l’albero serafico di pietro negri: note storiche, iconografia, committenza, in \"santa maria...

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CENTRO STUDI ANTONIANI 56

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centro studi antoniani

56

padovacentro studi antoniani

2015

santa maria gloriosadei frari

immagini di devozione, spazi della fede

Devotional Spaces, Images of Piety

a cura di

Carlo Corsato - Deborah howarD

isBn 978-88-95908-00-7

© 2015 associazione centro studi antonianipiazza del santo, 11 – i. 35123 padovaemail: [email protected]

© 2015 Basilica di santa maria gloriosa dei frari, veneziasan polo 3072 – 30125 veneziaemail: [email protected]

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.the photocopying of any pages of this publication is illegal.

santa maria gloriosa dei frari : immagini di devozione, spazi della fede = devotional spaces, images of piety / a cura di = edited by carlo corsato, deborah Howard. – padova : centro studi antoniani, 2015. – XXviii, 324 p., [128] carte di tav. : ill. ; 24 cm.(centro studi antoniani ; 56)

isBn 978-88-95908-00-7

i : corsato, carlo

ii : Howard, deborah

1 : venezia – santa maria gloriosa dei frari

726.50945311 – ed. 22.

con il contributo della Basilica di santa maria gloriosa dei frari, venezia

con il patrocinio dell’archivio di stato di venezia

Alessio PAsiAn

L’Albero SerAfico di Pietro Negri: Note storiche, icoNografia, committeNza

A ridosso del campanile, superata la porta laterale e saliti nell’area del coro, si incontra un dipinto di dimensioni notevoli, circa sette metri in altezza per poco più di sei in larghezza (tav. 120). Pur essendo visi-bile già dalla navata, pochi vi prestano attenzione: è scuro, sporco, non vi è un cartellino che ne indichi soggetto e autore, e in una chiesa in cui il visitatore è subito accolto da opere in scala per così dire atlantica la sua posizione defilata, stretta in un corridoio che non facilita né una visione ottimale né una buona illuminazione, finisce col cancellarlo dal campo visivo di chi ci passa davanti.

È un’opera, per di più, della quale tutto sembra essere noto: siamo a conoscenza di chi ne sia l’autore, il pittore veneziano Pietro Negri (1628-1679); sappiamo che rappresenta l’Albero Serafico, noto anche come « Al-bero dell’Ordine francescano », e che venne realizzata nel 1670; sappiamo infine chi ne fu il committente, fra Agostino Maffei da Verona 1. Eppure, paradossalmente, le nostre informazioni sul dipinto e i suoi autori ini-ziano e finiscono con questi dati, e nient’altro. Vale senz’altro la pena dedicargli qualche riflessione in più.

Possiamo partire proprio dalle dimensioni: com’è facilmente intuibile a prima vista, il quadro è accorciato ai lati. È molto probabile che ciò sia da imputare alle infiltrazioni d’acqua e ai problemi statici del cam-panile, denunciati in una relazione dell’ingegnere capo del Genio civile, Malvezzi, nel 1875 e già segnalato l’anno precedente dalla Commissione dell’Accademia, che ne aveva suggerito la rimozione. Il problema era così grave che si dovette non solo togliere il quadro, ma anche risistemare parte della cornice, discesa a causa dello sprofondamento del campanile

1 Il primo a nominare il dipinto, riportando anche le informazioni incise sulla cornice, è Domenico mArtinelli, Il Ritratto overo le cose più notabili di Venezia, Baseggio, Venezia 1684, pp. 344-345: « Da questa banda, & sopra la Porticella del Campanile a piedi della gran tella, dove Pietro Negri dipinse i Santi, e Sante della Religione, con il Ritratto del P. Maffei, che lo fece fare, si legge: Anno Domini mDclxx. fr. Augustinus mAPheus veronensis, qui multA bonA fecit, tAm in ecclesiA, quAm in con-ventu mAgnA Domus f.f. ».

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stesso. Un disegno del 12 agosto 1875, siglato dallo stesso ingegnere capo, testimonia la situazione e i lavori di ripristino (tav. 121); il dipinto, arrotolato in un cilindro, venne temporaneamente posto nella cappella Emiliani (1878) 2. l’opera doveva quindi essere in origine un quadrato pressoché perfetto, di circa sette metri per lato: l’accorciamento subìto ha in parte modificato, come si dirà più oltre, una piena comprensione della scena raffigurata a sinistra.

Venendo per l’appunto al soggetto, ci si può chiedere che cosa sia, nel dettaglio, un albero serafico. lungi dall’essere soltanto un mero tema prestabilito, esso è in effetti la congiunzione e il punto di arrivo di una serie di metafore e di rimandi che affondano le proprie radici (è il caso di dirlo) in una lunga e corposa tradizione.

