antologia crisi della civiltà

230
PREFAZIONE L’antologia presentata dalla classe V A è il risultato di un lavoro svolto nell’ultimo trimestre dell’anno scolastico e progettato nel corso del secondo trimestre, nell’ambito dell’area di progetto discussa e approvata dal consiglio di classe. Dopo aver scelto come argomento da trattare la prima guerra mondiale e il contemporaneo svilupparsi di un dibattito sulla crisi della civiltà europea, sono stati forniti alla classe circa trenta brani, rappresentativi delle più significative posizioni che, nel periodo tra le due guerre, vennero ad affermarsi negli ambienti intellettuali europei; tra questi testi gli alunni hanno operato una selezione individuandone un numero più ristretto da sottoporre ad analisi. L’esame dei brani così selezionati ha condotto ad individuare quattro principali aree tematiche secondo cui era possibile articolare il dibattito sulla crisi: la ribellione delle masse; i problemi sollevati in sede teorica dal sempre più importante ruolo svolto da scienza e tecnica nelle società europee tra fine XIX e prima parte del XX secolo; la crisi dei valori e il tramonto dell’occidente. L’antologia è stata quindi suddivisa in quattro parti, ciascuna dedicata all’esame di uno dei problemi sopra riportati. 1

Upload: ferrara

Post on 21-Jan-2023

1 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

PREFAZIONE

L’antologia presentata dalla classe V A è il risultato di

un lavoro svolto nell’ultimo trimestre dell’anno scolastico

e progettato nel corso del secondo trimestre, nell’ambito

dell’area di progetto discussa e approvata dal consiglio di

classe.

Dopo aver scelto come argomento da trattare la prima

guerra mondiale e il contemporaneo svilupparsi di un

dibattito sulla crisi della civiltà europea, sono stati forniti alla

classe circa trenta brani, rappresentativi delle più

significative posizioni che, nel periodo tra le due guerre,

vennero ad affermarsi negli ambienti intellettuali europei;

tra questi testi gli alunni hanno operato una selezione

individuandone un numero più ristretto da sottoporre ad

analisi.

L’esame dei brani così selezionati ha condotto ad

individuare quattro principali aree tematiche secondo cui

era possibile articolare il dibattito sulla crisi: la ribellione

delle masse; i problemi sollevati in sede teorica dal sempre

più importante ruolo svolto da scienza e tecnica nelle

società europee tra fine XIX e prima parte del XX secolo; la

crisi dei valori e il tramonto dell’occidente.

L’antologia è stata quindi suddivisa in quattro parti,

ciascuna dedicata all’esame di uno dei problemi sopra

riportati.

1

Gli studenti hanno quindi approntato una serie di

strumenti critici atti a inquadrare storicamente e

culturalmente le aree tematiche individuate e a fornire

un’adeguata comprensione dei brani prescelti.

Ognuna delle quattro sezioni in cui è stata suddivisa

l’antologia è preceduta da una premessa di carattere teorico

e storico, tendente a inquadrare filosoficamente e

storicamente l’area tematica e a individuare le principali

problematiche e le più significative posizioni in essa

rinvenibili intorno ai problemi assunti quale oggetto

d’analisi.

Gli studenti hanno quindi creato una serie di strumenti

critici, atti alla comprensione dei singoli brani,

predisponendo una scheda sulla biografia e il pensiero degli

autori dei brani antologici. Per ciascun brano è stata poi

predisposta una scheda di commento, al fine di chiarire la

posizione sostenuta dall’autore sulla crisi della civiltà

europea.

La fase di realizzazione pratica del progetto ha presentato

difficoltà poiché gli studenti non avevano dimestichezza con

gli strumenti informatici di videoscrittura. Hanno quindi

dovuto acquisire le competenze essenziali per l’utilizzo del

computer. La digitazione, la stampa, la correzione delle

bozze, la definitiva impaginazione e redazione

dell’antologia, sono state condotte dalla classe nell’ultimo

periodo dell’anno scolastico.

2

Il mio contributo è stato sostanziale nella fase di

progettazione iniziale del lavoro, nelle successive

operazioni sopra descritte mi sono limitato a svolgere una

funzione di coordinazione e guida.

Ritengo che il lavoro svolto dalla classe vada giudicato non

solo per il suo valore storico e filosofico intrinseco, che

va commisurato al livello di preparazione e maturità

conseguito dalla classe, ma ancor più come esperienza in cui

si sono confrontati con tutti i problemi connessi allo

svolgimento di una ricerca - pur limitata nei suoi obiettivi

- come il reperimento e vaglio delle fonti, la schedatura e

organizzazione del materiale, la progettazione complessiva

dell’opera, la stesura del testo, la realizzazione materiale

dell’antologia.

L’Insegnante

3

Prima Parte: la rivolta delle masse

Prima parte

La rivolta delle masse

1. PREMESSA

In questa premessa abbiamo cercato di delineare brevemente

l’ambiente storico entro il quale il fenomeno della

“ribellione delle masse” si attua. Per poter valutare appieno

il rilievo storico di questo, che fu vissuto come un “evento

epocale” nella coscienza dei protagonisti di quell’epoca,

abbiamo cercato di definire le principali linee attraverso

cui la “massificazione” si sviluppa e diffonde in modo

pervasivo nella società. Abbiamo sinteticamente illustrato i

limiti che caratterizzavano la struttura istituzionale dello

stato liberale, il quale appariva inadeguato ad affrontare

con successo il problema dell’integrazione delle masse nello

stato. Ci siamo anche brevemente soffermati ad illustrare il

carattere di “irrazionalità” con cui l’agire delle masse

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

4

Prima Parte: la rivolta delle masse

appariva all’élite politica e culturale del tempo, se

contrapposto agli ideali liberali, positivistici e razionali,

che avevano costituito il paradigma dominante in ambito

intellettuale e sociale nel corso dell’ottocento.

In conclusione, partendo dai problemi che la tematica presa

in esame coinvolge, abbiamo cercato di stilare un certo

numero di domande fondamentali, da utilizzare come termini di

riferimento per la lettura e analisi dei testi riportati in

questa parte dell’antologia.

1. La massificazione della società

A partire dalla seconda metà del XIX secolo la dinamica

storico sociale è caratterizzata, secondo l’unanime giudizio

della storiografia sul periodo, da un fenomeno rilevante e

che costituisce una delle principali sorgenti della civiltà

occidentale del XX secolo: la massificazione della società a

tutti i suoi livelli.

1.1. la massificazione in ambito economico

Durante la “fin de siècle”, era giunta a compimento una

profonda trasformazione che aveva condotto economia e

società, dalla fase del liberismo a quella del capitalismo organizzato,

in conseguenza della Grande Depressione (1873 – 1895) e della

cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale. Un dato generale, tra

quelli che hanno maggiore rilievo, è dato dalla

massificazione sistematica della società e non solo a livello

economico, ma anche politico e ideologico.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

5

Prima Parte: la rivolta delle masse

Mentre la società della prima metà dell’ottocento appariva

incentrata sull’individuo, sulla rivendicazione dei suoi

diritti e delle sue libertà, tra la fine del XIX e l’inizio

del XX secolo, “le masse” si affermano con un nuovo ruolo in

ogni ambito sociale.

In economia tanto il sistema della produzione dei beni,

quanto quello della distribuzione, si massificano. Nasce la

produzione di massa che raggiunge il suo culmine con il fordismo e

con il taylorismo. Gli sviluppi della scienza e della tecnologia

vengono sistematicamente applicati non solo alla produzione,

ma anche all’organizzazione del lavoro secondo i principi

dello scientific management e danno vita al modello produttivo

della catena di montaggio, di cui si fa promotore per primo Henry

Ford. Anche sul piano della distribuzione dei beni si assiste

alla nascita, dapprima negli Usa e in seguito in Europa, del

consumo di massa quale necessario sbocco delle maggiori

capacità di produzione.

Questo fenomeno non ebbe solo implicazioni di tipo

economico, ma anche di carattere sociale, ideologico e

culturale: nasceva un “nuovo tipo d’umanità”: l’uomo-massa.

Sembrava, inoltre, avverarsi l’ideale positivistico di

progresso: grazie alla scienza si sarebbe potuta produrre una

quantità di ricchezza sufficiente per tutti, ripartendola

secondo criteri oggettivi e in funzione del contributo da

ciascuno offerto. Il sogno di “abbondanza materiale” forniva

la base su cui fondare “le luminose e progressive sorti”

dell’umanità anche in campo spirituale.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

6

Prima Parte: la rivolta delle masse

1.2. La massificazione in campo sociale e ideologico

Nuove ideologie, come il comunismo o il nazionalismo a

sfondo bellicista e imperialista; o antiche ideologie, come

il cristianesimo, prendono gradualmente il sopravvento sul

liberalismo e il positivismo, la cui influenza rimane

confinata alle élite politiche e culturali e non riesce ad

allargarsi ai ceti popolari, se non in misura marginale.

Comunismo, nazionalismo, cristianesimo si presentano invece

come ideologie di massa, capaci di diffondersi in modo capillare

tra tutti gli strati sociali – contadini, proletariato

operaio, piccola e media borghesia – e capaci, soprattutto,

di esercitare un potere di “mobilitazione” enorme. I governi

europei non potranno ignorare, nelle loro decisioni, il

decisivo peso che tali ideologie assunsero e, anche se

tentarono di esercitare su esse un’azione di controllo, non

riusciranno ad assimilare entro le istituzioni politiche ed

il sistema di valori liberale, tutte le spinte e

sollecitazioni provenienti da questi movimenti. Infatti, al

fenomeno delle ideologie di massa, si accompagnò quello della

crescita e diffusione delle organizzazioni di massa, cooperative,

sindacati, partiti, che davano un inquadramento non solo

ideologico e rivendicativo alle “masse”, ma anche una

strategia politica e sociale con precisi obiettivi e nuovi

strumenti di lotta quali lo sciopero generale e, in alcuni

casi, la lotta violenta e la rivoluzione.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

7

Prima Parte: la rivolta delle masse

1.3. la società di massa e la crisi della politica

Con il graduale affermarsi del suffragio universale maschile; dei

partiti di massa di ispirazione cristiana o socialista; oltre ai

fenomeni di massificazione in ambito economico e ideologico

appena sopra ricordati, si attua anche una massificazione

generalizzata di tutta la società che conduce lo stato

liberale ad affrontare un’importante sfida, quella della

democrazia: da un lato, la popolazione tende ad organizzarsi

autonomamente sottraendosi al potere dello stato; dall’altro,

lo stato, tende a controllare la società civile, integrare la

popolazione entro le proprie strutture giuridico-

istituzionali, esercitare il proprio controllo sulle masse,

secondo quel progetto che è stato definito dagli storici

nazionalizzazione delle masse. Era, quindi, necessaria un’opera di

globale ristrutturazione dell’apparato politico e

istituzionale dello stato liberale. Questo problema diede

luogo ad un lungo e complesso processo che si realizzò in

Europa tra la fine del XIX e la prima parte del XX secolo,

determinando la crisi dello stato liberale, incapace di

adattarsi alle nuove condizioni storiche. La dissoluzione del

sistema liberale tradizionale darà luogo a due differenti

esiti: la democrazia ed il totalitarismo.

Il modello istituzionale dello stato liberal democratico,

risultato dell’evoluzione dello stato liberale verso forme

democratiche grazie alla diffusione della rappresentanza e

del principio di sovranità popolare, sembra uscire vincitore

dalla Grande Guerra. Infatti le potenze dell’Intesa

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

8

Prima Parte: la rivolta delle masse

costituivano un blocco di paesi repubblicani o a regime

monarchico costituzionale ed il loro trionfo sugli Imperi

Centrali, ancora caratterizzati da residui di assolutismo,

venne interpretato come una vittoria dello stato liberal -

democratico. Tuttavia, già a partire dagli anni venti, in

alcuni paesi - Unione Sovietica, Italia, Europa centro-

orientale, quindi Germania, Spagna - si assiste alla

sconfitta dello stato liberale ed all’affermazione di regimi

autoritari.

Come si è cercato di mostrare, il fenomeno della

massificazione della società, tocca problemi decisivi e di

grande portata che influenzeranno profondamente il dibattito

sulla “crisi della civiltà”, dibattito che si sviluppò già

durante il corso della Grande Guerra e raggiunse il suo apice

negli anni venti e trenta.

Il fenomeno della massificazione, attraverso cui la società

andava plasmandosi secondo nuove forme che cambiavano

radicalmente la vita economica, politica e culturale, trovò

la sua più compiuta ed eclatante espressione proprio nel

corso del primo conflitto mondiale. La mobilitazione di massa

cui si assistette sul piano militare, economico, ideologico e

politico, sta a dimostrare come la trasformazione delle

società occidentali fosse ormai giunta a compimento;

dimostra, inoltre, come anche da questo punto di vista, la

Grande Guerra, abbia costituito uno spartiacque tra due

epoche diverse. L’evidenza della massificazione sociale, dopo

la prima guerra mondiale, non poteva più essere ignorata; se

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

9

Prima Parte: la rivolta delle masse

è vero che tale fenomeno era il risultato di un processo

iniziato nella seconda metà del secolo precedente, è anche

vero che la piena consapevolezza di tutte le sue implicazioni

e conseguenze, maturò negli ambienti intellettuali e

nell’opinione pubblica europea, solo dopo la tragica

esperienza della guerra.

2. L’irrazionalità come forma dell’uomo-massa

L’uomo-massa diviene il simbolo di una nuova umanità che ha

perduto la propria identità standardizzazione dei consumi.

Abbruttito, ridotto ad un ingranaggio dell’immenso meccanismo

produttivo posto in atto dalla tecnica e dall’industrialismo,

plasmato perfino nello “spirito” dalla nascente società dei

consumi e dalla pubblicità, l’uomo-massa viene pensato dagli

autori del tempo secondo alcune metafore che ritornano con

una certa frequenza nel dibattito sulla “crisi della civiltà”

che si sviluppa tra le due guerre. L’uomo automa, privo di

consapevolezza e ridotto egli stesso ad una macchina, o

l’uomo “animale”, la cui dimensione esistenziale è ridotta al

solo momento biologico, istintuale, emotivo. In entrambe le

metafore, usate anche dagli autori dei brani da noi scelti,

appare evidente un punto comune, la perdita dell’essenza

razionale, il venir meno del dominio della ragione, che non

costituisce più il tratto dominante dell’identità dell’uomo-

massa.

Se da Cartesio fino al positivismo, attraversando

l’illuminismo e una parte dello stesso romanticismo,

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

10

Prima Parte: la rivolta delle masse

l’essenza della modernità era stata individuata nella

consapevolezza razionale del soggetto e, quindi, la

soggettività pensata come autocoscienza razionale, ora, con

l’avvento di quella nuova forma di uomo che è l’uomo massa,

questa dimensione appare irrimediabilmente perduta e

sostituita da una concezione in cui elementi irrazionali,

come la volontà di potenza o l’inconscio, vengono a

costituire l’essenza ultima dell’uomo.

Già prima della guerra, autori come Gustav Le Bon, Sigmund

Freud, Ortega y Gasset, si erano occupati del fenomeno della

massificazione sociale evidenziandone non solo le molteplici

conseguenze in vari campi, ma anche cercando di mettere a

fuoco la logica dell’agire sociale in quanto agire di massa e

le implicazioni che da tale logica discendevano sul piano

politico e storico.

La scelta di questi autori, nasce dal fatto che le loro

opere acquistarono un valore esemplare, sia perché

focalizzarono l’attenzione dell’opinione pubblica e degli

studiosi su questa tematica, sia perché fornirono il quadro

teorico di riferimento entro il quale il dibattito sulle

“masse” si andò sviluppando tra le due guerre.

L’impatto delle masse, quali nuove protagoniste del divenire

storico, sulla cultura dominante di matrice positivista e

liberale è drastico, per Ortega y Gasset l’avvento delle masse

quale protagoniste di una nuova società e portatrici di una

nuova forma di umanità è il ritorno alla barbarie, un

pericolo mortale per quei valori faticosamente conquistati

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

11

Prima Parte: la rivolta delle masse

nel corso del XIX secolo. Irrazionalità e impulsività, sono i

moventi ultimi della “psicologia delle folle” e costituiscono

il fondamento di qualsiasi forma di agire politico e sociale

“moderno” secondo Le Bon. In Freud la civiltà viene paragonato

ad un sottile velo di convenzioni e vincoli che occultano,

contenendola, la natura aggressiva e irrazionale dell’uomo.

2.1. La perdita dei valori e la disgregazione sociale

Anche la sociologia, tra i due secoli, aveva affrontato il

problema delle conseguenze che si producono nella coscienza

del singolo in una società di massa. Per Durkheim, la

divisione sociale del lavoro e le rapide trasformazioni che

caratterizzano la società moderna, minano la solidarietà

sociale producendo una situazione di anomia. La società non

appare più fondata su un sistema di valori vincolanti e

comuni, ma senza tale sistema gli individui appaiono come

atomi slegati, privi di riferimento e di un’identità

d’appartenenza. La mancanza di norme morali comuni,

costituisce una caratteristica della moderna società di massa

e getta l’individuo in una condizione di perdita della

propria identità sociale. Lo stesso Durkheim si farà

portatore, durante la Grande Guerra, di un progetto per

ricostituire un sistema di solidarietà capace di integrare

gli individui, tale progetto mirava a sostituire i valori

tradizionali, venuti meno con quella che Nietzsche aveva

chiamato la morte di dio, con un nuovo sistema di valori

incentrato su un forte nazionalismo antigermanico.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

12

Prima Parte: la rivolta delle masse

Un altro importante autore è Ferdinand Tönnies1 che in un

saggio del 1887, “Gemeinschaft und Gesellschaft”, descrive la

situazione della civiltà di massa come il risultato del

passaggio dalla comunità – Gemeinschaft – in cui il gruppo

sociale è organizzato su vincoli religiosi e sulla

tradizione; alla società – Gesellschaft – in cui

l’integrazione tradizionale è venuta meno, sostituita dalla

divisione del lavoro, e dal dominio dello stato.

Le analisi di Durkheim e Tönnies2 sono utili per completare

il quadro generale entro il quale si svolge il dibattito

sulla civiltà di massa e l’uomo massa. Le conclusioni della

maggior parte degli autori su tali punti sono ben

rappresentate dalle posizioni di Ortega y Gasset e Le Bon;

massificazione e democratizzazione sono processi

d’imbarbarimento dei costumi, di perdita dei valori, di

standardizzazione di uomini e idee, di fine del “regno della

qualità” e di trionfo del “regno della quantità”. L’uomo-

massa è infatti il risultato del dominio della macchina

statale e della macchina produttiva sulla società.

1 Ferdinand Tönnies (1855 – 1936), sociologo e filosofo tedesco, la cuiopera principale è proprio Comunità e Società. In polemica con marxismo epositivismo studiò la dinamica sociale secondo i due contrapposti modellidi comunità e società. 2 Pur essendo molto importanti per una completa ricostruzione deldibattito sulle masse e la civiltà di massa, non abbiamo preso inconsiderazione questi autori per motivi di tempo, ma anche per la sceltadeliberata di mantenere la nostra analisi entro un ambito limitato , perevitare che si presentasse troppo dispersiva.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

13

Prima Parte: la rivolta delle masse

2.2. La rivolta delle masse

Le paure di un crollo della civiltà ad opera dell’avvento

delle masse-barbariche, vengono a rafforzarsi proprio quando,

durante il primo conflitto mondiale, la rivoluzione russa del

1917 travolge l’impero zarista. Non abbiamo approfondito nel

corso di questo lavoro le tematiche relative alla

“rivoluzione russa”, questo avrebbe comportato un lavoro di

analisi per noi troppo vasto e complesso, tuttavia è

importante segnalare come la rivoluzione, specie quella di

ottobre, rafforzò i timori, anzi, sembrò offrire una prova

decisiva che le paure di una ribellione delle masse e di una

nuova barbarie non erano infondate, ma si presentavano come

un possibile, perfino probabile esito, cui la civiltà europea

andava incontro.

Se la rivoluzione russa viene vissuta come realizzarsi delle

paure che agitano gli animi degli esponenti della cultura

europea, un altro paese cui molti autori guardano come ad un

possibile esempio di quello che potrebbe essere il futuro

della civiltà occidentale sono gli Stati Uniti. Tra le due

guerre americanismo diviene sinonimo di “civiltà di massa”; la

civiltà americana diviene il paradigma di un mondo

interamente dominato dai valori del produttivismo, del

consumismo, dell’efficientismo tecnico. Le principali

metafore utilizzate in questi anni per indicare il destino

dell’uomo entro una simile civiltà sono, a questo riguardo,

significative dei timori degli autori che a vario titolo

parteciparono a tale dibattito: l’uomo come una formica, una

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

14

Prima Parte: la rivolta delle masse

pecora, un’ape. Ancora una volta il tema della

spersonalizzazione, della perdita dell’identità,

dell’alienazione, vengono visti, e non in astratto - ma come

già storicamente dati nella società statunitense - come il

destino dell’umanità futura.

E’ nostra opinione che gli aspetti del dibattito che abbiamo

tentato, sinteticamente, di ricostruire, così come le paure

di un crollo della civiltà ad opera del dominio esercitato

dalla tecnica sull’uomo ridotto alla forma di uomomassa,

siano rappresentati in modo esemplare in un film del 1927:

Metropolis, di Fritz Lang. In questo film, che costituisce

una vera e propria testimonianza della coscienza collettiva

dell’epoca, l’automa diviene uomo e domina gli uomini che, a

loro volta, sono ridotti a schiavi sottomessi alla macchina.

L’intreccio si risolverà, ma questo comporterà il crollo

della “civiltà delle macchine”.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

15

Prima Parte: la rivolta delle masse

2. GUSTAVE LE BON

2.1. La Vita e il Pensiero

Gustave Le Bon, medico, psicologo e saggista francese di

formazione positivista (Nogent-le Rotrou, Eure-et-Loir 1841,-

Parigi 1931), si dedicò allo studio della psicologia delle

masse, di cui può considerarsi uno dei fondatori.

Fra le sue opere principali: “Le leggi psicologiche

dell’evoluzione dei popoli”(1894), “La psicologia delle

folle”(1895),”La Rivoluzione francese e la psicologia della

rivoluzione”(1912).

Il lavoro di Le Bon trasse stimolo dagli studi sulla massa

rivoluzionaria durante la rivoluzione francese.

Secondo la sua visione il comportamento degli individui

quando sono coinvolti nell’emozione collettiva di una folla,

differisce in modo significativo dalle loro azioni in gruppi

più piccoli. Sotto l’influsso di una folla focalizzata, gli

individui diventano capaci di atti di barbarie come di

eroismo, che singolarmente non arriverebbero a contemplare.

Secondo Le Bon, quando sono coinvolti nell’eccitazione

collettiva generata dalle folle, gli individui perdono

temporaneamente alcune delle loro facoltà di ragionamento

critico normalmente attivate nella loro vita quotidiana. Essi

diventano altamente suggestionabili e facilmente esposti alle

incitazioni dei capi-massa. Sotto l’influenza della folla gli

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

16

Prima Parte: la rivolta delle masse

individui regrediscono verso reazioni di tipo più

“primitivo”.

Sebbene molti autori abbiano attinto alle idee di Le Bon,

esse suscitano qualche riserva. Egli scriveva nelle vesti di

un conservatore che criticava la democrazia, che vedeva la

Rivoluzione francese come l’inizio di un’era in cui le folle,

la massa di gente comune, avrebbero dominato sui legittimi

governanti. Secondo Le Bon i gruppi numerosi, comprese le

assemblee parlamentari, non sono in grado di prendere delle

decisioni razionali, diversamente dai singoli individui.

Le Bon era interessato a dimostrare che la democrazia

avrebbe scatenato gli impulsi più primitivi degli esseri

umani e schiacciato le facoltà superiori e più civili.

“La psicologia delle folle” (1895) aveva dato un ritratto

delle folle tutto centrato sulla trasformazione che avrebbe

in esse del comportamento individuale. Irrazionalità,

isterismo, e impulsività caratterizzano secondo Le Bon la

natura di questi assembramenti umani, che dalla Rivoluzione

in poi (fino alle nostre assemblee parlamentari e alle giurie

penali) fanno la storia.

Negli anni fra le due guerre si accende un grande interesse

per l’opera di Le Bon: egli appare a molti un precursore, lo

scopritore geniale di un carattere nuovo dell’uomo moderno,

quello che gli deriva dallo stare in gruppo. Se questa

formulazione molto emotiva di psicologia sociale poteva

apparire frutto di una scoperta pionieristica, ciò si doveva

al fatto che la letteratura della crisi vedeva, nelle folle

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

17

Prima Parte: la rivolta delle masse

di Le Bon, la ripetizione innumerevole del tipo umano

rappresentato dall’uomo-massa. Psicologia collettiva e

sociologia della società contemporanea tendevano a coincidere

e questo è il motivo per il quale le pagine de “La psicologia

delle folle”, in cui è presente la tipologia della massa,

costituiranno un necessario punto di riferimento per tutta la

cultura della crisi.

2.2. Le Bon: La psicologia delle folle

L'epoca attuale costituisce uno di quei momenti critici,

durante i quali il pensiero umano si trasforma. Due fattori

fondamentali stanno alla base di tale trasformazione. Il

primo è la fine delle credenze religiose, politiche e sociali

[…]. Il secondo è la nascita di condizioni di vita e di

pensiero interamente nuove, che risultano prodotte dalle

moderne scoperte delle scienze e dell'industria.

Dato che le idee del passato, sebbene meno salde, sono

ancora molto forti, mentre quelle che devono sostituirle sono

ancora in via di formazione, l'età moderna rappresenta un

periodo di transizione e di anarchia.

Al momento attuale non è facile dire che cosa potrà nascere

un giorno da quest'epoca piuttosto caotica. Su quali idee

saranno fondate le società che succederanno alla nostra?

Ancora lo ignoriamo, e tuttavia fin d'ora possiamo prevedere

che, nella loro organizzazione, queste società dovranno fare

i conti con una potenza nuova, la più recente sovrana

dell'età moderna: la potenza delle folle. Sulle rovine di

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

18

Prima Parte: la rivolta delle masse

tante idee, ritenute vere un tempo e oggi defunte, e di tanti

poteri successivamente infranti dalle rivoluzioni, tale

potenza è la sola che continui a crescere e che paia

destinata ad assorbire le altre. Mentre le antiche credenze

barcollano e spariscono, e le vetuste colonne delle società

si schiantano ad una ad una, la potenza delle folle è la sola

che non subisca minacce e che vede crescere di continuo il

suo prestigio. L'età che inizia sarà veramente l'era delle folle.

Non più di un secolo fa, la politica tradizionale degli

Stati e le rivalità tra i prìncipi costituivano i principali

fattori degli avvenimenti. L'opinione delle folle, nella

maggioranza dei casi, non contava affatto. Oggi, invece, le

tradizioni politiche, le tendenze individuali dei sovrani e

le rivalità esistenti tra questi ultimi hanno ben scarso

peso. La voce delle folle è divenuta preponderante. Detta

ordini ai re. E’ nell'anima delle folle, e non più nei

consigli dei prìncipi, che si preparano i destini delle

nazioni.

L'ingresso delle classi popolari nella vita politica, la

loro trasformazione progressiva in classi dirigenti, è una

delle caratteristiche più rilevanti della nostra epoca di

transizione. Tale ingresso non ha coinciso, in verità, con il

suffragio universale, che per molto tempo ebbe limitata

influenza e agli inizi fu tanto facilmente diretto. La

potenza della folla nacque dapprima col propagarsi di certe

idee che si radicavano lentamente negli spiriti, poi grazie

al graduale associarsi degli individui che consentì la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

19

Prima Parte: la rivolta delle masse

realizzazione di concetti fino ad allora teorici. Il fatto di

associarsi ha permesso alle folle di farsi un’idea, se non

molto giusta, almeno molto precisa dei propri interessi, e di

prendere coscienza della propria forza. Le folle formano i

sindacati davanti ai quali tutti i poteri capitolano, creano

le camere del lavoro che, a dispetto delle leggi economiche,

tendono a regolare le condizioni dell'impiego e del salario.

Inviano nelle assemblee governative i loro rappresentanti

sprovvisti di ogni iniziativa, di ogni indipendenza, e

ridotti nella maggioranza dei casi ad essere soltanto i

portavoce dei comitati che li hanno eletti.

Poco inclini al ragionamento, le folle si dimostrano, al

contrario adattissime all'azione. L'organizzazione attuale

rende immensa la loro potenza. i dogmi che vediamo nascere

acquisteranno ben presto la forza di quelli antichi, cioè la

forza tirannica e sovrana che mette al riparo da ogni

discussione. Il diritto divino delle folle sostituisce il

diritto divino dei re.

Ciò che più ci colpisce di una folla psicologica è che gli

individui che la compongono - indipendentemente dal tipo di

vita, dalle occupazioni, dal temperamento o dall'intelligenza

- acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto

di appartenere alla folla. Tale anima li fa sentire, pensare

ed agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di

loro - isolatamente - sentirebbe, penserebbe ed agirebbe.

Certe idee, certi sentimenti nascono e si trasformano in atti

soltanto negli individui costituenti una folla. La folla

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

20

Prima Parte: la rivolta delle masse

psicologica è una creatura provvisoria, composta di elementi

eterogenei saldati assieme per un istante, esattamente come

le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere

nuovo con caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna

di queste cellule possiede. […] nell'aggregato di una folla

non vi è affatto somma o media di elementi, ma combinazione e

creazione di elementi nuovi. La stessa cosa accade in

chimica. Le basi e gli acidi, per esempio, si combinano per

formare un corpo nuovo dotato di proprietà diverse da quelle

dei corpi che hanno servito alla sua formazione.

Si può constatare facilmente quanto l’individuo immerso in

una folla differisca dall'individuo isolato. Ma è assai meno

facile scoprire le cause di tale differenza.

Per arrivare a intravederle, bisogna ricordare anzitutto una

scoperta fatta dalla psicologia moderna: che i fenomeni

inconsci svolgono una parte preponderante non soltanto nella

vita organica, ma anche nel funzionamento dell'intelligenza.

La vita consapevole dello spirito ha una parte minima

rispetto alla vita inconsapevole di esso. L'analista più

sottile, l'osservatore più penetrante arriva a scoprire

soltanto una piccola parte dei motivi inconsci da cui egli

stesso è guidato. I nostri atti coscienti derivano da un

substrato inconscio formato soprattutto da influenze

ereditarie. Questo substrato racchiude gli innumerevoli

residui ancestrali che costituiscono l'anima della razza. Nei

nostri atti, dietro alle cause da noi confessate, ve ne sono

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

21

Prima Parte: la rivolta delle masse

di segrete da noi stessi ignorate. La maggior parte di motivi

occulti che ci sfuggono. [ … ]

La folla (lo abbiamo già detto studiandone i caratteri

fondamentali) è guidata quasi esclusivamente dall’inconscio.

I suoi atti nascono dall'influenza del midollo spinale più

che dall'influenza del cervello. Le azioni da essa compiute

possono essere perfette quanto all'esecuzione, ma dato che

non sono dirette dal cervello. dipendono in realtà dai moti

casuali dell’eccitazione. La folla, strumento di tutti gli

stimoli esteriori, riflette le incessanti variazioni di

questi. E’ dunque schiava degli impulsi ricevuti. L’individuo

isolato può essere soggetto alle stesse eccitazioni, ma non

cede ad esse, poiché la ragione gli indica quali svantaggi

deriverebbero dal cedere. Si può fisiologicamente definire

tale fenomeno dicendo che l'individuo isolato ha la

possibilità di controllare i suoi riflessi, mentre la folla

ne è sprovvista.

I diversi impulsi ai quali le folle obbediscono, potranno

essere, secondo le stimolazioni ricevute, generosi o crudeli,

eroici o vili, ma saranno sempre tanto imperiosi che persino

l'istinto di conservazione si annullerà davanti ad essi.

Le folle sono mutevoli poiché gli stimoli capaci di

suggestionarle sono svariati, e le folle vi obbediscono

immancabilmente. Le vediamo passare in un attimo dalla

ferocia più sanguinaria alla generosità o all'eroismo più

assoluti. La folla diventa facilmente carnefice, ma

altrettanto facilmente martire. Dal suo seno hanno zampillato

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

22

Prima Parte: la rivolta delle masse

i fiumi di sangue che sono stati necessari per il trionfo di

ogni fede. E’ inutile risalire ai tempi eroici per vedere di

cosa son capaci le folle. Non danno troppo peso alla vita

durante le sommosse, e pochi anni fa un generale, divenuto

improvvisamente popolare, avrebbe trovato con facilità

centomila uomini pronti a farsi uccidere per la sua causa.

Nelle folle, insomma, non c'è premeditazione. Possono

percorrere successivamente la gamma dei più opposti

sentimenti sotto l'influsso di momentanee eccitazioni.

Somigliano alle foglie che l'uragano solleva, disperde e poi

lascia ricadere. Lo studio di certe folle rivoluzionarie ci

fornirà qualche esempio della mutevolezza dei loro

sentimenti.

Questa mutevolezza rende le folle molto difficilmente

governabili, specie quando una parte dei poteri pubblici è

finita nelle loro mani. Se le necessità della vita quotidiana

non costituissero una sorta di regolatore invisibile degli

eventi, le democrazie quasi non potrebbero sussistere. Ma le

folle, che desiderano certe cose con frenesia, non le

desiderano a lungo. Sono incapaci di volontà costante, così

come sono incapaci di pensare.

La folla non è soltanto impulsiva e mutevole. Come il

selvaggio, non ammette ostacoli tra un desiderio e la sua

realizzazione, tanto più se il numero dà ad essa la

sensazione di costituire una irresistibile potenza. Per

l'individuo nella folla, la nozione di impossibilità

scompare. L'uomo isolato sa benissimo che non potrebbe, da

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

23

Prima Parte: la rivolta delle masse

solo, incendiare un palazzo o saccheggiare un negozio. La

tentazione di farlo non lo sfiora nemmeno. Ma quando si trova

in una folla, prende coscienza della forza che gli viene dal

numero, e cede immediatamente alla prima istigazione al

massacro o al saccheggio. L'ostacolo inatteso sarà infranto

con frenesia. Se l'organismo umano permettesse la perpetuità

del furore, vedremmo allora che lo stato normale di una folla

contrariata sarebbe appunto il furore.

Nell'irritabilità delle folle, nella loro impulsività e

mutevolezza, così come in tutti i sentimenti popolari che

analizzeremo, intervengono sempre i caratteri fondamentali

della razza. Questi costituiscono il terreno invariabile su

cui germinano i nostri sentimenti. Le folle sono senza dubbio

irritabili e impulsive, ma con notevoli variazioni di

intensità. La differenza tra una folla latina e una folla

anglosassone, ad esempio, è lampante. I fatti recenti della

nostra storia gettano viva luce su questo punto. Nel 1870, la

pubblicazione di un semplice telegramma dove si parlava di un

supposto insulto bastò per determinare in Francia

un'esplosione di furore che sfociò in una guerra terribile.

[...] Le folle sono, dunque, femminili, ma le più femminili

di tutte sono le latine. Chi si appoggia ad esse può salire

molto in alto e molto in fretta, ma sfiorando sempre il

ciglio della rupe Tarpea e con la certezza di precipitare un

giorno nell'abisso.

G. Le Bon, La psicologia delle folle, Mondadori, Milano

1980, pp. 24-45

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

24

Prima Parte: la rivolta delle masse

2.3. Commento al brano di Le Bon: L’irrazionalità delle folle

L’occidente, nel momento in cui scrive Le Bon, ossia il

momento in cui si affermano le masse, sta attraversando un

momento di significativi cambiamenti sociali. Le masse hanno

ormai preso il sopravvento sull’individuo, le tradizioni

politiche hanno ormai perso il loro peso e, con loro, tutte

le tendenze individuali. Sembra quasi una profezia di ciò che

avverrà qualche anno dopo la pubblicazione di questo libro:

lo scoppio della prima guerra mondiale.

Le masse, che sono diventate il soggetto politico più

importante della vita pubblica, agiscono secondo un

comportamento che, nella concezione freudiana della

psicologia, sarebbe consono ad un bambino che non ammette

alcun ostacolo tra desiderio e realizzabilità di

quest’ultimo. Le folle sono prive della nozione di

impossibilità. Nella vita organica delle folle, infatti, una

parte preponderante dell’attività psichica è “occupata”

dall’attività inconscia. Il comportamento di un individuo

all’interno della “massa” gli permette di abbattere gli

ostacoli attraverso la frenesia e il furore. Le masse,

inoltre, seguono irrazionalmente gli istinti, agiscono con

immediatezza, senza premeditazione e consapevolezza. Esse

sfuggono, però, al controllo di chi tenta di influenzarle, e

si affidano con altrettanta facilità a chi riesce ad

indirizzare il loro odio a favore del proprio scopo. Le folle

sono schiave degli impulsi ricevuti, non riescono a dominarli

e non riescono a controllare i propri riflessi, agiscono

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

25

Prima Parte: la rivolta delle masse

mutevolmente a seconda degli stimoli esterni che le

influenzano rendendole molto difficili da governare.

Riguardo ai problemi studiati nell’area progettuale, Le Bon

dimostra che le folle sono capaci di modificare la vita

politica e sociale, la loro presa di coscienza politica

potrebbe, secondo lui risultare pericolosa data

l’irrazionalità con la quale esse agiscono.

Al termine “folle” sarebbe quindi più appropriato

sostituire quello di “masse”.

Il pessimismo di Le Bon sulla presa di coscienza delle

masse deriva anche e soprattutto dal fatto che esse agiscono

secondo una pulsione violenta dettata dall’irrazionalità e

dalla foga.

Alla base del comportamento impulsivo delle masse vi sono i

caratteri della razza. La diversa razza della folla fa si che

essa subisca delle variazioni di intensità. Le folle sostiene

Le Bon sono di sesso femminile e le più femminili di tutte

sono le latine (rif. Rivoluzione francese).

Dall’analisi portata avanti da Le Bon scaturisce una

concezione della società attuale pessimista e un sentimento

di nostalgia causato dalla perdita dell’equilibrio che stava

alla base della società prima della ”presa di potere” delle

masse. Coloro che fanno affidamento alle masse si espongono

al carattere effimero della volontà di queste ultime.

Solo l’uomo che agisce individualmente riuscirà un giorno a

risollevarsi, perché l’organismo umano non permette, al

contrario delle folle, -il perpetuarsi del furore.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

26

Prima Parte: la rivolta delle masse

3. ORTEGA Y GASSET JOSÈ

3.1. La Vita

Saggista e filosofo spagnolo. Dopo la laurea e la docenza,

nel 1906 studiò in Germania dove fu allievo di Cohen a

Marburgo. Dal 1910 al 1936, insegnò metafisica all’università

di Madrid. Nel 1923 fondò “la Rivista de Occidente”, che

diffuse in Spagna la filosofia e la cultura europea.

Tra le principali opere di Ortega si possono ricordare:

“Meditazioni sul Chisciotte”, “Spettatore”, “Spagna

invertebrata”, “La ribellione delle masse”

3.2. Il pensiero

La filosofia di Ortega s’ispira al realismo per

l’affermazione che l’intelligenza, la scienza, la cultura

sono subordinate alla vita e non hanno altra funzione se non

quella di essere strumenti al servizio di questa. La credenza

contraria, la subordinazione della vita all’intelligenza,

intelligenza priva di qualsiasi rapporto con la realtà, getta

la vita in balia di due atteggiamenti opposti che concordano

nel distruggerla: il bigottismo (l’ipocrisia) della cultura e

l’insolenza anticulturale contro l’intellettualismo. Ortega

afferma che l’uomo per vivere deve pensare, e se pensa male

vive male.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

27

Prima Parte: la rivolta delle masse

La subordinazione del sapere alla vita richiede che l’uomo

assuma in modo consapevole la responsabilità di divenire

“artefice del proprio destino”, dominando con la propria

ragione il suo istinto e riuscendo sempre a discriminare tra

ciò che “deve” e ciò che “non deve” fare. In realtà ognuno ha

bisogno di sapere che cosa debba fare delle cose che lo

circondano; questo è il senso vero del sapere. Le cose sono

prive di un senso ontologico dato e assoluto, il loro

significato è funzione del comportamento dell’essere umano

nei loro confronti. Il vero problema non concerne quindi le

cose, ciò che è sempre posto in gioco è l’atteggiamento umano

nei confronti della realtà. Questo, però non rende le cose

stesse soggettive, più che non renda oggettivo l’io, il suo

rapporto con le cose. “Io sono io e la mia circostanza” dice

Ortega nelle meditazioni su Chisciotte, comprendendo nella

circostanza tutto il mondo esterno ed interno, il mondo cioè

che è in rapporto con l’io, ma non s’identifica con esso.

