il disegno della civiltà. la razionalità nella fede

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Il Disegno della civiltà La razionalità nella fede Di Saltarelli Cristiano Anthony Abstract: Il confronto fede-razionalità è rappresentabile nei termini del confronto tra razionalità causale e razionalità finale. In tale confronto è possibile sviluppare un test di verifica della congruità dell’esistenza di una razionalità finale che guida la storia umana. Base del test è la descrizione dello stato di natura, cioè la descrizione di una società compatibile con la legge evoluzionistica e il suo successivo confronto con la società osservata. Il test è stato condotto in relazione a due aspetti della società umana, la propensione alla violenza e all’organizzazione di sistemi istituzionali democratici. Quest’ultimo aspetto, in particolare, ha comportato lo sviluppo di interpretazioni interessanti in relazione al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e alla nascita dell’Islam. 1. Il processo cognitivo ................................................................................................................ 3 1.1. Il dibattito fede-razionalità ................................................................................................ 6 2. Il disegno della civiltà .............................................................................................................. 7 2.1. Lo stato di natura............................................................................................................... 8 3. Primo test: La violenza umana. .............................................................................................. 11 4. Secondo Test: I sistemi politici democratici moderni ............................................................ 14 4.1. La scelta di Costantino .................................................................................................... 16 4.2. La nascita dell’Islam ....................................................................................................... 18 4.3. Analisi di processo .......................................................................................................... 19 4.4. Qualche ultima parola sui sistemi politici ....................................................................... 19 Conclusioni ................................................................................................................................ 21 Parte rilevante, del dibattito filosofico, sul rapporto fede-razionalità, si trova concorde sull’idea che questo sia riducibile nel confronto tra gli archetipi del caos e dell’ordine. Ritengo tale riduzione abbastanza problematica. Il primo argomento critico riguarda il caos, il quale non ha proprietà interne, altrimenti non sarebbe caos, ed è un concetto complementare e residuale. Per tali ragioni può essere definito con difficoltà come un archetipo. Il secondo argomento critico riguarda il rapporto ordine-caos. Esistono due grandi categorie di ordine nel mondo da noi conosciuto, l’ordine planetario, cioè le regolarità nell’andamento di stelle e pianeti, e l’ordine naturale, cioè l’ordine che caratterizza tutte le forma di vita. Nella prima categoria, sappiamo che quell’ordine evolve da masse caotiche di materia. Anche nel caso della natura, fatte salve le difficoltà probabilistiche inerenti la determinazione iniziale di forme viventi dalla materia, abbiamo comunque un ordine che si può potenzialmente produrre per evoluzione naturale dalla materia disordinata ed è quindi derivato dal caos. In questi casi, quindi, l’ordine non è accettabile come archetipo. Notiamo una caratteristica, nei casi in cui l’ordine si produce, per evoluzione naturale, dal caos, non abbiamo bisogno di pensare che esso sia funzionale a una qualche entità, perché la sua esistenza, appunto, è spiegata da questa evoluzione. Laddove, invece, un ordine riconoscibile non è spiegato dall’evoluzione naturale, allora, per spiegarlo, possiamo pensare che esso sia stato prodotto da un’entità che lo ha vol uto per realizzare un proprio fine. Un’evoluzione analoga del ragionamento, la troviamo quando proviamo a spiegare il rapporto fede-razionalità con la categoria del senso delle cose, attribuito come competenza alla fede. Il concetto di senso, infatti, può essere considerato sinonimo di finalità.

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Il Disegno della civiltà La razionalità nella fede

Di Saltarelli Cristiano Anthony

Abstract: Il confronto fede-razionalità è rappresentabile nei termini del confronto tra

razionalità causale e razionalità finale. In tale confronto è possibile sviluppare un test di verifica

della congruità dell’esistenza di una razionalità finale che guida la storia umana. Base del test è la

descrizione dello stato di natura, cioè la descrizione di una società compatibile con la legge

evoluzionistica e il suo successivo confronto con la società osservata. Il test è stato condotto in

relazione a due aspetti della società umana, la propensione alla violenza e all’organizzazione di

sistemi istituzionali democratici. Quest’ultimo aspetto, in particolare, ha comportato lo sviluppo di

interpretazioni interessanti in relazione al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e alla nascita

dell’Islam.

1. Il processo cognitivo ................................................................................................................ 3

1.1. Il dibattito fede-razionalità ................................................................................................ 6

2. Il disegno della civiltà .............................................................................................................. 7

2.1. Lo stato di natura............................................................................................................... 8

3. Primo test: La violenza umana. .............................................................................................. 11

4. Secondo Test: I sistemi politici democratici moderni ............................................................ 14

4.1. La scelta di Costantino .................................................................................................... 16

4.2. La nascita dell’Islam ....................................................................................................... 18

4.3. Analisi di processo .......................................................................................................... 19

4.4. Qualche ultima parola sui sistemi politici ....................................................................... 19

Conclusioni ................................................................................................................................ 21

Parte rilevante, del dibattito filosofico, sul rapporto fede-razionalità, si trova concorde

sull’idea che questo sia riducibile nel confronto tra gli archetipi del caos e dell’ordine.

Ritengo tale riduzione abbastanza problematica.

Il primo argomento critico riguarda il caos, il quale non ha proprietà interne, altrimenti non

sarebbe caos, ed è un concetto complementare e residuale. Per tali ragioni può essere definito con

difficoltà come un archetipo.

Il secondo argomento critico riguarda il rapporto ordine-caos. Esistono due grandi categorie

di ordine nel mondo da noi conosciuto, l’ordine planetario, cioè le regolarità nell’andamento di

stelle e pianeti, e l’ordine naturale, cioè l’ordine che caratterizza tutte le forma di vita. Nella prima

categoria, sappiamo che quell’ordine evolve da masse caotiche di materia. Anche nel caso della

natura, fatte salve le difficoltà probabilistiche inerenti la determinazione iniziale di forme viventi

dalla materia, abbiamo comunque un ordine che si può potenzialmente produrre per evoluzione

naturale dalla materia disordinata ed è quindi derivato dal caos. In questi casi, quindi, l’ordine non è

accettabile come archetipo.

Notiamo una caratteristica, nei casi in cui l’ordine si produce, per evoluzione naturale, dal

caos, non abbiamo bisogno di pensare che esso sia funzionale a una qualche entità, perché la sua

esistenza, appunto, è spiegata da questa evoluzione.

Laddove, invece, un ordine riconoscibile non è spiegato dall’evoluzione naturale, allora, per

spiegarlo, possiamo pensare che esso sia stato prodotto da un’entità che lo ha voluto per realizzare

un proprio fine.

Un’evoluzione analoga del ragionamento, la troviamo quando proviamo a spiegare il

rapporto fede-razionalità con la categoria del senso delle cose, attribuito come competenza alla

fede. Il concetto di senso, infatti, può essere considerato sinonimo di finalità.

La finalità, quindi, come alternativa ad un’evoluzione naturale. Nel prossimo capitolo

vediamo come questa possa strutturarsi nell’analisi del processo cognitivo.

1. Il processo cognitivo

Possiamo definire il processo cognitivo come un processo nel quale un osservatore

acquisisce informazioni su un dato ambiente.

Gli elementi essenziali di tale processo sono l’osservatore, o gli osservatori, e l’ambiente

osservato. Se noi universalizziamo tali elementi troviamo i concetti di Essere cosciente ed Essere

materiale.

E’ intuitiva, la descrizione dell’Essere materiale, esso coincide con tutto ciò che possiamo

percepire, continuamente intorno a noi. Definiamo quindi, l’Essere materiale come l’insieme di ciò

che è percepibile, in quanto invia, continuamente, nel tempo, messaggi (di tipo visivo,

gravitazionale, etc.) indicativi della sua presenza localizzata nello spazio.

L’Essere materiale può essere così formalizzato

={}

:t t: s:t (s) s s,tT 1

t (t)=t

ed indicano, rispettivamente, l’insieme e il singolo stato dell’Essere materiale. Il

suffisso indica che detti stati sono definiti a un dato tempo incluso nello spazio globale di tempo T.

La definisce, per ogni stato definito in un dato tempo, una serie unica di stati dell’essere

che precedono e seguono lo stato, in tutto lo spazio del tempo.

Se r>s allora t (s) causa t (r). Le leggi descriventi tutte le relazioni di questo tipo sono

leggi di razionalità causale.

L’Essere cosciente è definito come l’insieme di entità dotate di coscienza, finalizzate e attive

così formalizzabili.

C=(I1,I2…In) 2

Ij(t,{s}) s<t

Le I sono funzioni di identità definite su uno stato t obiettivo dell’entità iesima, e su un

insieme di stati {s} definiti in un tempo precedente che si considerano nel suo dominio.

Si definisce scelta di I la definizione della:

SIj=t (s) {s}

Definiamo la t come causa finale della t (s). La causazione finale implica la causazione in

senso inverso. Le leggi che descrivono la causazione finale sono leggi di razionalità finale.

