il disegno della civiltà. la razionalità nella fede
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Il Disegno della civiltà La razionalità nella fede
Di Saltarelli Cristiano Anthony
Abstract: Il confronto fede-razionalità è rappresentabile nei termini del confronto tra
razionalità causale e razionalità finale. In tale confronto è possibile sviluppare un test di verifica
della congruità dell’esistenza di una razionalità finale che guida la storia umana. Base del test è la
descrizione dello stato di natura, cioè la descrizione di una società compatibile con la legge
evoluzionistica e il suo successivo confronto con la società osservata. Il test è stato condotto in
relazione a due aspetti della società umana, la propensione alla violenza e all’organizzazione di
sistemi istituzionali democratici. Quest’ultimo aspetto, in particolare, ha comportato lo sviluppo di
interpretazioni interessanti in relazione al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e alla nascita
dell’Islam.
1. Il processo cognitivo ................................................................................................................ 3
1.1. Il dibattito fede-razionalità ................................................................................................ 6
2. Il disegno della civiltà .............................................................................................................. 7
2.1. Lo stato di natura............................................................................................................... 8
3. Primo test: La violenza umana. .............................................................................................. 11
4. Secondo Test: I sistemi politici democratici moderni ............................................................ 14
4.1. La scelta di Costantino .................................................................................................... 16
4.2. La nascita dell’Islam ....................................................................................................... 18
4.3. Analisi di processo .......................................................................................................... 19
4.4. Qualche ultima parola sui sistemi politici ....................................................................... 19
Conclusioni ................................................................................................................................ 21
Parte rilevante, del dibattito filosofico, sul rapporto fede-razionalità, si trova concorde
sull’idea che questo sia riducibile nel confronto tra gli archetipi del caos e dell’ordine.
Ritengo tale riduzione abbastanza problematica.
Il primo argomento critico riguarda il caos, il quale non ha proprietà interne, altrimenti non
sarebbe caos, ed è un concetto complementare e residuale. Per tali ragioni può essere definito con
difficoltà come un archetipo.
Il secondo argomento critico riguarda il rapporto ordine-caos. Esistono due grandi categorie
di ordine nel mondo da noi conosciuto, l’ordine planetario, cioè le regolarità nell’andamento di
stelle e pianeti, e l’ordine naturale, cioè l’ordine che caratterizza tutte le forma di vita. Nella prima
categoria, sappiamo che quell’ordine evolve da masse caotiche di materia. Anche nel caso della
natura, fatte salve le difficoltà probabilistiche inerenti la determinazione iniziale di forme viventi
dalla materia, abbiamo comunque un ordine che si può potenzialmente produrre per evoluzione
naturale dalla materia disordinata ed è quindi derivato dal caos. In questi casi, quindi, l’ordine non è
accettabile come archetipo.
Notiamo una caratteristica, nei casi in cui l’ordine si produce, per evoluzione naturale, dal
caos, non abbiamo bisogno di pensare che esso sia funzionale a una qualche entità, perché la sua
esistenza, appunto, è spiegata da questa evoluzione.
Laddove, invece, un ordine riconoscibile non è spiegato dall’evoluzione naturale, allora, per
spiegarlo, possiamo pensare che esso sia stato prodotto da un’entità che lo ha voluto per realizzare
un proprio fine.
Un’evoluzione analoga del ragionamento, la troviamo quando proviamo a spiegare il
rapporto fede-razionalità con la categoria del senso delle cose, attribuito come competenza alla
fede. Il concetto di senso, infatti, può essere considerato sinonimo di finalità.
La finalità, quindi, come alternativa ad un’evoluzione naturale. Nel prossimo capitolo
vediamo come questa possa strutturarsi nell’analisi del processo cognitivo.
1. Il processo cognitivo
Possiamo definire il processo cognitivo come un processo nel quale un osservatore
acquisisce informazioni su un dato ambiente.
Gli elementi essenziali di tale processo sono l’osservatore, o gli osservatori, e l’ambiente
osservato. Se noi universalizziamo tali elementi troviamo i concetti di Essere cosciente ed Essere
materiale.
E’ intuitiva, la descrizione dell’Essere materiale, esso coincide con tutto ciò che possiamo
percepire, continuamente intorno a noi. Definiamo quindi, l’Essere materiale come l’insieme di ciò
che è percepibile, in quanto invia, continuamente, nel tempo, messaggi (di tipo visivo,
gravitazionale, etc.) indicativi della sua presenza localizzata nello spazio.
L’Essere materiale può essere così formalizzato
={}
:t t: s:t (s) s s,tT 1
t (t)=t
ed indicano, rispettivamente, l’insieme e il singolo stato dell’Essere materiale. Il
suffisso indica che detti stati sono definiti a un dato tempo incluso nello spazio globale di tempo T.
La definisce, per ogni stato definito in un dato tempo, una serie unica di stati dell’essere
che precedono e seguono lo stato, in tutto lo spazio del tempo.
Se r>s allora t (s) causa t (r). Le leggi descriventi tutte le relazioni di questo tipo sono
leggi di razionalità causale.
L’Essere cosciente è definito come l’insieme di entità dotate di coscienza, finalizzate e attive
così formalizzabili.
C=(I1,I2…In) 2
Ij(t,{s}) s<t
Le I sono funzioni di identità definite su uno stato t obiettivo dell’entità iesima, e su un
insieme di stati {s} definiti in un tempo precedente che si considerano nel suo dominio.
Si definisce scelta di I la definizione della:
SIj=t (s) {s}
Definiamo la t come causa finale della t (s). La causazione finale implica la causazione in
senso inverso. Le leggi che descrivono la causazione finale sono leggi di razionalità finale.
La 1 e la 2 definiscono un Paradigma cognitivo, cioè un assetto teorico sulla base del quale è
possibile relazionare gli stati dell’essere sia in termini causali che di causalità finale.
Se C= allora definiamo il paradigma come di tipo meccanico, altrimenti il paradigma è
definito di tipo storico.
Supponiamo ora di poter definire una ’ nella quale sia presente una s che determini un s
che sia inclusivo dello stato di una Ij, possiamo definire quest’ultima come causalmente determinata
dalla ’ .
Nella nostra rappresentazione, le entità, hanno la possibilità di compiere una sola scelta, in
relazione alla quale possono essere causalmente determinate. Altre rappresentazioni, più complesse,
possono presupporre scelte multiple o di tipo stocastico. In tal caso sarà possibile avere entità
causalmente determinate in maniera parziale.
Se supponiamo che tutte le identità, definite nella 2, siano causalmente determinate, allora
siamo di fronte ad un Paradigma storico riducibile ad un Paradigma meccanico.
Nel Paradigma meccanico l’evoluzione degli eventi è univoca, determinata, segue sempre le
leggi della razionalità causale. Il Paradigma meccanico toglie significato ad interpretazioni morali,
che necessitano del confronto tra differenti evoluzioni alternative dello stato dell’Essere materiale.
Una rappresentazione intuitiva, dell’evoluzione nel tempo dell’Essere materiale, osservata
con un Paradigma storico, è data da un albero decisionale che viene rappresentato in grafico 1.
Rispetto ad una molteplicità di possibili evoluzioni ( E,F,G.H,I ed L), se ne realizza una
sola, cioè la E, che rappresenta il fine di almeno un’ entità cosciente, cioè quello che da B ha portato
in E. In tale caso parliamo di finalismo diretto.
La E potrebbe anche essere il fine di quello che ha portato da A in B, supponendo che avesse
la capacità di prevedere la successiva scelta, perchè cosciente della funzione obiettivo dell’essere
che porta da B in E. In questo caso parliamo di finalismo indiretto.
Esiste poi un terzo tipo di finalismo, il finalismo indotto, che consiste in una scelta di
condizionamento della funzione di identità di i, da parte di un altra entità cosciente j, in maniera tale
da far fare ad i la scelta che j vuole.
Definiamo come Tesi Meccanicista l’affermazione che il Paradigma meccanico sia in grado
di interpretare correttamente il mondo in cui viviamo, e che quindi, qualsiasi Paradigma storico con
il quale possiamo osservare la realtà sia riducibile ad un paradigma meccanico.
La Tesi Meccanicista comporta il contrasto tra la coscienza, dell’Essere cosciente, di essere
capace di scegliere, e la sua coscienza di appartenere all’essere, cioè a una realtà fatta di leggi
meccaniche, che non prevedono l’indeterminatezza della scelta. Definiamo tale contrasto come
Dilemma della Coscienza.