Fin dall’antichità classica l’immagine dell’albero, solido, vivo e fer-tile, i cui rami si allungano e si biforcano proiettandosi verso il cielo, producendo gemme e fioriture, si è prestata a rappresentare una ricca simbologia. Metafora dell’uomo, con il suo sviluppo e i suoi cicli vitali, e alla pari di questo testimonianza della perfezione del Creato, l’albero allude alla Croce (e quindi alla Redenzione) 3 ed è presenza importante nella Bibbia e nei testi sacri: si pensi solo agli alberi della Vita e della Conoscenza di cui parla la Genesi, o all’albero di Jesse. Quest’ultimo, descritto nel libro di Isaia, è di interesse ai fini del nostro discorso. In esso si legge:

Un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse ed un pollone verrà dalle sue radici. Sopra di lui si poserà lo spirito del Signore; spirito di sapienza e di intelli-genza, spirito di consiglio e di forza, spirito di conoscenza e di timor di Dio, e nel timore del Signore avrà le sue delizie (Is, 11,1).

Jesse è Isai, padre del re Davide; secondo i padri della Chiesa il vir-gulto che sorgerà dal tronco è la Vergine Maria, nata quando la stirpe di Davide era come l’albero abbattuto dal cui ceppo spuntavano i polloni, e riprende un’antica leggenda secondo la quale Isai aveva visto nascere dal suo corpo un albero che aveva come rami i propri discendenti.

Il passo successivo lo fornisce san Bonaventura e il suo scritto di me-ditazione sulla vita di Cristo in forma di trattato mistico, il Lignum Vitae (1260), nel quale il tema biblico dell’albero della Vita si innesta appunto sul racconto della vita di Gesù. Il testo si divide infatti in dodici « rami »,

2 Vedi Antonio sArtori, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, a cura di giovAnni luisetto, 4 voll, Biblioteca Antoniana, Padova 1983-1989, II/2, p. 1967 nn. 72-73; ilAriA cAvAggioni, Analisi e conoscenza per il progetto di consoli-damento e restauro del campanile di Santa Maria Gloriosa dei Frari, in Il campanile di Santa Maria Gloriosa dei Frari in Venezia. Conoscenza, consolidamento, restauro, a cura di Alberto lionello, Electa, Milano 2008, pp. 24, 35 nota 18.

3 burghArD sieDe ed egon brAnDenburger, Albero, Croce, in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, a cura di lothAr coenen - erich beyreuther - hAns biethenhArD, Centro Editoriale Dehoniano, Bologna 1980, pp. 414-428.

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detti anche « frutti » (e dodici, lo si ricordi, è un numero simbolico: non soltanto i dodici apostoli, ma anche e soprattutto i primi dodici confra-telli di san Francesco d’Assisi) e quarantotto capitoli o « meditazioni ». Nella trasposizione pittorica ad ogni ramo sono appese le scene della vita di Cristo, dall’Incarnazione fino al Giudizio finale e alla visione del Paradiso, che chiude lo scritto del santo di Bagnoregio.

le raffigurazioni del Lignum Vitae sono molteplici: tra le più note vanno senz’altro ricordate quella affrescata da taddeo Gaddi (Firenze, ex refettorio del convento di Santa Croce, tav. 122a) e una tavola di inizio trecento assegnata a Pacino di Buonaguida (già nel convento delle Clarisse di Monticelli, oggi Firenze, Gallerie dell’Accademia) 4.

In una tavoletta di un anonimo autore fiammingo della fine del Quattrocento (Roma, Museo Francescano dell’Istituto Storico dei Cap-puccini) ritroviamo invece san Bonaventura in abiti vescovili, con un saio francescano di color « cinerizio » (o bigio, ovvero il colore della lana non tinta), accanto a una rappresentazione piuttosto curiosa del classico Lignum Vitae, nel quale il Crocifisso si pone alla sommità di una triplice fioritura di giglio, con il pellicano eucaristico nella parte superiore e lo stemma francescano in quella inferiore 5.

Il terzo, e più ovvio, punto di riferimento è costituito dall’immagine dell’albero genealogico, che si impone nella forma che noi oggi cono-sciamo non prima del XV secolo 6. Innumerevoli gli esemplari, dipinti e a stampa, molto diffusi anche in area veneziana; tra i tanti, si illustra qui l’albero della famiglia Del turco, inciso da Jacques Callot nel 1612 (tav. 122b).

Alla congiunzione dei rami troviamo il primo esemplare di Albero francescano, raffigurato in un arazzo di manifattura fiamminga risalente al 1471-1482 circa (Assisi, basilica di San Francesco, Museo-tesoro), rea-lizzato su commissione di papa Sisto IV (tav. 123) 7. Come si intuisce a prima vista, è un prototipo per certi versi acerbo, schematico e limitato, ma in cui ritroviamo già alcuni degli elementi principali, tra i quali la scansione ascendente della composizione e la presenza della Vergine,

4 frAncesco PetrAngeli PAPini, Il dottore serafico nelle raffigurazioni degli artisti, Collegio San Bonaventura, Grottaferrata 1973, in particolare pp. 30-43; rAPhAèle Preisinger, Lignum Vitae. Zum Verhältnis materieller und mentaler bilder im Mittelalter, Fink, München 2012. Vedi anche AnnA c. esmeijer, L’albero della vita di Taddeo Gaddi. L’esegesi « geometrica » di un’immagine didattica, Edam, Firenze 1985.

