il sovraindebitamento del debitore non fallibile. le soluzioni alla crisi dopo il decreto...
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INDICE
CAPITOLO I
Il sovraindebitamento del debitore non fallibile: dalla responsabilità perpetua alla
ristrutturazione del debito
1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della
disciplina e il bisogno di concorsualità…………………………………………4
1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei
debiti……………………………………………………………...……………10
1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina
originaria………………………………………………………………………15
1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della
crisi da sovraindebitamento……………………………………………………22
1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da
sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure
concorsuali…………………………………………………………………….29
CAPITOLO II
Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’accordo del
debitore e il piano del consumatore
2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica
al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con
l’art. 5 l. fall……………………………………......………………………….43
2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore
agricolo e gli altri identificabili per esclusione……………..………………....49
2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità,
contenuto e deposito…………………………………………………………...55
2.4. Il giudizio di ammissibilità…………………………………….........................63
2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La
procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore……....72
2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del consumatore: la
procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di
merito………………………………………………………………………….76
2.7. La fase esecutiva………………………………………………........................89
2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore: le
conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi giudiziali………………………..93
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CAPITOLO III
La terza procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’alternativa
liquidatoria e l’eventuale esdebitazione
3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le condizioni di
ammissibilità e la domanda di liquidazione………………………………….100
3.2. La conversione della procedura di composizione della crisi nella soluzione
liquidatoria…………………………………………………………………...108
3.3. Il decreto di apertura…………………………………………........................110
3.4. Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies a confronto con la dichiarazione di
fallimento: gli effetti nei confronti del debitore e dei creditori, l’azione
revocatoria ordinaria e i rapporti
preesistenti……………………………………………………………………115
3.5. La formazione dello stato passivo……………………………………………125
3.6. Le attività del liquidatore: elementi di confronto con il curatore
fallimentare…………………………………………………………………...130
3.7. Il patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela……………………136
3.8. La disciplina mancante: la ripartizione dell’attivo…………………………...141
3.9. La disciplina dell’esdebitazione: requisiti strutturali e procedurali…...…......144
CAPITOLO IV
Gli organismi di composizione della crisi
4.1. Le finalità, le caratteristiche principali e la natura giuridica degli OCC. La
nomina…………….………………………………………………………....156
4.2. Il registro degli OCC e il Decreto ministeriale n. 202 del 24 settembre
2014………………………..………………………………………………...164
4.3. I compiti attribuiti agli Organismi di composizione della crisi e il potenziale
conflitto di interessi………………………………………………………….173
4.4. L’accesso alle Banche dati pubbliche…………………………………….....178
CAPITOLO V
Le sanzioni penali
5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della procedura di
composizione della crisi ………………………..............................................184
5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la procedura di
composizione della crisi……………………………...………………………189
5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione della
crisi…………………………………………………………………………...192
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CAPITOLO VI
Spunti per un’ulteriore analisi: l’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l.
fall. e la l. n. 3/2012. Osservazioni conclusive in merito alle procedure di composizione
della crisi da sovraindebitamento e relative criticità
6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la l. n.
3/2012
6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure concorsuali
all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l.
fall………………………………………………………………………196
6.1.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione ex art.
182-bis l. fall. o l. n. 3/2012?..............................................................................206
6.2. Considerazioni conclusive e criticità persistenti nella legge n. 3 del 27 gennaio
2012…………………………………………………………………………….219
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………..229
GIURISPRUDENZA…………………………………………………………………237
SITOGRAFIA………………………………………………………………………...239
RINGRAZIAMENTI………………………………………………………………...240
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CAPITOLO I
Il sovraindebitamento del debitore non fallibile:
dalla responsabilità perpetua alla ristrutturazione del debito
Sommario: 1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento
italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità - 1.2.
L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei debiti - 1.3.
La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria - 1.4. Il
decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della
crisi da sovraindebitamento - 1.5. La natura concorsuale dei procedimenti
di composizione della crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le
altre procedure concorsuali
1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano:
le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità
Il debitore non fallibile è il destinatario della disciplina speciale in
materia di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dalla
legge n. 3 del 2012; la normativa si discosta da quella rappresentazione
del rapporto tra insolvenza civile e insolvenza commerciale che si traduce
nell’esclusione del debitore civile dal fallimento, oltre che dalla fruizione
del beneficio dell’esdebitazione e dalla possibilità di accesso alle
soluzioni concordate.
Il debitore non fallibile, secondo la disciplina originaria, è soggetto
alla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. che trasforma il
patrimonio dell’obbligato in una garanzia generica del credito, mentre
l’imprenditore commerciale fallibile ha la tutela e i benefici che derivano
dalla soggezione al fallimento.
La legge n. 3 del 2012 e, nello specifico, le modifiche apportate
dall’intervento del d.l. n. 179 del 2012, mitigano queste differenze
5
attraverso la disciplina di tre distinte procedure concorsuali1: l’accordo di
ristrutturazione dei debiti del debitore civile e il piano del consumatore
disciplinati dall’art. 7; la procedura di liquidazione del patrimonio del
debitore ex artt. 14-ter ss.
I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento
sono attivabili dal debitore non fallibile solo a fronte di una situazione di
“sovraindebitamento conclamato”2 e consentono di ristrutturare il debito,
di vincolare tutti i creditori, anche i dissenzienti3, e nel caso specifico
della liquidazione dei beni del debitore di accedere, se sussistono tutte le
condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione che prima della legge
n. 3 del 2012 era a esclusivo appannaggio del solo imprenditore
commerciale fallito.
Prima di procedere all’analisi della disciplina originaria in materia
di sovraindebitamento, è necessario comprendere che cosa si intenda per
debitore non fallibile.
L’espressione fa riferimento a tutti quei soggetti esclusi dalla
disciplina del fallimento in quanto non soddisfano i requisiti richiesti
dall’art. 1 della legge fallimentare: gli imprenditori commerciali che non
1 Sulla dubbia natura concorsuale della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta con la legge n. 3 del 2012 e in merito all’evoluzione della qualificazione in termini di concorsualità a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 179 del 2012 si rimanda al Paragrafo cinque del presente Capitolo. Nello specifico, per una definizione in termini di concorsualità delle nuove procedure di composizione della crisi v. D. VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto <<oggettivamente>> concorsuale, in Dir. Fall., 2012, p.764 ss. Sempre sulla natura concorsuale delle procedure di composizione della crisi v. F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013, p. 11. Per un’opinione diversa v. V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Riv. dir. comm., 2013, p. 654 ss. 2 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., 2013, p. 1246. 3 Il piano del consumatore non richiede il raggiungimento di un consenso tra debitore e creditori rappresentanti una certa percentuale dell’ammontare del credito. Per l’omologazione del piano del consumatore è sufficiente la positiva deliberazione del tribunale sulla fattibilità dello stesso, mentre i creditori possono contestare solamente la convenienza del piano omologato.
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raggiungono le soglie di fallibilità4; i piccoli imprenditori ai sensi dell’art.
2083 c.c.; gli imprenditori agricoli; i consumatori; gli altri debitori civili;
gli enti non commerciali; i soci di società di persone assoggettabili al
fallimento della società in estensione ai sensi dell’art. 147 l. fall.
La ragione dell’esclusione dalla disciplina del fallimento del
debitore civile è individuata dalla Corte Costituzionale nella natura
dell’attività da essi esercitata, “giacché lo svolgere attività commerciale
organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa
da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale
l’aver limitato alla prima la disciplina, né sono arbitrari i motivi di tale
limitazione”5.
L’individuazione a fronte di una situazione di crisi di diversi
strumenti riconosciuti all’imprenditore commerciale rispetto al debitore
civile, secondo la Corte, dipende dagli effetti pregiudizievoli che sono
prodotti dall’insolvenza civile rispetto all’insolvenza commerciale, nel
senso che tali effetti nel primo caso si rivolgono esclusivamente ai singoli
rapporti obbligatori intrattenuti dal debitore, mentre il dissesto
commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale: il
pregiudizio coinvolge il ceto dei creditori, il sistema creditizio e il
fondamento della vita del commercio6.
4 Perché possa essere dichiarato il fallimento il debitore (imprenditore commerciale) deve aver superato i limiti patrimoniali e reddituali fissati dal secondo comma dell’art.1 l. fall. Non è soggetto al fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso dei seguenti requisiti: a)aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b)aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c)avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiori ad euro cinquecentomila. Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministero della giustizia sulla base delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo, per adeguarli alla svalutazione monetaria. È sufficiente aver superato anche uno solo di questi limiti per essere esposti al fallimento. 5 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 6 Corte Cost. 23 marzo 1970, n. 43 v. SPAGNUOLO, Le ragioni dell’esclusione dal fallimento del debitore civile, in La nuova legge fallimentare <<rivista e corretta>>, 2008, p. 445.
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Il diverso trattamento previsto dalla legge per l’insolvenza civile e
per l’insolvenza commerciale sfugge al giudizio di conformità ai principi
costituzionali, rientrando nell’area delle scelte discrezionali del
legislatore7.
“L’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore e
dell'insolvente civile si basa su una valutazione di politica economica-
sociale e di opportunità giuridica” 8 , tale esclusione sembrerebbe
proporzionale rispetto al grado di allarme sociale generato dal fenomeno
della crisi, per cui le procedure concorsuali si rivolgono alle sole imprese
di non modeste dimensioni per le ripercussioni che un loro dissesto può
produrre nell’economia generale, un’esigenza non ravvisabile negli altri
casi9.
A fronte di questa esclusione dal fallimento, la disciplina
originaria assoggetta il debitore non fallibile alla responsabilità
patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.: l’obbligato risponde
all’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti
e futuri.
Ne deriva “una responsabilità potenzialmente perpetua” 10 per
l’insolvente civile, dovendo rispondere anche con i beni e i crediti che
verranno eventualmente ad esistenza.
In una posizione diversa si colloca invece l’imprenditore
commerciale, il quale, in caso di insolvenza, ha la possibilità di liberarsi
dalle obbligazioni non soddisfatte attraverso una proposta di concordato
preventivo o, in caso di dichiarazione di fallimento, di concordato
fallimentare, o attraverso l’istituto dell’esdebitazione di cui all’art. 142 l.
fall.
7 Corte Cost. 27 luglio 1982, n. 145, in Foro.it, 1982, I, 3006. 8 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 9 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, in Dir. Fall., 2013, p. 565 . 10 A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21.
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Procedendo nell’analisi della figura dell’insolvente non fallibile, la
regolamentazione originaria non offre al debitore civile una possibile
rimessione dei debiti, e la ragione che circoscrive la fruizione
dell’esdebitazione al solo imprenditore commerciale fallibile è ricollegata
alla presenza di un’attività economica la cui ripresa è conveniente per il
fallito stesso che, tornato in bonis, potrà continuare a “fare impresa”, e
per il mercato che potrà sfruttare il “ricambio imprenditoriale”11.
Il motivo per cui il debitore civile, e nello specifico il
consumatore, viene estromesso dalla possibilità di liberarsi dalle
obbligazioni non soddisfatte è rintracciabile nel fatto che le persone
fisiche hanno un impiego del denaro più libero e gli eventi che causano
l’insolvenza possono avere diversa natura ed essere al di fuori della sfera
di controllo del creditore o dello stesso debitore12.
È inevitabile riconoscere che la previsione di un’esdebitazione a
favore di questa categoria di insolventi è invece una soluzione
“apprezzabile, oltre che socialmente e umanamente, anche
economicamente consentendo al soggetto che ne beneficia di risollevarsi
ricominciando un’attività lavorativa e una vita dignitosa”13.
Dall’altra parte del rapporto obbligatorio si colloca il creditore
che, in luogo della disciplina originaria, ha come unica tutela lo strumento
dell’esecuzione individuale.
Attraverso l’esecuzione individuale l’ordinamento accorda
rilevanza all’interesse del singolo creditore ad ottenere la soddisfazione
della propria pretesa, il quale però si scontra con gli interessi che fanno
capo a tutti gli altri creditori dell’insolvente.
La disciplina generale inoltre rafforza le prerogative individuali
dei creditori dell’insolvente attraverso la regola dettata dall’art. 1186 c.c.
11 S. PACCHI, Il sovraindebitamento. Il regime italiano, in Riv. dir. comm., 2012, p. 673. 12 B. PENAS MOYANO-D. PORRINI, Il sovraindebitamento delle famiglie: il rimedio del debitore e l’esperienza spagnola, in http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=209&cf=2, p. 21. 13 S. PACCHI, op. cit., p. 672.
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che individua proprio nell’insolvenza una delle cause della decadenza del
debitore dal beneficio del termine a suo favore.
Il risultato che ne scaturisce è che tutti i creditori, sia quelli muniti
di titolo scaduto, sia quelli muniti di titolo non scaduto, possono
immediatamente esercitare l’azione esecutiva sul patrimonio
dell’insolvente.
Dall’altra parte i pagamenti effettuati dal debitore spontaneamente
relativi a debiti scaduti risultano irrevocabili alla stregua di quanto
affermato nel terzo comma dell’art. 2901 c.c.
L’art. 1886 c.c. rappresenta, come già detto, uno strumento con
cui si rafforzano le prerogative dei singoli creditori e con cui
contestualmente si rende inoperante la distinzione fra titolari di crediti
scaduti e titolari di crediti non scaduti e di conseguenza la preferenza
riconosciuta ai primi.
L’art. 2741 c.c., affermando che i creditori hanno eguale diritto di
essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di
prelazione, stabilisce in realtà una par condicio creditorum diversa da
quella che si instaura col fallimento: il conflitto non riguarda tutti i
creditori, ma soltanto quelli che hanno preso parte alla singola
esecuzione; la distribuzione del ricavato non riguarda il valore dell’intero
attivo, ma il ricavato della vendita coattiva dell’elemento nei cui confronti
è stata esercitata l’azione esecutiva.
A fronte di questa breve analisi, ciò che risulta è un bisogno di
concorsualità che è manifesto nei creditori non professionali, i quali non
facendo ricorso, a differenza di banche ed istituti finanziari, alle cc.dd.
Centrali rischi, non hanno la possibilità di effettuare una valutazione
preventiva dello stato di insolvenza del debitore non fallibile.
Tale bisogno di concorsualità, è avvertito dai creditori non
professionali piuttosto che dalle banche e dagli istituti finanziari, poiché
quest’ultimi potendo conoscere l’insolvenza del proprio debitore possono
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attivarsi con tempestive azioni esecutive per la soddisfazione delle
proprie ragioni.
Per banche e istituti finanziari sembrerebbe auspicabile che
l’apertura di una procedura concorsuale non avvenga, perché sarebbero
obbligate a concorrere con altri creditori e a soggiacere alle tempistiche
necessarie per la conclusione della procedura.
Al contrario, il creditore non professionale non avendo a
disposizione strumenti per una valutazione preventiva dello stato di
insolvenza del debitore, non è detto che attivi tempestivamente la
procedura esecutiva, per cui la concorsualità nella procedura contro
l’insolvente civile risulterebbe per questi creditori preferibile per la tutela
dei loro diritti.
Nei paragrafi successivi del presente Capitolo l’analisi si
concentrerà sull’individuazione dei passaggi legislativi che hanno
condotto alla formulazione dell’attuale testo della l. n. 3 del 2012,
tenendo in considerazione i due poli della disciplina che fanno capo
rispettivamente all’interesse del debitore e del creditore: la
ristrutturazione del debito e la prospettiva dell’esdebitazione da una parte,
la parità di trattamento dall’altra.
1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei
debiti
La legge n. 3 del 2012 è il risultato di un iter legislativo
particolarmente complesso che ha avuto origine con l’approvazione
unanime da parte del Senato il 1 aprile 2009 del c.d. disegno di legge
Centaro, dal nome del parlamentare proponente.
Dopo una giacenza di oltre due anni la proposta viene modificata
dalla Camera il 26 ottobre del 2011 e definitivamente approvata dal
Senato il 17 gennaio 2012, per divenire l. n. 3 del 2012 pubblicata nella
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Gazzetta ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2012 ed entrata in vigore il
trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione.
Il secondo capo della legge, prima di essere modificato dal d.l. n.
179 del 2012, recitava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione,
nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”.
Contestualmente, o più precisamente durante il periodo in cui la
legge in analisi si trovava ancora in Senato per la seconda lettura, il
Governo è intervenuto sulla materia con il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212,
recante “Disposizioni urgenti in materia di composizione della crisi da
sovraindebitamento e disciplina del processo civile”, pubblicato nella
Gazzetta ufficiale n. 24 del 22 dicembre 2011 ed entrato in vigore il
giorno stesso14.
La relazione illustrativa del decreto legge affermava che esso
“trova la sua giustificazione nel contesto dell’attuale eccezionale
situazione di crisi economica che investe indifferentemente famiglie e
imprese e richiede una risposta urgente, anche sul piano degli strumenti
(processuali e non) per la gestione delle situazioni di conflitto nell’ambito
dei rapporti civili ed economici”.
Il legislatore aveva già mostrato l’intenzione di aprire nuovi
scenari attraverso provvedimenti di urgenza, ne è un esempio infatti il d.l.
n. 98 del 2011 che consente all’imprenditore agricolo in crisi di avvalersi
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e della “transazione fiscale” di
cui rispettivamente all’art. 182-bis e 182-quater l. fall.
Il d.l. 212 del 2011 nel capo I riproduceva, con modificazioni di
dettaglio, il testo del disegno di legge Centaro; di conseguenza il decreto
legge in questione ha rappresentato un’anticipazione dei contenuti della
legge n. 3 del 2012 che è stata pubblicata dunque a decreto vigente e
ancora in fase di conversione.
14 Per un’analisi esaustiva della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dal d.l. n. 212 del 2011 v. A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21 ss.; M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it, doc. 278/2012.
12
Il disegno di conversione del d.l. n. 212/2011 manifestava però
l’intenzione di modificare il testo del decreto d’urgenza, introducendo
nell’ordinamento un’autonoma disciplina del sovraindebitamento
destinata al consumatore con la previsione di una procedura alternativa di
liquidazione del patrimonio.
Il provvedimento di conversione avrebbe inoltre novellato la
stessa legge n. 3 del 2012 con una serie di modifiche tra cui la previsione
di un doppio procedimento che si sarebbe articolato nella formulazione di
un piano e nella previsione di una procedura di liquidazione15.
Il risultato sarebbe stato il seguente: il d.l. n. 212/2011 avrebbe
disciplinato una procedura i cui i destinatari erano i consumatori, e a tutti
gli altri soggetti non assoggettabili alle procedure concorsuali, diversi dal
consumatore, si applicava l’iter previsto dalla l. n. 3 del 2012.
Tuttavia la conversione del decreto legge ha previsto la
soppressione di tutti gli articoli del decreto stesso che regolavano il
sovraindebitamento, identificando così nella sola legge n. 3 del 2012
l’unica fonte della disciplina del sovraindebitamento.
Il legislatore attraverso la normativa speciale in materia di
composizione della crisi da sovraindebitamento offre una strategia di
reazione a una situazione di indebitamento ormai già compromessa, ma
non rappresenta l’unico rimedio individuabile per far fronte a questo
fenomeno.
Il sovraindebitamento può essere distinto in attivo, passivo o
differito: attivo quando è determinato da comportamenti del debitore;
passivo quando è il risultato di fattori esterni indipendenti dalla volontà
del debitore e fuori dalla sua sfera di controllo; differito quando si
manifesta in un arco temporale che si protrae nel tempo e può riguardare
due distinte tipologie di nuclei familiari: “quelli caratterizzati dalla
permanenza…o dal ritorno di figli oltre il compimento del trentesimo
anno di età…e quelli nei quali un buon tenore di vita è garantito dal
15 D. MANENTE, op. cit., p. 558 ss.
13
contributo assicurato dalla pensione di un familiare anziano
convivente”16.
Conoscere questa distinzione è importante per l’elaborazione di
strategie preventive e successive17.
Il tema del sovraindebitamento è inoltre legato ad altri temi
rilevanti quali ad esempio il consumo consapevole e il prestito
responsabile, che costituiscono alcune forme di strategia ex ante al
fenomeno in analisi. Il primo rappresenta un approccio consapevole al
credito che, attraverso il rispetto dei criteri di correttezza e chiarezza,
promuove una maggior conoscenza dei prodotti del credito al fine di
adottare prudenza nell’assunzione di obbligazioni; il secondo è rivolto
invece a banche e istituti finanziari affinché la concessione del credito
avvenga a seguito di un’analisi accurata delle condizioni economiche del
cliente18.
Tornando all’analisi della l. n. 3 del 2012, è importante
evidenziare, in riferimento agli interessi che essa tutela, che è la legge
stessa, già nella sua versione originaria, a far sorgere il c.d. “interesse del
debitore alla ristrutturazione dei debiti”, interesse che si concretizza nella
possibilità di raggiungere un accordo con una porzione qualificata di
creditori in merito alla ristrutturazione della propria complessiva
esposizione debitoria19.
Il rapporto obbligatorio da sempre esprime due ordini di interessi,
il primo riferibile al creditore e si sostanzia nella tutela offerta dalla
responsabilità patrimoniale e dall’esecuzione forzata, il secondo riferibile
al debitore e si traduce nell’istituto della mora del creditore.
16 E. PELLECCHIA, op.cit., p. 1259. 17 Per un approfondimento delle strategie ex ante ed ex post v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza la sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e alla ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, p. 27 ss. 18 S. PACCHI, op. cit., p. 677 ss. 19 Sulla natura dell’interesse e in merito alla relazione di complementarietà con i diritti dei creditori v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 177 ss.
14
La normativa speciale in materia di sovraindebitamento
arricchisce il rapporto obbligatorio, che ora esprime anche l’interesse del
debitore alla ristrutturazione dei debiti.
La l. n. 3 del 2012 fa sorgere dunque un nuovo interesse che nasce
dall’individuazione del sovraindebitamento come presupposto oggettivo
di applicazione della disciplina.
Nell’affermare questo si fa riferimento a quella parte della dottrina
che individua come una delle differenze rintracciabili fra i due concetti di
insolvenza e di sovraindebitamento proprio gli interessi tutelati20.
Quando si parla di insolvenza la disciplina generale, come visto
nel paragrafo precedente, accorda preminenza all’interesse del creditore
alla soddisfazione delle proprie pretese; quando si parla di
sovraindebitamento la questione appare più complessa.
In primo luogo le cause del sovraindebitamento sembrano essere
molteplici (strutturali, culturali, macroeconomiche), e a titolo
esemplificativo è possibile prenderne in considerazione alcune: la facilità
di accesso al credito che risulta dallo sviluppo dell’industria del credito e
dalla deregolamentazione del sistema; l’espansione dell’offerta di credito
che si manifesta nella creazione di una vasta gamma di prodotti rivolti ai
soggetti a basso reddito o a quelli già indebitati; i fattori di instabilità
sociale ed economica che influenzano la domanda di credito
aumentandola quali malattia, perdita del lavoro, divorzio ecc.; la crisi
occupazionale che ha mostrato l’inadeguatezza del welfare dei Paesi
europei nel far fronte ad un periodo di lunga disoccupazione21.
In luogo di quanto fin qui evidenziato, è inevitabile notare la
centralità della figura del debitore quando si parla di sovraindebitamento;
un inquadramento di questo fenomeno nei soli termini di insolvenza non
sembrerebbe né sufficiente né opportuno, perché facendo riferimento al
20 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., cit., p. 1256 ss. 21 Per un’esaustiva individuazione delle cause del sovraindebitamento v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e alla ristrutturazione dei debiti, cit., p. 11 ss.
15
solo piano degli interessi, l’insolvenza è, a differenza del
sovraindebitamento, indifferente alle cause del dissesto patrimoniale e
indifferente alla valutazione di possibili ricadute dell’insolvente, aspetti
che invece hanno motivato il legislatore nella redazione della l. n. 3 del
2012.
Se la disciplina dell’insolvenza si traduce nell’esclusiva
salvaguardia del singolo creditore dal rischio di incapienza del patrimonio
del debitore, il sovraindebitamento diversamente presuppone la
considerazione dell’interesse del debitore dal quale non è possibile
prescindere, dopotutto la legge n. 3 del 2012 affronta la questione in
termini di “rimedio” al fenomeno del sovraindebitamento.
Si deve inoltre tenere presente che il capo I nella versione
precedente si intitolava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione,
nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”. Legare il
tema del sovraindebitamento a quello dell’usura manifesta l’obiettivo del
legislatore di formulare uno strumento di politica economica di
contenimento della popolazione insolvente, e più in generale di
contenimento di un problema collettivo il cui superamento rappresenta
una finalità sociale22.
1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria
La legge n. 3 del 2012, nella sua formulazione originaria,
disegnava una procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento che offriva una regolamentazione dell’insolvenza del
soggetto non fallibile, riconoscendo ai destinatari della disciplina la
possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei
debiti attraverso l’intervento di appositi Organismi di composizione della
crisi (OCC), e tale piano infine veniva sottoposto all’omologazione del
Tribunale.
22 E. PELLECCHIA, op. ult. cit., p. 181.
16
La proposta del piano di ristrutturazione veniva infatti redatta con
l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi costituiti da enti
pubblici e iscritti in appositi registri.
La proposta munita dei requisisti richiesti dalla legge veniva
sottoposta al vaglio dei creditori, i quali esprimevano il loro consenso
proprio attraverso gli stessi OCC.
Una volta raggiunto il consenso della maggioranza dei creditori
rappresentanti il 70% dei crediti complessivi, il giudice procedeva
all’omologazione dell’accordo.
Il contenuto della normativa speciale in materia di composizione
della crisi da sovraindebitamento si presentava denso di criticità, che in
parte, come vedremo successivamente, hanno determinato la necessità di
un ulteriore intervento del legislatore, e di seguito saranno analizzate le
più significative.
Uno dei principali aspetti problematici riguardava la decisione del
legislatore di aver optato per un’unica procedura di composizione della
crisi da sovraindebitamento, applicabile indistintamente a categorie di
soggetti portatori di interessi obiettivamente diversi e a cui facevano e
fanno capo situazioni debitorie differenti.
Identificando come destinatario della disciplina il debitore ‘non
fallibile’ la legge faceva riferimento contestualmente al consumatore, e
più in generale al debitore civile, e all’imprenditore escluso dalle
procedure concorsuali.
Il legislatore dunque destinava la stessa procedura sia al debitore
civile sia all’imprenditore commerciale non fallibile, e questo nonostante
le situazioni di insolvenza rispettivamente riferibili all’imprenditore e al
consumatore non siano fra loro sovrapponibili: l’insolvenza civile evoca
un concetto di responsabilità patrimoniale statica, l’altra una
responsabilità patrimoniale dinamica.
La dimensione dinamica della responsabilità è data dal fatto che
“la capacità adempitiva dell’imprenditore è strettamente connessa-
17
piuttosto che al patrimonio staticamente considerato- allo svolgimento
dell’attività produttiva”23.
Il debitore civile invece deve porre rimedio alla sua “nociva
propensione al consumo”, mentre l’insolvente che esercita attività
commerciale deve elaborare una “strategia di superamento della crisi di
impresa” 24.
La legge, nella sua versione previgente, non offriva esplicitamente
alcuna disciplina dell’esdebitazione, piuttosto la stessa normativa speciale
rappresentava semplicemente una seconda possibilità per il debitore non
fallibile: gli veniva concessa la facoltà di ristrutturare i suoi debiti e di
liberarsene nei termini e nei modi previsti dall’accordo coi creditori.
La liberazione dal vincolo si collocava dunque al di fuori della
procedura e dipendeva solamente dall’adempimento delle obbligazioni
previste nell’accordo.
Inoltre il piano con cui l’insolvente ‘non fallibile’ ristrutturava la
propria esposizione debitoria non vincolava i creditori estranei, rispetto ai
quali il debitore era tenuto a soddisfare integralmente i loro crediti.
L’ammissibilità del piano si strutturava sulla costruzione di un
accordo che garantisse il regolare pagamento dei creditori estranei (cioè
nei termini e nelle modalità previsti nelle singole fonti di obbligazioni) e
l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati. Il piano poteva
prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori
che non avevano partecipato all’accordo soltanto quando ricorrevano
determinate condizioni, salva l’ipotesi di crediti impignorabili rispetto ai
quali la moratoria non aveva alcuna efficacia25.
23 F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2012, p. 15. 24 S. ALECCI, La nuova disciplina in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento: modifiche alla legge 27 gennaio 2012 n.3, in Giureta, 2012, p. 2. 25 In merito al pericolo di un uso della procedura in termini puramente dilatori v. G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo d’insieme, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 9.
18
Un altro aspetto critico era rintracciabile nel ruolo assegnato al
giudice, al quale spettava sindacare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il
regolare pagamento dei creditori estranei.
Il giudice, secondo il dato testuale dell’art. 12 nella sua versione
previgente, veniva incaricato di svolgere un “penetrante giudizio di
merito sulla superabilità del sovraindebitamento”, in una logica
completamente diversa da quella che connota e caratterizza la crisi di
impresa, per la quale al giudice spetta un controllo giudiziale di regolarità
formale dell’accordo di composizione del debito o della proposta di
concordato26.
Altra dottrina, partendo dal presupposto che la procedura
originaria del sovraindebitamento era stata costruita tenendo presente
proprio i modelli negoziali del concordato e dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, smentiva un simile orientamento
affermando che fosse necessario tenere in considerazione i principi
elaborati dalla giurisprudenza più recente in relazione ai limiti del
sindacato giudiziale in sede di omologazione degli accordi di
ristrutturazione27.
La giurisprudenza ha evidenziato, in merito agli accordi di cui
all’art. 182-bis, che l’oggetto dell’omologazione non è né il piano né
l’accordo, ma la relazione e valutazione del professionista rispetto alle
quali il giudice è chiamato a valutarne la completezza, coerenza e logicità.
Muovendo da simili posizioni, si è affermato che anche in sede di
omologazione dell’accordo di cui alla l. n. 3 del 2012 il giudice valuta sì
l’idoneità del piano a garantire il regolare pagamento dei creditori
estranei, ma, sulla base degli interventi indicati nella proposta, avendo
riguardo alle valutazioni esposte nell’attestazione dell’organismo di
composizione della crisi che dovranno essere coerenti, logiche e complete 26 In merito v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 16. 27 A. CARON, Omologazione dell’accordo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 58 ss.
19
a tal punto da ritenere evidente che il consenso dei creditori si è formato
sulla base di informazioni veritiere, corrette e coerenti.
La l. n. 3 del 2012 inoltre lasciava spazio alla discrezionalità del
giudice nel regolamentare le fasi della procedura e nel fissare i termini
processuali, nello scegliere sia le forme idonee a pubblicizzare la proposta
di accordo sia le modalità di valutazione della proposta in funzione
dell’omologa, anche con riferimento alle contestazioni effettuate dai
creditori non aderenti.
Altro aspetto critico della disciplina era rintracciabile nel fatto che
la composizione della crisi da sovraindebitamento non era appetibile per i
creditori: nelle situazioni di sovraindebitamento dei soggetti non fallibili
mancava infatti l’esigenza di proteggere i creditori aderenti dal rischio di
revocatoria fallimentare e di responsabilità fallimentare, per cui era
difficile individuare che cosa poteva spingere i creditori e il debitore, che
comunque rimaneva vincolato verso i non aderenti, a ritenere conveniente
la procedura di cui alla l. n. 3 del 2012 se non la trasparenza delle
condotte, il controllo di un organo tecnico sulla fattibilità e
sull’esecuzione del piano e della supervisione dell’autorità giudiziaria.
Dalla normativa speciale emergevano ulteriori elementi di criticità
intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi (OCC),
che l’attuale versione della legge n. 3 del 2012 in gran parte eredita.
Ne è un esempio la definizione delle funzioni attribuite
all’organismo in termini di “ausilio” al debitore, che poco combaciava
con l’effettiva attribuzione dei compiti ad opera della legge stessa.
La normativa previgente attribuiva agli Organismi di
composizione della crisi funzioni prodromiche o preparatorie alla
procedura, offrendo ad esempio ausilio al debitore nella stesura della
proposta di accordo; funzioni quale organo “garante” di verifica della
veridicità dei dati e di attestazione della fattibilità del piano; funzioni di
organo della procedura incaricato a compiere gli atti previsti dalla legge;
funzioni di controllo della corretta esecuzione dell’accordo vigilando
20
sull’esatto adempimento e risolvendo le difficoltà insorte nell’esecuzione
dell’accordo.
Il debitore non fallibile non aveva la possibilità di scegliere
liberamente se richiedere, e a chi richiedere, assistenza professionale, ma
doveva necessariamente rivolgersi a un Organismo di composizione della
crisi con sede nel circondario del tribunale competente in base alla
propria residenza o sede.
La legge non escludeva la possibilità di rivolgersi ad un libero
professionista di fiducia, anche se la presenza dell’OCC era praticamente
obbligatoria, infatti come la dottrina aveva avuto modo di evidenziare
“ben difficilmente…sarà ipotizzabile la redazione autonoma di un piano
che non trovi un pieno gradimento dell’Organismo, in ragione
dell’insolita e controversa funzione, a quest’ultimo affidata, di attestatore
della fattibilità di un piano che esso stesso ha contribuito a formare”28.
Gli OCC si occupavano della redazione dell’accordo e avevano la
possibilità di porre in essere “ogni opportuna iniziativa”, considerata
funzionale alla predisposizione e alla realizzazione dell’accordo, anche
quando le parti non la ritenevano corretta. Un’attività questa che
chiaramente esulava dalla mera consulenza professionale.
Le funzioni attribuite agli Organismi di composizione della crisi
impedivano la “necessaria distinzione fra soggetto consulente e soggetto
attestatore fidefacente”, perché è il medesimo organismo ad occuparsi
dell’attestazione del piano e della veridicità dei dati contenuti nella
proposta29.
All’OCC spettava dunque il compito di attestare la fattibilità del
piano su cui si fondava la proposta d’accordo che egli stesso aveva
predisposto.
Un ulteriore elemento problematico di centrale importanza
relativo a uno dei requisiti di ammissibilità della procedura stessa, 28 A. GUIOTTO, Gli organismi di composizione della crisi, in Fallimento, 2012, p. 1285 ss. 29 R. BATTAGLIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, p. 448 ss.
21
riguardava la capacità del piano di assicurare il regolare pagamento dei
creditori estranei all’accordo.
La normativa speciale nella sua versione previgente stabiliva che
il piano dovesse essere definito già al momento del deposito della
proposta di accordo che si fondava proprio sul piano stesso, ma in quella
fase del procedimento non sarebbe stato possibile avere alcuna previsione
né garanzia dei creditori che vi avrebbero aderito, e di conseguenza
nessuna previsione o garanzia della percentuale componente i creditori
estranei.
La proposta d’accordo, perché potesse essere sottoposta al vaglio
dei creditori, doveva basarsi su un piano che assicurasse il regolare
pagamento dei creditori non aderenti, ancor prima quindi di procedere
alla raccolta delle adesioni (la procedura non prevedeva la riunione dei
creditori in assemblea, come accade invece per il concordato, per cui la
legge stabiliva che la raccolta delle adesioni sarebbe avvenuta ad opera
degli Organismi di composizione della crisi).
L’attività imparziale dell’OCC non sembrava dunque poter essere
assicurata a fronte delle numerose e consistenti competenze che gli
venivano attribuite: l’Organismo doveva compiere una prima attestazione,
effettuava poi un monitoraggio sul debitore e sulla tenuta del piano e, una
volta ricevute le adesioni, stendeva una relazione sulle posizioni dei
creditori oltre a effettuare una seconda attestazione sulla fattibilità del
piano stesso.
Queste criticità, e tutte le altre che per esigenza di trattazione non
possono essere accuratamente individuate e analizzate, hanno manifestato
la necessità di un ennesimo intervento in materia che si è concretizzato
nelle modifiche apportate con lo strumento della decretazione d’urgenza
al testo della l. n. 3 del 2012.
Il d.l. n. 179 del 2012 chiude il complesso e tormentato iter della
legge in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento del
debitore non fallibile.
22
Il paragrafo che segue individua ed esamina sommariamente le
principali modifiche apportate al testo della l. n. 3 del 2012.
1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di
composizione della crisi da sovraindebitamento
Il d.l. n. 179 del 2012, denominato anche decreto Sviluppo-bis o
Crescita-bis, convertito nella l. n. 221 del 2012, ha prodotto una
destrutturazione dell’impianto offerto dalla l. n. 3 del 2012, e nello
specifico del Capo II, che nella sua versione originaria, come già
osservato, offriva al generico debitore non fallibile un unico
procedimento volto al raggiungimento di un accordo che risultava
vincolante per i soli creditori aderenti.
La stessa Relazione illustrativa del decreto Sviluppo-bis, in merito
agli esiti pratici della legge n. 3 del 2012 nella sua versione previgente,
riporta i dati che risultano da un monitoraggio messo appunto dal
Ministero di Giustizia, in base al quale dall’entrata in vigore della legge
nessun procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento
era in corso nei Tribunali campione di Milano, Torino, Brindisi, Bari e
Pavia, ed un solo procedimento era stato attivato presso il Tribunale di
Roma e di Firenze30.
Questi dati consolidavano il sentimento di urgenza che aveva
mosso il legislatore verso un ulteriore intervento in materia.
Il decreto legge introduce disposizioni che hanno come obiettivo
aumentare l’efficacia e la capacità operativa dell’istituto e,
contestualmente, apporta modifiche alla disciplina del procedimento di
composizione della crisi.
Anticipo rispetto alla trattazione che l’intervento del legislatore ha
trasformato in chiave concordataria la natura dell’istituto, il quale
30 I dati sono inoltre riportati nell’articolo di G. NEGRI, Un aiuto al default del consumatore, in Il sole 24 ore, 15 dicembre 2012.
23
presenta caratteristiche simili al concordato preventivo così come
disciplinato dalla legge fallimentare.
Già dalla titolazione del presente paragrafo è possibile capire il
rilievo delle modifiche apportate al testo della legge: la versione vigente
della l. n. 3 del 2012 offre procedure diverse a seconda che ad attivare il
procedimento sia un consumatore o un’altra categoria di debitore non
fallibile, e il risultato che scaturisce dalle modifiche introdotte col decreto
Crescita-bis meglio risponde alle esigenze che, fin dai primi interventi del
legislatore, soggiacevano alla questione del sovraindebitamento.
La nuova normativa prevede dunque uno sdoppiamento delle
procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’art. 7 della
legge individua oltre alla disciplina generale dell’ “accordo di
ristrutturazione dei debiti”, una procedura più specifica per arginare
l’insolvenza consumeristica, il c.d. “piano del consumatore” che non
prevede alcun consenso della maggioranza dei creditori alla proposta del
debitore.
In merito alla definizione della procedura in termini di “accordo di
ristrutturazione dei debiti”, parte della dottrina sostiene che la scelta di
questi vocaboli dipenda da una “svista (ancorché non semplicemente
redazionale ma concettuale)”, nel momento in cui, come si dirà meglio in
seguito, tale accordo ha la forza di vincolare anche i creditori non
aderenti31.
Parlare dell’ accordo come mero strumento per la gestione
dell’esposizione debitoria dell’insolvente sembrerebbe rappresentare una
novità in realtà “modesta”, poiché l’esperienza giuridica da tempo
ammette che contratti del genere siano largamente praticati32.
La novità consistente si configura piuttosto nell’aver individuato
una procedura all’interno della quale l’accordo viene a formarsi, nel 31 In riferimento alla definizione come “accordo di ristrutturazione”, piuttosto che alla preferibile definizione “procedura deliberativa concorsuale”, v. F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 11. 32 F. DI MARZIO, op. ult. cit., p. 10.
24
senso che: il debitore con eccesso di debiti e i creditori si accordano,
concludendo un contratto, per superare il sovraindebitamento proprio
attraverso una procedura di raggiungimento dell’accordo.
Il termine stesso “raggiungimento”, per le modalità con cui viene
utilizzato nell’ambito dell’art. 11 della legge, fa riferimento proprio ad
una procedimentalizzazione della conclusione dell’accordo33.
Il decreto Sviluppo-bis però interviene sulla l. n. 3/2012 offrendo
un’ulteriore procedura, alternativa all’accordo del debitore e al piano del
consumatore: la procedura di liquidazione del patrimonio che consiste
nella liquidazione eseguita da un liquidatore di tutti i beni del debitore,
compresi quelli sopravvenuti nei quattro anni successivi, ad eccezione dei
beni con carattere personale, e può connotarsi di un sub-procedimento che
consente al debitore non fallibile persona fisica di accedere, se sussistono
le condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione nelle modalità
previste dall’art. 14-terdecies l. n. 3/2012.
Anche dal punto di vista sistematico è possibile cogliere questa
nuova ripartizione, nel senso che il d.l. n. 179/2012 è intervenuto
suddividendo il Capo II, “Procedimenti di composizione della crisi da
sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”34, in tre sezioni: la
sezione prima, “Procedure di composizione della crisi da
sovraindebitamento” (artt. 6 - 14-bis della legge), detta le disposizioni
generali, la disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il piano del
consumatore, l’esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo e del
piano; la seconda, “Liquidazione del patrimonio” (artt. 14-ter - 14-
terdecies), introduce la procedura alternativa liquidatoria; la terza,
“Disposizioni comuni” (artt. 15 - 16), contiene la normativa prevista in
materia di Organismi di composizione della crisi e in materia di sanzioni
penali.
33 F. DI MARZIO, op. ult. loc. cit. 34 Prima dell’intervento del d.l. n. 179 del 2012 il Capo II era intitolato “Procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento”.
25
Prima di procedere ad una analisi delle tre procedure in cui si
articola la composizione della crisi è necessario chiarire la portata
innovatrice dell’individuazione di una pluralità di procedure attivabili da
soggetti diversi. Per fare questo si deve individuare che i presupposti della
disciplina del piano del consumatore sono sostanzialmente diversi da
quelli previsti per l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7,
nonostante invece il contenuto sia il medesimo per entrambe le procedure.
Il piano del consumatore non richiede, affinché sia omologato, il
solo fatto che il debitore adduca uno stato di sovraindebitamento, ma
l’omologazione del piano è subordinata ad una “valutazione di
meritevolezza” posta in essere dal giudice, e quindi non al
raggiungimento del consenso di una maggioranza qualificata dei creditori,
differentemente da quanto previsto per l’accordo di ristrutturazione.
Il giudizio di meritevolezza della condotta del debitore si basa
sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni
avuta dal debitore e sull’assenza di colpa nella determinazione dello stato
di sovraindebitamento.
Da queste considerazioni risulta che “l’elemento di specialità della
riforma non risiede nella previsione di una disciplina destinata al
consumatore, bensì nell’introduzione di una disciplina relativa ad un tipo
di sovraindebitamento”, il c.d. sovraindebitamento passivo in cui cade il
debitore vittima di eventi che si collocano al di fuori della sua sfera di
controllo35.
Questo orientamento sembra confermato dal fatto che l’art. 14-ter
nell’introdurre il procedimento di liquidazione dei beni applicabile a tutti
i debitori non fallibili, e non solo ai consumatori, richiede, tra i documenti
che devono essere depositati per attivare la procedura, una relazione
dell’organismo di composizione della crisi che ha contenuti simili a quelli
previsti per il piano del consumatore, richiedendo l’elencazione delle
cause di indebitamento e la diligenza del debitore nell’assumere le 35 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1268-1270.
26
obbligazioni: l’obiettivo è dimostrare la non colpevolezza del debitore (in
questo caso il fine è accedere all’eventuale fase di esdebitazione).
Sulla base di tale lettura, le modifiche della l. n. 3 del 2012 non
hanno creato alcun regime speciale per il consumatore, il quale, così
come ogni altro debitore non fallibile, può raggiungere un accordo di
ristrutturazione dei debiti con i creditori o, solo se sussistono gli estremi
della meritevolezza, procedere col piano del consumatore che lo esonera
dal sottoporlo al consenso dei creditori, o può altrimenti chiedere la
liquidazione del patrimonio.
La Riforma della legge n. 3 del 2012 ha prodotto tante altre
consistenti modifiche, tra le più significative si colloca la previsione del
novellato art. 7 che consente di poter soddisfare parzialmente anche i
crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca, “allorché ne sia assicurato il
pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della
collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto
riguardo del valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali
insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di
composizione della crisi”.
Per i crediti tributari e previdenziali non è prevista alcuna
possibilità di soddisfazione parziale.
Altra importante novità introdotta dalla Riforma è rappresentata
dalla vincolatività della proposta omologata anche per i creditori non
aderenti una volta superato il vaglio di convenienza, o di meritevolezza
nel caso di piano del consumatore.
I creditori che non aderiscono alla proposta di accordo non sono
più definibili in termini di creditori estranei e perciò aventi il diritto di
essere soddisfatti integralmente.
La soglia del quorum dei consensi necessario all’omologazione
dell’accordo di ristrutturazione è stato ridotto dal 70% al 60% dei crediti
complessivi. I crediti privilegiati per i quali l’accordo prevede invece
l’integrale pagamento non dovranno essere computati al fine del calcolo
27
della maggioranza, risolvendo così il dubbio sollevato dalla dottrina in
merito all’inclusione di questi crediti nel novero dei creditori estranei
all’accordo o dei soggetti a cui la proposta non va neppure destinata36.
La procedura di liquidazione dei beni è strutturata sullo schema
del fallimento articolandosi in una pluralità di fasi che richiamano il
procedimento di liquidazione del patrimonio del fallito disciplinato dalla
legge fallimentare: nomina del liquidatore da parte del Tribunale (art. 14-
quinquies), inventario dei beni (art. 14-sexies), formazione del passivo
(art. 14-septies), liquidazione (art. 14-novies ss.) ed eventuale
esdebitazione (art. 14-terdecies).
La procedura disciplinata dagli artt. 14-ter ss. può essere attivata
su domanda del debitore o può essere aperta anche d’ufficio in seguito
alla conversione della procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento nei casi tassativamente previsti ex art. 14-quater.
Il procedimento di esdebitazione è previsto esclusivamente
all’esito della procedura liquidatoria ed è subordinato all’esistenza di
determinate condizioni idonee a verificare la correttezza del
comportamento del debitore.
La Riforma ha inoltre ampliato il numero dei soggetti che possono
svolgere le funzioni di Organismo di composizione della crisi da
sovraindebitamento.
Gli OCC possono essere costituiti non solo da enti pubblici, ma
anche da enti privati dotati di specifici requisiti (di indipendenza,
professionalità e adeguatezza patrimoniale), la cui determinazione è
rimessa ad uno specifico regolamento ministeriale.
Gli organismi di composizione della crisi sono iscritti in un
apposito Registro tenuto presso il Ministero della giustizia evidentemente
al fine di sottoporre a controllo pubblico le qualifiche dei soggetti
richiedenti; le modalità di iscrizione sono stabilite con regolamento
36A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2012, p. 1287.
28
adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello
sviluppo economico e delle finanze.
Il ricorso, in luogo degli Organismi di composizione, ad un
professionista o ad una società fra professionisti in possesso dei requisiti
richiesti per le funzioni di curatore fallimentare ex art. 28 l. fall., o ad un
notaio era previsto come transitorio dalla previgente normativa, ma, a
seguito del d.l. n. 179/2012, tale ricorso perde ogni caratteristica di
transitorietà purché questi soggetti siano nominati dal debitore o dal
presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.
L’art. 15 della legge consente dunque all’OCC di potersi costituire
sia come organo pluripersonale che monocratico37.
È stato considerato che l’attribuzione delle competenze di un OCC
ad un singolo professionista o ad un ente privato, oltre a determinare
l’affievolirsi della connotazione pubblicistica dell’Organismo, non è priva
di rischi: il professionista potrebbe trovarsi in una posizione di “dubbia
terzietà”, il timore è quello di acuire il “conflitto di interessi che
caratterizza inevitabilmente l’operato dell’OCC” in ragione delle
complesse funzioni che gli sono attribuite durante tutto l’arco del
procedimento38.
La riforma non è stata in grado di sanare i dubbi e le perplessità
che già nella versione previgente della legge n. 3 del 2012 ruotavano
intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi da
sovraindebitamento.
37 In merito alla nomina di un OCC in composizione monocratica v. Tribunale di Vicenza 8 luglio 2013, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9345.pdf. Per un’analisi della sentenza v. D. MANENTE, Appunti sul presupposto soggettivo di applicazione della disciplina della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3, e succ. mod.), in Dialoghi del diritto, dell’avvocatura e della giurisdizione, 2014, p. 24. 38 A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1289; R. D’AQUINO DI CARAMANICO-A. PARINI, Gli organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 98
29
Permangono le problematiche riguardanti la costituzione, la
regolamentazione interna, l’indipendenza, le funzioni e la remunerazione
degli OCC.
1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della
crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure
concorsuali
Rispetto alla definizione in termini di concorsualità dei
procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, così
come risultano a seguito della Riforma, è possibile individuare posizioni
diverse in dottrina: alcuni affermano la natura concorsuale delle tre
procedure, altri la negano o affermano di ricondurla solo ad alcuni dei
procedimenti della l. n. 3 del 2012.
Quanto anticipato non ha rilevanza per il regime precedente, che si
caratterizzava invece per la previsione di un'unica procedura volta al
raggiungimento di un accordo coi creditori attivabile da qualsiasi
categoria di debitore non fallibile.
La disciplina originaria della l. n. 3/2012 era stata influenzata dalle
soluzioni negoziali della crisi d’impresa a tal punto da essere stata
definita “un’anomala commistione tra la struttura dell’accordo e quella
propria del concordato”39.
Gli elementi di contiguità con la figura del concordato preventivo
non erano sufficienti per annoverare in questa categoria l’accordo di
ristrutturazione dei debiti di cui alla l. n. 3 /2012, che infatti non
presentava le caratteristiche salienti delle soluzioni concordatarie:
mancava una votazione sull’accordo; non veniva svolta l’adunanza dei
creditori; non era contemplata alcuna nomina di un commissario
giudiziale che effettuasse verifiche e fornisse ai creditori le proprie
valutazioni in merito.
39 R. BATTAGLIA, op. cit., p. 433.
30
L’accordo consentiva di suddividere i creditori in classi, però tale
articolazione aveva un significato diverso rispetto a quello assunto
nell’ambito delle soluzioni concordate.
