo D’Orange; veniva pertanto
imprigionato dai nazisti e solo nel 1943 confinato come
ostaggio a De Steeg presso Arnhem. Qui morirà il primo
febbraio 1943.
3.2. Il pensiero
Huizinga intende la cultura essenzialmente come libera e
indipendente: critica chi crede nelle trasformazioni sociali
in senso comunistico, critica gli avversari di queste;
critica chi crede nella restaurazione dei troni e degli
altari; se la prende con il diritto naturale, materialistico,
e se la prende con l’atteggiamento reazionario di certi
circoli cattolici. Nulla lo soddisfa. Tutta la vita moderna,
per Huizinga, imbarbarisce: barbarie la pubblicità, barbarie
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
la propaganda, barbarie la prevalenza dell’irrazionalismo
politico e dell’estremismo violento.
Lo sfondo storico immediato del libro di Huizinga, era
dunque costituito dall’eredità e dalla sopravvivenza della
grande cultura di lingua tedesca, che va dal1870 al 1930
(all’incirca), ma già negli anni del dopoguerra, la crisi di
quest’ideale cominciava a mostrare i suoi segni.
Nella Crisi della civiltà, Huizinga scrive contro le degenerazioni
di una cultura e di una concezione della storia e della vita
sociale che era pur sempre la sua, quella che era stata alla
base della sua formazione generale; quindi riesce a esprimere
i sentimenti di un’epoca. In questo caso di un’epoca che si
sente perire, che avverte i sintomi della perdita delle
certezze, del tentennamento di valori acquisiti attraverso i
secoli.
Per il liberale e razionalista Huizinga, la crisi non
risiede nel predominio dei valori utilitari su quelli vitali,
né nel soffocamento da parte dell’intelletto di altre facoltà
umane, bensì nello squilibrio tra i valori spirituali e le
acquisizioni materiali frutto del progresso scientifico e
tecnologico, nell’amoralità dello Stato, nello scatenarsi di
particolarismi nazionali e sociali, nel prevalere di valori
irrazionali nella cultura, cioè nel prevalere di elementi e
valori vitalistici e irrazionalistici che egli giudica
pericolosi.
Si tratta di un’opera che si muove chiaramente in direzione
antifascista e soprattutto antirazzista. Nel finale del suo
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
libro, Huizinga sembra voler suggerire un’evocazione del
sospiro di sollievo dell’umanità europea occidentale, la
mattina del primo gennaio dell’anno di grazia 1001.
Con i suoi scritti Huizinga partecipò consapevolmente alla
lotta contro il nazional- socialismo razzista e per questo fu
rinchiuso in un campo di concentramento: ma neppure là
tacque. Nel campo di concentramento, tuttavia, Huizinga non
parlò più della civiltà e della crisi della civiltà, ma della
storia della sua patria e del suo paese, degli olandesi nel
momento in cui si costituirono come nazione contro forze
apparentemente immani, e della gran fioritura delle arti e
delle scienze, in quella che sembrò un’esplosione di
ricchezza, di forza e di grandezza.
Nell’opera da cui è tratto il brano che abbiamo esaminato,
Huizinga prende in considerazione la civiltà europea e tende
a concentrare questa civiltà nella cultura dell’Europa
tedesca, austriaca, svizzera, olandese e in parte anglo-
francese del suo tempo. Huizinga confronta la decadenza del
suo tempo con quelle di altri periodi. Egli cerca di
individuare le condizioni fondamentali perché si possa
parlare di civiltà o cultura, di equilibrio tra valori
spirituali e valori materiali; di equilibrio in genere fra
religione, cultura, politica (come forza), senso di carità,
ideale educativo di una comunità, finalismo etico (in vista
della salvezza della comunità, ci si deve sacrificare),
dominio sulla natura, senso del dovere o addirittura timore
di Dio, ideale del “servire”, “ascesi”, universalismo o
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
cosmopolitismo. Fra tutti questi elementi, Huizinga non
inserisce quello della “fede nel progresso”, anzi, polemizza
esplicitamente contro l’idea di progresso, considerandola
problematica. Scrive, infatti, Huizinga: “non è affatto
paradossale affermare che una civiltà, con un “progresso”
realissimo e innegabile, potrebbe arrivare alla sua rovina”.
I caratteri della crisi moderna sono per lui i seguenti:
anzitutto, il raziocinio (o capacità di ragionamento generale
da parte del singolo) si è indebolito in conseguenza
dell’estremo sviluppo della scienza (fisica e naturale) che è
arrivata ai limiti della capacità pensante (individuale o di
piccoli gruppi); così tramonta lo spirito critico, e la
scienza viene profanata o prostituita per infamie come il
controllo sulle nascite, gli armamenti moderni e le tecniche
moderne di distruzione (mezzi chimici, guerra
batteriologica). Tutto ciò ha effetti peggiori in quanto, fra
Marx, Freud, i razzisti e le filosofie vitalistiche ed
esistenzialistiche si perde, insomma, il timor di Dio e la
reverenza per il ben dell’intelletto e per le norme morali,
tanto nella vita pubblica quanto nella vita privata. Al posto
dell’autocontrollo e della saggia temperanza e del lavoro
quotidiano, subentrano il culto dell’eroismo bruto, il
ritorno alle superstizioni sotto forme nude e antiche, le
manifestazioni estetiche che si allontanano dalla ragione e
dalla natura; viene meno quella qualità misteriosa che si
chiama stile, predomina l’irrazionalità. E il peggio, cioè il
trionfo e lo scatenamento di queste forze del male, non è
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
ancora venuto: sta per arrivare e la sua ombra fa
rabbrividire.
3.3. Il brano di Huizinga: nelle ombre del domani
Noi viviamo in un mondo ossessionato. E lo sappiamo.
Nessuno si stupirebbe se, un bel giorno, questa nostra
demenza sfociasse in una crisi di pazzia furiosa, che,
calmatasi, lascerebbe l'Europa ottusa e smarrita; i motori
continuerebbero a ronzare e le bandiere a sventolare, ma lo
spirito sarebbe spento.
Dappertutto il dubbio intorno alla durevolezza del sistema
sociale sotto cui viviamo; un'ansia indefinita dell'immediato
domani; il senso del decadimento e del tramonto della
civiltà.
Queste non sono soltanto angosce che ci colgono durante le
insonnie notturne, quando è bassa la fiamma vitale. Sono,
anzi, meditate prospettive, fondate sulla constatazione dei
fatti e sul giudizio. La realtà c'incalza.
Vediamo distintamente come quasi tutte le cose. che altra
volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a
vacillare: verità e umanità, ragione e diritto. Vediamo forme
di governo che non funzionano più, sistemi di produzione che
agonizzano. Vediamo delle forze sociali che assumono uno
sviluppo ipertrofico. La rimbombante macchina di questo
nostro tempo formidabile sembra in procinto d'incepparsi.
Insieme, si affaccia la tesi opposta: non vi fu mai un'epoca
in cui l'uomo sia stato così autorevolmente cosciente del suo
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
compito di collaborare al mantenimento e al perfezionamento
del benessere terreno e della cultura. Non mai, prima, il
lavoro fu così in onore. Non mai l'uomo fu così disposto a
operare, a osare, e a sacrificare di continuo il proprio
coraggio, la propria esistenza ad un bene comune. Egli non ha
perduto la speranza.
Se si vuole che questa civiltà si salvi, che non decada a
secoli di barbarie, ma anzi, salvando i supremi valori che
sono il suo retaggio, trovi la via per giungere a nuova
saldezza, è necessario che gli uomini d'oggi si rendano
esatto conto di quanto sia già progredita la dissoluzione che
li minaccia.
Solo da poco tempo la sensazione della minaccia di un
tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà è
diventata generale. Per la maggior parte degli individui, fu
la crisi economica che li colpì nel loro corpo (giacché la
maggior parte degli individui è più sensibile nel corpo che
nello spirito!) a preparare il terreno a quest'ordine di
idee.
Va da sé che la gente abituata a riflettere con spirito
critico e sistematico intorno alla società e alla civiltà, i
filosofi e i sociologi, già da parecchio tempo si erano
accorti che nella vantata civiltà moderna c'era qualcosa che
«non andava». Per loro già da prima è chiaro che la
dislocazione economica non è che uno dei sintomi di un
processo culturale di ben più ampio respiro.
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Il primo decennio del Novecento fu appena sfiorato da
qualche breve indistinta ansia per l'avvenire della civiltà.
Anche allora c'erano, come ci sono in ogni epoca, attriti e
minacce, scosse e timori. Ma, tranne forse il pericolo di una
rivoluzione sociale che il marxismo faceva balenare di tanto
in tanto, questi non assumevano la forma di malattie che
minacciassero la compagine sociale [...]. Il tono
fondamentale, nello stato d'animo delle persone colte, era
quello di una ferma fiducia che il mondo, dominato dalla
razza bianca, fosse avviato sulla giusta e larga via
dell'armonia e del benessere, animato da sensi di libertà e
umanità, assicurato da un sapere e da una capacità che
sembravano ormai avere raggiunto il loro punto culminante.
Armonia e benessere, sì, se la politica avesse conservato il
senno. Ma non fu così.
Neanche gli anni della guerra mondiale portarono a un
cambiamento repentino. In quel tempo, infatti, la tensione di
tutti quanti si risolveva in quest'immediata preoccupazione:
portare a termine il compito con tutta la propria forza, e
poi, quando la guerra fosse finita, ricominciare tutto da
capo, meglio di prima, anzi, finalmente bene! Anche i primi
anni del dopoguerra per molti trascorsero nell'attesa
ottimistica di un benefico internazionalismo. Quindi
l'apparente fioritura dell'industria e del commercio, che
doveva venire stroncata nel 1929, tenne indietro ancora per
qualche anno l'universale pessimismo delle persone colte.
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Oggi la coscienza di vivere in mezzo a una crisi di civiltà
violenta, e che minaccia rovina, è penetrata in tutti gli
strati sociali. Il Tramonto dell'Occidente dello Spengler è stato in
tutto il mondo un segnale d'allarme. Questo non significa che
tutti i lettori del famoso libro si siano convertiti alle sue
vedute. Esso però li ha familiarizzati col pensiero della
possibilità di un tramonto dell'odierna civiltà, mentre prima
erano ancora involti in un'indiscussa fede nel progresso.
Un ottimismo immutabile rispetto alle sorti della civiltà
attualmente non si riscontra più se non in quelli che, per
mancanza di cognizioni, non possono capire che cosa le
manchi, e quindi sono intaccati essi stessi dal suo processo
regressivo, oppure in quelli che nella propria dottrina
sociale o politica stimano di possedere già la civiltà
futura, e di poterla fin da ora diffondere in mezzo alla
povera umanità.
Fra un pessimismo convinto e la certezza di una prossima
panacea stanno tutti quelli che scorgono i gravi mali e gli
acciacchi del tempo nostro, non sanno come vi si possa
rimediare od ovviare, ma intanto lavorano e sperano, cercano
di capire e sono disposti a sopportare.
Assai istruttivo sarebbe intanto di poter vedere espressa
in una curva la rapidità con cui la parola «progresso» è
sparita dall'uso, in tutto il mondo. [ ... ]
Apparterrà l'avvenire a una progressiva meccanizzazione
della convivenza, sulle lucide rigide norme dell'esclusiva
utilità e del potere?
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Così lo vide Oswald Spengler, allorché pose come stadio
finale di una civiltà sorpassata il periodo della
«civilizzazione», in cui tutti i precedenti valori organici e
vitali sono stati soppiantati dall'esatto governo dei mezzi
di dominio e dall'esatto calcolo degli effetti voluti. Che
l'impiego di questi mezzi porti la società alla rovina,
lascia freddo l'autore. Egli è pessimista per sistema; e il
tramonto è per lui l'ineluttabile destino di ogni civiltà.
Se si osserva più da vicino lo schema della cupa visione
spengleriana, essa non manca di inconsistenze, che sembrano
distruggerne la validità anche dal suo stesso punto di vista.
In primo luogo, le norme della valutazione spengleriana delle
azioni umane si rivelano strettamente imparentate con una
certa sensibilità romantica. I suoi concetti di «grandezza»,
«volontà del più forte», «sani istinti», «santa gioia
bellicosa», «eroismo nordico», «cesarismo del mondo
faustiano» hanno le loro radici in un terreno d'ingenuo
romanticismo. Inoltre mi pare evidente che la strada battuta
dalla civiltà occidentale nei diciassett'anni da che è uscita
la Fine dell'Occidente non mostra per nulla il progresso del tipo
«civilizzazione» da lui abbozzato. La società, è vero, si è
svolta in quel senso, cioè secondo un calcolo tecnico sempre
più acuto e freddo degli effetti desiderati; ma intanto il
tipo umano è diventato sempre più incontrollato e puerile,
più pronto a reagire violentemente ai sentimenti.
Non sono le aquile d'acciaio concepite dallo Spengler che
ci reggono! Forse ci si potrebbe esprimere così: il mondo
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
attuale presenta l'aspetto della «civilizzazione»
spengleriana, più una buona misura di demenza, ciarlataneria
e crudeltà, mescolate a una sentimentalità ch'egli non
previde. Poiché anche quella nobile «belva» che secondo lui è
l'uomo, avrebbe dovuto restare immune da tutte queste
debolezze. […]
Tutto ben considerato, questa «civilizzazione» di Spengler,
così come appare, legata a elementi di ferocia e di
inumanità, si ha parecchie buone ragioni per chiamarla
piuttosto barbarie. Dobbiamo intanto condividere il disperato
fatalismo di Spengler? Non resta proprio nessuna via di
scampo?
Ci fornisce il passato qualche ragione di conforto? Se
osserviamo i due millenni che ci precedono, e vi distinguiamo
quelle unità storiche cui si dà il nome di civiltà, subito
vediamo che i periodi del massimo fiorire sono sempre stati
brevi.
Il tipico processo di crescenza, piena fioritura,
decadimento - che quando finisce in un luogo ricomincia poi
altrove - si conchiude sempre in pochi secoli; e il pieno
rigoglio, per quel che ci è dato osservare, dura di regola
intorno ai duecento anni. Per la civiltà ellenica è il iv e v
secolo avanti Cristo; per quella romana il secolo che precede
l'era cristiana e il primo di essa (qui, veramente, il limite
può essere un po’ esteso); per la civiltà del Rinascimento,
che comprende anche l'età barocca, abbiamo il Cinquecento e
il Seicento. Per quanto vaghe e anche arbitrarie possano
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
parere queste limitazioni, una cosa resta certa. che i
periodi specifici di piena fioritura non sono mai lunghi.
Dobbiamo calcolare il Settecento e l'Ottocento come l'era
della civiltà moderna? In tal caso saremmo ormai alla fine di
questa civiltà a noi ben nota. O forse all’inizio di una
nuova e ignota. Forse di una civiltà il cui pieno sviluppo è
ancora molto lontano. Giacché per le civiltà non vale la
formula: «il re è morto; viva il re».
La sensazione di avvicinarsi a un termine ci è ormai
abbastanza familiare. Già l'abbiamo detto: uno sviluppo
perpetuo di questa civiltà non solo non possiamo
immaginarcelo, ma a stento possiamo pensare che ci
arrecherebbe fortuna o miglioramento.