La ragione dell’uomo ha il compito di dominare la

circostanza che la sua prospettiva gli offre, di riassorbirla

nell’uomo stesso al fine di umanizzarla; la ragione èè perciò

una ragione vitale, non opposta alla vita né diversa da essa.

Ortega fu uno dei maggiori esponenti dell'esistenzialismo

europeo. L’elemento esistenzialistico della filosofia di

Ortega si riconosce nella contrapposizione che egli

stabilisce tra autenticità e inautenticità. L’uomo può

perdere di vista se stesso, la salvezza per lui è, allora,

tornare a coincidere con se stesso, sapere chiaramente qual è

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

28

Prima Parte: la rivolta delle masse

il suo atteggiamento di fronte ad ogni cosa. In questa

coincidenza dell’uomo con se stesso, nella pace interiore

dell’individuo con la sua stessa spiritualità, è

l’autenticità della vita cioè quella che si chiama felicità.

L’epoca di crisi è un’epoca d’instabilità in cui, per

l’assenza di convinzioni positive, l’uomo può passare dal

bianco al nero, quindi tutto è quindi possibile. L’essenza

della crisi, quella che investì la natura stessa dell’uomo e

il suo destino, si è verificata nel mondo occidentale negli

ultimi secoli dell’impero romano. La sua soluzione, il

Cristianesimo, appare in qualche modo ad Ortega come la

soluzione delle soluzioni, l’unica veramente radicale, la

negazione dell’uomo e del mondo e di tutti i loro problemi,

l’abbandono al soprannaturale. Dall’altro lato l’epoca

attuale, caratterizzata dalla “ribellione delle masse”,

appare ad Ortega come la peggiore di tutte, per l’incertezza

in cui l’avvento delle masse e la socializzazione dell’uomo

hanno gettato la società attuale. Non c’è più “definitezza

dei tempi” perché questa società presuppone un avvenire

chiaro, prestabilito, inequivocabile, com’era quello del

secolo XIX. Allora si credeva di sapere ciò che sarebbe

accaduto l’indomani. Ora il futuro è sconosciuto, dato che

non si sa chi potrà comandare e non si sa come si dividerà il

potere sopra la terra: “Chi potrà comandare? Quale popolo?

Quale ideologia? Quale sistema di preferenze e di norme?”.

Il concetto di crisi, di cui Ortega è il più eloquente

difensore, nasce da una nostalgia mitologizzante, che pone

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

29

Prima Parte: la rivolta delle masse

nel passato quella perfetta stabilità e sicurezza di vita che

l’uomo sente mancargli al presente. Nel saggio “La storia

come sistema”, c’è il riconoscimento esplicito della

storicità fondamentale dell’uomo: “Un pellegrino dell’essere,

un sostanziale emigrante è l’uomo”.

Per questo manca di senso mettere i limiti a ciò che l’uomo

è capace di essere. In questa illimitatezza delle sue

possibilità, c’è solo un limite: il passato. Le esperienze di

vita fatte restringono il futuro dell’uomo. Se non sappiamo

ciò che sarà, sappiamo ciò che non sarà. Si vive in vista del

passato.

3.3. Il Brano di Ortega: La ribellione delle masse

C'è un fatto che, bene o male che sia, è il più importante

nella vita pubblica europea dell'ora presente. Questo fatto è

l'avvento delle masse al pieno potere sociale. E siccome le

masse, per definizione, non devono né possono dirigere la

propria esistenza, e tanto meno governare la società, vuol

dire che l'Europa soffre attualmente la più grave crisi che

tocchi di sperimentare a popoli, nazioni, culture. Questa

crisi s'è verificata più d'una volta nella storia. La sua

fisionomia e le sue conseguenze sono note. Se ne conosce

anche il nome. Si chiama la ribellione delle masse.

Per l'intelligenza del formidabile fenomeno conviene che si

eviti di dare, fin d'ora, ai termini «ribellione», «massa»,

«potere sociale», ecc., un significato esclusivamente o

principalmente politico. La vita pubblica non è soltanto

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

30

Prima Parte: la rivolta delle masse

politica, ma, in pari tempo e in prevalenza, è intellettuale,

morale, economica, religiosa; comprende tutti i costumi

collettivi, inclusa la maniera di vestire e la maniera di

godere.

Forse il modo migliore di avvicinarsi a questo fenomeno

storico è quello di riferirci a un'esperienza visiva,

sottolineando un aspetto della nostra epoca che è visibile

con gli occhi della fronte.

Semplicissimo ad essere enunciato, per quanto non sia

altrettanto semplice ad essere analizzato, lo possiamo

denominare il fenomeno dell'agglomerazione, del «pieno». Le

città sono piene di gente. Le case, piene d'inquilini. Gli

alberghi, pieni di ospiti. I treni, pieni di viaggiatori. I

caffè, pieni di consumatori. Le strade, piene di passanti. Le

anticamere dei medici più noti, piene d'ammalati. Gli

spettacoli, appena non siano molto estemporanei, pieni di

spettatori. Le spiagge, piene di bagnanti. Quello che prima

non soleva essere un problema, incomincia ad esserlo quasi a

ogni momento: trovar posto. [...]

Che cosa è ciò che vediamo, e la cui considerazione ci

sorprende tanto? Vediamo la moltitudine, come tale, che

s'impossessa dei luoghi e dei mezzi creati dalla civiltà.

Il concetto di moltitudine è quantitativo e visivo.

Traduciamolo, senza alterarlo, nella terminologia

sociologica. Allora troviamo l'idea della massa sociale. La

società è sempre una unità dinamica di due fattori: minoranze

e masse. Le minoranze sono individui o gruppi d'individui

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

31

Prima Parte: la rivolta delle masse

particolarmente qualificati. La massa è l'insieme di persone

non particolarmente qualificate. Non s'intenda, però, per

masse soltanto, né principalmente, «le masse operaie». Massa

è l'uomo medio. In questo modo si converte ciò che era mera

quantità - la moltitudine - in una determinazione

qualitativa: è la qualità comune, è il campione sociale, è

l'uomo in quanto non si differenzia dagli altri uomini, ma

ripete in se stesso un tipo generico. E che abbiamo

guadagnato con questa conversione della quantità in qualità?

E’ assai semplice: per mezzo di questa comprendiamo la genesi

di quella. E’ evidente, perfino banale, che la formazione

normale d'una moltitudine implica la coincidenza di desideri,

di idee, del modo d'essere, negl'individui che la

costituiscono. […]

A rigore, la massa può definirsi, come fatto psicologico,

senza necessità d'attendere che appaiano gl'individui come

agglomerato. Anche per una sola persona possiamo sapere se è

massa o no. Massa è tutto ciò che non valuta se stesso - né

in bene né in male - mediante ragioni speciali, ma che si

sente «come tutto il mondo», e tuttavia non se ne angustia,

anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli

altri. […]

E non c'è dubbio che la divisione più radicale che occorre

fare in seno all’Umanità è questa, in due classi di creature:

quelle che esigono molto e accumulano sopra se stesse

difficoltà e doveri, e quelle che non esigono nulla di

speciale, se non che per esse vivere consiste nell'essere a

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

32

Prima Parte: la rivolta delle masse

ogni momento ciò che già sono, senza sforzo di perfezione

dentro di se stesse, galleggianti che vanno alla deriva. […]

La divisione della società in masse e minoranze selezionate

non è, pertanto, una divisione in classi sociali, ma in

classi di uomini, e non può identificarsi nell'ordine

gerarchico di classi superiori e inferiori. […]

Ebbene: esistono nella società operazioni, attività,

funzioni dei più diversi ordini, che sono, per la loro stessa

indole, speciali, e, di conseguenza, non possono essere

eseguite senza qualità anch'esse speciali. Per esempio: certi

godimenti di carattere artistico e lussuoso, oppure le

funzioni di governare o di giudicare politicamente intorno

agli affari pubblici. Prima queste attività speciali erano

esercitate da minoranze qualificate - qualificate, almeno,

come presunzione. La massa non pretendeva d'intervenire in

esse: si rendeva conto che se voleva intervenire doveva

effettivamente acquistare queste doti speciali e cessare di

essere massa. Conosceva la sua funzione in una sana dinamica

sociale. […]

Nessuno, io credo, deplorerà che le folle godano oggi in

numero e misura maggiori che per il passato, dato che ne

hanno il gusto e i mezzi. Il male è che questa decisione

presa dalle masse di assumere le attività proprie alle

minoranze, non si manifesta, né potrebbe manifestarsi,

soltanto nell'ordine dei godimenti, ma essa si rivela come

una maniera generale di questo tempo. Così - anticipando ciò

che vedremo a momenti - credo che le innovazioni politiche

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

33

Prima Parte: la rivolta delle masse

degli anni più recenti non significano altro che l'impero

politico delle masse. La vecchia democrazia viveva temperata

da un'abbondante dose di liberalismo e d'entusiasmo per la

legge. A servire questi principi l'individuo si obbligava a

sostenere in se stesso una disciplina difficile. Sotto la

protezione del principio liberale e della norma giuridica

potevano agire e vivere le minoranze. Democrazia e legge,

convivenza legale, erano sinonimi. Oggi assistiamo al trionfo

d'una iperdemocrazia in cui la massa opera direttamente senza

legge, per mezzo di pressioni materiali, imponendo le sue

aspirazioni e i suoi gusti, è falso interpretare le nuove

situazioni come se la massa si fosse stancata della politica

e ne devolvesse l'esercizio a persone «speciali» Tutto il

contrario. Questo era quello che accadeva nel passato, questo

era la democrazia liberale. La massa presumeva che, in ultima

analisi, con tutti i loro difetti e le loro magagne, le

minoranze dei politici s’intendevano degli affari pubblici un

po' più di essa. Adesso, invece, la massa ritiene d'avere il

diritto d'imporre e dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni

da caffè. Io dubito che ci siano state altre epoche della

storia in cui la moltitudine giungesse a governare così

direttamente come nel nostro tempo. Per questo parlo

d'iperdemocrazia.

Iil fatto caratteristico del momento è che l'anima volgare,

riconoscendosi volgare, ha l'audacia d'affermare il diritto

della volgarità e lo impone dovunque. La massa travolge tutto

ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

34

Prima Parte: la rivolta delle masse

selezionato Chi non sia come «tutto il mondo», chi non pensi

come «tutto il mondo» corre il rischio di esser eliminato. Ed

è chiaro che questo «tutto il mondo» non è «tutto il mondo».

«Tutto il mondo» era normalmente l'unità complessa di massa e

minoranze discrepanti, speciali. Adesso «tutto mondo» è

soltanto la massa.

Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, Il Mulino, Bologna

1962, pp. 3-12

3.4. 0rtega commento

Nel brano Ortega affronta un problema tipico della società

del tempo: l’avvento al potere delle masse,(nonostante la

loro incapacità di auto guidarsi)che porta ad una inevitabile

crisi dell’Europa, già verificatasi in passato, ma molto più

intensa poiché non si trattava solo della presa di potere

nell’ambito politico ma anche, e soprattutto, religioso,

morale, economico ed intellettuale.

Questo problema per quanto evidente sia, comporta delle

enormi difficoltà d’analisi. Ortega utilizza un particolare

metodo, che Ortega stesso definisce di facile enunciazione,

ma che comporta delle difficoltà non indifferenti di analisi.

Tale fenomeno viene convenzionalmente definito «del pieno».

Una prima spiegazione del fenomeno viene fornita da Ortega

utilizzando una terminologia non sociologica. Ortega

sottolinea come qualsiasi parte della città sia popolata; da

qui nasce una prima considerazione per quanto riguarda la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

35

Prima Parte: la rivolta delle masse

massa che popola tali città: la moltitudine, quindi un

concetto quantitativo e visivo.

Questa prima definizione viene poi tradotta in termini

sociologici: si potrà allora parlare di massa sociale. Ortega

sottolinea come in ogni società massa siano presenti una

minoranza ed una maggioranza(massa).

I primi, sono gruppi di individui qualificati, che

compongono però, come è logico, una ristretta élite. La

maggioranza, che compone invece la massa, rappresenta le

persone non qualificate. Nella massa ogni singolo individuo

appare “inutile, poiché è semplicemente la parte di un tutto

in cui ciò che prevale è, come già detto, la quantità, e

viene contemporaneamente svalutata la qualità. In questo

senso ogni singolo individuo che compone la massa si sente

sicuro solo se si sente uguale all’altro.

Da ciò deriva una degradazione anche della cultura in quanto

anch’essa diviene fenomeno di massa. La riaffermazione di una

concezione elitaria si potrebbe verificare solo se si

verificasse un ritorno al passato.

Il brano si conclude con affermazione da parte di Ortega

dell’inevitabile presa del potere da parte delle masse, le

quali riusciranno nell’intento di realizzare un regime

iperdemocratico, che porterà poi alla nascita di un

inevitabile regime totalitario.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

36

Prima Parte: la rivolta delle masse

4. SIGMUND FREUD

4.1. La Vita

Benché tutta risolta all'interno di una borghesia della

quale seppe esprimere e interpretare le inquietudini, la vita

di Sigmund Freud si identifica nel tempo con lo sviluppo

della sua rivoluzionaria concezione dell'uomo, e con la

diffusione dl movimento psicoanalitico stesso, del quale egli

fu fondatore e capo carismatico.

Nato il 6 maggio 1856 da modesta famiglia israelitica, a

Freiberg (Moravia), Freud attribuiva a questa sua condizione

- l'essere ebreo e austriaco - la propria capacita di

sopportare il peso di una posizione impopolare, il

misconoscimento, la solitudine, le accuse, le calunnie che

gliene derivavano. A Vienna, dove la famiglia si era

trasferita quattro anni dopo la sua nascita, si iscrisse

dapprima alla facoltà di Scienze, dedicandosi, con alcuni

successi, alla ricerca pura. Sua guida era in questo periodo

lo psicologo Brucke, portavoce di quel fervore scientifico,

di quella positivistica fede nella scienza, che dominava

allora la maggior parte degli studiosi. Questo atteggiamento

penetro profondamente il giovane Freud.

Costretto da problemi economici a lasciare la facoltà' di

Scienze, si iscrisse a Medicina. Nel 1881 si laureo. Quattro

anni dopo ebbe la libera docenza in neuropatologia ed una

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

37

Prima Parte: la rivolta delle masse

borsa di studio; ne approfitto per andare a Parigi, da

Charcot, il più grande neurologo europeo di quei tempi. Nel

1886, dopo il matrimonio, Freud apri un gabinetto privato per

la cura delle malattie nervose. Decisivo, fu in questo

momento l'incontro con J. Breuer, che lo indusse ad

utilizzare l'ipnosi.

Dal lungo periodo di collaborazione con Breuer (1887-1895),

Freud ricava alcune acquisizioni che resteranno fondamentali

per la terapia dell'isteria e più tardi delle altre nevrosi.

E' proprio nel 1895 che Freud pubblica, insieme a Breuer, la

sua prima opera, Studi sull'isteria.

Motivi teorici e pratici, e soprattutto una sostanziale

diversità di carattere e approccio alla terapia,

allontanarono i due poco dopo la pubblicazione degli studi.

Freud si mette sulla strada della psicoanalisi. Sempre nel

1895 Freud aveva iniziato la propria autoanalisi. Punto di

partenza fu un sogno; attraverso questo sogno Freud giunse

alla conclusione che tutti i sogni hanno un significato.

Nel 1896 muore il padre e questo sarà un periodo straziante

per Freud. L'autoanalisi, con il sostegno dei sogni, continuò

e si approfondì, dilatandosi nello spazio psichico e nel

tempo e aprendogli la strada a fondamentali scoperte

scientifiche e personali: l'inconscio e la censura, la libido

ed il complesso edipico. Continuerà poi ad occuparsi dei

sogni, strumento del quale egli diveniva sempre più' padrone,

sino alla pubblicazione del libro a lui più caro,

L'interpretazione dei sogni (Die Traumdeutung) nel 1899.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

38

Prima Parte: la rivolta delle masse

Nella sua autoanalisi Freud aveva inoltre scoperto alcune

caratteristiche sintomatiche dette "casuali", presenti in un

individuo normale. ma che potevano ricondursi a sintomi

nevrotici: lapsus, amnesie passeggere, sbadataggini,

smarrimenti di oggetti. Da questa idea nacque un'altra opera

fondamentale che è La psicopatologia della vita quotidiana

(Psychopathologie des Alltagslebens) pubblicata nel 1901.

Approfondendo le intuizioni elaborate nel corso

dell'autoanalisi e confermate, per quanto possibile, nella

pratica medica, Freud pubblica nel 1905, i Tre saggi sulla

sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie): in cui

esamina le aberrazioni sessuali, l'importanza della

sessualità infantile, la tendenza alla perversione, che egli

ritiene essenziale nell'istinto sessuale. Questi anni

straordinariamente fertili, tra 1895 e 1905, saranno definiti

da Freud di "splendido isolamento", quelli in cui non aveva

ancora seguaci. In seguito pubblicò varie opere tra le quali

Totem e tabù ( 1913 ), Al di la' del principio e del piacere

(1920), Psicologia delle masse e analisi dell'io (1920/21),

L'io e l'Es.

Nelle opere di questi anni affiora, in modo talvolta

sotterraneo, talvolta esplicito, il disagio dell'animale-uomo

posto, dalla Grande Guerra, di fronte alla rivelazione della

sua natura più vera, della sua natura rimossa, il suo

sconvolgimento nel pacifico possesso di quei beni, portati

dal progresso e dal benessere, che credeva definitivamente

acquisiti.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

39

Prima Parte: la rivolta delle masse

Nel 1930 ebbe il premio Goethe della città di Francoforte.

Conobbe altre notissime personalità del suo tempo come Thomas

Mann e Albert Einstein, con il quale scrisse Perche' la

guerra? pubblicato nel 1932.

Nel 1933 i nazisti prendono il potere in Germania;

nonostante i cattivi presagi di un'aggressione all'Austria e

le ripetute esortazioni degli amici, Freud non vuole lasciare

Vienna. Si deciderà solo cinque anni più tardi, di fronte

all'Anschluss. I suoi libri vengono bruciati, così nel 1938

la famiglia si trasferisce a Londra. Freud prosegue il suo

lavoro; scrive articoli, lavora al Compendio di psicoanalisi

che resterà incompiuto e verrà pubblicato postumo. Nonostante

l'intensificazione del dolore data dal cancro che aveva alla

mascella, fu sino al fine estremamente lucido e, persino,

completamente consapevole e rassegnato.

Continuò le analisi fino a qualche settimana prima della sua

morte avvenuta a Londra il 23 settembre 1939.

4.2. Il pensiero: Il disagio della civiltà

L’opinione di Freud riguardo la società è individuabile nel

saggio “Il Disagio della civiltà”, pubblicato nel 1929.

Il fondamentale proposito freudiano in quest’opera, è di

analizzare la genesi, le funzioni e l’essenza della civiltà

dal punto di vista dell’individuo e della sua felicità.

Ciò che secondo Freud caratterizza la civiltà (costituendone

anche le genesi), è la “sostituzione del potere della

comunità a quello del singolo”, mediante una serie di

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

40

Prima Parte: la rivolta delle masse

limitazioni alla libertà individuale. Nell’imporre un potere

esterno alla persona, nel limitarne la libertà, la civiltà

provoca, secondo Freud, dei danni gravissimi nell’individuo

medesimo. Essa, infatti, obbliga l’uomo ad inibire un numero

considerevole di desideri e pulsioni, a rinunciare al

soddisfacimento di molte esigenze profonde del suo essere, e

a “deviare” l’energia libidica e la ricerca del piacere in

prestazioni sociali e lavorative. In questo modo la società

cerca con vari mezzi di spersonalizzare i propri membri,

eliminando la ricerca individuale della felicità e diventando

per costoro il modello in cui riflettersi, o ancor più, il

polo cui vincolare le pulsioni libidiche al fine di renderle

inoffensive.

Ciò non significa che Freud sia contro la civiltà o che

vagheggi un’umanità buona e felice da recuperarsi oltre le

imposizioni sociali. Al contrario egli ritiene che l’uomo non

possa essere veramente felice, perché la sofferenza è la

componente strutturale della vita, in quanto siamo costretti

a patire nel corpo e nella psiche, a decadere e a morire.

Inoltre, secondo Freud, l’uomo non è “una creatura gentile

che vuol essere amata, e che al massimo può difendere se

stessa se viene attaccata”, ma è una creatura malvagia, ed una

delle sue pulsioni più profonde è l’aggressività. Per evitare

all’uomo di dare libera espressione ai suoi istinti e di

distruggere la civiltà, la società pone la necessità di

reprimere gli istinti più negativi dell’uomo.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

41

Prima Parte: la rivolta delle masse

I modi o gli strumenti principali mediante i quali la

società soggioga l’individuo, sono l’instaurazione del Super-

io e del sentimento di colpa. Attraverso i meccanismi

educativi ed altri sistemi di socializzazione, la società,

proseguendo l’opera paterna, dà origine ad un Super-io sociale,

incarnato in una serie di divieti, valori, principi e norme

di comportamento, lontani dalle esigenze profonde dell'essere

umano. In questo modo, la società, riesce ad introiettare

nell’individuo quei sensi di colpa che ne fiaccano

irrimediabilmente la capacità di ricercare attivamente e

autonomamente il proprio piacere.

Perfettamente consapevole delle esigenze connesse con la

convivenza intersoggettiva, Freud ha però denunciato con

fermezza le implicazioni di una pratica sociale

eccessivamente repressiva. Ha riproposto la tematica

rousseauiana della contraddizione tra il bonheur

dell’individuo e le esigenze del progresso sociale; ha

demistificato valori e prìncipi morali ritenuti ovvi ed

universali, mostrando in quale misura essi possono turbare

l’equilibrio psichico dell’individuo.

Questo discorso si colloca nell’ambito di un ripensamento da

parte di Freud della sua teoria psicologica generale. Negli

ultimi scritti, infatti, Freud ha diviso le pulsioni in due

specie: quelle che tendono a conservare ed unire e sono

quindi erotiche o genericamente sessuali; e quelle che invece

tendono a distruggere e uccidere, comprese nelle

denominazioni di pulsioni aggressive o distruttive. Ed è

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

42

Prima Parte: la rivolta delle masse

proprio nella lotta tra Eros e Thanatos che Freud ha visto

condensata l’intera storia del genere umano.

4.3. Il Brano di Freud: individuo e massa

La contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia

sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può

sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più

attenta, gran parte della sua nettezza.

La psicologia individuale verte sull'uomo singolo e mira a

scoprire per quali tramiti questo cerca di conseguire il

soddisfacimento dei propri moti pulsionali, ma solo

raramente, in determinate condizioni eccezionali, riesce a

prescindere dalle relazioni di tale singolo con altri

individui.

Nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente

presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come

nemico, e pertanto, in quest'accezione più ampia ma

indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è

anche, fin dall'inizio, psicologia sociale.

Il rapporto che il singolo istituisce con i suoi genitori e

fratelli, con il suo oggetto d'amore, con il suo maestro e

con il suo medico, ossia tutte le relazioni finora divenute

materia precipua della ricerca psicoanalitica, possono

legittimamente venir considerate alla stregua di fenomeni

sociali, e contrapporsi quindi a taluni altri processi, da

noi chiamati «narcisistici», nei quali il soddisfacimento

delle pulsioni elude o rifiuta l'influsso di altre persone.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

43

Prima Parte: la rivolta delle masse

La contrapposizione tra atti psichici sociali e atti

narcisistici rientra quindi per intero nell'ambito della

psicologia individuale e non consente di separare questa

dalla psicologia sociale o delle masse.

Nei menzionati rapporti che istituisce con i genitori e i

fratelli, con la persona amata, con l’amico, il maestro e il

medico, il singolo subisce l’influsso di un’unica persona o

di un numero assai limitato di persone, ognuna delle quali ha

per lui acquistato un'importanza straordinaria. Ora nel

parlare di psicologia sociale o delle masse, è invalsa

l'abitudine di prescindere da tali relazioni e di isolare,

quale oggetto della ricerca, il simultaneo influsso

esercitato sul singolo da un numero rilevante di persone cui

esso è legato da qualcosa, ma che per molti aspetti possono

essergli estranee.

La psicologia delle masse considera quindi l'uomo singolo in

quanto membro di una stirpe, di un popolo, di una casta, di

un ceto sociale, di un'istituzione, o in quanto elemento di

un raggruppamento umano che a un certo momento e in vista di

un determinato fine si è organizzato come massa. Recisa in

tal modo una connessione naturale, è facile scorgere nei

fenomeni che si manifestano in tali condizioni specifiche

l'espressione di una pulsione specifica e ulteriormente

irriducibile: la pulsione sociale - herd instinct, group mind

[istinto gregario, psiche collettiva] - che in altre

situazioni non si manifesta.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

44

Prima Parte: la rivolta delle masse

Possiamo però obiettare che ci sembra difficile attribuire

al fattore numerico un'importanza tale da renderlo di per sé

capace di suscitare nella vita psichica dell'uomo una

pulsione nuova, altrimenti non operante. Propendiamo quindi

per due altre possibilità: che la pulsione sociale non possa

essere originaria e indecomponibile, e che gli inizi del suo

costituirsi possano venir individuati in un ambito più

ristretto, quello della famiglia ad esempio.

Siamo partiti dal dato di fatto fondamentale che,

all'interno di una massa e per influsso di questa, il singolo

subisce una profonda modificazione della propria attività

psichica. La sua affettività viene straordinariamente

esaltata, la sua capacità intellettuale si riduce in misura

considerevole, ed entrambi i processi tendono manifestamente

a uguagliarlo agli altri individui della massa; questo

risultato può venir conseguito unicamente tramite

l'annullamento delle inibizioni pulsionali peculiari ad ogni

singolo e attraverso la rinuncia agli specifici modi di

esprimersi delle sue inclinazioni.

Ci è stato detto che tali effetti, spesso indesiderati,

possono in parte almeno venir neutralizzati da una superiore

«organizzazione» delle masse; ciò tuttavia non contraddice il

fatto fondamentale della psicologia delle masse, enunciato

nelle due proposizioni dell'esaltazione dell'affetto e

dell'inibizione del pensiero entro la massa primitiva.

Intendiamo ora trovare la spiegazione psicologica di tale

trasformazione psichica del singolo all'interno della massa.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

45

Prima Parte: la rivolta delle masse

Fattori razionali, come la sopra menzionata intimidazione

del singolo e pertanto l'azione della sua pulsione di auto-

conservazione, non riescono evidentemente a spiegare per

intero i fenomeni che s'impongono all'osservazione. Per il

resto, ciò che ci viene offerto dagli autori occupatisi di

sociologia e di psicologia delle masse è, anche se designata

con nomi diversi, sempre la stessa cosa: si tratta della

magica parola suggestione. In Tarde aveva nome «imitazione», ma

dobbiamo dar ragione a un autore che obietta che l'imitazione

è assunta sotto il concetto di suggestione, di cui anzi

costituisce una conseguenza. In Le Bon tutto ciò che di

sorprendente caratterizza i fenomeni sociali viene ricondotto

a due fattori: la suggestione reciproca fra i singoli e il

prestigio del capo. Ma il prestigio si esprime a sua volta

solo nella sua conseguenza, vale a dire suscitando la

suggestione. [...]

Cercherò invece di utilizzare, in vista di una delucidazione

della psicologia delle masse, il concetto di libido, che ci ha

reso servizi tanto eccellenti nello studio della

psiconevrosi.

Libido è un termine desunto dalla teoria dell'affettività.

Chiamiamo così - considerandola una grandezza quantitativa,

anche se per ora non misurabile - l'energia delle pulsioni

attinenti a tutto ciò che può venir compendiato come «amore».

Il nocciolo di ciò che intendiamo per amore è naturalmente

costituito da ciò che viene chiamato amore comunemente e che

i poeti celebrano, ossia dall'amore fra l'uomo e la donna che

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

46

Prima Parte: la rivolta delle masse

tende all'unione sessuale. Non ne escludiamo tuttavia tutto

ciò che anche altrimenti inerisce al nome di amore, come da

un lato l'amore per se stessi, dall'altro quello per i

genitori e per i bambini, l'amicizia e l'amore per gli uomini

in generale, come pure l'attaccamento a oggetti concreti e a

idee astratte. Ci è lecito farlo dacché la ricerca

psicoanalitica ci ha insegnato che tutte queste tendenze sono

l'espressione dei medesimi moti pulsionali che nei rapporti

tra i sessi spingono all'unione sessuale, mentre in altre

circostanze vengono deviati da tale meta sessuale od

ostacolati nel suo raggiungimento, pur serbando ancora la

loro natura originaria in misura sufficiente da mantenere

riconoscibile la loro identità (casi dell'autosacrificio,

dell'aspirazione all'avvicinamento).

Riteniamo quindi che, tramite la parola «amore» nelle sue

molteplici accezioni, la lingua abbia creato una sintesi

perfettamente legittima e di non poter fare nulla di meglio

che porla a fondamento delle nostre discussioni e descrizioni

scientifiche.

Con questa decisione la psicoanalisi ha scatenato una

tempesta d'indignazione, quasi si fosse resa colpevole di

un'innovazione delittuosa. Eppure, tramite tale concezione

«ampliata» dell'amore, la psicoanalisi non ha creato nulla di

originale.

L'«Eros» del filosofo Platone mostra, riguardo alla sua

provenienza, alla sua funzione e al suo rapporto con l'amore

sessuale, una coincidenza perfetta con la forza amorosa, la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

47

Prima Parte: la rivolta delle masse

libido della psicoanalisi, come hanno particolareggiatamente

dimostrato Nachmansohn e Pfister; e allorché nella sua famosa

Lettera ai Corinzi l'apostolo Paolo celebra al di sopra di ogni

cosa l'amore, lo intende certamente nella medesima accezione

«ampliata»; dal che si ricava soltanto che, pur ammirandoli

molto in apparenza, non sempre gli uomini prendono sul serio

i loro grandi pensatori.

Nella psicoanalisi tali pulsioni amorose vengono chiamate, a

maggior ragione e in base alla loro provenienza, pulsioni

sessuali. Le persone «colte» hanno perlopiù considerato tale

denominazione un'offesa e si sono vendicate ritorcendo contro

la psicoanalisi la taccia di «pansessualismo». Chi nella

sessualità scorge qualcosa di vergognoso e di degradante per

la natura umana è libero di servirsi dei più distinti termini

«eros» ed «erotismo». Anch'io avrei potuto fare così fin

dall'inizio e mi sarei in tal modo risparmiato molta

opposizione. Ma non ho voluto farlo perché preferisco evitare

le concessioni alla pusillanimità. E’ impossibile sapere dove

si va a finire per questa strada; si comincia con concessioni

sulle parole per finire a poco a poco con concessioni sulla

cosa. Non posso scorgere alcun merito nel fatto di

vergognarsi della sessualità: la parola greca eros, che

dovrebbe mitigare lo sconcio, non è in ultima analisi altro

che la traduzione della nostra parola tedesca Liebe [amore], e

infine, chi è in grado di attendere non ha bisogno di fare

concessioni.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

48

Prima Parte: la rivolta delle masse

Cercheremo pertanto di considerare l'ipotesi che le

relazioni d'amore (in termini neutri: i legami emotivi)

costituiscano del pari l'essenza della psiche collettiva.

Ricordiamo che gli autori non le menzionano: ciò che a esse

dovrebbe corrispondere risulta evidentemente nascosto dietro

il riparo, il paravento, della suggestione.

Cominceremo col basare la nostra ipotesi su due idee non

ancora chiaramente delineate. La prima è che la massa vien

evidentemente tenuta insieme da qualche potenza. A quale

potenza potremmo attribuire meglio questo risultato se non a

Eros, che tiene unite tutte le cose nel mondo? La seconda è

che se nella massa il singolo rinuncia al proprio modo

d'essere personale e si lascia suggestionare dagli altri, ciò

avviene probabilmente perché vi è in lui un bisogno di stare

in armonia con gli altri anziché di contrapporsi a essi, e

quindi forse si comporta così «per amor loro».

S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Boringhieri, Torino

1975, pp. 11-12; 32-35.

4.4. Il Commento

L’uomo non si rende conto delle proprie capacità,

finché non prova, arde e vuole.

Ugo Foscolo

Nel brano preso in considerazione, relazionando le posizioni

contrapposte e le affinità associative tra il comportamento

individuale e le esigenze fortemente irrazionali

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

49

Prima Parte: la rivolta delle masse

dell’aggregato sociale massa, Freud traccia i contorni

dell’attività psichica dell’individuo, asserendo che essa

viene influenzata dalla componente strutturale della società

umana nel suo insieme; fornendo con ciò una valida

spiegazione, su base psicoanalitica, dell’organizzazione

comportamentale del singolo inserito nel contesto impersonale

della massa. Grazie inoltre ad un esaustiva, seppure mirata,

presentazione delle facoltà psichiche, sostenuta da aperte ma

pacate condanne nei confronti della rigorosa, austera ma

“corruttibile” morale dell’opinione pubblica, egli rivendica,

anche implicitamente, la portata sociale della psicoanalisi,

destinata ad essere ben più che una nuova corrente

psicologica fondata esclusivamente sullo studio teorico dei

processi psichici dell’inconscio, ma ancor più una nuova

scienza umana in grado di individuare, analizzare e

interpretare l’agire sociale dell’individuo come della

collettività in relazione alla propria vita mentale.

Limitatamente al testo le tesi e le risoluzioni proposte da

Freud sono diverse. Innanzitutto nel considerare

l’individualità del singolo come profondamente condizionata

dalle relazioni attive o indirette di esso con le altre

componenti sociali che si animano nel dinamismo della

quotidianità e che vengono assunte, o in positivo o in

negativo, come termini di confronto costante; si conclude che

l’evolversi della psicologia individuale trova da subito un

corrispondente diretto nella psicologia della massa, ossia è

proprio nei rapporti che il singolo instaura con gli altri

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

50

Prima Parte: la rivolta delle masse

individui, viventi la sua stessa realtà sociale, che si

stabilisce l’insieme dei fenomeni sociali. Ed è infatti

l’individuo in quanto parte relativa e costituente di un

raggruppamento umano che, in virtù di determinate scelte

orientate al raggiungimento incondizionato di una meta

comune, dà vita all’aggregazione di massa. Questa viene

concepita da Freud come un organizzazione eterogenea,

all’interno della quale, come è chiaro, gli interessi e le

aspirazioni del soggetto singolo vengono meno, per

compenetrarsi, confondersi e, in conclusione, essere

uniformate alla visione monolitica ed inequivocabile del fine

perseguito dalla massa. In termini di psicoanalisi freudiana,

nel momento in cui l’espressione di una pulsione specifica

avvalorata come pulsione sociale, che comunque non risiede come

un “a priori” nell’attività psichica umana, ma viene

forgiandosi attraverso l’esperienza ed il contatto sociale

trovando il suo soddisfacimento nella psicologia di massa,

l’attività psichica del singolo è soggetta a inevitabili

modificazioni che prevedono la soppressione dei processi

psichici razionali e vagliati, oscurati da un aumento

sconsiderato degli impulsi affettivi, convergenti però

esclusivamente nella psiche collettiva.

E se una forza irrazionale governa le strategie

comportamentali del soggetto all’interno della massa, essa è

la libido, un’energia pulsionale estrema e caratterizzante,

che si sintetizza nelle qualità proprie dell’amore

nell’accezione più ampia del termine: sia soprattutto come

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

51

Prima Parte: la rivolta delle masse

desiderio irresistibile, brama di avere, ottenere, possedere

un determinato oggetto tra i più svariati; sia come

sentimento naturale che attrae e unisce i due sessi per la

conservazione della specie, che può assumere forme nobilmente

spirituali o può avere natura di passione fino ad esprimersi

in forme morbosamente sensuali. Essa, in qualsiasi tendenza

si presenti, è comunque la rappresentazione costante delle

stesse cariche pulsionali, che pur nascondendosi dietro mete

tra le più differenti tra loro, non perdono la loro identità

essenziale ed originaria di impulsi sessuali.

Le relazioni amorose rappresentano la dimensione peculiare

della psiche collettiva.

In conclusione:

1.La potenza che consente alla massa di mantenere la propria

peculiarità di aggregato umano è l’amore.

2.Nel caos irrazionale ed impersonale che caratterizza la

psicologia delle masse, una forma primitiva di organizzazione

collettiva può provenire da una comune direttiva

intimidatoria.

3.Se la suggestione reciproca all’interno della massa

implica l’inibizione della naturale individualità del

singolo, in quanto appartenente ad un gruppo sociale, ciò

proviene probabilmente da una singolare esigenza di

armonizzare il rapporto con gli altri e convivere coralmente

secondo un comune denominatore; seppure ciò comporta

sacrificare l’inviolata essenza del soggetto.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

52

Prima Parte: la rivolta delle masse

…rido della felicità delle “masse” perché il mio piccolo cervello

non concepisce una massa felice composta di individui

non felici.

Giacomo Leopardi

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

53

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Seconda parte

La crisi del positivismo e il

dibattito sulla tecnologia

1. PREMESSA

1.1. La crisi delle scienze e il crollo del paradigma

positivistico

La seconda parte di quest’antologia è dedicata agli

interventi di alcuni importanti autori che, durante gli anni

tra le due guerre, dibattono e prendono posizione su un

problema chiave per la cultura del tempo e per il “destino”

della civiltà occidentale: l’età moderna come età della

scienza e della tecnica. Allo scopo di valutare il

significato storico di questi interventi, il loro valore di

testimonianza, la diagnosi sulla società occidentale in essi

espressa, i timori sulle conseguenze del dominio della

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

54

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

scienza sulla società e la natura, abbiamo ricostruito

brevemente la crisi del paradigma culturale e scientifico del

positivismo e brevemente sintetizzato i principali eventi che

condussero ad una rivoluzione in ambito scientifico.

Prima di affrontare questo lavoro abbiamo però pensato di

sottolineare il rapporto che, secondo noi, esiste tra la

Grande Guerra e il problema della scienza e della tecnica.

Dalle letture che abbiamo fatto abbiamo derivato due

principali tesi riguardo a tale rapporto:

1. pur essendo vero che la crisi dell’ideale positivistico

- in campo artistico, letterario, ma anche scientifico - era

già in atto alla fine del XIX secolo; essa diviene evidente

per tutti solo con la Grande Guerra. Tale conflitto fu

infatti il primo conflitto “moderno”, la sua natura fu

determinata in modo decisivo dagli sviluppi della scienza e

della tecnica;

2. è con la Grande Guerra che crolla in modo definitivo e

senza possibilità di dubbio l’equazione tra scienza = civiltà

= progresso = libertà e benessere per tutti. Con il primo

conflitto mondiale la scienza e le sue applicazioni

tecnologico-industriali vengono pensate, da tutti, ormai

anche dall’opinione pubblica, come un problema, perfino una

possibile minaccia a quella civiltà e a quel progresso di cui

prima costituivano l’essenza.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

55

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

1.2. Le magnifiche sorti e progressive

L’ideale di progresso, che tanta importanza aveva avuto nella

cultura ed ideologia della seconda metà dell’ottocento, si

può definire come una concezione del tempo storico unilineare

e irreversibile, ciascun momento della linea temporale

costituisce un miglioramento rispetto a quello precedente e

rappresenta una conquista acquisita in modo definitivo, non

si può tornare indietro. Un altro importante tratto

caratteristico di questa concezione del tempo è dato dalla

necessità del processo storico, pur attraverso problemi,

momentanei arresti, parziali arretramenti e altre difficoltà,

l’evoluzione storica avanza inarrestabilmente, su binari

diritti, verso la sua destinazione finale, come una

locomotiva, simbolo del dominio dello spazio e del tempo e

dell’era scientifica e industriale. La destinazione finale di

un tale percorso storico era pensata dai positivisti come

l’emancipazione definitiva dell’uomo dalla miseria e dalla

penuria; il benessere materiale, per la prima volta nella

storia umana, poteva essere alla portata di tutti. Se la

radice di ogni ingiustizia, come pensava ad esempio Frederick

Taylor3, era data dalla scarsità delle risorse non equamente

distribuibili tra tutti, per cui, inevitabilmente, ci

sarebbero sempre stati ricchi e poveri, privilegiati e

3 F. W. Taylor (1856–1915). Ingegnere statunitense, teorizzòl’applicazione di criteri scientifici all’organizzazione del lavoro. Lesue posizioni influenzarono incisivamente la complessiva ristrutturazionedel sistema produttivo intorno alla fine del XIX secolo.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

56

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

nullatenenti; una disponibilità di risorse sufficiente per

tutti sembrava essere una solida base su cui costruire una

società giusta. In conclusione, i principali esponenti del

positivismo pensano che la scienza sia la chiave per il

progresso materiale, ma anche morale, dell’umanità. Sia Comte

che Spencer insistono molto su questo punto. Per Comte

l’obiettivo etico-politico del progresso è l’armonia tra le

classi; per Spencer l’evoluzione sociale raggiunge il suo

culmine con la moralità assoluta, consistente nel perfetto

accordo tra egoismo e altruismo. Nel suo insieme questa

concezione della storia e della civiltà viene racchiusa nel

concetto di progresso una parola chiave che, come poche

altre, permette di cogliere un aspetto essenziale

dell’identità culturale e sociale del XX secolo.