La problematica della tesi Meccanicista, e il connesso Dilemma della Coscienza,
rappresentano la principale questione del pensiero filosofico: Esiste un senso per nostra vita? E se
si, quale senso?
Versioni più complesse, della stessa domanda, a contenuto teologico, sono possibili ma non
necessarie, perché la domanda riguarda esclusivamente il rapporto di un’entità cosciente con
l’Essere materiale nel quale si trova inserita. Essa, cioè, riguarda una sistematizzazione del rapporto
tra cognizione meccanica e cognizione storica dell’Essere.
I paradigmi presentati, infatti, sono modi di vedere la realtà. I due tipi di paradigmi, or ora
visti, comportano una profonda differenza nell’interpretare il rapporto con il tempo.
Nel Paradigma storico esiste un passato che ha forte rilievo, che ha definito l’unico itinerario
del sentiero della storia tra i tanti possibili.
Nel Paradigma meccanico, invece, le leggi di razionalità causale sono sempre le stesse in
ogni momento del tempo, per cui il passato non può condizionare in maniera determinante le
decisioni del presente, esso conta solo in termini di esperienza. L’esperienza ha, comunque, un
valore positivo. Vi è un’utilità, nel prendere decisioni di tipo differente dal consueto, per
sperimentare nuovi risultati. Vi è una fiducia nel cambiamento e nel futuro.
B C D
E F G H I L
A
1 Grafico 1
Nel paradigma storico, ogni cambiamento può comportare effetti irreversibili e
potenzialmente dannosi. Vi è. scarsa fiducia nel cambiamento, ed attaccamento al passato e alle
tradizioni.
Analizzando la struttura del linguaggio comune vediamo come questa sia fondata su un
paradigma storico. Essa, infatti, esprime sempre concetti centrati su un verbo, e quindi su un’azione,
derivata tipicamente da una scelta. La scelta è rappresentata dai nodi A,B,C,D del grafico 1. Tale
forma espressiva è applicata in maniera universale anche quando non vi è traccia di una scelta. Si
dice, ad esempio, che la terra gira intorno al sole, dando un’inutile informazione perché questo
deriva da una legge meccanica generale che vale per qualsiasi corpo celeste e che quindi sintetizza
anche questa informazione.
La predominanza del paradigma storico, spiega la difficoltà che ha, normalmente, la persona
comune, a comprendere concetti scientifici, che hanno trovato la loro espressione in forme di
comunicazione diverse dal linguaggio comune (formule, tabelle). Queste altre forme di
comunicazione sono idonee ad esprimere concetti razionali causali, caratteristici del Paradigma
meccanico.
I Paradigmi sono modi per spiegare e per interpretare la realtà. Essi hanno quindi un effetto
sull’interpretazione stessa. Il predominante Paradigma storico ha condizionato l’interpretazione di
molti eventi nel corso della storia.
Un concetto come quello della natura che si “vendica” della pressione dell’uomo su di essa,
il concetto di “fato” degli antichi greci, il senso che viene attribuito alla storia, che si fonda
implicitamente sull’idea dell’esistenza di un’entità astratta che guida il mondo, sono tutti esempi di
condizionamento dal Paradigma storico.
Il più importante di questi condizionamenti è dato dalla definizione di concetti di divinità e
di creazione finalizzata della totalità dell’Essere. L’idea creazionista può quindi essere in parte
spiegata da questa particolarità del sistema cognitivo umano. Si tratta di una spiegazione parziale,
perché se il Paradigma storico aiuta a vedere, dietro una serie di eventi, una volontà finalistica, è
comunque necessario che tale volontà sia percepibile, coerentemente, in una serie di eventi. Nella
rappresentazione data, di Essere cosciente, noi abbiamo supposto che questo sia percepibile, e lo
può essere tramite la percepibilità del suo essere fisico, oppure tramite la percepibilità degli effetti
del suo agire, nel caso si tratti di un Essere immateriale.
Il fatto di concepire, un essere cosciente immateriale, determina una differenziazione, del
Paradigma storico. Possiamo parlare di un Paradigma storico fisico, nel quale sono definiti, come
esseri coscienti, solo quelli identificabili come esseri fisici nello spazio. Possiamo parlare di un
Paradigma storico metafisico o cosmico, per il quale ci sono esseri coscienti, non vincolati allo stare
dentro un corpo fisico. In quest’ultimo contesto paradigmatico, è possibile concepire esseri
coscienti immateriali, e quindi analizzare fenomeni spirituali.
C’è una relazione, tra tipologia di Paradigma storico e tesi Meccanicista. L’affermazione
della tesi Meccanicista, infatti, confina la spiegazione dell’azione, degli esseri coscienti fisici, alla
dimensione fisica. La negazione della tesi Meccanicista, invece, lascia spazio alla possibilità, che
una componente, delle scelte degli Esseri coscienti fisici, sia parte di una realtà non fisica, e che
l’effetto dell’azione di questa componente, determini quei comportamenti, che la razionalità causale
non riesce a spiegare, o spiega in maniera errata.
1.1. Il dibattito fede-razionalità
Abbiamo ora gli strumenti per riorganizzare, in parte1, il dibattito fede-razionalità. Abbiamo
due strutture teoriche, cioè la razionalità causale, e la razionalità finale non riducibile, con caratteri
propri e non derivate da alcunchè che possono quindi rappresentare i nostri archetipi di riferimento.
Dello studio della razionalità causale si occupa la scienza.
Lo studio dei meccanismi di razionalità finale è oggetto di molte dottrine di stampo sociale,
politico ed economico. Naturalmente è da vedere se, e in che misura, questa razionalità finale sia
riducibile alla razionalità causale.
Con certezza possiamo affermare che la quasi totalità della razionalità finale analizzata nelle
dottrine sociali è razionalità umana, cioè prodotta da individui appartenenti a una specie biologica.
A questa si aggiungono alcune tesi sociali organiciste o storiciste che cercano di trovare finalità
superiori all’individuo nell’agire umano.
Come tutte le specie biologiche, anche la specie umana è soggetta alla legge evoluzionistica,
una legge che determina causalmente il comportamento degli esseri biologici in rapporto alle
caratteristiche della totalità dell’ambiente nel quale questi si evolvono. Tale legge rappresenta una
convergenza probabilistica che si afferma nel tempo, per cui pur essendo possibile trovare caratteri
antievoluzionistici in singoli individui di una specie, la probabilità che detti caratteri siano diffusi in
tutta la popolazione tende a 0.
E’ evidente che, se nella specie umana ci sono comportamenti generali incompatibili con la
legge evoluzionistica, questi difficilmente possono essere spiegati con la razionalità causale.
In tal caso è possibile ipotizzare che questi possano essere spiegati con una razionalità finale
non riducibile. Tale spiegazione non è di tipo residuale, nel senso che è comunque necessario
trovare elementi di coerenza, di molteplici comportamenti non spiegati, con un'unico modello di
razionalità finale.
1 Gli argomenti trattati dalla fede riguardano sia aspetti del mondo fisico, sia aspetti di una eventuale realtà metafisica. I
nostri strumenti ci consentono di indagare solo la realtà fisica, per cui possiamo parlare solo della parte più “materiale”
di questo dibattito. D’altronde è lo stesso approccio che si ha descrivendo il rapporto fede-razionalità nei termini di
ordine e caos, che sono concetti di tipo materiale.
2. Il disegno della civiltà
Andiamo ora ad analizzare uno speciale Paradigma storico metafisico, caratterizzato da una
sola entità cosciente immateriale non determinata causalmente. Definiamo questo come Paradigma
del Disegno.
Supponendo che l’evoluzione nel tempo, dello stato dell’essere, sia rappresentabile nei
termini di una sola variabile, possiamo riportare gli elementi essenziali del Paradigma del Disegno,
nel grafico 2.
La N descrive quello che può essere definito come Stato di natura, cioè lo stato dell’essere
che si realizzarebbe in caso di assenza dell’azione da parte dell’entità immateriale.
Nel grafico supponiamo che detta entità operi due azioni, rispettivamente, nei tempi t1 e t2,
al fine di concretizzare il Disegno di portare la variabile C al livello C*.
Notiamo come, al tempo t2, la variabile subisca una flessione nell’immediato, questa però
permette di entrare in un sentiero di maggiore crescita naturale della C. Il particolare serve a
evidenziare il fatto che l’azione finalistica è strategica, punta ad un obiettivo finale, ed è solo questo
obiettivo che permette di definirla.