5 Per una raffigurazione vedi rosA giorgi in 800 anni in piena regola: l’arte di seguire Francesco da Cimabue ai giorni nostri. Catalogo della mostra (Milano, Beni Culturali Cappuccini Onlus, Museo, 29 novembre 2009 - 21 marzo 2010), a cura di rosA giorgi, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2009, p. 51.

6 christiAne KlAPish-Zuber, The Genesis of the Family Tree, « I tatti Studies in the Italian Renaissance », 4 (1991), pp. 105-129.

7 PAtriciA lurAti, in Assisi non più Assisi. Il Tesoro della basilica di San Francesco. Catalogo della mostra (Milano, Museo Diocesano, 3 dicembre 1999 - 5 marzo 2000), a cura di giovAnni morello, Electa, Milano 1999, p. 124, cat. 34.

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protettrice dell’ordine. Una digressione: si fa qui riferimento all’Albero Serafico, ovvero all’albero dei francescani, ma tale raffigurazione si era diffusa anche in altri ordini conventuali, come i domenicani e i bene-dettini. In tale contesto, un esemplare degno di menzione è la tela di ben undici metri dipinta per i benedettini da Antonio Vassilacchi detto l’Aliense (Perugia, San Pietro) 8; di quest’opera esiste una replica non molto conosciuta, con varianti, di dimensioni più modeste, circa due me-tri e mezzo di lunghezza (Venezia, monastero di San Giorgio Maggiore, chiostro di notte, tav. 124).

Se, come si è visto, la tradizione dell’albero serafico, e in generale degli alberi religiosi, si fonda su una simbologia che rimanda da un lato all’albero di Jesse e al Lignum Vitae, dall’altro a quella dei comuni alberi genealogici, va detto che nel caso specifico dei francescani è stato giusta-mente notato come se ne possa individuare anche una fonte precisa nei Fioretti di san Francesco. Narrando della visione avuta da fra Giacomo dalla Massa, si rinviene questo passo:

Egli vide in visione un arbore bello e grande molto, la cui radice era d’oro, li frutti suoi erano uomini e tutti erano frati Minori. li rami suoi principali erano distinti secondo il numero delle provincie dell’Ordine, e ciascuno ramo avea tanti frati, quanti v’erano nella provincia improntata in quello ramo; e al-lora egli seppe il numero di tutti li frati dell’Ordine e di ciascuna provincia e anche li nomi loro e l’età e le condizioni e gli uffici grandi e le dignità e le grazie di tutti e le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più alto luogo del ramo di mezzo in questo arbore; e nelle vette de’ rami, ch’erano d’intorno a questo ramo di mezzo, istavano li ministri di tutte le provincie 9.

tale dettagliata descrizione spiega le raffigurazioni più comuni degli alberi serafici, ovvero quelle a stampa, nelle quali, oltre alle immagini dei santi e beati dell’ordine, si ritrovano precise notizie riguardo la Regola di san Francesco, le riforme, tavole cronografiche nonché i dati statistici relativi ai membri dell’ordine stesso. All’inizio del XVIII secolo, quando Vincenzo Coronelli è priore dei Frari, un albero serafico da lui inciso riporta il censimento aggiornato dei francescani; nel 1710 il totale dei frati conventuali è di 15190 anime, divisi in 952 conventi, 608 monache in 20 monasteri e 200 suore terziarie in 30 collegi 10.

le due incisioni indubbiamente più celebri di tale soggetto sono en-trambe intitolate epilogus totius ordinis Seraphici Patri Sancti Francisci:

8 giorgiA boccAssini, Le tele dell’Aliense a Perugia, « Arte Veneta », 11 (1957), pp. 186- 190; hAris K. mAKryKostAs, Antonio Vassilacchi Aliense 1556-1629: a Greek painter in Italy, Kyriacopoulos, Athens 2008.

9 I fioretti di san Francesco, a cura di guiDo DAvico bonino, Einaudi, torino 1998, n. 1889. la corrispondenza dell’immagine con il testo è stata notata in 800 anni in piena regola, p. 46 (scheda non firmata).

10 I dati che si citano e l’esistenza della stampa di Coronelli sono ripresi da Pietro Antonio ribetti, Giardino Serafico Istorico fecondo di fiori, e frutti di virtù, di zelo, e di santità [...], 2 voll., Domenico lovisa, Venezia 1710, I, pp. 192, 195-196.