(J. Huizinga, La crisi della civiltà [1935], pp. 3-6, 142-44)
3.4. Il commento: la perdita del futuro
Con la crisi della civiltà (1936) Huizinga ha avvertito la
crisi che minaccia la civiltà a lui contemporanea e l’ha
identificata nell’irrazionalismo della vita moderna. Le
istanze principali dalle quali si può dedurre la posizione
dell’autore e i temi su cui si esercita la sua polemica, sono
i seguenti: quali sono le basi socio-culturali che hanno reso
possibile la dissoluzione progressiva della civiltà? Com’è
stato possibile ignorare il fatto che il progresso
tecnologico e scientifico stesse minacciando le basi della
convivenza civile? Quali saranno le conseguenze future della
meccanizzazione dei rapporti sociali? Può il passato fornire
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
esempi consistenti e modelli storici di conforto che
permettano di superare la crisi della civilizzazione
(barbarie) moderna, evitando un decadimento perpetuo? La
civiltà moderna si avvicina al termine dei suoi giorni o
forse si è vicini ad una svolta epocale, la fondazione di una
nuova civiltà il cui sviluppo si attuerà su basi solide e
sempre migliori?
Nell’individuazione delle cause della crisi violenta che ha
coinvolto la civiltà, penetrando tutti gli strati sociali
durante il primo trentennio del Novecento, Huizinga propone
esplicitamente, interessanti critiche nei confronti
dell’irrazionalità moderna. Nell’esposizione dell’inevitabile
decadimento della civiltà, per opera del progressivo
evolversi delle scienze e delle tecnologie del suo tempo,
Huizinga polemizza contro il tipo antropologico umano,
promotore di una civilizzazione identificabile, essendo
fortemente impregnata di sentimenti, crudeltà, ferocia e
inumanità, ad una vera e propria barbarie. L’indebolimento
dello spirito critico generale e del raziocinio, reso
trascurabile, proprio per l’inutilità del ragionamento del
singolo, dallo sviluppo delle scienze, costituisce la base
che determina il trionfo di un ingenuo ottimismo e la crisi
sociale moderna. La minaccia del tramonto della civiltà
moderna, satura di valori irrazionali è ormai avvertita a
livello generale.
Le conseguenze future sulla convivenza civile di questo
stato di cose, saranno la perdita della fiducia nel progresso
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
e la scomparsa dell’ottimismo, il destino dell’individuo sarà
quello di subire la meccanizzazione della sua stessa
esistenza, ridotta a freddo calcolo degli effetti e,
tuttavia, questa stessa esistenza appare a Huizinga
suscettibile di repentine e incontrollate esplosioni di
violenza.
Neanche il passato può fornire elementi di conforto e
modelli validi e duraturi nel tempo, poiché i periodi di
fioritura non sono stati mai lunghi e si sono conclusi con un
inevitabile decadimento.
Secondo questa logica, la civiltà moderna si avvia ormai
alla conclusione; tuttavia il processo di sviluppo di una
civiltà se si arresta in un luogo, ricomincia comunque
altrove, ma è impossibile che prosegua perpetuamente, col
tempo la civiltà andrà incontro ad un nuovo e irreversibile
tramonto.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
4. STEFAN ZWEIG
4.1. La Vita
Scrittore austriaco, nasce a Vienna nel 1881 e l’anno della
sua morte risale al 1942 nella lontana America del Sud a
Petropolis, Rio de Janeiro. Di origini ebree, si stabilisce a
Zurigo allo scoppio della prima guerra mondiale, poiché
maggiore era la libertà d’espressione che in Austria; e
proprio nella sua prima opera di rilievo, Jeremias (1917), un
dramma corale e fortemente antibellicista e su cui pesa
l’influenza dell’amicizia stretta in Svizzera con R. Rolland,
che Zweig espresse la sua posizione pacifista, denunciando
con veemenza la follia della guerra. Al termine del
conflitto, lo scrittore si trasferì a Salisburgo e si dedicò
soprattutto alla stesura di biografie o saggi (Drei Meister,
dedicato a Balzac, Dickens, Dostoevskij; Der Kampf mit dem
Damon, elogiando le personalità di Holderin, Nietzsche e
Kleist) Tutti si distinguono per l’acuta introspezione
psicologica e per lo stile accattivante che ne rende la
lettura piacevole, e lo resero celebre più dei romanzi e
delle seducenti opere narrative, tra le quali, pubblicate,
ricordiamo: Amok (1922) e Verwirrung der Gefuhle (1927). L’ascesa
poi del Nazismo e dell’Antisemitismo in Germania, costrinse
Zweig, per l’impronta chiaramente semita, a emigrare in
Inghilterra nel 1924 e successivamente negli Stati Uniti nel
1940, per stabilirsi poi definitivamente in Brasile nel 1941.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Ivi si uccise insieme con la moglie, più per stanchezza che
non per disperazione, non resistendo al dolore per la
distruzione della sua “patria spirituale Europa”.
Appartengono all’ultimo periodo letterario le notissime
biografie romanzate Erasmus von Rotterdam (1934) e Marie Antoinette
(1932), nonché l’opera di rievocazione storico-autobiografica
Die Welt von Gestern (1941).
Guardando complessivamente agli intendimenti stilistici
dell’autore, la sua intera indagine storico-psicologica
indugia compiaciuta nel passato, per scoprirvi quello che vi
fosse di più morbosamente moderno e attuale; e l’origine
viennese, il suo ebraismo, la raffinata educazione,
contribuirono molto a creare quell’atmosfera
d’intellettualità cosmopolita, spregiudicata e aperta ad ogni
influsso, in cui si muovono le tematiche profondamente
storico-sociali di quasi tutta la sua autentica produzione
letteraria.
4.2. Il Pensiero
Le opere di Zweig si prospettano come il più grande
successo letterario degli anni ’20, seppure la sua fama
riguarda soprattutto gli approfondimenti sociologici
ricercati nelle sue stesse intenzioni di scrittore, che
prediligono in primo luogo la divulgazione sistematica,
benché ancora lirico-intimistica, delle teorie
psicoanalitiche proposte da Freud. Lo stile è brillante e
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
157
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
sempre facile, e ciò gli valse il ruolo di autore prediletto
della vastissima massa di lettori semicolti desiderosi di
completare e specialmente di aggiornare la loro cultura.
L’aspetto comunque migliore dell’autore è il suo deciso
seppure non troppo ostentato europeismo e pacifismo; benché
nella storia della letteratura Zweig viene ricordato come lo
scrittore che vi introdusse la psicoanalisi. Non si può
comunque dire che Zweig valorizzi sul piano del linguaggio o
dello stile la tecnica interpretativa di Freud. Il lavoro
letterario di Zweig presenta infatti una pienezza e duttilità
della parola unite ad una tecnica espositiva molto
disciplinata che conferisce un tono in complesso assai
corretto della conversazione. Appellandosi comunque alle
analisi teoriche condotte da Freud e alle novità introdotte
riguardo alla sessualità, egli non si esime dall’affrontare
in alcuni suoi racconti, problemi erotici assai scabrosi,
problemi che non sfiorano l’anima di adolescenti ignari, ma
sconvolgono quella di adulti. Il primo dopoguerra rappresenta
una fase letteraria di transizione per l’autore in cui
compare ancora quel tono limpido, tenue e scorrevole che era
oramai anacronistico, tipico dell’anteguerra, che pure
piacque perché permetteva al lettore di passare, per così
dire, la spugna su tutte le esperienze posteriori al 1914; e
che venne sistematicamente sostituito da una produzione
narrativa storica, molto più legata ai problemi sociali e
alla crisi che aveva sconvolto il mondo in cui viveva e
operava e che si proponeva appunto una denuncia, a volte
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
158
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
velata a volte marcata e diretta, dell’instabile equilibrio
del mondo moderno. Il racconto è svolto cioè in una forma del
tutto diversa: Zweig sostiene che la storia assume nel suo
svolgimento forme diversissime ed imprevedibili, sicché essa,
nei momenti decisivi delude chi di quel momento si illude di
essere l’eroe. Con la delusione dell’eroe del racconto, il
lettore dunque si illude di aver capito il senso della
storia, mentre non capisce che Zweig nella storia, non è più
capace di trovare più alcun senso. Il lettore disattento
però, non si accorge del circolo vizioso e dell’intento
prettamente sociale dello scrittore; in compenso è
soddisfatto, perché crede di aver capito tutto bene e si
convince anche di essere capace di comprendere senza grande
sforzo cose molto difficili. La critica storica, che dunque
Zweig porta avanti nelle opere del dopoguerra troverà il suo
apice in “Die Welt von Gestern” (1942) in cui la narrazione è
tutta imperniata sull’inconciliabile differenza tra Ieri e
Oggi.
4.3. Il brano di Zweig: la fine dell'« età d'oro della
sicurezza »
Si fra il nostro oggi, il nostro ieri ed il nostro
altroieri tutti i ponti sono crollati. Io stesso debbo
stupire rievocando la quantità e la molteplicità di vita per
noi compressa nel breve spazio di un'unica esistenza, sia
pure incomoda e pericolosa; e tanto più mi stupisco se la
paragono al modo di vivere dei miei predecessori. Che cosa
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
159
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
hanno veduto mio padre, mio nonno? Ciascuno di essi ha
vissuto un'unica volta, un'unica esistenza dal principio alla
fine, senza vette e senza cadute, senza scosse né pericoli;
una vita di piccole emozioni, di inavvertiti passaggi;
l'ondata del tempo li ha portati con ritmo regolare, tacito e
calmo, dalla culla alla tomba. Han vissuto sempre nello
stesso paese, nella stessa città e quasi sempre persino nella
stessa casa; quel che accadeva fuori nel mondo non si
svolgeva in fondo che nel giornale e non batteva alla loro
porta. Ai tempi loro in qualche punto del mondo si combatté
bensì una guerra, ma, commisurata alle dimensioni odierne,
era una guerricciuola, si svolgeva lontano dai confini, non
si sentivano le cannonate e dopo sei mesi tutto era finito,
dimenticato, ridotto foglia secca della storia, mentre già
riprendeva la solita monotona vita. Noi invece tutto
sperimentammo senza ritorno, nulla restò del passato, nulla
si ripete; a noi toccò il privilegio di partecipare al
massimo a ciò che la storia suole suddividere con parsimonia
su un paese e su di un secolo. Una generazione aveva tutt'al
più fatta una rivoluzione, un'altra una sommossa, la terza
una guerra, la quarta aveva subìto una carestia, la quinta un
fallimento dello Stato, e vi erano persino dei paesi
benedetti, delle generazioni fortunate, che nulla di tutto
questo avevan conosciuto. Ma noi, che abbiamo oggi
sessant'anni e che de iure avremmo ancora un certo tempo da
vivere, che cosa non abbiamo veduto, non sofferto? Abbiamo
percorso da cima a fondo il catalogo di tutte le catastrofi
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
160
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
pensabili - e non siamo giunti ancora all'ultima pagina.
[...]
D'altra parte, quasi per paradosso, nello stesso periodo in
cui il nostro mondo regrediva moralmente di un millennio, ho
veduto la stessa umanità raggiungere mete inconcepite nel
campo tecnico ed intellettuale, superando in un attimo quanto
era stato fatto in milioni di anni. La conquista dell'aria
con l'aeroplano, la trasmissione della parola umana nello
stesso secondo per tutto l'universo, cioè il superamento
dello spazio, la disgregazione dell'atomo, la guarigione
delle più subdole infermità, la quasi quotidiana attuazione
insomma di quanto era ieri ancora inattuabile. Mai prima
d'oggi l'umanità nel suo insieme si è comportata più
satanicamente e non mai d'altra parte ha compiuto opere così
prossime a Dio. [...]
Per la nostra generazione non ci fu modo, come per le
precedenti, di esimersi, di trarsi in disparte; in grazia
della nuova ed organizzata contemporaneità, noi fummo sempre
legati al nostro tempo. […]
Di continuo bisognava subordinarsi alle esigenze dello
Stato, farsi preda della più stolta politica, adattarsi ai
mutamenti più inauditi; eravamo sempre incatenati alla sorte
comune; per quanto ci si difendesse, questa ci portava
irresistibilmente con sé. Chi dunque ha percorso, o meglio è
stato rincorso ed incalzato attraverso quest'epoca - ben
poche pause ci furon concesse! - ha vissuto più storia di
qualunque dei suoi avi. Anche oggi siamo di nuovo a una
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
svolta, ad una conclusione e ad un inizio. Non senza
intenzione dunque io lascio per ora che questo sguardo
retrospettivo alla mia vita si chiuda con una data precisa.
Quel settembre 1939 segna infatti il limite definitivo
dell'epoca che ha plasmato ed educato noi sessantenni. Se
però con la nostra testimonianza tramanderemo alla
generazione futura anche soltanto una scheggia di verità, non
avremo lavorato invano. Se tento di trovare una formula
comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra
mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il
più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della
sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria
tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante
supremo di tale continuità. […]
Ogni atto radicale ed ogni violenza apparivano ormai
impossibili nell'età della ragione.
Questo senso della sicurezza era il possesso più ambito,
l'ideale comune di milioni e milioni. [...]
