il sovraindebitamento del debitore non fallibile. le soluzioni alla crisi dopo il decreto...

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1 INDICE CAPITOLO I Il sovraindebitamento del debitore non fallibile: dalla responsabilità perpetua alla ristrutturazione del debito 1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità…………………………………………4 1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei debiti……………………………………………………………...……………10 1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria………………………………………………………………………15 1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento……………………………………………………22 1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure concorsuali…………………………………………………………………….29 CAPITOLO II Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’accordo del debitore e il piano del consumatore 2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con l’art. 5 l. fall……………………………………......………………………….43 2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore agricolo e gli altri identificabili per esclusione……………..………………....49 2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità, contenuto e deposito…………………………………………………………...55 2.4. Il giudizio di ammissibilità…………………………………….........................63 2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore……....72 2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del consumatore: la procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di merito………………………………………………………………………….76 2.7. La fase esecutiva………………………………………………........................89 2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore: le conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi giudiziali………………………..93

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1

INDICE

CAPITOLO I

Il sovraindebitamento del debitore non fallibile: dalla responsabilità perpetua alla

ristrutturazione del debito

1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della

disciplina e il bisogno di concorsualità…………………………………………4

1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei

debiti……………………………………………………………...……………10

1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina

originaria………………………………………………………………………15

1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della

crisi da sovraindebitamento……………………………………………………22

1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure

concorsuali…………………………………………………………………….29

CAPITOLO II

Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’accordo del

debitore e il piano del consumatore

2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica

al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con

l’art. 5 l. fall……………………………………......………………………….43

2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore

agricolo e gli altri identificabili per esclusione……………..………………....49

2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità,

contenuto e deposito…………………………………………………………...55

2.4. Il giudizio di ammissibilità…………………………………….........................63

2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La

procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore……....72

2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del consumatore: la

procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di

merito………………………………………………………………………….76

2.7. La fase esecutiva………………………………………………........................89

2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore: le

conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi giudiziali………………………..93

2

CAPITOLO III

La terza procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’alternativa

liquidatoria e l’eventuale esdebitazione

3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le condizioni di

ammissibilità e la domanda di liquidazione………………………………….100

3.2. La conversione della procedura di composizione della crisi nella soluzione

liquidatoria…………………………………………………………………...108

3.3. Il decreto di apertura…………………………………………........................110

3.4. Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies a confronto con la dichiarazione di

fallimento: gli effetti nei confronti del debitore e dei creditori, l’azione

revocatoria ordinaria e i rapporti

preesistenti……………………………………………………………………115

3.5. La formazione dello stato passivo……………………………………………125

3.6. Le attività del liquidatore: elementi di confronto con il curatore

fallimentare…………………………………………………………………...130

3.7. Il patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela……………………136

3.8. La disciplina mancante: la ripartizione dell’attivo…………………………...141

3.9. La disciplina dell’esdebitazione: requisiti strutturali e procedurali…...…......144

CAPITOLO IV

Gli organismi di composizione della crisi

4.1. Le finalità, le caratteristiche principali e la natura giuridica degli OCC. La

nomina…………….………………………………………………………....156

4.2. Il registro degli OCC e il Decreto ministeriale n. 202 del 24 settembre

2014………………………..………………………………………………...164

4.3. I compiti attribuiti agli Organismi di composizione della crisi e il potenziale

conflitto di interessi………………………………………………………….173

4.4. L’accesso alle Banche dati pubbliche…………………………………….....178

CAPITOLO V

Le sanzioni penali

5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della procedura di

composizione della crisi ………………………..............................................184

5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la procedura di

composizione della crisi……………………………...………………………189

5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione della

crisi…………………………………………………………………………...192

3

CAPITOLO VI

Spunti per un’ulteriore analisi: l’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l.

fall. e la l. n. 3/2012. Osservazioni conclusive in merito alle procedure di composizione

della crisi da sovraindebitamento e relative criticità

6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la l. n.

3/2012

6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure concorsuali

all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l.

fall………………………………………………………………………196

6.1.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione ex art.

182-bis l. fall. o l. n. 3/2012?..............................................................................206

6.2. Considerazioni conclusive e criticità persistenti nella legge n. 3 del 27 gennaio

2012…………………………………………………………………………….219

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………..229

GIURISPRUDENZA…………………………………………………………………237

SITOGRAFIA………………………………………………………………………...239

RINGRAZIAMENTI………………………………………………………………...240

4

CAPITOLO I

Il sovraindebitamento del debitore non fallibile:

dalla responsabilità perpetua alla ristrutturazione del debito

Sommario: 1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento

italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità - 1.2.

L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei debiti - 1.3.

La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria - 1.4. Il

decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della

crisi da sovraindebitamento - 1.5. La natura concorsuale dei procedimenti

di composizione della crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le

altre procedure concorsuali

1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano:

le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità

Il debitore non fallibile è il destinatario della disciplina speciale in

materia di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dalla

legge n. 3 del 2012; la normativa si discosta da quella rappresentazione

del rapporto tra insolvenza civile e insolvenza commerciale che si traduce

nell’esclusione del debitore civile dal fallimento, oltre che dalla fruizione

del beneficio dell’esdebitazione e dalla possibilità di accesso alle

soluzioni concordate.

Il debitore non fallibile, secondo la disciplina originaria, è soggetto

alla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. che trasforma il

patrimonio dell’obbligato in una garanzia generica del credito, mentre

l’imprenditore commerciale fallibile ha la tutela e i benefici che derivano

dalla soggezione al fallimento.

La legge n. 3 del 2012 e, nello specifico, le modifiche apportate

dall’intervento del d.l. n. 179 del 2012, mitigano queste differenze

5

attraverso la disciplina di tre distinte procedure concorsuali1: l’accordo di

ristrutturazione dei debiti del debitore civile e il piano del consumatore

disciplinati dall’art. 7; la procedura di liquidazione del patrimonio del

debitore ex artt. 14-ter ss.

I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento

sono attivabili dal debitore non fallibile solo a fronte di una situazione di

“sovraindebitamento conclamato”2 e consentono di ristrutturare il debito,

di vincolare tutti i creditori, anche i dissenzienti3, e nel caso specifico

della liquidazione dei beni del debitore di accedere, se sussistono tutte le

condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione che prima della legge

n. 3 del 2012 era a esclusivo appannaggio del solo imprenditore

commerciale fallito.

Prima di procedere all’analisi della disciplina originaria in materia

di sovraindebitamento, è necessario comprendere che cosa si intenda per

debitore non fallibile.

L’espressione fa riferimento a tutti quei soggetti esclusi dalla

disciplina del fallimento in quanto non soddisfano i requisiti richiesti

dall’art. 1 della legge fallimentare: gli imprenditori commerciali che non

1 Sulla dubbia natura concorsuale della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta con la legge n. 3 del 2012 e in merito all’evoluzione della qualificazione in termini di concorsualità a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 179 del 2012 si rimanda al Paragrafo cinque del presente Capitolo. Nello specifico, per una definizione in termini di concorsualità delle nuove procedure di composizione della crisi v. D. VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto <<oggettivamente>> concorsuale, in Dir. Fall., 2012, p.764 ss. Sempre sulla natura concorsuale delle procedure di composizione della crisi v. F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013, p. 11. Per un’opinione diversa v. V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Riv. dir. comm., 2013, p. 654 ss. 2 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., 2013, p. 1246. 3 Il piano del consumatore non richiede il raggiungimento di un consenso tra debitore e creditori rappresentanti una certa percentuale dell’ammontare del credito. Per l’omologazione del piano del consumatore è sufficiente la positiva deliberazione del tribunale sulla fattibilità dello stesso, mentre i creditori possono contestare solamente la convenienza del piano omologato.

6

raggiungono le soglie di fallibilità4; i piccoli imprenditori ai sensi dell’art.

2083 c.c.; gli imprenditori agricoli; i consumatori; gli altri debitori civili;

gli enti non commerciali; i soci di società di persone assoggettabili al

fallimento della società in estensione ai sensi dell’art. 147 l. fall.

La ragione dell’esclusione dalla disciplina del fallimento del

debitore civile è individuata dalla Corte Costituzionale nella natura

dell’attività da essi esercitata, “giacché lo svolgere attività commerciale

organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa

da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale

l’aver limitato alla prima la disciplina, né sono arbitrari i motivi di tale

limitazione”5.

L’individuazione a fronte di una situazione di crisi di diversi

strumenti riconosciuti all’imprenditore commerciale rispetto al debitore

civile, secondo la Corte, dipende dagli effetti pregiudizievoli che sono

prodotti dall’insolvenza civile rispetto all’insolvenza commerciale, nel

senso che tali effetti nel primo caso si rivolgono esclusivamente ai singoli

rapporti obbligatori intrattenuti dal debitore, mentre il dissesto

commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale: il

pregiudizio coinvolge il ceto dei creditori, il sistema creditizio e il

fondamento della vita del commercio6.

4 Perché possa essere dichiarato il fallimento il debitore (imprenditore commerciale) deve aver superato i limiti patrimoniali e reddituali fissati dal secondo comma dell’art.1 l. fall. Non è soggetto al fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso dei seguenti requisiti: a)aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b)aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c)avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiori ad euro cinquecentomila. Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministero della giustizia sulla base delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo, per adeguarli alla svalutazione monetaria. È sufficiente aver superato anche uno solo di questi limiti per essere esposti al fallimento. 5 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 6 Corte Cost. 23 marzo 1970, n. 43 v. SPAGNUOLO, Le ragioni dell’esclusione dal fallimento del debitore civile, in La nuova legge fallimentare <<rivista e corretta>>, 2008, p. 445.

7

Il diverso trattamento previsto dalla legge per l’insolvenza civile e

per l’insolvenza commerciale sfugge al giudizio di conformità ai principi

costituzionali, rientrando nell’area delle scelte discrezionali del

legislatore7.

“L’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore e

dell'insolvente civile si basa su una valutazione di politica economica-

sociale e di opportunità giuridica” 8 , tale esclusione sembrerebbe

proporzionale rispetto al grado di allarme sociale generato dal fenomeno

della crisi, per cui le procedure concorsuali si rivolgono alle sole imprese

di non modeste dimensioni per le ripercussioni che un loro dissesto può

produrre nell’economia generale, un’esigenza non ravvisabile negli altri

casi9.

A fronte di questa esclusione dal fallimento, la disciplina

originaria assoggetta il debitore non fallibile alla responsabilità

patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.: l’obbligato risponde

all’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti

e futuri.

Ne deriva “una responsabilità potenzialmente perpetua” 10 per

l’insolvente civile, dovendo rispondere anche con i beni e i crediti che

verranno eventualmente ad esistenza.

In una posizione diversa si colloca invece l’imprenditore

commerciale, il quale, in caso di insolvenza, ha la possibilità di liberarsi

dalle obbligazioni non soddisfatte attraverso una proposta di concordato

preventivo o, in caso di dichiarazione di fallimento, di concordato

fallimentare, o attraverso l’istituto dell’esdebitazione di cui all’art. 142 l.

fall.

7 Corte Cost. 27 luglio 1982, n. 145, in Foro.it, 1982, I, 3006. 8 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 9 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, in Dir. Fall., 2013, p. 565 . 10 A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21.

8

Procedendo nell’analisi della figura dell’insolvente non fallibile, la

regolamentazione originaria non offre al debitore civile una possibile

rimessione dei debiti, e la ragione che circoscrive la fruizione

dell’esdebitazione al solo imprenditore commerciale fallibile è ricollegata

alla presenza di un’attività economica la cui ripresa è conveniente per il

fallito stesso che, tornato in bonis, potrà continuare a “fare impresa”, e

per il mercato che potrà sfruttare il “ricambio imprenditoriale”11.

Il motivo per cui il debitore civile, e nello specifico il

consumatore, viene estromesso dalla possibilità di liberarsi dalle

obbligazioni non soddisfatte è rintracciabile nel fatto che le persone

fisiche hanno un impiego del denaro più libero e gli eventi che causano

l’insolvenza possono avere diversa natura ed essere al di fuori della sfera

di controllo del creditore o dello stesso debitore12.

È inevitabile riconoscere che la previsione di un’esdebitazione a

favore di questa categoria di insolventi è invece una soluzione

“apprezzabile, oltre che socialmente e umanamente, anche

economicamente consentendo al soggetto che ne beneficia di risollevarsi

ricominciando un’attività lavorativa e una vita dignitosa”13.

Dall’altra parte del rapporto obbligatorio si colloca il creditore

che, in luogo della disciplina originaria, ha come unica tutela lo strumento

dell’esecuzione individuale.

Attraverso l’esecuzione individuale l’ordinamento accorda

rilevanza all’interesse del singolo creditore ad ottenere la soddisfazione

della propria pretesa, il quale però si scontra con gli interessi che fanno

capo a tutti gli altri creditori dell’insolvente.

La disciplina generale inoltre rafforza le prerogative individuali

dei creditori dell’insolvente attraverso la regola dettata dall’art. 1186 c.c.

11 S. PACCHI, Il sovraindebitamento. Il regime italiano, in Riv. dir. comm., 2012, p. 673. 12 B. PENAS MOYANO-D. PORRINI, Il sovraindebitamento delle famiglie: il rimedio del debitore e l’esperienza spagnola, in http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=209&cf=2, p. 21. 13 S. PACCHI, op. cit., p. 672.

9

che individua proprio nell’insolvenza una delle cause della decadenza del

debitore dal beneficio del termine a suo favore.

Il risultato che ne scaturisce è che tutti i creditori, sia quelli muniti

di titolo scaduto, sia quelli muniti di titolo non scaduto, possono

immediatamente esercitare l’azione esecutiva sul patrimonio

dell’insolvente.

Dall’altra parte i pagamenti effettuati dal debitore spontaneamente

relativi a debiti scaduti risultano irrevocabili alla stregua di quanto

affermato nel terzo comma dell’art. 2901 c.c.

L’art. 1886 c.c. rappresenta, come già detto, uno strumento con

cui si rafforzano le prerogative dei singoli creditori e con cui

contestualmente si rende inoperante la distinzione fra titolari di crediti

scaduti e titolari di crediti non scaduti e di conseguenza la preferenza

riconosciuta ai primi.

L’art. 2741 c.c., affermando che i creditori hanno eguale diritto di

essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di

prelazione, stabilisce in realtà una par condicio creditorum diversa da

quella che si instaura col fallimento: il conflitto non riguarda tutti i

creditori, ma soltanto quelli che hanno preso parte alla singola

esecuzione; la distribuzione del ricavato non riguarda il valore dell’intero

attivo, ma il ricavato della vendita coattiva dell’elemento nei cui confronti

è stata esercitata l’azione esecutiva.

A fronte di questa breve analisi, ciò che risulta è un bisogno di

concorsualità che è manifesto nei creditori non professionali, i quali non

facendo ricorso, a differenza di banche ed istituti finanziari, alle cc.dd.

Centrali rischi, non hanno la possibilità di effettuare una valutazione

preventiva dello stato di insolvenza del debitore non fallibile.

Tale bisogno di concorsualità, è avvertito dai creditori non

professionali piuttosto che dalle banche e dagli istituti finanziari, poiché

quest’ultimi potendo conoscere l’insolvenza del proprio debitore possono

10

attivarsi con tempestive azioni esecutive per la soddisfazione delle

proprie ragioni.

Per banche e istituti finanziari sembrerebbe auspicabile che

l’apertura di una procedura concorsuale non avvenga, perché sarebbero

obbligate a concorrere con altri creditori e a soggiacere alle tempistiche

necessarie per la conclusione della procedura.

Al contrario, il creditore non professionale non avendo a

disposizione strumenti per una valutazione preventiva dello stato di

insolvenza del debitore, non è detto che attivi tempestivamente la

procedura esecutiva, per cui la concorsualità nella procedura contro

l’insolvente civile risulterebbe per questi creditori preferibile per la tutela

dei loro diritti.

Nei paragrafi successivi del presente Capitolo l’analisi si

concentrerà sull’individuazione dei passaggi legislativi che hanno

condotto alla formulazione dell’attuale testo della l. n. 3 del 2012,

tenendo in considerazione i due poli della disciplina che fanno capo

rispettivamente all’interesse del debitore e del creditore: la

ristrutturazione del debito e la prospettiva dell’esdebitazione da una parte,

la parità di trattamento dall’altra.

1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei

debiti

La legge n. 3 del 2012 è il risultato di un iter legislativo

particolarmente complesso che ha avuto origine con l’approvazione

unanime da parte del Senato il 1 aprile 2009 del c.d. disegno di legge

Centaro, dal nome del parlamentare proponente.

Dopo una giacenza di oltre due anni la proposta viene modificata

dalla Camera il 26 ottobre del 2011 e definitivamente approvata dal

Senato il 17 gennaio 2012, per divenire l. n. 3 del 2012 pubblicata nella

11

Gazzetta ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2012 ed entrata in vigore il

trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione.

Il secondo capo della legge, prima di essere modificato dal d.l. n.

179 del 2012, recitava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione,

nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”.

Contestualmente, o più precisamente durante il periodo in cui la

legge in analisi si trovava ancora in Senato per la seconda lettura, il

Governo è intervenuto sulla materia con il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212,

recante “Disposizioni urgenti in materia di composizione della crisi da

sovraindebitamento e disciplina del processo civile”, pubblicato nella

Gazzetta ufficiale n. 24 del 22 dicembre 2011 ed entrato in vigore il

giorno stesso14.

La relazione illustrativa del decreto legge affermava che esso

“trova la sua giustificazione nel contesto dell’attuale eccezionale

situazione di crisi economica che investe indifferentemente famiglie e

imprese e richiede una risposta urgente, anche sul piano degli strumenti

(processuali e non) per la gestione delle situazioni di conflitto nell’ambito

dei rapporti civili ed economici”.

Il legislatore aveva già mostrato l’intenzione di aprire nuovi

scenari attraverso provvedimenti di urgenza, ne è un esempio infatti il d.l.

n. 98 del 2011 che consente all’imprenditore agricolo in crisi di avvalersi

dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e della “transazione fiscale” di

cui rispettivamente all’art. 182-bis e 182-quater l. fall.

Il d.l. 212 del 2011 nel capo I riproduceva, con modificazioni di

dettaglio, il testo del disegno di legge Centaro; di conseguenza il decreto

legge in questione ha rappresentato un’anticipazione dei contenuti della

legge n. 3 del 2012 che è stata pubblicata dunque a decreto vigente e

ancora in fase di conversione.

14 Per un’analisi esaustiva della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dal d.l. n. 212 del 2011 v. A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21 ss.; M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it, doc. 278/2012.

12

Il disegno di conversione del d.l. n. 212/2011 manifestava però

l’intenzione di modificare il testo del decreto d’urgenza, introducendo

nell’ordinamento un’autonoma disciplina del sovraindebitamento

destinata al consumatore con la previsione di una procedura alternativa di

liquidazione del patrimonio.

Il provvedimento di conversione avrebbe inoltre novellato la

stessa legge n. 3 del 2012 con una serie di modifiche tra cui la previsione

di un doppio procedimento che si sarebbe articolato nella formulazione di

un piano e nella previsione di una procedura di liquidazione15.

Il risultato sarebbe stato il seguente: il d.l. n. 212/2011 avrebbe

disciplinato una procedura i cui i destinatari erano i consumatori, e a tutti

gli altri soggetti non assoggettabili alle procedure concorsuali, diversi dal

consumatore, si applicava l’iter previsto dalla l. n. 3 del 2012.

Tuttavia la conversione del decreto legge ha previsto la

soppressione di tutti gli articoli del decreto stesso che regolavano il

sovraindebitamento, identificando così nella sola legge n. 3 del 2012

l’unica fonte della disciplina del sovraindebitamento.

Il legislatore attraverso la normativa speciale in materia di

composizione della crisi da sovraindebitamento offre una strategia di

reazione a una situazione di indebitamento ormai già compromessa, ma

non rappresenta l’unico rimedio individuabile per far fronte a questo

fenomeno.

Il sovraindebitamento può essere distinto in attivo, passivo o

differito: attivo quando è determinato da comportamenti del debitore;

passivo quando è il risultato di fattori esterni indipendenti dalla volontà

del debitore e fuori dalla sua sfera di controllo; differito quando si

manifesta in un arco temporale che si protrae nel tempo e può riguardare

due distinte tipologie di nuclei familiari: “quelli caratterizzati dalla

permanenza…o dal ritorno di figli oltre il compimento del trentesimo

anno di età…e quelli nei quali un buon tenore di vita è garantito dal

15 D. MANENTE, op. cit., p. 558 ss.

13

contributo assicurato dalla pensione di un familiare anziano

convivente”16.

Conoscere questa distinzione è importante per l’elaborazione di

strategie preventive e successive17.

Il tema del sovraindebitamento è inoltre legato ad altri temi

rilevanti quali ad esempio il consumo consapevole e il prestito

responsabile, che costituiscono alcune forme di strategia ex ante al

fenomeno in analisi. Il primo rappresenta un approccio consapevole al

credito che, attraverso il rispetto dei criteri di correttezza e chiarezza,

promuove una maggior conoscenza dei prodotti del credito al fine di

adottare prudenza nell’assunzione di obbligazioni; il secondo è rivolto

invece a banche e istituti finanziari affinché la concessione del credito

avvenga a seguito di un’analisi accurata delle condizioni economiche del

cliente18.

Tornando all’analisi della l. n. 3 del 2012, è importante

evidenziare, in riferimento agli interessi che essa tutela, che è la legge

stessa, già nella sua versione originaria, a far sorgere il c.d. “interesse del

debitore alla ristrutturazione dei debiti”, interesse che si concretizza nella

possibilità di raggiungere un accordo con una porzione qualificata di

creditori in merito alla ristrutturazione della propria complessiva

esposizione debitoria19.

Il rapporto obbligatorio da sempre esprime due ordini di interessi,

il primo riferibile al creditore e si sostanzia nella tutela offerta dalla

responsabilità patrimoniale e dall’esecuzione forzata, il secondo riferibile

al debitore e si traduce nell’istituto della mora del creditore.

16 E. PELLECCHIA, op.cit., p. 1259. 17 Per un approfondimento delle strategie ex ante ed ex post v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza la sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e alla ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, p. 27 ss. 18 S. PACCHI, op. cit., p. 677 ss. 19 Sulla natura dell’interesse e in merito alla relazione di complementarietà con i diritti dei creditori v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 177 ss.

14

La normativa speciale in materia di sovraindebitamento

arricchisce il rapporto obbligatorio, che ora esprime anche l’interesse del

debitore alla ristrutturazione dei debiti.

La l. n. 3 del 2012 fa sorgere dunque un nuovo interesse che nasce

dall’individuazione del sovraindebitamento come presupposto oggettivo

di applicazione della disciplina.

Nell’affermare questo si fa riferimento a quella parte della dottrina

che individua come una delle differenze rintracciabili fra i due concetti di

insolvenza e di sovraindebitamento proprio gli interessi tutelati20.

Quando si parla di insolvenza la disciplina generale, come visto

nel paragrafo precedente, accorda preminenza all’interesse del creditore

alla soddisfazione delle proprie pretese; quando si parla di

sovraindebitamento la questione appare più complessa.

In primo luogo le cause del sovraindebitamento sembrano essere

molteplici (strutturali, culturali, macroeconomiche), e a titolo

esemplificativo è possibile prenderne in considerazione alcune: la facilità

di accesso al credito che risulta dallo sviluppo dell’industria del credito e

dalla deregolamentazione del sistema; l’espansione dell’offerta di credito

che si manifesta nella creazione di una vasta gamma di prodotti rivolti ai

soggetti a basso reddito o a quelli già indebitati; i fattori di instabilità

sociale ed economica che influenzano la domanda di credito

aumentandola quali malattia, perdita del lavoro, divorzio ecc.; la crisi

occupazionale che ha mostrato l’inadeguatezza del welfare dei Paesi

europei nel far fronte ad un periodo di lunga disoccupazione21.

In luogo di quanto fin qui evidenziato, è inevitabile notare la

centralità della figura del debitore quando si parla di sovraindebitamento;

un inquadramento di questo fenomeno nei soli termini di insolvenza non

sembrerebbe né sufficiente né opportuno, perché facendo riferimento al

20 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., cit., p. 1256 ss. 21 Per un’esaustiva individuazione delle cause del sovraindebitamento v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e alla ristrutturazione dei debiti, cit., p. 11 ss.

15

solo piano degli interessi, l’insolvenza è, a differenza del

sovraindebitamento, indifferente alle cause del dissesto patrimoniale e

indifferente alla valutazione di possibili ricadute dell’insolvente, aspetti

che invece hanno motivato il legislatore nella redazione della l. n. 3 del

2012.

Se la disciplina dell’insolvenza si traduce nell’esclusiva

salvaguardia del singolo creditore dal rischio di incapienza del patrimonio

del debitore, il sovraindebitamento diversamente presuppone la

considerazione dell’interesse del debitore dal quale non è possibile

prescindere, dopotutto la legge n. 3 del 2012 affronta la questione in

termini di “rimedio” al fenomeno del sovraindebitamento.

Si deve inoltre tenere presente che il capo I nella versione

precedente si intitolava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione,

nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”. Legare il

tema del sovraindebitamento a quello dell’usura manifesta l’obiettivo del

legislatore di formulare uno strumento di politica economica di

contenimento della popolazione insolvente, e più in generale di

contenimento di un problema collettivo il cui superamento rappresenta

una finalità sociale22.

1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria

La legge n. 3 del 2012, nella sua formulazione originaria,

disegnava una procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento che offriva una regolamentazione dell’insolvenza del

soggetto non fallibile, riconoscendo ai destinatari della disciplina la

possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei

debiti attraverso l’intervento di appositi Organismi di composizione della

crisi (OCC), e tale piano infine veniva sottoposto all’omologazione del

Tribunale.

22 E. PELLECCHIA, op. ult. cit., p. 181.

16

La proposta del piano di ristrutturazione veniva infatti redatta con

l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi costituiti da enti

pubblici e iscritti in appositi registri.

La proposta munita dei requisisti richiesti dalla legge veniva

sottoposta al vaglio dei creditori, i quali esprimevano il loro consenso

proprio attraverso gli stessi OCC.

Una volta raggiunto il consenso della maggioranza dei creditori

rappresentanti il 70% dei crediti complessivi, il giudice procedeva

all’omologazione dell’accordo.

Il contenuto della normativa speciale in materia di composizione

della crisi da sovraindebitamento si presentava denso di criticità, che in

parte, come vedremo successivamente, hanno determinato la necessità di

un ulteriore intervento del legislatore, e di seguito saranno analizzate le

più significative.

Uno dei principali aspetti problematici riguardava la decisione del

legislatore di aver optato per un’unica procedura di composizione della

crisi da sovraindebitamento, applicabile indistintamente a categorie di

soggetti portatori di interessi obiettivamente diversi e a cui facevano e

fanno capo situazioni debitorie differenti.

Identificando come destinatario della disciplina il debitore ‘non

fallibile’ la legge faceva riferimento contestualmente al consumatore, e

più in generale al debitore civile, e all’imprenditore escluso dalle

procedure concorsuali.

Il legislatore dunque destinava la stessa procedura sia al debitore

civile sia all’imprenditore commerciale non fallibile, e questo nonostante

le situazioni di insolvenza rispettivamente riferibili all’imprenditore e al

consumatore non siano fra loro sovrapponibili: l’insolvenza civile evoca

un concetto di responsabilità patrimoniale statica, l’altra una

responsabilità patrimoniale dinamica.

La dimensione dinamica della responsabilità è data dal fatto che

“la capacità adempitiva dell’imprenditore è strettamente connessa-

17

piuttosto che al patrimonio staticamente considerato- allo svolgimento

dell’attività produttiva”23.

Il debitore civile invece deve porre rimedio alla sua “nociva

propensione al consumo”, mentre l’insolvente che esercita attività

commerciale deve elaborare una “strategia di superamento della crisi di

impresa” 24.

La legge, nella sua versione previgente, non offriva esplicitamente

alcuna disciplina dell’esdebitazione, piuttosto la stessa normativa speciale

rappresentava semplicemente una seconda possibilità per il debitore non

fallibile: gli veniva concessa la facoltà di ristrutturare i suoi debiti e di

liberarsene nei termini e nei modi previsti dall’accordo coi creditori.

La liberazione dal vincolo si collocava dunque al di fuori della

procedura e dipendeva solamente dall’adempimento delle obbligazioni

previste nell’accordo.

Inoltre il piano con cui l’insolvente ‘non fallibile’ ristrutturava la

propria esposizione debitoria non vincolava i creditori estranei, rispetto ai

quali il debitore era tenuto a soddisfare integralmente i loro crediti.

L’ammissibilità del piano si strutturava sulla costruzione di un

accordo che garantisse il regolare pagamento dei creditori estranei (cioè

nei termini e nelle modalità previsti nelle singole fonti di obbligazioni) e

l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati. Il piano poteva

prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori

che non avevano partecipato all’accordo soltanto quando ricorrevano

determinate condizioni, salva l’ipotesi di crediti impignorabili rispetto ai

quali la moratoria non aveva alcuna efficacia25.

23 F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2012, p. 15. 24 S. ALECCI, La nuova disciplina in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento: modifiche alla legge 27 gennaio 2012 n.3, in Giureta, 2012, p. 2. 25 In merito al pericolo di un uso della procedura in termini puramente dilatori v. G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo d’insieme, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 9.

18

Un altro aspetto critico era rintracciabile nel ruolo assegnato al

giudice, al quale spettava sindacare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il

regolare pagamento dei creditori estranei.

Il giudice, secondo il dato testuale dell’art. 12 nella sua versione

previgente, veniva incaricato di svolgere un “penetrante giudizio di

merito sulla superabilità del sovraindebitamento”, in una logica

completamente diversa da quella che connota e caratterizza la crisi di

impresa, per la quale al giudice spetta un controllo giudiziale di regolarità

formale dell’accordo di composizione del debito o della proposta di

concordato26.

Altra dottrina, partendo dal presupposto che la procedura

originaria del sovraindebitamento era stata costruita tenendo presente

proprio i modelli negoziali del concordato e dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, smentiva un simile orientamento

affermando che fosse necessario tenere in considerazione i principi

elaborati dalla giurisprudenza più recente in relazione ai limiti del

sindacato giudiziale in sede di omologazione degli accordi di

ristrutturazione27.

La giurisprudenza ha evidenziato, in merito agli accordi di cui

all’art. 182-bis, che l’oggetto dell’omologazione non è né il piano né

l’accordo, ma la relazione e valutazione del professionista rispetto alle

quali il giudice è chiamato a valutarne la completezza, coerenza e logicità.

Muovendo da simili posizioni, si è affermato che anche in sede di

omologazione dell’accordo di cui alla l. n. 3 del 2012 il giudice valuta sì

l’idoneità del piano a garantire il regolare pagamento dei creditori

estranei, ma, sulla base degli interventi indicati nella proposta, avendo

riguardo alle valutazioni esposte nell’attestazione dell’organismo di

composizione della crisi che dovranno essere coerenti, logiche e complete 26 In merito v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 16. 27 A. CARON, Omologazione dell’accordo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 58 ss.

19

a tal punto da ritenere evidente che il consenso dei creditori si è formato

sulla base di informazioni veritiere, corrette e coerenti.

La l. n. 3 del 2012 inoltre lasciava spazio alla discrezionalità del

giudice nel regolamentare le fasi della procedura e nel fissare i termini

processuali, nello scegliere sia le forme idonee a pubblicizzare la proposta

di accordo sia le modalità di valutazione della proposta in funzione

dell’omologa, anche con riferimento alle contestazioni effettuate dai

creditori non aderenti.

Altro aspetto critico della disciplina era rintracciabile nel fatto che

la composizione della crisi da sovraindebitamento non era appetibile per i

creditori: nelle situazioni di sovraindebitamento dei soggetti non fallibili

mancava infatti l’esigenza di proteggere i creditori aderenti dal rischio di

revocatoria fallimentare e di responsabilità fallimentare, per cui era

difficile individuare che cosa poteva spingere i creditori e il debitore, che

comunque rimaneva vincolato verso i non aderenti, a ritenere conveniente

la procedura di cui alla l. n. 3 del 2012 se non la trasparenza delle

condotte, il controllo di un organo tecnico sulla fattibilità e

sull’esecuzione del piano e della supervisione dell’autorità giudiziaria.

Dalla normativa speciale emergevano ulteriori elementi di criticità

intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi (OCC),

che l’attuale versione della legge n. 3 del 2012 in gran parte eredita.

Ne è un esempio la definizione delle funzioni attribuite

all’organismo in termini di “ausilio” al debitore, che poco combaciava

con l’effettiva attribuzione dei compiti ad opera della legge stessa.

La normativa previgente attribuiva agli Organismi di

composizione della crisi funzioni prodromiche o preparatorie alla

procedura, offrendo ad esempio ausilio al debitore nella stesura della

proposta di accordo; funzioni quale organo “garante” di verifica della

veridicità dei dati e di attestazione della fattibilità del piano; funzioni di

organo della procedura incaricato a compiere gli atti previsti dalla legge;

funzioni di controllo della corretta esecuzione dell’accordo vigilando

20

sull’esatto adempimento e risolvendo le difficoltà insorte nell’esecuzione

dell’accordo.

Il debitore non fallibile non aveva la possibilità di scegliere

liberamente se richiedere, e a chi richiedere, assistenza professionale, ma

doveva necessariamente rivolgersi a un Organismo di composizione della

crisi con sede nel circondario del tribunale competente in base alla

propria residenza o sede.

La legge non escludeva la possibilità di rivolgersi ad un libero

professionista di fiducia, anche se la presenza dell’OCC era praticamente

obbligatoria, infatti come la dottrina aveva avuto modo di evidenziare

“ben difficilmente…sarà ipotizzabile la redazione autonoma di un piano

che non trovi un pieno gradimento dell’Organismo, in ragione

dell’insolita e controversa funzione, a quest’ultimo affidata, di attestatore

della fattibilità di un piano che esso stesso ha contribuito a formare”28.

Gli OCC si occupavano della redazione dell’accordo e avevano la

possibilità di porre in essere “ogni opportuna iniziativa”, considerata

funzionale alla predisposizione e alla realizzazione dell’accordo, anche

quando le parti non la ritenevano corretta. Un’attività questa che

chiaramente esulava dalla mera consulenza professionale.

Le funzioni attribuite agli Organismi di composizione della crisi

impedivano la “necessaria distinzione fra soggetto consulente e soggetto

attestatore fidefacente”, perché è il medesimo organismo ad occuparsi

dell’attestazione del piano e della veridicità dei dati contenuti nella

proposta29.

All’OCC spettava dunque il compito di attestare la fattibilità del

piano su cui si fondava la proposta d’accordo che egli stesso aveva

predisposto.

Un ulteriore elemento problematico di centrale importanza

relativo a uno dei requisiti di ammissibilità della procedura stessa, 28 A. GUIOTTO, Gli organismi di composizione della crisi, in Fallimento, 2012, p. 1285 ss. 29 R. BATTAGLIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, p. 448 ss.

21

riguardava la capacità del piano di assicurare il regolare pagamento dei

creditori estranei all’accordo.

La normativa speciale nella sua versione previgente stabiliva che

il piano dovesse essere definito già al momento del deposito della

proposta di accordo che si fondava proprio sul piano stesso, ma in quella

fase del procedimento non sarebbe stato possibile avere alcuna previsione

né garanzia dei creditori che vi avrebbero aderito, e di conseguenza

nessuna previsione o garanzia della percentuale componente i creditori

estranei.

La proposta d’accordo, perché potesse essere sottoposta al vaglio

dei creditori, doveva basarsi su un piano che assicurasse il regolare

pagamento dei creditori non aderenti, ancor prima quindi di procedere

alla raccolta delle adesioni (la procedura non prevedeva la riunione dei

creditori in assemblea, come accade invece per il concordato, per cui la

legge stabiliva che la raccolta delle adesioni sarebbe avvenuta ad opera

degli Organismi di composizione della crisi).

L’attività imparziale dell’OCC non sembrava dunque poter essere

assicurata a fronte delle numerose e consistenti competenze che gli

venivano attribuite: l’Organismo doveva compiere una prima attestazione,

effettuava poi un monitoraggio sul debitore e sulla tenuta del piano e, una

volta ricevute le adesioni, stendeva una relazione sulle posizioni dei

creditori oltre a effettuare una seconda attestazione sulla fattibilità del

piano stesso.

Queste criticità, e tutte le altre che per esigenza di trattazione non

possono essere accuratamente individuate e analizzate, hanno manifestato

la necessità di un ennesimo intervento in materia che si è concretizzato

nelle modifiche apportate con lo strumento della decretazione d’urgenza

al testo della l. n. 3 del 2012.

Il d.l. n. 179 del 2012 chiude il complesso e tormentato iter della

legge in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento del

debitore non fallibile.

22

Il paragrafo che segue individua ed esamina sommariamente le

principali modifiche apportate al testo della l. n. 3 del 2012.

1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di

composizione della crisi da sovraindebitamento

Il d.l. n. 179 del 2012, denominato anche decreto Sviluppo-bis o

Crescita-bis, convertito nella l. n. 221 del 2012, ha prodotto una

destrutturazione dell’impianto offerto dalla l. n. 3 del 2012, e nello

specifico del Capo II, che nella sua versione originaria, come già

osservato, offriva al generico debitore non fallibile un unico

procedimento volto al raggiungimento di un accordo che risultava

vincolante per i soli creditori aderenti.

La stessa Relazione illustrativa del decreto Sviluppo-bis, in merito

agli esiti pratici della legge n. 3 del 2012 nella sua versione previgente,

riporta i dati che risultano da un monitoraggio messo appunto dal

Ministero di Giustizia, in base al quale dall’entrata in vigore della legge

nessun procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento

era in corso nei Tribunali campione di Milano, Torino, Brindisi, Bari e

Pavia, ed un solo procedimento era stato attivato presso il Tribunale di

Roma e di Firenze30.

Questi dati consolidavano il sentimento di urgenza che aveva

mosso il legislatore verso un ulteriore intervento in materia.

Il decreto legge introduce disposizioni che hanno come obiettivo

aumentare l’efficacia e la capacità operativa dell’istituto e,

contestualmente, apporta modifiche alla disciplina del procedimento di

composizione della crisi.

Anticipo rispetto alla trattazione che l’intervento del legislatore ha

trasformato in chiave concordataria la natura dell’istituto, il quale

30 I dati sono inoltre riportati nell’articolo di G. NEGRI, Un aiuto al default del consumatore, in Il sole 24 ore, 15 dicembre 2012.

23

presenta caratteristiche simili al concordato preventivo così come

disciplinato dalla legge fallimentare.

Già dalla titolazione del presente paragrafo è possibile capire il

rilievo delle modifiche apportate al testo della legge: la versione vigente

della l. n. 3 del 2012 offre procedure diverse a seconda che ad attivare il

procedimento sia un consumatore o un’altra categoria di debitore non

fallibile, e il risultato che scaturisce dalle modifiche introdotte col decreto

Crescita-bis meglio risponde alle esigenze che, fin dai primi interventi del

legislatore, soggiacevano alla questione del sovraindebitamento.

La nuova normativa prevede dunque uno sdoppiamento delle

procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’art. 7 della

legge individua oltre alla disciplina generale dell’ “accordo di

ristrutturazione dei debiti”, una procedura più specifica per arginare

l’insolvenza consumeristica, il c.d. “piano del consumatore” che non

prevede alcun consenso della maggioranza dei creditori alla proposta del

debitore.

In merito alla definizione della procedura in termini di “accordo di

ristrutturazione dei debiti”, parte della dottrina sostiene che la scelta di

questi vocaboli dipenda da una “svista (ancorché non semplicemente

redazionale ma concettuale)”, nel momento in cui, come si dirà meglio in

seguito, tale accordo ha la forza di vincolare anche i creditori non

aderenti31.

Parlare dell’ accordo come mero strumento per la gestione

dell’esposizione debitoria dell’insolvente sembrerebbe rappresentare una

novità in realtà “modesta”, poiché l’esperienza giuridica da tempo

ammette che contratti del genere siano largamente praticati32.

La novità consistente si configura piuttosto nell’aver individuato

una procedura all’interno della quale l’accordo viene a formarsi, nel 31 In riferimento alla definizione come “accordo di ristrutturazione”, piuttosto che alla preferibile definizione “procedura deliberativa concorsuale”, v. F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 11. 32 F. DI MARZIO, op. ult. cit., p. 10.

24

senso che: il debitore con eccesso di debiti e i creditori si accordano,

concludendo un contratto, per superare il sovraindebitamento proprio

attraverso una procedura di raggiungimento dell’accordo.

Il termine stesso “raggiungimento”, per le modalità con cui viene

utilizzato nell’ambito dell’art. 11 della legge, fa riferimento proprio ad

una procedimentalizzazione della conclusione dell’accordo33.

Il decreto Sviluppo-bis però interviene sulla l. n. 3/2012 offrendo

un’ulteriore procedura, alternativa all’accordo del debitore e al piano del

consumatore: la procedura di liquidazione del patrimonio che consiste

nella liquidazione eseguita da un liquidatore di tutti i beni del debitore,

compresi quelli sopravvenuti nei quattro anni successivi, ad eccezione dei

beni con carattere personale, e può connotarsi di un sub-procedimento che

consente al debitore non fallibile persona fisica di accedere, se sussistono

le condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione nelle modalità

previste dall’art. 14-terdecies l. n. 3/2012.

Anche dal punto di vista sistematico è possibile cogliere questa

nuova ripartizione, nel senso che il d.l. n. 179/2012 è intervenuto

suddividendo il Capo II, “Procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”34, in tre sezioni: la

sezione prima, “Procedure di composizione della crisi da

sovraindebitamento” (artt. 6 - 14-bis della legge), detta le disposizioni

generali, la disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il piano del

consumatore, l’esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo e del

piano; la seconda, “Liquidazione del patrimonio” (artt. 14-ter - 14-

terdecies), introduce la procedura alternativa liquidatoria; la terza,

“Disposizioni comuni” (artt. 15 - 16), contiene la normativa prevista in

materia di Organismi di composizione della crisi e in materia di sanzioni

penali.

33 F. DI MARZIO, op. ult. loc. cit. 34 Prima dell’intervento del d.l. n. 179 del 2012 il Capo II era intitolato “Procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento”.

25

Prima di procedere ad una analisi delle tre procedure in cui si

articola la composizione della crisi è necessario chiarire la portata

innovatrice dell’individuazione di una pluralità di procedure attivabili da

soggetti diversi. Per fare questo si deve individuare che i presupposti della

disciplina del piano del consumatore sono sostanzialmente diversi da

quelli previsti per l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7,

nonostante invece il contenuto sia il medesimo per entrambe le procedure.

Il piano del consumatore non richiede, affinché sia omologato, il

solo fatto che il debitore adduca uno stato di sovraindebitamento, ma

l’omologazione del piano è subordinata ad una “valutazione di

meritevolezza” posta in essere dal giudice, e quindi non al

raggiungimento del consenso di una maggioranza qualificata dei creditori,

differentemente da quanto previsto per l’accordo di ristrutturazione.

Il giudizio di meritevolezza della condotta del debitore si basa

sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni

avuta dal debitore e sull’assenza di colpa nella determinazione dello stato

di sovraindebitamento.

Da queste considerazioni risulta che “l’elemento di specialità della

riforma non risiede nella previsione di una disciplina destinata al

consumatore, bensì nell’introduzione di una disciplina relativa ad un tipo

di sovraindebitamento”, il c.d. sovraindebitamento passivo in cui cade il

debitore vittima di eventi che si collocano al di fuori della sua sfera di

controllo35.

Questo orientamento sembra confermato dal fatto che l’art. 14-ter

nell’introdurre il procedimento di liquidazione dei beni applicabile a tutti

i debitori non fallibili, e non solo ai consumatori, richiede, tra i documenti

che devono essere depositati per attivare la procedura, una relazione

dell’organismo di composizione della crisi che ha contenuti simili a quelli

previsti per il piano del consumatore, richiedendo l’elencazione delle

cause di indebitamento e la diligenza del debitore nell’assumere le 35 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1268-1270.

26

obbligazioni: l’obiettivo è dimostrare la non colpevolezza del debitore (in

questo caso il fine è accedere all’eventuale fase di esdebitazione).

Sulla base di tale lettura, le modifiche della l. n. 3 del 2012 non

hanno creato alcun regime speciale per il consumatore, il quale, così

come ogni altro debitore non fallibile, può raggiungere un accordo di

ristrutturazione dei debiti con i creditori o, solo se sussistono gli estremi

della meritevolezza, procedere col piano del consumatore che lo esonera

dal sottoporlo al consenso dei creditori, o può altrimenti chiedere la

liquidazione del patrimonio.

La Riforma della legge n. 3 del 2012 ha prodotto tante altre

consistenti modifiche, tra le più significative si colloca la previsione del

novellato art. 7 che consente di poter soddisfare parzialmente anche i

crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca, “allorché ne sia assicurato il

pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della

collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto

riguardo del valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali

insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di

composizione della crisi”.

Per i crediti tributari e previdenziali non è prevista alcuna

possibilità di soddisfazione parziale.

Altra importante novità introdotta dalla Riforma è rappresentata

dalla vincolatività della proposta omologata anche per i creditori non

aderenti una volta superato il vaglio di convenienza, o di meritevolezza

nel caso di piano del consumatore.

I creditori che non aderiscono alla proposta di accordo non sono

più definibili in termini di creditori estranei e perciò aventi il diritto di

essere soddisfatti integralmente.

La soglia del quorum dei consensi necessario all’omologazione

dell’accordo di ristrutturazione è stato ridotto dal 70% al 60% dei crediti

complessivi. I crediti privilegiati per i quali l’accordo prevede invece

l’integrale pagamento non dovranno essere computati al fine del calcolo

27

della maggioranza, risolvendo così il dubbio sollevato dalla dottrina in

merito all’inclusione di questi crediti nel novero dei creditori estranei

all’accordo o dei soggetti a cui la proposta non va neppure destinata36.

La procedura di liquidazione dei beni è strutturata sullo schema

del fallimento articolandosi in una pluralità di fasi che richiamano il

procedimento di liquidazione del patrimonio del fallito disciplinato dalla

legge fallimentare: nomina del liquidatore da parte del Tribunale (art. 14-

quinquies), inventario dei beni (art. 14-sexies), formazione del passivo

(art. 14-septies), liquidazione (art. 14-novies ss.) ed eventuale

esdebitazione (art. 14-terdecies).

La procedura disciplinata dagli artt. 14-ter ss. può essere attivata

su domanda del debitore o può essere aperta anche d’ufficio in seguito

alla conversione della procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento nei casi tassativamente previsti ex art. 14-quater.

Il procedimento di esdebitazione è previsto esclusivamente

all’esito della procedura liquidatoria ed è subordinato all’esistenza di

determinate condizioni idonee a verificare la correttezza del

comportamento del debitore.

La Riforma ha inoltre ampliato il numero dei soggetti che possono

svolgere le funzioni di Organismo di composizione della crisi da

sovraindebitamento.

Gli OCC possono essere costituiti non solo da enti pubblici, ma

anche da enti privati dotati di specifici requisiti (di indipendenza,

professionalità e adeguatezza patrimoniale), la cui determinazione è

rimessa ad uno specifico regolamento ministeriale.

Gli organismi di composizione della crisi sono iscritti in un

apposito Registro tenuto presso il Ministero della giustizia evidentemente

al fine di sottoporre a controllo pubblico le qualifiche dei soggetti

richiedenti; le modalità di iscrizione sono stabilite con regolamento

36A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2012, p. 1287.

28

adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello

sviluppo economico e delle finanze.

Il ricorso, in luogo degli Organismi di composizione, ad un

professionista o ad una società fra professionisti in possesso dei requisiti

richiesti per le funzioni di curatore fallimentare ex art. 28 l. fall., o ad un

notaio era previsto come transitorio dalla previgente normativa, ma, a

seguito del d.l. n. 179/2012, tale ricorso perde ogni caratteristica di

transitorietà purché questi soggetti siano nominati dal debitore o dal

presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.

L’art. 15 della legge consente dunque all’OCC di potersi costituire

sia come organo pluripersonale che monocratico37.

È stato considerato che l’attribuzione delle competenze di un OCC

ad un singolo professionista o ad un ente privato, oltre a determinare

l’affievolirsi della connotazione pubblicistica dell’Organismo, non è priva

di rischi: il professionista potrebbe trovarsi in una posizione di “dubbia

terzietà”, il timore è quello di acuire il “conflitto di interessi che

caratterizza inevitabilmente l’operato dell’OCC” in ragione delle

complesse funzioni che gli sono attribuite durante tutto l’arco del

procedimento38.

La riforma non è stata in grado di sanare i dubbi e le perplessità

che già nella versione previgente della legge n. 3 del 2012 ruotavano

intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi da

sovraindebitamento.

37 In merito alla nomina di un OCC in composizione monocratica v. Tribunale di Vicenza 8 luglio 2013, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9345.pdf. Per un’analisi della sentenza v. D. MANENTE, Appunti sul presupposto soggettivo di applicazione della disciplina della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3, e succ. mod.), in Dialoghi del diritto, dell’avvocatura e della giurisdizione, 2014, p. 24. 38 A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1289; R. D’AQUINO DI CARAMANICO-A. PARINI, Gli organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 98

29

Permangono le problematiche riguardanti la costituzione, la

regolamentazione interna, l’indipendenza, le funzioni e la remunerazione

degli OCC.

1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della

crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure

concorsuali

Rispetto alla definizione in termini di concorsualità dei

procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, così

come risultano a seguito della Riforma, è possibile individuare posizioni

diverse in dottrina: alcuni affermano la natura concorsuale delle tre

procedure, altri la negano o affermano di ricondurla solo ad alcuni dei

procedimenti della l. n. 3 del 2012.

Quanto anticipato non ha rilevanza per il regime precedente, che si

caratterizzava invece per la previsione di un'unica procedura volta al

raggiungimento di un accordo coi creditori attivabile da qualsiasi

categoria di debitore non fallibile.