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una ad opera di Vitale di Alcira, stampata ad Anversa nel 1626; l’altra di Carlo de Arenberg, pubblicata nel 1650 anch’essa ad Anversa, e ristam-pata poi nel 1739, quindi nel 1866 e nel 1881 (tav. 125). la critica ha già rilevato una stretta interdipendenza dell’una dall’altra, per cui varrà la pena riportarne gli elementi di analisi principali 11.

In entrambe si possono notare una serie di caratteristiche comuni: San Francesco si trova al centro in basso, con i primi dodici compagni che iniziarono con lui l’esperienza francescana, vestiti dell’abito primige-nio con il cappuccio a punta (più tardi, sotto san Bonaventura, si passò al cappuccio rotondo munito di mozzetta). Nei cartigli ai lati vi sono brevi illustrazioni dei movimenti riformistici all’interno dell’ordine: i frati cesareni, i celestini, i narbonensi, gli osservanti, i colletani, gli scalzi, i cappuccini, e così di seguito.

l’ordine dei santi e dei beati posti sui vari rami è sistematizzato con precisione: su quello più basso si ritrovano i religiosi che all’ini-zio dell’ordine si distinsero per la santità di vita o che acquisirono la palma del martirio, per passare poi via via ai frati che furono innalzati a dignità ecclesiastiche (vescovi, patriarchi, cardinali, pontefici), quindi i personaggi di famiglie nobili (duchi, marchesi, re, imperatori) che ab-bracciarono l’abito francescano. A seguire le monache, i frati del terzo ordine e gli uomini e le donne secolari appartenenti al terzo ordine di Penitenza. A coronamento, come ci si può aspettare, la figura della Ver-gine Immacolata. Con eccezionale capacità compendiaria, tutta la storia dell’ordine è riassunta e schematizzata in un singolo foglio.

l’albero serafico di Carlo de Arenberg – un’incisione di grandi di-mensioni (166 × 139 cm), stampata con nove matrici di rame – presenta alcune differenze rispetto a quella di Vitale di Alcira: la più evidente è la diminuzione del numero di rami (da tredici a otto) con relativo spostamento della classe aristocratica in dodici rami laterali, creando una simmetria visiva molto più marcata. Nonostante tali modifiche, la critica non ha mancato di notare come le figure non siano altro che la copia in controparte di quelle della stampa del 1626, mentre i cartigli con i nomi e gli stemmi siano invece rimasti al loro posto, stravolgendo così l’iconografia dei santi e beati raffigurati 12.

Rispetto alle incisioni qui considerate, il dipinto di Pietro Negri (tav. 120) è indubbiamente un lavoro più rappresentativo che didasca-lico, il che non gli ha comunque risparmiato di esser considerato « ben povera cosa », caratterizzata dalla « deprimente uniformità » delle file dei santi francescani 13. Un giudizio ingrato, anche se comprensibile, che ha

11 servus gieben, L’Albero Serafico e Carlo de Arenberg, Istituto Storico dei Cap-puccini, Roma 2008.

12 Ibidem, pp. 67-83.13 roDolfo PAllucchini, La pittura veneziana del Seicento, 2 voll., Electa, Milano

1981, I, p. 258. lo studioso giustifica comunque l’affermazione aggiungendo che « certo era il tema, con le sue costrizioni iconografiche, a tarpare le ali al pittore veneziano ».

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senz’altro avuto il suo peso nella scarsa considerazione di cui gode tut-tora. Pietro Negri, che secondo Marco Boschini (1674) era « spiritoso » e « degno di lode », e la sua maniera « vigorosa » e piena di « belle espres-sioni », non si rivela qui al massimo delle sue capacità, anche se riu-sciamo ad apprezzare lo sforzo di rendere vivo e ammirabile un soggetto certo non facile 14. Appare evidente che al pittore dev’essere stata fornita, quale traccia per l’opera, una delle molte incisioni che circolavano: ritro-viamo elementi iconografici comuni – i cartigli con le riforme dell’ordine disseminati tra i confratelli attorno san Francesco, ad esempio, o la suddivisione gerarchicamente organizzata dei rami. Sorprendono, a mag-gior ragione, le differenze: l’enfasi data a san luigi IX, ad esempio, sul lato destro del quadro, assistito da due paggi; o il fatto che la presenza femminile si riduca a sole cinque monache, assiepate sul lato sinistro, tra cui spicca in primo piano santa Chiara, reggente l’ostensorio con cui scacciò i Saraceni che avevano preso Assisi (tav. 127a).