La suddivisione dei creditori in classi, diversamente dal
concordato, aveva soltanto lo scopo di riunire soggetti a cui era destinato
lo stesso trattamento e, non vigendo il divieto di alterare la graduazione
dei crediti, era possibile costituire classi di crediti fra loro non omogenei.
Perché l’accordo fosse valido era sufficiente raggiungere il
consenso di una maggioranza di creditori rappresentanti il 70% dei
crediti, senza richiedere l’ulteriore requisito del raggiungimento dei
consensi della maggioranza del maggior numero delle classi, come accade
invece per il concordato ex art. 177 l. fall.
L’accordo di ristrutturazione disciplinato dalla versione originaria
della legge altro non era che un contratto di diritto privato tra il debitore e
uno o più creditori.
Più numerosi infatti erano gli elementi di vicinanza con gli accordi
di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.
Parte della dottrina riconosce la natura ibrida dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti disciplinato dalla legge fallimentare, per il fatto
di articolarsi prima in una fase stragiudiziale in cui il debitore rinegozia la
propria esposizione debitoria, poi in una fase giudiziale in cui il giudice
procede all’omologazione dell’accordo40.
Tra gli elementi di somiglianza individuabili tra l’accordo ex art
182-bis e quello disciplinato dalla l. n. 3 del 2012 risaltava l’incapacità
dell’accordo, qualunque esso fosse, di vincolare anche i creditori estranei
che non vi avevano aderito.
Questa caratteristica rappresentava al contempo una delle
differenze più marcate tra l’accordo di composizione e la disciplina del
concordato, in base alla quale il piano del concordato, una volta che ha
40 Come ricorda E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1275.
31
ottenuto la maggioranza dei consensi dei creditori, risulta cogente anche
per i non aderenti.
La dissonanza più evidente tra la procedura ex l. n. 3/2012 e quella
ex art. 182-bis riguardava l’acquisizione del consenso dei creditori: nella
disciplina ex art. 182-bis l. fall. il procedimento di omologazione si apre
con il deposito dell’accordo che è già stato raggiunto con una parte dei
creditori, mentre il regime previgente della normativa speciale in materia
di sovraindebitamento prevedeva che l’apertura del procedimento fosse
condizionata al deposito di una proposta redatta dal solo debitore con
l’ausilio dell’OCC, sulla quale però i creditori dovevano ancora esprimere
il proprio consenso.
La dottrina ha sottolineato come il nesso di causalità fra piano e
accordo, che caratterizza il procedimento di cui all’art. 182-bis, non era
invece rinvenibile nella previgente procedura di composizione della crisi
da sovraindebitamento: la l. n. 3 del 2012, prevedendo che l’accordo di
ristrutturazione dei debiti si organizzasse su un piano che assicurava il
regolare pagamento dei creditori estranei, legava il termine di accordo a
quello di piano, nonostante il concetto stesso di piano da sempre evochi
una natura non giuridica ma aziendale41.
Lo stesso orientamento ha sostenuto che con pianificazione si fa
riferimento alla “formulazione di una determinata strategia d’impresa”,
per tale motivo una simile scelta lessicale poteva essere comprensibile
relativamente al caso in cui ad attivare la procedura fosse un imprenditore
commerciale sotto soglia in luogo della dimensione dinamica della sua
responsabilità patrimoniale.
In riferimento a tutti gli altri debitori non fallibili invece sembrava
più difficile giustificare il termine “piano”, non potendo attribuire
rilevanza al profilo relativo alla capacità futura di generare risorse
finanziarie. 41 In merito al rapporto accordo-piano sulla crisi di impresa e accordo-piano sul sovraindebitamento civile v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 15-16.
32
In sintesi, la procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento definiva sì uno strumento di regolazione collettiva
della crisi, ma non ancora concorsuale: mancava infatti lo spossessamento
del debitore, non vigeva il divieto di alterare la graduazione dei crediti e
non era necessario rispettare il principio della par condicio creditorum.
Come già osservato, la normativa speciale in materia di
sovraindebitamento è stata oggetto di consistenti modifiche apportate dal
legislatore attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza con lo
scopo di superare gran parte delle criticità che facevano capo alla
disciplina originaria della legge.
Una delle innovazione più significative della Riforma è
rappresentata dall’individuazione di ben tre procedure di composizione
della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e la
liquidazione del patrimonio.
È il legislatore stesso a definire queste procedure come
concorsuali nel momento in cui prevede espressamente nell’art. 6 della
legge che i destinatari della disciplina in oggetto non sono assoggettabili
alle “procedure concorsuali diverse da quelle regolate” dalla l. n. 3/2012.
Allineandosi al dato testuale, parte della dottrina sostiene la “piena
natura concorsuale” delle tre procedure di composizione della crisi42.
Con specifico riferimento alla liquidazione del patrimonio del
debitore non fallibile la valutazione della concorsualità si concentra su
una pluralità di elementi tra i quali: il coinvolgimento dell’intero
patrimonio pignorabile del debitore (che dal momento dell’apertura del
procedimento viene amministrato dal liquidatore per la liquidazione e
ripartizione ai creditori); la capacità della procedura di esplicare effetti
anche sui creditori anteriori alla sua apertura (che non potranno porre in
essere azioni esecutive o cautelari individuali)43.
42 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 592-593. 43 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 764 ss.
33
In merito all’accordo di ristrutturazione dei debiti altra dottrina
sostiene che il termine “accordo” non sia il più adatto a definire il
risultato del procedimento attivabile dal generico debitore non fallibile,
dopotutto infatti sarebbe più corretto parlare di “deliberazione
concordataria” nel momento in cui il consenso dei creditori rappresentanti
il 60% dei crediti complessivi non solo è sufficiente ai fini
dell’omologazione, ma vincola anche i non aderenti, i quali così come
qualunque altro interessato hanno la sola possibilità di contestare la
convenienza dell’accordo per impedire che questo produca effetti nei loro
confronti44.
La stessa dottrina sostiene che la principale ragione che fonda la
natura concorsuale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex l. n.
3/2012 è l’applicazione della regola della parità di trattamento, la quale
trova la sua legittimazione nella deliberazione maggioritaria che vincola
anche i non aderenti in quanto ha ad oggetto una proposta di
soddisfacimento uguale per tutti o per tutti i creditori racchiusi in una
classe omogenea.
La regola della par condicio creditorum contribuisce a fondare la
natura concorsuale del procedimento di composizione della crisi.
In riferimento al piano del consumatore la stessa dottrina sostiene
che la definizione in termini di concorsualità dipenda invece dalla
possibilità di qualificare la procedura in termini di “concordato coattivo”.
Perché sia omologata la proposta che si fonda sul piano del
consumatore è sufficiente la sola positiva deliberazione del tribunale;
l’omologazione la rende obbligatoria per tutti i creditori anteriori al
momento in cui è stata eseguita la pubblicità richiesta dall’art. 10.
I creditori con causa o titolo posteriore non potranno procedere
esecutivamente sui beni oggetto del piano.
44 F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 11-12
34
Lo schema è quello di un concordato coattivo, e se si fa
riferimento infatti ad istituti quali l’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese insolventi o la liquidazione coatta amministrativa si nota
che, al pari del piano del consumatore, manca la fase di approvazione
della proposta per deliberazione dei creditori.
La giustificazione dell’esclusione di una fase in cui sia possibile
attribuire rilevanza al consenso dei creditori viene individuata nella tutela
dell’interesse pubblico: si vuole evitare che i creditori possano con la loro
deliberazione impedire l’effettività di una proposta ritenuta invece
conforme all’interesse pubblico.
Nello specifico, la disciplina del piano del consumatore tutela
l’interesse pubblico economico alla definizione ragionevole della
situazione di sovraindebitamento di quei soggetti che non svolgono
attività economica.
Dunque definire il piano del consumatore “concordato coattivo”
significa attribuire natura concorsuale al procedimento e attribuire
rilevanza alla regola della par condicio creditorum.
A completamento della disciplina devono essere citate anche
posizioni diverse da quelle appena esposte in merito alla concorsualità dei
procedimenti di cui alla l. n. 3 del 2012.
Secondo altra parte della dottrina, il legislatore quando fa
riferimento nell’art. 6 alle procedure di composizione della crisi e le
definisce in termini di concorsualità, offre una qualificazione autentica
delle stesse che poco combacia con la natura dei procedimenti in esame,
essendo piuttosto solo singoli istituti o fasi di questi riferibili alla
concorsualità45.
Quello che segue è un’analisi del contributo offerto proprio da
questa dottrina.
L’orientamento in esame accorda una natura concorsuale, seppure
semplificata, alla sola procedura dell’accordo di ristrutturazione dei debiti 45 In merito v. V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Riv. dir. comm., 2013, p. 654 ss.
35
poiché questa presenta una serie di elementi che depongono a favore di
una definizione in tal senso: l’accordo vincola anche i creditori non
aderenti purché anteriori alla pubblicazione del decreto di fissazione
dell’udienza; l’art. 10 prevede che il giudice disponga l’inibizione delle
tutele esecutive e cautelari individuali, e dell’acquisizione dei diritti reali
di garanzia sul patrimonio del debitore fino al momento in cui il
provvedimento di omologazione diventa definitivo; il deposito della
proposta sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi
convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da cause
legittime di prelazione.
Nonostante questi elementi rappresentano indici di concorsualità,
la lettura in analisi sottolinea che in realtà questi indici hanno una portata
semplificata: manca la previsione di un’adunanza dei creditori come
accade per il concordato preventivo (che più si avvicina all’istituto in
analisi e rappresenta al contempo una procedura avente piena natura
concorsuale); il giudice non ha un ruolo centrale nella verifica del
raggiungimento dell’accordo, non sono previste modalità di contestazione
o di ammissione provvisoria dei crediti contestati.
Secondo tale orientamento l’attribuzione della concorsualità viene
collegata all’elemento della inibizione delle azioni esecutive e cautelari,
che comunque nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 non è
automatica, infatti non è rimessa al deposito della proposta ad opera del
debitore, ma soggiace allo specifico decreto del giudice con cui fissa
l’udienza .
La stessa dottrina sostiene in riferimento alle altre procedure una
maggiore difficoltà di inquadramento del piano del consumatore e della
liquidazione del patrimonio all’interno della categoria della concorsualità,
poiché questi procedimenti si connotano di elementi che richiamano la
concorsualità, ma che al contempo non sono messi in relazione fra loro in
modo tale da creare un “sistema coerente”.
36
Il piano del consumatore, diversamente dall’accordo di
ristrutturazione dei debiti del debitore non fallibile, determina l’inibizione
delle azioni esecutive e cautelari individuali solo a partire
dall’omologazione dello stesso e nulla viene detto in merito al termine
finale di tale effetto, e si dovrà ritenere che l’inibizione verrà meno solo
una volta data esecuzione al piano. Perciò si sostiene che tale effetto è da
ricollegarsi all’omologazione in sé, piuttosto che ad una manifestazione di
un meccanismo concorsuale.
Altro ragionamento utilizzato da questa dottrina per negare la
concorsualità del piano del consumatore muove dalla previsione dell’art.
12-bis, comma 2, il quale sostiene che “quando, nelle more della
convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di
esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il
giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi
sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa
definitivo”.
L’adozione del provvedimento del giudice sarebbe quindi
discrezionale e subordinata ad una valutazione dell’incidenza di una o più
procedure sul piano.
Anche la non concorsualità della procedura di liquidazione del
patrimonio viene sostenuta ritenendo che essa sia connotata da sporadici
momenti e fasi aventi natura concorsuale, ma questi non sono sufficienti a
creare un sistema concorsuale.
L’analisi si concentra su alcuni profili problematici, nello
specifico tre, di cui il primo rinvia all’art. 14-quinquies che dispone
l’inibizione delle azioni esecutive e cautelari individuali sino al momento
in cui diventa definitivo un “fantomatico” provvedimento di
omologazione.
Pur essendo questo chiaramente un meccanismo concorsuale, è
inevitabile denunciare che nella procedura di liquidazione del patrimonio
manca ovviamente una fase di omologazione.
37
Il secondo profilo riguarda la fase di accertamento del passivo ex
art. 14-octies, in base alla quale: se, a fronte della comunicazione ai
creditori del progetto di stato passivo, nessuno avanza osservazioni, il
liquidatore lo approva (in realtà non si tratta di una vera e propria
approvazione dato che a redigere il progetto è stato lo stesso liquidatore);
se invece vengono formulate osservazioni, e il liquidatore le ritiene
fondate, entro il termine di quindici giorni dalla ricezione dell’ultima
osservazione predispone un nuovo progetto; ma se le stesse contestazioni
risultano insuperabili il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo ha
nominato affinché provveda alla formazione del passivo.
Nel caso in cui il liquidatore procede alla formazione definitiva
dello stato passivo non sembrano esserci “meccanismi endoconcorsuali di
reazione alle decisioni del liquidatore nel caso in cui altri creditori
intendano contestare il riconoscimento del credito altrui”.
Il terzo profilo riguarda la chiusura della liquidazione che dipende
dalla completa esecuzione del programma di liquidazione, a cui la legge
non fa seguire una disciplina del riparto di tutto l’attivo realizzato.
La dottrina in esame, dunque, individua nell’inibitoria delle azioni
esecutive e cautelari l’elemento cardine della concorsualità insita in ogni
procedura e parte dal contestare tale elemento per screditare una
definizione in termini di concorsualità di ogni rimedio disciplinato dalla l.
n. 3 del 2012.
Lasciando all’analisi della dottrina le valutazioni in merito alle
possibili posizioni che in tema di concorsualità possono essere assunte dai
propri esponenti, sicuramente un’analisi interessante dalla quale non si
può prescindere riguarda il rapporto tra le procedure di composizione
della crisi di cui alla l. n. 3 del 2012 e le soluzioni negoziate e
concordatarie disciplinate invece dalla legge fallimentare.
Le procedure dell’accordo di ristrutturazione dei crediti e del
piano del consumatore sono inquadrabili all’interno delle soluzioni
concordate della crisi del debitore, essendo per esse necessaria oltre alla
38
volontà del debitore perché siano attivate, anche l’omologazione del
tribunale.
Con il decreto Sviluppo-bis il legislatore si è chiaramente
orientato verso un modello diverso da quello preso in esame per la
disciplina previgente.
L’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. non è più alla
base del sistema elaborato dalla nuova disciplina; l’elemento di
dissonanza principale con questa soluzione negoziale si ha con riguardo ai
creditori estranei, i quali non sono più contemplati dall’attuale normativa
in quanto le procedure di composizioni della crisi da sovraindebitamento
hanno quale caratteristica distintiva proprio il fatto di vincolare tutti i
creditori, anche i non aderenti.
Così come un concordato, la procedura di accordo ex art. 7 appare
giudiziale nel momento in cui necessita dell’omologazione del tribunale
perché sia perfezionata, e deliberativa perché una volta approvata dalla
maggioranza l’accordo è produttivo di effetti per tutti i creditori, anche
dissenzienti.
L’accordo di ristrutturazione disciplinato dalla l. n. 3/2012
richiede il consenso di almeno il 60% dei crediti, mentre nel concordato
preventivo si parla di raggiungimento della maggioranza senza indicare
alcuna percentuale.
L’accordo di ristrutturazione ex art. 7, nonostante le chiare ed
evidenti differenze con la disciplina previgente, continua a differenziarsi
dai concordati preventivi: per la mancanza di un’adunanza dei creditori
nella quale il debitore in contraddittorio con i creditori discute la proposta
di concordato che dovrà essere successivamente votata; per l’assenza di
un commissario nominato dal giudice.
Gli elementi che suggellano invece la vicinanza alle soluzioni
concordatarie sono molteplici, ne è un esempio l’applicazione della regola
del silenzio-assenso nella votazione, per cui se il creditore non esprime il
39
suo consenso entro il termine ultimo dei 10 giorni prima dell’udienza si
considera consenziente.
Altro elemento è rappresentato dalla possibilità di offrire un
pagamento parziale ai creditori muniti di privilegio purché siano rispettate
le condizioni previste dall’art. 7 della legge.
Altri richiami alla disciplina concordataria sono dati dall’art. 11
della legge, il quale ripropone un principio cardine della logica
concordataria, il “principio di sopravvivenza delle garanzie nell’ambito
delle procedure concorsuali”, affermando “l’accordo non pregiudica i
diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e
obbligati in via di regresso”.
L’approvazione dei creditori, né per il concordato né per l’accordo
di composizione della crisi, è sufficiente a concludere il procedimento;
entro sei mesi si deve procedere all’omologazione ad opera del giudice
perché questi strumenti possano produrre i loro effetti.
Altro elemento di contiguità con il concordato riguarda la
prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati in
esecuzione o in funzione dell’accordo; nell’accordo la prededucibilità è
generata a partire dal decreto di omologazione, mentre nel concordato
dalla presentazione della domanda.
In merito ai momenti patologici della procedura, l’annullamento
dell’accordo di ristrutturazione riprende quanto già previsto per il
concordato fallimentare (art. 138 l. fall), e richiamato anche dal
concordato preventivo (art. 186 l. fall): l’accordo può essere annullato
quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il
passivo; quando è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante
dell’attivo; quando è stata dolosamente simulata attività inesistente.
Anche le cause di risoluzione dell’accordo sono simili a quelle
previste per il concordato: mancato adempimento degli obblighi derivanti
dall’accordo e mancata costituzione delle garanzie promesse.
40
Da un primo confronto risulta quindi che molti sono gli elementi
di somiglianza tra le soluzioni concordate e gli accordi di ristrutturazione
dei debiti di cui all’art. 7, la situazione appare in parte diversa per le altre
due procedure in cui si articola la composizione della crisi da
sovraindebitamento.
Il piano del consumatore, come già osservato, è inquadrabile nella
categoria del “concordato coattivo”, non è prevista alcuna votazione dei
creditori in merito alla proposta del debitore, ma è comunque soggetto ad
omologazione del tribunale avverso la quale è possibile per gli interessati
presentare opposizione.
La qualificazione del piano in questi termini determina quindi il
riconoscimento della sua natura concorsuale.
Il procedimento di liquidazione del patrimonio è strutturato, in
modo approssimativo, sullo schema del fallimento poiché la procedura si
articola in una fase di apertura che prevede la nomina di un liquidatore ad
opera del tribunale; di una fase di inventario dei beni; di una fase di
formazione dello stato passivo; oltre a un’eventuale sub-procedimento di
esdebitazione.
Una delle differenze macroscopiche con la procedura fallimentare
riguarda l’assenza di una specifica disciplina della fase di ripartizione
dell’attivo.
La disciplina dell’esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies
chiaramente si ispira all’art. 142 l. fall.: il contenuto è simile per quanto
riguarda le condizioni per l’ammissione al beneficio dell’esdebitazione e
per quanto riguarda i debiti che rimangono esclusi dall’esdebitazione
stessa.
Del rapporto tra la liquidazione del patrimonio del fallito e quella
prevista dagli artt. 14-ter ss. si dirà meglio in seguito nell’apposita
sezione della trattazione dedicata all’argomento.
In un’analisi comparativa con le altre procedure, e nello specifico
con la procedura concordataria che ha rappresentato alla luce dei risultati
41
qui evidenziati il quasi esclusivo modello di riferimento del legislatore,
non si può prescindere dallo studio degli Organismi di composizione della
crisi.
È possibile rintracciare alcuni parallelismi fra OCC e il
commissario giudiziale di un concordato preventivo: i requisiti richiesti
perché un soggetto possa svolgere la carica di OCC sono gli stessi
richiesti per la nomina di commissario giudiziale cioè “un professionista
in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall.46”; l’Organismo attesta la
fattibilità del piano che viene allegato alla proposta di accordo, allo stesso
modo della relazione ex art 172 l. fall.; quando è raggiunto l’accordo
l’OCC trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi che
hanno costituito almeno il 60% dei crediti, allo stesso modo il
commissario giudiziale dà notizia ai creditori del decreto che omologa il
concordato.
Così come dispone la legge fallimentare in materia di concordato
(“transazione fiscale” art. 182-ter), anche la legge n. 3 del 2012 in materia
di composizione della crisi da sovraindebitamento statuisce
l’obbligatorietà della soddisfazione integrale dell’IVA e delle ritenute
operate e non versate, concedendo soltanto una dilazione dei tributi che
costituiscono risorse proprie dell’unione Europea.
La l. n. 3 del 2012 riprende dal concordato preventivo anche la
disciplina in merito alle sanzioni, distinguendo fra le sanzioni a carico del
debitore (imprenditore per il concordato preventivo) e quelle a carico
46 Cfr. art. 28 l. fall. “Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.”
42
dell’Organismo di composizione della crisi (Commissario Giudiziale per
il concordato preventivo).
La normativa speciale in materia di sovraindebitamento mutua
dalla disciplina concordataria gran parte delle sue principali
caratteristiche; attraverso la materia del concordato il legislatore
costruisce un sistema che offre soluzione alla crisi del debitore non
fallibile.
Ad ogni modo, per quanto riguarda le specificità delle tre
procedure in cui si articola la composizione della crisi da
sovraindebitamento si rimanda ai capitoli che seguono.
43
CAPITOLO II
Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento:
l’accordo del debitore e il piano del consumatore
Sommario: 2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la
critica al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con l’art. 5
l. fall. - 2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore
agricolo e gli altri identificabili per esclusione - 2.3. L’accordo del
debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità,
contenuto e deposito - 2.4. Il giudizio di ammissibilità - 2.5. La
formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La
procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore -
2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del
consumatore: la procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di
merito - 2.7. La fase esecutiva - 2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e
del piano del consumatore: le conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi
giudiziali.
2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica al
“patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con l’art. 5 l.
fall.
La finalità della l. n. 3 del 2012 viene espressamente individuata
nell’offrire uno strumento per “porre rimedio alle situazioni di
sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure
concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo” (art. 6). Ne
risultano quindi escluse tutte le ipotesi rispetto alle quali è possibile
attivare una procedura concorsuale “tradizionale”.
La legge, attraverso la disciplina delle tre procedure in cui si
articola la composizione della crisi, consente al debitore, a fronte di una
44
situazione di consistente difficoltà patrimoniale, di giungere alla
soluzione; parlare del fenomeno in termini di “rimedio” sottolinea
l’ambizione di contenere un fenomeno sociale. Dopotutto il termine
stesso “sovraindebitamento” non è immediatamente percepibile ad un
linguaggio giuridico, non esprimendo un concetto giuridico né univoco né
sedimentato47.
È stato osservato che la vera finalità dell’accordo non è
semplicemente quella di individuare uno strumento per sistemare
l’indebitamento, in quanto sono diffusi nell’esperienza giuridica contratti
volti a rimediare ad un’eccessiva esposizione debitoria, ma è quella di
conferire all’accordo un vincolo ed una forza superiori alla mera
vincolatività di cui all’art. 1372 c.c. che espone solo al rimedio
risarcitorio48.
Il maggior vincolo della procedura di composizione della crisi è
indicato espressamente dall’art. 13, quarto comma, che preserva gli effetti
dell’accordo dalle conseguenze degli atti posti in violazione: “i pagamenti
e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo o
del piano del consumatore sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al
momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui agli articoli 10,
comma 2, e 12-bis, comma 3”.
Il presupposto oggettivo del sovraindebitamento è definito all’art.
6 della legge come “la situazione di perdurante squilibrio tra le
obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi
fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie
obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
Da questa definizione è possibile individuare due tipologie di
sovraindebitamento: una propriamente patrimoniale, in cui il patrimonio è
considerato come un insieme di beni a cui si contrappongono i debiti; e
una di tipo finanziario che sembra richiamare il presupposto oggettivo del 47 Come evidenziato da G. MACARIO, Finalità e definizioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 18-19. 48 V. DE SENSI, op. cit., p. 639.
45
fallimento, facendo riferimento all’incapacità del soggetto di adempiere
con regolarità ai propri debiti.
In merito alla prima definizione di sovraindebitamento, con
“perdurante squilibrio” non si fa riferimento ad un mero squilibrio
aritmetico tra attivo patrimoniale e passivo, ma si parla di patrimonio
come complesso di beni “prontamente liquidabili”.
È stato evidenziato che dal legame tra il concetto di
sovraindebitamento e quello di “patrimonio prontamente liquidabile”
potrebbe derivare una situazione dubbia: il debitore in possesso di un
patrimonio non prontamente liquidabile non potrebbe accedere al rimedio
del sovraindebitamento, quando in realtà sia lui che i suoi creditori ne
avrebbero interesse, e inoltre un soggetto avente un patrimonio non
liquidabile rappresenta comunque una situazione migliore rispetto a
quella di un soggetto non più in grado di adempiere alle proprie
obbligazioni, il quale sia anche senza patrimonio; eppure quest’ultimo ha
la possibilità di accedere alla procedura per espressa previsione dello
stesso art. 6 (“definitiva incapacità di adempiere alle obbligazioni”)49. Se
così fosse, la scelta del legislatore sarebbe dunque irragionevole, e
sarebbe più opportuno prevedere come presupposto oggettivo il
sovraindebitamento inteso come semplice squilibrio dell’attivo
patrimoniale e del passivo, evitando così gli esiti distorsivi che l’altra
identificazione comporterebbe.
Viene considerato inoltre che di fronte ad un patrimonio
prontamente liquidabile potrebbe venir meno l’interesse del ceto
creditorio, in quanto questo potrebbe seguire ad esempio la via negoziale,
alternativa a quella procedurale ex l. n. 3/2012, risparmiando così tempo e
denaro.
Quindi se si decide di intraprendere la via procedurale, si ha
ragione di ritenere che essa possa agevolare la liquidazione del
patrimonio nei casi in cui non appaia prontamente liquidabile. Per cui di
49 V. DE SENSI, op. ult. cit., p. 643.
46
fronte a queste situazioni, il legislatore con tale formulazione potrebbe
aver espresso la preoccupazione del ceto creditorio in merito all’effetto
inibitorio della procedura verso le azioni esecutive e cautelari.
Il fine del legislatore sarebbe stato quello di contenere l’effetto
inibitorio e di rendere più rapida l’esecuzione dell’accordo.
È lo stesso orientamento in analisi che evidenzia però come questa
interpretazione, che potrebbe conferire una parvenza di ragionevolezza
alla scelta lessicale del legislatore, sia in realtà in contraddizione con
l’altra parte della definizione di sovraindebitamento, che consente
l’accesso alla procedura al debitore che versi in una situazione di
definitiva incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni.
La caratteristica del patrimonio prontamente liquidabile non
rappresenta quindi il presupposto oggettivo di ammissibilità alla
procedura, quanto piuttosto la funzione dell’accordo concordato coi
creditori: il piano deve garantire una pronta liquidazione.
La seconda parte della definizione di sovraindebitamento di cui
all’art. 6 (“la definitiva incapacità di adempiere regolarmente le
obbligazioni assunte”) sembra ispirarsi al concetto di insolvenza di cui
all’art. 5 l. fall.
La legge fallimentare in realtà non offre una definizione del
termine insolvenza, ma indica le modalità con cui essa si manifesta: “con
inadempimenti o altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore
non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
Con il termine “regolarmente” si intendono gli strumenti di
pagamento ordinario quali denaro, titoli di credito (assegni, cambiali,
bonifici bancari ecc.); invece costituisce ad esempio strumento irregolare
di adempimento la cessione dei beni che risulta invece sintomatica di uno
stato di insolvenza.
I “fatti esteriori” presi in considerazione dall’art. 5 riguardano
situazioni che se compiute dall’imprenditore fallibile manifestano uno
stato di illiquidità e una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento
47
acquistano rilevanza penale (fuga dell’imprenditore; improvvisa chiusura
dei locali dell’impresa da parte dell’imprenditore; trafugamento,
sostituzione, diminuzione fraudolenta dell’attivo; esagerazione
fraudolenta del passivo)50.
Rimando al secondo paragrafo del primo Capitolo l’analisi del
rapporto tra insolvenza civile e commerciale e la possibilità di distinguere
l’insolvenza del fallibile e il sovraindebitamento del debitore non fallibile
a partire dai differenti interessi tutelati che fanno capo rispettivamente a
situazioni debitorie diverse.
La definizione di cui all’art. 6 l. n. 3 del 2012 non combacia
perfettamente con la descrizione offerta dall’art. 5 l. fall.
Una delle principale differenze sul piano letterale, in riferimento
all’incapacità del soggetto non fallibile di adempiere alle proprie
obbligazioni, riguarda la presenza dell’aggettivo “definitiva” in luogo
dell’espressione “non è più in grado”.
Parte della dottrina sostiene che il carattere della irreversibilità
dell’insolvenza disciplinata dal fallimento è venuto meno: si ritiene che
quando il dato testuale dell’articolo 5 l. fall. usa il termine “più”, questo
fa riferimento alle cause che hanno determinato una “impotenza solutoria
strutturale, non rimovibile senza l’ausilio del diritto concorsuale”51.
L’art. 6 l. n. 3/2012 menzionando espressamente il termine
“definitiva” risulterebbe quindi in controtendenza rispetto all’evoluzione
in materia fallimentare.
Per comprendere il perché dell’attuale formulazione dell’articolo
si deve far riferimento al testo della proposta di legge Centaro (Proposta
AC n. 2364), che individuava quale presupposto oggettivo del
sovraindebitamento anche la situazione in cui il debitore “non è in
condizione di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni”.
50 Per un’analisi esaustiva del presupposto oggettivo del fallimento di cui all’art. 5 l. fall. v. C. CECCHELLA, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, p. 40 ss. 51 F. PACILEO, Ancora sullo “stato di insolvenza”. Appunti sull’art. 5 legge fallim. e spunti sulla nozione di sovraindebitamento di cui alla l. n. 3/2012, in Dir. fall., 2013, p. 1-41.
48
A tal riguardo l’assenza dell’avverbio “più” aveva fatto ritenere
che il sovraindebitamento fosse assimilabile più allo “stato di crisi” ex art.
160 l. fall.52 che a quello di insolvenza53.
Dunque sembra che l’impiego del termine “definitiva” sia in realtà
stato scelto proprio per distinguere il fenomeno del sovraindebitamento
dallo stato di crisi, facendo residuare così l’insolvenza che risulta dal testo
vigente essere diventata species del genus sovraindebitamento.
Ad accedere alla procedura è dunque solo chi è insolvente e non
chi sia in una situazione di mera difficoltà temporanea.
Potrebbe confermare l’intento del legislatore di distinguere il
presupposto del sovraindebitamento da quello dello stato di crisi l’utilizzo
dell’aggettivo “perdurante”, che evoca una situazione di chiara non
transitorietà, che invece è tipica di una situazione di crisi, dopotutto “un
aspetto certamente comune all’insolvenza è costituito dal fatto che la
situazione non deve essere transitoria”54.
È comunque necessario sottolineare come una certa dottrina
ammetta la difficoltà di distinguere con chiarezza tra lo stato di
insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., lo stato di crisi e le situazioni di
sovraindebitamento55.
Inoltre il novellato art. 6 della legge offre una definizione di
sovraindebitamento diversa da quella contenuta nella versione
precedente: l’art. 6 utilizzava l’avverbio “nonché” come elemento di
congiunzione delle due tipologie di sovraindebitamento, patrimoniale e
finanziario.
Da ciò derivava che il debitore non solo doveva risultare
incapiente rispetto agli obblighi assunti ma doveva essere al contempo
incapace di adempiere con regolarità.
52 Cfr. art. 160 l. fall, ultimo comma, “Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di sovraindebitamento”. 53 F. PACILEO, op. cit., p. 1-41. 54 M. FABIANI, op. cit., p. 5. 55 A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 2033.
49
Il d.l. n. 179 del 2012 ha distinto il sovraindebitamento
patrimoniale da quello finanziario, stabilendo che ciascuna tipologia è
sufficiente e necessaria per ricoprire il ruolo di presupposto oggettivo di
applicazione delle procedure di composizione della crisi.
2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore
agricolo e gli altri identificabili per esclusione
L’art. 6 nella versione originaria della legge n. 3 del 2012 definiva
i destinatari della disciplina facendo riferimento a tutte quelle situazioni
“non assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali”.
L’attuale testo dell’articolo non soltanto qualifica espressamente
la composizione della crisi come procedura concorsuale, ma aggiunge
nella definizione un riferimento esplicito al consumatore.
Il testo della norma in linea generale identifica i destinatari della
nuova disciplina per esclusione, mentre menziona espressamente la figura
del consumatore. Dopotutto l’assenza di una simile distinzione aveva
rappresentato una delle critiche maggiori all’impianto della legge nella
sua versione originaria.
L’art. 6 fa riferimento alle “situazioni” non assoggettabili a
procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dal Capo II della
legge stessa. Si parla di situazioni ma è chiaro che il destinatario della
disciplina sia il debitore sovraindebitato56.
Ad essere sottoposto alla composizione della crisi continua ad
essere il soggetto e non il sovraindebitamento in sé, come confermato
dall’art. 7, comma secondo, lett. a), che indica tra i presupposti di
ammissibilità proprio il fatto che il debitore non sia soggetto a procedure
concorsuali diverse dalla composizione della crisi da sovraindebitamento.
56 Come in proposito sottolinea D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 563-564.
50
Ad eccezione della figura del consumatore e dell’imprenditore
agricolo espressamente menzionati dalla legge, l’identificazione degli
altri destinatari risulta, come già accennato, essere per esclusione:
accedono alla l. n. 3/2012 coloro che non sono soggetti né al fallimento,
né al concordato fallimentare o preventivo, né alla liquidazione coatta
amministrativa, né all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
insolventi, né alle altre procedure concorsuali amministrative più
specifiche (es. la liquidazione coatta amministrativa per banche, imprese
di assicurazioni, intermediari finanziari).
Tra i soggetti che non possono attivare una delle procedura sopra
menzionate chiaramente vi è il consumatore a cui lo stesso art. 6 fornisce
una definizione ispirata palesemente al codice del consumo: “il debitore
persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi
estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
È rilevante lo scopo in base al quale è stata contratta l’obbligazione.
Il Tribunale di Bergamo, in occasione di una pronuncia con cui ha
dichiarato l’inammissibilità della proposta di composizione della crisi, ha
individuato quali sono i comportamenti che qualificano come
consumatore: “al fine dell’individuazione del consumatore, il giudice
dovrà, pertanto, verificare le modalità dell’atto concluso, le forme
utilizzate, le circostanze di tempo e di luogo di esso allo scopo di
verificare se l’oggetto dell’attività possa ritenersi destinato al
soddisfacimento dei bisogni inerenti alla sfera privata, personale o
familiare; solo, infatti, il soggetto che con determinati atti soddisfi bisogni
di carattere personale o familiare può essere considerato consumatore,
meritevole di una particolare attenzione normativa, e non invece colui che
pur agendo al di fuori della propria attività professionale agisca in vista di
scopo ad essa comunque connessi”57.
57 Tribunale di Bergamo, 12 dicembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11822.php .
51
Il Tribunale ha dichiarato inammissibile un piano del consumatore
proposto da un soggetto persona fisica che aveva assunto obbligazioni in
qualità di garante di una società di persone.
Il Tribunale ha affermato che per la qualificazione del garante o
del fideiussore come consumatore occorre riferirsi alla posizione del
debitore principale, per cui se l’obbligazione garantita è stata assunta da
un professionista anche il garante si considera tale: “la qualità del
debitore principale attrae quella del fideiussore”.
Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato che l’attività del soggetto
proponente è estranea al consumo, nascendo la posizione debitoria da
esigenze imprenditoriali, per cui il fideiussore non è legittimato ad
avvalersi dei benefici del piano del consumatore.
Il socio o gli amministratori che abbiano garantito con
fideiussione debiti della società fallita, non essendo fallibili ex lege non
possono ottenere né l’esdebitazione con i creditori di un concordato
fallimentare, né quella per buona condotta, tuttavia possono avvalersi
dunque del solo accordo di ristrutturazione dei debiti e non del piano del
consumatore.
Tra gli altri soggetti che possono attivare una procedura di
composizione della crisi vi sono gli enti non commerciali, quali
fondazioni, associazioni, comitati se non sono titolari di imprese
commerciali; i professionisti intellettuali sia che operino in forma
individuale che associata58.
Il d.l. n. 179 del 2012 introduce e assoggetta esplicitamente alle
procedure di composizione della crisi, escludendone l’accesso al
fallimento, le cc.dd. start-up innovative, imprese commerciali dotate di
determinati requisiti indicati dall’art. 25 del d.l.
58 In merito all’esclusione dal fallimento e alla soggezione alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento delle società tra professionisti, con specifico riferimento alla società tra avvocati, v. D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 567, nota 30.
52
Nel novero dei destinatari della disciplina rientrano gli
imprenditori commerciali non fallibili in quanto non superano le soglie di
cui all’art. 1 l. fall e i piccoli imprenditori ai sensi dell’art. 2083 c.c.
La definizione di piccolo imprenditore è stata ricondotta agli
elementi quantitativi di cui all’art. 1 l. fall, ma comunque permane anche
la sua identificazione in termini qualitativi ex art 2083, per cui si ritiene
che la questione di concorrenza fra questi parametri si risolva ritenendo
che il soggetto che non superi le soglie dimensionali di fallibilità sia
sempre un piccolo imprenditore e di conseguenza sia escluso dal
fallimento59.
È unanime la dottrina nel ritenere assoggettabile alla procedura
anche l’imprenditore commerciale ormai non più fallibile, poiché è
decorso l’anno durante il quale era attivabile il fallimento come previsto
dall’art. 10 l. fall60.
Alcuni sostengono che sarebbero assoggettabili alla disciplina, in
luogo del favor debitoris che emerge dalla l. n. 3/2012, anche quegli
imprenditori individuali che, seppur in astratto sono assoggettabili alle
procedure concorsuali, vogliono proporre un accordo con i creditori
“personali”, il cui credito non derivi dall’esercizio di un’attività
imprenditoriale svolta dal debitore61.
È unanime invece la previsione della soggezione alla procedura di
composizione della crisi dei i soci illimitatamente responsabili di società
di persone che versino in una situazione di sovraindebitamento, mentre la
società risulta in bonis poiché diversamente il fallimento della società
59 F. MAIMERI, Presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso, in Fallimento, 2012, p. 1030. 60 La giustificazione dell’esclusione dal fallimento dell’imprenditore individuale cessato è rintracciabile “nella disgregazione del patrimonio dell’impresa in caso di cessazione che contrasta con gli obiettivi della concorsualità, da un lato e dall’altro nella necessità di non paralizzare ogni iniziativa fallimentare solo perché l’imprenditore ha cessato la sua attività”, v. C. CECCHELLA, op. cit., p. 34. 61 MACARIO, Finalità e definizioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 17. Per un’opinione contraria v. S. PACCHI, op. cit., p. 698.
53
comporterebbe l’estensione della dichiarazione di fallimento ai suoi soci
illimitatamente responsabili ex art. 147 l. fall.
L’art. 7, comma 2-bis, riconosce espressamente anche
all’imprenditore agricolo la possibilità di proporre ai creditori un accordo
di composizione della crisi secondo le disposizioni del primo comma
dello stesso articolo.
L’imprenditore agricolo è escluso dall’accesso alle procedure
concorsuali “tradizionali” e fino alla modifica del d.l. 179/2012 era
assoggettato alle sole regole ordinarie dell’esecuzione individuale.
In realtà quanto detto non è propriamente corretto poiché,
nell’ambito della disciplina di riforma delle procedure concorsuali, il
legislatore aveva già previsto con un decreto del 2011 l’estensione
all’imprenditore agricolo dei soli istituti non concorsuali dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis e della transazione fiscale ex art.
182-ter.
In merito, dunque, sarebbe interessante capire quale di questi
strumenti riconosciuti all’imprenditore agricolo sia per lui più
conveniente azionare. Per la trattazione dell’argomento rimando al
Paragrafo 6.1., tuttavia è possibile anticipare, sommariamente, che
sembra preferibile l’accordo ex art. 182-bis in quanto il debitore,
nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di
ristrutturazione, “può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi
amministrati dalle agenzie fiscali pur se limitatamente alla quota di debito
avente natura chirografaria e con l’esclusione dei tributi costituenti risorse
proprie dell’Unione Europea”62.
L’ambito soggettivo di applicazione della legge n. 3 del 2012 è
condizionato anche dalla mancata esistenza dei requisiti preclusivi
dell’art. 7, secondo comma, lett. b) ss.: il debitore, o nello specifico il
consumatore, non deve aver fatto ricorso nei cinque anni precedenti ad
uno dei procedimenti disciplinati dalla legge; non deve aver subito, per 62 A. CAIAFA, La crisi da sovraindebitamento: la disciplina specifica per l’imprenditore agricolo, in www.anticrisi.net.
54
cause a lui non imputabili, uno dei procedimenti di cui agli artt. 14 e 14-
bis; non deve aver fornito documentazione che non consente di ricostruire
compiutamente la situazione economica patrimoniale.
Una questione di non poca importanza è l’assoggettabilità degli
enti pubblici alla l. n. 3 del 2012, questi sono espressamente esclusi dal
fallimento e dal concordato preventivo ex art. 1 l. fall.
L’esposizione debitoria dell’ente pubblico fa emergere risvolti
amministrativi e mette in evidenza il rapporto con l’amministrazione
finanziaria dello Stato, ciò giustifica l’esigenza di tenerli indenni dalla
procedura di sovraindebitamento63.
In dottrina è stato evidenziato come la vigente versione della legge
abbia abbandonato il profilo relativo al sovraindebitamento delle
famiglie, presente invece nella proposta di legge Centaro64.
Il nucleo familiare viene preso in considerazione solo per la
determinazione della quota di reddito necessaria per le spese correnti del
debitore, ma non costituisce un elemento di valutazione delle ragioni del
sovraindebitamento.
Sarebbe stata conveniente per il debitore, invece, una valutazione
del livello complessivo di indebitamento della famiglia, poiché spesso i
familiari risultano essere coobbligati del debitore principale a causa di
garanzie patrimoniali o personali offerte o in luogo del regime della
comunione legale fra i coniugi.
Eppure l’art. 11 dispone diversamente: “l’accordo non pregiudica i
diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e
obbligati in via di regresso”. Regola questa che avvicina la composizione
della crisi alle soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art.
art. 184, secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui
all’art. 182-bis, poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una
63 M. CORDOPATRI, Presupposti di ammissibilità, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 22. 64 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1263 ss.
55
riduzione del credito ma la accetta consensualmente determinando anche
una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.
Se il garante è un familiare questo potrà attivare un’autonoma
procedura di composizione della crisi, a fronte di questa possibilità la
stessa dottrina si interroga sulla convenienza di duplicare le procedure, sia
in termini di costi e tempi, rispetto a situazione dove piuttosto sarebbe
stata auspicabile una considerazione complessiva.
2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di
ammissibilità, contenuto e deposito
Il debitore sovraindebitato può proporre ai creditori, con l’ausilio
degli Organismi di composizione della crisi, un accordo di
ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, sulla base di un
piano che prevede le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori
che potranno essere suddivisi in classi, oltre ad assicurare: il regolare
pagamento dei creditori impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.65 e delle
altre disposizioni contenute in leggi speciali (quali ad esempio crediti
alimentari o pensioni); il pagamento integrale, anche se dilazionato, dei
tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’imposta sul
valore aggiunto e delle ritenute operate e non versate (art. 7, comma 1).
65 Cfr. art. 545 c.p.c. “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per soggetti sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle somme predetto. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge [c.c. 1881, 1923, 2751, n. 7; c.p.c. 514].”
56
Gli OCC territorialmente competenti sono quelli la cui sede si
colloca nel circondario del tribunale in cui il debitore ha la residenza o la
sede principale.
Con “regolare pagamento dei titolari dei crediti impignorabili ai
sensi dell’art. 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in varie leggi
speciali” si fa riferimento al pagamento integrale e alla normale scadenza.
L’art. 7 prevede che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca
possano essere soddisfatti in misura inferiore al loro effettivo ammontare,
purché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella
realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione66.
Il piano su cui l’accordo si fonda può anche prevedere la
possibilità dell’affidamento del patrimonio ad un gestore nominato dal
giudice per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai
creditori. La scelta del professionista va effettuata sulla base dei criteri di
cui all’art. 28 l. fall.
È prevista la possibilità che l’accordo articoli i creditori in classi, e
nel silenzio della legge si ritiene di poter applicare il criterio generale,
previsto in materia di concordato, dell’omogeneità di posizione giuridica
e di interessi economici, nonché la previsione di trattamenti economici
differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse.
Poiché manca una norma come quella prevista per il concordato
dall’art. 128 l. fall., che richiede oltre alla maggioranza assoluta dei
crediti anche la maggioranza dei crediti all’interno del maggior numero di
classi, la suddivisione in classi nel sovraindebitamento non assume alcuna
rilevanza nella formazione del consenso.
Il comma 1-bis dell’art. 7 riconosce al debitore-consumatore di
poter proporre sempre con l’ausilio degli OCC, in alternativa all’accordo
di ristrutturazione dei debiti di cui al primo comma, un piano che, seppure 66 È stato sostenuto che il creditore prelazionato, nonostante la legge preveda la possibilità di un soddisfacimento parziale, rimane comunque titolare dell’intero diritto di credito: si tratterebbe di una decurtazione parziale ope legis, da distinguere rispetto alla rinuncia parziale convenzionale. In merito v. M. CORDOPATRI, Presupposti di ammissibilità, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 24.
57
il contenuto sia lo stesso dell’accordo, si caratterizzi per prescindere dalla
fase deliberativa dei creditori, essendo necessario e sufficiente il solo
giudizio di omologazione del tribunale competente.
Sia l’accordo che il piano del consumatore stabiliscono, per
espressa previsione del primo comma, le scadenze e le modalità di
pagamento dei creditori, indicando le eventuali garanzie rilasciate per
l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei
beni.
L’art. 8, primo comma, riconosce massima autonomia alle parti,
stabilendo che la proposta di accordo o di piano può prevedere la
ristrutturazione dei debiti “attraverso qualsiasi forma”. Viene sancito
dunque il principio dell’atipicità della proposta e il legislatore offre
espressamente un solo esempio: indica quale possibile modalità la
cessione di crediti futuri.
Quello che risulta dal testo è che gli unici veri requisiti che
l’accordo o il piano deve necessariamente presentare risultano essere la
ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, e perde qualsiasi
rilevanza l’elemento dell’immediato pagamento, potendo infatti statuire
dilazionamenti.
Accordo o piano potranno avere dunque contenuto dilatorio, o
esdebitatorio o misto, o prevedere una moratoria fino ad un anno per i
creditori muniti di privilegio; diversamente dalla disciplina previgente nel
piano possono rientrare anche le transazioni di crediti verso le pubbliche
amministrazioni (compresi crediti fiscali, previdenziali ed assistenziali):
l’estensione si dovrebbe desumere dall’ultimo comma dell’art. 11 che
facendo riferimento ai “pagamenti dovuti secondo il piano alle
amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza”
indirettamente sostiene la possibilità che questi crediti possano far parte
della formulazione del piano.
“Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti
a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la
58
proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il
conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per
assicurare l’attuabilità” (art. 8, comma 2).
L’utilizzo del termine “conferimento” rappresenta una esplicita
imprecisione, avendo nel linguaggio giuridico il significato di
trasferimento di un bene o di un diritto da un patrimonio ad un altro.
In realtà il legislatore concede al debitore soltanto la possibilità di
integrare il suo patrimonio con beni o redditi di terzi.
A seconda di quanto siano scarse le risorse finanziarie del
debitore, l’intervento del terzo può essere solutorio o a garanzia
(personale o reale).
In caso di rilascio della garanzia questa sembra dover avvenire
soltanto ex ante rispetto all’omologazione, poiché la legge prevede che la
proposta debba essere sottoscritta anche dal terzo prestatore di garanzia.
I terzi, una volta assunto l’obbligo, diventano a tutti gli effetti parti
dell’accordo o del piano: fino all’omologazione il vincolo soggiace ad
una condizione sospensiva; se l’accordo o il piano vengono revocati o
cessano di diritto di produrre effetti il vincolo stesso si estingue e
comunque, a prescindere dal verificarsi di tali eventi, non vengono meno i
diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
La proposta dell’accordo deve indicare le eventuali limitazioni di
cui è destinatario il sovraindebitato rispetto all’accesso al mercato del
credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a
credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari (art. 8, terzo
comma).
Devono essere indicate anche le eventuali segnalazioni in banche
dati quali la Centrale rischi presso la Banca d’Italia o la centrale di
allarme interbancaria.
Si vuole offrire così ai creditori una rappresentazione, la più
fedele, della situazione patrimoniale del debitore.
59
Quanto espresso dal terzo comma dell’art. 8 rappresenta un
contenuto eventuale dell’accordo.
Non è di scarsa rilevanza evidenziare che da una parte se il
debitore pone in essere una condotta che non rispetta i contenuti anche
eventuali dell’accordo soggiace alla sanzione penale prevista dall’art. 16,
comma 1, lett. f), dall’altra manca un vero e proprio sistema di controllo
che sia rivolto ai soggetti che erogano il credito al consumo, “né sono
state introdotte misure dirette a prevenire il loro utilizzo sconsiderato”67.
La proposta di accordo formulata da un imprenditore sotto soglia
può prevedere la continuazione dell’attività d’impresa e allo stesso tempo
anche una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento
dei creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca, salvo che sia prevista la
liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art.
8, ultimo comma).
Anche per il piano del consumatore è prevista una moratoria negli
stessi termini e nelle stesse modalità.
La domanda di ammissione, la proposta e il piano devono essere
depositate presso il tribunale competente: il tribunale del luogo di
residenza o della sede principale del debitore, e nello specifico per il
consumatore il tribunale del luogo di residenza.
La legge non qualifica espressamente il deposito della proposta
come domanda giudiziale, ma la dottrina giunge invece a tale conclusione
dovendo l’atto assumere la forma di un ricorso68.
67 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 573. Sulla severità della disciplina del sovraindebitamento e sulla indeterminatezza di quella del credito al consumo relativamente “alla negligente valutazione da parte del debitore del c.d. merito di credito del richiedente il finanziamento” v. E. PELLECCHIA, Composizione della crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza, in Diritto civile contemporaneo, 2014, in www.dirittocivilecontemporaneo.com. Nello specifico in merito all’approccio responsible lending si veda il contributo di E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 67 ss. 68 F. S. FILOCAMO, Deposito ed effetti dell’accordo, in Fallimento, 2012, p. 1047.