Supponiamo, ora, di cercare di verificare la congruità del Paradigma del disegno con
l’osservazione del mondo in cui viviamo. Tale verifica può essere operata su tre livelli :
1) Un livello cumulato che si concretizza analizzando la differenza tra lo stato di
natura proiettato all’oggi e lo stato dell’essere attuale, rappresentata nel nostro
caso, dalla differenza tra C* e N(t);
2) Un livello differenziale, che si concretizza analizzando i momenti della storia nei
quali lo stato dell’Essere devia rispetto alle spiegazioni causali, nel nostro caso i
tempi t1 e t2. Un indizio interessante per tale analisi è dato dall’affermazione fatta
da protagonisti di questi momenti storici di essere stati spinti a dati comportamenti
da condizionamenti spirituali di qualsiasi genere;
3) Un livello di processo, che si concretizza analizzando l’evoluzione dei sentieri
deviati, nel nostro caso D1 e D2, e la particolarità del loro evolversi e della loro
dipendenza dagli eventi realizzatisi in t1 e t2.
N
D1
D2
t1 t2
Grafico 2 C*
t
C
Abbiamo supposto un’analisi con una sola variabile, in realtà la società è complessa, e si
muove sull’onda delle tante variabili che si condizionano tra loro. Dobbiamo però considerare che
noi useremo la legge evoluzionistica come strumento di sintesi dei meccanismi causali. La
razionalità evoluzionistica è una selezione statistica delle soluzioni più probabili. Per tale ragione a
maggior ragione più caratteri antievoluzionistici hanno una irrilevante possibilità di concretizzarsi
anche nel caso in cui insieme, e solo insieme, siano evoluzionisticamente vincenti. Supponiamo ad
esempio due aspetti comportamentali, A e B, con versioni A1 e B1 evoluzionisticamente vincenti da
sole, ma perdenti rispetto alla coppia (A2,B2). In uno spazio temporale di milioni di anni è
sufficiente che i caratteri A1 e B1 si presentino una sola volta per affermarsi stabilmente come
caratteri della popolazione. I caratteri A2 e B2 potranno presentarsi molte volte in maniera separata
ma verranno sempre cancellati, essi sopravviveranno solo se si presentano contemporaneamente e
nello stesso individuo, cosa assai improbabile.
Un altro modo per dire questo è affermare che la selezione evoluzionistica seleziona
soluzioni semplici non soluzioni complesse.
Questo ci permette di affermare che un’analisi evoluzionistica dei caratteri comportamentali
può essere congruamente effettuata in maniera separata.
2.1. Lo stato di natura
Il concetto di stato di natura ha avuto un forte ruolo nell’evoluzione del pensiero sociale,
spesso in esso sono state proiettate visioni ideali. Una certa rappresentazione ha costruito l’idea di
una contrapposizione natura-società, per cui la società moderna spiegherebbe i cambiamenti rispetto
allo stato naturale. Si tratta di una visione impropria dal punto di vista di questa analisi. La società,
come assetto di valori, significati e credenze più o meno comunemente accettate dalle comunità
umane è un prodotto dei meccanismi di comunicazione umani, che sono meccanismi
evoluzionisticamente determinati.
Nel nostro caso il concetto di stato di natura deve rispondere alla domanda: Come sarebbe
l’uomo e la società umana se fosse stato determinato esclusivamente dalle leggi causali che sono
presenti nel mondo in cui viviamo?
Tali leggi, essendo l’uomo un essere biologico, trovano una interessante sintesi nella legge
evoluzionistica. Tale legge, va sviluppata nell’ottica dell’elemento fondamentale della natura
umana, cioè il suo vivere in comunità organizzate. Bisogna poi considerare l’inerzia che caratterizza
i caratteri genetici, i quali tendono a persistere anche quando il loro vantaggio evoluzionistico si
riduce.
Per tale ragione possiamo affermare che caratteri comportamentali umani possono essere
considerati evoluzionisticamente spiegati se:
1) essi comportano, o hanno comportato in passato, un vantaggio riproduttivo individuale;
2) pur se comportanti uno svantaggio riproduttivo individuale, essi comportano, o hanno
comportato, in passato, un vantaggio riproduttivo per la comunità. In tale caso, è
comunque necessario dimostrare l’esistenza di condizioni di equilibrio interne. E’
necessario dimostrare, cioè, che quella caratteristica, pur essendo individualmente
svantaggiosa, tende a mantenersi in proporzione costante nella comunità. Questo è
possibile se l’informazione genetica che porta il carattere è diffusa in tutta la
popolazione, ma produce il comportamento in questione solo sotto certe condizioni
particolari.
Il primo carattere essenziale è dato da un modello decisionale che definiamo Empatico-
affettivo che rappresentiamo con una funzione di felicità individuale così determinata:
Fi [t] =Fi(Ii , Ai , F^j,ji ) [t] 3
Per cui la felicità dell’essere umano i è data dalla soddisfazione dei suoi bisogni istintivi, I,
dalla realizzazione delle sue affettività, A, e dalla felicità, F^, che gli altri esseri umani esprimono.
Dei meccanismi istintivi portano tutti gli individui a sfogare il proprio stato emozionale verso
l’esterno con tratti del volto, movimenti involontari, che determinano la F^. Tutte le componenti
della felicità hanno come argomento lo stato dell’essere t .
La I e la F^ sono fonti primarie di soddisfazione, mentre la A è una fonte derivata perché
dipende dalla soddisfazione derivata nel passato da specifici stati dell’essere che sono associati allo
stato presente. Un modo di rappresentare la 3, esplicitando la funzione di affettività, è quindi il
seguente:
tFi [t] = F’i(tIi , tF^j,ji ) [t] + Ai ( (s=0…,t-1)(Ii , F^j,ji ) [s]) [t] 3.a
La felicità dell’individuo è definita quindi come somma di una felicità immediata, F’, e di
una felicità affettiva, A. La felicità affettiva dipende dallo stato dell’essere presente, che però viene
valutato in relazione alla felicità che stati dell’essere associati hanno prodotto nel passato.
L’affettività rappresenta una sorta di esperienza cumulata, che ripropone forme analitiche
utilizzate per costruire processi di apprendimento nei sistemi di intelligenza artificiale2, nella quale
l’individuo osserva le situazioni che gli producono maggiore felicità e tende a preferirle a priori.
Se consideriamo che l’individuo, nel tempo, sceglie gli stati dell’essere che gli danno
maggiore felicità, per cui l’effetto sui parametri della A è spesso additivo, vediamo come, con il
passare del tempo, le scelte dell’individuo sono sempre più determinate dall’affettività stessa, e
meno dalla felicità immediata. Questo è coerente con l’osservazione che gli individui, nel tempo,
maturano, cioè presentano scelte più stabili, dando minori segnali di dinamica emotiva.
L’affettività agisce inoltre come un moltiplicatore di esperienze, permette all’individuo di
fare scelte condizionate dalle preferenze di chi è assente, o addirittura è morto.
L’affettività spiega sia l’evolversi di relazioni stabili di amicizia o affettive, sia lo
svilupparsi di legami affettivi nei confronti di cose o luoghi, che l’individuo associa a momenti di
felicità passata. Spiega anche l’asocialità di quegli esseri umani che hanno vissuto esperienze di
sofferenza, in relazione al rapporto con altri esseri umani, più in generale spiega il rifiuto di stati,
luoghi e situazioni associati a momenti di sofferenza.
La 3, definendo preferenze collettive, spinge gli esseri umani ad agire per la realizzazione di
obiettivi comuni, essere cooperanti, anche quando tale azione è dannosa per il singolo individuo. La
funzione di preferenza collettiva, però, non è di tipo egualitario.
L’affettività, infatti, produce un processo selettivo, gli individui tendono a cercare il contatto
con individui, cose o luoghi, che hanno dato loro maggiore felicità. La capacità di questi, di dare
felicità, per questa ragione continua ad accrescersi in rapporto a quella prodotta dalle altre
esperienze. Vi sono individui, perciò, che in base alle loro caratteristiche, assumono un peso
maggiore, le loro preferenze sono più importanti nelle funzioni di preferenza collettiva, che ciascun
individuo della comunità si forma. Si tratta di un aspetto, questo, che è stato notato fin dall’origine
nelle ricerche sull’empatia, e che è alla base del fenomeno della Leadership3.