Se la figura della Vergine Immacolata trasportata dagli angeli non desta meraviglia (tav. 126a), più problematica è la scena che si sta svol-gendo all’estremità sinistra del quadro, nella quale alcuni confratelli con libro stanno entrando in un tempio in cui si intravvedono dei cardinali (tav. 127a). la mancanza di una larga porzione di tela limita purtroppo una sicura identificazione, anche se è forte la tentazione di riconoscervi l’episodio dell’approvazione della regola francescana da parte di papa In-nocenzo III (si può utilmente confrontare questa parte del dipinto con la scena di medesimo soggetto affrescata da Giotto nella basilica di Assisi).

Si è accennato che al pittore dev’essere stata fornita, quale traccia per l’opera, un’incisione: forse proprio quella di Carlo de Arenberg di cui abbiamo parlato. Un dettaglio orienta in tal senso: l’errore, comune a entrambi, di raffigurare vescovi e papi con il pastorale o la fèrula nella mano destra invece che nella sinistra (la destra, com’è ovvio, deve rimanere libera per poter benedire). Si osservi, a titolo di esempio, san ludovico da tolosa, che si staglia al centro del quadro con la mitria e il piviale azzurri e i gigli dorati (tav. 126b). Se nella stampa di Arenberg l’errore si deve all’aver riprodotto in controparte il lavoro di Vitale d’Al-cira, nel caso di Negri viene da pensare a una copia diretta dall’incisione: ed è interessante che non vi sia stato un intervento correttivo da parte del committente o dei padri del convento.

Non siamo a conoscenza del motivo per cui venne chiamato, tra tutti i pittori operanti a Venezia in quegli anni, proprio Pietro Negri, che tre

14 mArco boschini, Le Ricche Minere della pittura veneziana, Francesco Nicolini, Venezia 1674, Castello, p. 65; San Polo, pp. 33, 51 e seg.; Dorsoduro, p. 50; S. Croce, pp. 34-36. Su Pietro Negri, lodato per la « nobiltà, e vaghezza nella compositione de suoi quadri » da frAncesco sAnsovino - giustiniAno mArtinioni (Venetia, città nobilissima, et singolare, Stefano Curti, Venezia 1663, p. 23), vedi enrico lucchese, Pietro Negri, « Dizionario biografico degli italiani », lXXVIII, Roma 2013, p. 157 (http://www.trec-cani.it/enciclopedia/pietro-negri_(Dizionario-Biografico) 08.12.2014), con bibliografia precedente).

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anni dopo lavorò anche nella vicina Scuola di San Rocco; sappiamo con sicurezza, invece, chi commissionò il lavoro, dato che il suo nome si ritrova, assieme allo stemma di famiglia, tanto ai piedi della cornice scultorea che attornia il dipinto (tav. 128a) quanto alla base del Croci-fisso nell’altare omonimo (tav. 128b), nella prima campata a sinistra. Si tratta di frate Agostino Maffei, veronese, il cui ritratto compare in basso al centro nella tela di Negri, inserito a mo’ di finto dipinto senza cor-nice, un accorgimento ricorrente in opere contemporanee (tav. 127b) 15; lo stemma, caratterizzato dal cervo rampante in campo azzurro con tre sbarre dorate nel secondo spaccato, ne conferma l’appartenenza alla no-bile casata veronese (tav. 128a). È senz’altro il caso di soffermarsi su questo interessante personaggio, che per capacità ed interessi ha un po-sto importante tra i committenti seicenteschi nella basilica francescana.

Agostino Maffei « minore conventuale di frari d’anni 86 » muore in parrocchia di San tomà il 16 maggio 1676 16. Se l’età riportata fosse cor-retta, ne dovremmo ricavare una nascita verso il 1590 circa. Nel 1620, a Verona, viene raccomandato per la chiesa del Santo a Padova; quattro anni dopo lo si ritrova nella cattedrale padovana come cantore – canta da basso – e suonatore di violone. In assenza di un maestro di cappella, insegna anche « canto figurato » (ovvero polifonico) ai novizi, ragion per cui lo stesso anno chiede un aumento di stipendio rispetto ai 36 ducati annui che riceveva 17. Nel maggio 1625 Maffei è di nuovo a Verona, dove viene nominato maestro dei novizi a San Fermo – carica rinnovata ancora il 2 maggio 1628. A partire dal 1631 è certamente nel convento dei Frari, dove ancora viene eletto maestro dei novizi (18 Giugno) 18 dopo il suo felice ingresso nella comunità segnato dalla donazione di 500 ducati a favore dei confratelli (10 Giugno). Siamo in pieno periodo di peste, e il nostro scrive:

havendo io fra Augustino Maffei da Verona, vicario del Vostro convento, intesa la miseria nella quale al presente si ritrova questo Vostro convento in questi tempi callamitosi, sì per li molti debiti come anco per non poter essigere le

15 Si può qui ricordare l’esempio di Antonio Zanchi, che pochi anni dopo (1675) inserirà un finto ritratto del canonico Ottavio Bologni nella Visione di sant’Alberto Magno (treviso, chiesa di San Nicolò); il medesimo stratagemma ricorrerà nell’Ascen-sione di Cristo di Gregorio lazzarini (già Vicenza, Oratorio del Santissimo Rosario, oggi thiene, Duomo) e nella Crocifissione di Giambattista tiepolo (Burano, chiesa di San Martino).