La disciplina originaria della l. n. 3/2012 era stata influenzata dalle

soluzioni negoziali della crisi d’impresa a tal punto da essere stata

definita “un’anomala commistione tra la struttura dell’accordo e quella

propria del concordato”39.

Gli elementi di contiguità con la figura del concordato preventivo

non erano sufficienti per annoverare in questa categoria l’accordo di

ristrutturazione dei debiti di cui alla l. n. 3 /2012, che infatti non

presentava le caratteristiche salienti delle soluzioni concordatarie:

mancava una votazione sull’accordo; non veniva svolta l’adunanza dei

creditori; non era contemplata alcuna nomina di un commissario

giudiziale che effettuasse verifiche e fornisse ai creditori le proprie

valutazioni in merito.

39 R. BATTAGLIA, op. cit., p. 433.

30

L’accordo consentiva di suddividere i creditori in classi, però tale

articolazione aveva un significato diverso rispetto a quello assunto

nell’ambito delle soluzioni concordate.

La suddivisione dei creditori in classi, diversamente dal

concordato, aveva soltanto lo scopo di riunire soggetti a cui era destinato

lo stesso trattamento e, non vigendo il divieto di alterare la graduazione

dei crediti, era possibile costituire classi di crediti fra loro non omogenei.

Perché l’accordo fosse valido era sufficiente raggiungere il

consenso di una maggioranza di creditori rappresentanti il 70% dei

crediti, senza richiedere l’ulteriore requisito del raggiungimento dei

consensi della maggioranza del maggior numero delle classi, come accade

invece per il concordato ex art. 177 l. fall.

L’accordo di ristrutturazione disciplinato dalla versione originaria

della legge altro non era che un contratto di diritto privato tra il debitore e

uno o più creditori.

Più numerosi infatti erano gli elementi di vicinanza con gli accordi

di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.

Parte della dottrina riconosce la natura ibrida dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti disciplinato dalla legge fallimentare, per il fatto

di articolarsi prima in una fase stragiudiziale in cui il debitore rinegozia la

propria esposizione debitoria, poi in una fase giudiziale in cui il giudice

procede all’omologazione dell’accordo40.

Tra gli elementi di somiglianza individuabili tra l’accordo ex art

182-bis e quello disciplinato dalla l. n. 3 del 2012 risaltava l’incapacità

dell’accordo, qualunque esso fosse, di vincolare anche i creditori estranei

che non vi avevano aderito.

Questa caratteristica rappresentava al contempo una delle

differenze più marcate tra l’accordo di composizione e la disciplina del

concordato, in base alla quale il piano del concordato, una volta che ha

40 Come ricorda E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1275.

31

ottenuto la maggioranza dei consensi dei creditori, risulta cogente anche

per i non aderenti.

La dissonanza più evidente tra la procedura ex l. n. 3/2012 e quella

ex art. 182-bis riguardava l’acquisizione del consenso dei creditori: nella

disciplina ex art. 182-bis l. fall. il procedimento di omologazione si apre

con il deposito dell’accordo che è già stato raggiunto con una parte dei

creditori, mentre il regime previgente della normativa speciale in materia

di sovraindebitamento prevedeva che l’apertura del procedimento fosse

condizionata al deposito di una proposta redatta dal solo debitore con

l’ausilio dell’OCC, sulla quale però i creditori dovevano ancora esprimere

il proprio consenso.

La dottrina ha sottolineato come il nesso di causalità fra piano e

accordo, che caratterizza il procedimento di cui all’art. 182-bis, non era

invece rinvenibile nella previgente procedura di composizione della crisi

da sovraindebitamento: la l. n. 3 del 2012, prevedendo che l’accordo di

ristrutturazione dei debiti si organizzasse su un piano che assicurava il

regolare pagamento dei creditori estranei, legava il termine di accordo a

quello di piano, nonostante il concetto stesso di piano da sempre evochi

una natura non giuridica ma aziendale41.

Lo stesso orientamento ha sostenuto che con pianificazione si fa

riferimento alla “formulazione di una determinata strategia d’impresa”,

per tale motivo una simile scelta lessicale poteva essere comprensibile

relativamente al caso in cui ad attivare la procedura fosse un imprenditore

commerciale sotto soglia in luogo della dimensione dinamica della sua

responsabilità patrimoniale.

In riferimento a tutti gli altri debitori non fallibili invece sembrava

più difficile giustificare il termine “piano”, non potendo attribuire

rilevanza al profilo relativo alla capacità futura di generare risorse

finanziarie. 41 In merito al rapporto accordo-piano sulla crisi di impresa e accordo-piano sul sovraindebitamento civile v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 15-16.

32

In sintesi, la procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento definiva sì uno strumento di regolazione collettiva

della crisi, ma non ancora concorsuale: mancava infatti lo spossessamento

del debitore, non vigeva il divieto di alterare la graduazione dei crediti e

non era necessario rispettare il principio della par condicio creditorum.

Come già osservato, la normativa speciale in materia di

sovraindebitamento è stata oggetto di consistenti modifiche apportate dal

legislatore attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza con lo

scopo di superare gran parte delle criticità che facevano capo alla

disciplina originaria della legge.

Una delle innovazione più significative della Riforma è

rappresentata dall’individuazione di ben tre procedure di composizione

della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e la

liquidazione del patrimonio.

È il legislatore stesso a definire queste procedure come

concorsuali nel momento in cui prevede espressamente nell’art. 6 della

legge che i destinatari della disciplina in oggetto non sono assoggettabili

alle “procedure concorsuali diverse da quelle regolate” dalla l. n. 3/2012.

Allineandosi al dato testuale, parte della dottrina sostiene la “piena

natura concorsuale” delle tre procedure di composizione della crisi42.

Con specifico riferimento alla liquidazione del patrimonio del

debitore non fallibile la valutazione della concorsualità si concentra su

una pluralità di elementi tra i quali: il coinvolgimento dell’intero

patrimonio pignorabile del debitore (che dal momento dell’apertura del

procedimento viene amministrato dal liquidatore per la liquidazione e

ripartizione ai creditori); la capacità della procedura di esplicare effetti

anche sui creditori anteriori alla sua apertura (che non potranno porre in

essere azioni esecutive o cautelari individuali)43.

42 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 592-593. 43 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 764 ss.

33

In merito all’accordo di ristrutturazione dei debiti altra dottrina

sostiene che il termine “accordo” non sia il più adatto a definire il

risultato del procedimento attivabile dal generico debitore non fallibile,

dopotutto infatti sarebbe più corretto parlare di “deliberazione

concordataria” nel momento in cui il consenso dei creditori rappresentanti

il 60% dei crediti complessivi non solo è sufficiente ai fini

dell’omologazione, ma vincola anche i non aderenti, i quali così come

qualunque altro interessato hanno la sola possibilità di contestare la

convenienza dell’accordo per impedire che questo produca effetti nei loro

confronti44.

La stessa dottrina sostiene che la principale ragione che fonda la

natura concorsuale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex l. n.

3/2012 è l’applicazione della regola della parità di trattamento, la quale

trova la sua legittimazione nella deliberazione maggioritaria che vincola

anche i non aderenti in quanto ha ad oggetto una proposta di

soddisfacimento uguale per tutti o per tutti i creditori racchiusi in una

classe omogenea.

La regola della par condicio creditorum contribuisce a fondare la

natura concorsuale del procedimento di composizione della crisi.

In riferimento al piano del consumatore la stessa dottrina sostiene

che la definizione in termini di concorsualità dipenda invece dalla

possibilità di qualificare la procedura in termini di “concordato coattivo”.

Perché sia omologata la proposta che si fonda sul piano del

consumatore è sufficiente la sola positiva deliberazione del tribunale;

l’omologazione la rende obbligatoria per tutti i creditori anteriori al

momento in cui è stata eseguita la pubblicità richiesta dall’art. 10.

I creditori con causa o titolo posteriore non potranno procedere

esecutivamente sui beni oggetto del piano.

44 F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 11-12

34

Lo schema è quello di un concordato coattivo, e se si fa

riferimento infatti ad istituti quali l’amministrazione straordinaria delle

grandi imprese insolventi o la liquidazione coatta amministrativa si nota

che, al pari del piano del consumatore, manca la fase di approvazione

della proposta per deliberazione dei creditori.

La giustificazione dell’esclusione di una fase in cui sia possibile

attribuire rilevanza al consenso dei creditori viene individuata nella tutela

dell’interesse pubblico: si vuole evitare che i creditori possano con la loro

deliberazione impedire l’effettività di una proposta ritenuta invece

conforme all’interesse pubblico.

Nello specifico, la disciplina del piano del consumatore tutela

l’interesse pubblico economico alla definizione ragionevole della

situazione di sovraindebitamento di quei soggetti che non svolgono

attività economica.

Dunque definire il piano del consumatore “concordato coattivo”

significa attribuire natura concorsuale al procedimento e attribuire

rilevanza alla regola della par condicio creditorum.

A completamento della disciplina devono essere citate anche

posizioni diverse da quelle appena esposte in merito alla concorsualità dei

procedimenti di cui alla l. n. 3 del 2012.

Secondo altra parte della dottrina, il legislatore quando fa

riferimento nell’art. 6 alle procedure di composizione della crisi e le

definisce in termini di concorsualità, offre una qualificazione autentica

delle stesse che poco combacia con la natura dei procedimenti in esame,

essendo piuttosto solo singoli istituti o fasi di questi riferibili alla

concorsualità45.

Quello che segue è un’analisi del contributo offerto proprio da

questa dottrina.

L’orientamento in esame accorda una natura concorsuale, seppure

semplificata, alla sola procedura dell’accordo di ristrutturazione dei debiti 45 In merito v. V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Riv. dir. comm., 2013, p. 654 ss.

35

poiché questa presenta una serie di elementi che depongono a favore di

una definizione in tal senso: l’accordo vincola anche i creditori non

aderenti purché anteriori alla pubblicazione del decreto di fissazione

dell’udienza; l’art. 10 prevede che il giudice disponga l’inibizione delle

tutele esecutive e cautelari individuali, e dell’acquisizione dei diritti reali

di garanzia sul patrimonio del debitore fino al momento in cui il

provvedimento di omologazione diventa definitivo; il deposito della

proposta sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi

convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da cause

legittime di prelazione.

Nonostante questi elementi rappresentano indici di concorsualità,

la lettura in analisi sottolinea che in realtà questi indici hanno una portata

semplificata: manca la previsione di un’adunanza dei creditori come

accade per il concordato preventivo (che più si avvicina all’istituto in

analisi e rappresenta al contempo una procedura avente piena natura

concorsuale); il giudice non ha un ruolo centrale nella verifica del

raggiungimento dell’accordo, non sono previste modalità di contestazione

o di ammissione provvisoria dei crediti contestati.

Secondo tale orientamento l’attribuzione della concorsualità viene

collegata all’elemento della inibizione delle azioni esecutive e cautelari,

che comunque nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 non è

automatica, infatti non è rimessa al deposito della proposta ad opera del

debitore, ma soggiace allo specifico decreto del giudice con cui fissa

l’udienza .

La stessa dottrina sostiene in riferimento alle altre procedure una

maggiore difficoltà di inquadramento del piano del consumatore e della

liquidazione del patrimonio all’interno della categoria della concorsualità,

poiché questi procedimenti si connotano di elementi che richiamano la

concorsualità, ma che al contempo non sono messi in relazione fra loro in

modo tale da creare un “sistema coerente”.

36

Il piano del consumatore, diversamente dall’accordo di

ristrutturazione dei debiti del debitore non fallibile, determina l’inibizione

delle azioni esecutive e cautelari individuali solo a partire

dall’omologazione dello stesso e nulla viene detto in merito al termine

finale di tale effetto, e si dovrà ritenere che l’inibizione verrà meno solo

una volta data esecuzione al piano. Perciò si sostiene che tale effetto è da

ricollegarsi all’omologazione in sé, piuttosto che ad una manifestazione di

un meccanismo concorsuale.

Altro ragionamento utilizzato da questa dottrina per negare la

concorsualità del piano del consumatore muove dalla previsione dell’art.

12-bis, comma 2, il quale sostiene che “quando, nelle more della

convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di

esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il

giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi

sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa

definitivo”.

L’adozione del provvedimento del giudice sarebbe quindi

discrezionale e subordinata ad una valutazione dell’incidenza di una o più

procedure sul piano.

Anche la non concorsualità della procedura di liquidazione del

patrimonio viene sostenuta ritenendo che essa sia connotata da sporadici

momenti e fasi aventi natura concorsuale, ma questi non sono sufficienti a

creare un sistema concorsuale.

L’analisi si concentra su alcuni profili problematici, nello

specifico tre, di cui il primo rinvia all’art. 14-quinquies che dispone

l’inibizione delle azioni esecutive e cautelari individuali sino al momento

in cui diventa definitivo un “fantomatico” provvedimento di

omologazione.

Pur essendo questo chiaramente un meccanismo concorsuale, è

inevitabile denunciare che nella procedura di liquidazione del patrimonio

manca ovviamente una fase di omologazione.

37

Il secondo profilo riguarda la fase di accertamento del passivo ex

art. 14-octies, in base alla quale: se, a fronte della comunicazione ai

creditori del progetto di stato passivo, nessuno avanza osservazioni, il

liquidatore lo approva (in realtà non si tratta di una vera e propria

approvazione dato che a redigere il progetto è stato lo stesso liquidatore);

se invece vengono formulate osservazioni, e il liquidatore le ritiene

fondate, entro il termine di quindici giorni dalla ricezione dell’ultima

osservazione predispone un nuovo progetto; ma se le stesse contestazioni

risultano insuperabili il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo ha

nominato affinché provveda alla formazione del passivo.

Nel caso in cui il liquidatore procede alla formazione definitiva

dello stato passivo non sembrano esserci “meccanismi endoconcorsuali di

reazione alle decisioni del liquidatore nel caso in cui altri creditori

intendano contestare il riconoscimento del credito altrui”.

Il terzo profilo riguarda la chiusura della liquidazione che dipende

dalla completa esecuzione del programma di liquidazione, a cui la legge

non fa seguire una disciplina del riparto di tutto l’attivo realizzato.

La dottrina in esame, dunque, individua nell’inibitoria delle azioni

esecutive e cautelari l’elemento cardine della concorsualità insita in ogni

procedura e parte dal contestare tale elemento per screditare una

definizione in termini di concorsualità di ogni rimedio disciplinato dalla l.

n. 3 del 2012.

Lasciando all’analisi della dottrina le valutazioni in merito alle

possibili posizioni che in tema di concorsualità possono essere assunte dai

propri esponenti, sicuramente un’analisi interessante dalla quale non si

può prescindere riguarda il rapporto tra le procedure di composizione

della crisi di cui alla l. n. 3 del 2012 e le soluzioni negoziate e

concordatarie disciplinate invece dalla legge fallimentare.

Le procedure dell’accordo di ristrutturazione dei crediti e del

piano del consumatore sono inquadrabili all’interno delle soluzioni

concordate della crisi del debitore, essendo per esse necessaria oltre alla

38

volontà del debitore perché siano attivate, anche l’omologazione del

tribunale.

Con il decreto Sviluppo-bis il legislatore si è chiaramente

orientato verso un modello diverso da quello preso in esame per la

disciplina previgente.

L’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. non è più alla

base del sistema elaborato dalla nuova disciplina; l’elemento di

dissonanza principale con questa soluzione negoziale si ha con riguardo ai

creditori estranei, i quali non sono più contemplati dall’attuale normativa

in quanto le procedure di composizioni della crisi da sovraindebitamento

hanno quale caratteristica distintiva proprio il fatto di vincolare tutti i

creditori, anche i non aderenti.

Così come un concordato, la procedura di accordo ex art. 7 appare

giudiziale nel momento in cui necessita dell’omologazione del tribunale

perché sia perfezionata, e deliberativa perché una volta approvata dalla

maggioranza l’accordo è produttivo di effetti per tutti i creditori, anche

dissenzienti.

L’accordo di ristrutturazione disciplinato dalla l. n. 3/2012

richiede il consenso di almeno il 60% dei crediti, mentre nel concordato

preventivo si parla di raggiungimento della maggioranza senza indicare

alcuna percentuale.

L’accordo di ristrutturazione ex art. 7, nonostante le chiare ed

evidenti differenze con la disciplina previgente, continua a differenziarsi

dai concordati preventivi: per la mancanza di un’adunanza dei creditori

nella quale il debitore in contraddittorio con i creditori discute la proposta

di concordato che dovrà essere successivamente votata; per l’assenza di

un commissario nominato dal giudice.

Gli elementi che suggellano invece la vicinanza alle soluzioni

concordatarie sono molteplici, ne è un esempio l’applicazione della regola

del silenzio-assenso nella votazione, per cui se il creditore non esprime il

39

suo consenso entro il termine ultimo dei 10 giorni prima dell’udienza si

considera consenziente.

Altro elemento è rappresentato dalla possibilità di offrire un

pagamento parziale ai creditori muniti di privilegio purché siano rispettate

le condizioni previste dall’art. 7 della legge.

Altri richiami alla disciplina concordataria sono dati dall’art. 11

della legge, il quale ripropone un principio cardine della logica

concordataria, il “principio di sopravvivenza delle garanzie nell’ambito

delle procedure concorsuali”, affermando “l’accordo non pregiudica i

diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e

obbligati in via di regresso”.

L’approvazione dei creditori, né per il concordato né per l’accordo

di composizione della crisi, è sufficiente a concludere il procedimento;

entro sei mesi si deve procedere all’omologazione ad opera del giudice

perché questi strumenti possano produrre i loro effetti.

Altro elemento di contiguità con il concordato riguarda la

prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati in

esecuzione o in funzione dell’accordo; nell’accordo la prededucibilità è

generata a partire dal decreto di omologazione, mentre nel concordato

dalla presentazione della domanda.

In merito ai momenti patologici della procedura, l’annullamento

dell’accordo di ristrutturazione riprende quanto già previsto per il

concordato fallimentare (art. 138 l. fall), e richiamato anche dal

concordato preventivo (art. 186 l. fall): l’accordo può essere annullato

quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il

passivo; quando è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante

dell’attivo; quando è stata dolosamente simulata attività inesistente.

Anche le cause di risoluzione dell’accordo sono simili a quelle

previste per il concordato: mancato adempimento degli obblighi derivanti

dall’accordo e mancata costituzione delle garanzie promesse.

40

Da un primo confronto risulta quindi che molti sono gli elementi

di somiglianza tra le soluzioni concordate e gli accordi di ristrutturazione

dei debiti di cui all’art. 7, la situazione appare in parte diversa per le altre

due procedure in cui si articola la composizione della crisi da

sovraindebitamento.

Il piano del consumatore, come già osservato, è inquadrabile nella

categoria del “concordato coattivo”, non è prevista alcuna votazione dei

creditori in merito alla proposta del debitore, ma è comunque soggetto ad

omologazione del tribunale avverso la quale è possibile per gli interessati

presentare opposizione.

La qualificazione del piano in questi termini determina quindi il

riconoscimento della sua natura concorsuale.

Il procedimento di liquidazione del patrimonio è strutturato, in

modo approssimativo, sullo schema del fallimento poiché la procedura si

articola in una fase di apertura che prevede la nomina di un liquidatore ad

opera del tribunale; di una fase di inventario dei beni; di una fase di

formazione dello stato passivo; oltre a un’eventuale sub-procedimento di

esdebitazione.

Una delle differenze macroscopiche con la procedura fallimentare

riguarda l’assenza di una specifica disciplina della fase di ripartizione

dell’attivo.

La disciplina dell’esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies

chiaramente si ispira all’art. 142 l. fall.: il contenuto è simile per quanto

riguarda le condizioni per l’ammissione al beneficio dell’esdebitazione e

per quanto riguarda i debiti che rimangono esclusi dall’esdebitazione

stessa.

Del rapporto tra la liquidazione del patrimonio del fallito e quella

prevista dagli artt. 14-ter ss. si dirà meglio in seguito nell’apposita

sezione della trattazione dedicata all’argomento.

In un’analisi comparativa con le altre procedure, e nello specifico

con la procedura concordataria che ha rappresentato alla luce dei risultati

41

qui evidenziati il quasi esclusivo modello di riferimento del legislatore,

non si può prescindere dallo studio degli Organismi di composizione della

crisi.

È possibile rintracciare alcuni parallelismi fra OCC e il

commissario giudiziale di un concordato preventivo: i requisiti richiesti

perché un soggetto possa svolgere la carica di OCC sono gli stessi

richiesti per la nomina di commissario giudiziale cioè “un professionista

in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall.46”; l’Organismo attesta la

fattibilità del piano che viene allegato alla proposta di accordo, allo stesso

modo della relazione ex art 172 l. fall.; quando è raggiunto l’accordo

l’OCC trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi che

hanno costituito almeno il 60% dei crediti, allo stesso modo il

commissario giudiziale dà notizia ai creditori del decreto che omologa il

concordato.

Così come dispone la legge fallimentare in materia di concordato

(“transazione fiscale” art. 182-ter), anche la legge n. 3 del 2012 in materia

di composizione della crisi da sovraindebitamento statuisce

l’obbligatorietà della soddisfazione integrale dell’IVA e delle ritenute

operate e non versate, concedendo soltanto una dilazione dei tributi che

costituiscono risorse proprie dell’unione Europea.

La l. n. 3 del 2012 riprende dal concordato preventivo anche la

disciplina in merito alle sanzioni, distinguendo fra le sanzioni a carico del

debitore (imprenditore per il concordato preventivo) e quelle a carico

46 Cfr. art. 28 l. fall. “Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.”

42

dell’Organismo di composizione della crisi (Commissario Giudiziale per

il concordato preventivo).

La normativa speciale in materia di sovraindebitamento mutua

dalla disciplina concordataria gran parte delle sue principali

caratteristiche; attraverso la materia del concordato il legislatore

costruisce un sistema che offre soluzione alla crisi del debitore non

fallibile.

Ad ogni modo, per quanto riguarda le specificità delle tre

procedure in cui si articola la composizione della crisi da

sovraindebitamento si rimanda ai capitoli che seguono.

43

CAPITOLO II

Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento:

l’accordo del debitore e il piano del consumatore

Sommario: 2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la

critica al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con l’art. 5

l. fall. - 2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore

agricolo e gli altri identificabili per esclusione - 2.3. L’accordo del

debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità,

contenuto e deposito - 2.4. Il giudizio di ammissibilità - 2.5. La

formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La

procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore -

2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del

consumatore: la procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di

merito - 2.7. La fase esecutiva - 2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e

del piano del consumatore: le conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi

giudiziali.

2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica al

“patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con l’art. 5 l.

fall.

La finalità della l. n. 3 del 2012 viene espressamente individuata

nell’offrire uno strumento per “porre rimedio alle situazioni di

sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure

concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo” (art. 6). Ne

risultano quindi escluse tutte le ipotesi rispetto alle quali è possibile

attivare una procedura concorsuale “tradizionale”.

La legge, attraverso la disciplina delle tre procedure in cui si

articola la composizione della crisi, consente al debitore, a fronte di una

44

situazione di consistente difficoltà patrimoniale, di giungere alla

soluzione; parlare del fenomeno in termini di “rimedio” sottolinea

l’ambizione di contenere un fenomeno sociale. Dopotutto il termine

stesso “sovraindebitamento” non è immediatamente percepibile ad un

linguaggio giuridico, non esprimendo un concetto giuridico né univoco né

sedimentato47.

È stato osservato che la vera finalità dell’accordo non è

semplicemente quella di individuare uno strumento per sistemare

l’indebitamento, in quanto sono diffusi nell’esperienza giuridica contratti

volti a rimediare ad un’eccessiva esposizione debitoria, ma è quella di

conferire all’accordo un vincolo ed una forza superiori alla mera

vincolatività di cui all’art. 1372 c.c. che espone solo al rimedio

risarcitorio48.

Il maggior vincolo della procedura di composizione della crisi è

indicato espressamente dall’art. 13, quarto comma, che preserva gli effetti

dell’accordo dalle conseguenze degli atti posti in violazione: “i pagamenti

e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo o

del piano del consumatore sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al

momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui agli articoli 10,

comma 2, e 12-bis, comma 3”.

Il presupposto oggettivo del sovraindebitamento è definito all’art.

6 della legge come “la situazione di perdurante squilibrio tra le

obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi

fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie

obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.

Da questa definizione è possibile individuare due tipologie di

sovraindebitamento: una propriamente patrimoniale, in cui il patrimonio è

considerato come un insieme di beni a cui si contrappongono i debiti; e

una di tipo finanziario che sembra richiamare il presupposto oggettivo del 47 Come evidenziato da G. MACARIO, Finalità e definizioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 18-19. 48 V. DE SENSI, op. cit., p. 639.

45

fallimento, facendo riferimento all’incapacità del soggetto di adempiere

con regolarità ai propri debiti.

In merito alla prima definizione di sovraindebitamento, con

“perdurante squilibrio” non si fa riferimento ad un mero squilibrio

aritmetico tra attivo patrimoniale e passivo, ma si parla di patrimonio

come complesso di beni “prontamente liquidabili”.

È stato evidenziato che dal legame tra il concetto di

sovraindebitamento e quello di “patrimonio prontamente liquidabile”

potrebbe derivare una situazione dubbia: il debitore in possesso di un

patrimonio non prontamente liquidabile non potrebbe accedere al rimedio

del sovraindebitamento, quando in realtà sia lui che i suoi creditori ne

avrebbero interesse, e inoltre un soggetto avente un patrimonio non

liquidabile rappresenta comunque una situazione migliore rispetto a

quella di un soggetto non più in grado di adempiere alle proprie

obbligazioni, il quale sia anche senza patrimonio; eppure quest’ultimo ha

la possibilità di accedere alla procedura per espressa previsione dello

stesso art. 6 (“definitiva incapacità di adempiere alle obbligazioni”)49. Se

così fosse, la scelta del legislatore sarebbe dunque irragionevole, e

sarebbe più opportuno prevedere come presupposto oggettivo il

sovraindebitamento inteso come semplice squilibrio dell’attivo

patrimoniale e del passivo, evitando così gli esiti distorsivi che l’altra

identificazione comporterebbe.

Viene considerato inoltre che di fronte ad un patrimonio

prontamente liquidabile potrebbe venir meno l’interesse del ceto

creditorio, in quanto questo potrebbe seguire ad esempio la via negoziale,

alternativa a quella procedurale ex l. n. 3/2012, risparmiando così tempo e

denaro.

Quindi se si decide di intraprendere la via procedurale, si ha

ragione di ritenere che essa possa agevolare la liquidazione del

patrimonio nei casi in cui non appaia prontamente liquidabile. Per cui di

49 V. DE SENSI, op. ult. cit., p. 643.

46

fronte a queste situazioni, il legislatore con tale formulazione potrebbe

aver espresso la preoccupazione del ceto creditorio in merito all’effetto

inibitorio della procedura verso le azioni esecutive e cautelari.

Il fine del legislatore sarebbe stato quello di contenere l’effetto

inibitorio e di rendere più rapida l’esecuzione dell’accordo.

È lo stesso orientamento in analisi che evidenzia però come questa

interpretazione, che potrebbe conferire una parvenza di ragionevolezza

alla scelta lessicale del legislatore, sia in realtà in contraddizione con

l’altra parte della definizione di sovraindebitamento, che consente

l’accesso alla procedura al debitore che versi in una situazione di

definitiva incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni.

La caratteristica del patrimonio prontamente liquidabile non

rappresenta quindi il presupposto oggettivo di ammissibilità alla

procedura, quanto piuttosto la funzione dell’accordo concordato coi

creditori: il piano deve garantire una pronta liquidazione.

La seconda parte della definizione di sovraindebitamento di cui

all’art. 6 (“la definitiva incapacità di adempiere regolarmente le

obbligazioni assunte”) sembra ispirarsi al concetto di insolvenza di cui

all’art. 5 l. fall.

La legge fallimentare in realtà non offre una definizione del

termine insolvenza, ma indica le modalità con cui essa si manifesta: “con

inadempimenti o altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore

non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Con il termine “regolarmente” si intendono gli strumenti di

pagamento ordinario quali denaro, titoli di credito (assegni, cambiali,

bonifici bancari ecc.); invece costituisce ad esempio strumento irregolare

di adempimento la cessione dei beni che risulta invece sintomatica di uno

stato di insolvenza.

I “fatti esteriori” presi in considerazione dall’art. 5 riguardano

situazioni che se compiute dall’imprenditore fallibile manifestano uno

stato di illiquidità e una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento

47

acquistano rilevanza penale (fuga dell’imprenditore; improvvisa chiusura

dei locali dell’impresa da parte dell’imprenditore; trafugamento,

sostituzione, diminuzione fraudolenta dell’attivo; esagerazione

fraudolenta del passivo)50.

Rimando al secondo paragrafo del primo Capitolo l’analisi del

rapporto tra insolvenza civile e commerciale e la possibilità di distinguere

l’insolvenza del fallibile e il sovraindebitamento del debitore non fallibile

a partire dai differenti interessi tutelati che fanno capo rispettivamente a

situazioni debitorie diverse.

La definizione di cui all’art. 6 l. n. 3 del 2012 non combacia

perfettamente con la descrizione offerta dall’art. 5 l. fall.

Una delle principale differenze sul piano letterale, in riferimento

all’incapacità del soggetto non fallibile di adempiere alle proprie

obbligazioni, riguarda la presenza dell’aggettivo “definitiva” in luogo

dell’espressione “non è più in grado”.

Parte della dottrina sostiene che il carattere della irreversibilità

dell’insolvenza disciplinata dal fallimento è venuto meno: si ritiene che

quando il dato testuale dell’articolo 5 l. fall. usa il termine “più”, questo

fa riferimento alle cause che hanno determinato una “impotenza solutoria

strutturale, non rimovibile senza l’ausilio del diritto concorsuale”51.

L’art. 6 l. n. 3/2012 menzionando espressamente il termine

“definitiva” risulterebbe quindi in controtendenza rispetto all’evoluzione

in materia fallimentare.

Per comprendere il perché dell’attuale formulazione dell’articolo

si deve far riferimento al testo della proposta di legge Centaro (Proposta

AC n. 2364), che individuava quale presupposto oggettivo del

sovraindebitamento anche la situazione in cui il debitore “non è in

condizione di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni”.

50 Per un’analisi esaustiva del presupposto oggettivo del fallimento di cui all’art. 5 l. fall. v. C. CECCHELLA, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, p. 40 ss. 51 F. PACILEO, Ancora sullo “stato di insolvenza”. Appunti sull’art. 5 legge fallim. e spunti sulla nozione di sovraindebitamento di cui alla l. n. 3/2012, in Dir. fall., 2013, p. 1-41.

48

A tal riguardo l’assenza dell’avverbio “più” aveva fatto ritenere

che il sovraindebitamento fosse assimilabile più allo “stato di crisi” ex art.

160 l. fall.52 che a quello di insolvenza53.

Dunque sembra che l’impiego del termine “definitiva” sia in realtà

stato scelto proprio per distinguere il fenomeno del sovraindebitamento

dallo stato di crisi, facendo residuare così l’insolvenza che risulta dal testo

vigente essere diventata species del genus sovraindebitamento.

Ad accedere alla procedura è dunque solo chi è insolvente e non

chi sia in una situazione di mera difficoltà temporanea.

Potrebbe confermare l’intento del legislatore di distinguere il

presupposto del sovraindebitamento da quello dello stato di crisi l’utilizzo

dell’aggettivo “perdurante”, che evoca una situazione di chiara non

transitorietà, che invece è tipica di una situazione di crisi, dopotutto “un

aspetto certamente comune all’insolvenza è costituito dal fatto che la

situazione non deve essere transitoria”54.

È comunque necessario sottolineare come una certa dottrina

ammetta la difficoltà di distinguere con chiarezza tra lo stato di

insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., lo stato di crisi e le situazioni di

sovraindebitamento55.

Inoltre il novellato art. 6 della legge offre una definizione di

sovraindebitamento diversa da quella contenuta nella versione

precedente: l’art. 6 utilizzava l’avverbio “nonché” come elemento di

congiunzione delle due tipologie di sovraindebitamento, patrimoniale e

finanziario.

Da ciò derivava che il debitore non solo doveva risultare

incapiente rispetto agli obblighi assunti ma doveva essere al contempo

incapace di adempiere con regolarità.

52 Cfr. art. 160 l. fall, ultimo comma, “Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di sovraindebitamento”. 53 F. PACILEO, op. cit., p. 1-41. 54 M. FABIANI, op. cit., p. 5. 55 A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 2033.

49

Il d.l. n. 179 del 2012 ha distinto il sovraindebitamento

patrimoniale da quello finanziario, stabilendo che ciascuna tipologia è

sufficiente e necessaria per ricoprire il ruolo di presupposto oggettivo di

applicazione delle procedure di composizione della crisi.

2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore

agricolo e gli altri identificabili per esclusione

L’art. 6 nella versione originaria della legge n. 3 del 2012 definiva

i destinatari della disciplina facendo riferimento a tutte quelle situazioni

“non assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali”.

L’attuale testo dell’articolo non soltanto qualifica espressamente

la composizione della crisi come procedura concorsuale, ma aggiunge

nella definizione un riferimento esplicito al consumatore.

Il testo della norma in linea generale identifica i destinatari della

nuova disciplina per esclusione, mentre menziona espressamente la figura

del consumatore. Dopotutto l’assenza di una simile distinzione aveva

rappresentato una delle critiche maggiori all’impianto della legge nella

sua versione originaria.

L’art. 6 fa riferimento alle “situazioni” non assoggettabili a

procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dal Capo II della

legge stessa. Si parla di situazioni ma è chiaro che il destinatario della

disciplina sia il debitore sovraindebitato56.

Ad essere sottoposto alla composizione della crisi continua ad

essere il soggetto e non il sovraindebitamento in sé, come confermato

dall’art. 7, comma secondo, lett. a), che indica tra i presupposti di

ammissibilità proprio il fatto che il debitore non sia soggetto a procedure

concorsuali diverse dalla composizione della crisi da sovraindebitamento.

56 Come in proposito sottolinea D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 563-564.

50

Ad eccezione della figura del consumatore e dell’imprenditore

agricolo espressamente menzionati dalla legge, l’identificazione degli

altri destinatari risulta, come già accennato, essere per esclusione:

accedono alla l. n. 3/2012 coloro che non sono soggetti né al fallimento,

né al concordato fallimentare o preventivo, né alla liquidazione coatta

amministrativa, né all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese

insolventi, né alle altre procedure concorsuali amministrative più

specifiche (es. la liquidazione coatta amministrativa per banche, imprese

di assicurazioni, intermediari finanziari).

Tra i soggetti che non possono attivare una delle procedura sopra

menzionate chiaramente vi è il consumatore a cui lo stesso art. 6 fornisce

una definizione ispirata palesemente al codice del consumo: “il debitore

persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi

estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.

È rilevante lo scopo in base al quale è stata contratta l’obbligazione.

Il Tribunale di Bergamo, in occasione di una pronuncia con cui ha

dichiarato l’inammissibilità della proposta di composizione della crisi, ha

individuato quali sono i comportamenti che qualificano come

consumatore: “al fine dell’individuazione del consumatore, il giudice

dovrà, pertanto, verificare le modalità dell’atto concluso, le forme

utilizzate, le circostanze di tempo e di luogo di esso allo scopo di

verificare se l’oggetto dell’attività possa ritenersi destinato al

soddisfacimento dei bisogni inerenti alla sfera privata, personale o

familiare; solo, infatti, il soggetto che con determinati atti soddisfi bisogni

di carattere personale o familiare può essere considerato consumatore,

meritevole di una particolare attenzione normativa, e non invece colui che

pur agendo al di fuori della propria attività professionale agisca in vista di

scopo ad essa comunque connessi”57.

57 Tribunale di Bergamo, 12 dicembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11822.php .

51

Il Tribunale ha dichiarato inammissibile un piano del consumatore

proposto da un soggetto persona fisica che aveva assunto obbligazioni in

qualità di garante di una società di persone.

Il Tribunale ha affermato che per la qualificazione del garante o

del fideiussore come consumatore occorre riferirsi alla posizione del

debitore principale, per cui se l’obbligazione garantita è stata assunta da

un professionista anche il garante si considera tale: “la qualità del

debitore principale attrae quella del fideiussore”.

Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato che l’attività del soggetto

proponente è estranea al consumo, nascendo la posizione debitoria da

esigenze imprenditoriali, per cui il fideiussore non è legittimato ad

avvalersi dei benefici del piano del consumatore.

Il socio o gli amministratori che abbiano garantito con

fideiussione debiti della società fallita, non essendo fallibili ex lege non

possono ottenere né l’esdebitazione con i creditori di un concordato

fallimentare, né quella per buona condotta, tuttavia possono avvalersi

dunque del solo accordo di ristrutturazione dei debiti e non del piano del

consumatore.

Tra gli altri soggetti che possono attivare una procedura di

composizione della crisi vi sono gli enti non commerciali, quali

fondazioni, associazioni, comitati se non sono titolari di imprese

commerciali; i professionisti intellettuali sia che operino in forma

individuale che associata58.

Il d.l. n. 179 del 2012 introduce e assoggetta esplicitamente alle

procedure di composizione della crisi, escludendone l’accesso al

fallimento, le cc.dd. start-up innovative, imprese commerciali dotate di

determinati requisiti indicati dall’art. 25 del d.l.

58 In merito all’esclusione dal fallimento e alla soggezione alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento delle società tra professionisti, con specifico riferimento alla società tra avvocati, v. D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 567, nota 30.

52

Nel novero dei destinatari della disciplina rientrano gli

imprenditori commerciali non fallibili in quanto non superano le soglie di

cui all’art. 1 l. fall e i piccoli imprenditori ai sensi dell’art. 2083 c.c.

La definizione di piccolo imprenditore è stata ricondotta agli

elementi quantitativi di cui all’art. 1 l. fall, ma comunque permane anche

la sua identificazione in termini qualitativi ex art 2083, per cui si ritiene

che la questione di concorrenza fra questi parametri si risolva ritenendo

che il soggetto che non superi le soglie dimensionali di fallibilità sia

sempre un piccolo imprenditore e di conseguenza sia escluso dal

fallimento59.

È unanime la dottrina nel ritenere assoggettabile alla procedura

anche l’imprenditore commerciale ormai non più fallibile, poiché è

decorso l’anno durante il quale era attivabile il fallimento come previsto

dall’art. 10 l. fall60.

Alcuni sostengono che sarebbero assoggettabili alla disciplina, in

luogo del favor debitoris che emerge dalla l. n. 3/2012, anche quegli

imprenditori individuali che, seppur in astratto sono assoggettabili alle

procedure concorsuali, vogliono proporre un accordo con i creditori

“personali”, il cui credito non derivi dall’esercizio di un’attività

imprenditoriale svolta dal debitore61.

È unanime invece la previsione della soggezione alla procedura di

composizione della crisi dei i soci illimitatamente responsabili di società

di persone che versino in una situazione di sovraindebitamento, mentre la

società risulta in bonis poiché diversamente il fallimento della società

59 F. MAIMERI, Presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso, in Fallimento, 2012, p. 1030. 60 La giustificazione dell’esclusione dal fallimento dell’imprenditore individuale cessato è rintracciabile “nella disgregazione del patrimonio dell’impresa in caso di cessazione che contrasta con gli obiettivi della concorsualità, da un lato e dall’altro nella necessità di non paralizzare ogni iniziativa fallimentare solo perché l’imprenditore ha cessato la sua attività”, v. C. CECCHELLA, op. cit., p. 34. 61 MACARIO, Finalità e definizioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 17. Per un’opinione contraria v. S. PACCHI, op. cit., p. 698.

53

comporterebbe l’estensione della dichiarazione di fallimento ai suoi soci

illimitatamente responsabili ex art. 147 l. fall.

L’art. 7, comma 2-bis, riconosce espressamente anche

all’imprenditore agricolo la possibilità di proporre ai creditori un accordo

di composizione della crisi secondo le disposizioni del primo comma

dello stesso articolo.

L’imprenditore agricolo è escluso dall’accesso alle procedure

concorsuali “tradizionali” e fino alla modifica del d.l. 179/2012 era

assoggettato alle sole regole ordinarie dell’esecuzione individuale.

In realtà quanto detto non è propriamente corretto poiché,

nell’ambito della disciplina di riforma delle procedure concorsuali, il

legislatore aveva già previsto con un decreto del 2011 l’estensione

all’imprenditore agricolo dei soli istituti non concorsuali dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis e della transazione fiscale ex art.

182-ter.

In merito, dunque, sarebbe interessante capire quale di questi

strumenti riconosciuti all’imprenditore agricolo sia per lui più

conveniente azionare. Per la trattazione dell’argomento rimando al

Paragrafo 6.1., tuttavia è possibile anticipare, sommariamente, che

sembra preferibile l’accordo ex art. 182-bis in quanto il debitore,

nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di

ristrutturazione, “può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi

amministrati dalle agenzie fiscali pur se limitatamente alla quota di debito

avente natura chirografaria e con l’esclusione dei tributi costituenti risorse

proprie dell’Unione Europea”62.

L’ambito soggettivo di applicazione della legge n. 3 del 2012 è

condizionato anche dalla mancata esistenza dei requisiti preclusivi

dell’art. 7, secondo comma, lett. b) ss.: il debitore, o nello specifico il

consumatore, non deve aver fatto ricorso nei cinque anni precedenti ad

uno dei procedimenti disciplinati dalla legge; non deve aver subito, per 62 A. CAIAFA, La crisi da sovraindebitamento: la disciplina specifica per l’imprenditore agricolo, in www.anticrisi.net.

54

cause a lui non imputabili, uno dei procedimenti di cui agli artt. 14 e 14-

bis; non deve aver fornito documentazione che non consente di ricostruire

compiutamente la situazione economica patrimoniale.

Una questione di non poca importanza è l’assoggettabilità degli

enti pubblici alla l. n. 3 del 2012, questi sono espressamente esclusi dal

fallimento e dal concordato preventivo ex art. 1 l. fall.

L’esposizione debitoria dell’ente pubblico fa emergere risvolti

amministrativi e mette in evidenza il rapporto con l’amministrazione

finanziaria dello Stato, ciò giustifica l’esigenza di tenerli indenni dalla

procedura di sovraindebitamento63.

In dottrina è stato evidenziato come la vigente versione della legge

abbia abbandonato il profilo relativo al sovraindebitamento delle

famiglie, presente invece nella proposta di legge Centaro64.

Il nucleo familiare viene preso in considerazione solo per la

determinazione della quota di reddito necessaria per le spese correnti del

debitore, ma non costituisce un elemento di valutazione delle ragioni del

sovraindebitamento.

Sarebbe stata conveniente per il debitore, invece, una valutazione

del livello complessivo di indebitamento della famiglia, poiché spesso i

familiari risultano essere coobbligati del debitore principale a causa di

garanzie patrimoniali o personali offerte o in luogo del regime della

comunione legale fra i coniugi.

Eppure l’art. 11 dispone diversamente: “l’accordo non pregiudica i

diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e

obbligati in via di regresso”. Regola questa che avvicina la composizione

della crisi alle soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art.

art. 184, secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui

all’art. 182-bis, poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una

63 M. CORDOPATRI, Presupposti di ammissibilità, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 22. 64 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1263 ss.

55

riduzione del credito ma la accetta consensualmente determinando anche

una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.

Se il garante è un familiare questo potrà attivare un’autonoma

procedura di composizione della crisi, a fronte di questa possibilità la

stessa dottrina si interroga sulla convenienza di duplicare le procedure, sia

in termini di costi e tempi, rispetto a situazione dove piuttosto sarebbe

stata auspicabile una considerazione complessiva.

2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di

ammissibilità, contenuto e deposito

Il debitore sovraindebitato può proporre ai creditori, con l’ausilio

degli Organismi di composizione della crisi, un accordo di

ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, sulla base di un

piano che prevede le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori

che potranno essere suddivisi in classi, oltre ad assicurare: il regolare

pagamento dei creditori impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.65 e delle

altre disposizioni contenute in leggi speciali (quali ad esempio crediti

alimentari o pensioni); il pagamento integrale, anche se dilazionato, dei

tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’imposta sul

valore aggiunto e delle ritenute operate e non versate (art. 7, comma 1).

65 Cfr. art. 545 c.p.c. “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per soggetti sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle somme predetto. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge [c.c. 1881, 1923, 2751, n. 7; c.p.c. 514].”

56

Gli OCC territorialmente competenti sono quelli la cui sede si

colloca nel circondario del tribunale in cui il debitore ha la residenza o la

sede principale.

Con “regolare pagamento dei titolari dei crediti impignorabili ai

sensi dell’art. 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in varie leggi

speciali” si fa riferimento al pagamento integrale e alla normale scadenza.

L’art. 7 prevede che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca

possano essere soddisfatti in misura inferiore al loro effettivo ammontare,

purché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella

realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione66.

Il piano su cui l’accordo si fonda può anche prevedere la

possibilità dell’affidamento del patrimonio ad un gestore nominato dal

giudice per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai

creditori. La scelta del professionista va effettuata sulla base dei criteri di

cui all’art. 28 l. fall.

È prevista la possibilità che l’accordo articoli i creditori in classi, e

nel silenzio della legge si ritiene di poter applicare il criterio generale,

previsto in materia di concordato, dell’omogeneità di posizione giuridica

e di interessi economici, nonché la previsione di trattamenti economici

differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse.

Poiché manca una norma come quella prevista per il concordato

dall’art. 128 l. fall., che richiede oltre alla maggioranza assoluta dei

crediti anche la maggioranza dei crediti all’interno del maggior numero di

classi, la suddivisione in classi nel sovraindebitamento non assume alcuna

rilevanza nella formazione del consenso.

Il comma 1-bis dell’art. 7 riconosce al debitore-consumatore di

poter proporre sempre con l’ausilio degli OCC, in alternativa all’accordo

di ristrutturazione dei debiti di cui al primo comma, un piano che, seppure 66 È stato sostenuto che il creditore prelazionato, nonostante la legge preveda la possibilità di un soddisfacimento parziale, rimane comunque titolare dell’intero diritto di credito: si tratterebbe di una decurtazione parziale ope legis, da distinguere rispetto alla rinuncia parziale convenzionale. In merito v. M. CORDOPATRI, Presupposti di ammissibilità, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 24.

57

il contenuto sia lo stesso dell’accordo, si caratterizzi per prescindere dalla

fase deliberativa dei creditori, essendo necessario e sufficiente il solo

giudizio di omologazione del tribunale competente.

Sia l’accordo che il piano del consumatore stabiliscono, per

espressa previsione del primo comma, le scadenze e le modalità di

pagamento dei creditori, indicando le eventuali garanzie rilasciate per

l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei

beni.

L’art. 8, primo comma, riconosce massima autonomia alle parti,

stabilendo che la proposta di accordo o di piano può prevedere la

ristrutturazione dei debiti “attraverso qualsiasi forma”. Viene sancito

dunque il principio dell’atipicità della proposta e il legislatore offre

espressamente un solo esempio: indica quale possibile modalità la

cessione di crediti futuri.

Quello che risulta dal testo è che gli unici veri requisiti che

l’accordo o il piano deve necessariamente presentare risultano essere la

ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, e perde qualsiasi

rilevanza l’elemento dell’immediato pagamento, potendo infatti statuire

dilazionamenti.

Accordo o piano potranno avere dunque contenuto dilatorio, o

esdebitatorio o misto, o prevedere una moratoria fino ad un anno per i

creditori muniti di privilegio; diversamente dalla disciplina previgente nel

piano possono rientrare anche le transazioni di crediti verso le pubbliche

amministrazioni (compresi crediti fiscali, previdenziali ed assistenziali):

l’estensione si dovrebbe desumere dall’ultimo comma dell’art. 11 che

facendo riferimento ai “pagamenti dovuti secondo il piano alle

amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza”

indirettamente sostiene la possibilità che questi crediti possano far parte

della formulazione del piano.

“Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti

a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la

58

proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il

conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per

assicurare l’attuabilità” (art. 8, comma 2).

L’utilizzo del termine “conferimento” rappresenta una esplicita

imprecisione, avendo nel linguaggio giuridico il significato di

trasferimento di un bene o di un diritto da un patrimonio ad un altro.

In realtà il legislatore concede al debitore soltanto la possibilità di

integrare il suo patrimonio con beni o redditi di terzi.

A seconda di quanto siano scarse le risorse finanziarie del

debitore, l’intervento del terzo può essere solutorio o a garanzia

(personale o reale).

In caso di rilascio della garanzia questa sembra dover avvenire

soltanto ex ante rispetto all’omologazione, poiché la legge prevede che la

proposta debba essere sottoscritta anche dal terzo prestatore di garanzia.

I terzi, una volta assunto l’obbligo, diventano a tutti gli effetti parti

dell’accordo o del piano: fino all’omologazione il vincolo soggiace ad

una condizione sospensiva; se l’accordo o il piano vengono revocati o

cessano di diritto di produrre effetti il vincolo stesso si estingue e

comunque, a prescindere dal verificarsi di tali eventi, non vengono meno i

diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

La proposta dell’accordo deve indicare le eventuali limitazioni di

cui è destinatario il sovraindebitato rispetto all’accesso al mercato del

credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a

credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari (art. 8, terzo

comma).

Devono essere indicate anche le eventuali segnalazioni in banche

dati quali la Centrale rischi presso la Banca d’Italia o la centrale di

allarme interbancaria.

Si vuole offrire così ai creditori una rappresentazione, la più

fedele, della situazione patrimoniale del debitore.

59

Quanto espresso dal terzo comma dell’art. 8 rappresenta un

contenuto eventuale dell’accordo.

Non è di scarsa rilevanza evidenziare che da una parte se il

debitore pone in essere una condotta che non rispetta i contenuti anche

eventuali dell’accordo soggiace alla sanzione penale prevista dall’art. 16,

comma 1, lett. f), dall’altra manca un vero e proprio sistema di controllo

che sia rivolto ai soggetti che erogano il credito al consumo, “né sono

state introdotte misure dirette a prevenire il loro utilizzo sconsiderato”67.

La proposta di accordo formulata da un imprenditore sotto soglia

può prevedere la continuazione dell’attività d’impresa e allo stesso tempo

anche una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento

dei creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca, salvo che sia prevista la

liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art.

8, ultimo comma).