In questa commovente fiducia, di poter chiudere anche
l'ultima falla all'irrompere della sorte, c'era, malgrado
l'apparente austerità e modestia nel concepire la vita, una
presunzione pericolosa. L'Ottocento, col suo idealismo
liberale, era convinto di trovarsi sulla via diritta ed
infallibile verso «il migliore dei mondi possibili». Guardava
con dispregio le epoche anteriori con le loro guerre,
carestie, rivoluzioni, come fossero state tempi in cui
l'umanità era ancora minorenne e insufficientemente
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
162
Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
illuminata. Ora invece non era più che un problema di
decenni, poi le ultime violenze del male sarebbero state del
tutto superate. Tale fede in un «progresso» ininterrotto ed
incoercibile ebbe per quell'età la forza di una religione; si
credeva in quel progresso già più che nella Bibbia ed il suo
vangelo sembrava inoppugnabilmente dimostrato dai sempre
nuovi miracoli. della scienza e della tecnica. In realtà,
sulla fine di questo secolo di pace l'ascesa generale si fece
sempre più rapida e molteplice. Nelle strade splendevano di
notte al posto delle tremolanti lanterne le lampade
elettriche, i negozi portavano dalle vie centrali sino alla
periferia il loro splendore seducente; già in grazia del
telefono si poteva comunicare da lontano, già si poteva
correre nei carri senza cavalli con velocità impensate, già
l'uomo si lanciava nell'aria attuando il sogno di Icaro. Le
comodità della vita passarono dalle dimore signorili a quelle
borghesi; non si dovette più attingere l'acqua dal pozzo o
dal ballatoio, non più accendere con pena il fornello: si
diffondeva l'igiene, spariva la sporcizia. Gli uomini
diventavano più belli, più sani, più forti da quando lo sport
ne irrobustiva il corpo e sempre più raramente si vedevano
deformi, gozzuti, mutilati: tutti questi miracoli erano stati
compiuti dalla scienza, arcangelo del progresso. Anche nel
campo sociale si andava avanti; di anno in anno venivano
concessi nuovi diritti all'individuo, la giustizia veniva
amministrata con maggiore senso umanitario e persino il
problema dei problemi, la povertà delle masse, non appariva
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
più insuperabile. Il diritto di voto venne concesso ad una
cerchia sempre più vasta e con ciò anche la possibilità di
difendere legalmente i propri interessi; sociologi e
professori andavano a gara nello sforzo di rendere più sana e
persino più felice l'esistenza del proletariato. Come
stupirsi che il secolo si compiacesse dell'opera propria e
vedesse in ogni nuovo decennio solo un gradino verso un
decennio migliore? Non si temevano ricadute barbariche come
le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più
alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente
compenetrati dalla fede nell'irresistibile forza
conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i
confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le
confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi, in un
comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la
sicurezza, i beni supremi. Oggi, per noi che abbiamo da un
pezzo cancellato dal nostro vocabolario la parola
«sicurezza», è facile deridere l'illusione ottimistica di
quella generazione accecata dal suo idealismo: illusione che
il progresso tecnico dovesse immancabilmente avere per
effetto un non meno rapido miglioramento morale. Noi che nel
nuovo secolo abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere
da alcuno scoppio di bestialità collettiva, noi che dal
domani aspettiamo ancor più atroci eventi che dall'ieri,
siamo ben più scettici circa la perfettibilità morale degli
uomini. Noi fummo costretti a dar ragione a Freud, allorché
egli riconobbe nella nostra cultura e nella nostra civiltà
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
solamente un sottile diaframma, che ad ogni momento può
essere sfondato dagli impulsi distruttivi del mondo
sotterraneo, e noi abbiamo dovuto a poco a poco abituarci a
vivere senza un saldo terreno sotto i piedi, senza diritti,
senza libertà, senza sicurezza. Da un pezzo abbiamo rinnegato
per la nostra esistenza la religione dei nostri padri, la
loro fede in un’ascesa rapida e perenne dell'umanità. A noi,
così crudelmente illuminati, quell'ottimismo frettoloso
appare banale di fronte ad una catastrofe, che con un solo
colpo ci ha rigettato indietro di un millennio sulla via
degli sforzi umanitari.
Il brano è tratto da “il mondo do ieri” (1914)
4.4. Commento al brano di Zweig: l’età contemporanea come età
della crisi
Nel testo è presente un insistente confronto tra il mondo,
l’esistenza dei contemporanei di Zweig ed i suoi
predecessori.
Si è creata una rottura insanabile della continuità tra
passato, presente e futuro, ciò significa una perdita totale
sia dell’identità che delle radici della società e del
singolo individuo.
La loro esistenza deriva dal passato, dall’evoluzione del
tempo e dalla tradizione, senza di questo, niente ha senso.
I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
Le generazioni passate hanno vissuto in tempi tranquilli,
senza cambiamenti ne scosse tanto eclatanti da provocare
degli effetti duraturi. Il ritmo calmo del tempo li ha
portati alla fine dei loro giorni. Le generazioni
“contemporanee” hanno invece vissuto in un era in cui una
sola esistenza comprendeva tutta la storia di un secolo:
prima e seconda guerra mondiale, crisi del ‘29 con carestie
ed inflazioni. Questi eventi catastrofici hanno cancellato il
passato, tutto in cui credevamo, tutto ciò che erano i loro
punti di riferimento per poter andare avanti ed “ancora non
siamo arrivati all’ultima pagina”. Da ciò si afferra
l’impatto psicologico che le guerre hanno causato:
annientate, disorientate ed è molto importante per la
comprensione dell’autore perché egli si suicidò, convinto che
la vittoria fosse in mano a Hitler. Nello stesso periodo in
cui la moralità era piuttosto regredità, al scienza e la
tecnica raggiungono livelli inauditi con l’aereo o il
telefono; ma generalmente l’umanità è satanica nonostante
abbia compiuto delle opere così “prossime a Dio”.
La generazione di Zweig fu sicuramente legata al suo tempo,
senza potersi ritrarre, e di continuo dovette subordinarsi
allo stato ed adeguarsi ai cambiamenti più assurdi. Con il
1939, e lo scoppio del secondo conflitto mondiale, crollò
tutta l’educazione classica e crollò il mondo che plasmò
quelle generazioni che vissero la storia dei loro avi. Ma se
la loro testimonianza servirà a lasciare ai posteri almeno
una scheggia di verità, le sofferenze patite non crede più in
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
niente e si accontenta di una piccola scheggia di verità;
l’illusione del progresso della “belle époque”, dell’età
dell’oro della sicurezza scompare per far spazio
all’insicurezza e allo smarrimento. La sicurezza si delineava
come il processo più prezioso.
L’ottocento fu un periodo caratterizzato da aperta fiducia
nel progresso e nella tecnica, dall’illusione che assieme al
progresso ed alla crescita materiale si sarebbe affiancata
anche una crescita spirituale, ma fu solo un illusione per
coloro che sempre, disprezzarono il passato.
Il progresso tecnico e sociale (inteso come accrescimento di
tutti i diritti dell’individuo), fu tale che i padri dei
contemporanei si illusero che il futuro fosse più felice per
tutte le persone che avrebbero vissuto il secolo nuovo, ma
questa fu solo un illusione.
Nel periodo in cui la parola “sicurezza” è stata cancellata,
è semplice deridere l’ottimismo di quella generazione
accecata dall’idealismo; convinta che il progresso dovesse
portare anche un rapido miglioramento morale. Le generazioni
“contemporanee” non si lasciano sorprendere dagli scoppi di
brutalità, perché aspettano eventi ancora più atroci dei
giorni futuri.
Essi dovettero concordare con Freud quando egli disse che
“la nostra civiltà è un diaframma molto sottile che può
essere sfondato da degli impulsi distruttivi” che peraltro le
hanno scaraventate indietro di un millennio. L’ottimismo
passato appare così banale davanti ad una catastrofe simile
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Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori
che i contemporanei hanno dovuto saper adattarsi, pur non
riuscendoci completamente.
(S. Zweig, Il Mondo di ieri [1941], pp. 11-18)
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Parte Quarta
Kultur e Zivilisation
1. PREMESSA: IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE
Nel 1918 esce il primo volume del Tramonto dell’Occidente di
Oswald Spengler13. L’anno in cui si chiude la prima guerra
mondiale, viene a coincidere con la pubblicazione dell’opera
che segnerà l’avvio del dibattito sulla crisi della civiltà.
La fine del conflitto viene così a coincidere con il
diffondersi dell’annuncio della fine della civiltà
occidentale. La principale argomentazione che in questo
lavoro abbiamo inteso sostenere è ben esemplificata da questa
coincidenza: fu la traumatica esperienza della guerra
mondiale che produsse la consapevolezza di una frattura nello
sviluppo della storia occidentale, dopo tale evento si guarda
al recente passato dell’anteguerra, come a un mondo di
irrimediabilmente perduto. In realtà non fu la guerra a13 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, il secondo volume uscirànel 1922.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
169
Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
determinare il crollo del mondo ottocentesco e dei suoi
ideali, ma fu essa a risvegliare la cultura europea, ma anche
parte dell’opinione pubblica, dalle illusioni del secolo XIX.
L’opera di Spengler ebbe larga diffusione, tutti i temi che
abbiamo finora trattato sono in essa contenuti e l’approccio
spengleriano costituirà un termine di riferimento obbligato
in tutta la “letteratura della crisi”. I temi della tecnica,
del nichilismo, della decadenza, dell’irruzione delle masse
nella storia, del disfacimento dei valori e del prevalere del
razionalismo sulla forza vitale, sono tutti presenti nel
lavoro di Spengler e danno luogo ad una nuova filosofia della
storia entro la quale viene anche affrontato il problema del
destino dell’occidente.
1.1. La filosofia della storia di Spengler
Abbandonata, perché riduttiva e irrealistica, la filosofia
che concepisce la storia come una totalità processuale
unilineare, finalisticamente orientata al perseguimento di
fini assoluti – la libertà, il progresso, la rivoluzione, il
benessere – Spengler propone un’analisi comparativa della
storia delle civiltà, fondata su alcuni concetti chiave:
l’organicismo, la ciclicità del tempo storico, il relativismo
culturale.
La filosofia della storia di Spengler è costruita
sull’opposizione tra la vita, intesa come creatività infinita
e che trascende ogni concettualizzazione propria della
razionalità scientifica, e le forme cui essa da luogo, in cui
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
tale forza vitale si oggettiva. Il rapporto tra vita e forme
è il rapporto tra il divenire e ciò che è divenuto, le forme
tendono, infatti, a separarsi dalla vita e fissarsi in rigide
strutture sempre più lontane da quella forza che le aveva
generate. Scopo di Spengler è quello di costruire una
morfologia della storia universale, ma, a tale scopo, la logica
meccanica, propria delle scienze naturali, risulta
inutilizzabile. Lo sforzo di Spengler è quello di individuare
ed utilizzare una logica organica, il modello esplicativo, che
per Spengler ha anche un valore ontologico, è dunque quello
organicistico: le culture sono organismi viventi e come tali
vanno studiate.
Oggetto dell’analisi spengleriana è, dunque, il ciclo vitale delle
culture, in quanto organismi viventi esse nascono, realizzano
le potenzialità implicite nella loro natura, quindi si
avviano alla decadenza ed alla morte. A tale importante tesi
risulta complementare l’altra secondo cui ogni cultura è un
unicum irripetibile. Ogni cultura è generata entro una
determinata situazione vitale, razziale e ambientale, fa
riferimento ad un nucleo di valori che ne costituiscono
l’essenza. Non vi è nessuna possibilità di comparare culture
diverse, esse sono irriducibili e incommensurabili. Vengono
meno due fondamentali premesse proprie delle filosofie della
storia di matrice ottocentesca: l’idea della storia come
sviluppo unilineare illimitato e positivo e l’idea di una
storia universale di cui la civiltà occidentale costituisse
il motore. La prospettiva storica di Spengler è totalmente
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
171
Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
altra rispetto a quelle di derivazione romantica, idealista,
marxista e positivista che avevano dominato nel corso del
secolo precedente e tale alterità tocca due punti essenziali,
che definivano i fondamenti stessi dell’idea dell’occidente e
del suo destino: l’universalità del tempo storico e il
progresso come finalità della dinamica storica.
Universalità e unilinearità, sono, secondo l’autore tedesco,
gli errori originari da cui nasce l’incapacità della cultura
occidentale di comprendere il senso della storia e il destino
dello stesso occidente. Non si può ridurre la ricchezza del
divenire storico allo svolgersi di un’unica linea di sviluppo
entro un contesto universalistico. Scopo di Spengler è quindi
quello di partire dall’irriducibile molteplicità delle
culture, ciascuna delle quali risulta comprensibile solo in
riferimento ai propri valori ed alla propria origine, per
studiare il ciclo vitale che tutte le culture attraversano.
La sola possibilità di sottoporre ad un esame generale le
diverse culture, consiste nell’esaminare le fasi vitali che
tutte le culture, attraversano, tutti gli organismi viventi,
nonostante le loro differenze, hanno in comune le fasi del
ciclo vitale: nascita, maturazione e morte, tale ciclo
s’impone come una necessità in quanto è proprio del
metabolismo di ogni cultura.
Vi è dunque una duplice tendenza all’opera nella filosofia
della storia di Spengler, alla generalizzazione della morfologia
della storia universale – che classifica le culture secondo
le varie fasi del loro ciclo vitale, uguali in ciascuna di
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
172
Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
esse, si contrappone un’individualizzazione che tende a
relativizzare ogni cultura alla sua organizzazione vitale e
simbolica interna.
Da questo breve esame della concezione spengleriana della
storia si possono trarre due conclusioni utili alla nostra
analisi. In primo luogo l’abbandono dell’idea di una storia
universale unilineare e progressiva; questa tesi costituirà
la necessaria premessa negativa dell’intero dibattito sulla
crisi dell’occidente in quanto segna il definitivo abbandono
del modello stesso di civiltà e di storia che aveva dominato
nel secolo precedente. In secondo luogo assume un rilievo
enorme la tesi spengleriana che le culture muoiono per
intrinseca necessità inerente alla loro stessa natura: le
culture sono mortali e la morte di una cultura non
costituisce un evento eccezionale e fuori dalla norma,
imputabile ad agenti esterni a quella stessa cultura, ma è il
comune destino di tutte le innumerevoli culture che si sono
succedute nella storia. La scomparsa di intere e complesse
culture non era certo una novità, la storia forniva
innumerevoli esempi di civiltà scomparse, la novità contenuta
nella tesi di Spengler è che la morte delle culture non
andava imputata a fattori esogeni, all’irrompere di forze
estranee a una data cultura e che ne producevano la decadenza
e la morte, nuova in Spengler è l’idea che le culture muoiano
per fattori interni inscritti nel loro stesso metabolismo, le
culture scompaiono perché questo è il loro normale destino,
comune a tutti gli esseri viventi. Quest’idea, da molti
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
accettata e da altri respinta, costituirà, comunque, il
nucleo problematico centrale della discussione sulla crisi
della civiltà occidentale che si svilupperà nell’intervallo
tra i due conflitti mondiali.
1.2. La decadenza delle civiltà: Kultur e Civilisation
Il tema della decadenza e morte delle culture viene
affrontato da Spengler attraverso la contrapposizione di due
concetti fondamentali nella sua concezione della storia:
quelli di Kultur e Zivilisation: “Il tramonto dell’Occidente
significa nulla di meno che il problema stesso della civilizzazione”.14
Prima di ricostruire la concezione spengleriana del tramonto
dell’occidente, è necessario ricordare brevemente la storia
che i concetti di Kultur e Zivilisation ebbero nella cultura
tedesca. Con la rivoluzione del 1789 e il progetto
espansionistico napoleonico che mirava ad esportare il
modello rivoluzionario fuori dalla Francia, si era prodotta
nella cultura tedesca una forte reazione antifrancese tesa a
difendere, in antitesi al modello politico e culturale
francese, l’identità tedesca. Col termine di civilizzazione
ci si riferiva alle idee illuministiche, alla fiducia nella
ragione e nella scienza, ad una concezione ottimistica
dell’uomo e della storia, al cosmopolitismo tipico dell’età
dei lumi. La civilizzazione era l’attuazione di un progetto
fondato sull’idea che l’uomo fosse libero artefice della
storia, la ragione scientifica fosse il suo strumento per
14 Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Longanesi, Milano, 1970, p. 78.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
plasmare la storia e la società, la realizzazione del
benessere materiale e delle idee d’uguaglianza e libertà
fossero lo scopo dell’intero progetto. Alla Civilisation
francese, gli intellettuali tedeschi contrapponevano la Kultur
tedesca fondata su una concezione pessimistica della natura
umana e su una visione tragica dell’esistenza, intesa come
lotta per imporre un senso al caos. In tale concezione
assumevano un valore fondamentale la religione, il genio
creativo, l’immaginazione superiore, l’irrazionalità e i
valori vitalistici, inoltre prevaleva una visione della
società fondata non sull’individuo e i suoi diritti, ma sulla
comunità considerata come una totalità unita da vincoli di
sangue, lingua e cultura.