16 « 16 d. [= maggio 1676]. Il S.r Agostin Maffei Min. Con. di frari d’anni 86 dà mal d’orina in giorni 16 Medici il Galdaldino et Mazzoleni » (APF, Parrocchia di San Tomà, Libro di Morti in San Thomà Apos. principiato l’anno 2.do del piovanato del M.to R.do Sig. Pre. Giacomo bulli Pio. 1671, f. 16r, n. 171).

17 I documenti che qui si citano relativi all’attività padovana e al trasferimento a Venezia di fra Agostino Maffei sono stati pubblicati in sArtori, Archivio Sartori, IV, pp. 425-426.

18 Nel 1631, in autunno, a San Fermo viene nominato Raffaele Castagna di Verona, come nuovo maestro dei novizi. Ai Frari la carica venne poi affidata nel 1637 a padre Salvatore Perani di Venezia. Vedi sArtori, Archivio Sartori, III/1, p. 339 nn. 92-93, p. 338 n. 74. Ringrazio Carlo Corsato per la segnalazione di questi documenti.

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solite entrate, mosso da puro zelo verso questo Vostro monastero, per esser stato allimentato molti anni e veduto sempre volentieri (non per mio merito) dalle loro potestà molto reverende, per segno di gratitudine vengo ad offrirle in dono ducati cinquecento, che sono parte guadagnati in questa Vostra ho-norata casa, acciò in qualche parte possino proveder alle presenti necessità 19.

I frati in cambio lo accolgono come confratello:

trovandosi il nostro convento delli Frari al presente in cattivissimo stato, per non poter riscuoter per causa delli contaggii, delli continui sequestri, del mancamento delli coloni nella corrispondenza delle nostre entrate, per il consumo di tutti li suppellettili alli lazaretti et per la continua molestia che riceviamo ogni giorno dalli nostri creditori che mai ci lasciano, [...] li padri [...] hanno posto di accettare detto padre Agostino Maffei di Verona vicario primo e maestro delli novitti per figlio di questa casa, honorandolo di più di camera paternale perpetuamente, lasciandoli la mansioneria libera per sempre, assegnandoli lire nove al mese nel tempo che servirà per vicario in questo convento e dandoli ancora a esso quelle honoranze che si sogliono in alcuni tempi dare alli padri di casa 20.

Spulciando i documenti superstiti, risulta chiaro come Maffei sia bravissimo a gestire le proprie notevoli risorse economiche. Il 6 luglio 1643 deposita all’Ufficio della Zecca, al cinque per cento, 3333 ducati: gli interessi li avrebbe riscossi lui stesso finché fosse rimasto in vita, mentre alla sua morte la cifra sarebbe andata al convento, con una clausola per i confratelli:

di far celebrar una messa quotidiana in perpetuo all’Altar Privileggiato per l’anima di detto Frà Agostin, e de suoi defonti previa fede con giuramento del Padre Guardian, e Sagrestani prò tempore di detta celebratione 21.

Nel 1640 aveva fatto testamento Cipriana Salviati, lasciando al con-vento 1666 ducati, i cui interessi andavano girati come mansioneria a fra Agostino Maffei; la cifra è depositata il 4 dicembre 1665 all’Ufficio dell’Olio 22. tre giorni prima, allo stesso ufficio il nostro frate aveva in-vestito 1333 ducati al sei per cento, con le solite disposizioni:

19 Ibidem, IV, pp. 425-426.20 Ibidem, pp. 425-426.21 ASVe, SMGF, Catastico, I, c. 96r, n. 492; vedi anche sArtori, Archivio Sartori,

II/2, p. 1788 n. 183. Negli elenchi delle Mansionerie del 1733 e del 1758 si ritro-vano ancora le messe per padre Maffei, da celebrarsi all’altare della Concezione, in numero di 192 all’anno (ASVe, SMGF, b. 106, fasc. XXXIII, 4, « 1419-1704. Appunti relativi alle Mansionerie e Sepolture », cc. 44, 48). Come noto, l’altare della Conce-zione è quello della famiglia Pesaro, il terzo nella navata sinistra della chiesa, cui è allogata la pala di tiziano.

22 Il testamento di Cipriana Salviati si trova in ASVe, SMGF, reg. III, cc. 50v-51v, n. 1075 seg. Per il deposito all’Ufficio dell’Olio, ASVe, SMGF, Catastico, I, c. 123r, nonché n. 631 (e sArtori, Archivio Sartori, II/2, p. 1811 n. 65).