Tutta la concezione del tempo che abbiamo sopra illustrato,

poggia su una premessa: la misura del progresso, il

fondamento dell’evoluzione della civiltà occidentale, è

costituito dalla scienza e dalle sue applicazioni

tecnologiche. E’, infatti, la scienza che, assicurando una

conoscenza obbiettiva della natura e il dominio su essa,

costituisce il motore del progresso, il fattore principale di

quelle “magnifiche sorti e progressive” verso cui l’umanità,

o almeno l’umanità europea, appare avviata. Per questo

motivo, il cuore del progetto filosofico positivista, è

quello di ridefinire su basi interamente scientifiche

l’intero sapere umano e di rimodellare su basi scientifiche

l’intera società.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

57

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

A questo punto è importante riassumere brevemente la

concezione della scienza propria del positivismo. Abbiamo

liberamente tratto dal nostro manuale di filosofia4, le

caratteristiche principali del programma filosofico del

positivismo:

1. Il metodo scientifico si articola in due importanti

operazioni:

1.1. la matematizzazione dell’esperienza, consistente

nella riduzione dell’esperienza al suo aspetto quantitativo e

misurabile;

1.2. la registrazione obiettiva dei dati sensibili da

parte del soggetto conoscente concepito come osservatore

neutrale.

2. Finalità della scienza è quella di formulare leggi

generali capaci di fornire una descrizione fedele e oggettiva

di tutti i fenomeni, tale, in altre parole, da essere valida

rispetto ad ogni tempo e ad ogni luogo.

3. La scienza costituisce il modello unico di sapere

valido, ogni altra forma di sapere che si allontani dal

metodo scientifico – arte, metafisica, religione – è da

respingere.

4. Il metodo scientifico deve essere applicato anche alle

scienze umane.

5. Scopo della filosofia è quello di ricostruire un quadro

omogeneo del sapere, un’enciclopedia delle scienze che

combini, in modo armonico e sistematico, i contributi di ogni

4 AbbagnanoFornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol. III,Torino, Paravia, 1996.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

58

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

disciplina scientifica integrandola in una concezione globale

della realtà.

Entro questo progetto la tecnica doveva costituire

l’elemento di raccordo tra la ricerca scientifica e la

società, era attraverso la tecnica che il progresso

scientifico si sarebbe riversato sulla società garantendone

il perfezionamento materiale e morale.

1.3. La seconda rivoluzione scientifica e la crisi del

positivismo

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, si hanno

importanti sviluppi sia nelle scienze naturali che in quelle

umane, tali sviluppi mettono radicalmente in discussione il

paradigma positivistico e scatenano un dibattito in ambito

filosofico e scientifico che porta a ridefinire gli aspetti

essenziali sia delle scienze, che della concezione della

razionalità scientifica. Proprio quelli che il positivismo

considerava tratti essenziali del metodo scientifico sono

abbandonati e/o capovolti. E’ il periodo che molti autori

hanno definito con l’espressione “crisi della razionalità

classica”, intendendo con quest’espressione il venire meno di

quella concezione della ragione fondata sulla meccanica

classica di Newton e Laplace.

Poiché non abbiamo affrontato tali tematiche né in fisica,

né in filosofia, abbiamo pensato di limitarci a una sintetica

descrizione dei principali tra questi mutamenti, del resto il

nostro scopo non è quello di approfondire tale aspetto, ma

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

59

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

solo quello di mostrare come il dibattito sulla crisi della

civiltà che si sviluppa in ambito letterario e culturale,

fosse anche influenzato dalla crisi del positivismo e della

scienza cui esso s’ispirava.

Nel campo delle discipline logico-matematiche, già dalla

fine del XIX secolo, si era avuta una sconvolgente scoperta:

quella delle geometrie non euclidee. Matematici come Riemann,

Lobacewski, Gauss e Bolyai, per vie diverse e

indipendentemente l’uno dall’altro, erano giunti a formulare

sistemi geometrici perfettamente coerenti, ma incompatibili

con il quinto postulato della geometria euclidea. Se nella

geometria classica di matrice euclidea si assume, in base al

quinto postulato, che per un punto esterno ad una retta passi

una sola retta parallela a quella data, la geometria

iperbolica assumeva che passassero più rette parallele alla

prima, quella ellittica che non né passasse nessuna. Si giungeva

così a dimostrare la possibilità di una configurazione dello

spazio completamente differente rispetto a quello data

nell’intuizione sensibile. Veniva anche meno la

corrispondenza tra le rappresentazioni teoriche dello spazio

- su cui in ultima analisi si basava la fisica – e le

proprietà fisiche dello spazio rilevabili empiricamente. Non

esistevano più una sola geometria e un solo spazio possibili.

Anche in matematica veniva meno il progetto, condotto da

vari logici tra cui il tedesco Frege e l’inglese Russell, di

dare una legittimazione logica alla matematica fondandola

sulla teoria degli insiemi. Il tentativo di ricondurre a

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

60

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

principi logici coerenti la matematica dava luogo a

contraddizioni irrisolvibili.

Quelle che erano definite scienze esatte per antonomasia

giungevano così, paradossalmente, ad esiti contraddittori,

veniva quindi meno quella che era sempre stata considerata

come la loro proprietà essenziale e costitutiva: la coerenza.

Nella fisica si assistette, agli inizi del secolo, ad una

profonda rivoluzione: la nascita della teoria della

relatività e della meccanica quantistica.

Nel 1905 Albert Einstein, mostrava come lo spazio e il tempo non

fossero parametri assoluti, universali e immutabili, ma

dipendano dagli strumenti d’osservazione e dai sistemi di

riferimento. In altri termini, mentre nella fisica classica

di matrice newtoniana, spazio e tempo costituiscono le

coordinate assolute a partire dalle quali viene definito in

modo univoco il significato fisico degli eventi – la

determinazione della posizione e velocità di un corpo;

Einstein sostenne che spazio e tempo variano e sono

funzionali al sistema di osservazione dal quale vengono

misurati posizione e velocità.

Nei primi due decenni del XX secolo, ad opera dello stesso

Einstein, del danese Niels Bohr e del tedesco Werner

Heisenberg, nasceva la meccanica quantistica, lo studio del

comportamento delle particelle subatomiche. Gli sviluppi di

questa nuova branca della fisica conducevano a mettere in

discussione alcuni capisaldi della fisica classica. In base

agli studi di Heisenberg si giungeva alla conclusione che il

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

61

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

principio del determinismo causale, per il quale, dato un

sistema fisico di cui si conoscano le proprietà in termini di

posizione e velocità è sempre possibile determinarne in modo

univoco lo stato in un dato tempo futuro, non è sostenibile

nell’ambito delle microparticelle. In base al principio di

indeterminazione veniva anche meno la neutralità dello

scienziato-osservatore: ogni rilevazione delle proprietà

fisiche di un sistema, interferisce con esso mutandone le

caratteristiche.

Il principio di causalità e il principio di un’osservazione

neutrale dei fatti, non sembrano essere compatibili con lo

studio dei sistemi fisici subatomici.

In conclusione si può sostenere che, nel giro di pochi anni,

tutte le certezze su cui si fondava l’immagine della scienza

che era stata fatta propria dal positivismo, si mostrano

infondate. E’ un colpo mortale che non getta nello scompiglio

solo filosofi e scienziati, ma che produce un effetto d’ampio

raggio anche al di fuori degli ambienti scientifici e

intellettuali dell’epoca.

Se è vero che il positivismo aveva costruito il suo progetto

sociale, culturale e filosofico su una certa immagine della

scienza e che questo progetto, sintetizzato nella parola-

simbolo di progresso era divenuto patrimonio comune, al punto

da poter esser considerato come parte dell’identità di

un’intera epoca e società, allora è evidente che,

l’insostenibilità di quest’immagine, provocò un generale

senso di disorientamento che fu parallelo, e forse

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

62

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

complementare, al “crollo dei valori” e alla denuncia

dell’incalzare del nichilismo, sul terreno della morale e

della religione.

La parabola discendente del positivismo doveva avere

notevoli ripercussioni nelle vicende che segnarono il

dibattito intorno alla crisi della civiltà. Proprio quando la

crisi del sistema tradizionale di valori morali, religiosi e

culturali esplodeva, negli anni immediatamente successivi

alla Grande Guerra, il progetto filosofico e scientifico del

positivismo non poteva offrire una valida alternativa, capace

di fornire un sistema di riferimento assoluto e stabile ad

una società, quella europea occidentale, che aveva smarrito

il senso della propria identità e la fiducia nella propria

missione storica. Anzi, la crisi di quella ragione

scientifica, ragione di cui il positivismo aveva teorizzato

la centralità, doveva costituire un ulteriore motivo

d’aggravamento della crisi, un segno che ci si trovava di

fronte non ad un semplice ostacolo nel cammino

dell’occidente, ma ad un momento di svolta epocale, che

toccava l’essenza stessa della civiltà europea ponendone in

questione, radicalmente, quella storica missione di

civilizzazione su cui essa aveva costruito la propria

identità e il proprio senso di superiorità.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

63

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

1.4. Il fallimento del progetto sociale e politico del

positivismo

Se si intende come positivismo non tanto e non solo una

concezione epistemologica delle scienze naturali, ma una

“visione del mondo”, la forma di autorappresentazione che la

civiltà europea del XIX secolo, dava di sé, allora è

necessario dare una valutazione più vasta della “crisi del

positivismo”, che non si può ridurre alla sola crisi di

quelle scienze su cui il positivismo aveva costruito il

proprio progetto scientifico, ma che coinvolse anche il

progetto politico e sociale di cui il positivismo si era

fatto portatore. In questo senso la connessione tra

razionalità scientifica, progresso tecnico e riforma su basi

scientifiche della società e della politica, che, come si è

detto in precedenza, costituiva l’idea di fondo su cui si

basava il progetto politico-sociale del positivismo, diviene

problematica già prima della Grande Guerra, per cadere del

tutto dopo il conflitto mondiale.

Due erano i capisaldi su cui questo progetto era edificato:

L’imperativo tecnologico: il principio secondo cui “tutto

ciò che è tecnologicamente possibile fare, deve essere

fatto". Tale assunto nasceva da una valutazione del progresso

scientifico e tecnologico come avente un valore morale

intrinseco, qualsiasi sviluppo della tecnica è in se stesso

un fatto positivo, moralmente “buono”. Ogni sviluppo che la

scienza rendeva possibile era immediatamente valutato come

qualcosa di legittimo ed eticamente soddisfacente. Non si

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

64

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

poneva il problema di discriminare fra tutto ciò che la

scienza e la tecnica rendevano possibile, ciò che andava

perseguito in quanto utile, eticamente accettabile, giusto; e

ciò che andava scartato in quanto indesiderabile, eticamente

inaccettabile, non giusto.

L’equazione tra sviluppo tecno-scientifico e sviluppo

morale costituiva l’altra premessa di quella visione che

andrà a pezzi durante la guerra, ma che mostrò i primi segni

di cedimento già prima di essa. Nelle parole di S. Zweig

l’importanza di quest’assunzione e il suo carattere

illusorio, sono evidenziati in modo esemplare: “è facile

deridere l'illusione ottimistica di quella generazione

accecata dal suo idealismo: illusione che il progresso

tecnico dovesse immancabilmente avere per effetto un non meno

rapido miglioramento morale”5.

La prima Guerra Mondiale fu vissuta come un traumatico

risveglio anche da quest’illusione, la scienza e la tecnica

mostravano il loro volto distruttivo, la necessità della

correlazione tra scienza e progresso e scienza ed eticità,

non appariva più come una certezza che si potesse dare per

scontata. Tra le potenzialità della scienza andava annoverata

anche la brutale negazione di quei valori morali e sociali su

cui era edificata l’illusione di cui parlava Zweig, non solo

la scienza mostrava di non essere quella luce che avrebbe

potuto illuminare il progresso morale e civile dell’umanità,

ma l’esperienza della guerra, sembrava addirittura avvalorare

5 S. Zweig, Il mondo di ieri, 1941, 134139.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

65

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

l’idea che la scienza potesse divenire lo strumento

attraverso il quale, quei valori di umanità e moralità,

sarebbero andati distrutti.

1.4.1 La scienza e il futuro

Nel 1924 il biochimico inglese Haldane teneva una conferenza

dal titolo “Daedalus or Science and the Future”. Haldane

rappresentava il valore liberatorio della scienza nella

figura di Dedalo, Russell entrava in polemica con questa

concezione ottimistica della scienza e ne sottolineava i

pericoli incentrando la sua risposta a Haldane nella figura

di Icaro. Di fronte all’esaltazione della scienza, capace di

liberare l’uomo dalla miseria materiale e morale, fatta da

Haldane, che pure non mostra un’assoluta fiducia nella

scienza; Russell rispondeva che il buon uso dei prodotti

della scienza non può essere dato per scontato, esso è anzi

improbabile, dato che richiederebbe un essere umano

perfettamente razionale, un essere umano, che come avevano

mostrato Freud e più ancora la guerra, non esisteva. Unica

alternativa, seconda Russell, quella tra una dittatura

mondiale capace di tenere sotto controllo le potenzialità

distruttive insite nella scienza – e nell’uomo che ne fa uso;

o la distruzione dell’umanità.

I timori sollevati da Russell sono ben raffigurati in

Metropolis, film che, anche da questo punto di vista, assume

il valore d’importante testimonianza storica. La società

totalmente tecnologizzata e governata dalla scienza non ha i

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

66

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

caratteri della società perfetta, al contrario è la

realizzazione di un incubo. Scienza e tecnica hanno ridotto

l’uomo o ad un vuoto meccanismo, ad un automa abbruttito da

un lavoro in cui il livello d’alienazione è divenuto totale,

com’è il caso delle masse operaie di Metropolis, raffigurate

come moderni schiavi delle macchine e macchine esse stesse; o

ad un individuo unicamente proteso alla ricerca del piacere,

privo di coscienza morale e di scrupoli, com’è invece il caso

dell’élite che domina la città tecnologica di Metropolis. Il

banale lieto fine, un matrimonio suggella la pacificazione

tra le due classi la cui lotta avrebbe altrimenti prodotto la

distruzione di entrambe, appare, come sostenne lo stesso

regista Fritz Lang, malamente giustapposto al reale

significato della vicenda: la tecnologia e massificazione

della società, la scienza, avevano condotto l’umanità ad una

totale regressione e sembravano minacciare l’esistenza stessa

della civiltà. E’ il totale capovolgimento dell’illusione

positivista.

Durante il periodo tra le due guerre si assiste, dunque, al

venir meno di quei due postulati su cui si fondava il

progetto sociale e politico del positivismo, diviene comune

la denuncia della scienza quale strumento di dominio

dell’uomo sull’uomo o quale strumento di spersonalizzazione e

disumanizzazione dell’uomo se non, addirittura, di morte.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

67

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

1.4.2. La divaricazione tra etica e politica

Se il progetto scientifico e sociale del positivismo viene

meno e per ragioni epistemologiche e per il rivelarsi del

volto demonico dello sviluppo tecnologico, anche il sogno di

un indefinito progresso sociale frutto di una direzione

scientifica della società, teorizzato da autori come Comte e

Spencer, viene meno tra i due secoli. La crisi del pensiero

sociale positivista prende le mosse dalle ricerche della

sociologia, disciplina che proprio il positivismo aveva

tenuto a battesimo e che, nella concezione di Comte,

costituiva il vertice delle scienze e il motore del

progresso.

La parabola discendente dell’ideale di un illimitato

progresso sociale può essere illustrata soffermandosi

brevemente su alcune acquisizioni della sociologia di

Durkheim e Weber e sulla critica al positivismo condotta da

Nietzsche, critica centrata sull’idea di nichilismo che,

ripresa da Spengler, doveva costituire uno dei cardini della

sua tesi del tramonto dell’occidente, forse la più influente e

importante opera sulla crisi della civiltà che venne

pubblicata tra il 1918 e il 1922.

Nell’introduzione alla precedente sezione sono già stati

trattati alcuni dei più importanti concetti della sociologia

di fine ottocento.

Già Marx aveva evidenziato come la modernizzazione

comportasse la disumanizzazione dell’uomo. Proprio dove il

progetto positivistico vedeva il pieno dispiegarsi delle

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

68

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

potenzialità umane e il realizzarsi di una società del

benessere materiale e spirituale, Marx denunciava il fenomeno

dell’alienazione come costitutivo dell’essenza stessa della

modernizzazione. Se il lavoro libero e creativo costituisce

il Wesen proprio del genere umano, allora nel lavoro

meccanizzato tipico della società capitalistica industriale,

l’uomo perdeva la propria essenza, costretto ad un lavoro

ripetitivo, schiavo della macchina. Lo stesso Durkheim, che

non si collocava nei confronti del sistema capitalistico

sulle stesse posizioni di rifiuto di Marx, avanza delle

pesanti riserve su alcuni aspetti essenziali della

modernizzazione. Il passaggio dalla solidarietà meccanica, in cui

ciascun membro della società si trova in un rapporta di

identificazione col proprio gruppo a causa dell’indistinzione

funzionale e culturale che caratterizza gli individui nelle

società premoderne, lascia il posto alla solidarietà organica, in

cui si stabilisce un’interdipendenza tra i membri del gruppo,

frutto della divisione del lavoro, che cementa la società. Ma

il prezzo che si deve pagare è il crollo dei valori

tradizionali, l’allentarsi dei vincoli di solidarietà

all’interno della comunità, la trasformazione dei vincoli da

personali a funzionali e anonimi. Si viene a determinare

quella situazione d’anomia che contribuisce ad allentare

l’identificazione tra il singolo ed il gruppo cui appartiene,

lasciando l’individuo isolato, anonimo, privo di un sistema

di riferimento che gli consenta e di orientare il suo agire e

di comprendere la realtà sociale in cui vive.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

69

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Anche il sociologo tedesco Max Weber6, uno dei padri della

sociologia e tra i principali studiosi della modernizzazione,

giunge a conclusioni problematiche intorno alla società

moderna. Il prevalere di un modello economico industriale e

di un modello politico burocratico e centralizzato, conducono

al fenomeno della razionalizzazione. L’agire sociale si viene

a caratterizzare secondo il modello della razionalità

tecnica, perduto ogni riferimento ai valori ed ai fini

dell’azione, l’agire diviene mero calcolo dei mezzi per il

raggiungimento di scopi determinati dalla logica del sistema

economico, da quella che Marx chiamò la logica del profitto.

Parallelamente all’imporsi di una razionalità tecnica

nell’agire umano, si sviluppa il processo di disincanto del

mondo tipico della modernizzazione. La sfera di valori

morali religiosi tradizionali, che costituivano il

riferimento immediato dell’agire sociale e che s’incarnavano

nelle istituzioni e tradizioni delle società occidentali,

vengono destituiti di senso a causa del progresso tecnico e

scientifico e della “razionalizzazione della società”. L’uomo

si trova quindi ad agire in un immenso meccanismo produttivo

e amministrativo, retto da una logica utilitaristica e privo

di qualsiasi finalità morale e di qualsiasi diretto

riferimento alla sfera dei valori. Ciò conduce alla crisi

6 Max Weber (1864 – 1920), sociologo tedesco, autore di importanti studisul capitalismo e il fenomeno della modernizzazione, considerato uno deipadri della sociologia. Si occupò dei problemi della modernizzazione inriferimento all’agire sociale, alla burocratizzazione, alla crisi deivalori, al rapporto tra etica e politica.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

70

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

dell’etica ed alla mancanza di un qualsiasi sistema di

riferimento capace di dare un senso morale all’agire sociale.

1.4.3. Il trionfo del nichilismo e il destino dell’Occidente

La critica radicale mossa da Nietzsche all’intera storia

della civiltà occidentale, trova il proprio coronamento

nell’annuncio della morte di dio e nello smascheramento

dell’essenza nichilistica della civiltà occidentale. Perduto

ogni riferimento ad un sistema di valori oltremondani,

fondati sulla trascendenza di un essere assoluto, l’occidente

si muove nella dimensione del nichilismo. Tra i nuovi idoli,

surrogati del dio cristiano, che l’uomo occidentale prende a

venerare, vi sono quelli della scienza e della tecnica.

Riprendendo la denuncia di Nietzsche, Spengler, che scrive

nell’immediato dopoguerra, considera concluso il percorso

storico della civiltà occidentale. Il tramonto teorizzato da

Spengler trova la sua giustificazione proprio nel fatto che,

ai tradizionali valori, entrati in crisi per via della

modernizzazione e definitivamente spazzati via dalla guerra,

si sostituiscono il dominio tecnico della natura, ridotta a

mero oggetto da manipolare secondo i principi della

razionalità tecnica e utilitaristica, e il dominio dell’uomo

sull’uomo, che si caratterizza con la sterilità e

artificiosità dell’apparato burocratico statale. L’uomo

occidentale vive nella completa assenza d’ogni valore vitale

e la sua civiltà si avvia verso un’inesorabile decadenza che

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

71

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

porterà al declino dell’Europa7. Appare evidente in questi

autori che la causa della “morte dell’occidente” viene posta

proprio nel prevalere di quella scientifizzazione e

tecnologizzazione della società che, secondo il progetto

positivista, avrebbe dovuto costituire il motore di un

progresso illimitato e il trionfo del benessere materiale e

spirituale. In questo modo il sogno positivistico si rovescia

nel suo contrario e la Grande Guerra fu vissuta, sia nella

coscienza degli intellettuali che presso l’opinione pubblica,

come la concreta dimostrazione del tramonto, se non

dell’occidente, certo del suo sogno, la corsa del progresso

aveva condotto l’Europa non al regno del benessere ma alla

carneficina della guerra mondiale.

7 Un più esauriente esame delle posizioni di Spengler, sarà fornitonell’introduzione all’ultima parte dell’antologia che prende proprio inesame la sua opera.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

72

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

2. HALDANE, JOHN BURDON SANDERSON

2.1. La Vita

Biologo (Oxford 1892), figlio di John Scott; professore di

genetica a Londra (1932), poi di biometria (dal 1937)

all’University College di Londra. Autore di fondamentali

contributi in fisiologia, biochimica, genetica, biometria. Di

decisiva importanza per la moderna teoria dell’evoluzione è

una serie di suoi lavori sulla teoria matematica della

selezione. A lui, tra l’altro, e a L. S. Penrose, si deve

anche la prima valutazione statistica della frequenza di

mutazione di un gene umano (studi sull’emofilia).

Fu molto importante la polemica che sostenne col filosofo e

matematico B. Russell nel 1924 sulla natura e le implicazioni

dello sviluppo scientifico e tecnologico. La posizione

sostenuta da Haldane, pur non ignorando gli aspetti più

problematici e pericolosi della scienza, fornisce di questa

una valutazione positiva. Nella scienza Haldane, in

conformità con gli ideali del positivismo, continua a vedere

la principale guida per la civiltà umana. Russell prese

posizione contro le tesi di Haldane, mostrando una visione

più critica della scienza e sottolineandone i rischi e

pericoli.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

73

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

2.2. Il brano di Haldane: Dedalo, la scienza e il futuro.

Mi chiedo perché l'interesse sentimentale per Prometeo ha

così indebitamente distratto la nostra attenzione dalla

figura assai più interessante di Dedalo. E’ con un gran

sollievo che, in mezzo al tumulto degli eroi armati con la

testa di Gorgone o protetti dal battesimo nelle acque dello

Stige, lo studente di mitologia greca si imbatte nel primo

uomo moderno. Dopo i suoi inizi come scultore realistico

(Dedalo fu il primo a produrre statue con i piedi separati),

era naturale che egli procedesse alla costruzione di una

immagine di Afrodite le cui membra erano attivate

dall'argento vivo; dopo di che il suo interesse si indirizzò

inevitabilmente ai problemi biologici ed è ben certo che

nessuno dei suoi successori lo ha mai eguagliato nel suo

unico successo documentato in fatto di genetica sperimentale.

Se alloggiare e mantenere il Minotauro fosse stato meno

dispendioso, è probabile che Dedalo avrebbe saputo anticipare

Mendel.

E’ naturalmente un'impresa disperata tentare una qualsiasi

profezia esatta su quanto la conoscenza scientifica

rivoluzionerà nei dettagli la vita umana, ma io credo che

essa continuerà a essere rivoluzionaria, e assai più

profondamente di quanto ho fin qui suggerito. Possiamo

guardare alla scienza da tre punti di vista. In primo luogo

essa è la libera attività delle divine facoltà umane della

ragione e dell'immaginazione. In secondo luogo essa è la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

74

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

risposta a talune delle richieste diffuse di ricchezza e

benessere, doni che la scienza garantirà solo in cambio della

pace, della sicurezza, della quiete. Infine, essa è la

graduale conquista da parte dell'uomo dello spazio e del

tempo, poi della materia, quindi del suo corpo e di quello

degli altri esseri viventi, e in ultimo la soggiogazione

degli elementi oscuri e malvagi della sua stessa anima.

Nessuna di queste conquiste sarà mai completa, ma tutte,

come io credo, saranno progressive. La questione di ciò che

l'uomo farà di questi suoi poteri è nella sua essenza una

questione che riguarda la religione e l'estetica. Possiamo

limitarci a insistere che essi sono adatti solo alle mani di

un essere che abbia appreso il controllo di se stesso e che

l'uomo armato della scienza è come un bambino con una scatola

di fiammiferi.

[…]

Credo che la tendenza della scienza applicata sia quella di

enfatizzare le ingiustizie fino a che esse divengano

decisamente intollerabili e quell'uomo medio da cui profeti e

poeti non dovrebbero mai allontanarsi alla fine si ribelli e

ponga fine al male alla sua fonte. La teoria di Marx

sull'evoluzione industriale è un caso particolare di questa

tendenza, anche se non necessariamente dovrà essere adottata

la sua soluzione un po' artificiale del problema.

Probabilmente il progresso biologico risulterà essere

incompatibile con alcuni dei nostri mali sociali proprio come

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

75

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

il progresso industriale è risultato esserlo con la guerra o

certi sistemi di proprietà privata.

[...]

A conti fatti la scienza appare ancora nella sua infanzia e

ben poco possiamo anticipare del futuro, se non che ciò che

non è stato è ciò che sarà; e che nessuna credenza, nessun

valore, nessuna istituzione è al sicuro. Lungi dall'essere un

fenomeno isolato, l'ultima guerra è solo un esempio di quei

risultati distruttivi che potremmo costantemente attenderci

dal progresso della scienza. Il futuro non sarà certo una

passeggiata e avrà i suoi problemi. Alcuni saranno quelli

secolari del passato, fiori giganti del male che sbocciano

infine verso la loro distruzione, altri saranno completamente

nuovi. Se in fin dei conti l'uomo sopravviverà o no al suo

raggiungimento del potere non possiamo dirlo. Ma non si

tratta di un problema nuovo. E’ solo il vecchio paradosso

della libertà richiamato in causa con il genere umano come

attore e la terra come palcoscenico. Per coloro che credono

nella divinità di quella parte dell'uomo che, per la propria

salvezza, aspira a qualcosa che va oltre la conoscenza la

prospettiva apparirà assai promettente. Ma è solo oggetto di

speranza che il genere umano possa adattare la sua moralità

ai suoi poteri. Se avremo successo in questo, allora la

scienza tiene davvero nelle sue mani una almeno delle chiavi

dello spinoso e arduo sentiero del progresso morale.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

76

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

2.3. Commento ad Haldane: l’uomo del futuro come Dedalo

L’intera polemica tra Haldane e Russel si alimenta

dell’ambiguità di fondo della scienza; a Russell essa appare

nelle tragiche vesti di Icaro, a Haldane in quella dell’uomo

“artefice di sé e del proprio mondo”, le vesti di Dedalo. “Mi

chiedo perché l’interesse sentimentale per Prometeo ha così

indebitamente distratto la nostra attenzione dalla figura

assai più interessante di Dedalo. E’ con un grande sollievo

che, in mezzo al tumulo degli eroi armati con la testa di

Gorgone o protetti dal battesimo nelle acque dello Stige, lo

studente di mitologia greca si imbatte nel primo uomo

moderno. Dopo i suoi inizi come scultore realistico (Dedalo

fu il primo a produrre statue con i piedi separati), era

naturale che egli procedesse alla costruzione di un immagine

di Afrodite le cui membra erano attivate dall’argento vivo;

dopo di che il suo interesse si indirizzò inevitabilmente ai

problemi biologici ed è ben certo che nessuno dei suoi

successori lo ha mai eguagliato nel suo unico successo

documentato in fatto di genetica sperimentale”.

Dedalo è il simbolo dell’uomo moderno perché è espressione

della razionalità scientifica e tecnica che mira a dominare

la natura. Il minotauro rappresenta invece il caos

originario, nel senso di ciò che va contro ragione

(l’irrazionalità). Analizzando la prima parte del testo,

scaturisce un importante quesito: “Qual è l’impatto dello

sviluppo scientifico sulla vita dell’uomo e della società

umana?”.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

77

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Haldane ritiene che sia un impresa disperata tentare una

qualsiasi profezia esatta su quanto la conoscenza scientifica

rivoluzionerà la vita sociale e l’esistenza dell’uomo, forse

tali cambiamenti sono inimmaginabili. La scienza potrà

portare l’uomo a controllare gli elementi oscuri e malvagi,

secondo il modello positivistico. Ci sarà del progresso, ma

nel tempo. E’ possibile osservare la scienza da tre punti di

vista: essa è la libera attività delle divine facoltà umane

della ragione e della immaginazione; essa è la risposta ad

alcune delle richieste di ricchezza e benessere. Questi

ultimi sono dei doni che la scienza garantirà solo in cambio

della pace, della sicurezza, della quiete.

Essa è la graduale conquista da parte dell’uomo dello spazio

e del tempo, poi della materia e quindi del suo corpo e di

quello degli esseri viventi.

Bisogna avere il controllo della potenzialità che la scienza

offre. Haldane sostiene che “l’uomo armato della scienza è

come un bambino con una scatola di fiammiferi”. Il progresso

nelle mani dell’uomo può essere pericoloso se l’uomo non

assume una piena coscienza di sé. Sorge quindi un importante

problema: è necessario avere il controllo della potenzialità

che la scienza offre. Inoltre lo della scienza rende

intollerabile le ingiustizie. La teoria di Marx

sull’evoluzione industriale è un caso particolare di questa

tendenza. Haldane afferma poi che il progresso biologico sarà

incompatibile con qualche male sociale proprio come lo

sviluppo industriale è incompatibile con la guerra.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

78

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Haldane riconosce quindi la problematicità della scienza, e

un altro problema che si pone è questo: riuscirà l’uomo a

progredire moralmente in modo proporzionale a quanto è

progredito sul piano tecnologico? Dobbiamo avere la capacità

morale di saper scegliere cosa fare. Haldane sostiene che la

scienza appare ancora nella sua infanzia e non si può

anticipare molto sul futuro e che nessuna credenza, nessun

valore, nessuna istituzione è al sicuro. Afferma inoltre che

la guerra è solo un esempio degli esiti distruttivi che

possiamo attenderci dal progresso della scienza. Il futuro

avrà i suoi problemi che potranno essere quelli del passato

ed altro saranno invece del tutto nuovi: “se in fin dei conti

l’uomo sopravviverà o no al suo raggiungimento del potere non

possiamo dirlo”. Egli afferma che la prospettiva è assai

promettente per quelli che credono nella divinità di quella

parte dell’uomo che aspira a qualcosa che va al di là della

conoscenza. Il fatto che l’uomo possa adattare la sua

moralità ai suoi poteri costituisce l’oggetto di speranza

dell’uomo stesso.

A questo punto Haldane afferma che il progresso scientifico

cambia non solo ciò che è sbagliato, ma anche ciò che è

giusto. Non si capisce in effetti se la scienza sia

moralmente neutra oppure se la scienza sia buona in sé. Le

virtù morali e fisiche sono essenzialmente una questione di

quantità. Perciò un’alterazione nella scala del potere umano

può rendere cattive quelle azioni che prima erano buone.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

79

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Alla fine Haldane suggerisce di non prendere troppo

seriamente le morali tradizionali perché anche la meno

dogmatica delle religioni, si associa con qualche genere di

morale tradizionale inalterabile. Alla fine giunge alla

conclusione che la scienza ha quindi in sé una sua morale e

dei valori propri.

Haldane ritiene infine che tra scienza e religione non potrà

mai esserci una tregua.

Il lavoratore scientifico del futuro rassomiglierà, dice

Haldane, alla figura di Dedalo, che, più diventa consapevole

della sua terribile missione, più ne sarà orgoglioso.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

80

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

3. BERTRAND RUSSELL

3.1. La Vita

Bertrand Russell nacque il 18 Maggio 1872 da famiglia nobile

inglese. Studiò al Trinity College di Cambridge, dove insegnò

dal 1910 al 1916. Proprio in quell’anno fu destituito dalla

cattedra per aver partecipato alla campagna contro la

coscrizione obbligatoria e in favore dell’obiezione di

coscienza. Nel 1918 per un articolo in favore del pacifismo

fu condannato a sei mesi di carcere; e proprio qui si dedicò

al componimento dell’ “Introduzione alla Filosofia

matematica”. Dopo la guerra visitò vari Paesi tra cui Russia,

Cina e Stati Uniti dove ebbe alcuni incarichi. Più tardi, nel

1940, dovette rinunciare alla cattedra del City College di

New York per lo scandalo causato dalle sue teorie etiche e

sociali; e per lo stesso motivo la Fondazione di Marion in

Pennsylvania revocò il contratto di 5 anni che gli aveva

offerto. Nel 1944 riconquista la cattedra al Trinity College

e qui terminò una delle sue opere fondamentali: “La

conoscenza umana, il suo ambito ed i suoi limiti”.

Nel 1950 ricevette il Premio Nobel per la letteratura. Negli

ultimi anni della sua vita, Russell si dedicò completamente

all’attività di difesa dei suoi ideali etico-politici, e

soprattutto di libertà e pace. Morì nel Galles, il 3 Febbraio

1970.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

81

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

3.2. Il Pensiero

Russell restò fedele fino all’ultimo alla propria scelta di

campo realistica, logistica e “scientistica”8. Pur avendo

spaziato filosoficamente in campo logico ed epistemologico,

Russell si è cimentato ampiamente anche nella riflessione

etica e politica. I contributi più significativi sono:

“Quello che io credo” (1925); “Saggi scettici” (1928); e

“Saggi impopolari” (1951). Russell si dedicò anche alla

liberalizzazione dei costumi, alla riforma dell’educazione

(“Matrimonio e Morale” 1929); alla questione della pace, del

disarmo, dei diritti civili e della difesa delle vittime

dell’intolleranza. Il pensiero etico russelliano, più

specificamente, si muove su una prospettiva laica e terrena.

La morale deve essere affrancata da presupposti e valori di

carattere trascendente (“Religione e Scienza” 1935). La

religione deve affrontare dei problemi concreti che

riguardano comportamenti dell’uomo sia come singolo, che come

membro di una società. L’etica di Russell è di tipo

umanistico, rivolta alla tutela della persona umana, con una

riabilitazione dell’essere rispetto al “dover essere”: i

desideri dell’uomo non vanno condannati, il vero problema e

compito dell’etica è quello di moderare quelli creatori di

conflitti e infelicità, e di favorire quelli che si orientano

verso la pacifica convivenza sociale. Non si può certamente

chiedere all’etica di enunciare indicazioni valide

8 Scientistica: l’assolutizzazione del metodo scientifico el’affermazione della sua applicabilità a tutti i roblemi della filosofia.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

82

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

universalmente ed oggettivamente, questo perché l’universo

dei valori morali è indipendente e diverso dalla razionalità

e dalla scienza.

Il punto su cui Russell si è soffermato più spesso è quello

della differenza tra etica e scienza: “l’etica, consiste di

desideri di un certo tipo generale […], la scienza può

discutere le cause dei desideri e i mezzi per attuarli, ma

non può contenere alcun giudizio etico”. Da ciò, si deduce

che Russell abbia respinto ogni ipotesi di fondazione di

un’etica scientifica. Nella stessa ottica egli guardò con

preoccupazione alla pretesa della società moderna di imporre

principi morali “oggettivi”. Successivamente egli si convinse

che uno dei problemi della società fosse la sua tendenza a

soverchiare, attraverso il sapere scientifico-tecnologico, la

sfera del privato e della ricerca individuale dei valori.

Nonostante ciò non si deve credere che il messaggio “morale”

di Russell sia contro la scienza, al contrario egli ha sempre

creduto profondamente nella validità del sapere scientifico e

nello stile di vita pratico che quest’ultimo può insegnare

agli uomini.

3.3 Il Brano di Russell: Icaro, il futuro della scienza

Il libro di Haldane, Daedalus, presenta un'attraente immagine

del futuro, quale potrebbe essere attraverso un uso delle

scoperte scientifiche capace di promuovere la felicità umana.

Sarei ben lieto di potermi dichiarare concorde con le sue

previsioni, ma una lunga esperienza di statisti e governi mi

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

83

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

ha reso piuttosto scettico. Mi sento costretto ad aver timore

che la scienza sarà usata per promuovere il potere dei gruppi

dominanti piuttosto che per rendere gli uomini felici. Icaro,

dopo che suo padre Dedalo gli ebbe insegnato a volare, fu

distrutto dalla sua avventatezza. Temo che lo stesso destino

possa toccare ai popoli cui i moderni uomini di scienza hanno

insegnato a volare.

[...]

I cambiamenti cui è stato soggetto negli ultimi due secoli

il mondo in cui viviamo in seguito all'applicazione delle

scoperte scientifiche sono stati in parte buoni, in parte

cattivi; ma se, alla fine, la scienza proverà di essere stata

una benedizione o una maledizione è ancora, a mio avviso, una

questione dubbia. [...]

La scienza ha accresciuto il controllo umano sulla natura

e si potrebbe perciò ugualmente supporre che aumenterà la sua

felicità e il suo benessere. Le cose starebbero così se gli

uomini fossero razionali, ma di fatto essi sono solo grovigli

di passioni e istinti. Una specie animale in un ambiente

stabile, se non si estingue, acquisisce un equilibrio fra le

sue passioni e le sue condizioni di vita. Se queste

condizioni sono improvvisamente alterate, l'equilibrio si

sconvolge. I lupi hanno difficoltà allo stato selvaggio a

procurarsi il cibo e perciò hanno bisogno dello stimolo di

una fame molto insistente. Il risultato è che i loro

discendenti, i cani domestici hanno la tendenza a mangiare

troppo, se si permette loro di farlo. Quando una certa

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

84

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

quantità di qualcosa è profittevole e la difficoltà per

ottenerla diminuisce, normalmente l'istinto condurrà un

animale che si trova nelle nuove circostanze a eccedere.

L'improvviso mutamento prodotto dalla scienza ha sconvolto

l'equilibrio fra i nostri istinti e le nostre condizioni, ma

in una direzione non sufficientemente studiata. L'eccesso nel

mangiare non è un serio pericolo, ma quello nel combattere

sì. Gli istinti umani del potere e della rivalità, come il

lupesco appetito del cane, hanno bisogno di essere dominati

artificialmente, se l'industrialismo finirà per affermarsi.

[...]

Il nostro pianeta è di dimensioni finite, ma la misura più

efficiente di una organizzazione è continuamente in aumento

in seguito alle nuove invenzioni scientifiche. Il mondo

diventa sempre più una unità economica e ben presto

esisteranno le condizioni tecniche per l'organizzazione del

mondo intero come una unità di produzione e consumo.

