soluzioni alla crisi d'impresa
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LE SOLUZIONI ANTICIPATORIE ALLA CRISI D’IMPRESA
Claudio Miglio www.studiomiglio.com
1. LE SOLUZIONI ANTICIPATORIE DELLA CRISI D’IMPRESA NEI PRINCIPALI
ORDINAMENTI DI CIVIL LAW
Lo studio degli ordinamenti più affini al nostro, in merito alle soluzioni
anticipatorie adottate per la soluzione della crisi di impresa, offre lo spunto
per una sana riflessione sulle modifiche e gli ammodernamenti normativi
che potrebbero essere apportati alla nostra legge fallimentare e, in
generale, anche al nostro diritto commerciale tenuto conto, per fare un
esempio, della scarsa capitalizzazione delle nostre società di capitali.
Analizzando i Paesi affini al nostro, nel complesso, il quadro che
emerge mette in luce, in ambito di procedure concorsuali, una crescente
sensibilità sviluppatasi nel tempo sul tema della prevenzione della crisi
d’impresa, che va di pari passo con l’attenuazione dei profili sanzionatori
e punitivi conseguenti al fallimento, anche facendo leva sul presupposto
che la prevenzione è la miglior cura per la malattia prima che possa
trasformarsi in patologia cronica irreversibile.
Nell’ordinamento tedesco, che per cultura e tradizione
rappresenta un riferimento naturale per il nostro, vi è un concetto
differente del presupposto oggettivo del fallimento: la vera e propria
insolvenza1 (Zahlungsunfahigkeit), intesa come l’incapacità del debitore
di poter adempiere alle obbligazioni scadute, che viene presunta in caso
di cessazione dei pagamenti. Il rischio di insolvenza, definito come
“incombente incapacità di adempiere” (drohende Zahlungsunfahigkeit),
che fonda la sola iniziativa del debitore, tanto commerciale che civile, e
1 L. GUGLIELMUCCI, La legge tedesca sull’insolvenza, Milano, 2000.
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conduce alla presentazione di un piano finalizzato al recupero della
liquidità nell’arco dei dodici mesi, grazie all’attestazione di un consulente
esterno con lo scopo di frenare iniziative strumentali, temerarie e dilatorie
dello stato di crisi. Infine, lo sbilancio patrimoniale, o da
“sovraindebitamento” (Uberschuldung), definito come la situazione per
cui “il patrimonio del debitore non copre più le obbligazioni esistenti”
anche tenendo conto della prosecuzione dell’attività di impresa: la
fattispecie, riferita alle sole persone giuridiche (ma anche per le società
personali nelle quali nessuno dei soci illimitatamente responsabili è una
persona fisica), prevede un vero e proprio obbligo dovere di attivarsi da
parte degli organi amministrativi e di controllo che in caso di omissione
sono perseguibili penalmente.
Come il nostro ordinamento anche quello tedesco è degno di
qualche critica, infatti è palesemente deficitario nel delineare i contorni
del “rischio di insolvenza”, non dando la giusta definizione del tempo di
osservazione e trascurando anche la discriminante qualitativa o
quantitativa relativa ai debiti che si prevede che il debitore in crisi non
riesca ad onorare con regolarità. Inoltre la procedura si applica sia agli
imprenditori sia agli insolventi civili, per i quali le asimmetrie informative in
danno dei terzi sono evidentemente accentuate, in modo tale da non
permettere una adeguata e puntuale informazione verso i terzi in merito
all’effettiva consistenza patrimoniale del debitore stesso.
L’ordinamento spagnolo, riformato di recente all’esito della Ley
Concursal n. 22 del 9 luglio 2003, ha previsto differenti profili di gradazione
dell’insolvenza ai fini dell’apertura del “concurso de acreedore”.
L’insolvenza, definita come la condizione per cui il debitore non possa
“adempiere regolarmente le obbligazioni esigibili” (art. 2 della L.C.), può
rilevare sia in forma di insolvenza imminente (confessata dallo stesso
debitore senza vincoli dal punto di vista probatorio: c.d. concurso
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volontario), o come insolvenza qualificata dal ricorrere di indici tipici (art.
2, 4° comma della L.C.), su segnalazione dei creditori (concurso
necessario) interessati.