Spengler, riprendendo questi concetti, li rielabora,
inserendoli nella sua concezione della storia. La
civilizzazione rappresenta la fase finale della vita di una
civiltà, se la Kultur costituisce la realizzazione del
progetto vitale sotteso ad ogni civiltà, “la civilizzazione è
l’inevitabile destino di una civiltà”15, il suo momento
conclusivo che ne precede la scomparsa. Ogni civiltà viene
generata dalla forza creativa della vita che si contrappone
al caos imponendo ad esso un proprio progetto, una propria
idea. La storia successiva di ogni civiltà è la realizzazione
di tutte le potenzialità in essa contenute, il suo sviluppo è
il dispiegarsi delle sue possibilità nel tempo fino al loro
compimento. Subentra allora il decadimento, perché la civiltà
15 Spengler, Ibidem, p. 80.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
ha esaurito la propria forza vitale e le forme da essa create
si irrigidiscono: questa fase di irrigidimento, che precede
la morte di una civiltà, è definita da Spengler civilizzazione.
Secondo la diagnosi di Spengler, tutti i sintomi che
l’Occidente abbia imboccato la via della civilizzazione, sono
presenti già nel XIX secolo che costituisce il momento
cruciale della svolta in cui l’Europa passa dalla fase della
civiltà a quella della civilizzazione: “Civiltà e
civilizzazione sono come il corpo vivo di un’anima e la sua
mummia. In tali termini si distingue l’esistenza euro-
occidentale di prima e dopo il diciannovesimo secolo …”16.
La Kultur si fonda sull’originario rapporto tra la forza
creativa di un popolo e il suo ambiente naturale in cui esso
è radicato, secondo il binomio di sangue e suolo. Inoltre la
Kultur vive nella tradizione e nella sua forza che fornisce
un sistema globale e unitario, costituente l’identità propria
della civiltà e veicolato dalla religione, dai miti, dalla
lingua. Nella civilizzazione si attua, invece, lo
sradicamento della civiltà dal suolo e dalla tradizione, ciò è
ben rappresentato dall’uomo-massa che vive nella città e che
ha perduto il legame con il proprio ambiente originario e la
propria tradizione: “invece di un popolo formato, legato alla
sua terra, un nuovo nomade, un parassita, l’abitante delle
grandi città, il puro uomo pratico senza tradizione, ripreso
in una massa informe e fluttuante, l’uomo irreligioso,
intelligente, infecondo, …”17.
16 Spengler, Il tramonto dell’Occidente, cit., p. 194.17 Spengler, Ibidem, p. 195.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
L’altra fondamentale caratteristica distintiva della
civilizzazione è il prevalere del pensare sull’agire, mentre
la Kultur si caratterizza per la spontaneità e la forza
dell’agire, la civilizzazione si presenta come paralizzata
dalla forza problematizzante del pensiero razionale che frena
l’azione e la snatura, in questo modo la capacità creativa,
grazie alla quale la civiltà cresce, viene perduta e subentra
la paralisi dell’intelletto raziocinante. Il mondo della
civilizzazione è dunque quel mondo della massificazione, del
dominio della scienza e della tecnica, della perdita
dell’identità, che è stato descritto nelle sezioni precedenti
di questa antologia. Il contributo di Spengler fu quello di
fornire una sintesi unificante di tutti questi elementi entro
un quadro concettuale alternativo a quello tradizionale.
Per illustrare il contrasto tra Kultur e Zivilisation ci
siamo serviti di alcune tra le pagine più significative del
romanzo di Thomas Mann “La montagna incantata”, in cui il
tema della decadenza della civiltà occidentale, visto
attraverso la metafora della malattia, è al centro
dell’intreccio. Il conflitto tra Naphta e Settembrini, due
tra principali protagonisti del romanzo, è il conflitto tra
due contrapposte concezioni della civiltà e della storia e se
Settembrini è portatore del progetto positivista, Naphta
appare invece il sostenitore della Kultur, interprete delle
tesi di Spengler sulla decadenza dell’Occidente che ha
intrapreso la strada della massificazione e del dominio della
tecnica.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Per completare il quadro di quest’ultima sezione abbiamo
scelto un brano dello scrittore francese Roman Rolland, che
si fa portavoce degli ideali di progresso e cosmopolitismo
propri della civilizzazione.
Abbiamo concluso la sezione con un breve brano dello
scrittore ed intellettuale francese Julien Benda, tale brano
c’è sembrato particolarmente indicativo perché Benda, pur
muovendosi nell’orizzonte culturale della Civilisation e
partendo quindi da premesse ben diverse rispetto a quelle di
Spengler e anche di Mann, giunge a conclusioni altrettanto
pessimistiche sul futuro dell’Occidente che vede incerto e
problematico. L’interesse degli ultimi due brani è dato dal
fatto che i termini dell’analisi appaiono rovesciati:
l’Occidente corre verso la sua distruzione a causa
dell’irrompere di una nuova barbarie che ha messo fuori gioco
i valori della civilizzazione: pacifismo, cosmopolitismo,
progresso, sono stati spazzati via dal ritorno di una
mentalità fondata sull’irrazionalità, il prevalere della
volontà di dominio e di potenza. Insomma, in Benda e Rolland,
la malattia non è la civilizzazione, ma la Kultur.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
2. SPENGLER
2.1. La Vita e il pensiero
Oswald Spengler (Blankenburg am Harz 1880 – Monaco 1936),
oltre ad essere uno fra i più importanti filosofi dell’epoca,
fu anche uno studioso di matematica, scienze naturali ed
economia politica. Nel 1918 e 1922 apparvero le due parti
della sua opera principale, “Der Untergang des Abendlandes”,
che ottenne subito un enorme successo di pubblico.
In seguito Spengler pubblicò numerosi saggi politici,
raccolti in volume nel 1932, in cui attaccò la Repubblica di
Weimar difendendo posizioni conservatrici.
Per un certo periodo giudicò positivamente anche il nazismo.
Nel 1931 pubblicò inoltre l’opuscolo “L’uomo e la tecnica.
Contributo a una filosofia della vita”; dopo la sua morte
apparvero vari volumi di discorsi, frammenti e lettere.
Spengler irrigidì in una dualità metafisica l’oggettiva
differenza tra la natura e la storia, viste come due realtà
incommensurabili. La natura è secondo Spengler, il regno
dell’inerte ma in particolar modo, il mondo del divenuto, in
altre parole ciò che è stato prodotto dalla vita, staccandosi
poi dalla vita stessa.
E’ quindi il dominio della “cieca necessità causale”, nonché
dell’anonima uniformità e ripetizione”, ossia ciò che può
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
essere espresso tramite le formule matematiche e della
scienza in genere.
La storia è invece il “vitale divenire” ossia il regno della
vita che crea incessantemente nuove forme. Nella storia vale,
quindi, la necessità organica che è propria di ciò che si
manifesta in modo unico ed irripetibile. Di conseguenza,
l’unica logica capace di penetrare la natura è quella
organica che trova il suo strumento nella esperienza vissuta,
ciò che Spengler chiamerà Erlebnis.
La logica organica ci permette di formulare una descrizione
della “forma” o “fisionomia” dell’elemento che costituisce la
storia stessa: la Kultur (la cultura).
La cultura è la cultura positiva, vitale non prima,
comunque, di una sua sana “barbarie”.
Spengler scriveva: “Ogni cultura, ogni sapere, ogni
progredire e ogni declinare, ognuno dei suoi periodi
internamente necessari ha una durata determinata, sempre
uguale, sempre ricorrente con la forma di un Simbolo”. In
questo senso, la Kultur è come tutti gli altri organismi: ha
una sua nascita, un suo sviluppo secondo un suo destino
necessario ed un non meno necessario “tramonto”. Ogni cultura
realizza tutto ciò che le è possibile, il completamento di
tale realizzazione coincide con il suo tramonto. Il culmine
di una cultura è appunto la Zivilitation, intesa come il
raggiungimento degli “stati estremi e più raffinati” di cui
sono capaci solo gli uomini superiori.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Spengler, considerando la cultura come un organismo e
quest’ultimo come una totalità le cui parti hanno rapporti
reciproci necessari e necessitanti, ritiene che ogni aspetto
della cultura è una manifestazione di essa stessa e che non
ha senso al di fuori di essa.
Ogni cultura ha una sua propria “natura”, una sua scienza,
che hanno in essa un valore assoluto; fuori della cultura non
hanno alcun valore.
Quindi mentre non esiste una scienza, né una filosofia, né
una morale universale (cioè valida per tutte le culture),
ogni singola scienza, cultura e morale è assoluta nell’ambito
della cultura cui appartiene.
Si può perciò parlare con Spengler di un”assolutismo
relativo” dei valori stessi, poiché limitato alla durata
della cultura. Inoltre il processo di trasformazione e di
consumazione cui ogni cultura è necessariamente sottoposta
investe anche tutti i suoi principi: una sola necessità
inesorabile presiede a tutti i suoi sviluppi e le sue
vicende; e questo è il destino. “Noi, dice Spengler, non
abbiamo la libertà di realizzare questo o quello, ma la
libertà di fare ciò che è necessario o nulla; ed un compito
che la necessità della storia ha posto, verrà risolto con il
singolo o contro di esso: “Ducunt fata volentem, nolentem
trahunt”. Su queste basi prevede l’inevitabile tramonto della
cultura occidentale che è ormai arrivata alla fase della
piena maturità ( civilizzazione ). La crisi della morale e
della religione, giacché “l’essenza di ogni civiltà è la
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
religione”; il prevalere della democrazia e del socialismo
che sovvertono i rapporti naturali di potere;
l’equiparazione, propria della democrazia e, il
“rovesciamento di tutti i valori” di cui Nietzsche è stato il
profeta, ma che l’Occidente mostra già in atto, sono i
prodromi infallibili della morte della civiltà Occidentale.
Spengler rappresentava la critica ai disegni progressisti
dello sviluppo dell’umanità (sostituendo ad essa una visione
ciclica della storia), Spengler significava ancora
l’ontologia come metodo di tale comparazione, significava
parlare delle civiltà al plurale, nella loro particolarità e
nel loro ritmo vitale di nascita, crescita e morte,
presupponendo una presunta fine di un mondo. Ma, soprattutto,
quest’opera significava la perdita delle speranze sul futuro
dell’Occidente, poiché già entrato nella fase della
“Zivilization” caratterizzata dal prevalere dello stato sugli
individui, dal dominio della tecnica, della politica e del
denaro.
2.2. Il Brano di Spengler: il tramonto dell'Occidente e le
illusioni del progresso.
Antichità, medioevo, età moderna: questo è lo schema inverosimilmente
scarno e privo di senso che dominando incondizionatamente il
nostro pensiero storico ci ha sempre impedito di conoscere
esattamente il luogo proprio del particolare mondo
sviluppatosi dal tempo dell'Impero sul suolo dell'Europa
occidentale nei suoi rapporti con la storia complessiva
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
dell'umanità superiore, e così pure il rango, la figura e
soprattutto la durata di esso. Alle future civiltà sembrerà
quasi incredibile che quello schema semplicistico di un
decorso lineare, che con le sue proporzioni assurde appare di
secolo in secolo sempre più inadatto a inquadrare in modo
naturale i nuovi domini dischiusisi alla nostra coscienza
storica, abbia potuto mantenere così a lungo una indiscussa
validità. […]
Propria a tale schema è una limitazione della storia
riguardo non solo il tempo, ma anche - e ciò è ancor peggio -
il luogo. Qui il paesaggio dell'Europa occidentale va a
costituire il polo immobile (non si sa per quale ragione, se
non forse perché noi, autori di tale immagine della storia,
proprio in Europa abitiamo), polo intorno al quale millenni
della storia più possente e civiltà immense e lontane
umilmente graviterebbero.
Ma è un metodo del tutto assurdo d'interpretazione storica
quello di chi, lasciata briglia sciolta alle proprie
convinzioni politiche, religiose o sociali, alle tre fasi,
che non osa modificare, dà proprio la direzione che le
conduce là dove egli si trova, imponendo caso per caso come
misura assoluta a millenni di storia la sovranità della
ragione, l'umanitarismo, la felicità dei più, l'evoluzione
economica, l’illuminismo, la libertà dei popoli,
l'assoggettamento della natura, la pace mondiale e via
dicendo, e dandosi a dimostrare che quei millenni non
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183
Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
compresero o non seppero raggiungere quel che dovevano,
mentre, in verità, essi vollero solo cose diverse da
quelle che noi vogliamo. […] nei confronti della storia
dell’umanità superiore, per quel che concerne il corso del
futuro domina un ottimismo sfrenato, incurante di ogni dato
dell'esperienza sia storica che organica, per cui ognuno ritiene
di poter individuare nella contingenza dell'oggi gli «inizi »
di una qualche «ulteriore evoluzione» lineare e meravigliosa,
non perché essa sia provata scientificamente, ma solo perché
corrisponde a quel che si desidera. Qui si pensa a
possibilità illimitate, mai a una fine naturale; e partendo
dalla situazione del momento si va a costruire in modo
affatto ingenuo una futura evoluzione.
Ma «l'umanità» non ha alcuno scopo, alcuna idea, alcun
piano, così come non lo ha la specie delle farfalle o quella
delle orchidee. «Umanità» è o un concetto zoologico o un
vuoto nome. Si bandisca questo fantasma dal dominio dei
problemi storici della forma e allora si vedrà apparire una
sorprendente dovizia di vere forme. Qui regna una sconfinata
ricchezza, una profondità e una dinamicità della realtà
vivente finora nascoste da parole d'ordine, da aridi schemi,
da «ideali» personali. Invece della squallida immagine di una
storia mondiale lineare, cui ci si può tenere solo se si
chiudono gli occhi dinanzi alla massa schiacciante dei fatti,
io vedo una molteplicità di civiltà possenti, scaturite con
una forza elementare dal grembo di un loro paesaggio materno,
al quale ciascuna resta rigorosamente connessa in tutto il
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
suo sviluppo: civiltà, che imprimono ciascuna la propria forma
all'umanità, loro materia, che hanno ciascuna una propria idea
e delle loro proprie passioni, una propria vita, un proprio
volere e sentire, una propria morte.
Vi è una giovinezza e una senilità nelle civiltà, nei
popoli, nelle lingue, nelle verità, negli dei, nei paesaggi -
come vi sono querce e pini, fiori, rami e foglie giovani e
vecchi: mentre una «umanità» al singolare che via via si
invecchi, non esiste.