L’abbinamento tra la definizione di preferenze collettive e i meccanismi dell’affettività
produce un indirizzamento da parte di tutta la comunità verso oggetti, luoghi e comportamenti
comuni che generano tradizioni e cultura. Queste, essendo il cumulo dell’esperienza
multigenerazionale di molti individui, tendono ad essere molto stabili.
2 Nei modelli di reti neurali tipicamente i parametri associati alle variabili vengono corretti a ogni stadio dell’iterazione
tramite un prodotto tra valore della variabile e risultato ottenuto nello stadio stesso. E’ interessante notare come tale
semplice meccanismo produca risultati di notevole efficienza statistica. La combinazione di semplicità ed efficienza mi
porta a pensare che quella che i ricercatori chiamano intelligenza artificiale abbia una struttura molto simile
all’intelligenza biologica che è alla base del formarsi dei meccanismi di relazione affettiva. 3 Già nel XVIII secolo, Adamo Smith nota la grande capacità degli individui di simpatizzare con i grandi ed i ricchi,
mostrando la fondamentale asimmetria del meccanismo empatico, TSM pp. 65-.
Sulla premessa di questa stabilità si fonda una dottrina come l’Antropologia culturale che
usa la memoria culturale umana per investigare civiltà esistite in tempi lontani.
La comunità composta di individui cooperanti può, grazie a questo, garantire condizioni di
vita medie migliori e maggiore capacità riproduttiva, rispetto a una comunità composta di individui
egoistici, cioè non cooperanti. I comportamenti di tipo cooperativo, quindi, sono
evoluzionisticamente spiegabili.
Se però, nella comunità di cooperanti, è presente una piccola percentuale di individui
egoistici, questi si trovano ad avere una capacità riproduttiva maggiore di quella degli individui
cooperanti. Nel tempo, quindi, gli individui egoistici diventano maggioritari, facendo perdere alla
comunità il vantaggio riproduttivo. In termini più tecnici diciamo che una comunità di individui
cooperanti non è in equilibrio evoluzionistico4.
La soluzione possibile per questo problema è quella della definizione di preferenze morali.
Nelle preferenze morali l’individuo cooperativo coopera al bene collettivo e punisce coloro che non
sono cooperativi. Tale comportamento riduce la capacità riproduttiva degli individui egoistici e
mantiene stabile la quota dei cooperanti, determinando un equilibrio evoluzionistico. I meccanismi
di sanzione dei non cooperativi sono quindi evoluzionisticamente spiegabili, potremmo dire anzi
che sono evoluzionisticamente necessari laddove abbiamo comportamenti di tipo cooperativo.
I meccanismi di preferenza morale, aiutano la comunità a risolvere alcuni dei problemi di
cooperazione in quelle situazioni che siano risolvibili definendo regole comportamentali di tipo
generale.
Vi sono situazioni, però, nelle quali è necessario operare delle scelte contingenti, è quindi
necessario che ci sia qualcuno che prenda decisioni e che questo qualcuno sia seguito
compattamente da tutti gli altri.
Abbiamo già visto come il modello empatico-affettivo comporti una naturale concentrazione
dell’affettività verso alcuni individui, che definiamo Leader naturali. Questa concentrazione si
affina con meccanismi comportamentali che sono evoluzionisticamente spiegabili proprio perché,
rafforzando la formazione della leadership, rendono più forte la comunità. Tali meccanismi sono:
competizione, gregarietà e agonismo.
Come competizione intendiamo la tendenza istintiva a confrontarsi con l’altro per vedere chi
è il migliore, un’azione, quindi, indirizzata a capire chi merita di essere Leader.
Come gregarietà intendiamo la tendenza a seguire il Leader. Come agonismo intendiamo
l’avversione nei confronti di chi fosse avverso al Leader.
Si tratta di caratteristiche comportamentali che sono tipiche dei maschi della specie umana,
indicando come la risoluzione del problema della Leadership sia stata assegnata dalla natura a
questo sesso.
Il fatto, poi, che tali caratteri siano affiancati ad una maggiore aggressività del sesso
maschile, ci aiutano a comprendere il principale utilizzo che ha il meccanismo della Leadership,
fare la guerra, cioè, competere con le altre comunità umane.
4 Un testo intuitivo per questi concetti è Frank R.H., “Passions within Reason: The Strategic Role of Emotions”, WW
Norton & C., New York, 1988 in particolare l’appendice, più tecnico, invece, è il Weibull J. W., “Evolutionary Game
Theory”, Mit Press, Cambridge Mass., 1995..
3. Primo test: La violenza umana.
La violenza è una delle caratteristiche del comportamento umano, la tendenza cioè a far
soffrire, ferire o uccidere altri esseri viventi.
Le ricerche antropologiche hanno evidenziato come la propensione alla violenza sia stata
significativa in tutta la storia dell’uomo. Gran parte dei resti di ominidi ritrovati portano segni di
ferite prodotte da altri ominidi.
Questo non desta sorprese sul piano evoluzionistico, nella rappresentazione dello stato di
natura vediamo come la violenza sia essenziale sia nella punizione di coloro che non sono
cooperativi, sia nella competizione con le altre comunità che si concretizza nella guerra.
Se poi consideriamo che, nel corso della storia umana, l’evoluzione tecnologica ha prodotto
strumenti sempre più efficienti per mettere in atto la violenza, possiamo definire uno stato di natura
nel quale la violenza umana è elevata e crescente. Una critica a tale definizione può essere data
dall’osservazione che alcune comunità umane non civilizzate sono state osservate come di indole
pacifica. In realtà tale indole è stata osservata tipicamente in comunità isolate, quindi in condizioni
di assenza di condizioni di competizione. Il nostro test, invece, riguarda le società evolute,
caratterizzate da elevato livello di popolazione e densità, quindi da alto livello di competizione.
In contrapposizione a questo aspetto dello stato di natura, nel corso della storia umana
notiamo una progressiva riduzione della propensione umana ad usare la violenza.
Possiamo quindi considerare, la nostra analisi cumulata, come congruente con la tesi del
Paradigma del disegno nel caso della violenza umana.
Per effettuare l’analisi differenziale e di processo abbiamo bisogno dell’aiuto
dell’Antropologia culturale.
Gli studiosi di questa dottrina hanno osservato la presenza di numerosi elementi comuni in
gran parte delle religioni umane. Essi danno quasi per certa la comune origine dei riti sviluppatisi
nel continente Eurasiatico. Essa sarebbe attribuibile a popoli stanziati nell’Asia centrale che, in
tempi antichissimi, sarebbero migrati verso la zona dell’Iran, e poi nel bacino dell’Indo, dando
origine alle tradizioni religiose Indiane e Mesopotamiche. E’ da queste ultime che poi, si sarebbe
sviluppata la religione Ebraica. Migrazioni più recenti, avrebbero poi colonizzato l’area del mar
Egeo, dando origine alla religione e cultura Greca5. Altri ceppi rimasti nell’Asia Centrale, sarebbero
all’origine dello sciamanesimo tipico dei popoli nordici Eurasiatici. Tipologie rituali analoghe a
queste ultime sono state trovate anche nei popoli indigeni dell’America Settentrionale6.
L’origine comune delle grandi religioni pone una riflessione. Se questa è vera, infatti, vuol
dire che l’ideazione (Ideazione si intende costruzione a nuovo, non è compresa la modificazione,
evoluzione di religioni) di sistemi religiosi potrebbe essersi realizzata, nel corso della storia umana,
una sola o pochissime volte. Questo è, a mio parere, incompatibile con l’idea di un’evoluzione del
pensiero religioso per logica evoluzionistica, che avrebbe lasciato nella storia molte più tracce di
sistemi religiosi differenti, nati e poi sopraffatti da altri perché poco efficienti.
Entrando nel merito degli elementi comuni, notiamo la presenza di una visione cosmica del
mondo (Cosmo=Essere materiale+Essere spirituale) e la centralità del rito sacrificale, cioè
dell’uccisione di un essere vivente che viene offerto alla o alle divinità che sono definite nell’Essere
spirituale.
Il rito sacrificale consiste nell’uccisione, di un essere umano o di un animale, eseguita su un
piano sopraelevato definito altare. Molteplici indizi ci dicono che il processo storico genera un
passaggio dall’uso di esseri umani a quello degli animali. Questo passaggio è rappresentato anche
nella Bibbia con l’esperienza di Abramo. Il passaggio è oltretutto coerente con la riduzione della
spinta alla violenza che rende sempre più inaccettabile usare l’essere umano per il sacrificio.
5 Krasinski, pp. 75-76.
6 “” , pp. 187 e seg.