La 1 e la 2 definiscono un Paradigma cognitivo, cioè un assetto teorico sulla base del quale è

possibile relazionare gli stati dell’essere sia in termini causali che di causalità finale.

Se C= allora definiamo il paradigma come di tipo meccanico, altrimenti il paradigma è

definito di tipo storico.

Supponiamo ora di poter definire una ’ nella quale sia presente una s che determini un s

che sia inclusivo dello stato di una Ij, possiamo definire quest’ultima come causalmente determinata

dalla ’ .

Nella nostra rappresentazione, le entità, hanno la possibilità di compiere una sola scelta, in

relazione alla quale possono essere causalmente determinate. Altre rappresentazioni, più complesse,

possono presupporre scelte multiple o di tipo stocastico. In tal caso sarà possibile avere entità

causalmente determinate in maniera parziale.

Se supponiamo che tutte le identità, definite nella 2, siano causalmente determinate, allora

siamo di fronte ad un Paradigma storico riducibile ad un Paradigma meccanico.

Nel Paradigma meccanico l’evoluzione degli eventi è univoca, determinata, segue sempre le

leggi della razionalità causale. Il Paradigma meccanico toglie significato ad interpretazioni morali,

che necessitano del confronto tra differenti evoluzioni alternative dello stato dell’Essere materiale.

Una rappresentazione intuitiva, dell’evoluzione nel tempo dell’Essere materiale, osservata

con un Paradigma storico, è data da un albero decisionale che viene rappresentato in grafico 1.

Rispetto ad una molteplicità di possibili evoluzioni ( E,F,G.H,I ed L), se ne realizza una

sola, cioè la E, che rappresenta il fine di almeno un’ entità cosciente, cioè quello che da B ha portato

in E. In tale caso parliamo di finalismo diretto.

La E potrebbe anche essere il fine di quello che ha portato da A in B, supponendo che avesse

la capacità di prevedere la successiva scelta, perchè cosciente della funzione obiettivo dell’essere

che porta da B in E. In questo caso parliamo di finalismo indiretto.

Esiste poi un terzo tipo di finalismo, il finalismo indotto, che consiste in una scelta di

condizionamento della funzione di identità di i, da parte di un altra entità cosciente j, in maniera tale

da far fare ad i la scelta che j vuole.

Definiamo come Tesi Meccanicista l’affermazione che il Paradigma meccanico sia in grado

di interpretare correttamente il mondo in cui viviamo, e che quindi, qualsiasi Paradigma storico con

il quale possiamo osservare la realtà sia riducibile ad un paradigma meccanico.

La Tesi Meccanicista comporta il contrasto tra la coscienza, dell’Essere cosciente, di essere

capace di scegliere, e la sua coscienza di appartenere all’essere, cioè a una realtà fatta di leggi

meccaniche, che non prevedono l’indeterminatezza della scelta. Definiamo tale contrasto come

Dilemma della Coscienza.

La problematica della tesi Meccanicista, e il connesso Dilemma della Coscienza,

rappresentano la principale questione del pensiero filosofico: Esiste un senso per nostra vita? E se

si, quale senso?

Versioni più complesse, della stessa domanda, a contenuto teologico, sono possibili ma non

necessarie, perché la domanda riguarda esclusivamente il rapporto di un’entità cosciente con

l’Essere materiale nel quale si trova inserita. Essa, cioè, riguarda una sistematizzazione del rapporto

tra cognizione meccanica e cognizione storica dell’Essere.

I paradigmi presentati, infatti, sono modi di vedere la realtà. I due tipi di paradigmi, or ora

visti, comportano una profonda differenza nell’interpretare il rapporto con il tempo.

Nel Paradigma storico esiste un passato che ha forte rilievo, che ha definito l’unico itinerario

del sentiero della storia tra i tanti possibili.

Nel Paradigma meccanico, invece, le leggi di razionalità causale sono sempre le stesse in

ogni momento del tempo, per cui il passato non può condizionare in maniera determinante le

decisioni del presente, esso conta solo in termini di esperienza. L’esperienza ha, comunque, un

valore positivo. Vi è un’utilità, nel prendere decisioni di tipo differente dal consueto, per

sperimentare nuovi risultati. Vi è una fiducia nel cambiamento e nel futuro.

B C D

E F G H I L

A

1 Grafico 1

Nel paradigma storico, ogni cambiamento può comportare effetti irreversibili e

potenzialmente dannosi. Vi è. scarsa fiducia nel cambiamento, ed attaccamento al passato e alle

tradizioni.

Analizzando la struttura del linguaggio comune vediamo come questa sia fondata su un

paradigma storico. Essa, infatti, esprime sempre concetti centrati su un verbo, e quindi su un’azione,

derivata tipicamente da una scelta. La scelta è rappresentata dai nodi A,B,C,D del grafico 1. Tale

forma espressiva è applicata in maniera universale anche quando non vi è traccia di una scelta. Si

dice, ad esempio, che la terra gira intorno al sole, dando un’inutile informazione perché questo

deriva da una legge meccanica generale che vale per qualsiasi corpo celeste e che quindi sintetizza

anche questa informazione.

La predominanza del paradigma storico, spiega la difficoltà che ha, normalmente, la persona

comune, a comprendere concetti scientifici, che hanno trovato la loro espressione in forme di

comunicazione diverse dal linguaggio comune (formule, tabelle). Queste altre forme di

comunicazione sono idonee ad esprimere concetti razionali causali, caratteristici del Paradigma

meccanico.

I Paradigmi sono modi per spiegare e per interpretare la realtà. Essi hanno quindi un effetto

sull’interpretazione stessa. Il predominante Paradigma storico ha condizionato l’interpretazione di

molti eventi nel corso della storia.

Un concetto come quello della natura che si “vendica” della pressione dell’uomo su di essa,

il concetto di “fato” degli antichi greci, il senso che viene attribuito alla storia, che si fonda

implicitamente sull’idea dell’esistenza di un’entità astratta che guida il mondo, sono tutti esempi di

condizionamento dal Paradigma storico.

Il più importante di questi condizionamenti è dato dalla definizione di concetti di divinità e

di creazione finalizzata della totalità dell’Essere. L’idea creazionista può quindi essere in parte

spiegata da questa particolarità del sistema cognitivo umano. Si tratta di una spiegazione parziale,

perché se il Paradigma storico aiuta a vedere, dietro una serie di eventi, una volontà finalistica, è

comunque necessario che tale volontà sia percepibile, coerentemente, in una serie di eventi. Nella

rappresentazione data, di Essere cosciente, noi abbiamo supposto che questo sia percepibile, e lo

può essere tramite la percepibilità del suo essere fisico, oppure tramite la percepibilità degli effetti

del suo agire, nel caso si tratti di un Essere immateriale.

Il fatto di concepire, un essere cosciente immateriale, determina una differenziazione, del

Paradigma storico. Possiamo parlare di un Paradigma storico fisico, nel quale sono definiti, come

esseri coscienti, solo quelli identificabili come esseri fisici nello spazio. Possiamo parlare di un

Paradigma storico metafisico o cosmico, per il quale ci sono esseri coscienti, non vincolati allo stare

dentro un corpo fisico. In quest’ultimo contesto paradigmatico, è possibile concepire esseri

coscienti immateriali, e quindi analizzare fenomeni spirituali.

C’è una relazione, tra tipologia di Paradigma storico e tesi Meccanicista. L’affermazione

della tesi Meccanicista, infatti, confina la spiegazione dell’azione, degli esseri coscienti fisici, alla

dimensione fisica. La negazione della tesi Meccanicista, invece, lascia spazio alla possibilità, che

una componente, delle scelte degli Esseri coscienti fisici, sia parte di una realtà non fisica, e che

l’effetto dell’azione di questa componente, determini quei comportamenti, che la razionalità causale

non riesce a spiegare, o spiega in maniera errata.

1.1. Il dibattito fede-razionalità

Abbiamo ora gli strumenti per riorganizzare, in parte1, il dibattito fede-razionalità. Abbiamo

due strutture teoriche, cioè la razionalità causale, e la razionalità finale non riducibile, con caratteri

propri e non derivate da alcunchè che possono quindi rappresentare i nostri archetipi di riferimento.

Dello studio della razionalità causale si occupa la scienza.

Lo studio dei meccanismi di razionalità finale è oggetto di molte dottrine di stampo sociale,

politico ed economico. Naturalmente è da vedere se, e in che misura, questa razionalità finale sia

riducibile alla razionalità causale.

Con certezza possiamo affermare che la quasi totalità della razionalità finale analizzata nelle

dottrine sociali è razionalità umana, cioè prodotta da individui appartenenti a una specie biologica.

A questa si aggiungono alcune tesi sociali organiciste o storiciste che cercano di trovare finalità

superiori all’individuo nell’agire umano.