Ogni civiltà ha proprie, originali possibilità di
espressione che germinano, si maturano, declinano e poi
irrimediabilmente scompaiono. Esistono molte arti plastiche,
pitture, matematiche, fisiche profondamente diverse nella
loro essenza, ciascuna con una sua limitata via, ciascuna in
sé conchiusa, come ogni specie vegetale ha i suoi fiori e i
suoi frutti, il suo tipo di sviluppo e di deperimento. Queste
civiltà, organismi viventi d'ordine superiore crescono in una
magnifica assenza di fini, come i fiori dei campi. Come le
piante e gli animali, esse appartengono alla natura vivente
di Goethe e non a quella morta di Newton. Nella storia
mondiale io vedo un eterno formarsi e disfarsi, un
meraviglioso apparire e scomparire di forme organiche. Invece
lo storico di mestiere la concepisce quasi come una tenia che
produce instancabilmente epoche su epoche. […]
Nell’antichità si aveva la retorica, nell'Occidente si ha il
giornalismo e, invero, al servigio di quella cosa astratta
che rappresenta la potenza della civilizzazione, il danaro. […]
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
E l'arte? E la filosofia? Gli ideali del tempo di Platone e
di Kant valevano per una umanità superiore; quelli
dell'ellenismo e del giorno d'oggi, soprattutto il socialismo
e il darwinismo (ad esso interiormente così affine con le sue
formule affatto antigoethiane della lotta per l'esistenza e
della selezione naturale), i problemi del femminismo e del
matrimonio (a ciò parimenti connessi), quali si affacciano in
lbsen, in Strindberg e in Shaw, la tendenza impressionistica
verso un sensualismo anarchico, tutto il complesso delle
nostalgie, degli stimoli e dei dolori moderni quali si
esprimono nella lirica di Baudelaire e nella musica di
Wagner, non esistono per il senso del mondo dell'uomo del
villaggio e, in genere, della natura, esistono
esclusivamente, per l’uomo cerebrale delle grandi città. […]
A una civiltà appartiene la ginnastica, il torneo, l'agone,
alla civilizzazione lo sport. [...] Appare una nuova filosofia
realistica che per le speculazioni metafisiche ha solo un
sorriso, appare una nuova letteratura che per l'abitante
delle grandi città diviene un bisogno, mentre per il
provinciale è incomprensibile e odiosa.
I Greci li possiamo comprendere anche senza considerare la
loro vita economica. Invece i Romani solo in funzione di essa
possiamo capirli. A Cheronea e a Lipsia si combatté per
l'ultima volta per una idea. Ma nella prima guerra punica e a
Sedan il fattore economico non può esser più trascurato. […]
Né sfuggiranno le corrispondenze quanto alle relazioni con lo
stoicismo e il socialismo.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Nell'imperialismo bisogna saper vedere il simbolo tipico di una
fine. Ora, proprio tale forma è l'ineluttabile destino
dell'Occidente. Nell'uomo di una civiltà la forza è rivolta
all'interno, in quello di una civilizzazione è rivolta
all'esterno. Perciò in Cecil Rhodes io vedo il primo uomo di
una nuova età. Egli incarna lo stile politico di un lontano
futuro occidentale, germanico e soprattutto tedesco. Il suo
detto: «L'espansione è tutto», esprime, nella sua
formulazione napoleonica, la tendenza più caratteristica di
ogni civilizzazione matura. Ciò valse già per i Romani, per
gli Arabi, per i Cinesi. Qui non vi è scelta. Qui, a
decidere, non sta la volontà cosciente né del singolo né di
intere classi o nazioni. La tendenza espansiva è una
fatalità, qualcosa di demonico e di mostruoso, che afferra
l'uomo ultimo dello stadio delle grandi città, costringendolo
a servirlo e sfruttandolo, lo voglia egli o no. Vivere
significa realizzare il possibile e l'uomo cerebrale conosce
solo possibilità di espansione.
Rhodes ci appare dunque come il precursore di un tipo
occidentale cesareo, per il quale i tempi tuttavia non sono
ancora giunti. Egli si trova in una posizione intermedia tra
Napoleone e il tipo di uomo violento dei prossimi secoli. […]
Ma già Rhodes identifica la politica vittoriosa al solo
successo territoriale e finanziario. In una tale forza e
purità la civilizzazione euro-occidentale non si era ancor
mai incarnata. […] tutto ciò è il preludio, grande e
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
magnifico, di un'epoca a venire con la quale la storia
dell'uomo euro-occidentale si chiuderà definitivamente.
Così l'imperium romanum non ci appare più come un fenomeno
irripetibile, ma come il prodotto normale di una
intellettualità rigorosa ed energica, cosmopolita,
eminentemente pratica e come uno stadio finale tipico che già
si era realizzato più volte, ma che finora non era stato ben
identificato. Dobbiamo, dunque, riconoscere che il
diciannovesimo e il ventesimo secolo, presunte culminazioni
di una storia mondiale linearmente evolutiva, possono
ritrovarsi come stadio ben definito alla fine di ogni civiltà
giunta alla sua maturità estrema, non riferendoci
naturalmente ai socialisti, agli impressionisti, alle
ferrovie elettriche, ai siluri e alle equazioni differenziali
che appartengono soltanto al corpo di un'epoca, bensì allo
spirito da civilizzazione che può anche rivestire tutt'altre
forme esterne; che l'epoca presente rappresenta dunque uno
stadio di transizione, il quale, date certe condizioni,
interviene dovunque in modo certo; che però esistono anche
stadi ben determinati ancor più spinti di quelli attuali euro-
occidentali e già ripetutamente apparsi nel corso della
storia; che, di conseguenza, il futuro dell’Occidente non
sarà un illimitato ascendere e andar avanti nella direzione
dei nostri ideali del momento, per spazi fantastici di tempo,
bensì un episodio della storia rigorosamente circoscritto e
incontrovertibilmente determinato quanto a forma e a durata,
episodio che abbraccerà pochi secoli e i cui tratti
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
essenziali possono essere predetti e calcolati in base ai
precedenti esempi.
(O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, [1918-22] pp. 54-55, 60-
63, 84-91)
2.3. Commento al brano di Spengler.
Il problema trattato dall’autore è costituito dalla
filosofia della storia. Egli si propone, in tale sede, di
esplicitare i limiti della concezione occidentale della
storia.
Primo limite è la concezione del tempo: la linearità è
scorretta e la tripartizione (antichità-medioevo-età moderna)
è semplicistica.
Secondo limite è lo spazio: tendiamo ad avere una concezione
eurocentrica della storia. Gli storici, inoltre, tendono a
individuare un fine assoluto allo sviluppo storico della
civiltà, in realtà tale finalità è assente dalla storia reale
e non è altro che la proiezione delle idee e dei valori dello
storico.
Secondo Spengler le civiltà non mirano alla realizzazione di
fini, ma a realizzare tutte le possibilità di sviluppo che
loro si offrono. L’umanità non ha un fine assoluto che la
storia tende a realizzare. Il soggetto della storia sono
quindi le singole civiltà, non un’astratta e inesistente
umanità in generale.
Civiltà diverse non sono paragonabili, ognuna infatti ha i
propri valori. Evidenziando le caratteristiche della civiltà
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
occidentale e delle altre civiltà, Spengler afferma che ogni
civiltà è incommensurabile con le altre. Ed è proprio la
diversità dei valori, delle tradizioni, dei costumi di
ciascuna civiltà che costituisce una vera e propria ricchezza
dei modi di vita.
La concezione della storia di Spengler è organicista, le
civiltà come gli organismi viventi hanno un ciclo vitale e
quindi possono anche morire.
L’ottocento, il secolo della storia, aveva riposto nella
storia l’identità e il destino della civiltà occidentale,
Spengler, scardinando i concetti fondamentali di quella
filosofia della storia, cancellava d’un colpo l’essenza stesa
dell’occidente.
Si riaprivano così, di fronte alla civiltà europea, tutte le
possibilità, possibilità che, però, venivano a prospettarsi
in chiave catastrofica e negativa a causa dell’esperienza
traumatica della guerra. E’ interessante sottolineare che
Spengler scrisse il Tramonto dell’Occidente durante la
guerra; certamente l’esperienza traumatica della guerra, che
fu la negazione dei valori su cui la civiltà occidentale
aveva costruito la propria immagine di sé, fu decisiva nel
condizionare sia l’opera di Spengler, sia la forte
impressione che essa suscitò nell’opinione degli
intellettuali.
Era possibile ora avanzare nuovi e preoccupanti
interrogativi sulla civiltà occidentale e sul suo futuro: il
vantato primato della civiltà occidentale doveva ancora
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
essere dato per scontato? O la carneficina e il fallimento
degli ideali di progresso provocati dalla guerra erano il
segno che tale superiorità era infondata? Quali erano le
cause della decadenza dell’occidente? Si era, forse, vicini,
alla fine della civiltà occidentale come pensava Spengler? In
che modo era stato possibile che scienza e tecnica, non solo
non mantenessero le loro promesse, ma, addirittura,
producessero esiti opposti rispetto a quelli che
ottimisticamente il positivismo si era aspettato? Quale
significato e quali conseguenze aveva sull’assetto sociale il
nuovo fenomeno del protagonismo delle masse?
Di fronte a queste drammatiche domande la voce di Spengler
si levava per annuanciare der Untergang des Abendlandes.
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3. THOMAS MANN
3.1. La Vita e Le Opere
Thomas Mann nacque in una delle famiglie più influenti
dell'aristocrazia di Lubecca, dimostrò precocemente, come il
fratello Heinrich, una vocazione letteraria.
Alla morte del padre, liquidata la ditta, la famiglia si
trasferì a Monaco di Baviera. Qui Mann frequentò gli ambienti
artistici e collaborò a riviste tra cui il "Simplicissimus".
Nel 1905 sposò Katja Pringsheim, dalla quale ebbe sei figli.
Nel 1914 aderì al movimento nazionalistico favorevole alla
guerra. Documento delle sue posizioni, in polemica con quelle
progressiste e democratiche del fratello Heinrich, sono le
notevoli "considerazioni di un impolitico" in cui Mann
contrappone la Kultur (civiltà spirituale) tedesca alla
Zivilisation (civiltà o progresso materiale) dei paesi
occidentali. Solo nel 1922 prese posizione in difesa della
democrazia.
Nel 1929 gli fu conferito il premio Nobel. Nel 1933, subito
dopo l'ascesa di Hitler al potere, Mann recatosi all'estero
per un giro di conferenze, decise di non rientrare in patria.
Tra il 1933 e il 1938 visse prevalentemente in Svizzera e nel
1938 si trasferì negli U.S.A. a Princeton e dal 1940 in
California. Durante la guerra svolse attività propagandistica
antihitleriana con scritti e messaggi radio. Nel 1944 aveva
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
preso la cittadinanza americana e nel 1952 si stabilì a
Zurigo. Morì nel 1955.
Il piccolo signor Friedemann (1898), i Buddenbrook (1901),
Tristano (1903), Altezza reale (1909), La morte a Venezia
(1912), La montagna incantata (1924), Giuseppe e suoi
fratelli (1933), Il giovane Giuseppe (1934), Giuseppe in
Egitto (1936), Giuseppe il nutritore(1943), Carlotta Weimar
(1939), Doktor Faustus (1947) L'eletto (1952), Confessioni
del cavaliere d'industria Felix Krull (1954).
Fu anche un grande novellista, scrisse infatti:
Cane e padrone (1919), Disordine e dolore precoce (1926),
Mario ne il mago (1930), Le teste scambiate (1940), La legge
(1944), e inoltre una produzione saggista.
3.2. Il Pensiero
Mann fu profondamente influenzato da Nietzsche e
Schopenhauer, in seguito Mann profittò delle scoperte di
Freud e di una più larga visione culturale di tipo europeo,
mentre il suo modello etico-estetico diventò sempre più
Goethe, che aveva saputo conciliare realismo e lirismo,
razionalità e passione, classicismo e innovazione, vita e
spirito. E' nella rappresentazione della crisi spirituale
europea che l'opera di Mann raggiunge i migliori risultati.
Dopo le prime opere si servì di strumenti ironici e
parodistici, raggiungendo la perfezione letteraria. Mann
portava in sé tutta l'eredità spirituale della grande crisi
con l'aggravante che le due forze opposte, il lucido intuito
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
della realtà proprio dello spirito borghese e la sensibilità
decadente in cui sboccò la cultura, coesistevano e agivano
simultaneamente, fusi in uno stato d'animo unico, ricco di
contrasti ma indissociabile.
E' proprio la posizione di travaglio spirituale che diventa
la sorgente dell'arte di Mann. Un motivo sempre ricorrente
nell'arte di Mann è la morte, molto spesso causata dalla
malattia, ma ciò che colpisce è come e quanto si muore. La
moderna narrativa tedesca non possiede un'opera in cui il
motivo della morte sia così insistente. Ogni morte è diversa:
ognuno ha la sua morte così come ha avuto la sua vita.
Nei Buddenbrook, per esempio, vi sono tantissime pagine
dedicate alla morte e alla sepoltura di molti personaggi.
Inoltre nei Buddenbrook è presente l'analisi scientifica del
tifo, nelle descrizioni di Mann vi è quasi un virtuosismo
della poesia della morte.
La religione per Mann inizialmente rappresentava il
fondamento spirituale d’ogni agire, aveva una funzione di
supporto; non si sa per quale motivo, ma probabilmente dopo
le letture di Schopenhauer e Nietzsche, Mann pensa che la
religione non possa più conferirgli quella sicurezza
interiore alla cui mancanza egli ovvia sempre più attraverso
il comportamento esteriore.
Scomparsa l'ebbrezza effimera che gli aveva dato la lettura
di Schopenhauer egli tenta di ancorarsi alla religione dei
padri, ma le sue promesse non bastano a soddisfarlo. Una vera
soluzione ancora sembra offrirgli l'opera: Il mondo come
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
volontà e rappresentazione. Mann vi scorge dapprima la
condanna della vita, l'esaltazione del diritto alla
sofferenza. Ma questa sottile soddisfazione si trasforma in
qualcosa di diverso: Schopenhauer si rovescia in Nietzsche.
Il rovesciamento è già insito in Schopenhauer stesso, perché
l'esortazione a liberarsi dal principio di individuazione, a
ricongiungersi col tutto, non è altro se non l'esortazione a
rientrare nella volontà di vivere che è il noumeno al di
sotto delle apparenze. La volontà di vivere appare come il
nirvana.
Altro punto fondamentale dell'opera di Mann è la decadenza:
essa mette in luce l'elemento repressivo implicito nei valori
borghesi. La decadenza fa esplodere le contraddizioni insite
in tutta la civiltà borghese.
Mann si divide tra l'attaccamento formale alla tradizione
borghese e alla sua negazione, tra repressione e rivolta
contro la repressione, che appare nell'arte, tra la decadenza
che si abbarbica ai valori perduti e quella che si abbandona
a se stessa e ne trova di nuovi.