Possiamo quindi affermare che, nel suo momento iniziale, il rito sacrificale utilizza esseri
umani.
Proviamo a considerare la comunità umana nella quale il rito sacrificale ha il suo inizio.
Possiamo supporre che, in tale comunità, l’uso della violenza sia conforme allo stato di natura, gli
individui nei cui confronti il valore affettivo, definito dalla 3, diventa negativo, vengono eliminati
perché percepiti come disutili.
L’introduzione del rito sacrificale spinge la comunità a usare questi individui per l’offerta
alla divinità. Per questa ragione, la vita di questi individui assume valore affettivo positivo, perché
essi possono essere offerti alla divinità. Con lo svilupparsi della ritualità sacrificale, il valore
affettivo continua ad incrementare riducendo sempre più la propensione ad uccidere esseri umani.
Guardiamo ora alla prossenica del rito, dove il sacrificato assume posizione centrale e
sopraelevata, cioè la stessa posizione del leader naturale quando si confronta con la sua comunità.
Questa associazione determina il trasferimento di una parte dell’affettività che il leader naturale
riceve verso il sacrificato.
Il rito sacrificale inoltre, con la sua forza emozionale, produce nella comunità una
soddisfazione e una riduzione progressiva del desiderio di violenza7.
Infine dobbiamo considerare il ruolo del sacerdote, colui che concretizza il sacrificio.
Ancora più del sacrificato questi assume la posizione e il ruolo del leader naturale. L’esclusività del
suo ruolo spinge a far percepire l’atto violento, in quanto simile al rito sacrificale, una profanazione
del rito stesso, inducendo un’ulteriore riduzione della spinta all’atto violento.
Tutti questi meccanismi, spiegano l’evoluzione del rito sacrificale in forme sempre meno
violente.
Il senso della ritualizzazione è, quindi, quello di catturare la profonda spinta emozionale che
caratterizza il compimento di atti violenti per canalizzarla verso l’atto e i simboli cultuali. In altre
parole l’adepto (colui che segue il rito) sarebbe catturato originariamente dal piacere prodotto dagli
atti, per poi vederli relegati e sempre più ristretti in un sistema simbolico, che lo spinge ad una
progessiva riduzione degli atti dello stesso genere nella propria vita.
Vediamo quindi che il rito sacrificale permette di spiegare la progressiva riduzione della
spinta alla violenza nella specie umana. Esso però ha caratteristiche tali da non poter essere ideato
da un essere umano determinato dallo stato di natura. Supponiamo, infatti, che un essere umano
avesse compreso la profonda nocività dei comportamenti violenti, la sua tendenza istintiva sarebbe
stata, coerentemente con i meccanismi affettivi, quella di rifiutare ogni contatto con la violenza
stessa, per cui mai avrebbe potuto pensare di utilizzare la violenza stessa in un rito per la comunità.
Passiamo ora ad analizzare tempi più recenti, intorno all’anno 30 d.C, Gesù di Nazareth
esprime un concetto fondamentale: “Porgi l’altra guancia”. Con questo concetto, Gesù crea i
presupposti per l’eliminazione del meccanismo moltiplicativo che, dalla violenza, produce altra
violenza. Questo concetto, però, contrasta con i meccanismi sanzionatori. Ritengo sia difficile
pensare che un concetto del genere possa essere prodotto da un essere umano evoluzionisticamente
determinato. Ritengo sia ancora più difficile pensare che lo stesso concetto possa essere accettato da
altri esseri umani evoluzionisticamente determinati. Supponendo che il concetto riesca comunque
ad entrare nel sistema culturale di una comunità, questo altererebbe i meccanismi di controllo
rendendo instabile il sistema culturale stesso.
Quest’ultimo punto è interessante, le variazioni introdotte sullo stato di natura possono
essere dinamicamente stabili, come quelle espresse nel grafico 2, in quanto tendono naturalmente a
non convergere allo stato di natura, o dinamicamente instabili, perché tendono a convergere verso lo
stato di natura. In questo secondo caso gli interventi operati dall’entità cosciente sono
necessariamente molteplici, oppure devono essere indirizzati a costruire architetture complesse che
tengano conto di questa spinta al ritorno allo stato di natura. Per tale ragione, la persistenza, nei
7 Fromm E., pp. 25-26.
sistemi culturali, di messaggi come quello di Gesù, è prova ancora più forte della tesi di una
congruenza del Paradigma del disegno.
4. Secondo Test: I sistemi politici democratici moderni
Uno degli aspetti più importanti e caratterizzanti della società umana moderna è
l’evoluzione dei sistemi politici democratici e della loro capacità di gestire le istituzioni statuali.
La teoria politica ha grosse difficoltà nello spiegare i processi che caratterizzano questi. La
difficoltà è sostanzialmente quella di capire come in un mondo fatto di individui si concretizzino
scelte collettive. La fonte di questi problemi è, in realtà, originata dalla prevalente concezione
individualista che si ha dell’Essere umano.
Nella descrizione dello stato di natura abbiamo visto come questo produca una naturale
risoluzione del problema dell’azione collettiva, con le preferenze morali e con la definizione di un
meccanismo di competizione che produce un leader naturale nei confronti del quale gli individui
della comunità sviluppano una forte affettività e senso di gregarietà.
La presenza del leader naturale, comporta una avocazione delle questioni di stampo politico
a quest’ultimo. La politica, cioè, non appare nel linguaggio comune. Questo anche perché la
comunicazione è condizionata dalla figura del Leader, il quale ha interesse a far si che la
comunicazione stessa sia funzionale alla stabilità del suo potere. La stabilità del potere del leader è
evoluzionisticamente forte perché rende forte la sua comunità.
Abbiamo visto come il modello empatico-affettivo produca una percezione diseguale degli
individui, tale percezione diventa funzionale ad una organizzazione interna dello stato naturale nel
quale gli individui ricevono potere in funzione del loro peso nell’affettività della comunità, e tale
peso sostiene il loro potere.
Guardiamo ora ai sistemi politici democratici moderni, provando a sintetizzarne le
componenti strutturali:
1) Uguaglianza di principio di tutti gli individui;
2) Attribuizione del potere sulla base di una scelta politica razionale con pari opportunità da
parte di tutti gli individui;
Per analizzare la concretizzazione storica del principio di uguaglianza possiamo muoverci in
maniera parallela all’analisi fatta sulla violenza. Il rito sacrificale, infatti, nel suo incrementare
l’affettività direzionata ai soggetti che sono al margine della comunità, produce una riduzione della
distanza relativa nella percezione degli individui della comunità.
Venendo poi a tempi più recenti, ritroviamo Gesù di Nazareth il quale, sul monte delle
beatitudini, delinea una serie di principi gran parte dei quali possono essere sintetizzati dal concetto
di dignità compensativa, cioè prendere le posizioni sociali più fragili e marginali ed associare ad
esse il massimo di significati positivi. Nel tempo, la diffusione di questo concetto, produce un
livellamento del valore affettivo degli individui, e quindi avvicina all’eguaglianza.
Veniamo ora al punto 2, esso necessita di una adeguata comprensione del meccanismo
democratico in tutta la comunità tale meccanismo, cioè, deve essere parte della sua cultura.
Partiamo dalla premessa che il sistema democratico sia “migliore”, cioè che venga scelto
dagli individui quando entra come opzione possibile nel sistema culturale.
E’, quindi, fondamentale analizzare l’evoluzione di una cultura politica e democratica.
L’acquisizione di cultura è fatta di due componenti, l’esperienza e la valorizzazione affettiva
della stessa. Queste due componenti sono state derivate dal modello empatico-affettivo, che è un
meccanismo di apprendimento, e quindi, necessita di informazioni. Tali informazioni vengono
elaborate dal meccanismo affettivo per cui sono acquisite in funzione dell’affettività ad esse
associate.
La valorizzazione affettiva, nel caso della politica, risulta ridotta in maniera significativa in
caso di presenza di un leader naturale forte e questo per due ragioni:
a) Il disincentivo che il leader opera nei confronti di ogni ragionamento attinente le
questioni politiche;
b) La percezione, da parte della comunità, che il problema politico sia risolto dalla presenza
del leader.
Il punto b può essere reinterpretato nei termini del concetto che la comunità sente il bisogno
di un leader che gli dia sicurezza. Questo bisogno è il pilastro fondamentale della forza del leader.
Per questa ragione, la presenza di una figura leader aggiuntiva indebolisce la forza del
leader, questo anche quando questa figura è immateriale come una divinità. La divinità è tanto più
capace di sostituire il leader naturale, quanto più la sua natura viene percepita come umana.