Se, quando sarà arrivato il tempo, due gruppi rivali si

contenderanno la supremazia, la vittoria di uno dei due

potrebbe essere in grado di introdurre quella organizzazione

su scala mondiale che è necessaria per prevenire lo sterminio

reciproco delle nazioni civilizzate. Il mondo che ne

risulterà sarà sulle prime assai diverso sia dai sogni dei

liberali che da quelli dei socialisti. Da principio ci sarà

una tirannide politica ed economica dei vincitori, la

minaccia di continue sollevazioni e quindi una drastica

soppressione della libertà. Ma se le prime cinque o sei

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

85

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

rivolte saranno una dopo l’altra represse, il vinto rinuncerà

alla speranza e accetterà il ruolo subordinato assegnatogli

dal vincitore nel nuovo assetto mondiale. Non appena i

detentori del potere si sentiranno sicuri, essi diventeranno

meno tirannici e meno brutali. Essendo stato rimosso il

motivo della rivalità, essi non si comporteranno più così

duramente come al principio e alleggeriranno la pressione sui

loro subordinati. La vita sarà all'inizio assai spiacevole,

ma potrà alla fine essere possibile, cosa che andrebbe

abbastanza a favore del sistema, dopo un lungo periodo di

guerra. Data un'organizzazione mondiale economica e politica

stabile, anche se essa da prima non poggerà altro che sulla

forza armata, i mali che ora minacciano la civiltà

diminuirebbero gradualmente e diventerebbe possibile una

democrazia più completa di quella esistente ora. Sono

convinto che, grazie alla follia umana, un governo mondiale

potrà essere stabilito solo con la forza, e sarà perciò da

principio crudele e dispotico; ma credo anche che esso sarà

necessario per la preservazione della civiltà scientifica e

che, una volta realizzato, darà origine un po' per volta alle

condizioni per una esistenza tollerabile. [...]

Possiamo riassumere questa discussione in poche parole. La

scienza non ha dato agli uomini più autocontrollo, urbanità o

potere di ridurre le proprie passioni quando decidono sul da

farsi. Ha dato invece ai gruppi più potere per indulgere alle

passioni collettive, ma, rendendo la società più organica, ha

diminuito la parte giocata dalle passioni private. Le

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

86

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

passioni collettive dell'uomo sono per lo più cattive; di

gran lunga le peggiori sono l'odio e la rivalità nei

confronti di altri gruppi. Perciò attualmente tutto ciò che

consente all'uomo di abbandonarsi alle sue passioni

collettive è cattivo. E’ per questo che la scienza minaccia

di produrre la distruzione della nostra civiltà. La sola

speranza sembra essere la possibilità di un dominio mondiale

da parte di un gruppo, ad esempio gli Stati Uniti, che

conduca alla formazione di un ordinato governo mondiale

politico ed economico. Ma forse, tenendo conto della

sterilità dell'Impero romano, il collasso della nostra

civiltà sarebbe in fin dei conti preferibile a questa

alternativa.

(B. Russell, Icarus or the Future of Science [1924], pp. 5-7, 12-13,

40-42, 62-64)

3.4. Commento: “Icaro” come destino dell’uomo nell’età della

scienza

Il brano “Icaro, il futuro della scienza” è una risposta

alla tesi sostenuta da Haldane in “Dedalo, la scienza e il

futuro”. Russell, infatti, appare assai scettico nei

confronti di quella vaga immagine del futuro designata da

Haldane, in cui la scienza diviene garante non solo del

benessere materiale dell’umanità, ma anche di quello

spirituale, della vera felicità dell’uomo. Non si dichiara

concorde con tale tesi, in quanto egli teme che l’uomo possa

fare uso politico della scienza e che questa possa essere

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

87

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

strumentalizzata dai gruppi dominanti per altri fini, quali

il potere e la supremazia. Questi ultimi imponendo il loro

potere, infatti, darebbero luogo ad individui repressi,

anziché felici e appagati; ne scaturisce dunque un’immagine

pessimista della scienza derivante dal possibile uso politico

di essa.

Ma Russell si pone anche ora un altro problema, che

certamente i “positivisti”, lo dice la parola stessa, non si

erano mai posti, ossia: “La scienza sarà per l’umanità un

valore positivo o negativo, una benedizione o una

maledizione?” Questa è per lui una questione assai dubbia.

Certamente, dice Russell, l’uomo attraverso la scienza

potrebbe dominare la natura e come conseguenza di ciò si

avrebbe felicità e benessere; ma essendo l’uomo un essere

“irrazionale” e dominato da passioni e istinti malvagi, egli

non sempre trae i suoi vantaggi dalla natura in maniera

coerente e senza provocare danni: al contrario l’uomo ha

mutato l’ambiente secondo le sue esigenze e senza

preoccuparsi dei danni che poteva arrecargli. Egli ha

alterato profondamente le condizioni ambientali. L’unica

speranza, afferma Russell, è che l’uomo riesca a dominare il

suo lupesco appetito di potere e dominio.

Nella seconda parte del testo (Il nostro pianeta è di

dimensioni finite…) Russell sembra quasi farsi profeta dello

scoppio di una seconda guerra mondiale. Egli si domanda ora

“quale sarà in futuro l’ordine mondiale?”. Due gruppi di

potenze, sostiene Russell, si contenderanno la supremazia sul

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

88

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

mondo; colui che vincerà porrà il mondo sotto il suo dominio,

in un primo momento attraverso la forza e un governo

autoritario e tirannico, poiché solo con la forza possono

essere controllati gli istinti malvagi che dominano l’umanità

e che potrebbero costituire la ragione stessa di una futura

distruzione della nostra civiltà. Conseguenze di ciò saranno

le continue rivolte da parte dei popoli che vedranno

soppressi i loro ideali, i loro diritti di libertà.

Alla fine l’unico risultato di tali sommosse non sarà altro

che la rinunzia alla speranza da parte dei popoli della

terra, che accetteranno di essere “sudditi” di un governo

mondiale. Solo allora coloro che detengono il potere

alleggeriranno la pressione e le brutalità sui loro

subordinati. Ne conseguirà un’organizzazione mondiale

economico-politica stabile e democratica, l’unica capace di

preservare la civiltà scientifica e di creare un’esigenza

sopportabile per tutti gli uomini.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

89

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

4. MAX SCHELER

4.1. La Vita e il Pensiero

L’analisi fenomenologica degli aspetti emotivi e pratici

della coscienza è stata impiantata e condotta avanti

dall’opera di Max Scheler (1874/1928). Scheler fu professore

a Colonia dal 1919; la morte che lo colse a cinquantatré anni

interruppe bruscamente un’attività intensa e feconda. La sua

opera più nota, intitolata “Il formalismo nell’etica

materiale del valore”, comparve per la prima volta nello

“Jahrbuch” di Husserl tra il 1913 e il 1916. Ma l’opera che

costituisce il suo maggiore contributo alla filosofia

contemporanea è quella intitolata “Essenza e forme della

simpatia”(1923). Gli altri scritti principali sono i

seguenti: “Il risentimento e il giudizio morale dei

valori”(1912), “Guerra e costruzione”(1916), “Le forme del

sapere e la società”(1926).

L’etica di Scheler è un’analisi fenomenologica

dell’esperienza emotiva, diretta allo scopo di mettere in

luce gli oggetti specifici di quest’esperienza, vale a dire i

valori. Ma i valori non sono né beni né fini. Il bene è la

cosa che incorpora un valore; il fine è il termine di

un’aspirazione e di una tendenza che può avere valore come

può non averlo; ma l’essere incorporato in una cosa non

modifica in alcun modo l’essere del valore che è dato in modo

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

90

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

diretto e immediato all’esperienza emotiva. L’esperienza

emotiva, alla quale il valore si rivela, non è la semplice

emozione ma è l’esperienza intenzionale che Scheler chiama

anche intuizione emotiva. Il mondo dei valori si presenta

all’intuizione emotiva, come un mondo oggettivo, cioè

indipendente dall’atto dell’apprendimento dei valori. Come

mondo oggettivo ha delle leggi a priori che determinano la

gerarchia dei valori (anch’essa indipendente dai valori

realizzati o dalle attività che li realizzano).

PRIMA modalità = gradevole o sgradevole: corrisponde la

funzione del sentire sensibile con i suoi modi del godere e

del soffrire.

SECONDA modalità = valori vitali: tutte le qualità comprese

tra il nobile e il volgare, che corrispondono ai modi del

sentimento vitale (salute, malattia, vecchiaia e morte).

TERZA modalità = valori spirituali: appresi dal sentire

spirituale. Ritroviamo i valori estetici ( bello e brutto), i

valori giuridici; i valori della conoscenza pura, dove la

filosofia, a differenza della scienza, non è guidata dallo

scopo di dominare i fatti naturali.

QUARTA modalità = valori religiosi: tra sacro e profano.

Questi valori corrispondono ai sentimenti della beatitudine e

della disperazione, determinati dalla vicinanza o dalla

lontananza del sacro nella vita vissuta. L’atto con cui si

apprendono i valori del sacro è la maniera di amare rivolta a

persone. Nella sfera del sacro il valore genuino

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

91

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

4.2. Il Brano di Scheler: il capovolgimento dei valori e

l’industrialismo come decadenza

La concezione moderna del mondo guidata dal risentimento […]

specula al ribasso, come fa ogni pensiero poggiante su una

depressione vitale, e cerca di comprendere tutto ciò che è

vivente secondo un'analogia con ciò che è morto, cerca di

capire in generale la vita come un episodio casuale dentro un

processo cosmico meccanico, l’organicità vivente come un

adattamento casuale ad un mondo circostante inanimato

saldamente fissato: l'occhio per analogia con l'occhiale, la

mano per analogia con la pala, l'organo per analogia con

l'utensile! Non fa meraviglia che veda nella civiltà

meccanica - che non è che una conseguenza di un'attività

vitale relativamente stagnante e quindi un surrogato di una

formazione di organi deficiente - proprio il trionfo, lo

sviluppo e l'ampliamento dell'attività vitale; non fa

meraviglia che veda nel suo sconfinato «progresso» proprio il

«fine» autentico di ogni attività vitale, nella smodata

elaborazione di un'intelligenza calcolatrice il «senso» della

vita.

Il fatto che il valore specifico di utilità dell'utensile

venga anteposto sia al «valore vitale» che al «valore

culturale» non è che una conseguenza di questa prospettiva di

fondo circa il rapporto tra organo e utensile. Anzi questo

spostamento dei valori in ultima istanza non è la conseguenza

bensì il fondamento di questa falsa concezione del mondo.

Ceteris paribus è l'essere umano relativamente stagnante, il

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

92

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

«malcapitato», che pone l'utensile al di sopra dei valori

vitali che naturalmente a lui mancano! E’ il miope che loda

gli occhiali, lo storpio che loda il bastone, il cattivo

arrampicatore che loda i ramponi e la corda che il migliore

gli regge con le sue braccia. Non si deve d'altra parte con

ciò intendere l'orribile sciocchezza che l'uomo non debba

costruire utensili, che la civiltà in genere sia stata una

«mossa sbagliata». L'uomo, essendo il più stabilizzato

biologicamente tra gli animali, è necessitato a forgiare una

civiltà e lo deve in quanto così vengono lasciate più libere

forze più nobili grazie al servizio prestatogli dalle forze a

lui soggette, le forze cioè in ultima analisi della natura

inanimata. Ciò tuttavia soltanto entro questi limiti ossia fino

a tanto che l'utensile serve alla vita e alla vita più alta.

Effetto del risentimento è non già l'apprezzamento positivo

del valore dell'utensile bensì il conferimento a questo di un

valore pari al valore dell'organo! Non esiste forse alcun

punto su cui le persone intelligenti e di retta intenzione

della nostra epoca siano più concordi che sul fatto che nel

dispiegarsi della civiltà moderna la cosa sia diventata

signora e padrona dell'uomo, la macchina della vita, la Natura - che

l'uomo voleva dominare e che per questo cercò di ridurre ad

un meccanismo - dell'uomo: le «cose» sono diventate sempre

più complesse e potenti, più belle e grandi, mentre l'uomo,

che le ha create, è diventato sempre più una rotella dentro

la macchina da lui stesso fabbricata.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

93

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Ci si rende però troppo poco conto che questo fatto

riconosciuto da ogni parte è effetto di un fondamentale

rovesciamento del giudizio di valore, che ha la sua radice nella

vittoria. del giudizio degli esseri vitalmente inferiori,

degli ultimi, dei paria della specie umana: e la radice è

appunto il risentimento! Tutta quanta la Weltanschauung

meccanicista (per quanto si attribuisce un senso di verità

metafisica) non è che l'immane simbolo intellettuale della

rivolta degli schiavi nella morale.

Soltanto un cedimento, un indebolimento divenuto

costituzionale della signoria della vita, nei confronti della

materia, della signoria dello spirito, e prima ancora della

volontà nei confronti dell'automatismo della vita può

spiegare la genesi e la diffusione della concezione

meccanicistica e dei giudizi di valore relativi che l’hanno

creata.

A chi si sia reso conto dell'erroneità di questa concezione

del rapporto organo-utensile si scopre il senso di una

quantità di fenomeni del nostro tempo, che poggiano

complessivamente su questo presupposto. In primo luogo tutti

i fenomeni conseguenti negativi di un industrialismo

unilaterale. Chi considera la civiltà dell'utensile una

prosecuzione della formazione degli organi non può che

augurare all’industrialismo una crescita illimitata. Possono

in tale caso essere considerati danni più o meno

«passeggeri», destinati ad essere superati da una crescita

ulteriore dell'industrialismo stesso, tutti i danneggiamenti

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

94

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

vitali che l'industrialismo produce: ad esempio il lavoro

delle donne e dei bambini, la tendenza dissolutrice nei

confronti della famiglia, la formazione di grandi città con

le conseguenze dannose alla salute imposte da un tale

abitato, il danneggiamento costituzionale di intere

professioni ad opera dei veleni connessi con il processo

tecnico, specializzazione dell'attività umana al servizio

delle macchine fino alla riduzione dell'uomo a ingranaggio,

crescente dipendenza della possibilità di sposarsi e

addirittura di mettere al mondo figli dalla proprietà e dal

denaro indipendentemente dalle qualità vitali, dissoluzione

delle unità nazionali.

La prospettiva cambia invece qualora si sia giunti a

rinunciare a questo errore fondamentale! A questo punto ogni

avanzata dell'industrialismo non è più incondizionata, ma è

positivamente valida solo a condizione che non abbia a

danneggiare durevolmente i valori vitali. Dovremo a questo

punto dire ad esempio che il mantenimento della salute della

razza e dentro questa la conservazione della sanità dei

gruppi in proporzione alla loro idoneità vitale e alle loro

qualità e forze «nobili» vitalmente valide è un valore in sé nei

confronti delle sue prestazioni utili e merita il primato,

anche se ciò comporti un rallentamento dello sviluppo

industriale. L'unità della famiglia e della nazione esige una

cura ed un appoggio anche là dove ciò rallenti, come si è

detto, lo sviluppo industriale e la diffusione della civiltà.

I gruppi nei quali si fraziona un popolo meritano

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

95

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

agevolazioni nella distribuzione dei beni e degli onori non

in proporzione del contributo che essi danno alla produzione

dei beni di utilità e di consumo bensì innanzi tutto in

funzione del significato storico-politico che essi hanno in vista

dell'edificazione e della conservazione di relazioni di

predominio nel popolo: vitalmente valide.

L'agricoltura è una attività in sé più valida che

l'industria e il commercio e merita di essere protetta e

incrementata non fosse altro che per il fatto che comporta

una maniera di vivere più sana e capace di impegnare in

maniera equilibrata tutte le energie: essa poi, per il fatto

di rendere le unità nazionali indipendenti dall'estero,

merita cura e assistenza anche se il progresso

dell'industrializzazione da un punto di vista meramente

economico desse di fatto un reddito migliore. Lo stesso dicasi per

la difesa contro le tendenze distruttrici dell'industrialismo

nei confronti delle specie animali e vegetali, dei boschi,

del paesaggio.

Se si considera il capovolgimento dei valori nel rapporto

organo-utensile nella sua totalità, lo spirito della civiltà

moderna non costituisce affatto - come pensa Spencer - un

«progresso» ma al contrario un declino nello sviluppo

dell'Umanità: rappresenta il predominio dei deboli sui forti,

dei furbi sui nobili, delle mere quantità sulle qualità. Si

dimostra documentabilmente fenomeno di decadenza in quanto

dovunque significa un cedimento delle forze conduttrici centrali

dell’uomo nei confronti dell’anarchia delle sue tensioni

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

96

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

automatiche: un oblio dei fini contro il dispiegarsi di meri

mezzi: e la decadenza sta proprio qui! [M. Scheler, Il

risentimento nella edificazione delle morali, [1915], pp. 181-185]

4.3. Commento a Scheler: la società moderna come risultato di

un ribaltamento dei valori

Abbiamo scelto questo brano di Scheler poiché ci è sembrato

abbastanza significativo per quanto riguarda il rovesciamento

dei valori e le contraddizioni dell’industrializzazione.

La tecnologia è divenuta il fondamento della civiltà

moderna, ma per Scheler una società che pone come sua più

alta finalità il processo meccanico, può essere definita

solamente antivitale. Infatti, la concezione moderna del

mondo vede nella civiltà meccanica il trionfo, lo sviluppo e

l’ampliamento dell’attività vitale, (falsa per Scheler, vera

secondo l’ideologia del progresso), il cui fine è quello di

creare surrogati artificiali dei nostri organismi. In questo

senso non contano più i valori vitali, ma solo i vantaggi,

l’utilità e i profitti che apporta il progresso. Il

fondamento di questa falsa concezione del mondo è costituito

dallo spostamento dei valori autentici, da quelli vitali e

culturali a quello specifico dell’utilità dell’utensile. Si

ha quindi un rovesciamento dei valori, che ha la sua radice nel

risentimento, vale a dire nella vittoria del giudizio degli

esseri vitalmente inferiori. Questa visione meccanicista del

mondo, non è altro che il simbolo intellettuale della rivolta

degli schiavi nella morale, che sgorga, come affermava

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

97

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

Nietzsche, da un sentimento di debolezza e risulta improntata

ai valori antivitali. La morale degli schiavi è rappresentata

dalla tecnologia. L’uomo debole, per superare la propria

inferiorità, deve essere in grado di costruire una civiltà

sviluppando le proprie forze tecnologiche. Tuttavia bisogna

porre un limite allo sviluppo tecnologico, per evitare che

l’uomo venga assoggettato alla macchina da lui stesso

fabbricata: egli non deve essere al servizio dell’utensile,

ma deve semplicemente servirsi di esso.

Di fronte all’erroneità della concezione del rapporto

organo-utensile, si possono delineare due prospettive. La

prima è quella di considerare l’industrializzazione come una

crescita illimitata: si deve progredire ad ogni costo. I

possibili danneggiamenti vitali creati da questo processo

saranno superati grazie ad un’ulteriore crescita

dell’industrialismo stesso.

La seconda prospettiva è quella di rinunciare a questo

errore fondamentale. In questo senso lo sviluppo industriale

non è più incondizionato, ma è positivamente accettabile solo

a condizione che non danneggi durevolmente i valori vitali.

Il capovolgimento dei valori deve essere quindi considerato

in relazione al rapporto organo-utensile nella sua totalità;

perciò l’industrializzazione non costituisce un progresso,

come sosteneva Spencer, bensì un declino nello sviluppo

dell’umanità, poiché rappresenta il predominio dei deboli sui

forti, dei furbi sui nobili, della quantità sulla quantità.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

98

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

5. ROBERT MUSIL

5.1. La Vita e l’opera (1890-1942)

Il “nobile animale”, abbandonata la carriera militare,

studiò costruzione di macchine ed ingegneria, poi filosofia e

in particolar modo psicologia. Questa complessa evoluzione

scientifico-filosofica rispecchia alla perfezione la storia

della sua opera letteraria. Uscì dall’accademia militare

austriaca con lo spirito irrobustito dalla tremenda crisi

dell’adolescenza e reso straordinariamente lucido dalle

meditazioni sulla matematica. Egli si collocava sulla

difficile via intermedia tra chi vuole la verità e chi vuole

lasciare libero gioco alla sua soggettività, nessuno è andato

così lontano come lo scienziato e psicologo Musil, offrendo

un panorama “saggistico” così completo delle tendenze dello

spirito contemporaneo. Di stile conservatore non desiderava

cambiare più di quanto non fosse necessario. Ora il bisogno

per Musil di imporre alla realtà una nuova strutturazione

geometrica, nasce dalla consapevolezza che le parole sono

soltanto sotterfugi fortuiti, che egli riassumerà nella

formula mistico-scientifica “anima e precisione”. L’uomo

senza qualità (DER MANN OHNE EIGENSCHAFTEN) di Musil, è

l’uomo la cui anima è una “rete di sensazioni” (rese crudeli

da un ragionare logico e rigoroso). La “struttura spaziale”

del tempo è un “campo di tensione”. L’io non possiede quindi

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

99

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

un carattere immutabile. La ricerca di Musil è condotta sul

mondo esteriore e nello stesso tempo sul ricercatore che fa

la ricerca anche su se medesimo. Musil vive per far rivivere

il proprio passato, ricostruirne l’unità e trovarsi un senso.

Egli sperimenta inoltre scientificamente, la possibilità di

provocare, con un atto deliberato di volontà, un sentimento

che sia tuttavia ingenuo e spontaneo (coincidenza anima-

precisione); questo contrastava con la formalità e decadenza

della società viennese del suo tempo e l’opera nella quale

egli cercò di realizzare tale progetto non poté essere

conclusa. Ma il suo intento fu anche quello di rappresentare

tutti gli aspetti contrastanti della grande crisi europea, il

sentimento del crollo dei valori, là dove esso era forse più

evidente: nell’ambiente politico e culturale di Vienna

(1913). E’ l’azione parallela (l’azione austriaca svolta

parallelamente a un’azione tedesca) il centro inesistente del

romanzo che permetterà a Musil di situare i suoi problemi

psicologici e scientifici nella realtà concretissima di

Vienna e di riempire i suoi astratti schemi strutturali di

una multiforme e vivissima sostanza umana.

Tuttavia l’Austria del 1913-1914 è solo un esempio per

Musil. La sua vera originalità è nella profondità abissale,

in fondo nichilista, che potenzia ed esaspera la crisi di

un’età, tanto da ricavarne una filosofia della crisi come

sostanza imprescindibile dell’esistenza. Dice Musil: “se

esiste il senso della realtà, deve esistere anche il senso

della possibilità”, la paura su cosa scegliere tra le diverse

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

100

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

possibilità, paura di fare la scelta sbagliata, dopo la

distruzione dei valori”.

Musil realizza la sua filosofia dell’assoluta inadeguatezza,

attraverso una particolare tecnica linguistica. Egli non

conosce la gioia e il pericolo dell’abbandono totale. La

realtà è secondo Musil inadeguata allo spirito, ed egli

dichiara di voler rappresentare non il tempo reale ma quello

irreale. Tutto il mondo di Musil è condannato allo sfacelo,

perché nessuna parola è capace di dire ciò che quel mondo

veramente è. E’ proprio dalla soppressione della possibilità

di giungere al “linguaggio della totalità” nasce lo stile di

questo grande autore. Anima ed assenza significano, appunto,

come già citato, precisione nella passione, significano anche

passione nella precisione. E’ possibile, dice Musil, che

nell’amore ci sia sempre una “lieve mania di scoprire

connessioni”. Certo è che nello scrivere di Musil non si

distinguono più intelletto e immaginazione. Con ciò la

condizione transnormale dell’artista acquista una pericolosa

somiglianza con quella subnormale del pazzo. L’artista o il

pazzo cercano dei motivi, e il motivo, spiega Musil, è ciò

che ci muove in generale, ed in particolare ciò che spinge

l’artista da un immagine all’altra. Così Musil cerca ovunque

motivi e rapporti per comprendere e chiarire, per ordinare la

realtà della sua epoca, che gli appare priva di organica

unità. E così “DER MENSCH OHNE EIGENSCHAFTEN” è tragicamente

sospeso fra il vagheggiamento nostalgico di una realtà

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

101

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

storica che non ha più il diritto di esistere e la speranza

di una grande conquista mistica non conseguibile.

5.2. Il brano di Musil: il mondo dell'uomo senza qualità.

Se è attuazione di sogni ancestrali il poter volare con gli

uccelli e navigare coi pesci, penetrare nel corpo di

gigantesche montagne, inviare messaggi con la rapidità degli

dei, scorgere e udire ciò che è invisibile e lontano, sentir

parlare i morti, affondare in miracolosi sonni risanatori,

vedere con occhi vivi l’aspetto che avremo vent'anni dopo la

morte, nelle notti sfavillanti esser consapevoli di mille

cose al di sopra e al di sotto di questo mondo, che nessuno

conosceva prima; se luce, calore, forza, godimento, comodità

sono i sogni primordiali dell'uomo, allora la ricerca odierna

non è scienza soltanto: allora è anche magia, è un rito di

grandissima forza sentimentale e intellettuale, che induce

Dio a sollevare l'una dopo l'altra le pieghe del suo manto,

una religione la cui dogmatica è retta e penetrata dalla

dura, agile, coraggiosa logica matematica, fredda e tagliente

come una lama di coltello.

Certo è innegabile che secondo l'opinione dei non matematici

tutti questi antichissimi sogni atavici si sono avverati in

modo totalmente diverso dall'immaginazione primitiva. Il

corno da caccia di Múnchausen era più bello di una voce

conservata in scatola, lo stivale delle sette leghe era più

bello dell'automobile, il regno di re Laurin era più bello

d'una galleria ferroviaria, la magica radice della mandragora

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

102

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

era più bella d'un fotogramma, mangiare il cuore della

propria madre e capire il linguaggio dei passeri era più

bello di uno studio zoopsicologico sulle modulazioni

espressive e affettive nella voce degli uccelli. Noi abbiamo

conquistato la realtà e perduto il sogno.

Non stiamo più sdraiati sotto un albero a contemplare il

cielo attraverso le dita dei piedi, ma lavoriamo e

fatichiamo; d'altronde non si può starsene trasognati a

stomaco vuoto, se si vuol essere gente di polso: bisogna

muoversi e mangiare bistecche. E’ precisamente come se la

vecchia inetta umanità si fosse addormentata su un formicaio;

e la nuova svegliandosi s'è trovate le formiche nel sangue,

sicché da allora è costretta a compiere i moti più violenti

senza potersi liberare da quella sordida smania di animalesca

laboriosità. Non occorre davvero dilungarsi troppo

sull'argomento, giacché quasi tutti gli uomini oggi si

rendono ben conto che la matematica è entrata come un demone

in tutte le applicazioni della vita.

Forse non tutti credono alla storia del diavolo a cui si può

vendere l'anima, ma quelli che di anima devono intendersene,

perché in qualità di preti, storici e artisti ne traggono

lauti guadagni, attestano che essa è stata rovinata dalla

matematica, e che la matematica è l'origine di un perfido

raziocinio che fa, sì, dell'uomo il padrone del mondo, ma lo

schiavo della macchina. L'intima sterilità, il mostruoso

miscuglio di rigore nelle minuzie e d'indifferenza per

l'insieme, la desolata solitudine dell'uomo in un groviglio

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

103

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

di particolari, la sua inquietudine, la malvagità, la

spaventosa aridità di cuore, la sete di denaro, la freddezza

e la violenza, che contraddistinguono il nostro tempo,

sarebbero secondo questi giudizi unicamente e semplicemente

conseguenze del danno che un ragionare logico e rigoroso

arreca all'anima! E così anche allora, quando Ulrich divenne

matematico, v'erano persone che predicevano il crollo della

cultura europea perché l'uomo non albergava più in cuore né

fede né amore, né innocenza né bontà; ed è significativo

notare che tutti costoro da ragazzi e scolari erano cattivi

matematici. Con ciò essi ritennero più tardi per dimostrato

che la matematica madre delle scienze esatte, nonna della

tecnica, fosse anche la matrice di quello spirito che ha poi

prodotto i gas asfissianti e gli aeroplani da bombardamento.

[...]

Se ci si chiede senza pregiudizi come la scienza abbi

assunto il suo aspetto attuale - cosa importante per se

stessa, perché la scienza regna su di noi e neppure un

analfabeta si salva dal suo dominio giacché impara a

convivere con innumerevoli cose che son nate dotte -

s'ottiene un'immagine alquanto diversa. Secondo tradizioni

attendibili s'è incominciato nel sedicesimo secolo, un

periodo di fortissimo movimento spirituale, a non più

sforzarsi di penetrare i segreti della natura, com'era

successo fino allora in due millenni di speculazione

religiosa e filosofica, bensì ad accontentarsi di esplorare

la superficie, in un modo che non si può fare a meno di

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

104

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

chiamare superficiale. Il grande Galileo Galilei ad esempio,

il primo nome che sempre si cita a questo proposito, tolse di

mezzo il problema: per quale causa intrinseca la natura abbia

orrore degli spazi vuoti, così da obbligare un corpo che cade

ad attraversare spazi su spazi, finché esso giunge su un

terreno solido; e s'accontentò di una constatazione molto più

volgare: stabilì semplicemente la velocità di quel corpo che

cade, la via che percorre, il tempo che impiega, e

l'accelerazione della caduta. La Chiesa cattolica ha commesso

un grave errore minacciando di morte un tal uomo e

costringendolo alla ritrattazione invece di ammazzarlo senza

tanti complimenti; perché il suo modo, e quello dei suoi

simili, di considerare le cose, ha poi dato origine - in

brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia - agli

orari ferroviari, alle macchine utensili, alla psicologia

fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e

ormai non può più porvi rimedio. Probabilmente ha commesso

quest'errore per troppa prudenza, giacché Galileo non era

soltanto lo scopritore del moto della terra e della legge

della caduta dei gravi, ma era anche un inventore al quale

s'interessava, come si direbbe oggi, il gran capitale; e

inoltre non era l'unico che fosse pervaso allora dallo

spirito nuovo; al contrario, la storia c'insegna come il

freddo positivismo che lo animava si diffondesse violento e

disordinato come un'epidemia e per quanto possa essere

urtante sentir dire, quasi vanto, che uno era «animato da

freddo positivismo», mentre ci sembra di averne già fìn

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

105

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

troppo, a quel tempo il risveglio dalla metafisica per darsi

al severo esame delle cose secondo differenti testimonianze

dev'esser stato addirittura un fuoco, un'ebbrezza di

positività! Ma se ci si chiede come mai fosse venuto in mente

all'umanità di cambiare così, ecco la risposta: l'umanità

fece semplicemente quello che fanno tutti i bambini di buon

senso che si son trovati troppo presto a camminare; si

sedette per terra, e la toccò con una parte del corpo non

molto nobile ma sicura, diciamolo pure: con quella parte su

cui ci si siede. Lo strano è che la terra si sia mostrata

così sensibile a quel contatto, sì da lasciarsi strappare

cognizioni, scoperte e comodità in un'abbondanza che ha del

miracoloso.

Dopo tali antecedenti si potrebbe sostenere non interamente

a torto che ci troviamo nel bel mezzo del miracolo

dell'Anticristo; perché la similitudine del contatto con la

terra non si deve interpretare solo nel senso della

sicurezza, ma anche in quello dell'indecoroso e

dell'illecito. E in verità, prima che il mondo intellettuale

scoprisse la sua passione per i fatti materiali, questa

passione era propria soltanto dei guerrieri, dei cacciatori e

dei mercanti, cioè dei temperamenti astuti e violenti. Nella

lotta per la vita non vi sono sentimentalismi speculativi ma

soltanto il desiderio di ammazzare il nemico nel modo più

rapido e più reale, ognuno in tal caso è positivista; così

negli affari non sarebbe una virtù lasciarsi mistificare

invece di andar sul sicuro, là dove il guadagno in ultima

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

106

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

analisi costituisce una sopraffazione psicologica

dell'avversario derivante dalle circostanze.

Se d'altra parte guardiamo quali siano le qualità che

conducono a invenzioni e scoperte, troviamo: libertà da

scrupoli e riguardi tradizionali, spirito d'iniziativa e di

distruzione in uguale quantità, esclusione di considerazioni

morali, paziente mercanteggiamento del minimo vantaggio,

tenace attesa sulla via del successo, se è necessario, e un

rispetto per il numero e per la misura che è l'espressione

più acuta della diffidenza di fronte a ogni cosa incerta; in

altre parole, non troviamo nient'altro che gli antichi vizi

dei cacciatori, dei soldati e dei mercanti, trasportati qui

sul piano intellettuale e nuovamente interpretati come virtù.

Ed è vero che così restano al di sopra della corsa al vile

vantaggio personale; ma l'elemento del male originale, come

si potrebbe chiamarlo, non scompare nemmeno mediante questa

trasformazione, perché a quanto pare è indistruttibile ed

eterno, almeno eterno quanto tutte le grandezze umane, perché

è precisamente ed esclusivamente il piacere di dar lo

sgambetto a quelle grandezze e di vederle battere il naso per

terra. Chi non ha provato almeno una volta, contemplando un

bel vaso di vetro iridescente, la seduzione del pensiero che

con una bastonata lo si potrebbe mandare in mille pezzi?

Elevato all'eroismo dell'amara persuasione che in questo

mondo non ci si può fidare di nulla che non sia ben fermo al

chiodo, quest'è un sentimento fondamentale incluso nella

positività della scienza, e se per rispetto non lo si vuol

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

107

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

chiamare il diavolo, bisogna almeno dire che puzza lievemente

di zolfo.

5.3. Commento al brano di Musil: il demone della logica

matematica

“Noi abbiamo conquistato la realtà e perduto il sogno”

Il testo si profila come un riflesso della complessa

evoluzione scientifico-filosofica musiliana. Musil argomenta

e sviluppa la sua riflessione sulla scienza: egli è convinto

che l’odierna ricerca non sia soltanto scienza, ma anche

magia e religione, entrambe rette dalle leggi della logica

matematica.

Con le innovazioni tecnologiche e con l’attuazione di quelli

che prima erano solo “sogni”, si è conquistata la realtà ma

perduto il sogno. Non c’è più tempo per contemplare la

realtà, poiché esso deve essere utilizzato per lavorare e per

procurarsi i mezzi necessari alla sopravvivenza.

L’umanità ormai si rende conto che la matematica è entrata a

far parte di tutte le applicazioni della vita: essa

rappresenta l’origine di un perfido raziocinio che di fatto

toglie all’uomo il suo ruolo di padrone del mondo,

riducendolo a misero schiavo di esso. A causa della

matematica e del progresso l’uomo non ha più qualità ma è

ridotto a numero, a quantità. L’uomo non lavora più per

vivere ma vive per lavorare. La frenesia del lavoro ha

allontanato l’uomo dalla propria essenza: egli non considera

più le cose in profondità ma in modo alquanto superficiale.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

108

Parte Seconda: la crisi dell’ideale positivistico e la critica dellatecnologia

La scienza ha potuto assumere l’attuale aspetto attraverso

una trasposizione sul piano intellettuale degli antichi vizi

dei cacciatori, dei soldati e dei mercanti, nuovamente

interpretati come virtù. Infatti, prima che il mondo

scoprisse la sua passione per i fatti materiali, questa

passione apparteneva solamente alle categorie sopracitate.

Tuttavia questa trasformazione non è in grado di far

scomparire l’elemento del male originale, la violenza della

lotta per la sopravvivenza, perché è, a quanto pare, eterno e

indistruttibile.

In questo modo la scienza regna su di noi e sul mondo e non

c’è possibilità di mutare questa condizione.

L’interpretazione che Musil offre della scienza è perciò

problematica; egli cerca di mettere in evidenza proprio

l’ambiguità del problema. La sua conclusione è che nella

scienza non ci sono cose chiare, per questo non la si può né

demonizzare, né divinizzare.

(R. Musil, L'uomo senza qualità [1930-1932], vol. I, pp. 34-36,

291-293)

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V A -Linguistico

109

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Parte terza

La morte di dio e il crollo dei

valori

1. PREMESSA: IL CROLLO DEI VALORI

1.1. La crisi dei valori

Uno dei più chiari indizi che compravano la crisi di una

civiltà è il venir meno dei suoi valori, il diffondersi, tra

i testimoni dell’epoca, della sensazione che i valori, su cui

la loro civiltà aveva costruito il proprio senso d’identità,

perdono la loro forza, non sono più capaci che orientare

l’agire umano e di rendere possibile la comprensione di ciò

che sta accadendo.

Questa diffusa insicurezza si manifesta, principalmente,

nella perdita del senso di continuità del divenire storico.

Se è vero che una cultura fonda la propria identità nel

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

tempo, riconducendo il passato al presente e costruendo sul

presente il proprio progetto per il futuro, allora la perdita

della continuità temporale può essere assunta come la prova

più evidente della crisi di quella civiltà. La tesi che

intendiamo sostenere, dopo aver studiato questo periodo e

aver esaminato come venne vissuto nella coscienza di alcuni

tra i più significativi intellettuali del tempo, è che questa

crisi trova una delle sue cause più importanti nella

disgregazione dei valori tradizionali della civiltà

occidentale.

Il percorso che intendiamo seguire in questa breve

premessa prenderà le mosse proprio da questa perdita di

continuità tra passato, presente e futuro. Cercheremo poi di

chiarire il concetto di valore così come veniva concepito

nella cultura tradizionale; l’esame dell’annuncio della morte

di dio, ci consentirà, quindi, di definire il significato che

il crollo dei valori tradizionali assume per la cultura del

tempo. Concluderemo questa introduzione soffermandoci sui

concetti di nichilismo e relativismo che, riferiti ai valori,

ben rappresentano il diffuso stato d’animo che è presente tra

gli intellettuali europei già prima della Grande Guerra, ma

che divengono quasi luoghi comuni nel periodo tra le due

guerre.

1.2. Nelle nebbie del domani

La sensazione dell’irrompere di un evento epocale che ha

spezzato il corso della storia, conducendo la civiltà

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

111

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

occidentale ad una svolta, è espressa con drammaticità nelle

parole di S. Zweig: “Si fra il nostro oggi, il nostro ieri ed

il nostro altroieri tutti i ponti sono crollati. Io stesso

debbo stupire rievocando la quantità e la molteplicità di

vita per noi compressa nel breve spazio di un'unica

esistenza, sia pure incomoda e pericolosa; e tanto più mi

stupisco se la paragono al modo di vivere dei miei

predecessori”9. L’immagine del crollo del ponte che collega

il passato al futuro è la registrazione di una discontinuità

venutasi a produrre nello sviluppo temporale dell’occidente,

ciò che è stato prima e ciò che è venuto dopo, non sono più

pensabili come due momenti successivi dello stesso percorso.

La prima guerra mondiale ha segnato una svolta, ciò che la

civiltà europea era prima della guerra è qualcosa di

completamente diverso da ciò che essa è divenuta dopo la

guerra. Gli uomini che vivono dopo la guerra sono diversi

rispetto a quelli che vissero prima, Zweig non si riconosce,

non può riconoscersi, nel “modo di vivere” dei suoi

predecessori. Il senso d’estraneità nei confronti di coloro

che “vissero prima” è, implicitamente, il riconoscimento che

essi non possono essere realmente “i nostri predecessori”, in

loro non vi sono le radici dell’identità di coloro che sono

venuti dopo. In altri termini, l’incapacità di rispecchiarsi

nel passato, che si trova in tutti i brani che abbiamo

esaminato, è indice della difficoltà di chiarire la propria

9 Stephan Zweig,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

112

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

identità presente se non nei termini negativi del “che cosa

non siamo”.

Un altro importante indizio presente nel brano citato e in

tutti gli autori esaminati, è l’incapacità di comprendere il

presente. Zweig, che scrive nel 1941 e ha presente l’intera

vicenda dai suoi inizi al tragico epilogo del secondo

conflitto mondiale, percepisce gli accadimenti verificatisi

in quest’arco temporale come un “caotico groviglio di eventi

che vengono subiti”. Se è vero, come noi intendiamo

sostenere, che i valori non hanno solo una funzione pratica,

ma anche teoretica - su essi si fondano infatti anche gli

strumenti per interpretare conoscitivamente la realtà tanto

storica, quanto naturale – allora appare evidente che il

fatto di “non riuscire a comprendere gli eventi” e di

“subirli”, indica una incapacità di comprendere ed agire.

Zweig e i suoi contemporanei si muovono ancora nel contesto

di quei valori morali e conoscitivi dell’epoca anteriore,

questo impedisce loro di comprendere il loro tempo e di agire

in esso; il loro tempo è divenuto incomprensibile partendo

dalla concezione del mondo e della storia che è ormai in

crisi, ma di cui essi sono ancora portatori.

Se nelle parole di Zweig il ponte tra passato e futuro

appare crollato, nel titolo di una delle più significative

opere di denuncia della crisi in atto, anche il ponte tra

presente e futuro non esiste più.