Come tutte le specie biologiche, anche la specie umana è soggetta alla legge evoluzionistica,

una legge che determina causalmente il comportamento degli esseri biologici in rapporto alle

caratteristiche della totalità dell’ambiente nel quale questi si evolvono. Tale legge rappresenta una

convergenza probabilistica che si afferma nel tempo, per cui pur essendo possibile trovare caratteri

antievoluzionistici in singoli individui di una specie, la probabilità che detti caratteri siano diffusi in

tutta la popolazione tende a 0.

E’ evidente che, se nella specie umana ci sono comportamenti generali incompatibili con la

legge evoluzionistica, questi difficilmente possono essere spiegati con la razionalità causale.

In tal caso è possibile ipotizzare che questi possano essere spiegati con una razionalità finale

non riducibile. Tale spiegazione non è di tipo residuale, nel senso che è comunque necessario

trovare elementi di coerenza, di molteplici comportamenti non spiegati, con un'unico modello di

razionalità finale.

1 Gli argomenti trattati dalla fede riguardano sia aspetti del mondo fisico, sia aspetti di una eventuale realtà metafisica. I

nostri strumenti ci consentono di indagare solo la realtà fisica, per cui possiamo parlare solo della parte più “materiale”

di questo dibattito. D’altronde è lo stesso approccio che si ha descrivendo il rapporto fede-razionalità nei termini di

ordine e caos, che sono concetti di tipo materiale.

2. Il disegno della civiltà

Andiamo ora ad analizzare uno speciale Paradigma storico metafisico, caratterizzato da una

sola entità cosciente immateriale non determinata causalmente. Definiamo questo come Paradigma

del Disegno.

Supponendo che l’evoluzione nel tempo, dello stato dell’essere, sia rappresentabile nei

termini di una sola variabile, possiamo riportare gli elementi essenziali del Paradigma del Disegno,

nel grafico 2.

La N descrive quello che può essere definito come Stato di natura, cioè lo stato dell’essere

che si realizzarebbe in caso di assenza dell’azione da parte dell’entità immateriale.

Nel grafico supponiamo che detta entità operi due azioni, rispettivamente, nei tempi t1 e t2,

al fine di concretizzare il Disegno di portare la variabile C al livello C*.

Notiamo come, al tempo t2, la variabile subisca una flessione nell’immediato, questa però

permette di entrare in un sentiero di maggiore crescita naturale della C. Il particolare serve a

evidenziare il fatto che l’azione finalistica è strategica, punta ad un obiettivo finale, ed è solo questo

obiettivo che permette di definirla.

Supponiamo, ora, di cercare di verificare la congruità del Paradigma del disegno con

l’osservazione del mondo in cui viviamo. Tale verifica può essere operata su tre livelli :

1) Un livello cumulato che si concretizza analizzando la differenza tra lo stato di

natura proiettato all’oggi e lo stato dell’essere attuale, rappresentata nel nostro

caso, dalla differenza tra C* e N(t);

2) Un livello differenziale, che si concretizza analizzando i momenti della storia nei

quali lo stato dell’Essere devia rispetto alle spiegazioni causali, nel nostro caso i

tempi t1 e t2. Un indizio interessante per tale analisi è dato dall’affermazione fatta

da protagonisti di questi momenti storici di essere stati spinti a dati comportamenti

da condizionamenti spirituali di qualsiasi genere;

3) Un livello di processo, che si concretizza analizzando l’evoluzione dei sentieri

deviati, nel nostro caso D1 e D2, e la particolarità del loro evolversi e della loro

dipendenza dagli eventi realizzatisi in t1 e t2.

N

D1

D2

t1 t2

Grafico 2 C*

t

C

Abbiamo supposto un’analisi con una sola variabile, in realtà la società è complessa, e si

muove sull’onda delle tante variabili che si condizionano tra loro. Dobbiamo però considerare che

noi useremo la legge evoluzionistica come strumento di sintesi dei meccanismi causali. La

razionalità evoluzionistica è una selezione statistica delle soluzioni più probabili. Per tale ragione a

maggior ragione più caratteri antievoluzionistici hanno una irrilevante possibilità di concretizzarsi

anche nel caso in cui insieme, e solo insieme, siano evoluzionisticamente vincenti. Supponiamo ad

esempio due aspetti comportamentali, A e B, con versioni A1 e B1 evoluzionisticamente vincenti da

sole, ma perdenti rispetto alla coppia (A2,B2). In uno spazio temporale di milioni di anni è

sufficiente che i caratteri A1 e B1 si presentino una sola volta per affermarsi stabilmente come

caratteri della popolazione. I caratteri A2 e B2 potranno presentarsi molte volte in maniera separata

ma verranno sempre cancellati, essi sopravviveranno solo se si presentano contemporaneamente e

nello stesso individuo, cosa assai improbabile.

Un altro modo per dire questo è affermare che la selezione evoluzionistica seleziona

soluzioni semplici non soluzioni complesse.

Questo ci permette di affermare che un’analisi evoluzionistica dei caratteri comportamentali

può essere congruamente effettuata in maniera separata.

2.1. Lo stato di natura

Il concetto di stato di natura ha avuto un forte ruolo nell’evoluzione del pensiero sociale,

spesso in esso sono state proiettate visioni ideali. Una certa rappresentazione ha costruito l’idea di

una contrapposizione natura-società, per cui la società moderna spiegherebbe i cambiamenti rispetto

allo stato naturale. Si tratta di una visione impropria dal punto di vista di questa analisi. La società,

come assetto di valori, significati e credenze più o meno comunemente accettate dalle comunità

umane è un prodotto dei meccanismi di comunicazione umani, che sono meccanismi

evoluzionisticamente determinati.

Nel nostro caso il concetto di stato di natura deve rispondere alla domanda: Come sarebbe

l’uomo e la società umana se fosse stato determinato esclusivamente dalle leggi causali che sono

presenti nel mondo in cui viviamo?

Tali leggi, essendo l’uomo un essere biologico, trovano una interessante sintesi nella legge

evoluzionistica. Tale legge, va sviluppata nell’ottica dell’elemento fondamentale della natura

umana, cioè il suo vivere in comunità organizzate. Bisogna poi considerare l’inerzia che caratterizza

i caratteri genetici, i quali tendono a persistere anche quando il loro vantaggio evoluzionistico si

riduce.

Per tale ragione possiamo affermare che caratteri comportamentali umani possono essere

considerati evoluzionisticamente spiegati se:

1) essi comportano, o hanno comportato in passato, un vantaggio riproduttivo individuale;

2) pur se comportanti uno svantaggio riproduttivo individuale, essi comportano, o hanno

comportato, in passato, un vantaggio riproduttivo per la comunità. In tale caso, è

comunque necessario dimostrare l’esistenza di condizioni di equilibrio interne. E’

necessario dimostrare, cioè, che quella caratteristica, pur essendo individualmente

svantaggiosa, tende a mantenersi in proporzione costante nella comunità. Questo è

possibile se l’informazione genetica che porta il carattere è diffusa in tutta la

popolazione, ma produce il comportamento in questione solo sotto certe condizioni

particolari.

Il primo carattere essenziale è dato da un modello decisionale che definiamo Empatico-

affettivo che rappresentiamo con una funzione di felicità individuale così determinata:

Fi [t] =Fi(Ii , Ai , F^j,ji ) [t] 3

Per cui la felicità dell’essere umano i è data dalla soddisfazione dei suoi bisogni istintivi, I,

dalla realizzazione delle sue affettività, A, e dalla felicità, F^, che gli altri esseri umani esprimono.

Dei meccanismi istintivi portano tutti gli individui a sfogare il proprio stato emozionale verso

l’esterno con tratti del volto, movimenti involontari, che determinano la F^. Tutte le componenti

della felicità hanno come argomento lo stato dell’essere t .

La I e la F^ sono fonti primarie di soddisfazione, mentre la A è una fonte derivata perché

dipende dalla soddisfazione derivata nel passato da specifici stati dell’essere che sono associati allo

stato presente. Un modo di rappresentare la 3, esplicitando la funzione di affettività, è quindi il

seguente:

tFi [t] = F’i(tIi , tF^j,ji ) [t] + Ai ( (s=0…,t-1)(Ii , F^j,ji ) [s]) [t] 3.a

La felicità dell’individuo è definita quindi come somma di una felicità immediata, F’, e di

una felicità affettiva, A. La felicità affettiva dipende dallo stato dell’essere presente, che però viene

valutato in relazione alla felicità che stati dell’essere associati hanno prodotto nel passato.

L’affettività rappresenta una sorta di esperienza cumulata, che ripropone forme analitiche

utilizzate per costruire processi di apprendimento nei sistemi di intelligenza artificiale2, nella quale

l’individuo osserva le situazioni che gli producono maggiore felicità e tende a preferirle a priori.