Se proviamo ad andare ad indagare i due contesti storici nei quali la cultura politica
democratica si è sviluppata troviamo l’antica Grecia, caratterizzata da divinità molto umane, sia in
termini di immagine, che in termini di comportamento, e la civiltà Occidentale, che si sviluppa sotto
il segno di Gesù Cristo, cioè il Dio fatto uomo.
Completiamo il discorso notando che l’esistenza di divinità in un sistema culturale è
evoluzionisticamente inspiegabile perché comporta una inutile astrazione, e quindi un costo in
termini psicologici, verso un Essere spirituale. L’astrazione è inutile perché tutti i vantaggi
evoluzionistici che la comunità ottiene dal fatto di avere un Leader Divino sono ottenibili con un
Leader più materiale: Un leader naturale, una città, un’idea di Nazione8.
Con la presenza della divinità il leader naturale diventa leader secolare, cioè caratterizzato
particolarmente nel suo ruolo di gestione della forza e indebolito nel suo ruolo di catalizzatore
dell’affettività della comunità che è direzionata in parte verso la divinità.
E’ importante l’equilibrio che si crea tra leader secolare e divinità. Al riguardo possiamo
guardare alcuni esempi storici. Si va dall’unzione operata nel mondo Giudaico sul Re da parte del
profeta, abbiamo poi, nel mondo romano, i riti di devozione che il vincitore in battaglia doveva
offrire al tempio di Giove Capitolino. Infine, nel medioevo, il concetto di incoronazione e di
unzione del Re da parte del leader religioso, cioè colui che fa le veci della divinità. In tutti questi
casi il leader secolare è in condizione di subalternità rispetto alla divinità Tale subalternità è
evoluzionisticamente inspiegabile, tenuto conto che il potere reale è nelle mani del leader secolare,
e che questi è caratterizzato dalla spinta istintiva a diventare un leader naturale, cioè assoluto.
Riguardo all’esperienza umana, nell’ambito della politica, torniamo di nuovo ad analizzare i
due contesti storici nei quali il pensiero politico si sviluppa, cioè quello Greco antico, e quello della
civiltà Occidentale.
In entrambe i casi noi troviamo una realtà culturale omogenea, cioè caratterizzata da
omogeneità di lingua, credenze e ritualità, ma frazionata in differenti sistemi politici. Questo
comporta una cumulazione di esperienza, perché gli individui possono, all’interno della stessa realtà
culturale, osservare differenti sistemi politici. Risulta inoltre essere rafforzato il potenziale critico
nei confronti di ciascun sistema politico, perché vi è presenza di individui che osservano questi
sistemi senza esserne sudditi.
Anche qui troviamo la difficoltà evoluzionistica del formarsi di una situazione del genere,
perché la spinta ad una leadership naturale tende a produrre un unico leader per una realtà culturale
omogenea.
8 . Il meccanismo di definizione del leader nasce dal modello Empatico-affettivo, in generale esso può avere per oggetto
qualsiasi concetto o elemento materiale. Nella serie sono stati riportati casi che sono dotati di livelli di astrazione
crescenti. La predisposizione originaria a sviluppare affettività verso un essere umano, però, rende la soluzione del
leader naturale più forte in senso evoluzionistico. Il concetto di leader divino sarebbe all’ultimo posto di questa serie,
esso è infatti più astratto del concetto di nazione perché quest’ultima ha dei referenti indiretti di natura fisica (un
territorio, un popolo, una lingua). Sottolineiamo che, mentre l’incremento del livello di astrazione è poco spiegabile in
senso evoluzionistico, la sua riduzione è, invece, perfettamente spiegabile. Questo potrebbe permettere di spiegare
l’evoluzione degli assetti assetti istituzionali di potere, fondati su un’idea di nazione, su un’idea di stato organizzato
secondo un determinato sistema ideologico, come riduzione dell’astrazione rispetto all’esistenza di un leader divino.
Potremmo dire, quindi, che le componenti essenziali dello sviluppo di una cultura
democratica sono, quindi, nella debolezza e frammentazione del potere.
La nostra analisi differenziale, quindi, si concretizza in eventi che hanno favorito questa
debolezza e questa frammentazione.
Credo che sia facile essere d’accordo sul fatto che la fase iniziale dello sviluppo della civiltà
Occidentale, cioè il periodo seguente il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, abbia queste
proprietà.
A queste si aggiunge un ulteriore elemento. La civiltà sopravvissuta al crollo di detto impero
si è trovata in condizioni di subalternità politica rispetto ai popoli barbari che la dominavano. La
netta superiorità della cultura latina ha fatto si che detti popoli fossero perdenti dal punto di vista
culturale pur essendo dominanti sul piano militare. Si è creata quindi l’opportunità dello sviluppo di
una cultura slegata dalle esigenze immediate del potere. Anche in questo caso, si tratta di una
situazione evoluzionisticamente inspiegabile: la cultura, infatti, comporta maggiore unità e
tecnologia, quindi forza militare; Chi detiene la cultura diventa politicamente dominante, nella sua
dominanza tende a minimizzare o annullare il ruolo delle culture di chi è politicamente dominato,
per cui la dominanza culturale coincide con quella militare.
Possiamo dire, quindi, che un’entità interessata allo sviluppo di una cultura democratica
avesse interesse a favorire il crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Tale evento rimane anomalo,
il dibattito storiologico ha avuto difficoltà a spiegare una così repentina caduta della forza bellica
dell’Impero. Il prossimo paragrafo presenta una spiegazione dell’evoluzione di tale crollo
congruente con la tesi del Paradigma del Disegno.
4.1. La scelta di Costantino
Costantino è il padre istituzionale della chiesa Cristiana, legittima la religione Cristiana
nell’Impero Romano, istituisce il concilio di Nicea per ordinare la chiesa.
Vi è una particolarità nel comportamento di questo grande imperatore, dopo aver dato la
dignità di capitale religiosa Cristiana alla città di Roma con la costruzione delle grandi basiliche
della cristianità, decide di fondare un’altra capitale nel Bosforo.
La scelta di Costantino segue logicamente quel processo che, con Diocleziano e il sistema
tetrarchico, aveva portato alla formazione di 4 subcapitali, ma è una scelta di rottura perché, per la
prima volta, mette in discussione il primato di Roma capitale.
Quale la ragione di tale scelta? Gli storici affermano che tale trasferimento è dovuto al fatto
che Roma era troppo pagana e poco disponibile ad accettare il sistema assolutistico che lui stava
costruendo. Tale affermazione è per me incoerente con l’affermazione che Costantino ha sostenuto
il Cristianesimo per strategia politica: Che senso ha affermare che Costantino appoggia il
Cristianesimo per ottenere l’appoggio dei Cristiani se poi è costretto a trasferire la capitale? La
critica può essere rafforzata dalla valutazione dei problemi logistici che hanno caratterizzato la
costruzione della nuova capitale, una capitale che sarà completata solo dopo la morte del suo
fondatore, in particolare a causa della difficoltà di reperire l’acqua.
L’argomentazione sulla paganità di Roma è poi, a mio parere, poco coerente con la
costruzione delle grandi Basiliche a Roma, che denotano una volontà che non è certamente quella di
subire la paganità della città. Il rapporto di Costantino con la religiosità è, d’altronde, molto
elastico: pur agendo a favore della Cristianità, lui dichiara di venerare il Dio Sole, cioè il dio più
venerato dall’esercito romano, perché allora pensare che lui percepisse una così forte difficoltà dal
fatto che l’Impero fosse gestito da una Roma pagana.
Vi sono poi alcune osservazioni strategiche da fare. Costantino veniva da Treviri, capitale
della parte più occidentale dell’impero, situata nella Gallia settentrionale vicino a quel confine,
segnato dal fiume Reno, oltre il quale si materializzava il principale pericolo per l’impero, i popoli
barbari. La scelta di una capitale così strategicamente posta era appunto indirizzata a rafforzare
militarmente quel confine per ovviare a questo pericolo vitale. Costantino era, quindi,
necessariamente cosciente di questo aspetto strategico, mentre invece non vi era alcuna ragione
strategica per posizionare una città con ruolo di capitale sul Bosforo, anzi, in questo modo si
sarebbe ulteriormente indebolita la parte periferica dell’impero.