Lo storico e letterato olandese Huizinga, diede alla sua

opera il significativo titolo di “Nelle nebbie del domani”.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

113

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Non si vede alcuno sbocco per la crisi, né si riesce a

concepire alcun progetto per uscire da essa, l’incertezza del

futuro è un altro segno che, nella percezione dei

contemporanei, ci si trova ad una svolta, si sa cosa si è

perduto ma non si sa ancora che cosa si è acquistato. Da ciò

il tono apocalittico di molte riflessioni sulla civiltà

occidentale: da Russell che intravede la possibilità di una

dittatura mondiale, a Ortega che registra un ritorno dei

“barbari” in Europa, fino all’annuncio della morte

dell’occidente di Spengler. Sola possibile forma di agire che

si prospetta alla maggior parte di questi autori è la

testimonianza personale della propria fedeltà a quei valori

andati perduti: “Se però con la nostra testimonianza

tramanderemo alla generazione futura anche soltanto una

scheggia di verità, non avremo lavorato invano”.10

All’intellettuale liberale e cosmopolita resta la sola

missione di tramandare quei valori della cui scomparsa egli è

il testimone. Ma anche questo scopo appare da solo incapace

di fondare un nuovo progetto, dare un significato a ciò che

accade, e se allo sguardo di Huizinga il futuro appare

avvolto tra le nebbie, Zweig rinuncerà perfino a fissare il

suo sguardo nel futuro, si ucciderà nel 1942.

In conclusione, appare perduto il legame di continuità col

passato, il presente risulta incomprensibile e il futuro

incerto.

10 S. Zweig,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

114

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

1.3. La morte di dio

I brani di Nietzsche che abbiamo preso in considerazione,

benché tale autore si collochi in un altro contesto storico e

culturale, sono tuttavia essenziali per comprendere sia le

caratteristiche formali del secolare sistema di valori su cui

la civiltà occidentale era fondata, sia per valutare

correttamente la portata delle conseguenze che il crollo di

quei valori doveva avere.

Non intendiamo qui esaminare la filosofia di Nietzsche in

quanto tale, ma solo ricordare brevemente il quadro della

civiltà occidentale e della sua storia che egli fornisce.

Dio, come assoluto trascendente la dimensione spaziale e

temporale, costituiva il fondamento della tavola di valori su

cui, il platonismo e il cristianesimo, avevano edificato

l’edificio della cultura occidentale. Trascendenza e dualismo

sono i due termini chiave della ricostruzione niciana. Solo

la trascendenza, l’assoluta alterità di dio, principio primo

e fine ultimo, consentono di garantirne l’universalità e

immutabilità sottraendolo al divenire e molteplice. Tale

trascendenza indica anche il dualismo tra mondano e

ultramondano che caratterizza la strategia metafisico-

religiosa che ha guidato la costruzione dell’identità della

civiltà occidentale. Solo su tale base era infatti possibile

ricondurre interamente il mondo storico e naturale ad un

unico principio capace di operarne la sintesi in una totalità

sistematica e globale, assegnando all’esistenza una precisa

finalità, alla vita uno scopo determinato. Solo in questo

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

115

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

modo, era inoltre possibile, assegnare una solida base alla

tavola di valori che doveva guidare, sia in ambito morale che

gnoseologico, la civiltà occidentale. E’ quindi sulla figura

di dio che l’occidente aveva costruito il proprio destino e

aveva concepito la propria identità, conferendo un senso

assoluto all’essere. Non interessa, ai fini di quest’analisi,

la vicenda attraverso la quale Nietzsche ricostruisce questo

processo storico, ne giudica il significato, ne interpreta la

dissoluzione. Non interessa neanche valutare la correttezza

dell’interpretazione niciana della storia dell’occidente,

quella che invece vogliamo rendere evidente è la stretta

correlazione, entro la cultura occidentale, tra il carattere

assoluto dell’idea di dio e l’incondizionatezza della tavola

dei valori che su tale fondamento era stata posta. La morte di

dio, sviluppatasi in conseguenza delle vicende storiche e

culturali che hanno caratterizzato la storia dell’occidente

tra il XVII e il XIX secolo, porterà al crollo dei valori,

alla perdita dell’identità, al non senso ed al nichilismo:

“Come potemmo vuotare il calice bevendolo fino all'ultima

goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero

orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla

catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci

muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno

precipitare? E' all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti

i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse

vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di

noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

116

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere

lanterne la mattina?”11

Morto dio, cade ogni sistema di riferimento assoluto e

l’umanità smarrisce il significato dell’essere in generale e

del proprio destino in particolare, ad un universo dotato di

un ordine e di un senso assoluti, segue una situazione di

assoluto relativismo in cui ogni senso - teoretico, morale,

storico - è smarrito.

L’uomo, l’uomo occidentale, cercherà nuovi idoli con cui

sostituire il “vecchio dio”, ma ormai il seme del nichilismo,

secondo Nietzsche, è stato gettato. La ragione scientifica,

il nuovo idolo del positivismo, mostrerà i suoi limiti – come

si è visto nel paragrafo precedente – e sarà incapace di

sostituire il vecchio dio: tramontato ormai il sole della

ragione, l’Europa è entrata nella notte del nichilismo.

1.4. La decadenza dell’occidente come “epoca del nichilismo”

Venuto meno il suo centro unificatore, del secolare edificio

culturale dell’occidente restano solo frammenti slegati,

reciprocamente irriducibili, l’orizzonte annunciato da

Nietzsche è quello del nichilismo. “Assenza di ogni valore”,

questa la definizione data dal filosofo tedesco dell’epoca

moderna, ciò che è andato perduto è l’assolutezza del valore,

la dimensione morale in cui nasce e si sviluppa il dibattito

sulla crisi dell’occidente è dunque quella del relativismo

dei valori.

11 Nietzsche,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

117

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

La nostra tesi al riguardo è che, nel dibattito sulla crisi

della civiltà il principale concetto di cui gli intellettuali

del tempo, che ne siano consapevoli o meno, si servono, sia

molto simile a quello del nichilismo di Nietzsche.

Il termine nichilismo deriva dal latino nihil, nulla, ed

indica l’atteggiamento di coloro che negano che l’essere

possieda un senso, che esista un sistema di valori oggettivo

e universale.

Nella filosofia di Nietzsche, il concetto di nichilismo è

fondamentale, esso viene utilizzato per interpretare la crisi

che minaccia di dissoluzione la civiltà occidentale. In

questo senso nichilismo è la svalutazione di tutti i valori, il

rifiuto, prima ancora che di un sistema determinato di

valori, della stessa possibilità che possa esistere un

qualsiasi valore. L’essere non possiede alcun fondamento di

senso, l’esistenza è assurda: “nichilismo: manca il fine;

manca la risposta al “perché”; che cosa significa nichilismo?

Che i valori supremi si svalorizzano”.

Sul piano ontologico, il presupposto da cui si genera il

nichilismo è la morte di dio, vale a dire il riconoscimento del

carattere illusorio di un principio supremo capace di fondare

un senso assoluto dell’essere e dell’esistenza. Sul piano

storico il nichilismo è il risultato della situazione di

decadenza in cui si trova una civiltà. Il mondo moderno è per

Nietzsche un mondo malato, la figura della decadenza,

conseguente alla morte di dio ed all’incapacità di affrontare

l’essenza assurda e tragica di un’esistenza senza senso,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

118

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

conduce al disgregarsi della civiltà a tutti i suoi livelli.

Nell’epoca della decadenza la volontà cessa di volere, si

abbandona passivamente agli eventi, si ripiega su se stessa e

si nutre del sentimento del risentimento. Il risentimento è

tipico della volontà malata nell’epoca della decadenza. La

dinamica del risentimento è simile a quello che Freud

definirà principio di morte, Thanatos, una rabbiosa tensione

interiore e autodistruttiva che si scaglia contro tutto ciò

che è vitale e tende a disgregarlo, a ridurlo

all’inorganicità.

La figura del nichilismo e della decadenza che abbiamo fin

qui delineato, corrispondono a quel nichilismo imperfetto che

Nietzsche indicava col termine di nichilismo passivo, caduti i

fini e i valori, il nichilismo passivo si limita a subire gli

eventi, regredendo all’atteggiamento della fuga e della

rinuncia di fronte alla vita. Come si sa, il nichilismo

perfettamente compiuto, è quello attivo, che assume come

proprio dovere la distruzione dei valori tradizionali per

preparare l’avvento del superuomo.

Da Spengler a Mann, da Broch a Scheler, quasi tutti gli

autori che abbiamo trattato o fanno esplicito riferimento al

concetto niciano di nichilismo e di decadenza, o utilizzano

concetti e strumenti interpretativi molto simili a quello di

Nietzsche.

Rivelatore di quest’atteggiamento è il riferimento che molti

di questi autori fanno al medioevo visto come termine di

riferimento per valutare la crisi moderna. A fronte di

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

119

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

un’epoca come quella odierna in cui “diviene di colpo

impossibile collegare i singoli campi di valore ad un valore

centrale”, in cui “viene sottratto all’essere il suo

carattere di statica immutabilità”12, in cui i valori appaiono

slegati e manca un senso unitario dell’essere, il medioevo

viene visto come un mondo caratterizzato da una struttura

unitaria fondata su un valore assoluto – la fede nel dio

cristiano – capace di fornire un ordinamento finalistico al

mondo e alla vita umana.

Nichilismo e decadenza, perdita dei valori, trionfo della

mera funzionalità tecnica, troveranno, agli occhi di questi

intellettuali, piena conferma nella Grande Guerra, essa

costituisce, infatti, secondo questa chiave di lettura, il

trionfo del nichilismo, il rivoltarsi della civiltà europea

contro se stessa, il trionfo della pulsione di

autodistruzione inevitabile per un’umanità che ha smarrito i

suoi antichi valori e si mostra incapace di riempire il

vuoto, così venutosi a creare, con una nuova tavola di

valori.

12 H. Broch, Disgregazione dei valori,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

120

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

1. NIETZSCHE

1.1. La vita

Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque a Roken il 15 ottobre

del 1844. Figlio di un pastore protestante, studiò dapprima

nel ginnasio di Pforta, poi nell’università di Bonn e in

quella di Lipsia. Il suo maestro di Lipsia, il famoso

filosofo Friedrich Ritsche, procurò a Nietzsche non ancora

venticinquenne, nel 1869 la chiamata all’università di

Basilea, su una cattedra di lingua e letteratura greca. A

Basilea Nietzsche insegnò dal 1869 al 1879. A questo periodo

risalgono, oltre a studi di carattere filologico, le sue

prime grandi opere filosofiche: “La nascita della tragedia

dallo Spirito della musica” (1872); “Considerazioni

inattuali” (1873-1876); “Umano troppo umano” (1878). Dal 1879

(quando lasciò definitivamente l’insegnamento) Nietzsche

visse con una modesta pensione assegnatagli dall’università,

soggiornando sulla riviera francese e italiana, in Alta

Engandina, e infine a Torino. Naquero in questo periodo le

opere della maturità: “Il viandante e la sua ombra (1880);

“Aurora” (1881); “La gaia scienza (1882); “Così parlò

Zarathustra (1883-1885); “Al di là del bene e del male”

(1886); “Genealogia della morale”(1887); “Il caso Wagner”

(1888); “Crepuscolo degli idoli” (1881); “L’anticristo, Ecce

Homo e Nietzsche contro Wagner (postumi).

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

121

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Nel gennaio del 1889 Nietzsche, che nel frattempo si era

trasferito a Torino, che egli chiama “la città che si è

rivelata come la mia città”, fu colto da un grave attacco di

pazzia. Sulla natura e sull’origine di essa hanno discusso a

lungo i biografi. Fin dal 1873 Nietzsche aveva cominciato a

soffrire di forti emicranie, indebolimento della vista,

disturbi digestivi, insonnia. Questi mali aggravatisi, lo

avevano costretto a lasciare l’insegnamento. La pazzia,

scoppiata in modo definitivo nel 1889 era probabilmente un

male ereditario.

Salute e malattia hanno un peso teorico centrale nelle

opere del Nietzsche maturo; ma, soprattutto, la circostanza

biografica della sua malattia ebbe un ruolo decisivo nel far

sorgere il problema degli scritti postumi. Dopo l’attacco di

Torino, infatti, Nietzsche, trascorso un periodo in casa di

cura, visse con sua sorella Elisabeth maritata Förster. Fu

proprio lei, dopo la morte del fratello, a riordinare e

preparare per la pubblicazione un insieme di appunti, che

Nietzsche scrisse con il proposito di formare una grande

opera intitolata “La volontà di potenza”, proposito che però

egli abbandonò.

1.2. Il Pensiero

Nel giovane Nietzsche, ebbero una grande importanza, oltre

agli studi filologici, il pensiero di Schopenhauer. Durante

gli anni trascorsi a Basilea fu ospite di Wagner, ed è

proprio lì che scrisse la sua prima opera “La nascita della

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

122

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

tragedia”. In quest’opera Nietzsche propone una nuova visione

della classicità e un nuovo concetto di decadenza. L’immagine

classica che aveva dominato dal Rinascimento al Romanticismo

rifletteva la civiltà greca in una fase già decadente.

L’armonia e la compostezza delle forme greche nascono,

secondo Nietzsche, da una reazione di difesa. Lo spirito

greco è composto da un elemento, il dionisiaco, che

percepisce la caoticità dell’essere e che si esprime sul

piano artistico nella musica, ma lo spirito greco nasce anche

da un elemento apollineo che reagisce producendo un mondo di

forme limpide e definite e che si esprime nella scultura. In

altre parole Nietzsche, in antitesi all’immagine tradizionale

dell’Ellade vista come mondo di equilibrio ed armonia (regno

dell’apollineo) contrappone un’immagine dionisiaca del mondo

greco.

Nietzsche sostiene che l’apollineo nacque nel momento in

cui ci si accorse del dramma della vita, della morte e degli

aspetti crudeli dell’essere. Gli dei nacquero, infatti, per

sopportare mediante una sublimazione della vita, il dolore

degli uomini. Nietzsche è in effetti un discepolo del

dionisiaco, poiché Dioniso rappresenta l’accettazione della

vita così come si presenta. Lo spirito dionisiaco non si

propone come l’accettazione rassegnata della vita, come un

“si” totale al mondo. Dioniso è, infatti, il dio

dell’ebbrezza, della gioia, il dio che canta e ride, un Dio

che esalta tutte quelle virtù che tendono ad esaltare la vita

e che sono degne dell’uomo.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

123

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Nietzsche parte dall’accettazione della vita per

polemizzare contro la morale, la morale è, per Nietzsche, una

forma della coscienza che ha posto l’uomo contro la vita.

Secondo Nietzsche nel mondo classico vi era, inizialmente,

una morale, quella dei signori, fondata sui valori vitali

della forza, della fierezza, della gioia; in un secondo

momento alla morale dei signori si contrappose quella degli

schiavi fondata sui valori antivitali della abnegazione, del

disinteresse. Tutto ciò accade perché la morale dei signori

non comprendeva solo l’etica dei signori ma anche quella dei

sacerdoti. Ma i sacerdoti provavano verso i guerrieri un

certo risentimento, un desiderio di rivalsa, non potendoli

però battere sul loro stesso terreno, decisero di creare una

nuova tavola dei valori opposta a quella dei signori. Ora, il

sacerdote si rispecchiava nelle virtù dello spirito, mentre

il guerriero si rispecchiava in quelle del corpo. Fu per

questo motivo che al corpo vediamo anteposto lo spirito,

all’orgoglio l’umiltà, etc. Si ebbe quindi, un rovesciamento

dei valori effettuato dagli ebrei che vengono definiti come

il popolo sacerdotale per eccellenza. Venne mutata la

tradizionale equazione che vedeva nel buono il nobile, il

potente, il caro agli dei, il felice; adesso invece solo i

poveri, gli umili possono essere considerati buoni. Nietzsche

considera questa morale, che poi diede origine al

cristianesimo, il simbolo attraverso cui l’uomo si è posto

contro la vita stessa, una morale che ha identificato nella

gioia e nel piacere, il peccato. Ed è per questo motivo che

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

124

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

il cristiano si presenta come un uomo malato e represso, in

preda a continui sensi di colpa.

L’uomo cristiano è dunque un auto-tormentato che nasconde

in sé un atteggiamento aggressivo e risentimento verso il

prossimo; è per questo che la casta sacerdotale, obbediente

alla religione dell’amore, ha scatenato lotte di sangue.

Nietzsche pensa inoltre, che la vita umana sia una vita

terrestre; l’uomo è nato per vivere sulla terra e non c’è

altro mondo per lui.

L’uomo è sostanzialmente corpo; il corpo, che era

considerato prigione o tomba dell’anima, diviene il concreto

modo di essere dell’uomo, l’anima assume in Nietzsche un

altro significato, in quanto è considerata una semplice

particella del corpo e la terra diviene la dimora gioiosa e

propria dell’uomo.

Nietzsche parte dalla critica della morale tradizionale e

dal cristianesimo per affrontare il tema della “morte di

Dio”. Per Nietzsche Dio rappresenta il simbolo di ogni

prospettiva oltre-mondana ed anti-vitale, secondo il

filosofo, Dio non è altro che una fuga dalla vita e una

rivolta verso il mondo. Dio è la menzogna delle menzogne, è

l’espressione della paura di fronte all’essere, in quanto

l’uomo, dopo aver scoperto che la realtà è caotica,

disarmonica, crudele, non provvidenziale, contraddittoria,

per poter sopportare la durezza dell’esistenza, si è creato

un mondo ordinato, buono, provvidenziale, razionale. Dio è

quindi, la personificazione di tutte quelle certezze,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

125

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

credenze di cui l’uomo da sempre, si è servito per continuare

a vivere.

1.3. Il brano di Nietzsche: "La morte di dio"

L'Uomo folle. Avete sentito di quell'uomo folle che accese una

lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si

mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? E

poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che

non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «Si è forse

perduto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino? Fece un

altro». «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è

imbarcato? È emigrato»? Gridavano e ridevano in una gran

confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò

con i suoi sguardi: «Dove se n'è andato Dio»? gridò «ve lo

voglio dire! L'abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi

assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il

calice bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la

spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo

per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è

che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i

soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E' all'indietro,

di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto

e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un

infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? - Non si

è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più

notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello

strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

126

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

ci è giunto ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della

divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è

morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci

consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto

di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi

si è dissanguato sotto i nostri coltelli - chi detergerà da

noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali

riti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo

inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di

questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dei, per

apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più

grande - e tutti coloro che verranno dopo di noi

apparterranno, in virtù di questa azione, a una storia più

alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad

oggi!». -A questo punto l'uomo folle tacque, e rivolse di

nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e

lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua

lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo

presto», proseguì «non è ancora il mio tempo. Questo enorme

evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino - non

è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e

tuono vogliono tempo, la luce delle stelle vuole tempo, le

azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute,

perché siano viste e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre

più lontana dagli uomini delle stelle più lontane - eppure son

loro che l'hanno compiuta!». Si racconta ancora che l'uomo folle

abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

127

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo.

Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato

a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono

ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio»?

La Gaia Scienza

"Il nichilismo"

Il nichilismo Come Stato NORMALE

Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al «perché»?;

che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi si

svalorizzano.

Esso è AMBIGUO:

A) Nichilismo come segno della cresciuta potenza dello

spirito: Come NICHILISMO ATTIVO.

Può essere un segno di forza: l'energia dello spirito può

essere cresciuta tanto, che i fini sinora perseguiti

(«convinzioni, articoli di fede») le riescano inadeguati.

- Una fede cioè esprime in genere la costrizione esercitata

da condizioni di esistenza, una sottomissione all'autorità di

situazioni in cui un essere prospera, cresce, acquista

potenza...

D'altra parte un segno di forza non sufficiente per porsi

ora nuovamente, in maniera creativa, un fine, un perché, una

fede.

Il suo massimo di forza relativa, lo raggiunge come forza

violenta di DISTRUZIONE, come nichilismo attivo. Il suo

contrario sarebbe il nichilismo stanco, che non aggredisce

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

128

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

più; la forma più famosa di questo è il buddhismo, come

nichilismo passivo.

Il nichilismo rappresenta uno stato intermedio patologico

(patologica è l'immensa generalizzazione, la conclusione che

non c'è nessun senso): sia che le energie creative non siano

ancora forti abbastanza, sia che la decadenza indugi ancora e

non abbia ancora trovato i suoi rimedi.

B) Nichilismo come declino e regresso della potenza dello

spirito: il NICHILISMO PASSIVO: come segno di debolezza:

l'energia dello spirito può essere stanca, esaurita, in modo

che i fini sinora perseguiti sono inadeguati e non trovano

più credito; la sintesi dei valori e dei fini (su cui riposa

ogni forte cultura) si scioglie, in modo che i singoli valori

si fanno la guerra: disgregamento; tutto ciò che ristora,

guarisce, tranquillizza, stordisce, sarà in primo piano,

sotto diversi travestimenti, religiosi o morali o politici o,

estetici, ecc.

2. PRESUPPOSTI DI QUEST'IPOTESI:

Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione

assoluta delle cose una «cosa in sé»; - ciò stesso è un

nichilismo, è anzi il nichilismo estremo. Esso ripone il

valore delle cose proprio nel fatto che a tale valore non

corrisponda né abbia corrisposto nessun realtà, ma solo un

sintomo di forza da parte di chi pone il valore, una

semplificazione ai fini della vita.

Frammenti postumi

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

129

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

1.4. Il Commento

Analizzeremo adesso il brano tratto da “La gaia scienza”

dal titolo: “il grande annuncio”. Grazie ad esso potremmo

comprendere meglio il significato della nietzschiana morte di

Dio.

Questo passo nietzschiano ricorda il mito della caverna di

Platone, infatti anche in questo brano ritroviamo una ricca

simbologia filosofica. Il brano si apre con l’annuncio

dell’uomo folle, un annuncio drammatico , in quanto egli

proclama la morte di Dio. L’uomo folle, che simboleggia il

filosofo profeta, comprende la gravità dell’annuncio, in

quanto sa che la morte di Dio ha come conseguenza il crollo

di tutti quei valori di cui l’uomo si è impadronito per

riuscire ad affrontare la dolorosa esistenza. Le grida della

gente del mercato, rappresentano l’ateismo ottimistico e

superficiale degli intellettuali dell’ottocento, che sono,

invece, insensibili alla portata e agli effetti della morte

di Dio. Zarathustra, a cui Nietzsche diede il compito di

rivelare la notizia, accusa gli uomini di aver ucciso Dio,

inoltre egli considera l’uccisione di Dio un’azione ardua e

sovrumana.

La morte di Dio viene considerata tale perché si ha come

conseguenza lo smarrimento dell’uomo che non può più contare

su delle certezze.

L’uccisione di Dio è però necessaria in quanto permette

all’uomo di divenire superuomo. Anche se in effetti

Zarathustra comprende di essere arrivato troppo presto, visto

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

130

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

che non è ancora avvenuta la nascita del superuomo. Infatti

Nietzsche dice che solo colui che avrà il coraggio di

guardare in faccia la realtà e che avrà la forza per

affrontare la caducità dolorosa del mondo può divenire

superuomo. Quindi, la morte di Dio costituisce un trauma ma

solo in relazione al fatto che l’uomo non si sia ancora posto

come superuomo, ed è proprio in virtù della morte di Dio che

l’uomo può diventarlo. Il brano si concluderà con la visita

del profeta alle chiese, che costituiscono i sepolcri di Dio,

alludendo, quindi, alla crisi delle religioni, considerate

“cadaverici residui” del passato.

Conseguenza della morte di Dio è il nichilismo.

Il nichilismo si configura in Nietzsche in un atteggiamento

di fuga e di disgusto nei confronti del mondo che egli vede

incarnato nel cristianesimo e nel platonismo; ma vede anche

nel nichilismo la condizione dell’uomo moderno che, essendosi

accorto che la vita non ha più un senso o uno scopo, finisce

per avvertire un senso di vuoto e nulla. La nascita del

nichilismo è collegata, secondo Nietzsche, al fatto che

l’uomo dopo aver scoperto che gli oltre-mondi non esistono,

che l’essere non è né uno né vero né buono e che quindi, i

fini assoluti sono solo delle menzogne, è piombato

nell’angoscia nichilistica. Nietzsche afferma che il

nichilismo rappresenta la condizione dell’uomo cristiano, in

quanto il cristiano aveva creduto nell’aldilà, nel Dio-

provvidenza e avendo, poi , smesso di credere, soffre e sente

un senso di vuoto.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

131

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Nietzsche individua anche un equivoco del nichilismo.

Questo consiste nel dire che il mondo, non avendo più quelle

verità assolute, non abbia più un senso.

I fini e le verità non esistono come dati assoluti, ma come

prodotti della volontà di potenza, che ergendosi al di sopra

del caos dell’essere, impone all’essere stesso i suoi fini.

Il nichilismo si configura, quindi, come un “no” alla vita,

che presenta un grande “si” alla vita stessa.

Nietzsche distingue un nichilismo attivo e uno passivo. Il

nichilismo attivo è visto come una forza violenta in grado di

distruggere le vecchie fedi, esso si può presentare come una

forza non sufficiente per porsi in maniera creativa un fine,

uno scopo; ma può servire anche come superamento del

nichilismo stesso e per l’affermazione della volontà di

potenza.

Il nichilismo passivo è, invece, un segno di debolezza e di

disgregazione dello spirito.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

132

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

2. HERMANN BROCH

2.1. La Vita

Scrittore austriaco. Nato a Vienna nel 1886 e morto, figlio

di un industriale tessile, diresse per un certo tempo

l’industria paterna, finché a quarant’anni non risolse di

darsi allo studio (della matematica, della filosofia, della

psicologia) e alla letteratura. Nel 1931-32 fu pubblicata a

Zurigo la sua prima opera, la trilogia narrativa “I

Sonnambuli” (Die Schlafwandler), mentre nel 1934 apparve “La

grandezza sconosciuta” (Die unbekonnte Grosse). In seguito

Broch si ritirò nel Tirolo, dove lavorò tra l’altro al

romanzo “Il tentatore” (Der Versucher), pubblicato postumo

nel 1953. Nel 1938, dopo l’Anschluss e dopo aver patito la

prigionia nelle carceri naziste, emigrò negli Stati Uniti,

dove ottenne la cittadinanza americana. Là gli furono

assegnate una Rockefeller Fellowship per le ricerche

filosofiche presso l’università di Princeton (1942-44) e la

cattedra di tedesco presso l’università di Yala (incarico che

tenne sino alla morte). Nel 1945 diede alla stampa il romanzo

“La morte di Virgilio” (Der Tod des Vergil) e nel 1950 un

nuovo romanzo, “Gli innocenti” (Die Schuldlosen). Gli altri

scritti di Broch sono costituiti dal dramma “La

purificazione” (Die Entsuhung), da racconti, da saggi critici

(su Joyce, su Hofmannsthal, sull’eredità mitica della poesia

ecc.), da poesie e da un’indagine, rimasta frammentaria,

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

133

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

sulla “Psicologia delle masse” (Massenpsycologie, postumo

1959). Hermann Broch morì nel 1951 a New Haven.

Nella tragedia “Die Schlafwandler” rivive la drammatica

metamorfosi della società tedesca tra la fine dell’Ottocento

e la prima Guerra Mondiale. La stessa trasformazione di

valori si ritrova in “Posenow oder die Romantik” (1888),

“Huguenau oder die Sachlichkeit (1918) e “Die Schuldlosen”,

scritto tra i due conflitti, polemico atto d’accusa contro le

egoistiche classi abbienti che dimenticano i bisogni del

proletariato. Ma il capolavoro di Broch è considerato il

romanzo “Der Tod des Virgel” che pone l’aspirazione

dell’anima a valori ideali contrapposti al caduco mondo

terreno.

2.2. Temi dell’opera di Broch

Motivi centrali dell’opera di Broch sono la fine di una

civiltà e di una cultura, lo sfaldarsi di una vita spirituale

che ha smarrito obiettivi e valori. Interprete acuto

dell’intima frattura e instabilità della società tedesca del

Novecento e indagatore della crisi sociale e morale

dell’epoca borghese, Broch ha intrecciato a questi temi anche

una componente più risolutamente metafisica, esprimendo la

solitudine angosciata di fronte alla morte, l’ansia

d’infinito, la ricerca del divino.

Ebreo convertitosi al cattolicesimo, ma soprattutto

intellettuale consapevole dell’irrecuperabilità di certi beni

perduti, Broch vuole in fondo trovare alcuni elementi

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

134

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

sostitutivi della fede, cercando in una sorta di nuova

mitologia il medicamento necessario ad un’età malata e

prigioniera dell’oggettività. La narrativa sperimentale di

Broch si fonda su una strumentazione espressiva assai ricca

in cui si alternano moduli di prosa naturalistica e brani

poetici d’alto lirismo, il dialogo drammatico e il saggio

psicologico-filosofico. Il superamento del romanzo avviene,

infatti, secondo molteplici direttrici; spesso Broch sembra

studiare non tanto la realtà quanto le virtualità che sono

implicite in quel genere letterario e che segnano, al limite,

la sua disgregazione. Densa di significati e di riferimenti

culturali, d’allusioni e di reminiscenze, di simmetrie

interne e d’amplificazioni (esemplari in questo senso

l’immenso monologo interiore che costituisce “la morte di

Virgilio”), la narrativa di Broch è uno dei risultati più

affascinanti e grandiosi della letteratura del nostro secolo.

2.3. Il brano di Broch: la disgregazione dei valori

Questa la grande creazione dello spirito occidentale,

fondata su una assolutizzazione del particolare che sembra

destinata a toccare l’assurdo in un processo di continuo

autosuperamento. A la guerre comme à la guerre, art pour l'art, business is

business, il fine politico giustifica i mezzi; queste formule significano

tutte la stessa cosa e rivelano tutte lo stesso aggressivo

radicalismo; sono espressioni di quella sinistra, direi quasi

metafisica mancanza di riguardi, di quella crudele, rigorosa,

incurante logicità che guarda dritto davanti a sé, al fatto

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

135

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

concreto e a nient'altro e che costituisce lo stile di

pensiero della nostra epoca!

Non ci si può sottrarre a questa logica brutale e

aggressiva che erompe da tutti i valori e i disvalori del

nostro tempo, neppure rintanandosi nella solitudine di un

castello o nell'isolamento di una casa ebrea. Chi teme la

verità, chi non vuole conoscere e riconoscere la realtà (e

quindi il romantico, l'uomo che tiene all'armonia e che cerca

nostalgicamente nel passato una armonica immagine del mondo)

si volge - e a ragione - al Medioevo. Il Medioevo ha infatti

posseduto un ideale centro di valore, indispensabile per dare

al mondo una struttura unitaria; il Medioevo ha posseduto un

valore superiore a cui si assoggettavano e si subordinavano

tutti gli altri valori: la fede nel Dio cristiano.

Da questo valore centrale dipendevano tanto la cosmogonia

(che poteva addirittura venirne scolasticamente dedotta)

quanto l'uomo stesso. L'uomo e ogni sua attività costituivano

una frazione di quell'ordinamento del mondo che era soltanto

un riflesso speculare della gerarchia ecclesiastica, a sua

volta riflesso, in sé compiuto e finito, di un’armonia eterna

e infinita.

[...]

Era un universo costituito sulla fede, un universo

finalistico, non causale, un mondo che si fondava

esclusivamente sull'essere e non sul divenire. La sua

struttura sociale, la sua arte, i suoi vincoli sociali,

insomma tutta la sua organizzazione dei valori, erano

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

136

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

sottoposti al valore onnicomprensivo della fede. La fede era

il punto di plausibilità su cui finiva ogni catena di

problemi e la fede, impregnando di sé la logica, conferiva a

quest'ultima quella specifica coloritura, quel potere di

creazione stilistica che si espresse non soltanto come stile

del pensiero ma anche (almeno fino a quando la fede

sopravvisse) come stile dell'epoca.

Ma il pensiero ha osato compiere il passo dalla concezione

monoteista all'astrazione, e dio, il dio personale e visibile

della trinità, è divenuto qualcosa di cui non si può più

pronunciare il nome. Qualcosa di irrappresentabile. Esso è al

tempo stesso asceso e sprofondato nell’infinita neutralità

dell'assoluto, svanito in un terribile essere che non è più

in quiete e resta inattingibile.

Il turbine del rovesciamento violento, provocato dal

processo di radicalizzazione, anzi si potrebbe dire dallo

scatenamento del logico, questo ribaltamento del punto di

plausibilità su un nuovo piano infinito, questa cacciata

della fede dal mondo, sottraggono all'essere il suo carattere

di statica immutabilità. […]

Dissolto l’essere in pura funzionalità, dissolta persino

l'immagine fisica del mondo, e ad un tale livello di

astrazione che basteranno due generazioni per dissolvere

anche il concetto di spazio, la strada verso l'astrazione

pura è ormai imboccata. Di fronte a questo orizzonte

infinitamente lontano, di fronte a questo punto

irraggiungibile, noumenico, verso cui tende e dovrà d'ora in

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

137

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

poi tendere ogni catena di plausibilità e di problemi,

diviene di colpo impossibile collegare i singoli campi di

valore ad un valore centrale. L’astratto penetra

inesorabilmente nella logica di ogni attività creatrice di

valori; scarnificando i contenuti esso non soltanto impedisce

ogni deviazione della forma funzionale (si tratti della

funzionalità architettonica o di qualsiasi altra

funzionalità) ma radicalizza anche le singole sfere di

valore. Fondate ormai soltanto su se stesse e proiettate

nell'assoluto, queste si separano l’una dall’altra, si

dispongono su piani paralleli e non essendo in grado di

formare un comune corpus di valori divengono paritetiche. Così

la sfera dei valori economici si fonda ora sulla «attività

commerciale in sé», si giustappone, estranea e ostile, a

quella artistica dell'art pour l'art; la sfera dei valori militari a

quella dei valori tecnici o dei valori sportivi. Ognuna di

queste sfere è autonoma, ognuna è «in sé», ognuna è

«scatenata» nella sua autonomia, ognuna si sforza di tirare

con estrema radicalità le conseguenze ultime della sua logica

interna e di battere tutti i propri records. E guai se in

questa lotta tra le diverse sfere dei valori l'equilibrio si

rompe ed una di esse riesce ad emergere e ad avere il

sopravvento su tutte le altre (come proprio adesso, con la

guerra, è riuscita a fare la sfera dei valori militari, o

come ha fatto la concezione economica del mondo cui anche la

guerra soggiace); guai, perché essa finisce per abbracciare

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

138

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

il mondo e tutti gli altri valori e per divorarli come uno

sciame di cavallette che si posi su un campo.

L’uomo invece, un tempo immagine di Dio, specchio del valore-

mondo di cui era depositario, non è più nulla di tutto ciò.

Può bensì conservare una oscura reminiscenza della sicura

posizione di un tempo e chiedersi quale logica superiore gli

abbia sconvolto la mente; in ogni caso è ormai stato gettato

nell'abisso terribile dell’infinito e a nulla serve il suo

raccapriccio, a nulla valgono il suo romanticismo e la sua

sentimentalità che lo spingono talvolta a rifugiarsi

nostalgicamente sotto la protezione della fede. Stordito e in

balia del meccanismo dei valori ormai divenuti autonomi non

gli rimase che assoggettarsi a quel valore singolo che è oggi

la sua professione; non gli rimane che farsi funzione di

questo suo valore. L’uomo diventa così il professionista,

divorato dalla logica radicale ed esclusivista del valore su

cui è caduto prigioniero. Broch, Disgregazione dei valori [1932]

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

139

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

2.4. Commento a Broch: la dissoluzione dei valori

Broch individua lo stile di pensiero della nostra epoca. La

logica che costituisce tale stile è fine a se stessa. Questa

logica si basa sull’assolutizzazione e sull’astrazione.

Assolutizzare significa isolare un aspetto o una dimensione

della società dandole un valore assoluto. Col termine

astrazione si suole indicare un aspetto o una parte di un

tutto, considerato isolatamente dal contesto che da ad esso

un senso. Broch afferma che l’uomo romantico si volge al

medioevo, per sfuggire alla realtà e mantenere l’equilibrio e

l’armonia. Broch individua nel Medioevo un modello positivo

rispetto alla nostra epoca. Il Medioevo è una società dove i

valori sono incentrati su un modello assoluto: Dio. Tale

società rappresenta ciò che abbiamo perduto, e ci aiuta a

comprendere la crisi in cui è vissuto Broch. Infatti

l’umanità ha limitato la concezione di divinità, passando da

un dio personale ad una astrazione dell’assoluto resa in

termini scientifici e matematici.

Questa astrazione di dio ha prodotto una serie di

conseguenze, come sottrarre dall’essere il carattere di

statica immutabilità; quindi tutto cambia, non esistono punti

di riferimento.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

140

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Nel frattempo viene alla luce la teoria della relatività,

che annulla l’immagine del mondo che si delineava

precedentemente, e la sostituisce con una che suggerisce

molteplici punti di vista atti a comprenderlo. Senza troppi

sforzi si cancellerà il concetto di spazio e di tempo sul

quale si basava l’esistenza.

Viene perduta l’unità della conoscenza e del valore, diviene

impossibile ricondurre i singoli campi di valore ad un valore

assoluto e unico. Le singole sfere di valori divengono

autonome e reciprocamente inconfrontabili, ciascuna centrata

unicamente su se stessa. In tal modo viene perduta l’unità ed

armonia del mondo del valore e della conoscenza e si cade nel

relativismo. Tali mondi di valore si confrontano e scontrano,

ciascuno tendendo a sopprimere e l’altro.

L’uomo, una volta immagine di dio, conserva solo un vago

ricordo di ciò che era in passato e può solamente chiedersi

quale sia stata la forza che l’ha portato a questo

cambiamento. L’uomo si trova ora nell’abisso dell’infinito e

ignora ciò che in passato lo portava a rifugiarsi nella fede.

Egli si sente in balia del meccanismo dei valori autonomi e

si assoggetta all’unico valore a lui concesso: la sua

professione.

L’uomo è diventato quindi il professionista, immerso nella logica

radicale ed esclusivista di questo valore che lo rende

prigioniero.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

141

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

3. JOHAN HUIZINGA

3.1. La Vita

Johan Huizinga è nato a Groninga il 7 dicembre del 1872 da

un’agiata famiglia. Nella città natale compì i suoi studi e

dopo un breve periodo di perfezionamento in Germania, si

dedicò all’insegnamento universitario, finché non fu chiamato

nel 1905 alla cattedra di storia universale nella stessa

Groninga. Nel 1915 passò all’università di Leida, dove

trascorse gran parte della sua vita di studioso. In un saggio

autobiografico del 1943, “Mein Weg zur Geschichte”, egli ci

ha narrato il suo itinerario intellettuale che, dai giovanili

interessi prevalentemente filosofico-letterari per le civiltà

orientali, lo condusse agli studi storici rivolti soprattutto

all’occidente medioevale. Il suo nome è infatti legato

principalmente al lavoro pubblicato a Leida nel 1919,

“l’autunno del Medioevo”, dove con potente suggestività

tratteggia un vivace affresco della società borgognona tra il

XIV e il XV secolo, introducendo con originalità e finezza in

un classico studio di Kultrurgeschichte, problemi di storia e

sensibilità. Già ispiratrice di questo lavoro, la sua

concezione della civiltà come “gioco”, “stile”,

“convenzione”, che s’innalza al di sopra della vita

“ordinaria”, in un mondo fittizio eppure vivo dalle regole e

dai limiti peculiari e inviolabili, è stata esposta

felicemente dallo storico olandese nel saggio “Homo ludens”.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

142

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

La sua formazione intellettuale e le sue tendenze

conservatrici non gli impedirono di avvertire subito, fino

dal 1933, il pericolo che il nazismo rappresentava per

l’Europa e per la civiltà, e gli scritti dei suoi ultimi anni

sono spesso ispirati da questa preoccupazione che gli dettava

angosciosi interrogativi esposti nell’opera “Crisi della

civiltà”. Nell’Europa ormai in gran parte ottenebrata dal

fascismo, questo libro poté costituire un grido d’allarme

lanciato da uno studioso di fama internazionale per ricordare

il lavoro irrinunciabile della libertà e della dignità umana.

All’indomani dell’invasione tedesca della sua terra, Huizinga

celebrava fieramente l’anniversario dell’indipendenza

olandese e della lotta di Guglielmo D’Orange; veniva pertanto

imprigionato dai nazisti e solo nel 1943 confinato come

ostaggio a De Steeg presso Arnhem. Qui morirà il primo

febbraio 1943.