60
L’iniziativa del procedimento è rimessa esclusivamente al debitore
non fallibile; i creditori possono agire solo in via esecutiva, non hanno la
possibilità di attivare la procedura in esame.
La proposta di accordo o di piano, contestualmente al deposito
presso il tribunale, o comunque non oltre tre giorni, deve essere
presentata a cura dell’OCC all’agente della riscossione e agli uffici fiscali
competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del proponente.
La proposta deve contenere anche la posizione fiscale del debitore
e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti (art. 9, primo comma).
La documentazione da allegare alla domanda è indicata dall’art. 9,
secondo comma: l’elenco di tutti i creditori con l’indicazione delle
somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di
disposizione compiuti negli ultimi cinque anni; le dichiarazioni dei redditi
degli ultimi tre anni; la dichiarazione di fattibilità del piano; l’elenco delle
spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua
famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare
corredata dal certificato dello stato di famiglia.
Sono gli Organismi di composizione della crisi a formulare
l’attestazione di fattibilità del piano, una verifica in merito alla veridicità
dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati come definito
dall’art. 15, comma 6.
L’OCC attraverso il proprio giudizio sulla fattibilità del piano
conferma la capacità del debitore di osservare a seguito
dell’omologazione gli impegni assunti nella proposta.
La dottrina si è chiesta se sia sufficiente per l’attestazione una
semplice affermazione o sia invece necessaria una relazione, la soluzione
prevalente è quella di accordare a tale documentazione la natura di
relazione, dopotutto la relazione di fattibilità del piano e di veridicità dei
dati determinano la continuazione della procedura e forniscono ai
creditori informazioni utili per comprendere la convenienza della
proposta, per cui sarebbe riduttivo parlare di mera attestazione.
61
Si parla di obbligatorietà del deposito della relazione di fattibilità
anche in occasione di un concordato preventivo o di un accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis69.
Il Tribunale di Firenze, già nella vigenza della versione precedente
della legge n. 3 del 2012, aveva dichiarato che il rigetto del ricorso per
mancanza dei requisiti richiesti dalla legge doveva essere dichiarato
quando non fossero indicate le scadenze e modalità di pagamento dei
creditori e quando fosse carente della dichiarazione dei redditi e
dell’attestazione di fattibilità70.
In merito al deposito della dichiarazione dei redditi più
recentemente, 18 novembre 2014, il Tribunale di Asti, ha affermato che
“la mancata produzione della dichiarazione dei redditi nei termini
prescritti comporta l'inammissibilità della domanda di composizione della
crisi da sovraindebitamento, in quanto non consente di ricostruire
compiutamente la situazione economica e patrimoniale del ricorrente così
come previsto dall’articolo 7, comma 2, lettera d) legge n. 3 del 2012,
mentre la sua produzione tardiva non consente l'esplicazione dell'esame
dell'attestatore al fine della valutazione sulla fattibilità del piano, il che
configura un ulteriore profilo di inammissibilità rappresentato dalla
incompleta attestazione”71.
Il terzo comma dell’art. 9 si rivolge all’imprenditore non
assoggettabile alle procedure concorsuali “tradizionali”, il quale ha
l’obbligo di depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi,
unitamente alla dichiarazione che ne attesta la conformità all’originale.
69 L’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, pur prevedendo l’obbligo dell’attestazione circa la fattibilità del piano, non obbliga il professionista ad attestare anche la veridicità dei dati aziendali. Parte della dottrina sostiene il ruolo ridotto del professionista attestante nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis. Sul punto cfr. P. QUARTICELLI, Il deposito della proposta, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 32. 70 Tribunale di Firenze, 27 agosto 2012, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8172.php. 71 Tribunale di Asti, 18 novembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/ban.php?id_cont=12095.php
62
L’imprenditore agricolo invece non è soggetto all’obbligo di
tenuta delle scritture contabili e di redazione del bilancio, ma per questo
non è consequenzialmente esonerato dal deposito della documentazione
che “consenta di ricostruire compiutamente la sua situazione patrimoniale
ed economica, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), dovendo se del caso
provvedere alla redazione ex novo di documenti riepilogativi a ciò
finalizzati”72.
Se il soggetto proponente è il consumatore questi è obbligato ad
allegare alla domanda una relazione particolareggiata dell’organismo di
composizione della crisi che deve contenere: “l’indicazione delle cause
dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore
nell’assumere volontariamente le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni
dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte; il
resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;
l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai
creditori; il giudizio sulla completezza e attendibilità della
documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta,
nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa
liquidatoria” (art. 9, comma 3-bis).
Il giudice può concedere un termine non superiore a quindici
giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi
documenti.
A partire dal deposito della proposta di accordo o di piano è
sospesa, ai soli effetti del concorso, la decorrenza degli interessi legali e
convenzionali per tutti i creditori chirografari. Il comma 3-quater
produce una sospensione che opera ex lege e prescinde da un
provvedimento del giudice.
Una volta presentata la domanda al tribunale competente,
corredata di tutta la documentazione necessaria, si apre la prima fase del
72 Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=10555.php
63
procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, che
culmina con l’adozione del provvedimento con cui viene fissata la data
del giudizio di omologazione.
La legge non prevede la difesa tecnica del debitore che presenta la
proposta di accordo o di piano.
Il Tribunale di Vicenza ha invece manifestato un’opinione diversa,
stabilendo che “è necessaria l’assistenza tecnica del debitore poiché: 1) la
proposta è una domanda giudiziale con il fine di comporre una crisi
finanziaria e si è in presenza di interessi contrapposti; 2) il ricorso è
introduttivo di una procedura; 3) la procedura si svolge davanti ad un
tribunale; 4) la procedura presenta fasi potenzialmente contenziose.
L’assistenza di un legale che assista il debitore può non essere necessaria
se nell’OCC che concretamente presenta la domanda vi sia anche un
legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della
stessa”73.
2.4. Il giudizio di ammissibilità
Il procedimento di composizione della crisi si apre a seguito del
deposito della domanda e, nonostante sia modellato sullo schema del rito
camerale (sono richiamate le disposizione degli artt. 737 ss. c.p.c.), si
svolge di fronte al giudice monocratico in deroga alla riserva di
collegialità prevista per i procedimenti in camera di consiglio ex art. 50
c.p.c.
L’art. 10, comma 1, in materia di accordo di ristrutturazione dei
debiti, prevede che il giudice debba operare d’ufficio, senza
contraddittorio alcuno, una verifica sul soddisfacimento da parte della
proposta dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9.
73 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php
64
La sussistenza dei requisiti richiesti consente di accedere alla fase
successiva del procedimento, cioè la formazione del consenso da parte dei
creditori.
La deliberazione del giudice in merito all’accordo ha ad oggetto la
competenza territoriale, la necessaria assistenza dell’OCC, i presupposti
di ammissibilità di cui al secondo comma dell’art. 7, la sussistenza dello
stato di sovraindebitamento, l’allegazione dei documenti di cui all’art. 9,
commi 2 e 3.
In merito al giudizio sull’esistenza dei requisiti di cui all’art. 7, 8 e
9, il legislatore non ha chiarito se la valutazione del giudice si configura o
meno come sindacato di merito sulla proposta e sulla fattibilità del piano.
Si ritengono applicabili anche in caso di sovraindebitamento i
principi elaborati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in
materia di concordato preventivo, con la sentenza n. 1521 del 23 gennaio
2013, in base alla quale il giudice potrà sindacare la logicità e
completezza motivazionale dell’attestazione presentata dall’OCC: si
ritiene ragionevole che il giudice possa sindacare “se la dichiarazione di
fattibilità e di veridicità dei dati rilasciata dall’Organismo di
composizione della crisi ai sensi dell’art. 15, comma 6, sia completa ed
adeguata, mentre il sindacato di merito della fattibilità da parte del
giudice pare riservato al giudizio di omologa su contestazione dei
creditori”74.
Nonostante il silenzio della legge, data la natura concorsuale
dell’accordo e i suoi elementi di vicinanza alle soluzioni concordatarie,
pare ragionevole giungere a questa conclusione e “approdare
simmetricamente a quanto il diritto giurisprudenziale sta
progressivamente stabilendo in materia di concordato preventivo”.
La norma non disciplina l’ipotesi in cui non siano soddisfatti i
requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 10, si deve presupporre che in 74 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23 gennaio 2013 n. 1521, in http://www.ilcaso.it/articoli/354.pdf. Sulla natura del giudizio di fattibilità della proposta cfr. L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, in Il fallimentarista, 12 dicembre 2012, p. 13.
65
caso di esito negativo il giudice emana un decreto di inammissibilità o
improcedibilità del ricorso.
Il sesto comma prevede comunque la possibilità di proporre
reclamo avverso il provvedimento del giudice al tribunale in
composizione collegiale e del collegio non può far parte il giudice che ha
adottato il provvedimento.
Il Tribunale di Bergamo, in una pronuncia del 16 dicembre 2014,
scandisce dettagliatamente le fasi del controllo da parte del giudice: in
primo luogo procede con la verifica del presupposto soggettivo e del
presupposto oggettivo, in secondo luogo verifica la capacità della
proposta di soddisfare il ceto creditorio e la presenza delle condizioni di
ammissibilità formale cioè di tutti i documenti che devono accompagnare
il deposito della proposta, successivamente si svolge il controllo sulla
fattibilità del piano e, nello specifico ambito della procedura del piano del
consumatore, sulla meritevolezza del consumatore75.
Il tribunale sottolinea che il controllo di legittimità è immanente
alle prerogative del giudice, mentre il controllo sulla fattibilità e
convenienza del piano sottostante alla proposta viene realizzato con
l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi.
Di seguito invece viene analizzata la procedura prevista in caso di
esito positivo della deliberazione del giudice, distinguendo tra accordi di
ristrutturazione dei debiti e piano del consumatore, che pur avendo un
contenuto simile in merito alla proposta sono destinati ad articolarsi in
fasi procedurali diverse, nel momento in cui manca per il piano del
consumatore la formazione del consenso dei creditori.
Se l’esito è positivo, in caso di proposta di accordo di
ristrutturazione dei debiti, il giudice fissa immediatamente con decreto di
ammissione alla procedura l’udienza di fronte a sé, tra l’udienza e il
giorno del deposito non devono decorrere più di sessanta giorni.
75 Tribunale di Bergamo, 16 dicembre 2014, in Il fallimentarista, 23 dicembre 2014
66
Del decreto e della proposta è disposta comunicazione ai creditori
presso la loro residenza o sede legale entro trenta giorni prima del termine
indicato dall’art. 11, termine di dieci giorni prima della data dell’udienza.
La comunicazione può avvenire per telegramma, lettera
raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o per posta elettronica
certificata.
Con tale decreto viene fissata la data di convocazione del debitore
e dei creditori, i quali entro dieci giorni dalla data dell’udienza ex art. 11
dovranno far pervenire i loro consensi o dissensi rispetto alla proposta.
Il decreto di ammissione alla procedura ha un contenuto
sostanziale indicato dal comma 2 dell’art. 10: il giudice deve decidere la
forma di pubblicità della proposta e del decreto secondo il principio di
idoneità (cioè la forma pubblicitaria utilizzata deve essere efficace
rispetto allo scopo perseguito); nel caso in cui il debitore svolga attività
d’impresa è comunque prevista la pubblicazione degli stessi nel registro
delle imprese; ove il piano su cui l’accordo del debitore si fonda preveda
la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili
registrati il giudice ordina la trascrizione del decreto, a cura degli OCC,
presso gli uffici competenti.
Il decreto presenta anche un contenuto inibitorio, prevedendo il
giudice che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione
diventi definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o
proseguite azioni esecutive individuali o disposti sequestri conservativi o
acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha
presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titoli o
causa anteriore.
L’effetto inibitorio quindi riguarda esclusivamente i crediti per
titolo o causa anteriori, per cui si è sostenuto che la concessione di titoli
di prelazione a fronte di finanziamenti destinati a fornire provvista per
67
l’esecuzione del piano sia legittima (questi crediti risultano inoltre
prededucibili ai sensi dell’art. 12, comma 5, ultimo comma)76.
Il divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive o cautelari
riguarda esclusivamente quelle individuali, per cui è sempre possibile
presentare istanza di fallimento.
La dichiarazione di fallimento pronunciata verso il sovraindebitato
risolve l’accordo ex art. 7 (art. 12, comma 5).
La disposizione in commento si ispira all’art. 51 l. fall ed è a sua
volta richiamata dall’art. 168 l. fall, che allo stesso modo dell’art. 10
contempla la nullità per le azioni in violazione della norma: ne risulta che,
anche nel caso in cui la proposta non venga omologata, gli atti di
esecuzione, i sequestri e i titoli di prelazione acquisiti nonostante il
divieto rimarranno improduttivi di effetti.
L’unica limitazione individuata dalla legge all’effetto inibitorio di
cui all’art. 10 è l’ipotesi di crediti impignorabili, rispetto ai quali la
sospensione non opera.
Durante tutto il periodo individuato dall’art. 10, comma 2, lett. c),
le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano (art.
10, comma 4).
A decorrere dalla data del decreto di ammissione alla procedura e
sino alla data di omologazione dell’accordo, il debitore ha l’obbligo di
ottenere l’autorizzazione del giudice per il compimento di atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione, altrimenti sono inefficaci rispetto ai creditori
anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto (art.
10, comma 3-bis).
Questa norma viene mutuata dalle soluzioni concordate, infatti
l’art. 167 l. fall. prevede che, una volta aperta la procedura, gli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere compiuti solo se
autorizzati dal giudice delegato.
76 L. PANZANI, op. cit., p. 12.
68
La ratio della norma è quella di fornire adeguata tutela
all’interesse dei creditori alla capienza del patrimonio, affinché sia idonea
a soddisfare i loro interessi.
La disposizione sembra realizzare una sorta di spossessamento
attenuato.
Il quinto comma dispone che il decreto di fissazione dell’udienza
deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento, determina così
l’indisponibilità dei beni da parte del debitore restando preclusa ai
creditori posteriori alla comunicazione del decreto la possibilità di
soddisfarsi coattivamente su di essi (c.d. segregazione del patrimonio).
Nel fallimento soltanto a partire dal provvedimento giurisdizionale
con cui il giudice dichiara il fallimento si producono gli effetti specifici
della disciplina nei confronti del fallito.
Tra questi effetti si inserisce lo spossessamento materiale del
fallito il quale non ha più il possesso materiale dei beni che compongono
il suo patrimonio, né ha la capacità di porre in essere atti che siano
opponibili alla procedura fallimentare e ai creditori (art. 44 l. fall.).
Diversa è la situazione nei piani di risanamento o negli accordi di
ristrutturazione ex art. 182-bis o nei concordati, poiché in questi casi
l’imprenditore conserva l’amministrazione e la gestione dell’impresa, ma
sotto la vigilanza del commissario e la direzione del giudice delegato e
per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione il debitore necessita
comunque dell’autorizzazione del giudice.
Nella procedura di cui alla legge n. 3 del 2012, lo spossessamento
materiale è attenuato, si concentra sul regime dell’obbligatorietà
dell’autorizzazione del giudice a fronte di atti di straordinaria
amministrazione, allo stesso modo lo spossessamento giuridico determina
l’indisponibilità dei beni a partire dal decreto di fissazione dell’udienza
per l’omologazione.
69
Il debitore non fallibile rimane esecutore materiale dello stesso
accordo o piano, salvo le ipotesi in cui sia necessario nominare un
liquidatore per dare esecuzione allo stesso.
Durante l’udienza fissata col decreto di ammissione alla procedura
il giudice, se accerta la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori,
dispone la revoca del decreto e la cancellazione della trascrizione dello
stesso e la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.
Oggetto dell’accertamento dell’udienza non è la discussione o la
votazione dei creditori che invece è prodromica all’udienza, né la
costatazione dell’avvenuto raggiungimento dell’accordo di cui spesso si
ha conoscenza successivamente essendo numerose le formalità da
adempiere, ma piuttosto è proprio la presenza di iniziative o atti in frode
ai creditori.
Anche questo aspetto è mutuato dalla disciplina del concordato
preventivo, essendo la verifica in oggetto tipica del concordato ex art. 173
l. fall. Gli atti di frode rilevanti ai sensi dell’art. 173 sono quelli idonei ad
incidere sul processo formativo del consenso dei creditori, viziando o
alterando la formazione delle maggioranze, quali ad esempio “le condotte
rilevanti ai fini della interruzione della procedura come quelle compiute
in occasione della presentazione della domanda di concordato o
preordinate a fornire una falsa rappresentazione della situazione
patrimoniale dell’impresa al fine di carpire il consenso dei creditori”77.
Non rilevano gli atti di mala gestio (anche se integrano illeciti
contabili o gestionali) se non sono diretti ad alterare la formazione
genuina del consenso da parte dei creditori. È in questa prospettiva che
deve essere interpretata la norma di cui all’art. 10, comma 3, l. n. 3 del
2012.
Tra gli atti in frode ai creditori vi rientra anche il trust istituito dal
debitore a seguito del manifestarsi della situazione di squilibrio
77 G. IVONE, L’ammissione alla procedura, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 36
70
patrimoniale che sia stato realizzato con modalità e clausole tali da far
presumere l’intento del disponente di mantenere il controllo sui beni
sottraendoli alla garanzia patrimoniale78.
Per quanto concerne invece la disciplina del piano del
consumatore, in occasione del giudizio di ammissibilità a seguito del
deposito della proposta al tribunale competente, il giudice dovrà
verificare, così come accade per l’accordo, che siano soddisfatti i requisiti
di cui agli artt. 7, 8 e 9 e siano inoltre assenti atti in frode ai creditori (ex
art. 12-bis)79.
Se sono soddisfatti, il giudice emana un decreto con cui fissa
l’udienza e dispone a cura degli organismi di composizione la
comunicazione del decreto e della proposta ai creditori entro trenta giorni
prima. Tra la data del deposito e quella dell’udienza non devono
decorrere più di sessanta giorni.
Per la valutazione della fattibilità del piano e più in generale dei
requisiti di cui all’art. 7, 8 e 9 valgono le stesse considerazioni esposte
sopra in materia di accordi del debitore.
La struttura prevista per la procedura ad hoc del consumatore
presenta delle differenze rispetto a quella dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti ex art. 7 l. n. 3/2012.
La differenza più significativa è l’assenza di una fase in cui si
subordina la proposta al placet dei creditori; a seguito del decreto di
ammissione si colloca la fase dell’omologazione del piano ad opera di
una positiva deliberazione da parte del giudice. 78 Tribunale di Reggio Emilia, 11 marzo 2015, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=12285.php 79 “La proposta avente ad oggetto la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore non può essere dichiarata ammissibile, ai sensi dell’art. 7 L. n. 3/2012, se, allo scadere del termine assegnato dal giudice per le integrazioni alla proposta ex art. 9, comma 3- ter, manchino l’attestazione del professionista in relazione all’idoneità del piano al pagamento del creditore privilegiato; la documentazione rappresentativa della situazione economico- patrimoniale del debitore; l’elenco dei creditori ed una relazione particolareggiata dell’Organismo di Composizione della Crisi avente il contenuto indicato all’art. 9 della citata legge” v. Tribunale di Milano, sez. II, 7 agosto 2014, in Il fallimentarista, 2 marzo 2015.
71
Altre differenze hanno ad oggetto gli effetti che derivano dal
decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti: la
mancanza di una disposizione simile al comma 3-bis dell’art. 10 che
presuppone per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione l’autorizzazione del giudice; l’assenza di una previsione
simile al quarto comma dell’art. 10, in base alla quale rimangono sospese
le prescrizioni e decadenze per tutto il periodo che intercorre tra il decreto
di apertura della procedura e quello di omologa, in merito a quest’ipotesi
l’eccezionalità della norma né impedisce un’applicazione estensiva o
analogica.
Una differenza rilevante riguarda il potere inibitorio del decreto di
fissazione dell’udienza sino alla data di omologazione dell’accordo di cui
al comma 2 lett. c), art. 10. Diversamente, nel piano del consumatore il
giudice ha la facoltà (e non l’obbligo) di poter eventualmente disporre
con lo stesso decreto di fissazione dell’udienza la sospensione della
prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata solo quando
questi potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano.
La sospensione quindi è disposta dal giudice con riferimento alle
particolarità del caso specifico e si è indotti a ritenere che il
provvedimento potrebbe essere valutato con riferimento anche ad una
specifica procedura, per cui potrebbe essere disposta la sospensione solo
di alcuni e non di tutti i procedimenti di esecuzione. In caso di mancata
omologazione del piano, la legge sembra richiedere la forma
dell’ordinanza per determinare la cessazione degli effetti del decreto di
sospensione.
Soltanto a seguito dell’omologazione del piano del consumatore è
prevista ex lege la nullità di tutte le azioni esecutive individuali, cautelari
e degli acquisti di diritti di prelazione.
Nel procedimento del piano del consumatore a essere assimilabile
a un atto di pignoramento è il decreto di omologa e non, come accade
72
nell’accordo ex art. 7, il provvedimento di fissazione dell’udienza emesso
a seguito del positivo giudizio di ammissibilità della proposta di piano.
Gli effetti del decreto di fissazione risultano dunque diversi, allo
stesso modo risulta diverso il momento in cui il giudice valuta la presenza
di atti in frode ai creditori: nell’accordo tale operazione viene svolta dal
giudice in occasione dell’udienza di comparizione delle parti, nel piano,
invece, avviene contestualmente al giudizio di ammissibilità.
2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del
debitore. La procedura senza votazione per il sovraindebitamento del
consumatore
Perché l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 l. n. 3 del
2012 possa essere omologato è necessaria l’approvazione da parte dei
creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.
I creditori fanno pervenire (anche per telegramma o lettera
raccomandata con avviso di ricevimento o telefax o per posta elettronica
certificata) almeno dieci giorni prima dell’udienza all’Organismo di
composizione della crisi la dichiarazione sottoscritta (attraverso firma
autografa del creditore o firma digitale) del proprio consenso o dissenso.
La dichiarazione resa può essere modificata fino a dieci giorni
prima dell’udienza.
L’adesione del creditore deve corrispondere alla proposta che è
comprensiva anche delle modificazioni intervenute ad opere del debitore
ai sensi dell’art. 10, comma 1.
Nel caso in cui il creditore non dia alcuna manifestazione
relativamente alla proposta, il silenzio, alla stregua della disciplina
prevista in materia di concordato fallimentare e preventivo, vale come
assenso, perciò viene equiparato all’accettazione della proposta.
La votazione dei creditori avviene fuori dal tribunale, è l’OCC a
raccogliere le dichiarazioni e, all’esito della votazione, a trasmettere ai
73
creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della
percentuale necessaria per accedere alla fase dell’omologazione
unitamente al testo dell’accordo.
Nel computo del consenso non vi rientrano i crediti muniti di
privilegio, pegno e ipoteca rispetto ai quali la proposta prevede l’integrale
pagamento, salvo che i titolari non rinuncino in tutto o in parte al diritto
di prelazione.
Non ha inoltre diritto di esprimersi sulla proposta, né sono
computati nel calcolo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi
parenti o affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro
crediti da meno di un anno prima della proposta.
La norma non prevede altre ipotesi di esclusione dal voto e dal
computo, risulta però dubbio se l’esclusione si debba o meno estendere
anche ai crediti contestati, condizionali e di regresso.
Nulla è detto nemmeno in riferimento ai crediti impignorabili,
rispetto ai quali però è unanime la propensione all’esclusione dal
computo, essendo comunque garantito il soddisfacimento integrale del
credito80.
La differenziazione tra creditori chirografari e creditori prelatizi
viene ereditata dalla disciplina del concordato, i creditori chirografari
possono votare, mentre gli altri sono esonerati dal voto nei limiti in cui
sono garantiti e purché non rinuncino alla garanzia.
Le ragioni dell’esclusione dal voto dei creditori garantiti è dettata
dalle regole che disciplinano la responsabilità patrimoniale di cui agli artt.
2740 e 2741 c.c. in base ai quali il debitore risponde con tutti i suoi beni
presenti e futuri alle obbligazioni assunte e, se l’obbligazione non viene
adempiuta spontaneamente, tutti i creditori hanno eguale diritto di
concorrere sui suoi beni con l’esecuzione forzata.
80 L. PANZANI, op. cit., p. 14.
74
I titolari di cause di prelazione però hanno il diritto di soddisfarsi
sui beni del debitore con preferenza rispetto agli altri creditori
chirografari.
Per i creditori garantiti risulta quindi indifferente quale sia la
procedura con cui soddisfano i loro crediti, se individuale o concorsuale,
dopotutto il diritto al soddisfacimento dei loro crediti è assicurato dal
vincolo che essi intrattengono con uno specifico bene o su un complesso
di beni del debitore.
Le ragioni dell’esclusione vengono meno nel momento in cui il
creditore garantito rinunci in tutto o in parte alla prelazione.
Il terzo comma dell’art. 11 stabilisce che l’accordo non pregiudica
i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore
e obbligati in via di regresso.
La norma è mutuata dalla disciplina concordataria, nello specifico
dall’art. 135, comma secondo, l. fall., il quale enuncia il “principio di
sopravvivenza delle garanzie nell’ambito delle procedure concorsuali”: i
coobbligati, i fideiussori e gli obbligati di regresso sono tenuti al
pagamento dell’intero debito ma hanno comunque diritto al regresso nei
confronti del condebitore o debitore principale solo per la percentuale
concordataria.
Diversamente invece accade nell’ambito degli accordi di
ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l. fall., avendo infatti
questo accordo natura negoziale lo stesso creditore acconsente con
l’accordo al ridimensionamento contestuale anche della garanza.
La normativa specifica che l’accordo non determina la novazione
delle obbligazioni, salvo che sia diversamente stabilito (art. 11, comma
4).
L’accordo cessa di diritto di produrre i suoi effetti se il debitore
non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i
pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli
enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
75
L’accordo viene revocato se durante la procedura risultano
compiuti atti volti a frodare le ragioni dei creditori. In occasione di
analoghe condotte, il giudice procede d’ufficio con decreto reclamabile di
fronte al tribunale in sede collegiale e del collegio non può far parte il
giudice che lo ha pronunciato.
Come già evidenziato in precedenza, il consumatore
sovraindebitato ha la possibilità di depositare presso il tribunale
competente una proposta di piano, alternativa all’accordo del debitore ex
art. 7, quando soddisfi i requisiti del “consumatore meritevole”.
La specialità della procedura è data dal fatto che concede al
sovraindebitato di poter ristrutturare la propria esposizione debitoria
senza soggiacere al placet dei creditori, essendo necessario dopo il
deposito della proposta solo l’omologa del giudice.
Riassumendo quanto già detto nel paragrafo precedente, una volta
presentata la domanda il giudice d’ufficio verifica preliminarmente i
requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 12-bis, se l’esito è positivo
immediatamente emana decreto con cui fissa l’udienza per decidere
sull’omologa del piano, disponendo che proposta e decreto siano
comunicati a tutti i creditori a cura dell’Organismo di composizione della
crisi almeno trenta giorni prima.
Il deposito della proposta del piano deve essere accompagnato da
tutti i documenti richiesti dall’art. 9, comma 3-bis, tra cui il giudizio sulla
probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.
A formulare questa valutazione è proprio l’OCC, che si colloca in
una posizione di palese conflitto di interessi, avendo concorso alla
redazione del piano.
Il giudizio dell’Organismo risulta determinante per sancire la
convenienza del piano, poiché nemmeno il giudice in sede di omologa
può valutarne il merito: l’art. 12-bis, comma 3, fa riferimento soltanto ad
una verifica ad opera del tribunale sulla fattibilità e idoneità del piano ad
assicurare il pagamento dei crediti impignorabili.
76
Diversamente accade in caso di contestazione sulla convenienza
da parte dei creditori o di chiunque altro interessato, in quest’ultima
ipotesi infatti il giudice prima di procedere all’omologazione deve
considerare se il credito rispetto al quale è stata esercitata la contestazione
possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore
all’alternativa liquidatoria.
La Relazione al Decreto Sviluppo-bis espressamente attribuisce
all’omologazione dell’accordo e del piano un automatico effetto
esdebitatorio, giustificabile nell’ambito degli accordi del debitore per la
previsione di una deliberazione ad opera dei creditori, mentre più difficile
appare la ricostruzione per il piano del consumatore.
La stessa Relazione illustrativa del d.l. n. 179 del 2012 evidenzia
come l’assenza di una qualsiasi forma di consenso dei creditori sia
motivata dalla volontà di garantire maggiori possibilità di risanamento al
consumatore quando il suo piano sia assistito dalla deliberazione positiva
del tribunale.
Il piano del consumatore è stato definito come un procedimento
“anomalo per il nostro ordinamento, che si espone fortemente al sospetto
di incostituzionalità, quantomeno per la lesione dell’art. 24 Cost”, poiché
la procedura “di fatto preclude ai creditori del consumatore, che abbia
ottenuto l’omologazione del piano proposto e che lo abbia regolarmente
eseguito, di agire in giudizio a tutela dei propri diritti”81.
2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del
consumatore: la procedura al vaglio della più recente giurisprudenza
di merito
Sia la procedura dell’accordo del debitore che quella del piano del
consumatore prevedono nella loro articolazione una fase di omologazione
81 E. SABATELLI, Prime osservazioni su una disciplina in itinere: la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, in Il fallimentarista, 7 novembre 2012, p. 11.
77
che è disciplinata rispettivamente per l’accordo dall’art. 12 l. n. 3 del
2012 e per il piano dagli artt. 12-bis e 12-ter.
In materia di accordo, una volta pervenuti i consensi o dissensi
entro il termine previsto di almeno 10 giorni prima della data dell’udienza
fissata con il decreto di ammissione, l’OCC trasmette a tutti i creditori la
relazione sulle dichiarazioni espresse e sul raggiungimento della
percentuale prescritta per l’accordo, unitamente all’accordo stesso.
Nel caso specifico in cui il giudice venga informato attraverso la
relazione dell’Organismo sul mancato raggiungimento dell’accordo,
questi dichiara l’improcedibilità della proposta con decreto che non
impedisce la reiterabilità della proposta di accordo. Il provvedimento del
giudice è impugnabile con reclamo al collegio.
In caso di esito positivo nella formazione del consenso necessario,
entro dieci giorni dal ricevimento della relazione ad opera dell’OCC, i
creditori possono presentare contestazioni in merito al raggiungimento
dell’accordo, e alla fattibilità del piano o alla capacità del debitore di
adempiere al contenuto della proposta e di adempiere ai crediti tributari o
impignorabili per cui è previsto il soddisfacimento integrale.
Decorso quest’ulteriore termine di dieci giorni, l’Organismo
trasmette al giudice tutte le eventuali contestazioni allegando
un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.
Con il termine “definitiva” si fa riferimento ad un’attestazione
diversa rispetto a quella di cui all’art. 9, comma 2; come in precedenza
esposto, l’attestazione presentata dal debitore in occasione del deposito
della proposta è redatta dall’OCC e ha lo scopo di verificare la veridicità
dei dati contenuti nella proposta e nei documenti, oltre ad attestare la
fattibilità del piano (art. 15, comma 6). Si può ritenere che la relazione
“definitiva” si distingue dall’attestazione depositata in precedenza per il
78
fatto di considerare elementi ulteriori e sopravvenuti al deposito anche in
luogo delle contestazioni sollevate dai creditori82.
Prima di procedere all’omologazione il giudice deve: verificare il
raggiungimento dei consensi rappresentanti almeno il sessanta per cento
dei crediti (art. 11, comma 2); verificare l’idoneità della proposta ad
assicurare il pagamento integrale dei crediti tributari e impignorabili (art.
7, comma 1); procedere alla soluzione di ogni altra contestazione.
L’espresso riferimento alla verifica della “idoneità della proposta”
a soddisfare i crediti impignorabili e quelli tributari attribuisce al giudice,
in sede di omologa, il potere di entrare nel merito del contenuto del piano
e di non valutarne solo la coerenza e congruità rispetto all’attestazione del
professionista83.
Quando la contestazione circa la convenienza dell’accordo è
presentata da un creditore escluso, o che non ha aderito, o da qualunque
altro interessato, il giudice procede comunque all’omologazione
dell’accordo se ritiene che il credito possa essere soddisfatto
dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa
liquidatoria disciplinata dagli artt. 14-ter ss. (art. 12, comma 2, secondo
periodo). La l. n. 3 del 2012 mutua quindi dal concordato preventivo la
disciplina del c.d. cram down84.
La cognizione del giudice in questo caso viene ad ampliarsi, nel
senso che il controllo del giudice si fa più penetrante, potendo effettuare
una valutazione comparativa rispetto alle modalità e alle condizioni del
soddisfacimento del credito mediante la liquidazione dei beni.
La novella amplia ulteriormente, in sede di omologa, i poteri del
giudice sulla valutazione del piano a seconda che siano presentate
82 A. CARON, L’omologazione dell’accordo e del piano, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 46. 83 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2045. 84 “Istituto di derivazione nordamericana designato con un’espressione che significa letteralmente ‘ingozzare’ e nel linguaggio giuridico sta a indicare l’accettazione forzata, da parte del contraente, di clausole negoziali sgradite”, v. E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p.1288.
79
contestazioni da parte dei creditori: in questo caso il giudice può
procedere ad un giudizio sulla convenienza del piano.
È necessario richiamare quanto già detto sulla giurisprudenza di
legittimità che si è formata in merito al giudizio di fattibilità del
concordato preventivo, in base alla quale tale giudizio (in sede di
ammissione alla procedura, e ciò vale anche per la fase di omologa)
attesta la completezza ed adeguatezza delle informazioni fornite ai
creditori e non si orienta verso una valutazione circa la convenienza del
concordato.
Allo stesso modo, nella procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento il giudice valuta l’idoneità dello stesso ad assicurare
il soddisfacimento dei crediti, tra cui il pagamento integrale per quei
crediti che non possono essere parzialmente soddisfatti. In caso di
opposizione il controllo del giudice sarà più penetrante, dovendo operare
la valutazione di cui all’art. 12, comma 2, secondo periodo.
Se la valutazione del giudice, a fronte di questi aspetti, risulta
positiva, l’accordo viene omologato e il giudice ne dispone la
pubblicazione.
Avverso il provvedimento di omologazione o di diniego è
possibile presentare reclamo da proporre al tribunale in composizione
collegiale e del collegio non farà parte il giudice che si è pronunciato in
sede di omologa.
Il provvedimento di omologazione deve intervenire entro sei mesi
dal deposito della proposta. Il termine, anch’esso mutuato dalla disciplina
concordataria, deve considerarsi ordinatorio, la Cassazione il 4 febbraio
2009, n. 270685 ha risolto così la questione circa la natura del termine in
materia di concordato preventivo e in quanto termine processuale è
soggetto alla sospensione feriale. La decisione della Cassazione ha
trovato largo consenso anche fra la giurisprudenza di merito e la dottrina.
85 Corte di Cassazione, Sez. I Civile 04 febbraio 2009, n. 2706, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1684.pdf
80
La fase dell’omologazione solleva dubbi in merito al rispetto del
principio costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. in quanto non è previsto
che le parti abbiano diritto a comparire e ad essere sentite dal giudice, né
che sia garantito il diritto al contraddittorio. La ragione di tale silenzio
può essere rintracciata “nella volontà del legislatore di semplificare il
procedimento, rendendolo vuoto di orpelli e formalismi, tuttavia la
garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale appare ingiustamente
sacrificata”86. Il legislatore non ha tenuto conto delle critiche che erano
state formulate sulla versione previgente della legge n. 3/2012, nello
specifico sulla mancata previsione del contraddittorio in occasione del
giudizio sulla fattibilità del piano e prima della decisione del giudice.
Tuttavia è da ritenere che il rispetto di tale principio comporti che il
giudice debba provvedere in tal senso87.
L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al
momento in cui è stata eseguita la pubblicità ex art. 10, comma 2; i
creditori con causa o titolo posteriori non possono procedere
esecutivamente sui beni oggetto del piano. Si vuole evitare il pregiudizio
che potrebbe conseguire da azioni esecutive sui beni contemplati
nell’accordo.
È stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso il
decreto di omologazione, in quanto l’omologazione produce ulteriori
effetti inibitori sulle azioni esecutive, oltre alla possibilità che il creditore
veda differita la soddisfazione del suo credito senza neppure potersi
tutelare attraverso l’acquisizione di garanzie giudiziali88.
Viene così riconosciuto il diritto del creditore ad un controllo di
legittimità sul provvedimento che decide sul suo diritto a procedere con
l’azione esecutiva.
La vincolatività dell’accordo ex art. 12, comma 3, viene meno in
caso di risoluzione dell’accordo o di mancato pagamento dei crediti
86 M. FABIANI, op. cit., p. 12. 87 L. PANZANI, op. cit., p. 11 88 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2045.
81
impignorabili e tributari. L’accertamento del pagamento di questi crediti è
chiesta con ricorso al tribunale che decide in camera di consiglio.
Una causa di risoluzione dell’accordo riguarda l’ipotesi in cui
l’imprenditore non fallibile abbia superato le soglie di fallibilità di cui
all’art. 1 l. fall nel corso della procedura di sovraindebitamento.
La dichiarazione di fallimento risulta quindi ammissibile anche ad
accordo omologato nel momento in cui si parla proprio di risoluzione
dell’accordo stesso.
In caso di intervenuta dichiarazione di fallimento gli atti, i
pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo
omologato sono esenti dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l.
fall., e inoltre viene riconosciuta la prededucibilità dei crediti derivanti da
finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo
omologato (art. 12, comma 5).
In riferimento agli accordi di ristrutturazione è singolare il caso
del decreto di omologa adottato dal Tribunale di Pistoia in data 19
novembre 2014: la caratteristica del provvedimento sta nel fatto che la
procedura di sovraindebitamento si trova ad essere legata ad un
concordato preventivo omologato in precedenza sempre dallo stesso
tribunale, il 2 luglio 2014, avente ad oggetto una società in accomandita
semplice i cui soci illimitatamente responsabili sono gli stessi due
soggetti persone fisiche interessati dalla procedura di cui alla l. n. 3 del
201289.
I profili di interazione che il caso di specie fa emergere fra le due
procedure sono essenzialmente due e riguardano da una parte la creazione
di un surplus finanziario all’interno della procedura di concordato da
destinare al soddisfacimento dei creditori del sovraindebitamento,
dall’altra la posizione dei debitori proponenti quali contestualmente anche
89 Tribunale di Pistoia, 19 novembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/11859.pdf
82
soci illimitatamente responsabili e fideiussori della s.a.s. soggetta al
concordato90.
Il surplus finanziario da destinare alla procedura di
sovraindebitamento è stato previsto già a partire dalla proposta di
concordato ed è stato realizzato attraverso la vendita di determinati beni
immobili.
L’individuazione di un surplus ha determinato la fuoriuscita dal
concordato preventivo del relativo complesso di beni destinato alla sua
formazione, inoltre la sua realizzazione è stata subordinata già a partire
dalla domanda di concordato alle seguenti condizioni: il piano del
concordato doveva essere omologato con l’accettazione, da parte del ceto
creditorio, della creazione del debito verso la procedura di
sovraindebitamento; i creditori del sovraindebitamento dovevano
accettare l’accordo ex art. 9 e questo doveva essere omologato.
Il piano omologato del concordato ha previsto inoltre l’integrale
pagamento dei creditori e questo ha reso possibile la creazione di un
surplus.
Il Tribunale di Pistoia pone attenzione sul rapporto di
pregiudizialità-dipendenza che sussiste fra le due procedure relativamente
al caso di specie: il piano di accordo ex art. 9 non sarebbe stato giudicato
fattibile senza il surplus realizzato col concordato preventivo.
Proseguendo nell’analisi della legge n. 3 del 2012, in merito alla
disciplina prevista per il piano del consumatore, in occasione dell’udienza
per l’omologazione del piano, il giudice per poter pronunciare l’omologa
deve preliminarmente verificare la fattibilità del piano e l’idoneità dello
stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti
tributari. In merito alla natura del giudizio vale quanto detto in materia di
accordi del debitore ex art. 7 l. n. 3/2012.
90 Per un esaustivo e puntuale commento alla pronuncia del Tribunale di Pistoia v. T. STANGHELLI, Forme di interazione tra procedure concorsuali: l’utilizzo di finanza esterna concordataria nella pronuncia di sovraindebitamento (Nota di commento a Tribunale di Pistoia 19 novembre 2014), in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11859.php
83
Il giudice procede a risolvere ogni altra contestazione, anche in
ordine all’effettivo ammontare dei crediti.
Deve verificare inoltre la meritevolezza del consumatore che si
manifesta nel non aver assunto obbligazioni senza la ragionevole
prospettiva di poterle adempiere o nel non aver determinato colposamente
il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non
proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
Una definizione di sovraindebitamento colposo, strettamente
connessa al caso specifico che le era stato sottoposto, è fornita dal
Tribunale di Ravenna in una recente pronuncia: “il ricorso continuo e
temporalmente concentrato a più fonti di finanziamento tale da assorbire
con impegni negoziali di restituzione rateale i propri interi redditi, in una
situazione in cui i debitori avevano in Italia la sola proprietà di un
immobile gravato interamente da una precedente ipoteca, configura la
causa ostativa all’omologazione di cui all’art. 12 bis L. 3/2012 e ss.”91.
La disciplina dell’art. 12-bis stabilisce che solo una volta verificati
i seguenti requisiti il giudice omologa il piano disponendo idonea
pubblicità.
Anche con riferimento al piano del consumatore è previsto il cram
down: quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la
convenienza del piano, il giudice procede comunque all’omologa se
ritiene che il credito possa esser soddisfatto in misura non inferiore a
quella che deriverebbe dalla procedura di liquidazione di cui agli artt. 14-
ter ss., anche in questo caso il giudizio è camerale e il reclamo va
presentato al tribunale in composizione collegiale.
91 Tribunale di Ravenna, 17 dicembre 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=11918.php. In occasione della stessa pronuncia il giudice ha affermato in merito al giudizio sulla colposa determinazione della situazione di sovraindebitamento: “Tale valutazione è possibile compiere de plano, senza fissazione di apposita udienza, posto che appare comunque demandata al giudice la verifica preventiva del soddisfacimento dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9 l. 3/2012 cui deve aggiungersi, con riferimento a questo tipo di procedimento, anche la circostanza che risulti già prima facie la carenza delle condizioni per la successiva omologazione, ai sensi di quanto previsto dal citato art. 12 bis, comma 3”.
84
L’omologazione deve intervenire entro il termine di sei mesi dal
deposito della proposta. Il decreto di omologa equivale all’atto di
pignoramento.
Tra i primi provvedimenti di omologazione emessi in applicazione
della l. n. 3 del 2012 si colloca la pronuncia del Tribunale di Pistoia del
27 dicembre 2013, la quale si caratterizza non soltanto per un dato
temporale, ma, soprattutto, per aver proceduto all’omologazione del piano
quando i debiti contratti dal consumatore sovraindebitato erano stati
assunti per sostenere l’attività professionale di un terzo92.
Non sono mancate osservazioni critiche in merito, è stato
evidenziato come sia disatteso dal tribunale il testo dell’art. 6, secondo
comma, lett. b) che presuppone che col termine “consumatore” si possa
identificare solo colui che abbia contratto esclusivamente obbligazioni
estranee ad un’attività d’impresa propria, o (coerentemente con la ratio
della norma) di altri93.
Secondo tale orientamento non sussistono gli estremi per ricorrere
al piano del consumatore, piuttosto il sovraindebitato avrebbe potuto
attivare la procedura dell’accordo ex art. 7, essendo difficile qualificare
come meritevole colui che ha contratto ulteriori “sproporzionate”
obbligazioni già in stato di indebitamento, in una misura superiore alle
capacità che il suo reddito invece avrebbe garantito.
Lo stesso Tribunale di Pistoia in sede di reclamo, in data 28
gennaio 2014, revoca l’omologa, ritenendo non esatti i calcoli sulla
redditualità familiare e non esatta la valutazione relativa alla capacità del
reddito di sostenere il progressivo indebitamento e non esatta la
qualificazione della natura non colposa94.
92 Tribunale di Pistoia, 27 dicembre 2013, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=9947.php. 93 Per un’analisi critica della pronuncia v. G. ROJAS ELGUETA, I presupposti di accesso alla procedura di “piano del consumatore”, in Il fallimentarista, 25 marzo 2014, p. 2 ss. 94 Tribunale di Pistoia, 28 febbraio 2014, in http://www.odcec.pistoia.it/images/sito/documenti/commissioni/commisione_sovraidebitamento/20_03_2014_materiale_evento/Decreto_revoca_omologa_28_02_2014.pdf
85
La pronuncia ricorda come il terzo comma dell’art. 12-bis
condizioni l’omologa del piano all’esclusione di due circostanze, anche
alternativamente idonee a determinare un “effetto paralizzante”, di cui la
prima fa rifermento all’ipotesi in cui il consumatore abbia contratto
obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere:
l’attenzione è rivolta al “momento genetico dell’obbligazione” e
l’esclusione di tale condizione si manifesta nella prudente assunzione di
obbligazioni secondo i criteri di ordinaria diligenza.
Il secondo fenomeno richiamato dal comma in esame riguarda
invece la determinazione colposa del sovraindebitamento, anche per
mezzo di un ricorso al credito non proporzionato rispetto alle proprie
capacità patrimoniali: questa condizione attiene alla “fase funzionale del
rapporto” e la sua assenza dimostra che l’incedere del sovraindebitamento
non sia riconducibile al debitore.
Quest’ultima ipotesi si risolve nel c.d. sovraindebitamento passivo
che, come dettagliatamente descritto dal tribunale, si realizza quando il
consumatore subisce un’avversa evenienza economica o, comunque, un
avvenimento accidentale che alteri in senso negativo la sua capacità di
produrre reddito, quale ad esempio “un infortunio dal quale derivi una
grave inabilità al lavoro, una malattia necessitante cure costose, la perdita
o riduzione del lavoro per cause non imputabili al consumatore, gli oneri
derivanti da separazione dei coniugi, l’impossibilità di incassare i propri
crediti, il progressivo e sensibile aumento dei costi a causa di processi
inflattivi ecc.”.
Le ipotesi ora descritte rappresentano esempi di condotte
incolpevoli secondo il Tribunale di Pistoia.
Il legislatore ha invece tipizzato una sola condotta colpevole di
sovraindebitamento: il ricorso al credito non proporzionato alle proprie
capacità patrimoniali. Questa sembra piuttosto collocarsi sotto la prima
tipologia di condizioni di meritevolezza individuate dall’art. 12-bis,
comma 3, che richiede prudenza nell’assunzione delle obbligazioni.
86
La dottrina ha sottolineato in merito alla pronuncia in analisi come
la questione del consumo consapevole sia strettamente connessa al profilo
del prestito responsabile: il paradosso che sembra emergere da questa
relazione ha ad oggetto la figura del creditore che ha presentato il reclamo
che altro non è, nella specifica del caso, la società finanziaria che ha
erogato l’ultimo e più cospicuo finanziamento95.
Nel presentare reclamo il creditore ha affermato che non
esistessero le condizioni di meritevolezza richieste dalla legge in quanto il
debitore aveva assunto obbligazioni nella piena consapevolezza delle sue
difficoltà economiche e finanziarie.
L’orientamento in commento evidenzia che “anche il creditore
non poteva non sapere o quanto meno ipotizzare che il soggetto che
chiedeva il finanziamento difficilmente avrebbe potuto restituirlo”.
Da una parte si colloca quindi la disciplina del
sovraindebitamento, severa nella valutazione della meritevolezza,
dall’altra la disciplina del credito al consumo la cui regolamentazione
oramai si struttura attraverso l’imposizione di obblighi di informazione
nella prospettiva di rendere sempre più edotto il consumatore circa le sue
condotte, essendo invece scarna e incerta la disciplina dei rimedi alla
negligente valutazione ad opera del creditore, del c.d. “merito di credito”
del richiedente il finanziamento96.
La recente giurisprudenza di merito ha avuto dunque un ruolo
decisivo nel definire i contorni della legge n. 3 del 2012.
In questa ottica rientra il provvedimento del Tribunale di Ascoli
Piceno del 4 aprile 2014, con cui il giudice afferma, in merito ad un piano
del consumatore, la discrezionalità del debitore nel rispettare il principio
della parità di trattamento: “la L. 3/2012 non impone al consumatore di
95 E. PELLECCHIA, Composizione della crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza, cit., p. 4. 96 Per un approfondimento del rapporto fra ‘meritevolezza’ del consumatore nella procedura di sovraindebitamento e ‘merito di credito’ del richiedente nel credito al consumo v. E. PELLECCHIA, Primi provvedimenti sulle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: in particolare, il piano del consumatore, in Banca borsa, 2014, p. 543 ss.
87
rispettare la par condicio creditorum, potendo essere proposto un
soddisfo diversificato per le singole posizioni debitorie”97.
Il Tribunale pone attenzione sull’esclusione della necessità di una
parità di trattamento tra creditori, dopotutto il debitore in luogo della
normativa speciale in materia di sovraindebitamento ha una massima
libertà nel strutturare la soluzione alla crisi, essendo vincolato solo al
rispetto del soddisfacimento integrale dei crediti impignorabili e di quelli
tributari.
Le osservazioni che sono state espresse in merito alla pronuncia in
commento, e nello specifico in relazione al principio della par condicio
creditorum, sono incentrate sul poter riconoscere la possibilità di un
trattamento diversificato non fra classi di creditori, ma fra singoli
individui.
Il classamento dei creditori rappresenta nelle procedure
concorsuali minori un’espressa deroga al principio della parità di
trattamento; la questione del classamento individuale rimane invece
aperta, nonostante sia in realtà un problema più di forma che di sostanza
visto che si tende oramai ad ammettere la costituzioni di classi formate
anche da un singolo individuo98.
Uno spunto che viene sollevato dalla dottrina in relazione al caso
di specie è rappresentato dalla possibilità di offrire un trattamento
diversificato in relazione al ruolo che il creditore ha avuto nella
formazione del sovraindebitamento del debitore.