Anche per il piano del consumatore è prevista una moratoria negli

stessi termini e nelle stesse modalità.

La domanda di ammissione, la proposta e il piano devono essere

depositate presso il tribunale competente: il tribunale del luogo di

residenza o della sede principale del debitore, e nello specifico per il

consumatore il tribunale del luogo di residenza.

La legge non qualifica espressamente il deposito della proposta

come domanda giudiziale, ma la dottrina giunge invece a tale conclusione

dovendo l’atto assumere la forma di un ricorso68.

67 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 573. Sulla severità della disciplina del sovraindebitamento e sulla indeterminatezza di quella del credito al consumo relativamente “alla negligente valutazione da parte del debitore del c.d. merito di credito del richiedente il finanziamento” v. E. PELLECCHIA, Composizione della crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza, in Diritto civile contemporaneo, 2014, in www.dirittocivilecontemporaneo.com. Nello specifico in merito all’approccio responsible lending si veda il contributo di E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 67 ss. 68 F. S. FILOCAMO, Deposito ed effetti dell’accordo, in Fallimento, 2012, p. 1047.

60

L’iniziativa del procedimento è rimessa esclusivamente al debitore

non fallibile; i creditori possono agire solo in via esecutiva, non hanno la

possibilità di attivare la procedura in esame.

La proposta di accordo o di piano, contestualmente al deposito

presso il tribunale, o comunque non oltre tre giorni, deve essere

presentata a cura dell’OCC all’agente della riscossione e agli uffici fiscali

competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del proponente.

La proposta deve contenere anche la posizione fiscale del debitore

e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti (art. 9, primo comma).

La documentazione da allegare alla domanda è indicata dall’art. 9,

secondo comma: l’elenco di tutti i creditori con l’indicazione delle

somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di

disposizione compiuti negli ultimi cinque anni; le dichiarazioni dei redditi

degli ultimi tre anni; la dichiarazione di fattibilità del piano; l’elenco delle

spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua

famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare

corredata dal certificato dello stato di famiglia.

Sono gli Organismi di composizione della crisi a formulare

l’attestazione di fattibilità del piano, una verifica in merito alla veridicità

dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati come definito

dall’art. 15, comma 6.

L’OCC attraverso il proprio giudizio sulla fattibilità del piano

conferma la capacità del debitore di osservare a seguito

dell’omologazione gli impegni assunti nella proposta.

La dottrina si è chiesta se sia sufficiente per l’attestazione una

semplice affermazione o sia invece necessaria una relazione, la soluzione

prevalente è quella di accordare a tale documentazione la natura di

relazione, dopotutto la relazione di fattibilità del piano e di veridicità dei

dati determinano la continuazione della procedura e forniscono ai

creditori informazioni utili per comprendere la convenienza della

proposta, per cui sarebbe riduttivo parlare di mera attestazione.

61

Si parla di obbligatorietà del deposito della relazione di fattibilità

anche in occasione di un concordato preventivo o di un accordo di

ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis69.

Il Tribunale di Firenze, già nella vigenza della versione precedente

della legge n. 3 del 2012, aveva dichiarato che il rigetto del ricorso per

mancanza dei requisiti richiesti dalla legge doveva essere dichiarato

quando non fossero indicate le scadenze e modalità di pagamento dei

creditori e quando fosse carente della dichiarazione dei redditi e

dell’attestazione di fattibilità70.

In merito al deposito della dichiarazione dei redditi più

recentemente, 18 novembre 2014, il Tribunale di Asti, ha affermato che

“la mancata produzione della dichiarazione dei redditi nei termini

prescritti comporta l'inammissibilità della domanda di composizione della

crisi da sovraindebitamento, in quanto non consente di ricostruire

compiutamente la situazione economica e patrimoniale del ricorrente così

come previsto dall’articolo 7, comma 2, lettera d) legge n. 3 del 2012,

mentre la sua produzione tardiva non consente l'esplicazione dell'esame

dell'attestatore al fine della valutazione sulla fattibilità del piano, il che

configura un ulteriore profilo di inammissibilità rappresentato dalla

incompleta attestazione”71.

Il terzo comma dell’art. 9 si rivolge all’imprenditore non

assoggettabile alle procedure concorsuali “tradizionali”, il quale ha

l’obbligo di depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi,

unitamente alla dichiarazione che ne attesta la conformità all’originale.

69 L’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, pur prevedendo l’obbligo dell’attestazione circa la fattibilità del piano, non obbliga il professionista ad attestare anche la veridicità dei dati aziendali. Parte della dottrina sostiene il ruolo ridotto del professionista attestante nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis. Sul punto cfr. P. QUARTICELLI, Il deposito della proposta, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 32. 70 Tribunale di Firenze, 27 agosto 2012, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8172.php. 71 Tribunale di Asti, 18 novembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/ban.php?id_cont=12095.php

62

L’imprenditore agricolo invece non è soggetto all’obbligo di

tenuta delle scritture contabili e di redazione del bilancio, ma per questo

non è consequenzialmente esonerato dal deposito della documentazione

che “consenta di ricostruire compiutamente la sua situazione patrimoniale

ed economica, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), dovendo se del caso

provvedere alla redazione ex novo di documenti riepilogativi a ciò

finalizzati”72.

Se il soggetto proponente è il consumatore questi è obbligato ad

allegare alla domanda una relazione particolareggiata dell’organismo di

composizione della crisi che deve contenere: “l’indicazione delle cause

dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore

nell’assumere volontariamente le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni

dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte; il

resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai

creditori; il giudizio sulla completezza e attendibilità della

documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta,

nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa

liquidatoria” (art. 9, comma 3-bis).

Il giudice può concedere un termine non superiore a quindici

giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi

documenti.

A partire dal deposito della proposta di accordo o di piano è

sospesa, ai soli effetti del concorso, la decorrenza degli interessi legali e

convenzionali per tutti i creditori chirografari. Il comma 3-quater

produce una sospensione che opera ex lege e prescinde da un

provvedimento del giudice.

Una volta presentata la domanda al tribunale competente,

corredata di tutta la documentazione necessaria, si apre la prima fase del

72 Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=10555.php

63

procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, che

culmina con l’adozione del provvedimento con cui viene fissata la data

del giudizio di omologazione.

La legge non prevede la difesa tecnica del debitore che presenta la

proposta di accordo o di piano.

Il Tribunale di Vicenza ha invece manifestato un’opinione diversa,

stabilendo che “è necessaria l’assistenza tecnica del debitore poiché: 1) la

proposta è una domanda giudiziale con il fine di comporre una crisi

finanziaria e si è in presenza di interessi contrapposti; 2) il ricorso è

introduttivo di una procedura; 3) la procedura si svolge davanti ad un

tribunale; 4) la procedura presenta fasi potenzialmente contenziose.

L’assistenza di un legale che assista il debitore può non essere necessaria

se nell’OCC che concretamente presenta la domanda vi sia anche un

legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della

stessa”73.

2.4. Il giudizio di ammissibilità

Il procedimento di composizione della crisi si apre a seguito del

deposito della domanda e, nonostante sia modellato sullo schema del rito

camerale (sono richiamate le disposizione degli artt. 737 ss. c.p.c.), si

svolge di fronte al giudice monocratico in deroga alla riserva di

collegialità prevista per i procedimenti in camera di consiglio ex art. 50

c.p.c.

L’art. 10, comma 1, in materia di accordo di ristrutturazione dei

debiti, prevede che il giudice debba operare d’ufficio, senza

contraddittorio alcuno, una verifica sul soddisfacimento da parte della

proposta dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9.

73 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php

64

La sussistenza dei requisiti richiesti consente di accedere alla fase

successiva del procedimento, cioè la formazione del consenso da parte dei

creditori.

La deliberazione del giudice in merito all’accordo ha ad oggetto la

competenza territoriale, la necessaria assistenza dell’OCC, i presupposti

di ammissibilità di cui al secondo comma dell’art. 7, la sussistenza dello

stato di sovraindebitamento, l’allegazione dei documenti di cui all’art. 9,

commi 2 e 3.

In merito al giudizio sull’esistenza dei requisiti di cui all’art. 7, 8 e

9, il legislatore non ha chiarito se la valutazione del giudice si configura o

meno come sindacato di merito sulla proposta e sulla fattibilità del piano.

Si ritengono applicabili anche in caso di sovraindebitamento i

principi elaborati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in

materia di concordato preventivo, con la sentenza n. 1521 del 23 gennaio

2013, in base alla quale il giudice potrà sindacare la logicità e

completezza motivazionale dell’attestazione presentata dall’OCC: si

ritiene ragionevole che il giudice possa sindacare “se la dichiarazione di

fattibilità e di veridicità dei dati rilasciata dall’Organismo di

composizione della crisi ai sensi dell’art. 15, comma 6, sia completa ed

adeguata, mentre il sindacato di merito della fattibilità da parte del

giudice pare riservato al giudizio di omologa su contestazione dei

creditori”74.

Nonostante il silenzio della legge, data la natura concorsuale

dell’accordo e i suoi elementi di vicinanza alle soluzioni concordatarie,

pare ragionevole giungere a questa conclusione e “approdare

simmetricamente a quanto il diritto giurisprudenziale sta

progressivamente stabilendo in materia di concordato preventivo”.

La norma non disciplina l’ipotesi in cui non siano soddisfatti i

requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 10, si deve presupporre che in 74 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23 gennaio 2013 n. 1521, in http://www.ilcaso.it/articoli/354.pdf. Sulla natura del giudizio di fattibilità della proposta cfr. L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, in Il fallimentarista, 12 dicembre 2012, p. 13.

65

caso di esito negativo il giudice emana un decreto di inammissibilità o

improcedibilità del ricorso.

Il sesto comma prevede comunque la possibilità di proporre

reclamo avverso il provvedimento del giudice al tribunale in

composizione collegiale e del collegio non può far parte il giudice che ha

adottato il provvedimento.

Il Tribunale di Bergamo, in una pronuncia del 16 dicembre 2014,

scandisce dettagliatamente le fasi del controllo da parte del giudice: in

primo luogo procede con la verifica del presupposto soggettivo e del

presupposto oggettivo, in secondo luogo verifica la capacità della

proposta di soddisfare il ceto creditorio e la presenza delle condizioni di

ammissibilità formale cioè di tutti i documenti che devono accompagnare

il deposito della proposta, successivamente si svolge il controllo sulla

fattibilità del piano e, nello specifico ambito della procedura del piano del

consumatore, sulla meritevolezza del consumatore75.

Il tribunale sottolinea che il controllo di legittimità è immanente

alle prerogative del giudice, mentre il controllo sulla fattibilità e

convenienza del piano sottostante alla proposta viene realizzato con

l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi.

Di seguito invece viene analizzata la procedura prevista in caso di

esito positivo della deliberazione del giudice, distinguendo tra accordi di

ristrutturazione dei debiti e piano del consumatore, che pur avendo un

contenuto simile in merito alla proposta sono destinati ad articolarsi in

fasi procedurali diverse, nel momento in cui manca per il piano del

consumatore la formazione del consenso dei creditori.

Se l’esito è positivo, in caso di proposta di accordo di

ristrutturazione dei debiti, il giudice fissa immediatamente con decreto di

ammissione alla procedura l’udienza di fronte a sé, tra l’udienza e il

giorno del deposito non devono decorrere più di sessanta giorni.

75 Tribunale di Bergamo, 16 dicembre 2014, in Il fallimentarista, 23 dicembre 2014

66

Del decreto e della proposta è disposta comunicazione ai creditori

presso la loro residenza o sede legale entro trenta giorni prima del termine

indicato dall’art. 11, termine di dieci giorni prima della data dell’udienza.

La comunicazione può avvenire per telegramma, lettera

raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o per posta elettronica

certificata.

Con tale decreto viene fissata la data di convocazione del debitore

e dei creditori, i quali entro dieci giorni dalla data dell’udienza ex art. 11

dovranno far pervenire i loro consensi o dissensi rispetto alla proposta.

Il decreto di ammissione alla procedura ha un contenuto

sostanziale indicato dal comma 2 dell’art. 10: il giudice deve decidere la

forma di pubblicità della proposta e del decreto secondo il principio di

idoneità (cioè la forma pubblicitaria utilizzata deve essere efficace

rispetto allo scopo perseguito); nel caso in cui il debitore svolga attività

d’impresa è comunque prevista la pubblicazione degli stessi nel registro

delle imprese; ove il piano su cui l’accordo del debitore si fonda preveda

la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili

registrati il giudice ordina la trascrizione del decreto, a cura degli OCC,

presso gli uffici competenti.

Il decreto presenta anche un contenuto inibitorio, prevedendo il

giudice che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione

diventi definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o

proseguite azioni esecutive individuali o disposti sequestri conservativi o

acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha

presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titoli o

causa anteriore.

L’effetto inibitorio quindi riguarda esclusivamente i crediti per

titolo o causa anteriori, per cui si è sostenuto che la concessione di titoli

di prelazione a fronte di finanziamenti destinati a fornire provvista per

67

l’esecuzione del piano sia legittima (questi crediti risultano inoltre

prededucibili ai sensi dell’art. 12, comma 5, ultimo comma)76.

Il divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive o cautelari

riguarda esclusivamente quelle individuali, per cui è sempre possibile

presentare istanza di fallimento.

La dichiarazione di fallimento pronunciata verso il sovraindebitato

risolve l’accordo ex art. 7 (art. 12, comma 5).

La disposizione in commento si ispira all’art. 51 l. fall ed è a sua

volta richiamata dall’art. 168 l. fall, che allo stesso modo dell’art. 10

contempla la nullità per le azioni in violazione della norma: ne risulta che,

anche nel caso in cui la proposta non venga omologata, gli atti di

esecuzione, i sequestri e i titoli di prelazione acquisiti nonostante il

divieto rimarranno improduttivi di effetti.

L’unica limitazione individuata dalla legge all’effetto inibitorio di

cui all’art. 10 è l’ipotesi di crediti impignorabili, rispetto ai quali la

sospensione non opera.

Durante tutto il periodo individuato dall’art. 10, comma 2, lett. c),

le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano (art.

10, comma 4).

A decorrere dalla data del decreto di ammissione alla procedura e

sino alla data di omologazione dell’accordo, il debitore ha l’obbligo di

ottenere l’autorizzazione del giudice per il compimento di atti eccedenti

l’ordinaria amministrazione, altrimenti sono inefficaci rispetto ai creditori

anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto (art.

10, comma 3-bis).

Questa norma viene mutuata dalle soluzioni concordate, infatti

l’art. 167 l. fall. prevede che, una volta aperta la procedura, gli atti

eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere compiuti solo se

autorizzati dal giudice delegato.

76 L. PANZANI, op. cit., p. 12.

68

La ratio della norma è quella di fornire adeguata tutela

all’interesse dei creditori alla capienza del patrimonio, affinché sia idonea

a soddisfare i loro interessi.

La disposizione sembra realizzare una sorta di spossessamento

attenuato.

Il quinto comma dispone che il decreto di fissazione dell’udienza

deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento, determina così

l’indisponibilità dei beni da parte del debitore restando preclusa ai

creditori posteriori alla comunicazione del decreto la possibilità di

soddisfarsi coattivamente su di essi (c.d. segregazione del patrimonio).

Nel fallimento soltanto a partire dal provvedimento giurisdizionale

con cui il giudice dichiara il fallimento si producono gli effetti specifici

della disciplina nei confronti del fallito.

Tra questi effetti si inserisce lo spossessamento materiale del

fallito il quale non ha più il possesso materiale dei beni che compongono

il suo patrimonio, né ha la capacità di porre in essere atti che siano

opponibili alla procedura fallimentare e ai creditori (art. 44 l. fall.).

Diversa è la situazione nei piani di risanamento o negli accordi di

ristrutturazione ex art. 182-bis o nei concordati, poiché in questi casi

l’imprenditore conserva l’amministrazione e la gestione dell’impresa, ma

sotto la vigilanza del commissario e la direzione del giudice delegato e

per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione il debitore necessita

comunque dell’autorizzazione del giudice.

Nella procedura di cui alla legge n. 3 del 2012, lo spossessamento

materiale è attenuato, si concentra sul regime dell’obbligatorietà

dell’autorizzazione del giudice a fronte di atti di straordinaria

amministrazione, allo stesso modo lo spossessamento giuridico determina

l’indisponibilità dei beni a partire dal decreto di fissazione dell’udienza

per l’omologazione.

69

Il debitore non fallibile rimane esecutore materiale dello stesso

accordo o piano, salvo le ipotesi in cui sia necessario nominare un

liquidatore per dare esecuzione allo stesso.

Durante l’udienza fissata col decreto di ammissione alla procedura

il giudice, se accerta la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori,

dispone la revoca del decreto e la cancellazione della trascrizione dello

stesso e la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.

Oggetto dell’accertamento dell’udienza non è la discussione o la

votazione dei creditori che invece è prodromica all’udienza, né la

costatazione dell’avvenuto raggiungimento dell’accordo di cui spesso si

ha conoscenza successivamente essendo numerose le formalità da

adempiere, ma piuttosto è proprio la presenza di iniziative o atti in frode

ai creditori.

Anche questo aspetto è mutuato dalla disciplina del concordato

preventivo, essendo la verifica in oggetto tipica del concordato ex art. 173

l. fall. Gli atti di frode rilevanti ai sensi dell’art. 173 sono quelli idonei ad

incidere sul processo formativo del consenso dei creditori, viziando o

alterando la formazione delle maggioranze, quali ad esempio “le condotte

rilevanti ai fini della interruzione della procedura come quelle compiute

in occasione della presentazione della domanda di concordato o

preordinate a fornire una falsa rappresentazione della situazione

patrimoniale dell’impresa al fine di carpire il consenso dei creditori”77.

Non rilevano gli atti di mala gestio (anche se integrano illeciti

contabili o gestionali) se non sono diretti ad alterare la formazione

genuina del consenso da parte dei creditori. È in questa prospettiva che

deve essere interpretata la norma di cui all’art. 10, comma 3, l. n. 3 del

2012.

Tra gli atti in frode ai creditori vi rientra anche il trust istituito dal

debitore a seguito del manifestarsi della situazione di squilibrio

77 G. IVONE, L’ammissione alla procedura, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 36

70

patrimoniale che sia stato realizzato con modalità e clausole tali da far

presumere l’intento del disponente di mantenere il controllo sui beni

sottraendoli alla garanzia patrimoniale78.

Per quanto concerne invece la disciplina del piano del

consumatore, in occasione del giudizio di ammissibilità a seguito del

deposito della proposta al tribunale competente, il giudice dovrà

verificare, così come accade per l’accordo, che siano soddisfatti i requisiti

di cui agli artt. 7, 8 e 9 e siano inoltre assenti atti in frode ai creditori (ex

art. 12-bis)79.

Se sono soddisfatti, il giudice emana un decreto con cui fissa

l’udienza e dispone a cura degli organismi di composizione la

comunicazione del decreto e della proposta ai creditori entro trenta giorni

prima. Tra la data del deposito e quella dell’udienza non devono

decorrere più di sessanta giorni.

Per la valutazione della fattibilità del piano e più in generale dei

requisiti di cui all’art. 7, 8 e 9 valgono le stesse considerazioni esposte

sopra in materia di accordi del debitore.

La struttura prevista per la procedura ad hoc del consumatore

presenta delle differenze rispetto a quella dell’accordo di ristrutturazione

dei debiti ex art. 7 l. n. 3/2012.

La differenza più significativa è l’assenza di una fase in cui si

subordina la proposta al placet dei creditori; a seguito del decreto di

ammissione si colloca la fase dell’omologazione del piano ad opera di

una positiva deliberazione da parte del giudice. 78 Tribunale di Reggio Emilia, 11 marzo 2015, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=12285.php 79 “La proposta avente ad oggetto la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore non può essere dichiarata ammissibile, ai sensi dell’art. 7 L. n. 3/2012, se, allo scadere del termine assegnato dal giudice per le integrazioni alla proposta ex art. 9, comma 3- ter, manchino l’attestazione del professionista in relazione all’idoneità del piano al pagamento del creditore privilegiato; la documentazione rappresentativa della situazione economico- patrimoniale del debitore; l’elenco dei creditori ed una relazione particolareggiata dell’Organismo di Composizione della Crisi avente il contenuto indicato all’art. 9 della citata legge” v. Tribunale di Milano, sez. II, 7 agosto 2014, in Il fallimentarista, 2 marzo 2015.

71

Altre differenze hanno ad oggetto gli effetti che derivano dal

decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti: la

mancanza di una disposizione simile al comma 3-bis dell’art. 10 che

presuppone per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria

amministrazione l’autorizzazione del giudice; l’assenza di una previsione

simile al quarto comma dell’art. 10, in base alla quale rimangono sospese

le prescrizioni e decadenze per tutto il periodo che intercorre tra il decreto

di apertura della procedura e quello di omologa, in merito a quest’ipotesi

l’eccezionalità della norma né impedisce un’applicazione estensiva o

analogica.

Una differenza rilevante riguarda il potere inibitorio del decreto di

fissazione dell’udienza sino alla data di omologazione dell’accordo di cui

al comma 2 lett. c), art. 10. Diversamente, nel piano del consumatore il

giudice ha la facoltà (e non l’obbligo) di poter eventualmente disporre

con lo stesso decreto di fissazione dell’udienza la sospensione della

prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata solo quando

questi potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano.

La sospensione quindi è disposta dal giudice con riferimento alle

particolarità del caso specifico e si è indotti a ritenere che il

provvedimento potrebbe essere valutato con riferimento anche ad una

specifica procedura, per cui potrebbe essere disposta la sospensione solo

di alcuni e non di tutti i procedimenti di esecuzione. In caso di mancata

omologazione del piano, la legge sembra richiedere la forma

dell’ordinanza per determinare la cessazione degli effetti del decreto di

sospensione.

Soltanto a seguito dell’omologazione del piano del consumatore è

prevista ex lege la nullità di tutte le azioni esecutive individuali, cautelari

e degli acquisti di diritti di prelazione.

Nel procedimento del piano del consumatore a essere assimilabile

a un atto di pignoramento è il decreto di omologa e non, come accade

72

nell’accordo ex art. 7, il provvedimento di fissazione dell’udienza emesso

a seguito del positivo giudizio di ammissibilità della proposta di piano.

Gli effetti del decreto di fissazione risultano dunque diversi, allo

stesso modo risulta diverso il momento in cui il giudice valuta la presenza

di atti in frode ai creditori: nell’accordo tale operazione viene svolta dal

giudice in occasione dell’udienza di comparizione delle parti, nel piano,

invece, avviene contestualmente al giudizio di ammissibilità.

2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del

debitore. La procedura senza votazione per il sovraindebitamento del

consumatore

Perché l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 l. n. 3 del

2012 possa essere omologato è necessaria l’approvazione da parte dei

creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.

I creditori fanno pervenire (anche per telegramma o lettera

raccomandata con avviso di ricevimento o telefax o per posta elettronica

certificata) almeno dieci giorni prima dell’udienza all’Organismo di

composizione della crisi la dichiarazione sottoscritta (attraverso firma

autografa del creditore o firma digitale) del proprio consenso o dissenso.

La dichiarazione resa può essere modificata fino a dieci giorni

prima dell’udienza.

L’adesione del creditore deve corrispondere alla proposta che è

comprensiva anche delle modificazioni intervenute ad opere del debitore

ai sensi dell’art. 10, comma 1.

Nel caso in cui il creditore non dia alcuna manifestazione

relativamente alla proposta, il silenzio, alla stregua della disciplina

prevista in materia di concordato fallimentare e preventivo, vale come

assenso, perciò viene equiparato all’accettazione della proposta.

La votazione dei creditori avviene fuori dal tribunale, è l’OCC a

raccogliere le dichiarazioni e, all’esito della votazione, a trasmettere ai

73

creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della

percentuale necessaria per accedere alla fase dell’omologazione

unitamente al testo dell’accordo.

Nel computo del consenso non vi rientrano i crediti muniti di

privilegio, pegno e ipoteca rispetto ai quali la proposta prevede l’integrale

pagamento, salvo che i titolari non rinuncino in tutto o in parte al diritto

di prelazione.

Non ha inoltre diritto di esprimersi sulla proposta, né sono

computati nel calcolo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi

parenti o affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro

crediti da meno di un anno prima della proposta.

La norma non prevede altre ipotesi di esclusione dal voto e dal

computo, risulta però dubbio se l’esclusione si debba o meno estendere

anche ai crediti contestati, condizionali e di regresso.

Nulla è detto nemmeno in riferimento ai crediti impignorabili,

rispetto ai quali però è unanime la propensione all’esclusione dal

computo, essendo comunque garantito il soddisfacimento integrale del

credito80.

La differenziazione tra creditori chirografari e creditori prelatizi

viene ereditata dalla disciplina del concordato, i creditori chirografari

possono votare, mentre gli altri sono esonerati dal voto nei limiti in cui

sono garantiti e purché non rinuncino alla garanzia.

Le ragioni dell’esclusione dal voto dei creditori garantiti è dettata

dalle regole che disciplinano la responsabilità patrimoniale di cui agli artt.

2740 e 2741 c.c. in base ai quali il debitore risponde con tutti i suoi beni

presenti e futuri alle obbligazioni assunte e, se l’obbligazione non viene

adempiuta spontaneamente, tutti i creditori hanno eguale diritto di

concorrere sui suoi beni con l’esecuzione forzata.

80 L. PANZANI, op. cit., p. 14.

74

I titolari di cause di prelazione però hanno il diritto di soddisfarsi

sui beni del debitore con preferenza rispetto agli altri creditori

chirografari.

Per i creditori garantiti risulta quindi indifferente quale sia la

procedura con cui soddisfano i loro crediti, se individuale o concorsuale,

dopotutto il diritto al soddisfacimento dei loro crediti è assicurato dal

vincolo che essi intrattengono con uno specifico bene o su un complesso

di beni del debitore.

Le ragioni dell’esclusione vengono meno nel momento in cui il

creditore garantito rinunci in tutto o in parte alla prelazione.

Il terzo comma dell’art. 11 stabilisce che l’accordo non pregiudica

i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore

e obbligati in via di regresso.

La norma è mutuata dalla disciplina concordataria, nello specifico

dall’art. 135, comma secondo, l. fall., il quale enuncia il “principio di

sopravvivenza delle garanzie nell’ambito delle procedure concorsuali”: i

coobbligati, i fideiussori e gli obbligati di regresso sono tenuti al

pagamento dell’intero debito ma hanno comunque diritto al regresso nei

confronti del condebitore o debitore principale solo per la percentuale

concordataria.

Diversamente invece accade nell’ambito degli accordi di

ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l. fall., avendo infatti

questo accordo natura negoziale lo stesso creditore acconsente con

l’accordo al ridimensionamento contestuale anche della garanza.

La normativa specifica che l’accordo non determina la novazione

delle obbligazioni, salvo che sia diversamente stabilito (art. 11, comma

4).

L’accordo cessa di diritto di produrre i suoi effetti se il debitore

non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i

pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli

enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

75

L’accordo viene revocato se durante la procedura risultano

compiuti atti volti a frodare le ragioni dei creditori. In occasione di

analoghe condotte, il giudice procede d’ufficio con decreto reclamabile di

fronte al tribunale in sede collegiale e del collegio non può far parte il

giudice che lo ha pronunciato.

Come già evidenziato in precedenza, il consumatore

sovraindebitato ha la possibilità di depositare presso il tribunale

competente una proposta di piano, alternativa all’accordo del debitore ex

art. 7, quando soddisfi i requisiti del “consumatore meritevole”.

La specialità della procedura è data dal fatto che concede al

sovraindebitato di poter ristrutturare la propria esposizione debitoria

senza soggiacere al placet dei creditori, essendo necessario dopo il

deposito della proposta solo l’omologa del giudice.

Riassumendo quanto già detto nel paragrafo precedente, una volta

presentata la domanda il giudice d’ufficio verifica preliminarmente i

requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 12-bis, se l’esito è positivo

immediatamente emana decreto con cui fissa l’udienza per decidere

sull’omologa del piano, disponendo che proposta e decreto siano

comunicati a tutti i creditori a cura dell’Organismo di composizione della

crisi almeno trenta giorni prima.

Il deposito della proposta del piano deve essere accompagnato da

tutti i documenti richiesti dall’art. 9, comma 3-bis, tra cui il giudizio sulla

probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

A formulare questa valutazione è proprio l’OCC, che si colloca in

una posizione di palese conflitto di interessi, avendo concorso alla

redazione del piano.

Il giudizio dell’Organismo risulta determinante per sancire la

convenienza del piano, poiché nemmeno il giudice in sede di omologa

può valutarne il merito: l’art. 12-bis, comma 3, fa riferimento soltanto ad

una verifica ad opera del tribunale sulla fattibilità e idoneità del piano ad

assicurare il pagamento dei crediti impignorabili.

76

Diversamente accade in caso di contestazione sulla convenienza

da parte dei creditori o di chiunque altro interessato, in quest’ultima

ipotesi infatti il giudice prima di procedere all’omologazione deve

considerare se il credito rispetto al quale è stata esercitata la contestazione

possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore

all’alternativa liquidatoria.

La Relazione al Decreto Sviluppo-bis espressamente attribuisce

all’omologazione dell’accordo e del piano un automatico effetto

esdebitatorio, giustificabile nell’ambito degli accordi del debitore per la

previsione di una deliberazione ad opera dei creditori, mentre più difficile

appare la ricostruzione per il piano del consumatore.

La stessa Relazione illustrativa del d.l. n. 179 del 2012 evidenzia

come l’assenza di una qualsiasi forma di consenso dei creditori sia

motivata dalla volontà di garantire maggiori possibilità di risanamento al

consumatore quando il suo piano sia assistito dalla deliberazione positiva

del tribunale.

Il piano del consumatore è stato definito come un procedimento

“anomalo per il nostro ordinamento, che si espone fortemente al sospetto

di incostituzionalità, quantomeno per la lesione dell’art. 24 Cost”, poiché

la procedura “di fatto preclude ai creditori del consumatore, che abbia

ottenuto l’omologazione del piano proposto e che lo abbia regolarmente

eseguito, di agire in giudizio a tutela dei propri diritti”81.

2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del

consumatore: la procedura al vaglio della più recente giurisprudenza

di merito

Sia la procedura dell’accordo del debitore che quella del piano del

consumatore prevedono nella loro articolazione una fase di omologazione

81 E. SABATELLI, Prime osservazioni su una disciplina in itinere: la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, in Il fallimentarista, 7 novembre 2012, p. 11.

77

che è disciplinata rispettivamente per l’accordo dall’art. 12 l. n. 3 del

2012 e per il piano dagli artt. 12-bis e 12-ter.

In materia di accordo, una volta pervenuti i consensi o dissensi

entro il termine previsto di almeno 10 giorni prima della data dell’udienza

fissata con il decreto di ammissione, l’OCC trasmette a tutti i creditori la

relazione sulle dichiarazioni espresse e sul raggiungimento della

percentuale prescritta per l’accordo, unitamente all’accordo stesso.

Nel caso specifico in cui il giudice venga informato attraverso la

relazione dell’Organismo sul mancato raggiungimento dell’accordo,

questi dichiara l’improcedibilità della proposta con decreto che non

impedisce la reiterabilità della proposta di accordo. Il provvedimento del

giudice è impugnabile con reclamo al collegio.

In caso di esito positivo nella formazione del consenso necessario,

entro dieci giorni dal ricevimento della relazione ad opera dell’OCC, i

creditori possono presentare contestazioni in merito al raggiungimento

dell’accordo, e alla fattibilità del piano o alla capacità del debitore di

adempiere al contenuto della proposta e di adempiere ai crediti tributari o

impignorabili per cui è previsto il soddisfacimento integrale.

Decorso quest’ulteriore termine di dieci giorni, l’Organismo

trasmette al giudice tutte le eventuali contestazioni allegando

un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.

Con il termine “definitiva” si fa riferimento ad un’attestazione

diversa rispetto a quella di cui all’art. 9, comma 2; come in precedenza

esposto, l’attestazione presentata dal debitore in occasione del deposito

della proposta è redatta dall’OCC e ha lo scopo di verificare la veridicità

dei dati contenuti nella proposta e nei documenti, oltre ad attestare la

fattibilità del piano (art. 15, comma 6). Si può ritenere che la relazione

“definitiva” si distingue dall’attestazione depositata in precedenza per il

78

fatto di considerare elementi ulteriori e sopravvenuti al deposito anche in

luogo delle contestazioni sollevate dai creditori82.

Prima di procedere all’omologazione il giudice deve: verificare il

raggiungimento dei consensi rappresentanti almeno il sessanta per cento

dei crediti (art. 11, comma 2); verificare l’idoneità della proposta ad

assicurare il pagamento integrale dei crediti tributari e impignorabili (art.

7, comma 1); procedere alla soluzione di ogni altra contestazione.

L’espresso riferimento alla verifica della “idoneità della proposta”

a soddisfare i crediti impignorabili e quelli tributari attribuisce al giudice,

in sede di omologa, il potere di entrare nel merito del contenuto del piano

e di non valutarne solo la coerenza e congruità rispetto all’attestazione del

professionista83.

Quando la contestazione circa la convenienza dell’accordo è

presentata da un creditore escluso, o che non ha aderito, o da qualunque

altro interessato, il giudice procede comunque all’omologazione

dell’accordo se ritiene che il credito possa essere soddisfatto

dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa

liquidatoria disciplinata dagli artt. 14-ter ss. (art. 12, comma 2, secondo

periodo). La l. n. 3 del 2012 mutua quindi dal concordato preventivo la

disciplina del c.d. cram down84.

La cognizione del giudice in questo caso viene ad ampliarsi, nel

senso che il controllo del giudice si fa più penetrante, potendo effettuare

una valutazione comparativa rispetto alle modalità e alle condizioni del

soddisfacimento del credito mediante la liquidazione dei beni.

La novella amplia ulteriormente, in sede di omologa, i poteri del

giudice sulla valutazione del piano a seconda che siano presentate

82 A. CARON, L’omologazione dell’accordo e del piano, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 46. 83 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2045. 84 “Istituto di derivazione nordamericana designato con un’espressione che significa letteralmente ‘ingozzare’ e nel linguaggio giuridico sta a indicare l’accettazione forzata, da parte del contraente, di clausole negoziali sgradite”, v. E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p.1288.

79

contestazioni da parte dei creditori: in questo caso il giudice può

procedere ad un giudizio sulla convenienza del piano.

È necessario richiamare quanto già detto sulla giurisprudenza di

legittimità che si è formata in merito al giudizio di fattibilità del

concordato preventivo, in base alla quale tale giudizio (in sede di

ammissione alla procedura, e ciò vale anche per la fase di omologa)

attesta la completezza ed adeguatezza delle informazioni fornite ai

creditori e non si orienta verso una valutazione circa la convenienza del

concordato.

Allo stesso modo, nella procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento il giudice valuta l’idoneità dello stesso ad assicurare

il soddisfacimento dei crediti, tra cui il pagamento integrale per quei

crediti che non possono essere parzialmente soddisfatti. In caso di

opposizione il controllo del giudice sarà più penetrante, dovendo operare

la valutazione di cui all’art. 12, comma 2, secondo periodo.

Se la valutazione del giudice, a fronte di questi aspetti, risulta

positiva, l’accordo viene omologato e il giudice ne dispone la

pubblicazione.

Avverso il provvedimento di omologazione o di diniego è

possibile presentare reclamo da proporre al tribunale in composizione

collegiale e del collegio non farà parte il giudice che si è pronunciato in

sede di omologa.

Il provvedimento di omologazione deve intervenire entro sei mesi

dal deposito della proposta. Il termine, anch’esso mutuato dalla disciplina

concordataria, deve considerarsi ordinatorio, la Cassazione il 4 febbraio

2009, n. 270685 ha risolto così la questione circa la natura del termine in

materia di concordato preventivo e in quanto termine processuale è

soggetto alla sospensione feriale. La decisione della Cassazione ha

trovato largo consenso anche fra la giurisprudenza di merito e la dottrina.

85 Corte di Cassazione, Sez. I Civile 04 febbraio 2009, n. 2706, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1684.pdf

80

La fase dell’omologazione solleva dubbi in merito al rispetto del

principio costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. in quanto non è previsto

che le parti abbiano diritto a comparire e ad essere sentite dal giudice, né

che sia garantito il diritto al contraddittorio. La ragione di tale silenzio

può essere rintracciata “nella volontà del legislatore di semplificare il

procedimento, rendendolo vuoto di orpelli e formalismi, tuttavia la

garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale appare ingiustamente

sacrificata”86. Il legislatore non ha tenuto conto delle critiche che erano

state formulate sulla versione previgente della legge n. 3/2012, nello

specifico sulla mancata previsione del contraddittorio in occasione del

giudizio sulla fattibilità del piano e prima della decisione del giudice.

Tuttavia è da ritenere che il rispetto di tale principio comporti che il

giudice debba provvedere in tal senso87.

L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al

momento in cui è stata eseguita la pubblicità ex art. 10, comma 2; i

creditori con causa o titolo posteriori non possono procedere

esecutivamente sui beni oggetto del piano. Si vuole evitare il pregiudizio

che potrebbe conseguire da azioni esecutive sui beni contemplati

nell’accordo.

È stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso il

decreto di omologazione, in quanto l’omologazione produce ulteriori

effetti inibitori sulle azioni esecutive, oltre alla possibilità che il creditore

veda differita la soddisfazione del suo credito senza neppure potersi

tutelare attraverso l’acquisizione di garanzie giudiziali88.

Viene così riconosciuto il diritto del creditore ad un controllo di

legittimità sul provvedimento che decide sul suo diritto a procedere con

l’azione esecutiva.

La vincolatività dell’accordo ex art. 12, comma 3, viene meno in

caso di risoluzione dell’accordo o di mancato pagamento dei crediti

86 M. FABIANI, op. cit., p. 12. 87 L. PANZANI, op. cit., p. 11 88 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2045.

81

impignorabili e tributari. L’accertamento del pagamento di questi crediti è

chiesta con ricorso al tribunale che decide in camera di consiglio.

Una causa di risoluzione dell’accordo riguarda l’ipotesi in cui

l’imprenditore non fallibile abbia superato le soglie di fallibilità di cui

all’art. 1 l. fall nel corso della procedura di sovraindebitamento.

La dichiarazione di fallimento risulta quindi ammissibile anche ad

accordo omologato nel momento in cui si parla proprio di risoluzione

dell’accordo stesso.

In caso di intervenuta dichiarazione di fallimento gli atti, i

pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo

omologato sono esenti dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l.

fall., e inoltre viene riconosciuta la prededucibilità dei crediti derivanti da

finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo

omologato (art. 12, comma 5).

In riferimento agli accordi di ristrutturazione è singolare il caso

del decreto di omologa adottato dal Tribunale di Pistoia in data 19

novembre 2014: la caratteristica del provvedimento sta nel fatto che la

procedura di sovraindebitamento si trova ad essere legata ad un

concordato preventivo omologato in precedenza sempre dallo stesso

tribunale, il 2 luglio 2014, avente ad oggetto una società in accomandita

semplice i cui soci illimitatamente responsabili sono gli stessi due

soggetti persone fisiche interessati dalla procedura di cui alla l. n. 3 del

201289.

I profili di interazione che il caso di specie fa emergere fra le due

procedure sono essenzialmente due e riguardano da una parte la creazione

di un surplus finanziario all’interno della procedura di concordato da

destinare al soddisfacimento dei creditori del sovraindebitamento,

dall’altra la posizione dei debitori proponenti quali contestualmente anche

89 Tribunale di Pistoia, 19 novembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/11859.pdf

82

soci illimitatamente responsabili e fideiussori della s.a.s. soggetta al

concordato90.

Il surplus finanziario da destinare alla procedura di

sovraindebitamento è stato previsto già a partire dalla proposta di

concordato ed è stato realizzato attraverso la vendita di determinati beni

immobili.

L’individuazione di un surplus ha determinato la fuoriuscita dal

concordato preventivo del relativo complesso di beni destinato alla sua

formazione, inoltre la sua realizzazione è stata subordinata già a partire

dalla domanda di concordato alle seguenti condizioni: il piano del

concordato doveva essere omologato con l’accettazione, da parte del ceto

creditorio, della creazione del debito verso la procedura di

sovraindebitamento; i creditori del sovraindebitamento dovevano

accettare l’accordo ex art. 9 e questo doveva essere omologato.

Il piano omologato del concordato ha previsto inoltre l’integrale

pagamento dei creditori e questo ha reso possibile la creazione di un

surplus.

Il Tribunale di Pistoia pone attenzione sul rapporto di

pregiudizialità-dipendenza che sussiste fra le due procedure relativamente

al caso di specie: il piano di accordo ex art. 9 non sarebbe stato giudicato

fattibile senza il surplus realizzato col concordato preventivo.

Proseguendo nell’analisi della legge n. 3 del 2012, in merito alla

disciplina prevista per il piano del consumatore, in occasione dell’udienza

per l’omologazione del piano, il giudice per poter pronunciare l’omologa

deve preliminarmente verificare la fattibilità del piano e l’idoneità dello

stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti

tributari. In merito alla natura del giudizio vale quanto detto in materia di

accordi del debitore ex art. 7 l. n. 3/2012.

90 Per un esaustivo e puntuale commento alla pronuncia del Tribunale di Pistoia v. T. STANGHELLI, Forme di interazione tra procedure concorsuali: l’utilizzo di finanza esterna concordataria nella pronuncia di sovraindebitamento (Nota di commento a Tribunale di Pistoia 19 novembre 2014), in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11859.php

83

Il giudice procede a risolvere ogni altra contestazione, anche in

ordine all’effettivo ammontare dei crediti.

Deve verificare inoltre la meritevolezza del consumatore che si

manifesta nel non aver assunto obbligazioni senza la ragionevole

prospettiva di poterle adempiere o nel non aver determinato colposamente

il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non

proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Una definizione di sovraindebitamento colposo, strettamente

connessa al caso specifico che le era stato sottoposto, è fornita dal

Tribunale di Ravenna in una recente pronuncia: “il ricorso continuo e

temporalmente concentrato a più fonti di finanziamento tale da assorbire

con impegni negoziali di restituzione rateale i propri interi redditi, in una

situazione in cui i debitori avevano in Italia la sola proprietà di un

immobile gravato interamente da una precedente ipoteca, configura la

causa ostativa all’omologazione di cui all’art. 12 bis L. 3/2012 e ss.”91.

La disciplina dell’art. 12-bis stabilisce che solo una volta verificati

i seguenti requisiti il giudice omologa il piano disponendo idonea

pubblicità.

Anche con riferimento al piano del consumatore è previsto il cram

down: quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la

convenienza del piano, il giudice procede comunque all’omologa se

ritiene che il credito possa esser soddisfatto in misura non inferiore a

quella che deriverebbe dalla procedura di liquidazione di cui agli artt. 14-

ter ss., anche in questo caso il giudizio è camerale e il reclamo va

presentato al tribunale in composizione collegiale.

91 Tribunale di Ravenna, 17 dicembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11918.php. In occasione della stessa pronuncia il giudice ha affermato in merito al giudizio sulla colposa determinazione della situazione di sovraindebitamento: “Tale valutazione è possibile compiere de plano, senza fissazione di apposita udienza, posto che appare comunque demandata al giudice la verifica preventiva del soddisfacimento dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9 l. 3/2012 cui deve aggiungersi, con riferimento a questo tipo di procedimento, anche la circostanza che risulti già prima facie la carenza delle condizioni per la successiva omologazione, ai sensi di quanto previsto dal citato art. 12 bis, comma 3”.

84

L’omologazione deve intervenire entro il termine di sei mesi dal

deposito della proposta. Il decreto di omologa equivale all’atto di

pignoramento.

Tra i primi provvedimenti di omologazione emessi in applicazione

della l. n. 3 del 2012 si colloca la pronuncia del Tribunale di Pistoia del

27 dicembre 2013, la quale si caratterizza non soltanto per un dato

temporale, ma, soprattutto, per aver proceduto all’omologazione del piano

quando i debiti contratti dal consumatore sovraindebitato erano stati

assunti per sostenere l’attività professionale di un terzo92.

Non sono mancate osservazioni critiche in merito, è stato

evidenziato come sia disatteso dal tribunale il testo dell’art. 6, secondo

comma, lett. b) che presuppone che col termine “consumatore” si possa

identificare solo colui che abbia contratto esclusivamente obbligazioni

estranee ad un’attività d’impresa propria, o (coerentemente con la ratio

della norma) di altri93.

Secondo tale orientamento non sussistono gli estremi per ricorrere

al piano del consumatore, piuttosto il sovraindebitato avrebbe potuto

attivare la procedura dell’accordo ex art. 7, essendo difficile qualificare

come meritevole colui che ha contratto ulteriori “sproporzionate”

obbligazioni già in stato di indebitamento, in una misura superiore alle

capacità che il suo reddito invece avrebbe garantito.

Lo stesso Tribunale di Pistoia in sede di reclamo, in data 28

gennaio 2014, revoca l’omologa, ritenendo non esatti i calcoli sulla

redditualità familiare e non esatta la valutazione relativa alla capacità del

reddito di sostenere il progressivo indebitamento e non esatta la

qualificazione della natura non colposa94.

92 Tribunale di Pistoia, 27 dicembre 2013, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=9947.php. 93 Per un’analisi critica della pronuncia v. G. ROJAS ELGUETA, I presupposti di accesso alla procedura di “piano del consumatore”, in Il fallimentarista, 25 marzo 2014, p. 2 ss. 94 Tribunale di Pistoia, 28 febbraio 2014, in http://www.odcec.pistoia.it/images/sito/documenti/commissioni/commisione_sovraidebitamento/20_03_2014_materiale_evento/Decreto_revoca_omologa_28_02_2014.pdf

85

La pronuncia ricorda come il terzo comma dell’art. 12-bis

condizioni l’omologa del piano all’esclusione di due circostanze, anche

alternativamente idonee a determinare un “effetto paralizzante”, di cui la

prima fa rifermento all’ipotesi in cui il consumatore abbia contratto

obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere:

l’attenzione è rivolta al “momento genetico dell’obbligazione” e

l’esclusione di tale condizione si manifesta nella prudente assunzione di

obbligazioni secondo i criteri di ordinaria diligenza.

Il secondo fenomeno richiamato dal comma in esame riguarda

invece la determinazione colposa del sovraindebitamento, anche per

mezzo di un ricorso al credito non proporzionato rispetto alle proprie

capacità patrimoniali: questa condizione attiene alla “fase funzionale del

rapporto” e la sua assenza dimostra che l’incedere del sovraindebitamento

non sia riconducibile al debitore.

Quest’ultima ipotesi si risolve nel c.d. sovraindebitamento passivo

che, come dettagliatamente descritto dal tribunale, si realizza quando il

consumatore subisce un’avversa evenienza economica o, comunque, un

avvenimento accidentale che alteri in senso negativo la sua capacità di

produrre reddito, quale ad esempio “un infortunio dal quale derivi una

grave inabilità al lavoro, una malattia necessitante cure costose, la perdita

o riduzione del lavoro per cause non imputabili al consumatore, gli oneri

derivanti da separazione dei coniugi, l’impossibilità di incassare i propri

crediti, il progressivo e sensibile aumento dei costi a causa di processi

inflattivi ecc.”.

Le ipotesi ora descritte rappresentano esempi di condotte

incolpevoli secondo il Tribunale di Pistoia.

Il legislatore ha invece tipizzato una sola condotta colpevole di

sovraindebitamento: il ricorso al credito non proporzionato alle proprie

capacità patrimoniali. Questa sembra piuttosto collocarsi sotto la prima

tipologia di condizioni di meritevolezza individuate dall’art. 12-bis,

comma 3, che richiede prudenza nell’assunzione delle obbligazioni.

86

La dottrina ha sottolineato in merito alla pronuncia in analisi come

la questione del consumo consapevole sia strettamente connessa al profilo

del prestito responsabile: il paradosso che sembra emergere da questa

relazione ha ad oggetto la figura del creditore che ha presentato il reclamo

che altro non è, nella specifica del caso, la società finanziaria che ha

erogato l’ultimo e più cospicuo finanziamento95.

Nel presentare reclamo il creditore ha affermato che non

esistessero le condizioni di meritevolezza richieste dalla legge in quanto il

debitore aveva assunto obbligazioni nella piena consapevolezza delle sue

difficoltà economiche e finanziarie.

L’orientamento in commento evidenzia che “anche il creditore

non poteva non sapere o quanto meno ipotizzare che il soggetto che

chiedeva il finanziamento difficilmente avrebbe potuto restituirlo”.

Da una parte si colloca quindi la disciplina del

sovraindebitamento, severa nella valutazione della meritevolezza,

dall’altra la disciplina del credito al consumo la cui regolamentazione

oramai si struttura attraverso l’imposizione di obblighi di informazione

nella prospettiva di rendere sempre più edotto il consumatore circa le sue

condotte, essendo invece scarna e incerta la disciplina dei rimedi alla

negligente valutazione ad opera del creditore, del c.d. “merito di credito”

del richiedente il finanziamento96.

La recente giurisprudenza di merito ha avuto dunque un ruolo

decisivo nel definire i contorni della legge n. 3 del 2012.

In questa ottica rientra il provvedimento del Tribunale di Ascoli

Piceno del 4 aprile 2014, con cui il giudice afferma, in merito ad un piano

del consumatore, la discrezionalità del debitore nel rispettare il principio

della parità di trattamento: “la L. 3/2012 non impone al consumatore di

95 E. PELLECCHIA, Composizione della crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza, cit., p. 4. 96 Per un approfondimento del rapporto fra ‘meritevolezza’ del consumatore nella procedura di sovraindebitamento e ‘merito di credito’ del richiedente nel credito al consumo v. E. PELLECCHIA, Primi provvedimenti sulle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: in particolare, il piano del consumatore, in Banca borsa, 2014, p. 543 ss.

87

rispettare la par condicio creditorum, potendo essere proposto un

soddisfo diversificato per le singole posizioni debitorie”97.

Il Tribunale pone attenzione sull’esclusione della necessità di una

parità di trattamento tra creditori, dopotutto il debitore in luogo della

normativa speciale in materia di sovraindebitamento ha una massima

libertà nel strutturare la soluzione alla crisi, essendo vincolato solo al

rispetto del soddisfacimento integrale dei crediti impignorabili e di quelli

tributari.