Egli dovrà cercare per tutta la vita una mediazione tra i
valori della repressione borghese, in cui continua a credere
come valori fondatori di civiltà(trovando conferma in Freud)
e il sogno dischiuso della decadenza: due mondi di valori
entrambi ambigui perché se il primo uccide lo spirito, il
secondo, che dallo spirito è nato, rischia di rivolgersi
contro ogni ordine umano e di condurre all'irrazionale e alla
barbarie.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
3.3 I Brani di Mann: cultura e civiltà.
Civilizzazione e cultura non soltanto non sono un’unica e
stessa cosa, ma termini antitetici; formano una delle
molteplici manifestazioni dell’eterna discordanza della
nostra umanità e del contrasto fra spirito e natura. Cultura
significa unità, stile, forma, compostezza, gusto; è una
certa organizzazione spirituale del mondo, sia pur tutto ciò
avventuroso, scurrile, selvaggio, sanguinoso, pauroso. La
cultura può comprendere l'oracolo, la magia, la pederastia,
il cannibalismo, culti orgiastici, inquisizione, autodafé,
ballo di S. Vito, processi di streghe, fiorir di venefici e
delle più varie atrocità. è invece ragione, illuminismo,
distensione, ritegno, compostezza, scetticismo,
chiarificazione … spirito. Sì, lo spirito è civile, è il
nemico giurato degli istinti, delle passioni, è
antidemoniaco, antieroico, ed è solo un controsenso apparente
quando si afferma che è anche antigeniale. (T.Mann,
Pensieri di guerra [19141, in Scritti storici e politici, p. 35)
Già quasi non sarei uno scrittore tedesco, se non avessi mai
lavorato di variazioni su questo tema e non avessi tentato di
dare una cristallizzazione «definitiva» a questi termini
tanto polivalenti e consunti. Questo tentativo è stato fatto
in Germania centinaia di volte prima di me, da poeti e da
pensatori, senza che riuscisse ad imporsi un'accezione unica,
valida per tutti, se non quella che riporta la «cultura» alla
sfera dello spirito e la «civilizzazione» a quella della
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
materia. Io la trovai insufficiente, anzi sbagliata,
sembrandomi che in tal modo si facesse troppo poco onore alla
civilizzazione. Mi dicevo che la civilizzazione non solo è
anch'essa qualcosa di spirituale, ma che, di più, è
addirittura lo spirito stesso, spirito nel senso della ragione,
dell'urbanità di vita, del dubbio, dell'illuminismo e infine
della disgregazione, mentre la cultura significa al contrario
il principio dell'organizzazione e della costruzione
artistica, il principio che alimenta e illumina la vita. […]
Sciagurati che siete, il vostro inevitabile e inesorabile progresso
uccide l'arte Ma povera arte! Ne sono ben sicuro. Quelle
società che più erano contagiate dalla superstizione, erano
anche le grandi fautrici dell'arte. Datemi la prova che si
può avere un'arte della ragione, della verità,
dell'esattezza, ed io passo subito con armi e bagagli dalla
vostra parte. Come musicista Le dichiaro che, se Lei elimina
l'adulterio, il fanatismo, il crimine, l'errore e il
soprannaturale, non potrà essere mai più scritta una sola
nota di musica. Le assicuro che io scriverei una musica molto
migliore, se credessi a tutto quello che non è vero. Dirò,
per riassumere, che l'arte va declinando nella misura in cui
progredisce la ragione. Lei non ci crede, ma è pur vero.
Provi a crearmi oggi un Omero, un Dante. Con che materia? La
fantasia vive di chimere e di visioni. Se Lei mi sopprime le
chimere, naturalmente la forza dell'immaginazione è finita.
Niente più arte, scienza dappertutto. Nel caso che Lei mi
chiedesse, se questo sarebbe poi un gran male, La lascio in
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
pace e non discuto più, perché Lei ha ragione. Peccato,
tuttavia, un gran peccato... ».
«Perché Lei ha ragione»: questo è il riconoscimento ironico
del progresso della civilizzazione fatto da un artista
francese che appunto vede in questo «inevitabile» progresso
il dissolvimento e la rovina dell'arte. L'antitesi congenita
fra civilizzazione e cultura non è espressamente formulata
nelle sue parole, ma è una convinzione che ne scaturisce
senza lasciare dubbi. Affermando che le società più
contagiate alla superstizione sono state le grandi fautrici
dell'arte, Bizet in sostanza, vede in quelle società
superstiziose esattamente la cultura stessa, e intende quello
che intendo io quando dico che la cultura non esclude la
«sanguinosa ferocia», mentre la civilizzazione mitiga la
ferocia, illumina la superstizione, svampa l'ardore delle
passioni. La cultura lega, la civilizzazione porta il
dissolvimento. E’, una cosa che si tocca con mano. Chi vorrà
proibirmi di vedere le cose a questo modo, se a questo modo
le vedo? E ancora: non rendo forse onore alla civilizzazione?
L'avevano definita un fatto materiale: bene, io lo nego. Si è
tentato di definirla come la semplice condizione umana,
ordinata, addomesticata dallo stato. Nemmeno questo mi basta,
perché io vedo che è un principio troppo spirituale per
fermarsi e ingabbiarsi nello stato, ha troppa volontà di
dissolvimento per non mirare anche al dissolvimento dello
stato. Lei è francese, e vorrebbe negarlo? La civilizzazione
non si accontenterà di sfaldare lo stato: addormenterà anche
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
le passioni nazionali, le porterà alla pace della tomba.
Realizzerà un mondo esperantizzato in pace, dove ogni guerra
è impossibile. Io ci credo, come vede, io credo nel suo
avvento, e come potrei non crederci? Essa è certamente
l'avvenire, è il progresso stesso. Il pacifismo è
naturalmente un fatto, anzi, in fondo, il fatto precipuo e
principale, della civilizzazione che persegue pace e purezza,
perché è letteratura, è spirito. […]
Kant ha inciso anche su di me, semplicemente perché io sono
tedesco; possiedo anch'io quanto poteva darmi senza averlo
mai studiato alla maniera dei dotti. Così, ora per me è come
se la guerra attuale che, certo, vista da un lato, è una
guerra di potenza e di interessi, ma vista dall'altro è anche
una guerra d'idee, fosse già stata combattuta su un piano
soltanto spirituale; come se già una volta lo spirito tedesco
«con profondo ribrezzo», come dice Nietzsche, si fosse
sollevato contro «le idee moderne», le idee dell'occidente,
del diciottesimo secolo, contro l'illuminiamo e lo
sfaldamento della persona, la civilizzazione e la
disgregazione: quasi che proprio in Kant, lo spirito tedesco,
volto alla società, al mantenimento dei valori, costruttivo e
organizzativo, si fosse ribellato contro il nihilismo
occidentale, dopo essere passato lui stesso attraverso gli
abissi dello scetticismo erosivo di ogni valore.
(Mann, Considerazioni di un impolitico [1918], pp. 144-46, 149)
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Per progresso Giovanni Castorp aveva inteso fino allora
qualcosa come lo sviluppo della tecnica nel diciannovesimo
secolo; d’altronde trovava anche che il signor Settembrini
non disprezzava cose simili e che neppure suo nonno le aveva
disprezzate. L'Italiano rendeva onore alla patria dei suoi
ascoltatori perché là erano state inventate l'arte della
stampa e la polvere da sparo, perché essa aveva spezzato la
corazza del feudalismo, rendendo possibile il propagarsi
delle idee democratiche. Lodava dunque la Germania sotto tale
punto di vista e per quanto riguardava il passato, ma credeva
di dover dare la palma alla sua propria patria perché, mentre
le altre nazioni giacevano ancora nell'oscurantismo e nella
schiavitù, essa aveva inalberato la bandiera del progresso
intellettuale, della cultura, della libertà. Tuttavia
l'omaggio che rendeva alla tecnica ed alle comunicazioni,
campo di lavoro di Giovanni Castorp, non era diretto
precisamente alle potenze in sé, ma a tali potenze solo
perché da quelle risultava un perfezionamento morale
dell’individuo. La tecnica - diceva sottomettendo sempre più
la natura con mezzi di comunicazione, con lo sviluppo delle
reti stradali e telegrafiche, vincendo le differenze di
clima, si dimostra il mezzo maggiormente atto ad avvicinare
l'un l'altro i popoli, a favorirne la vicendevole conoscenza,
a iniziare fra essi un equilibrio umano, a distruggere i loro
preconcetti e finalmente ad instaurare una unione generale.
La razza umana proviene dal buio, dalla paura, dall'odio ma
essa procede e si innalza sopra una via luminosa, verso uno
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
stato finale di simpatia, di intima chiarezza, di bontà e di
felicità, e la tecnica è il miglior veicolo per procedere su
tale via. [...]
Secondo la visione di Settembrini, nel mondo si combattevano
due principi: la potenza e il diritto, la tirannia e la
libertà, la superstizione e la scienza, il principio del
perseverare e quello del movimento e del progresso. Si
potrebbe chiamare l'uno il principio asiatico, l’altro quello
europeo, - diceva – poiché l’Europa è la terra della
ribellionone, della critica e dell'attività riformatrice,
mentre la parte orientale del mondo è la terra che
personifica la calma inerte, l'immobilità. Naturalmente non
si poteva nutrir dubbio alcuno su quale delle due potenze
avrebbe vinto alla fine: avrebbe vinto certamente quella
dell'attività riformatrice, del movimento, del progresso,
poiché la solidarietà umana traeva sempre nuovi popoli sulla
sua via luminosa, conquistava sempre più terre nella stessa
Europa e cominciava a penetrare anche in Asia. […]
Ogni processo di perfezionamento morale ha origine dallo
spirito della letteratura, da questo spirito di dignità, il
quale è nello stesso tempo lo spirito dell'umanità e della
politica. Sì, esso è un tutt'uno, è la stessa potenza ed idea
e si può chiamare con un unico nome. Qual è questo nome?
Questo nome si compone di sillabe, il cui senso e maestà;
esso è: civiltà.
[Naphta]: per quanto riguarda la degradazione dell’uomo,
essa si verifica storicamente in concomitanza con la
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
degradazione dello spirito cittadino. Il Rinascimento, il
progresso, le scienze naturali ed economiche del
diciannovesimo secolo non hanno tralasciato di insegnare
nulla di quanto sembrava loro atto a promuovere questa
degradazione, a cominciare dalla nuova astronomia che fece
del centro dell'universo, del nobile teatro sul quale Dio e
il diavolo combattono per il possesso dell'uomo ardentemente
bramato da ambedue, un piccolo pianeta qualsiasi, e pose
temporaneamente fine alla grandiosa posizione cosmica
dell'uomo, sulla quale d'altronde si fondava l'astrologia.
[…]
Abbiamo qui citato a caso un esempio per dimostrare in qual
modo Naphta si ingegnasse di turbare il sano raziocinio. Ma
era peggio ancora quand'egli veniva a parlare della scienza,
alla quale non credeva. Non vi credeva - andava affermando -
poiché l'uomo era completamente libero di credere o di non
credere nella stessa. Quella era una fede come un'altra,
soltanto peggiore e più stupida di ogni altra. Perfino la
parola «scienza» in se stessa era l’espressione del realismo
più scipito che non si vergognava di prendere per oro colato
le problematiche immagini dell'oggetto riflesse
nell'intelletto, e di combinare con esse il dogmatismo più
sciocco e miserevole che mai fosse stato offerto all'Umanità.
Il concetto di un mondo sensibile esistente per se stesso non
era forse la più ridicola delle autocontraddizioni? Ma la
scienza naturale moderna, quale dogma, viveva esclusivamente
della premessa metafisica che le nostre forme di conoscenza:
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
spazio, tempo, causalità, nelle quali il mondo dei fenomeni
si rispecchia, fossero circostanze reali che potessero
esistere indipendentemente dal nostro intelletto.
Quest’asserzione monistica era la più grande spudoratezza che
fosse mai stata offerta allo spirito. Spazio, tempo,
causalità, in linguaggio monistico significavano sviluppo. In
questo consisteva il dogma centrale della pseudoreligione del
libero pensiero e dell'ateismo, col quale si voleva mettere
fuori uso il libro di Mosé contrapponendolo ad una favola
quanto mai stupida di scienza progredita, come se Haeckel
fosse stato presente al sorgere del mondo. Empirismo! E
l'etere universale rappresentava forse qualcosa di esatto?
L'atomo, quel grazioso scherzo matematico della «particella
più piccola e indivisibile», era provato? La dottrina della
incommensurabilità e realtà dello spazio e del tempo,
poggiava forse sull’esperienza? In verità, premettendovi un
po' di logica, si sarebbe arrivati a conseguenze e a
risultati allegri con tale dottrina: si sarebbe arrivati al
risultato del nulla. Alla concezione che il realismo è il
vero nichilismo. Perché? Per il semplice motivo che il
rapporto di ogni e qualsiasi grandezza verso l'infinito è
uguale a nulla. Non v'è grandezza nell'infinito, non v'è
durata né mutamento nell'eternità. Siccome
nell’incommensurabilità spaziale ogni distanza è
matematicamente uguale a zero, non vi possono essere neppure
due punti vicini, per tacere di corpi e meglio ancora di
movimenti. Umanità degna di compassione, quella che da
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
un'esposizione millantatrice di cifre senza valore s'era
lasciata persuadere della propria nullità e defraudare del
pathos della propria importanza!
(T. Mann, La montagna incantata [1924], vol. I, pp. 173-175,
177; vol. II, pp. 60, 379-380)
3.4. Commento del brano di Mann
Il brano contiene due temi che costituiscono la base del
pensiero di Mann: la cultura e la civiltà. Nonostante, questi
temi fossero stati già precedentemente trattati da filosofi e
pensatori della Germania, Mann fornisce una chiara
definizione di cosa sia la KULTUR e la ZIVILISATION.
La KULTUR affonda le sue radici alla tradizione ed assume
come modello il medioevo, una società retta da valori morali
e sociali assoluti e trascendenti, avente quindi un identità
forte e precisa. La KULTUR è perciò unità e compostezza,
forma e stile.
La ZIVILISATION è un concetto che risale alla rivoluzione
francese e all’illuminismo, secondo il quale l’uomo è
artefice del proprio destino. Ma l’uomo fa la storia per
mezzo della tecnica e della ragione ossia l’uomo è un
soggetto attivo della storia.
La ZIVILISATION è perciò lo spirito stesso della storia che
porterà inevitabilmente alla disgregazione, cioè al crollo
dell’organizzazione e della costruzione artistica che
caratterizzava la KULTUR.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
E’ evidente quindi un contrasto fra la creazione artistica e
la ragione. Infatti, l’uomo caratteristico della
ZIVILISATION, è indubbiamente molto istruito e capace di
sfruttare al meglio la sua ragione al fine di ottenere mezzi
tecnologici sempre più precisi, ma nel contempo poco
creativi rispetto al passato.
Caratteristica è a proposito una frase citata nel brano:
“l’arte va declinando nella misura in cui progredisce la
ragione.” Da qui deriva una inevitabile controversia tra la
ragione e la creazione artistica. La società moderna, quindi
la ZIVILISATION comporta la rovina e la dissoluzione
dell’arte che caratterizzò le civiltà antiche, nelle quali
Mann riconosce lo spirito della KULTUR in sé.
Quindi secondo Mann la KULTUR è vista come lo spirito
costruttore, mentre la ZIVILISATION è lo spirito di
dissoluzione. Il tema trattato da Mann viene poi accentrato
nella lotta fra KULTUR e ZIVILISATION che si verifica durante
la prima guerra mondiale: in altri termini la prima guerra
mondiale è vista da Mann come la lotta voluta dalla
ZIVILISATION, poiché quest’ultima non «si accontentava di
sfaldare lo stato».
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
4. ROLLAND ROMAIN:
4.1. La Vita e il pensiero
(Clemency, Nievre 1866 – Vézelay, Yonne, 1944)
Scrittore francese e cultore di filosofia, letteratura e
musica, Rolland insegnò storia dell’arte alla “Ecole normale
superiéure” e storia della musica alla “Sorbonne”. Compì
numerosi studi musicologici tra cui si ricordano: vie de
Beethoven (vita di Beethoven), Musiciens d’ autrefois
(Musicisti di un tempo) e la monografia di Beethoven. Nei
“cahiers de la quinzaine” di Peguy cominciò la pubblicazione
della sua massima opera “Jean-Christophe”. Questo romanzo è
la biografia di un immaginario musicista del Reno che lascia
la sua terra natia per trasferirsi a Parigi. Da Parigi, egli
si allontanerà nuovamente deluso dalla fatuità della cultura
francese. Il mondo europeo di fine secolo viene descritto e
confrontato con temi ideali tradizionali e tipici di Rolland
quali: il culto della sincerità e l’esaltazione dell’azione
eroica.
