universitÀ degli studi di napoli «federico ii»

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U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI N APOLI «F EDERICO II» F ACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA C ORSO DI L AUREA T RIENNALE IN STORIA T ESI DI L AUREA IN STORIA CONTEMPORANEA BATTIPAGLIA: UN COMUNE MERIDIONALE NEI SECOLI XIX E XX Relatore: Candidato: Ch. ma Prof. ssa GERARDO MONETTI RENATA DE LORENZO N. matricola: N69/499 Anno Accademico 2011/2012

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Page 1: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «FEDERICO II»

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «FEDERICO II»

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN STORIA

TESI DI LAUREA IN

STORIA CONTEMPORANEA

BATTIPAGLIA: UN COMUNE MERIDIONALE NEI SECOLI XIX E XX

Relatore: Candidato:

Ch. ma Prof. ssa GERARDO MONETTI

RENATA DE LORENZO N. matricola: N69/499

Anno Accademico 2011/2012

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INDICE

Introduzione pag. 4

CAPITOLO I

Le antiche origini della città di Batt ipaglia pag. 7

CAPITOLO II

2.1 Contesto storico pag. 13

2.2 Il terremoto nel Salernitano del 1857 pag. 17

2.3 Progetto della bonifica agraria nella Piana del Sele pag. 23

2.4 La fondazione della Colonia Agricola di Battipaglia pag. 27

CAPITOLO III

Il 1929 e la fondazione del Comune di Battipaglia pag. 32

CAPITOLO IV

1.1 1943: le stragi della guerra pag. 38

1.2 Il Sindaco scomparso pag. 44

1.3 La rivolta di Batt ipaglia: 9 aprile 1969 pag. 54

CONCLUSIONI pag. 65

BIBLIOGRAFIA

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4

INTRODUZIONE

L’intento del mio lavoro è quello di raccontare la storia di Batt ipaglia.

La città nasce ufficialmente per volontà di Ferdinando II di Borbone quando

nel 1858, in seguito al terremoto del 1857 che ha colpito gran parte della

Campania e della Basil icata, dispone la bonifica territoriale di queste terre e

la zona ha un’opportunità di rinascita.

«Terra Promessa» a cui affluiscono sempre più correnti migratorie nel

miraggio di un lavoro.

Da questo momento in poi la cit tà vive un periodo di crescita sempre più

intenso.

Il toponimo compare per la prima volta in un documento ufficiale redatto da

Roberto i l Guiscardo nel 1080, dove viene confermato il possesso dei terreni

tra il fiume Sele e il fiume Tusciano alla Chiesa di Salerno.

Secondo studi effettuati da storici battipagliesi si pensa addirit tura che

all’origine della città ci sia una colonia etrusca. Si è giunt i a questa

conclusione grazie ad alcuni r itrovamenti archeologici effettuati nella zona

mare.

Ma è solo con Regio Decreto 28 Marzo 1929 che vi è l’elevazione della cit tà

di Battipaglia a comune.

Dalla sua fondazione sino al 1943 vive un periodo di crescita, sia dal punto

di vista urbanistico che da quello industriale.

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5

Ma proprio il 1943 risulta essere l’anno più doloroso nella storia di

Battipaglia.

Il 21 Giugno di quello stesso anno bombardieri anglo – americani sganciano

bombe a grappoli sull’intera ci ttà , importante punto strategico come nodo

ferroviario e aeroportuale.

I bombardamenti cessano solo nel Settembre di quello stesso anno con la

stima accertata di 117 vittime.

Grazie alla tenacia dei suoi abitanti la città viene ricostruita in tempi brevi.

Il generale Mark Wayne Clark che ha guidato l’ «Operazione Avalanche»

dello sbarco degli alleati a Salerno, ritornato 20 anni dopo nella città di

Battipaglia si meraviglia di come un piccolo centro ha avuto la forza di

riprendersi cosi rapidamente da un attacco cosi sconvolgente come quello del

1943.

Tra il 1951 – 1960 la cit tà conosce un importante incremento demografico

superando più del doppio quello del vicino comune di Eboli, di cui era stata

frazione pochi anni prima.

Sorta come colonia agricola Batt ipaglia diventa negli anni ’60 polo di

sviluppo industriale.

Nel 1968 è stata segnalata tra i 100 comuni di Italia che, per il progresso

economico e civile conseguito, hanno contribuito a rendere più grande

l’Italia nella storia dei quarant’’anni della Repubbl ica.

Ma nel 1969 si scrive un’altra pagina nera per la storia di questa ci ttà.