3.2. Il pensiero

Huizinga intende la cultura essenzialmente come libera e

indipendente: critica chi crede nelle trasformazioni sociali

in senso comunistico, critica gli avversari di queste;

critica chi crede nella restaurazione dei troni e degli

altari; se la prende con il diritto naturale, materialistico,

e se la prende con l’atteggiamento reazionario di certi

circoli cattolici. Nulla lo soddisfa. Tutta la vita moderna,

per Huizinga, imbarbarisce: barbarie la pubblicità, barbarie

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

143

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

la propaganda, barbarie la prevalenza dell’irrazionalismo

politico e dell’estremismo violento.

Lo sfondo storico immediato del libro di Huizinga, era

dunque costituito dall’eredità e dalla sopravvivenza della

grande cultura di lingua tedesca, che va dal1870 al 1930

(all’incirca), ma già negli anni del dopoguerra, la crisi di

quest’ideale cominciava a mostrare i suoi segni.

Nella Crisi della civiltà, Huizinga scrive contro le degenerazioni

di una cultura e di una concezione della storia e della vita

sociale che era pur sempre la sua, quella che era stata alla

base della sua formazione generale; quindi riesce a esprimere

i sentimenti di un’epoca. In questo caso di un’epoca che si

sente perire, che avverte i sintomi della perdita delle

certezze, del tentennamento di valori acquisiti attraverso i

secoli.

Per il liberale e razionalista Huizinga, la crisi non

risiede nel predominio dei valori utilitari su quelli vitali,

né nel soffocamento da parte dell’intelletto di altre facoltà

umane, bensì nello squilibrio tra i valori spirituali e le

acquisizioni materiali frutto del progresso scientifico e

tecnologico, nell’amoralità dello Stato, nello scatenarsi di

particolarismi nazionali e sociali, nel prevalere di valori

irrazionali nella cultura, cioè nel prevalere di elementi e

valori vitalistici e irrazionalistici che egli giudica

pericolosi.

Si tratta di un’opera che si muove chiaramente in direzione

antifascista e soprattutto antirazzista. Nel finale del suo

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

144

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

libro, Huizinga sembra voler suggerire un’evocazione del

sospiro di sollievo dell’umanità europea occidentale, la

mattina del primo gennaio dell’anno di grazia 1001.

Con i suoi scritti Huizinga partecipò consapevolmente alla

lotta contro il nazional- socialismo razzista e per questo fu

rinchiuso in un campo di concentramento: ma neppure là

tacque. Nel campo di concentramento, tuttavia, Huizinga non

parlò più della civiltà e della crisi della civiltà, ma della

storia della sua patria e del suo paese, degli olandesi nel

momento in cui si costituirono come nazione contro forze

apparentemente immani, e della gran fioritura delle arti e

delle scienze, in quella che sembrò un’esplosione di

ricchezza, di forza e di grandezza.

Nell’opera da cui è tratto il brano che abbiamo esaminato,

Huizinga prende in considerazione la civiltà europea e tende

a concentrare questa civiltà nella cultura dell’Europa

tedesca, austriaca, svizzera, olandese e in parte anglo-

francese del suo tempo. Huizinga confronta la decadenza del

suo tempo con quelle di altri periodi. Egli cerca di

individuare le condizioni fondamentali perché si possa

parlare di civiltà o cultura, di equilibrio tra valori

spirituali e valori materiali; di equilibrio in genere fra

religione, cultura, politica (come forza), senso di carità,

ideale educativo di una comunità, finalismo etico (in vista

della salvezza della comunità, ci si deve sacrificare),

dominio sulla natura, senso del dovere o addirittura timore

di Dio, ideale del “servire”, “ascesi”, universalismo o

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

145

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

cosmopolitismo. Fra tutti questi elementi, Huizinga non

inserisce quello della “fede nel progresso”, anzi, polemizza

esplicitamente contro l’idea di progresso, considerandola

problematica. Scrive, infatti, Huizinga: “non è affatto

paradossale affermare che una civiltà, con un “progresso”

realissimo e innegabile, potrebbe arrivare alla sua rovina”.

I caratteri della crisi moderna sono per lui i seguenti:

anzitutto, il raziocinio (o capacità di ragionamento generale

da parte del singolo) si è indebolito in conseguenza

dell’estremo sviluppo della scienza (fisica e naturale) che è

arrivata ai limiti della capacità pensante (individuale o di

piccoli gruppi); così tramonta lo spirito critico, e la

scienza viene profanata o prostituita per infamie come il

controllo sulle nascite, gli armamenti moderni e le tecniche

moderne di distruzione (mezzi chimici, guerra

batteriologica). Tutto ciò ha effetti peggiori in quanto, fra

Marx, Freud, i razzisti e le filosofie vitalistiche ed

esistenzialistiche si perde, insomma, il timor di Dio e la

reverenza per il ben dell’intelletto e per le norme morali,

tanto nella vita pubblica quanto nella vita privata. Al posto

dell’autocontrollo e della saggia temperanza e del lavoro

quotidiano, subentrano il culto dell’eroismo bruto, il

ritorno alle superstizioni sotto forme nude e antiche, le

manifestazioni estetiche che si allontanano dalla ragione e

dalla natura; viene meno quella qualità misteriosa che si

chiama stile, predomina l’irrazionalità. E il peggio, cioè il

trionfo e lo scatenamento di queste forze del male, non è

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

146

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

ancora venuto: sta per arrivare e la sua ombra fa

rabbrividire.

3.3. Il brano di Huizinga: nelle ombre del domani

Noi viviamo in un mondo ossessionato. E lo sappiamo.

Nessuno si stupirebbe se, un bel giorno, questa nostra

demenza sfociasse in una crisi di pazzia furiosa, che,

calmatasi, lascerebbe l'Europa ottusa e smarrita; i motori

continuerebbero a ronzare e le bandiere a sventolare, ma lo

spirito sarebbe spento.

Dappertutto il dubbio intorno alla durevolezza del sistema

sociale sotto cui viviamo; un'ansia indefinita dell'immediato

domani; il senso del decadimento e del tramonto della

civiltà.

Queste non sono soltanto angosce che ci colgono durante le

insonnie notturne, quando è bassa la fiamma vitale. Sono,

anzi, meditate prospettive, fondate sulla constatazione dei

fatti e sul giudizio. La realtà c'incalza.

Vediamo distintamente come quasi tutte le cose. che altra

volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a

vacillare: verità e umanità, ragione e diritto. Vediamo forme

di governo che non funzionano più, sistemi di produzione che

agonizzano. Vediamo delle forze sociali che assumono uno

sviluppo ipertrofico. La rimbombante macchina di questo

nostro tempo formidabile sembra in procinto d'incepparsi.

Insieme, si affaccia la tesi opposta: non vi fu mai un'epoca

in cui l'uomo sia stato così autorevolmente cosciente del suo

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

147

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

compito di collaborare al mantenimento e al perfezionamento

del benessere terreno e della cultura. Non mai, prima, il

lavoro fu così in onore. Non mai l'uomo fu così disposto a

operare, a osare, e a sacrificare di continuo il proprio

coraggio, la propria esistenza ad un bene comune. Egli non ha

perduto la speranza.

Se si vuole che questa civiltà si salvi, che non decada a

secoli di barbarie, ma anzi, salvando i supremi valori che

sono il suo retaggio, trovi la via per giungere a nuova

saldezza, è necessario che gli uomini d'oggi si rendano

esatto conto di quanto sia già progredita la dissoluzione che

li minaccia.

Solo da poco tempo la sensazione della minaccia di un

tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà è

diventata generale. Per la maggior parte degli individui, fu

la crisi economica che li colpì nel loro corpo (giacché la

maggior parte degli individui è più sensibile nel corpo che

nello spirito!) a preparare il terreno a quest'ordine di

idee.

Va da sé che la gente abituata a riflettere con spirito

critico e sistematico intorno alla società e alla civiltà, i

filosofi e i sociologi, già da parecchio tempo si erano

accorti che nella vantata civiltà moderna c'era qualcosa che

«non andava». Per loro già da prima è chiaro che la

dislocazione economica non è che uno dei sintomi di un

processo culturale di ben più ampio respiro.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

148

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Il primo decennio del Novecento fu appena sfiorato da

qualche breve indistinta ansia per l'avvenire della civiltà.

Anche allora c'erano, come ci sono in ogni epoca, attriti e

minacce, scosse e timori. Ma, tranne forse il pericolo di una

rivoluzione sociale che il marxismo faceva balenare di tanto

in tanto, questi non assumevano la forma di malattie che

minacciassero la compagine sociale [...]. Il tono

fondamentale, nello stato d'animo delle persone colte, era

quello di una ferma fiducia che il mondo, dominato dalla

razza bianca, fosse avviato sulla giusta e larga via

dell'armonia e del benessere, animato da sensi di libertà e

umanità, assicurato da un sapere e da una capacità che

sembravano ormai avere raggiunto il loro punto culminante.

Armonia e benessere, sì, se la politica avesse conservato il

senno. Ma non fu così.

Neanche gli anni della guerra mondiale portarono a un

cambiamento repentino. In quel tempo, infatti, la tensione di

tutti quanti si risolveva in quest'immediata preoccupazione:

portare a termine il compito con tutta la propria forza, e

poi, quando la guerra fosse finita, ricominciare tutto da

capo, meglio di prima, anzi, finalmente bene! Anche i primi

anni del dopoguerra per molti trascorsero nell'attesa

ottimistica di un benefico internazionalismo. Quindi

l'apparente fioritura dell'industria e del commercio, che

doveva venire stroncata nel 1929, tenne indietro ancora per

qualche anno l'universale pessimismo delle persone colte.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

149

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Oggi la coscienza di vivere in mezzo a una crisi di civiltà

violenta, e che minaccia rovina, è penetrata in tutti gli

strati sociali. Il Tramonto dell'Occidente dello Spengler è stato in

tutto il mondo un segnale d'allarme. Questo non significa che

tutti i lettori del famoso libro si siano convertiti alle sue

vedute. Esso però li ha familiarizzati col pensiero della

possibilità di un tramonto dell'odierna civiltà, mentre prima

erano ancora involti in un'indiscussa fede nel progresso.

Un ottimismo immutabile rispetto alle sorti della civiltà

attualmente non si riscontra più se non in quelli che, per

mancanza di cognizioni, non possono capire che cosa le

manchi, e quindi sono intaccati essi stessi dal suo processo

regressivo, oppure in quelli che nella propria dottrina

sociale o politica stimano di possedere già la civiltà

futura, e di poterla fin da ora diffondere in mezzo alla

povera umanità.

Fra un pessimismo convinto e la certezza di una prossima

panacea stanno tutti quelli che scorgono i gravi mali e gli

acciacchi del tempo nostro, non sanno come vi si possa

rimediare od ovviare, ma intanto lavorano e sperano, cercano

di capire e sono disposti a sopportare.

Assai istruttivo sarebbe intanto di poter vedere espressa

in una curva la rapidità con cui la parola «progresso» è

sparita dall'uso, in tutto il mondo. [ ... ]

Apparterrà l'avvenire a una progressiva meccanizzazione

della convivenza, sulle lucide rigide norme dell'esclusiva

utilità e del potere?

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

150

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Così lo vide Oswald Spengler, allorché pose come stadio

finale di una civiltà sorpassata il periodo della

«civilizzazione», in cui tutti i precedenti valori organici e

vitali sono stati soppiantati dall'esatto governo dei mezzi

di dominio e dall'esatto calcolo degli effetti voluti. Che

l'impiego di questi mezzi porti la società alla rovina,

lascia freddo l'autore. Egli è pessimista per sistema; e il

tramonto è per lui l'ineluttabile destino di ogni civiltà.

Se si osserva più da vicino lo schema della cupa visione

spengleriana, essa non manca di inconsistenze, che sembrano

distruggerne la validità anche dal suo stesso punto di vista.

In primo luogo, le norme della valutazione spengleriana delle

azioni umane si rivelano strettamente imparentate con una

certa sensibilità romantica. I suoi concetti di «grandezza»,

«volontà del più forte», «sani istinti», «santa gioia

bellicosa», «eroismo nordico», «cesarismo del mondo

faustiano» hanno le loro radici in un terreno d'ingenuo

romanticismo. Inoltre mi pare evidente che la strada battuta

dalla civiltà occidentale nei diciassett'anni da che è uscita

la Fine dell'Occidente non mostra per nulla il progresso del tipo

«civilizzazione» da lui abbozzato. La società, è vero, si è

svolta in quel senso, cioè secondo un calcolo tecnico sempre

più acuto e freddo degli effetti desiderati; ma intanto il

tipo umano è diventato sempre più incontrollato e puerile,

più pronto a reagire violentemente ai sentimenti.

Non sono le aquile d'acciaio concepite dallo Spengler che

ci reggono! Forse ci si potrebbe esprimere così: il mondo

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

151

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

attuale presenta l'aspetto della «civilizzazione»

spengleriana, più una buona misura di demenza, ciarlataneria

e crudeltà, mescolate a una sentimentalità ch'egli non

previde. Poiché anche quella nobile «belva» che secondo lui è

l'uomo, avrebbe dovuto restare immune da tutte queste

debolezze. […]

Tutto ben considerato, questa «civilizzazione» di Spengler,

così come appare, legata a elementi di ferocia e di

inumanità, si ha parecchie buone ragioni per chiamarla

piuttosto barbarie. Dobbiamo intanto condividere il disperato

fatalismo di Spengler? Non resta proprio nessuna via di

scampo?

Ci fornisce il passato qualche ragione di conforto? Se

osserviamo i due millenni che ci precedono, e vi distinguiamo

quelle unità storiche cui si dà il nome di civiltà, subito

vediamo che i periodi del massimo fiorire sono sempre stati

brevi.

Il tipico processo di crescenza, piena fioritura,

decadimento - che quando finisce in un luogo ricomincia poi

altrove - si conchiude sempre in pochi secoli; e il pieno

rigoglio, per quel che ci è dato osservare, dura di regola

intorno ai duecento anni. Per la civiltà ellenica è il iv e v

secolo avanti Cristo; per quella romana il secolo che precede

l'era cristiana e il primo di essa (qui, veramente, il limite

può essere un po’ esteso); per la civiltà del Rinascimento,

che comprende anche l'età barocca, abbiamo il Cinquecento e

il Seicento. Per quanto vaghe e anche arbitrarie possano

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

152

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

parere queste limitazioni, una cosa resta certa. che i

periodi specifici di piena fioritura non sono mai lunghi.

Dobbiamo calcolare il Settecento e l'Ottocento come l'era

della civiltà moderna? In tal caso saremmo ormai alla fine di

questa civiltà a noi ben nota. O forse all’inizio di una

nuova e ignota. Forse di una civiltà il cui pieno sviluppo è

ancora molto lontano. Giacché per le civiltà non vale la

formula: «il re è morto; viva il re».

La sensazione di avvicinarsi a un termine ci è ormai

abbastanza familiare. Già l'abbiamo detto: uno sviluppo

perpetuo di questa civiltà non solo non possiamo

immaginarcelo, ma a stento possiamo pensare che ci

arrecherebbe fortuna o miglioramento.

(J. Huizinga, La crisi della civiltà [1935], pp. 3-6, 142-44)

3.4. Il commento: la perdita del futuro

Con la crisi della civiltà (1936) Huizinga ha avvertito la

crisi che minaccia la civiltà a lui contemporanea e l’ha

identificata nell’irrazionalismo della vita moderna. Le

istanze principali dalle quali si può dedurre la posizione

dell’autore e i temi su cui si esercita la sua polemica, sono

i seguenti: quali sono le basi socio-culturali che hanno reso

possibile la dissoluzione progressiva della civiltà? Com’è

stato possibile ignorare il fatto che il progresso

tecnologico e scientifico stesse minacciando le basi della

convivenza civile? Quali saranno le conseguenze future della

meccanizzazione dei rapporti sociali? Può il passato fornire

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

153

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

esempi consistenti e modelli storici di conforto che

permettano di superare la crisi della civilizzazione

(barbarie) moderna, evitando un decadimento perpetuo? La

civiltà moderna si avvicina al termine dei suoi giorni o

forse si è vicini ad una svolta epocale, la fondazione di una

nuova civiltà il cui sviluppo si attuerà su basi solide e

sempre migliori?

Nell’individuazione delle cause della crisi violenta che ha

coinvolto la civiltà, penetrando tutti gli strati sociali

durante il primo trentennio del Novecento, Huizinga propone

esplicitamente, interessanti critiche nei confronti

dell’irrazionalità moderna. Nell’esposizione dell’inevitabile

decadimento della civiltà, per opera del progressivo

evolversi delle scienze e delle tecnologie del suo tempo,

Huizinga polemizza contro il tipo antropologico umano,

promotore di una civilizzazione identificabile, essendo

fortemente impregnata di sentimenti, crudeltà, ferocia e

inumanità, ad una vera e propria barbarie. L’indebolimento

dello spirito critico generale e del raziocinio, reso

trascurabile, proprio per l’inutilità del ragionamento del

singolo, dallo sviluppo delle scienze, costituisce la base

che determina il trionfo di un ingenuo ottimismo e la crisi

sociale moderna. La minaccia del tramonto della civiltà

moderna, satura di valori irrazionali è ormai avvertita a

livello generale.

Le conseguenze future sulla convivenza civile di questo

stato di cose, saranno la perdita della fiducia nel progresso

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

154

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

e la scomparsa dell’ottimismo, il destino dell’individuo sarà

quello di subire la meccanizzazione della sua stessa

esistenza, ridotta a freddo calcolo degli effetti e,

tuttavia, questa stessa esistenza appare a Huizinga

suscettibile di repentine e incontrollate esplosioni di

violenza.

Neanche il passato può fornire elementi di conforto e

modelli validi e duraturi nel tempo, poiché i periodi di

fioritura non sono stati mai lunghi e si sono conclusi con un

inevitabile decadimento.

Secondo questa logica, la civiltà moderna si avvia ormai

alla conclusione; tuttavia il processo di sviluppo di una

civiltà se si arresta in un luogo, ricomincia comunque

altrove, ma è impossibile che prosegua perpetuamente, col

tempo la civiltà andrà incontro ad un nuovo e irreversibile

tramonto.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

155

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

4. STEFAN ZWEIG

4.1. La Vita

Scrittore austriaco, nasce a Vienna nel 1881 e l’anno della

sua morte risale al 1942 nella lontana America del Sud a

Petropolis, Rio de Janeiro. Di origini ebree, si stabilisce a

Zurigo allo scoppio della prima guerra mondiale, poiché

maggiore era la libertà d’espressione che in Austria; e

proprio nella sua prima opera di rilievo, Jeremias (1917), un

dramma corale e fortemente antibellicista e su cui pesa

l’influenza dell’amicizia stretta in Svizzera con R. Rolland,

che Zweig espresse la sua posizione pacifista, denunciando

con veemenza la follia della guerra. Al termine del

conflitto, lo scrittore si trasferì a Salisburgo e si dedicò

soprattutto alla stesura di biografie o saggi (Drei Meister,

dedicato a Balzac, Dickens, Dostoevskij; Der Kampf mit dem

Damon, elogiando le personalità di Holderin, Nietzsche e

Kleist) Tutti si distinguono per l’acuta introspezione

psicologica e per lo stile accattivante che ne rende la

lettura piacevole, e lo resero celebre più dei romanzi e

delle seducenti opere narrative, tra le quali, pubblicate,

ricordiamo: Amok (1922) e Verwirrung der Gefuhle (1927). L’ascesa

poi del Nazismo e dell’Antisemitismo in Germania, costrinse

Zweig, per l’impronta chiaramente semita, a emigrare in

Inghilterra nel 1924 e successivamente negli Stati Uniti nel

1940, per stabilirsi poi definitivamente in Brasile nel 1941.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

156

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Ivi si uccise insieme con la moglie, più per stanchezza che

non per disperazione, non resistendo al dolore per la

distruzione della sua “patria spirituale Europa”.

Appartengono all’ultimo periodo letterario le notissime

biografie romanzate Erasmus von Rotterdam (1934) e Marie Antoinette

(1932), nonché l’opera di rievocazione storico-autobiografica

Die Welt von Gestern (1941).

Guardando complessivamente agli intendimenti stilistici

dell’autore, la sua intera indagine storico-psicologica

indugia compiaciuta nel passato, per scoprirvi quello che vi

fosse di più morbosamente moderno e attuale; e l’origine

viennese, il suo ebraismo, la raffinata educazione,

contribuirono molto a creare quell’atmosfera

d’intellettualità cosmopolita, spregiudicata e aperta ad ogni

influsso, in cui si muovono le tematiche profondamente

storico-sociali di quasi tutta la sua autentica produzione

letteraria.

4.2. Il Pensiero

Le opere di Zweig si prospettano come il più grande

successo letterario degli anni ’20, seppure la sua fama

riguarda soprattutto gli approfondimenti sociologici

ricercati nelle sue stesse intenzioni di scrittore, che

prediligono in primo luogo la divulgazione sistematica,

benché ancora lirico-intimistica, delle teorie

psicoanalitiche proposte da Freud. Lo stile è brillante e

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

157

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

sempre facile, e ciò gli valse il ruolo di autore prediletto

della vastissima massa di lettori semicolti desiderosi di

completare e specialmente di aggiornare la loro cultura.

L’aspetto comunque migliore dell’autore è il suo deciso

seppure non troppo ostentato europeismo e pacifismo; benché

nella storia della letteratura Zweig viene ricordato come lo

scrittore che vi introdusse la psicoanalisi. Non si può

comunque dire che Zweig valorizzi sul piano del linguaggio o

dello stile la tecnica interpretativa di Freud. Il lavoro

letterario di Zweig presenta infatti una pienezza e duttilità

della parola unite ad una tecnica espositiva molto

disciplinata che conferisce un tono in complesso assai

corretto della conversazione. Appellandosi comunque alle

analisi teoriche condotte da Freud e alle novità introdotte

riguardo alla sessualità, egli non si esime dall’affrontare

in alcuni suoi racconti, problemi erotici assai scabrosi,

problemi che non sfiorano l’anima di adolescenti ignari, ma

sconvolgono quella di adulti. Il primo dopoguerra rappresenta

una fase letteraria di transizione per l’autore in cui

compare ancora quel tono limpido, tenue e scorrevole che era

oramai anacronistico, tipico dell’anteguerra, che pure

piacque perché permetteva al lettore di passare, per così

dire, la spugna su tutte le esperienze posteriori al 1914; e

che venne sistematicamente sostituito da una produzione

narrativa storica, molto più legata ai problemi sociali e

alla crisi che aveva sconvolto il mondo in cui viveva e

operava e che si proponeva appunto una denuncia, a volte

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

158

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

velata a volte marcata e diretta, dell’instabile equilibrio

del mondo moderno. Il racconto è svolto cioè in una forma del

tutto diversa: Zweig sostiene che la storia assume nel suo

svolgimento forme diversissime ed imprevedibili, sicché essa,

nei momenti decisivi delude chi di quel momento si illude di

essere l’eroe. Con la delusione dell’eroe del racconto, il

lettore dunque si illude di aver capito il senso della

storia, mentre non capisce che Zweig nella storia, non è più

capace di trovare più alcun senso. Il lettore disattento

però, non si accorge del circolo vizioso e dell’intento

prettamente sociale dello scrittore; in compenso è

soddisfatto, perché crede di aver capito tutto bene e si

convince anche di essere capace di comprendere senza grande

sforzo cose molto difficili. La critica storica, che dunque

Zweig porta avanti nelle opere del dopoguerra troverà il suo

apice in “Die Welt von Gestern” (1942) in cui la narrazione è

tutta imperniata sull’inconciliabile differenza tra Ieri e

Oggi.

4.3. Il brano di Zweig: la fine dell'« età d'oro della

sicurezza »

Si fra il nostro oggi, il nostro ieri ed il nostro

altroieri tutti i ponti sono crollati. Io stesso debbo

stupire rievocando la quantità e la molteplicità di vita per

noi compressa nel breve spazio di un'unica esistenza, sia

pure incomoda e pericolosa; e tanto più mi stupisco se la

paragono al modo di vivere dei miei predecessori. Che cosa

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

159

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

hanno veduto mio padre, mio nonno? Ciascuno di essi ha

vissuto un'unica volta, un'unica esistenza dal principio alla

fine, senza vette e senza cadute, senza scosse né pericoli;

una vita di piccole emozioni, di inavvertiti passaggi;

l'ondata del tempo li ha portati con ritmo regolare, tacito e

calmo, dalla culla alla tomba. Han vissuto sempre nello

stesso paese, nella stessa città e quasi sempre persino nella

stessa casa; quel che accadeva fuori nel mondo non si

svolgeva in fondo che nel giornale e non batteva alla loro

porta. Ai tempi loro in qualche punto del mondo si combatté

bensì una guerra, ma, commisurata alle dimensioni odierne,

era una guerricciuola, si svolgeva lontano dai confini, non

si sentivano le cannonate e dopo sei mesi tutto era finito,

dimenticato, ridotto foglia secca della storia, mentre già

riprendeva la solita monotona vita. Noi invece tutto

sperimentammo senza ritorno, nulla restò del passato, nulla

si ripete; a noi toccò il privilegio di partecipare al

massimo a ciò che la storia suole suddividere con parsimonia

su un paese e su di un secolo. Una generazione aveva tutt'al

più fatta una rivoluzione, un'altra una sommossa, la terza

una guerra, la quarta aveva subìto una carestia, la quinta un

fallimento dello Stato, e vi erano persino dei paesi

benedetti, delle generazioni fortunate, che nulla di tutto

questo avevan conosciuto. Ma noi, che abbiamo oggi

sessant'anni e che de iure avremmo ancora un certo tempo da

vivere, che cosa non abbiamo veduto, non sofferto? Abbiamo

percorso da cima a fondo il catalogo di tutte le catastrofi

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

160

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

pensabili - e non siamo giunti ancora all'ultima pagina.

[...]

D'altra parte, quasi per paradosso, nello stesso periodo in

cui il nostro mondo regrediva moralmente di un millennio, ho

veduto la stessa umanità raggiungere mete inconcepite nel

campo tecnico ed intellettuale, superando in un attimo quanto

era stato fatto in milioni di anni. La conquista dell'aria

con l'aeroplano, la trasmissione della parola umana nello

stesso secondo per tutto l'universo, cioè il superamento

dello spazio, la disgregazione dell'atomo, la guarigione

delle più subdole infermità, la quasi quotidiana attuazione

insomma di quanto era ieri ancora inattuabile. Mai prima

d'oggi l'umanità nel suo insieme si è comportata più

satanicamente e non mai d'altra parte ha compiuto opere così

prossime a Dio. [...]

Per la nostra generazione non ci fu modo, come per le

precedenti, di esimersi, di trarsi in disparte; in grazia

della nuova ed organizzata contemporaneità, noi fummo sempre

legati al nostro tempo. […]

Di continuo bisognava subordinarsi alle esigenze dello

Stato, farsi preda della più stolta politica, adattarsi ai

mutamenti più inauditi; eravamo sempre incatenati alla sorte

comune; per quanto ci si difendesse, questa ci portava

irresistibilmente con sé. Chi dunque ha percorso, o meglio è

stato rincorso ed incalzato attraverso quest'epoca - ben

poche pause ci furon concesse! - ha vissuto più storia di

qualunque dei suoi avi. Anche oggi siamo di nuovo a una

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

161

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

svolta, ad una conclusione e ad un inizio. Non senza

intenzione dunque io lascio per ora che questo sguardo

retrospettivo alla mia vita si chiuda con una data precisa.

Quel settembre 1939 segna infatti il limite definitivo

dell'epoca che ha plasmato ed educato noi sessantenni. Se

però con la nostra testimonianza tramanderemo alla

generazione futura anche soltanto una scheggia di verità, non

avremo lavorato invano. Se tento di trovare una formula

comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra

mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il

più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della

sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria

tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante

supremo di tale continuità. […]

Ogni atto radicale ed ogni violenza apparivano ormai

impossibili nell'età della ragione.

Questo senso della sicurezza era il possesso più ambito,

l'ideale comune di milioni e milioni. [...]

In questa commovente fiducia, di poter chiudere anche

l'ultima falla all'irrompere della sorte, c'era, malgrado

l'apparente austerità e modestia nel concepire la vita, una

presunzione pericolosa. L'Ottocento, col suo idealismo

liberale, era convinto di trovarsi sulla via diritta ed

infallibile verso «il migliore dei mondi possibili». Guardava

con dispregio le epoche anteriori con le loro guerre,

carestie, rivoluzioni, come fossero state tempi in cui

l'umanità era ancora minorenne e insufficientemente

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

162

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

illuminata. Ora invece non era più che un problema di

decenni, poi le ultime violenze del male sarebbero state del

tutto superate. Tale fede in un «progresso» ininterrotto ed

incoercibile ebbe per quell'età la forza di una religione; si

credeva in quel progresso già più che nella Bibbia ed il suo

vangelo sembrava inoppugnabilmente dimostrato dai sempre

nuovi miracoli. della scienza e della tecnica. In realtà,

sulla fine di questo secolo di pace l'ascesa generale si fece

sempre più rapida e molteplice. Nelle strade splendevano di

notte al posto delle tremolanti lanterne le lampade

elettriche, i negozi portavano dalle vie centrali sino alla

periferia il loro splendore seducente; già in grazia del

telefono si poteva comunicare da lontano, già si poteva

correre nei carri senza cavalli con velocità impensate, già

l'uomo si lanciava nell'aria attuando il sogno di Icaro. Le

comodità della vita passarono dalle dimore signorili a quelle

borghesi; non si dovette più attingere l'acqua dal pozzo o

dal ballatoio, non più accendere con pena il fornello: si

diffondeva l'igiene, spariva la sporcizia. Gli uomini

diventavano più belli, più sani, più forti da quando lo sport

ne irrobustiva il corpo e sempre più raramente si vedevano

deformi, gozzuti, mutilati: tutti questi miracoli erano stati

compiuti dalla scienza, arcangelo del progresso. Anche nel

campo sociale si andava avanti; di anno in anno venivano

concessi nuovi diritti all'individuo, la giustizia veniva

amministrata con maggiore senso umanitario e persino il

problema dei problemi, la povertà delle masse, non appariva

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

163

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

più insuperabile. Il diritto di voto venne concesso ad una

cerchia sempre più vasta e con ciò anche la possibilità di

difendere legalmente i propri interessi; sociologi e

professori andavano a gara nello sforzo di rendere più sana e

persino più felice l'esistenza del proletariato. Come

stupirsi che il secolo si compiacesse dell'opera propria e

vedesse in ogni nuovo decennio solo un gradino verso un

decennio migliore? Non si temevano ricadute barbariche come

le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più

alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente

compenetrati dalla fede nell'irresistibile forza

conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i

confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le

confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi, in un

comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la

sicurezza, i beni supremi. Oggi, per noi che abbiamo da un

pezzo cancellato dal nostro vocabolario la parola

«sicurezza», è facile deridere l'illusione ottimistica di

quella generazione accecata dal suo idealismo: illusione che

il progresso tecnico dovesse immancabilmente avere per

effetto un non meno rapido miglioramento morale. Noi che nel

nuovo secolo abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere

da alcuno scoppio di bestialità collettiva, noi che dal

domani aspettiamo ancor più atroci eventi che dall'ieri,

siamo ben più scettici circa la perfettibilità morale degli

uomini. Noi fummo costretti a dar ragione a Freud, allorché

egli riconobbe nella nostra cultura e nella nostra civiltà

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

164

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

solamente un sottile diaframma, che ad ogni momento può

essere sfondato dagli impulsi distruttivi del mondo

sotterraneo, e noi abbiamo dovuto a poco a poco abituarci a

vivere senza un saldo terreno sotto i piedi, senza diritti,

senza libertà, senza sicurezza. Da un pezzo abbiamo rinnegato

per la nostra esistenza la religione dei nostri padri, la

loro fede in un’ascesa rapida e perenne dell'umanità. A noi,

così crudelmente illuminati, quell'ottimismo frettoloso

appare banale di fronte ad una catastrofe, che con un solo

colpo ci ha rigettato indietro di un millennio sulla via

degli sforzi umanitari.

Il brano è tratto da “il mondo do ieri” (1914)

4.4. Commento al brano di Zweig: l’età contemporanea come età

della crisi

Nel testo è presente un insistente confronto tra il mondo,

l’esistenza dei contemporanei di Zweig ed i suoi

predecessori.

Si è creata una rottura insanabile della continuità tra

passato, presente e futuro, ciò significa una perdita totale

sia dell’identità che delle radici della società e del

singolo individuo.

La loro esistenza deriva dal passato, dall’evoluzione del

tempo e dalla tradizione, senza di questo, niente ha senso.

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

165

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

Le generazioni passate hanno vissuto in tempi tranquilli,

senza cambiamenti ne scosse tanto eclatanti da provocare

degli effetti duraturi. Il ritmo calmo del tempo li ha

portati alla fine dei loro giorni. Le generazioni

“contemporanee” hanno invece vissuto in un era in cui una

sola esistenza comprendeva tutta la storia di un secolo:

prima e seconda guerra mondiale, crisi del ‘29 con carestie

ed inflazioni. Questi eventi catastrofici hanno cancellato il

passato, tutto in cui credevamo, tutto ciò che erano i loro

punti di riferimento per poter andare avanti ed “ancora non

siamo arrivati all’ultima pagina”. Da ciò si afferra

l’impatto psicologico che le guerre hanno causato:

annientate, disorientate ed è molto importante per la

comprensione dell’autore perché egli si suicidò, convinto che

la vittoria fosse in mano a Hitler. Nello stesso periodo in

cui la moralità era piuttosto regredità, al scienza e la

tecnica raggiungono livelli inauditi con l’aereo o il

telefono; ma generalmente l’umanità è satanica nonostante

abbia compiuto delle opere così “prossime a Dio”.

La generazione di Zweig fu sicuramente legata al suo tempo,

senza potersi ritrarre, e di continuo dovette subordinarsi

allo stato ed adeguarsi ai cambiamenti più assurdi. Con il

1939, e lo scoppio del secondo conflitto mondiale, crollò

tutta l’educazione classica e crollò il mondo che plasmò

quelle generazioni che vissero la storia dei loro avi. Ma se

la loro testimonianza servirà a lasciare ai posteri almeno

una scheggia di verità, le sofferenze patite non crede più in

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

166

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

niente e si accontenta di una piccola scheggia di verità;

l’illusione del progresso della “belle époque”, dell’età

dell’oro della sicurezza scompare per far spazio

all’insicurezza e allo smarrimento. La sicurezza si delineava

come il processo più prezioso.

L’ottocento fu un periodo caratterizzato da aperta fiducia

nel progresso e nella tecnica, dall’illusione che assieme al

progresso ed alla crescita materiale si sarebbe affiancata

anche una crescita spirituale, ma fu solo un illusione per

coloro che sempre, disprezzarono il passato.

Il progresso tecnico e sociale (inteso come accrescimento di

tutti i diritti dell’individuo), fu tale che i padri dei

contemporanei si illusero che il futuro fosse più felice per

tutte le persone che avrebbero vissuto il secolo nuovo, ma

questa fu solo un illusione.

Nel periodo in cui la parola “sicurezza” è stata cancellata,

è semplice deridere l’ottimismo di quella generazione

accecata dall’idealismo; convinta che il progresso dovesse

portare anche un rapido miglioramento morale. Le generazioni

“contemporanee” non si lasciano sorprendere dagli scoppi di

brutalità, perché aspettano eventi ancora più atroci dei

giorni futuri.

Essi dovettero concordare con Freud quando egli disse che

“la nostra civiltà è un diaframma molto sottile che può

essere sfondato da degli impulsi distruttivi” che peraltro le

hanno scaraventate indietro di un millennio. L’ottimismo

passato appare così banale davanti ad una catastrofe simile

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

167

Parte Terza: La morte di dio e il crollo dei valori

che i contemporanei hanno dovuto saper adattarsi, pur non

riuscendoci completamente.

(S. Zweig, Il Mondo di ieri [1941], pp. 11-18)

I.M.S. "Baudi di Vesme" - 1998/99 Classe V ALinguistico

168

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Parte Quarta

Kultur e Zivilisation

1. PREMESSA: IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE

Nel 1918 esce il primo volume del Tramonto dell’Occidente di

Oswald Spengler13. L’anno in cui si chiude la prima guerra

mondiale, viene a coincidere con la pubblicazione dell’opera

che segnerà l’avvio del dibattito sulla crisi della civiltà.

La fine del conflitto viene così a coincidere con il

diffondersi dell’annuncio della fine della civiltà

occidentale. La principale argomentazione che in questo

lavoro abbiamo inteso sostenere è ben esemplificata da questa

coincidenza: fu la traumatica esperienza della guerra

mondiale che produsse la consapevolezza di una frattura nello

sviluppo della storia occidentale, dopo tale evento si guarda

al recente passato dell’anteguerra, come a un mondo di

irrimediabilmente perduto. In realtà non fu la guerra a13 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, il secondo volume uscirànel 1922.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

169

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

determinare il crollo del mondo ottocentesco e dei suoi

ideali, ma fu essa a risvegliare la cultura europea, ma anche

parte dell’opinione pubblica, dalle illusioni del secolo XIX.

L’opera di Spengler ebbe larga diffusione, tutti i temi che

abbiamo finora trattato sono in essa contenuti e l’approccio

spengleriano costituirà un termine di riferimento obbligato

in tutta la “letteratura della crisi”. I temi della tecnica,

del nichilismo, della decadenza, dell’irruzione delle masse

nella storia, del disfacimento dei valori e del prevalere del

razionalismo sulla forza vitale, sono tutti presenti nel

lavoro di Spengler e danno luogo ad una nuova filosofia della

storia entro la quale viene anche affrontato il problema del

destino dell’occidente.

1.1. La filosofia della storia di Spengler

Abbandonata, perché riduttiva e irrealistica, la filosofia

che concepisce la storia come una totalità processuale

unilineare, finalisticamente orientata al perseguimento di

fini assoluti – la libertà, il progresso, la rivoluzione, il

benessere – Spengler propone un’analisi comparativa della

storia delle civiltà, fondata su alcuni concetti chiave:

l’organicismo, la ciclicità del tempo storico, il relativismo

culturale.

La filosofia della storia di Spengler è costruita

sull’opposizione tra la vita, intesa come creatività infinita

e che trascende ogni concettualizzazione propria della

razionalità scientifica, e le forme cui essa da luogo, in cui

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

170

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

tale forza vitale si oggettiva. Il rapporto tra vita e forme

è il rapporto tra il divenire e ciò che è divenuto, le forme

tendono, infatti, a separarsi dalla vita e fissarsi in rigide

strutture sempre più lontane da quella forza che le aveva

generate. Scopo di Spengler è quello di costruire una

morfologia della storia universale, ma, a tale scopo, la logica

meccanica, propria delle scienze naturali, risulta

inutilizzabile. Lo sforzo di Spengler è quello di individuare

ed utilizzare una logica organica, il modello esplicativo, che

per Spengler ha anche un valore ontologico, è dunque quello

organicistico: le culture sono organismi viventi e come tali

vanno studiate.

Oggetto dell’analisi spengleriana è, dunque, il ciclo vitale delle

culture, in quanto organismi viventi esse nascono, realizzano

le potenzialità implicite nella loro natura, quindi si

avviano alla decadenza ed alla morte. A tale importante tesi

risulta complementare l’altra secondo cui ogni cultura è un

unicum irripetibile. Ogni cultura è generata entro una

determinata situazione vitale, razziale e ambientale, fa

riferimento ad un nucleo di valori che ne costituiscono

l’essenza. Non vi è nessuna possibilità di comparare culture

diverse, esse sono irriducibili e incommensurabili. Vengono

meno due fondamentali premesse proprie delle filosofie della

storia di matrice ottocentesca: l’idea della storia come

sviluppo unilineare illimitato e positivo e l’idea di una

storia universale di cui la civiltà occidentale costituisse

il motore. La prospettiva storica di Spengler è totalmente

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

171

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

altra rispetto a quelle di derivazione romantica, idealista,

marxista e positivista che avevano dominato nel corso del

secolo precedente e tale alterità tocca due punti essenziali,

che definivano i fondamenti stessi dell’idea dell’occidente e

del suo destino: l’universalità del tempo storico e il

progresso come finalità della dinamica storica.

Universalità e unilinearità, sono, secondo l’autore tedesco,

gli errori originari da cui nasce l’incapacità della cultura

occidentale di comprendere il senso della storia e il destino

dello stesso occidente. Non si può ridurre la ricchezza del

divenire storico allo svolgersi di un’unica linea di sviluppo

entro un contesto universalistico. Scopo di Spengler è quindi

quello di partire dall’irriducibile molteplicità delle

culture, ciascuna delle quali risulta comprensibile solo in

riferimento ai propri valori ed alla propria origine, per

studiare il ciclo vitale che tutte le culture attraversano.