Escludendo la possibilità di un classamento punitivo,
l’orientamento in commento si interroga piuttosto sulla possibilità che il
debitore valuti come un credito potenziale l’addebito di responsabilità e
consideri il risultato di un’eventuale azione nei confronti del debitore
97 Tribunale di Ascoli Piceno, 4 aprile 2014, in http://dirittocivilecontemporaneo.com/wp-content/uploads/2014/09/Trib.-Ascoli-Piceno-4-aprile-2014.pdf 98 Per un commento alla pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno in riferimento al profilo della parità di trattamento v. P. BOSTICCIO, Risanamento della crisi da sovraindebitamento del consumatore e rispetto della par condicio creditorum, in Il fallimentarista, 15 maggio 2014.
88
come un controcredito risarcitorio che andrebbe a limitare il
soddisfacimento o, addirittura, “creare una posizione di pretesa verso il
terzo che sarebbe corretto azionare anche a beneficio degli altri creditori
incolpevoli che potrebbero così vedere incrementare il proprio soddisfo”.
Sospendendo l’analisi dell’articolazione procedurale del piano del
consumatore e procedendo nell’identificazione degli effetti
dell’omologazione, quello che risulta è che, così come accade nell’ambito
dell’accordo, a seguito dell’omologa del piano tutti i creditori anteriori al
momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all’art. 12-bis, comma
3, sono vincolati, mentre i creditori con titolo o causa posteriore non
potranno agire esecutivamente sui beni che rientrano nel piano
(“segregazione del patrimonio”).
In analogia con l’accordo, sono fatti salvi i diritti dei creditori
verso fideiussori, coobbligati e obbligati di regresso.
In merito all’effetto inibitorio verso le azioni esecutive e cautelari
la disciplina del piano differisce nettamente dall’accordo: nell’accordo
del debitore la sospensione di tali azioni si produce ex lege a seguito del
decreto di ammissione alla procedura, mentre nel piano del consumatore è
eventuale ed è rimessa alla valutazione del giudice.
Nel piano l’effetto inibitorio ex lege si produce soltanto con la
pubblicità del decreto di omologazione, da quel momento i creditori con
titolo o causa anteriore non possono né proseguire né iniziare azioni
esecutive individuali, cautelari né procedere all’acquisto di diritti di
prelazione sul patrimonio del consumatore.
L’effetto inibitorio viene meno a seguito dell’accertamento
giudiziale del mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili o di
crediti tributari, da richiedere con la presentazione del ricorso ai sensi
dell’art. 12, comma 4, richiamato dallo stesso art. 12-ter, comma quarto.
È inevitabile riconoscere che sia proprio la giurisprudenza di
merito a giocare un ruolo decisivo nel delineare l’operatività della
composizione della crisi da sovraindebitamento, ne è un esempio la
89
recente pronuncia del Tribunale di Bergamo per cui “deve essere
ammessa la proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento
che prevede una percentuale di soddisfacimento dei creditori concorsuali
vicina allo zero (2,5%), purché il soddisfacimento coinvolga tutti i
creditori concorsuali in modo tale da realizzare la funzione economica
dell’istituto”99.
2.7. La fase esecutiva
La fase dell’esecuzione dell’accordo e del piano del consumatore
è per entrambe le procedure disciplinata dallo stesso art. 13 l. n. 3 del
2012.
Il debitore deve adempiere alle obbligazioni nei termini e nelle
modalità previste dal piano, salvo il pagamento integrale dei crediti
impignorabili e di quelli tributari.
L’apertura del procedimento di composizione della crisi non
determina effetti automatici nei confronti del debitore, quali lo
spossessamento, come avviene invece per il fallimento, per cui in linea di
principio è lo stesso debitore ad essere l’esecutore materiale dell’accordo.
L’art. 7, comma 1, ultimo periodo, riconosce la possibilità che nel
piano sia prevista l’ipotesi della nomina di un gestore ad opera del
tribunale, su proposta dell’OCC, per la custodia, la liquidazione dei beni e
la distribuzione del ricavato.
La fase esecutiva non può essere affidata né al debitore né al
gestore (nonostante abbia i requisiti ex art. 28 l. fall.), se per la
soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento
(fase con liquidazione obbligatoria) o se lo stesso è previsto dall’accordo
o dal piano (fase con liquidazione eventuale): in questi casi il giudice,
sempre su proposta dell’OCC, nomina un liquidatore che dispone in via
esclusiva dei beni e delle somme incassate, non residuando così al
99 Tribunale di Bergamo, 31 marzo 2015, in Il fallimentarista, 8 aprile 2015.
90
debitore alcun diritto di controllare la gestione e di avere il rendiconto alla
fine della liquidazione.
I requisiti per la nomina del liquidatore sono i medesimi previsti
per la nomina del curatore per espresso rinvio della norma all’art. 28 l.
fall. In caso di liquidazione di beni pignorati sembra opportuno affidare al
liquidatore non solo la liquidazione di tali beni, ma anche quella
dell’intero attivo, senza frazionamenti100.
Le funzioni di liquidatore possono essere svolte per espressa
disposizione del giudice anche dagli Organismi di composizione della
crisi, come previsto dall’art. 15, comma 8.
Gli OCC hanno un ruolo decisamente centrale in questa fase del
procedimento, essi infatti risolvono, attraverso il tentativo di una
composizione amichevole, le eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione
dell’accordo, purché le contestazioni non abbiano ad oggetto diritti
soggettivi o non si tratti di sostituzione del liquidatore per giustificati
motivi. Essi vigilano inoltre sull’esatto adempimento dell’accordo e del
piano, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità.
La legge non specifica quali nell’effettivo siano i poteri di
controllo attribuiti agli Organismi, è largamente condivisa la posizione
per cui le irregolarità, di cui si è detto sopra, che fanno sorgere l’obbligo
di segnalazione siano quelle che possono potenzialmente determinare la
risoluzione dell’accordo e la conseguente caducazione della protezione
patrimoniale dei creditori101.
L’art. 13 invece attribuisce espressamente al giudice la risoluzione
delle contestazioni che hanno ad oggetto diritti soggettivi o la
sostituzione del liquidatore per giustificati motivi, nulla però viene detto
in merito al procedimento specifico per tali contestazioni e perciò si
100 R. BATTAGLIA, I nuovi procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il maquillage della L. n. 3/2012, in Fallimento, 2013, p. 1442. 101 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2055.
91
ritiene che debba svolgersi con rito camerale richiamato dall’art. 12 per la
procedura di omologazione102.
Il giudice inoltre autorizza lo svincolo delle somme e ordina la
cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative
ai diritti di prelazione e di ogni altro vincolo tra cui la trascrizione del
decreto di fissazione dell’udienza ex art. 10, solo dopo aver sentito il
liquidatore e aver verificato la conformità dell’atto dispositivo all’accordo
e al piano, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti
impignorabili e dei crediti tributari (art. 13, comma 3).
L’ordine di cancellazione delle formalità iscritte dovrà essere
pronunciato dal giudice in ogni caso, anche quando non sia stato
nominato alcun liquidatore, poiché se non si interpretasse così la
disposizione, la legge presenterebbe una lacuna, non avendo indicato
alcun organo che possa emettere tale provvedimento103.
Il decreto legge n. 179 del 2012 ha ampliato i poteri del giudice
rispetto alla versione previgente dell’art. 13 riconoscendogli anche il
potere di sospendere, con decreto motivato, gli atti di esecuzione
dell’accordo qualora ricorrano gravi e giustificati motivi.
I pagamenti e gli atti dispositivi posti in essere in violazione
dell’accordo o del piano del consumatore sono inefficaci rispetto a tutti i
creditori anteriori alla pubblicità del decreto, e per tale motivo parte della
dottrina ha parlato di vincolo di destinazione104.
La versione previgente del testo prevedeva per gli atti posti in
violazione dell’accordo o del piano del consumatore il più rigoroso
rimedio della nullità; l’aver individuato nella disposizione attualmente
vigente, come conseguenza di tali atti, l’inefficacia è coerente con la
natura concorsuale delle procedure di accordo e di piano105.
102 L. PANZANI, op. cit., p. 17. 103 L. PANZANI, op. loc. ult. cit. 104 L. PANZANI, op. loc. ult. cit. 105 S. CORDOPATRI, L’esecuzione dell’accordo e del piano, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 56.
92
Se un atto in violazione dell’accordo o del piano è inefficace
significa che esso è valido ma improduttivo di effetti, per cui se il giudice
revocasse per qualunque motivo il piano o l’accordo, l’atto resterebbe
valido e in tal caso produrrebbe i suoi effetti, essendo venuto meno il
motivo ostativo alla sua efficacia.
L’inefficacia costituisce un effetto deterrente al compimento di
simili atti e tale effetto deterrente viene potenziato dall’art. 16 della legge
n. 3 del 2012, che punisce con la reclusione da sei fino a due anni e con la
multa da mille a cinquantamila euro il debitore che effettua pagamenti in
violazione dell’accordo o del piano.
In merito ai crediti sorti in occasione o in funzione del
procedimento la legge ne statuisce la prededucibilità, perciò saranno
soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, ma con esclusione di quanto
ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte
destinata ai creditori pignoratizi o ipotecari.
Le somme in prededuzione si scontrano dunque con l’eccezione
costruita dal legislatore a favore dei creditori prelazionati nell’art. 13,
comma 4-bis.
Si parla quindi di una prededuzione relativa o limitata, che
riguarderà essenzialmente le spese della procedura, il compenso del
liquidatore o del gestore e gli eventuali crediti degli OCC connessi
all’istruttoria relativa alla presentazione della proposta.
Nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’accordo o del piano sia
impossibile per causa non imputabile al debitore, il comma 4-ter dell’art.
13 ha sancito la possibilità per il sovraindebitato, con l’ausilio
dell’organismo di composizione della crisi, di modificare il contenuto
della proposta nel rispetto comunque delle previsioni di cui agli artt. 10
ss.
Il riferimento è ad una impossibilità sopravvenuta, che nell’ambito
dei contratti sinallagmatici corrisponde invece ad una causa di risoluzione
del contratto.
93
È necessario anticipare che l’annullamento e la risoluzione
dell’accordo o del piano del consumatore (disciplinate dagli artt. 14 e 14-
bis) costituiscono per il debitore una causa di non ammissibilità di una
nuova proposta ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. c).
Questa conseguenza non si verifica nelle ipotesi di cui al comma
4-ter dell’art. 13, perché esso non prevede la risoluzione ma il
riconoscimento in capo al debitore del potere di modificare la proposta.
Tale disposizione fa sorgere la questione se al debitore debba
essere riconosciuto un potere potestativo di cui i destinatari sono i
creditori in uno status di soggezione, o, come risulta da un’interpretazione
estensiva della norma, debba essergli riconosciuta la possibilità di iniziare
nuovamente l’iter di composizione della crisi.
La soluzione più plausibile sarebbe quella di procedere
all’espunzione dall’accordo o dal piano delle clausole relative alla
prestazione divenuta oramai impossibile, non potendo il debitore
procedere alla novazione unilaterale dell’accordo o del piano 106 .
Occorrerà dunque una nuova manifestazione del consenso di ciascun
creditore, salvo l’ipotesi di una modifica ininfluente.
2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore:
le conseguenze procedibili d’ufficio e i rimedi giudiziali
Il legislatore, diversamente rispetto alla fase esecutiva, considera
separatamente le patologie esecutive che possono affliggere l’accordo o il
piano del consumatore, prevedendo distinti rimedi giudiziali disciplinati
rispettivamente dall’art. 14 e dall’art. 14-bis della l. n. 3 del 2012.
Oltre alle ipotesi degli artt. 14 e 14-bis, la normativa speciale
prevede altri casi di vicende inattuative delle procedure di composizione
della crisi che presentano però conseguenze procedibili d’ufficio: la
cessazione di diritto e la revoca.
106 S. CORDOPATRI, op. ult. cit., p. 58.
94
L’art. 11, comma 5, contempla un’ipotesi di “cessazione di
diritto”: l’accordo perde efficacia ex lege, senza quindi la necessità di una
pronuncia giurisdizionale, quando il debitore non abbia eseguito
integralmente entro novanta giorni dalle scadenze previste, “i pagamenti
dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori
di forme di previdenza e assistenza obbligatoria”. La previsione in
commento si colloca nel quadro delle ipotesi di risoluzione trattandosi di
una risoluzione automatica dell’accordo.
L’accordo viene invece “revocato” giudizialmente e convertito
conseguentemente nella procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt.
14- ter ss., quando risultano compiuti durante la procedura atti diretti a
frodare i creditori (art. 11, comma 5, ult. periodo).
Nei casi di revoca e di cessazione degli effetti ex art. 11, comma 5,
il giudice provvede d’ufficio con decreto reclamabile al tribunale in sede
collegiale ex art. 739 c.p.c. e del collegio non può far parte il giudice che
lo ha pronunciato.
Sono invece rimedi giudiziali le ipotesi in cui il giudice dichiari la
cessazione degli effetti dell’accordo su iniziativa del creditore interessato
nei casi di cui all’art. 12, comma 4, e su iniziativa del titolare dei crediti
impignorabili e tributari nei casi di cui all’art. 12-ter, comma 4, a seguito
dell’accertamento del mancato pagamento dei crediti impignorabili e dei
crediti tributari.
La decisione deve essere adottata in camera di consiglio e sono
applicate le disposizione degli artt. 737 ss., e avverso il provvedimento è
possibile presentare reclamo al tribunale in sede collegiale.
Gli effetti che vengono meno con tale provvedimento nel caso
specifico di accordo del debitore sono essenzialmente l’obbligatorietà
dell’accordo per tutti i creditori anteriori e gli effetti inibitori nei confronti
delle azioni esecutive e cautelari.
95
Nel caso del piano del consumatore a cessare sono invece i soli
effetti inibitori delle azioni esecutive e cautelari ex art. 12-ter, primo
comma .
In occasione di una sopravvenuta dichiarazione di fallimento a
carico del debitore ormai non più ‘non fallibile’, l’efficacia dell’accordo
viene automaticamente meno: la dichiarazione di fallimento “risolve”
l’accordo, esonerando dalla revocatoria fallimentare però i pagamenti, gli
atti e le garanzie poste in essere in esecuzione o in funzione dell’accordo
(art. 12, ult. comma).
Si tratta di quei casi in cui il debitore è: un imprenditore
commerciale che non raggiungeva le soglie di fallibilità di cui all’art. 1,
comma 2, l. fall e le abbia invece superate nel corso della procedura; o un
socio illimitatamente responsabile di società commerciale il cui
fallimento è stato dichiarato ex art 147, primo comma, l. fall. Nonostante
il legislatore utilizzi il termine ‘risoluzione’, in realtà quella in oggetto
piuttosto sembra essere un’ipotesi di scioglimento107.
L’art. 14 l. n. 3/2012 invece disciplina nello specifico gli istituti
dell’annullamento e della risoluzione dell’accordo del debitore.
Le rispettive azioni devono essere proposte al tribunale
competente, che risulta essere lo stesso ufficio giudiziario del luogo nel
quale il debitore persona fisica, ai sensi dell’art. 9, abbia la propria
residenza o nel quale si trovi la sede della propria impresa non fallibile.
La legittimazione sembra sulla base del dato testuale essere riferita
a tutti i creditori, dopotutto il legislatore utilizza le espressioni “ogni
creditore” (art. 14, comma 1) e “ciascun creditore” (art. 14, comma 2).
Venendo ora alla specifica disciplina prevista dall’art. 14,
l’accordo del debitore può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni
creditore, nel contraddittorio con il debitore, quando con dolo o con colpa
grave è stato aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o
107 M. PERRINO, La “crisi” delle procedure di rimedio al sovraindebitamento (e degli accordi di ristrutturazione dei debiti), in Giust. Civ., 2014, p. 448.
96
dissimulata una parte rilevante dell’attivo, ovvero dolosamente simulate
attività inesistenti. Le ipotesi indicate sono tassative.
Il ricorso per l’annullamento deve essere presentato al tribunale
entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla
scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto.
Vengono richiamate le disposizioni del rito camerale ex artt. 737
ss., ma non viene specificato che la competenza spetta al tribunale in
composizione monocratica, tuttavia appare ragionevole che la
competenza spetti al giudice singolo108.
Anche il procedimento instaurato per la risoluzione dell’accordo è
un procedimento camerale, applicandosi ove compatibili gli artt. 737 ss.
c.p.c., e si svolge di fronte al tribunale competente in composizione
monocratica.
La risoluzione dell’accordo può essere chiesta da ciascun debitore
quando il proponente non adempia agli obblighi dell’accordo o le
garanzie promesse non vengono costituite o l’esecuzione dell’accordo
diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore.
In riferimento all’ultima ipotesi di risoluzione, è necessario
comprendere che tipo di interazione ha questa previsione con quella
dell’art. 13, coma 4-ter, che nella stessa situazione di impossibilità a dare
esecuzione all’accordo non imputabile al debitore riconosce però a
quest’ultimo il potere di modificare l’accordo.
Di fronte quindi al medesimo presupposto oggettivo, volendo
assecondare il favor verso la composizione della crisi che caratterizza la
novella, la risoluzione sembra apparire un rimedio di ultima istanza, nel
senso sia che l’iniziativa del debitore alla modifica della proposta inibisce
la presentazione dell’azione di risoluzione, sia che all’azione di
risoluzione il debitore possa reagire con una proposta di modifica
dell’accordo109.
108 L. PANZANI, op. cit., p. 18. 109 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1291.
97
In merito al caso di inadempimento delle obbligazioni derivanti
dall’accordo, la legge non precisa l’entità dell’inadempimento, né se la
risoluzione, come accade invece per il concordato ex art. 186 l. fall., è
condizionata a un inadempimento di non scarsa importanza. Parte della
dottrina sostiene che sia sufficiente che il debitore non adempia
regolarmente alle obbligazioni, quindi sia la mancanza che l’inesattezza
dell’adempimento o una qualunque violazione delle condizioni previste
per il pagamento può determinare la risoluzione110.
Altri invece richiamano il dettato dell’art. 1455 c.c. in base al
quale il negozio non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa
importanza in relazione all’interesse dell’altra parte111. Ancora una volta
il favor del legislatore verso la composizione della crisi da
sovraindebitamento sembrerebbe decretare la seconda soluzione come più
idonea, permettendo di perseguire l’obiettivo dell’accordo anche in caso
di inadempimento di scarsa rilevanza.
Il ricorso per la risoluzione, a pena di decadenza rilevabile
d’ufficio, deve essere proposto entro sei mesi dalla scadenza, e, in ogni
caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo
adempimento previsto.
L’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i
diritti dei terzi in buona fede, con la conseguenza che restano fermi gli atti
di disposizione dei beni che siano stati compiuti in esecuzione
dell’accordo, salvo che si provi la malafede del terzo acquirente. Anche i
pagamenti ricevuti dai creditori in parziale esecuzione dell’accordo
rimarranno fermi.
Avverso tali provvedimenti è possibile presentare reclamo al
tribunale in sede collegiale e del collegio non farà parte il giudice che ha
adottato il provvedimento oggetto del reclamo.
L’annullamento e la risoluzione determinano il venir meno
dell’accordo nella sua globalità, per cui tali provvedimenti travolgono gli 110 L. PANZANI, op. cit., p. 18. 111 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1292.
98
effetti inibitori del decreto di fissazione dell’udienza e l’effetto della
obbligatorietà dell’accordo per tutti i creditori aventi causa o titolo
anteriore al momento della pubblicità.
Le vicende inattuative che hanno ad oggetto il piano del
consumatore sono: la revoca e la cessazione di diritto secondo quanto
stabilito ex art. 11, comma 5 (art. 14, comma 1); la cessazione degli
effetti su istanza del creditore (art. 14, comma 2).
Il Provvedimento può dunque scaturire d’ufficio (comma 1) o può
invece essere il tribunale che, su istanza di ogni creditore, nella garanzia
del contraddittorio col debitore, dichiara cessati gli effetti del decreto di
omologazione del piano se con dolo o colpa grave è stato aumentato o
diminuito il passivo, o sottratta o dissimulata una parte rilevante
dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti (art.14-bis, comma
2, lett. a)); o se il proponente non ha adempiuto agli obblighi derivanti dal
piano, o le garanzie promesse non sono state costituite o l’esecuzione del
piano è divenuta impossibile per ragioni non imputabili al debitore (art.
14-bis, comma 2, lett. b)).
La conseguenza che deriva dalle ipotesi individuate dal secondo
comma è la ‘cessazione degli effetti’, il legislatore volutamente non parla
in questo caso di ‘risoluzione’ poiché quest’ultimo termine notoriamente
evoca una dimensione negoziale di cui il piano invece si spoglia, non
prevedendo la votazione dei creditori tra le fasi della procedura. Sarebbe
in realtà più opportuno parlare di ‘revoca giudiziale’112.
Il legislatore rispetto alle due fattispecie che fondano il ricorso del
creditore ex. lett. a) e b) del secondo comma dell’art. 14-bis individua
scadenze diverse in luogo della diversa gravità delle condotte del
debitore.
Risulta perciò che per le ipotesi raccolte sotto la lett. a) il termine
di proposizione della domanda, a pena di decadenza, è di sei mesi dal
112 M. PERRINO, op. cit., p. 444.
99
giorno della scoperta e, in ogni caso, di non oltre due anni dalla scadenza
del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto.
Per le ipotesi della lett. b) il termine proposizione del ricorso, a
pena di decadenza, è di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro un
anno dalla scadenza fissata per l’ultimo adempimento previsto
dall’accordo.
Questi termini ricalcano rispettivamente quelli previsti per
l’azione di risoluzione e di annullamento del concordato, fallimentare e
preventivo (artt. 137 e 138, comma 3, l. fall.; art. 186, ultimo comma, l.
fall.).
Il procedimento è anche in questo caso camerale, si applicano gli
artt. 737 ss. in quanto compatibili e la competenza spetta al giudice in
composizione monocratica, avverso il provvedimento è possibile
presentare reclamo al tribunale in sede collegiale di cui non farà parte il
giudice che ha adottato il provvedimento.
La dichiarazione di cessazione degli effetti dell’omologazione del
piano non pregiudica i diritti conseguiti dai terzi in buona fede.
A completezza della disciplina, è necessario anticipare che tutte le
ipotesi di cessazione e revoca del piano del consumatore, nonché le altre
ipotesi indicate dall’art. 14-quater, determinano la conversione della
procedura di composizione della crisi nel procedimento di liquidazione
del patrimonio.
Rimando alla specifica sezione del Capitolo terzo la trattazione
dell’istituto della conversione della procedura di accordo o di piano del
consumatore in liquidazione dei beni.
100
CAPITOLO III
La terza procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento:
l’alternativa liquidatoria e l’eventuale esdebitazione
Sommario: 3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le
condizioni di ammissibilità e la domanda di liquidazione - 3.2. La
conversione della procedura di composizione della crisi nella soluzione
liquidatoria - 3.3. Il decreto di apertura - 3.4. Il decreto di apertura ex art.
14-quinquies a confronto con la dichiarazione di fallimento: gli effetti
verso il debitore e i creditori, l’azione revocatoria ordinaria e i rapporti
preesistenti - 3.5. La formazione dello stato passivo - 3.6. Le attività del
liquidatore: elementi di confronto con il curatore fallimentare - 3.7. Il
patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela - 3.8. La disciplina
mancante: la ripartizione dell’attivo - 3.9. L’eventuale esdebitazione
(revocabile): requisiti strutturali e procedurali
3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le condizioni
di ammissibilità e la domanda di liquidazione
Una delle principali novità introdotte con le modifiche alla legge
n. 3 del 2012, apportate col d.l. n. 179/2012, è rappresentata dalla
previsione di una terza procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento alternativa a quelle di cui all’art. 7 della legge: la
liquidazione dei beni del patrimonio del debitore non fallibile.
La versione originaria della l. n. 3/2012 non contemplava la
liquidazione, se non come fase esecutiva dell’accordo di composizione
omologato.
Il d.l. ha così, da una parte, attribuito al debitore la facoltà di
azionare direttamente la liquidazione come strumento in rimedio al
sovraindebitamento, e, dall’altra, ha colmato le lacune che presentava il
101
regime previgente che non regolamentava tutte le situazioni derivanti
dall’annullamento, risoluzione, revoca e cessazione degli effetti
dell’accordo di composizione della crisi, ora invece regolate attraverso la
disciplina della conversione ex art. 14-quater di cui si dirà meglio di
seguito.
La novella inoltre concede, in presenza di specifici requisiti,
l’accesso all’esdebitazione della persona fisica per la parte non
soddisfatta dei propri debiti. In posizione eventuale ed accessoria rispetto
alla liquidazione dei beni si colloca quindi la procedura di esdebitazione
di cui all’art. 14-terdecies. Nelle altre soluzioni di composizione della
crisi da sovraindebitamento l’effetto esdebitatorio, invece, si realizza, per
l’accordo dei debitori ex art. 7, in luogo del consenso maggioritario
(60%) dei creditori e, per il piano del consumatore, attraverso il positivo
giudizio di omologa da parte del tribunale.
L’ispirazione che ha sotteso la riforma, e nello specifico
l’opportunità di accesso a tale beneficio, è stata dettata dalla mutata
sensibilità sociale per la sorte dei soggetti più deboli e dall’esigenza del
loro opportuno reinserimento nei mercati (c.d. fresh start), l’obiettivo
dell’inclusione del procedimento esdebitatorio all’interno della l. n.
3/2012 è di porre rimedio al c.d. sovraindebitamento passivo, o
incolpevole, mentre il sovraindebitamento attivo, o colpevole, viene
sanzionato col diniego di esdebitazione113.
L’art. 14-ter definisce come “alternativa” la procedura di
liquidazione dei beni rispetto a quelle stabilite dall’art. 7: l’alternatività si
coglie anche considerando che la liquidazione dei beni funge da
parametro di confronto con le altre procedure in occasione di una
contestazione sulla convenienza dell’accordo (art. 12, comma 3) o del
piano del consumatore (art. 12-bis, comma 4) e in riferimento al calcolo
del massimo sacrificio sopportabile dai creditori prelatizi (art. 7, comma
1). 113 L. A. BOTTAI, La liquidazione del debitore in procedura di sovraindebitamento, in Il fallimentarista, 21 dicembre 2012, p. 2.
102
L’attuale testo della legge, pur non precludendo al debitore la
modalità alternativa di regolazione del sovraindebitamento attraverso la
liquidazione, presenta ancora molti vuoti normativi.
Nella legge si trovano iscritte, non sempre rispettando la massima
corrispondenza, alcune regole dettate anche per il fallimento senza mai
che sia operato un rinvio esplicito alla legge fallimentare, salvo alcune
rare eccezioni114.
La conseguenza di una simile impostazione è l’assenza di una
norma di chiusura che consenta di colmare le lacune che il testo presenta.
La liquidazione dei beni in maniera approssimativa riprende le fasi
della procedura fallimentare, poiché prevede la formazione del passivo a
contraddittorio semplificato, la fase di vera e propria esecuzione delle
operazioni di liquidazione con la nomina di un liquidatore, lo
spossessamento del debitore e l’inibizione delle azioni dei creditori.
Come il fallimento quindi, la procedura ex artt. 14-ter ss.
coinvolge l’intero patrimonio pignorabile del debitore, che sin dal
momento dell’apertura viene amministrato dal liquidatore, autorità neutra,
affinché sia liquidato e ripartito tra i creditori; la liquidazione produce i
suoi effetti su tutti i creditori anteriori alla sua apertura, le cui pretese
sono sospese determinando il blocco delle azioni esecutive e cautelari e
impedendo la costituzione di cause legittime di prelazione.
I creditori non possono accordarsi col debitore in merito alle
modalità di soddisfazione dei crediti e deve essere rispettato il principio
della par condicio creditorum.
Diversamente dalla legge fallimentare, la legge n. 3 del 2012 non
presenta disposizioni sugli atti pregiudizievoli ai creditori, sui contratti in
corso di esecuzione, sulle forme di prosecuzione pro tempore dell’attività.
114 Le eccezioni sono rappresentate dall’art. 14-quinquies, comma 2, lett. a) che chiede il possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall per svolgere la carica di liquidatore; dall’art. 14-novies, comma 4, che richiama il regolamento del Ministro della giustizia di cui all’art. 107, comma 7, l. fall. in merito ai requisiti di onorabilità e professionalità di cui devono essere in possesso tutti i soggetti di cui si avvale il liquidatore.
103
In questa ottica, e considerando che la legge sul
sovraindebitamento si occupa di insolvenze non certo modeste, come ad
esempio quelle che possono coinvolgere anche imprese agricole, sarebbe
stata auspicabile una norma che rinviasse all’applicazione della legge
fallimentare, ove compatibile a fronte dei vuoti normativi115.
La legge presenta inoltre alcuni errori, tra questi: l’assenza di una
disciplina della ripartizione dell’attivo; il riferimento ad un
provvedimento di omologazione che chiaramente non può trovare sede
nella procedura di liquidazione del patrimonio; la mancanza di ipotesi di
chiusura della procedura alternative all’esecuzione del programma di
liquidazione.
Un grave limite della disciplina consiste nella mortificazione della
dimensione processuale, avendo il legislatore ritenuto opportuno
cameralizzare tutte le fasi del procedimento di liquidazione116. Sono
inoltre generici i rinvii alla disciplina camerale attraverso il mero
richiamo degli artt. 737 ss. c.p.c. e manca qualsiasi tentativo di adattare
alle specifiche della legge n. 3 del 2012 tali disposizioni.
La liquidazione dei beni è una procedura concorsuale non
negoziale che consiste in “un procedimento esecutivo-espropriativo
concorsuale a carattere tendenzialmente volontario”117.
Il carattere della concorsualità della procedura sembra confermato
dalla caratteristica della sua universalità che risulta dal prendere in
considerazione l’intero patrimonio del debitore, riferendosi esplicitamente
a “tutti i suoi beni”.
Il procedimento si articola in quattro fasi: la fase di apertura;
l’accertamento del passivo; la liquidazione dell’attivo; la fase del riparto
dell’attivo, seppure non disciplinata dalla legge.
115 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2062. 116 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 67 117 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit.
104
Alla liquidazione dei beni si può accedere per iniziativa del
debitore stesso come soluzione perfettamente alternativa all’accordo del
debitore o piano del consumatore, ovvero su iniziativa del debitore o del
creditore come sviluppo sanzionatorio nelle ipotesi di conversione di una
delle procedure di composizione della crisi in liquidazione di cui all’art.
14-quater.
Di seguito viene analizzato il potere di iniziativa del debitore e si
rinvia al Paragrafo successivo l’elencazione delle ipotesi di accesso alla
procedura per conversione.
Il debitore non fallibile, quando non abbia fatto ricorso nei
precedenti cinque anni a una delle procedure disciplinate dalla l. n.
3/2012, può presentare domanda di liquidazione di tutti i suoi beni
(comprensivi di pertinenze, accessori e frutti ex art. 14-novies, comma 2)
al tribunale del luogo di residenza o della sede principale del debitore.
Unitamente alla proposta devono essere presentate tutte le formalità di cui
all’art. 9, commi 2 e 3.
Il dato testuale dell’articolo 14-ter utilizza il termine “debitore”
nel quale va inclusa anche la figura del consumatore nonostante non sia
espressamente ribadita nella disposizione.
Più difficile invece è superare il dubbio circa l’estensione della
procedura anche a favore dell’imprenditore agricolo. L’art. 7, comma 2-
bis, prevede che l’imprenditore agricolo può proporre un accordo di
composizione della crisi secondo le disposizioni della “presente sezione”,
non includendo così il Capo II che disciplina la liquidazione dei beni.
L’interpretazione corretta sul piano letterale escluderebbe
all’imprenditore agricolo la fruizione della procedura ex artt. 14-ter ss.
Tuttavia una simile interpretazione si espone a dubbi di
costituzionalità, risultando il trattamento dell’imprenditore agricolo più
sacrificato senza apparente giustificazione rispetto a quello degli altri
soggetti non fallibili che hanno, invece, l’accesso anche alle altre
procedure di composizione della crisi. Inoltre non risulterebbe
105
armonizzabile tale esclusione con la previsione della possibilità di
accesso alla liquidazione riconosciuta invece all’imprenditore agricolo in
caso di conversione ex art. 14-quater. Per tali motivi si ritiene opportuno
riconoscere anche all’imprenditore agricolo la possibilità di attivare la
liquidazione dei beni come via perfettamente alternativa all’accordo ex
art. 7.
In merito all’estensione del patrimonio liquidabile, oggetto di
liquidazione possono essere anche i beni sopravvenuti nell’arco dei
successivi quattro anni, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la
conservazione dei beni medesimi (l’art. 14-undecies specifica che in un
simile caso il debitore ha l’obbligo di integrare con l’indicazione di tali
beni l’inventario che ha depositato contestualmente alla domanda).
Sono invece esclusi i crediti impignorabili di cui all’art. 545 c.p.c.,
i crediti alimentari e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e
ciò che il debitore guadagna con la sua attività.
Sono altresì esclusi i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni
dei figli, i beni costituiti in fondi patrimoniali e i frutti di essi, salvo
quanto disposto dall’art. 170 c.c. e tutte le cose che non possono essere
pignorate per disposizione di legge.
Alla domanda devono essere allegati l’inventario dei beni, con
l’indicazione sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili,
e una relazione particolareggiata dell’Organismo di composizione della
crisi che deve contenere: l’indicazione delle cause dell’indebitamento e
della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere
volontariamente le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni
dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere tali obbligazioni;
il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque
anni; l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore persona
fisica impugnati dai creditori; il giudizio sulla completezza e attendibilità
della documentazione depositata a corredo della domanda.
106
La relazione di cui al terzo comma si concentra su elementi
analoghi a quelli richiesti per l’accesso al piano del consumatore, questi
profili di meritevolezza non sembrano garantire un trattamento premiale o
liberatorio nel contesto della procedura di liquidazione, per cui è più
opportuno ritenere che siano funzionali ad una successiva richiesta di
esdebitazione, e questo pare confermato dall’esplicito riferimento al
debitore quale persona fisica il quale altro non è che l’unico soggetto che
hai sensi dell’art. 14-terdecies può fruire del fresh start.
La domanda del debitore è inammissibile quando siano stati
compiuti atti in frode ai creditori (art. 14-quinquies) o difetta dei
presupposti indicati in precedenza (art. 14-ter, comma 1), o non è
depositata la documentazione di cui all’art. 9, commi 2 e 3, o quando non
è stato depositato l’inventario dei beni o la relazione particolareggiata
(art. 14-ter, comma 3).
Appare discutibile far subordinare l’ammissibilità della domanda
alla condizione che non siano posti in essere atti in frode dei creditori,
poiché l’altra possibilità di accesso alla stessa procedura in esame è data
proprio dal fallimento delle procedure di accordo o di piano del
consumatore, intervenuto per il compimento da parte del debitore di atti
in frode dei creditori.
La domanda di liquidazione è parimenti inammissibile se la
documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la
situazione economica e patrimoniale del debitore. Non si può del tutto
escludere l’applicazione analogica dell’art. 9, comma 3-ter, in base al
quale il giudice concede un termine perentorio di non più di 15 giorni per
apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti118.
In ogni caso ha la facoltà di ripresentare la domanda, non
potendosi applicare in tale ipotesi di mancata ammissione il termine dei
cinque anni di cui alla lett. b) dell’art. 7, comma 2.
118 R. DONZELLI, op. ult. cit., p. 71.
107
La proposizione della domanda sospende, ai soli effetti del
concorso, il corso degli interessi legali e convenzionali fino alla chiusura
della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da pegno,
ipoteca o privilegio, salvo quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855,
commi 2 e 3, c.c.
Gli effetti della declaratoria di ammissibilità sono analoghi a
quelli che conseguono al deposito della domanda di accordo o di piano
del consumatore, la relativa disciplina è mutuata dal fallimento (artt. 54,
ult. comma, e 55 l. fall).
Il compito degli Organismi di composizione della crisi, anche in
questa fase iniziale, è quello di dare notizia entro tre giorni all’agente di
riscossione e agli uffici fiscali di aver ricevuto richiesta di redigere la
relazione di cui al comma 3 dell’art. 14-ter.
La legge non specifica se sussista per proporre la domanda di
liquidazione l’obbligo di difesa tecnica, tuttavia il tenore degli effetti che
conseguono alla dichiarazione di apertura con decreto ad opera del
giudice fanno propendere per la soluzione positiva.
Una volta presentata la domanda, se questa soddisfa i requisiti
richiesti dalla legge e verificata l’assenza di atti in frode dei creditori
negli ultimi cinque anni, il giudice con decreto dichiara aperta la
procedura di liquidazione del patrimonio (art. 14-quinquies, primo
comma).
Rimando al Paragrafo che segue la trattazione dell’altra via
percorribile per accedere alla liquidazione del patrimonio del debitore: la
conversione delle procedure di composizione della crisi da
sovraindebitamento in liquidazione dei beni ex art. 14-quater.
108
3.2. La conversione della procedura di composizione della crisi nella
soluzione liquidatoria.
È possibile accedere alla procedura di liquidazione dei beni del
debitore non fallibile, oltre che su iniziativa volontaria del debitore, anche
nelle ipotesi di conversione delle già pendenti procedure di accordo o di
piano del consumatore.
La conversione interviene in una logica sanzionatoria, che
rappresenta un disincentivo per un utilizzo non responsabile degli
strumenti negoziali offerti dall’art. 7 della legge n. 3 del 2012.
Attraverso questo esito sanzionatorio il fine del legislatore è
quello di rafforzare la cogenza dell’impegno assunto dal debitore119.
È necessario precisare che con il termine conversione nel nostro
ordinamento si fa riferimento alla sostituzione di una procedura con
un’altra, nella salvezza degli atti già compiuti e degli effetti già prodotti,
di cui la nuova procedura costituisce prosecuzione o sviluppo.
Il giudice con decreto dispone la conversione della procedura nelle
ipotesi elencate dall’art. 14-quater.
Il decreto in questione è lo stesso con cui viene dichiarata
l’apertura della liquidazione dei beni.
I legittimati a proporre istanza di conversione sono i creditori e il
debitore nelle ipotesi di annullamento dell’accordo (art. 14, comma 1) o
di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore
(art. 14-bis, comma 2, lett. a)).
Può apparire dubbia l’inclusione del debitore nel novero dei
legittimati attivi, la previsione si giustifica nell’ottica dell’eventuale
ottenimento di quella esdebitazione che la procedura negoziale già avviata
avrebbe garantito120.
La conversione è altresì disposta nelle ipotesi di cui all’art. 11,
comma 5: nel caso in cui il debitore, entro 90 giorni dalle scadenze
previste, non abbia eseguito integralmente i pagamenti dovuti secondo il 119 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2064. 120 A. MAFFEI ALBERTI, op. loc. ult. cit.
109
piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori; o nel caso in cui
siano stati compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni
dei creditori.
La conversione interviene anche nelle ipotesi di risoluzione
dell’accordo e di cessazione degli effetti del piano del consumatore ai
sensi dell’art. 14-bis, comma 2, lett. b) se determinati da cause imputabili
al debitore.
Il tenore della seconda parte dell’art. 14-quater che richiama le
ipotesi dell’art. 11, comma 5 e dell’art. 14-bis, comma 2, lett. b) sembra
ammettere una pronuncia di conversione d’ufficio, senza che sia
necessaria l’istanza ad opera del debitore o del creditore121.
Dal punto di vista procedurale la norma nulla dice in merito alle
modalità processuali, alla garanzia del contraddittorio e al ruolo
dell’Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Riassumendo, se per un verso il legislatore valuta la procedura di
liquidazione alla stregua di un beneficio e per tale motivo restringe al solo
debitore la legittimazione attiva, dall’altro l’accesso alla procedura
attraverso la conversione è la conseguenza sanzionatoria delle condotte
del debitore che hanno determinato le patologie dei rimedi, e in
quest’ultimo caso la legittimazione è riconducibile sia al debitore che ai
creditori.
Il paradosso che emerge si forma proprio su questo aspetto, sul
fatto che è possibile per il debitore accedere alla conversione solo a
seguito di una pronuncia di risoluzione del piano per motivi a lui
imputabili, piuttosto che in una situazione in cui non si forma un profilo
di colpevolezza.
La condotta incolpevole del debitore permette quindi di accedere
alla procedura di liquidazione dei beni attraverso l’istituto della
conversione, in caso di condotta incolpevole questo passaggio da una
procedura all’altra viene negato. 121 R. DONZELLI, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, p. 629.
110
3.3. Il decreto di apertura
Pervenuta al tribunale competente la domanda di liquidazione, il
giudice in camera di consiglio procede alla verifica dei requisiti di cui
all’art. 14-ter.
Perché si dia luogo alla dichiarazione di ammissibilità alla
procedura devono necessariamente sussistere i presupposti oggettivi e
soggettivi e deve essere regolare e completa la documentazione allegata.
Il giudice deve procedere inoltre alla verifica dell’assenza di atti in
frode dei creditori compiuti negli ultimi cinque anni.
Come già accennato nel Paragrafo precedente, la verifica di questa
condizione ostativa sembra in contraddizione con la previsione della
conversione della procedura di composizione in liquidazione nel caso in
cui si verifichi l’ipotesi di cui all’art. 11, comma 5, secondo periodo.
Il tribunale in composizione monocratica pronuncia con decreto
reclamabile di fronte al collegio di cui non fa parte il giudice che ha
emesso il provvedimento.
Il legislatore non identifica i soggetti che possono presentare
reclamo, ma è comprensibile che questi siano, oltre al debitore, anche, in
linea con l’art. 18 l. fall.122, tutti quei soggetti colpiti dagli effetti del
decreto che vogliono ottenere l’accertamento dell’insussistenza delle
condizioni di ammissibilità della domanda di liquidazione.
Il reclamo ha natura costitutiva e porta a una decisione che
sostituisce la precedente. Il tribunale in sede collegiale non è vincolato né
ai vizi dedotti né alle doglianze proposte dalle parti, poiché ha gli stessi
poteri del giudice monocratico.
In merito alla possibilità di ritenere ammissibile un ricorso
straordinario in cassazione si deve distinguere tra i vari esiti a cui il
tribunale può giungere nel dichiarare ammissibile o meno la domanda di
liquidazione.
122 Cfr. art. 18, comma 1, l. fall. “Contro la sentenza che dichiara fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni”.
111
In caso di esito positivo potrebbero sorgere dubbi sulla decisorietà
del decreto in quanto non ha ad oggetto diritti soggettivi, piuttosto
potrebbe essere ravvisabile una decisorietà c.d. “per incisione”, cioè in
senso lato, per il solo fatto di produrre nei confronti dei creditori effetti
inibitori delle azioni esecutive e cautelari123.
In caso di rigetto della domanda, è necessario capire se sia questa
riproponibile o meno, ovvero se il decreto di non ammissibilità integri
l’ipotesi dell’art. 7, comma 2, lett. b), che esclude la riproponibilità della
domanda quando nei cinque anni precedenti si sia fatto già ricorso ad una
delle procedure di composizione della crisi.
La dottrina sembra non accordare tale effetto alla declaratoria
d’inammissibilità e perciò si esclude di conseguenza anche la ricorribilità
in cassazione124.
Con il decreto di ammissibilità alla procedura il giudice nomina un
liquidatore, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di
cui all’art. 28 l. fall. La nomina non è necessaria se nella procedura di
composizione della crisi poi convertita in liquidazione è stato già
designato un liquidatore125.
Nella procedura di liquidazione ex l. n. 3/2012, a differenza di
quanto avviene nel fallimento, non si verifica lo sdoppiamento delle
funzioni attribuite all’organo tra tribunale fallimentare e giudice delegato.
Al giudice non sono attribuite specifiche funzioni esterne alla
procedura, non opera la vis attractiva concursus di cui all’art. 24 l. fall.
(in base alla quale invece “il tribunale che ha dichiarato il fallimento è
competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne
sia il valore”).
123 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 72. 124 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit. 125 Parte della dottrina sostiene che tale previsione opera nei soli casi di apertura d’ufficio della liquidazione. Cfr. L. PANZANI, op. cit., p. 23.
112
Le funzioni interne sono svolte dal giudice, tra queste si colloca la
nomina del liquidatore. Nonostante il silenzio del legislatore, in virtù dei
principi generali, si ritiene che il giudice possa per giusta causa revocare
o sostituire il liquidatore in ogni tempo con provvedimento motivato126.
Il giudice con il decreto di apertura può stabilire che le funzioni di
liquidatore siano svolte dall’Organismo di composizione della crisi (art.
15, comma 8), rendendo eventuale la nomina di tale organo. In merito a
questa ipotesi sorge il dubbio se le funzioni da liquidatore debbano essere
svolte dall’OCC in composizione collegiale o sia sufficiente avocare al
componente responsabile della procedura127.
Contestualmente alla nomina del liquidatore, il giudice ordina al
debitore la consegna dei beni, salvo che, in presenza di gravi e specifiche
ragioni, quest’ultimo sia autorizzato a rimanere nella disponibilità della
cosa.
Il liquidatore si occupa dell’amministrazione dei beni e delle
azioni previste dall’art. 14-decies.
Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura
del liquidatore.
Il decreto però non determina soltanto l’indisponibilità materiale
dei beni del debitore, ma incide anche sulla disponibilità giuridica: infatti
l’art. 14-quinquies, comma 3, dispone che “il decreto…deve intendersi
equiparato all’atto di pignoramento”.
Questa equiparazione lascia perplessi, poiché non può riguardare
gli atti, ma il tenore dei loro effetti; piuttosto il legislatore ha come
obiettivo quello di assimilare l’efficacia del decreto a quella che dirompe
con l’art. 44 l. fall., che consiste nell’indisponibilità relativa ex art. 2913
c.c., sebbene con riferimento a tutto il patrimonio128.
126 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 778. 127 Per un giudizio favorevole alla designazione del componente responsabile della procedura v. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 781. 128A tal proposito v. R. DONZELLI, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, cit., p. 627. Cfr. art. 44 l. fall. “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. Sono egualmente inefficaci i pagamenti
113
L’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. c) dispone che col
decreto sia disposta l’idonea forma di pubblicità della domanda e del
decreto stesso e, nel caso in cui il debitore svolga attività d’impresa,
anche l’annotazione nel registro delle imprese. Il decreto deve essere
trascritto dal liquidatore laddove il patrimonio comprenda beni mobili
registrati o beni immobili.
Sul piano applicativo si apre però il problema di comprendere
quale sia il referente temporale per risolvere gli eventuali conflitti fra
creditori concorsuali ed aventi causa dal debitore, o più in generale quale
sia il momento a partire dal quale il decreto produce effetti nei confronti
dei terzi.
Una parte della dottrina ha sostenuto di poter distinguere quattro
opzioni: a) dalla data di pubblicazione del decreto; b) dal momento
dell’esecuzione della pubblicità; c) dal momento dell’annotazione del
decreto nel registro delle imprese; d) dal momento della trascrizione129.
La soluzione viene individuata partendo dall’assunto che i criteri più
adeguati per fare chiarezza in merito sono quello della priorità
cronologica, quello della soggettività e quello della natura del bene. Nello
specifico, i più convincenti appaiono essere gli ultimi due se si tiene di
conto della seguente articolazione: si potrebbe ritenere rilevante sul piano
generale la pubblicità del decreto disposta dal giudice, salva l’ipotesi in
cui il debitore sia imprenditore, se così fosse avrebbe la priorità la data di
trascrizione nel registro delle imprese; in ogni caso se l’oggetto dell’atto è
un bene mobile registrato o un bene immobile opererebbe la data della
trascrizione nei relativi registri.
L’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. b) dispone che, sino al
momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo, non
possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive
ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma”. 129 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit.
114
o cautelari, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di
liquidazione da parte dei creditori aventi causa o titolo anteriore.
La disposizione in commento presenta due evidenti errori: il primo
ha ad oggetto il richiamo ad un decreto di omologazione che nella
procedura di liquidazione manca; il secondo riguarda il fatto che il
legislatore probabilmente voleva riferirsi piuttosto che al decreto di
omologa al decreto di apertura del procedimento, ma anche riferendosi a
quest’ultimo la norma non sarebbe in grado di escludere l’aggressione
esecutiva individuale dei beni del debitore da parte dei creditori per tutta
la durata della procedura di liquidazione, che deve avere una durata non
superiore ai quattro anni, durante i quali i beni sopravvenuti vanno a
confluire nel patrimonio “espropriato”130.
In merito al richiamo operato dalla norma al decreto di
omologazione, la giurisprudenza di merito ha manifestato un’opinione
diversa rispetto a quella appena considerata per cui il legislatore farebbe
riferimento in realtà non al decreto di apertura, ma al decreto di chiusura
della procedura di cui all’art. 14-nonies, comma cinque: questa
assimilazione permetterebbe di superare il problema sopra evidenziato131.
A stabilire la durata del procedimento è l’ultimo comma dell’art.
14-quinquies, per cui la procedura rimane aperta sino alla completa
esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui
all’art. 14-undecies, per i quattro anni successivi al deposito della
domanda.
130 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 73. 131 Tribunale di Terni, 20 dicembre 2013, in Il fallimentarista, 3 aprile 2014.
115
3.4. Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies a confronto con la
dichiarazione di fallimento: gli effetti verso il debitore e i creditori,
l’azione revocatoria ordinaria e i rapporti preesistenti
Come già osservato in precedenza, l’apertura della procedura di
liquidazione determina lo spossessamento automatico da parte del
debitore del potere di disporre e amministrare i beni del patrimonio
liquidabile.
Così come accade nel fallimento, l’esigenza di conservare il
patrimonio responsabile è doppiamente relativa, nel senso che si estende
ai soli beni e rapporti rientranti nel patrimonio liquidabile ( tra i quali non
rientrano i beni di cui all’art. 14-ter, comma 6) e dura finché la procedura
non è chiusa132.
La titolarità dei beni rimane chiaramente in capo al debitore finché
non interviene la vendita a favore del terzo.