Se consideriamo che l’individuo, nel tempo, sceglie gli stati dell’essere che gli danno

maggiore felicità, per cui l’effetto sui parametri della A è spesso additivo, vediamo come, con il

passare del tempo, le scelte dell’individuo sono sempre più determinate dall’affettività stessa, e

meno dalla felicità immediata. Questo è coerente con l’osservazione che gli individui, nel tempo,

maturano, cioè presentano scelte più stabili, dando minori segnali di dinamica emotiva.

L’affettività agisce inoltre come un moltiplicatore di esperienze, permette all’individuo di

fare scelte condizionate dalle preferenze di chi è assente, o addirittura è morto.

L’affettività spiega sia l’evolversi di relazioni stabili di amicizia o affettive, sia lo

svilupparsi di legami affettivi nei confronti di cose o luoghi, che l’individuo associa a momenti di

felicità passata. Spiega anche l’asocialità di quegli esseri umani che hanno vissuto esperienze di

sofferenza, in relazione al rapporto con altri esseri umani, più in generale spiega il rifiuto di stati,

luoghi e situazioni associati a momenti di sofferenza.

La 3, definendo preferenze collettive, spinge gli esseri umani ad agire per la realizzazione di

obiettivi comuni, essere cooperanti, anche quando tale azione è dannosa per il singolo individuo. La

funzione di preferenza collettiva, però, non è di tipo egualitario.

L’affettività, infatti, produce un processo selettivo, gli individui tendono a cercare il contatto

con individui, cose o luoghi, che hanno dato loro maggiore felicità. La capacità di questi, di dare

felicità, per questa ragione continua ad accrescersi in rapporto a quella prodotta dalle altre

esperienze. Vi sono individui, perciò, che in base alle loro caratteristiche, assumono un peso

maggiore, le loro preferenze sono più importanti nelle funzioni di preferenza collettiva, che ciascun

individuo della comunità si forma. Si tratta di un aspetto, questo, che è stato notato fin dall’origine

nelle ricerche sull’empatia, e che è alla base del fenomeno della Leadership3.

L’abbinamento tra la definizione di preferenze collettive e i meccanismi dell’affettività

produce un indirizzamento da parte di tutta la comunità verso oggetti, luoghi e comportamenti

comuni che generano tradizioni e cultura. Queste, essendo il cumulo dell’esperienza

multigenerazionale di molti individui, tendono ad essere molto stabili.

2 Nei modelli di reti neurali tipicamente i parametri associati alle variabili vengono corretti a ogni stadio dell’iterazione

tramite un prodotto tra valore della variabile e risultato ottenuto nello stadio stesso. E’ interessante notare come tale

semplice meccanismo produca risultati di notevole efficienza statistica. La combinazione di semplicità ed efficienza mi

porta a pensare che quella che i ricercatori chiamano intelligenza artificiale abbia una struttura molto simile

all’intelligenza biologica che è alla base del formarsi dei meccanismi di relazione affettiva. 3 Già nel XVIII secolo, Adamo Smith nota la grande capacità degli individui di simpatizzare con i grandi ed i ricchi,

mostrando la fondamentale asimmetria del meccanismo empatico, TSM pp. 65-.

Sulla premessa di questa stabilità si fonda una dottrina come l’Antropologia culturale che

usa la memoria culturale umana per investigare civiltà esistite in tempi lontani.

La comunità composta di individui cooperanti può, grazie a questo, garantire condizioni di

vita medie migliori e maggiore capacità riproduttiva, rispetto a una comunità composta di individui

egoistici, cioè non cooperanti. I comportamenti di tipo cooperativo, quindi, sono

evoluzionisticamente spiegabili.

Se però, nella comunità di cooperanti, è presente una piccola percentuale di individui

egoistici, questi si trovano ad avere una capacità riproduttiva maggiore di quella degli individui

cooperanti. Nel tempo, quindi, gli individui egoistici diventano maggioritari, facendo perdere alla

comunità il vantaggio riproduttivo. In termini più tecnici diciamo che una comunità di individui

cooperanti non è in equilibrio evoluzionistico4.

La soluzione possibile per questo problema è quella della definizione di preferenze morali.

Nelle preferenze morali l’individuo cooperativo coopera al bene collettivo e punisce coloro che non

sono cooperativi. Tale comportamento riduce la capacità riproduttiva degli individui egoistici e

mantiene stabile la quota dei cooperanti, determinando un equilibrio evoluzionistico. I meccanismi

di sanzione dei non cooperativi sono quindi evoluzionisticamente spiegabili, potremmo dire anzi

che sono evoluzionisticamente necessari laddove abbiamo comportamenti di tipo cooperativo.

I meccanismi di preferenza morale, aiutano la comunità a risolvere alcuni dei problemi di

cooperazione in quelle situazioni che siano risolvibili definendo regole comportamentali di tipo

generale.

Vi sono situazioni, però, nelle quali è necessario operare delle scelte contingenti, è quindi

necessario che ci sia qualcuno che prenda decisioni e che questo qualcuno sia seguito

compattamente da tutti gli altri.

Abbiamo già visto come il modello empatico-affettivo comporti una naturale concentrazione

dell’affettività verso alcuni individui, che definiamo Leader naturali. Questa concentrazione si

affina con meccanismi comportamentali che sono evoluzionisticamente spiegabili proprio perché,

rafforzando la formazione della leadership, rendono più forte la comunità. Tali meccanismi sono:

competizione, gregarietà e agonismo.

Come competizione intendiamo la tendenza istintiva a confrontarsi con l’altro per vedere chi

è il migliore, un’azione, quindi, indirizzata a capire chi merita di essere Leader.

Come gregarietà intendiamo la tendenza a seguire il Leader. Come agonismo intendiamo

l’avversione nei confronti di chi fosse avverso al Leader.

Si tratta di caratteristiche comportamentali che sono tipiche dei maschi della specie umana,

indicando come la risoluzione del problema della Leadership sia stata assegnata dalla natura a

questo sesso.

Il fatto, poi, che tali caratteri siano affiancati ad una maggiore aggressività del sesso

maschile, ci aiutano a comprendere il principale utilizzo che ha il meccanismo della Leadership,

fare la guerra, cioè, competere con le altre comunità umane.

4 Un testo intuitivo per questi concetti è Frank R.H., “Passions within Reason: The Strategic Role of Emotions”, WW

Norton & C., New York, 1988 in particolare l’appendice, più tecnico, invece, è il Weibull J. W., “Evolutionary Game

Theory”, Mit Press, Cambridge Mass., 1995..

3. Primo test: La violenza umana.

La violenza è una delle caratteristiche del comportamento umano, la tendenza cioè a far

soffrire, ferire o uccidere altri esseri viventi.

Le ricerche antropologiche hanno evidenziato come la propensione alla violenza sia stata

significativa in tutta la storia dell’uomo. Gran parte dei resti di ominidi ritrovati portano segni di

ferite prodotte da altri ominidi.

Questo non desta sorprese sul piano evoluzionistico, nella rappresentazione dello stato di

natura vediamo come la violenza sia essenziale sia nella punizione di coloro che non sono

cooperativi, sia nella competizione con le altre comunità che si concretizza nella guerra.

Se poi consideriamo che, nel corso della storia umana, l’evoluzione tecnologica ha prodotto

strumenti sempre più efficienti per mettere in atto la violenza, possiamo definire uno stato di natura

nel quale la violenza umana è elevata e crescente. Una critica a tale definizione può essere data

dall’osservazione che alcune comunità umane non civilizzate sono state osservate come di indole

pacifica. In realtà tale indole è stata osservata tipicamente in comunità isolate, quindi in condizioni

di assenza di condizioni di competizione. Il nostro test, invece, riguarda le società evolute,

caratterizzate da elevato livello di popolazione e densità, quindi da alto livello di competizione.

In contrapposizione a questo aspetto dello stato di natura, nel corso della storia umana

notiamo una progressiva riduzione della propensione umana ad usare la violenza.

Possiamo quindi considerare, la nostra analisi cumulata, come congruente con la tesi del

Paradigma del disegno nel caso della violenza umana.

Per effettuare l’analisi differenziale e di processo abbiamo bisogno dell’aiuto

dell’Antropologia culturale.

Gli studiosi di questa dottrina hanno osservato la presenza di numerosi elementi comuni in

gran parte delle religioni umane. Essi danno quasi per certa la comune origine dei riti sviluppatisi

nel continente Eurasiatico. Essa sarebbe attribuibile a popoli stanziati nell’Asia centrale che, in

tempi antichissimi, sarebbero migrati verso la zona dell’Iran, e poi nel bacino dell’Indo, dando

origine alle tradizioni religiose Indiane e Mesopotamiche. E’ da queste ultime che poi, si sarebbe

sviluppata la religione Ebraica. Migrazioni più recenti, avrebbero poi colonizzato l’area del mar

Egeo, dando origine alla religione e cultura Greca5. Altri ceppi rimasti nell’Asia Centrale, sarebbero

all’origine dello sciamanesimo tipico dei popoli nordici Eurasiatici. Tipologie rituali analoghe a

queste ultime sono state trovate anche nei popoli indigeni dell’America Settentrionale6.