Le osservazioni che sono state espresse in merito alla pronuncia in

commento, e nello specifico in relazione al principio della par condicio

creditorum, sono incentrate sul poter riconoscere la possibilità di un

trattamento diversificato non fra classi di creditori, ma fra singoli

individui.

Il classamento dei creditori rappresenta nelle procedure

concorsuali minori un’espressa deroga al principio della parità di

trattamento; la questione del classamento individuale rimane invece

aperta, nonostante sia in realtà un problema più di forma che di sostanza

visto che si tende oramai ad ammettere la costituzioni di classi formate

anche da un singolo individuo98.

Uno spunto che viene sollevato dalla dottrina in relazione al caso

di specie è rappresentato dalla possibilità di offrire un trattamento

diversificato in relazione al ruolo che il creditore ha avuto nella

formazione del sovraindebitamento del debitore.

Escludendo la possibilità di un classamento punitivo,

l’orientamento in commento si interroga piuttosto sulla possibilità che il

debitore valuti come un credito potenziale l’addebito di responsabilità e

consideri il risultato di un’eventuale azione nei confronti del debitore

97 Tribunale di Ascoli Piceno, 4 aprile 2014, in http://dirittocivilecontemporaneo.com/wp-content/uploads/2014/09/Trib.-Ascoli-Piceno-4-aprile-2014.pdf 98 Per un commento alla pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno in riferimento al profilo della parità di trattamento v. P. BOSTICCIO, Risanamento della crisi da sovraindebitamento del consumatore e rispetto della par condicio creditorum, in Il fallimentarista, 15 maggio 2014.

88

come un controcredito risarcitorio che andrebbe a limitare il

soddisfacimento o, addirittura, “creare una posizione di pretesa verso il

terzo che sarebbe corretto azionare anche a beneficio degli altri creditori

incolpevoli che potrebbero così vedere incrementare il proprio soddisfo”.

Sospendendo l’analisi dell’articolazione procedurale del piano del

consumatore e procedendo nell’identificazione degli effetti

dell’omologazione, quello che risulta è che, così come accade nell’ambito

dell’accordo, a seguito dell’omologa del piano tutti i creditori anteriori al

momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all’art. 12-bis, comma

3, sono vincolati, mentre i creditori con titolo o causa posteriore non

potranno agire esecutivamente sui beni che rientrano nel piano

(“segregazione del patrimonio”).

In analogia con l’accordo, sono fatti salvi i diritti dei creditori

verso fideiussori, coobbligati e obbligati di regresso.

In merito all’effetto inibitorio verso le azioni esecutive e cautelari

la disciplina del piano differisce nettamente dall’accordo: nell’accordo

del debitore la sospensione di tali azioni si produce ex lege a seguito del

decreto di ammissione alla procedura, mentre nel piano del consumatore è

eventuale ed è rimessa alla valutazione del giudice.

Nel piano l’effetto inibitorio ex lege si produce soltanto con la

pubblicità del decreto di omologazione, da quel momento i creditori con

titolo o causa anteriore non possono né proseguire né iniziare azioni

esecutive individuali, cautelari né procedere all’acquisto di diritti di

prelazione sul patrimonio del consumatore.

L’effetto inibitorio viene meno a seguito dell’accertamento

giudiziale del mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili o di

crediti tributari, da richiedere con la presentazione del ricorso ai sensi

dell’art. 12, comma 4, richiamato dallo stesso art. 12-ter, comma quarto.

È inevitabile riconoscere che sia proprio la giurisprudenza di

merito a giocare un ruolo decisivo nel delineare l’operatività della

composizione della crisi da sovraindebitamento, ne è un esempio la

89

recente pronuncia del Tribunale di Bergamo per cui “deve essere

ammessa la proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento

che prevede una percentuale di soddisfacimento dei creditori concorsuali

vicina allo zero (2,5%), purché il soddisfacimento coinvolga tutti i

creditori concorsuali in modo tale da realizzare la funzione economica

dell’istituto”99.

2.7. La fase esecutiva

La fase dell’esecuzione dell’accordo e del piano del consumatore

è per entrambe le procedure disciplinata dallo stesso art. 13 l. n. 3 del

2012.

Il debitore deve adempiere alle obbligazioni nei termini e nelle

modalità previste dal piano, salvo il pagamento integrale dei crediti

impignorabili e di quelli tributari.

L’apertura del procedimento di composizione della crisi non

determina effetti automatici nei confronti del debitore, quali lo

spossessamento, come avviene invece per il fallimento, per cui in linea di

principio è lo stesso debitore ad essere l’esecutore materiale dell’accordo.

L’art. 7, comma 1, ultimo periodo, riconosce la possibilità che nel

piano sia prevista l’ipotesi della nomina di un gestore ad opera del

tribunale, su proposta dell’OCC, per la custodia, la liquidazione dei beni e

la distribuzione del ricavato.

La fase esecutiva non può essere affidata né al debitore né al

gestore (nonostante abbia i requisiti ex art. 28 l. fall.), se per la

soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento

(fase con liquidazione obbligatoria) o se lo stesso è previsto dall’accordo

o dal piano (fase con liquidazione eventuale): in questi casi il giudice,

sempre su proposta dell’OCC, nomina un liquidatore che dispone in via

esclusiva dei beni e delle somme incassate, non residuando così al

99 Tribunale di Bergamo, 31 marzo 2015, in Il fallimentarista, 8 aprile 2015.

90

debitore alcun diritto di controllare la gestione e di avere il rendiconto alla

fine della liquidazione.

I requisiti per la nomina del liquidatore sono i medesimi previsti

per la nomina del curatore per espresso rinvio della norma all’art. 28 l.

fall. In caso di liquidazione di beni pignorati sembra opportuno affidare al

liquidatore non solo la liquidazione di tali beni, ma anche quella

dell’intero attivo, senza frazionamenti100.

Le funzioni di liquidatore possono essere svolte per espressa

disposizione del giudice anche dagli Organismi di composizione della

crisi, come previsto dall’art. 15, comma 8.

Gli OCC hanno un ruolo decisamente centrale in questa fase del

procedimento, essi infatti risolvono, attraverso il tentativo di una

composizione amichevole, le eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione

dell’accordo, purché le contestazioni non abbiano ad oggetto diritti

soggettivi o non si tratti di sostituzione del liquidatore per giustificati

motivi. Essi vigilano inoltre sull’esatto adempimento dell’accordo e del

piano, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità.

La legge non specifica quali nell’effettivo siano i poteri di

controllo attribuiti agli Organismi, è largamente condivisa la posizione

per cui le irregolarità, di cui si è detto sopra, che fanno sorgere l’obbligo

di segnalazione siano quelle che possono potenzialmente determinare la

risoluzione dell’accordo e la conseguente caducazione della protezione

patrimoniale dei creditori101.

L’art. 13 invece attribuisce espressamente al giudice la risoluzione

delle contestazioni che hanno ad oggetto diritti soggettivi o la

sostituzione del liquidatore per giustificati motivi, nulla però viene detto

in merito al procedimento specifico per tali contestazioni e perciò si

100 R. BATTAGLIA, I nuovi procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il maquillage della L. n. 3/2012, in Fallimento, 2013, p. 1442. 101 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2055.

91

ritiene che debba svolgersi con rito camerale richiamato dall’art. 12 per la

procedura di omologazione102.

Il giudice inoltre autorizza lo svincolo delle somme e ordina la

cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative

ai diritti di prelazione e di ogni altro vincolo tra cui la trascrizione del

decreto di fissazione dell’udienza ex art. 10, solo dopo aver sentito il

liquidatore e aver verificato la conformità dell’atto dispositivo all’accordo

e al piano, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti

impignorabili e dei crediti tributari (art. 13, comma 3).

L’ordine di cancellazione delle formalità iscritte dovrà essere

pronunciato dal giudice in ogni caso, anche quando non sia stato

nominato alcun liquidatore, poiché se non si interpretasse così la

disposizione, la legge presenterebbe una lacuna, non avendo indicato

alcun organo che possa emettere tale provvedimento103.

Il decreto legge n. 179 del 2012 ha ampliato i poteri del giudice

rispetto alla versione previgente dell’art. 13 riconoscendogli anche il

potere di sospendere, con decreto motivato, gli atti di esecuzione

dell’accordo qualora ricorrano gravi e giustificati motivi.

I pagamenti e gli atti dispositivi posti in essere in violazione

dell’accordo o del piano del consumatore sono inefficaci rispetto a tutti i

creditori anteriori alla pubblicità del decreto, e per tale motivo parte della

dottrina ha parlato di vincolo di destinazione104.

La versione previgente del testo prevedeva per gli atti posti in

violazione dell’accordo o del piano del consumatore il più rigoroso

rimedio della nullità; l’aver individuato nella disposizione attualmente

vigente, come conseguenza di tali atti, l’inefficacia è coerente con la

natura concorsuale delle procedure di accordo e di piano105.

102 L. PANZANI, op. cit., p. 17. 103 L. PANZANI, op. loc. ult. cit. 104 L. PANZANI, op. loc. ult. cit. 105 S. CORDOPATRI, L’esecuzione dell’accordo e del piano, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 56.

92

Se un atto in violazione dell’accordo o del piano è inefficace

significa che esso è valido ma improduttivo di effetti, per cui se il giudice

revocasse per qualunque motivo il piano o l’accordo, l’atto resterebbe

valido e in tal caso produrrebbe i suoi effetti, essendo venuto meno il

motivo ostativo alla sua efficacia.

L’inefficacia costituisce un effetto deterrente al compimento di

simili atti e tale effetto deterrente viene potenziato dall’art. 16 della legge

n. 3 del 2012, che punisce con la reclusione da sei fino a due anni e con la

multa da mille a cinquantamila euro il debitore che effettua pagamenti in

violazione dell’accordo o del piano.

In merito ai crediti sorti in occasione o in funzione del

procedimento la legge ne statuisce la prededucibilità, perciò saranno

soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, ma con esclusione di quanto

ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte

destinata ai creditori pignoratizi o ipotecari.

Le somme in prededuzione si scontrano dunque con l’eccezione

costruita dal legislatore a favore dei creditori prelazionati nell’art. 13,

comma 4-bis.

Si parla quindi di una prededuzione relativa o limitata, che

riguarderà essenzialmente le spese della procedura, il compenso del

liquidatore o del gestore e gli eventuali crediti degli OCC connessi

all’istruttoria relativa alla presentazione della proposta.

Nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’accordo o del piano sia

impossibile per causa non imputabile al debitore, il comma 4-ter dell’art.

13 ha sancito la possibilità per il sovraindebitato, con l’ausilio

dell’organismo di composizione della crisi, di modificare il contenuto

della proposta nel rispetto comunque delle previsioni di cui agli artt. 10

ss.

Il riferimento è ad una impossibilità sopravvenuta, che nell’ambito

dei contratti sinallagmatici corrisponde invece ad una causa di risoluzione

del contratto.

93

È necessario anticipare che l’annullamento e la risoluzione

dell’accordo o del piano del consumatore (disciplinate dagli artt. 14 e 14-

bis) costituiscono per il debitore una causa di non ammissibilità di una

nuova proposta ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. c).

Questa conseguenza non si verifica nelle ipotesi di cui al comma

4-ter dell’art. 13, perché esso non prevede la risoluzione ma il

riconoscimento in capo al debitore del potere di modificare la proposta.

Tale disposizione fa sorgere la questione se al debitore debba

essere riconosciuto un potere potestativo di cui i destinatari sono i

creditori in uno status di soggezione, o, come risulta da un’interpretazione

estensiva della norma, debba essergli riconosciuta la possibilità di iniziare

nuovamente l’iter di composizione della crisi.

La soluzione più plausibile sarebbe quella di procedere

all’espunzione dall’accordo o dal piano delle clausole relative alla

prestazione divenuta oramai impossibile, non potendo il debitore

procedere alla novazione unilaterale dell’accordo o del piano 106 .

Occorrerà dunque una nuova manifestazione del consenso di ciascun

creditore, salvo l’ipotesi di una modifica ininfluente.

2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore:

le conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi giudiziali

Il legislatore, diversamente rispetto alla fase esecutiva, considera

separatamente le patologie esecutive che possono affliggere l’accordo o il

piano del consumatore, prevedendo distinti rimedi giudiziali disciplinati

rispettivamente dall’art. 14 e dall’art. 14-bis della l. n. 3 del 2012.

Oltre alle ipotesi degli artt. 14 e 14-bis, la normativa speciale

prevede altri casi di vicende inattuative delle procedure di composizione

della crisi che presentano però conseguenze procedibili d’ufficio: la

cessazione di diritto e la revoca.

106 S. CORDOPATRI, op. ult. cit., p. 58.

94

L’art. 11, comma 5, contempla un’ipotesi di “cessazione di

diritto”: l’accordo perde efficacia ex lege, senza quindi la necessità di una

pronuncia giurisdizionale, quando il debitore non abbia eseguito

integralmente entro novanta giorni dalle scadenze previste, “i pagamenti

dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori

di forme di previdenza e assistenza obbligatoria”. La previsione in

commento si colloca nel quadro delle ipotesi di risoluzione trattandosi di

una risoluzione automatica dell’accordo.

L’accordo viene invece “revocato” giudizialmente e convertito

conseguentemente nella procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt.

14- ter ss., quando risultano compiuti durante la procedura atti diretti a

frodare i creditori (art. 11, comma 5, ult. periodo).

Nei casi di revoca e di cessazione degli effetti ex art. 11, comma 5,

il giudice provvede d’ufficio con decreto reclamabile al tribunale in sede

collegiale ex art. 739 c.p.c. e del collegio non può far parte il giudice che

lo ha pronunciato.

Sono invece rimedi giudiziali le ipotesi in cui il giudice dichiari la

cessazione degli effetti dell’accordo su iniziativa del creditore interessato

nei casi di cui all’art. 12, comma 4, e su iniziativa del titolare dei crediti

impignorabili e tributari nei casi di cui all’art. 12-ter, comma 4, a seguito

dell’accertamento del mancato pagamento dei crediti impignorabili e dei

crediti tributari.

La decisione deve essere adottata in camera di consiglio e sono

applicate le disposizione degli artt. 737 ss., e avverso il provvedimento è

possibile presentare reclamo al tribunale in sede collegiale.

Gli effetti che vengono meno con tale provvedimento nel caso

specifico di accordo del debitore sono essenzialmente l’obbligatorietà

dell’accordo per tutti i creditori anteriori e gli effetti inibitori nei confronti

delle azioni esecutive e cautelari.

95

Nel caso del piano del consumatore a cessare sono invece i soli

effetti inibitori delle azioni esecutive e cautelari ex art. 12-ter, primo

comma .

In occasione di una sopravvenuta dichiarazione di fallimento a

carico del debitore ormai non più ‘non fallibile’, l’efficacia dell’accordo

viene automaticamente meno: la dichiarazione di fallimento “risolve”

l’accordo, esonerando dalla revocatoria fallimentare però i pagamenti, gli

atti e le garanzie poste in essere in esecuzione o in funzione dell’accordo

(art. 12, ult. comma).

Si tratta di quei casi in cui il debitore è: un imprenditore

commerciale che non raggiungeva le soglie di fallibilità di cui all’art. 1,

comma 2, l. fall e le abbia invece superate nel corso della procedura; o un

socio illimitatamente responsabile di società commerciale il cui

fallimento è stato dichiarato ex art 147, primo comma, l. fall. Nonostante

il legislatore utilizzi il termine ‘risoluzione’, in realtà quella in oggetto

piuttosto sembra essere un’ipotesi di scioglimento107.

L’art. 14 l. n. 3/2012 invece disciplina nello specifico gli istituti

dell’annullamento e della risoluzione dell’accordo del debitore.

Le rispettive azioni devono essere proposte al tribunale

competente, che risulta essere lo stesso ufficio giudiziario del luogo nel

quale il debitore persona fisica, ai sensi dell’art. 9, abbia la propria

residenza o nel quale si trovi la sede della propria impresa non fallibile.

La legittimazione sembra sulla base del dato testuale essere riferita

a tutti i creditori, dopotutto il legislatore utilizza le espressioni “ogni

creditore” (art. 14, comma 1) e “ciascun creditore” (art. 14, comma 2).

Venendo ora alla specifica disciplina prevista dall’art. 14,

l’accordo del debitore può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni

creditore, nel contraddittorio con il debitore, quando con dolo o con colpa

grave è stato aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o

107 M. PERRINO, La “crisi” delle procedure di rimedio al sovraindebitamento (e degli accordi di ristrutturazione dei debiti), in Giust. Civ., 2014, p. 448.

96

dissimulata una parte rilevante dell’attivo, ovvero dolosamente simulate

attività inesistenti. Le ipotesi indicate sono tassative.

Il ricorso per l’annullamento deve essere presentato al tribunale

entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla

scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto.

Vengono richiamate le disposizioni del rito camerale ex artt. 737

ss., ma non viene specificato che la competenza spetta al tribunale in

composizione monocratica, tuttavia appare ragionevole che la

competenza spetti al giudice singolo108.

Anche il procedimento instaurato per la risoluzione dell’accordo è

un procedimento camerale, applicandosi ove compatibili gli artt. 737 ss.

c.p.c., e si svolge di fronte al tribunale competente in composizione

monocratica.

La risoluzione dell’accordo può essere chiesta da ciascun debitore

quando il proponente non adempia agli obblighi dell’accordo o le

garanzie promesse non vengono costituite o l’esecuzione dell’accordo

diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore.

In riferimento all’ultima ipotesi di risoluzione, è necessario

comprendere che tipo di interazione ha questa previsione con quella

dell’art. 13, coma 4-ter, che nella stessa situazione di impossibilità a dare

esecuzione all’accordo non imputabile al debitore riconosce però a

quest’ultimo il potere di modificare l’accordo.

Di fronte quindi al medesimo presupposto oggettivo, volendo

assecondare il favor verso la composizione della crisi che caratterizza la

novella, la risoluzione sembra apparire un rimedio di ultima istanza, nel

senso sia che l’iniziativa del debitore alla modifica della proposta inibisce

la presentazione dell’azione di risoluzione, sia che all’azione di

risoluzione il debitore possa reagire con una proposta di modifica

dell’accordo109.

108 L. PANZANI, op. cit., p. 18. 109 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1291.

97

In merito al caso di inadempimento delle obbligazioni derivanti

dall’accordo, la legge non precisa l’entità dell’inadempimento, né se la

risoluzione, come accade invece per il concordato ex art. 186 l. fall., è

condizionata a un inadempimento di non scarsa importanza. Parte della

dottrina sostiene che sia sufficiente che il debitore non adempia

regolarmente alle obbligazioni, quindi sia la mancanza che l’inesattezza

dell’adempimento o una qualunque violazione delle condizioni previste

per il pagamento può determinare la risoluzione110.

Altri invece richiamano il dettato dell’art. 1455 c.c. in base al

quale il negozio non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa

importanza in relazione all’interesse dell’altra parte111. Ancora una volta

il favor del legislatore verso la composizione della crisi da

sovraindebitamento sembrerebbe decretare la seconda soluzione come più

idonea, permettendo di perseguire l’obiettivo dell’accordo anche in caso

di inadempimento di scarsa rilevanza.

Il ricorso per la risoluzione, a pena di decadenza rilevabile

d’ufficio, deve essere proposto entro sei mesi dalla scadenza, e, in ogni

caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo

adempimento previsto.

L’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i

diritti dei terzi in buona fede, con la conseguenza che restano fermi gli atti

di disposizione dei beni che siano stati compiuti in esecuzione

dell’accordo, salvo che si provi la malafede del terzo acquirente. Anche i

pagamenti ricevuti dai creditori in parziale esecuzione dell’accordo

rimarranno fermi.

Avverso tali provvedimenti è possibile presentare reclamo al

tribunale in sede collegiale e del collegio non farà parte il giudice che ha

adottato il provvedimento oggetto del reclamo.

L’annullamento e la risoluzione determinano il venir meno

dell’accordo nella sua globalità, per cui tali provvedimenti travolgono gli 110 L. PANZANI, op. cit., p. 18. 111 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1292.

98

effetti inibitori del decreto di fissazione dell’udienza e l’effetto della

obbligatorietà dell’accordo per tutti i creditori aventi causa o titolo

anteriore al momento della pubblicità.

Le vicende inattuative che hanno ad oggetto il piano del

consumatore sono: la revoca e la cessazione di diritto secondo quanto

stabilito ex art. 11, comma 5 (art. 14, comma 1); la cessazione degli

effetti su istanza del creditore (art. 14, comma 2).

Il Provvedimento può dunque scaturire d’ufficio (comma 1) o può

invece essere il tribunale che, su istanza di ogni creditore, nella garanzia

del contraddittorio col debitore, dichiara cessati gli effetti del decreto di

omologazione del piano se con dolo o colpa grave è stato aumentato o

diminuito il passivo, o sottratta o dissimulata una parte rilevante

dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti (art.14-bis, comma

2, lett. a)); o se il proponente non ha adempiuto agli obblighi derivanti dal

piano, o le garanzie promesse non sono state costituite o l’esecuzione del

piano è divenuta impossibile per ragioni non imputabili al debitore (art.

14-bis, comma 2, lett. b)).

La conseguenza che deriva dalle ipotesi individuate dal secondo

comma è la ‘cessazione degli effetti’, il legislatore volutamente non parla

in questo caso di ‘risoluzione’ poiché quest’ultimo termine notoriamente

evoca una dimensione negoziale di cui il piano invece si spoglia, non

prevedendo la votazione dei creditori tra le fasi della procedura. Sarebbe

in realtà più opportuno parlare di ‘revoca giudiziale’112.

Il legislatore rispetto alle due fattispecie che fondano il ricorso del

creditore ex. lett. a) e b) del secondo comma dell’art. 14-bis individua

scadenze diverse in luogo della diversa gravità delle condotte del

debitore.

Risulta perciò che per le ipotesi raccolte sotto la lett. a) il termine

di proposizione della domanda, a pena di decadenza, è di sei mesi dal

112 M. PERRINO, op. cit., p. 444.

99

giorno della scoperta e, in ogni caso, di non oltre due anni dalla scadenza

del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto.

Per le ipotesi della lett. b) il termine proposizione del ricorso, a

pena di decadenza, è di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro un

anno dalla scadenza fissata per l’ultimo adempimento previsto

dall’accordo.

Questi termini ricalcano rispettivamente quelli previsti per

l’azione di risoluzione e di annullamento del concordato, fallimentare e

preventivo (artt. 137 e 138, comma 3, l. fall.; art. 186, ultimo comma, l.

fall.).

Il procedimento è anche in questo caso camerale, si applicano gli

artt. 737 ss. in quanto compatibili e la competenza spetta al giudice in

composizione monocratica, avverso il provvedimento è possibile

presentare reclamo al tribunale in sede collegiale di cui non farà parte il

giudice che ha adottato il provvedimento.

La dichiarazione di cessazione degli effetti dell’omologazione del

piano non pregiudica i diritti conseguiti dai terzi in buona fede.

A completezza della disciplina, è necessario anticipare che tutte le

ipotesi di cessazione e revoca del piano del consumatore, nonché le altre

ipotesi indicate dall’art. 14-quater, determinano la conversione della

procedura di composizione della crisi nel procedimento di liquidazione

del patrimonio.

Rimando alla specifica sezione del Capitolo terzo la trattazione

dell’istituto della conversione della procedura di accordo o di piano del

consumatore in liquidazione dei beni.

100

CAPITOLO III

La terza procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento:

l’alternativa liquidatoria e l’eventuale esdebitazione

Sommario: 3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le

condizioni di ammissibilità e la domanda di liquidazione - 3.2. La

conversione della procedura di composizione della crisi nella soluzione

liquidatoria - 3.3. Il decreto di apertura - 3.4. Il decreto di apertura ex art.

14-quinquies a confronto con la dichiarazione di fallimento: gli effetti

verso il debitore e i creditori, l’azione revocatoria ordinaria e i rapporti

preesistenti - 3.5. La formazione dello stato passivo - 3.6. Le attività del

liquidatore: elementi di confronto con il curatore fallimentare - 3.7. Il

patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela - 3.8. La disciplina

mancante: la ripartizione dell’attivo - 3.9. L’eventuale esdebitazione

(revocabile): requisiti strutturali e procedurali

3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le condizioni

di ammissibilità e la domanda di liquidazione

Una delle principali novità introdotte con le modifiche alla legge

n. 3 del 2012, apportate col d.l. n. 179/2012, è rappresentata dalla

previsione di una terza procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento alternativa a quelle di cui all’art. 7 della legge: la

liquidazione dei beni del patrimonio del debitore non fallibile.

La versione originaria della l. n. 3/2012 non contemplava la

liquidazione, se non come fase esecutiva dell’accordo di composizione

omologato.

Il d.l. ha così, da una parte, attribuito al debitore la facoltà di

azionare direttamente la liquidazione come strumento in rimedio al

sovraindebitamento, e, dall’altra, ha colmato le lacune che presentava il

101

regime previgente che non regolamentava tutte le situazioni derivanti

dall’annullamento, risoluzione, revoca e cessazione degli effetti

dell’accordo di composizione della crisi, ora invece regolate attraverso la

disciplina della conversione ex art. 14-quater di cui si dirà meglio di

seguito.

La novella inoltre concede, in presenza di specifici requisiti,

l’accesso all’esdebitazione della persona fisica per la parte non

soddisfatta dei propri debiti. In posizione eventuale ed accessoria rispetto

alla liquidazione dei beni si colloca quindi la procedura di esdebitazione

di cui all’art. 14-terdecies. Nelle altre soluzioni di composizione della

crisi da sovraindebitamento l’effetto esdebitatorio, invece, si realizza, per

l’accordo dei debitori ex art. 7, in luogo del consenso maggioritario

(60%) dei creditori e, per il piano del consumatore, attraverso il positivo

giudizio di omologa da parte del tribunale.

L’ispirazione che ha sotteso la riforma, e nello specifico

l’opportunità di accesso a tale beneficio, è stata dettata dalla mutata

sensibilità sociale per la sorte dei soggetti più deboli e dall’esigenza del

loro opportuno reinserimento nei mercati (c.d. fresh start), l’obiettivo

dell’inclusione del procedimento esdebitatorio all’interno della l. n.

3/2012 è di porre rimedio al c.d. sovraindebitamento passivo, o

incolpevole, mentre il sovraindebitamento attivo, o colpevole, viene

sanzionato col diniego di esdebitazione113.

L’art. 14-ter definisce come “alternativa” la procedura di

liquidazione dei beni rispetto a quelle stabilite dall’art. 7: l’alternatività si

coglie anche considerando che la liquidazione dei beni funge da

parametro di confronto con le altre procedure in occasione di una

contestazione sulla convenienza dell’accordo (art. 12, comma 3) o del

piano del consumatore (art. 12-bis, comma 4) e in riferimento al calcolo

del massimo sacrificio sopportabile dai creditori prelatizi (art. 7, comma

1). 113 L. A. BOTTAI, La liquidazione del debitore in procedura di sovraindebitamento, in Il fallimentarista, 21 dicembre 2012, p. 2.

102

L’attuale testo della legge, pur non precludendo al debitore la

modalità alternativa di regolazione del sovraindebitamento attraverso la

liquidazione, presenta ancora molti vuoti normativi.

Nella legge si trovano iscritte, non sempre rispettando la massima

corrispondenza, alcune regole dettate anche per il fallimento senza mai

che sia operato un rinvio esplicito alla legge fallimentare, salvo alcune

rare eccezioni114.

La conseguenza di una simile impostazione è l’assenza di una

norma di chiusura che consenta di colmare le lacune che il testo presenta.

La liquidazione dei beni in maniera approssimativa riprende le fasi

della procedura fallimentare, poiché prevede la formazione del passivo a

contraddittorio semplificato, la fase di vera e propria esecuzione delle

operazioni di liquidazione con la nomina di un liquidatore, lo

spossessamento del debitore e l’inibizione delle azioni dei creditori.

Come il fallimento quindi, la procedura ex artt. 14-ter ss.

coinvolge l’intero patrimonio pignorabile del debitore, che sin dal

momento dell’apertura viene amministrato dal liquidatore, autorità neutra,

affinché sia liquidato e ripartito tra i creditori; la liquidazione produce i

suoi effetti su tutti i creditori anteriori alla sua apertura, le cui pretese

sono sospese determinando il blocco delle azioni esecutive e cautelari e

impedendo la costituzione di cause legittime di prelazione.

I creditori non possono accordarsi col debitore in merito alle

modalità di soddisfazione dei crediti e deve essere rispettato il principio

della par condicio creditorum.

Diversamente dalla legge fallimentare, la legge n. 3 del 2012 non

presenta disposizioni sugli atti pregiudizievoli ai creditori, sui contratti in

corso di esecuzione, sulle forme di prosecuzione pro tempore dell’attività.

114 Le eccezioni sono rappresentate dall’art. 14-quinquies, comma 2, lett. a) che chiede il possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall per svolgere la carica di liquidatore; dall’art. 14-novies, comma 4, che richiama il regolamento del Ministro della giustizia di cui all’art. 107, comma 7, l. fall. in merito ai requisiti di onorabilità e professionalità di cui devono essere in possesso tutti i soggetti di cui si avvale il liquidatore.

103

In questa ottica, e considerando che la legge sul

sovraindebitamento si occupa di insolvenze non certo modeste, come ad

esempio quelle che possono coinvolgere anche imprese agricole, sarebbe

stata auspicabile una norma che rinviasse all’applicazione della legge

fallimentare, ove compatibile a fronte dei vuoti normativi115.

La legge presenta inoltre alcuni errori, tra questi: l’assenza di una

disciplina della ripartizione dell’attivo; il riferimento ad un

provvedimento di omologazione che chiaramente non può trovare sede

nella procedura di liquidazione del patrimonio; la mancanza di ipotesi di

chiusura della procedura alternative all’esecuzione del programma di

liquidazione.

Un grave limite della disciplina consiste nella mortificazione della

dimensione processuale, avendo il legislatore ritenuto opportuno

cameralizzare tutte le fasi del procedimento di liquidazione116. Sono

inoltre generici i rinvii alla disciplina camerale attraverso il mero

richiamo degli artt. 737 ss. c.p.c. e manca qualsiasi tentativo di adattare

alle specifiche della legge n. 3 del 2012 tali disposizioni.

La liquidazione dei beni è una procedura concorsuale non

negoziale che consiste in “un procedimento esecutivo-espropriativo

concorsuale a carattere tendenzialmente volontario”117.

Il carattere della concorsualità della procedura sembra confermato

dalla caratteristica della sua universalità che risulta dal prendere in

considerazione l’intero patrimonio del debitore, riferendosi esplicitamente

a “tutti i suoi beni”.

Il procedimento si articola in quattro fasi: la fase di apertura;

l’accertamento del passivo; la liquidazione dell’attivo; la fase del riparto

dell’attivo, seppure non disciplinata dalla legge.

115 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2062. 116 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 67 117 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit.

104

Alla liquidazione dei beni si può accedere per iniziativa del

debitore stesso come soluzione perfettamente alternativa all’accordo del

debitore o piano del consumatore, ovvero su iniziativa del debitore o del

creditore come sviluppo sanzionatorio nelle ipotesi di conversione di una

delle procedure di composizione della crisi in liquidazione di cui all’art.

14-quater.

Di seguito viene analizzato il potere di iniziativa del debitore e si

rinvia al Paragrafo successivo l’elencazione delle ipotesi di accesso alla

procedura per conversione.

Il debitore non fallibile, quando non abbia fatto ricorso nei

precedenti cinque anni a una delle procedure disciplinate dalla l. n.

3/2012, può presentare domanda di liquidazione di tutti i suoi beni

(comprensivi di pertinenze, accessori e frutti ex art. 14-novies, comma 2)

al tribunale del luogo di residenza o della sede principale del debitore.

Unitamente alla proposta devono essere presentate tutte le formalità di cui

all’art. 9, commi 2 e 3.

Il dato testuale dell’articolo 14-ter utilizza il termine “debitore”

nel quale va inclusa anche la figura del consumatore nonostante non sia

espressamente ribadita nella disposizione.

Più difficile invece è superare il dubbio circa l’estensione della

procedura anche a favore dell’imprenditore agricolo. L’art. 7, comma 2-

bis, prevede che l’imprenditore agricolo può proporre un accordo di

composizione della crisi secondo le disposizioni della “presente sezione”,

non includendo così il Capo II che disciplina la liquidazione dei beni.

L’interpretazione corretta sul piano letterale escluderebbe

all’imprenditore agricolo la fruizione della procedura ex artt. 14-ter ss.

Tuttavia una simile interpretazione si espone a dubbi di

costituzionalità, risultando il trattamento dell’imprenditore agricolo più

sacrificato senza apparente giustificazione rispetto a quello degli altri

soggetti non fallibili che hanno, invece, l’accesso anche alle altre

procedure di composizione della crisi. Inoltre non risulterebbe

105

armonizzabile tale esclusione con la previsione della possibilità di

accesso alla liquidazione riconosciuta invece all’imprenditore agricolo in

caso di conversione ex art. 14-quater. Per tali motivi si ritiene opportuno

riconoscere anche all’imprenditore agricolo la possibilità di attivare la

liquidazione dei beni come via perfettamente alternativa all’accordo ex

art. 7.

In merito all’estensione del patrimonio liquidabile, oggetto di

liquidazione possono essere anche i beni sopravvenuti nell’arco dei

successivi quattro anni, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la

conservazione dei beni medesimi (l’art. 14-undecies specifica che in un

simile caso il debitore ha l’obbligo di integrare con l’indicazione di tali

beni l’inventario che ha depositato contestualmente alla domanda).

Sono invece esclusi i crediti impignorabili di cui all’art. 545 c.p.c.,

i crediti alimentari e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e

ciò che il debitore guadagna con la sua attività.

Sono altresì esclusi i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni

dei figli, i beni costituiti in fondi patrimoniali e i frutti di essi, salvo

quanto disposto dall’art. 170 c.c. e tutte le cose che non possono essere

pignorate per disposizione di legge.

Alla domanda devono essere allegati l’inventario dei beni, con

l’indicazione sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili,

e una relazione particolareggiata dell’Organismo di composizione della

crisi che deve contenere: l’indicazione delle cause dell’indebitamento e

della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere

volontariamente le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni

dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere tali obbligazioni;

il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque

anni; l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore persona

fisica impugnati dai creditori; il giudizio sulla completezza e attendibilità

della documentazione depositata a corredo della domanda.

106

La relazione di cui al terzo comma si concentra su elementi

analoghi a quelli richiesti per l’accesso al piano del consumatore, questi

profili di meritevolezza non sembrano garantire un trattamento premiale o

liberatorio nel contesto della procedura di liquidazione, per cui è più

opportuno ritenere che siano funzionali ad una successiva richiesta di

esdebitazione, e questo pare confermato dall’esplicito riferimento al

debitore quale persona fisica il quale altro non è che l’unico soggetto che

hai sensi dell’art. 14-terdecies può fruire del fresh start.

La domanda del debitore è inammissibile quando siano stati

compiuti atti in frode ai creditori (art. 14-quinquies) o difetta dei

presupposti indicati in precedenza (art. 14-ter, comma 1), o non è

depositata la documentazione di cui all’art. 9, commi 2 e 3, o quando non

è stato depositato l’inventario dei beni o la relazione particolareggiata

(art. 14-ter, comma 3).

Appare discutibile far subordinare l’ammissibilità della domanda

alla condizione che non siano posti in essere atti in frode dei creditori,

poiché l’altra possibilità di accesso alla stessa procedura in esame è data

proprio dal fallimento delle procedure di accordo o di piano del

consumatore, intervenuto per il compimento da parte del debitore di atti

in frode dei creditori.

La domanda di liquidazione è parimenti inammissibile se la

documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la

situazione economica e patrimoniale del debitore. Non si può del tutto

escludere l’applicazione analogica dell’art. 9, comma 3-ter, in base al

quale il giudice concede un termine perentorio di non più di 15 giorni per

apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti118.

In ogni caso ha la facoltà di ripresentare la domanda, non

potendosi applicare in tale ipotesi di mancata ammissione il termine dei

cinque anni di cui alla lett. b) dell’art. 7, comma 2.

118 R. DONZELLI, op. ult. cit., p. 71.

107

La proposizione della domanda sospende, ai soli effetti del

concorso, il corso degli interessi legali e convenzionali fino alla chiusura

della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da pegno,

ipoteca o privilegio, salvo quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855,

commi 2 e 3, c.c.

Gli effetti della declaratoria di ammissibilità sono analoghi a

quelli che conseguono al deposito della domanda di accordo o di piano

del consumatore, la relativa disciplina è mutuata dal fallimento (artt. 54,

ult. comma, e 55 l. fall).

Il compito degli Organismi di composizione della crisi, anche in

questa fase iniziale, è quello di dare notizia entro tre giorni all’agente di

riscossione e agli uffici fiscali di aver ricevuto richiesta di redigere la

relazione di cui al comma 3 dell’art. 14-ter.

La legge non specifica se sussista per proporre la domanda di

liquidazione l’obbligo di difesa tecnica, tuttavia il tenore degli effetti che

conseguono alla dichiarazione di apertura con decreto ad opera del

giudice fanno propendere per la soluzione positiva.

Una volta presentata la domanda, se questa soddisfa i requisiti

richiesti dalla legge e verificata l’assenza di atti in frode dei creditori

negli ultimi cinque anni, il giudice con decreto dichiara aperta la

procedura di liquidazione del patrimonio (art. 14-quinquies, primo

comma).

Rimando al Paragrafo che segue la trattazione dell’altra via

percorribile per accedere alla liquidazione del patrimonio del debitore: la

conversione delle procedure di composizione della crisi da

sovraindebitamento in liquidazione dei beni ex art. 14-quater.

108

3.2. La conversione della procedura di composizione della crisi nella

soluzione liquidatoria.

È possibile accedere alla procedura di liquidazione dei beni del

debitore non fallibile, oltre che su iniziativa volontaria del debitore, anche

nelle ipotesi di conversione delle già pendenti procedure di accordo o di

piano del consumatore.

La conversione interviene in una logica sanzionatoria, che

rappresenta un disincentivo per un utilizzo non responsabile degli

strumenti negoziali offerti dall’art. 7 della legge n. 3 del 2012.

Attraverso questo esito sanzionatorio il fine del legislatore è

quello di rafforzare la cogenza dell’impegno assunto dal debitore119.

È necessario precisare che con il termine conversione nel nostro

ordinamento si fa riferimento alla sostituzione di una procedura con

un’altra, nella salvezza degli atti già compiuti e degli effetti già prodotti,

di cui la nuova procedura costituisce prosecuzione o sviluppo.

Il giudice con decreto dispone la conversione della procedura nelle

ipotesi elencate dall’art. 14-quater.

Il decreto in questione è lo stesso con cui viene dichiarata

l’apertura della liquidazione dei beni.

I legittimati a proporre istanza di conversione sono i creditori e il

debitore nelle ipotesi di annullamento dell’accordo (art. 14, comma 1) o

di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore

(art. 14-bis, comma 2, lett. a)).

Può apparire dubbia l’inclusione del debitore nel novero dei

legittimati attivi, la previsione si giustifica nell’ottica dell’eventuale

ottenimento di quella esdebitazione che la procedura negoziale già avviata

avrebbe garantito120.

La conversione è altresì disposta nelle ipotesi di cui all’art. 11,

comma 5: nel caso in cui il debitore, entro 90 giorni dalle scadenze

previste, non abbia eseguito integralmente i pagamenti dovuti secondo il 119 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2064. 120 A. MAFFEI ALBERTI, op. loc. ult. cit.

109

piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori; o nel caso in cui

siano stati compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni

dei creditori.

La conversione interviene anche nelle ipotesi di risoluzione

dell’accordo e di cessazione degli effetti del piano del consumatore ai

sensi dell’art. 14-bis, comma 2, lett. b) se determinati da cause imputabili

al debitore.

Il tenore della seconda parte dell’art. 14-quater che richiama le

ipotesi dell’art. 11, comma 5 e dell’art. 14-bis, comma 2, lett. b) sembra

ammettere una pronuncia di conversione d’ufficio, senza che sia

necessaria l’istanza ad opera del debitore o del creditore121.

Dal punto di vista procedurale la norma nulla dice in merito alle

modalità processuali, alla garanzia del contraddittorio e al ruolo

dell’Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Riassumendo, se per un verso il legislatore valuta la procedura di

liquidazione alla stregua di un beneficio e per tale motivo restringe al solo

debitore la legittimazione attiva, dall’altro l’accesso alla procedura

attraverso la conversione è la conseguenza sanzionatoria delle condotte

del debitore che hanno determinato le patologie dei rimedi, e in

quest’ultimo caso la legittimazione è riconducibile sia al debitore che ai

creditori.

Il paradosso che emerge si forma proprio su questo aspetto, sul

fatto che è possibile per il debitore accedere alla conversione solo a

seguito di una pronuncia di risoluzione del piano per motivi a lui

imputabili, piuttosto che in una situazione in cui non si forma un profilo

di colpevolezza.

La condotta incolpevole del debitore permette quindi di accedere

alla procedura di liquidazione dei beni attraverso l’istituto della

conversione, in caso di condotta incolpevole questo passaggio da una

procedura all’altra viene negato. 121 R. DONZELLI, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, p. 629.

110

3.3. Il decreto di apertura

Pervenuta al tribunale competente la domanda di liquidazione, il

giudice in camera di consiglio procede alla verifica dei requisiti di cui

all’art. 14-ter.

Perché si dia luogo alla dichiarazione di ammissibilità alla

procedura devono necessariamente sussistere i presupposti oggettivi e

soggettivi e deve essere regolare e completa la documentazione allegata.

Il giudice deve procedere inoltre alla verifica dell’assenza di atti in

frode dei creditori compiuti negli ultimi cinque anni.

Come già accennato nel Paragrafo precedente, la verifica di questa

condizione ostativa sembra in contraddizione con la previsione della

conversione della procedura di composizione in liquidazione nel caso in

cui si verifichi l’ipotesi di cui all’art. 11, comma 5, secondo periodo.

Il tribunale in composizione monocratica pronuncia con decreto

reclamabile di fronte al collegio di cui non fa parte il giudice che ha

emesso il provvedimento.

Il legislatore non identifica i soggetti che possono presentare

reclamo, ma è comprensibile che questi siano, oltre al debitore, anche, in

linea con l’art. 18 l. fall.122, tutti quei soggetti colpiti dagli effetti del

decreto che vogliono ottenere l’accertamento dell’insussistenza delle

condizioni di ammissibilità della domanda di liquidazione.

Il reclamo ha natura costitutiva e porta a una decisione che

sostituisce la precedente. Il tribunale in sede collegiale non è vincolato né

ai vizi dedotti né alle doglianze proposte dalle parti, poiché ha gli stessi

poteri del giudice monocratico.

In merito alla possibilità di ritenere ammissibile un ricorso

straordinario in cassazione si deve distinguere tra i vari esiti a cui il

tribunale può giungere nel dichiarare ammissibile o meno la domanda di

liquidazione.

122 Cfr. art. 18, comma 1, l. fall. “Contro la sentenza che dichiara fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni”.

111

In caso di esito positivo potrebbero sorgere dubbi sulla decisorietà

del decreto in quanto non ha ad oggetto diritti soggettivi, piuttosto

potrebbe essere ravvisabile una decisorietà c.d. “per incisione”, cioè in

senso lato, per il solo fatto di produrre nei confronti dei creditori effetti

inibitori delle azioni esecutive e cautelari123.

In caso di rigetto della domanda, è necessario capire se sia questa

riproponibile o meno, ovvero se il decreto di non ammissibilità integri

l’ipotesi dell’art. 7, comma 2, lett. b), che esclude la riproponibilità della

domanda quando nei cinque anni precedenti si sia fatto già ricorso ad una

delle procedure di composizione della crisi.

La dottrina sembra non accordare tale effetto alla declaratoria

d’inammissibilità e perciò si esclude di conseguenza anche la ricorribilità

in cassazione124.

Con il decreto di ammissibilità alla procedura il giudice nomina un

liquidatore, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di

cui all’art. 28 l. fall. La nomina non è necessaria se nella procedura di

composizione della crisi poi convertita in liquidazione è stato già

designato un liquidatore125.

Nella procedura di liquidazione ex l. n. 3/2012, a differenza di

quanto avviene nel fallimento, non si verifica lo sdoppiamento delle

funzioni attribuite all’organo tra tribunale fallimentare e giudice delegato.

Al giudice non sono attribuite specifiche funzioni esterne alla

procedura, non opera la vis attractiva concursus di cui all’art. 24 l. fall.

(in base alla quale invece “il tribunale che ha dichiarato il fallimento è

competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne

sia il valore”).

123 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 72. 124 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit. 125 Parte della dottrina sostiene che tale previsione opera nei soli casi di apertura d’ufficio della liquidazione. Cfr. L. PANZANI, op. cit., p. 23.

112

Le funzioni interne sono svolte dal giudice, tra queste si colloca la

nomina del liquidatore. Nonostante il silenzio del legislatore, in virtù dei

principi generali, si ritiene che il giudice possa per giusta causa revocare

o sostituire il liquidatore in ogni tempo con provvedimento motivato126.

Il giudice con il decreto di apertura può stabilire che le funzioni di

liquidatore siano svolte dall’Organismo di composizione della crisi (art.

15, comma 8), rendendo eventuale la nomina di tale organo. In merito a

questa ipotesi sorge il dubbio se le funzioni da liquidatore debbano essere

svolte dall’OCC in composizione collegiale o sia sufficiente avocare al

componente responsabile della procedura127.

Contestualmente alla nomina del liquidatore, il giudice ordina al

debitore la consegna dei beni, salvo che, in presenza di gravi e specifiche

ragioni, quest’ultimo sia autorizzato a rimanere nella disponibilità della

cosa.

Il liquidatore si occupa dell’amministrazione dei beni e delle

azioni previste dall’art. 14-decies.

Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura

del liquidatore.

Il decreto però non determina soltanto l’indisponibilità materiale

dei beni del debitore, ma incide anche sulla disponibilità giuridica: infatti

l’art. 14-quinquies, comma 3, dispone che “il decreto…deve intendersi

equiparato all’atto di pignoramento”.

Questa equiparazione lascia perplessi, poiché non può riguardare

gli atti, ma il tenore dei loro effetti; piuttosto il legislatore ha come

obiettivo quello di assimilare l’efficacia del decreto a quella che dirompe

con l’art. 44 l. fall., che consiste nell’indisponibilità relativa ex art. 2913

c.c., sebbene con riferimento a tutto il patrimonio128.

126 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 778. 127 Per un giudizio favorevole alla designazione del componente responsabile della procedura v. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 781. 128A tal proposito v. R. DONZELLI, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, cit., p. 627. Cfr. art. 44 l. fall. “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. Sono egualmente inefficaci i pagamenti

113

L’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. c) dispone che col

decreto sia disposta l’idonea forma di pubblicità della domanda e del

decreto stesso e, nel caso in cui il debitore svolga attività d’impresa,

anche l’annotazione nel registro delle imprese. Il decreto deve essere

trascritto dal liquidatore laddove il patrimonio comprenda beni mobili

registrati o beni immobili.

Sul piano applicativo si apre però il problema di comprendere

quale sia il referente temporale per risolvere gli eventuali conflitti fra

creditori concorsuali ed aventi causa dal debitore, o più in generale quale

sia il momento a partire dal quale il decreto produce effetti nei confronti

dei terzi.

Una parte della dottrina ha sostenuto di poter distinguere quattro

opzioni: a) dalla data di pubblicazione del decreto; b) dal momento

dell’esecuzione della pubblicità; c) dal momento dell’annotazione del

decreto nel registro delle imprese; d) dal momento della trascrizione129.

La soluzione viene individuata partendo dall’assunto che i criteri più

adeguati per fare chiarezza in merito sono quello della priorità

cronologica, quello della soggettività e quello della natura del bene. Nello

specifico, i più convincenti appaiono essere gli ultimi due se si tiene di

conto della seguente articolazione: si potrebbe ritenere rilevante sul piano

generale la pubblicità del decreto disposta dal giudice, salva l’ipotesi in

cui il debitore sia imprenditore, se così fosse avrebbe la priorità la data di

trascrizione nel registro delle imprese; in ogni caso se l’oggetto dell’atto è

un bene mobile registrato o un bene immobile opererebbe la data della

trascrizione nei relativi registri.

L’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. b) dispone che, sino al

momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo, non

possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive

ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma”. 129 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit.

114

o cautelari, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di

liquidazione da parte dei creditori aventi causa o titolo anteriore.

La disposizione in commento presenta due evidenti errori: il primo

ha ad oggetto il richiamo ad un decreto di omologazione che nella

procedura di liquidazione manca; il secondo riguarda il fatto che il

legislatore probabilmente voleva riferirsi piuttosto che al decreto di

omologa al decreto di apertura del procedimento, ma anche riferendosi a

quest’ultimo la norma non sarebbe in grado di escludere l’aggressione

esecutiva individuale dei beni del debitore da parte dei creditori per tutta

la durata della procedura di liquidazione, che deve avere una durata non

superiore ai quattro anni, durante i quali i beni sopravvenuti vanno a

confluire nel patrimonio “espropriato”130.

In merito al richiamo operato dalla norma al decreto di

omologazione, la giurisprudenza di merito ha manifestato un’opinione

diversa rispetto a quella appena considerata per cui il legislatore farebbe

riferimento in realtà non al decreto di apertura, ma al decreto di chiusura

della procedura di cui all’art. 14-nonies, comma cinque: questa

assimilazione permetterebbe di superare il problema sopra evidenziato131.

A stabilire la durata del procedimento è l’ultimo comma dell’art.

14-quinquies, per cui la procedura rimane aperta sino alla completa

esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui

all’art. 14-undecies, per i quattro anni successivi al deposito della

domanda.

130 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 73. 131 Tribunale di Terni, 20 dicembre 2013, in Il fallimentarista, 3 aprile 2014.

115

3.4. Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies a confronto con la

dichiarazione di fallimento: gli effetti verso il debitore e i creditori,

l’azione revocatoria ordinaria e i rapporti preesistenti

Come già osservato in precedenza, l’apertura della procedura di

liquidazione determina lo spossessamento automatico da parte del

debitore del potere di disporre e amministrare i beni del patrimonio

liquidabile.