Allo scoppio della prima guerra mondiale Rolland fece
scalpore con l’articolo pacifista “Au dessus de la melée” (al
di sopra della mischia). Nel 1915 gli fu conferito il premio
Nobel per la letteratura grazie all’importanza del suo
“credo” nella fratellanza umana. Nel 1919 Rolland pubblicò il
romanzo “Calas Breugnon”, la storia di un artigiano
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
borgognone del 1600 che, fra gli orrori della guerra, riesce
a mantenere intatto il suo amore per gli uomini. Ancora nel
1919 promosse una “dichiarazione di indipendenza dello
spirito” che fu sottoscritta tra gli altri da A. Einstein, M.
Gor’kij, B. Russel e B. Croce. Rolland fu promotore di una
cultura cosmopolita e controcorrente; egli esaltò in egual
modo Michelangelo e Tolstoy e manifestò simpatie sia per la
rivoluzione sovietica, sia per la non violenza gandhiana.
Negli ultimi anni, caratterizzati dalla sua presa di
posizione contro il nazismo, pubblicò una sorta di diario “le
voyage intérieur” (il viaggio interiore).
4.2. Rolland: l'idolo della Kultur: gli intellettuali nella
mischia.
Di certo anche gli intellettuali sono colpevoli. Infatti, se
possono essersi fatte ingannare le persone semplici che in
ogni paese accettano docilmente le notizie date loro in pasto
dai giornali e dai capi, la stessa cosa non è perdonabile a
chi per professione cerca la verità in mezzo all'errore e sa
quanto valgono le testimonianze dell'interesse o della
passione allucinata; prima di intervenire in questa orribile
disputa, la cui posta era la distruzione di popoli e di
tesori dello spirito, il loro elementare dovere (dovere di
lealtà quanto di buonsenso) sarebbe stato quello di
procurarsi inchieste sulle due parti. Per cieco lealismo e
per colpevole fiducia, si sono gettati a testa bassa nelle
reti che venivano loro tese dal loro imperialismo, hanno
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
creduto che il primo dovere fosse quello di difendere a occhi
chiusi l'onore del loro Stato contro ogni accusa, non hanno
compreso che il sistema più nobile per difenderlo era di
condannarne le colpe in modo da purificarne la loro patria.
[...]
Voi, infelici, voi rappresentanti dello spirito, avete di
continuo celebrato la forza e disprezzato i deboli, quasi non
sapeste che la ruota della storia gira, che questa forza
peserà di nuovo su di voi come nei secoli passati, nei quali,
almeno, i vostri grandi uomini seppero conservare il
vantaggio di non abdicare, di fronte ad essa, alla sovranità
dello spirito e ai sacri diritti della legge!
[…]
Elite europea, abbiamo due cittadelle: la nostra patria
terrestre e la Città di Dio. Dell'una siamo gli ospiti,
dell'altra i costruttori.
Doniamo i nostri corpi e i nostri cuori fedeli alla prima;
ma niente di ciò che amiamo - famiglia, amici, patria -
niente ha diritto sullo spirito.
Lo spirito è la luce, e il nostro dovere è di elevarlo al di
sopra delle tempeste e di scacciare le nuvole che tentano di
oscurarlo.
Il nostro dovere è di costruire più largo e più alto, tanto
da dominare l'ingiustizia e gli odi tra le nazioni, il muro
che cinge la città in cui devono unirsi le anime fraterne e
libere del mondo intero.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Da oltre quaranta secoli, i grandi spiriti che, hanno
raggiunto la libertà si sono sforzati di farne godere i
benefici ai loro fratelli, di emancipare l'umanità, di
insegnarle a vedere la realtà senza paure e senza errori di
guardare in se stessa senza falso orgoglio e falsa umiltà, di
riconoscere le proprie debolezze e le forze per dominarle, di
comprendere qual è il suo posto nell'universo.
E la luce del loro pensiero o della loro vita, come la
stella dei Magi, ha illuminato il cammino dell'umanità. Il
loro sforzo è fallito. Da oltre quaranta secoli, l'umanità
non ha cessato di essere asservita, non dico a dei padroni,
ma ai fantasmi del suo spirito. I padroni sono cambiati, gli
schiavi sono sempre gli stessi. Il nostro secolo ha
conosciuto due nuovi idoli.
Il primo è l'idolo della razza che, generato da sogni
generosi, è diventato nei laboratori di occhialuti scienziati
il Moloch lanciato contro la Francia dalla Germania del 1870,
e che gli avversari di questa, oggi, sembrano voler
ritorcerle contro.
Il secondo e ultimo venuto, autentica creatura della scienza
tedesca fraternamente unita con l’industria, il commercio e
la casa Krupp, è l'idolo della Kultur con la sua cerchia di
leviti costituita dai pensatori della Germania.
La caratteristica comune al culto degli idoli è
l'adattamento di un ideale ai cattivi istinti umani. L'uomo
coltiva i vizi da cui trae vantaggi, non vuole sacrificarli
ma sente l'esigenza di idealizzarli; per questa ragione il
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
problema che non ha mai cessato di tormentarlo, nel corso dei
secoli, è stato quello di conciliare un ideale con la propria
mediocrità.
La folla non ha dubbi, pone sullo stesso piano virtù e vizi,
eroismo e malvagità. La forza delle sue passioni e il rapido
fluire dei giorni la travolgono e le fanno dimenticare la
mancanza di logica.
Ma gli intellettuali non possono trovar soddisfazione così a
buon mercato. Non già perché, come si dice, siano meno
appassionati. (Giudicarli in tal modo è un grave errore).
Questi operai dello spirito amano la perfezione e disprezzano
il modo di pensare popolare, incapace di legare compiutamente
i fili del ragionamento, e hanno bisogno di una stoffa
razionale più unita, dove istinti ed idee si colleghino,
costi quel che costi, in un tessuto senza smagliature. In tal
modo gli intellettuali giungono a mostruosi capolavori. Date
loro un ideale e una passione, non importa quali siano, ed
essi troveranno sempre il mezzo per farli andare d'accordo:
per bruciare, uccidere e saccheggiare sono stati invocati
l'amore verso Dio e la solidarietà tra gli uomini. La
fraternità del '93 è sorella della santa ghigliottina; oggi
abbiamo visto uomini di chiesa cercare e trovare nel Vangelo
la legittimazione dei traffici bancari o delle guerre.
[…]
Ma bisogna riconoscere che né da una parte né dall'altra gli
intellettuali hanno fatto molto onore all'intelligenza:
nessuno l'ha saputa difendere dal soffio della violenza e
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
della follia. C'è una grande frase di Emerson che si applica
molto bene a questa loro sconfitta: « Nothing is more rare in any
man than an act of his own » (Niente è più raro in un uomo di un
atto che venga da lui stesso).
I gesti e gli scritti degli intellettuali sono stati loro
imposti da altri, dal di fuori, dall'opinione pubblica cieca
e minacciosa. Non voglio far torto a quelli che hanno dovuto
tacere perché sotto le armi o perché costretti al silenzio
dalla censura che regna nei paesi belligeranti. Ma l'inaudita
debolezza dei capi del pensiero, che ovunque hanno abdicato
di fronte alla follia collettiva, ha dimostrato assai bene
che essi non avevano carattere.
[…]
Chi abbatterà gli idoli? Chi aprirà gli occhi ai loro
fanatici settari? Chi farà loro capire che nessuna divinità
del loro spirito, sia essa religiosa o laica, ha il diritto
di venir imposta agli altri uomini, e di umiliarli, anche se
può sembrare la migliore? Pur ammettendo che la Kultur faccia
crescere, con il vostro concime tedesco, più grassa e più
abbondante la pianta umana, chi vi dà il diritto d'esserne i
giardinieri? [...]
Il vero intellettuale, l'uomo davvero intelligente, non fa
di sé e del proprio io il centro dell'universo. Al contrario,
guardandosi intorno vede, come nella prospettiva celeste
della Via Lattea, migliaia di fiammelle che brillano insieme
con la sua, e non tenta di assorbirle né d'imporre loro la
sua strada, ma cerca di comprendere religiosamente la
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
necessità di tutte e la comune sorgente di fuoco che le
alimenta.
(R. Rolland, Al di sopra della mischia [1914], pp. 117, 119, 136,
166, 170-173)
4.3. Commento al brano di Rolland: L’idolo della Kultur
L’autore in questo brano affronta il problema della
relazione tra gli intellettuali e la guerra imminente. Egli
si scaglia contro gli intellettuali perché, come le
“semplici” persone, essi si sono fatti dominare dalle
passioni nazionalistiche senza adempiere al loro compito. Il
loro compito era quello di confrontare le diverse fazioni in
campo e scegliere quella che, secondo il buonsenso
dell’intellettuale è la migliore. Rolland preme sul tasto
della forma circolare della storia e quindi sul fatto che,
ciò che gli intellettuali stanno facendo nel suo periodo si
ripercuoterà su di loro nei tempi futuri.
Egli esorta l’élite europea a donare solamente i propri corpi
al mondo di dio, ma non sacrificare, a favore di questo, la
famiglia, gli amici, o la patria perché niente ha diritto
sullo spirito. La vita degli uomini è stata illuminata come
da una luce, proveniente dai grandi spiriti che sono riusciti
a raggiungere la libertà. L’umanità è stata sempre asservita
da dei fantasmi del suo spirito, dei padroni.
L’unica differenza tra l’asservimento del passato e quello
del presente è dato dal fatto che, seppure gli schiavi sono
sempre gli stessi, sono cambiati gli idoli. Il nuovo secolo
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
ha conosciuto due nuove idoli, quello della razza e quello
della Kultur, con la loro schiera di LEVITI costituita da
pensatori tedeschi.
Ciò che caratterizza la fede in un idolo piuttosto che in un
altro, è l’adattamento di questo alla cattiveria propria
della natura umana. Per questo motivo, uno dei problemi che
ha sempre assalito l’uomo è quello di conciliare un dato
ideale con la propria mediocrità.
Gli intellettuali non possono trovare soddisfazione allo
stesso modo delle semplici persone, in quanto essi devono
necessariamente essere amanti della verità e della
perfezione. Essi dovrebbero farsi portavoce degli ideali “più
alti” e disprezzare quelli mediocri e popolari. I potenti,
elaborando una serie di ideali e facendo degli intellettuali
i portavoce di questi, riescono a controllare e gestire le
reazioni della massa. Comunque sia, questi non sono ancora
riusciti ad onorare la loro intelligenza senza riuscire a
difenderla dalla violenza e dalla follia. Quasi tutti gli
intellettuali sono stati oggetto di influenze da parte dei
potenti, dimostrando di non avere carattere.
Rolland allude poi all’impossibilità di imporre degli idoli,
riferendosi ai capi del pensiero della Kultur tedesca che
plasmano a loro piacere le intelligenze dei tedeschi.
Il vero intellettuale, non pone se stesso al centro
dell’universo. Al contrario, Rolland paragona il genio ad una
delle tante stelle che compongono la via lattea, senza
imporre o sottomettere la propria luce a quella delle altre.
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Essa deve cercare di comprendere quale sia la loro essenza,
in modo rispettoso. “Al di
sopra della mischia” (1914)
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
5. BENDA JULIEN
5.1. La Vita e il pensiero
(Parigi 1867- Fontenay-aux-Roses, Parigi 1915).
Benda fu letterato e filosofo francese. In vari saggi usciti
negli anni 1910/1920 propugnò, sia sul piano letterario sia
in sede estetica, un ritorno al classicismo, al razionalismo,
“all’intelligenza pura” in opposizione tanto al bergsonismo
imperante quanto al gusto contemporaneo per l’inesprimibile,
l’irrazionale, lo psicologico. Nel 1927 apparve il suo libro
più noto, “il tradimento dei chierici” in cui Benda accusa
gli intellettuali di aver tradito la causa della cultura per
un impegno politico irrazionalistico. Nelle opere successive
egli riaffermerà i valori democratici contro il nazionalismo
culturale prima, e il nazionalismo invasore poi. Inoltre
nella sua opera più celebre, di immediata e duratura fortuna
censurò gli intellettuali che, rinunciando alla
disinteressata ricerca della verità avevano politicizzato la
propria attività e optato per l’esaltazione degli affetti e
delle passioni. Criticò, su queste premesse, ogni forma di
settorialismo, di nazionalismo e di esasperato
individualismo.
Neoilluminista e difensore della classicità, fu ostile alle
nuove tendenze della letteratura contemporanea , accusandole
di alessandrinismo, di decadentismo e di oscurità. Opere
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
principali in tal senso sono: “dialoghi a Bisanzio”, “il
bergsonismo o una filosofia della mobilità”, e soprattutto
“il discorso alle nazioni europee”, Benda affrontò il
problema dell’unificazione europea, affermando la necessità
di creare una coscienza culturale unitaria.
A partire dalla critica sociale e politica, Benda maturò una
più organica concezione filosofica, che trovò espressione in
“la fine dell’Eterno” (1929) e soprattutto nel “Saggio di un
discorso coerente sul rapporto tra dio e il mondo” (1931):
tra dio (inteso come l’essere indeterminato) e mondo (inteso
come l’insieme dei fenomeni distinti), pone un dualismo
radicale espresso dalle due volontà del “dio infinito” e del
distinto.
Nel mondo contemporaneo Benda vede la progressiva espansione
della volontà di ritorno al dio infinito e perciò il
prevalere del contingente e dell’irrazionale. La sua
conclusione pessimistica è che il mondo fenomenico non ha più
bisogno del dio infinito. Da ciò Benda vide una riprova
dell’esistenzialismo che egli contestò come filosofia
dell’accidentale e del caduco (tradizione
dell’esistenzialismo, 1947).
5.2. Benda: la civiltà come felice accidente e l'imperialismo
della specie sulla natura.
Il fatto che la specie umana abbia adottato il realismo
integrale è definitivo o solo passeggero? Assistiamo, come
pensano alcuni, all'avvento di un nuovo - medioevo - molto
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
più barbaro del primo, tuttavia, poiché se in questo il
realismo veniva praticato, almeno non veniva esaltato - ma da
cui nascerà un nuovo Rinascimento, un nuovo ritorno al culto
del disinteresse? Le componenti del realismo attuale da noi
individuate non permettono certo di sperarlo.
E’ difficile immaginarsi che i popoli si impegnino davvero a
non riconoscersi più in ciò che li rende distinti, o, se vi
s'impegnano, che non lo facciano unicamente per concentrare
l'odio interumano nel campo della classe; riesce difficile
concepire un clero che riconquisti una vera potenza morale
sui suoi fedeli e che possa, ammesso che ne abbia il
desiderio, dir loro impunemente delle verità spiacevoli; è
difficile immaginarsi che una corporazione di letterati
(perché è l'azione corporativa che conta sempre di più) si
metta a tener testa alle classi borghesi invece di adularle;
e ancora più difficile è immaginarsi che risalga la corrente
della sua decadenza intellettuale e cessi di credere che sia
dar prova di alta cultura farsi beffe della morale razionale
e inginocchiarsi davanti alla storia.