271l’ALbeRo SeRAFICo DI PIEtRO NEGRI

che il prò delli medesimi [= gli interessi] sia corrisposto a lui sua vita durante, e dopo la sua morte al soprastante alla Sagrestia della Chiesa de Frari, perché sia solamente impiegato per tener in conzo, e colmo la Chiesa suddetta de Frari, l’Orologlio, l’Organo, le Ramate, le Feriate, veriate, etiam per benefizio delle Campane, comprar stiore per le Porte, scarpiar, et altre cose necessarie per detta Chiesa 23.

Come si è detto, Maffei fu anche il committente dell’altare del Croci-fisso (1672), ora sistemato nella prima campata a sinistra (tav. 53) ma che in origine si trovava a metà della parete destra, in luogo dell’attuale monumento a tiziano 24: un’opera di grande rilievo, già magnificata dai contemporanei 25, il cui disegno è attribuito da una certa tradizione critica a Baldassare longhena ma che fu senz’altro scolpita da Juste le Court, al quale si deve anche la cornice marmorea che circonda la pala di Pietro Negri 26. la vicinanza delle date di realizzazione e l’assegna-zione al medesimo scultore rende chiaro come le due opere derivassero da un’unica commissione: non sembra inverosimile immaginare che l’or-mai anziano frate avesse deciso – dopo aver già disposto delle proprie sostanze in favore della manutenzione della chiesa – di lasciare due ul-time, più « concrete » testimonianze del proprio operato, orgogliosamente rivendicate dalle iscrizioni e dalla presenza dello stemma familiare.

23 ASVe, SMGF, Catastico, reg. I, c. 15r, n. 67.24 Vedi anche cArlo corsAto in questo volume. lo scorcio dell’interno dei Frari

rappresentato nel dipinto di Giuseppe Borsato (tav. 4) mostra chiaramente l’ubi- cazione originaria dell’altare, al cui fianco si nota una tela alta e stretta, di dimen-sioni cospicue, pertinente all’attiguo altare di Sant’Antonio da Padova (tav. 52). Quest’opera è da identificarsi con il dipinto di Francesco Pittoni raffigurante uno dei miracoli del santo, Sant’Antonio fa parlare il figlio del marito geloso, come testimonia Pietro Antonio PAcifico (Cronica Veneta, overo Succinto racconto di tutte le cose più cospicue, & antiche della Città di Venetia [...], Domenico lovisa, Venezia 1697, p. 377). la tela, finora dispersa, si può verosimilmente identificare con quella, identica ma decurtata della parte superiore, appesa su una parete della prima cappella a destra della chiesa di Santa Maria Assunta ad Arco (tN), di fronte all’ottava stazione della via Crucis.

25 È il caso di ricordare la dettagliata descrizione riportata in Pietro Antonio PAcifico (ibidem, pp. 377-378): « l’altar del Christo è moderno, fù fatto riedificar alla moderna da Frà Agostino Maffei, con colonne del tocco, e pietre di vario genere, il Christo è di grandezza ordinaria lavorato di tutto tondo, con due Angeli genuflessi piangenti tutte trè di marmo da carrara, sonovi altre figure d’Angeli sopra il corni-cione, & un bellissimo Sudario di mezo rilievo, questa fù opera di eccellente Scultore, sotto questo altare vi giace sepolto il famoso titiano. Era questo altare stato concesso dai Padri alla Scola della Passione prima, che fabricassero la loro scola ».

26 DAmir tulic, A Venetian ecclesiastic: a sculpture by Giovanni bonazza from the National Gallery of Art in Washington, « Zbornik za umetnostno zgodovino », XlVI (2010), pp. 252-262.

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AbstrAct

Pietro Negri’s Albero serafico is one of the paintings in the Frari that usually escapes notice, despite its conspicuously large size. this neglect is due not only to its unfavourable, poorly lit position, but also to the fact that it is surrounded by such world-famous masterpieces as titian’s two altarpieces. the result of this accidental oversight is that the work has been given almost no attention in the art-historical literature, although it deserves more than a rapid glance, not least on account of its unusual iconography. this chapter reconstructs the commission and its sources in the context of the Franciscan tradition of such representations, start-ing with the Lignum vitae and genealogical trees, with reference to the writings of St Francis. It evaluates both the traditional and innovative aspects of Negri’s work in relation to that of his precursors; prints in particular were the most widely dif-fused and accessible sources of such iconography. Finally the chapter reconsiders the role of the patron, fra Agostino Maffei, an unusual figure in Franciscan patron-age and a member of a Veronese noble family. His careful deployment of his own wealth was almost entirely dedicated to enhancing the glory of the church of the Frari, especially in relation to two important artistic commissions: Pietro Negri’s painting and the Altar of the Cross by the sculptor Juste le Court.

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Tav. 120 - Pietro Negri, Albero Serafico, Venezia, basilica dei Frari.