La sola possibilità di sottoporre ad un esame generale le

diverse culture, consiste nell’esaminare le fasi vitali che

tutte le culture, attraversano, tutti gli organismi viventi,

nonostante le loro differenze, hanno in comune le fasi del

ciclo vitale: nascita, maturazione e morte, tale ciclo

s’impone come una necessità in quanto è proprio del

metabolismo di ogni cultura.

Vi è dunque una duplice tendenza all’opera nella filosofia

della storia di Spengler, alla generalizzazione della morfologia

della storia universale – che classifica le culture secondo

le varie fasi del loro ciclo vitale, uguali in ciascuna di

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

172

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

esse, si contrappone un’individualizzazione che tende a

relativizzare ogni cultura alla sua organizzazione vitale e

simbolica interna.

Da questo breve esame della concezione spengleriana della

storia si possono trarre due conclusioni utili alla nostra

analisi. In primo luogo l’abbandono dell’idea di una storia

universale unilineare e progressiva; questa tesi costituirà

la necessaria premessa negativa dell’intero dibattito sulla

crisi dell’occidente in quanto segna il definitivo abbandono

del modello stesso di civiltà e di storia che aveva dominato

nel secolo precedente. In secondo luogo assume un rilievo

enorme la tesi spengleriana che le culture muoiono per

intrinseca necessità inerente alla loro stessa natura: le

culture sono mortali e la morte di una cultura non

costituisce un evento eccezionale e fuori dalla norma,

imputabile ad agenti esterni a quella stessa cultura, ma è il

comune destino di tutte le innumerevoli culture che si sono

succedute nella storia. La scomparsa di intere e complesse

culture non era certo una novità, la storia forniva

innumerevoli esempi di civiltà scomparse, la novità contenuta

nella tesi di Spengler è che la morte delle culture non

andava imputata a fattori esogeni, all’irrompere di forze

estranee a una data cultura e che ne producevano la decadenza

e la morte, nuova in Spengler è l’idea che le culture muoiano

per fattori interni inscritti nel loro stesso metabolismo, le

culture scompaiono perché questo è il loro normale destino,

comune a tutti gli esseri viventi. Quest’idea, da molti

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

173

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

accettata e da altri respinta, costituirà, comunque, il

nucleo problematico centrale della discussione sulla crisi

della civiltà occidentale che si svilupperà nell’intervallo

tra i due conflitti mondiali.

1.2. La decadenza delle civiltà: Kultur e Civilisation

Il tema della decadenza e morte delle culture viene

affrontato da Spengler attraverso la contrapposizione di due

concetti fondamentali nella sua concezione della storia:

quelli di Kultur e Zivilisation: “Il tramonto dell’Occidente

significa nulla di meno che il problema stesso della civilizzazione”.14

Prima di ricostruire la concezione spengleriana del tramonto

dell’occidente, è necessario ricordare brevemente la storia

che i concetti di Kultur e Zivilisation ebbero nella cultura

tedesca. Con la rivoluzione del 1789 e il progetto

espansionistico napoleonico che mirava ad esportare il

modello rivoluzionario fuori dalla Francia, si era prodotta

nella cultura tedesca una forte reazione antifrancese tesa a

difendere, in antitesi al modello politico e culturale

francese, l’identità tedesca. Col termine di civilizzazione

ci si riferiva alle idee illuministiche, alla fiducia nella

ragione e nella scienza, ad una concezione ottimistica

dell’uomo e della storia, al cosmopolitismo tipico dell’età

dei lumi. La civilizzazione era l’attuazione di un progetto

fondato sull’idea che l’uomo fosse libero artefice della

storia, la ragione scientifica fosse il suo strumento per

14 Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Longanesi, Milano, 1970, p. 78.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

174

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

plasmare la storia e la società, la realizzazione del

benessere materiale e delle idee d’uguaglianza e libertà

fossero lo scopo dell’intero progetto. Alla Civilisation

francese, gli intellettuali tedeschi contrapponevano la Kultur

tedesca fondata su una concezione pessimistica della natura

umana e su una visione tragica dell’esistenza, intesa come

lotta per imporre un senso al caos. In tale concezione

assumevano un valore fondamentale la religione, il genio

creativo, l’immaginazione superiore, l’irrazionalità e i

valori vitalistici, inoltre prevaleva una visione della

società fondata non sull’individuo e i suoi diritti, ma sulla

comunità considerata come una totalità unita da vincoli di

sangue, lingua e cultura.

Spengler, riprendendo questi concetti, li rielabora,

inserendoli nella sua concezione della storia. La

civilizzazione rappresenta la fase finale della vita di una

civiltà, se la Kultur costituisce la realizzazione del

progetto vitale sotteso ad ogni civiltà, “la civilizzazione è

l’inevitabile destino di una civiltà”15, il suo momento

conclusivo che ne precede la scomparsa. Ogni civiltà viene

generata dalla forza creativa della vita che si contrappone

al caos imponendo ad esso un proprio progetto, una propria

idea. La storia successiva di ogni civiltà è la realizzazione

di tutte le potenzialità in essa contenute, il suo sviluppo è

il dispiegarsi delle sue possibilità nel tempo fino al loro

compimento. Subentra allora il decadimento, perché la civiltà

15 Spengler, Ibidem, p. 80.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

175

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

ha esaurito la propria forza vitale e le forme da essa create

si irrigidiscono: questa fase di irrigidimento, che precede

la morte di una civiltà, è definita da Spengler civilizzazione.

Secondo la diagnosi di Spengler, tutti i sintomi che

l’Occidente abbia imboccato la via della civilizzazione, sono

presenti già nel XIX secolo che costituisce il momento

cruciale della svolta in cui l’Europa passa dalla fase della

civiltà a quella della civilizzazione: “Civiltà e

civilizzazione sono come il corpo vivo di un’anima e la sua

mummia. In tali termini si distingue l’esistenza euro-

occidentale di prima e dopo il diciannovesimo secolo …”16.

La Kultur si fonda sull’originario rapporto tra la forza

creativa di un popolo e il suo ambiente naturale in cui esso

è radicato, secondo il binomio di sangue e suolo. Inoltre la

Kultur vive nella tradizione e nella sua forza che fornisce

un sistema globale e unitario, costituente l’identità propria

della civiltà e veicolato dalla religione, dai miti, dalla

lingua. Nella civilizzazione si attua, invece, lo

sradicamento della civiltà dal suolo e dalla tradizione, ciò è

ben rappresentato dall’uomo-massa che vive nella città e che

ha perduto il legame con il proprio ambiente originario e la

propria tradizione: “invece di un popolo formato, legato alla

sua terra, un nuovo nomade, un parassita, l’abitante delle

grandi città, il puro uomo pratico senza tradizione, ripreso

in una massa informe e fluttuante, l’uomo irreligioso,

intelligente, infecondo, …”17.

16 Spengler, Il tramonto dell’Occidente, cit., p. 194.17 Spengler, Ibidem, p. 195.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

176

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

L’altra fondamentale caratteristica distintiva della

civilizzazione è il prevalere del pensare sull’agire, mentre

la Kultur si caratterizza per la spontaneità e la forza

dell’agire, la civilizzazione si presenta come paralizzata

dalla forza problematizzante del pensiero razionale che frena

l’azione e la snatura, in questo modo la capacità creativa,

grazie alla quale la civiltà cresce, viene perduta e subentra

la paralisi dell’intelletto raziocinante. Il mondo della

civilizzazione è dunque quel mondo della massificazione, del

dominio della scienza e della tecnica, della perdita

dell’identità, che è stato descritto nelle sezioni precedenti

di questa antologia. Il contributo di Spengler fu quello di

fornire una sintesi unificante di tutti questi elementi entro

un quadro concettuale alternativo a quello tradizionale.

Per illustrare il contrasto tra Kultur e Zivilisation ci

siamo serviti di alcune tra le pagine più significative del

romanzo di Thomas Mann “La montagna incantata”, in cui il

tema della decadenza della civiltà occidentale, visto

attraverso la metafora della malattia, è al centro

dell’intreccio. Il conflitto tra Naphta e Settembrini, due

tra principali protagonisti del romanzo, è il conflitto tra

due contrapposte concezioni della civiltà e della storia e se

Settembrini è portatore del progetto positivista, Naphta

appare invece il sostenitore della Kultur, interprete delle

tesi di Spengler sulla decadenza dell’Occidente che ha

intrapreso la strada della massificazione e del dominio della

tecnica.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

177

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Per completare il quadro di quest’ultima sezione abbiamo

scelto un brano dello scrittore francese Roman Rolland, che

si fa portavoce degli ideali di progresso e cosmopolitismo

propri della civilizzazione.

Abbiamo concluso la sezione con un breve brano dello

scrittore ed intellettuale francese Julien Benda, tale brano

c’è sembrato particolarmente indicativo perché Benda, pur

muovendosi nell’orizzonte culturale della Civilisation e

partendo quindi da premesse ben diverse rispetto a quelle di

Spengler e anche di Mann, giunge a conclusioni altrettanto

pessimistiche sul futuro dell’Occidente che vede incerto e

problematico. L’interesse degli ultimi due brani è dato dal

fatto che i termini dell’analisi appaiono rovesciati:

l’Occidente corre verso la sua distruzione a causa

dell’irrompere di una nuova barbarie che ha messo fuori gioco

i valori della civilizzazione: pacifismo, cosmopolitismo,

progresso, sono stati spazzati via dal ritorno di una

mentalità fondata sull’irrazionalità, il prevalere della

volontà di dominio e di potenza. Insomma, in Benda e Rolland,

la malattia non è la civilizzazione, ma la Kultur.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

178

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

2. SPENGLER

2.1. La Vita e il pensiero

Oswald Spengler (Blankenburg am Harz 1880 – Monaco 1936),

oltre ad essere uno fra i più importanti filosofi dell’epoca,

fu anche uno studioso di matematica, scienze naturali ed

economia politica. Nel 1918 e 1922 apparvero le due parti

della sua opera principale, “Der Untergang des Abendlandes”,

che ottenne subito un enorme successo di pubblico.

In seguito Spengler pubblicò numerosi saggi politici,

raccolti in volume nel 1932, in cui attaccò la Repubblica di

Weimar difendendo posizioni conservatrici.

Per un certo periodo giudicò positivamente anche il nazismo.

Nel 1931 pubblicò inoltre l’opuscolo “L’uomo e la tecnica.

Contributo a una filosofia della vita”; dopo la sua morte

apparvero vari volumi di discorsi, frammenti e lettere.

Spengler irrigidì in una dualità metafisica l’oggettiva

differenza tra la natura e la storia, viste come due realtà

incommensurabili. La natura è secondo Spengler, il regno

dell’inerte ma in particolar modo, il mondo del divenuto, in

altre parole ciò che è stato prodotto dalla vita, staccandosi

poi dalla vita stessa.

E’ quindi il dominio della “cieca necessità causale”, nonché

dell’anonima uniformità e ripetizione”, ossia ciò che può

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

179

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

essere espresso tramite le formule matematiche e della

scienza in genere.

La storia è invece il “vitale divenire” ossia il regno della

vita che crea incessantemente nuove forme. Nella storia vale,

quindi, la necessità organica che è propria di ciò che si

manifesta in modo unico ed irripetibile. Di conseguenza,

l’unica logica capace di penetrare la natura è quella

organica che trova il suo strumento nella esperienza vissuta,

ciò che Spengler chiamerà Erlebnis.

La logica organica ci permette di formulare una descrizione

della “forma” o “fisionomia” dell’elemento che costituisce la

storia stessa: la Kultur (la cultura).

La cultura è la cultura positiva, vitale non prima,

comunque, di una sua sana “barbarie”.

Spengler scriveva: “Ogni cultura, ogni sapere, ogni

progredire e ogni declinare, ognuno dei suoi periodi

internamente necessari ha una durata determinata, sempre

uguale, sempre ricorrente con la forma di un Simbolo”. In

questo senso, la Kultur è come tutti gli altri organismi: ha

una sua nascita, un suo sviluppo secondo un suo destino

necessario ed un non meno necessario “tramonto”. Ogni cultura

realizza tutto ciò che le è possibile, il completamento di

tale realizzazione coincide con il suo tramonto. Il culmine

di una cultura è appunto la Zivilitation, intesa come il

raggiungimento degli “stati estremi e più raffinati” di cui

sono capaci solo gli uomini superiori.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

180

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Spengler, considerando la cultura come un organismo e

quest’ultimo come una totalità le cui parti hanno rapporti

reciproci necessari e necessitanti, ritiene che ogni aspetto

della cultura è una manifestazione di essa stessa e che non

ha senso al di fuori di essa.

Ogni cultura ha una sua propria “natura”, una sua scienza,

che hanno in essa un valore assoluto; fuori della cultura non

hanno alcun valore.

Quindi mentre non esiste una scienza, né una filosofia, né

una morale universale (cioè valida per tutte le culture),

ogni singola scienza, cultura e morale è assoluta nell’ambito

della cultura cui appartiene.

Si può perciò parlare con Spengler di un”assolutismo

relativo” dei valori stessi, poiché limitato alla durata

della cultura. Inoltre il processo di trasformazione e di

consumazione cui ogni cultura è necessariamente sottoposta

investe anche tutti i suoi principi: una sola necessità

inesorabile presiede a tutti i suoi sviluppi e le sue

vicende; e questo è il destino. “Noi, dice Spengler, non

abbiamo la libertà di realizzare questo o quello, ma la

libertà di fare ciò che è necessario o nulla; ed un compito

che la necessità della storia ha posto, verrà risolto con il

singolo o contro di esso: “Ducunt fata volentem, nolentem

trahunt”. Su queste basi prevede l’inevitabile tramonto della

cultura occidentale che è ormai arrivata alla fase della

piena maturità ( civilizzazione ). La crisi della morale e

della religione, giacché “l’essenza di ogni civiltà è la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

181

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

religione”; il prevalere della democrazia e del socialismo

che sovvertono i rapporti naturali di potere;

l’equiparazione, propria della democrazia e, il

“rovesciamento di tutti i valori” di cui Nietzsche è stato il

profeta, ma che l’Occidente mostra già in atto, sono i

prodromi infallibili della morte della civiltà Occidentale.

Spengler rappresentava la critica ai disegni progressisti

dello sviluppo dell’umanità (sostituendo ad essa una visione

ciclica della storia), Spengler significava ancora

l’ontologia come metodo di tale comparazione, significava

parlare delle civiltà al plurale, nella loro particolarità e

nel loro ritmo vitale di nascita, crescita e morte,

presupponendo una presunta fine di un mondo. Ma, soprattutto,

quest’opera significava la perdita delle speranze sul futuro

dell’Occidente, poiché già entrato nella fase della

“Zivilization” caratterizzata dal prevalere dello stato sugli

individui, dal dominio della tecnica, della politica e del

denaro.

2.2. Il Brano di Spengler: il tramonto dell'Occidente e le

illusioni del progresso.

Antichità, medioevo, età moderna: questo è lo schema inverosimilmente

scarno e privo di senso che dominando incondizionatamente il

nostro pensiero storico ci ha sempre impedito di conoscere

esattamente il luogo proprio del particolare mondo

sviluppatosi dal tempo dell'Impero sul suolo dell'Europa

occidentale nei suoi rapporti con la storia complessiva

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

182

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

dell'umanità superiore, e così pure il rango, la figura e

soprattutto la durata di esso. Alle future civiltà sembrerà

quasi incredibile che quello schema semplicistico di un

decorso lineare, che con le sue proporzioni assurde appare di

secolo in secolo sempre più inadatto a inquadrare in modo

naturale i nuovi domini dischiusisi alla nostra coscienza

storica, abbia potuto mantenere così a lungo una indiscussa

validità. […]

Propria a tale schema è una limitazione della storia

riguardo non solo il tempo, ma anche - e ciò è ancor peggio -

il luogo. Qui il paesaggio dell'Europa occidentale va a

costituire il polo immobile (non si sa per quale ragione, se

non forse perché noi, autori di tale immagine della storia,

proprio in Europa abitiamo), polo intorno al quale millenni

della storia più possente e civiltà immense e lontane

umilmente graviterebbero.

Ma è un metodo del tutto assurdo d'interpretazione storica

quello di chi, lasciata briglia sciolta alle proprie

convinzioni politiche, religiose o sociali, alle tre fasi,

che non osa modificare, dà proprio la direzione che le

conduce là dove egli si trova, imponendo caso per caso come

misura assoluta a millenni di storia la sovranità della

ragione, l'umanitarismo, la felicità dei più, l'evoluzione

economica, l’illuminismo, la libertà dei popoli,

l'assoggettamento della natura, la pace mondiale e via

dicendo, e dandosi a dimostrare che quei millenni non

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

183

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

compresero o non seppero raggiungere quel che dovevano,

mentre, in verità, essi vollero solo cose diverse da

quelle che noi vogliamo. […] nei confronti della storia

dell’umanità superiore, per quel che concerne il corso del

futuro domina un ottimismo sfrenato, incurante di ogni dato

dell'esperienza sia storica che organica, per cui ognuno ritiene

di poter individuare nella contingenza dell'oggi gli «inizi »

di una qualche «ulteriore evoluzione» lineare e meravigliosa,

non perché essa sia provata scientificamente, ma solo perché

corrisponde a quel che si desidera. Qui si pensa a

possibilità illimitate, mai a una fine naturale; e partendo

dalla situazione del momento si va a costruire in modo

affatto ingenuo una futura evoluzione.

Ma «l'umanità» non ha alcuno scopo, alcuna idea, alcun

piano, così come non lo ha la specie delle farfalle o quella

delle orchidee. «Umanità» è o un concetto zoologico o un

vuoto nome. Si bandisca questo fantasma dal dominio dei

problemi storici della forma e allora si vedrà apparire una

sorprendente dovizia di vere forme. Qui regna una sconfinata

ricchezza, una profondità e una dinamicità della realtà

vivente finora nascoste da parole d'ordine, da aridi schemi,

da «ideali» personali. Invece della squallida immagine di una

storia mondiale lineare, cui ci si può tenere solo se si

chiudono gli occhi dinanzi alla massa schiacciante dei fatti,

io vedo una molteplicità di civiltà possenti, scaturite con

una forza elementare dal grembo di un loro paesaggio materno,

al quale ciascuna resta rigorosamente connessa in tutto il

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

184

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

suo sviluppo: civiltà, che imprimono ciascuna la propria forma

all'umanità, loro materia, che hanno ciascuna una propria idea

e delle loro proprie passioni, una propria vita, un proprio

volere e sentire, una propria morte.

Vi è una giovinezza e una senilità nelle civiltà, nei

popoli, nelle lingue, nelle verità, negli dei, nei paesaggi -

come vi sono querce e pini, fiori, rami e foglie giovani e

vecchi: mentre una «umanità» al singolare che via via si

invecchi, non esiste.

Ogni civiltà ha proprie, originali possibilità di

espressione che germinano, si maturano, declinano e poi

irrimediabilmente scompaiono. Esistono molte arti plastiche,

pitture, matematiche, fisiche profondamente diverse nella

loro essenza, ciascuna con una sua limitata via, ciascuna in

sé conchiusa, come ogni specie vegetale ha i suoi fiori e i

suoi frutti, il suo tipo di sviluppo e di deperimento. Queste

civiltà, organismi viventi d'ordine superiore crescono in una

magnifica assenza di fini, come i fiori dei campi. Come le

piante e gli animali, esse appartengono alla natura vivente

di Goethe e non a quella morta di Newton. Nella storia

mondiale io vedo un eterno formarsi e disfarsi, un

meraviglioso apparire e scomparire di forme organiche. Invece

lo storico di mestiere la concepisce quasi come una tenia che

produce instancabilmente epoche su epoche. […]

Nell’antichità si aveva la retorica, nell'Occidente si ha il

giornalismo e, invero, al servigio di quella cosa astratta

che rappresenta la potenza della civilizzazione, il danaro. […]

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

185

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

E l'arte? E la filosofia? Gli ideali del tempo di Platone e

di Kant valevano per una umanità superiore; quelli

dell'ellenismo e del giorno d'oggi, soprattutto il socialismo

e il darwinismo (ad esso interiormente così affine con le sue

formule affatto antigoethiane della lotta per l'esistenza e

della selezione naturale), i problemi del femminismo e del

matrimonio (a ciò parimenti connessi), quali si affacciano in

lbsen, in Strindberg e in Shaw, la tendenza impressionistica

verso un sensualismo anarchico, tutto il complesso delle

nostalgie, degli stimoli e dei dolori moderni quali si

esprimono nella lirica di Baudelaire e nella musica di

Wagner, non esistono per il senso del mondo dell'uomo del

villaggio e, in genere, della natura, esistono

esclusivamente, per l’uomo cerebrale delle grandi città. […]

A una civiltà appartiene la ginnastica, il torneo, l'agone,

alla civilizzazione lo sport. [...] Appare una nuova filosofia

realistica che per le speculazioni metafisiche ha solo un

sorriso, appare una nuova letteratura che per l'abitante

delle grandi città diviene un bisogno, mentre per il

provinciale è incomprensibile e odiosa.

I Greci li possiamo comprendere anche senza considerare la

loro vita economica. Invece i Romani solo in funzione di essa

possiamo capirli. A Cheronea e a Lipsia si combatté per

l'ultima volta per una idea. Ma nella prima guerra punica e a

Sedan il fattore economico non può esser più trascurato. […]

Né sfuggiranno le corrispondenze quanto alle relazioni con lo

stoicismo e il socialismo.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

186

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Nell'imperialismo bisogna saper vedere il simbolo tipico di una

fine. Ora, proprio tale forma è l'ineluttabile destino

dell'Occidente. Nell'uomo di una civiltà la forza è rivolta

all'interno, in quello di una civilizzazione è rivolta

all'esterno. Perciò in Cecil Rhodes io vedo il primo uomo di

una nuova età. Egli incarna lo stile politico di un lontano

futuro occidentale, germanico e soprattutto tedesco. Il suo

detto: «L'espansione è tutto», esprime, nella sua

formulazione napoleonica, la tendenza più caratteristica di

ogni civilizzazione matura. Ciò valse già per i Romani, per

gli Arabi, per i Cinesi. Qui non vi è scelta. Qui, a

decidere, non sta la volontà cosciente né del singolo né di

intere classi o nazioni. La tendenza espansiva è una

fatalità, qualcosa di demonico e di mostruoso, che afferra

l'uomo ultimo dello stadio delle grandi città, costringendolo

a servirlo e sfruttandolo, lo voglia egli o no. Vivere

significa realizzare il possibile e l'uomo cerebrale conosce

solo possibilità di espansione.

Rhodes ci appare dunque come il precursore di un tipo

occidentale cesareo, per il quale i tempi tuttavia non sono

ancora giunti. Egli si trova in una posizione intermedia tra

Napoleone e il tipo di uomo violento dei prossimi secoli. […]

Ma già Rhodes identifica la politica vittoriosa al solo

successo territoriale e finanziario. In una tale forza e

purità la civilizzazione euro-occidentale non si era ancor

mai incarnata. […] tutto ciò è il preludio, grande e

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

187

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

magnifico, di un'epoca a venire con la quale la storia

dell'uomo euro-occidentale si chiuderà definitivamente.

Così l'imperium romanum non ci appare più come un fenomeno

irripetibile, ma come il prodotto normale di una

intellettualità rigorosa ed energica, cosmopolita,

eminentemente pratica e come uno stadio finale tipico che già

si era realizzato più volte, ma che finora non era stato ben

identificato. Dobbiamo, dunque, riconoscere che il

diciannovesimo e il ventesimo secolo, presunte culminazioni

di una storia mondiale linearmente evolutiva, possono

ritrovarsi come stadio ben definito alla fine di ogni civiltà

giunta alla sua maturità estrema, non riferendoci

naturalmente ai socialisti, agli impressionisti, alle

ferrovie elettriche, ai siluri e alle equazioni differenziali

che appartengono soltanto al corpo di un'epoca, bensì allo

spirito da civilizzazione che può anche rivestire tutt'altre

forme esterne; che l'epoca presente rappresenta dunque uno

stadio di transizione, il quale, date certe condizioni,

interviene dovunque in modo certo; che però esistono anche

stadi ben determinati ancor più spinti di quelli attuali euro-

occidentali e già ripetutamente apparsi nel corso della

storia; che, di conseguenza, il futuro dell’Occidente non

sarà un illimitato ascendere e andar avanti nella direzione

dei nostri ideali del momento, per spazi fantastici di tempo,

bensì un episodio della storia rigorosamente circoscritto e

incontrovertibilmente determinato quanto a forma e a durata,

episodio che abbraccerà pochi secoli e i cui tratti

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

188

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

essenziali possono essere predetti e calcolati in base ai

precedenti esempi.

(O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, [1918-22] pp. 54-55, 60-

63, 84-91)

2.3. Commento al brano di Spengler.

Il problema trattato dall’autore è costituito dalla

filosofia della storia. Egli si propone, in tale sede, di

esplicitare i limiti della concezione occidentale della

storia.

Primo limite è la concezione del tempo: la linearità è

scorretta e la tripartizione (antichità-medioevo-età moderna)

è semplicistica.

Secondo limite è lo spazio: tendiamo ad avere una concezione

eurocentrica della storia. Gli storici, inoltre, tendono a

individuare un fine assoluto allo sviluppo storico della

civiltà, in realtà tale finalità è assente dalla storia reale

e non è altro che la proiezione delle idee e dei valori dello

storico.

Secondo Spengler le civiltà non mirano alla realizzazione di

fini, ma a realizzare tutte le possibilità di sviluppo che

loro si offrono. L’umanità non ha un fine assoluto che la

storia tende a realizzare. Il soggetto della storia sono

quindi le singole civiltà, non un’astratta e inesistente

umanità in generale.

Civiltà diverse non sono paragonabili, ognuna infatti ha i

propri valori. Evidenziando le caratteristiche della civiltà

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

189

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

occidentale e delle altre civiltà, Spengler afferma che ogni

civiltà è incommensurabile con le altre. Ed è proprio la

diversità dei valori, delle tradizioni, dei costumi di

ciascuna civiltà che costituisce una vera e propria ricchezza

dei modi di vita.

La concezione della storia di Spengler è organicista, le

civiltà come gli organismi viventi hanno un ciclo vitale e

quindi possono anche morire.

L’ottocento, il secolo della storia, aveva riposto nella

storia l’identità e il destino della civiltà occidentale,

Spengler, scardinando i concetti fondamentali di quella

filosofia della storia, cancellava d’un colpo l’essenza stesa

dell’occidente.

Si riaprivano così, di fronte alla civiltà europea, tutte le

possibilità, possibilità che, però, venivano a prospettarsi

in chiave catastrofica e negativa a causa dell’esperienza

traumatica della guerra. E’ interessante sottolineare che

Spengler scrisse il Tramonto dell’Occidente durante la

guerra; certamente l’esperienza traumatica della guerra, che

fu la negazione dei valori su cui la civiltà occidentale

aveva costruito la propria immagine di sé, fu decisiva nel

condizionare sia l’opera di Spengler, sia la forte

impressione che essa suscitò nell’opinione degli

intellettuali.

Era possibile ora avanzare nuovi e preoccupanti

interrogativi sulla civiltà occidentale e sul suo futuro: il

vantato primato della civiltà occidentale doveva ancora

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

190

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

essere dato per scontato? O la carneficina e il fallimento

degli ideali di progresso provocati dalla guerra erano il

segno che tale superiorità era infondata? Quali erano le

cause della decadenza dell’occidente? Si era, forse, vicini,

alla fine della civiltà occidentale come pensava Spengler? In

che modo era stato possibile che scienza e tecnica, non solo

non mantenessero le loro promesse, ma, addirittura,

producessero esiti opposti rispetto a quelli che

ottimisticamente il positivismo si era aspettato? Quale

significato e quali conseguenze aveva sull’assetto sociale il

nuovo fenomeno del protagonismo delle masse?

Di fronte a queste drammatiche domande la voce di Spengler

si levava per annuanciare der Untergang des Abendlandes.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

191

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

3. THOMAS MANN

3.1. La Vita e Le Opere

Thomas Mann nacque in una delle famiglie più influenti

dell'aristocrazia di Lubecca, dimostrò precocemente, come il

fratello Heinrich, una vocazione letteraria.

Alla morte del padre, liquidata la ditta, la famiglia si

trasferì a Monaco di Baviera. Qui Mann frequentò gli ambienti

artistici e collaborò a riviste tra cui il "Simplicissimus".

Nel 1905 sposò Katja Pringsheim, dalla quale ebbe sei figli.

Nel 1914 aderì al movimento nazionalistico favorevole alla

guerra. Documento delle sue posizioni, in polemica con quelle

progressiste e democratiche del fratello Heinrich, sono le

notevoli "considerazioni di un impolitico" in cui Mann

contrappone la Kultur (civiltà spirituale) tedesca alla

Zivilisation (civiltà o progresso materiale) dei paesi

occidentali. Solo nel 1922 prese posizione in difesa della

democrazia.

Nel 1929 gli fu conferito il premio Nobel. Nel 1933, subito

dopo l'ascesa di Hitler al potere, Mann recatosi all'estero

per un giro di conferenze, decise di non rientrare in patria.

Tra il 1933 e il 1938 visse prevalentemente in Svizzera e nel

1938 si trasferì negli U.S.A. a Princeton e dal 1940 in

California. Durante la guerra svolse attività propagandistica

antihitleriana con scritti e messaggi radio. Nel 1944 aveva

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

192

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

preso la cittadinanza americana e nel 1952 si stabilì a

Zurigo. Morì nel 1955.

Il piccolo signor Friedemann (1898), i Buddenbrook (1901),

Tristano (1903), Altezza reale (1909), La morte a Venezia

(1912), La montagna incantata (1924), Giuseppe e suoi

fratelli (1933), Il giovane Giuseppe (1934), Giuseppe in

Egitto (1936), Giuseppe il nutritore(1943), Carlotta Weimar

(1939), Doktor Faustus (1947) L'eletto (1952), Confessioni

del cavaliere d'industria Felix Krull (1954).

Fu anche un grande novellista, scrisse infatti:

Cane e padrone (1919), Disordine e dolore precoce (1926),

Mario ne il mago (1930), Le teste scambiate (1940), La legge

(1944), e inoltre una produzione saggista.

3.2. Il Pensiero

Mann fu profondamente influenzato da Nietzsche e

Schopenhauer, in seguito Mann profittò delle scoperte di

Freud e di una più larga visione culturale di tipo europeo,

mentre il suo modello etico-estetico diventò sempre più

Goethe, che aveva saputo conciliare realismo e lirismo,

razionalità e passione, classicismo e innovazione, vita e

spirito. E' nella rappresentazione della crisi spirituale

europea che l'opera di Mann raggiunge i migliori risultati.

Dopo le prime opere si servì di strumenti ironici e

parodistici, raggiungendo la perfezione letteraria. Mann

portava in sé tutta l'eredità spirituale della grande crisi

con l'aggravante che le due forze opposte, il lucido intuito

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

193

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

della realtà proprio dello spirito borghese e la sensibilità

decadente in cui sboccò la cultura, coesistevano e agivano

simultaneamente, fusi in uno stato d'animo unico, ricco di

contrasti ma indissociabile.

E' proprio la posizione di travaglio spirituale che diventa

la sorgente dell'arte di Mann. Un motivo sempre ricorrente

nell'arte di Mann è la morte, molto spesso causata dalla

malattia, ma ciò che colpisce è come e quanto si muore. La

moderna narrativa tedesca non possiede un'opera in cui il

motivo della morte sia così insistente. Ogni morte è diversa:

ognuno ha la sua morte così come ha avuto la sua vita.

Nei Buddenbrook, per esempio, vi sono tantissime pagine

dedicate alla morte e alla sepoltura di molti personaggi.

Inoltre nei Buddenbrook è presente l'analisi scientifica del

tifo, nelle descrizioni di Mann vi è quasi un virtuosismo

della poesia della morte.

La religione per Mann inizialmente rappresentava il

fondamento spirituale d’ogni agire, aveva una funzione di

supporto; non si sa per quale motivo, ma probabilmente dopo

le letture di Schopenhauer e Nietzsche, Mann pensa che la

religione non possa più conferirgli quella sicurezza

interiore alla cui mancanza egli ovvia sempre più attraverso

il comportamento esteriore.

Scomparsa l'ebbrezza effimera che gli aveva dato la lettura

di Schopenhauer egli tenta di ancorarsi alla religione dei

padri, ma le sue promesse non bastano a soddisfarlo. Una vera

soluzione ancora sembra offrirgli l'opera: Il mondo come

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

194

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

volontà e rappresentazione. Mann vi scorge dapprima la

condanna della vita, l'esaltazione del diritto alla

sofferenza. Ma questa sottile soddisfazione si trasforma in

qualcosa di diverso: Schopenhauer si rovescia in Nietzsche.

Il rovesciamento è già insito in Schopenhauer stesso, perché

l'esortazione a liberarsi dal principio di individuazione, a

ricongiungersi col tutto, non è altro se non l'esortazione a

rientrare nella volontà di vivere che è il noumeno al di

sotto delle apparenze. La volontà di vivere appare come il

nirvana.

Altro punto fondamentale dell'opera di Mann è la decadenza:

essa mette in luce l'elemento repressivo implicito nei valori

borghesi. La decadenza fa esplodere le contraddizioni insite

in tutta la civiltà borghese.

Mann si divide tra l'attaccamento formale alla tradizione

borghese e alla sua negazione, tra repressione e rivolta

contro la repressione, che appare nell'arte, tra la decadenza

che si abbarbica ai valori perduti e quella che si abbandona

a se stessa e ne trova di nuovi.

Egli dovrà cercare per tutta la vita una mediazione tra i

valori della repressione borghese, in cui continua a credere

come valori fondatori di civiltà(trovando conferma in Freud)

e il sogno dischiuso della decadenza: due mondi di valori

entrambi ambigui perché se il primo uccide lo spirito, il

secondo, che dallo spirito è nato, rischia di rivolgersi

contro ogni ordine umano e di condurre all'irrazionale e alla

barbarie.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

195

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

3.3 I Brani di Mann: cultura e civiltà.

Civilizzazione e cultura non soltanto non sono un’unica e

stessa cosa, ma termini antitetici; formano una delle

molteplici manifestazioni dell’eterna discordanza della

nostra umanità e del contrasto fra spirito e natura. Cultura

significa unità, stile, forma, compostezza, gusto; è una

certa organizzazione spirituale del mondo, sia pur tutto ciò

avventuroso, scurrile, selvaggio, sanguinoso, pauroso. La

cultura può comprendere l'oracolo, la magia, la pederastia,

il cannibalismo, culti orgiastici, inquisizione, autodafé,

ballo di S. Vito, processi di streghe, fiorir di venefici e

delle più varie atrocità. è invece ragione, illuminismo,

distensione, ritegno, compostezza, scetticismo,

chiarificazione … spirito. Sì, lo spirito è civile, è il

nemico giurato degli istinti, delle passioni, è

antidemoniaco, antieroico, ed è solo un controsenso apparente

quando si afferma che è anche antigeniale. (T.Mann,

Pensieri di guerra [19141, in Scritti storici e politici, p. 35)

Già quasi non sarei uno scrittore tedesco, se non avessi mai

lavorato di variazioni su questo tema e non avessi tentato di

dare una cristallizzazione «definitiva» a questi termini

tanto polivalenti e consunti. Questo tentativo è stato fatto

in Germania centinaia di volte prima di me, da poeti e da

pensatori, senza che riuscisse ad imporsi un'accezione unica,

valida per tutti, se non quella che riporta la «cultura» alla

sfera dello spirito e la «civilizzazione» a quella della

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

196

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

materia. Io la trovai insufficiente, anzi sbagliata,

sembrandomi che in tal modo si facesse troppo poco onore alla

civilizzazione. Mi dicevo che la civilizzazione non solo è

anch'essa qualcosa di spirituale, ma che, di più, è

addirittura lo spirito stesso, spirito nel senso della ragione,

dell'urbanità di vita, del dubbio, dell'illuminismo e infine

della disgregazione, mentre la cultura significa al contrario

il principio dell'organizzazione e della costruzione

artistica, il principio che alimenta e illumina la vita. […]

Sciagurati che siete, il vostro inevitabile e inesorabile progresso

uccide l'arte Ma povera arte! Ne sono ben sicuro. Quelle

società che più erano contagiate dalla superstizione, erano

anche le grandi fautrici dell'arte. Datemi la prova che si

può avere un'arte della ragione, della verità,

dell'esattezza, ed io passo subito con armi e bagagli dalla

vostra parte. Come musicista Le dichiaro che, se Lei elimina

l'adulterio, il fanatismo, il crimine, l'errore e il

soprannaturale, non potrà essere mai più scritta una sola

nota di musica. Le assicuro che io scriverei una musica molto

migliore, se credessi a tutto quello che non è vero. Dirò,

per riassumere, che l'arte va declinando nella misura in cui

progredisce la ragione. Lei non ci crede, ma è pur vero.

Provi a crearmi oggi un Omero, un Dante. Con che materia? La

fantasia vive di chimere e di visioni. Se Lei mi sopprime le

chimere, naturalmente la forza dell'immaginazione è finita.

Niente più arte, scienza dappertutto. Nel caso che Lei mi

chiedesse, se questo sarebbe poi un gran male, La lascio in

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

197

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

pace e non discuto più, perché Lei ha ragione. Peccato,

tuttavia, un gran peccato... ».

«Perché Lei ha ragione»: questo è il riconoscimento ironico

del progresso della civilizzazione fatto da un artista

francese che appunto vede in questo «inevitabile» progresso

il dissolvimento e la rovina dell'arte. L'antitesi congenita

fra civilizzazione e cultura non è espressamente formulata

nelle sue parole, ma è una convinzione che ne scaturisce

senza lasciare dubbi. Affermando che le società più

contagiate alla superstizione sono state le grandi fautrici

dell'arte, Bizet in sostanza, vede in quelle società

superstiziose esattamente la cultura stessa, e intende quello

che intendo io quando dico che la cultura non esclude la

«sanguinosa ferocia», mentre la civilizzazione mitiga la

ferocia, illumina la superstizione, svampa l'ardore delle

passioni. La cultura lega, la civilizzazione porta il

dissolvimento. E’, una cosa che si tocca con mano. Chi vorrà

proibirmi di vedere le cose a questo modo, se a questo modo

le vedo? E ancora: non rendo forse onore alla civilizzazione?

L'avevano definita un fatto materiale: bene, io lo nego. Si è

tentato di definirla come la semplice condizione umana,

ordinata, addomesticata dallo stato. Nemmeno questo mi basta,

perché io vedo che è un principio troppo spirituale per

fermarsi e ingabbiarsi nello stato, ha troppa volontà di

dissolvimento per non mirare anche al dissolvimento dello

stato. Lei è francese, e vorrebbe negarlo? La civilizzazione

non si accontenterà di sfaldare lo stato: addormenterà anche

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

198

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

le passioni nazionali, le porterà alla pace della tomba.

Realizzerà un mondo esperantizzato in pace, dove ogni guerra

è impossibile. Io ci credo, come vede, io credo nel suo

avvento, e come potrei non crederci? Essa è certamente

l'avvenire, è il progresso stesso. Il pacifismo è

naturalmente un fatto, anzi, in fondo, il fatto precipuo e

principale, della civilizzazione che persegue pace e purezza,

perché è letteratura, è spirito. […]

Kant ha inciso anche su di me, semplicemente perché io sono

tedesco; possiedo anch'io quanto poteva darmi senza averlo

mai studiato alla maniera dei dotti. Così, ora per me è come

se la guerra attuale che, certo, vista da un lato, è una

guerra di potenza e di interessi, ma vista dall'altro è anche

una guerra d'idee, fosse già stata combattuta su un piano

soltanto spirituale; come se già una volta lo spirito tedesco

«con profondo ribrezzo», come dice Nietzsche, si fosse

sollevato contro «le idee moderne», le idee dell'occidente,

del diciottesimo secolo, contro l'illuminiamo e lo

sfaldamento della persona, la civilizzazione e la

disgregazione: quasi che proprio in Kant, lo spirito tedesco,

volto alla società, al mantenimento dei valori, costruttivo e

organizzativo, si fosse ribellato contro il nihilismo

occidentale, dopo essere passato lui stesso attraverso gli

abissi dello scetticismo erosivo di ogni valore.