Nel primo caso la norma prevede che si può accedere alla
procedura fallimentare non solo quando il debitore denuncia
un’insolvenza attuale, ma anche quando “prevede che non potrà
adempiere regolarmente e puntualmente le proprie obbligazioni” (art. 2,
3° comma della L.C.). La legge spagnola, a differenza dell’omologa
prevista dall’ordinamento tedesco, considera non solo la prevista
modalità, irregolare, dei futuri pagamenti, ma anche del tempo
dell’adempimento, sulla base di una “previsione di morosità”2
Infine per quanto riguarda l’ordinamento francese la legge di
riferimento è la Loi de sauvegarde des entreprises 845/ 2005 del 26 luglio
2005, in vigore dall’ 1 gennaio 2006, direttamente intervenuta all’interno
del Code de Commerce francese che prevede ora una nuova
procedura d’allerta per le società anonime, innescata dall’iniziativa dei
commissaires aux comptes (i nostri revisori legali e sindaci delle società di
capitali), i quali hanno obbligo di segnalare al presidente del consiglio di
amministrazione “fatti di natura tale da compromettere la continuità
dell’esercizio”. Nel caso di mancato adempimento da parte degli organi
sociali, adeguatamente sollecitati, la segnalazione della criticità rilevate
deve essere indirizzata al Tribunale competente il quale ha la facoltà di
“moral suasion”, fatta salva la possibilità, per la società in difficoltà, di
accedere volontariamente alle forme di salvaguardia concordate e
normativamente previste. Il diritto francese ha creato anche il modello dei
2 G. FALCONE, La riforma concorsuale spagnola, Milano, 2006, Giuffrè p. 96; G.
FAUCEGLIA, L’anticipazione della crisi d’impresa: profili di diritto comparato e prospettive
future, in Fallimento, 2009, p. 14.
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“groupements de prevention agréés”, ai quali possono accedere tutte le
imprese3.
Il modello francese, più affine al nostro modello del ’42,
sostanzialmente prevede in modo prevalente l’intervento giudiziario
anche nello stato di pre crisi dell’impresa ed è quindi un modello che
tende ad allontanarsi dal nostro recentemente riformato e che risente
maggiormente della logica diretta verso la de-giurisdizionalizzazione
della crisi di impresa, con una progressiva ed inesorabile emarginazione
del ruolo del Tribunale il quale partecipa attivamente solo nella fase della
tutela dei diritti dei terzi in sede contenziosa, ma che viene escluso, anche
a causa della sua naturale eccessiva complessità delle procedure, dal
ruolo di arbitro al momento della gestione della crisi fra il debitore in crisi
e i suoi creditori.
2. LE SOLUZIONI ANTICIPATORIE DELLA CRISI D’IMPRESA NEI PRINCIPALI
ORDINAMENTI DI COMMON LAW
Nei Paesi del common law l’obiettivo degli strumenti creati dal
legislatore nel corso del tempo è sempre stato quello di evitare la
disgregazione dell’impresa in crisi con la conseguente uscita dal mercato.
L’ordinamento britannico ha individuato nel tempo in tal senso delle
misure molto interessanti. Ciò grazie soprattutto al particolare tessuto
economico in cui sono collocate le aziende del Regno Unito con gli istituti
3 M. J. CAMPANA, L’impresa in crisi: l’esperienza del diritto francese, in Fallimento, 2003,
p. 978; M. J. CAMPANA, La prevenzione della crisi delle imprese. L’esperienza francese,
in AA.VV., La legislazione concorsuale in Europa, a cura di S. Bonfatti, G. Falcone, Milano,
2004, p. 233; M. GUERNELLI, La riforma delle procedure concorsuali in Francia e in Italia,
in Dir. Fall., 2008, I, p. 256.
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di credito votati maggiormente a finanziare le iniziative economiche che
sottopone il mercato.