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Tav. 121 - Disegno datato 12 agosto 1875 rappresentante la cornice marmorea di Le Court e gli abbassamenti del campanile, ASVe, b. 3, Fascicolo “Risarcimenti nel sito corrispondente al quadro ‘La gloria dei fancescani’ di Pietro Negri - 1875”.

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Tav. 122 - (a) Taddeo Gaddi, Lignum Vitae, Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce, particolare; (b) Jacques Callot, Albero genealogico della famiglia Del Turco, Londra, British Museum.

(a)

(b)

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Tav. 123 - Manifattura fiamminga arazzo del XV secolo, Albero francescano. Assisi, Museo-tesoro della basilica di San Francesco.

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Tav. 124 - Antonio Vassillacchi detto l’Aliense, Albero della Religione Benedettina, Venezia, convento di San Giorgio Maggiore, chiostro di notte (ex-convento palladiano).

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Tav. 125 - Carlo de Arenberg, Epilogus totius Ordini Seraphici Patri Sancti Francisci, Roma, Museo Francescano dell’Istituto Storico dei Cappuccini.

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Tav. 126 - Pietro Negri, Albero Serafico, Venezia, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, (a) particolare sezione superiore; (b) particolare sezione centrale.

(a)

(b)

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Tav. 127 - Pietro Negri, Albero Serafico, Venezia, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, (a) particolare sezione inferiore; (b) particolare, Ritratto di Agostino Maffei.

(a)

(b)

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Tav. 128 - (a) Giusto Le Court, Albero Serafico, particolare della cornice marmorea. (b) Giusto Le Court, Altare del Crocifisso, particolare della dedicazione, Venezia, basilica dei Frari.

(a)

(b)

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indice generale

RingRaziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . v

DeboRah howaRD - CaRlo CoRsato, Santa Maria Gloriosa dei Frari:Architecture and Community . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ix

CaRlo CoRsato - Renata maRzi, Padri Guardiani e Parroci di Santa MariaGloriosa dei Frari, 1241-2015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xix

identità e rappresentazione / Identity and Representation

Donal CoopeR - maRijana Kovačević, Christ’s Blood Framed in Silver andMarble at the Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

lyDia hamlett, « Sure Gate of Heaven »: The Sacristy at Santa Maria Gloriosadei Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

maDDalena basso, Nel cuore di Venezia: il restauro del coro dei Frari . . . . 27

isabella CeCChini, Un’assenza illustre. L’assunta di Tiziano, i Frari el’Accademia (1816-1917/1919) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

maRia antonella bellin - patRizia volpato, Le vetrate della cappellaCorner nella chiesa dei Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

moniCa Del Rio - giuseppe saCCà, Il bilancio sociale della comunità dei Frari(1920-1960): Vittore Chialina e l’archivio parrocchiale . . . . . . . . . . . . . . 63

comunità e scuole / Community and Confraternities

maRtin gaieR, Il campo dei Frari. Appunti sulla formazione, la funzionee la percezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

massimo bisson, Le confraternite ai Frari: architettura e fruizione deglispazi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

CaRlo CoRsato, Public Piety and Private Devotion: The Altar of the Cross,Titian and the Scuola della Passione at the Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

jonathan glixon, Frati and Fratelli: The Frari and Music for the Scuole 117

isabella CeCChini, I Fiorentini ai Frari: uso pubblico dello spazio religiosoin età moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127

iain Fenlon, Claudio Monteverdi at the Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

indice generale324

l’arte della memoria / Memorialisation

CRistina guaRnieRi, Il monumento funebre di Francesco Dandolo nella saladel Capitolo ai Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

silvia D’ambRosio, Il doge Giovanni Gradenigo, lo scultore Andriolo de’Santi e i disegni di Grevembroch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

maRgaRet bent, The Emiliani Chapel in the Frari: Background andQuestions . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

miChel hoChmann, La famiglia Bernardo nella chiesa dei Frari . . . . . . . . . . 187

vittoRio pajusCo, Devozione e committenza: Giuseppe Volpi di Misurataai Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

arte e committenza / Art and Patronage

allison sheRman, « Soli Deo Honor et Gloria »: Pietro Lombardo e il tra-mezzo di Santa Maria Gloriosa dei Frari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211

loRenzo giovanni buonanno, Revisiting the Frari’s High Altarpiece: The assun-ta Frame and Titian as régisseur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223

viCtoRia aveRy, « Belo et onorato per onor ancho suo »: Alessandro Vittoria’sZane Altar Reconsidered . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233

elena FRosio - valentina sapienza, Andrea Vicentino ai Frari . . . . . . . . . . 251

alessio pasian, L’albero Serafico di Pietro Negri: note storiche, iconografia,committenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263

tavole (1-128)

abbReviazioni Fonti aRChivistiChe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273

Fonti FotogRaFiChe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275

bibliogRaFia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277

inDiCe Dei nomi e Dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307

inDiCe Della basiliCa Dei FRaRi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319