Volendo poi posizionare la capitale in maniera baricentrica rispetto all’impero, sarebbe stato
razionale per lui posizionarla in quell’Illiria dove Diocleziano si era ritirato, dove lui aveva vissuto
per anni, sicuramente più centrata sull’impero, posizionata nel territorio che produceva i soldati
migliori e in posizione di controllo rispetto all’accesso più agevole alla penisola italica.
Se noi vediamo la città di Costantinopoli, invece, notiamo come sia perfettamente
baricentrica, ma non rispetto all’Impero Romano, ma rispetto alla sua parte orientale. Si potrebbe
supporre che fosse nella sua mente l’idea di una nuova separazione dell’Impero.
Al trasferimento operato da Costantino si aggiunge il trasferimento della capitale
dell’Impero d’Occidente effettuata da Onorio a Ravenna, un trasferimento fondato su una logica di
dipendenza dall’Impero d’Oriente, e che lascia la città eterna senza difese.
In circa 75 anni (dal 325 al 400 D.C: circa) vengono abbandonati circa mille anni di storia,
mito, culto della città eterna, Caput mundi. Per comprendere il peso di questo abbandono bisogna
evidenziare la particolarità dell’Impero Romano, la centralità che assumeva il mito, il culto e la
storia di Roma per esso. In effetti era Roma, e non le divinità, il vero Leader del popolo romano.
Una volta messa in discussione questa Leadership, i meccanismi che rafforzavano l’unità del popolo
romano si sono allentati e, come evidenziato anche dalle ricerche storiche, gli interessi individuali o
localmente definiti hanno avuto la meglio producendo il progressivo indebolimento delle istituzioni
centrali.
In questa chiave, si può spiegare anche perché è solo l’Impero d’Occidente a crollare. La
messa in discussione del primato di Roma, infatti, creava problemi a questo perché Roma era nel
suo territorio. La parte Orientale, poi, godeva del fatto di avere, per capitale Costantinopoli, cioè la
capitale voluta dalla divinità (vedere il seguito del discorso) nonchè di un’addizionale unità
culturale data dalla tradizione Ellenistica.
Intorno al 320 D.C. il Senato romano dedica a Costantino un Arco di Trionfo, evidente la
volontà di porre il sigillo del suo ruolo e della romanità sulle azioni di questo imperatore, anche in
un modo politicamente intelligente. L’azione di Costantino veniva definita come realizzata “su
ispirazione divina”, cioè sottolineando il suo contatto particolare con la divinità, senza specificarne
la numerosità. Si tratta di un’affermazione fatta da un Senato Romano in maggioranza pagano,
un’affermazione forte e convinta tenuto conto della problematicità che doveva avere, in quel tempo
di conflitti religiosi, un’affermazione su queste tematiche, che afferma, in maniera pubblica, il
rapporto diretto dell’Imperatore con la divinità.
Probabilmente è anche per questa convinzione che veniva accettato il cambiamento che
l’istituzionalizzazione della Chiesa Cristiana stava portando, ma il vero cambiamento rivoluzionario
che Costantino prepara è la fondazione di una nuova capitale, che lui infatti voleva chiamare Nuova
Roma.
Questo cambiamento avrebbe dovuto comportare reazioni almeno pari a quelle prodotte dai
mutamenti religiosi, invece di queste reazioni vi è una scarsa evidenza e forse la ragione può essere
evidenziata dal seguente evento.
Mentre viene tracciato il solco per la fondazione della nuova città l’Imperatore afferma: “Mi
fermerò quando mi verrà detto.”9 La frase voleva probabilmente essere una risposta al senso di
perplessità che tanti degli appartenenti al corteo reale dimostravano di avere. Il riferimento era
chiaramente a quella divinità che ispirava il suo agire.
L’idea che la nascità di Costantinopoli fosse espressione della volontà Divina, è la ragione
principale della accettazione del profondo mutamento operato nell’Impero, più importante del
timore che l’autorità dell’Imperatore poteva incutere. La prova di ciò è nel fatto che la sua nuova
9 Questo particolare l’ho ascoltato nel 2013 in un programma sulla Rai dedicato al millenario dell’Editto di Costantino,
tutte le altre informazioni storiche usate nel testo sono reperibili su Wikipedia.
Roma viene completata dopo la sua morte, ed il suo ruolo di capitale si afferma progressivamente
nel tempo. In effetti, la principale ragione con la quale si può spiegare la coerenza dei tanti che
hanno coagito in questa affermazione è il fatto che pensassero che questa era la volontà divina.
Riassumendo: Costantino, uno dei più grandi imperatori di Roma, crea le premesse della
crisi di quel grande impero; Costantino afferma di agire secondo le direttive di una volontà divina
che lo segue e lo aiuta; L’affermazione di Costantino è generalmente accettata nel mondo Romano;
Pur agendo razionalmente al fine della conquista del potere, Costantino usa questo potere per la
realizzazione di obiettivi che non sono del tutto spiegati dal suo ruolo di Leader; La
concretizzazione dell’obiettivo di una nuova capitale non comporta reazioni e questo contrasta con
la forte affettività che la cultura romana doveva avere nei confronti del primato di Roma; In
coerenza con l’affermazione di essere aiutato dal cielo, possiamo notare che Costantino risulta
essere segnato da una certa fortuna nel contrasto con i suoi avversari.
Tutti questi sono argomenti congruenti con la tesi del “Disegno della civiltà”, con l’idea,
cioè, che dietro tutto questo ci sia una volontà immateriale che agiva per realizzare un disegno
ordinato ed alternativo rispetto all’evoluzione naturale degli eventi.
Il fatto che poi, lo stesso imperatore, sia stato sia il fondatore istituzionale della chiesa
Cristiana, sia il fondatore di Costantinopoli, offre spunto per ulteriori riflessioni.
Sulla base di tutto il discorso presentato, infatti, sia la chiesa Cristiana10
, sia la fondazione di
Costantinopoli appaiono il frutto dello stesso disegno razionale. E’ come se questa volontà avesse
approfittato dell’opportunità data dalla permeabilità11
dell’Imperatore ai suoi messaggi per mettere
a segno due risultati. Un’altra ipotesi è quella che i due eventi siano contingenti. La forza
dell’Impero Romano serviva a favorire l’espansione della Cristianità in una condizione di pace. Una
volta, però, che tale espansione fosse arrivata ai vertici dell’Impero, invece, l’impero diventava un
limite e quindi doveva essere indebolito.
4.2. La nascita dell’Islam
Abbiamo visto come la concretizzazione del “Disegno della Civiltà” necessiti di un’azione
di indebolimento di quelli che sono gli elementi di accentramento del potere politico. In relazione a
questo, la stessa religione Cristiana può rappresentare un problema. L’altissimo livello di tensione
affettiva direzionato su di essa, nella storia della civiltà Occidentale, sarebbe potuto diventare
elemento di accentramento del potere.
Questa possibilità sarebbe aumentata in funzione dell’esistenza di un referente oggettivo,
fisico, che avesse simboleggiato la cristianità stessa. Il candidato ideale per tale ruolo avrebbe
potuto essere la città di Gerusalemme, che rappresenta una sorta di luogo delle origini per la
religione Cristiana.
Sulla base di questa premessa andiamo ad analizzare gli eventi che hanno caratterizzato la
storia di questa città dalla fondazione del Cristianesimo in poi.
“Verranno giorni in cui tutto quello che ammirate sarà distrutto e non rimarrà pietra su
pietra”12
. Con queste parole Gesù profetizza le distruzioni di Gerusalemme che sarebbero state
realizzate nel 70 e nel 135 d.C..
Il fatto di essere profetizzate e di essere un fatto non consueto nelle strategie dei Romani
suggerisce l’idea che questi eventi possano essere stati favoriti dal “Disegno”.
10
Il fenomeno religioso non è stato sottoposto a test, comunque il discorso presentato ha comportato riferimenti
sostanziali al fenomeno stesso, che risulta essere evoluzionisticamente non spiegabile, in particolare nella sua versione
cristiana. 11
Il Disegno sembra agire tramite l’influsso sulla volontà di specifici individui che, per ragioni ignote hanno una
particolare capacità di essere da questa condizionati. Profeti, iniziati, santi, sono tutte figure che nella storia hanno
espresso in varie forme questa caratteristica che, evidentemente, non è diffusa in tutti gli uomini. 12
Luca 21,6.
Come già premesso Gerusalemme, come potenziale di accentramento della affettività,
poteva rappresentare un problema. Tale potenziale era tanto più alto quanto più la città era
maestosa, capace di sollecitare carica emozionale, per cui la distruzione ha favorito la realizzazione
del “Disegno”.