Così come accade nel fallimento, l’esigenza di conservare il

patrimonio responsabile è doppiamente relativa, nel senso che si estende

ai soli beni e rapporti rientranti nel patrimonio liquidabile ( tra i quali non

rientrano i beni di cui all’art. 14-ter, comma 6) e dura finché la procedura

non è chiusa132.

La titolarità dei beni rimane chiaramente in capo al debitore finché

non interviene la vendita a favore del terzo.

Il fallimento, allo stesso modo, produce nei confronti del fallito lo

spossessamento dei beni, perdendo il debitore l’amministrazione e la

disponibilità, ma non la proprietà degli stessi (art. 42 l. fall.). I beni

passano al curatore, quale amministratore del patrimonio fallimentare, il

quale viene immesso nel loro possesso.

I limiti allo spossessamento nella procedura di liquidazione di cui

alla legge n. 3 del 2012 sono i beni e i diritti esenti dall’esecuzione

concorsuale elencati dal comma 6 dell’art. 14-ter; nel fallimento lo

spossessamento colpisce tutti i beni e i diritti ad eccezione

dell’elencazione di cui all’art. 46 l. fall133.

132 D. VATTERMOLI, op. cit., 783. 133 Cfr. art. 46 l. fall. “Non sono compresi nel fallimento:1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale;2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile; 4) (soppresso);5) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.”

116

Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies ha l’efficacia di un atto

di pignoramento, producendo così sul patrimonio del debitore quel

vincolo che consente il passaggio dalla tutela esecutiva individuale a

quella collettiva, tipica delle procedure concorsuali.

Alcuni dei beni oggetto di spossessamento possono essere

utilizzati dal debitore su autorizzazione del giudice, ne è un esempio la

casa di abitazione: perché ciò accada devono concorrere gravi e

specifiche ragioni ex art. 14-quinquies, comma 2, lett. e). Tali beni non

sono sottratti all’attivo, semplicemente il godimento degli stessi permane

in capo al debitore finché non si realizza la vendita endoconcorsuale.

Nel fallimento, se è proprietario della propria abitazione, il fallito

ha diritto di continuare ad abitarla fino alla vendita; se privo di mezzi di

sussistenza può ottenere dal giudice delegato la concessione di un

sussidio a titolo di alimenti (art. 47 l. fall.).

Nulla viene detto nella l. n. 3/2012 in merito all’ipotesi che, a

seguito dell’ammissione al procedimento intervenuta con il decreto di cui

all’art. 14-quinquies, il debitore compia atti a contenuto patrimoniale e

pagamenti.

Si ritiene che tali atti siano relativamente, rispetto alla massa

creditoria, inefficaci, in linea con quanto già è stato in precedenza detto in

merito all’art. 44 l. fall. per il quale tali atti sono inefficaci se hanno per

oggetto beni e diritti ricompresi nello spossessamento, dato che il fallito

non può disporne durante il fallimento. Il regime degli atti compiuti dal

fallito è l’inopponibilità, e non l’invalidità, per cui se il fallito torna in

bonis deve rispondere degli effetti di tali atti nei confronti dei terzi: le

obbligazioni assunte dal fallito saranno fatte valere nei suoi confronti solo

dopo la chiusura del fallimento, dato appunto che l’inefficacia è relativa e

non assoluta. Sono inefficaci anche i pagamenti eseguiti dal fallito e

quelli da lui ricevuti dopo la dichiarazione di fallimento, tuttavia le utilità

conseguite dal fallito per effetto di tali atti sono apprese alla massa

fallimentare (art. 44 l. fall.).

117

Nonostante la premessa dell’indisponibilità relativa dei beni del

fallito, tutti i beni sopravvenuti sono acquisiti al netto delle passività,

l’amministrazione fallimentare infatti può decidere di acquisire al

fallimento quanto acquistato dal fallito con atti di disposizione posti in

essere dal debitore dopo la dichiarazione di fallimento, senza

disconoscere i corrispondenti debiti che il fallito ha dovuto contrarre134.

Lo spossessamento dovrebbe determinare la perdita della capacità

processuale del debitore nelle controversie, anche in corso, a carattere

patrimoniale, relative a beni e rapporti compresi nel fallimento ex art. 43

l. fall. e nel patrimonio liquidabile secondo la procedura di cui alla l. n. 3

del 2012.

In merito alla legittimazione attiva è lo stesso art. 14-decies ad

attribuirla espressamente al liquidatore; si ritiene che lo stesso debba

concludersi anche in riferimento alla legittimazione passiva135.

Nel fallimento il fallito perde la capacità processuale nella cause

relative a rapporti patrimoniali e per lui sta in giudizio il curatore ex art.

43 l. fall, tuttavia resta pienamente capace di agire e di essere parte di un

processo: questo è confermato dal fatto che gli atti compiuti dopo la

dichiarazione di fallimento determinano l’acquisizione al fallimento dei

beni aventi ad oggetto136. Inoltre la capacità processuale è conservata

nelle cause non patrimoniali e il fallito può comunque intervenire nelle

controversie patrimoniali da cui può derivare una sua imputazione per

bancarotta (art. 43, comma 2). In caso di inerzia del curatore il fallito può

riassumere i giudizi interrotti a seguito della dichiarazione di fallimento

esercitando l’azione in via surrogatoria a tutela dei suoi diritti.

134 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Milano, 2012, p. 358. 135 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 785. Di opinione contraria è R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 76, il quale riconosce al debitore la legittimazione passiva e ritiene che la legittimazione attiva riconosciuta al liquidatore sia una “legittimazione ad agire straordinaria a carattere surrogatorio”. 136 C. CECCHELLA, op. cit., p. 53.

118

Nei piani di risanamento, negli accordi di ristrutturazione dei

debiti ex art. 182-bis e nei concordati preventivi, “la diminutio

dell’imprenditore è più attenuata”, e nello specifico caso del concordato

preventivo, il debitore conserva l’amministrazione e la gestione

dell’impresa sotto la vigilanza dei commissari e sotto la direzione del

giudice delegato (art. 167, comma 1), tuttavia non può compiere atti di

straordinaria amministrazione, se non con l’autorizzazione del giudice

delegato137.

La legge n. 3 del 2012 non fa discernere dalla procedura effetti

personali nei confronti del debitore, come invece accade nei confronti del

fallito sulla base delle norme civili e delle leggi speciali.

Con la dichiarazione di fallimento, il fallito vede limitarsi alcuni

diritti civili garantiti dalla costituzione quali il diritto al segreto epistolare

ex art. 15 Cost. e il diritto alla libertà di movimento ex art. 16 Cost.

Queste limitazioni cessano automaticamente con la chiusura del

fallimento.

Altri effetti personali che conseguono al fallimento sono le

incapacità civili previste dal codice civile e dalle leggi speciali in base

alle quali, sinteticamente, il fallito non può essere amministratore,

sindaco, revisore o liquidatore di società; non può iscriversi nell’albo

degli avvocati, né a quello dei dottori commercialisti; non può svolgere la

funzione di tutore, arbitro o notaio. Anche queste cessano

automaticamente a seguito della chiusura del fallimento.

Al debitore ammesso alla procedura ex art. 14-quinquies non sono

applicabili le conseguenze penali previste dagli artt. 216 ss. l. fall. che

individuano i fatti che integrano i reati fallimentari di bancarotta

fraudolenta, bancarotta semplice e di ricorso abusivo al credito. La

condanna per tali reati comporta come pena accessoria il divieto di

esercitare un’impresa commerciale propria o di ricoprire uffici direttivi

presso qualsiasi impresa, rispettivamente per dieci, due e tre anni.

137 C. CECCHELLA, op. loc. ult. cit.

119

Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies produce effetti anche nei

confronti dei creditori, stabilendo in primis il concorso formale, conditio

sine qua non per la partecipazione al concorso sostanziale.

Il concorso formale si realizza attraverso la presentazione della

domanda di insinuazione al passivo, l’accertamento del credito e la

formazione dello stato passivo ex artt. 14-septies e 14-octies.

Il ricavato della liquidazione dell’attivo è ripartito solo e

unicamente tra quei creditori che abbiano preso parte alla procedura nelle

modalità appena descritte. Lo stesso accade in ambito fallimentare e in tal

caso il riferimento è agli artt. 92 ss. l. fall.

I creditori concorsuali una volta ammessi a partecipare al

procedimento concorsuale, a seguito dell’accertamento dei loro crediti,

diventano creditori concorrenti.

Si ritiene che anche per i creditori del sovraindebitamento, a

seguito dell’accertamento del credito, si apra il concorso sostanziale,

seppure la legge non lo preveda espressamente.

“Nell’accezione sostanziale, il concorso consiste nel diritto del

creditore di vedere soddisfatto il proprio credito nei limiti consentiti dalla

necessità di soddisfare contemporaneamente gli altri creditori, i quali, per

tale ragione, vengono definiti concorrenti”138.

L’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), nel prevedere che il decreto

di apertura della liquidazione debba determinare l’inibizione delle azioni

esecutive e cautelari aventi ad oggetto beni che rientrano nel patrimonio

del debitore, impedisce ai creditori concorsuali di occupare posizioni di

vantaggio all’interno della procedura, contribuendo alla cristallizzazione

del patrimonio e al rispetto della par condicio creditorum.

Diversamente dalle procedure concorsuali tradizionali, tale effetto

non si produce automaticamente all’apertura della procedura, ma è

piuttosto subordinato al provvedimento contenuto nel decreto giudiziale

di apertura.

138 L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2012, p. 319.

120

Il legislatore nella legge n. 3 del 2012 non ripropone le regole

sulla scadenza anticipata dei crediti (artt. 55, comma 2, e 59 l. fall.) e

sulla trasformazione di tutti i crediti in crediti pecuniari (art. 59 l. fall.),

previste invece in ambito fallimentare.

In riferimento alla prima regola, essa stabilisce che tutti crediti del

debitore si considerano scaduti alla data di dichiarazione del fallimento; la

seconda prevede che tutti i crediti non scaduti, aventi per oggetto una

prestazione in denaro determinata con riferimento ad altri valori o aventi

per oggetto una prestazione diversa dal denaro, concorrono secondo il

valora alla data di dichiarazione del fallimento.

È corretto ritenere che queste due regole siano applicabili anche

nell’ambito della procedura di liquidazione del debitore non fallibile;

equiparando negli effetti la dichiarazione di fallimento al decreto di

apertura della procedura, esse risultano infatti funzionali all’attuazione

del concorso sostanziale fra creditori139.

È ritenuta allo stesso modo ammissibile la possibilità da parte del

creditore in bonis di eccepire la compensazione legale del suo credito con

quello vantato, nei suoi confronti, dal debitore ammesso alla procedura di

liquidazione. Ciò è possibile solo se sussistono al momento dell’apertura

della procedura i requisiti di cui all’art. 1243 c.c.: i crediti devo essere

omogenei, liquidi ed esigibili, cioè devono avere lo stesso oggetto,

devono essere esattamente determinati nel loro ammontare, e non devono

essere sottoposti né a termine né a condizione140.

La sospensione degli interessi, invece, è espressamente

disciplinata dall’art. 14-ter, comma 7.

L’assenza di una disciplina simile alla revocatoria fallimentare

nell’ambito delle procedure finora analizzate costituisce nell’effettivo un

punto debole nella promozione di tali procedure.

139 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 787. 140 In merito alla compensazione dei crediti nell’ambito della procedura fallimentare parte della dottrina rileva i diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa la coesitenza dei requisiti di cui all’art. 1243 c.c. al momento della dichiarazione di fallimento, v. G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 364, nota 67.

121

La revocatoria fallimentare si rivolge a tutti quegli atti che ledono

il principio della par condicio creditorum, per cui il pagamento dei debiti

scaduti è oggetto di revocatoria così come la vendita o l’acquisto di un

bene a un prezzo conforme a quello di mercato se sono idonei ad alterare

la parità di trattamento fra i creditori.

La revocatoria fallimentare si basa sulla presunzione che un atto

compiuto dal debitore a seguito della dichiarazione di fallimento alteri di

per sé stesso la par condicio creditorum.

A differenza della revocatoria ordinaria, quella fallimentare

ritiene irrilevante il pregiudizio della garanzia patrimoniale e irrilevante lo

stato soggettivo del debitore e del terzo contraente.

La revocatoria fallimentare non opera nella crisi da

sovraindebitamento e la regolamentazione degli atti compiuti in

pregiudizio dei creditori è rimessa alla disciplina civilistica della

revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in base alla quale l’istituto non

travolge i pagamenti di debiti scaduti, che sono piuttosto doverosi, e allo

stesso modo non si estende nei confronti delle garanzie concesse allo

scopo di pagare tali debiti scaduti.

In luogo dell’art. 2901 c.c.: “il creditore, anche se il credito è

soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati

inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi

quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando concorrono le

seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto

arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere

del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il

soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il

terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di atto anteriore al

sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli

effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti

altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al

credito garantito. Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito

122

scaduto. L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo

oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della

domanda di revocazione”.

Perché la domanda del creditore sia accolta al fine di ottenere

l’inefficacia dell’atto di disposizione, che arreca pregiudizio alla sicurezza

del proprio diritto, è necessario che sia integrato sia l’elemento oggettivo

dell’eventus damni sia quello soggettivo da stimarsi in capo al debitore, o

anche al soggetto coinvolto nell’atto stesso, e tale elemento soggettivo

varia a seconda degli elementi considerati.

In caso di atto dispositivo a titolo gratuito posteriore al credito

dell’attore in revocatoria, è sufficiente il consilium fraudis del debitore,

ovvero la c.d. “conoscenza del pregiudizio” per integrare l’elemento

soggettivo, cioè una situazione di semplice conoscenza, o di conoscibilità

secondo il parametro della media diligenza, del pregiudizio che tale atto è

in grado di produrre alla garanzia del credito.

A fronte di un atto dispositivo a titolo oneroso posteriore

all’insorgere del credito, perché il creditore possa con successo esperire

l’azione revocatoria ordinaria, la condizione psicologica deve coinvolgere

anche il terzo avente causa dall’atto dispositivo: deve essere presente

dunque la c.d. scientia damni del terzo, per cui è sufficiente anche la

consapevolezza, seppur generica, del pregiudizio che l’atto è in grado di

determinare al creditore.

In caso di atto dispositivo anteriore, se questo è a titolo gratuito è

sufficiente per esercitare l’azione revocatoria che il debitore abbia

dolosamente preordinato l’atto al fine di pregiudicare il soddisfacimento

dei propri creditori, e in tale circostanza nulla rileva la situazione

soggettiva del terzo.

Nell’ipotesi di stipulazione di atto a titolo oneroso anteriore, rileva

invece la partecipatio fraudis del terzo assieme al debitore, cioè la dolosa

preordinazione.

L’effetto dell’azione revocatoria è quello di rendere l’atto

123

inefficace nei confronti dell’attore in revocatoria, e con la conseguenza,

nello specifico ambito della procedura di liquidazione di cui alla legge n.

3 del 2012, che il bene oggetto dell’atto dispositivo, in caso di esito

positivo dell’azione giudiziale, sarà sottoposto alla procedura di

liquidazione anche se lo stesso fa parte, non già del patrimonio del

debitore, ma di quello del suo avente causa.

A beneficiare della reintegrazione del bene nel patrimonio

liquidabile è, in luogo del concorso fra i creditori, l’intera massa passiva

e, per tale motivo, appare che l’unico soggetto legittimato a proporre

l’azione revocatoria ordinaria sia proprio il liquidatore141. A sostegno di

questa conclusione si collocherebbe il dato testuale dell’art. 14-decies che

attribuisce al liquidatore la legittimazione a promuovere ogni azione

tendente a conseguire la disponibilità dei beni oggetto di liquidazione o

che sia comunque correlata con l’attività di amministrazione. Altri,

diversamente, hanno escluso, nel silenzio della legge, di riconoscere al

liquidatore la possibilità di esperire l’azione revocatoria ordinaria142.

La legge n. 3 del 2012 non contempla una specifica disciplina con

riferimento ai rapporti giuridici preesistenti, per cui il dubbio che sorge è

se il liquidatore possa richiedere al giudice di sospendere o sciogliere i

rapporti in corso nell’interesse dei creditori.

La mancanza di una norma come l’art. 72 l. fall.143, che consente il

141 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 787. 142 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 24. 143 Cfr. art. 72 l. fall. “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto. La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell'articolo 72-bis. In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno. L'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere

124

superamento del principio pacta sunt servanda, sembrerebbe far deporre

in senso negativo, tuttavia l’uso del condizionale è necessario in quanto in

tutte le procedure concorsuali tradizionali è prevista una

regolamentazione specifica per i contratti pendenti, che offre agli organi

della procedura, e nell’ipotesi del concordato allo stesso debitore, di

sciogliersi dal vincolo negoziale, salvaguardando così il patrimonio

responsabile144.

L’assenza di una specifica disciplina può essere addotta alla

circostanza che nell’ambito dei soggetti che fruiscono della novella la

regolamentazione della sorte dei contratti pendenti non assume la stessa

rilevanza che assume quando il protagonista della procedura concorsuale

sia un imprenditore commerciale fallibile, però, è anche vero che, ad

accedere alla composizione della crisi da sovraindebitamento possono

essere imprese agricole, anche grandi, che al momento dell’apertura della

procedura potrebbero presentare una grande quantità di contratti in corso

di esecuzione.

Sarebbe stata chiaramente più opportuna una regolamentazione

specifica sulla questione.

con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V. Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento. In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado”. 144 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 788.

125

3. 4. La formazione dello stato passivo

La liquidazione è il sub-procedimento (artt. da 14-sexies a 14-

octies) con cui le attività del debitore (quali ad esempio immobili, mobili,

diritti, azioni giudiziali ecc.) vengono monetizzate e il ricavato distribuito

ai creditori, riconosciuti come tali a seguito dell’accertamento compiuto

dal liquidatore assimilabile, in linea generale, a quello previsto per il

fallimento.

La liquidazione è affidata in linea di principio al liquidatore, a cui

spetta la formazione dello stato passivo, il giudice interviene soltanto a

seguito di contestazioni ad opera dei creditori, decidendo e formando in

tal caso lo stato passivo definitivo.

Il sub-procedimento in esame si articola in una pluralità di fasi: la

redazione dell’inventario dei beni costituenti il patrimonio liquidabile; la

redazione di un programma di liquidazione; la cessione dei crediti, le

vendite e gli altri atti di liquidazione; l’informazione degli esiti al

debitore, ai creditori e al giudice prima di stipulare contratti di vendita.

In merito alla prima fase, il liquidatore procede a verificare

l’elenco dei creditori e l’attendibilità della documentazione fornita ex art.

9, commi 2 e 3. Questa verifica appare superflua se a svolgere le funzioni

di liquidatore è lo stesso Organismo di composizione della crisi.

Una volta terminata la verifica, il liquidatore redige l’inventario

dei beni da liquidare e comunica ai creditori anteriori all’apertura della

procedura e ai titolari dei diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari,

su immobili o cose mobili in possesso o nella disponibilità del debitore: la

loro possibilità di partecipare alla liquidazione, depositando nella

cancelleria o trasmettendo attraverso posta elettronica certificata, e purché

vi sia prova della ricezione, la domanda di partecipazione ex art. 14-

septies, con l’avvertimento che in mancanza delle indicazioni di cui alla

lett. e) (dell’indirizzo di posta elettronica certificata, del numero di telefax

o l’elezione del domicilio in un comune circondario ove ha sede il

tribunale competente) le successive comunicazioni saranno eseguite

126

esclusivamente mediante deposito in cancelleria; la data entro cui vanno

presentate le domande; la data entro cui sarà comunicato ai creditori e al

debitore lo stato passivo e ogni altra utile informazione.

I creditori o aventi causa si insinuano nel passivo a partire dalla

presentazione della domanda di partecipazione al concorso o di

restituzione o rivendicazione dei beni, mobili o immobili, nella forma di

un ricorso che deve soddisfare il seguente contenuto, pressappoco

identico a quello richiesto in sede fallimentare ex art. 93 l. fall.: a)

l’indicazione delle generalità del creditore; b) il petitum, ossia la

determinazione della somma che si intende far valere nella liquidazione, o

la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o soddisfazione; c)

la causa petendi, ossia la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di

diritto che costituiscono la ragione della domanda; d) l’eventuale

indicazione di un titolo di prelazione; e) l’indicazione dell’indirizzo di

posta elettronica certificata, del numero di telefax o l’elezione di

domicilio in un comune del circondario in cui ha sede il tribunale

competente, in difetto le comunicazioni vengono eseguite ex art. 14-

sexies mediante mero deposito in cancelleria (art. 14-septies, comma 1).

Al ricorso devono essere allegati i documenti dimostrativi dei diritti fatti

valere (comma 2).

Diversamente dalla disciplina fallimentare, non è prevista la

sanzione della inammissibilità in caso di omessa indicazione degli

elementi sopra elencati sub a), b), c).

Non è previsto nella liquidazione di cui alla l. n. 3 del 2012 la

possibilità in capo al terzo che agisce in restituzione o rivendica del bene

di domandare contestualmente la sospensione della liquidazione del bene

oggetto delle sue pretese.

Non è prevista neppure la previsione operante nel fallimento in

base alla quale il giudice può disporre che i titoli al portatore o all’ordine

siano trattenuti in copia e restituiti previa annotazione del deposito da

parte del cancelliere.

127

A fronte di tali distonie pare non debba escludersi né la

inammissibilità del ricorso, né la richiesta di sospensione della

liquidazione, né il rilascio dell’originale del titolo di credito depositato in

copia, e ciò non in forza di un’applicazione analogica o estensiva della

disciplina del fallimento, ma in via autonoma145. Opera comunque l’art.

14-novies, comma 2, ultima parte, secondo cui “in ogni caso, quando

ricorrono gravi e giustificati motivi, il giudice può sospendere gli atti di

esecuzione del programma di liquidazione”.

Non sembra necessaria la difesa tecnica per il creditore che si

insinua nel passivo, e in virtù del vuoto normativo a riguardo si può

ritenere di poter applicare quanto affermato anche in merito al fallimento,

per cui il ricorso può essere sottoscritto dalla parte istante personalmente.

La fissazione del termine per la presentazione della domanda di

insinuazione al passivo è di competenza del liquidatore, però trattandosi

di una procedura concorsuale e di una fase processuale sarebbe stato più

opportuno che fosse stato stabilito un termine ex lege per l’insinuazione al

passivo e ancor prima per la comunicazione dell’avviso146.

Ai sensi dell’art. 14-octies, il liquidatore esamina le domande di

partecipazione al concorso, sulla base delle quali redige un progetto di

stato passivo comprensivo dell’elenco dei titolari di diritti sui beni mobili

e immobili di proprietà o in possesso del debitore.

Lo stato passivo menziona le richieste accolte e quelle respinte,

non è fatto cenno invece alle forme di ammissione con riserva previste in

ambito fallimentare ex art. 96 l. fall.147 e si esclude un’applicazione

analogica.

145 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2069. 146 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 790. 147 Cfr. art. 96 “Oltre che nei casi stabiliti dalla legge sono ammessi al passivo con riserva: 1) i crediti condizionati e quelli indicati nell'ultimo comma dell'art. 55; 2) i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice; 3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione".

128

Il liquidatore deve comunicare il progetto di stato passivo al

debitore e ai creditori che hanno presentato domanda di partecipazione al

concorso; assegna un termine di quindici giorni per far pervenire sotto la

veste di “osservazioni” opposizioni allo stato passivo da parte dei

creditori o dello stesso debitore.

In assenza di osservazioni, il liquidatore procede ad approvare de

plano lo stato passivo da lui redatto, che diventa così definitivo, e ne dà

comunicazione ai creditori ammessi e al debitore (art. 14-octies, comma

2); se sono formulate osservazioni che il liquidatore ritiene fondate,

quest’ultimo entro un termine di quindici giorni deve presentare un nuovo

progetto di stato passivo e comunicarlo alle parti e, in luogo del rinvio del

terzo comma al primo comma, è da ritenere ammissibile l’avvio di un

nuovo iter di osservazioni (comma 3); il liquidatore, se non ritiene

fondate le contestazioni opposte o le contestazioni non conducono a

modificazioni del progetto e alla successiva ed eventuale approvazione

dei creditori, rimette gli atti al giudice che ha nominato, il quale provvede

alla definitiva formazione del passivo attraverso le regole degli artt. 737

ss. c.p.c. (comma 3).

La procedura di liquidazione del patrimonio, diversamente da

quella fallimentare, non contempla quindi un’udienza di verifica dei

crediti; la fase giudiziale del procedimento contenzioso di accertamento

dello stato passivo è solo eventuale e vi partecipano, ora con l’obbligo di

assistenza tecnica, i creditori e i titolari dei diritti sui beni, il debitore con

pieni poteri allegativi e istruttori, senza che la fase precedente possa

comportare preclusioni.

Il giudice a seguito dell’esame delle domande si pronuncia con

decreto, così come avviene ex art. 96 l. fall., e forma lo stato passivo

definitivo. Il decreto emesso dal giudice, in luogo del rinvio all’art. 10,

comma 6, è reclamabile di fronte al tribunale in sede collegiale e del

collegio non farà parte il giudice che ha emesso il provvedimento; il

129

decreto è soggetto a reclamo e a successivo ricorso straordinario in

cassazione ex art. 111 Cost.148

Come già in precedenza accennato, manca un termine ex lege per

la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, tale

termine è rimesso al liquidatore che lo dovrà fissare garantendo ai

creditori un tempo utile per organizzare le loro difese, quindi non

inferiore ai trenta giorni individuati dall’art. 16, n. 5, l. fall.

Nulla viene detto sulla natura perentoria o meno del termine e la

legge non appresta una disciplina specifica per la proposizione tardiva

della domanda di insinuazione al passivo. Parte della dottrina sostiene che

per garantire il funzionamento della procedura è necessario accordare la

natura di termine perentorio a quello fissato dal liquidatore e ammettere la

proposizione di domande tardive, concedendo così ai creditori ammessi

tardivamente di poter concorrere sulle ripartizioni posteriori alla loro

ammissione in proporzione del loro credito, è comunque fatto salvo il

diritto di percepire le somme loro spettanti nelle ripartizioni precedenti

solo qualora gli ammessi tardivamente siano creditori privilegiati o siano

tardivi per cause loro non imputabili149.

Rimando al Paragrafo che segue l’attività di liquidazione, in senso

proprio, del patrimonio del debitore in stato di sovraindebitamento, nel

caso in cui abbia presentato la domanda di liquidazione, ai sensi dell’art.

14-ter, o ricorrano i presupposti per la conversione delle procedure di

composizione della crisi in liquidazione del patrimonio di cui all’art. 14-

quater. Nello specifico, la trattazione si concentra sulla figura del

148 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 76. 149 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit. Di diversa opinione è D. VATTERMOLI, op. cit., p. 792, il quale ritiene che tale termine non possa essere qualificato come perentorio in nessun caso, poiché una simile considerazione comporta che la violazione del suddetto termine determina l’impossibilità del creditore di partecipare ai riparti, dopotutto nelle altre procedure concorsuali la presentazione della domanda tardiva è ammessa pur determinando sul creditore il dispiegarsi degli effetti della tardività.

130

liquidatore analizzando gli elementi di vicinanza tra le attività da lui

svolte e le funzioni attribuite dalla legge fallimentare al curatore.

3.6. Le attività del liquidatore: elementi di confronto con il curatore

fallimentare

Le funzioni che la legge n. 3 del 2012 riconosce al liquidatore

sono rintracciabili negli artt. 14-novies e 14-decies, tra queste si colloca

l’elaborazione di un programma di liquidazione. Tale programma viene in

considerazione come atto del solo liquidatore e non va soggetto a forme

di condivisione coi creditori né col giudice.

Entro trenta giorni dalla formazione dell’inventario (termine

ordinatorio), il liquidatore elabora un programma di liquidazione che deve

comunicare ai creditori e al debitore e deposita in cancelleria (art. 14-

novies, primo comma).

Allo stesso modo l’art. 104-ter l. fall. statuisce che entro sessanta

giorni dalla redazione dell’inventario, il curatore deve predisporre tale

programma da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori.

Nelle due procedure a confronto risultano diversi i termini di

redazione del programma, tuttavia il dies a quo è il medesimo per

entrambe e decorre dal deposito in cancelleria dell’inventario dei beni

oggetto del patrimonio da liquidare.

Il programma di liquidazione altro non è che un documento di

pianificazione e di indirizzo delle attività necessarie per la realizzazione

dell’attivo, che ha un contenuto più ristretto rispetto al corrispettivo

fallimentare, presenta infatti la sola indicazione delle modalità di vendita

dei singoli cespiti e delle azioni da intraprendere per conseguire la

disponibilità dei beni o il recupero dei crediti soggetti alla liquidazione150.

150 A. CECCARINI, L’attività del liquidatore e i controlli del giudice, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 77.

131

Nella determinazione del contenuto il liquidatore deve rispettare

quanto previsto dal primo comma dell’art. 14-novies, cioè la redazione

del programma deve garantire la “ragionevole durata del procedimento”:

non è chiaro che cosa il legislatore intenda con “ragionevole”, in merito

inevitabile è il riferimento agli artt. 14-quinquies, comma 4 e 14-novies,

comma 5 che statuiscono in quattro anni successivi al deposito della

domanda di liquidazione la durata massima della procedura, stabilendo la

cessione di quei crediti di cui non è probabile la riscossione in questo arco

temporale. Inoltre i beni sopravvenuti al patrimonio nei quattro anni

devono essere integrati nel programma di liquidazione, dedotte le

passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi

(art. 14-undecies).

La liquidazione della legge n. 3 del 2012 è molto più libera ed

elastica di quella fallimentare, tuttavia al fine di garantire il buon esito

della procedura nei termini previsti deve necessariamente contenere le

indicazioni dei tempi e delle modalità di liquidazione dei beni, in analogia

con quanto richiesto dall’art. 104-ter, comma 2, lett. c) l. fall., tra cui

sembra corretto far risultare anche le azioni risarcitorie, recuperatorie e

revocatorie.

In sintesi, il programma di liquidazione deve contenere: la

strategia di dismissione del patrimonio, le opportune iniziative giudiziarie

correlate (art. 14-decies), la relativa tempistica, e una forma di piano di

riparto del ricavato sebbene non prevista dal legislatore.

A differenza della procedura fallimentare, il programma di

liquidazione non deve ottenere il placet dei creditori.

Il programma di liquidazione ex art. 14-novies è un atto di

indirizzo, per cui si deve ritenere che durante il corso della procedura il

liquidatore possa, anche su sollecitazione di uno o più creditori, apportare

modifiche: può modificare ad esempio le modalità di vendita, le forme di

pubblicità o la formazione di eventuali lotti.

132

Nonostante l’atto non sia subordinato all’approvazione dei

creditori la dottrina sostiene che sia comunque sottoposto al controllo

giudiziario sotto il profilo della legittimità e della sua conformità ai

principi di ragionevole durata della procedura, nonché di trasparenza,

imparzialità ed efficacia degli atti di liquidazione previsti151. Il potere di

controllo del tribunale si potrebbe evincere sia dalla previsione del

deposito in cancelleria del programma di liquidazione, sia dalla

soggezione degli atti di liquidazione al potere sospensivo del giudice nella

fase attuativa del programma, non potendo escludere l’inibizione da parte

del giudice nell’ipotesi di manifesta illegittimità dell’atto programmatico

nella sua interezza. Il tribunale operando il controllo di legalità sul

programma valuterebbe più in generale l’azione del liquidatore che

potrebbe anche revocare se risultassero carenze particolarmente gravi.

In merito alle operazioni di liquidazione è contemplata la cessione

dei crediti, anche oggetto di contestazioni, dei quali non è probabile

l’incasso nei quattro anni successivi al deposito della domanda. Tale

previsione risponde all’esigenza di contenimento della durata della

procedura e deve intendersi avente valore programmatico e non cogente,

rimettendo infatti alla discrezionalità del legislatore tale scelta.

Circa le modalità delle vendite, l’art. 14-novies, secondo comma,

terzo periodo, detta una disciplina unitaria per le vendite e per gli altri atti

di liquidazione, prescindendo dal tipo di bene da alienare: “le vendite e

gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di

liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive

anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate,

salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti,

assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e

partecipazione degli interessati”.

La disposizione in commento è identica a quella prevista in

materia fallimentare dall’art. 107 l. fall., sostituendo chiaramente la figura

151 A. CECCARINI, op. loc. ult. cit.

133

del liquidatore con quella del curatore, e delinea un procedimento che si

articola nel seguente modo: stima da parte di operatori esperti dei beni

costituenti il patrimonio liquidabile; adozione delle procedure competitive

ed eventuale utilizzo di soggetti specializzati; utilizzo e forme di

pubblicità adeguati alla natura e al valore dei beni da vendere.

Il richiamo alle procedure competitive non determina la necessaria

effettuazione di una gara, essendo sufficiente l’uso di modalità in grado di

coinvolgere la più ampia pluralità di partecipanti. Potrà procedere con

trattative private o con licitazioni o aste. Il liquidatore ha la più ampia

autonomia nell’indicare le modalità di vendita purché garantiscano

proprio la massima informazione e partecipazione degli interessati.

Le stime per la liquidazione dei crediti, beni mobili e immobili,

salvo quelli di modesto valore, devono essere eseguite da operatori esperti

aventi i requisiti di onorabilità e professionalità previsti dal regolamento

del Ministero della giustizia di cui all’art. 107, comma 7, del regio

decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Prima del completamento delle operazioni di vendita il liquidatore

deve dare notizia degli esiti della procedura al debitore, a tutti i creditori e

al giudice, il quale esercita un controllo di legalità potendo sospendere le

operazioni di liquidazione quando ricorrano gravi e giustificati motivi.

L’art. 107, comma 3, l. fall. stabilisce che debba essere data

informazione, attraverso notificazione ad opera del curatore, ai soli

creditori muniti di privilegio e a ciascun creditore ipotecario in merito ai

beni immobili e agli altri beni iscritti nei pubblici registri, prima del

completamento delle operazioni di vendita. La stessa disciplina

fallimentare prevede che debba essere informato degli esiti delle

procedure il giudice delegato e il comitato dei creditori, depositando in

cancelleria la relativa documentazione.

L’art. 108, comma 1, legge fallimentare prevede che il giudice

delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, su istanza

del comitato stesso o di altro interessato, quando ricorrono gravi e

134

giustificati motivi, può sospendere le operazioni di vendita con decreto

motivato ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci

giorni dal deposito, può impedire il perfezionamento della vendita quando

il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto

delle condizioni di mercato.

Nella procedura di liquidazione ex art. 14-novies, comma 2,

invece, il liquidatore può sospendere gli atti di esecuzione del programma

di liquidazione solo per giustificati e gravi motivi attraverso decreto

motivato. I motivi in questione possono riguardare sia la regolarità della

procedura di vendita sia l’ammontare del prezzo offerto. Il potere

sospensivo del giudice non è condizionato all’istanza di parte, tuttavia si

considera ovvio che tali soggetti possano quantomeno dare impulso al

provvedimento del giudice.

Diversamente dal curatore fallimentare, il liquidatore non può

sospendere il perfezionamento della vendita come previsto dall’art. 108 l.

fall., né sospendere la vendita quando riceva un’offerta irrevocabile di

acquisto migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo

offerto. Tuttavia si deve riconoscere al giudice della liquidazione,

nell’ambito del controllo di legittimità sullo svolgimento della procedura,

il potere di inibire la stipula di atti di vendita a prezzo vile che possano

frustrare l’interesse dei creditori e le stesse finalità della procedura152.

Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti

dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo delle

somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e

delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro

vincolo compresa anche la trascrizione del decreto ex art. 14-quinquies,

comma 1, e dichiara la cessazione di ogni altra forma di pubblicità

disposta (art. 14-novies, comma 3).

La procedura di liquidazione necessita di un provvedimento di

chiusura emesso con decreto dal giudice non prima di quattro anni dal

152 A. CECCARINI, op. ult. cit., p. 80.

135

deposito della domanda e solo a seguito della completa esecuzione del

programma. È possibile anticipare che solo entro un anno dalla data del

decreto decorre il termine per la proposizione del ricorso per

esdebitazione. Dalla pronuncia del decreto riprende il corso degli interessi

sui crediti chirografari non soddisfatti. Dallo stesso momento il debitore

recupera la titolarità e l’esercizio dei poteri di amministrazione e

disposizione del suo intero patrimonio.

La legge attribuisce al liquidatore poteri-doveri che, nello

specifico, sottrae al debitore: il potere di amministrare i beni che

compongono il patrimonio da liquidare; il potere di esercitare le azioni

volte al recupero dei crediti compresi nel patrimonio da liquidare ex art.

14-decies; il potere di acquisire i beni e i crediti sopravvenuti nei quattro

anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, al netto delle

passività ex art. 14-undecies.

Deriva in capo al liquidatore un potere particolarmente ampio,

funzionale alla liquidazione, il liquidatore può compiere tutte le azioni

recuperatorie, di rilascio, ripristino o liberazione dei beni, nonché quelle

volte all’incremento del patrimonio attraverso l’acquisizione di beni

spettanti al debitore.

Il liquidatore in luogo dell’art. 14-decies ha la legittimazione

attiva nelle azioni finalizzate a conseguire la disponibilità dei beni da

liquidare, purché correlate alla funzione di amministrazione del

patrimonio da liquidare e può esercitare altresì le azioni volte al recupero

dei crediti compresi nella liquidazione.

Tale legittimazione è esclusiva e va a sostituire quella del

debitore, tuttavia si ritiene che la legittimazione sussiste in riferimento

alle cause ex novo, mentre rispetto a quelle in corso la legittimazione

spetta al debitore, mancando l’effetto interruttivo del processo di cui

all’art. 43 l. fall153.

153 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2072.

136

La norma contempla la sola legittimazione attiva, ma si deve

ritenere che la norma attribuisca implicitamente anche la legittimazione

passiva al liquidatore.

Per le sole esecuzioni in corso, probabilmente a carico del

debitore, l’art. 14-novies, comma 2, prevede che il liquidatore subentri:

non è chiaro se tale possibilità debba essere autorizzata dal giudice o

rappresenti piuttosto un’opzione del liquidatore.

Un’analoga disciplina è dettata anche dall’art. 107, comma 6 l.

fall. e in merito al dubbio relativo alla natura di tale sostituzione parte

della dottrina richiama gli orientamenti giurisprudenziali per evidenziare

la natura non obbligatoria, né automatica di tale sostituzione, confermata

dal fatto che nel caso in cui il curatore non si sostituisca al debitore

l’improcedibilità dell’esecuzione potrà essere dichiarata giudizialmente

solo a seguito dell’istanza del solo curatore.154 Se il curatore non rileva

l’improcedibilità, la disciplina fallimentare non impedisce al creditore di

portare a termine l’esecuzione, e il curatore potrà comunque convenire in

giudizio il creditore per accertare l’inefficacia nei confronti della massa

creditoria del pagamento coattivo.

Tra le azioni che il liquidatore potrà esercitare si colloca

chiaramente la revocatoria ordinaria ex art. 2901, si rimanda al Paragrafo

3.4. l’individuazione delle caratteristiche dell’esercizio della suddetta

azione nell’ambito della procedura di liquidazione di cui alla l. n. 3/2012.

3.7. Il patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela

Nel patrimonio attivo del debitore sovraindebitato fanno parte tutti

i beni e i diritti del debitore, compresi gli accessori, pertinenze e frutti

prodotti dai beni dello stesso (art. 14-novies, secondo comma).

Non fanno parte del patrimonio: i crediti impignorabili ai sensi

dell’art. 545 c.p.c.; i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento,

154L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., p. 279.

137

gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la propria

attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua

famiglia indicati dal giudice; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui

beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo

quanto disposto dall’art. 170 c.c.; le cose che non possono essere

pignorate per disposizione di legge.

La disciplina codicistica impone al debitore di rispondere alle

proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’art. 2740 c.c.

non conosce il limite temporale dell’art. 14-undecies in base al quale i

beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di

liquidazione di cui alla l. n. 3 del 2012 vanno a far parte del patrimonio

liquidabile e deve essere integrato l’inventario e il programma di

liquidazione con l’annotazione degli stessi.

Tali beni sopravvenuti entrano a far parte del patrimonio attivo

dedotte le passività per l’acquisto e la conservazione.

L’art. 42, comma 2, l. fall. è assolutamente conforme all’art. 2740

c.c. poiché non prevede alcun limite temporale all’acquisizione al

fallimento dei beni sopravvenuti, prevedendo che tutti i beni che

pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività, sono

compresi nella massa attiva. Il comma successivo riconosce al curatore la

possibilità, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di rinunciare

all’acquisizione dei beni sopravvenuti, quando ritenga che i costi da

sostenere per l’acquisto e la conservazione siano superiori al valore di

realizzo degli stessi.

Le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni

nella procedura in commento, così come nella procedura fallimentare,

sono trattate alla stregua di crediti sorti in occasione e in funzione della

liquidazione per cui soggetti al relativo regime di cui all’art. 14-

duodecies, comma 2.

L’incremento patrimoniale nella disciplina di cui agli artt. 14-ter

ss. non è rimesso ad una scelta del liquidatore, ma rappresenta un

138

automatismo legislativo: i beni sopravvenuti per espressa previsione

dell’art. 14-undecies sono oggetto della domanda di liquidazione che ha

introdotto la procedura, è ovvio che siamo di fronte ad una fictio iuris, la

volontà del legislatore è quella di acquisire automaticamente tali beni al

patrimonio del debitore.

A fronte dell’automatismo legislativo con cui tali beni vengono

acquisiti al patrimonio da liquidare, ci si chiede se possa operare anche

nella procedura in commento una disposizione quale quella del terzo

comma dell’art. 42 l. fall. Quello che si vuole capire è se il liquidatore ha

un margine di azione per evitare l’acquisizione di un bene i cui costi sono

maggiori rispetto all’ipotetico valore di liquidazione.

La soluzione più ragionevole accorda tale facoltà al liquidatore,

tuttavia si ritiene indispensabile il consenso dell’intera massa creditoria,

dopotutto nella disciplina fallimentare la rinuncia del curatore

all’acquisizione del bene alla massa attiva è subordinata

all’autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre l’atto di rinuncia del

liquidatore altro non è che un atto dispositivo del patrimonio da liquidare,

per cui pare non essere possibile prescindere dal consenso dei creditori.

In merito al titolo di ingresso dei beni sopravvenuti nel patrimonio

da liquidare, sembra che esso possa essere solo quello negoziale, inter

vivos o mortis causa155; le azioni giudiziarie si rivolgono solo ai beni che

già fanno parte del patrimonio del debitore e questa limitazione è

concepibile in luogo della incerta durata dei procedimenti civili.

La rubrica dell’art. 14-undecies fa riferimento anche ai crediti

sopravvenuti, ma la trattazione dell’articolo manca della relativa

regolamentazione. Anche i crediti sopravvenuti costituiscono componenti

del patrimonio del debitore. Appare ragionevole ritenere che siamo di

fronte ad una mera omissione materiale nella redazione del testo

normativo, in quanto i crediti sopravvenuti sono menzionati nella rubrica 155 G. DI MARZIO, L’estensione e la tutela del patrimonio oggetto di liquidazione nella novella legislativa, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 82.

139

dell’articolo, per cui è conforme ad un’interpretazione teleologica

l’estensione della disciplina prevista per i beni sopravvenuti anche ai

crediti156.

La tutela legale del patrimonio da liquidare è offerta dagli artt. 14-

quinquies, comma 2, lett. b) e 14-duodecies, commi 1 e 2, l. n. 3 del 2012,

affinché sia evitata la sua aggressione e leso il principio della par

condicio creditorum.

Sulla base della prima delle norme richiamate, il decreto di

apertura deve disporre che creditori aventi titolo o causa anteriore al

decreto stesso non possono iniziare o proseguire azioni individuali

cautelari o esecutive, né acquistare diritti di prelazione sul patrimonio

oggetto della liquidazione, fino alla data in cui il provvedimento di

omologazione è definitivo. In merito al riferimento al decreto di omologa,

come già detto in precedenza, esso rappresenta un errore del legislatore

che intendeva riferirsi piuttosto al decreto di chiusura della procedura di

liquidazione.

I creditori con causa o titolo posteriore alla data di esecuzione

della pubblicità del decreto di apertura non possono procedere

esecutivamente sui beni oggetto del patrimonio da liquidare (art. 14-

duodecies, comma 1). È prevista un’analoga disposizione in ambito di

accordi (art. 12, comma 3) e di piano del consumatore (art. 12-ter, comma

2) omologati dal tribunale.

Restano consentite ai creditori con causa o titolo posteriore le

azioni di accertamento o cautelari, oltre alla possibilità di ricevere

pagamenti o adempimenti spontanei, questo è quanto sembra risultare dal

dato testuale della disposizione.

In realtà le azioni cautelari e l’acquisto di diritti di prelazione ad

opera dei creditori posteriori sono preclusi in luogo del combinato

disposto dell’art. 14-quinquies, comma 3, e dell’art. 2915, comma 1, c.c.:

l’art. 14-quinquies al terzo comma paragona il decreto di apertura della

156 G. DI MARZIO, op. lo. ult. cit.

140

procedura a un atto di pignoramento, la previsione generale dell’art. 2915

c.c. determina l’inefficacia degli atti che importino dei vincoli di

indisponibilità pubblicizzati dopo la trascrizione dell’atto esecutivo,

determinando così la superfluità del divieto di cui all’art. 14-duodecies,

comma 1.

Tuttavia il primo comma dell’art. 14-duodecies ha una ragione di

esistenza, rintracciabile nel fatto che non tutte le procedure esecutive

contemplano la costituzione di un vincolo di indisponibilità (ad esempio

le procedure di esecuzione per consegna o rilascio, o di esecuzione di

obblighi di fare e non fare), in questi casi l’art. 2915 è inapplicabile e

trova operatività il primo comma dell’art. 14-duodecies, comma 1.

Il secondo comma dell’art. 14-duodecies in riferimento ai crediti

sorti in occasione o funzione della procedura di liquidazione stabilisce

che debbano essere soddisfatti con preferenze rispetto agli altri, con

esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno

e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Un’analoga

disposizione ricorre anche per gli accordi e il piano del consumatore (art.

13, comma 4-bis). Il riferimento è ai “creditori della procedura”, termine

che ricomprende sia i creditori della liquidazione concorsuale sia quelli

delle procedure compositive ex art. 7 l. n. 3 del 2012, titolari dunque di un

credito prededucibile.

3.8. La disciplina mancante: la ripartizione dell’attivo

Il legislatore nella costruzione della procedura di liquidazione ex

artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012 ha omesso di disciplinare la fase di ripartizione

dell’attivo. La procedura non può spogliarsi di tale fase in quanto essa ha

natura esecutivo satisfattiva, dovendo i creditori concorrenti essere

soddisfatti all’interno della stessa. La regolamentazione del riparto, anche

141

se mancante, costituisce un atto comunque necessario e sostanzialmente

conclusivo della procedura157.

La liquidazione del patrimonio, infatti, ha forma e sostanza di

esecuzione forzata collettiva volta al soddisfacimento dei crediti mediante

conversione in denaro e ripartizione del patrimonio del comune debitore

nel rispetto della par condicio creditorum.

Nel testo della legge n. 3 del 2012 manca, nello specifico,

l’indicazione sia dei criteri da adottare per la distribuzione delle somme

ricavate in luogo della liquidazione, sia i meccanismi da seguire per la

ripartizione concreta dell’attivo.

In merito ai criteri da utilizzare per la distribuzione delle somme

ricavate, il vuoto legislativo può essere facilmente colmato facendo

appello alla natura concorsuale della liquidazione.

L’apertura del concorso fra creditori impone il rispetto della par

condicio creditorum che costituisce un meccanismo per la distribuzione

di un patrimonio incapiente tra più aventi diritto sul patrimonio del

debitore.

Sarà applicato l’art. 2741 c.c. il quale riconosce a tutti i creditori

del debitore l’eguale diritto ad essere soddisfatti sui suoi beni, salve le

cause legittime di prelazione (privilegio, pegno, ipoteca). Ogni credito

sarà soddisfatto seguendo l’ordine dei privilegi stabilito dalla legge, sono

sottratti al concorso in quanto debiti della massa.

Sottratti alle suddette logiche sono anche i crediti prededucibili,

sorti in occasione o in funzione della procedura ex art. 14-duodecies,

comma 2, sono crediti della procedura e sono assistiti dal diritto di essere

soddisfatti con preferenza rispetto agli altri. Tali crediti, ad esempio, sono

il compenso del liquidatore e dei soggetti che a vario titolo hanno

partecipato alle operazioni di vendita, i crediti derivanti dagli atti

157 F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 14.

142

legittimamente compiuti dal liquidatore durante l’esercizio del suo

incarico.

I creditori aventi titolo o causa posteriore alla pubblicità del

decreto di apertura non essendo creditori concorsuali non sono neanche

creditori concorrenti, per cui non partecipano alla ripartizione dell’attivo.

Il legislatore ha taciuto anche in riferimento ai meccanismi che

debbano essere utilizzati ai fini della ripartizione dell’attivo, tale

mancanza è molto più grave, essendo più difficile da affrontare.

Sembra sulla base del dato testuale che a eseguire le ripartizioni

sia il liquidatore, ma nulla è detto in riferimento alla possibilità di

eseguire ripartizioni parziali o se piuttosto si debba attendere la

liquidazione di tutto il patrimonio e procedere ad un unico riparto finale.

Nel fallimento il piano di riparto è disciplinato dall’art. 110 l. fall.

e il curatore ha l’obbligo di riparto parziale, ogni quattro mesi, delle

somme riscosse. Questo obbligo non impone al curatore di dover ripartire

tutto ciò che ha ricavato, infatti il legislatore prevede accantonamenti.

Non è chiaro se sia necessario nella legge n. 3 del 2012, come

sembra preferibile, un vero e proprio piano di riparto, che il giudice deve

rendere esecutivo, o se sia, invece, sufficiente una mero atto di

assegnazione158.