Il fallimento, allo stesso modo, produce nei confronti del fallito lo
spossessamento dei beni, perdendo il debitore l’amministrazione e la
disponibilità, ma non la proprietà degli stessi (art. 42 l. fall.). I beni
passano al curatore, quale amministratore del patrimonio fallimentare, il
quale viene immesso nel loro possesso.
I limiti allo spossessamento nella procedura di liquidazione di cui
alla legge n. 3 del 2012 sono i beni e i diritti esenti dall’esecuzione
concorsuale elencati dal comma 6 dell’art. 14-ter; nel fallimento lo
spossessamento colpisce tutti i beni e i diritti ad eccezione
dell’elencazione di cui all’art. 46 l. fall133.
132 D. VATTERMOLI, op. cit., 783. 133 Cfr. art. 46 l. fall. “Non sono compresi nel fallimento:1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale;2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile; 4) (soppresso);5) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.”
116
Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies ha l’efficacia di un atto
di pignoramento, producendo così sul patrimonio del debitore quel
vincolo che consente il passaggio dalla tutela esecutiva individuale a
quella collettiva, tipica delle procedure concorsuali.
Alcuni dei beni oggetto di spossessamento possono essere
utilizzati dal debitore su autorizzazione del giudice, ne è un esempio la
casa di abitazione: perché ciò accada devono concorrere gravi e
specifiche ragioni ex art. 14-quinquies, comma 2, lett. e). Tali beni non
sono sottratti all’attivo, semplicemente il godimento degli stessi permane
in capo al debitore finché non si realizza la vendita endoconcorsuale.
Nel fallimento, se è proprietario della propria abitazione, il fallito
ha diritto di continuare ad abitarla fino alla vendita; se privo di mezzi di
sussistenza può ottenere dal giudice delegato la concessione di un
sussidio a titolo di alimenti (art. 47 l. fall.).
Nulla viene detto nella l. n. 3/2012 in merito all’ipotesi che, a
seguito dell’ammissione al procedimento intervenuta con il decreto di cui
all’art. 14-quinquies, il debitore compia atti a contenuto patrimoniale e
pagamenti.
Si ritiene che tali atti siano relativamente, rispetto alla massa
creditoria, inefficaci, in linea con quanto già è stato in precedenza detto in
merito all’art. 44 l. fall. per il quale tali atti sono inefficaci se hanno per
oggetto beni e diritti ricompresi nello spossessamento, dato che il fallito
non può disporne durante il fallimento. Il regime degli atti compiuti dal
fallito è l’inopponibilità, e non l’invalidità, per cui se il fallito torna in
bonis deve rispondere degli effetti di tali atti nei confronti dei terzi: le
obbligazioni assunte dal fallito saranno fatte valere nei suoi confronti solo
dopo la chiusura del fallimento, dato appunto che l’inefficacia è relativa e
non assoluta. Sono inefficaci anche i pagamenti eseguiti dal fallito e
quelli da lui ricevuti dopo la dichiarazione di fallimento, tuttavia le utilità
conseguite dal fallito per effetto di tali atti sono apprese alla massa
fallimentare (art. 44 l. fall.).
117
Nonostante la premessa dell’indisponibilità relativa dei beni del
fallito, tutti i beni sopravvenuti sono acquisiti al netto delle passività,
l’amministrazione fallimentare infatti può decidere di acquisire al
fallimento quanto acquistato dal fallito con atti di disposizione posti in
essere dal debitore dopo la dichiarazione di fallimento, senza
disconoscere i corrispondenti debiti che il fallito ha dovuto contrarre134.
Lo spossessamento dovrebbe determinare la perdita della capacità
processuale del debitore nelle controversie, anche in corso, a carattere
patrimoniale, relative a beni e rapporti compresi nel fallimento ex art. 43
l. fall. e nel patrimonio liquidabile secondo la procedura di cui alla l. n. 3
del 2012.
In merito alla legittimazione attiva è lo stesso art. 14-decies ad
attribuirla espressamente al liquidatore; si ritiene che lo stesso debba
concludersi anche in riferimento alla legittimazione passiva135.
Nel fallimento il fallito perde la capacità processuale nella cause
relative a rapporti patrimoniali e per lui sta in giudizio il curatore ex art.
43 l. fall, tuttavia resta pienamente capace di agire e di essere parte di un
processo: questo è confermato dal fatto che gli atti compiuti dopo la
dichiarazione di fallimento determinano l’acquisizione al fallimento dei
beni aventi ad oggetto136. Inoltre la capacità processuale è conservata
nelle cause non patrimoniali e il fallito può comunque intervenire nelle
controversie patrimoniali da cui può derivare una sua imputazione per
bancarotta (art. 43, comma 2). In caso di inerzia del curatore il fallito può
riassumere i giudizi interrotti a seguito della dichiarazione di fallimento
esercitando l’azione in via surrogatoria a tutela dei suoi diritti.
134 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Milano, 2012, p. 358. 135 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 785. Di opinione contraria è R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 76, il quale riconosce al debitore la legittimazione passiva e ritiene che la legittimazione attiva riconosciuta al liquidatore sia una “legittimazione ad agire straordinaria a carattere surrogatorio”. 136 C. CECCHELLA, op. cit., p. 53.
118
Nei piani di risanamento, negli accordi di ristrutturazione dei
debiti ex art. 182-bis e nei concordati preventivi, “la diminutio
dell’imprenditore è più attenuata”, e nello specifico caso del concordato
preventivo, il debitore conserva l’amministrazione e la gestione
dell’impresa sotto la vigilanza dei commissari e sotto la direzione del
giudice delegato (art. 167, comma 1), tuttavia non può compiere atti di
straordinaria amministrazione, se non con l’autorizzazione del giudice
delegato137.
La legge n. 3 del 2012 non fa discernere dalla procedura effetti
personali nei confronti del debitore, come invece accade nei confronti del
fallito sulla base delle norme civili e delle leggi speciali.
Con la dichiarazione di fallimento, il fallito vede limitarsi alcuni
diritti civili garantiti dalla costituzione quali il diritto al segreto epistolare
ex art. 15 Cost. e il diritto alla libertà di movimento ex art. 16 Cost.
Queste limitazioni cessano automaticamente con la chiusura del
fallimento.
Altri effetti personali che conseguono al fallimento sono le
incapacità civili previste dal codice civile e dalle leggi speciali in base
alle quali, sinteticamente, il fallito non può essere amministratore,
sindaco, revisore o liquidatore di società; non può iscriversi nell’albo
degli avvocati, né a quello dei dottori commercialisti; non può svolgere la
funzione di tutore, arbitro o notaio. Anche queste cessano
automaticamente a seguito della chiusura del fallimento.
Al debitore ammesso alla procedura ex art. 14-quinquies non sono
applicabili le conseguenze penali previste dagli artt. 216 ss. l. fall. che
individuano i fatti che integrano i reati fallimentari di bancarotta
fraudolenta, bancarotta semplice e di ricorso abusivo al credito. La
condanna per tali reati comporta come pena accessoria il divieto di
esercitare un’impresa commerciale propria o di ricoprire uffici direttivi
presso qualsiasi impresa, rispettivamente per dieci, due e tre anni.
137 C. CECCHELLA, op. loc. ult. cit.
119
Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies produce effetti anche nei
confronti dei creditori, stabilendo in primis il concorso formale, conditio
sine qua non per la partecipazione al concorso sostanziale.
Il concorso formale si realizza attraverso la presentazione della
domanda di insinuazione al passivo, l’accertamento del credito e la
formazione dello stato passivo ex artt. 14-septies e 14-octies.
Il ricavato della liquidazione dell’attivo è ripartito solo e
unicamente tra quei creditori che abbiano preso parte alla procedura nelle
modalità appena descritte. Lo stesso accade in ambito fallimentare e in tal
caso il riferimento è agli artt. 92 ss. l. fall.
I creditori concorsuali una volta ammessi a partecipare al
procedimento concorsuale, a seguito dell’accertamento dei loro crediti,
diventano creditori concorrenti.
Si ritiene che anche per i creditori del sovraindebitamento, a
seguito dell’accertamento del credito, si apra il concorso sostanziale,
seppure la legge non lo preveda espressamente.
“Nell’accezione sostanziale, il concorso consiste nel diritto del
creditore di vedere soddisfatto il proprio credito nei limiti consentiti dalla
necessità di soddisfare contemporaneamente gli altri creditori, i quali, per
tale ragione, vengono definiti concorrenti”138.
L’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), nel prevedere che il decreto
di apertura della liquidazione debba determinare l’inibizione delle azioni
esecutive e cautelari aventi ad oggetto beni che rientrano nel patrimonio
del debitore, impedisce ai creditori concorsuali di occupare posizioni di
vantaggio all’interno della procedura, contribuendo alla cristallizzazione
del patrimonio e al rispetto della par condicio creditorum.
Diversamente dalle procedure concorsuali tradizionali, tale effetto
non si produce automaticamente all’apertura della procedura, ma è
piuttosto subordinato al provvedimento contenuto nel decreto giudiziale
di apertura.
138 L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2012, p. 319.
120
Il legislatore nella legge n. 3 del 2012 non ripropone le regole
sulla scadenza anticipata dei crediti (artt. 55, comma 2, e 59 l. fall.) e
sulla trasformazione di tutti i crediti in crediti pecuniari (art. 59 l. fall.),
previste invece in ambito fallimentare.
In riferimento alla prima regola, essa stabilisce che tutti crediti del
debitore si considerano scaduti alla data di dichiarazione del fallimento; la
seconda prevede che tutti i crediti non scaduti, aventi per oggetto una
prestazione in denaro determinata con riferimento ad altri valori o aventi
per oggetto una prestazione diversa dal denaro, concorrono secondo il
valora alla data di dichiarazione del fallimento.
È corretto ritenere che queste due regole siano applicabili anche
nell’ambito della procedura di liquidazione del debitore non fallibile;
equiparando negli effetti la dichiarazione di fallimento al decreto di
apertura della procedura, esse risultano infatti funzionali all’attuazione
del concorso sostanziale fra creditori139.
È ritenuta allo stesso modo ammissibile la possibilità da parte del
creditore in bonis di eccepire la compensazione legale del suo credito con
quello vantato, nei suoi confronti, dal debitore ammesso alla procedura di
liquidazione. Ciò è possibile solo se sussistono al momento dell’apertura
della procedura i requisiti di cui all’art. 1243 c.c.: i crediti devo essere
omogenei, liquidi ed esigibili, cioè devono avere lo stesso oggetto,
devono essere esattamente determinati nel loro ammontare, e non devono
essere sottoposti né a termine né a condizione140.
La sospensione degli interessi, invece, è espressamente
disciplinata dall’art. 14-ter, comma 7.
L’assenza di una disciplina simile alla revocatoria fallimentare
nell’ambito delle procedure finora analizzate costituisce nell’effettivo un
punto debole nella promozione di tali procedure.
139 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 787. 140 In merito alla compensazione dei crediti nell’ambito della procedura fallimentare parte della dottrina rileva i diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa la coesitenza dei requisiti di cui all’art. 1243 c.c. al momento della dichiarazione di fallimento, v. G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 364, nota 67.
121
La revocatoria fallimentare si rivolge a tutti quegli atti che ledono
il principio della par condicio creditorum, per cui il pagamento dei debiti
scaduti è oggetto di revocatoria così come la vendita o l’acquisto di un
bene a un prezzo conforme a quello di mercato se sono idonei ad alterare
la parità di trattamento fra i creditori.
La revocatoria fallimentare si basa sulla presunzione che un atto
compiuto dal debitore a seguito della dichiarazione di fallimento alteri di
per sé stesso la par condicio creditorum.
A differenza della revocatoria ordinaria, quella fallimentare
ritiene irrilevante il pregiudizio della garanzia patrimoniale e irrilevante lo
stato soggettivo del debitore e del terzo contraente.
La revocatoria fallimentare non opera nella crisi da
sovraindebitamento e la regolamentazione degli atti compiuti in
pregiudizio dei creditori è rimessa alla disciplina civilistica della
revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in base alla quale l’istituto non
travolge i pagamenti di debiti scaduti, che sono piuttosto doverosi, e allo
stesso modo non si estende nei confronti delle garanzie concesse allo
scopo di pagare tali debiti scaduti.
In luogo dell’art. 2901 c.c.: “il creditore, anche se il credito è
soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati
inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi
quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando concorrono le
seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto
arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere
del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il
soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il
terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di atto anteriore al
sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli
effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti
altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al
credito garantito. Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito
122
scaduto. L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo
oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della
domanda di revocazione”.
Perché la domanda del creditore sia accolta al fine di ottenere
l’inefficacia dell’atto di disposizione, che arreca pregiudizio alla sicurezza
del proprio diritto, è necessario che sia integrato sia l’elemento oggettivo
dell’eventus damni sia quello soggettivo da stimarsi in capo al debitore, o
anche al soggetto coinvolto nell’atto stesso, e tale elemento soggettivo
varia a seconda degli elementi considerati.
In caso di atto dispositivo a titolo gratuito posteriore al credito
dell’attore in revocatoria, è sufficiente il consilium fraudis del debitore,
ovvero la c.d. “conoscenza del pregiudizio” per integrare l’elemento
soggettivo, cioè una situazione di semplice conoscenza, o di conoscibilità
secondo il parametro della media diligenza, del pregiudizio che tale atto è
in grado di produrre alla garanzia del credito.
A fronte di un atto dispositivo a titolo oneroso posteriore
all’insorgere del credito, perché il creditore possa con successo esperire
l’azione revocatoria ordinaria, la condizione psicologica deve coinvolgere
anche il terzo avente causa dall’atto dispositivo: deve essere presente
dunque la c.d. scientia damni del terzo, per cui è sufficiente anche la
consapevolezza, seppur generica, del pregiudizio che l’atto è in grado di
determinare al creditore.
In caso di atto dispositivo anteriore, se questo è a titolo gratuito è
sufficiente per esercitare l’azione revocatoria che il debitore abbia
dolosamente preordinato l’atto al fine di pregiudicare il soddisfacimento
dei propri creditori, e in tale circostanza nulla rileva la situazione
soggettiva del terzo.
Nell’ipotesi di stipulazione di atto a titolo oneroso anteriore, rileva
invece la partecipatio fraudis del terzo assieme al debitore, cioè la dolosa
preordinazione.
L’effetto dell’azione revocatoria è quello di rendere l’atto
123
inefficace nei confronti dell’attore in revocatoria, e con la conseguenza,
nello specifico ambito della procedura di liquidazione di cui alla legge n.
3 del 2012, che il bene oggetto dell’atto dispositivo, in caso di esito
positivo dell’azione giudiziale, sarà sottoposto alla procedura di
liquidazione anche se lo stesso fa parte, non già del patrimonio del
debitore, ma di quello del suo avente causa.
A beneficiare della reintegrazione del bene nel patrimonio
liquidabile è, in luogo del concorso fra i creditori, l’intera massa passiva
e, per tale motivo, appare che l’unico soggetto legittimato a proporre
l’azione revocatoria ordinaria sia proprio il liquidatore141. A sostegno di
questa conclusione si collocherebbe il dato testuale dell’art. 14-decies che
attribuisce al liquidatore la legittimazione a promuovere ogni azione
tendente a conseguire la disponibilità dei beni oggetto di liquidazione o
che sia comunque correlata con l’attività di amministrazione. Altri,
diversamente, hanno escluso, nel silenzio della legge, di riconoscere al
liquidatore la possibilità di esperire l’azione revocatoria ordinaria142.
La legge n. 3 del 2012 non contempla una specifica disciplina con
riferimento ai rapporti giuridici preesistenti, per cui il dubbio che sorge è
se il liquidatore possa richiedere al giudice di sospendere o sciogliere i
rapporti in corso nell’interesse dei creditori.
La mancanza di una norma come l’art. 72 l. fall.143, che consente il
141 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 787. 142 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 24. 143 Cfr. art. 72 l. fall. “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto. La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell'articolo 72-bis. In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno. L'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere
124
superamento del principio pacta sunt servanda, sembrerebbe far deporre
in senso negativo, tuttavia l’uso del condizionale è necessario in quanto in
tutte le procedure concorsuali tradizionali è prevista una
regolamentazione specifica per i contratti pendenti, che offre agli organi
della procedura, e nell’ipotesi del concordato allo stesso debitore, di
sciogliersi dal vincolo negoziale, salvaguardando così il patrimonio
responsabile144.
L’assenza di una specifica disciplina può essere addotta alla
circostanza che nell’ambito dei soggetti che fruiscono della novella la
regolamentazione della sorte dei contratti pendenti non assume la stessa
rilevanza che assume quando il protagonista della procedura concorsuale
sia un imprenditore commerciale fallibile, però, è anche vero che, ad
accedere alla composizione della crisi da sovraindebitamento possono
essere imprese agricole, anche grandi, che al momento dell’apertura della
procedura potrebbero presentare una grande quantità di contratti in corso
di esecuzione.
Sarebbe stata chiaramente più opportuna una regolamentazione
specifica sulla questione.
con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V. Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento. In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado”. 144 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 788.
125
3. 4. La formazione dello stato passivo
La liquidazione è il sub-procedimento (artt. da 14-sexies a 14-
octies) con cui le attività del debitore (quali ad esempio immobili, mobili,
diritti, azioni giudiziali ecc.) vengono monetizzate e il ricavato distribuito
ai creditori, riconosciuti come tali a seguito dell’accertamento compiuto
dal liquidatore assimilabile, in linea generale, a quello previsto per il
fallimento.
La liquidazione è affidata in linea di principio al liquidatore, a cui
spetta la formazione dello stato passivo, il giudice interviene soltanto a
seguito di contestazioni ad opera dei creditori, decidendo e formando in
tal caso lo stato passivo definitivo.
Il sub-procedimento in esame si articola in una pluralità di fasi: la
redazione dell’inventario dei beni costituenti il patrimonio liquidabile; la
redazione di un programma di liquidazione; la cessione dei crediti, le
vendite e gli altri atti di liquidazione; l’informazione degli esiti al
debitore, ai creditori e al giudice prima di stipulare contratti di vendita.
In merito alla prima fase, il liquidatore procede a verificare
l’elenco dei creditori e l’attendibilità della documentazione fornita ex art.
9, commi 2 e 3. Questa verifica appare superflua se a svolgere le funzioni
di liquidatore è lo stesso Organismo di composizione della crisi.
Una volta terminata la verifica, il liquidatore redige l’inventario
dei beni da liquidare e comunica ai creditori anteriori all’apertura della
procedura e ai titolari dei diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari,
su immobili o cose mobili in possesso o nella disponibilità del debitore: la
loro possibilità di partecipare alla liquidazione, depositando nella
cancelleria o trasmettendo attraverso posta elettronica certificata, e purché
vi sia prova della ricezione, la domanda di partecipazione ex art. 14-
septies, con l’avvertimento che in mancanza delle indicazioni di cui alla
lett. e) (dell’indirizzo di posta elettronica certificata, del numero di telefax
o l’elezione del domicilio in un comune circondario ove ha sede il
tribunale competente) le successive comunicazioni saranno eseguite
126
esclusivamente mediante deposito in cancelleria; la data entro cui vanno
presentate le domande; la data entro cui sarà comunicato ai creditori e al
debitore lo stato passivo e ogni altra utile informazione.
I creditori o aventi causa si insinuano nel passivo a partire dalla
presentazione della domanda di partecipazione al concorso o di
restituzione o rivendicazione dei beni, mobili o immobili, nella forma di
un ricorso che deve soddisfare il seguente contenuto, pressappoco
identico a quello richiesto in sede fallimentare ex art. 93 l. fall.: a)
l’indicazione delle generalità del creditore; b) il petitum, ossia la
determinazione della somma che si intende far valere nella liquidazione, o
la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o soddisfazione; c)
la causa petendi, ossia la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di
diritto che costituiscono la ragione della domanda; d) l’eventuale
indicazione di un titolo di prelazione; e) l’indicazione dell’indirizzo di
posta elettronica certificata, del numero di telefax o l’elezione di
domicilio in un comune del circondario in cui ha sede il tribunale
competente, in difetto le comunicazioni vengono eseguite ex art. 14-
sexies mediante mero deposito in cancelleria (art. 14-septies, comma 1).
Al ricorso devono essere allegati i documenti dimostrativi dei diritti fatti
valere (comma 2).
Diversamente dalla disciplina fallimentare, non è prevista la
sanzione della inammissibilità in caso di omessa indicazione degli
elementi sopra elencati sub a), b), c).
Non è previsto nella liquidazione di cui alla l. n. 3 del 2012 la
possibilità in capo al terzo che agisce in restituzione o rivendica del bene
di domandare contestualmente la sospensione della liquidazione del bene
oggetto delle sue pretese.
Non è prevista neppure la previsione operante nel fallimento in
base alla quale il giudice può disporre che i titoli al portatore o all’ordine
siano trattenuti in copia e restituiti previa annotazione del deposito da
parte del cancelliere.
127
A fronte di tali distonie pare non debba escludersi né la
inammissibilità del ricorso, né la richiesta di sospensione della
liquidazione, né il rilascio dell’originale del titolo di credito depositato in
copia, e ciò non in forza di un’applicazione analogica o estensiva della
disciplina del fallimento, ma in via autonoma145. Opera comunque l’art.
14-novies, comma 2, ultima parte, secondo cui “in ogni caso, quando
ricorrono gravi e giustificati motivi, il giudice può sospendere gli atti di
esecuzione del programma di liquidazione”.
Non sembra necessaria la difesa tecnica per il creditore che si
insinua nel passivo, e in virtù del vuoto normativo a riguardo si può
ritenere di poter applicare quanto affermato anche in merito al fallimento,
per cui il ricorso può essere sottoscritto dalla parte istante personalmente.
La fissazione del termine per la presentazione della domanda di
insinuazione al passivo è di competenza del liquidatore, però trattandosi
di una procedura concorsuale e di una fase processuale sarebbe stato più
opportuno che fosse stato stabilito un termine ex lege per l’insinuazione al
passivo e ancor prima per la comunicazione dell’avviso146.
Ai sensi dell’art. 14-octies, il liquidatore esamina le domande di
partecipazione al concorso, sulla base delle quali redige un progetto di
stato passivo comprensivo dell’elenco dei titolari di diritti sui beni mobili
e immobili di proprietà o in possesso del debitore.
Lo stato passivo menziona le richieste accolte e quelle respinte,
non è fatto cenno invece alle forme di ammissione con riserva previste in
ambito fallimentare ex art. 96 l. fall.147 e si esclude un’applicazione
analogica.
145 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2069. 146 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 790. 147 Cfr. art. 96 “Oltre che nei casi stabiliti dalla legge sono ammessi al passivo con riserva: 1) i crediti condizionati e quelli indicati nell'ultimo comma dell'art. 55; 2) i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice; 3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione".
128
Il liquidatore deve comunicare il progetto di stato passivo al
debitore e ai creditori che hanno presentato domanda di partecipazione al
concorso; assegna un termine di quindici giorni per far pervenire sotto la
veste di “osservazioni” opposizioni allo stato passivo da parte dei
creditori o dello stesso debitore.
In assenza di osservazioni, il liquidatore procede ad approvare de
plano lo stato passivo da lui redatto, che diventa così definitivo, e ne dà
comunicazione ai creditori ammessi e al debitore (art. 14-octies, comma
2); se sono formulate osservazioni che il liquidatore ritiene fondate,
quest’ultimo entro un termine di quindici giorni deve presentare un nuovo
progetto di stato passivo e comunicarlo alle parti e, in luogo del rinvio del
terzo comma al primo comma, è da ritenere ammissibile l’avvio di un
nuovo iter di osservazioni (comma 3); il liquidatore, se non ritiene
fondate le contestazioni opposte o le contestazioni non conducono a
modificazioni del progetto e alla successiva ed eventuale approvazione
dei creditori, rimette gli atti al giudice che ha nominato, il quale provvede
alla definitiva formazione del passivo attraverso le regole degli artt. 737
ss. c.p.c. (comma 3).
La procedura di liquidazione del patrimonio, diversamente da
quella fallimentare, non contempla quindi un’udienza di verifica dei
crediti; la fase giudiziale del procedimento contenzioso di accertamento
dello stato passivo è solo eventuale e vi partecipano, ora con l’obbligo di
assistenza tecnica, i creditori e i titolari dei diritti sui beni, il debitore con
pieni poteri allegativi e istruttori, senza che la fase precedente possa
comportare preclusioni.
Il giudice a seguito dell’esame delle domande si pronuncia con
decreto, così come avviene ex art. 96 l. fall., e forma lo stato passivo
definitivo. Il decreto emesso dal giudice, in luogo del rinvio all’art. 10,
comma 6, è reclamabile di fronte al tribunale in sede collegiale e del
collegio non farà parte il giudice che ha emesso il provvedimento; il
129
decreto è soggetto a reclamo e a successivo ricorso straordinario in
cassazione ex art. 111 Cost.148
Come già in precedenza accennato, manca un termine ex lege per
la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, tale
termine è rimesso al liquidatore che lo dovrà fissare garantendo ai
creditori un tempo utile per organizzare le loro difese, quindi non
inferiore ai trenta giorni individuati dall’art. 16, n. 5, l. fall.
Nulla viene detto sulla natura perentoria o meno del termine e la
legge non appresta una disciplina specifica per la proposizione tardiva
della domanda di insinuazione al passivo. Parte della dottrina sostiene che
per garantire il funzionamento della procedura è necessario accordare la
natura di termine perentorio a quello fissato dal liquidatore e ammettere la
proposizione di domande tardive, concedendo così ai creditori ammessi
tardivamente di poter concorrere sulle ripartizioni posteriori alla loro
ammissione in proporzione del loro credito, è comunque fatto salvo il
diritto di percepire le somme loro spettanti nelle ripartizioni precedenti
solo qualora gli ammessi tardivamente siano creditori privilegiati o siano
tardivi per cause loro non imputabili149.
Rimando al Paragrafo che segue l’attività di liquidazione, in senso
proprio, del patrimonio del debitore in stato di sovraindebitamento, nel
caso in cui abbia presentato la domanda di liquidazione, ai sensi dell’art.
14-ter, o ricorrano i presupposti per la conversione delle procedure di
composizione della crisi in liquidazione del patrimonio di cui all’art. 14-
quater. Nello specifico, la trattazione si concentra sulla figura del
148 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 76. 149 R. DONZELLI, op. loc. ult. cit. Di diversa opinione è D. VATTERMOLI, op. cit., p. 792, il quale ritiene che tale termine non possa essere qualificato come perentorio in nessun caso, poiché una simile considerazione comporta che la violazione del suddetto termine determina l’impossibilità del creditore di partecipare ai riparti, dopotutto nelle altre procedure concorsuali la presentazione della domanda tardiva è ammessa pur determinando sul creditore il dispiegarsi degli effetti della tardività.
130
liquidatore analizzando gli elementi di vicinanza tra le attività da lui
svolte e le funzioni attribuite dalla legge fallimentare al curatore.
3.6. Le attività del liquidatore: elementi di confronto con il curatore
fallimentare
Le funzioni che la legge n. 3 del 2012 riconosce al liquidatore
sono rintracciabili negli artt. 14-novies e 14-decies, tra queste si colloca
l’elaborazione di un programma di liquidazione. Tale programma viene in
considerazione come atto del solo liquidatore e non va soggetto a forme
di condivisione coi creditori né col giudice.
Entro trenta giorni dalla formazione dell’inventario (termine
ordinatorio), il liquidatore elabora un programma di liquidazione che deve
comunicare ai creditori e al debitore e deposita in cancelleria (art. 14-
novies, primo comma).
Allo stesso modo l’art. 104-ter l. fall. statuisce che entro sessanta
giorni dalla redazione dell’inventario, il curatore deve predisporre tale
programma da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori.
Nelle due procedure a confronto risultano diversi i termini di
redazione del programma, tuttavia il dies a quo è il medesimo per
entrambe e decorre dal deposito in cancelleria dell’inventario dei beni
oggetto del patrimonio da liquidare.
Il programma di liquidazione altro non è che un documento di
pianificazione e di indirizzo delle attività necessarie per la realizzazione
dell’attivo, che ha un contenuto più ristretto rispetto al corrispettivo
fallimentare, presenta infatti la sola indicazione delle modalità di vendita
dei singoli cespiti e delle azioni da intraprendere per conseguire la
disponibilità dei beni o il recupero dei crediti soggetti alla liquidazione150.
150 A. CECCARINI, L’attività del liquidatore e i controlli del giudice, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 77.
131
Nella determinazione del contenuto il liquidatore deve rispettare
quanto previsto dal primo comma dell’art. 14-novies, cioè la redazione
del programma deve garantire la “ragionevole durata del procedimento”:
non è chiaro che cosa il legislatore intenda con “ragionevole”, in merito
inevitabile è il riferimento agli artt. 14-quinquies, comma 4 e 14-novies,
comma 5 che statuiscono in quattro anni successivi al deposito della
domanda di liquidazione la durata massima della procedura, stabilendo la
cessione di quei crediti di cui non è probabile la riscossione in questo arco
temporale. Inoltre i beni sopravvenuti al patrimonio nei quattro anni
devono essere integrati nel programma di liquidazione, dedotte le
passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi
(art. 14-undecies).
La liquidazione della legge n. 3 del 2012 è molto più libera ed
elastica di quella fallimentare, tuttavia al fine di garantire il buon esito
della procedura nei termini previsti deve necessariamente contenere le
indicazioni dei tempi e delle modalità di liquidazione dei beni, in analogia
con quanto richiesto dall’art. 104-ter, comma 2, lett. c) l. fall., tra cui
sembra corretto far risultare anche le azioni risarcitorie, recuperatorie e
revocatorie.
In sintesi, il programma di liquidazione deve contenere: la
strategia di dismissione del patrimonio, le opportune iniziative giudiziarie
correlate (art. 14-decies), la relativa tempistica, e una forma di piano di
riparto del ricavato sebbene non prevista dal legislatore.
A differenza della procedura fallimentare, il programma di
liquidazione non deve ottenere il placet dei creditori.
Il programma di liquidazione ex art. 14-novies è un atto di
indirizzo, per cui si deve ritenere che durante il corso della procedura il
liquidatore possa, anche su sollecitazione di uno o più creditori, apportare
modifiche: può modificare ad esempio le modalità di vendita, le forme di
pubblicità o la formazione di eventuali lotti.
132
Nonostante l’atto non sia subordinato all’approvazione dei
creditori la dottrina sostiene che sia comunque sottoposto al controllo
giudiziario sotto il profilo della legittimità e della sua conformità ai
principi di ragionevole durata della procedura, nonché di trasparenza,
imparzialità ed efficacia degli atti di liquidazione previsti151. Il potere di
controllo del tribunale si potrebbe evincere sia dalla previsione del
deposito in cancelleria del programma di liquidazione, sia dalla
soggezione degli atti di liquidazione al potere sospensivo del giudice nella
fase attuativa del programma, non potendo escludere l’inibizione da parte
del giudice nell’ipotesi di manifesta illegittimità dell’atto programmatico
nella sua interezza. Il tribunale operando il controllo di legalità sul
programma valuterebbe più in generale l’azione del liquidatore che
potrebbe anche revocare se risultassero carenze particolarmente gravi.
In merito alle operazioni di liquidazione è contemplata la cessione
dei crediti, anche oggetto di contestazioni, dei quali non è probabile
l’incasso nei quattro anni successivi al deposito della domanda. Tale
previsione risponde all’esigenza di contenimento della durata della
procedura e deve intendersi avente valore programmatico e non cogente,
rimettendo infatti alla discrezionalità del legislatore tale scelta.
Circa le modalità delle vendite, l’art. 14-novies, secondo comma,
terzo periodo, detta una disciplina unitaria per le vendite e per gli altri atti
di liquidazione, prescindendo dal tipo di bene da alienare: “le vendite e
gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di
liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive
anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate,
salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti,
assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e
partecipazione degli interessati”.
La disposizione in commento è identica a quella prevista in
materia fallimentare dall’art. 107 l. fall., sostituendo chiaramente la figura
151 A. CECCARINI, op. loc. ult. cit.
133
del liquidatore con quella del curatore, e delinea un procedimento che si
articola nel seguente modo: stima da parte di operatori esperti dei beni
costituenti il patrimonio liquidabile; adozione delle procedure competitive
ed eventuale utilizzo di soggetti specializzati; utilizzo e forme di
pubblicità adeguati alla natura e al valore dei beni da vendere.
Il richiamo alle procedure competitive non determina la necessaria
effettuazione di una gara, essendo sufficiente l’uso di modalità in grado di
coinvolgere la più ampia pluralità di partecipanti. Potrà procedere con
trattative private o con licitazioni o aste. Il liquidatore ha la più ampia
autonomia nell’indicare le modalità di vendita purché garantiscano
proprio la massima informazione e partecipazione degli interessati.
Le stime per la liquidazione dei crediti, beni mobili e immobili,
salvo quelli di modesto valore, devono essere eseguite da operatori esperti
aventi i requisiti di onorabilità e professionalità previsti dal regolamento
del Ministero della giustizia di cui all’art. 107, comma 7, del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Prima del completamento delle operazioni di vendita il liquidatore
deve dare notizia degli esiti della procedura al debitore, a tutti i creditori e
al giudice, il quale esercita un controllo di legalità potendo sospendere le
operazioni di liquidazione quando ricorrano gravi e giustificati motivi.
L’art. 107, comma 3, l. fall. stabilisce che debba essere data
informazione, attraverso notificazione ad opera del curatore, ai soli
creditori muniti di privilegio e a ciascun creditore ipotecario in merito ai
beni immobili e agli altri beni iscritti nei pubblici registri, prima del
completamento delle operazioni di vendita. La stessa disciplina
fallimentare prevede che debba essere informato degli esiti delle
procedure il giudice delegato e il comitato dei creditori, depositando in
cancelleria la relativa documentazione.
L’art. 108, comma 1, legge fallimentare prevede che il giudice
delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, su istanza
del comitato stesso o di altro interessato, quando ricorrono gravi e
134
giustificati motivi, può sospendere le operazioni di vendita con decreto
motivato ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci
giorni dal deposito, può impedire il perfezionamento della vendita quando
il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto
delle condizioni di mercato.
Nella procedura di liquidazione ex art. 14-novies, comma 2,
invece, il liquidatore può sospendere gli atti di esecuzione del programma
di liquidazione solo per giustificati e gravi motivi attraverso decreto
motivato. I motivi in questione possono riguardare sia la regolarità della
procedura di vendita sia l’ammontare del prezzo offerto. Il potere
sospensivo del giudice non è condizionato all’istanza di parte, tuttavia si
considera ovvio che tali soggetti possano quantomeno dare impulso al
provvedimento del giudice.
Diversamente dal curatore fallimentare, il liquidatore non può
sospendere il perfezionamento della vendita come previsto dall’art. 108 l.
fall., né sospendere la vendita quando riceva un’offerta irrevocabile di
acquisto migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo
offerto. Tuttavia si deve riconoscere al giudice della liquidazione,
nell’ambito del controllo di legittimità sullo svolgimento della procedura,
il potere di inibire la stipula di atti di vendita a prezzo vile che possano
frustrare l’interesse dei creditori e le stesse finalità della procedura152.
Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti
dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo delle
somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e
delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro
vincolo compresa anche la trascrizione del decreto ex art. 14-quinquies,
comma 1, e dichiara la cessazione di ogni altra forma di pubblicità
disposta (art. 14-novies, comma 3).
La procedura di liquidazione necessita di un provvedimento di
chiusura emesso con decreto dal giudice non prima di quattro anni dal
152 A. CECCARINI, op. ult. cit., p. 80.
135
deposito della domanda e solo a seguito della completa esecuzione del
programma. È possibile anticipare che solo entro un anno dalla data del
decreto decorre il termine per la proposizione del ricorso per
esdebitazione. Dalla pronuncia del decreto riprende il corso degli interessi
sui crediti chirografari non soddisfatti. Dallo stesso momento il debitore
recupera la titolarità e l’esercizio dei poteri di amministrazione e
disposizione del suo intero patrimonio.
La legge attribuisce al liquidatore poteri-doveri che, nello
specifico, sottrae al debitore: il potere di amministrare i beni che
compongono il patrimonio da liquidare; il potere di esercitare le azioni
volte al recupero dei crediti compresi nel patrimonio da liquidare ex art.
14-decies; il potere di acquisire i beni e i crediti sopravvenuti nei quattro
anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, al netto delle
passività ex art. 14-undecies.
Deriva in capo al liquidatore un potere particolarmente ampio,
funzionale alla liquidazione, il liquidatore può compiere tutte le azioni
recuperatorie, di rilascio, ripristino o liberazione dei beni, nonché quelle
volte all’incremento del patrimonio attraverso l’acquisizione di beni
spettanti al debitore.
Il liquidatore in luogo dell’art. 14-decies ha la legittimazione
attiva nelle azioni finalizzate a conseguire la disponibilità dei beni da
liquidare, purché correlate alla funzione di amministrazione del
patrimonio da liquidare e può esercitare altresì le azioni volte al recupero
dei crediti compresi nella liquidazione.
Tale legittimazione è esclusiva e va a sostituire quella del
debitore, tuttavia si ritiene che la legittimazione sussiste in riferimento
alle cause ex novo, mentre rispetto a quelle in corso la legittimazione
spetta al debitore, mancando l’effetto interruttivo del processo di cui
all’art. 43 l. fall153.
153 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2072.
136
La norma contempla la sola legittimazione attiva, ma si deve
ritenere che la norma attribuisca implicitamente anche la legittimazione
passiva al liquidatore.
Per le sole esecuzioni in corso, probabilmente a carico del
debitore, l’art. 14-novies, comma 2, prevede che il liquidatore subentri:
non è chiaro se tale possibilità debba essere autorizzata dal giudice o
rappresenti piuttosto un’opzione del liquidatore.
Un’analoga disciplina è dettata anche dall’art. 107, comma 6 l.
fall. e in merito al dubbio relativo alla natura di tale sostituzione parte
della dottrina richiama gli orientamenti giurisprudenziali per evidenziare
la natura non obbligatoria, né automatica di tale sostituzione, confermata
dal fatto che nel caso in cui il curatore non si sostituisca al debitore
l’improcedibilità dell’esecuzione potrà essere dichiarata giudizialmente
solo a seguito dell’istanza del solo curatore.154 Se il curatore non rileva
l’improcedibilità, la disciplina fallimentare non impedisce al creditore di
portare a termine l’esecuzione, e il curatore potrà comunque convenire in
giudizio il creditore per accertare l’inefficacia nei confronti della massa
creditoria del pagamento coattivo.
Tra le azioni che il liquidatore potrà esercitare si colloca
chiaramente la revocatoria ordinaria ex art. 2901, si rimanda al Paragrafo
3.4. l’individuazione delle caratteristiche dell’esercizio della suddetta
azione nell’ambito della procedura di liquidazione di cui alla l. n. 3/2012.
3.7. Il patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela
Nel patrimonio attivo del debitore sovraindebitato fanno parte tutti
i beni e i diritti del debitore, compresi gli accessori, pertinenze e frutti
prodotti dai beni dello stesso (art. 14-novies, secondo comma).
Non fanno parte del patrimonio: i crediti impignorabili ai sensi
dell’art. 545 c.p.c.; i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento,
154L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., p. 279.
137
gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la propria
attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua
famiglia indicati dal giudice; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui
beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo
quanto disposto dall’art. 170 c.c.; le cose che non possono essere
pignorate per disposizione di legge.
La disciplina codicistica impone al debitore di rispondere alle
proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’art. 2740 c.c.
non conosce il limite temporale dell’art. 14-undecies in base al quale i
beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di
liquidazione di cui alla l. n. 3 del 2012 vanno a far parte del patrimonio
liquidabile e deve essere integrato l’inventario e il programma di
liquidazione con l’annotazione degli stessi.
Tali beni sopravvenuti entrano a far parte del patrimonio attivo
dedotte le passività per l’acquisto e la conservazione.
L’art. 42, comma 2, l. fall. è assolutamente conforme all’art. 2740
c.c. poiché non prevede alcun limite temporale all’acquisizione al
fallimento dei beni sopravvenuti, prevedendo che tutti i beni che
pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività, sono
compresi nella massa attiva. Il comma successivo riconosce al curatore la
possibilità, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di rinunciare
all’acquisizione dei beni sopravvenuti, quando ritenga che i costi da
sostenere per l’acquisto e la conservazione siano superiori al valore di
realizzo degli stessi.
Le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni
nella procedura in commento, così come nella procedura fallimentare,
sono trattate alla stregua di crediti sorti in occasione e in funzione della
liquidazione per cui soggetti al relativo regime di cui all’art. 14-
duodecies, comma 2.
L’incremento patrimoniale nella disciplina di cui agli artt. 14-ter
ss. non è rimesso ad una scelta del liquidatore, ma rappresenta un
138
automatismo legislativo: i beni sopravvenuti per espressa previsione
dell’art. 14-undecies sono oggetto della domanda di liquidazione che ha
introdotto la procedura, è ovvio che siamo di fronte ad una fictio iuris, la
volontà del legislatore è quella di acquisire automaticamente tali beni al
patrimonio del debitore.
A fronte dell’automatismo legislativo con cui tali beni vengono
acquisiti al patrimonio da liquidare, ci si chiede se possa operare anche
nella procedura in commento una disposizione quale quella del terzo
comma dell’art. 42 l. fall. Quello che si vuole capire è se il liquidatore ha
un margine di azione per evitare l’acquisizione di un bene i cui costi sono
maggiori rispetto all’ipotetico valore di liquidazione.
La soluzione più ragionevole accorda tale facoltà al liquidatore,
tuttavia si ritiene indispensabile il consenso dell’intera massa creditoria,
dopotutto nella disciplina fallimentare la rinuncia del curatore
all’acquisizione del bene alla massa attiva è subordinata
all’autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre l’atto di rinuncia del
liquidatore altro non è che un atto dispositivo del patrimonio da liquidare,
per cui pare non essere possibile prescindere dal consenso dei creditori.
In merito al titolo di ingresso dei beni sopravvenuti nel patrimonio
da liquidare, sembra che esso possa essere solo quello negoziale, inter
vivos o mortis causa155; le azioni giudiziarie si rivolgono solo ai beni che
già fanno parte del patrimonio del debitore e questa limitazione è
concepibile in luogo della incerta durata dei procedimenti civili.
La rubrica dell’art. 14-undecies fa riferimento anche ai crediti
sopravvenuti, ma la trattazione dell’articolo manca della relativa
regolamentazione. Anche i crediti sopravvenuti costituiscono componenti
del patrimonio del debitore. Appare ragionevole ritenere che siamo di
fronte ad una mera omissione materiale nella redazione del testo
normativo, in quanto i crediti sopravvenuti sono menzionati nella rubrica 155 G. DI MARZIO, L’estensione e la tutela del patrimonio oggetto di liquidazione nella novella legislativa, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 82.
139
dell’articolo, per cui è conforme ad un’interpretazione teleologica
l’estensione della disciplina prevista per i beni sopravvenuti anche ai
crediti156.
La tutela legale del patrimonio da liquidare è offerta dagli artt. 14-
quinquies, comma 2, lett. b) e 14-duodecies, commi 1 e 2, l. n. 3 del 2012,
affinché sia evitata la sua aggressione e leso il principio della par
condicio creditorum.
Sulla base della prima delle norme richiamate, il decreto di
apertura deve disporre che creditori aventi titolo o causa anteriore al
decreto stesso non possono iniziare o proseguire azioni individuali
cautelari o esecutive, né acquistare diritti di prelazione sul patrimonio
oggetto della liquidazione, fino alla data in cui il provvedimento di
omologazione è definitivo. In merito al riferimento al decreto di omologa,
come già detto in precedenza, esso rappresenta un errore del legislatore
che intendeva riferirsi piuttosto al decreto di chiusura della procedura di
liquidazione.
I creditori con causa o titolo posteriore alla data di esecuzione
della pubblicità del decreto di apertura non possono procedere
esecutivamente sui beni oggetto del patrimonio da liquidare (art. 14-
duodecies, comma 1). È prevista un’analoga disposizione in ambito di
accordi (art. 12, comma 3) e di piano del consumatore (art. 12-ter, comma
2) omologati dal tribunale.
Restano consentite ai creditori con causa o titolo posteriore le
azioni di accertamento o cautelari, oltre alla possibilità di ricevere
pagamenti o adempimenti spontanei, questo è quanto sembra risultare dal
dato testuale della disposizione.
In realtà le azioni cautelari e l’acquisto di diritti di prelazione ad
opera dei creditori posteriori sono preclusi in luogo del combinato
disposto dell’art. 14-quinquies, comma 3, e dell’art. 2915, comma 1, c.c.:
l’art. 14-quinquies al terzo comma paragona il decreto di apertura della
156 G. DI MARZIO, op. lo. ult. cit.
140
procedura a un atto di pignoramento, la previsione generale dell’art. 2915
c.c. determina l’inefficacia degli atti che importino dei vincoli di
indisponibilità pubblicizzati dopo la trascrizione dell’atto esecutivo,
determinando così la superfluità del divieto di cui all’art. 14-duodecies,
comma 1.
Tuttavia il primo comma dell’art. 14-duodecies ha una ragione di
esistenza, rintracciabile nel fatto che non tutte le procedure esecutive
contemplano la costituzione di un vincolo di indisponibilità (ad esempio
le procedure di esecuzione per consegna o rilascio, o di esecuzione di
obblighi di fare e non fare), in questi casi l’art. 2915 è inapplicabile e
trova operatività il primo comma dell’art. 14-duodecies, comma 1.
Il secondo comma dell’art. 14-duodecies in riferimento ai crediti
sorti in occasione o funzione della procedura di liquidazione stabilisce
che debbano essere soddisfatti con preferenze rispetto agli altri, con
esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno
e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Un’analoga
disposizione ricorre anche per gli accordi e il piano del consumatore (art.
13, comma 4-bis). Il riferimento è ai “creditori della procedura”, termine
che ricomprende sia i creditori della liquidazione concorsuale sia quelli
delle procedure compositive ex art. 7 l. n. 3 del 2012, titolari dunque di un
credito prededucibile.
3.8. La disciplina mancante: la ripartizione dell’attivo
Il legislatore nella costruzione della procedura di liquidazione ex
artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012 ha omesso di disciplinare la fase di ripartizione
dell’attivo. La procedura non può spogliarsi di tale fase in quanto essa ha
natura esecutivo satisfattiva, dovendo i creditori concorrenti essere
soddisfatti all’interno della stessa. La regolamentazione del riparto, anche
141
se mancante, costituisce un atto comunque necessario e sostanzialmente
conclusivo della procedura157.
La liquidazione del patrimonio, infatti, ha forma e sostanza di
esecuzione forzata collettiva volta al soddisfacimento dei crediti mediante
conversione in denaro e ripartizione del patrimonio del comune debitore
nel rispetto della par condicio creditorum.
Nel testo della legge n. 3 del 2012 manca, nello specifico,
l’indicazione sia dei criteri da adottare per la distribuzione delle somme
ricavate in luogo della liquidazione, sia i meccanismi da seguire per la
ripartizione concreta dell’attivo.
In merito ai criteri da utilizzare per la distribuzione delle somme
ricavate, il vuoto legislativo può essere facilmente colmato facendo
appello alla natura concorsuale della liquidazione.
L’apertura del concorso fra creditori impone il rispetto della par
condicio creditorum che costituisce un meccanismo per la distribuzione
di un patrimonio incapiente tra più aventi diritto sul patrimonio del
debitore.
Sarà applicato l’art. 2741 c.c. il quale riconosce a tutti i creditori
del debitore l’eguale diritto ad essere soddisfatti sui suoi beni, salve le
cause legittime di prelazione (privilegio, pegno, ipoteca). Ogni credito
sarà soddisfatto seguendo l’ordine dei privilegi stabilito dalla legge, sono
sottratti al concorso in quanto debiti della massa.
Sottratti alle suddette logiche sono anche i crediti prededucibili,
sorti in occasione o in funzione della procedura ex art. 14-duodecies,
comma 2, sono crediti della procedura e sono assistiti dal diritto di essere
soddisfatti con preferenza rispetto agli altri. Tali crediti, ad esempio, sono
il compenso del liquidatore e dei soggetti che a vario titolo hanno
partecipato alle operazioni di vendita, i crediti derivanti dagli atti
157 F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 14.
142
legittimamente compiuti dal liquidatore durante l’esercizio del suo
incarico.
I creditori aventi titolo o causa posteriore alla pubblicità del
decreto di apertura non essendo creditori concorsuali non sono neanche
creditori concorrenti, per cui non partecipano alla ripartizione dell’attivo.
Il legislatore ha taciuto anche in riferimento ai meccanismi che
debbano essere utilizzati ai fini della ripartizione dell’attivo, tale
mancanza è molto più grave, essendo più difficile da affrontare.
Sembra sulla base del dato testuale che a eseguire le ripartizioni
sia il liquidatore, ma nulla è detto in riferimento alla possibilità di
eseguire ripartizioni parziali o se piuttosto si debba attendere la
liquidazione di tutto il patrimonio e procedere ad un unico riparto finale.
Nel fallimento il piano di riparto è disciplinato dall’art. 110 l. fall.
e il curatore ha l’obbligo di riparto parziale, ogni quattro mesi, delle
somme riscosse. Questo obbligo non impone al curatore di dover ripartire
tutto ciò che ha ricavato, infatti il legislatore prevede accantonamenti.
Non è chiaro se sia necessario nella legge n. 3 del 2012, come
sembra preferibile, un vero e proprio piano di riparto, che il giudice deve
rendere esecutivo, o se sia, invece, sufficiente una mero atto di
assegnazione158.
Non è altresì chiaro quale sia il criterio che il liquidatore deve
seguire per procedere agli accantonamenti, sia per la copertura delle spese
di procedura, sia per preservare la posizione dei titolari di crediti
contestati o sottoposti a condizione.
Sembra corretto ritenere che il liquidatore prima dell’ultimo
riparto debba presentare il rendiconto della gestione.
La disciplina sulla chiusura della procedura è decisamente scarna,
prevedendo che il giudice dichiari con decreto la chiusura della
liquidazione solo dopo aver accertato la completa esecuzione del
158 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 797.
143
programma di liquidazione e comunque non prima del decorso del
termine di quattro anni.