Nonostante tale distruzione, la spinta dei Cristiani verso Gerusalemme è stata tale da
spingerli alle crociate, con le quali la cristianità cercava di portare nel suo dominio il suo luogo
delle origini.
Tale conquista è stata impedita da un evento preciso. Nel VII secolo Maometto da luogo a
una nuova religione, la religione musulmana. Nell’arco di circa 40 anni si forma un impero sotto il
segno di questa religione che domina gran parte del Mediterraneo. Da notare che i quattro Califfi
che hanno guidato il popolo Arabo in questa progressione sono stati definiti ispirati, nel senso di
ispirati da Dio, proprio lo stesso concetto usato dal senato romano per l’Imperatore Costantino.
Maometto afferma di essere stato indirizzato alla sua missione di fede dalle apparizioni
dell’Arcangelo Gabriele. Certo è che la forza emozionale che egli imprime alla fede propagata, è
tale da trasformare un popolo disunito in una forza compatta di guerrieri che, oltretutto, producono
una civiltà di alto livello, per quei tempi.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad eventi evoluzionisticamente poco spiegabili,
ma che hanno una spiegazione finalistica posta in premessa.
4.3. Analisi di processo
La distanza di più di 1000 anni, tra gli eventi descritti e l’evoluzione del pensiero politico e
democratico moderno, e della sua istituzionalizzazione, possono dar sostegno alla tesi che i due
eventi siano poco collegati.
Tutto questo periodo è caratterizzato da una molteplicità di tesi politiche che producono un
continuo dibattito, molto sottoposto al vaglio del pensiero religioso. Si tratta di una situazione
differente da quella che caratterizza altre dottrine sociali o il pensiero scientifico che avranno una
loro evoluzione solo nelle epoche più moderne. Si tratta anche di una situazione differente da quella
insistente in altre realtà istituzionali contemporanee alla civiltà medioevale occidentale, tutte
caratterizzate da forme di potere accentrato, e in alcuni casi da livelli culturali che, nel complesso,
possono essere considerati anche superiori a quelli della civiltà medioevale occidentale ma che,
comunque, non approfondiscono le tematiche politiche.
La causa della particolarità della civiltà medioevale occidentale è nel profondo senso di
incertezza che caratterizza il suo assetto istituzionale, per la crisi dello stesso nella fase iniziale, e
per la sua frammentazione successiva nei conflitti tra impero e papato, tra imperatori, re, feudatari e
comuni.
Notiamo come l’itinerario descritto possa essere rappresentato dal sentiero D2 nel grafico 2,
dove una sostanziale situazione di crisi seguente al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, pone il
territorio su un sentiero particolare di crescita e costruzione culturale i cui risultati si sarebbero visti
solo in tempi lontani.
4.4. Qualche ultima parola sui sistemi politici
L’analisi dell’evoluzione della storia, nell’ottica della tesi del “Disegno”, e in funzione
all’evoluzione dei sistemi politici, ha offerto ipotesi articolate. Quella che certamente il lettore sarà
portato a considerare più bizzarra è quella sulla nascita dell’Islam.
D’altronde il pensiero comune tende ad interpretare le religioni in funzione di una finalità
spirituale. Se ci riflettiamo vediamo però che la stessa chiave di ragionamento è stata posta in essere
in relazione alla religione Cristiana che è una componente certamente essenziale ma non totalitaria,
del “Disegno della Civiltà”.
Le due funzioni, quella spirituale e quella storico-sociale, non sono in contrasto. Una volta
che venisse accettata la funzione storico-sociale, si può discutere sulla funzionalità di quest’ultima
alla funzione spirituale.
L’importanza dei sistemi politici, nella società umana, è comunque tale da rendere
interessante il discorso sulla funzione della religione, nella costruzione delle realtà politiche
moderne. Un approccio critico alla tesi esposta, può essere fondato sulla considerazione che in
molte fasi di cambiamento della storia Occidentale, nell’evoluzione dei moderni assetti democratici,
gli esponenti delle istituzioni religiose sono stati in posizioni reazionarie.
In effetti questa critica evoca una insanabile contraddizione interna: I concetti religiosi
contengono il germe di nuovi assetti istituzionali e sociali, ma sono propagandati da Chiese che
sono parte dei vecchi sistemi istituzionali e sociali.
Pensandoci bene la stessa contraddizione appare nei Vangeli, nel contrasto tra Gesù e i
sacerdoti del Sinedrio.
In tutte le situazioni di questo genere, siamo in presenza di comportamenti
evoluzionisticamente inspiegabili, da parte degli appartenenti alle istituzioni religiose, perché
direzionati a diffondere concetti che mettono in discussione il potere delle istituzioni stesse.
Consideriamo, ad esempio, il peso che ha avuto, nella cultura Occidentale, il contrasto tra
Gesù e i leader religiosi del suo tempo. Al riguardo posso portare la mia esperienza psicologica,
avendo sempre sentito questi eventi come fonte di una forte spinta motivazionale alla contestazione
delle gerarchie religiose. In un mondo nel quale la gestione del potere fosse stato il principale
obiettivo di dette gerarchie, queste parti della tradizione evangelica avrebbero dovuto essere
eliminate, ed invece non lo sono state mai.
Il contrasto tra nuovi e vecchi assetti istituzionali assume una rappresentazione moderna nel
rapporto tra le due più generali strutture teoriche della politica, la destra e la sinistra.
E’ significativo come l’insieme di argomentazioni della destra, il riferimento ai poteri
predefiniti, alle tradizioni, la ricerca di leader forti, siano tutte fondate su argomenti
evoluzionisticamente forti.
Di contrasto, la sinistra, appare fondata su premesse teoriche di uguaglianza di tutti gli
individui che, come abbiamo visto, sono evoluzionisticamente inspiegabili e appaiono essere una
derivazione del fenomeno religioso.
Conclusioni
Obiettivo principale del presente testo è soprattutto quello di delineare un metodo per
confrontarsi con il problema del confronto tra fede e razionalità. Il problema viene affrontato con un
approccio che può essere tranquillamente definito come materialistico, nel senso che il “Disegno” si
pone come un progetto di civiltà terrena, progetto che potrebbe essere tranquillamente accettato
senza introdurre necessariamente ipotesi di soprannaturalità nella natura umana. E’ evidente, però,
che l’affermazione della tesi del Disegno sollecita la domanda del chi e perché muove la storia
umana.
Il metodo, poi, offre nuove opportunità di analisi della realtà sociale. In generale, quando si
cerca di spiegare gli aspetti della realtà sociale, si usa partire dal primo essere umano che, con il suo
pensiero espresso, lo ha favorito o descritto. In un altro metodo si parte dall’analisi etimologica dei
concetti che descrivono questo aspetto. Così per la democrazia si parla dei filosofi Greci, dei
filosofi moderni che l’hanno teorizzata, della radice Greca del concetto stesso.
In tutti questi casi, si fa riferimento a un qualcosa, cioè il pensiero di un individuo o il
linguaggio di una civiltà antica, che non è un termine originario, essendo anch’esso derivato dai
suoi presupposti genetici, culturali e ambientali. Nel linguaggio filosofico si può dire che questi
elementi non possono avere la proprietà di archetipi.
Il metodo presentato offre due ordini di archetipi, la razionalità causale, indipendentemente
da tutte le proprietà particolari che la caratterizzano e che devono essere investigate dalla scienza, e
la razionalità finale non riducibile, le cui proprietà particolari possono essere investigate dalla
Teologia o da qualche altra dottrina fondata su approcci più pragmatici della quale il metodo
sviluppato potrebbe tranquillamente essere parte.
Nello svolgimento del metodo sono stati presentati alcuni argomenti reputati interessanti in
relazione alla argomentazione della tesi del “Disegno della civiltà”. Naturalmente non sono i soli
presentabili, d’altronde l’ambito di analisi è quanto di più ampio possiamo concepire nel mondo
della conoscenza, il dibattito fede-razionalità non conosce barriere epistemologiche.
La molteplicità degli argomenti presentati può giocare a favore della tesi del Disegno, una
volta che venga evidenziata la coerenza delle situazioni osservate, il loro essere legate alla stessa
razionalità finalistica. E’ l’osservazione di tale legame che ha suggerito il sottotitolo, “La razionalità
nella fede”, che vuole alludere alla razionalità della volontà che questa fede ha costruito, e che
tramite questa razionalità può essere riconosciuta.
Bibliografia
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