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6

Il 9 Aprile ci sono scontri violenti al diffondersi della notizia della decisione

di chiudere due aziende storiche come la manifattura dei tabacchi e lo

zuccherificio.

Per la città è una tragedia. Metà della popolazione vive su queste due

fabbriche.

Sono indotte manifestazioni di proteste e gli scontri con le forze dell’ordine

sono drammatici.

Perdono la vita due persone; si contano più di 300 feriti.

A Roma arriva la notizia che i morti sono cinquanta e, temendo una

insurrezione generale, viene subito trovato un accordo per la riapertura delle

due aziende.

Dunque nelle pagine successive ripercorreremo le vicende per intero fino a

giungere ai giorni nostri, una città in linea con i tempi con insediamenti ad

alta tecnologia, dai cavi elettr ici alle fibre ottiche, alle telecomunicazioni.

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7

CAPITOLO I

LE ANTICHE ORIGINI DELLA CITTÀ DI BATTIPAGLIA

L’origine di Batt ipaglia si fa risalire soltanto alla decisione del Re

Ferdinando II di Borbone di costruire una colonia nella zona di Battipaglia

dopo il terremoto che ha devastato Basilicata e Campania nel 1857.

Alcuni studiosi come lo storico locale Luigi Gambardella sostengono invece

che il sorgere di Battipaglia debba ricercarsi negli stanziamenti umani che si

ebbero in questa zona all’epoca della colonizzazione etrusca di una parte

della piana del Sele. 1

La denominazione Battipaglia viene comunemente spiegata con i l nome dato

nel corso dei secoli, dai contadini del posto, ad una località fornita di aia,

dove essi si recavano a battere il grano e la paglia.

Dall’andare a «batt i paglia» come attività lavorativa, a denominare

Battipaglia i l posto dove tale attività si sarebbe svolta, il passo è breve.

Ma studiosi locali non condividono completamente questa tesi, anche perché

non riuscirebbero a rendersi conto del termine «Baptipalla» che compare in

un documento scritto nel 1080.

1 L. GAMBARDELLA, Battipaglia, dal remoto mondo degli etruschi alle superbe affermazioni di moderno e dinamico Comune democratico, Biblioteca “E. DE AMICIS”, Battipaglia, 1968, p. II

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8

Per essi sembrerebbe più corretto far derivare la prima parte del toponimo

Battipaglia dal nome di una divinità etrusca di nome Veltha o Valtha.

L’originale Veltha o Valtha si sarebbe corrotto in «Bapta» con la nota

assimilazione della V in B e della linguale L in T. La seconda parte «palla»

deriverebbe dall’originario «pal» ed il tutto dovrebbe significare paese,

locali tà, centro, sacro o consacrato alla dea Veltha. 2

Quando la potenza romana iniziava la sua espansione politica, militare ed

economica nel Lazio e nelle zone circostanti, una vasta area dell’attuale zona

di Salerno aveva già rilievo nella storia della civiltà, essendo percorsa di

influenze commerciali, militari e culturali, conseguenza delle rilevanti

sollecitazioni dovute al la colonizzazione greca ed etrusca.

Già i coloni greci avevano scelto come punto di attracco per le loro navi le

feconde terre della Piana, per dare inizio alla costruzione di un centro

religioso e commerciale di primaria importanza.

Inoltre condizione determinante per la scelta della foce del Sele, fu il fatto

che il fiume era navigabile per un lungo tratto del suo corso, il che rendeva

agevole l’afflusso dei pellegrini e delle merci dall’entroterra, mentre nel

contempo facili tava la penetrazione commerciale verso le popolazioni

dell’interno.

Ma la civiltà della Magna Grecia doveva quotidianamente misurarsi con

un’altra civiltà a lei non seconda: l’etrusca.

2 Ibidem p. III

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9

Proprio all’influenza etrusca si deve il nome del fiume che ancora attraversa

gli edifici della moderna Battipaglia: i l Tusciano.

Specialmente sulla riva destra gli Etruschi erano presenti ed insediati in

maniera efficace.

Era stata costruita una grande strada che collegava la cit tà di Salerno e di

Capua con il resto del territorio etrusco dell’Italia Meridionale. Oggetto dei

loro traffici erano i manufatti di ferro, rame e argento. 3

Ma la loro egemonia sulle terre del Salernitano ebbe termine con la sconfitta

navale da essi subita nelle acque di Cuma nel 474 – 473 a. C., quando ben

due flotte coalizzate, la Cumana e la Siracusana, sconfiggendo la flotta

etrusca, tolsero a questo popolo lo strumento principale che consentiva il

controllo dell’intero territorio campano.