La disciplina dell’insolvenza è attualmente regolata dal Companies
Act 2006 che offre al debitore due soluzioni per la crisi la prima
denominata Individual Voluntary Arrangement che è un vero e proprio
accordo tra società, soci e creditori dell’impresa che consente di
mantenere la gestione in autonomia dai beni propri e la seconda che
permette l’accesso alla procedura di liquidazione denominata
Bankruptcy. A prescindere dalle soluzioni adottate o dalle procedure
scelte, sono tutte soluzioni contraddistinte da un ruolo più o meno forte di
controllo del potere giudiziario fatto salvo per alcuni istituti
completamente privatistici disegnati dal legislatore. Nel caso in cui la
compagine dei creditori sia prevalentemente composta dagli istituti di
credito è stato previsto un vero e proprio meccanismo stragiudiziale
specifico denominato London Approach che, seppure meglio definito nel
1989 in modo formale, affonda le sue origini nelle prassi ormai consolidate
sorte negli anni ’70 e che si basa sul consenso, la persuasione e la
collegialità degli istituti di credito al fine di contemperare gli interessi di
tutti gli attori interessati all’accordo (debitore, creditori e soggetti terzi) e
al conseguente salvataggio dell’azienda in crisi. Con tale accordo
stragiudiziale le banche si impegnano a mantenere aperte le linee di
credito verso le aziende in crisi fino al completamento del piano di
risanamento e si impegnano anche a immettere nuova finanza nelle
casse dell’impresa in crisi facendosi carico, fra di loro, dei costi della
negoziazione dell’accordo. In tale contesto la stessa Bank of England
assume il ruolo chiave di mediatore che tende a convincere le banche
che non intendono sposare l’accordo o che hanno dubbi sul possibile o
probabile risanamento dell’impresa prospettato nel piano. Il ruolo
naturalmente degli istituti di credito è, in tal caso, anche di controllo sulla
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realizzazione effettiva del piano stesso nel corso del tempo, tenuto conto
che trattasi a tutti gli effetti di un accordo di natura esclusivamente
privatistica.
Questo tipo di istituto è quello che nel tempo ha ispirato l’analogo
nostro istituto, mutuato dall’ordinamento statunitense, predisposto
dall’A.B.I. ufficialmente nel 2000 e meglio denominato “Codice di
comportamento per affrontare i processi di ristrutturazione atti a superare
la crisi d’impresa”.
Il sistema normativo statunitense è senza dubbio quello più
innovativo rispetto agli altri Paesi. E’ infatti sufficiente prendere ad esame
i cosiddetti workout agreements, definiti come un accordo tra il debitore
in crisi e i suoi creditori che modifica le obbligazioni esistenti e permette al
debitore di poter restare sul mercato senza fallire, per meglio identificare
il carattere innovativo in materia di crisi d’impresa. Al pari degli omologhi
accordi del Regno Unito con le banche, anche essi si contraddistinguono
per la forte autonomia contrattuale fra le parti seppure sia prevista la
costituzione di un comitato dei creditori, il pagamento integrale di alcune
tipologie di crediti privilegiati rispetto ad altri e la postergazione del credito
rispetto ai nuovi crediti che sorgono con la prosecuzione dell’attività dopo
la sottoscrizione e la stipula dell’accorso. Il debitore, inoltre, dopo la stipula
del workout agreement può essere ammesso, negli Stati Uniti, alla
procedura di reorganization. Procedura che a norma del Chapter 11 da
al debitore la garanzia del divieto automatico dei creditori di soddisfarsi
al di fuori del concorso.
Appare evidente come nel sistema anglosassone in genere il
legislatore si sia posto da subito nell’ottica di valorizzare l’autonomia
contrattuale privata fra i vari soggetti coinvolti nella crisi d’impresa,
sempre senza la perdita di quelle garanzie pubbliche necessarie
dell’intervento dell’autorità giudiziaria la quale, una volta preso atto della
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buona fede del debitore, sarà l’autorità che concederà a quest’ultimo la
confirmation all’accordo. In caso contrario, qualora l’autorità giudiziaria
ravvedesse invece la cattiva fede del debitore sarà aperta senza indugio
la porta della procedura fallimentare.
3. LE SOLUZIONI CONCORDATE E STRAGIUDIZIALI DELLA CRISI D’IMPRESA IN ITALIA
L’impresa può entrare in uno stato di crisi a diversi stadi del suo ciclo
di vita, per cause di origine industriale o finanziaria. Lo stato di crisi
rappresenta un processo di deterioramento delle condizioni di equilibrio
gestionale dell’impresa che ha la sua manifestazione nella lenta
alterazione degli equilibri economico, patrimoniale e finanziario.