Non è altresì chiaro quale sia il criterio che il liquidatore deve

seguire per procedere agli accantonamenti, sia per la copertura delle spese

di procedura, sia per preservare la posizione dei titolari di crediti

contestati o sottoposti a condizione.

Sembra corretto ritenere che il liquidatore prima dell’ultimo

riparto debba presentare il rendiconto della gestione.

La disciplina sulla chiusura della procedura è decisamente scarna,

prevedendo che il giudice dichiari con decreto la chiusura della

liquidazione solo dopo aver accertato la completa esecuzione del

158 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 797.

143

programma di liquidazione e comunque non prima del decorso del

termine di quattro anni.

Molti sono gli interrogativi che a fronte di una disciplina ben poco

dettagliata emergono: la procedura va avanti anche in caso di completo

soddisfacimento di tutti i creditori? Perché mai si dovrebbe comunque

attendere quattro anni? Se tale durata è funzionale per l’accesso delle

persone fisiche all’esdebitazione, perché mai dovrebbe prevedersi tale

durata anche nel caso delle persone non fisiche?

Parte della dottrina cerca di superare queste criticità ritenendo che

la chiusura anticipata della procedura abbia luogo: per la mancata

presentazione, nei termini segnalati dal liquidatore, delle domande di

ammissione al passivo; per l’estinzione in qualunque modo e in

qualunque momento durante la procedura, anche prima della completa

esecuzione del programma, dei crediti ammessi159.

Lo stesso orientamento non ritiene invece di poter applicare in via

analogica quanto disposto dall’art. 118 l. fall. che disciplina la chiusura

della procedura in caso di insufficienza dell’attivo.

La disciplina della liquidazione culmina con la regolamentazione

del beneficio dell’esdebitazione, che la legge n. 3 del 2012 nell’ambito

della procedura di liquidazione riconosce ai soli soggetti persone fisiche

in stato di sovraindebitamento passivo; nelle ipotesi di accordo del

debitore e di piano del consumatore l’effetto esdebitatorio è invece

assicurato in ogni caso in luogo del consenso prestato dalla maggioranza

dei creditori e dall’efficacia generale della procedura nei confronti di tutti

i creditori, come espressamente previsto dalla stessa Relazione illustrativa

del decreto Crescita-bis.

159 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 798.

144

3.9. L’eventuale esdebitazione: requisiti strutturali e procedurali

Il beneficio dell’esdebitazione disciplinato dall’art. 14-terdecies

consegue alla procedura di liquidazione dei beni ed è ad appannaggio del

solo debitore persona fisica che soddisfi i requisiti di meritevolezza

richiesti dal primo comma.

Nel fallimento una volta intervenuto il decreto di chiusura il

debitore rimane obbligato nei confronti dei creditori non interamente

soddisfatti dalla procedura, i quali riacquistano la facoltà di proporre

azioni esecutive individuali nei suoi confronti.

La funzione dell’esdebitazione ex art. 14-terdecies è quella di

consentire al debitore non fallibile all’esito della liquidazione di

affrancarsi da tali debiti.

Allo stesso modo, anche nella procedura fallimentare ex art. 142 l.

fall. l’esdebitazione conduce, attraverso il relativo provvedimento emesso

dal giudice, all’inesigibilità dei crediti che residuano nei confronti dei

creditori concorsuali non soddisfatti.

L’esdebitazione costituisce un meccanismo derogatorio alla

responsabilità patrimoniale personale di cui all’art. 2740 c.c., in base alla

quale il debitore risponde nei confronti delle obbligazioni assunte con

tutti i suoi beni presenti e futuri.

Sia nel fallimento che nella legge n. 3 del 2012, l’esdebitazione

non è un passaggio procedurale necessario che consegue alla scelta del

debitore di liquidare il suo patrimonio, ma devono essere presenti,

affinché il debitore fruisca di tale beneficio, le condizioni che integrano la

correttezza del comportamento del proponente.

La disciplina della novella mira a porre rimedio al

sovraindebitamento passivo o incolpevole, derivante da fattori traumatici

o congiunturali, imprevedibili e indipendenti dalla volontà del debitore

stesso, che hanno ridotto le fonti di reddito e determinato a livello

145

macroeconomico la contrazione della produzione industriale coi i

conseguenti effetti recessivi sulla crescita e l’occupazione160.

Dopotutto, come già evidenziato in precedenza, la grande novità

della riforma non è la previsione di una procedura ad hoc per il

consumatore, attraverso la possibilità di presentare una proposta di piano

del consumatore, ma, piuttosto, l’introduzione di una disciplina specifica

per il sovraindebitamento passivo a cui viene abbinato un giudizio sulla

condotta diligente del debitore161: in questa logica è stata costruita

l’articolazione del piano del consumatore e l’articolazione della disciplina

dell’esdebitazione.

L’esdebitazione si presta alla critica di spostare sensibilmente il

rischio dell’insolvenza sul creditore, tuttavia favorisce il fresh start e il

riacquisto per il debitore di un ruolo attivo nell’economia, senza restare

schiacciato dai debiti pregressi 162 . Un ulteriore vantaggio che

l’esdebitazione produce è quello di stimolare il debitore a essere

collaborativo nella liquidazione dell’attivo, essendo necessaria proprio

una sua collaborazione attiva perché sia ammesso al beneficio. Dall’altra

parte, il rischio dell’esdebitazione può indurre il creditore a ridurre

l’offerta di credito o ad alzare il costo del denaro, e può spingere i

prenditori di credito a comportamenti poco cauti e virtuosi.

Il carattere della non automaticità del beneficio, sia nel fallimento

che nella legge n. 3 del 2012, rappresenta il bilanciamento tra i

sopramenzionati, anche se solo accennati, costi e benefici

dell’esdebitazione.

È necessario specificare che il nostro ordinamento conosce

l’istituto dell’esdebitazione in ambito fallimentare (art. 142 l. fall.) solo in

tempi recenti, esso è il frutto dell’intervento del legislatore nel 2006 con il

Decreto legislativo n. 5, il quale ha allineato l’ordinamento italiano alle

160 L. A. BOTTAI, op. cit., p. 2. In merito alle cause del sovraindebitamento passivo si rinvia al Paragrafo 1.2. 161 E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 228. 162 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2075.

146

tradizioni giuridiche oltre confine, e nello specifico al diritto americano,

dove nel Bankrupcty Code è presente la Discharge che consente al

debitore un fresh start, un nuovo inizio163.

Il d.l. n. 179 del 2012, che ha apportato modifiche alla legge n. 3

del 2012, ha esteso anche ai debitori non fallibili la sfera applicativa della

discharge, che a partire dalla sua introduzione nell’ordinamento italiano

era legata esclusivamente al concorso fallimentare.

L’esclusione del debitore civile era stata motivata, come già

anticipato nel Paragrafo 1.1., dalla Corte Costituzionale nella natura

dell’attività da essi esercitata, “giacché lo svolgere attività commerciale

organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa

da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale

l’aver limitato alla prima la disciplina, né sono arbitrari i motivi di tale

limitazione”164.

L’individuazione a fronte di una situazione di crisi di diversi

strumenti riconosciuti all’imprenditore commerciale rispetto al debitore

civile, secondo la Corte, dipende dagli effetti pregiudizievoli che sono

prodotti dall’insolvenza civile rispetto all’insolvenza commerciale, nel

senso che tali effetti nel primo caso si rivolgono esclusivamente ai singoli

rapporti obbligatori intrattenuti dal debitore, mentre il dissesto

commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale: il

pregiudizio coinvolge il ceto dei creditori, il sistema creditizio e il

fondamento della vita del commercio165.

“L’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore e

dell'insolvente civile si basa su una valutazione di politica economica-

sociale e di opportunità giuridica” 166 , tale esclusione sembrerebbe

proporzionale rispetto al grado di allarme sociale generato dal fenomeno

163 In riferimento alla specifica figura del debitore civile, per un’analisi esaustiva delle regole che governano la discharge nell’ordinamento statunitense, v. G. R. ELGUETA, L’esdebitazione del debitore civile: una rilettura del rapporto civil law-common law, in Banca Borsa, 2012, p. 311 ss. 164 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 165 Corte Cost. 23 marzo 1970, n. 43 v. SPAGNUOLO, op. cit., p. 445. 166 Corte Cost. 16 giugno 1970, n.94, in cortecostituzionale.it

147

della crisi, per cui le procedure concorsuali si rivolgono alle sole imprese

di non modeste dimensioni per le ripercussioni che un loro dissesto può

produrre nell’economia generale, un’esigenza non ravvisabile negli altri

casi167.

L’imprenditore escluso dal fallimento e dalla possibilità di accesso

all’esdebitazione ex art. 142 l. fall. era soggetto alla sola responsabilità

perpetua di cui all’art. 2740 c.c.

Uno dei motivi per cui il debitore civile, e nello specifico il

consumatore, è estromesso dalla possibilità di liberarsi delle obbligazioni

non soddisfatte è rintracciabile nel fatto che le persone fisiche hanno un

impiego del denaro più libero e gli eventi che causano l’insolvenza

possono avere diversa natura ed essere al di fuori della sfera di controllo

del creditore o dello stesso debitore168.

La legge n. 3 del 2012, nella sua versione originaria, non

presentava nulla che rassomigliasse a un’esdebitazione169.

Il d.l. n. 179 del 2012 interviene sulla legge apportando consistenti

modifiche, articolando in ben tre procedure la composizione della crisi e

prevedendo per la liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss.

l’eventuale possibilità di esdebitazione.

Il beneficio dell’esdebitazione è eventuale e rappresenta una fase

accessoria della procedura di liquidazione, l’intera disciplina in

commento è rimessa all’art. 14-terdecies, scomponibile in due parti: la

prima, circoscrivibile ai tre commi iniziali, delinea gli aspetti sostanziali

dell’istituto, indica i presupposti di inclusione e di esclusione dal

beneficio, nonché i crediti comunque esigibili e di conseguenza traccia il

cerchio di indagine giudiziale di merito a cui l’istante si sottopone con la

richiesta di esdebitazione; la seconda parte, quarto e quinto comma,

167D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 565 . 168 B. PENAS MOYANO-D. PORRINI, op. cit., p. 21. 169G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo d’insieme, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 8.

148

descrive i profili procedurali del sub-procedimento di esdebitazione e

riconosce carattere non definitivo al relativo provvedimento,

prevedendone la revocabilità.

Il primo comma elenca dalla lett. a) alla lett. f) le condizioni di

meritevolezza che devono necessariamente sussistere perché il debitore

persona fisica, unico ammesso al beneficio in commento, possa accedere

all’esdebitazione.

Con debitore persona fisica si fa riferimento non soltanto al

consumatore, ma a tutti i soggetti a cui è applicabile la composizione

della crisi da sovraindebitamento, tra cui l’imprenditore agricolo purché

sia un imprenditore individuale. Anche nel fallimento è richiesta la

qualità di debitore persona fisica, tale aspetto non è richiesto invece né

per il concordato preventivo né per gli accordi di ristrutturazione. Quello

che è possibile cogliere è che nel caso specifico dell’impresa agricola

l’effetto esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori potrà essere

raggiunto solo con gli accordi di cui all’art. 7 della legge n. 3 del 2012,

prevedendo la disciplina degli accordi ex art. 182-bis l. fall. l’integrale

pagamento dei creditori non aderenti. Nel caso di imprenditore agricolo,

persona fisica, in stato di sovraindebitamento passivo, l’esdebitazione

potrà essere raggiunta anche con lo strumento dell’art. 14-terdecies.

Ricorre anche nell’ambito delle procedure di cui alla legge n. 3 del

2012, così come nel fallimento, il dubbio sulla posizione dei soci

illimitatamente responsabili, se si ritiene, come parte della dottrina

sostiene, che possano accedere alla composizione della crisi da

sovraindebitamento si ritiene di conseguenza anche, purché siano soci

persone fisiche e ricorrano le condizioni richieste, che possano essere

ammessi al beneficio dell’esdebitazione170.

In merito ai requisiti di meritevolezza, il debitore, sub a), deve

essere stato di ausilio alla procedura, garantendo un regolare ed efficace

svolgimento della liquidazione, fornendo tutte le informazioni e la

170 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 799.

149

documentazione utile, nonché adoperandosi per il proficuo svolgimento

delle operazioni. Le informazioni e la documentazione da assicurare

risultano dal combinato disposto dell’art. 14-ter, comma 2, e dell’art. 9,

commi 2 e 3: sono costituiti dalla lista dei creditori e delle somme dovute,

dall’inventario dei beni liquidabili o da una compiuta descrizione degli

stessi, dall’elencazione degli eventuali atti dispositivi compiuti nei cinque

anni precedenti e dalla documentazione contabile.

La condotta collaborativa del debitore è richiesta per l’ammissione

all’esdebitazione anche dalla legge fallimentare (art. 142, comma 1, lett.

a) l. fall.); nella procedura ex art. 14-terdecies però deve dimostrare che la

sua condotta è anche propositiva: sub e) il proponente di aver contribuito

nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione a

incrementare il suo reddito attraverso un’attività produttiva o, in ogni

caso, deve aver cercato occupazione e non aver rifiutato, senza

giustificato motivo, proposte di impiego171. Non è sufficiente il deposito

della domanda, né la collaborazione con gli organi della procedura, ma il

debitore deve prodigarsi assumendo iniziative utili a incrementare la sua

liquidità per assicurare maggiore soddisfazione ai creditori.

Rientrano nella mera collaborazione i requisiti sub b) e sub c) per

cui il debitore non deve aver ritardato o contribuito a ritardare in

qualunque modo lo svolgimento della procedura e non deve aver

beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti (termine più

breve rispetto ai dieci anni previsti dall’art. 142, comma 1, n. 2, l. fall.). In

merito a quest’ultimo aspetto è lecito ritenere che non costituisce

impedimento la presentazione e la successiva non ammissione della

domanda di accordo o di piano o di liquidazione.

L’accesso è precluso al debitore che sia stato condannato, con

sentenza passata in giudicato, per uno dei reati di cui all’art. 16 (sub d));

l’art. 142, comma 1, n. 5, l. fall. impedisce l’ammissione all’esdebitazione

in caso di condanna per bancarotta fraudolenta o per delitti contro 171 M. G. SIRNA, L’esdebitazione, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 86.

150

l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in

connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa. Diversamente dalla

disciplina fallimentare, la legge n. 3/2012 non prevede la sospensione

della procedura in caso di giudizio penale in corso.

Tra le condizioni necessarie per la fruizione dell’esdebitazione si

colloca la previsione sub f) che richiede che siano stati soddisfatti, almeno

in parte, i creditori con titolo o causa anteriore al decreto di apertura della

liquidazione.

La stessa condizione ostativa ricorre nella legge fallimentare e in

merito sono intervenute le Sezioni unite della Corte di Cassazione che

hanno offerto così una lettura costituzionalmente orientata: la

giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che la previsione in commento

sarebbe eccessivamente severa e penalizzante se richiedesse un riparto,

anche se irrisorio, di tutti i creditori; è da ritenere che sia sufficiente un

riparto, anche a un solo creditore, perché sia soddisfatta la previsione172.

Le ss. uu. rilevano la sussistenza di un’obbligazione di mezzi, e non di

risultato, che si manifesta nell’aver cooperato nella procedura senza

ostacolarla. L’esdebitazione sarà concessa se il debitore ha soddisfatto

una parte ragionevole dei crediti complessivi, a prescindere dall’ipotesi

che vi siano creditori chirografari che non hanno ricevuto alcunché.

La dottrina ritiene applicabile tale principio anche

all’esdebitazione ex art. 14-terdecies, il beneficio risulta così essere

concesso a seguito di una valutazione fortemente discrezionale del

giudice, considerata sia l’intrinseca opinabilità intorno ai presupposti

richiesti (della collaborazione, del ricorso colposo al credito ecc.), sia

l’assenza di una soglia minima ex lege di soddisfazione dei creditori

concorrenti; a suggellare quanto appena detto si colloca la mancanza di

un obbligo di motivazione del provvedimento di esdebitazione173.

172 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18 novembre 2011, n. 24215, in Fallimento, 2012, p. 283. 173 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2076.

151

Ai sensi del secondo comma dell’art. 14-terdecies, con qualche

ridondanza174, l’esdebitazione è esclusa quando il sovraindebitamento del

debitore è imputabile a un ricorso al credito colposo e sproporzionato

rispetto alle sue capacità patrimoniali o quando il debitore nei cinque anni

precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto

in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del

proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo

di favorire alcuni creditori a danno di altri, simili condotte manifestano la

volontà di violare la par condicio creditorum.

Una disciplina di casi di esclusione, come quelli appena

richiamati, non è prevista in sede fallimentare, tuttavia il ricorso abusivo

al credito è condizione di non ammissibilità e la garanzia della par

condicio creditorum è assicurata dal ricorso alla revocatoria fallimentare.

Oltre alle ipotesi menzionate dal secondo comma, la legge n. 3 del

2012 presenta un ulteriore ipotesi di esclusione dal beneficio

dell’esdebitazione: il riferimento è alla conversione della procedura di

composizione della crisi da sovraindebitamento in liquidazione quando la

conversione interviene nel caso in cui il debitore, ex art. 14-bis, comma 1,

abbia aumentato o diminuito il passivo o dissimulato l’attivo, con colpa

grave o dolo, ovvero abbia dolosamente simulato attività inesistente.

Queste condotte sono sintomatiche di un comportamento non incline alla

leale cooperazione.

L’esdebitazione non opera nei confronti dei debiti alimentari e

degli obblighi di mantenimento, dei debiti di fonte extracontrattuale e

delle sanzioni penali ed amministrative che non siano accessorie ai debiti

estinti. Queste ipotesi di esclusione corrispondono a quelle di cui al terzo

comma dell’art. 142 l. fall.

Gli effetti del beneficio non riguardano nemmeno i debiti fiscali,

che pur avendo causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione,

sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta 174 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012 n. 179, cit., p. 27.

152

conoscenza di nuovi elementi (art. 14-terdecies, comma 3, lett. c)).

Questa disposizione non è presente in ambito fallimentare e, come è stato

rilevato dalla dottrina, essa concede un trattamento di favore ingiustificato

per i crediti tributari accertati dopo l’apertura della procedura di

liquidazione, poiché “si prescinde del tutto dalla verifica dell’esistenza di

un effettivo pregiudizio per il Fisco e quindi dalla capienza dell’attivo

della liquidazione, oltre che dall’accertamento di un apporto causale del

debitore al tardivo accertamento”175.

Sui profili afferenti alla procedura l’art. 14-terdecies, comma 4,

prevede che a richiedere la liberazione dai debiti residui è il debitore

mediante ricorso al tribunale entro un anno dal decreto di chiusura della

procedura di liquidazione.

Il tribunale se sussistono i requisiti, con decreto, dichiara, in

camera di consiglio, previa audizione dei creditori non integralmente

soddisfatti, l’inesigibilità dei crediti residui; il provvedimento è

reclamabile al tribunale in sede collegiale secondo le disposizioni di cui

agli artt. 737 ss. c.p.c. La legittimazione al reclamo deve essere

riconosciuta anche al debitore in caso di diniego.

L’effetto che il provvedimento di esdebitazione produce è

l’inesigibilità dei crediti che residuano dopo il decreto di chiusura della

liquidazione: non si verifica l’estinzione dell’obbligazione, né la

novazione dell’obbligazione originaria.

Diversamente dalla legge fallimentare, il provvedimento di

esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies è revocabile in ogni momento, su

istanza dei creditori, quando il debitore, nei cinque anni precedenti

l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, abbia posto in essere

atti in frode ai creditori, o pagamenti o altri atti dispositivi del proprio

patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di

favorire alcuni creditori a danno di altri. È revocabile altresì nelle ipotesi

in cui abbia dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il

175 L. PANZANI, op. ult. cit., p. 28.

153

passivo, ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante di attivo o

simulato attività inesistenti.

La previsione di una esdebitazione revocabile bilancia il sacrificio

che può essere sopportato dai creditori non integralmente soddisfatti,

l’obiettivo è la protezione del sistema normativo e delle relative finalità,

si vuole così rimediare alla concessione di benefici immeritati.

Nella disciplina relativa alla procedura di esdebitazione emerge in

particolar modo l’urgenza che ha motivato il d.l. n. 179 del 2012, la

versione vigente della legge è espressione dell’interventismo del governo

tecnico. Se si giustifica la scarna regolamentazione procedurale con

l’esigenza di semplificare il più possibile, emerge una disciplina a dir

poco lacunosa: non viene specificato chi e attraverso quali mezzi

dovrebbe portare a conoscenza dei creditori concorsuali non

integralmente soddisfatti il ricorso presentato dal debitore: si tratta di

vuoti normativi che il debitore avrebbe potuto evitare ispirandosi

liberamente alla procedura delineata dall’art. 143 l. fall. che assicura il

coinvolgimento dei creditori nel procedimento di esdebitazione, tale

disposizione fallimentare è stata modificata in questo senso proprio dallo

stesso d.l. n. 179/2012 a seguito della pronuncia della Corte

Costituzionale n. 181/2008176.

L’art. 142, ult. comma, l. fall. fa espressamente salvi i diritti dei

creditori nei confronti del coobbligato, garante e fideiussore, allo stesso

modo un’identica salvezza configura nell’accordo del debitore (art. 11,

comma 3, l. n. 3/2012) e nel piano del consumatore (art. art. 12-ter,

comma 3).

Questa previsione manca, invece, nell’art. 14-terdecies, tuttavia

parte della dottrina la ritiene comunque operante 177 . Altra dottrina

autorevole sostiene come la previsione della salvezza dei diritti dei

176 D. VATTERMOLI, op. cit., 802; Corte Cost, 30 maggio 2008, n. 181, in cortecostituzionale.it. Cfr. art. 143 l. fall., comma 1, ultimo periodo “Il ricorso e il decreto del tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori a mezzo posta elettronica certificata”. 177 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 799.

154

creditori verso coobbligati, garanti e fideiussori costituisca una

deviazione rispetto al principio generale della propagazione degli effetti

favorevoli ai coobbligati in solido di cui all’art. 1301 c.c. e, di

conseguenza, è operante solo nei casi in cui sia espressamente prevista

dalla legge; inoltre tale salvezza rischia di gravare sulla famiglia stessa

del debitore esdebitato, poiché è sovente che siano gli stessi familiari a

rivestire la posizione di coobbligati o fideiussori178.

Questo aspetto è di importantissima rilevanza perché rischia di

esautorare il ruolo e l’importanza riconosciuta alla legge n. 3 del 2012,

anche in termini di strumento di protezione sociale, e questo non solo

nell’ambito della procedura di esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies,

ma anche in riferimento all’effetto esdebitatorio che si produce con

l’accordo del debitore o il piano del consumatore. Il non aver considerato

la dimensione familiare può comportare il rischio di un debito che si

sposta da componente in componente familiare, nonché la necessità che

ogni coobbligato, familiare del debitore, apra procedure volte alla

liberazione dagli stessi debiti.

La legge n. 3 del 2012 non si occupa neppure dei creditori

concorsuali non concorrenti, cioè di coloro che pur avendo il diritto di

presentare domanda per insinuarsi al passivo non lo hanno fatto. Questi

creditori, invece, in ambito fallimentare sono i destinatari della specifica

disciplina di cui all’art. 144 l. fall., in base alla quale l’esdebitazione

opera nei loro confronti per la sola eccedenza alla percentuale attribuita

nel concorso ai creditori di pari grado, il debitore quindi rimane obbligato

verso il non concorrente per la stessa somma per cui ha soddisfatto i

creditori concorrenti di pari grado.

La soluzione più coerente con i principi concorsuali è quella di

riconoscere che l’esdebitazione ex art. 14-terdecies opererà nei confronti

178 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2077.

155

dei creditori concorsuali non concorrenti per la parte di credito eccedente

attribuita nel concorso ai creditori di pari grado179.

Giunti così al termine del presente capitolo, si rinvia, invece, al

capitolo che segue l’analisi sul ruolo predominante degli Organismi di

composizione della crisi da sovraindebitamento alla luce della recente

adozione del Decreto 24 settembre 2014, n. 202 “Regolamento recante i

requisiti di iscrizione degli organismi di composizione della crisi da

sovraindebitamento, ai sensi dell’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n.

3, come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito,

con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”.

179 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 800.

156

CAPITOLO IV

Gli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento

Sommario: 4.1. La finalità, le caratteristiche principali e la natura

giuridica degli OCC. La nomina - 4.2. Il registro degli OCC e il Decreto

ministeriale 24 settembre 2014, n. 202 - 4.3. I compiti attribuiti agli

Organismi di composizione della crisi e il potenziale conflitto di interessi

- 4.4. Le Banche dati pubbliche

4.1. La finalità, le caratteristiche principali e la natura giuridica degli

OCC. La nomina.

La procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento,

così come risulta a seguito della modifiche apportate alla legge n. 3/2012

dal d.l. n. 179/2012, coinvolge sostanzialmente tre organi in relazione alla

tipologia di rimedio che il debitore può attivare: il tribunale, l’Organismo

di composizione della crisi e il liquidatore.

Il liquidatore, come organo della procedura concorsuale, entra in

gioco nella sola liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss. e in merito

alle funzioni attribuitegli dalla legge si rinvia alla trattazione del

precedente Capitolo.

Le funzioni riconosciute al tribunale vengono svolte dal giudice

monocratico, delegato alla trattazione delle domande e alle attività che è

chiamato a compiere a seguito della pronuncia di ammissibilità. Il

tribunale in composizione collegiale svolge la funzione di giudice dei

reclami contro gli atti del giudice monocratico delegato al procedimento.

Al giudice delegato vengono attribuite funzioni decisorie, di

controllo e di carattere tutorio-amministrativo.

L’attività decisoria del giudice ha inizio con la valutazione della

domanda presentata dal proponente, altri momenti in cui essa si estrinseca

157

sono le udienze eventualmente previste dalle singole procedure e le fasi

terminali relative alla pronuncia di omologa o alle pronunce sanzionatorie

di revoca, annullamento, risoluzione e dichiarazione di inefficacia.

In occasione della presentazione della domanda il tribunale valuta

la sussistenza della sua competenza e poi procede a verificare l’esistenza

dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’ammissibilità della

domanda, verifica inoltre che sia stata prodotta tutta la documentazione

prescritta dalle legge per l’apertura della procedura.

In merito al giudizio di ammissibilità, sia per l’accordo che per il

piano del consumatore si rinvia al Paragrafo 2.4., si rinvia invece al

Paragrafo 3.1. l’esame delle condizioni di ammissibilità richieste dalla

legge per l’accesso alla liquidazione dei beni.

L’OCC ha un ruolo particolarmente attivo e centrale nella

composizione della crisi da sovraindebitamento e costituisce una delle

innovazioni più significative della procedura stessa; vengono attribuite a

tale organo poliedriche funzioni che lo vedono onnipresente sia nella fase

prodromica all’inizio della procedura che nel suo successivo sviluppo.

È possibile cogliere la centralità del ruolo degli OCC già dalle

prime disposizioni della legge n. 3/2012: ex art. 7, commi 1 e 1-bis, il

debitore in stato di sovraindebitamento che intenda proporre un accordo o

un piano ai suoi creditori deve farlo con l’ausilio degli Organismi di

composizione della crisi e tale ausilio è implicitamente presupposto anche

per l’accesso alla procedura di liquidazione dei beni alla cui domanda

deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’OCC secondo il

terzo comma dell’art. 14-ter180.

L’ausilio in questione è chiarito dall’art. 15, comma 5,

l’organismo “assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del

piano di ristrutturazione e alla esecuzione dello stesso”.

180 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della L. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 603.

158

All’OCC è altresì affidato il compito di presentare l’attestazione

della fattibilità del piano e della veridicità dei dati contenuti nella

proposta.

La loro idoneità a consigliare il debitore e a contribuire

attivamente alla stesura dell’accordo ex art. 8, unita alla capacità di analisi

delle situazioni e degli interessi del debitore e del creditore rappresenta

l’effettivo strumento per realizzare la finalità della legge, che altro non è

che la finalità per cui tali organi sono stati predisposti dalla novella: porre

rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né

assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla

legge in esame (ex art.6).

L’efficacia innovativa della legge in commento dipende proprio

dalla capacità di tali organismi di essere di ausilio e supporto al debitore,

altrimenti la disciplina speciale in materia di sovraindebitamento rischia

di perdere la propria originalità, divenendo piuttosto uno dei tanti

strumenti che l’ordinamento prevede per il riconoscimento di un credito o

l’escussione di un debitore181.

Tale finalità esige una posizione di necessaria terzietà rispetto al

debitore e ai creditori coinvolti nel procedimento. Gli Organismi di

composizione della crisi non dovranno utilizzare le proprie capacità

tecniche e professionali per far risultare l’accordo più favorevole per il

debitore o per tutti o alcuni dei creditori. A supporto di quanto appena

detto, tali organi devono necessariamente presentare requisiti di

indipendenza e professionalità, la cui individuazione è rimessa alla

formulazione di un decreto ministeriale effettivamente emesso dal

Ministero della giustizia in data 24 settembre 2014, n. 202.

Gli Organismi di composizione della crisi non devono, dunque,

disattendere l’equidistanza con entrambe le parti della procedura, l’unico

181 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, Gli Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 89.

159

obiettivo è quello di garantire un concreto ausilio finalizzato al

superamento della condizione di sovraindebitamento.

Di difficile ricostruzione è invece la qualificazione della natura

giuridica di tali organi in quanto sono posti a confine tra la sfera pubblica

e quella privata.

Il ruolo di garanti del funzionamento dell’intera procedura, svolto

in collaborazione col giudice, attribuisce agli OCC la possibilità di

influenzare la composizione della crisi, rappresentando così strumenti

espressione della longa manus pubblica182.

Essi hanno un ruolo fondamentale nel positivo esito della

procedura e rappresentano l’interesse pubblico che ha mosso il legislatore

alla redazione della legge. In questa logica appare comprensibile la scelta

del legislatore di individuare negli enti pubblici i soggetti idonei a

rivestire il ruolo di OCC.

L’obiettivo, coincidente con la volontà del legislatore, è quello di

garantire un efficace, celere e proficuo rientro delle situazioni di

sovraindebitamento. Il sovraindebitamento, “impedendo il regolare

svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti dell’ordinamento e

rendendo impossibile il certo adempimento delle obbligazioni del

debitore, rappresenta una criticità significativa e un serio ostacolo al

superamento del generale periodo di crisi attraversata dal sistema italiano

(e non solo)”183.

L’Organismo di composizione della crisi, nello svolgimento delle

sue funzioni, persegue un interesse pubblico di carattere generale, che si

sostanzia nel superamento di tutte quelle situazioni che impediscono il

regolare svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti

dell’ordinamento.

Gli OCC svolgono una molteplicità di compiti e a loro è avocata

una funzione anomala ed esorbitante rispetto al principio dell’autonomia 182 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, op. loc. ult. cit. 183 R. D’AQUINO DI CARAMAICO, Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 83.

160

privata e per tale motivo rappresentano qualcosa di diverso rispetto agli

organismi di composizione negoziale della crisi o degli organismi di

media conciliazione. E questo nonostante le esigenze che hanno sotteso la

stesura della legge n. 3 del 2012 siano analoghe a quelle di

decongestionamento e alleggerimento dei lavori dei tribunali che hanno

determinano la creazione dei soggetti di media conciliazione.

La natura giuridica degli OCC sembra propendere maggiormente

verso la sfera pubblicistica, la propensione verso una simile soluzione è

motivata, oltre che dalla finalità che sottende la creazione di tali

organismi, da una serie di elementi che emergono in particolar modo a

seguito del d.l. n. 179 del 2012: la costituzione ad opera di enti pubblici,

l’interesse di natura generale di cui l’OCC è portatore, la vigilanza sugli

stessi del Ministero di giustizia, i poteri autoritativi.

L’esorbitante funzione degli OCC rispetto al principio di

autonomia privata non soltanto fa emergere una difficoltà nella

qualificazione della natura giuridica di tali organismi, ma supporta

l’orientamento della non indifferente rilevanza pubblicistica di tali organi.

L’art. 15, comma 4, chiarisce che dalla costituzione e dal

funzionamento degli OCC non devono derivare nuovi o maggiori oneri a

carico della finanza pubblica e che le attività degli stessi devono essere

svolte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie

disponibili a legislazione vigente.

La suddetta disposizione, che esprime la volontà che il bilancio

pubblico non risenta della creazione e dell’operato di tali organismi,

sembra confermare la natura ibrida degli OCC, posti a confine tra la sfera

pubblica e quella privata, poiché altrimenti, se così non fosse, sarebbe

sminuita la portata applicativa dell’obbligo di non contribuire ad

aggravare il bilancio pubblico.

In merito alla questione della nomina dell’OCC, nonostante

l’intervento del d.l. n. 179/2012, permane dalla versione originaria della

legge la problematica circa l’individuazione dell’effettivo organismo di

161

composizione della crisi tenuto concretamente a svolgere tutte le funzioni

che la l. n. 3 del 2012 gli attribuisce: l’OCC è scelto sulla base di una

determinazione autonoma del soggetto debitore o, piuttosto, è nominato

dal giudice, in una logica più conforme ai requisiti richiesti di imparzialità

e terzietà ?

Per rispondere ad una tale quesito è necessario individuare la

disciplina vigente.

L’art. 15, comma 1, individua negli enti pubblici i soggetti che

possono costituire organismi di composizione della crisi, purché dotati di

requisiti di indipendenza e professionalità, la cui determinazione è

rimessa al decreto richiamato dal terzo comma, che il ministero doveva

redigere entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle modifiche

apportate alla legge.

Il decreto ministeriale è stato adottato a quasi un anno e mezzo di

distanza dal termine previsto, in data 24 settembre 2014, e si occupa di

regolamentare: i requisiti e le modalità di iscrizione nel registro degli

OCC detenuto presso il Ministero di giustizia, la disciplina della

formazione dell’elenco, la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione, la

cancellazione degli iscritti, i compensi e i rimborsi spese loro spettanti a

carico di chi ricorre a tali procedure. Nello specifico, individua le

garanzie di indipendenza e professionalità che costituiscono le

caratteristiche e le modalità operative che gli OCC dovranno adottare.

Costituiscono altresì Organismi di composizione della crisi e sono

iscritti di diritto nel registro degli OCC, a semplice domanda, gli

organismi di conciliazione istituiti presso camere di commercio, industria,

artigianato e agricoltura, nonché il segretario sociale, gli ordini

professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei

notai.

Parte della dottrina manifesta perplessità in merito all’inserimento

degli organismi di mediazione nel novero dei soggetti iscritti di diritto nel

registro: il dubbio non si rivolge alla serietà e affidabilità di questi, quanto

162

piuttosto alla loro professionalità: l’orientamento in commento ritiene che

la formazione impartita per divenire mediatori non sia propriamente

professionalizzante e che a maggior ragione il mediatore non possa

rivestire anche il delicato compito di professionista della crisi senza una

adeguata e specifica professionalità184.

L’elencazione di tali soggetti disposta dal secondo comma dell’art.

15 ha natura esclusivamente residuale, indicando i soli soggetti iscritti di

diritto nel registro, salva quindi la possibilità di altri e diversi soggetti di

poter far parte del registro degli OCC.

La giurisprudenza di merito è intervenuta sulla questione della

nomina degli OCC tentando di ridimensionare i dubbi in merito. I soggetti

suscettibili di rivestire il ruolo di Organismi di composizione della crisi in

una procedura ex l. n. 3 del 2012 sono nominati solo dal Presidente del

tribunale su istanza del debitore e l’istanza deve necessariamente

precedere la proposta di accordo o di piano, posta la funzione ausiliaria di

tali organismi 185 . Fino alla emanazione del regolamento e alla

predisposizione del registro la nomina dell’OCC deve essere fatta dal

Tribunale ai sensi dell’art. 15, comma 9186.

Il comma nove stabilisce che i compiti e le funzioni attribuite agli

OCC possono essere svolti anche da un professionista o da una società fra

professionisti in possesso dei requisiti previsti per la nomina a curatore

fallimentare ex art. 28 l. fall., ovvero da un notaio, purché nominati dal

Presidente del tribunale o da un giudice da esso delegato.

Di fatto sino all’istituzione del registro detenuto presso il

Ministero della giustizia e sino all’emanazione del decreto ministeriale,

l’unica possibilità individuata dalla l. n. 3/2012 per rendere operativa la

disciplina della legge stessa e allocare le funzioni di OCC è quella di

affidare la gestione della crisi, come prevede il comma 9, al

184 M. FABIANI, op. cit., p. 18 185 Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=10555.php 186 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php

163

professionista o a una società fra professionisti, purché siano presenti i

requisiti ex art. 28 l. fall., ovvero a un notaio, ma in ogni caso questi

soggetti sono nominati dal Presidente o dal suo delegato. La nomina

dell’OCC da parte del Presidente del Tribunale o del giudice da lui

delegato, e non dal debitore, ancora una volta costituisce comprova della

contaminazione fra accordi di ristrutturazione e concordato187.

Tuttavia, nonostante l’attribuzione del potere di nomina al

Presidente del tribunale, la giurisprudenza di merito ha comunque

riconosciuto al sovraindebitato la possibilità di avvalersi per la redazione

del piano di un soggetto di sua fiducia, ma sarà comunque l’OCC che, in

ogni caso, dovrà far proprio, condividendolo, il piano redatto dal

professionista privato, dovendone verificare inoltre veridicità e

fattibilità188.

La stessa giurisprudenza di merito è intervenuta su più profili

afferenti alla nomina degli OCC e ha stabilito che la competenza

dell’Organismo deve essere individuata sulla base della competenza del

Tribunale; ha inoltre chiarito che la sede dell’OCC in base alla quale si

determina la sua competenza per il caso di specie deve essere “l’unica

principale ed effettiva, non potendosi ammettere una competenza diffusa

dell’OCC soggetto privato, che si estenda potenzialmente a tutto il

territorio nazionale, laddove invece l’OCC soggetto pubblico, trattandosi

normalmente di enti pubblici a base territoriale, hanno

inequivocabilmente competenza limitata ad un solo circondario di

tribunale”.

A partire dall’entrata in vigore del regolamento, o meglio dalla sua

piena efficacia, la situazione fino ad ora esaminata dovrebbe mutare, per

cui è riconosciuta al debitore stesso, che voglia accedere ad uno dei

187 M. FABIANI, op. cit., p. 18. 188 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014.

164

rimedi di cui alla legge n. 3 del 2012, la possibilità di rivolgersi

direttamente al proprio OCC “di fiducia”189.

L’art. 15, comma 9, solleva anche una ulteriore riflessione

prevedendo la nomina di un OCC in composizione monocratica: le

funzioni dell’OCC sono molteplici, e soprattutto di non poco rilievo, e il

professionista si troverebbe da solo a intervenire in ogni fase della

procedura; inoltre sarebbe demandato a lui il rilevante potere di controllo

circa la consistenza e realizzabilità del piano e la facoltà di accesso alle

banche dati pubbliche per controlli incrociati sui dati.

Aver demandato ad un unico soggetto tale mole di funzioni non è

privo di rischi: il professionista è chiamato a verificare la veridicità dei

dati contenuti negli atti che egli stesso ha predisposto, è chiamato a

fornire una valutazione imparziale della fattibilità di un accordo che egli

stesso ha contribuito a predisporre, modificare e a concludere190. Il

richiamo al possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall. non sembra

sufficiente per arginare un simile conflitto di interessi.

4.2. Il registro degli OCC e il Decreto ministeriale 24 settembre 2014,

n. 202

Gli organismi di cui al comma 1 dell’art. 15 possono costituire

OCC solo se iscritti nel Registro detenuto presso il Ministero della

giustizia; la mancata iscrizione comporta l’impossibilità per l’organismo

di svolgere le prestazione che è chiamato a compiere in luogo del dettato

della legge. La prestazione svolta dall’organismo è illegittima se l’OCC

non è iscritto nell’apposito registro.

189 C. REGIS, Composizione della crisi da sovraindebitamento. Il ruolo del professionista. Aspetti pratici, in http://www.odcec.torino.it/public/convegni/Regis%20-%20Ruolo%20professionista%20e%20aspetti%20pratici.pdf 190 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, Gli Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 97.

165

L’iscrizione rappresenta uno strumento di controllo pubblico delle

qualificazioni possedute dai soggetti che chiedono di svolgere le funzioni

di OCC.

I requisiti che un Organismo deve avere perché possa essere

iscritto nel registro e svolgere i compiti che conseguono a tale ruolo sono

i “requisiti di indipendenza e professionalità” (art. 15, comma 3).

Quest’ultima disposizione rappresenta una forte garanzia di

funzionamento per la procedura poiché “se l’individuazione dei soggetti

deputati a svolgere il richiamato ruolo, terzo e imparziale, a servizio

dell’interesse pubblico superiore, non avverrà mediante l’adozione di

meccanismi premianti che valorizzano la professionalità, indipendenza e

le capacità operative degli organismi, sarà l’intera procedura a perdere

efficacia e credibilità”191.

La mancanza di professionalità e il conseguente servizio

inadeguato rispetto alle esigenze del debitore, così come l’assenza di

meccanismi sospensivi o di cancellazione degli iscritti in caso di

prestazioni non rapide e non efficienti, potrebbero determinare

concretamente il rischio di depauperare il contributo della procedura.

Dopotutto qualsiasi situazione che favorisca il perdurare del

sovraindebitamento oltre un termine ragionevole rischia di vanificare gli

effetti della procedura in commento.

L’art. 15, comma 3, demanda infatti a un decreto ministeriale la

regolamentazione delle condizioni per l’iscrizione, la formazione

dell’elenco e la sua revisione, la sospensione e la cancellazione degli

iscritti, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese

spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.

La normativa secondaria è intervenuta tardivamente rispetto al

termine indicato dalla legge di novanta giorni dall’entrata in vigore della

l. n. 3 del 2012. Il decreto è stato adottato in data 24 settembre 2014 ed è

191 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, op. ult. cit., p. 91

166

entrato in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta

Ufficiale, il 28 gennaio 2015.

La disciplina offerta dal decreto, pur essendo fonte secondaria,

assume, come già accennato, un ruolo importante e decisivo nel

completare la regolamentazione degli Organismi di composizione della

crisi. Vengono elaborate nuove figure interne all’organismo e chiariti i

meccanismi di interazione fra queste, offerte definizioni e specificati i

requisiti per l’iscrizione all’elenco.

In luogo della definizione offerta dal decreto, gli OCC

rappresentano l’articolazione interna di uno degli enti pubblici individuati

dalla legge e dal regolamento, i quali, anche in via non esclusiva, sono

destinati stabilmente all’erogazione del servizio di gestione della crisi,

cioè il servizio reso dall’OCC allo scopo di gestire i procedimenti di

composizione della crisi e di liquidazione del patrimonio.

Il gestore della crisi è la persona fisica che, individualmente o

collegialmente, svolge la prestazione di gestione dei procedimenti, egli

può avvalersi di una pluralità di ausiliari nel compimento delle attività

che gli sono attribuite dalla legge. Il referente è la persona fisica che

indirizza e coordina l’attività dell’organismo e conferisce incarichi ai

gestori della crisi.

L’OCC deve dotarsi di un regolamento, di un atto adottato

dall’organismo contenente le norme di autodisciplina.

Nel registro informatico istituito presso il Ministero della giustizia

sono iscritti sia gli OCC che i gestori della crisi.

I requisiti per l’iscrizione sono indicati dall’art. 4 del decreto n.

202/2014. Nel registro sono iscritti di diritto, su semplice domanda, gli

organismi di conciliazione istituiti presso le camere di commercio,

industria, artigianato e agricoltura, il segretario sociale e gli ordini degli

avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai, anche quando

sono associati tra loro.

167

Nel registro sono altresì iscritti, a domanda, gli organismi

costituiti dai Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni e istituzioni

universitarie pubbliche. In questi casi il responsabile delle iscrizioni del

registro deve verificare per procedere all’iscrizione: che l’organismo

costituisca articolazione interna di tali enti pubblici; che sussista un

referente interno all’organismo dotato di un adeguato grado di

indipendenza; che sia rilasciata una polizza assicurativa con massimale

non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali

derivanti dallo svolgimento del servizio; che sia indicato il numero dei

gestori della crisi, non inferiori a cinque, che abbiano dichiarato la

disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva

per l’organismo, nonché la conformità del regolamento alle disposizioni

del decreto e la sede dell’OCC.

Nei confronti degli organismi iscritti di diritto, il responsabile

deve verificare l’esistenza di un referente dell’organismo dotato di un

adeguato grado di indipendenza, il rilascio di polizza assicurativa con

massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze

patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di

gestione della crisi e la conformità del regolamento dell’OCC alle

disposizioni del presente decreto.

Il responsabile verifica i requisiti professionali dei gestori della

crisi iscritti nel registro, che consistono: nel possesso di laurea magistrale,

o di titolo di studio equipollente, in materie economiche o giuridiche; nel

possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a

corsi di perfezionamento o ad analoghi corsi organizzati dai soggetti di

cui all’art. 4, comma 2, in convenzione con le università pubbliche o

private; nello svolgimento di un tirocinio di durata non inferiore a sei

mesi che abbia consentito l’acquisizione di competenze mediante la

partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione degli accordi e

piani omologati di composizione della crisi, e degli accordi omologati di

ristrutturazione dei crediti, delle proposte di concordato preventivo o

168

fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del

passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni; nell’acquisizione

di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non

inferiore a quaranta ore, nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e

di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli

ordini professionali richiamati dal secondo comma dell’art. 4, ovvero

presso un’università pubblica o privata. Lo specifico aggiornamento

biennale non sarà necessario per i tre anni successivi dall’entrata in vigore

del decreto per i professionisti appartenenti agli ordini degli avvocati,

notai e dottori commercialisti ed esperti contabili, purché documentino di

essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari,

commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure

esecutive immobiliari, o di aver svolto compiti e funzioni dell’OCC o del

liquidatore ai sensi dell’art. 15 l. n. 3/2012.

Il responsabile del registro deve altresì verificare il possesso dei

requisiti di onorabilità di cui all’art. 4, comma 8 del decreto: a)

l’organismo non deve versare in una delle condizioni di ineleggibilità o

decadenza di cui all’art. 2382 c.c.192; b) non deve essere sottoposto a

misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del

decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (“Codice delle leggi

antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in

materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della

legge 13 agosto 20120, n. 136”); c) non deve essere condannato con

sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione: a pena

detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività

bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di

mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; alla reclusione per

uno dei reati previsti dal titolo XI del libro V del codice civile

(“Disposizioni penali in materia di società e consorzi”) o nella legge 192 Cfr. art. 2382 c.c. “Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi”.

169

fallimentare o nella legge n. 3 del 2012; alla reclusione per un tempo non

inferiore a un anno per delitto contro la pubblica amministrazione, contro

la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro

l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; alla

reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non

colposo; d) non aver riportato una sanzione disciplinare diversa

dall’avvertimento.

Il procedimento di iscrizione è disciplinato dall’art. 5 del decreto e

deve essere concluso entro trenta giorni dalla data di ricevimento della

domanda. Il provvedimento di iscrizione è comunicato al richiedente e

dalla data di comunicazione decorrono gli effetti dell’iscrizione. La

mancata comunicazione del provvedimento equivale al diniego di

iscrizione.

La sospensione e la cancellazione dal registro sono disciplinate

dall’art. 8 del decreto. È disposta sospensione per un periodo non

superiore a novanta giorni qualora, dopo l’iscrizione, l’organismo perda i

requisiti di cui all’art. 4, commi 3 e 4.

Se la mancanza dei requisiti persiste oltre il termine indicato di

novanta giorni, il responsabile procede alla cancellazione dell’OCC dal

registro. Quando risulta che al momento dell’iscrizione l’organismo non

era in possesso dei requisiti richiesti, il responsabile procede alla

cancellazione dal registro.

È disposta altresì la cancellazione di tutti quegli organismi che nel

corso di un biennio non abbiano svolto almeno tre procedimenti di

gestione della crisi.

In merito agli obblighi dell’organismo, il referente distribuisce gli

incarichi tra i gestori della crisi, tenuto di conto della natura e

dell’importanza dell’affare.

Al momento dell’incarico l’OCC deve comunicare al debitore il

grado di complessità dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili sugli

170

oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e deve indicare i dati

della polizza assicurativa.

La misura del compenso è resa nota al debitore con un preventivo,

indicando per ogni singola attività tutte le voci di costo. L’Organismo è

obbligato a portare a conoscenza dei creditori l’accodo concluso con il

debitore per la determinazione del compenso.

L’organismo deve adottare un regolamento di autodisciplina e

deve indicare, secondo i criteri di proporzionalità, i casi di decadenza e di

sospensione dall’attività dei gestori che sono privi dei requisiti o hanno

violato gli obblighi previsti dal decreto in commento e derivanti dagli

incarichi ricevuti, nonché deve indicare la procedura per l’applicazione

delle relative sanzioni e determinare i criteri di sostituzione nell’incarico.

In caso di violazione da parte dell’OCC degli obblighi previsti dal

decreto, il responsabile dispone la sospensione e nei casi più gravi la

cancellazione dal registro. Si procede in tal senso anche quando

l’organismo ha omesso di adottare le misure di sospensione e decadenza

nei confronti dei gestori.

In merito agli obblighi dei gestori e dei loro ausiliari, la disciplina

è data dall’art. 11 del decreto, in base al quale essi sono tenuti all’obbligo

di riservatezza su quanto appreso in ragione dell’opera o del servizio e al

rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato,

parasubordinato o autonomo instaurato con l’organismo di appartenenza.

Essi non possono assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o

indirettamente, con gli affari trattati, salvo quelli strettamente inerenti alla

prestazione dell’opera o del servizio.

Il gestore della crisi ha altresì l’obbligo di sottoscrive una

dichiarazione di indipendenza. Egli è indipendente quando non è legato al

debitore e a coloro che hanno interesse nella procedura da rapporti di

natura personale o professionale. Il gestore deve possedere i requisiti di

cui all’art. 2399 c.c.193 e non deve, neanche per il tramite di soggetti con

193 Cfr. art. 2399 c.c. “Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti,

171

cui è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi

cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del

debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

Il gestore della crisi designato deve eseguire personalmente la sua

prestazione.