Molti sono gli interrogativi che a fronte di una disciplina ben poco
dettagliata emergono: la procedura va avanti anche in caso di completo
soddisfacimento di tutti i creditori? Perché mai si dovrebbe comunque
attendere quattro anni? Se tale durata è funzionale per l’accesso delle
persone fisiche all’esdebitazione, perché mai dovrebbe prevedersi tale
durata anche nel caso delle persone non fisiche?
Parte della dottrina cerca di superare queste criticità ritenendo che
la chiusura anticipata della procedura abbia luogo: per la mancata
presentazione, nei termini segnalati dal liquidatore, delle domande di
ammissione al passivo; per l’estinzione in qualunque modo e in
qualunque momento durante la procedura, anche prima della completa
esecuzione del programma, dei crediti ammessi159.
Lo stesso orientamento non ritiene invece di poter applicare in via
analogica quanto disposto dall’art. 118 l. fall. che disciplina la chiusura
della procedura in caso di insufficienza dell’attivo.
La disciplina della liquidazione culmina con la regolamentazione
del beneficio dell’esdebitazione, che la legge n. 3 del 2012 nell’ambito
della procedura di liquidazione riconosce ai soli soggetti persone fisiche
in stato di sovraindebitamento passivo; nelle ipotesi di accordo del
debitore e di piano del consumatore l’effetto esdebitatorio è invece
assicurato in ogni caso in luogo del consenso prestato dalla maggioranza
dei creditori e dall’efficacia generale della procedura nei confronti di tutti
i creditori, come espressamente previsto dalla stessa Relazione illustrativa
del decreto Crescita-bis.
159 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 798.
144
3.9. L’eventuale esdebitazione: requisiti strutturali e procedurali
Il beneficio dell’esdebitazione disciplinato dall’art. 14-terdecies
consegue alla procedura di liquidazione dei beni ed è ad appannaggio del
solo debitore persona fisica che soddisfi i requisiti di meritevolezza
richiesti dal primo comma.
Nel fallimento una volta intervenuto il decreto di chiusura il
debitore rimane obbligato nei confronti dei creditori non interamente
soddisfatti dalla procedura, i quali riacquistano la facoltà di proporre
azioni esecutive individuali nei suoi confronti.
La funzione dell’esdebitazione ex art. 14-terdecies è quella di
consentire al debitore non fallibile all’esito della liquidazione di
affrancarsi da tali debiti.
Allo stesso modo, anche nella procedura fallimentare ex art. 142 l.
fall. l’esdebitazione conduce, attraverso il relativo provvedimento emesso
dal giudice, all’inesigibilità dei crediti che residuano nei confronti dei
creditori concorsuali non soddisfatti.
L’esdebitazione costituisce un meccanismo derogatorio alla
responsabilità patrimoniale personale di cui all’art. 2740 c.c., in base alla
quale il debitore risponde nei confronti delle obbligazioni assunte con
tutti i suoi beni presenti e futuri.
Sia nel fallimento che nella legge n. 3 del 2012, l’esdebitazione
non è un passaggio procedurale necessario che consegue alla scelta del
debitore di liquidare il suo patrimonio, ma devono essere presenti,
affinché il debitore fruisca di tale beneficio, le condizioni che integrano la
correttezza del comportamento del proponente.
La disciplina della novella mira a porre rimedio al
sovraindebitamento passivo o incolpevole, derivante da fattori traumatici
o congiunturali, imprevedibili e indipendenti dalla volontà del debitore
stesso, che hanno ridotto le fonti di reddito e determinato a livello
145
macroeconomico la contrazione della produzione industriale coi i
conseguenti effetti recessivi sulla crescita e l’occupazione160.
Dopotutto, come già evidenziato in precedenza, la grande novità
della riforma non è la previsione di una procedura ad hoc per il
consumatore, attraverso la possibilità di presentare una proposta di piano
del consumatore, ma, piuttosto, l’introduzione di una disciplina specifica
per il sovraindebitamento passivo a cui viene abbinato un giudizio sulla
condotta diligente del debitore161: in questa logica è stata costruita
l’articolazione del piano del consumatore e l’articolazione della disciplina
dell’esdebitazione.
L’esdebitazione si presta alla critica di spostare sensibilmente il
rischio dell’insolvenza sul creditore, tuttavia favorisce il fresh start e il
riacquisto per il debitore di un ruolo attivo nell’economia, senza restare
schiacciato dai debiti pregressi 162 . Un ulteriore vantaggio che
l’esdebitazione produce è quello di stimolare il debitore a essere
collaborativo nella liquidazione dell’attivo, essendo necessaria proprio
una sua collaborazione attiva perché sia ammesso al beneficio. Dall’altra
parte, il rischio dell’esdebitazione può indurre il creditore a ridurre
l’offerta di credito o ad alzare il costo del denaro, e può spingere i
prenditori di credito a comportamenti poco cauti e virtuosi.
Il carattere della non automaticità del beneficio, sia nel fallimento
che nella legge n. 3 del 2012, rappresenta il bilanciamento tra i
sopramenzionati, anche se solo accennati, costi e benefici
dell’esdebitazione.
È necessario specificare che il nostro ordinamento conosce
l’istituto dell’esdebitazione in ambito fallimentare (art. 142 l. fall.) solo in
tempi recenti, esso è il frutto dell’intervento del legislatore nel 2006 con il
Decreto legislativo n. 5, il quale ha allineato l’ordinamento italiano alle
160 L. A. BOTTAI, op. cit., p. 2. In merito alle cause del sovraindebitamento passivo si rinvia al Paragrafo 1.2. 161 E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 228. 162 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2075.
146
tradizioni giuridiche oltre confine, e nello specifico al diritto americano,
dove nel Bankrupcty Code è presente la Discharge che consente al
debitore un fresh start, un nuovo inizio163.
Il d.l. n. 179 del 2012, che ha apportato modifiche alla legge n. 3
del 2012, ha esteso anche ai debitori non fallibili la sfera applicativa della
discharge, che a partire dalla sua introduzione nell’ordinamento italiano
era legata esclusivamente al concorso fallimentare.
L’esclusione del debitore civile era stata motivata, come già
anticipato nel Paragrafo 1.1., dalla Corte Costituzionale nella natura
dell’attività da essi esercitata, “giacché lo svolgere attività commerciale
organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa
da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale
l’aver limitato alla prima la disciplina, né sono arbitrari i motivi di tale
limitazione”164.
L’individuazione a fronte di una situazione di crisi di diversi
strumenti riconosciuti all’imprenditore commerciale rispetto al debitore
civile, secondo la Corte, dipende dagli effetti pregiudizievoli che sono
prodotti dall’insolvenza civile rispetto all’insolvenza commerciale, nel
senso che tali effetti nel primo caso si rivolgono esclusivamente ai singoli
rapporti obbligatori intrattenuti dal debitore, mentre il dissesto
commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale: il
pregiudizio coinvolge il ceto dei creditori, il sistema creditizio e il
fondamento della vita del commercio165.
“L’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore e
dell'insolvente civile si basa su una valutazione di politica economica-
sociale e di opportunità giuridica” 166 , tale esclusione sembrerebbe
proporzionale rispetto al grado di allarme sociale generato dal fenomeno
163 In riferimento alla specifica figura del debitore civile, per un’analisi esaustiva delle regole che governano la discharge nell’ordinamento statunitense, v. G. R. ELGUETA, L’esdebitazione del debitore civile: una rilettura del rapporto civil law-common law, in Banca Borsa, 2012, p. 311 ss. 164 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it 165 Corte Cost. 23 marzo 1970, n. 43 v. SPAGNUOLO, op. cit., p. 445. 166 Corte Cost. 16 giugno 1970, n.94, in cortecostituzionale.it
147
della crisi, per cui le procedure concorsuali si rivolgono alle sole imprese
di non modeste dimensioni per le ripercussioni che un loro dissesto può
produrre nell’economia generale, un’esigenza non ravvisabile negli altri
casi167.
L’imprenditore escluso dal fallimento e dalla possibilità di accesso
all’esdebitazione ex art. 142 l. fall. era soggetto alla sola responsabilità
perpetua di cui all’art. 2740 c.c.
Uno dei motivi per cui il debitore civile, e nello specifico il
consumatore, è estromesso dalla possibilità di liberarsi delle obbligazioni
non soddisfatte è rintracciabile nel fatto che le persone fisiche hanno un
impiego del denaro più libero e gli eventi che causano l’insolvenza
possono avere diversa natura ed essere al di fuori della sfera di controllo
del creditore o dello stesso debitore168.
La legge n. 3 del 2012, nella sua versione originaria, non
presentava nulla che rassomigliasse a un’esdebitazione169.
Il d.l. n. 179 del 2012 interviene sulla legge apportando consistenti
modifiche, articolando in ben tre procedure la composizione della crisi e
prevedendo per la liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss.
l’eventuale possibilità di esdebitazione.
Il beneficio dell’esdebitazione è eventuale e rappresenta una fase
accessoria della procedura di liquidazione, l’intera disciplina in
commento è rimessa all’art. 14-terdecies, scomponibile in due parti: la
prima, circoscrivibile ai tre commi iniziali, delinea gli aspetti sostanziali
dell’istituto, indica i presupposti di inclusione e di esclusione dal
beneficio, nonché i crediti comunque esigibili e di conseguenza traccia il
cerchio di indagine giudiziale di merito a cui l’istante si sottopone con la
richiesta di esdebitazione; la seconda parte, quarto e quinto comma,
167D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 565 . 168 B. PENAS MOYANO-D. PORRINI, op. cit., p. 21. 169G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo d’insieme, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 8.
148
descrive i profili procedurali del sub-procedimento di esdebitazione e
riconosce carattere non definitivo al relativo provvedimento,
prevedendone la revocabilità.
Il primo comma elenca dalla lett. a) alla lett. f) le condizioni di
meritevolezza che devono necessariamente sussistere perché il debitore
persona fisica, unico ammesso al beneficio in commento, possa accedere
all’esdebitazione.
Con debitore persona fisica si fa riferimento non soltanto al
consumatore, ma a tutti i soggetti a cui è applicabile la composizione
della crisi da sovraindebitamento, tra cui l’imprenditore agricolo purché
sia un imprenditore individuale. Anche nel fallimento è richiesta la
qualità di debitore persona fisica, tale aspetto non è richiesto invece né
per il concordato preventivo né per gli accordi di ristrutturazione. Quello
che è possibile cogliere è che nel caso specifico dell’impresa agricola
l’effetto esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori potrà essere
raggiunto solo con gli accordi di cui all’art. 7 della legge n. 3 del 2012,
prevedendo la disciplina degli accordi ex art. 182-bis l. fall. l’integrale
pagamento dei creditori non aderenti. Nel caso di imprenditore agricolo,
persona fisica, in stato di sovraindebitamento passivo, l’esdebitazione
potrà essere raggiunta anche con lo strumento dell’art. 14-terdecies.
Ricorre anche nell’ambito delle procedure di cui alla legge n. 3 del
2012, così come nel fallimento, il dubbio sulla posizione dei soci
illimitatamente responsabili, se si ritiene, come parte della dottrina
sostiene, che possano accedere alla composizione della crisi da
sovraindebitamento si ritiene di conseguenza anche, purché siano soci
persone fisiche e ricorrano le condizioni richieste, che possano essere
ammessi al beneficio dell’esdebitazione170.
In merito ai requisiti di meritevolezza, il debitore, sub a), deve
essere stato di ausilio alla procedura, garantendo un regolare ed efficace
svolgimento della liquidazione, fornendo tutte le informazioni e la
170 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 799.
149
documentazione utile, nonché adoperandosi per il proficuo svolgimento
delle operazioni. Le informazioni e la documentazione da assicurare
risultano dal combinato disposto dell’art. 14-ter, comma 2, e dell’art. 9,
commi 2 e 3: sono costituiti dalla lista dei creditori e delle somme dovute,
dall’inventario dei beni liquidabili o da una compiuta descrizione degli
stessi, dall’elencazione degli eventuali atti dispositivi compiuti nei cinque
anni precedenti e dalla documentazione contabile.
La condotta collaborativa del debitore è richiesta per l’ammissione
all’esdebitazione anche dalla legge fallimentare (art. 142, comma 1, lett.
a) l. fall.); nella procedura ex art. 14-terdecies però deve dimostrare che la
sua condotta è anche propositiva: sub e) il proponente di aver contribuito
nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione a
incrementare il suo reddito attraverso un’attività produttiva o, in ogni
caso, deve aver cercato occupazione e non aver rifiutato, senza
giustificato motivo, proposte di impiego171. Non è sufficiente il deposito
della domanda, né la collaborazione con gli organi della procedura, ma il
debitore deve prodigarsi assumendo iniziative utili a incrementare la sua
liquidità per assicurare maggiore soddisfazione ai creditori.
Rientrano nella mera collaborazione i requisiti sub b) e sub c) per
cui il debitore non deve aver ritardato o contribuito a ritardare in
qualunque modo lo svolgimento della procedura e non deve aver
beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti (termine più
breve rispetto ai dieci anni previsti dall’art. 142, comma 1, n. 2, l. fall.). In
merito a quest’ultimo aspetto è lecito ritenere che non costituisce
impedimento la presentazione e la successiva non ammissione della
domanda di accordo o di piano o di liquidazione.
L’accesso è precluso al debitore che sia stato condannato, con
sentenza passata in giudicato, per uno dei reati di cui all’art. 16 (sub d));
l’art. 142, comma 1, n. 5, l. fall. impedisce l’ammissione all’esdebitazione
in caso di condanna per bancarotta fraudolenta o per delitti contro 171 M. G. SIRNA, L’esdebitazione, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 86.
150
l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in
connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa. Diversamente dalla
disciplina fallimentare, la legge n. 3/2012 non prevede la sospensione
della procedura in caso di giudizio penale in corso.
Tra le condizioni necessarie per la fruizione dell’esdebitazione si
colloca la previsione sub f) che richiede che siano stati soddisfatti, almeno
in parte, i creditori con titolo o causa anteriore al decreto di apertura della
liquidazione.
La stessa condizione ostativa ricorre nella legge fallimentare e in
merito sono intervenute le Sezioni unite della Corte di Cassazione che
hanno offerto così una lettura costituzionalmente orientata: la
giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che la previsione in commento
sarebbe eccessivamente severa e penalizzante se richiedesse un riparto,
anche se irrisorio, di tutti i creditori; è da ritenere che sia sufficiente un
riparto, anche a un solo creditore, perché sia soddisfatta la previsione172.
Le ss. uu. rilevano la sussistenza di un’obbligazione di mezzi, e non di
risultato, che si manifesta nell’aver cooperato nella procedura senza
ostacolarla. L’esdebitazione sarà concessa se il debitore ha soddisfatto
una parte ragionevole dei crediti complessivi, a prescindere dall’ipotesi
che vi siano creditori chirografari che non hanno ricevuto alcunché.
La dottrina ritiene applicabile tale principio anche
all’esdebitazione ex art. 14-terdecies, il beneficio risulta così essere
concesso a seguito di una valutazione fortemente discrezionale del
giudice, considerata sia l’intrinseca opinabilità intorno ai presupposti
richiesti (della collaborazione, del ricorso colposo al credito ecc.), sia
l’assenza di una soglia minima ex lege di soddisfazione dei creditori
concorrenti; a suggellare quanto appena detto si colloca la mancanza di
un obbligo di motivazione del provvedimento di esdebitazione173.
172 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18 novembre 2011, n. 24215, in Fallimento, 2012, p. 283. 173 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2076.
151
Ai sensi del secondo comma dell’art. 14-terdecies, con qualche
ridondanza174, l’esdebitazione è esclusa quando il sovraindebitamento del
debitore è imputabile a un ricorso al credito colposo e sproporzionato
rispetto alle sue capacità patrimoniali o quando il debitore nei cinque anni
precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto
in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del
proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo
di favorire alcuni creditori a danno di altri, simili condotte manifestano la
volontà di violare la par condicio creditorum.
Una disciplina di casi di esclusione, come quelli appena
richiamati, non è prevista in sede fallimentare, tuttavia il ricorso abusivo
al credito è condizione di non ammissibilità e la garanzia della par
condicio creditorum è assicurata dal ricorso alla revocatoria fallimentare.
Oltre alle ipotesi menzionate dal secondo comma, la legge n. 3 del
2012 presenta un ulteriore ipotesi di esclusione dal beneficio
dell’esdebitazione: il riferimento è alla conversione della procedura di
composizione della crisi da sovraindebitamento in liquidazione quando la
conversione interviene nel caso in cui il debitore, ex art. 14-bis, comma 1,
abbia aumentato o diminuito il passivo o dissimulato l’attivo, con colpa
grave o dolo, ovvero abbia dolosamente simulato attività inesistente.
Queste condotte sono sintomatiche di un comportamento non incline alla
leale cooperazione.
L’esdebitazione non opera nei confronti dei debiti alimentari e
degli obblighi di mantenimento, dei debiti di fonte extracontrattuale e
delle sanzioni penali ed amministrative che non siano accessorie ai debiti
estinti. Queste ipotesi di esclusione corrispondono a quelle di cui al terzo
comma dell’art. 142 l. fall.
Gli effetti del beneficio non riguardano nemmeno i debiti fiscali,
che pur avendo causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione,
sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta 174 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012 n. 179, cit., p. 27.
152
conoscenza di nuovi elementi (art. 14-terdecies, comma 3, lett. c)).
Questa disposizione non è presente in ambito fallimentare e, come è stato
rilevato dalla dottrina, essa concede un trattamento di favore ingiustificato
per i crediti tributari accertati dopo l’apertura della procedura di
liquidazione, poiché “si prescinde del tutto dalla verifica dell’esistenza di
un effettivo pregiudizio per il Fisco e quindi dalla capienza dell’attivo
della liquidazione, oltre che dall’accertamento di un apporto causale del
debitore al tardivo accertamento”175.
Sui profili afferenti alla procedura l’art. 14-terdecies, comma 4,
prevede che a richiedere la liberazione dai debiti residui è il debitore
mediante ricorso al tribunale entro un anno dal decreto di chiusura della
procedura di liquidazione.
Il tribunale se sussistono i requisiti, con decreto, dichiara, in
camera di consiglio, previa audizione dei creditori non integralmente
soddisfatti, l’inesigibilità dei crediti residui; il provvedimento è
reclamabile al tribunale in sede collegiale secondo le disposizioni di cui
agli artt. 737 ss. c.p.c. La legittimazione al reclamo deve essere
riconosciuta anche al debitore in caso di diniego.
L’effetto che il provvedimento di esdebitazione produce è
l’inesigibilità dei crediti che residuano dopo il decreto di chiusura della
liquidazione: non si verifica l’estinzione dell’obbligazione, né la
novazione dell’obbligazione originaria.
Diversamente dalla legge fallimentare, il provvedimento di
esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies è revocabile in ogni momento, su
istanza dei creditori, quando il debitore, nei cinque anni precedenti
l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, abbia posto in essere
atti in frode ai creditori, o pagamenti o altri atti dispositivi del proprio
patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di
favorire alcuni creditori a danno di altri. È revocabile altresì nelle ipotesi
in cui abbia dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il
175 L. PANZANI, op. ult. cit., p. 28.
153
passivo, ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante di attivo o
simulato attività inesistenti.
La previsione di una esdebitazione revocabile bilancia il sacrificio
che può essere sopportato dai creditori non integralmente soddisfatti,
l’obiettivo è la protezione del sistema normativo e delle relative finalità,
si vuole così rimediare alla concessione di benefici immeritati.
Nella disciplina relativa alla procedura di esdebitazione emerge in
particolar modo l’urgenza che ha motivato il d.l. n. 179 del 2012, la
versione vigente della legge è espressione dell’interventismo del governo
tecnico. Se si giustifica la scarna regolamentazione procedurale con
l’esigenza di semplificare il più possibile, emerge una disciplina a dir
poco lacunosa: non viene specificato chi e attraverso quali mezzi
dovrebbe portare a conoscenza dei creditori concorsuali non
integralmente soddisfatti il ricorso presentato dal debitore: si tratta di
vuoti normativi che il debitore avrebbe potuto evitare ispirandosi
liberamente alla procedura delineata dall’art. 143 l. fall. che assicura il
coinvolgimento dei creditori nel procedimento di esdebitazione, tale
disposizione fallimentare è stata modificata in questo senso proprio dallo
stesso d.l. n. 179/2012 a seguito della pronuncia della Corte
Costituzionale n. 181/2008176.
L’art. 142, ult. comma, l. fall. fa espressamente salvi i diritti dei
creditori nei confronti del coobbligato, garante e fideiussore, allo stesso
modo un’identica salvezza configura nell’accordo del debitore (art. 11,
comma 3, l. n. 3/2012) e nel piano del consumatore (art. art. 12-ter,
comma 3).
Questa previsione manca, invece, nell’art. 14-terdecies, tuttavia
parte della dottrina la ritiene comunque operante 177 . Altra dottrina
autorevole sostiene come la previsione della salvezza dei diritti dei
176 D. VATTERMOLI, op. cit., 802; Corte Cost, 30 maggio 2008, n. 181, in cortecostituzionale.it. Cfr. art. 143 l. fall., comma 1, ultimo periodo “Il ricorso e il decreto del tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori a mezzo posta elettronica certificata”. 177 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 799.
154
creditori verso coobbligati, garanti e fideiussori costituisca una
deviazione rispetto al principio generale della propagazione degli effetti
favorevoli ai coobbligati in solido di cui all’art. 1301 c.c. e, di
conseguenza, è operante solo nei casi in cui sia espressamente prevista
dalla legge; inoltre tale salvezza rischia di gravare sulla famiglia stessa
del debitore esdebitato, poiché è sovente che siano gli stessi familiari a
rivestire la posizione di coobbligati o fideiussori178.
Questo aspetto è di importantissima rilevanza perché rischia di
esautorare il ruolo e l’importanza riconosciuta alla legge n. 3 del 2012,
anche in termini di strumento di protezione sociale, e questo non solo
nell’ambito della procedura di esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies,
ma anche in riferimento all’effetto esdebitatorio che si produce con
l’accordo del debitore o il piano del consumatore. Il non aver considerato
la dimensione familiare può comportare il rischio di un debito che si
sposta da componente in componente familiare, nonché la necessità che
ogni coobbligato, familiare del debitore, apra procedure volte alla
liberazione dagli stessi debiti.
La legge n. 3 del 2012 non si occupa neppure dei creditori
concorsuali non concorrenti, cioè di coloro che pur avendo il diritto di
presentare domanda per insinuarsi al passivo non lo hanno fatto. Questi
creditori, invece, in ambito fallimentare sono i destinatari della specifica
disciplina di cui all’art. 144 l. fall., in base alla quale l’esdebitazione
opera nei loro confronti per la sola eccedenza alla percentuale attribuita
nel concorso ai creditori di pari grado, il debitore quindi rimane obbligato
verso il non concorrente per la stessa somma per cui ha soddisfatto i
creditori concorrenti di pari grado.
La soluzione più coerente con i principi concorsuali è quella di
riconoscere che l’esdebitazione ex art. 14-terdecies opererà nei confronti
178 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2077.
155
dei creditori concorsuali non concorrenti per la parte di credito eccedente
attribuita nel concorso ai creditori di pari grado179.
Giunti così al termine del presente capitolo, si rinvia, invece, al
capitolo che segue l’analisi sul ruolo predominante degli Organismi di
composizione della crisi da sovraindebitamento alla luce della recente
adozione del Decreto 24 settembre 2014, n. 202 “Regolamento recante i
requisiti di iscrizione degli organismi di composizione della crisi da
sovraindebitamento, ai sensi dell’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n.
3, come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”.
179 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 800.
156
CAPITOLO IV
Gli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento
Sommario: 4.1. La finalità, le caratteristiche principali e la natura
giuridica degli OCC. La nomina - 4.2. Il registro degli OCC e il Decreto
ministeriale 24 settembre 2014, n. 202 - 4.3. I compiti attribuiti agli
Organismi di composizione della crisi e il potenziale conflitto di interessi
- 4.4. Le Banche dati pubbliche
4.1. La finalità, le caratteristiche principali e la natura giuridica degli
OCC. La nomina.
La procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento,
così come risulta a seguito della modifiche apportate alla legge n. 3/2012
dal d.l. n. 179/2012, coinvolge sostanzialmente tre organi in relazione alla
tipologia di rimedio che il debitore può attivare: il tribunale, l’Organismo
di composizione della crisi e il liquidatore.
Il liquidatore, come organo della procedura concorsuale, entra in
gioco nella sola liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss. e in merito
alle funzioni attribuitegli dalla legge si rinvia alla trattazione del
precedente Capitolo.
Le funzioni riconosciute al tribunale vengono svolte dal giudice
monocratico, delegato alla trattazione delle domande e alle attività che è
chiamato a compiere a seguito della pronuncia di ammissibilità. Il
tribunale in composizione collegiale svolge la funzione di giudice dei
reclami contro gli atti del giudice monocratico delegato al procedimento.
Al giudice delegato vengono attribuite funzioni decisorie, di
controllo e di carattere tutorio-amministrativo.
L’attività decisoria del giudice ha inizio con la valutazione della
domanda presentata dal proponente, altri momenti in cui essa si estrinseca
157
sono le udienze eventualmente previste dalle singole procedure e le fasi
terminali relative alla pronuncia di omologa o alle pronunce sanzionatorie
di revoca, annullamento, risoluzione e dichiarazione di inefficacia.
In occasione della presentazione della domanda il tribunale valuta
la sussistenza della sua competenza e poi procede a verificare l’esistenza
dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’ammissibilità della
domanda, verifica inoltre che sia stata prodotta tutta la documentazione
prescritta dalle legge per l’apertura della procedura.
In merito al giudizio di ammissibilità, sia per l’accordo che per il
piano del consumatore si rinvia al Paragrafo 2.4., si rinvia invece al
Paragrafo 3.1. l’esame delle condizioni di ammissibilità richieste dalla
legge per l’accesso alla liquidazione dei beni.
L’OCC ha un ruolo particolarmente attivo e centrale nella
composizione della crisi da sovraindebitamento e costituisce una delle
innovazioni più significative della procedura stessa; vengono attribuite a
tale organo poliedriche funzioni che lo vedono onnipresente sia nella fase
prodromica all’inizio della procedura che nel suo successivo sviluppo.
È possibile cogliere la centralità del ruolo degli OCC già dalle
prime disposizioni della legge n. 3/2012: ex art. 7, commi 1 e 1-bis, il
debitore in stato di sovraindebitamento che intenda proporre un accordo o
un piano ai suoi creditori deve farlo con l’ausilio degli Organismi di
composizione della crisi e tale ausilio è implicitamente presupposto anche
per l’accesso alla procedura di liquidazione dei beni alla cui domanda
deve essere allegata una relazione particolareggiata dell’OCC secondo il
terzo comma dell’art. 14-ter180.
L’ausilio in questione è chiarito dall’art. 15, comma 5,
l’organismo “assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del
piano di ristrutturazione e alla esecuzione dello stesso”.
180 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della L. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 603.
158
All’OCC è altresì affidato il compito di presentare l’attestazione
della fattibilità del piano e della veridicità dei dati contenuti nella
proposta.
La loro idoneità a consigliare il debitore e a contribuire
attivamente alla stesura dell’accordo ex art. 8, unita alla capacità di analisi
delle situazioni e degli interessi del debitore e del creditore rappresenta
l’effettivo strumento per realizzare la finalità della legge, che altro non è
che la finalità per cui tali organi sono stati predisposti dalla novella: porre
rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né
assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla
legge in esame (ex art.6).
L’efficacia innovativa della legge in commento dipende proprio
dalla capacità di tali organismi di essere di ausilio e supporto al debitore,
altrimenti la disciplina speciale in materia di sovraindebitamento rischia
di perdere la propria originalità, divenendo piuttosto uno dei tanti
strumenti che l’ordinamento prevede per il riconoscimento di un credito o
l’escussione di un debitore181.
Tale finalità esige una posizione di necessaria terzietà rispetto al
debitore e ai creditori coinvolti nel procedimento. Gli Organismi di
composizione della crisi non dovranno utilizzare le proprie capacità
tecniche e professionali per far risultare l’accordo più favorevole per il
debitore o per tutti o alcuni dei creditori. A supporto di quanto appena
detto, tali organi devono necessariamente presentare requisiti di
indipendenza e professionalità, la cui individuazione è rimessa alla
formulazione di un decreto ministeriale effettivamente emesso dal
Ministero della giustizia in data 24 settembre 2014, n. 202.
Gli Organismi di composizione della crisi non devono, dunque,
disattendere l’equidistanza con entrambe le parti della procedura, l’unico
181 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, Gli Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 89.
159
obiettivo è quello di garantire un concreto ausilio finalizzato al
superamento della condizione di sovraindebitamento.
Di difficile ricostruzione è invece la qualificazione della natura
giuridica di tali organi in quanto sono posti a confine tra la sfera pubblica
e quella privata.
Il ruolo di garanti del funzionamento dell’intera procedura, svolto
in collaborazione col giudice, attribuisce agli OCC la possibilità di
influenzare la composizione della crisi, rappresentando così strumenti
espressione della longa manus pubblica182.
Essi hanno un ruolo fondamentale nel positivo esito della
procedura e rappresentano l’interesse pubblico che ha mosso il legislatore
alla redazione della legge. In questa logica appare comprensibile la scelta
del legislatore di individuare negli enti pubblici i soggetti idonei a
rivestire il ruolo di OCC.
L’obiettivo, coincidente con la volontà del legislatore, è quello di
garantire un efficace, celere e proficuo rientro delle situazioni di
sovraindebitamento. Il sovraindebitamento, “impedendo il regolare
svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti dell’ordinamento e
rendendo impossibile il certo adempimento delle obbligazioni del
debitore, rappresenta una criticità significativa e un serio ostacolo al
superamento del generale periodo di crisi attraversata dal sistema italiano
(e non solo)”183.
L’Organismo di composizione della crisi, nello svolgimento delle
sue funzioni, persegue un interesse pubblico di carattere generale, che si
sostanzia nel superamento di tutte quelle situazioni che impediscono il
regolare svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti
dell’ordinamento.
Gli OCC svolgono una molteplicità di compiti e a loro è avocata
una funzione anomala ed esorbitante rispetto al principio dell’autonomia 182 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, op. loc. ult. cit. 183 R. D’AQUINO DI CARAMAICO, Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 83.
160
privata e per tale motivo rappresentano qualcosa di diverso rispetto agli
organismi di composizione negoziale della crisi o degli organismi di
media conciliazione. E questo nonostante le esigenze che hanno sotteso la
stesura della legge n. 3 del 2012 siano analoghe a quelle di
decongestionamento e alleggerimento dei lavori dei tribunali che hanno
determinano la creazione dei soggetti di media conciliazione.
La natura giuridica degli OCC sembra propendere maggiormente
verso la sfera pubblicistica, la propensione verso una simile soluzione è
motivata, oltre che dalla finalità che sottende la creazione di tali
organismi, da una serie di elementi che emergono in particolar modo a
seguito del d.l. n. 179 del 2012: la costituzione ad opera di enti pubblici,
l’interesse di natura generale di cui l’OCC è portatore, la vigilanza sugli
stessi del Ministero di giustizia, i poteri autoritativi.
L’esorbitante funzione degli OCC rispetto al principio di
autonomia privata non soltanto fa emergere una difficoltà nella
qualificazione della natura giuridica di tali organismi, ma supporta
l’orientamento della non indifferente rilevanza pubblicistica di tali organi.
L’art. 15, comma 4, chiarisce che dalla costituzione e dal
funzionamento degli OCC non devono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica e che le attività degli stessi devono essere
svolte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente.
La suddetta disposizione, che esprime la volontà che il bilancio
pubblico non risenta della creazione e dell’operato di tali organismi,
sembra confermare la natura ibrida degli OCC, posti a confine tra la sfera
pubblica e quella privata, poiché altrimenti, se così non fosse, sarebbe
sminuita la portata applicativa dell’obbligo di non contribuire ad
aggravare il bilancio pubblico.
In merito alla questione della nomina dell’OCC, nonostante
l’intervento del d.l. n. 179/2012, permane dalla versione originaria della
legge la problematica circa l’individuazione dell’effettivo organismo di
161
composizione della crisi tenuto concretamente a svolgere tutte le funzioni
che la l. n. 3 del 2012 gli attribuisce: l’OCC è scelto sulla base di una
determinazione autonoma del soggetto debitore o, piuttosto, è nominato
dal giudice, in una logica più conforme ai requisiti richiesti di imparzialità
e terzietà ?
Per rispondere ad una tale quesito è necessario individuare la
disciplina vigente.
L’art. 15, comma 1, individua negli enti pubblici i soggetti che
possono costituire organismi di composizione della crisi, purché dotati di
requisiti di indipendenza e professionalità, la cui determinazione è
rimessa al decreto richiamato dal terzo comma, che il ministero doveva
redigere entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle modifiche
apportate alla legge.
Il decreto ministeriale è stato adottato a quasi un anno e mezzo di
distanza dal termine previsto, in data 24 settembre 2014, e si occupa di
regolamentare: i requisiti e le modalità di iscrizione nel registro degli
OCC detenuto presso il Ministero di giustizia, la disciplina della
formazione dell’elenco, la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione, la
cancellazione degli iscritti, i compensi e i rimborsi spese loro spettanti a
carico di chi ricorre a tali procedure. Nello specifico, individua le
garanzie di indipendenza e professionalità che costituiscono le
caratteristiche e le modalità operative che gli OCC dovranno adottare.
Costituiscono altresì Organismi di composizione della crisi e sono
iscritti di diritto nel registro degli OCC, a semplice domanda, gli
organismi di conciliazione istituiti presso camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, nonché il segretario sociale, gli ordini
professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei
notai.
Parte della dottrina manifesta perplessità in merito all’inserimento
degli organismi di mediazione nel novero dei soggetti iscritti di diritto nel
registro: il dubbio non si rivolge alla serietà e affidabilità di questi, quanto
162
piuttosto alla loro professionalità: l’orientamento in commento ritiene che
la formazione impartita per divenire mediatori non sia propriamente
professionalizzante e che a maggior ragione il mediatore non possa
rivestire anche il delicato compito di professionista della crisi senza una
adeguata e specifica professionalità184.
L’elencazione di tali soggetti disposta dal secondo comma dell’art.
15 ha natura esclusivamente residuale, indicando i soli soggetti iscritti di
diritto nel registro, salva quindi la possibilità di altri e diversi soggetti di
poter far parte del registro degli OCC.
La giurisprudenza di merito è intervenuta sulla questione della
nomina degli OCC tentando di ridimensionare i dubbi in merito. I soggetti
suscettibili di rivestire il ruolo di Organismi di composizione della crisi in
una procedura ex l. n. 3 del 2012 sono nominati solo dal Presidente del
tribunale su istanza del debitore e l’istanza deve necessariamente
precedere la proposta di accordo o di piano, posta la funzione ausiliaria di
tali organismi 185 . Fino alla emanazione del regolamento e alla
predisposizione del registro la nomina dell’OCC deve essere fatta dal
Tribunale ai sensi dell’art. 15, comma 9186.
Il comma nove stabilisce che i compiti e le funzioni attribuite agli
OCC possono essere svolti anche da un professionista o da una società fra
professionisti in possesso dei requisiti previsti per la nomina a curatore
fallimentare ex art. 28 l. fall., ovvero da un notaio, purché nominati dal
Presidente del tribunale o da un giudice da esso delegato.
Di fatto sino all’istituzione del registro detenuto presso il
Ministero della giustizia e sino all’emanazione del decreto ministeriale,
l’unica possibilità individuata dalla l. n. 3/2012 per rendere operativa la
disciplina della legge stessa e allocare le funzioni di OCC è quella di
affidare la gestione della crisi, come prevede il comma 9, al
184 M. FABIANI, op. cit., p. 18 185 Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fal.php?id_cont=10555.php 186 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php
163
professionista o a una società fra professionisti, purché siano presenti i
requisiti ex art. 28 l. fall., ovvero a un notaio, ma in ogni caso questi
soggetti sono nominati dal Presidente o dal suo delegato. La nomina
dell’OCC da parte del Presidente del Tribunale o del giudice da lui
delegato, e non dal debitore, ancora una volta costituisce comprova della
contaminazione fra accordi di ristrutturazione e concordato187.
Tuttavia, nonostante l’attribuzione del potere di nomina al
Presidente del tribunale, la giurisprudenza di merito ha comunque
riconosciuto al sovraindebitato la possibilità di avvalersi per la redazione
del piano di un soggetto di sua fiducia, ma sarà comunque l’OCC che, in
ogni caso, dovrà far proprio, condividendolo, il piano redatto dal
professionista privato, dovendone verificare inoltre veridicità e
fattibilità188.
La stessa giurisprudenza di merito è intervenuta su più profili
afferenti alla nomina degli OCC e ha stabilito che la competenza
dell’Organismo deve essere individuata sulla base della competenza del
Tribunale; ha inoltre chiarito che la sede dell’OCC in base alla quale si
determina la sua competenza per il caso di specie deve essere “l’unica
principale ed effettiva, non potendosi ammettere una competenza diffusa
dell’OCC soggetto privato, che si estenda potenzialmente a tutto il
territorio nazionale, laddove invece l’OCC soggetto pubblico, trattandosi
normalmente di enti pubblici a base territoriale, hanno
inequivocabilmente competenza limitata ad un solo circondario di
tribunale”.
A partire dall’entrata in vigore del regolamento, o meglio dalla sua
piena efficacia, la situazione fino ad ora esaminata dovrebbe mutare, per
cui è riconosciuta al debitore stesso, che voglia accedere ad uno dei
187 M. FABIANI, op. cit., p. 18. 188 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014.
164
rimedi di cui alla legge n. 3 del 2012, la possibilità di rivolgersi
direttamente al proprio OCC “di fiducia”189.
L’art. 15, comma 9, solleva anche una ulteriore riflessione
prevedendo la nomina di un OCC in composizione monocratica: le
funzioni dell’OCC sono molteplici, e soprattutto di non poco rilievo, e il
professionista si troverebbe da solo a intervenire in ogni fase della
procedura; inoltre sarebbe demandato a lui il rilevante potere di controllo
circa la consistenza e realizzabilità del piano e la facoltà di accesso alle
banche dati pubbliche per controlli incrociati sui dati.
Aver demandato ad un unico soggetto tale mole di funzioni non è
privo di rischi: il professionista è chiamato a verificare la veridicità dei
dati contenuti negli atti che egli stesso ha predisposto, è chiamato a
fornire una valutazione imparziale della fattibilità di un accordo che egli
stesso ha contribuito a predisporre, modificare e a concludere190. Il
richiamo al possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall. non sembra
sufficiente per arginare un simile conflitto di interessi.
4.2. Il registro degli OCC e il Decreto ministeriale 24 settembre 2014,
n. 202
Gli organismi di cui al comma 1 dell’art. 15 possono costituire
OCC solo se iscritti nel Registro detenuto presso il Ministero della
giustizia; la mancata iscrizione comporta l’impossibilità per l’organismo
di svolgere le prestazione che è chiamato a compiere in luogo del dettato
della legge. La prestazione svolta dall’organismo è illegittima se l’OCC
non è iscritto nell’apposito registro.
189 C. REGIS, Composizione della crisi da sovraindebitamento. Il ruolo del professionista. Aspetti pratici, in http://www.odcec.torino.it/public/convegni/Regis%20-%20Ruolo%20professionista%20e%20aspetti%20pratici.pdf 190 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, Gli Organismi di composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 97.
165
L’iscrizione rappresenta uno strumento di controllo pubblico delle
qualificazioni possedute dai soggetti che chiedono di svolgere le funzioni
di OCC.
I requisiti che un Organismo deve avere perché possa essere
iscritto nel registro e svolgere i compiti che conseguono a tale ruolo sono
i “requisiti di indipendenza e professionalità” (art. 15, comma 3).
Quest’ultima disposizione rappresenta una forte garanzia di
funzionamento per la procedura poiché “se l’individuazione dei soggetti
deputati a svolgere il richiamato ruolo, terzo e imparziale, a servizio
dell’interesse pubblico superiore, non avverrà mediante l’adozione di
meccanismi premianti che valorizzano la professionalità, indipendenza e
le capacità operative degli organismi, sarà l’intera procedura a perdere
efficacia e credibilità”191.
La mancanza di professionalità e il conseguente servizio
inadeguato rispetto alle esigenze del debitore, così come l’assenza di
meccanismi sospensivi o di cancellazione degli iscritti in caso di
prestazioni non rapide e non efficienti, potrebbero determinare
concretamente il rischio di depauperare il contributo della procedura.
Dopotutto qualsiasi situazione che favorisca il perdurare del
sovraindebitamento oltre un termine ragionevole rischia di vanificare gli
effetti della procedura in commento.
L’art. 15, comma 3, demanda infatti a un decreto ministeriale la
regolamentazione delle condizioni per l’iscrizione, la formazione
dell’elenco e la sua revisione, la sospensione e la cancellazione degli
iscritti, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese
spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.
La normativa secondaria è intervenuta tardivamente rispetto al
termine indicato dalla legge di novanta giorni dall’entrata in vigore della
l. n. 3 del 2012. Il decreto è stato adottato in data 24 settembre 2014 ed è
191 R. D’AQUINO DI CARAMANICO- A. PARINI, op. ult. cit., p. 91
166
entrato in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, il 28 gennaio 2015.
La disciplina offerta dal decreto, pur essendo fonte secondaria,
assume, come già accennato, un ruolo importante e decisivo nel
completare la regolamentazione degli Organismi di composizione della
crisi. Vengono elaborate nuove figure interne all’organismo e chiariti i
meccanismi di interazione fra queste, offerte definizioni e specificati i
requisiti per l’iscrizione all’elenco.
In luogo della definizione offerta dal decreto, gli OCC
rappresentano l’articolazione interna di uno degli enti pubblici individuati
dalla legge e dal regolamento, i quali, anche in via non esclusiva, sono
destinati stabilmente all’erogazione del servizio di gestione della crisi,
cioè il servizio reso dall’OCC allo scopo di gestire i procedimenti di
composizione della crisi e di liquidazione del patrimonio.
Il gestore della crisi è la persona fisica che, individualmente o
collegialmente, svolge la prestazione di gestione dei procedimenti, egli
può avvalersi di una pluralità di ausiliari nel compimento delle attività
che gli sono attribuite dalla legge. Il referente è la persona fisica che
indirizza e coordina l’attività dell’organismo e conferisce incarichi ai
gestori della crisi.
L’OCC deve dotarsi di un regolamento, di un atto adottato
dall’organismo contenente le norme di autodisciplina.
Nel registro informatico istituito presso il Ministero della giustizia
sono iscritti sia gli OCC che i gestori della crisi.
I requisiti per l’iscrizione sono indicati dall’art. 4 del decreto n.
202/2014. Nel registro sono iscritti di diritto, su semplice domanda, gli
organismi di conciliazione istituiti presso le camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, il segretario sociale e gli ordini degli
avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai, anche quando
sono associati tra loro.
167
Nel registro sono altresì iscritti, a domanda, gli organismi
costituiti dai Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni e istituzioni
universitarie pubbliche. In questi casi il responsabile delle iscrizioni del
registro deve verificare per procedere all’iscrizione: che l’organismo
costituisca articolazione interna di tali enti pubblici; che sussista un
referente interno all’organismo dotato di un adeguato grado di
indipendenza; che sia rilasciata una polizza assicurativa con massimale
non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali
derivanti dallo svolgimento del servizio; che sia indicato il numero dei
gestori della crisi, non inferiori a cinque, che abbiano dichiarato la
disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva
per l’organismo, nonché la conformità del regolamento alle disposizioni
del decreto e la sede dell’OCC.
Nei confronti degli organismi iscritti di diritto, il responsabile
deve verificare l’esistenza di un referente dell’organismo dotato di un
adeguato grado di indipendenza, il rilascio di polizza assicurativa con
massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze
patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di
gestione della crisi e la conformità del regolamento dell’OCC alle
disposizioni del presente decreto.
Il responsabile verifica i requisiti professionali dei gestori della
crisi iscritti nel registro, che consistono: nel possesso di laurea magistrale,
o di titolo di studio equipollente, in materie economiche o giuridiche; nel
possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a
corsi di perfezionamento o ad analoghi corsi organizzati dai soggetti di
cui all’art. 4, comma 2, in convenzione con le università pubbliche o
private; nello svolgimento di un tirocinio di durata non inferiore a sei
mesi che abbia consentito l’acquisizione di competenze mediante la
partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione degli accordi e
piani omologati di composizione della crisi, e degli accordi omologati di
ristrutturazione dei crediti, delle proposte di concordato preventivo o
168
fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del
passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni; nell’acquisizione
di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non
inferiore a quaranta ore, nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e
di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli
ordini professionali richiamati dal secondo comma dell’art. 4, ovvero
presso un’università pubblica o privata. Lo specifico aggiornamento
biennale non sarà necessario per i tre anni successivi dall’entrata in vigore
del decreto per i professionisti appartenenti agli ordini degli avvocati,
notai e dottori commercialisti ed esperti contabili, purché documentino di
essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari,
commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure
esecutive immobiliari, o di aver svolto compiti e funzioni dell’OCC o del
liquidatore ai sensi dell’art. 15 l. n. 3/2012.
Il responsabile del registro deve altresì verificare il possesso dei
requisiti di onorabilità di cui all’art. 4, comma 8 del decreto: a)
l’organismo non deve versare in una delle condizioni di ineleggibilità o
decadenza di cui all’art. 2382 c.c.192; b) non deve essere sottoposto a
misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (“Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in
materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della
legge 13 agosto 20120, n. 136”); c) non deve essere condannato con
sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione: a pena
detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività
bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di
mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; alla reclusione per
uno dei reati previsti dal titolo XI del libro V del codice civile
(“Disposizioni penali in materia di società e consorzi”) o nella legge 192 Cfr. art. 2382 c.c. “Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi”.
169
fallimentare o nella legge n. 3 del 2012; alla reclusione per un tempo non
inferiore a un anno per delitto contro la pubblica amministrazione, contro
la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro
l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; alla
reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non
colposo; d) non aver riportato una sanzione disciplinare diversa
dall’avvertimento.
Il procedimento di iscrizione è disciplinato dall’art. 5 del decreto e
deve essere concluso entro trenta giorni dalla data di ricevimento della
domanda. Il provvedimento di iscrizione è comunicato al richiedente e
dalla data di comunicazione decorrono gli effetti dell’iscrizione. La
mancata comunicazione del provvedimento equivale al diniego di
iscrizione.
La sospensione e la cancellazione dal registro sono disciplinate
dall’art. 8 del decreto. È disposta sospensione per un periodo non
superiore a novanta giorni qualora, dopo l’iscrizione, l’organismo perda i
requisiti di cui all’art. 4, commi 3 e 4.
Se la mancanza dei requisiti persiste oltre il termine indicato di
novanta giorni, il responsabile procede alla cancellazione dell’OCC dal
registro. Quando risulta che al momento dell’iscrizione l’organismo non
era in possesso dei requisiti richiesti, il responsabile procede alla
cancellazione dal registro.
È disposta altresì la cancellazione di tutti quegli organismi che nel
corso di un biennio non abbiano svolto almeno tre procedimenti di
gestione della crisi.
In merito agli obblighi dell’organismo, il referente distribuisce gli
incarichi tra i gestori della crisi, tenuto di conto della natura e
dell’importanza dell’affare.
Al momento dell’incarico l’OCC deve comunicare al debitore il
grado di complessità dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili sugli
170
oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e deve indicare i dati
della polizza assicurativa.
La misura del compenso è resa nota al debitore con un preventivo,
indicando per ogni singola attività tutte le voci di costo. L’Organismo è
obbligato a portare a conoscenza dei creditori l’accodo concluso con il
debitore per la determinazione del compenso.
L’organismo deve adottare un regolamento di autodisciplina e
deve indicare, secondo i criteri di proporzionalità, i casi di decadenza e di
sospensione dall’attività dei gestori che sono privi dei requisiti o hanno
violato gli obblighi previsti dal decreto in commento e derivanti dagli
incarichi ricevuti, nonché deve indicare la procedura per l’applicazione
delle relative sanzioni e determinare i criteri di sostituzione nell’incarico.
In caso di violazione da parte dell’OCC degli obblighi previsti dal
decreto, il responsabile dispone la sospensione e nei casi più gravi la
cancellazione dal registro. Si procede in tal senso anche quando
l’organismo ha omesso di adottare le misure di sospensione e decadenza
nei confronti dei gestori.
In merito agli obblighi dei gestori e dei loro ausiliari, la disciplina
è data dall’art. 11 del decreto, in base al quale essi sono tenuti all’obbligo
di riservatezza su quanto appreso in ragione dell’opera o del servizio e al
rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato,
parasubordinato o autonomo instaurato con l’organismo di appartenenza.
Essi non possono assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o
indirettamente, con gli affari trattati, salvo quelli strettamente inerenti alla
prestazione dell’opera o del servizio.
Il gestore della crisi ha altresì l’obbligo di sottoscrive una
dichiarazione di indipendenza. Egli è indipendente quando non è legato al
debitore e a coloro che hanno interesse nella procedura da rapporti di
natura personale o professionale. Il gestore deve possedere i requisiti di
cui all’art. 2399 c.c.193 e non deve, neanche per il tramite di soggetti con
193 Cfr. art. 2399 c.c. “Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti,
171
cui è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi
cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del
debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.
Il gestore della crisi designato deve eseguire personalmente la sua
prestazione.
L’art. 13 del decreto prevede una costante attività di monitoraggio
statistico dei procedimenti da parte del Ministero, con eventuale rilascio
di una certificazione di qualità all’OCC che lo richieda. Tale
monitoraggio suggella la rilevanza pubblicistica riconosciuta agli
organismi e alla composizione della crisi da sovraindebitamento più in
generale.
La normativa in commento introduce il principio della
determinazione del compenso all’OCC previo accordo tra il debitore e
l’Organismo che abbia individuato e incaricato194.
In mancanza di accordo la liquidazione del compenso avviene da
parte del giudice, così come accade nelle ipotesi di nomina giudiziale
dell’OCC, in questi casi la regolamentazione del compenso è offerta dal
Capo III del decreto “Determinazione dei compensi”. I compensi
includono l’intero corrispettivo per la prestazione svolta e le attività
accessorie.