La diagnosi immediata di questa dinamica può portare all’arresto
di questa situazione di crisi che genera una progressiva distruzione di
valore e conduce l’impresa verso una situazione di dissesto il più delle
volte irreversibile, con la conseguenza che all’imprenditore non conviene
più intraprendere un percorso di risanamento e di ritorno al valore, di
contro, se il processo di alterazione degli equilibri economico, finanziario
e patrimoniale viene identificato nella fase iniziale e la crisi dell’impresa è
avulsa da fattori esogeni irreversibili, possono esistere adeguati margini di
manovra per mettere in piedi rapidamente ed in tempi rapidi un percorso
di risanamento.
Senza entrare nel merito del caso in cui la crisi dell’impresa dipenda
dal mutamento dell’ambiente competitivo che, naturalmente, se non
adeguatamente preventivato con appositi strumenti di analisi preventive
mette l’imprenditore nella condizione di non poter formulare adeguate
strategie aziendali finalizzate al reinserimento sul mercato dell’impresa
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ormai in dissesto, è opportuno analizzare come può l’imprenditore uscire
dalla crisi con un processo di risanamento dei debiti.
I modelli che hanno ispirato il nostro legislatore già diffusi da tempo
in altri Paesi hanno spinto sullo strumento della composizione concordata
della crisi d’impresa in accordo con il ceto dei creditori con il fine di
superare la crisi e scongiurare il dissesto che porta al fallimento e alla
chiusura inevitabile dell’impresa.
Le soluzioni concordate, proprio perché incentrate sul consenso dei
creditori, devono essere, veloci nel tempo ed indirizzate
fondamentalmente verso la garanzia degli interessi di questi ultimi senza
imporre vincoli o limiti rigidi ed insormontabili e soprattutto devono essere
tali da convincere tutti gli attori interessati che l’azienda sarà risanata e
che sarà in grado effettivamente di assolvere gli impegni assunti con
l’accordo con il ceto dei creditori, lasciando l’azienda al riparo da
eventuali iniziative individuali di autotutela dei singoli creditori,
garantendo al contempo la conservazione dei valori patrimoniali,
assicurando protezione agli atti compiuti per la messa a punto del piano
e per la sua puntuale esecuzione.
Il mutamento del contesto sociale ed economico nel quale si
confrontano le imprese del nostro Paese, il grave insuccesso delle soluzioni
della crisi d’impresa rimesse fino al 2005 a modelli predeterminati
rigidamente da parte della pubblica autorità, ha sollecitato e imposto al
legislatore la ricerca di soluzioni alternative che già nella prassi erano state
individuate negli accordi stragiudiziali di salvataggio delle imprese in crisi
ma che non erano dotati, essendo il loro carattere esclusivamente di
natura privatistica, delle tutele necessarie per giungere al successo.
Negli anni la principale procedura concorsuale, il fallimento, si è
dimostrata inadeguata al mutare dei tempi, al mutare della realtà
economica e al mutare del mercato e le sempre più forti spinte verso una
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riforma della ormai vecchia e superata legge fallimentare del 1942 hanno
condotto il legislatore a introdurre nuovi strumenti concorsuali (il piano
attestato stragiudiziale di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei
debiti) oltre che ad innovare in modo sostanziale il concordato
preventivo, introducendo nella Legge fallimentare anche il nuovo
concordato fallimentare.
Era dunque necessario stravolgere la fisionomia originaria e le
principali caratteristiche delle procedure concorsuali al fine di fornire
nuove e più attuali modalità di gestione della crisi d’impresa, alternative
alla liquidazione concorsuale che, così come impostata dal legislatore del
1942, era ormai sostanzialmente superata. Il fine che si è dato il legislatore
attuale è quello di anticipare la crisi irreversibile, privilegiare la tutela della
”continuità aziendale” e rimettere sul mercato l’impresa in crisi. Con le
riforme normative del legislatore dal 2005 ad oggi la nuova legge
fallimentare privilegia in primis gli strumenti di risanamento in un’ottica
conservativa, ove possibile, dell’azienda in crisi. Strumenti indirizzati verso
il risanamento dell’impresa e volti a scongiurare l’insolvenza, quindi il
fallimento.