L’origine comune delle grandi religioni pone una riflessione. Se questa è vera, infatti, vuol

dire che l’ideazione (Ideazione si intende costruzione a nuovo, non è compresa la modificazione,

evoluzione di religioni) di sistemi religiosi potrebbe essersi realizzata, nel corso della storia umana,

una sola o pochissime volte. Questo è, a mio parere, incompatibile con l’idea di un’evoluzione del

pensiero religioso per logica evoluzionistica, che avrebbe lasciato nella storia molte più tracce di

sistemi religiosi differenti, nati e poi sopraffatti da altri perché poco efficienti.

Entrando nel merito degli elementi comuni, notiamo la presenza di una visione cosmica del

mondo (Cosmo=Essere materiale+Essere spirituale) e la centralità del rito sacrificale, cioè

dell’uccisione di un essere vivente che viene offerto alla o alle divinità che sono definite nell’Essere

spirituale.

Il rito sacrificale consiste nell’uccisione, di un essere umano o di un animale, eseguita su un

piano sopraelevato definito altare. Molteplici indizi ci dicono che il processo storico genera un

passaggio dall’uso di esseri umani a quello degli animali. Questo passaggio è rappresentato anche

nella Bibbia con l’esperienza di Abramo. Il passaggio è oltretutto coerente con la riduzione della

spinta alla violenza che rende sempre più inaccettabile usare l’essere umano per il sacrificio.

5 Krasinski, pp. 75-76.

6 “” , pp. 187 e seg.

Possiamo quindi affermare che, nel suo momento iniziale, il rito sacrificale utilizza esseri

umani.

Proviamo a considerare la comunità umana nella quale il rito sacrificale ha il suo inizio.

Possiamo supporre che, in tale comunità, l’uso della violenza sia conforme allo stato di natura, gli

individui nei cui confronti il valore affettivo, definito dalla 3, diventa negativo, vengono eliminati

perché percepiti come disutili.

L’introduzione del rito sacrificale spinge la comunità a usare questi individui per l’offerta

alla divinità. Per questa ragione, la vita di questi individui assume valore affettivo positivo, perché

essi possono essere offerti alla divinità. Con lo svilupparsi della ritualità sacrificale, il valore

affettivo continua ad incrementare riducendo sempre più la propensione ad uccidere esseri umani.

Guardiamo ora alla prossenica del rito, dove il sacrificato assume posizione centrale e

sopraelevata, cioè la stessa posizione del leader naturale quando si confronta con la sua comunità.

Questa associazione determina il trasferimento di una parte dell’affettività che il leader naturale

riceve verso il sacrificato.

Il rito sacrificale inoltre, con la sua forza emozionale, produce nella comunità una

soddisfazione e una riduzione progressiva del desiderio di violenza7.

Infine dobbiamo considerare il ruolo del sacerdote, colui che concretizza il sacrificio.

Ancora più del sacrificato questi assume la posizione e il ruolo del leader naturale. L’esclusività del

suo ruolo spinge a far percepire l’atto violento, in quanto simile al rito sacrificale, una profanazione

del rito stesso, inducendo un’ulteriore riduzione della spinta all’atto violento.

Tutti questi meccanismi, spiegano l’evoluzione del rito sacrificale in forme sempre meno

violente.

Il senso della ritualizzazione è, quindi, quello di catturare la profonda spinta emozionale che

caratterizza il compimento di atti violenti per canalizzarla verso l’atto e i simboli cultuali. In altre

parole l’adepto (colui che segue il rito) sarebbe catturato originariamente dal piacere prodotto dagli

atti, per poi vederli relegati e sempre più ristretti in un sistema simbolico, che lo spinge ad una

progessiva riduzione degli atti dello stesso genere nella propria vita.

Vediamo quindi che il rito sacrificale permette di spiegare la progressiva riduzione della

spinta alla violenza nella specie umana. Esso però ha caratteristiche tali da non poter essere ideato

da un essere umano determinato dallo stato di natura. Supponiamo, infatti, che un essere umano

avesse compreso la profonda nocività dei comportamenti violenti, la sua tendenza istintiva sarebbe

stata, coerentemente con i meccanismi affettivi, quella di rifiutare ogni contatto con la violenza

stessa, per cui mai avrebbe potuto pensare di utilizzare la violenza stessa in un rito per la comunità.

Passiamo ora ad analizzare tempi più recenti, intorno all’anno 30 d.C, Gesù di Nazareth

esprime un concetto fondamentale: “Porgi l’altra guancia”. Con questo concetto, Gesù crea i

presupposti per l’eliminazione del meccanismo moltiplicativo che, dalla violenza, produce altra

violenza. Questo concetto, però, contrasta con i meccanismi sanzionatori. Ritengo sia difficile

pensare che un concetto del genere possa essere prodotto da un essere umano evoluzionisticamente

determinato. Ritengo sia ancora più difficile pensare che lo stesso concetto possa essere accettato da

altri esseri umani evoluzionisticamente determinati. Supponendo che il concetto riesca comunque

ad entrare nel sistema culturale di una comunità, questo altererebbe i meccanismi di controllo

rendendo instabile il sistema culturale stesso.

Quest’ultimo punto è interessante, le variazioni introdotte sullo stato di natura possono

essere dinamicamente stabili, come quelle espresse nel grafico 2, in quanto tendono naturalmente a

non convergere allo stato di natura, o dinamicamente instabili, perché tendono a convergere verso lo

stato di natura. In questo secondo caso gli interventi operati dall’entità cosciente sono

necessariamente molteplici, oppure devono essere indirizzati a costruire architetture complesse che

tengano conto di questa spinta al ritorno allo stato di natura. Per tale ragione, la persistenza, nei

7 Fromm E., pp. 25-26.

sistemi culturali, di messaggi come quello di Gesù, è prova ancora più forte della tesi di una

congruenza del Paradigma del disegno.

4. Secondo Test: I sistemi politici democratici moderni

Uno degli aspetti più importanti e caratterizzanti della società umana moderna è

l’evoluzione dei sistemi politici democratici e della loro capacità di gestire le istituzioni statuali.

La teoria politica ha grosse difficoltà nello spiegare i processi che caratterizzano questi. La

difficoltà è sostanzialmente quella di capire come in un mondo fatto di individui si concretizzino

scelte collettive. La fonte di questi problemi è, in realtà, originata dalla prevalente concezione

individualista che si ha dell’Essere umano.

Nella descrizione dello stato di natura abbiamo visto come questo produca una naturale

risoluzione del problema dell’azione collettiva, con le preferenze morali e con la definizione di un

meccanismo di competizione che produce un leader naturale nei confronti del quale gli individui

della comunità sviluppano una forte affettività e senso di gregarietà.

La presenza del leader naturale, comporta una avocazione delle questioni di stampo politico

a quest’ultimo. La politica, cioè, non appare nel linguaggio comune. Questo anche perché la

comunicazione è condizionata dalla figura del Leader, il quale ha interesse a far si che la

comunicazione stessa sia funzionale alla stabilità del suo potere. La stabilità del potere del leader è

evoluzionisticamente forte perché rende forte la sua comunità.

Abbiamo visto come il modello empatico-affettivo produca una percezione diseguale degli

individui, tale percezione diventa funzionale ad una organizzazione interna dello stato naturale nel

quale gli individui ricevono potere in funzione del loro peso nell’affettività della comunità, e tale

peso sostiene il loro potere.

Guardiamo ora ai sistemi politici democratici moderni, provando a sintetizzarne le

componenti strutturali:

1) Uguaglianza di principio di tutti gli individui;

2) Attribuizione del potere sulla base di una scelta politica razionale con pari opportunità da

parte di tutti gli individui;

Per analizzare la concretizzazione storica del principio di uguaglianza possiamo muoverci in

maniera parallela all’analisi fatta sulla violenza. Il rito sacrificale, infatti, nel suo incrementare

l’affettività direzionata ai soggetti che sono al margine della comunità, produce una riduzione della

distanza relativa nella percezione degli individui della comunità.

Venendo poi a tempi più recenti, ritroviamo Gesù di Nazareth il quale, sul monte delle

beatitudini, delinea una serie di principi gran parte dei quali possono essere sintetizzati dal concetto

di dignità compensativa, cioè prendere le posizioni sociali più fragili e marginali ed associare ad

esse il massimo di significati positivi. Nel tempo, la diffusione di questo concetto, produce un

livellamento del valore affettivo degli individui, e quindi avvicina all’eguaglianza.

Veniamo ora al punto 2, esso necessita di una adeguata comprensione del meccanismo

democratico in tutta la comunità tale meccanismo, cioè, deve essere parte della sua cultura.