Si parla invece di un’umanità che, esasperata dai suoi «
sacri egoismi » e dai massacri ai quali la condannano, lasci
un giorno cadere le armi e ritorni, come fece duemila anni
fa, ad abbracciare un bene situato oltre se stessa, che lo
abbracci con forza ancora maggiore di allora, sapendo con
quante lacrime e sangue ha pagato l'essersene allontanata.
Ancora una volta si avvererebbero le mirabili parole di
Vauvenargues: « Le passioni hanno insegnato agli uomini la
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
ragione ». Ma un tale processo non mi sembra realizzabile se
non in tempi lunghi, dopo che la guerra avrà portato al mondo
molti più danni di quanti ne abbia fatti finora.
Gli uomini non mettono in discussione i propri valori per
guerre che durano solamente cinquanta mesi e uccidono in
ciascuna nazione solo due milioni di uomini.
D'altra parte si può dubitare che la guerra diventi mai
tanto terribile da scoraggiare coloro che l'amano, tanto più
che questi non sempre sono quelli che la fanno.
Ammettendo questa restrizione alle nostre previsioni
pessimiste e ammettendo anche che l'avvento di una rinascita
sia una cosa possibile, noi vogliamo dire che è solo
possibile.
Non potremmo concordare con chi dichiara che è una cosa
certa, sia perché è già successa una volta, sia perché «la
civiltà è qualcosa di dovuto alla specie umana». La civiltà
come la intendo qui - il primato morale conferito al culto
dei beni spirituali e al senso dell'universale - mi sembra,
nello sviluppo dell'uomo, un felice accidente; essa vi è
sbocciata, tremila anni fa, per un insieme di circostanze di
cui lo storico ha sentito così bene il carattere contingente
da chiamarlo il «miracolo» greco; non mi sembra affatto
dovuta alla specie umana in virtù dei suoi dati naturali; mi
sembra così poco una cosa del genere che vedo numerosi
settori della specie (il mondo asiatico nell'antichità,
quello germanico nell'età moderna) che si dimostrano incapaci
di conseguirla e potrebbero rimanere tali.
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
Vale a dire che se l'umanità giunge a perdere
quest'ornamento, ci sono poche probabilità che lo ritrovi; ce
ne sono invece molte che non lo ritrovi affatto, come se un
uomo che avesse trovato un giorno una pietra preziosa nel
fondo del mare e poi ve l'avesse lasciata ricadere, avrebbe
pochissime possibilità di rivederla.
Niente mi sembra meno fondato di quell'affermazione di
Aristotele secondo la quale è probabile che le arti e la
filosofia siano state più volte scoperte e più volte perdute.
La posizione contraria che vuole che la civiltà, a dispetto
di parziali eclissi, sia una cosa che l'umanità non può
perdere mi sembra non avere altro valore - ma è un valore
immenso per conservare proprio quel bene che vogliamo serbare
- che quello di un atto di fede.
Non crediamo che si voglia fare una obiezione seria quando
ci viene fatto presente che la civiltà, già perduta una volta
con la caduta del mondo antico, è stata però vista rinascere.
Oltre al fatto che nessuno ignora come lo spirito greco-
romano fu lungi dall'essersi veramente spento durante il
medioevo e come il XVI secolo ha fatto rinascere solo ciò che
non era morto, aggiungo che, anche se questa forma di spirito
allora fosse «rinata» ex nihilo, questo esempio pur non mancando
di turbarmi, per il fatto di esser unico non basterebbe a
rassicurarmi.
[...]
Dirò di più, che se l'esame del passato potesse portare a
qualche valido pronostico circa l'avvenire dell'uomo, questo
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
pronostico sarebbe tutt'altro che rassicurante. Si dimentica
che il razionalismo ellenico ha veramente illuminato il mondo
solo per settecento anni, in seguito si è oscurato per
dodici secoli e ha ricominciato a splendere appena da
quattro; di modo che il più lungo periodo di tempo
consecutivo sul quale, nella storia umana, possiamo fondare
delle induzioni è, insomma, un periodo di oscurantismo
intellettuale e morale.
Più sinteticamente, guardando la storia sembra si possa dire
che, tranne due o tre epoche luminose e di durata molto breve
la cui luce però, come quella di certi astri, illumina ancora
il mondo molto tempo dopo la loro estinzione, in generale
l'umanità vive nella notte, così come in generale le
letterature vivono nella decadenza e l'organismo nel
disordine.
Aggiungiamo, cosa che non manca di produrre, turbamento, che
l'umanità non sembra adattarsi poi così male a questo regime
di caverna e di lunghe stagioni. [...]
Dicevamo più sopra che la logica sottile di questo realismo
integrale professato dall'attuale umanità, è lo sterminio
reciproco organizzato delle nazioni o delle classi. Se ne può
concepire anche un'altra, che sarebbe invece la loro
riconciliazione, per cui il bene da possedere diventerebbe la
terra stessa, perché avrebbero finalmente capito che un buon
sfruttamento è possibile solo grazie alla loro unione, mentre
la volontà di collocarsi fuori del comune verrebbe trasferita
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
dalla nazione alla specie, insorta orgogliosamente contro
tutto ciò che le è estraneo.
E, infatti, tale tendenza esiste; esiste, al di sopra delle
classi e delle nazioni, una volontà della specie di rendersi
padrona delle cose e, quando un essere umano in poche ore
vola da un capo all'altro della terra, è tutta la razza umana
a fremere d'orgoglio e ad adorare se stessa come distinta dal
resto del creato.
Aggiungiamo che questo imperialismo della specie, in fondo,
è proprio ciò che predicano i grandi rettori della coscienza
moderna; è l'uomo, non la nazione o la classe, che Nietzsche,
Sorel, Bergson, esaltano, nel suo genio di rendersi padrone
della terra; è l'umanità, e non una sua frazione, che Auguste
Comte invita a compenetrarsi della coscienza di sé e ad
assumersi infine,come oggetto della propria religione. Si può
pensare a volte che tale tendenza si affermerà sempre più e
che per questa via si estingueranno 1e guerre tra gli uomini;
si arriverà così a una «fraternità universale», che però,
lungi dall'essere l'abolizione dello spirito di nazione con i
suoi appetiti e i suoi orgogli, ne sarà invece la forma
suprema, dove la nazione si chiama Uomo e il nemico Dio.
E allora, unificata in un immenso esercito, in un’immensa
fucina, non conoscendo altro che eroismi, disciplina,
invenzioni, irridendo a qualsiasi attività libera e
disinteressata, avendo smesso di collocare il bene al di là
del mondo reale e non avendo altro Dio che se stessa e le
proprie volontà, l’umanità arriverà a grandi cose, voglio
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
dire a una presa di possesso della materia che la circonda
veramente grandiosa, a una coscienza della propria potenza e
magnificenza veramente gioiosa.
E la storia sorriderà al pensiero che Socrate e Gesù Cristo
sono morti per questa specie.
Benda, Il tradimento dei chierici [1927], pp. 191-194, 196-97)
5.3. Commento al brano di Benda: la precarietà della civiltà.
Benda si interroga sulla natura dei suoi tempi, domandandosi
se l’avvento di un nuovo Medioevo potrebbe provocare la
nascita di un nuovo Rinascimento; ma egli sa bene che le
condizioni sociali attuali non permettono nemmeno di
sperarlo.
E’ difficile infatti immaginare un popolo che sappia
rinunciare all’individualismo, un clero che sappia
riconquistare un potere unicamente morale sui suoi fedeli,
così come è impossibile che una corporazione di letterati
possa diventare il principale avversario della borghesia
anziché il suo miglior alleato.
Di fronte al prevalere di forze disgregatrici, come il
militarismo e il patriottismo esasperato, Benda si chiede se
sia possibile superare la crisi provocata dalla guerra, e
ritornare ad una civiltà più giusta, più armonica.
Una rinascita quindi potrebbe essere possibile, ma ribadisce
il fatto che è solo possibile.
La civiltà è un felice accidente, nel senso che non è
qualcosa di dovuto alla specie umana, tant’è che molti si
I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
dimostrano incapaci di conseguirla e, molti potrebbero
addirittura perderla.
Essa è sorta circa tremila anni fa per un insieme di
circostanze, per ciò che fu chiamato il “miracolo greco”:
l’esistenza stessa della civiltà quindi, è considerata quasi
un miracolo, come qualcosa di improbabile; perderla potrebbe
significare non riconquistarla più.
Dal punto di vista naturale l’uomo, di contro all’ideale
positivistico di progresso, non produce la civiltà attraverso
il benessere. Egli è contro la teoria del progresso
irreversibile, inevitabile e inarrestabile. Secondo Benda la
storia non progredisce necessariamente, anzi può addirittura
regredire.
Benda ritiene che l’umanità, eccetto due o tre ere luminose,
abbia vissuto nell’oscurantismo intellettuale e morale, e
oltretutto non sembra che si sia adattata poi così male a
questa buia condizione di decadenza.
La logica del realismo integrale tuttavia non consiste
esclusivamente nello sterminio delle nazioni o delle classi,
ma anche nella logica della loro riconciliazione, grazie alla
quale il bene da possedere diventerebbe la terra stessa: la
volontà della specie di rendersi padrona delle cose esiste
infatti al di sopra della nazione e delle classi. Dunque, a
differenza di Comte, Benda invita non l’uomo ma l’umanità a
prendere coscienza di sé e assumersi come oggetto della
propria religione. Questa tendenza potrebbe condurre
all’estinzione della guerra tra gli uomini, arrivando così ad
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Quarta Parte: Kultur e Zivilisation
“una fraternità universale”, che non rappresenta l’abolizione
dello spirito di nazione, ma la sua forma suprema, dove la
nazione si chiama Uomo e il nemico è Dio.
In questo modo, l’umanità, non avendo altro Dio oltre sé
stessa, conquisterà la materia che la circonda, ritrovando
così la sua perduta armonia.
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1970
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SOMMARIO
Prefazione.................................................1Prima parte................................................3La rivolta delle masse.....................................31. Premessa...............................................31. La massificazione della società......................41.2. La massificazione in campo sociale e ideologico....51.3. la società di massa e la crisi della politica......52. L’irrazionalità come forma dell’uomo-massa...........62.1. La perdita dei valori e la disgregazione sociale. . .82.2. La rivolta delle masse.............................9
2. Gustave Le Bon........................................102.1. La Vita e il Pensiero.............................102.2. Le Bon: La psicologia delle folle.................112.3. Commento al brano di Le Bon: L’irrazionalità dellefolle..................................................15
3. Ortega Y Gasset Josè..................................173.1. La Vita...........................................173.2. Il pensiero.......................................173.3. Il Brano di Ortega: La ribellione delle masse.....193.4. 0rtega commento...................................21
4. Sigmund Freud.........................................234.1. La Vita...........................................234.2. Il pensiero: Il disagio della civiltà.............254.3. Il Brano di Freud: individuo e massa..............264.4. Il Commento.......................................30
Seconda parte.............................................33La crisi del positivismo e il dibattito sulla tecnologia. .331. Premessa..............................................331.1. La crisi delle scienze e il crollo del paradigmapositivistico..........................................331.2. Le magnifiche sorti e progressive.................341.3. La seconda rivoluzione scientifica e la crisi delpositivismo............................................361.4. Il fallimento del progetto sociale e politico delpositivismo............................................381.4.1 La scienza e il futuro...........................401.4.2. La divaricazione tra etica e politica...........41
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1.4.3. Il trionfo del nichilismo e il destinodell’Occidente.........................................42
2. Haldane, John Burdon Sanderson........................442.1. La Vita...........................................442.2. Il brano di Haldane: Dedalo, la scienza e il futuro........................................................442.3. Commento ad Haldane: l’uomo del futuro come Dedalo 46
3. Bertrand Russell......................................493.1. La Vita...........................................493.2. Il Pensiero.......................................493.3 Il Brano di Russell: Icaro, il futuro della scienza 503.4. Commento: “Icaro” come destino dell’uomo nell’etàdella scienza..........................................52
4. Max Scheler...........................................554.1. La Vita e il Pensiero.............................554.2. Il Brano di Scheler: il capovolgimento dei valori el’industrialismo come decadenza........................564.3. Commento a Scheler: la società moderna comerisultato di un ribaltamento dei valori................59
5. Robert Musil..........................................615.1. La Vita e l’opera (1890-1942).....................615.2. Il brano di Musil: il mondo dell'uomo senza qualità........................................................625.3. Commento al brano di Musil: il demone della logicamatematica.............................................66
Parte terza...............................................68La morte di dio e il crollo dei valori....................681. Premessa: Il crollo dei valori........................681.1. La crisi dei valori...............................681.2. Nelle nebbie del domani...........................691.3. La morte di dio...................................711.4. La decadenza dell’occidente come “epoca delnichilismo”............................................72
1. Friedrich Nietzsche...................................751.1. La vita...........................................751.2. Il Pensiero.......................................761.3. Il brano di Nietzsche: "La morte di dio"..........781.4. Il Commento.......................................80
2. Hermann Broch.........................................822.1. La Vita...........................................822.2. Temi dell’opera di Broch..........................83
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2.3. Il brano di Broch: la disgregazione dei valori....832.4. Commento a Broch: la dissoluzione dei valori......86
3. Johan Huizinga........................................873.1. La Vita...........................................873.2. Il pensiero.......................................883.3. Il brano di Huizinga: nelle ombre del domani......903.4. Il commento: la perdita del futuro................93
4. Stefan Zweig..........................................954.1. La Vita...........................................954.2. Il Pensiero.......................................964.3. Il brano di Zweig: la fine dell'« età d'oro dellasicurezza »............................................974.4. Commento al brano di Zweig: l’età contemporanea comeetà della crisi.......................................100
Parte Quarta.............................................102Kultur e Zivilisation....................................1021. Premessa: Il Tramonto dell’Occidente.................1021.1. La filosofia della storia di Spengler............1031.2. La decadenza delle civiltà: Kultur e Civilisation 105
2. Oswald Spengler......................................1082.1. La Vita e il pensiero............................1082.2. Il Brano di Spengler: il tramonto dell'Occidente ele illusioni del progresso............................1102.3. Commento al brano di Spengler....................113
3. Thomas Mann..........................................1153.1. La Vita e Le Opere...............................1153.2. Il Pensiero......................................1163.3 I Brani di Mann: cultura e civiltà................1173.4. Commento del brano di Mann.......................122
4. Rolland Romain.......................................1234.1. La Vita e il pensiero............................1234.2. Rolland: l'idolo della Kultur: gli intellettuali nellamischia...............................................1234.3. Commento al brano di Rolland: L’idolo della Kultur.126
5. Benda Julien.........................................1285.1. La Vita e il pensiero............................1285.2. Benda: la civiltà come felice accidente..........1295.3. Commento al brano di Benda: la precarietà dellaciviltà...............................................132
Bibliografia……………………………………………………………………………134Sommario................................................134
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