Il legislatore attuale ha previsto a più riprese l’utilizzo di strumenti
negoziali e concordatari di risoluzione della crisi d’impresa che sono stati
costruiti nell’ottica anticipatoria della declaratoria di insolvenza e di
fallimento. Il legislatore ha finalmente preso coscienza che in taluni casi e
con determinate condizioni, salvare un’impresa in crisi e,
conseguentemente, mantenerla sul mercato, rappresentasse l’unica
modalità per far sì che la crisi non investisse, oltre l’imprenditore e i
creditori, anche le altre situazioni soggettive di tutti coloro che sono
coinvolti con la stessa impresa, imponendo una valutazione di volta in
volta sugli effetti che una liquidazione forzata e definitiva, con fuoriuscita
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dal mercato, contro la salvaguardia dell’impresa, comporterebbero sulle
posizioni di tutti i soggetti coinvolti.
Una legislazione concorsuale deve fornire ai soggetti coinvolti una
serie di strumenti che possano anche prevenire e risolvere le crisi
d’impresa lasciando alle parti stesse la scelta di quello più conforme al
caso specifico.
Gli strumenti che il nostro legislatore ha messo a disposizione della
disciplina delle procedure concorsuali dal 2005 in poi per gestire in modo
negoziale e pattizio la crisi d’impresa in ambito preconcorsuale, sono i
piani attestati e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Entrambi sono strumenti che danno la possibilità di instaurare un
percorso finalizzato alla salvaguardia della “continuità aziendale”. Sono
strumenti, fondamentalmente, innovativi, flessibili e soprattutto finalizzati
ad esaltare l’autonomia negoziale fra le parti, con il risultato che la
volontà dell’imprenditore di proseguire la propria attività e risanare la
propria posizione debitoria si sposi con l’interesse dei creditori di
raggiungere il miglior soddisfacimento delle proprie aspettative di
recupero del credito rispetto all’estrema soluzione del fallimento,
garantendo nello stesso tempo la prosecuzione del rapporto con il cliente
a protezione anche del mantenimento del mercato nel tempo.
Con il primo intervento di riforma della legge fallimentare del 2005
è stato introdotto nel nostro ordinamento, seppure collocato in modo
singolare, l’istituto del c.d. ance piano attestato di risanamento o piano
stragiudiziale di risanamento. La nozione del nuovo istituto si ricava dalla
lettura dell’art. 67, comma 3 lettera d) della Legge fallimentare che
invece è una parte dedicata alla disciplina di una specifica ipotesi di
esenzione dalla revocatoria fallimentare.
Si tratta nel caso di specie di un vero e proprio strumento
stragiudiziale che riprende lo strumento analogo privatistico che utilizzava
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il settore bancario e che sostanzialmente era contenuto nelle convenzioni
bancarie definite dal protocollo d’intesa sottoscritto da gran parte degli
associati ABI. Con questa novità è stato introdotto nel nostro ordinamento
uno strumento di tutela del risanamento aziendale dando validità
normativa al piano di risanamento stragiudiziale in modo tale da garantire
i creditori e l’imprenditore dai rischi civili e penali derivanti dall’insolvenza
e dal dissesto. Sotto l’aspetto penale infatti quando il piano è attestato in
modo idoneo, da un professionista qualifica ed individuato secondo la
norma, fa venir meno l’elemento soggettivo che configura la
responsabilità penale per dolo o colpa.
Lo strumento, seppure fortemente innovativo e richiesto dai giuristi,
quando è stato introdotto non ha accolto il favore degli operatori del
diritto fallimentare e solo negli ultimi tempi, essendo l’unico finalizzato alla
conservazione sul mercato delle aziende inizia ad essere meglio
apprezzato ed utilizzato.
Nel 2012 il legislatore ha inteso superare le perplessità e le criticità
sorte in sede di prima applicazione della norma ed ha introdotto le novità
richieste dal sistema sociale.
Il 2005 è, in ogni caso, l’anno fondamentale per il passaggio da un
approccio indirizzato verso il fallimento delle imprese in crisi ad un
approccio che, seppure abbia come procedure fondamentale il
fallimento, vede la crisi d’impresa più votata verso un accordo con i
creditori piuttosto che verso la liquidazione “forzata”.