Partiamo dalla premessa che il sistema democratico sia “migliore”, cioè che venga scelto

dagli individui quando entra come opzione possibile nel sistema culturale.

E’, quindi, fondamentale analizzare l’evoluzione di una cultura politica e democratica.

L’acquisizione di cultura è fatta di due componenti, l’esperienza e la valorizzazione affettiva

della stessa. Queste due componenti sono state derivate dal modello empatico-affettivo, che è un

meccanismo di apprendimento, e quindi, necessita di informazioni. Tali informazioni vengono

elaborate dal meccanismo affettivo per cui sono acquisite in funzione dell’affettività ad esse

associate.

La valorizzazione affettiva, nel caso della politica, risulta ridotta in maniera significativa in

caso di presenza di un leader naturale forte e questo per due ragioni:

a) Il disincentivo che il leader opera nei confronti di ogni ragionamento attinente le

questioni politiche;

b) La percezione, da parte della comunità, che il problema politico sia risolto dalla presenza

del leader.

Il punto b può essere reinterpretato nei termini del concetto che la comunità sente il bisogno

di un leader che gli dia sicurezza. Questo bisogno è il pilastro fondamentale della forza del leader.

Per questa ragione, la presenza di una figura leader aggiuntiva indebolisce la forza del

leader, questo anche quando questa figura è immateriale come una divinità. La divinità è tanto più

capace di sostituire il leader naturale, quanto più la sua natura viene percepita come umana.

Se proviamo ad andare ad indagare i due contesti storici nei quali la cultura politica

democratica si è sviluppata troviamo l’antica Grecia, caratterizzata da divinità molto umane, sia in

termini di immagine, che in termini di comportamento, e la civiltà Occidentale, che si sviluppa sotto

il segno di Gesù Cristo, cioè il Dio fatto uomo.

Completiamo il discorso notando che l’esistenza di divinità in un sistema culturale è

evoluzionisticamente inspiegabile perché comporta una inutile astrazione, e quindi un costo in

termini psicologici, verso un Essere spirituale. L’astrazione è inutile perché tutti i vantaggi

evoluzionistici che la comunità ottiene dal fatto di avere un Leader Divino sono ottenibili con un

Leader più materiale: Un leader naturale, una città, un’idea di Nazione8.

Con la presenza della divinità il leader naturale diventa leader secolare, cioè caratterizzato

particolarmente nel suo ruolo di gestione della forza e indebolito nel suo ruolo di catalizzatore

dell’affettività della comunità che è direzionata in parte verso la divinità.

E’ importante l’equilibrio che si crea tra leader secolare e divinità. Al riguardo possiamo

guardare alcuni esempi storici. Si va dall’unzione operata nel mondo Giudaico sul Re da parte del

profeta, abbiamo poi, nel mondo romano, i riti di devozione che il vincitore in battaglia doveva

offrire al tempio di Giove Capitolino. Infine, nel medioevo, il concetto di incoronazione e di

unzione del Re da parte del leader religioso, cioè colui che fa le veci della divinità. In tutti questi

casi il leader secolare è in condizione di subalternità rispetto alla divinità Tale subalternità è

evoluzionisticamente inspiegabile, tenuto conto che il potere reale è nelle mani del leader secolare,

e che questi è caratterizzato dalla spinta istintiva a diventare un leader naturale, cioè assoluto.

Riguardo all’esperienza umana, nell’ambito della politica, torniamo di nuovo ad analizzare i

due contesti storici nei quali il pensiero politico si sviluppa, cioè quello Greco antico, e quello della

civiltà Occidentale.

In entrambe i casi noi troviamo una realtà culturale omogenea, cioè caratterizzata da

omogeneità di lingua, credenze e ritualità, ma frazionata in differenti sistemi politici. Questo

comporta una cumulazione di esperienza, perché gli individui possono, all’interno della stessa realtà

culturale, osservare differenti sistemi politici. Risulta inoltre essere rafforzato il potenziale critico

nei confronti di ciascun sistema politico, perché vi è presenza di individui che osservano questi

sistemi senza esserne sudditi.

Anche qui troviamo la difficoltà evoluzionistica del formarsi di una situazione del genere,

perché la spinta ad una leadership naturale tende a produrre un unico leader per una realtà culturale

omogenea.

8 . Il meccanismo di definizione del leader nasce dal modello Empatico-affettivo, in generale esso può avere per oggetto

qualsiasi concetto o elemento materiale. Nella serie sono stati riportati casi che sono dotati di livelli di astrazione

crescenti. La predisposizione originaria a sviluppare affettività verso un essere umano, però, rende la soluzione del

leader naturale più forte in senso evoluzionistico. Il concetto di leader divino sarebbe all’ultimo posto di questa serie,

esso è infatti più astratto del concetto di nazione perché quest’ultima ha dei referenti indiretti di natura fisica (un

territorio, un popolo, una lingua). Sottolineiamo che, mentre l’incremento del livello di astrazione è poco spiegabile in

senso evoluzionistico, la sua riduzione è, invece, perfettamente spiegabile. Questo potrebbe permettere di spiegare

l’evoluzione degli assetti assetti istituzionali di potere, fondati su un’idea di nazione, su un’idea di stato organizzato

secondo un determinato sistema ideologico, come riduzione dell’astrazione rispetto all’esistenza di un leader divino.

Potremmo dire, quindi, che le componenti essenziali dello sviluppo di una cultura

democratica sono, quindi, nella debolezza e frammentazione del potere.

La nostra analisi differenziale, quindi, si concretizza in eventi che hanno favorito questa

debolezza e questa frammentazione.

Credo che sia facile essere d’accordo sul fatto che la fase iniziale dello sviluppo della civiltà

Occidentale, cioè il periodo seguente il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, abbia queste

proprietà.

A queste si aggiunge un ulteriore elemento. La civiltà sopravvissuta al crollo di detto impero

si è trovata in condizioni di subalternità politica rispetto ai popoli barbari che la dominavano. La

netta superiorità della cultura latina ha fatto si che detti popoli fossero perdenti dal punto di vista

culturale pur essendo dominanti sul piano militare. Si è creata quindi l’opportunità dello sviluppo di

una cultura slegata dalle esigenze immediate del potere. Anche in questo caso, si tratta di una

situazione evoluzionisticamente inspiegabile: la cultura, infatti, comporta maggiore unità e

tecnologia, quindi forza militare; Chi detiene la cultura diventa politicamente dominante, nella sua

dominanza tende a minimizzare o annullare il ruolo delle culture di chi è politicamente dominato,

per cui la dominanza culturale coincide con quella militare.

Possiamo dire, quindi, che un’entità interessata allo sviluppo di una cultura democratica

avesse interesse a favorire il crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Tale evento rimane anomalo,

il dibattito storiologico ha avuto difficoltà a spiegare una così repentina caduta della forza bellica

dell’Impero. Il prossimo paragrafo presenta una spiegazione dell’evoluzione di tale crollo

congruente con la tesi del Paradigma del Disegno.

4.1. La scelta di Costantino

Costantino è il padre istituzionale della chiesa Cristiana, legittima la religione Cristiana

nell’Impero Romano, istituisce il concilio di Nicea per ordinare la chiesa.

Vi è una particolarità nel comportamento di questo grande imperatore, dopo aver dato la

dignità di capitale religiosa Cristiana alla città di Roma con la costruzione delle grandi basiliche

della cristianità, decide di fondare un’altra capitale nel Bosforo.

La scelta di Costantino segue logicamente quel processo che, con Diocleziano e il sistema

tetrarchico, aveva portato alla formazione di 4 subcapitali, ma è una scelta di rottura perché, per la

prima volta, mette in discussione il primato di Roma capitale.

Quale la ragione di tale scelta? Gli storici affermano che tale trasferimento è dovuto al fatto

che Roma era troppo pagana e poco disponibile ad accettare il sistema assolutistico che lui stava

costruendo. Tale affermazione è per me incoerente con l’affermazione che Costantino ha sostenuto

il Cristianesimo per strategia politica: Che senso ha affermare che Costantino appoggia il

Cristianesimo per ottenere l’appoggio dei Cristiani se poi è costretto a trasferire la capitale? La

critica può essere rafforzata dalla valutazione dei problemi logistici che hanno caratterizzato la

costruzione della nuova capitale, una capitale che sarà completata solo dopo la morte del suo

fondatore, in particolare a causa della difficoltà di reperire l’acqua.

L’argomentazione sulla paganità di Roma è poi, a mio parere, poco coerente con la

costruzione delle grandi Basiliche a Roma, che denotano una volontà che non è certamente quella di

subire la paganità della città. Il rapporto di Costantino con la religiosità è, d’altronde, molto

elastico: pur agendo a favore della Cristianità, lui dichiara di venerare il Dio Sole, cioè il dio più

venerato dall’esercito romano, perché allora pensare che lui percepisse una così forte difficoltà dal

fatto che l’Impero fosse gestito da una Roma pagana.