Per la determinazione del compenso i criteri di cui è necessario
tenere di conto sono l’opera prestata, i risultati ottenuti, il ricorso
decadono dall'ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale e la perdita dei requisiti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2397 sono causa di decadenza dall'ufficio di sindaco. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi”. 194 M. VITIELLO, Gli Organismi di Composizione della Crisi da sovraindebitamento: il regolamento attuativo previsto dall’art. 15 L. n. 3/2012 come modificato dalla L. n. 221/2012, in Il fallimentarista, 12 febbraio 2015.
172
all’opera di ausiliari, la sollecitudine con cui sono stati svolti i compiti e
le funzioni, la complessità delle questioni affrontate, il numero dei
creditori, la misura di soddisfazione assicurata ai creditori con
l’esecuzione dell’accordo o del piano omologato ovvero con la
liquidazione.
L’art. 16 enuclea i parametri attraverso i quali si procede a
determinare il compenso nelle procedure di accordo e di piano del
consumatore. L’art. 17 statuisce il principio dell’unicità del compenso,
per cui nell’ipotesi in cui si succedano più organismi il compenso rimane
comunque unico.
L’art. 18 individua i parametri per la determinazione del
compenso nelle procedure di liquidazione dei beni ex artt. 14-ter ss. l. n.
3/2012.
Per quanto riguarda gli sviluppi della regolamentazione
ministeriale, è necessario segnalare che in data 26 marzo 2015 il
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha
presentato avverso il decreto ministeriale n. 202/2014 ricorso presso il
Tar Lazio. La regolamentazione in commento, richiedendo quale requisito
per svolgere la funzione di OCC il possesso di laurea magistrale, esclude
tutti i ragionieri commercialisti che rientrano, a seguito della fusione,
nell’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili.
Il ricorso contesta l’errata formulazione del regolamento per
tutelare gli interessi dei ragionieri iscritti all’albo, nello specifico il
Consiglio chiede l’annullamento del decreto n. 202/2014 nella parte in cui
ha previsto un generalizzato obbligo del possesso di laurea magistrale per
lo svolgimento delle funzioni demandate al gestore della crisi, senza
prevedere una deroga per i ragionieri che risultino già iscritti.
Il consiglio nazionale con l’informativa n. 23/15 ha definito
irragionevole il criterio della laurea magistrale anche in luogo del fatto
che l’art. 15, comma 9, l. n. 3/2012, come modificato dal Decreto legge n.
179 del 2012, richiede solamente che le funzioni siano svolte da
173
professionisti, o da società fra professionisti, purché in possesso dei
requisiti di cui all’art. 28 l. fall., senza aggiungere nient’altro in merito al
percorso formativo e accademico195.
Il ricorso presentato al Tar Lazio si fonda: sulla violazione degli
artt. 1, 34, 61 del decreto legislativo n. 139/2005, recante l’Ordinamento
professionale dei dottori commercialisti, quale conseguenza diretta
dell’esclusione dei ragionieri commercialisti dall’elenco di cui all’art. 2
del decreto n. 202/2014; sulla violazione degli artt. 70 e 97 Cost. e
dell’art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 che scaturisce dalla previsione di un
requisito di professionalità soggettivo in realtà non previsto nella legge n.
3/2012; sull’eccesso di potere per manifesta illogicità e palese
irragionevolezza delle previsioni di Regolamento che esclude dall’elenco
dei gestori i ragionieri commercialisti nonostante l’equiparazione
normativa, quanto a funzioni e competenze.
Il requisito della laurea, è stato scritto nel ricorso, concretizza
un’irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento a danno dei
ragionieri commercialisti.
4.3. I compiti attribuiti agli Organismi di composizione della crisi e il
potenziale conflitto di interessi
La legge n. 3 del 2012 attribuisce agli Organismi di composizione
della crisi molteplici funzioni che attraversano l’intera procedura di
composizione della crisi da sovraindebitamento.
Nonostante l’art. 7 utilizzi il termine “ausilio”, i compiti attribuiti
agli OCC dalla legge non permettono di assimilare il loro operato a quello
di consiglieri finanziari del debitore; per pervenire a una simile
conclusione è sufficiente quanto affermato dall’art. 15, comma 5, in base
al quale l’Organismo “assume ogni iniziativa funzionale alla
195 Per una lettura completa dell’informativa n. 23/15 del 31 marzo 2015 v. www.cndcec.it
174
predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello
stesso”.
Ciò che risulta è che i compiti degli Organismi di composizione
della crisi fuoriescono dalla sfera di delimitazione dell’autonomia privata
agendo e modificando il contenuto dell’accordo.
L’espressione “ogni iniziativa” è suscettibile di un’interpretazione
talmente vasta da ricomprendervi anche il caso in cui l’iniziativa sia
assunta dall’OCC nonostante le parti non la ritengano corretta, purché
chiaramente sia funzionale alla predisposizione del piano e alla sua
esecuzione.
Ancora una volta emerge la rilevanza pubblicistica delle funzioni
riconosciute agli Organismi di composizione della crisi, poiché l’interesse
pubblico al superamento del sovraindebitamento sembra poter essere
perseguito anche in via autoritativa. A fronte di un potere autoritativo la
limitazione è rintracciabile nel perseguimento dell’interesse pubblico,
ossia, nel caso delle specifiche della legge, nel superamento della crisi da
sovraindebitamento.
L’organismo infatti non opera esclusivamente in ausilio del
debitore, ma opera in collaborazione attiva coi creditori e col giudice:
dopotutto l’iniziativa di cui al quinto comma dell’art. 15 deve essere
“funzionale” e “finalizzata”.
L’art. 13, comma 2, attribuisce all’OCC il compito di risolvere
eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e vigila
sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni
eventuale irregolarità.
Quanto finora detto conferma l’identificazione degli OCC come
organismi aventi natura giuridica ibrida.
I loro compiti sono connessi al buon funzionamento della
composizione della crisi e conducono alla conclusione che i poteri
riconosciuti agli organismi non sono esclusivamente di matrice
175
privatistica, ma appartengono alla sfera pubblica in luogo del loro
carattere autoritativo.
Procedendo nell’individuazione delle funzioni, l’Organismo
rappresenta nella fase di predisposizione dell’accordo e del piano del
consumatore una struttura di supporto per il debitore, svolgendo la
funzione di consulente legale e finanziario del debitore, aiutandolo nella
stesura della proposta di accordo o di piano (art. 7, commi 1 e 1-bis).
L’OCC deve verificare la veridicità dei dati contenuti nella
proposta e nei documenti allegati e la fattibilità del piano ai sensi dell’art.
9, comma 2 (art. 15, comma 6).
Se la proposta prevede il pagamento non integrale dei creditori
muniti di privilegio, pegno o ipoteca, l’Organismo deve inoltre attestare
che il piano comunque assicura il pagamento in misura non inferiore a
quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul
ricavato, in caso di liquidazione, tenuto di conto del valore di mercato
attribuibile ai beni e ai diritti su cui insiste la causa di prelazione (art. 7,
comma 1, seconda parte).
Gli OCC eseguono le pubblicità e le comunicazioni disposte dal
giudice in tutti i procedimenti previsti dalla legge n. 3 del 2012 (art. 15,
comma 7).
Su disposizione del giudice, l’Organismo può svolgere le funzioni
di liquidatore (art. 15, comma 8) e, su designazione del debitore, di
gestore del patrimonio oggetto del piano (art. 7, comma 1).
Il legislatore, nell’ambito della composizione della crisi da
sovraindebitamento, ha affidato a un unico soggetto, l’OCC, le funzioni
che nelle soluzioni negoziali o concordate affida invece a tre soggetti: chi
redige il piano, chi controlla la veridicità dei dati, chi si occupa della fase
successiva al deposito della proposta e all’omologa.
Negli accordi ex art. 182-bis e nel concordato preventivo il
professionista che attesta il piano e quello che si occupa di verificare la
veridicità dei dati sono scelti dal debitore, mentre soltanto il commissario
176
giudiziale è nominato dal giudice nell’ambito della procedura di
concordato preventivo.
Ricordando i più recenti orientamenti giurisprudenziali 196 ,
rimando al Paragrafo 4.1. la trattazione della problematica inerente la
nomina dell’OCC da parte del debitore.
A completamento dell’elencazione delle funzioni, possono essere
richiamati altri luoghi della legge n. 3 del 2012 in cui si attribuiscono
specifiche funzioni agli organismi in esame: se il piano prevede la
cessione a terzi di beni immobili o mobili registrati, gli organismi devono
procedere alla trascrizione del decreto ex art. 10 presso gli uffici
competenti (art. 10, comma 2, lett. b)); l’OCC riceve le dichiarazioni di
consenso alla proposta di accordo dei creditori (art. 11, comma 1);
trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul
raggiungimento della percentuale richiesta per l’omologazione
dell’accordo (art. 12, comma 1, primo periodo); riceve le contestazioni
sollevate dai creditori (art. 12, comma 1, secondo periodo); trasmette al
giudice la relazione sui consensi espressi e sulle maggioranze raggiunte,
allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva
sulla fattibilità del piano (art. 12, comma 1, ultimo periodo); propone al
giudice il liquidatore da nominare nelle ipotesi ex art. 13, comma 1; dà
notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli
enti locali competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante,
entro tre giorni dal deposito della proposta di accordo (art. 9, comma 1) o
della richiesta della relazione di accompagnamento di cui al terzo comma
dell’art. 14-ter nelle ipotesi di liquidazione dei beni.
Da questa sintetica ricostruzione dei compiti attribuiti dal
legislatore agli Organismi di composizione della crisi emerge la figura di
un organo che racchiude in sé funzioni di supporto per il debitore,
funzioni di fidefacenza verso i creditori, compiti di ausilio del giudice e di
196 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014; Tribunale di Cremona, 17 aprile 2014.
177
controllore nell’interesse dei creditori, aprendo così la strada al conflitto
di interessi197.
Il conflitto emerge evidente nell’attribuzione all’organismo del
compito di verificare la veridicità dei dati e di pre-attestare la fattibilità
del piano. All’organismo spetta anche l’attestazione definitiva sulla
fattibilità del piano ex art. 12, comma 1, decorso il termine di dieci giorni
entro cui i creditori possono sollevare contestazioni.
Possono rintracciarsi differenze evidenti rispetto alla disciplina
dell’attestazione nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis e del concordato
preventivo. È prevista solo nelle procedura di composizione dell’accordo
ex art. 7 una fase di pre-attestazione del piano che precede il contenuto
stesso del piano e quindi anche la manifestazione del consenso dei
creditori.
Nella composizione della crisi chi svolge il ruolo di attestare la
fattibilità del piano e la veridicità dei dati in esso contenuto è lo stesso
soggetto che ha proceduto alla sua redazione.
L’OCC assume anche funzioni di organo pubblico poiché procede
all’accertamento all’esito della votazione nella procedura di accordo del
debitore ex art. 7, riferendone al giudice, e, inoltre, procede al controllo
dell’adempimento dell’accordo nell’interesse dei creditori: quello che
risulta è che l’OCC non è un organo terzo e indipendente198.
La dottrina aveva sostenuto la necessità che ogni OCC adottasse
un regolamento interno attraverso cui attribuisse a diversi professionisti i
diversi compiti previsti dalla legge all’Organismo di composizione della
crisi competente199.
In questa ottica, la mancata previsione nell’art. 15 di un potere di
autodisciplina in seno all’OCC ha rappresentato una chiara nota negativa;
comunque il decreto ministeriale n. 202/2014, recentemente entrato in
197 M. FABIANI, op. cit., p. 17. 198 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2081. 199 A. MAFFEI ALBERTI, op. loc. ult. cit.; M FABIANI, op. cit., 17; L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 30.
178
vigore, riconosce agli OCC il potere di adottare regolamenti di
autodisciplina.
Sembra possibile auspicare un ridimensionamento del conflitto
attraverso una regolamentazione interna dell’OCC finalizzata a ripartire le
varie funzioni tra soggetti diversi seppur nell’ambito dello stesso
Organismo.
Il conflitto di interessi risulta più difficilmente superabile e appare
maggiormente stridente quando a svolgere le funzioni di OCC sia un
professionista, singola persona fisica, ex art. 15, comma 9.
La composizione monocratica dell’Organismo di composizione
della crisi si espone ad un maggior numero di rischi in quanto grava su un
unico soggetto l’intera mole dei compiti riconosciuti dalla legge agli
OCC.
Si attribuisce così al singolo professionista importanti poteri di
controllo sulla consistenza e realizzabilità del piano, egli è chiamato a
fornire una valutazione imparziale della fattibilità di un accordo che egli
stesso ha contribuito a predisporre e concludere.
Nelle ipotesi di cui all’art. 15, comma 9, il legislatore attribuisce a
un singolo soggetto tutte quelle funzioni che nel fallimento e nelle altre
procedure concorsuali e in quelle negoziali riconduce invece a una
pluralità di organi anche pluripersonali.
4.4. L’accesso alle Banche dati pubbliche
L’accesso alle Banche dati pubbliche è disciplinato dall’art. 15,
comma 10, l. n. 3/2012 ed è funzionale all’acquisizione dei dati da porre a
confronto col piano di risanamento proposto ai creditori affinché possa
esserne vagliata la credibilità.
L’esigenza di accedere a simili strumenti nasce dalla difficoltà di
cogliere a pieno la situazione patrimoniale ed economica dei soggetti che
attivano la procedura di composizione della crisi, ciò risulta infatti
179
difficile nei confronti dei piccoli imprenditori e dei debitori civili, poiché
non sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Il legislatore ha così previsto la possibilità per gli OCC di venire a
contatto con le informazioni detenute da Banche dati pubbliche allo scopo
di soddisfare le ragioni finora esposte; attraverso tali strumenti
l’Organismo ha la possibilità di valutare la credibilità del piano di
risanamento offerto ai creditori, avendo a supporto una serie di
informazioni idonee a determinare una rappresentazione, quantitativa e
monetaria, degli atti di gestione del patrimonio del soggetto in difficoltà
economica200.
L’accesso alle Banche dati pubbliche si pone in continuità coi
compiti riconosciuti agli OCC, i quali infatti, solo su autorizzazione del
giudice, hanno la facoltà, così come il giudice, in luogo del comma 10, di
accedere ai dati contenuti dall’anagrafe tributaria, nei sistemi di
informazione creditizia, nelle centrali rischi, compreso l’archivio centrale
informatizzato di cui all’art. 30-ter, comma 2, del decreto legislativo n.
141/2010, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia
di protezione dei dati personali e del codice di deontologia e buona
condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di
crediti al consumo, affidabilità e di puntualità nei pagamenti.
In merito ai significati riconducibile al concetto di Banche dati,
una prima definizione è fornita dal Codice in materia di protezione dei
dati personali (art. 4, lett. p), d.lgs. n. 196/2003): la Banca dati è “un
qualsiasi complesso di dati personali, ripartito in uno o più siti”,
organizzato secondo una pluralità di criteri determinati che ne facilitano il
trattamento.
Tale definizione si ispira a quanto detta la direttiva comunitaria
95/46/CEE all’art. 2, comma 1, lett c), che attribuisce al concetto
“archivio dati personali” il significato di “qualsiasi insieme strutturato di 200 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 93.
180
dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente
dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in
modo funzionale o geografico”.
Nonostante la disposizione comunitaria richiami gli archivi
piuttosto che le banche dati, l’ambito di applicazione risulta comunque il
medesimo per entrambe le normative, che, allo stesso modo, si
preoccupano di disciplinare prima il trattamento dei dati contenuti nei
sistemi di informazione e solo successivamente di determinarne
l’organizzazione201.
Il dato personale può essere meglio tutelato solo se se ne
disciplina il trattamento, definito come “qualunque operazione o
complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti
elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la
conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la
selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il
blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione
dei dati, anche se non registrati in una banca dati”.
Il dato costituisce il prodotto di un’attività qualificata dalla legge,
il trattamento, la quale risponde al generale principio della garanzia dei
diritti della persona fisica o giuridica a cui tali dati si riferiscono, il c.d.
interessato.
Un’altra definizione di Banca dati si coglie dal disposto dell’art. 2,
comma 1, n. 9, l. n. 663/1941, sulla protezione del diritto di autore e di
altri diritti connessi al suo relativo esercizio: “le banche dati…sono
raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o
metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi
elettronici o in altro modo…La tutela delle banche dati non si estende al
loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.
201 F. CALDARELLI, Le Banche dati pubbliche: una definizione, in Dir. dell’inf., 2002, p. 321.
181
In questo caso la normativa nazionale recepisce l’art. 1, comma 2,
direttiva 96/9/CE che assicura un livello adeguato di tutela alle banche
dati, affinché i loro gestori possano perseguirne un vantaggio economico.
La direttiva 96/9/CE ha chiaramente obiettivi diversi dalla
direttiva 95/45/CEE, in precedenza richiamata, che, invece, ha come
finalità la tutela dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita
privata.
La nozione della banca dati risulta così, per sua natura, prestarsi a
diversi scopi, è un concetto duttile e funzionale a ricomprendere diversi
elementi a seconda delle finalità perseguite202.
L’art. 15, comma 10, tra le Banche dati a cui gli OCC possono
accedere richiama anche l’Anagrafe tributaria istituita con d.P.R. n.
605/1973. È utilizzata per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi alla
fiscalità dei contribuenti cittadini italiani, dei possessori di beni immobili
sul territorio italiano, degli enti e privati residenti all’estero ma aventi nel
distretto il comune di origine, degli stranieri residenti da almeno un anno
e beneficiari di un reddito prodotto in quel territorio.
L’accesso all’anagrafe consente di acquisire informazioni ai fini
dell’accertamento e dello studio dei fenomeni tributari. Sono raccolte
inoltre in tali Banche dati le notizie relative a movimenti economici
rilevanti che possono essere utilizzati, attraverso controlli incrociati con le
pubbliche amministrazioni, per verificare l’effettivo reddito di chi
usufruisce di particolari benefici fiscali e assistenziali.
Attraverso l’accesso a queste informazioni è possibile ottenere una
rappresentazione veritiera e aggiornata della situazione economica e
finanziaria dei soggetti censiti.
Le Centrali rischi sono Banche dati che raccolgono e gestiscono le
informazioni che hanno ad oggetto i rapporti di credito di cui sono parte
gli enti finanziari, le banche e le società finanziarie.
202 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 95.
182
I partecipanti comunicano, con cadenze periodiche, alle Centrali
rischi il totale dei crediti verso i propri clienti, verso i soggetti che
presentano una richiesta di finanziamento. In luogo delle informazioni
che forniscono, tali enti hanno la possibilità di accedere alle banche dati
che contribuiscono a formare con le loro segnalazioni, e hanno così la
possibilità di conoscere l’intera storia creditizia del soggetto richiedente il
finanziamento.
I dati contenuti nelle Centrali rischi raccolgono informazione di
tipo anagrafico e relative al tipo di finanziamento richiesto: possono
riguardare l’importo, lo stato della richiesta di finanziamento,
l’esecuzione del contratto, la banca o la finanziaria che sta gestendo il
credito e che ha trasmesso i dati. Contengono inoltre informazioni di
natura contabile: la natura del debito residuo, l’andamento dei pagamenti
ecc.
Oltre a garantire una rappresentazione veritiera e aggiornata della
situazione economica e finanziaria dei soggetti censiti, tale strumento
consente una migliore gestione dei rischi legati al mercato del credito
Il comma 10 sottolinea come nell’accesso e nel trattamento di tali
dati debbano essere rispettate le norma a tutela della privacy, agendo nel
rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione
dei dati personali, del codice di deontologia e di buona condotta per i
sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al
consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti.
L’art. 15, comma 11, stabilisce in riferimento al periodo di
conservazione delle informazioni sui debitori che queste debbano essere
distrutte contestualmente alla conclusione o cessazione della procedura,
non potendo essere trattate e conservate per un periodo più lungo e per
fini diversi.
Una volta intervenuta la distruzione se ne deve dare
comunicazione al titolare dei dati tramite lettera raccomandata con avviso
183
di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici
giorni dalla distruzione medesima.
La possibilità di accesso alle Banche dati completa il quadro delle
funzioni attribuite agli OCC, l’organismo risulta così detentore di poteri
particolarmente ampi che necessitano di un’attenta sorveglianza da parte
dell’autorità giudiziaria in sede autorizzativa, a maggior ragione se si
tiene di conto che l’accesso alle banche dati è funzionale alla
presentazione della domanda, e quindi in una situazione in cui non è
ancora pendente alcuna procedura e il controllo del giudice appare
particolarmente problematico203.
203 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 31.
184
CAPITOLO V
Le sanzioni penali
Sommario: 5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della
procedura di composizione della crisi - 5.2. Le condotte illecite del debitore non
fallibile durante la procedura di composizione della crisi - 5.3. Le condotte
illecite compiute dagli Organismi di composizione della crisi
5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della
procedura di composizione della crisi
Il legislatore nella redazione della legge n. 3 del 2012 inserisce un
impianto sanzionatorio che costituisce un efficace deterrente nei confronti
di possibili violazioni alle regole cardine della composizione della crisi da
sovraindebitamento a opera del debitore o dell’Organismo di
composizione della crisi.
Nonostante la natura privatistica delle soluzioni offerte in rimedio
alla crisi, la cui attivazione è rimessa all’iniziativa del debitore e la cui
esecuzione è sottratta al controllo dell’autorità giudiziaria, è previsto un
apparato sanzionatorio che tutela interessi di natura collettiva omogenei,
per natura e contenuto, a quelli delle procedure concorsuali e che
comunemente sono individuati nel regolare svolgimento dell’economia e
nella tutela dei creditori204.
La previsione di una specifica disciplina sanzionatoria differenzia
la composizione della crisi da sovraindebitamento dagli accordi ex art.
182-bis che ne sono invece privi.
La natura collettiva degli interessi coinvolti è confermata dalla
previsione della perseguibilità d’ufficio dei reati elencati dall’art. 16 della
legge. 204 A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 99.
185
Il giudice del procedimento di composizione della crisi o il
liquidatore che riscontri iniziative o atti in frode ai creditori compiuti per
ottenere l’accesso alla procedura deve trasmettere senza ritardo la
denuncia al pubblico ministero, il quale, laddove ritenga fondata la
denuncia, promuove l’azione penale di fronte al giudice penale
competente.
Allo stesso modo procede il tribunale nelle ipotesi di
annullamento dell’accordo o del piano del consumatore quando, ai sensi
degli artt. 14, comma 1, e 14-bis, comma 2, lett. b), il debitore abbia
dolosamente aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una
parte dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti.
Dubbia rimane la scelta del legislatore di non delineare alcuna
fattispecie di reato di natura colposa, mentre in ambito fallimentare
condotte colpose, quali quelle di cui all’art. 217 e 220, comma 2, l. fall.,
sono penalmente perseguite, poiché anche comportamenti negligenti ed
imprudenti possono compromettere gli interessi collettivi sottesi alle
procedure205.
Le ipotesi criminose disciplinate mostrano la capacità della
novella di rispondere alle condotte più gravi ed evidenti perpetrate dai
protagonisti della procedura di composizione, cioè il debitore e l’OCC;
205 Cfr. art. 217 l. fall. “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa; 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni”. Cfr. art. 220 l. fall. “È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi preveduti all'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16, nn. 3 e 49. Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno”.
186
tuttavia l’assenza di un profilo colposo e l’assenza di attenuanti o
aggravanti speciali non consentono di contrastare le ipotesi di lesione
degli interessi coinvolti, la cui tutela è affidata alla sola disciplina
civilistica regolata dagli artt. 14 e 14-bis.
Diversamente dall’ambito fallimentare, il debitore è punito per le
sole condotte illecite che sono collegate alla procedura di composizione
della crisi, per la cui tutela opera piuttosto l’art. 641 c.p.
L’art. 16 disciplina sei fattispecie delittuose previste a carico del
debitore e due fattispecie previste a carico dell’Organismo di
composizione della crisi e del professionista che ne svolge le funzioni ex
art. 15, comma 9.
Il primo comma disciplina i reati commessi dal debitore
prevedendo come pena la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da
mille a cinquantamila euro, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Tale clausola regola il rapporto di sussidiarietà con i più gravi
reati di bancarotta fraudolenta nelle ipotesi in cui, nelle more del
procedimento di composizione della crisi, il soggetto istante sia dichiarato
fallito.
È possibile distinguere nell’ambito dei reati non colposi compiuti
dal debitore le condotte illecite poste in essere prima dell’inizio della
procedura e quelle compiute successivamente.
L’art. 15, comma 1, lett. a), punisce le condotte di chi, al fine di
ottenere l’accesso alla procedura, abbia aumentato o diminuito il passivo,
ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante dell’attivo o
dolosamente simulata attività inesistente.
Queste condotte sono in parte riconducibili all’art. 236, comma 1,
l. fall e all’art. 173 l. fall.206
206Cfr. art. 173 l. fall. “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo 171, secondo comma. All'esito del
187
L’art. 173 l. fall si distingue dalla disciplina in commento per il
fatto che il compimento di atti in frode ai creditori determina l’effetto
dell’apertura d’ufficio del procedimento della revoca dell’ammissione al
concordato. La perseguibilità penale della condotta rileverebbe piuttosto
dopo la dichiarazione di fallimento.
Gli atti di frode rilevanti per l’art. 236 l. fall. risultano essere:
l’attribuzione di attività inesistenti e la simulazione di crediti in parte o in
tutto inesistenti così da influire nella formazione delle maggioranze; l’art.
220 l. fall. completa il quadro con l’inclusione fra le condotte delittuose
della dichiarazione di creditori inesistenti.
La lett. a), perché sia integrata l’ipotesi delittuosa, richiede che la
condotta illecita sia accompagnata dallo scopo dell’agire delittuoso, il c.d.
dolo specifico: è necessario che il debitore commetta le condotte illecite
al fine di ottenere l’accesso alla procedura di accordo o di piano del
consumatore ex art. 7 l. n. 3/2012.
L’elemento soggettivo pone una differenza sostanziale con l’art.
216 l. fall. che punisce i fatti di bancarotta fraudolenta, le cui ipotesi sono
connotate dall’intento fraudolento diretto in via immediata alla massa dei
creditori, anche col fine di ritardare o scongiurare l’accesso alla
procedura. Nell’ambito della lett. a) l’apertura della procedura
rappresenta invece il primo obiettivo dell’agire illecito del debitore.
Il dubbio in merito al dolo specifico in esame attiene al fatto che
l’aumento o la diminuzione del passivo allo scopo di accedere ad una
delle procedure di composizione della crisi ex l. n. 3/2012 non presenta
un quid pluris che ne determina il carattere fraudolento e un pregiudizio
per i creditori; né parte della dottrina ha compreso la scelta del legislatore
procedimento, che si svolge nelle forme di cui all'articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell'articolo 18. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato.”
188
di punire allo stesso modo chi riduce il proprio debito in vista di un
accordo e chi invece lo accresce, tenendo di conto che la condotta di
riduzione del debito in una condizione di insolvenza può determinare un
pagamento preferenziale, mentre la condotta di chi aggrava il proprio
disavanzo ha certamente un effetto maggiormente pregiudizievole per i
suoi creditori207. Tale dottrina aveva auspicato a una diversificazione
delle due fattispecie in sede di conversione in luogo dei differenti indici di
disvalore da cui sono gravate.
In riferimento alle condotte di sottrazione o dissimulazione di una
parte rilevante dell’attivo, anche in questi casi il fine dell’azione è
l’accesso alla procedura. Il richiamo ad una parte rilevante dell’attivo
lascia però un margine di discrezionalità all’interprete nel qualificare
rilevante la parte di attivo coinvolta. Tale incertezza interpretativa potrà
essere sanata solo dalla prassi giurisprudenziale.
La condotta simulatoria, e non anche la dissimulatoria, è
specificata dal termine “dolosamente”, quasi a volere attribuire alla prima
condotta la necessità di un momento soggettivo ulteriore e diverso. In
realtà si ritiene irrilevante tale specificazione, poiché altrimenti si
dovrebbe escludere dall’operatività della norma tutte le simulazioni di
attività inesistenti non corredate da artifizi e raggiri208.
Per il perfezionamento dei reati sub a) non è necessaria la
presentazione della proposta, essendo invece sufficiente
l’esteriorizzazione della volontà di accedere alla procedura.
Altre ipotesi di reati commessi dal debitore prima dell’inizio della
procedura sono indicate dalla lett. b): la produzione di documentazione
alterata o contraffatta, la sottrazione o l’occultamento o la distruzione in
tutto o in parte della documentazione relativa alla situazione debitoria o
207D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”, in Il fallimentarista, 21 dicembre 2012, p. 2. 208A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 101.
189
della documentazione contabile, se il debitore deve tenere scritture
contabili.
Con contraffazione si fa riferimento alla riproduzione di un
documento a imitazione di quello vero, mentre l’operazione di alterazione
si rivolge al documento originale il quale viene modificato e manipolato.
L’oggetto materiale di tali condotte illecite è ogni documento
idoneo a fornire informazioni sull’esposizione debitoria del debitore o
sulla sua situazione contabile, dall’estratto bancario al contratto di
finanziamento.
L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, sarà punito il
debitore che ha compiuto il fatto allo scopo di accedere alla procedura di
accordo o di piano del consumatore ex art. 7 o, diversamente dall’ipotesi
sub a), alla procedura di liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss.
5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la
procedura di composizione della crisi
L’art. 15, comma 1, lett. c), d), e) e f) punisce, sempre con la
medesima pena prevista per le ipotesi sopra analizzate (reclusione da sei
mesi a due anni e multa da mille a cinquantamila euro, salvo che il fatto
non costituisca più grave reato), alcune condotte illecite del debitore poste
in essere nel corso della procedura di composizione della crisi da
sovraindebitamento.
La condotta sub c) è connessa alla procedura di liquidazione del
patrimonio poiché punisce chi abbia omesso di indicare i beni
nell’inventario previsto ex art. 14-ter, comma 3.
Si distingue dall’ipotesi sub a) per non richiedere l’elemento
soggettivo del dolo ulteriore orientato verso una specifica direzione; la
condotta in questo caso integra un illecito già come attività omissiva, non
è necessario l’attività dissimulatoria. Non è richiesto il dolo specifico,
bensì il dolo generico.
190
La disposizione non prevede una graduazione dell’illecito rispetto
alla rilevanza economica del bene non indicato, per cui si deve ritenere
che sia integrata la fattispecie delittuosa anche quando sia stato
volontariamente o consapevolmente omessa l’indicazione di un bene di
valore non elevato.
L’ipotesi sub c) è più severa rispetto a quella sub a), ed è difficile
comprendere la ragione di una maggiore severità che il legislatore impone
nell’ambito della procedura di liquidazione rispetto a quanto previsto in
materia di accordi o di piani ex art. 7.
Probabilmente la spiegazione di questo sbilanciamento in termini
di severità nei confronti della procedura ex artt. 14-ter dipende,
probabilmente, dal fatto che il legislatore ha ritenuto di maggior favore
per il debitore la procedura di esdebitazione attraverso la liquidazione dei
propri beni, rispetto a quella dell’accordo o del piano, che in concreto si
risolve in una ben magra soddisfazione per i creditori209.
Anche se l’omessa indicazione dei beni nell’inventario non rientra
fra le cause di revocabilità del provvedimento di esdebitazione, è
necessario ricordare che la condanna per uno dei reati di cui all’art. 16 l.
fall. configura come condizione di inammissibilità per la liberazione del
debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non
soddisfatti.
Invece, se l’omissione non viene scoperta prima del
provvedimento di esdebitazione, il decreto emanato non potrà essere
revocato, non essendo espressamente prevista tale ipotesi dal legislatore,
salvo però il caso in cui l’omissione sia stata posta in essere per favorire
un creditore a danno degli altri, in questo caso infatti il provvedimento è
revocabile ex art. 14-terdecie, comma 5, lett. a).
Sub c) è punita l’esecuzione di pagamenti non previsti nel piano
oggetto dell’accordo di ristrutturazione o nel piano del consumatore.
209 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. cit., p. 4.
191
Il pagamento difforme ex art. 13, comma 4, risulta inefficace nei
confronti dei creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la
pubblicità di cui agli artt. 10, comma 2, e 12-bis, comma 3.
Una simile previsione promuove una interpretazione
maggiormente restrittiva della fattispecie delittuosa, in base alla quale il
reato si configura solo se sussiste un pregiudizio nei confronti dei
creditori anteriori tutelati dalla generica inefficacia del pagamento.
Altra fattispecie delittuosa è individuata dalla condotta sub e) che
ha natura residuale, ricomprendendovi tutte quei comportamenti del
debitore che, a seguito del deposito della proposta di accordo o di piano
del consumatore e per tutta la durata della procedura, possono aggravare
la sua esposizione debitoria.
Le condotte punibili sono quelle che determinano forme di debito
non essenziali rispetto alle necessità del quotidiano, e ulteriori e diverse
rispetto a quelle previste dal piano o dall’accordo210.
Infine, viene sanzionato il debitore che intenzionalmente non ha
rispettato i contenuti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del piano
del consumatore (sub f)).
La condotta è punita solo quando produce un pericolo concreto
alle ragioni dei creditori coinvolti. “La fattispecie è volta a punire
l’intenzionale o addirittura preordinata frustrazione delle aspettative di
recupero patrimoniale dei creditori, che il puntuale adempimento
dell’accordo, al pari dell’esecuzione del piano, sono deputati a
garantire”211. Sono punite dalla lett. f) le sole forme intenzionali di
inadempimento: è punito il debitore che pur potendo conformarsi
all’accordo sceglie invece di violarne il contenuto.
Da questa rassegna dei reati compiuti dal debitore nel corso della
procedura risulta che l’elemento psicologico che deve integrare la
210 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. ult. cit., p. 5. 211 A. FIORELLA – M. MASUCCI, Gestione dell’impresa e reati fallimentari, Torino, 2014, p. 223.
192
fattispecie delittuosa è il dolo generico, che assume i connotati di dolo
intenzionale nell’ambito delle ipotesi sub f).
Perché si configuri il reato il soggetto deve aver agito proprio per
perseguire la violazione dell’accordo, non essendo sufficiente che egli
agisca con dolo diretto, cioè che gli si rappresenti l’evento come
verificabile con elevato grado di probabilità, o con dolo eventuale, cioè
che egli accetti il rischio che l’evento si verifichi, è necessario, invece,
che l’evento sia voluto e realizzato come obiettivo immediato e diretto
della condotta e accessorio di questa212.
È necessario chiarire che, mancando disposizioni analoghe a
quelle di cui all’art. 222 l. fall. (“Fallimento delle società in accomandita
e in nome collettivo”) e di cui al Capo II del Titolo VI l. fall. (“Reati
commessi da persone diverse dal fallito”), quando il debitore ha natura di
impresa collettiva il soggetto attivo del reato va individuato nella persona
fisica che ha posto la firma nella proposta di accordo di ristrutturazione o
nella domanda di liquidazione e negli altri titolari di poteri gestori.
È possibile inoltre imputare il comportamento delittuoso a titolo di
concorso alla condotta di altri soggetti, quali i componenti degli
Organismi di composizione della crisi213.
5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione
della crisi
L’art. 16, commi 2 e 3, l. n. 3/2012 individua le condotte illecite
poste in essere dagli Organismi di composizione della crisi o dal
professionista di cui all’art. 15, comma 9, alle quali l’ordinamento
risponde con la pena detentiva da uno a tre anni e con la multa da mille a
cinquantamila euro.
212 A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 102. 213 A. DI AMATO, op. ult. cit., p. 101.
193
La previsione di una specifica responsabilità penale per gli OCC
sembra soddisfare, almeno nelle intenzioni del legislatore, l’esigenza di
controbilanciare gli ampli e i molteplici poteri degli organi di controllo,
contribuendo a limitare il rischio di conflitti di interesse214.
A essere punito è l’Organismo di composizione della crisi o il
professionista che rende false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati
contenuti nella proposta di accordo di ristrutturazione o piano del
consumatore o nei documenti allegati, in ordine alla fattibilità del piano
del consumatore e nelle relazioni che l’OCC e il professionista sono
chiamati a redigere con riguardo al piano del consumatore, all’accordo di
composizione della crisi e alla liquidazione del patrimonio.
In questo ambito è stato sostenuto che le fattispecie in esame
assumono una rilevanza maggiore, sono infatti intese come reati
ricompresi tra quelli posti a tutela della fede pubblica in ragione
dell’affidamento che certi documenti redatti da determinati organi
producono215.
È stata inoltre evidenziata la difficoltà di individuare un falso
nell’ambito di una previsione di fattibilità in quanto si tratta di una
valutazione su elementi che si distinguono dalla verità storicamente
intesa, inoltre già di per sé la materia è opinabile.
Il falso infatti dovrà essere ricercato non negli aspetti valutativi
dell’Organismo o del professionista, ma nei parametri su cui le
valutazione trovano ragione di esistenza e “saranno appunto la veridicità e
a completezza dei dati e dei parametri su cui quelle valutazioni basano la
propria ragione d’essere a costituire il momento di verità su cui operare il
controllo”.
Dopotutto infatti non viene punito il fatto di attestare falsamente la
fattibilità, ma piuttosto quello di rendere false attestazioni sulla fattibilità
medesima.
214 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2081. 215 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. cit., p. 6.
194
Anche nell’ambito del reato di falso di cui all’art. 16, comma 2,
può accadere che la condotta illecita sia posta in essere da un terzo
soggetto, autore mediato ai sensi dell’art. 48 c.p.: se il reato è determinato
dall’altrui inganno, del fatto della persona ingannata risponde chi l’ha
determinata a commetterlo.
È possibile inoltre che il reato sia compiuto dall’OCC o dal
professionista col concorso di soggetti terzi, quali ad esempio i creditori o
lo stesso debitore.
L’elemento soggettivo del reato è in ogni caso il dolo generico.
In ambito fallimentare si ha un sistema sanzionatorio analogo a
quello di cui al secondo comma dell’art. 16: l’art. 236-bis è stato
introdotto con il d.l. n. 83/2012 “Il professionista che nelle relazioni o
attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo
comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false
ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione
da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è
commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per se' o per altri, la
pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è
aumentata fino alla metà”.
Il terzo comma dell’art. 16 l. n. 3/2012 prevede un ulteriore reato
che punisce il componente dell’Organismo di composizione della crisi o il
professionista che cagioni un danno ai creditori omettendo o rifiutando,
senza giustificato motivo, un atto del suo ufficio.
Il requisito di sussistenza del delitto è l’assenza di giustificazione,
poiché il semplice ritardo non configura il reato di omissione o rifiuto,
salvo che l’urgenza dell’atto imponga di provvedere216.
In merito allo specifico caso dell’omissione, è necessario ricordare
che secondo le disposizioni comuni l’atto è omesso quando sia decorso
inutilmente il termine ultimo per il suo compimento.
216 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. ult. cit., p. 7.
195
Nella legge n. 3 del 2012 ho segnalato, in più occasioni durante la
trattazione, l’assenza di previsioni di termini specifici. Al di fuori dei
termini dettagliati di cui agli artt. 9, comma 1, 12-ter, comma 1, 14-ter,
comma 4, e 15, comma 11, i casi che residuano non sono
sufficientemente disciplinati e ciò costituisce un “impaccio all’operatività
della norma”217.
L’intenzione del legislatore nel disciplinare tali ipotesi delittuose
è, probabilmente, quella di arginare un ricorso disinvolto alle procedure di
composizione della crisi da sovraindebitamento che potrebbe condurre ad
un abuso delle stesse218.
Il corretto svolgimento della procedura rappresenta uno strumento
efficacemente orientato al regolare svolgimento dell’economia e alla
tutela dei creditori. Questa è sostanzialmente la ragione che ha sotteso la
previsione di un apparato sanzionatorio contro le condotte illecite dei
debitori e degli Organismi di composizione della crisi, anche in
riferimento alle ipotesi di composizione monocratica dell’organismo.
217 A. FIORELLA – M. MASUCCI, op. cit., p. 232. 218 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2083.
196
CAPITOLO VI
Spunti per un’ulteriore analisi: l’imprenditore agricolo tra gli accordi ex
art. 182-bis l. fall. e la l. n. 3/2012. Osservazioni conclusive in merito alle
procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
e relative criticità.
Sommario: 6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la
l. n. 3/2012 - 6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure
concorsuali all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l.
fall. – 6.1.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione ex
art. 182-bis l. fall. o l. n. 3/2012? – 6.2. Considerazioni conclusive e criticità
persistenti nella l. n. 3 del 27 gennaio 2012
6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la
l. n. 3/2012
6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure concorsuali
all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall.219
La legge fallimentare, nonostante le modifiche intervenute con la
Riforma, continua a prevedere l’assoggettamento al fallimento del solo
219 Una parte della dottrina sostiene l’inquadramento degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis nell’ambito dei procedimenti concorsuali. Questi sostengono che tali accordi, nonostante siano stricto sensu ricompresi nel settore privatistico, finiscono per confluire in un procedimento che presenta caratteristiche proprie delle procedure concorsuali in luogo di aspetti quali la volontà di superare l’insolvenza, la necessità del consenso dei creditori che libera il debitore e soprattutto la finalità pubblicistica. Quest’ultimo aspetto emergerebbe da due elementi della procedura in commento: il rispetto del principio della concorsualità e la soggezione al vaglio del giudice. Se il rispetto del principio della concorsualità fosse in grado di esprimere la finalità della disposizione, l’accordo ex art. 182-bis si collocherebbe ben oltre la volontà di soddisfare il singolo creditore aderente andando a tutelare interessi più generali (ne potrebbe essere un esempio il divieto di esercizio di azioni cautelari o esecutive individuali da parte dei creditori anteriori all’accordo sul patrimonio del debitore). La natura concorsuale si evincerebbe anche dalla esenzione dalla revocatoria fallimentare. La mancanza di una falcidia per i creditori non aderenti costituirebbe invece ragione per l’argomentazione contraria. Atra parte della dottrina sostiene la possibilità di inquadrare gli accordi di ristrutturazione come species del più ampio genus “concordato” e in luogo di una simile ricostruzione estenderebbe gli effetti connessi all’omologa del concordato anche agli accordi ex art. 182-bis. Per una esaustiva analisi delle diverse tesi in merito all’inquadramento degli accordi di ristrutturazione dei debiti e per l’individuazione dei relativi contributi della dottrina, non essendo nello specifico questo aspetto oggetto della seguente trattazione, rimando a A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1230 ss.
197
imprenditore commerciale fallibile. È imprenditore commerciale fallibile
un imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. che svolge una delle categorie
di attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c. e soddisfa i requisiti
dimensionali del secondo comma dell’art. 1 l. fall.
L’imprenditore agricolo, invece, si distingue dall’imprenditore
commerciale per l’oggetto della sua attività e da tale distinzione
scaturisce una regolamentazione diversa.
Chi è imprenditore agricolo è esonerato dalla tenuta delle scritture
contabili ex art. 2214 c.c. e dall’assoggettamento alle procedure
concorsuali ex art. 2221 c.c.; era inoltre esonerato anche dall’iscrizione
nel registro delle imprese, salvo la previsione di una deroga per le società
(art. 2136). Solo a partire dal 1993 l’imprenditore agricolo ha l’obbligo di
iscrizione nel registro delle imprese, in origine con funzione di pubblicità
notizia e successivamente anche con funzione di pubblicità legale, in
luogo dell’intervento dell’art. 2 del d.lgs. n. 228/2001220.
L’oggetto che definisce e di conseguenza distingue l’attività
agricola da quella commerciale è descritto dall’art. 2135 c.c., il cui dato
testuale è stato modificato dal d.lgs. n. 228/2001 nel senso di ampliare
significativamente il novero di attività che qualificano l’attività
dell’imprenditore come agricola.
L’attuale formulazione dell’art. 2135 c.c. riconferma quanto già
espresso dalla versione originaria dell’articolo, per cui è imprenditore
agricolo colui che esercita attività di coltivazione del fondo, o
selvicoltura, o allevamento degli animali o attività connesse.
Il secondo comma sancisce indiscutibilmente l’elemento del ciclo
biologico quale caratteristica distintiva dell’attività agricola, superando
così il principio dell’inerenza al fondo, che aveva invece definito l’attività
dell’imprenditore agricolo nella versione precedente della disposizione.
220 La pubblicità notizia consente di rendere accessibili a terzi le informazioni legislativamente ritenute interessanti, ma la pubblicità legale produce un effetto ulteriore, determina l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti resi riconoscibili attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese.
198
“Per coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali si
intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico
o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale,
che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci,
salmastre o marine” (art. 2135, comma 2, c.c.).
Il comma in commento definisce le c.d. attività agricole essenziali
e il legislatore le qualifica come tali anche quando prescindono del tutto
dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti.
In luogo di una simile definizione, nettamente più ampia della
precedente, rientrano fra le attività di coltivazione del fondo anche
l’orticoltura, le coltivazioni in serra o in vivai, o la floricoltura; rientrano
nella selvicoltura le attività che hanno come caratteristica principale la
cura del bosco per ricavarne i relativi prodotti; nell’allevamento degli
animali rientrano gli allevamenti in batteria, così come gli allevamenti di
cavalli da corsa o di animali da pelliccia o l’attività di cinotecnica; in
luogo di una simile definizione non sorgono dubbi nell’identificare
l’acquacoltura come attività agricola o nell’accostare la figura
dell’imprenditore agricolo a quello ittico221. Queste attività in passato
erano considerate estranee all’agricoltura poiché non soddisfacevano il
requisito dell’inerenza al fondo.
Il primo comma dell’art. 2135 c.c. menziona, oltre alle attività
agricole essenziali, le cc.dd. attività connesse che sono definite dal terzo
comma e distinte in due ordini di categorie.
Sono attività connesse quelle attività dirette alla manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di
prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale; sono
altresì connesse le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante
l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate
nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del
221 G. M. CAMPOBASSO, op. cit., pp. 49-51.
199
territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche
disciplinate dalla l. n. 96/2006.
Le attività connesse sono oggettivamente commerciali, ma sono
dalla legge qualificate come agricole quando sono esercitate in
connessione con una delle tre attività agricole essenziali. Sono attività
agricole quando hanno ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente
dall’esercizio dell’attività agricola essenziale o dall’utilizzazione
prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate
nell’attività agricola. Per una simile qualificazione è ovviamente
necessario che chi pone in essere l’attività per connessione sia comunque
un imprenditore agricolo.
La nozione di imprenditore agricolo ha sostanzialmente funzione
negativa, ha la funzione di restringere l’ambito di applicazione della
disciplina prevista per l’imprenditore commerciale, tra cui l’operatività
delle disposizioni che regolano le procedure concorsuali222.
L’esclusione dell’imprenditore agricolo dall’accesso alle
procedure concorsuali si fonda tuttavia su una suggestione non più
adeguata ai tempi 223 . La ragione che sottendeva l’impossibilità di
accedere a soluzioni concorsuali dell’insolvenza era motivata dal rischio
ambientale e climatico che, già fisiologicamente, gravava su chi svolgeva
l’attività di agricoltore o allevatore. L’ordinamento attraverso l’esonero
voleva sottrarre tali soggetti dal procedimento fallimentare, che,
nell’assetto precedente alla riforma, veniva valutato alla stregua di un
regime sanzionatorio.
Attualmente l’evoluzione tecnologica ha concesso maggiori
strumenti di tutela da rischi ambientali e climatici, per cui una simile
esclusione non trova più ragione di esistere, soprattutto se si tiene
presente il mutato orientamento in merito alla qualificazione del
fallimento, che oggi ha fortemente ridimensionato i suoi connotati
sanzionatori. 222 G. M. CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 47. 223 C. CECCHELLA, op. cit., p. 19.
200
L’inclusione di attività commerciali nel novero delle attività
agricole ha posto ulteriori dubbi sulla legittimità della scelta del
legislatore di escludere l’imprenditore agricolo tra i soggetti che possono
fruire delle procedure concorsuali224.
L’anacronistica esclusione dell’imprenditore agricolo dalle
soluzioni in rimedio all’insolvenza sembra essere sostenuta anche dal
legislatore che, rimasto inerte per lungo tempo, è invece intervenuto
sull’argomento in più occasioni negli ultimi anni, in primo luogo con il
d.l. n. 98/2012 convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, e
successivamente affrontando la questione del sovraindebitamento, prima
con il d.l. n. 212/2011, poi con la l. n. 3 del 2012 e infine con il d.l. n. 179
del 2012.
A fronte di questa esclusione dal fallimento, prima dei menzionati
interventi, vigeva esclusivamente la disciplina codicistica che assoggetta
il debitore imprenditore agricolo alla responsabilità patrimoniale perpetua
di cui all’art. 2740 c.c., che si articola attraverso il soddisfacimento
coattivo dei creditori sui beni del debitore.
La legge 15 luglio 2011, n. 111, all’art. 23, comma 43, riconosce
espressamente, per la prima volta, all’imprenditore agricolo la possibilità
di accedere alla soluzione negoziale di cui all’art. 182-bis l. fall. e
contestualmente specifica il carattere transitorio della stessa disposizione
enunciando le seguenti parole: “in attesa di una revisione complessiva
della disciplina dell’imprenditore agricolo, gli imprenditori agricoli in
stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli
artt. 182-bis e 182-ter del r.d. 16 marzo 1942, n. 267”.
In luogo della legge 27 gennaio del 2012, n. 3, o più precisamente
a seguito delle modifiche intervenute col d.l. n. 179/2012,
all’imprenditore agricolo è ora concesso l’accesso alle procedure
concorsuali di composizione della crisi, nello specifico alla procedura di
224 L. VECCHIONE, L’impresa agricola tra attività strumentali, commerciali e strumenti di composizione della crisi, in Analisi giuridica dell’economia, 2014, I, Parte II, p. 5.
201
accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7 per espressa previsione
dello stesso art. 7, comma 2-bis, e alla procedura di liquidazione del
patrimonio ex artt. 14-ter ss.
Il dato testuale dell’articolo 14-ter utilizza il termine “debitore” e,
diversamente dall’art. 7, non menziona espressamente la figura
dell’imprenditore agricolo.