In quell’anno sono stati introdotti anche gli “accordi di
ristrutturazione dei debiti” di cui all’art. 182 bis della Legge fallimentare. La
spinta ad introdurli normativamente giungeva dal mercato ed in
particolare da Confindustria, ABI e Banca d’Italia. Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti sono sostanzialmente dei concordati
stragiudiziali che diventano efficaci per legge nei confronti dei creditori
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solo se sono presentati al Tribunale di competenza nelle forme codificate
considerato che è il Tribunale stesso l’organo che li omologa. Il nuovo
istituto, poi migliorato nel tempo dal legislatore con successivi interventi
negli anni, è disciplinato dall’art. 182 bis della legge fallimentare e,
relativamente agli effetti prodotti, dall’art. 67 comma terzo, lett. e) della
Legge fallimentare. Insieme ai “piani attestati di risanamento” sono
fondamentalmente il vero tentativo di dare una veste normativa alla
figura del concordato stragiudiziale. Così quando l’impresa insolvente
raggiunge un accordo negoziale con una parte qualificata del ceto
creditorio la norma prevede una serie di protezioni finalizzate alla
risoluzione della crisi. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
rappresentano a tutti gli effetti uno strumento di risanamento per l’impresa
in crisi al quale si può ricorrere per ridurre la propria esposizione debitoria
e tentare di recuperare la “continuità aziendale” e si sostanziano in una
serie di accordi di natura privatistico / negoziale basati su un piano di
ristrutturazione che l’impresa in crisi raggiunge con tanti creditori
rappresentanti almeno il 60% dei crediti in totale e si basa, come
nell’istituto del piano attestato di risanamento, sulla relazione di un
professionista esperto che attesti la veridicità dei dati aziendali espressi nel
piano oltre che l’attuabilità dell’accordo e l’idoneità ad assicurare il
pagamento integrale dei creditori che non hanno sottoscritto l’accordo.
Anche l’istituto del “concordato preventivo” è stato
opportunamente modificato dal 2005 ad oggi con il fine di incentivare
anche l’uso di questo strumento di risoluzione della crisi d’impresa. Esempi
di modifiche apportate di recente sono la possibilità di anticipare la
protezione contro iniziative giudiziarie dei creditori dando la possibilità
all’impresa in crisi di presentare in Tribunale una semplice domanda di
concordato preventivo corredata dai bilanci degli ultimi tre esercizi per
poi riservarsi di presentare successivamente la domanda completa del
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piano e della documentazione necessaria dando la possibilità all’impresa
di compiere atti di ordinaria amministrazione.
L’introduzione di questi nuovi istituti rispondono all’esigenza di
contemperare la stabilità dei rapporti negoziali con l’evento
dell’insolvenza dell’impresa al fine di comporre, preventivamente
all’intervento del Tribunale, il conflitto fra tutti gli interessi diversi in gioco di
cui sono naturalmente portatori i vari soggetti coinvolti.
L’interesse perseguito con questi strumenti innovativi non è limitato
alla protezione del debitore, nel senso di aiutarlo a tornare in bonis sul
mercato, bensì anche del ceto creditorio e dei portatori in genere di
interessi che possono valutare la convenienza di ottenere con tali
strumenti maggiori vantaggi anche futuri (continuazione del rapporto con
il cliente per esempio) rispetto alla soluzione estrema liquidatoria forzata
che prevede l’istituto del fallimento anche nell’ottica della tutela
dell’interesse pubblico, dei posti di lavoro e del mantenimento delle
imprese, ove possibile, sul mercato a protezione anche dell’intero sistema
economico del Paese.
La ratio di questi istituti è anche quella di evitare con inutili
formalismi, con lunghe procedure autorizzative, con costi eccessivi e con
tempi lunghi, la liquidazione forzata dell’impresa in difficoltà mediante il
fallimento.
In estrema sintesi potremmo distinguere gli istituti che sono stati
analizzati in base alla loro natura (negoziale o giudiziale) e possono essere
classificati come segue:
- gli strumenti negoziali: che sono interamente rimessi
all’autonomia contrattuale delle parti, ma che risultano privi
della certezza e protezione che la legge riserva agli istituti
tipizzati;
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- gli strumenti negoziali “qualificati”: che sono rimessi
all’autonomia negoziale delle parti per quanto attiene al
contenuto, ma che sono sottoposti a precisi vincoli di validità e
fra questi troviamo i piani attestati di cui all’art. 67 c. 3 lett. d)
della Legge fallimentare e gli accordi di ristrutturazione dei debiti
di cui all’art. 182 bis della Legge fallimentare;
- le procedure concorsuali: che sono rimesse al coordinamento e
al controllo dell’Autorità Giudiziaria competente e fra queste
troviamo il fallimento con o senza concordato fallimentare e il
concordato preventivo.
Claudio Miglio (2014)