(Mann, Considerazioni di un impolitico [1918], pp. 144-46, 149)

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

199

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Per progresso Giovanni Castorp aveva inteso fino allora

qualcosa come lo sviluppo della tecnica nel diciannovesimo

secolo; d’altronde trovava anche che il signor Settembrini

non disprezzava cose simili e che neppure suo nonno le aveva

disprezzate. L'Italiano rendeva onore alla patria dei suoi

ascoltatori perché là erano state inventate l'arte della

stampa e la polvere da sparo, perché essa aveva spezzato la

corazza del feudalismo, rendendo possibile il propagarsi

delle idee democratiche. Lodava dunque la Germania sotto tale

punto di vista e per quanto riguardava il passato, ma credeva

di dover dare la palma alla sua propria patria perché, mentre

le altre nazioni giacevano ancora nell'oscurantismo e nella

schiavitù, essa aveva inalberato la bandiera del progresso

intellettuale, della cultura, della libertà. Tuttavia

l'omaggio che rendeva alla tecnica ed alle comunicazioni,

campo di lavoro di Giovanni Castorp, non era diretto

precisamente alle potenze in sé, ma a tali potenze solo

perché da quelle risultava un perfezionamento morale

dell’individuo. La tecnica - diceva sottomettendo sempre più

la natura con mezzi di comunicazione, con lo sviluppo delle

reti stradali e telegrafiche, vincendo le differenze di

clima, si dimostra il mezzo maggiormente atto ad avvicinare

l'un l'altro i popoli, a favorirne la vicendevole conoscenza,

a iniziare fra essi un equilibrio umano, a distruggere i loro

preconcetti e finalmente ad instaurare una unione generale.

La razza umana proviene dal buio, dalla paura, dall'odio ma

essa procede e si innalza sopra una via luminosa, verso uno

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

200

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

stato finale di simpatia, di intima chiarezza, di bontà e di

felicità, e la tecnica è il miglior veicolo per procedere su

tale via. [...]

Secondo la visione di Settembrini, nel mondo si combattevano

due principi: la potenza e il diritto, la tirannia e la

libertà, la superstizione e la scienza, il principio del

perseverare e quello del movimento e del progresso. Si

potrebbe chiamare l'uno il principio asiatico, l’altro quello

europeo, - diceva – poiché l’Europa è la terra della

ribellionone, della critica e dell'attività riformatrice,

mentre la parte orientale del mondo è la terra che

personifica la calma inerte, l'immobilità. Naturalmente non

si poteva nutrir dubbio alcuno su quale delle due potenze

avrebbe vinto alla fine: avrebbe vinto certamente quella

dell'attività riformatrice, del movimento, del progresso,

poiché la solidarietà umana traeva sempre nuovi popoli sulla

sua via luminosa, conquistava sempre più terre nella stessa

Europa e cominciava a penetrare anche in Asia. […]

Ogni processo di perfezionamento morale ha origine dallo

spirito della letteratura, da questo spirito di dignità, il

quale è nello stesso tempo lo spirito dell'umanità e della

politica. Sì, esso è un tutt'uno, è la stessa potenza ed idea

e si può chiamare con un unico nome. Qual è questo nome?

Questo nome si compone di sillabe, il cui senso e maestà;

esso è: civiltà.

[Naphta]: per quanto riguarda la degradazione dell’uomo,

essa si verifica storicamente in concomitanza con la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

201

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

degradazione dello spirito cittadino. Il Rinascimento, il

progresso, le scienze naturali ed economiche del

diciannovesimo secolo non hanno tralasciato di insegnare

nulla di quanto sembrava loro atto a promuovere questa

degradazione, a cominciare dalla nuova astronomia che fece

del centro dell'universo, del nobile teatro sul quale Dio e

il diavolo combattono per il possesso dell'uomo ardentemente

bramato da ambedue, un piccolo pianeta qualsiasi, e pose

temporaneamente fine alla grandiosa posizione cosmica

dell'uomo, sulla quale d'altronde si fondava l'astrologia.

[…]

Abbiamo qui citato a caso un esempio per dimostrare in qual

modo Naphta si ingegnasse di turbare il sano raziocinio. Ma

era peggio ancora quand'egli veniva a parlare della scienza,

alla quale non credeva. Non vi credeva - andava affermando -

poiché l'uomo era completamente libero di credere o di non

credere nella stessa. Quella era una fede come un'altra,

soltanto peggiore e più stupida di ogni altra. Perfino la

parola «scienza» in se stessa era l’espressione del realismo

più scipito che non si vergognava di prendere per oro colato

le problematiche immagini dell'oggetto riflesse

nell'intelletto, e di combinare con esse il dogmatismo più

sciocco e miserevole che mai fosse stato offerto all'Umanità.

Il concetto di un mondo sensibile esistente per se stesso non

era forse la più ridicola delle autocontraddizioni? Ma la

scienza naturale moderna, quale dogma, viveva esclusivamente

della premessa metafisica che le nostre forme di conoscenza:

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

202

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

spazio, tempo, causalità, nelle quali il mondo dei fenomeni

si rispecchia, fossero circostanze reali che potessero

esistere indipendentemente dal nostro intelletto.

Quest’asserzione monistica era la più grande spudoratezza che

fosse mai stata offerta allo spirito. Spazio, tempo,

causalità, in linguaggio monistico significavano sviluppo. In

questo consisteva il dogma centrale della pseudoreligione del

libero pensiero e dell'ateismo, col quale si voleva mettere

fuori uso il libro di Mosé contrapponendolo ad una favola

quanto mai stupida di scienza progredita, come se Haeckel

fosse stato presente al sorgere del mondo. Empirismo! E

l'etere universale rappresentava forse qualcosa di esatto?

L'atomo, quel grazioso scherzo matematico della «particella

più piccola e indivisibile», era provato? La dottrina della

incommensurabilità e realtà dello spazio e del tempo,

poggiava forse sull’esperienza? In verità, premettendovi un

po' di logica, si sarebbe arrivati a conseguenze e a

risultati allegri con tale dottrina: si sarebbe arrivati al

risultato del nulla. Alla concezione che il realismo è il

vero nichilismo. Perché? Per il semplice motivo che il

rapporto di ogni e qualsiasi grandezza verso l'infinito è

uguale a nulla. Non v'è grandezza nell'infinito, non v'è

durata né mutamento nell'eternità. Siccome

nell’incommensurabilità spaziale ogni distanza è

matematicamente uguale a zero, non vi possono essere neppure

due punti vicini, per tacere di corpi e meglio ancora di

movimenti. Umanità degna di compassione, quella che da

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

203

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

un'esposizione millantatrice di cifre senza valore s'era

lasciata persuadere della propria nullità e defraudare del

pathos della propria importanza!

(T. Mann, La montagna incantata [1924], vol. I, pp. 173-175,

177; vol. II, pp. 60, 379-380)

3.4. Commento del brano di Mann

Il brano contiene due temi che costituiscono la base del

pensiero di Mann: la cultura e la civiltà. Nonostante, questi

temi fossero stati già precedentemente trattati da filosofi e

pensatori della Germania, Mann fornisce una chiara

definizione di cosa sia la KULTUR e la ZIVILISATION.

La KULTUR affonda le sue radici alla tradizione ed assume

come modello il medioevo, una società retta da valori morali

e sociali assoluti e trascendenti, avente quindi un identità

forte e precisa. La KULTUR è perciò unità e compostezza,

forma e stile.

La ZIVILISATION è un concetto che risale alla rivoluzione

francese e all’illuminismo, secondo il quale l’uomo è

artefice del proprio destino. Ma l’uomo fa la storia per

mezzo della tecnica e della ragione ossia l’uomo è un

soggetto attivo della storia.

La ZIVILISATION è perciò lo spirito stesso della storia che

porterà inevitabilmente alla disgregazione, cioè al crollo

dell’organizzazione e della costruzione artistica che

caratterizzava la KULTUR.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

204

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

E’ evidente quindi un contrasto fra la creazione artistica e

la ragione. Infatti, l’uomo caratteristico della

ZIVILISATION, è indubbiamente molto istruito e capace di

sfruttare al meglio la sua ragione al fine di ottenere mezzi

tecnologici sempre più precisi, ma nel contempo poco

creativi rispetto al passato.

Caratteristica è a proposito una frase citata nel brano:

“l’arte va declinando nella misura in cui progredisce la

ragione.” Da qui deriva una inevitabile controversia tra la

ragione e la creazione artistica. La società moderna, quindi

la ZIVILISATION comporta la rovina e la dissoluzione

dell’arte che caratterizzò le civiltà antiche, nelle quali

Mann riconosce lo spirito della KULTUR in sé.

Quindi secondo Mann la KULTUR è vista come lo spirito

costruttore, mentre la ZIVILISATION è lo spirito di

dissoluzione. Il tema trattato da Mann viene poi accentrato

nella lotta fra KULTUR e ZIVILISATION che si verifica durante

la prima guerra mondiale: in altri termini la prima guerra

mondiale è vista da Mann come la lotta voluta dalla

ZIVILISATION, poiché quest’ultima non «si accontentava di

sfaldare lo stato».

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

205

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

4. ROLLAND ROMAIN:

4.1. La Vita e il pensiero

(Clemency, Nievre 1866 – Vézelay, Yonne, 1944)

Scrittore francese e cultore di filosofia, letteratura e

musica, Rolland insegnò storia dell’arte alla “Ecole normale

superiéure” e storia della musica alla “Sorbonne”. Compì

numerosi studi musicologici tra cui si ricordano: vie de

Beethoven (vita di Beethoven), Musiciens d’ autrefois

(Musicisti di un tempo) e la monografia di Beethoven. Nei

“cahiers de la quinzaine” di Peguy cominciò la pubblicazione

della sua massima opera “Jean-Christophe”. Questo romanzo è

la biografia di un immaginario musicista del Reno che lascia

la sua terra natia per trasferirsi a Parigi. Da Parigi, egli

si allontanerà nuovamente deluso dalla fatuità della cultura

francese. Il mondo europeo di fine secolo viene descritto e

confrontato con temi ideali tradizionali e tipici di Rolland

quali: il culto della sincerità e l’esaltazione dell’azione

eroica.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Rolland fece

scalpore con l’articolo pacifista “Au dessus de la melée” (al

di sopra della mischia). Nel 1915 gli fu conferito il premio

Nobel per la letteratura grazie all’importanza del suo

“credo” nella fratellanza umana. Nel 1919 Rolland pubblicò il

romanzo “Calas Breugnon”, la storia di un artigiano

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

206

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

borgognone del 1600 che, fra gli orrori della guerra, riesce

a mantenere intatto il suo amore per gli uomini. Ancora nel

1919 promosse una “dichiarazione di indipendenza dello

spirito” che fu sottoscritta tra gli altri da A. Einstein, M.

Gor’kij, B. Russel e B. Croce. Rolland fu promotore di una

cultura cosmopolita e controcorrente; egli esaltò in egual

modo Michelangelo e Tolstoy e manifestò simpatie sia per la

rivoluzione sovietica, sia per la non violenza gandhiana.

Negli ultimi anni, caratterizzati dalla sua presa di

posizione contro il nazismo, pubblicò una sorta di diario “le

voyage intérieur” (il viaggio interiore).

4.2. Rolland: l'idolo della Kultur: gli intellettuali nella

mischia.

Di certo anche gli intellettuali sono colpevoli. Infatti, se

possono essersi fatte ingannare le persone semplici che in

ogni paese accettano docilmente le notizie date loro in pasto

dai giornali e dai capi, la stessa cosa non è perdonabile a

chi per professione cerca la verità in mezzo all'errore e sa

quanto valgono le testimonianze dell'interesse o della

passione allucinata; prima di intervenire in questa orribile

disputa, la cui posta era la distruzione di popoli e di

tesori dello spirito, il loro elementare dovere (dovere di

lealtà quanto di buonsenso) sarebbe stato quello di

procurarsi inchieste sulle due parti. Per cieco lealismo e

per colpevole fiducia, si sono gettati a testa bassa nelle

reti che venivano loro tese dal loro imperialismo, hanno

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

207

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

creduto che il primo dovere fosse quello di difendere a occhi

chiusi l'onore del loro Stato contro ogni accusa, non hanno

compreso che il sistema più nobile per difenderlo era di

condannarne le colpe in modo da purificarne la loro patria.

[...]

Voi, infelici, voi rappresentanti dello spirito, avete di

continuo celebrato la forza e disprezzato i deboli, quasi non

sapeste che la ruota della storia gira, che questa forza

peserà di nuovo su di voi come nei secoli passati, nei quali,

almeno, i vostri grandi uomini seppero conservare il

vantaggio di non abdicare, di fronte ad essa, alla sovranità

dello spirito e ai sacri diritti della legge!

[…]

Elite europea, abbiamo due cittadelle: la nostra patria

terrestre e la Città di Dio. Dell'una siamo gli ospiti,

dell'altra i costruttori.

Doniamo i nostri corpi e i nostri cuori fedeli alla prima;

ma niente di ciò che amiamo - famiglia, amici, patria -

niente ha diritto sullo spirito.

Lo spirito è la luce, e il nostro dovere è di elevarlo al di

sopra delle tempeste e di scacciare le nuvole che tentano di

oscurarlo.

Il nostro dovere è di costruire più largo e più alto, tanto

da dominare l'ingiustizia e gli odi tra le nazioni, il muro

che cinge la città in cui devono unirsi le anime fraterne e

libere del mondo intero.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

208

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Da oltre quaranta secoli, i grandi spiriti che, hanno

raggiunto la libertà si sono sforzati di farne godere i

benefici ai loro fratelli, di emancipare l'umanità, di

insegnarle a vedere la realtà senza paure e senza errori di

guardare in se stessa senza falso orgoglio e falsa umiltà, di

riconoscere le proprie debolezze e le forze per dominarle, di

comprendere qual è il suo posto nell'universo.

E la luce del loro pensiero o della loro vita, come la

stella dei Magi, ha illuminato il cammino dell'umanità. Il

loro sforzo è fallito. Da oltre quaranta secoli, l'umanità

non ha cessato di essere asservita, non dico a dei padroni,

ma ai fantasmi del suo spirito. I padroni sono cambiati, gli

schiavi sono sempre gli stessi. Il nostro secolo ha

conosciuto due nuovi idoli.

Il primo è l'idolo della razza che, generato da sogni

generosi, è diventato nei laboratori di occhialuti scienziati

il Moloch lanciato contro la Francia dalla Germania del 1870,

e che gli avversari di questa, oggi, sembrano voler

ritorcerle contro.

Il secondo e ultimo venuto, autentica creatura della scienza

tedesca fraternamente unita con l’industria, il commercio e

la casa Krupp, è l'idolo della Kultur con la sua cerchia di

leviti costituita dai pensatori della Germania.

La caratteristica comune al culto degli idoli è

l'adattamento di un ideale ai cattivi istinti umani. L'uomo

coltiva i vizi da cui trae vantaggi, non vuole sacrificarli

ma sente l'esigenza di idealizzarli; per questa ragione il

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

209

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

problema che non ha mai cessato di tormentarlo, nel corso dei

secoli, è stato quello di conciliare un ideale con la propria

mediocrità.

La folla non ha dubbi, pone sullo stesso piano virtù e vizi,

eroismo e malvagità. La forza delle sue passioni e il rapido

fluire dei giorni la travolgono e le fanno dimenticare la

mancanza di logica.

Ma gli intellettuali non possono trovar soddisfazione così a

buon mercato. Non già perché, come si dice, siano meno

appassionati. (Giudicarli in tal modo è un grave errore).

Questi operai dello spirito amano la perfezione e disprezzano

il modo di pensare popolare, incapace di legare compiutamente

i fili del ragionamento, e hanno bisogno di una stoffa

razionale più unita, dove istinti ed idee si colleghino,

costi quel che costi, in un tessuto senza smagliature. In tal

modo gli intellettuali giungono a mostruosi capolavori. Date

loro un ideale e una passione, non importa quali siano, ed

essi troveranno sempre il mezzo per farli andare d'accordo:

per bruciare, uccidere e saccheggiare sono stati invocati

l'amore verso Dio e la solidarietà tra gli uomini. La

fraternità del '93 è sorella della santa ghigliottina; oggi

abbiamo visto uomini di chiesa cercare e trovare nel Vangelo

la legittimazione dei traffici bancari o delle guerre.

[…]

Ma bisogna riconoscere che né da una parte né dall'altra gli

intellettuali hanno fatto molto onore all'intelligenza:

nessuno l'ha saputa difendere dal soffio della violenza e

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

210

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

della follia. C'è una grande frase di Emerson che si applica

molto bene a questa loro sconfitta: « Nothing is more rare in any

man than an act of his own » (Niente è più raro in un uomo di un

atto che venga da lui stesso).

I gesti e gli scritti degli intellettuali sono stati loro

imposti da altri, dal di fuori, dall'opinione pubblica cieca

e minacciosa. Non voglio far torto a quelli che hanno dovuto

tacere perché sotto le armi o perché costretti al silenzio

dalla censura che regna nei paesi belligeranti. Ma l'inaudita

debolezza dei capi del pensiero, che ovunque hanno abdicato

di fronte alla follia collettiva, ha dimostrato assai bene

che essi non avevano carattere.

[…]

Chi abbatterà gli idoli? Chi aprirà gli occhi ai loro

fanatici settari? Chi farà loro capire che nessuna divinità

del loro spirito, sia essa religiosa o laica, ha il diritto

di venir imposta agli altri uomini, e di umiliarli, anche se

può sembrare la migliore? Pur ammettendo che la Kultur faccia

crescere, con il vostro concime tedesco, più grassa e più

abbondante la pianta umana, chi vi dà il diritto d'esserne i

giardinieri? [...]

Il vero intellettuale, l'uomo davvero intelligente, non fa

di sé e del proprio io il centro dell'universo. Al contrario,

guardandosi intorno vede, come nella prospettiva celeste

della Via Lattea, migliaia di fiammelle che brillano insieme

con la sua, e non tenta di assorbirle né d'imporre loro la

sua strada, ma cerca di comprendere religiosamente la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

211

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

necessità di tutte e la comune sorgente di fuoco che le

alimenta.

(R. Rolland, Al di sopra della mischia [1914], pp. 117, 119, 136,

166, 170-173)

4.3. Commento al brano di Rolland: L’idolo della Kultur

L’autore in questo brano affronta il problema della

relazione tra gli intellettuali e la guerra imminente. Egli

si scaglia contro gli intellettuali perché, come le

“semplici” persone, essi si sono fatti dominare dalle

passioni nazionalistiche senza adempiere al loro compito. Il

loro compito era quello di confrontare le diverse fazioni in

campo e scegliere quella che, secondo il buonsenso

dell’intellettuale è la migliore. Rolland preme sul tasto

della forma circolare della storia e quindi sul fatto che,

ciò che gli intellettuali stanno facendo nel suo periodo si

ripercuoterà su di loro nei tempi futuri.

Egli esorta l’élite europea a donare solamente i propri corpi

al mondo di dio, ma non sacrificare, a favore di questo, la

famiglia, gli amici, o la patria perché niente ha diritto

sullo spirito. La vita degli uomini è stata illuminata come

da una luce, proveniente dai grandi spiriti che sono riusciti

a raggiungere la libertà. L’umanità è stata sempre asservita

da dei fantasmi del suo spirito, dei padroni.

L’unica differenza tra l’asservimento del passato e quello

del presente è dato dal fatto che, seppure gli schiavi sono

sempre gli stessi, sono cambiati gli idoli. Il nuovo secolo

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

212

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

ha conosciuto due nuove idoli, quello della razza e quello

della Kultur, con la loro schiera di LEVITI costituita da

pensatori tedeschi.

Ciò che caratterizza la fede in un idolo piuttosto che in un

altro, è l’adattamento di questo alla cattiveria propria

della natura umana. Per questo motivo, uno dei problemi che

ha sempre assalito l’uomo è quello di conciliare un dato

ideale con la propria mediocrità.

Gli intellettuali non possono trovare soddisfazione allo

stesso modo delle semplici persone, in quanto essi devono

necessariamente essere amanti della verità e della

perfezione. Essi dovrebbero farsi portavoce degli ideali “più

alti” e disprezzare quelli mediocri e popolari. I potenti,

elaborando una serie di ideali e facendo degli intellettuali

i portavoce di questi, riescono a controllare e gestire le

reazioni della massa. Comunque sia, questi non sono ancora

riusciti ad onorare la loro intelligenza senza riuscire a

difenderla dalla violenza e dalla follia. Quasi tutti gli

intellettuali sono stati oggetto di influenze da parte dei

potenti, dimostrando di non avere carattere.

Rolland allude poi all’impossibilità di imporre degli idoli,

riferendosi ai capi del pensiero della Kultur tedesca che

plasmano a loro piacere le intelligenze dei tedeschi.

Il vero intellettuale, non pone se stesso al centro

dell’universo. Al contrario, Rolland paragona il genio ad una

delle tante stelle che compongono la via lattea, senza

imporre o sottomettere la propria luce a quella delle altre.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

213

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Essa deve cercare di comprendere quale sia la loro essenza,

in modo rispettoso. “Al di

sopra della mischia” (1914)

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

214

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

5. BENDA JULIEN

5.1. La Vita e il pensiero

(Parigi 1867- Fontenay-aux-Roses, Parigi 1915).

Benda fu letterato e filosofo francese. In vari saggi usciti

negli anni 1910/1920 propugnò, sia sul piano letterario sia

in sede estetica, un ritorno al classicismo, al razionalismo,

“all’intelligenza pura” in opposizione tanto al bergsonismo

imperante quanto al gusto contemporaneo per l’inesprimibile,

l’irrazionale, lo psicologico. Nel 1927 apparve il suo libro

più noto, “il tradimento dei chierici” in cui Benda accusa

gli intellettuali di aver tradito la causa della cultura per

un impegno politico irrazionalistico. Nelle opere successive

egli riaffermerà i valori democratici contro il nazionalismo

culturale prima, e il nazionalismo invasore poi. Inoltre

nella sua opera più celebre, di immediata e duratura fortuna

censurò gli intellettuali che, rinunciando alla

disinteressata ricerca della verità avevano politicizzato la

propria attività e optato per l’esaltazione degli affetti e

delle passioni. Criticò, su queste premesse, ogni forma di

settorialismo, di nazionalismo e di esasperato

individualismo.

Neoilluminista e difensore della classicità, fu ostile alle

nuove tendenze della letteratura contemporanea , accusandole

di alessandrinismo, di decadentismo e di oscurità. Opere

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

215

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

principali in tal senso sono: “dialoghi a Bisanzio”, “il

bergsonismo o una filosofia della mobilità”, e soprattutto

“il discorso alle nazioni europee”, Benda affrontò il

problema dell’unificazione europea, affermando la necessità

di creare una coscienza culturale unitaria.

A partire dalla critica sociale e politica, Benda maturò una

più organica concezione filosofica, che trovò espressione in

“la fine dell’Eterno” (1929) e soprattutto nel “Saggio di un

discorso coerente sul rapporto tra dio e il mondo” (1931):

tra dio (inteso come l’essere indeterminato) e mondo (inteso

come l’insieme dei fenomeni distinti), pone un dualismo

radicale espresso dalle due volontà del “dio infinito” e del

distinto.

Nel mondo contemporaneo Benda vede la progressiva espansione

della volontà di ritorno al dio infinito e perciò il

prevalere del contingente e dell’irrazionale. La sua

conclusione pessimistica è che il mondo fenomenico non ha più

bisogno del dio infinito. Da ciò Benda vide una riprova

dell’esistenzialismo che egli contestò come filosofia

dell’accidentale e del caduco (tradizione

dell’esistenzialismo, 1947).

5.2. Benda: la civiltà come felice accidente e l'imperialismo

della specie sulla natura.

Il fatto che la specie umana abbia adottato il realismo

integrale è definitivo o solo passeggero? Assistiamo, come

pensano alcuni, all'avvento di un nuovo - medioevo - molto

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

216

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

più barbaro del primo, tuttavia, poiché se in questo il

realismo veniva praticato, almeno non veniva esaltato - ma da

cui nascerà un nuovo Rinascimento, un nuovo ritorno al culto

del disinteresse? Le componenti del realismo attuale da noi

individuate non permettono certo di sperarlo.

E’ difficile immaginarsi che i popoli si impegnino davvero a

non riconoscersi più in ciò che li rende distinti, o, se vi

s'impegnano, che non lo facciano unicamente per concentrare

l'odio interumano nel campo della classe; riesce difficile

concepire un clero che riconquisti una vera potenza morale

sui suoi fedeli e che possa, ammesso che ne abbia il

desiderio, dir loro impunemente delle verità spiacevoli; è

difficile immaginarsi che una corporazione di letterati

(perché è l'azione corporativa che conta sempre di più) si

metta a tener testa alle classi borghesi invece di adularle;

e ancora più difficile è immaginarsi che risalga la corrente

della sua decadenza intellettuale e cessi di credere che sia

dar prova di alta cultura farsi beffe della morale razionale

e inginocchiarsi davanti alla storia.

Si parla invece di un’umanità che, esasperata dai suoi «

sacri egoismi » e dai massacri ai quali la condannano, lasci

un giorno cadere le armi e ritorni, come fece duemila anni

fa, ad abbracciare un bene situato oltre se stessa, che lo

abbracci con forza ancora maggiore di allora, sapendo con

quante lacrime e sangue ha pagato l'essersene allontanata.

Ancora una volta si avvererebbero le mirabili parole di

Vauvenargues: « Le passioni hanno insegnato agli uomini la

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

217

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

ragione ». Ma un tale processo non mi sembra realizzabile se

non in tempi lunghi, dopo che la guerra avrà portato al mondo

molti più danni di quanti ne abbia fatti finora.

Gli uomini non mettono in discussione i propri valori per

guerre che durano solamente cinquanta mesi e uccidono in

ciascuna nazione solo due milioni di uomini.

D'altra parte si può dubitare che la guerra diventi mai

tanto terribile da scoraggiare coloro che l'amano, tanto più

che questi non sempre sono quelli che la fanno.

Ammettendo questa restrizione alle nostre previsioni

pessimiste e ammettendo anche che l'avvento di una rinascita

sia una cosa possibile, noi vogliamo dire che è solo

possibile.

Non potremmo concordare con chi dichiara che è una cosa

certa, sia perché è già successa una volta, sia perché «la

civiltà è qualcosa di dovuto alla specie umana». La civiltà

come la intendo qui - il primato morale conferito al culto

dei beni spirituali e al senso dell'universale - mi sembra,

nello sviluppo dell'uomo, un felice accidente; essa vi è

sbocciata, tremila anni fa, per un insieme di circostanze di

cui lo storico ha sentito così bene il carattere contingente

da chiamarlo il «miracolo» greco; non mi sembra affatto

dovuta alla specie umana in virtù dei suoi dati naturali; mi

sembra così poco una cosa del genere che vedo numerosi

settori della specie (il mondo asiatico nell'antichità,

quello germanico nell'età moderna) che si dimostrano incapaci

di conseguirla e potrebbero rimanere tali.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

218

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

Vale a dire che se l'umanità giunge a perdere

quest'ornamento, ci sono poche probabilità che lo ritrovi; ce

ne sono invece molte che non lo ritrovi affatto, come se un

uomo che avesse trovato un giorno una pietra preziosa nel

fondo del mare e poi ve l'avesse lasciata ricadere, avrebbe

pochissime possibilità di rivederla.

Niente mi sembra meno fondato di quell'affermazione di

Aristotele secondo la quale è probabile che le arti e la

filosofia siano state più volte scoperte e più volte perdute.

La posizione contraria che vuole che la civiltà, a dispetto

di parziali eclissi, sia una cosa che l'umanità non può

perdere mi sembra non avere altro valore - ma è un valore

immenso per conservare proprio quel bene che vogliamo serbare

- che quello di un atto di fede.

Non crediamo che si voglia fare una obiezione seria quando

ci viene fatto presente che la civiltà, già perduta una volta

con la caduta del mondo antico, è stata però vista rinascere.

Oltre al fatto che nessuno ignora come lo spirito greco-

romano fu lungi dall'essersi veramente spento durante il

medioevo e come il XVI secolo ha fatto rinascere solo ciò che

non era morto, aggiungo che, anche se questa forma di spirito

allora fosse «rinata» ex nihilo, questo esempio pur non mancando

di turbarmi, per il fatto di esser unico non basterebbe a

rassicurarmi.

[...]

Dirò di più, che se l'esame del passato potesse portare a

qualche valido pronostico circa l'avvenire dell'uomo, questo

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

219

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

pronostico sarebbe tutt'altro che rassicurante. Si dimentica

che il razionalismo ellenico ha veramente illuminato il mondo

solo per settecento anni, in seguito si è oscurato per

dodici secoli e ha ricominciato a splendere appena da

quattro; di modo che il più lungo periodo di tempo

consecutivo sul quale, nella storia umana, possiamo fondare

delle induzioni è, insomma, un periodo di oscurantismo

intellettuale e morale.

Più sinteticamente, guardando la storia sembra si possa dire

che, tranne due o tre epoche luminose e di durata molto breve

la cui luce però, come quella di certi astri, illumina ancora

il mondo molto tempo dopo la loro estinzione, in generale

l'umanità vive nella notte, così come in generale le

letterature vivono nella decadenza e l'organismo nel

disordine.

Aggiungiamo, cosa che non manca di produrre, turbamento, che

l'umanità non sembra adattarsi poi così male a questo regime

di caverna e di lunghe stagioni. [...]

Dicevamo più sopra che la logica sottile di questo realismo

integrale professato dall'attuale umanità, è lo sterminio

reciproco organizzato delle nazioni o delle classi. Se ne può

concepire anche un'altra, che sarebbe invece la loro

riconciliazione, per cui il bene da possedere diventerebbe la

terra stessa, perché avrebbero finalmente capito che un buon

sfruttamento è possibile solo grazie alla loro unione, mentre

la volontà di collocarsi fuori del comune verrebbe trasferita

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

220

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

dalla nazione alla specie, insorta orgogliosamente contro

tutto ciò che le è estraneo.

E, infatti, tale tendenza esiste; esiste, al di sopra delle

classi e delle nazioni, una volontà della specie di rendersi

padrona delle cose e, quando un essere umano in poche ore

vola da un capo all'altro della terra, è tutta la razza umana

a fremere d'orgoglio e ad adorare se stessa come distinta dal

resto del creato.

Aggiungiamo che questo imperialismo della specie, in fondo,

è proprio ciò che predicano i grandi rettori della coscienza

moderna; è l'uomo, non la nazione o la classe, che Nietzsche,

Sorel, Bergson, esaltano, nel suo genio di rendersi padrone

della terra; è l'umanità, e non una sua frazione, che Auguste

Comte invita a compenetrarsi della coscienza di sé e ad

assumersi infine,come oggetto della propria religione. Si può

pensare a volte che tale tendenza si affermerà sempre più e

che per questa via si estingueranno 1e guerre tra gli uomini;

si arriverà così a una «fraternità universale», che però,

lungi dall'essere l'abolizione dello spirito di nazione con i

suoi appetiti e i suoi orgogli, ne sarà invece la forma

suprema, dove la nazione si chiama Uomo e il nemico Dio.

E allora, unificata in un immenso esercito, in un’immensa

fucina, non conoscendo altro che eroismi, disciplina,

invenzioni, irridendo a qualsiasi attività libera e

disinteressata, avendo smesso di collocare il bene al di là

del mondo reale e non avendo altro Dio che se stessa e le

proprie volontà, l’umanità arriverà a grandi cose, voglio

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

221

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

dire a una presa di possesso della materia che la circonda

veramente grandiosa, a una coscienza della propria potenza e

magnificenza veramente gioiosa.

E la storia sorriderà al pensiero che Socrate e Gesù Cristo

sono morti per questa specie.

Benda, Il tradimento dei chierici [1927], pp. 191-194, 196-97)

5.3. Commento al brano di Benda: la precarietà della civiltà.

Benda si interroga sulla natura dei suoi tempi, domandandosi

se l’avvento di un nuovo Medioevo potrebbe provocare la

nascita di un nuovo Rinascimento; ma egli sa bene che le

condizioni sociali attuali non permettono nemmeno di

sperarlo.

E’ difficile infatti immaginare un popolo che sappia

rinunciare all’individualismo, un clero che sappia

riconquistare un potere unicamente morale sui suoi fedeli,

così come è impossibile che una corporazione di letterati

possa diventare il principale avversario della borghesia

anziché il suo miglior alleato.

Di fronte al prevalere di forze disgregatrici, come il

militarismo e il patriottismo esasperato, Benda si chiede se

sia possibile superare la crisi provocata dalla guerra, e

ritornare ad una civiltà più giusta, più armonica.

Una rinascita quindi potrebbe essere possibile, ma ribadisce

il fatto che è solo possibile.

La civiltà è un felice accidente, nel senso che non è

qualcosa di dovuto alla specie umana, tant’è che molti si

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

222

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

dimostrano incapaci di conseguirla e, molti potrebbero

addirittura perderla.

Essa è sorta circa tremila anni fa per un insieme di

circostanze, per ciò che fu chiamato il “miracolo greco”:

l’esistenza stessa della civiltà quindi, è considerata quasi

un miracolo, come qualcosa di improbabile; perderla potrebbe

significare non riconquistarla più.

Dal punto di vista naturale l’uomo, di contro all’ideale

positivistico di progresso, non produce la civiltà attraverso

il benessere. Egli è contro la teoria del progresso

irreversibile, inevitabile e inarrestabile. Secondo Benda la

storia non progredisce necessariamente, anzi può addirittura

regredire.

Benda ritiene che l’umanità, eccetto due o tre ere luminose,

abbia vissuto nell’oscurantismo intellettuale e morale, e

oltretutto non sembra che si sia adattata poi così male a

questa buia condizione di decadenza.

La logica del realismo integrale tuttavia non consiste

esclusivamente nello sterminio delle nazioni o delle classi,

ma anche nella logica della loro riconciliazione, grazie alla

quale il bene da possedere diventerebbe la terra stessa: la

volontà della specie di rendersi padrona delle cose esiste

infatti al di sopra della nazione e delle classi. Dunque, a

differenza di Comte, Benda invita non l’uomo ma l’umanità a

prendere coscienza di sé e assumersi come oggetto della

propria religione. Questa tendenza potrebbe condurre

all’estinzione della guerra tra gli uomini, arrivando così ad

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

223

Quarta Parte: Kultur e Zivilisation

“una fraternità universale”, che non rappresenta l’abolizione

dello spirito di nazione, ma la sua forma suprema, dove la

nazione si chiama Uomo e il nemico è Dio.

In questo modo, l’umanità, non avendo altro Dio oltre sé

stessa, conquisterà la materia che la circonda, ritrovando

così la sua perduta armonia.

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

224

BIBLIOGRAFIA

AAVV Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Milano, Garzanti

Editore, 1982

AAVV Enciclopedia multimediale Rizzoli-Larousse, Milano,

Rizzoli, 1998

AAVV Dizionario Enciclopedico Italiano, Roma, Treccani

Editore, 1961

AAVV Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano,

Garzanti Editore,

1972

CIOFFI E ALTRI Profilo di storia della filosofia: ottocento e novecento,

Milano, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori,

1998

CROUZET, MAURICE Storia del mondo contemporaneo, Firenze, Sansoni,

1974

FREUD, SIGMUND Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Torino,

Boringhieri, 1975

GIARDINA E ALTRI L’età contemporanea, Roma-Bari, Editori Laterza,

1993

GIDDENS, ANTHONY Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1994

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

225

ISNENGHI, MARIO La grande Guerra, Firenze, Giunti, 1993

MANN, THOMAS La montagna incantata, Milano, dall’Oglio, 1965.

NACCI, MICHELA Tecnica e cultura della crisi, Torino, Loescher

Editore, 1982

Spengler, OSWALD Il tramonto dell’Occidente, Milano, Longanesi,

1970

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

226

SOMMARIO

Prefazione.................................................1Prima parte................................................3La rivolta delle masse.....................................31. Premessa...............................................31. La massificazione della società......................41.2. La massificazione in campo sociale e ideologico....51.3. la società di massa e la crisi della politica......52. L’irrazionalità come forma dell’uomo-massa...........62.1. La perdita dei valori e la disgregazione sociale. . .82.2. La rivolta delle masse.............................9

2. Gustave Le Bon........................................102.1. La Vita e il Pensiero.............................102.2. Le Bon: La psicologia delle folle.................112.3. Commento al brano di Le Bon: L’irrazionalità dellefolle..................................................15

3. Ortega Y Gasset Josè..................................173.1. La Vita...........................................173.2. Il pensiero.......................................173.3. Il Brano di Ortega: La ribellione delle masse.....193.4. 0rtega commento...................................21

4. Sigmund Freud.........................................234.1. La Vita...........................................234.2. Il pensiero: Il disagio della civiltà.............254.3. Il Brano di Freud: individuo e massa..............264.4. Il Commento.......................................30

Seconda parte.............................................33La crisi del positivismo e il dibattito sulla tecnologia. .331. Premessa..............................................331.1. La crisi delle scienze e il crollo del paradigmapositivistico..........................................331.2. Le magnifiche sorti e progressive.................341.3. La seconda rivoluzione scientifica e la crisi delpositivismo............................................361.4. Il fallimento del progetto sociale e politico delpositivismo............................................381.4.1 La scienza e il futuro...........................401.4.2. La divaricazione tra etica e politica...........41

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

227

1.4.3. Il trionfo del nichilismo e il destinodell’Occidente.........................................42

2. Haldane, John Burdon Sanderson........................442.1. La Vita...........................................442.2. Il brano di Haldane: Dedalo, la scienza e il futuro........................................................442.3. Commento ad Haldane: l’uomo del futuro come Dedalo 46

3. Bertrand Russell......................................493.1. La Vita...........................................493.2. Il Pensiero.......................................493.3 Il Brano di Russell: Icaro, il futuro della scienza 503.4. Commento: “Icaro” come destino dell’uomo nell’etàdella scienza..........................................52

4. Max Scheler...........................................554.1. La Vita e il Pensiero.............................554.2. Il Brano di Scheler: il capovolgimento dei valori el’industrialismo come decadenza........................564.3. Commento a Scheler: la società moderna comerisultato di un ribaltamento dei valori................59

5. Robert Musil..........................................615.1. La Vita e l’opera (1890-1942).....................615.2. Il brano di Musil: il mondo dell'uomo senza qualità........................................................625.3. Commento al brano di Musil: il demone della logicamatematica.............................................66

Parte terza...............................................68La morte di dio e il crollo dei valori....................681. Premessa: Il crollo dei valori........................681.1. La crisi dei valori...............................681.2. Nelle nebbie del domani...........................691.3. La morte di dio...................................711.4. La decadenza dell’occidente come “epoca delnichilismo”............................................72

1. Friedrich Nietzsche...................................751.1. La vita...........................................751.2. Il Pensiero.......................................761.3. Il brano di Nietzsche: "La morte di dio"..........781.4. Il Commento.......................................80

2. Hermann Broch.........................................822.1. La Vita...........................................822.2. Temi dell’opera di Broch..........................83

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

228

2.3. Il brano di Broch: la disgregazione dei valori....832.4. Commento a Broch: la dissoluzione dei valori......86

3. Johan Huizinga........................................873.1. La Vita...........................................873.2. Il pensiero.......................................883.3. Il brano di Huizinga: nelle ombre del domani......903.4. Il commento: la perdita del futuro................93

4. Stefan Zweig..........................................954.1. La Vita...........................................954.2. Il Pensiero.......................................964.3. Il brano di Zweig: la fine dell'« età d'oro dellasicurezza »............................................974.4. Commento al brano di Zweig: l’età contemporanea comeetà della crisi.......................................100

Parte Quarta.............................................102Kultur e Zivilisation....................................1021. Premessa: Il Tramonto dell’Occidente.................1021.1. La filosofia della storia di Spengler............1031.2. La decadenza delle civiltà: Kultur e Civilisation 105

2. Oswald Spengler......................................1082.1. La Vita e il pensiero............................1082.2. Il Brano di Spengler: il tramonto dell'Occidente ele illusioni del progresso............................1102.3. Commento al brano di Spengler....................113

3. Thomas Mann..........................................1153.1. La Vita e Le Opere...............................1153.2. Il Pensiero......................................1163.3 I Brani di Mann: cultura e civiltà................1173.4. Commento del brano di Mann.......................122

4. Rolland Romain.......................................1234.1. La Vita e il pensiero............................1234.2. Rolland: l'idolo della Kultur: gli intellettuali nellamischia...............................................1234.3. Commento al brano di Rolland: L’idolo della Kultur.126

5. Benda Julien.........................................1285.1. La Vita e il pensiero............................1285.2. Benda: la civiltà come felice accidente..........1295.3. Commento al brano di Benda: la precarietà dellaciviltà...............................................132

Bibliografia……………………………………………………………………………134Sommario................................................134

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

229

I.M.S. “Baudi di Vesme” – 1998/99 Classe V ALinguistico

230