Vi sono poi alcune osservazioni strategiche da fare. Costantino veniva da Treviri, capitale

della parte più occidentale dell’impero, situata nella Gallia settentrionale vicino a quel confine,

segnato dal fiume Reno, oltre il quale si materializzava il principale pericolo per l’impero, i popoli

barbari. La scelta di una capitale così strategicamente posta era appunto indirizzata a rafforzare

militarmente quel confine per ovviare a questo pericolo vitale. Costantino era, quindi,

necessariamente cosciente di questo aspetto strategico, mentre invece non vi era alcuna ragione

strategica per posizionare una città con ruolo di capitale sul Bosforo, anzi, in questo modo si

sarebbe ulteriormente indebolita la parte periferica dell’impero.

Volendo poi posizionare la capitale in maniera baricentrica rispetto all’impero, sarebbe stato

razionale per lui posizionarla in quell’Illiria dove Diocleziano si era ritirato, dove lui aveva vissuto

per anni, sicuramente più centrata sull’impero, posizionata nel territorio che produceva i soldati

migliori e in posizione di controllo rispetto all’accesso più agevole alla penisola italica.

Se noi vediamo la città di Costantinopoli, invece, notiamo come sia perfettamente

baricentrica, ma non rispetto all’Impero Romano, ma rispetto alla sua parte orientale. Si potrebbe

supporre che fosse nella sua mente l’idea di una nuova separazione dell’Impero.

Al trasferimento operato da Costantino si aggiunge il trasferimento della capitale

dell’Impero d’Occidente effettuata da Onorio a Ravenna, un trasferimento fondato su una logica di

dipendenza dall’Impero d’Oriente, e che lascia la città eterna senza difese.

In circa 75 anni (dal 325 al 400 D.C: circa) vengono abbandonati circa mille anni di storia,

mito, culto della città eterna, Caput mundi. Per comprendere il peso di questo abbandono bisogna

evidenziare la particolarità dell’Impero Romano, la centralità che assumeva il mito, il culto e la

storia di Roma per esso. In effetti era Roma, e non le divinità, il vero Leader del popolo romano.

Una volta messa in discussione questa Leadership, i meccanismi che rafforzavano l’unità del popolo

romano si sono allentati e, come evidenziato anche dalle ricerche storiche, gli interessi individuali o

localmente definiti hanno avuto la meglio producendo il progressivo indebolimento delle istituzioni

centrali.

In questa chiave, si può spiegare anche perché è solo l’Impero d’Occidente a crollare. La

messa in discussione del primato di Roma, infatti, creava problemi a questo perché Roma era nel

suo territorio. La parte Orientale, poi, godeva del fatto di avere, per capitale Costantinopoli, cioè la

capitale voluta dalla divinità (vedere il seguito del discorso) nonchè di un’addizionale unità

culturale data dalla tradizione Ellenistica.

Intorno al 320 D.C. il Senato romano dedica a Costantino un Arco di Trionfo, evidente la

volontà di porre il sigillo del suo ruolo e della romanità sulle azioni di questo imperatore, anche in

un modo politicamente intelligente. L’azione di Costantino veniva definita come realizzata “su

ispirazione divina”, cioè sottolineando il suo contatto particolare con la divinità, senza specificarne

la numerosità. Si tratta di un’affermazione fatta da un Senato Romano in maggioranza pagano,

un’affermazione forte e convinta tenuto conto della problematicità che doveva avere, in quel tempo

di conflitti religiosi, un’affermazione su queste tematiche, che afferma, in maniera pubblica, il

rapporto diretto dell’Imperatore con la divinità.

Probabilmente è anche per questa convinzione che veniva accettato il cambiamento che

l’istituzionalizzazione della Chiesa Cristiana stava portando, ma il vero cambiamento rivoluzionario

che Costantino prepara è la fondazione di una nuova capitale, che lui infatti voleva chiamare Nuova

Roma.

Questo cambiamento avrebbe dovuto comportare reazioni almeno pari a quelle prodotte dai

mutamenti religiosi, invece di queste reazioni vi è una scarsa evidenza e forse la ragione può essere

evidenziata dal seguente evento.

Mentre viene tracciato il solco per la fondazione della nuova città l’Imperatore afferma: “Mi

fermerò quando mi verrà detto.”9 La frase voleva probabilmente essere una risposta al senso di

perplessità che tanti degli appartenenti al corteo reale dimostravano di avere. Il riferimento era

chiaramente a quella divinità che ispirava il suo agire.

L’idea che la nascità di Costantinopoli fosse espressione della volontà Divina, è la ragione

principale della accettazione del profondo mutamento operato nell’Impero, più importante del

timore che l’autorità dell’Imperatore poteva incutere. La prova di ciò è nel fatto che la sua nuova

9 Questo particolare l’ho ascoltato nel 2013 in un programma sulla Rai dedicato al millenario dell’Editto di Costantino,

tutte le altre informazioni storiche usate nel testo sono reperibili su Wikipedia.

Roma viene completata dopo la sua morte, ed il suo ruolo di capitale si afferma progressivamente

nel tempo. In effetti, la principale ragione con la quale si può spiegare la coerenza dei tanti che

hanno coagito in questa affermazione è il fatto che pensassero che questa era la volontà divina.

Riassumendo: Costantino, uno dei più grandi imperatori di Roma, crea le premesse della

crisi di quel grande impero; Costantino afferma di agire secondo le direttive di una volontà divina

che lo segue e lo aiuta; L’affermazione di Costantino è generalmente accettata nel mondo Romano;

Pur agendo razionalmente al fine della conquista del potere, Costantino usa questo potere per la

realizzazione di obiettivi che non sono del tutto spiegati dal suo ruolo di Leader; La

concretizzazione dell’obiettivo di una nuova capitale non comporta reazioni e questo contrasta con

la forte affettività che la cultura romana doveva avere nei confronti del primato di Roma; In

coerenza con l’affermazione di essere aiutato dal cielo, possiamo notare che Costantino risulta

essere segnato da una certa fortuna nel contrasto con i suoi avversari.

Tutti questi sono argomenti congruenti con la tesi del “Disegno della civiltà”, con l’idea,

cioè, che dietro tutto questo ci sia una volontà immateriale che agiva per realizzare un disegno

ordinato ed alternativo rispetto all’evoluzione naturale degli eventi.

Il fatto che poi, lo stesso imperatore, sia stato sia il fondatore istituzionale della chiesa

Cristiana, sia il fondatore di Costantinopoli, offre spunto per ulteriori riflessioni.

Sulla base di tutto il discorso presentato, infatti, sia la chiesa Cristiana10

, sia la fondazione di

Costantinopoli appaiono il frutto dello stesso disegno razionale. E’ come se questa volontà avesse

approfittato dell’opportunità data dalla permeabilità11

dell’Imperatore ai suoi messaggi per mettere

a segno due risultati. Un’altra ipotesi è quella che i due eventi siano contingenti. La forza

dell’Impero Romano serviva a favorire l’espansione della Cristianità in una condizione di pace. Una

volta, però, che tale espansione fosse arrivata ai vertici dell’Impero, invece, l’impero diventava un

limite e quindi doveva essere indebolito.

4.2. La nascita dell’Islam

Abbiamo visto come la concretizzazione del “Disegno della Civiltà” necessiti di un’azione

di indebolimento di quelli che sono gli elementi di accentramento del potere politico. In relazione a

questo, la stessa religione Cristiana può rappresentare un problema. L’altissimo livello di tensione

affettiva direzionato su di essa, nella storia della civiltà Occidentale, sarebbe potuto diventare

elemento di accentramento del potere.

Questa possibilità sarebbe aumentata in funzione dell’esistenza di un referente oggettivo,

fisico, che avesse simboleggiato la cristianità stessa. Il candidato ideale per tale ruolo avrebbe

potuto essere la città di Gerusalemme, che rappresenta una sorta di luogo delle origini per la

religione Cristiana.

Sulla base di questa premessa andiamo ad analizzare gli eventi che hanno caratterizzato la

storia di questa città dalla fondazione del Cristianesimo in poi.

“Verranno giorni in cui tutto quello che ammirate sarà distrutto e non rimarrà pietra su

pietra”12

. Con queste parole Gesù profetizza le distruzioni di Gerusalemme che sarebbero state

realizzate nel 70 e nel 135 d.C..

Il fatto di essere profetizzate e di essere un fatto non consueto nelle strategie dei Romani

suggerisce l’idea che questi eventi possano essere stati favoriti dal “Disegno”.

10

Il fenomeno religioso non è stato sottoposto a test, comunque il discorso presentato ha comportato riferimenti

sostanziali al fenomeno stesso, che risulta essere evoluzionisticamente non spiegabile, in particolare nella sua versione

cristiana. 11

Il Disegno sembra agire tramite l’influsso sulla volontà di specifici individui che, per ragioni ignote hanno una

particolare capacità di essere da questa condizionati. Profeti, iniziati, santi, sono tutte figure che nella storia hanno

espresso in varie forme questa caratteristica che, evidentemente, non è diffusa in tutti gli uomini. 12

Luca 21,6.