L’art. 13 del decreto prevede una costante attività di monitoraggio

statistico dei procedimenti da parte del Ministero, con eventuale rilascio

di una certificazione di qualità all’OCC che lo richieda. Tale

monitoraggio suggella la rilevanza pubblicistica riconosciuta agli

organismi e alla composizione della crisi da sovraindebitamento più in

generale.

La normativa in commento introduce il principio della

determinazione del compenso all’OCC previo accordo tra il debitore e

l’Organismo che abbia individuato e incaricato194.

In mancanza di accordo la liquidazione del compenso avviene da

parte del giudice, così come accade nelle ipotesi di nomina giudiziale

dell’OCC, in questi casi la regolamentazione del compenso è offerta dal

Capo III del decreto “Determinazione dei compensi”. I compensi

includono l’intero corrispettivo per la prestazione svolta e le attività

accessorie.

Per la determinazione del compenso i criteri di cui è necessario

tenere di conto sono l’opera prestata, i risultati ottenuti, il ricorso

decadono dall'ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale e la perdita dei requisiti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2397 sono causa di decadenza dall'ufficio di sindaco. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi”. 194 M. VITIELLO, Gli Organismi di Composizione della Crisi da sovraindebitamento: il regolamento attuativo previsto dall’art. 15 L. n. 3/2012 come modificato dalla L. n. 221/2012, in Il fallimentarista, 12 febbraio 2015.

172

all’opera di ausiliari, la sollecitudine con cui sono stati svolti i compiti e

le funzioni, la complessità delle questioni affrontate, il numero dei

creditori, la misura di soddisfazione assicurata ai creditori con

l’esecuzione dell’accordo o del piano omologato ovvero con la

liquidazione.

L’art. 16 enuclea i parametri attraverso i quali si procede a

determinare il compenso nelle procedure di accordo e di piano del

consumatore. L’art. 17 statuisce il principio dell’unicità del compenso,

per cui nell’ipotesi in cui si succedano più organismi il compenso rimane

comunque unico.

L’art. 18 individua i parametri per la determinazione del

compenso nelle procedure di liquidazione dei beni ex artt. 14-ter ss. l. n.

3/2012.

Per quanto riguarda gli sviluppi della regolamentazione

ministeriale, è necessario segnalare che in data 26 marzo 2015 il

Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha

presentato avverso il decreto ministeriale n. 202/2014 ricorso presso il

Tar Lazio. La regolamentazione in commento, richiedendo quale requisito

per svolgere la funzione di OCC il possesso di laurea magistrale, esclude

tutti i ragionieri commercialisti che rientrano, a seguito della fusione,

nell’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Il ricorso contesta l’errata formulazione del regolamento per

tutelare gli interessi dei ragionieri iscritti all’albo, nello specifico il

Consiglio chiede l’annullamento del decreto n. 202/2014 nella parte in cui

ha previsto un generalizzato obbligo del possesso di laurea magistrale per

lo svolgimento delle funzioni demandate al gestore della crisi, senza

prevedere una deroga per i ragionieri che risultino già iscritti.

Il consiglio nazionale con l’informativa n. 23/15 ha definito

irragionevole il criterio della laurea magistrale anche in luogo del fatto

che l’art. 15, comma 9, l. n. 3/2012, come modificato dal Decreto legge n.

179 del 2012, richiede solamente che le funzioni siano svolte da

173

professionisti, o da società fra professionisti, purché in possesso dei

requisiti di cui all’art. 28 l. fall., senza aggiungere nient’altro in merito al

percorso formativo e accademico195.

Il ricorso presentato al Tar Lazio si fonda: sulla violazione degli

artt. 1, 34, 61 del decreto legislativo n. 139/2005, recante l’Ordinamento

professionale dei dottori commercialisti, quale conseguenza diretta

dell’esclusione dei ragionieri commercialisti dall’elenco di cui all’art. 2

del decreto n. 202/2014; sulla violazione degli artt. 70 e 97 Cost. e

dell’art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 che scaturisce dalla previsione di un

requisito di professionalità soggettivo in realtà non previsto nella legge n.

3/2012; sull’eccesso di potere per manifesta illogicità e palese

irragionevolezza delle previsioni di Regolamento che esclude dall’elenco

dei gestori i ragionieri commercialisti nonostante l’equiparazione

normativa, quanto a funzioni e competenze.

Il requisito della laurea, è stato scritto nel ricorso, concretizza

un’irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento a danno dei

ragionieri commercialisti.

4.3. I compiti attribuiti agli Organismi di composizione della crisi e il

potenziale conflitto di interessi

La legge n. 3 del 2012 attribuisce agli Organismi di composizione

della crisi molteplici funzioni che attraversano l’intera procedura di

composizione della crisi da sovraindebitamento.

Nonostante l’art. 7 utilizzi il termine “ausilio”, i compiti attribuiti

agli OCC dalla legge non permettono di assimilare il loro operato a quello

di consiglieri finanziari del debitore; per pervenire a una simile

conclusione è sufficiente quanto affermato dall’art. 15, comma 5, in base

al quale l’Organismo “assume ogni iniziativa funzionale alla

195 Per una lettura completa dell’informativa n. 23/15 del 31 marzo 2015 v. www.cndcec.it

174

predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello

stesso”.

Ciò che risulta è che i compiti degli Organismi di composizione

della crisi fuoriescono dalla sfera di delimitazione dell’autonomia privata

agendo e modificando il contenuto dell’accordo.

L’espressione “ogni iniziativa” è suscettibile di un’interpretazione

talmente vasta da ricomprendervi anche il caso in cui l’iniziativa sia

assunta dall’OCC nonostante le parti non la ritengano corretta, purché

chiaramente sia funzionale alla predisposizione del piano e alla sua

esecuzione.

Ancora una volta emerge la rilevanza pubblicistica delle funzioni

riconosciute agli Organismi di composizione della crisi, poiché l’interesse

pubblico al superamento del sovraindebitamento sembra poter essere

perseguito anche in via autoritativa. A fronte di un potere autoritativo la

limitazione è rintracciabile nel perseguimento dell’interesse pubblico,

ossia, nel caso delle specifiche della legge, nel superamento della crisi da

sovraindebitamento.

L’organismo infatti non opera esclusivamente in ausilio del

debitore, ma opera in collaborazione attiva coi creditori e col giudice:

dopotutto l’iniziativa di cui al quinto comma dell’art. 15 deve essere

“funzionale” e “finalizzata”.

L’art. 13, comma 2, attribuisce all’OCC il compito di risolvere

eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e vigila

sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni

eventuale irregolarità.

Quanto finora detto conferma l’identificazione degli OCC come

organismi aventi natura giuridica ibrida.

I loro compiti sono connessi al buon funzionamento della

composizione della crisi e conducono alla conclusione che i poteri

riconosciuti agli organismi non sono esclusivamente di matrice

175

privatistica, ma appartengono alla sfera pubblica in luogo del loro

carattere autoritativo.

Procedendo nell’individuazione delle funzioni, l’Organismo

rappresenta nella fase di predisposizione dell’accordo e del piano del

consumatore una struttura di supporto per il debitore, svolgendo la

funzione di consulente legale e finanziario del debitore, aiutandolo nella

stesura della proposta di accordo o di piano (art. 7, commi 1 e 1-bis).

L’OCC deve verificare la veridicità dei dati contenuti nella

proposta e nei documenti allegati e la fattibilità del piano ai sensi dell’art.

9, comma 2 (art. 15, comma 6).

Se la proposta prevede il pagamento non integrale dei creditori

muniti di privilegio, pegno o ipoteca, l’Organismo deve inoltre attestare

che il piano comunque assicura il pagamento in misura non inferiore a

quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul

ricavato, in caso di liquidazione, tenuto di conto del valore di mercato

attribuibile ai beni e ai diritti su cui insiste la causa di prelazione (art. 7,

comma 1, seconda parte).

Gli OCC eseguono le pubblicità e le comunicazioni disposte dal

giudice in tutti i procedimenti previsti dalla legge n. 3 del 2012 (art. 15,

comma 7).

Su disposizione del giudice, l’Organismo può svolgere le funzioni

di liquidatore (art. 15, comma 8) e, su designazione del debitore, di

gestore del patrimonio oggetto del piano (art. 7, comma 1).

Il legislatore, nell’ambito della composizione della crisi da

sovraindebitamento, ha affidato a un unico soggetto, l’OCC, le funzioni

che nelle soluzioni negoziali o concordate affida invece a tre soggetti: chi

redige il piano, chi controlla la veridicità dei dati, chi si occupa della fase

successiva al deposito della proposta e all’omologa.

Negli accordi ex art. 182-bis e nel concordato preventivo il

professionista che attesta il piano e quello che si occupa di verificare la

veridicità dei dati sono scelti dal debitore, mentre soltanto il commissario

176

giudiziale è nominato dal giudice nell’ambito della procedura di

concordato preventivo.

Ricordando i più recenti orientamenti giurisprudenziali 196 ,

rimando al Paragrafo 4.1. la trattazione della problematica inerente la

nomina dell’OCC da parte del debitore.

A completamento dell’elencazione delle funzioni, possono essere

richiamati altri luoghi della legge n. 3 del 2012 in cui si attribuiscono

specifiche funzioni agli organismi in esame: se il piano prevede la

cessione a terzi di beni immobili o mobili registrati, gli organismi devono

procedere alla trascrizione del decreto ex art. 10 presso gli uffici

competenti (art. 10, comma 2, lett. b)); l’OCC riceve le dichiarazioni di

consenso alla proposta di accordo dei creditori (art. 11, comma 1);

trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul

raggiungimento della percentuale richiesta per l’omologazione

dell’accordo (art. 12, comma 1, primo periodo); riceve le contestazioni

sollevate dai creditori (art. 12, comma 1, secondo periodo); trasmette al

giudice la relazione sui consensi espressi e sulle maggioranze raggiunte,

allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva

sulla fattibilità del piano (art. 12, comma 1, ultimo periodo); propone al

giudice il liquidatore da nominare nelle ipotesi ex art. 13, comma 1; dà

notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli

enti locali competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante,

entro tre giorni dal deposito della proposta di accordo (art. 9, comma 1) o

della richiesta della relazione di accompagnamento di cui al terzo comma

dell’art. 14-ter nelle ipotesi di liquidazione dei beni.

Da questa sintetica ricostruzione dei compiti attribuiti dal

legislatore agli Organismi di composizione della crisi emerge la figura di

un organo che racchiude in sé funzioni di supporto per il debitore,

funzioni di fidefacenza verso i creditori, compiti di ausilio del giudice e di

196 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014; Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014.

177

controllore nell’interesse dei creditori, aprendo così la strada al conflitto

di interessi197.

Il conflitto emerge evidente nell’attribuzione all’organismo del

compito di verificare la veridicità dei dati e di pre-attestare la fattibilità

del piano. All’organismo spetta anche l’attestazione definitiva sulla

fattibilità del piano ex art. 12, comma 1, decorso il termine di dieci giorni

entro cui i creditori possono sollevare contestazioni.

Possono rintracciarsi differenze evidenti rispetto alla disciplina

dell’attestazione nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis e del concordato

preventivo. È prevista solo nelle procedura di composizione dell’accordo

ex art. 7 una fase di pre-attestazione del piano che precede il contenuto

stesso del piano e quindi anche la manifestazione del consenso dei

creditori.

Nella composizione della crisi chi svolge il ruolo di attestare la

fattibilità del piano e la veridicità dei dati in esso contenuto è lo stesso

soggetto che ha proceduto alla sua redazione.

L’OCC assume anche funzioni di organo pubblico poiché procede

all’accertamento all’esito della votazione nella procedura di accordo del

debitore ex art. 7, riferendone al giudice, e, inoltre, procede al controllo

dell’adempimento dell’accordo nell’interesse dei creditori: quello che

risulta è che l’OCC non è un organo terzo e indipendente198.

La dottrina aveva sostenuto la necessità che ogni OCC adottasse

un regolamento interno attraverso cui attribuisse a diversi professionisti i

diversi compiti previsti dalla legge all’Organismo di composizione della

crisi competente199.

In questa ottica, la mancata previsione nell’art. 15 di un potere di

autodisciplina in seno all’OCC ha rappresentato una chiara nota negativa;

comunque il decreto ministeriale n. 202/2014, recentemente entrato in

197 M. FABIANI, op. cit., p. 17. 198 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2081. 199 A. MAFFEI ALBERTI, op. loc. ult. cit.; M FABIANI, op. cit., 17; L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 30.

178

vigore, riconosce agli OCC il potere di adottare regolamenti di

autodisciplina.

Sembra possibile auspicare un ridimensionamento del conflitto

attraverso una regolamentazione interna dell’OCC finalizzata a ripartire le

varie funzioni tra soggetti diversi seppur nell’ambito dello stesso

Organismo.

Il conflitto di interessi risulta più difficilmente superabile e appare

maggiormente stridente quando a svolgere le funzioni di OCC sia un

professionista, singola persona fisica, ex art. 15, comma 9.

La composizione monocratica dell’Organismo di composizione

della crisi si espone ad un maggior numero di rischi in quanto grava su un

unico soggetto l’intera mole dei compiti riconosciuti dalla legge agli

OCC.

Si attribuisce così al singolo professionista importanti poteri di

controllo sulla consistenza e realizzabilità del piano, egli è chiamato a

fornire una valutazione imparziale della fattibilità di un accordo che egli

stesso ha contribuito a predisporre e concludere.

Nelle ipotesi di cui all’art. 15, comma 9, il legislatore attribuisce a

un singolo soggetto tutte quelle funzioni che nel fallimento e nelle altre

procedure concorsuali e in quelle negoziali riconduce invece a una

pluralità di organi anche pluripersonali.

4.4. L’accesso alle Banche dati pubbliche

L’accesso alle Banche dati pubbliche è disciplinato dall’art. 15,

comma 10, l. n. 3/2012 ed è funzionale all’acquisizione dei dati da porre a

confronto col piano di risanamento proposto ai creditori affinché possa

esserne vagliata la credibilità.

L’esigenza di accedere a simili strumenti nasce dalla difficoltà di

cogliere a pieno la situazione patrimoniale ed economica dei soggetti che

attivano la procedura di composizione della crisi, ciò risulta infatti

179

difficile nei confronti dei piccoli imprenditori e dei debitori civili, poiché

non sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Il legislatore ha così previsto la possibilità per gli OCC di venire a

contatto con le informazioni detenute da Banche dati pubbliche allo scopo

di soddisfare le ragioni finora esposte; attraverso tali strumenti

l’Organismo ha la possibilità di valutare la credibilità del piano di

risanamento offerto ai creditori, avendo a supporto una serie di

informazioni idonee a determinare una rappresentazione, quantitativa e

monetaria, degli atti di gestione del patrimonio del soggetto in difficoltà

economica200.

L’accesso alle Banche dati pubbliche si pone in continuità coi

compiti riconosciuti agli OCC, i quali infatti, solo su autorizzazione del

giudice, hanno la facoltà, così come il giudice, in luogo del comma 10, di

accedere ai dati contenuti dall’anagrafe tributaria, nei sistemi di

informazione creditizia, nelle centrali rischi, compreso l’archivio centrale

informatizzato di cui all’art. 30-ter, comma 2, del decreto legislativo n.

141/2010, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia

di protezione dei dati personali e del codice di deontologia e buona

condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di

crediti al consumo, affidabilità e di puntualità nei pagamenti.

In merito ai significati riconducibile al concetto di Banche dati,

una prima definizione è fornita dal Codice in materia di protezione dei

dati personali (art. 4, lett. p), d.lgs. n. 196/2003): la Banca dati è “un

qualsiasi complesso di dati personali, ripartito in uno o più siti”,

organizzato secondo una pluralità di criteri determinati che ne facilitano il

trattamento.

Tale definizione si ispira a quanto detta la direttiva comunitaria

95/46/CEE all’art. 2, comma 1, lett c), che attribuisce al concetto

“archivio dati personali” il significato di “qualsiasi insieme strutturato di 200 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 93.

180

dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente

dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in

modo funzionale o geografico”.

Nonostante la disposizione comunitaria richiami gli archivi

piuttosto che le banche dati, l’ambito di applicazione risulta comunque il

medesimo per entrambe le normative, che, allo stesso modo, si

preoccupano di disciplinare prima il trattamento dei dati contenuti nei

sistemi di informazione e solo successivamente di determinarne

l’organizzazione201.

Il dato personale può essere meglio tutelato solo se se ne

disciplina il trattamento, definito come “qualunque operazione o

complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti

elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la

conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la

selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il

blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione

dei dati, anche se non registrati in una banca dati”.

Il dato costituisce il prodotto di un’attività qualificata dalla legge,

il trattamento, la quale risponde al generale principio della garanzia dei

diritti della persona fisica o giuridica a cui tali dati si riferiscono, il c.d.

interessato.

Un’altra definizione di Banca dati si coglie dal disposto dell’art. 2,

comma 1, n. 9, l. n. 663/1941, sulla protezione del diritto di autore e di

altri diritti connessi al suo relativo esercizio: “le banche dati…sono

raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o

metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi

elettronici o in altro modo…La tutela delle banche dati non si estende al

loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.

201 F. CALDARELLI, Le Banche dati pubbliche: una definizione, in Dir. dell’inf., 2002, p. 321.

181

In questo caso la normativa nazionale recepisce l’art. 1, comma 2,

direttiva 96/9/CE che assicura un livello adeguato di tutela alle banche

dati, affinché i loro gestori possano perseguirne un vantaggio economico.

La direttiva 96/9/CE ha chiaramente obiettivi diversi dalla

direttiva 95/45/CEE, in precedenza richiamata, che, invece, ha come

finalità la tutela dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita

privata.

La nozione della banca dati risulta così, per sua natura, prestarsi a

diversi scopi, è un concetto duttile e funzionale a ricomprendere diversi

elementi a seconda delle finalità perseguite202.

L’art. 15, comma 10, tra le Banche dati a cui gli OCC possono

accedere richiama anche l’Anagrafe tributaria istituita con d.P.R. n.

605/1973. È utilizzata per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi alla

fiscalità dei contribuenti cittadini italiani, dei possessori di beni immobili

sul territorio italiano, degli enti e privati residenti all’estero ma aventi nel

distretto il comune di origine, degli stranieri residenti da almeno un anno

e beneficiari di un reddito prodotto in quel territorio.

L’accesso all’anagrafe consente di acquisire informazioni ai fini

dell’accertamento e dello studio dei fenomeni tributari. Sono raccolte

inoltre in tali Banche dati le notizie relative a movimenti economici

rilevanti che possono essere utilizzati, attraverso controlli incrociati con le

pubbliche amministrazioni, per verificare l’effettivo reddito di chi

usufruisce di particolari benefici fiscali e assistenziali.

Attraverso l’accesso a queste informazioni è possibile ottenere una

rappresentazione veritiera e aggiornata della situazione economica e

finanziaria dei soggetti censiti.

Le Centrali rischi sono Banche dati che raccolgono e gestiscono le

informazioni che hanno ad oggetto i rapporti di credito di cui sono parte

gli enti finanziari, le banche e le società finanziarie.

202 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 95.

182

I partecipanti comunicano, con cadenze periodiche, alle Centrali

rischi il totale dei crediti verso i propri clienti, verso i soggetti che

presentano una richiesta di finanziamento. In luogo delle informazioni

che forniscono, tali enti hanno la possibilità di accedere alle banche dati

che contribuiscono a formare con le loro segnalazioni, e hanno così la

possibilità di conoscere l’intera storia creditizia del soggetto richiedente il

finanziamento.

I dati contenuti nelle Centrali rischi raccolgono informazione di

tipo anagrafico e relative al tipo di finanziamento richiesto: possono

riguardare l’importo, lo stato della richiesta di finanziamento,

l’esecuzione del contratto, la banca o la finanziaria che sta gestendo il

credito e che ha trasmesso i dati. Contengono inoltre informazioni di

natura contabile: la natura del debito residuo, l’andamento dei pagamenti

ecc.

Oltre a garantire una rappresentazione veritiera e aggiornata della

situazione economica e finanziaria dei soggetti censiti, tale strumento

consente una migliore gestione dei rischi legati al mercato del credito

Il comma 10 sottolinea come nell’accesso e nel trattamento di tali

dati debbano essere rispettate le norma a tutela della privacy, agendo nel

rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione

dei dati personali, del codice di deontologia e di buona condotta per i

sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al

consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti.

L’art. 15, comma 11, stabilisce in riferimento al periodo di

conservazione delle informazioni sui debitori che queste debbano essere

distrutte contestualmente alla conclusione o cessazione della procedura,

non potendo essere trattate e conservate per un periodo più lungo e per

fini diversi.

Una volta intervenuta la distruzione se ne deve dare

comunicazione al titolare dei dati tramite lettera raccomandata con avviso

183

di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici

giorni dalla distruzione medesima.

La possibilità di accesso alle Banche dati completa il quadro delle

funzioni attribuite agli OCC, l’organismo risulta così detentore di poteri

particolarmente ampi che necessitano di un’attenta sorveglianza da parte

dell’autorità giudiziaria in sede autorizzativa, a maggior ragione se si

tiene di conto che l’accesso alle banche dati è funzionale alla

presentazione della domanda, e quindi in una situazione in cui non è

ancora pendente alcuna procedura e il controllo del giudice appare

particolarmente problematico203.

203 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 31.

184

CAPITOLO V

Le sanzioni penali

Sommario: 5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della

procedura di composizione della crisi - 5.2. Le condotte illecite del debitore non

fallibile durante la procedura di composizione della crisi - 5.3. Le condotte

illecite compiute dagli Organismi di composizione della crisi

5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della

procedura di composizione della crisi

Il legislatore nella redazione della legge n. 3 del 2012 inserisce un

impianto sanzionatorio che costituisce un efficace deterrente nei confronti

di possibili violazioni alle regole cardine della composizione della crisi da

sovraindebitamento a opera del debitore o dell’Organismo di

composizione della crisi.

Nonostante la natura privatistica delle soluzioni offerte in rimedio

alla crisi, la cui attivazione è rimessa all’iniziativa del debitore e la cui

esecuzione è sottratta al controllo dell’autorità giudiziaria, è previsto un

apparato sanzionatorio che tutela interessi di natura collettiva omogenei,

per natura e contenuto, a quelli delle procedure concorsuali e che

comunemente sono individuati nel regolare svolgimento dell’economia e

nella tutela dei creditori204.

La previsione di una specifica disciplina sanzionatoria differenzia

la composizione della crisi da sovraindebitamento dagli accordi ex art.

182-bis che ne sono invece privi.

La natura collettiva degli interessi coinvolti è confermata dalla

previsione della perseguibilità d’ufficio dei reati elencati dall’art. 16 della

legge. 204 A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 99.

185

Il giudice del procedimento di composizione della crisi o il

liquidatore che riscontri iniziative o atti in frode ai creditori compiuti per

ottenere l’accesso alla procedura deve trasmettere senza ritardo la

denuncia al pubblico ministero, il quale, laddove ritenga fondata la

denuncia, promuove l’azione penale di fronte al giudice penale

competente.

Allo stesso modo procede il tribunale nelle ipotesi di

annullamento dell’accordo o del piano del consumatore quando, ai sensi

degli artt. 14, comma 1, e 14-bis, comma 2, lett. b), il debitore abbia

dolosamente aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una

parte dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti.

Dubbia rimane la scelta del legislatore di non delineare alcuna

fattispecie di reato di natura colposa, mentre in ambito fallimentare

condotte colpose, quali quelle di cui all’art. 217 e 220, comma 2, l. fall.,

sono penalmente perseguite, poiché anche comportamenti negligenti ed

imprudenti possono compromettere gli interessi collettivi sottesi alle

procedure205.

Le ipotesi criminose disciplinate mostrano la capacità della

novella di rispondere alle condotte più gravi ed evidenti perpetrate dai

protagonisti della procedura di composizione, cioè il debitore e l’OCC;

205 Cfr. art. 217 l. fall. “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa; 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni”. Cfr. art. 220 l. fall. “È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi preveduti all'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16, nn. 3 e 49. Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno”.

186

tuttavia l’assenza di un profilo colposo e l’assenza di attenuanti o

aggravanti speciali non consentono di contrastare le ipotesi di lesione

degli interessi coinvolti, la cui tutela è affidata alla sola disciplina

civilistica regolata dagli artt. 14 e 14-bis.

Diversamente dall’ambito fallimentare, il debitore è punito per le

sole condotte illecite che sono collegate alla procedura di composizione

della crisi, per la cui tutela opera piuttosto l’art. 641 c.p.

L’art. 16 disciplina sei fattispecie delittuose previste a carico del

debitore e due fattispecie previste a carico dell’Organismo di

composizione della crisi e del professionista che ne svolge le funzioni ex

art. 15, comma 9.

Il primo comma disciplina i reati commessi dal debitore

prevedendo come pena la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da

mille a cinquantamila euro, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

Tale clausola regola il rapporto di sussidiarietà con i più gravi

reati di bancarotta fraudolenta nelle ipotesi in cui, nelle more del

procedimento di composizione della crisi, il soggetto istante sia dichiarato

fallito.

È possibile distinguere nell’ambito dei reati non colposi compiuti

dal debitore le condotte illecite poste in essere prima dell’inizio della

procedura e quelle compiute successivamente.

L’art. 15, comma 1, lett. a), punisce le condotte di chi, al fine di

ottenere l’accesso alla procedura, abbia aumentato o diminuito il passivo,

ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante dell’attivo o

dolosamente simulata attività inesistente.

Queste condotte sono in parte riconducibili all’art. 236, comma 1,

l. fall e all’art. 173 l. fall.206

206Cfr. art. 173 l. fall. “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo 171, secondo comma. All'esito del

187

L’art. 173 l. fall si distingue dalla disciplina in commento per il

fatto che il compimento di atti in frode ai creditori determina l’effetto

dell’apertura d’ufficio del procedimento della revoca dell’ammissione al

concordato. La perseguibilità penale della condotta rileverebbe piuttosto

dopo la dichiarazione di fallimento.

Gli atti di frode rilevanti per l’art. 236 l. fall. risultano essere:

l’attribuzione di attività inesistenti e la simulazione di crediti in parte o in

tutto inesistenti così da influire nella formazione delle maggioranze; l’art.

220 l. fall. completa il quadro con l’inclusione fra le condotte delittuose

della dichiarazione di creditori inesistenti.

La lett. a), perché sia integrata l’ipotesi delittuosa, richiede che la

condotta illecita sia accompagnata dallo scopo dell’agire delittuoso, il c.d.

dolo specifico: è necessario che il debitore commetta le condotte illecite

al fine di ottenere l’accesso alla procedura di accordo o di piano del

consumatore ex art. 7 l. n. 3/2012.

L’elemento soggettivo pone una differenza sostanziale con l’art.

216 l. fall. che punisce i fatti di bancarotta fraudolenta, le cui ipotesi sono

connotate dall’intento fraudolento diretto in via immediata alla massa dei

creditori, anche col fine di ritardare o scongiurare l’accesso alla

procedura. Nell’ambito della lett. a) l’apertura della procedura

rappresenta invece il primo obiettivo dell’agire illecito del debitore.

Il dubbio in merito al dolo specifico in esame attiene al fatto che

l’aumento o la diminuzione del passivo allo scopo di accedere ad una

delle procedure di composizione della crisi ex l. n. 3/2012 non presenta

un quid pluris che ne determina il carattere fraudolento e un pregiudizio

per i creditori; né parte della dottrina ha compreso la scelta del legislatore

procedimento, che si svolge nelle forme di cui all'articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell'articolo 18. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato.”

188

di punire allo stesso modo chi riduce il proprio debito in vista di un

accordo e chi invece lo accresce, tenendo di conto che la condotta di

riduzione del debito in una condizione di insolvenza può determinare un

pagamento preferenziale, mentre la condotta di chi aggrava il proprio

disavanzo ha certamente un effetto maggiormente pregiudizievole per i

suoi creditori207. Tale dottrina aveva auspicato a una diversificazione

delle due fattispecie in sede di conversione in luogo dei differenti indici di

disvalore da cui sono gravate.

In riferimento alle condotte di sottrazione o dissimulazione di una

parte rilevante dell’attivo, anche in questi casi il fine dell’azione è

l’accesso alla procedura. Il richiamo ad una parte rilevante dell’attivo

lascia però un margine di discrezionalità all’interprete nel qualificare

rilevante la parte di attivo coinvolta. Tale incertezza interpretativa potrà

essere sanata solo dalla prassi giurisprudenziale.

La condotta simulatoria, e non anche la dissimulatoria, è

specificata dal termine “dolosamente”, quasi a volere attribuire alla prima

condotta la necessità di un momento soggettivo ulteriore e diverso. In

realtà si ritiene irrilevante tale specificazione, poiché altrimenti si

dovrebbe escludere dall’operatività della norma tutte le simulazioni di

attività inesistenti non corredate da artifizi e raggiri208.

Per il perfezionamento dei reati sub a) non è necessaria la

presentazione della proposta, essendo invece sufficiente

l’esteriorizzazione della volontà di accedere alla procedura.

Altre ipotesi di reati commessi dal debitore prima dell’inizio della

procedura sono indicate dalla lett. b): la produzione di documentazione

alterata o contraffatta, la sottrazione o l’occultamento o la distruzione in

tutto o in parte della documentazione relativa alla situazione debitoria o

207D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”, in Il fallimentarista, 21 dicembre 2012, p. 2. 208A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 101.

189

della documentazione contabile, se il debitore deve tenere scritture

contabili.

Con contraffazione si fa riferimento alla riproduzione di un

documento a imitazione di quello vero, mentre l’operazione di alterazione

si rivolge al documento originale il quale viene modificato e manipolato.

L’oggetto materiale di tali condotte illecite è ogni documento

idoneo a fornire informazioni sull’esposizione debitoria del debitore o

sulla sua situazione contabile, dall’estratto bancario al contratto di

finanziamento.

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, sarà punito il

debitore che ha compiuto il fatto allo scopo di accedere alla procedura di

accordo o di piano del consumatore ex art. 7 o, diversamente dall’ipotesi

sub a), alla procedura di liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss.

5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la

procedura di composizione della crisi

L’art. 15, comma 1, lett. c), d), e) e f) punisce, sempre con la

medesima pena prevista per le ipotesi sopra analizzate (reclusione da sei

mesi a due anni e multa da mille a cinquantamila euro, salvo che il fatto

non costituisca più grave reato), alcune condotte illecite del debitore poste

in essere nel corso della procedura di composizione della crisi da

sovraindebitamento.

La condotta sub c) è connessa alla procedura di liquidazione del

patrimonio poiché punisce chi abbia omesso di indicare i beni

nell’inventario previsto ex art. 14-ter, comma 3.

Si distingue dall’ipotesi sub a) per non richiedere l’elemento

soggettivo del dolo ulteriore orientato verso una specifica direzione; la

condotta in questo caso integra un illecito già come attività omissiva, non

è necessario l’attività dissimulatoria. Non è richiesto il dolo specifico,

bensì il dolo generico.

190

La disposizione non prevede una graduazione dell’illecito rispetto

alla rilevanza economica del bene non indicato, per cui si deve ritenere

che sia integrata la fattispecie delittuosa anche quando sia stato

volontariamente o consapevolmente omessa l’indicazione di un bene di

valore non elevato.

L’ipotesi sub c) è più severa rispetto a quella sub a), ed è difficile

comprendere la ragione di una maggiore severità che il legislatore impone

nell’ambito della procedura di liquidazione rispetto a quanto previsto in

materia di accordi o di piani ex art. 7.

Probabilmente la spiegazione di questo sbilanciamento in termini

di severità nei confronti della procedura ex artt. 14-ter dipende,

probabilmente, dal fatto che il legislatore ha ritenuto di maggior favore

per il debitore la procedura di esdebitazione attraverso la liquidazione dei

propri beni, rispetto a quella dell’accordo o del piano, che in concreto si

risolve in una ben magra soddisfazione per i creditori209.

Anche se l’omessa indicazione dei beni nell’inventario non rientra

fra le cause di revocabilità del provvedimento di esdebitazione, è

necessario ricordare che la condanna per uno dei reati di cui all’art. 16 l.

fall. configura come condizione di inammissibilità per la liberazione del

debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non

soddisfatti.

Invece, se l’omissione non viene scoperta prima del

provvedimento di esdebitazione, il decreto emanato non potrà essere

revocato, non essendo espressamente prevista tale ipotesi dal legislatore,

salvo però il caso in cui l’omissione sia stata posta in essere per favorire

un creditore a danno degli altri, in questo caso infatti il provvedimento è

revocabile ex art. 14-terdecie, comma 5, lett. a).

Sub c) è punita l’esecuzione di pagamenti non previsti nel piano

oggetto dell’accordo di ristrutturazione o nel piano del consumatore.

209 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. cit., p. 4.

191

Il pagamento difforme ex art. 13, comma 4, risulta inefficace nei

confronti dei creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la

pubblicità di cui agli artt. 10, comma 2, e 12-bis, comma 3.

Una simile previsione promuove una interpretazione

maggiormente restrittiva della fattispecie delittuosa, in base alla quale il

reato si configura solo se sussiste un pregiudizio nei confronti dei

creditori anteriori tutelati dalla generica inefficacia del pagamento.

Altra fattispecie delittuosa è individuata dalla condotta sub e) che

ha natura residuale, ricomprendendovi tutte quei comportamenti del

debitore che, a seguito del deposito della proposta di accordo o di piano

del consumatore e per tutta la durata della procedura, possono aggravare

la sua esposizione debitoria.

Le condotte punibili sono quelle che determinano forme di debito

non essenziali rispetto alle necessità del quotidiano, e ulteriori e diverse

rispetto a quelle previste dal piano o dall’accordo210.

Infine, viene sanzionato il debitore che intenzionalmente non ha

rispettato i contenuti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del piano

del consumatore (sub f)).

La condotta è punita solo quando produce un pericolo concreto

alle ragioni dei creditori coinvolti. “La fattispecie è volta a punire

l’intenzionale o addirittura preordinata frustrazione delle aspettative di

recupero patrimoniale dei creditori, che il puntuale adempimento

dell’accordo, al pari dell’esecuzione del piano, sono deputati a

garantire”211. Sono punite dalla lett. f) le sole forme intenzionali di

inadempimento: è punito il debitore che pur potendo conformarsi

all’accordo sceglie invece di violarne il contenuto.

Da questa rassegna dei reati compiuti dal debitore nel corso della

procedura risulta che l’elemento psicologico che deve integrare la

210 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. ult. cit., p. 5. 211 A. FIORELLA – M. MASUCCI, Gestione dell’impresa e reati fallimentari, Torino, 2014, p. 223.

192

fattispecie delittuosa è il dolo generico, che assume i connotati di dolo

intenzionale nell’ambito delle ipotesi sub f).

Perché si configuri il reato il soggetto deve aver agito proprio per

perseguire la violazione dell’accordo, non essendo sufficiente che egli

agisca con dolo diretto, cioè che gli si rappresenti l’evento come

verificabile con elevato grado di probabilità, o con dolo eventuale, cioè

che egli accetti il rischio che l’evento si verifichi, è necessario, invece,

che l’evento sia voluto e realizzato come obiettivo immediato e diretto

della condotta e accessorio di questa212.

È necessario chiarire che, mancando disposizioni analoghe a

quelle di cui all’art. 222 l. fall. (“Fallimento delle società in accomandita

e in nome collettivo”) e di cui al Capo II del Titolo VI l. fall. (“Reati

commessi da persone diverse dal fallito”), quando il debitore ha natura di

impresa collettiva il soggetto attivo del reato va individuato nella persona

fisica che ha posto la firma nella proposta di accordo di ristrutturazione o

nella domanda di liquidazione e negli altri titolari di poteri gestori.

È possibile inoltre imputare il comportamento delittuoso a titolo di

concorso alla condotta di altri soggetti, quali i componenti degli

Organismi di composizione della crisi213.

5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione

della crisi

L’art. 16, commi 2 e 3, l. n. 3/2012 individua le condotte illecite

poste in essere dagli Organismi di composizione della crisi o dal

professionista di cui all’art. 15, comma 9, alle quali l’ordinamento

risponde con la pena detentiva da uno a tre anni e con la multa da mille a

cinquantamila euro.

212 A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 102. 213 A. DI AMATO, op. ult. cit., p. 101.

193

La previsione di una specifica responsabilità penale per gli OCC

sembra soddisfare, almeno nelle intenzioni del legislatore, l’esigenza di

controbilanciare gli ampli e i molteplici poteri degli organi di controllo,

contribuendo a limitare il rischio di conflitti di interesse214.

A essere punito è l’Organismo di composizione della crisi o il

professionista che rende false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati

contenuti nella proposta di accordo di ristrutturazione o piano del

consumatore o nei documenti allegati, in ordine alla fattibilità del piano

del consumatore e nelle relazioni che l’OCC e il professionista sono

chiamati a redigere con riguardo al piano del consumatore, all’accordo di

composizione della crisi e alla liquidazione del patrimonio.

In questo ambito è stato sostenuto che le fattispecie in esame

assumono una rilevanza maggiore, sono infatti intese come reati

ricompresi tra quelli posti a tutela della fede pubblica in ragione

dell’affidamento che certi documenti redatti da determinati organi

producono215.

È stata inoltre evidenziata la difficoltà di individuare un falso

nell’ambito di una previsione di fattibilità in quanto si tratta di una

valutazione su elementi che si distinguono dalla verità storicamente

intesa, inoltre già di per sé la materia è opinabile.

Il falso infatti dovrà essere ricercato non negli aspetti valutativi

dell’Organismo o del professionista, ma nei parametri su cui le

valutazione trovano ragione di esistenza e “saranno appunto la veridicità e

a completezza dei dati e dei parametri su cui quelle valutazioni basano la

propria ragione d’essere a costituire il momento di verità su cui operare il

controllo”.

Dopotutto infatti non viene punito il fatto di attestare falsamente la

fattibilità, ma piuttosto quello di rendere false attestazioni sulla fattibilità

medesima.

214 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2081. 215 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. cit., p. 6.

194

Anche nell’ambito del reato di falso di cui all’art. 16, comma 2,

può accadere che la condotta illecita sia posta in essere da un terzo

soggetto, autore mediato ai sensi dell’art. 48 c.p.: se il reato è determinato

dall’altrui inganno, del fatto della persona ingannata risponde chi l’ha

determinata a commetterlo.

È possibile inoltre che il reato sia compiuto dall’OCC o dal

professionista col concorso di soggetti terzi, quali ad esempio i creditori o

lo stesso debitore.

L’elemento soggettivo del reato è in ogni caso il dolo generico.

In ambito fallimentare si ha un sistema sanzionatorio analogo a

quello di cui al secondo comma dell’art. 16: l’art. 236-bis è stato

introdotto con il d.l. n. 83/2012 “Il professionista che nelle relazioni o

attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo

comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false

ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione

da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è

commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per se' o per altri, la

pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è

aumentata fino alla metà”.

Il terzo comma dell’art. 16 l. n. 3/2012 prevede un ulteriore reato

che punisce il componente dell’Organismo di composizione della crisi o il

professionista che cagioni un danno ai creditori omettendo o rifiutando,

senza giustificato motivo, un atto del suo ufficio.

Il requisito di sussistenza del delitto è l’assenza di giustificazione,

poiché il semplice ritardo non configura il reato di omissione o rifiuto,

salvo che l’urgenza dell’atto imponga di provvedere216.

In merito allo specifico caso dell’omissione, è necessario ricordare

che secondo le disposizioni comuni l’atto è omesso quando sia decorso

inutilmente il termine ultimo per il suo compimento.

216 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. ult. cit., p. 7.

195

Nella legge n. 3 del 2012 ho segnalato, in più occasioni durante la

trattazione, l’assenza di previsioni di termini specifici. Al di fuori dei

termini dettagliati di cui agli artt. 9, comma 1, 12-ter, comma 1, 14-ter,

comma 4, e 15, comma 11, i casi che residuano non sono

sufficientemente disciplinati e ciò costituisce un “impaccio all’operatività

della norma”217.

L’intenzione del legislatore nel disciplinare tali ipotesi delittuose

è, probabilmente, quella di arginare un ricorso disinvolto alle procedure di

composizione della crisi da sovraindebitamento che potrebbe condurre ad

un abuso delle stesse218.

Il corretto svolgimento della procedura rappresenta uno strumento

efficacemente orientato al regolare svolgimento dell’economia e alla

tutela dei creditori. Questa è sostanzialmente la ragione che ha sotteso la

previsione di un apparato sanzionatorio contro le condotte illecite dei

debitori e degli Organismi di composizione della crisi, anche in

riferimento alle ipotesi di composizione monocratica dell’organismo.

217 A. FIORELLA – M. MASUCCI, op. cit., p. 232. 218 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2083.

196

CAPITOLO VI

Spunti per un’ulteriore analisi: l’imprenditore agricolo tra gli accordi ex

art. 182-bis l. fall. e la l. n. 3/2012. Osservazioni conclusive in merito alle

procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

e relative criticità.

Sommario: 6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la

l. n. 3/2012 - 6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure

concorsuali all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l.

fall. – 6.1.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione ex

art. 182-bis l. fall. o l. n. 3/2012? – 6.2. Considerazioni conclusive e criticità

persistenti nella l. n. 3 del 27 gennaio 2012

6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la

l. n. 3/2012

6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure concorsuali

all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall.219

La legge fallimentare, nonostante le modifiche intervenute con la

Riforma, continua a prevedere l’assoggettamento al fallimento del solo

219 Una parte della dottrina sostiene l’inquadramento degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis nell’ambito dei procedimenti concorsuali. Questi sostengono che tali accordi, nonostante siano stricto sensu ricompresi nel settore privatistico, finiscono per confluire in un procedimento che presenta caratteristiche proprie delle procedure concorsuali in luogo di aspetti quali la volontà di superare l’insolvenza, la necessità del consenso dei creditori che libera il debitore e soprattutto la finalità pubblicistica. Quest’ultimo aspetto emergerebbe da due elementi della procedura in commento: il rispetto del principio della concorsualità e la soggezione al vaglio del giudice. Se il rispetto del principio della concorsualità fosse in grado di esprimere la finalità della disposizione, l’accordo ex art. 182-bis si collocherebbe ben oltre la volontà di soddisfare il singolo creditore aderente andando a tutelare interessi più generali (ne potrebbe essere un esempio il divieto di esercizio di azioni cautelari o esecutive individuali da parte dei creditori anteriori all’accordo sul patrimonio del debitore). La natura concorsuale si evincerebbe anche dalla esenzione dalla revocatoria fallimentare. La mancanza di una falcidia per i creditori non aderenti costituirebbe invece ragione per l’argomentazione contraria. Atra parte della dottrina sostiene la possibilità di inquadrare gli accordi di ristrutturazione come species del più ampio genus “concordato” e in luogo di una simile ricostruzione estenderebbe gli effetti connessi all’omologa del concordato anche agli accordi ex art. 182-bis. Per una esaustiva analisi delle diverse tesi in merito all’inquadramento degli accordi di ristrutturazione dei debiti e per l’individuazione dei relativi contributi della dottrina, non essendo nello specifico questo aspetto oggetto della seguente trattazione, rimando a A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1230 ss.

197

imprenditore commerciale fallibile. È imprenditore commerciale fallibile

un imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. che svolge una delle categorie

di attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c. e soddisfa i requisiti

dimensionali del secondo comma dell’art. 1 l. fall.

L’imprenditore agricolo, invece, si distingue dall’imprenditore

commerciale per l’oggetto della sua attività e da tale distinzione

scaturisce una regolamentazione diversa.

Chi è imprenditore agricolo è esonerato dalla tenuta delle scritture

contabili ex art. 2214 c.c. e dall’assoggettamento alle procedure

concorsuali ex art. 2221 c.c.; era inoltre esonerato anche dall’iscrizione

nel registro delle imprese, salvo la previsione di una deroga per le società

(art. 2136). Solo a partire dal 1993 l’imprenditore agricolo ha l’obbligo di

iscrizione nel registro delle imprese, in origine con funzione di pubblicità

notizia e successivamente anche con funzione di pubblicità legale, in

luogo dell’intervento dell’art. 2 del d.lgs. n. 228/2001220.

L’oggetto che definisce e di conseguenza distingue l’attività

agricola da quella commerciale è descritto dall’art. 2135 c.c., il cui dato

testuale è stato modificato dal d.lgs. n. 228/2001 nel senso di ampliare

significativamente il novero di attività che qualificano l’attività

dell’imprenditore come agricola.

L’attuale formulazione dell’art. 2135 c.c. riconferma quanto già

espresso dalla versione originaria dell’articolo, per cui è imprenditore

agricolo colui che esercita attività di coltivazione del fondo, o

selvicoltura, o allevamento degli animali o attività connesse.

Il secondo comma sancisce indiscutibilmente l’elemento del ciclo

biologico quale caratteristica distintiva dell’attività agricola, superando

così il principio dell’inerenza al fondo, che aveva invece definito l’attività

dell’imprenditore agricolo nella versione precedente della disposizione.

220 La pubblicità notizia consente di rendere accessibili a terzi le informazioni legislativamente ritenute interessanti, ma la pubblicità legale produce un effetto ulteriore, determina l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti resi riconoscibili attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese.

198

“Per coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali si

intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico

o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale,

che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci,

salmastre o marine” (art. 2135, comma 2, c.c.).

Il comma in commento definisce le c.d. attività agricole essenziali

e il legislatore le qualifica come tali anche quando prescindono del tutto

dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti.

In luogo di una simile definizione, nettamente più ampia della

precedente, rientrano fra le attività di coltivazione del fondo anche

l’orticoltura, le coltivazioni in serra o in vivai, o la floricoltura; rientrano

nella selvicoltura le attività che hanno come caratteristica principale la

cura del bosco per ricavarne i relativi prodotti; nell’allevamento degli

animali rientrano gli allevamenti in batteria, così come gli allevamenti di

cavalli da corsa o di animali da pelliccia o l’attività di cinotecnica; in

luogo di una simile definizione non sorgono dubbi nell’identificare

l’acquacoltura come attività agricola o nell’accostare la figura

dell’imprenditore agricolo a quello ittico221. Queste attività in passato

erano considerate estranee all’agricoltura poiché non soddisfacevano il

requisito dell’inerenza al fondo.

Il primo comma dell’art. 2135 c.c. menziona, oltre alle attività

agricole essenziali, le cc.dd. attività connesse che sono definite dal terzo

comma e distinte in due ordini di categorie.

Sono attività connesse quelle attività dirette alla manipolazione,

conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di

prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale; sono

altresì connesse le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante

l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate

nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del

221 G. M. CAMPOBASSO, op. cit., pp. 49-51.

199

territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche

disciplinate dalla l. n. 96/2006.

Le attività connesse sono oggettivamente commerciali, ma sono

dalla legge qualificate come agricole quando sono esercitate in

connessione con una delle tre attività agricole essenziali. Sono attività

agricole quando hanno ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente

dall’esercizio dell’attività agricola essenziale o dall’utilizzazione

prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate

nell’attività agricola. Per una simile qualificazione è ovviamente

necessario che chi pone in essere l’attività per connessione sia comunque

un imprenditore agricolo.

La nozione di imprenditore agricolo ha sostanzialmente funzione

negativa, ha la funzione di restringere l’ambito di applicazione della

disciplina prevista per l’imprenditore commerciale, tra cui l’operatività

delle disposizioni che regolano le procedure concorsuali222.

L’esclusione dell’imprenditore agricolo dall’accesso alle

procedure concorsuali si fonda tuttavia su una suggestione non più

adeguata ai tempi 223 . La ragione che sottendeva l’impossibilità di

accedere a soluzioni concorsuali dell’insolvenza era motivata dal rischio

ambientale e climatico che, già fisiologicamente, gravava su chi svolgeva

l’attività di agricoltore o allevatore. L’ordinamento attraverso l’esonero

voleva sottrarre tali soggetti dal procedimento fallimentare, che,

nell’assetto precedente alla riforma, veniva valutato alla stregua di un

regime sanzionatorio.

Attualmente l’evoluzione tecnologica ha concesso maggiori

strumenti di tutela da rischi ambientali e climatici, per cui una simile

esclusione non trova più ragione di esistere, soprattutto se si tiene

presente il mutato orientamento in merito alla qualificazione del

fallimento, che oggi ha fortemente ridimensionato i suoi connotati

sanzionatori. 222 G. M. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 47. 223 C. CECCHELLA, op. cit., p. 19.

200

L’inclusione di attività commerciali nel novero delle attività

agricole ha posto ulteriori dubbi sulla legittimità della scelta del

legislatore di escludere l’imprenditore agricolo tra i soggetti che possono

fruire delle procedure concorsuali224.

L’anacronistica esclusione dell’imprenditore agricolo dalle

soluzioni in rimedio all’insolvenza sembra essere sostenuta anche dal

legislatore che, rimasto inerte per lungo tempo, è invece intervenuto

sull’argomento in più occasioni negli ultimi anni, in primo luogo con il

d.l. n. 98/2012 convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, e

successivamente affrontando la questione del sovraindebitamento, prima

con il d.l. n. 212/2011, poi con la l. n. 3 del 2012 e infine con il d.l. n. 179

del 2012.

A fronte di questa esclusione dal fallimento, prima dei menzionati

interventi, vigeva esclusivamente la disciplina codicistica che assoggetta

il debitore imprenditore agricolo alla responsabilità patrimoniale perpetua

di cui all’art. 2740 c.c., che si articola attraverso il soddisfacimento

coattivo dei creditori sui beni del debitore.

La legge 15 luglio 2011, n. 111, all’art. 23, comma 43, riconosce

espressamente, per la prima volta, all’imprenditore agricolo la possibilità

di accedere alla soluzione negoziale di cui all’art. 182-bis l. fall. e

contestualmente specifica il carattere transitorio della stessa disposizione

enunciando le seguenti parole: “in attesa di una revisione complessiva

della disciplina dell’imprenditore agricolo, gli imprenditori agricoli in

stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli

artt. 182-bis e 182-ter del r.d. 16 marzo 1942, n. 267”.