Sembra difficile superare il dubbio circa l’estensione della
procedura di liquidazione del patrimonio dei beni di cui agli artt. 14-ter
ss. anche a favore dell’imprenditore agricolo: l’art. 7, comma 2-bis, come
già ribadito, prevede che l’imprenditore agricolo possa proporre un
accordo di composizione della crisi secondo le disposizioni della
“presente sezione”, non includendo così il Capo II che disciplina invece la
liquidazione dei beni.
L’interpretazione corretta sul piano letterale escluderebbe
all’imprenditore agricolo la fruizione della procedura ex artt. 14-ter ss.
Tuttavia una simile interpretazione si espone a dubbi di
costituzionalità, risultando il trattamento dell’imprenditore agricolo più
sacrificato senza apparente giustificazione rispetto a quello degli altri
soggetti non fallibili che hanno invece l’accesso ad entrambe le procedure
di composizione della crisi, e rispetto a quello dei consumatori in stato di
sovraindebitamento passivo che possono intraprendere la via esclusiva del
piano del consumatore. Inoltre non risulterebbe armonizzabile tale
esclusione con la previsione della possibilità di accesso alla liquidazione
riconosciuta, invece, all’imprenditore agricolo in caso di conversione ex
art. 14-quater. Per tali motivi si ritiene opportuno riconoscere anche
all’imprenditore agricolo la possibilità di attivare la liquidazione dei beni
come via perfettamente alternativa all’accordo ex art. 7.
Di seguito l’oggetto della trattazione si concentrerà sulle novità
apportate dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, e soltanto nel paragrafo
successivo si procederà a un’analisi comparata delle procedure
202
attualmente azionabili dall’imprenditore agricolo, tentando di individuare
i profili di convenienza di ciascuna rispetto alle altre.
Il comma 43 dell’art. 23 della l. n. 111/2011 nel riconoscere anche
all’imprenditore agricolo l’opzione della procedura di cui agli artt. 182-
bis e 182-ter l. fall. utilizza il mero termine “imprenditore agricolo” senza
dare ulteriori specificazioni, per cui rimane aperta la questione se anche i
piccoli imprenditori che svolgono attività agricola di cui all’art. 2135 c.c.
possano attivare le procedure di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall.
Si dovrebbe concludere con il non riconoscere limitazione
all’applicazione della norma in luogo delle dimensioni dell’impresa, per
cui l’operatività della disposizione non deve intendersi limitata alle sole
imprese agricole non piccole225.
Ciò che risulta è un trattamento differenziato degli imprenditori
agricoli rispetto agli imprenditori commerciali nell’ambito delle
procedure di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l. fall. Agli imprenditori
agricoli, a prescindere dalla dimensione dell’impresa, è consentito
accedere a tali soluzioni negoziali, mentre per gli imprenditori
commerciali è necessaria quale condizione per l’accesso la presenza dei
requisiti di cui al secondo comma dell’art. 1 l. fall.
L’art. 182-bis nell’individuare il soggetto che ha la possibilità di
azionare i suddetti accordi di ristrutturazione dei debiti utilizza
semplicemente il termine “imprenditore”, non dando nessuna ulteriore
specificazione, e in luogo di ciò la dottrina ha espresso opinioni diverse.
Alcuni sostengono che la scelta del termine “imprenditore” senza
alcuna ulteriore connotazione dimensionale permetta di poter includere
nel novero dei proponenti tutti gli imprenditori commerciali non
fallibili226, se così fosse si attenuerebbe la differenza tra le due discipline
in esame degli accordi ex art. 182-bis l. fall. e degli accordi ex art. 7 l. n.
3/2012.
225A. IANNARELLI, Impresa agricola e fallimento, in Agricoltura Istituzioni e Mercati, 2012, p. 93. 226 C. CECCHELLA, op. cit., p. 275.
203
La rispondenza della formula utilizzata nella legge n. 111/20111
di “imprenditore agricolo” con la definizione di cui all’art. 2135 c.c.
permette di concludere che tutti gli imprenditori agricoli possono
beneficiare di tali rimedi, siano essi imprenditori individuali o impresa
collettiva227.
L’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. dei debiti è un
accordo stragiudiziale per la regolazione della crisi dell’impresa: è un
accordo privatistico che tuttavia condivide con le soluzioni concorsuali
una natura pubblicistica, poiché per la sua efficacia deve essere sottoposto
al vaglio dell’autorità giudiziaria228.
L’accordo si articola in due fasi, una prima stragiudiziale durante
la quale si forma l’accordo coi creditori, e una seconda giudiziale in cui si
sottopone al vaglio dell’omologa del giudice l’accordo su cui si è formato
il consenso di tanti creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento
dei crediti. L’omologa del giudice conferisce efficacia e stabilità
all’accordo attraverso l’esenzione dalla revocatoria fallimentare (art. 67,
comma 3, lett. e) l. fall.). Sono accordi presi “con la maggioranza” e non
“a maggioranza”, che vincolano soltanto i creditori aderenti.
L’imprenditore stipula un accordo coi creditori e successivamente
lo sottopone al vaglio del giudice.
Una volta stipulato l’accordo coi creditori, l’imprenditore in stato
di crisi deve depositare presso la cancelleria del tribunale un ricorso,
corredando tale domanda con la stessa documentazione necessaria
prevista in materia di concordati ex art. 161 l. fall.. Contestualmente alla
domanda di omologazione deve essere presentata la relazione redatta da
un professionista, designato dal debitore, sulla veridicità dei dati aziendali
e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel
rispetto del termine di centoventi giorni dall’omologazione, in caso di
crediti già scaduti a quella data, e del termine di centoventi giorni dalla 227 A. IANNARELLI, op. loc. ult. cit. 228 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1230.
204
scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data di omologazione.
Il professionista deve accertare inoltre il raggiungimento del 60% dei
crediti.
La formazione dell’accordo è rimessa totalmente all’autonomia
privata, e, in una simile ottica, il silenzio del legislatore in merito al
contenuto dell’accordo manifesta l’ampia libertà e autonomia delle parti
nella gestione della soluzione adottabile. L’accordo può avere anche un
contenuto esclusivamente liquidatorio, dopotutto l’unico fine che deve
essere perseguito è il ripristino della solvibilità e non la conservazione
dell’impresa, nonostante sia un’eventualità fra le altre cose auspicabile.
La capacità dell’accordo di incidere sui rapporti preesistenti è
rimessa alla determinazione delle parti.
Non è condizione di validità dell’accordo il rispetto della par
condicio creditorum, in ogni caso la disparità di trattamento deve essere
pattuita dalle parti.
È possibile un’articolazione dei creditori in classi, sebbene risulti,
diversamente dal concordato, irrilevante nella determinazione della
maggioranza, non essendo prevista l’adunanza con votazione. I
trattamenti differenziati sono dunque possibili purché vi acconsentano i
creditori appartenenti a ciascuna classe229.
L’unico vincolo che sussiste nella determinazione del contenuto
dell’accordo è la previsione dell’integrale pagamento dei creditori
estranei.
L’accordo di ristrutturazione dei crediti raggiunto
dall’imprenditore deve essere pubblicato nel Registro delle imprese, dal
giorno della sua iscrizione l’accordo ex art. 182-bis acquista efficacia e
decorre il termine di trenta giorni per la presentazione delle opposizioni.
Da quella data diviene altresì operativo, per la durata di sessanta giorni, il
divieto per i creditori con titolo o causa anteriore di iniziare o proseguire
azioni esecutive o cautelari individuali.
229 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1238.
205
Entro trenta giorni dalla data della pubblicazione i creditori o ogni
altro interessato possono proporre opposizione innanzi al tribunale.
Il tribunale entro trenta giorni dalla presentazione della domanda
dell’imprenditore si deve pronunciare sul ricorso. Il giudice procede
innanzitutto alla decisione sulle opposizioni e successivamente esamina il
ricorso e omologa l’accordo in camera di consiglio con decreto motivato.
Il giudizio di omologazione non rappresenta un controllo di
opportunità, ma un controllo di legittimità sostanziale sulla funzionalità e
sull’effettiva attuabilità del piano. Inoltre la previsione ad opera del
legislatore di forme camerali “pure” esclude un giudizio di merito
sull’opportunità nell’accordo230.
Avverso il decreto di omologa è possibile presentare reclamo
innanzi alla corte d’appello entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel
registro delle imprese.
L’omologa stabilizza gli effetti che l’accordo ha prodotto in
precedenza a partire dalla sua pubblicazione nel Registro delle imprese.
L’art. 67, comma 3, lett. e) stabilisce che gli atti, i pagamenti e le
garanzie compiute in esecuzione dell’accordo sono esenti da revocatoria
fallimentare nell’eventuale successivo fallimento.
La l. 111/2011 ha esteso anche all’imprenditore agricolo la
fruizione dell’istituto della transazione fiscale, istituito nel nostro
ordinamento con il d.lgs. n. 5/2006 e attualmente regolato dall’art. 182-ter
l. fall.
L’imprenditore agricolo nell’ambito di un accordo di
ristrutturazione dei crediti ex art 182-bis l. fall. può proporre una
transazione fiscale.
Attraverso la transazione fiscale l’amministrazione finanziaria può
transigere le proprie pretese nell’ambito delle procedure di concordato
preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, derogando al
principio tributario della indisponibilità del credito tributario.
230 C. CECCHELLA, op. cit., p. 281.
206
La finalità anche in questo caso è la riduzione della mole di
contenziosi e la volontà di accellerare i tempi di riscossione.
Il presupposto di accesso a una simile procedura è lo stato di crisi
dell’impresa.
Sono oggetto di transazione fiscale i tributi amministrati dalle
agenzie fiscali e i relativi accessori, i contributi amministrati dagli enti
gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria con i rispettivi
accessori, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione
europea.
L’art. 182-ter l. fall. non disciplina né il contenuto, né la forma
della domanda di transazione fiscale, tuttavia indicazioni precise e
specifiche sono state fornite dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 40/E del
18 aprile 2008. Allo stesso modo nulla viene detto sulle modalità di
presentazione della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di
ristrutturazione dei debiti, per cui si rimanda alla già citata circ. n. 40/E e
alla circ. n. 14/E l’individuazione delle modalità specifiche di attuazione
della transazione fiscale in tale specifica ipotesi.
6.2.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione
ex art. 182-bis l. fall. o l. n. 3/2012?
Nell’ultimo decennio il legislatore è intervenuto in materia
fallimentare destabilizzando e innovando la disciplina della crisi
dell’impresa, allo stesso modo negli ultimi anni la sua attenzione si è
rivolta all’imprenditore agricolo, il quale, storicamente escluso
dall’accesso alle procedure concorsuali, grazie alle novità legislative, ha
la possibilità di scegliere tra più strumenti in rimedio alla crisi.
L’imprenditore agricolo, sia esso imprenditore individuale o
impresa collettiva, a fronte del proprio stato di crisi ha la possibilità di
azionare il rimedio negoziale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex
art. 182-bis l. fall. a seguito della espressa previsione contenuta nella l. n.
111/2011. Tale facoltà sembra essergli riconosciuta prescindendo da
207
qualsiasi valutazione ulteriore in merito alla dimensione dell’attività
svolta.
Allo stesso modo l’imprenditore agricolo in stato di
sovraindebitamento può rimediare alla propria esposizione debitoria
attraverso un accordo di cui alla legge n. 3 del 2012 o attraverso la
procedura di liquidazione dei beni del suo patrimonio disciplinata dagli
artt. 14-ter ss. della stessa legge.
Ciò che apparentemente sembra differenziare il rimedio negoziale
dalle procedure concorsuali istituite con la novella è il presupposto
oggettivo.
In riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 182-
bis l. fall. subordina la fruizione del rimedio allo “stato di crisi”
dell’imprenditore. A fornire una definizione sull’espressione utilizzata dal
legislatore è lo stesso art. 160, comma 3, l. fall. “per stato di crisi si
intende anche lo stato di insolvenza”.
Nella nozione di crisi va ricompresa una gamma molto vasta di
situazioni che possono ricomprendere l’insolvenza così come intesa
dall’art. 5 l. fall., ma anche ogni situazione di difficoltà e malessere
economico-finanziario in cui l’impresa può trovarsi; lo stato di crisi può
coincidere anche con situazioni di temporanea difficoltà di adempiere e
l’accordo può essere proposto quando ancora non si è formalizzato alcun
inadempimento231.
In merito alle procedure di composizione della crisi di cui alla l. n.
3 del 2012, rinvio al secondo Paragrafo del primo Capitolo l’analisi del
rapporto tra insolvenza civile e commerciale e la possibilità di distinguere
l’insolvenza del fallibile e il sovraindebitamento del debitore non fallibile
a partire dai differenti interessi tutelati che fanno capo rispettivamente a
situazioni debitorie diverse.
231 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1236.
208
La definizione di sovraindebitamento cui all’art. 6 l. n. 3/2012 non
combacia perfettamente con la descrizione dell’insolvenza offerta dall’art.
5 l. fall.
Una delle principale differenze sul piano letterale, in riferimento
all’incapacità del soggetto non fallibile di adempiere alle proprie
obbligazioni, riguarda la presenza dell’aggettivo “definitiva” in luogo
dell’espressione “non è più in grado”.
Rimando al primo Paragrafo del secondo Capitolo l’analisi del
presupposto oggettivo delle nuove procedure concorsuali in materia di
sovraindebitamento, tuttavia ricordo, sommariamente, che l’impiego del
termine “definitiva” sembra esser stato scelto in realtà proprio per
distinguere il fenomeno del sovraindebitamento dallo stato di crisi,
facendo residuare così l’insolvenza che risulta dal testo vigente species
del genus sovraindebitamento.
Ad accedere alla procedura è dunque solo chi è insolvente e non
anche chi sia in una situazione di mera difficoltà temporanea.
Potrebbe confermare l’intento del legislatore di distinguere il
presupposto del sovraindebitamento da quello dello stato di crisi
l’utilizzo dell’aggettivo “perdurante”, che evoca una situazione di chiara
non transitorietà, che invece è tipica dello stato di crisi, dopotutto “un
aspetto certamente comune all’insolvenza è costituito dal fatto che la
situazione non deve essere transitoria”232.
È comunque necessario sottolineare come una certa dottrina
ammetta la difficoltà di distinguere con chiarezza tra lo stato di
insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., lo stato di crisi e le situazioni di
sovraindebitamento233.
Uno dei principali aspetti che l’imprenditore agricolo potrà tenere
di conto nell’opzione fra lo strumento negoziale e le procedure
concorsuali della novella attiene allo spossessamento del debitore: tale
effetto non si verifica negli accordi ex art. 182-bis l. fall., mentre approda 232 M. FABIANI, op. cit., p. 5. 233 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2033.
209
nella sfera del debitore quando questi scelga la procedura di liquidazione
dei beni ex artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012, o la subisca come conversione di
un accordo di composizione della crisi (in merito agli effetti del decreto di
apertura della procedura di liquidazione rimando al Paragrafo 3.4.).
Nell’accordo di cui alla l. n. 3/2012 a decorrere dalla data del
decreto di ammissione alla procedura e sino alla data di omologazione
dell’accordo, il debitore ha l’obbligo di ottenere l’autorizzazione del
giudice per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione, altrimenti risultano inefficaci rispetto ai creditori
anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto (art.
10, comma 3-bis). Questa norma viene mutuata dalle soluzioni
concordate, infatti l’art. 167 l. fall. prevede che, una volta aperta la
procedura, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere
compiuti solo se autorizzati dal giudice delegato. La ratio della norma è
quella di fornire adeguata tutela all’interesse dei creditori alla capienza
del patrimonio, affinché sia idonea a soddisfare i loro interessi. La
disposizione sembra realizzare una sorta di spossessamento attenuato.
Il quinto comma dell’art. 10 l. n. 3/2012 dispone che il decreto di
fissazione dell’udienza deve intendersi equiparato all’atto di
pignoramento, si determina così l’indisponibilità dei beni da parte del
debitore restando preclusa ai creditori posteriori alla comunicazione del
decreto la possibilità di soddisfarsi coattivamente su di essi (c.d.
segregazione del patrimonio).
Nell’accordo di cui alla legge n. 3 del 2012, lo spossessamento
materiale è attenuato, si concentra infatti sul regime dell’obbligatorietà
dell’autorizzazione del giudice a fronte di atti di straordinaria
amministrazione, allo stesso modo lo spossessamento giuridico determina
la sola indisponibilità dei beni a partire dal decreto di fissazione
dell’udienza per l’omologazione equiparato dal legislatore stesso ad un
atto di pignoramento.
210
Prima di procedere all’analisi delle differenze fra gli accordi di
ristrutturazione e le procedure concorsuali di cui alla l. n. 3/2012 è
necessario chiarire la sostanziale differenza procedurale che intercorre fra
gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e gli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012: i primi
hanno natura stragiudiziale, mentre i secondi hanno natura
endoprocessuale, essendo costruiti all’interno del procedimento di
composizione della crisi.
Negli accordi di ristrutturazione dei debiti il procedimento si apre
col deposito di un accordo già raggiunto con una determinata percentuale
di creditori, il procedimento di composizione della crisi ha invece inizio
con il deposito di una proposta di accordo formulata con l’ausilio degli
OCC su cui deve manifestarsi ancora il placet dei creditori.
Gli accordi ex art. 182-bis l. fall. ed ex art. 7 l. n. 3/2012 hanno un
contenuto pressappoco illimitato, avendo il debitore la possibilità di
decidere su qualsiasi contenuto, potrà accadere ad esempio che l’accordo
abbia carattere liquidatorio.
Nella procedura di liquidazione dei beni l’universalità connota
inequivocabilmente la procedura di cui agli artt. 14-ter ss.
In entrambe le tipologie di accordo sono ammesse soddisfazioni
parziali dei creditori privilegiati.
Negli accordi di sovraindebitamento l’art. 7, comma 1, prevede
che la soddisfazione parziale sia possibile, purché il pagamento non sia
inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale
sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato
attribuibile ai beni o ai diritti su cui insiste la causa di prelazione e che ciò
sia attestato nella relazione degli Organismi di composizione della crisi.
Il contenuto degli accordi è, come già detto, pressappoco illimitato
in entrambe le procedure (l’effetto novativo può prodursi con falcidia,
datio in solutum, dilazione o libere modalità di adempimento), tuttavia
nell’ambito della soluzione ex art. 182-bis l. fall. è presente un’ulteriore
disposizione che subordina l’ammissibilità del contenuto alla previsione
211
che questo garantisca in ogni caso il pagamento integrale dei creditori non
aderenti all’accordo. Nei confronti dei creditori non aderenti la legge n.
134 del 2012 ha previsto una novazione con una dilazione di 120 giorni.
Negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 è prevista quale condizione di
ammissibilità che il piano assicuri il regolare pagamento dei titolari di
crediti impignorabili, oltre agli altri elementi indicati dal secondo comma
dello stesso articolo.
L’art. 8, comma 4, l. n. 3/2012 riconosce la possibilità di
prevedere negli accordi con continuazione di attività di impresa una
moratoria fino a un anno dalla omologazione per il pagamento dei crediti
muniti di privilegio, pegno e ipoteca, salvo che sia prevista la
liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
La sola dilazione di pagamento, e non anche la soddisfazione
parziale, è riconosciuta ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione
europea, all’imposta sul valore aggiunto e alle ritenute operate e non
versate.
L’art. 11 rappresenta l’unica disposizione in materia fiscale della l.
n. 3 del 2012 e prevede che “l’accordo cessa, di diritto, di produrre effetti
se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle
scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo il piano alle
amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e
assistenza obbligatorie”.
È inevitabile riconoscere che l’imprenditore agricolo in stato di
crisi preferirà un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.
fall. in quanto tale istituto, a seguito dell’intervento del d.lgs. n. 169 del
2007, prevede la possibilità per il debitore di proporre un pagamento
anche parziale dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali, anche se la
transazione fiscale ha tuttavia un limite rappresentato dalla impossibilità
del soddisfacimento dei crediti erariali in percentuale inferiore rispetto a
quella prevista a favore dei creditori che godono di un privilegio di grado
inferiore, se entrambi assistiti da privilegio, ovvero alla percentuale
212
garantita ai chirografari, quante volte i crediti erariali siano anch’essi
chirografari234.
La legge n. 3/2012 invece non effettua alcun richiamo alla
disciplina della transazione fiscale.
Per l’imprenditore agricolo quindi non è indifferente scegliere fra
sovraindebitamento e accordi di ristrutturazione, in quanto i secondi
garantiscono l’accesso alla transazione fiscale.
Un altro aspetto fondamentale nell’analisi della convenienza di
queste procedure è legato alla efficacia e vincolatività degli accordi.
L’efficacia dell’accordo ex art. 182-bis l. fall. deriva dalla mera
pubblicazione nel registro delle imprese, mentre per gli accordi ex art. 7 l.
n. 3/2012 deriva dall’omologazione dell’accordo ad opera del giudice.
L’accordo ex art. 182-bis l. fall. ha efficacia solo nei confronti dei
creditori aderenti, nei confronti dei non aderenti il debitore rimane
obbligato per l’intero.
Tra gli effetti che derivano dall’efficacia dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti si colloca l’esenzione dalla revocatoria
fallimentare che generalmente costituisce un aspetto fondamentale nella
scelta degli accordi ex art. 182-bis l. fall. Negli accordi ex art. 7 l. n.
3/2012 è previsto l’esonero dalla revocatoria fallimentare per tutti gli atti
e i pagamenti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato nelle
ipotesi in cui, successivamente rispetto all’attivazione della procedure di
sovraindebitamento, il richiedente soddisfi i requisiti ex art. 1, comma 2,
l. fall. Nell’ambito dell’imprenditore agricolo questo aspetto risulta
totalmente irrilevante data la sua esclusione dalla procedura fallimentare.
Entrambe le tipologie di accordo, ex art. 182-bis l. fall. ed ex art. 7
l. n. 3/2012, presentano effetti inibitori nei confronti delle azioni
esecutive e cautelari e nell’acquisto dei diritti di prelazione ad opera di
creditori aventi tiolo o causa anteriore.
234 A. CAIAFA, op. cit., p. 24.
213
Negli accordi ex art. 182-bis l. fall. l’effetto inibitorio si protrae
fino a sessanta giorni successivi alla data di pubblicazione nel registro
delle imprese.
Tale previsione non è finalizzata a garantire la par condicio
creditorum e ad attribuire elementi di concorsualità agli accordi ex art.
182-bis, ma piuttosto assicura che il patrimonio non venga eroso da azioni
esecutive e cautelari nella fase che precede l’omologazione. La norma è
finalizzata a proteggere i creditori aderenti all’accordo ancor prima del
debitore stesso.
Diversamente, in un ottica di garanzia della par condicio
creditorum, l’effetto inibitorio negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 si
protrae, a pena di nullità, a partire dal decreto di fissazione dell’udienza
finché il provvedimento di omologazione non diventa definitivo (la
sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili) e
nella procedura di liquidazione dei beni del patrimonio ex artt. 14-ter ss.
l. n. 3/2012, a pena di nullità, dal decreto di apertura del procedimento
(tra i crediti non compresi nella liquidazione dei beni sono individuati i
crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.)
L’art. 182-bis l. fall. non menziona la nullità come conseguenza
della violazione del divieto di azioni esecutive e cautelari; la previsione
che connota gli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 e i concordati preventivi ex
art. 168 l. fall. è invece assente negli accordi di ristrutturazione dei debiti,
probabilmente in luogo della diversa finalità che tale inibizione persegue
nell’ambito degli accordi ex art. 182-bis l. fall.
La nullità produrrebbe la caducazione delle azioni e la perdita di
tutti gli effetti già prodotti.
Nel concordato preventivo l’inibizione ha lo scopo di tutelare
l’esecuzione del piano e il pagamento delle percentuali ivi previste, le
azioni esecutive invece impedirebbero il raggiungimento degli obiettivi
della soluzione concordata.
214
Negli accordi di ristrutturazione il blocco delle azioni esecutive e
cautelari è funzionale non alla riuscita del piano, ma al mantenimento del
patrimonio del debitore fino alla conclusione del procedimento e alla
omologazione dell’accordo.
Sembra dunque opportuno interpretare il comma 3 dell’art. 182-
bis l. fall. nel senso che le azioni cautelari o esecutive sul patrimonio,
iniziate dai creditori con titolo o causa anteriore alla data di pubblicazione
nel registro delle imprese, non producono alcuno effetto nei confronti del
patrimonio dell’imprenditore che abbia proposto un accordo di
ristrutturazione. Si verifica quindi una sospensione degli effetti delle
azioni che conservano così i loro effetti tipici in vista della scadenza
dell’intervallo di sessanta giorni dalla data di pubblicazione. Sul piano
processualistico si parla di improcedibilità delle azioni, che se non ancora
iniziate non potranno essere proposte, se iniziate non potranno essere
proseguite, ma piuttosto saranno sospese dal giudice una volta accertata la
pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese.
In luogo dell’intervento del legislatore, l’art.182-bis l. fall.
riformato prevede che il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari
o esecutive o di acquistare diritti di prelazione, se non concordati, da parte
dei creditori aventi titolo o causa anteriore, può essere richiesto
dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della
formalizzazione dell’accordo, depositando, oltre alla documentazione
richiesta (dall’art. 161, commi 1 e 2, lett. a), b), c) e d) l. fall.), una
proposta corredata dalla dichiarazione del professionista sulla idoneità
dell’accordo di garantire l’integrale soddisfacimento dei non aderenti e da
una dichiarazione dell’imprenditore avente natura di autocertificazione
attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che
rappresentano almeno il sessanta per cento dei debiti (art. 182-bis, comma
6).
L’art. 182-bis l. fall. prevede dunque una protezione automatica a
seguito della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese,
215
mentre nella fase precontrattuale la protezione del patrimonio del debitore
scaturisce da una decisione del giudice.
La vincolatività dell’accordo di ristrutturazione dei debiti si
rivolge ai soli creditori aderenti, non c’è alcuna coartazione delle ragioni
creditorie di coloro che non acconsentono.
L’effetto esdebitatorio si realizza invece negli accordi ex art 7 l. n.
3/2012 in luogo del consenso della maggioranza; l’efficacia dell’accordo
ex art. 7 nei confronti di tutti i creditori, anche dissenzienti, è garantito dal
cram down in caso di contestazioni di creditori dissenzienti o esclusi: il
giudice procede comunque all’omologa, nonostante le contestazioni,
quando ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione
dell’accordo in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria di cui agli
artt. 14-ter ss.
Nella procedura di liquidazione dei beni l’esdebitazione è solo
eventuale e accessoria, inoltre è subordinata alla presenza delle condizioni
esaminate nel Paragrafo 3.9., oltre al presupposto che a chiedere tale
beneficio sia il debitore persona fisica.
In sintesi, nel caso specifico dell’impresa agricola, l’effetto
esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori potrà essere raggiunto solo
con gli accordi di cui all’art. 7 della legge n. 3 del 2012, prevedendo la
disciplina degli accordi ex art. 182-bis l’integrale pagamento dei creditori
non aderenti. Nel caso di imprenditore agricolo, persona fisica, in stato di
sovraindebitamento passivo, l’esdebitazione potrà essere raggiunta anche
con lo strumento dell’art. 14-terdecies.
Per espressa previsione dell’art. 11, comma 3, l. n. 3/2012 gli
accordi non pregiudicano i diritti dei creditori nei confronti dei
coobbligati, garanti e fideiussori. Questa previsione rappresenta un
incentivo per i creditori muniti di idonee garanzie alla sottoscrizione
dell’accordo.
L’art. 11 della legge ripropone un principio cardine della logica
concordataria, il “principio di sopravvivenza delle garanzie nell’ambito
216
delle procedure concorsuali”. Regola questa che avvicina la composizione
della crisi alle soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art.
art. 184, secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui
all’art. 182-bis, poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una
riduzione del credito, ma la accetta consensualmente determinando anche
una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.
Un’altra differenza sostanziale fra le due tipologie di accordo
riguarda la fase esecutiva, la cui disciplina è completamente assente negli
accordi ex art. 182-bis l. fall., mentre è espressamente regolamentata per
gli accordi del debitore non fallibile nell’art. 13 l. n. 3/2012. Negli accordi
di ristrutturazione dei debiti la determinazione e le modalità di attuazione
dell’accordo sono evidentemente rimesse all’autonomia privata.
La procedura di risoluzione della crisi ex art. 182-bis l. fall. non
presenta alcun complesso di organi come accade, invece, nell’ambito
della procedura fallimentare o in quella concordataria; la composizione
della crisi da sovraindebitamento nella sua versione vigente, nonostante
presenti elementi di contiguità con le soluzioni concordate, non prevede
la nomina di un commissario giudiziale, mentre invece individua la
presenza di un apposito organismo (l’Organismo di composizione della
crisi) di ausilio al debitore che svolge importanti funzioni, anche di natura
pubblicistica, durante tutto l’arco del procedimento. Rinvio al Capitolo
quattro la trattazione della natura, delle finalità e delle funzioni degli
Organismi di composizione della crisi.
Sia l’accordo ex art. 182-bis l. fall. che l’accordo ex art. 7 l. n.
3/2012 sono soggetti al giudizio di omologa ad opera del tribunale
competente, tale giudizio non ha natura di controllo di opportunità, ma
piuttosto ha natura di controllo di regolarità formale, e solo in caso di
opposizioni o contestazioni da parte di qualche creditore o altro
interessato, ha natura di controllo di legittimità sostanziale sulla effettiva
attuabilità del piano concordato tra imprenditore e creditori.
217
Il giudizio di omologa, in entrambe le tipologie di accordo, ha la
forma di un procedimento camerale puro: nella disciplina degli accordi di
sovraindebitamento si richiamano le disposizioni di cui agli artt. 737 ss.
c.p.c., mentre per gli accordi di ristrutturazione dei debiti si rinvia al
camerale puro in luogo del richiamo generico alla camera di consiglio. Il
reclamo avverso il procedimento di omologa viene presentato di fronte
alla Corte d’appello.
In merito alla figura del difensore tecnico, in luogo del carattere
contenzioso del giudizio di omologa, gli accordi ex art. 182-bis l. fall.
necessitano della difesa tecnica.
Il legislatore non ha espressamente previsto la difesa tecnica del
debitore che presenta la proposta di accordo ex art. 7 l. n. 3/2012, e la
funzione attribuita dalla legge agli OCC non coincide con quella di
rappresentanza processuale.
Il Tribunale di Vicenza ha invece manifestato un’opinione diversa,
stabilendo che “è necessaria l’assistenza tecnica del debitore poiché: 1) la
proposta è una domanda giudiziale con il fine di comporre una crisi
finanziaria e si è in presenza di interessi contrapposti; 2) il ricorso è
introduttivo di una procedura; 3) la procedura si svolge davanti ad un
tribunale; 4) la procedura presenta fasi potenzialmente contenziose.
L’assistenza di un legale che assista il debitore può non essere necessaria
se nell’OCC che concretamente presenta la domanda vi sia anche un
legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della
stessa”235.
Negli accordi ex art. 7 l. n. 3/2012 la relazione è di competenza
degli Organismi di composizione della crisi che redigono una prima
relazione da depositare contestualmente alla domanda del debitore e una
relazione definitiva in occasione del giudizio di omologa. La stessa
giurisprudenza di merito, citata in precedenza, ha comunque riconosciuto
al sovraindebitato la possibilità di avvalersi per la redazione del piano di 235 Tribunale di Vicenza, 29 aprile 2014, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10456.php
218
un soggetto di sua fiducia, ma sarà comunque l’OCC che, in ogni caso,
dovrà far proprio, condividendolo, il piano redatto dal professionista
privato, dovendone verificare inoltre veridicità e fattibilità.
Della attestazione di fattibilità ne rispondono penalmente gli OCC
nelle ipotesi e secondo le pene individuate dall’art. 16 della l. n. 3 del
2012.
Sulle sanzioni penali del debitore non fallibile e dell’organismo di
composizione della crisi si forma un’ulteriore differenza rispetto agli
accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis che, invece, non
disciplinano un apparato sanzionatorio a carico del richiedente.
La relazione sulla fattibilità del piano negli accordi ex art. 182-bis
l. fall. spetta al revisore dei conti iscritto all’albo degli avvocati o dei
dottori commercialisti. La nomina del professionista, che deve inoltre
risultare indipendente, è rimessa al debitore nell’ipotesi ex art. 182-bis l.
fall., in merito alla nomina dell’OCC si rimanda al Paragrafo 4.1.
Il professionista che redige la relazione nell’ambito degli accordi
ex art. 182-bis l. fall. è, rispetto al debitore mandante, responsabile
contrattualmente ex art. 1218 c.c., ritenendo comunque applicabile la
limitazione di cui all’art. 2236 c.c. che esclude la responsabilità per colpa
lieve in caso di problemi tecnici di particolare difficoltà; si reputa altresì
ammissibile l’applicazione dell’art. 1229 c.c. per effetto di specifiche
clausole di esonero della responsabilità236.
Nel Paragrafo che segue verranno indicati, sommariamente, i
principali aspetti critici che incidono sulla disciplina della composizione
della crisi da sovraindebitamento e che sono emersi nell’arco della
trattazione delle tre procedure offerte dal legislatore al debitore non
fallibile in stato di crisi.
236 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 1246.
219
6.2. Considerazioni conclusive e criticità persistenti nella legge n. 3
del 27 gennaio 2012
Dal presente elaborato, e nello specifico nel primo Capitolo, è
emerso che fino all’intervento del decreto Crescita-bis la legge n. 3 del
2012, nella sua versione originaria, non presentava né una struttura né una
disciplina tale da appianare tutte le questioni che la sua assenza aveva
invece sollevato negli anni.
La versione originaria della legge aveva spinto già i primi
commentatori a sostenere l’urgenza di un ulteriore intervento in materia.
Il decreto Crescita-bis ha infatti destabilizzato l’impianto della
legge n. 3/2012 nella sua versione previgente, apportando modifiche
sostanziali alla disciplina, meglio interpretando le aspettative che
soggiacevano alla novella e superando molte delle perplessità che
emergevano dal testo originario.
Tuttavia, per quanto l’intervento del decreto legge sia stato
contestualmente innovativo e correttivo, la legge continua a presentare
criticità nuove o ereditate dalla sua versione originaria.
Il decreto Crescita-bis supera, in parte, la “promiscuità”237 del
regime previgente, il quale attribuiva un unico procedimento di
composizione della crisi da sovraindebitamento a soggetti diversi fra loro
a cui facevano capo situazioni debitorie completamente diverse.
Il vigente testo sembra apparentemente distinguere tra
imprenditore commerciale e consumatore, ma in realtà non ha proposto
una distinzione netta fra le varie tipologie di insolvenza, infatti, a
prescindere dall’ipotesi del piano del consumatore per colui che si trova
in stato di sovraindebitamento passivo, l’accordo di cui all’art. 7 può
essere attivato da un imprenditore commerciale sotto soglia, da un
imprenditore agricolo, da un imprenditore commerciale non più fallibile
ex art. 10 l. fall., da un libero professionista, dal consumatore o dal 237 È così definita la condizione conseguente alla previsione della previgente disciplina di circoscrivere l’applicabilità dell’accordo a tutti coloro che non sono assoggettabili alle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare, in merito v. S. PACCHI, op. cit., p. 717.
220
debitore civile in generale. Quindi una situazione di promiscuità risulta
comunque, in piccola parte, persistente e risulta poco comprensibile
nell’ambito di un ordinamento che invece ha dedicato all’impresa una
specifica e speciale disciplina.
In dottrina è stato evidenziato come l’attuale versione della legge
abbia abbandonato il profilo relativo al sovraindebitamento delle
famiglie, presente invece nella proposta di legge Centaro238.
Il nucleo familiare viene preso in considerazione solo per la
determinazione della quota di reddito necessaria per le spese correnti del
debitore, ma non costituisce un elemento di valutazione delle ragioni del
sovraindebitamento.
Invece sarebbe stata conveniente per il debitore una valutazione
del livello complessivo di indebitamento della famiglia, poiché spesso i
familiari risultano essere coobbligati del debitore principale a causa di
garanzie patrimoniali o personali offerte o in luogo del regime della
comunione legale fra i coniugi.
Eppure l’art. 11 dispone diversamente da una simile
considerazione: “l’accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei
confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di
regresso”. Regola questa che avvicina la composizione della crisi alle
soluzioni concordate (art. 135, secondo comma, l. fall.; art. art. 184,
secondo comma, l. fall.), e allontana invece dagli accordi di cui all’art.
182-bis l. fall., poiché in quest’ultimo caso il creditore non subisce una
riduzione del credito, ma la accetta consensualmente determinando anche
una riduzione contestuale e proporzionale della garanzia.
La previsione di salvezza manca nella procedura di liquidazione
dei beni di cui agli artt. 14-terdecies ss., tuttavia parte della dottrina la
ritiene comunque operante239.
238 E. PELLECCHIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1263 ss. 239 D. VATTERMOLI, op. ult. cit., p. 799.
221
Altra dottrina autorevole sostiene come la previsione della
salvezza dei diritti dei creditori verso coobbligati, garanti e fideiussori
costituisca una deviazione rispetto al principio generale della
propagazione degli effetti favorevoli ai coobbligati in solido di cui all’art.
1301 c.c. e, di conseguenza, è operante solo nei casi in cui sia
espressamente prevista dalla legge; inoltre tale salvezza rischia di gravare
sulla famiglia stessa del debitore esdebitato, poiché è sovente che siano
gli stessi familiari a rivestire la posizione di coobbligati o fideiussori240.
Se il garante è un familiare questo potrà attivare un’autonoma
procedura di composizione della crisi, a fronte di questa possibilità è
necessario interrogarsi sulla convenienza di duplicare le procedure, sia in
termini di costi e tempi, rispetto a situazione dove piuttosto sarebbe stata
auspicabile una considerazione complessiva.
Il profilo della salvezza dei coobbligati rischia di esautorare il
ruolo e l’importanza riconosciuta alla legge n. 3 del 2012, anche in
termini di strumento di protezione sociale, e questo non solo nell’ambito
della procedura di esdebitazione di cui all’art. 14-terdecies, ma anche in
riferimento all’effetto esdebitatorio che si produce con l’accordo del
debitore o il piano del consumatore.
Il non aver considerato la dimensione familiare può comportare il
rischio di un debito residuo che si sposta da componente in componente
familiare, nonché la necessità che ogni coobbligato, familiare del
debitore, apra procedure volte alla liberazione dagli stessi debiti.
In merito al presupposto oggettivo, rimando invece al Paragrafo
2.1. l’analisi del significato della dubbia espressione “patrimonio
prontamente liquidabile”; è comunque necessario sottolineare quanto già
emerso nei precedenti Capitoli, il legislatore non ha fornito una
descrizione di sovraindebitamento che distingua in modo chiaro tale
fenomeno da quello di insolvenza e di crisi.
240 A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 2077.
222
Parte della dottrina si è chiesta quali potessero essere le
motivazioni e quali le conseguenze per la previsione di una riserva
dell’iniziativa attribuita al solo debitore rispetto ai creditori che subiscono
l’arresto delle iniziative esecutive e cautelari o dell’acquisto di diritti di
prelazione sul patrimonio del ricorrente, visto che non è nemmeno
configurabile, salvo particolari ipotesi, un fallimento241.
Tante altre sono le criticità che la legge presenta, alcune di queste
sollevano dubbi in merito alla legittimità costituzionale di alcune
disposizioni.
La fase dell’omologazione solleva dubbi in merito al rispetto del
principio costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. in quanto non è previsto
che le parti abbiano diritto a comparire e ad essere sentite dal giudice, né
che sia garantito il diritto al contraddittorio. La ragione di tale silenzio
può essere rintracciata “nella volontà del legislatore di semplificare il
procedimento, rendendolo vuoto di orpelli e formalismi, tuttavia la
garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale appare ingiustamente
sacrificata”242. Il legislatore non ha tenuto conto delle critiche che erano
state formulate sulla versione previgente della legge n. 3/2012, nello
specifico sulla mancata previsione del contraddittorio in occasione del
giudizio sulla fattibilità del piano e prima della decisione del giudice.
Tuttavia è da ritenere che il rispetto di tale principio comporti che il
giudice debba provvedere in tal senso243.
Parte della dottrina ha definito il piano del consumatore come un
procedimento “anomalo per il nostro ordinamento, che si espone
fortemente al sospetto di incostituzionalità, quantomeno per la lesione
dell’art. 24 Cost”, poiché la procedura “di fatto preclude ai creditori del
consumatore, che abbia ottenuto l’omologazione del piano proposto e che
241 G. LO CASCIO, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012, n. 3), in Fallimento, 2013, p. 814. 242 M. FABIANI, op. cit., p. 12. 243 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 11
223
lo abbia regolarmente eseguito, di agire in giudizio a tutela dei propri
diritti”244.
Oltre alle criticità sopra menzionate la legge n. 3 del 27 gennaio
2012, così come modificata dal d.l. n. 179/2012, presenta numerosi vuoti
normativi.
Più esplicitamente il lettore si scontra con tale incompletezza nella
parte della novella dedicata alla liquidazione dei beni del patrimonio del
debitore non fallibile (artt. 14-ter ss.): il legislatore nell’ambito di tale
procedura non appresta una specifica disciplina in merito agli atti
pregiudiziali, né ai contratti in corso di esecuzione, né alle forme di
prosecuzione aziendale.
Nelle disposizione in materia di liquidazione si trovano iscritte,
non sempre rispettando la massima corrispondenza, alcune regole dettate
anche per il fallimento, senza mai che sia operato un rinvio esplicito alla
legge fallimentare, salvo alcune rare eccezioni già individuate nel
Paragrafo 3.1. La conseguenza di una simile impostazione è l’assenza di
una norma di chiusura che consenta di colmare le lacune che il testo
invece presenta.
La legge n. 3 del 2012 non appresta una specifica disciplina con
riferimento ai rapporti giuridici preesistenti nell’ambito della liquidazione
dei beni, per cui il dubbio che sorge è se il liquidatore possa richiedere al
giudice di sospendere o sciogliere i rapporti in corso nell’interesse dei
creditori. La mancanza di una norma come l’art. 72 l. fall., che consente il
superamento del principio pacta sunt servanda, sembrerebbe far deporre
in senso negativo, tuttavia l’uso del condizionale è necessario in quanto in
tutte le procedure concorsuali tradizionali è prevista una
regolamentazione specifica per i contratti pendenti, che offre agli organi
della procedura, e nell’ipotesi del concordato allo stesso debitore, di
sciogliersi dal vincolo negoziale, salvaguardando così il patrimonio
244 E. SABATELLI, Prime osservazioni su una disciplina in itinere: la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, in Il fallimentarista, 7 novembre 2012, p. 11.
224
responsabile245.
L’assenza di una specifica disciplina può essere legata alla
circostanza che nell’ambito dei soggetti che fruiscono della novella la
regolamentazione della sorte dei contratti pendenti non assume la stessa
rilevanza che assume quando il protagonista della procedura concorsuale
sia un imprenditore commerciale fallibile, però, è anche vero che, ad
accedere alla composizione della crisi da sovraindebitamento possono
essere imprese agricole, anche grandi, che al momento dell’apertura della
procedura potrebbero presentare una grande quantità di contratti in corso
di esecuzione. Sarebbe stata chiaramente più opportuna una
regolamentazione specifica sulla questione.
Un altro vuoto normativo che caratterizza la disciplina della
liquidazione riguarda la fase di riparto dell’attivo, completamente assente
nella legge n. 3/2012.
Un grave limite della disciplina consiste nella mortificazione della
dimensione processuale, avendo il legislatore ritenuto opportuno
cameralizzare tutte le fasi del procedimento di liquidazione246. Sono
inoltre generici i rinvii alla disciplina camerale attraverso il mero
richiamo degli artt. 737 ss. c.p.c.
Un altro aspetto critico legato alla soluzione liquidatoria attiene
alle condizioni richieste per la presentazione della domanda di
liquidazione: far subordinare l’ammissibilità della domanda alla
condizione che non siano posti in essere atti in frode ai creditori appare
fortemente discutibile, poiché l’altra possibilità di accesso alla stessa
procedura in esame è data proprio dal fallimento delle procedure di
accordo o di piano del consumatore, intervenuto per il compimento da
parte del debitore di atti in frode ai creditori.
Un altro elemento dolente della procedura di liquidazione risulta
245 D. VATTERMOLI, op. cit., p. 788. 246 R. DONZELLI, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento del passivo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 67
225
essere l’accesso al beneficio dell’esdebitazione. La difficoltà di accesso a
tale istituto manifesta la natura premiale e rieducativa dello stesso, le
condizioni di meritevolezza previste per il debitore persona fisica sono
talmente gravose che il fresh start per questi debitori rischierà,
probabilmente, di rimanere solo sulla carta247.
L’assenza di una disciplina simile alla revocatoria fallimentare
costituisce nell’effettivo un punto debole nella promozione di tali
procedure. La revocatoria fallimentare si rivolge a tutti quegli atti che
ledono il principio della par condicio creditorum, per cui il pagamento
dei debiti scaduti è oggetto di revocatoria, così come la vendita o
l’acquisto di un bene a un prezzo conforme a quello di mercato se sono
idonei ad alterare la parità di trattamento fra i creditori. La revocatoria
fallimentare si basa sulla presunzione che un atto compiuto dal debitore a
seguito della dichiarazione di fallimento alteri di per sé stesso la par
condicio creditorum.
Nella composizione della crisi da sovraindebitamento è piuttosto
operante la revocatoria ordinaria e rinvio al Paragrafo 3.4. la trattazione
specifica dell’istituto nell’ambito del sovraindebitamento.
Inoltre sono previste nella l. n. 3/2012 esenzioni da revocatoria
fallimentare solo per quei pagamenti e atti posti in essere in esecuzione
dell’accordo omologato (art. 12, comma 5) nelle ipotesi in cui sia
sopravvenuta una dichiarazione di fallimento.
Il legislatore nella costruzione della procedura di liquidazione ex
artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012 incorre in errori abbastanza evidenti.
Il riferimento è all’art. 14-quinquies, secondo comma, lett. b), che,
nell’ambito della procedura di liquidazione, espressamente richiama la
fase di omologazione, stabilendo che sia il decreto stesso a disporre che
sino al momento in cui il decreto di omologazione diventi definitivo, non
possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive
247 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 608.
226
o cautelari, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di
liquidazione da parte dei creditori aventi causa o titolo anteriore.
La disposizione in commento presenta due evidenti errori: il primo
ha ad oggetto il richiamo ad un decreto di omologazione che nella
procedura di liquidazione manca; il secondo riguarda il fatto che il
legislatore probabilmente voleva riferirsi piuttosto che al decreto di
omologa al decreto di apertura del procedimento, ma anche riferendosi a
quest’ultimo la norma non sarebbe in grado di escludere l’aggressione
esecutiva individuale dei beni del debitore da parte dei creditori per tutta
la durata della procedura di liquidazione, che deve avere una durata non
superiore ai quattro anni, durante i quali i beni sopravvenuti vanno a
confluire nel patrimonio espropriato. In merito al richiamo operato dalla
norma al decreto di omologazione, la giurisprudenza di merito ha
manifestato un’opinione diversa rispetto a quella appena considerata per
cui il legislatore farebbe riferimento in realtà non al decreto di apertura,
ma al decreto di chiusura della procedura di cui all’art. 14-nonies, comma
cinque: questa assimilazione permetterebbe di superare il problema sopra
evidenziato248.
Qualsiasi procedimento di composizione della crisi il debitore
scelga, la legge in ogni caso individua poliedriche funzioni in capo agli
Organismi di composizione della crisi. Rinvio al Paragrafo 4.2. l’analisi
dei compiti e dei poteri che la legge attribuisce agli OCC e la trattazione
del conflitto di interessi che scaturisce dall’attribuzione di tali
competenze.
Le procedure di cui alla legge n. 3 del 2012 non sono state inserite
tra le procedure propriamente concorsuali di cui all’Allegato A) del
regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346, né in quelle liquidatorie di cui
all’Allegato B) dello stesso testo normativo. Tale mancato inserimento
impedisce la valenza transfrontaliera delle procedure ivi esaminate, cioè
non risultano opponibili nei confronti di una procedura concorsuale
248 Tribunale di Terni, 20 dicembre 2013, in Il fallimentarista, 3 aprile 2014.
227
pendente all’interno dell’unione Europea. La conseguenza è che una
procedura fallimentare attivata in uno stato comunitario potrà
assoggettare alla liquidazione anche beni che si collocano sul territorio
italiano e che interessano invece la composizione della crisi da
sovraindebitamento secondo una delle procedure di cui alla l. n. 3 del
2012.
Inevitabile concludere con la valutazione che la legge n. 3 del
2012 ha probabilmente tradito le aspettative che avevano motivato il suo
avvento.
Se la prospettiva della disciplina era quella di ridurre la mole di
lavoro dei tribunali italiani, l’intento deflattivo non sembra effettivamente
realizzabile in luogo di un eccesso di giurisdizionalizzazione delle
procedure. Né è stato riservato adeguato spazio all’auspicata cultura
d’impresa.
La legge ha realizzato uno strumento macchinoso, un groviglio di
procedimenti e sub-procedimenti, termini, decadenze, oneri e difficoltà
burocratiche le quali risultano eccessive rispetto alla snellezza e alla
semplicità che invece avrebbero dovuto caratterizzare la novella.
Il timore che sembra emergere è quello di una disciplina che possa
determinare un effetto di segno contrario rispetto all’aspettativa
deflattiva249.
Sarà la pratica piuttosto a smentire quanto appena detto, tuttavia
molte sono le voci in dottrina che non ritengono definitivo l’attuale
assetto della materia e alcune suppongono, altre invece auspicano, che in
un futuro, possibilmente prossimo, vi sia un qualche ripensamento.
Un sentimento non certo isolato quello appena descritto, almeno
così appare a seguito del decreto del 28 gennaio 2015 con cui il Ministro
di Giustizia ha istituito una commissione incaricata, ancora una volta, di
249 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 608.
228
valutare la necessità di ulteriori interventi normativi di ricognizione e
riordino della disciplina delle procedure concorsuali.
Non rimane altro che riconoscere che sarà proprio il futuro
prossimo ad attribuire torti e ragioni.
229
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