Come già premesso Gerusalemme, come potenziale di accentramento della affettività,

poteva rappresentare un problema. Tale potenziale era tanto più alto quanto più la città era

maestosa, capace di sollecitare carica emozionale, per cui la distruzione ha favorito la realizzazione

del “Disegno”.

Nonostante tale distruzione, la spinta dei Cristiani verso Gerusalemme è stata tale da

spingerli alle crociate, con le quali la cristianità cercava di portare nel suo dominio il suo luogo

delle origini.

Tale conquista è stata impedita da un evento preciso. Nel VII secolo Maometto da luogo a

una nuova religione, la religione musulmana. Nell’arco di circa 40 anni si forma un impero sotto il

segno di questa religione che domina gran parte del Mediterraneo. Da notare che i quattro Califfi

che hanno guidato il popolo Arabo in questa progressione sono stati definiti ispirati, nel senso di

ispirati da Dio, proprio lo stesso concetto usato dal senato romano per l’Imperatore Costantino.

Maometto afferma di essere stato indirizzato alla sua missione di fede dalle apparizioni

dell’Arcangelo Gabriele. Certo è che la forza emozionale che egli imprime alla fede propagata, è

tale da trasformare un popolo disunito in una forza compatta di guerrieri che, oltretutto, producono

una civiltà di alto livello, per quei tempi.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad eventi evoluzionisticamente poco spiegabili,

ma che hanno una spiegazione finalistica posta in premessa.

4.3. Analisi di processo

La distanza di più di 1000 anni, tra gli eventi descritti e l’evoluzione del pensiero politico e

democratico moderno, e della sua istituzionalizzazione, possono dar sostegno alla tesi che i due

eventi siano poco collegati.

Tutto questo periodo è caratterizzato da una molteplicità di tesi politiche che producono un

continuo dibattito, molto sottoposto al vaglio del pensiero religioso. Si tratta di una situazione

differente da quella che caratterizza altre dottrine sociali o il pensiero scientifico che avranno una

loro evoluzione solo nelle epoche più moderne. Si tratta anche di una situazione differente da quella

insistente in altre realtà istituzionali contemporanee alla civiltà medioevale occidentale, tutte

caratterizzate da forme di potere accentrato, e in alcuni casi da livelli culturali che, nel complesso,

possono essere considerati anche superiori a quelli della civiltà medioevale occidentale ma che,

comunque, non approfondiscono le tematiche politiche.

La causa della particolarità della civiltà medioevale occidentale è nel profondo senso di

incertezza che caratterizza il suo assetto istituzionale, per la crisi dello stesso nella fase iniziale, e

per la sua frammentazione successiva nei conflitti tra impero e papato, tra imperatori, re, feudatari e

comuni.

Notiamo come l’itinerario descritto possa essere rappresentato dal sentiero D2 nel grafico 2,

dove una sostanziale situazione di crisi seguente al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, pone il

territorio su un sentiero particolare di crescita e costruzione culturale i cui risultati si sarebbero visti

solo in tempi lontani.

4.4. Qualche ultima parola sui sistemi politici

L’analisi dell’evoluzione della storia, nell’ottica della tesi del “Disegno”, e in funzione

all’evoluzione dei sistemi politici, ha offerto ipotesi articolate. Quella che certamente il lettore sarà

portato a considerare più bizzarra è quella sulla nascita dell’Islam.

D’altronde il pensiero comune tende ad interpretare le religioni in funzione di una finalità

spirituale. Se ci riflettiamo vediamo però che la stessa chiave di ragionamento è stata posta in essere

in relazione alla religione Cristiana che è una componente certamente essenziale ma non totalitaria,

del “Disegno della Civiltà”.

Le due funzioni, quella spirituale e quella storico-sociale, non sono in contrasto. Una volta

che venisse accettata la funzione storico-sociale, si può discutere sulla funzionalità di quest’ultima

alla funzione spirituale.

L’importanza dei sistemi politici, nella società umana, è comunque tale da rendere

interessante il discorso sulla funzione della religione, nella costruzione delle realtà politiche

moderne. Un approccio critico alla tesi esposta, può essere fondato sulla considerazione che in

molte fasi di cambiamento della storia Occidentale, nell’evoluzione dei moderni assetti democratici,

gli esponenti delle istituzioni religiose sono stati in posizioni reazionarie.

In effetti questa critica evoca una insanabile contraddizione interna: I concetti religiosi

contengono il germe di nuovi assetti istituzionali e sociali, ma sono propagandati da Chiese che

sono parte dei vecchi sistemi istituzionali e sociali.

Pensandoci bene la stessa contraddizione appare nei Vangeli, nel contrasto tra Gesù e i

sacerdoti del Sinedrio.

In tutte le situazioni di questo genere, siamo in presenza di comportamenti

evoluzionisticamente inspiegabili, da parte degli appartenenti alle istituzioni religiose, perché

direzionati a diffondere concetti che mettono in discussione il potere delle istituzioni stesse.

Consideriamo, ad esempio, il peso che ha avuto, nella cultura Occidentale, il contrasto tra

Gesù e i leader religiosi del suo tempo. Al riguardo posso portare la mia esperienza psicologica,

avendo sempre sentito questi eventi come fonte di una forte spinta motivazionale alla contestazione

delle gerarchie religiose. In un mondo nel quale la gestione del potere fosse stato il principale

obiettivo di dette gerarchie, queste parti della tradizione evangelica avrebbero dovuto essere

eliminate, ed invece non lo sono state mai.

Il contrasto tra nuovi e vecchi assetti istituzionali assume una rappresentazione moderna nel

rapporto tra le due più generali strutture teoriche della politica, la destra e la sinistra.

E’ significativo come l’insieme di argomentazioni della destra, il riferimento ai poteri

predefiniti, alle tradizioni, la ricerca di leader forti, siano tutte fondate su argomenti

evoluzionisticamente forti.

Di contrasto, la sinistra, appare fondata su premesse teoriche di uguaglianza di tutti gli

individui che, come abbiamo visto, sono evoluzionisticamente inspiegabili e appaiono essere una

derivazione del fenomeno religioso.

Conclusioni

Obiettivo principale del presente testo è soprattutto quello di delineare un metodo per

confrontarsi con il problema del confronto tra fede e razionalità. Il problema viene affrontato con un

approccio che può essere tranquillamente definito come materialistico, nel senso che il “Disegno” si

pone come un progetto di civiltà terrena, progetto che potrebbe essere tranquillamente accettato

senza introdurre necessariamente ipotesi di soprannaturalità nella natura umana. E’ evidente, però,

che l’affermazione della tesi del Disegno sollecita la domanda del chi e perché muove la storia

umana.

Il metodo, poi, offre nuove opportunità di analisi della realtà sociale. In generale, quando si

cerca di spiegare gli aspetti della realtà sociale, si usa partire dal primo essere umano che, con il suo

pensiero espresso, lo ha favorito o descritto. In un altro metodo si parte dall’analisi etimologica dei

concetti che descrivono questo aspetto. Così per la democrazia si parla dei filosofi Greci, dei

filosofi moderni che l’hanno teorizzata, della radice Greca del concetto stesso.

In tutti questi casi, si fa riferimento a un qualcosa, cioè il pensiero di un individuo o il

linguaggio di una civiltà antica, che non è un termine originario, essendo anch’esso derivato dai

suoi presupposti genetici, culturali e ambientali. Nel linguaggio filosofico si può dire che questi

elementi non possono avere la proprietà di archetipi.

Il metodo presentato offre due ordini di archetipi, la razionalità causale, indipendentemente

da tutte le proprietà particolari che la caratterizzano e che devono essere investigate dalla scienza, e

la razionalità finale non riducibile, le cui proprietà particolari possono essere investigate dalla

Teologia o da qualche altra dottrina fondata su approcci più pragmatici della quale il metodo

sviluppato potrebbe tranquillamente essere parte.

Nello svolgimento del metodo sono stati presentati alcuni argomenti reputati interessanti in

relazione alla argomentazione della tesi del “Disegno della civiltà”. Naturalmente non sono i soli

presentabili, d’altronde l’ambito di analisi è quanto di più ampio possiamo concepire nel mondo

della conoscenza, il dibattito fede-razionalità non conosce barriere epistemologiche.

La molteplicità degli argomenti presentati può giocare a favore della tesi del Disegno, una

volta che venga evidenziata la coerenza delle situazioni osservate, il loro essere legate alla stessa

razionalità finalistica. E’ l’osservazione di tale legame che ha suggerito il sottotitolo, “La razionalità

nella fede”, che vuole alludere alla razionalità della volontà che questa fede ha costruito, e che

tramite questa razionalità può essere riconosciuta.

Bibliografia

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