In luogo della legge 27 gennaio del 2012, n. 3, o più precisamente

a seguito delle modifiche intervenute col d.l. n. 179/2012,

all’imprenditore agricolo è ora concesso l’accesso alle procedure

concorsuali di composizione della crisi, nello specifico alla procedura di

224 L. VECCHIONE, L’impresa agricola tra attività strumentali, commerciali e strumenti di composizione della crisi, in Analisi giuridica dell’economia, 2014, I, Parte II, p. 5.

201

accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 per espressa previsione

dello stesso art. 7, comma 2-bis, e alla procedura di liquidazione del

patrimonio ex artt. 14-ter ss.

Il dato testuale dell’articolo 14-ter utilizza il termine “debitore” e,

diversamente dall’art. 7, non menziona espressamente la figura

dell’imprenditore agricolo.

Sembra difficile superare il dubbio circa l’estensione della

procedura di liquidazione del patrimonio dei beni di cui agli artt. 14-ter

ss. anche a favore dell’imprenditore agricolo: l’art. 7, comma 2-bis, come

già ribadito, prevede che l’imprenditore agricolo possa proporre un

accordo di composizione della crisi secondo le disposizioni della

“presente sezione”, non includendo così il Capo II che disciplina invece la

liquidazione dei beni.

L’interpretazione corretta sul piano letterale escluderebbe

all’imprenditore agricolo la fruizione della procedura ex artt. 14-ter ss.

Tuttavia una simile interpretazione si espone a dubbi di

costituzionalità, risultando il trattamento dell’imprenditore agricolo più

sacrificato senza apparente giustificazione rispetto a quello degli altri

soggetti non fallibili che hanno invece l’accesso ad entrambe le procedure

di composizione della crisi, e rispetto a quello dei consumatori in stato di

sovraindebitamento passivo che possono intraprendere la via esclusiva del

piano del consumatore. Inoltre non risulterebbe armonizzabile tale

esclusione con la previsione della possibilità di accesso alla liquidazione

riconosciuta, invece, all’imprenditore agricolo in caso di conversione ex

art. 14-quater. Per tali motivi si ritiene opportuno riconoscere anche

all’imprenditore agricolo la possibilità di attivare la liquidazione dei beni

come via perfettamente alternativa all’accordo ex art. 7.

Di seguito l’oggetto della trattazione si concentrerà sulle novità

apportate dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, e soltanto nel paragrafo

successivo si procederà a un’analisi comparata delle procedure

202

attualmente azionabili dall’imprenditore agricolo, tentando di individuare

i profili di convenienza di ciascuna rispetto alle altre.

Il comma 43 dell’art. 23 della l. n. 111/2011 nel riconoscere anche

all’imprenditore agricolo l’opzione della procedura di cui agli artt. 182-

bis e 182-ter l. fall. utilizza il mero termine “imprenditore agricolo” senza

dare ulteriori specificazioni, per cui rimane aperta la questione se anche i

piccoli imprenditori che svolgono attività agricola di cui all’art. 2135 c.c.

possano attivare le procedure di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall.

Si dovrebbe concludere con il non riconoscere limitazione

all’applicazione della norma in luogo delle dimensioni dell’impresa, per

cui l’operatività della disposizione non deve intendersi limitata alle sole

imprese agricole non piccole225.

Ciò che risulta è un trattamento differenziato degli imprenditori

agricoli rispetto agli imprenditori commerciali nell’ambito delle

procedure di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall. Agli imprenditori

agricoli, a prescindere dalla dimensione dell’impresa, è consentito

accedere a tali soluzioni negoziali, mentre per gli imprenditori

commerciali è necessaria quale condizione per l’accesso la presenza dei

requisiti di cui al secondo comma dell’art. 1 l. fall.

L’art. 182-bis nell’individuare il soggetto che ha la possibilità di

azionare i suddetti accordi di ristrutturazione dei debiti utilizza

semplicemente il termine “imprenditore”, non dando nessuna ulteriore

specificazione, e in luogo di ciò la dottrina ha espresso opinioni diverse.

Alcuni sostengono che la scelta del termine “imprenditore” senza

alcuna ulteriore connotazione dimensionale permetta di poter includere

nel novero dei proponenti tutti gli imprenditori commerciali non

fallibili226, se così fosse si attenuerebbe la differenza tra le due discipline

in esame degli accordi ex art. 182-bis l. fall. e degli accordi ex art. 7 l. n.

3/2012.

225A. IANNARELLI, Impresa agricola e fallimento, in Agricoltura Istituzioni e Mercati, 2012, p. 93. 226 C. CECCHELLA, op. cit., p. 275.

203

La rispondenza della formula utilizzata nella legge n. 111/20111

di “imprenditore agricolo” con la definizione di cui all’art. 2135 c.c.

permette di concludere che tutti gli imprenditori agricoli possono

beneficiare di tali rimedi, siano essi imprenditori individuali o impresa

collettiva227.

L’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. dei debiti è un

accordo stragiudiziale per la regolazione della crisi dell’impresa: è un

accordo privatistico che tuttavia condivide con le soluzioni concorsuali

una natura pubblicistica, poiché per la sua efficacia deve essere sottoposto

al vaglio dell’autorità giudiziaria228.

L’accordo si articola in due fasi, una prima stragiudiziale durante

la quale si forma l’accordo coi creditori, e una seconda giudiziale in cui si

sottopone al vaglio dell’omologa del giudice l’accordo su cui si è formato

il consenso di tanti creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento

dei crediti. L’omologa del giudice conferisce efficacia e stabilità

all’accordo attraverso l’esenzione dalla revocatoria fallimentare (art. 67,

comma 3, lett. e) l. fall.). Sono accordi presi “con la maggioranza” e non

“a maggioranza”, che vincolano soltanto i creditori aderenti.

L’imprenditore stipula un accordo coi creditori e successivamente

lo sottopone al vaglio del giudice.

Una volta stipulato l’accordo coi creditori, l’imprenditore in stato

di crisi deve depositare presso la cancelleria del tribunale un ricorso,

corredando tale domanda con la stessa documentazione necessaria

prevista in materia di concordati ex art. 161 l. fall.. Contestualmente alla

domanda di omologazione deve essere presentata la relazione redatta da

un professionista, designato dal debitore, sulla veridicità dei dati aziendali

e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua

idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel

rispetto del termine di centoventi giorni dall’omologazione, in caso di

crediti già scaduti a quella data, e del termine di centoventi giorni dalla 227 A. IANNARELLI, op. loc. ult. cit. 228 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1230.

204

scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data di omologazione.

Il professionista deve accertare inoltre il raggiungimento del 60% dei

crediti.

La formazione dell’accordo è rimessa totalmente all’autonomia

privata, e, in una simile ottica, il silenzio del legislatore in merito al

contenuto dell’accordo manifesta l’ampia libertà e autonomia delle parti

nella gestione della soluzione adottabile. L’accordo può avere anche un

contenuto esclusivamente liquidatorio, dopotutto l’unico fine che deve

essere perseguito è il ripristino della solvibilità e non la conservazione

dell’impresa, nonostante sia un’eventualità fra le altre cose auspicabile.

La capacità dell’accordo di incidere sui rapporti preesistenti è

rimessa alla determinazione delle parti.

Non è condizione di validità dell’accordo il rispetto della par

condicio creditorum, in ogni caso la disparità di trattamento deve essere

pattuita dalle parti.

È possibile un’articolazione dei creditori in classi, sebbene risulti,

diversamente dal concordato, irrilevante nella determinazione della

maggioranza, non essendo prevista l’adunanza con votazione. I

trattamenti differenziati sono dunque possibili purché vi acconsentano i

creditori appartenenti a ciascuna classe229.

L’unico vincolo che sussiste nella determinazione del contenuto

dell’accordo è la previsione dell’integrale pagamento dei creditori

estranei.

L’accordo di ristrutturazione dei crediti raggiunto

dall’imprenditore deve essere pubblicato nel Registro delle imprese, dal

giorno della sua iscrizione l’accordo ex art. 182-bis acquista efficacia e

decorre il termine di trenta giorni per la presentazione delle opposizioni.

Da quella data diviene altresì operativo, per la durata di sessanta giorni, il

divieto per i creditori con titolo o causa anteriore di iniziare o proseguire

azioni esecutive o cautelari individuali.

229 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1238.

205

Entro trenta giorni dalla data della pubblicazione i creditori o ogni

altro interessato possono proporre opposizione innanzi al tribunale.

Il tribunale entro trenta giorni dalla presentazione della domanda

dell’imprenditore si deve pronunciare sul ricorso. Il giudice procede

innanzitutto alla decisione sulle opposizioni e successivamente esamina il

ricorso e omologa l’accordo in camera di consiglio con decreto motivato.

Il giudizio di omologazione non rappresenta un controllo di

opportunità, ma un controllo di legittimità sostanziale sulla funzionalità e

sull’effettiva attuabilità del piano. Inoltre la previsione ad opera del

legislatore di forme camerali “pure” esclude un giudizio di merito

sull’opportunità nell’accordo230.

Avverso il decreto di omologa è possibile presentare reclamo

innanzi alla corte d’appello entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel

registro delle imprese.

L’omologa stabilizza gli effetti che l’accordo ha prodotto in

precedenza a partire dalla sua pubblicazione nel Registro delle imprese.

L’art. 67, comma 3, lett. e) stabilisce che gli atti, i pagamenti e le

garanzie compiute in esecuzione dell’accordo sono esenti da revocatoria

fallimentare nell’eventuale successivo fallimento.

La l. 111/2011 ha esteso anche all’imprenditore agricolo la

fruizione dell’istituto della transazione fiscale, istituito nel nostro

ordinamento con il d.lgs. n. 5/2006 e attualmente regolato dall’art. 182-ter

l. fall.

L’imprenditore agricolo nell’ambito di un accordo di

ristrutturazione dei crediti ex art 182-bis l. fall. può proporre una

transazione fiscale.

Attraverso la transazione fiscale l’amministrazione finanziaria può

transigere le proprie pretese nell’ambito delle procedure di concordato

preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, derogando al

principio tributario della indisponibilità del credito tributario.

230 C. CECCHELLA, op. cit., p. 281.

206

La finalità anche in questo caso è la riduzione della mole di

contenziosi e la volontà di accellerare i tempi di riscossione.

Il presupposto di accesso a una simile procedura è lo stato di crisi

dell’impresa.

Sono oggetto di transazione fiscale i tributi amministrati dalle

agenzie fiscali e i relativi accessori, i contributi amministrati dagli enti

gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria con i rispettivi

accessori, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione

europea.

L’art. 182-ter l. fall. non disciplina né il contenuto, né la forma

della domanda di transazione fiscale, tuttavia indicazioni precise e

specifiche sono state fornite dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 40/E del

18 aprile 2008. Allo stesso modo nulla viene detto sulle modalità di

presentazione della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di

ristrutturazione dei debiti, per cui si rimanda alla già citata circ. n. 40/E e

alla circ. n. 14/E l’individuazione delle modalità specifiche di attuazione

della transazione fiscale in tale specifica ipotesi.

6.2.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione

ex art. 182-bis l. fall. o l. n. 3/2012?

Nell’ultimo decennio il legislatore è intervenuto in materia

fallimentare destabilizzando e innovando la disciplina della crisi

dell’impresa, allo stesso modo negli ultimi anni la sua attenzione si è

rivolta all’imprenditore agricolo, il quale, storicamente escluso

dall’accesso alle procedure concorsuali, grazie alle novità legislative, ha

la possibilità di scegliere tra più strumenti in rimedio alla crisi.

L’imprenditore agricolo, sia esso imprenditore individuale o

impresa collettiva, a fronte del proprio stato di crisi ha la possibilità di

azionare il rimedio negoziale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex

art. 182-bis l. fall. a seguito della espressa previsione contenuta nella l. n.

111/2011. Tale facoltà sembra essergli riconosciuta prescindendo da

207

qualsiasi valutazione ulteriore in merito alla dimensione dell’attività

svolta.

Allo stesso modo l’imprenditore agricolo in stato di

sovraindebitamento può rimediare alla propria esposizione debitoria

attraverso un accordo di cui alla legge n. 3 del 2012 o attraverso la

procedura di liquidazione dei beni del suo patrimonio disciplinata dagli

artt. 14-ter ss. della stessa legge.

Ciò che apparentemente sembra differenziare il rimedio negoziale

dalle procedure concorsuali istituite con la novella è il presupposto

oggettivo.

In riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 182-

bis l. fall. subordina la fruizione del rimedio allo “stato di crisi”

dell’imprenditore. A fornire una definizione sull’espressione utilizzata dal

legislatore è lo stesso art. 160, comma 3, l. fall. “per stato di crisi si

intende anche lo stato di insolvenza”.

Nella nozione di crisi va ricompresa una gamma molto vasta di

situazioni che possono ricomprendere l’insolvenza così come intesa

dall’art. 5 l. fall., ma anche ogni situazione di difficoltà e malessere

economico-finanziario in cui l’impresa può trovarsi; lo stato di crisi può

coincidere anche con situazioni di temporanea difficoltà di adempiere e

l’accordo può essere proposto quando ancora non si è formalizzato alcun

inadempimento231.

In merito alle procedure di composizione della crisi di cui alla l. n.

3 del 2012, rinvio al secondo Paragrafo del primo Capitolo l’analisi del

rapporto tra insolvenza civile e commerciale e la possibilità di distinguere

l’insolvenza del fallibile e il sovraindebitamento del debitore non fallibile

a partire dai differenti interessi tutelati che fanno capo rispettivamente a

situazioni debitorie diverse.

231 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1236.

208

La definizione di sovraindebitamento cui all’art. 6 l. n. 3/2012 non

combacia perfettamente con la descrizione dell’insolvenza offerta dall’art.

5 l. fall.

Una delle principale differenze sul piano letterale, in riferimento

all’incapacità del soggetto non fallibile di adempiere alle proprie

obbligazioni, riguarda la presenza dell’aggettivo “definitiva” in luogo

dell’espressione “non è più in grado”.

Rimando al primo Paragrafo del secondo Capitolo l’analisi del

presupposto oggettivo delle nuove procedure concorsuali in materia di

sovraindebitamento, tuttavia ricordo, sommariamente, che l’impiego del

termine “definitiva” sembra esser stato scelto in realtà proprio per

distinguere il fenomeno del sovraindebitamento dallo stato di crisi,

facendo residuare così l’insolvenza che risulta dal testo vigente species

del genus sovraindebitamento.

Ad accedere alla procedura è dunque solo chi è insolvente e non

anche chi sia in una situazione di mera difficoltà temporanea.

Potrebbe confermare l’intento del legislatore di distinguere il

presupposto del sovraindebitamento da quello dello stato di crisi

l’utilizzo dell’aggettivo “perdurante”, che evoca una situazione di chiara

non transitorietà, che invece è tipica dello stato di crisi, dopotutto “un

aspetto certamente comune all’insolvenza è costituito dal fatto che la

situazione non deve essere transitoria”232.

È comunque necessario sottolineare come una certa dottrina

ammetta la difficoltà di distinguere con chiarezza tra lo stato di

insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., lo stato di crisi e le situazioni di

sovraindebitamento233.

Uno dei principali aspetti che l’imprenditore agricolo potrà tenere

di conto nell’opzione fra lo strumento negoziale e le procedure

concorsuali della novella attiene allo spossessamento del debitore: tale

effetto non si verifica negli accordi ex art. 182-bis l. fall., mentre approda 232 M. FABIANI, op. cit., p. 5. 233 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2033.

209

nella sfera del debitore quando questi scelga la procedura di liquidazione

dei beni ex artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012, o la subisca come conversione di

un accordo di composizione della crisi (in merito agli effetti del decreto di

apertura della procedura di liquidazione rimando al Paragrafo 3.4.).

Nell’accordo di cui alla l. n. 3/2012 a decorrere dalla data del

decreto di ammissione alla procedura e sino alla data di omologazione

dell’accordo, il debitore ha l’obbligo di ottenere l’autorizzazione del

giudice per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria

amministrazione, altrimenti risultano inefficaci rispetto ai creditori

anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto (art.

10, comma 3-bis). Questa norma viene mutuata dalle soluzioni

concordate, infatti l’art. 167 l. fall. prevede che, una volta aperta la

procedura, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere

compiuti solo se autorizzati dal giudice delegato. La ratio della norma è

quella di fornire adeguata tutela all’interesse dei creditori alla capienza

del patrimonio, affinché sia idonea a soddisfare i loro interessi. La

disposizione sembra realizzare una sorta di spossessamento attenuato.

Il quinto comma dell’art. 10 l. n. 3/2012 dispone che il decreto di

fissazione dell’udienza deve intendersi equiparato all’atto di

pignoramento, si determina così l’indisponibilità dei beni da parte del

debitore restando preclusa ai creditori posteriori alla comunicazione del

decreto la possibilità di soddisfarsi coattivamente su di essi (c.d.

segregazione del patrimonio).

Nell’accordo di cui alla legge n. 3 del 2012, lo spossessamento

materiale è attenuato, si concentra infatti sul regime dell’obbligatorietà

dell’autorizzazione del giudice a fronte di atti di straordinaria

amministrazione, allo stesso modo lo spossessamento giuridico determina

la sola indisponibilità dei beni a partire dal decreto di fissazione

dell’udienza per l’omologazione equiparato dal legislatore stesso ad un

atto di pignoramento.

210

Prima di procedere all’analisi delle differenze fra gli accordi di

ristrutturazione e le procedure concorsuali di cui alla l. n. 3/2012 è

necessario chiarire la sostanziale differenza procedurale che intercorre fra

gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e gli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012: i primi

hanno natura stragiudiziale, mentre i secondi hanno natura

endoprocessuale, essendo costruiti all’interno del procedimento di

composizione della crisi.

Negli accordi di ristrutturazione dei debiti il procedimento si apre

col deposito di un accordo già raggiunto con una determinata percentuale

di creditori, il procedimento di composizione della crisi ha invece inizio

con il deposito di una proposta di accordo formulata con l’ausilio degli

OCC su cui deve manifestarsi ancora il placet dei creditori.

Gli accordi ex art. 182-bis l. fall. ed ex art. 7 l. n. 3/2012 hanno un

contenuto pressappoco illimitato, avendo il debitore la possibilità di

decidere su qualsiasi contenuto, potrà accadere ad esempio che l’accordo

abbia carattere liquidatorio.

Nella procedura di liquidazione dei beni l’universalità connota

inequivocabilmente la procedura di cui agli artt. 14-ter ss.

In entrambe le tipologie di accordo sono ammesse soddisfazioni

parziali dei creditori privilegiati.

Negli accordi di sovraindebitamento l’art. 7, comma 1, prevede

che la soddisfazione parziale sia possibile, purché il pagamento non sia

inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale

sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato

attribuibile ai beni o ai diritti su cui insiste la causa di prelazione e che ciò

sia attestato nella relazione degli Organismi di composizione della crisi.

Il contenuto degli accordi è, come già detto, pressappoco illimitato

in entrambe le procedure (l’effetto novativo può prodursi con falcidia,

datio in solutum, dilazione o libere modalità di adempimento), tuttavia

nell’ambito della soluzione ex art. 182-bis l. fall. è presente un’ulteriore

disposizione che subordina l’ammissibilità del contenuto alla previsione

211

che questo garantisca in ogni caso il pagamento integrale dei creditori non

aderenti all’accordo. Nei confronti dei creditori non aderenti la legge n.

134 del 2012 ha previsto una novazione con una dilazione di 120 giorni.

Negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 è prevista quale condizione di

ammissibilità che il piano assicuri il regolare pagamento dei titolari di

crediti impignorabili, oltre agli altri elementi indicati dal secondo comma

dello stesso articolo.

L’art. 8, comma 4, l. n. 3/2012 riconosce la possibilità di

prevedere negli accordi con continuazione di attività di impresa una

moratoria fino a un anno dalla omologazione per il pagamento dei crediti

muniti di privilegio, pegno e ipoteca, salvo che sia prevista la

liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

La sola dilazione di pagamento, e non anche la soddisfazione

parziale, è riconosciuta ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione

europea, all’imposta sul valore aggiunto e alle ritenute operate e non

versate.

L’art. 11 rappresenta l’unica disposizione in materia fiscale della l.

n. 3 del 2012 e prevede che “l’accordo cessa, di diritto, di produrre effetti

se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle

scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo il piano alle

amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e

assistenza obbligatorie”.

È inevitabile riconoscere che l’imprenditore agricolo in stato di

crisi preferirà un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.

fall. in quanto tale istituto, a seguito dell’intervento del d.lgs. n. 169 del

2007, prevede la possibilità per il debitore di proporre un pagamento

anche parziale dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali, anche se la

transazione fiscale ha tuttavia un limite rappresentato dalla impossibilità

del soddisfacimento dei crediti erariali in percentuale inferiore rispetto a

quella prevista a favore dei creditori che godono di un privilegio di grado

inferiore, se entrambi assistiti da privilegio, ovvero alla percentuale

212

garantita ai chirografari, quante volte i crediti erariali siano anch’essi

chirografari234.

La legge n. 3/2012 invece non effettua alcun richiamo alla

disciplina della transazione fiscale.

Per l’imprenditore agricolo quindi non è indifferente scegliere fra

sovraindebitamento e accordi di ristrutturazione, in quanto i secondi

garantiscono l’accesso alla transazione fiscale.

Un altro aspetto fondamentale nell’analisi della convenienza di

queste procedure è legato alla efficacia e vincolatività degli accordi.

L’efficacia dell’accordo ex art. 182-bis l. fall. deriva dalla mera

pubblicazione nel registro delle imprese, mentre per gli accordi ex art. 7 l.

n. 3/2012 deriva dall’omologazione dell’accordo ad opera del giudice.

L’accordo ex art. 182-bis l. fall. ha efficacia solo nei confronti dei

creditori aderenti, nei confronti dei non aderenti il debitore rimane

obbligato per l’intero.

Tra gli effetti che derivano dall’efficacia dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti si colloca l’esenzione dalla revocatoria

fallimentare che generalmente costituisce un aspetto fondamentale nella

scelta degli accordi ex art. 182-bis l. fall. Negli accordi ex art. 7 l. n.

3/2012 è previsto l’esonero dalla revocatoria fallimentare per tutti gli atti

e i pagamenti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato nelle

ipotesi in cui, successivamente rispetto all’attivazione della procedure di

sovraindebitamento, il richiedente soddisfi i requisiti ex art. 1, comma 2,

l. fall. Nell’ambito dell’imprenditore agricolo questo aspetto risulta

totalmente irrilevante data la sua esclusione dalla procedura fallimentare.

Entrambe le tipologie di accordo, ex art. 182-bis l. fall. ed ex art. 7

l. n. 3/2012, presentano effetti inibitori nei confronti delle azioni

esecutive e cautelari e nell’acquisto dei diritti di prelazione ad opera di

creditori aventi tiolo o causa anteriore.

234 A. CAIAFA, op. cit., p. 24.

213

Negli accordi ex art. 182-bis l. fall. l’effetto inibitorio si protrae

fino a sessanta giorni successivi alla data di pubblicazione nel registro

delle imprese.

Tale previsione non è finalizzata a garantire la par condicio

creditorum e ad attribuire elementi di concorsualità agli accordi ex art.

182-bis, ma piuttosto assicura che il patrimonio non venga eroso da azioni

esecutive e cautelari nella fase che precede l’omologazione. La norma è

finalizzata a proteggere i creditori aderenti all’accordo ancor prima del

debitore stesso.

Diversamente, in un ottica di garanzia della par condicio

creditorum, l’effetto inibitorio negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 si

protrae, a pena di nullità, a partire dal decreto di fissazione dell’udienza

finché il provvedimento di omologazione non diventa definitivo (la

sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili) e

nella procedura di liquidazione dei beni del patrimonio ex artt. 14-ter ss.

l. n. 3/2012, a pena di nullità, dal decreto di apertura del procedimento

(tra i crediti non compresi nella liquidazione dei beni sono individuati i

crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.)

L’art. 182-bis l. fall. non menziona la nullità come conseguenza

della violazione del divieto di azioni esecutive e cautelari; la previsione

che connota gli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 e i concordati preventivi ex

art. 168 l. fall. è invece assente negli accordi di ristrutturazione dei debiti,

probabilmente in luogo della diversa finalità che tale inibizione persegue

nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis l. fall.

La nullità produrrebbe la caducazione delle azioni e la perdita di

tutti gli effetti già prodotti.

Nel concordato preventivo l’inibizione ha lo scopo di tutelare

l’esecuzione del piano e il pagamento delle percentuali ivi previste, le

azioni esecutive invece impedirebbero il raggiungimento degli obiettivi

della soluzione concordata.

214

Negli accordi di ristrutturazione il blocco delle azioni esecutive e

cautelari è funzionale non alla riuscita del piano, ma al mantenimento del

patrimonio del debitore fino alla conclusione del procedimento e alla

omologazione dell’accordo.

Sembra dunque opportuno interpretare il comma 3 dell’art. 182-

bis l. fall. nel senso che le azioni cautelari o esecutive sul patrimonio,

iniziate dai creditori con titolo o causa anteriore alla data di pubblicazione

nel registro delle imprese, non producono alcuno effetto nei confronti del

patrimonio dell’imprenditore che abbia proposto un accordo di

ristrutturazione. Si verifica quindi una sospensione degli effetti delle

azioni che conservano così i loro effetti tipici in vista della scadenza

dell’intervallo di sessanta giorni dalla data di pubblicazione. Sul piano

processualistico si parla di improcedibilità delle azioni, che se non ancora

iniziate non potranno essere proposte, se iniziate non potranno essere

proseguite, ma piuttosto saranno sospese dal giudice una volta accertata la

pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese.

In luogo dell’intervento del legislatore, l’art.182-bis l. fall.

riformato prevede che il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari

o esecutive o di acquistare diritti di prelazione, se non concordati, da parte

dei creditori aventi titolo o causa anteriore, può essere richiesto

dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della

formalizzazione dell’accordo, depositando, oltre alla documentazione

richiesta (dall’art. 161, commi 1 e 2, lett. a), b), c) e d) l. fall.), una

proposta corredata dalla dichiarazione del professionista sulla idoneità

dell’accordo di garantire l’integrale soddisfacimento dei non aderenti e da

una dichiarazione dell’imprenditore avente natura di autocertificazione

attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che

rappresentano almeno il sessanta per cento dei debiti (art. 182-bis, comma

6).

L’art. 182-bis l. fall. prevede dunque una protezione automatica a

seguito della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese,

215

mentre nella fase precontrattuale la protezione del patrimonio del debitore

scaturisce da una decisione del giudice.

La vincolatività dell’accordo di ristrutturazione dei debiti si

rivolge ai soli creditori aderenti, non c’è alcuna coartazione delle ragioni

creditorie di coloro che non acconsentono.

L’effetto esdebitatorio si realizza invece negli accordi ex art 7 l. n.

3/2012 in luogo del consenso della maggioranza; l’efficacia dell’accordo

ex art. 7 nei confronti di tutti i creditori, anche dissenzienti, è garantito dal

cram down in caso di contestazioni di creditori dissenzienti o esclusi: il

giudice procede comunque all’omologa, nonostante le contestazioni,

quando ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione

dell’accordo in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria di cui agli

artt. 14-ter ss.

Nella procedura di liquidazione dei beni l’esdebitazione è solo

eventuale e accessoria, inoltre è subordinata alla presenza delle condizioni

esaminate nel Paragrafo 3.9., oltre al presupposto che a chiedere tale

beneficio sia il debitore persona fisica.

In sintesi, nel caso specifico dell’impresa agricola, l’effetto

esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori potrà essere raggiunto solo

con gli accordi di cui all’art. 7 della legge n. 3 del 2012, prevedendo la

disciplina degli accordi ex art. 182-bis l’integrale pagamento dei creditori

non aderenti. Nel caso di imprenditore agricolo, persona fisica, in stato di

sovraindebitamento passivo, l’esdebitazione potrà essere raggiunta anche

con lo strumento dell’art. 14-terdecies.

Per espressa previsione dell’art. 11, comma 3, l. n. 3/2012 gli

accordi non pregiudicano i diritti dei creditori nei confronti dei

coobbligati, garanti e fideiussori. Questa previsione rappresenta un

incentivo per i creditori muniti di idonee garanzie alla sottoscrizione

dell’accordo.

L’art. 11 della legge ripropone un principio cardine della logica

concordataria, il “principio di sopravvivenza delle garanzie nell’ambito

216

delle procedure concorsuali”. Regola questa che avvicina la composizione

della crisi alle soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art.

art. 184, secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui

all’art. 182-bis, poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una

riduzione del credito, ma la accetta consensualmente determinando anche

una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.

Un’altra differenza sostanziale fra le due tipologie di accordo

riguarda la fase esecutiva, la cui disciplina è completamente assente negli

accordi ex art. 182-bis l. fall., mentre è espressamente regolamentata per

gli accordi del debitore non fallibile nell’art. 13 l. n. 3/2012. Negli accordi

di ristrutturazione dei debiti la determinazione e le modalità di attuazione

dell’accordo sono evidentemente rimesse all’autonomia privata.

La procedura di risoluzione della crisi ex art. 182-bis l. fall. non

presenta alcun complesso di organi come accade, invece, nell’ambito

della procedura fallimentare o in quella concordataria; la composizione

della crisi da sovraindebitamento nella sua versione vigente, nonostante

presenti elementi di contiguità con le soluzioni concordate, non prevede

la nomina di un commissario giudiziale, mentre invece individua la

presenza di un apposito organismo (l’Organismo di composizione della

crisi) di ausilio al debitore che svolge importanti funzioni, anche di natura

pubblicistica, durante tutto l’arco del procedimento. Rinvio al Capitolo

quattro la trattazione della natura, delle finalità e delle funzioni degli

Organismi di composizione della crisi.

Sia l’accordo ex art. 182-bis l. fall. che l’accordo ex art. 7 l. n.

3/2012 sono soggetti al giudizio di omologa ad opera del tribunale

competente, tale giudizio non ha natura di controllo di opportunità, ma

piuttosto ha natura di controllo di regolarità formale, e solo in caso di

opposizioni o contestazioni da parte di qualche creditore o altro

interessato, ha natura di controllo di legittimità sostanziale sulla effettiva

attuabilità del piano concordato tra imprenditore e creditori.

217

Il giudizio di omologa, in entrambe le tipologie di accordo, ha la

forma di un procedimento camerale puro: nella disciplina degli accordi di

sovraindebitamento si richiamano le disposizioni di cui agli artt. 737 ss.

c.p.c., mentre per gli accordi di ristrutturazione dei debiti si rinvia al

camerale puro in luogo del richiamo generico alla camera di consiglio. Il

reclamo avverso il procedimento di omologa viene presentato di fronte

alla Corte d’appello.

In merito alla figura del difensore tecnico, in luogo del carattere

contenzioso del giudizio di omologa, gli accordi ex art. 182-bis l. fall.

necessitano della difesa tecnica.

Il legislatore non ha espressamente previsto la difesa tecnica del

debitore che presenta la proposta di accordo ex art. 7 l. n. 3/2012, e la

funzione attribuita dalla legge agli OCC non coincide con quella di

rappresentanza processuale.

Il Tribunale di Vicenza ha invece manifestato un’opinione diversa,

stabilendo che “è necessaria l’assistenza tecnica del debitore poiché: 1) la

proposta è una domanda giudiziale con il fine di comporre una crisi

finanziaria e si è in presenza di interessi contrapposti; 2) il ricorso è

introduttivo di una procedura; 3) la procedura si svolge davanti ad un

tribunale; 4) la procedura presenta fasi potenzialmente contenziose.

L’assistenza di un legale che assista il debitore può non essere necessaria

se nell’OCC che concretamente presenta la domanda vi sia anche un

legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della

stessa”235.

Negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 la relazione è di competenza

degli Organismi di composizione della crisi che redigono una prima

relazione da depositare contestualmente alla domanda del debitore e una

relazione definitiva in occasione del giudizio di omologa. La stessa

giurisprudenza di merito, citata in precedenza, ha comunque riconosciuto

al sovraindebitato la possibilità di avvalersi per la redazione del piano di 235 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php

218

un soggetto di sua fiducia, ma sarà comunque l’OCC che, in ogni caso,

dovrà far proprio, condividendolo, il piano redatto dal professionista

privato, dovendone verificare inoltre veridicità e fattibilità.

Della attestazione di fattibilità ne rispondono penalmente gli OCC

nelle ipotesi e secondo le pene individuate dall’art. 16 della l. n. 3 del

2012.

Sulle sanzioni penali del debitore non fallibile e dell’organismo di

composizione della crisi si forma un’ulteriore differenza rispetto agli

accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis che, invece, non

disciplinano un apparato sanzionatorio a carico del richiedente.

La relazione sulla fattibilità del piano negli accordi ex art. 182-bis

l. fall. spetta al revisore dei conti iscritto all’albo degli avvocati o dei

dottori commercialisti. La nomina del professionista, che deve inoltre

risultare indipendente, è rimessa al debitore nell’ipotesi ex art. 182-bis l.

fall., in merito alla nomina dell’OCC si rimanda al Paragrafo 4.1.

Il professionista che redige la relazione nell’ambito degli accordi

ex art. 182-bis l. fall. è, rispetto al debitore mandante, responsabile

contrattualmente ex art. 1218 c.c., ritenendo comunque applicabile la

limitazione di cui all’art. 2236 c.c. che esclude la responsabilità per colpa

lieve in caso di problemi tecnici di particolare difficoltà; si reputa altresì

ammissibile l’applicazione dell’art. 1229 c.c. per effetto di specifiche

clausole di esonero della responsabilità236.

Nel Paragrafo che segue verranno indicati, sommariamente, i

principali aspetti critici che incidono sulla disciplina della composizione

della crisi da sovraindebitamento e che sono emersi nell’arco della

trattazione delle tre procedure offerte dal legislatore al debitore non

fallibile in stato di crisi.

236 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1246.

219

6.2. Considerazioni conclusive e criticità persistenti nella legge n. 3

del 27 gennaio 2012

Dal presente elaborato, e nello specifico nel primo Capitolo, è

emerso che fino all’intervento del decreto Crescita-bis la legge n. 3 del

2012, nella sua versione originaria, non presentava né una struttura né una

disciplina tale da appianare tutte le questioni che la sua assenza aveva

invece sollevato negli anni.

La versione originaria della legge aveva spinto già i primi

commentatori a sostenere l’urgenza di un ulteriore intervento in materia.

Il decreto Crescita-bis ha infatti destabilizzato l’impianto della

legge n. 3/2012 nella sua versione previgente, apportando modifiche

sostanziali alla disciplina, meglio interpretando le aspettative che

soggiacevano alla novella e superando molte delle perplessità che

emergevano dal testo originario.

Tuttavia, per quanto l’intervento del decreto legge sia stato

contestualmente innovativo e correttivo, la legge continua a presentare

criticità nuove o ereditate dalla sua versione originaria.

Il decreto Crescita-bis supera, in parte, la “promiscuità”237 del

regime previgente, il quale attribuiva un unico procedimento di

composizione della crisi da sovraindebitamento a soggetti diversi fra loro

a cui facevano capo situazioni debitorie completamente diverse.

Il vigente testo sembra apparentemente distinguere tra

imprenditore commerciale e consumatore, ma in realtà non ha proposto

una distinzione netta fra le varie tipologie di insolvenza, infatti, a

prescindere dall’ipotesi del piano del consumatore per colui che si trova

in stato di sovraindebitamento passivo, l’accordo di cui all’art. 7 può

essere attivato da un imprenditore commerciale sotto soglia, da un

imprenditore agricolo, da un imprenditore commerciale non più fallibile

ex art. 10 l. fall., da un libero professionista, dal consumatore o dal 237 È così definita la condizione conseguente alla previsione della previgente disciplina di circoscrivere l’applicabilità dell’accordo a tutti coloro che non sono assoggettabili alle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare, in merito v. S. PACCHI, op. cit., p. 717.

220

debitore civile in generale. Quindi una situazione di promiscuità risulta

comunque, in piccola parte, persistente e risulta poco comprensibile

nell’ambito di un ordinamento che invece ha dedicato all’impresa una

specifica e speciale disciplina.

In dottrina è stato evidenziato come l’attuale versione della legge

abbia abbandonato il profilo relativo al sovraindebitamento delle

famiglie, presente invece nella proposta di legge Centaro238.

Il nucleo familiare viene preso in considerazione solo per la

determinazione della quota di reddito necessaria per le spese correnti del

debitore, ma non costituisce un elemento di valutazione delle ragioni del

sovraindebitamento.

Invece sarebbe stata conveniente per il debitore una valutazione

del livello complessivo di indebitamento della famiglia, poiché spesso i

familiari risultano essere coobbligati del debitore principale a causa di

garanzie patrimoniali o personali offerte o in luogo del regime della

comunione legale fra i coniugi.

Eppure l’art. 11 dispone diversamente da una simile

considerazione: “l’accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei

confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di

regresso”. Regola questa che avvicina la composizione della crisi alle

soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art. art. 184,

secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui all’art.

182-bis l. fall., poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una

riduzione del credito, ma la accetta consensualmente determinando anche

una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.

La previsione di salvezza manca nella procedura di liquidazione

dei beni di cui agli artt. 14-terdecies ss., tuttavia parte della dottrina la

ritiene comunque operante239.

238 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1263 ss. 239 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 799.

221

Altra dottrina autorevole sostiene come la previsione della

salvezza dei diritti dei creditori verso coobbligati, garanti e fideiussori

costituisca una deviazione rispetto al principio generale della

propagazione degli effetti favorevoli ai coobbligati in solido di cui all’art.

1301 c.c. e, di conseguenza, è operante solo nei casi in cui sia

espressamente prevista dalla legge; inoltre tale salvezza rischia di gravare

sulla famiglia stessa del debitore esdebitato, poiché è sovente che siano

gli stessi familiari a rivestire la posizione di coobbligati o fideiussori240.

Se il garante è un familiare questo potrà attivare un’autonoma

procedura di composizione della crisi, a fronte di questa possibilità è

necessario interrogarsi sulla convenienza di duplicare le procedure, sia in

termini di costi e tempi, rispetto a situazione dove piuttosto sarebbe stata

auspicabile una considerazione complessiva.

Il profilo della salvezza dei coobbligati rischia di esautorare il

ruolo e l’importanza riconosciuta alla legge n. 3 del 2012, anche in

termini di strumento di protezione sociale, e questo non solo nell’ambito

della procedura di esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies, ma anche in

riferimento all’effetto esdebitatorio che si produce con l’accordo del

debitore o il piano del consumatore.

Il non aver considerato la dimensione familiare può comportare il

rischio di un debito residuo che si sposta da componente in componente

familiare, nonché la necessità che ogni coobbligato, familiare del

debitore, apra procedure volte alla liberazione dagli stessi debiti.

In merito al presupposto oggettivo, rimando invece al Paragrafo

2.1. l’analisi del significato della dubbia espressione “patrimonio

prontamente liquidabile”; è comunque necessario sottolineare quanto già

emerso nei precedenti Capitoli, il legislatore non ha fornito una

descrizione di sovraindebitamento che distingua in modo chiaro tale

fenomeno da quello di insolvenza e di crisi.

240 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2077.

222

Parte della dottrina si è chiesta quali potessero essere le

motivazioni e quali le conseguenze per la previsione di una riserva

dell’iniziativa attribuita al solo debitore rispetto ai creditori che subiscono

l’arresto delle iniziative esecutive e cautelari o dell’acquisto di diritti di

prelazione sul patrimonio del ricorrente, visto che non è nemmeno

configurabile, salvo particolari ipotesi, un fallimento241.

Tante altre sono le criticità che la legge presenta, alcune di queste

sollevano dubbi in merito alla legittimità costituzionale di alcune

disposizioni.

La fase dell’omologazione solleva dubbi in merito al rispetto del

principio costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. in quanto non è previsto

che le parti abbiano diritto a comparire e ad essere sentite dal giudice, né

che sia garantito il diritto al contraddittorio. La ragione di tale silenzio

può essere rintracciata “nella volontà del legislatore di semplificare il

procedimento, rendendolo vuoto di orpelli e formalismi, tuttavia la

garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale appare ingiustamente

sacrificata”242. Il legislatore non ha tenuto conto delle critiche che erano

state formulate sulla versione previgente della legge n. 3/2012, nello

specifico sulla mancata previsione del contraddittorio in occasione del

giudizio sulla fattibilità del piano e prima della decisione del giudice.

Tuttavia è da ritenere che il rispetto di tale principio comporti che il

giudice debba provvedere in tal senso243.

Parte della dottrina ha definito il piano del consumatore come un

procedimento “anomalo per il nostro ordinamento, che si espone

fortemente al sospetto di incostituzionalità, quantomeno per la lesione

dell’art. 24 Cost”, poiché la procedura “di fatto preclude ai creditori del

consumatore, che abbia ottenuto l’omologazione del piano proposto e che

241 G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012, n. 3), in Fallimento, 2013, p. 814. 242 M. FABIANI, op. cit., p. 12. 243 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 11

223

lo abbia regolarmente eseguito, di agire in giudizio a tutela dei propri

diritti”244.

Oltre alle criticità sopra menzionate la legge n. 3 del 27 gennaio

2012, così come modificata dal d.l. n. 179/2012, presenta numerosi vuoti

normativi.

Più esplicitamente il lettore si scontra con tale incompletezza nella

parte della novella dedicata alla liquidazione dei beni del patrimonio del

debitore non fallibile (artt. 14-ter ss.): il legislatore nell’ambito di tale

procedura non appresta una specifica disciplina in merito agli atti

pregiudiziali, né ai contratti in corso di esecuzione, né alle forme di

prosecuzione aziendale.

Nelle disposizione in materia di liquidazione si trovano iscritte,

non sempre rispettando la massima corrispondenza, alcune regole dettate

anche per il fallimento, senza mai che sia operato un rinvio esplicito alla

legge fallimentare, salvo alcune rare eccezioni già individuate nel

Paragrafo 3.1. La conseguenza di una simile impostazione è l’assenza di

una norma di chiusura che consenta di colmare le lacune che il testo

invece presenta.

La legge n. 3 del 2012 non appresta una specifica disciplina con

riferimento ai rapporti giuridici preesistenti nell’ambito della liquidazione

dei beni, per cui il dubbio che sorge è se il liquidatore possa richiedere al

giudice di sospendere o sciogliere i rapporti in corso nell’interesse dei

creditori. La mancanza di una norma come l’art. 72 l. fall., che consente il

superamento del principio pacta sunt servanda, sembrerebbe far deporre

in senso negativo, tuttavia l’uso del condizionale è necessario in quanto in

tutte le procedure concorsuali tradizionali è prevista una

regolamentazione specifica per i contratti pendenti, che offre agli organi

della procedura, e nell’ipotesi del concordato allo stesso debitore, di

sciogliersi dal vincolo negoziale, salvaguardando così il patrimonio

244 E. SABATELLI, Prime osservazioni su una disciplina in itinere: la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, in Il fallimentarista, 7 novembre 2012, p. 11.

224

responsabile245.

L’assenza di una specifica disciplina può essere legata alla

circostanza che nell’ambito dei soggetti che fruiscono della novella la

regolamentazione della sorte dei contratti pendenti non assume la stessa

rilevanza che assume quando il protagonista della procedura concorsuale

sia un imprenditore commerciale fallibile, però, è anche vero che, ad

accedere alla composizione della crisi da sovraindebitamento possono

essere imprese agricole, anche grandi, che al momento dell’apertura della

procedura potrebbero presentare una grande quantità di contratti in corso

di esecuzione. Sarebbe stata chiaramente più opportuna una

regolamentazione specifica sulla questione.

Un altro vuoto normativo che caratterizza la disciplina della

liquidazione riguarda la fase di riparto dell’attivo, completamente assente

nella legge n. 3/2012.

Un grave limite della disciplina consiste nella mortificazione della

dimensione processuale, avendo il legislatore ritenuto opportuno

cameralizzare tutte le fasi del procedimento di liquidazione246. Sono

inoltre generici i rinvii alla disciplina camerale attraverso il mero

richiamo degli artt. 737 ss. c.p.c.

Un altro aspetto critico legato alla soluzione liquidatoria attiene

alle condizioni richieste per la presentazione della domanda di

liquidazione: far subordinare l’ammissibilità della domanda alla

condizione che non siano posti in essere atti in frode ai creditori appare

fortemente discutibile, poiché l’altra possibilità di accesso alla stessa

procedura in esame è data proprio dal fallimento delle procedure di

accordo o di piano del consumatore, intervenuto per il compimento da

parte del debitore di atti in frode ai creditori.

Un altro elemento dolente della procedura di liquidazione risulta

245 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 788. 246 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 67

225

essere l’accesso al beneficio dell’esdebitazione. La difficoltà di accesso a

tale istituto manifesta la natura premiale e rieducativa dello stesso, le

condizioni di meritevolezza previste per il debitore persona fisica sono

talmente gravose che il fresh start per questi debitori rischierà,

probabilmente, di rimanere solo sulla carta247.

L’assenza di una disciplina simile alla revocatoria fallimentare

costituisce nell’effettivo un punto debole nella promozione di tali

procedure. La revocatoria fallimentare si rivolge a tutti quegli atti che

ledono il principio della par condicio creditorum, per cui il pagamento

dei debiti scaduti è oggetto di revocatoria, così come la vendita o

l’acquisto di un bene a un prezzo conforme a quello di mercato se sono

idonei ad alterare la parità di trattamento fra i creditori. La revocatoria

fallimentare si basa sulla presunzione che un atto compiuto dal debitore a

seguito della dichiarazione di fallimento alteri di per sé stesso la par

condicio creditorum.

Nella composizione della crisi da sovraindebitamento è piuttosto

operante la revocatoria ordinaria e rinvio al Paragrafo 3.4. la trattazione

specifica dell’istituto nell’ambito del sovraindebitamento.

Inoltre sono previste nella l. n. 3/2012 esenzioni da revocatoria

fallimentare solo per quei pagamenti e atti posti in essere in esecuzione

dell’accordo omologato (art. 12, comma 5) nelle ipotesi in cui sia

sopravvenuta una dichiarazione di fallimento.

Il legislatore nella costruzione della procedura di liquidazione ex

artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012 incorre in errori abbastanza evidenti.

Il riferimento è all’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. b), che,

nell’ambito della procedura di liquidazione, espressamente richiama la

fase di omologazione, stabilendo che sia il decreto stesso a disporre che

sino al momento in cui il decreto di omologazione diventi definitivo, non

possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive

247 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 608.

226

o cautelari, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di

liquidazione da parte dei creditori aventi causa o titolo anteriore.

La disposizione in commento presenta due evidenti errori: il primo

ha ad oggetto il richiamo ad un decreto di omologazione che nella

procedura di liquidazione manca; il secondo riguarda il fatto che il

legislatore probabilmente voleva riferirsi piuttosto che al decreto di

omologa al decreto di apertura del procedimento, ma anche riferendosi a

quest’ultimo la norma non sarebbe in grado di escludere l’aggressione

esecutiva individuale dei beni del debitore da parte dei creditori per tutta

la durata della procedura di liquidazione, che deve avere una durata non

superiore ai quattro anni, durante i quali i beni sopravvenuti vanno a

confluire nel patrimonio espropriato. In merito al richiamo operato dalla

norma al decreto di omologazione, la giurisprudenza di merito ha

manifestato un’opinione diversa rispetto a quella appena considerata per

cui il legislatore farebbe riferimento in realtà non al decreto di apertura,

ma al decreto di chiusura della procedura di cui all’art. 14-nonies, comma

cinque: questa assimilazione permetterebbe di superare il problema sopra

evidenziato248.

Qualsiasi procedimento di composizione della crisi il debitore

scelga, la legge in ogni caso individua poliedriche funzioni in capo agli

Organismi di composizione della crisi. Rinvio al Paragrafo 4.2. l’analisi

dei compiti e dei poteri che la legge attribuisce agli OCC e la trattazione

del conflitto di interessi che scaturisce dall’attribuzione di tali

competenze.

Le procedure di cui alla legge n. 3 del 2012 non sono state inserite

tra le procedure propriamente concorsuali di cui all’Allegato A) del

regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346, né in quelle liquidatorie di cui

all’Allegato B) dello stesso testo normativo. Tale mancato inserimento

impedisce la valenza transfrontaliera delle procedure ivi esaminate, cioè

non risultano opponibili nei confronti di una procedura concorsuale

248 Tribunale di Terni, 20 dicembre 2013, in Il fallimentarista, 3 aprile 2014.

227

pendente all’interno dell’unione Europea. La conseguenza è che una

procedura fallimentare attivata in uno stato comunitario potrà

assoggettare alla liquidazione anche beni che si collocano sul territorio

italiano e che interessano invece la composizione della crisi da

sovraindebitamento secondo una delle procedure di cui alla l. n. 3 del

2012.

Inevitabile concludere con la valutazione che la legge n. 3 del

2012 ha probabilmente tradito le aspettative che avevano motivato il suo

avvento.

Se la prospettiva della disciplina era quella di ridurre la mole di

lavoro dei tribunali italiani, l’intento deflattivo non sembra effettivamente

realizzabile in luogo di un eccesso di giurisdizionalizzazione delle

procedure. Né è stato riservato adeguato spazio all’auspicata cultura

d’impresa.

La legge ha realizzato uno strumento macchinoso, un groviglio di

procedimenti e sub-procedimenti, termini, decadenze, oneri e difficoltà

burocratiche le quali risultano eccessive rispetto alla snellezza e alla

semplicità che invece avrebbero dovuto caratterizzare la novella.

Il timore che sembra emergere è quello di una disciplina che possa

determinare un effetto di segno contrario rispetto all’aspettativa

deflattiva249.

Sarà la pratica piuttosto a smentire quanto appena detto, tuttavia

molte sono le voci in dottrina che non ritengono definitivo l’attuale

assetto della materia e alcune suppongono, altre invece auspicano, che in

un futuro, possibilmente prossimo, vi sia un qualche ripensamento.

Un sentimento non certo isolato quello appena descritto, almeno

così appare a seguito del decreto del 28 gennaio 2015 con cui il Ministro

di Giustizia ha istituito una commissione incaricata, ancora una volta, di

249 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 608.

228

valutare la necessità di ulteriori interventi normativi di ricognizione e

riordino della disciplina delle procedure concorsuali.

Non rimane altro che riconoscere che sarà proprio il futuro

prossimo ad attribuire torti e ragioni.

229

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