Grazie al ritrovamento di alcune necropoli si può capire come l’attuale

territorio di Batt ipaglia fosse in questo periodo storico già abitato, mentre i

corredi funebri r itrovati segnalano quale notevole grado di civiltà e quale

elevato tenore di vita avessero raggiunto queste popolazioni.

Le ricerche e gli scavi di questi ultimi anni, non ancora del tutto completati,

hanno portato al ritrovamento di tre necropoli, contenenti tombe e sepolture

che coprono un arco di tempo che va dal IX al IV sec. a. C. 4

3 Ibidem, pp. 1-3

4 Ibidem, p. 4

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10

In base a questi ritrovamenti archeologici si può affermare che lungo le rive

del fiume Tusciano esisteva un centro abitato, e si t rattava dell’insediamento

che ha dato origine a Battipaglia.

Il nome di Battipaglia appare menzionato per la prima volta in un documento

storico, nell’anno 1080 d. C.5

Decaduta la potenza etrusca si è affermata e espansa quella romana.

Ma la prosperità e la ricchezza della Piana del Sele non dovevano durare

ancora a lungo, visto che la poli tica espansionistica di Roma richiedeva un

numero sempre maggiore di uomini.

E con la partenza dei coloni, ormai trasformati in legionari, iniziò lo

spopolamento delle campagne e l’abbandono dell’ agricoltura, cause prime

del ristagno delle acque e della conseguente malaria.

Nel V secolo ebbero inizio le invasioni barbariche: nel 410 d. C. Salerno e le

terre circostanti venivano saccheggiate dai Visigoti guidati da Alarico,

mentre nel 456 d. C. gli abitanti di Battipaglia dovevano salvarsi con la fuga

sulle colline, mentre i Vandali di Genserico seminavano morte e distruzione

nella Piana.

Successivamente vi furono incursioni da parte dei Saraceni, i quali

compirono saccheggi e scorrerie, fino a quando, verso il 640 d. C. Arechi,

duca di Benevento, riuscì a sottrarre al le loro incursioni tutto il territorio da

Cuma fino ad Agropoli.

5 Ibidem, p. 7

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11

Verso l’840 sorgeva il Principato Longobardo di Salerno, del quale Siconolfo

fu il Primo Principe e l’ultimo fu Gisulfo II, cognato di Roberto il Guiscardo,

e Battipaglia nel 1077 passava dalla dominazione longobarda a quella

normanna.

L’acquisizione delle terre della curtis del Tusciano permise a Siconolfo di

creare un vasto dominio fondiario nel locus . Non è improbabile che proprio

negli anni intorno all’849 si costituissero i primi nuclei fortificati, ricordati

dalle fonti solo a partire dagli inizi del secolo XI. 6

Ed è in questo momento storico che si trova per la prima volta menzionato in

un documento scritto il nome di Battipaglia.

Roberto il Guiscardo con un atto ufficiale r iconosceva e sanzionava alla

Chiesa Salernitana il pieno e legittimo possesso di numerosi beni

immobiliari, tra i quali anche la « Castelluccia di Baptipalla». 7

In tal modo si trova anche per la prima volta traccia storica del Castelluccio,

il quale venne edificato a difesa e protezione degli abitanti alle incursioni dei

pirati Saraceni. Trovarono rifugio non solo gli abitanti di quella zona, ma

anche una fiorente comunità religiosa di Frati Benedettini che avevano

costruito anche vari Monasteri, ed at torno a questi si sviluppò una comunità

di agricoltori.8

6 L. Rocco Carbone, BATTIPAGLIA, 70 anni nella sua storia, Massa Editore, Napoli, 1999, p. 30

7 7 L. GAMBARDELLA Battipaglia, dal remoto mondo degli etruschi alle superbe affermazioni di moderno e dinamico Comune democratico, Biblioteca “E. DE AMICIS”, Battipaglia, 1968, pp. 8 - 9

8Ibidem, p. 10

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Il Castelluccio di Battipaglia rimase sotto la giurisdizione della Chiesa

Salernitana fino al secolo XI.

Ma dopo la morte di Enrico VI gli abitanti di Battipaglia ebbero la triste

ventura di vedersi oggetti delle attenzioni di Marcoaldo, conte e capitano

dell’esercito di Enrico VI.

Il conte si impossessò del Castelluccio e sottomise gli abitanti del

«castrum».

Nel frattempo neanche l’ascesa di Federico II giovava, perché durante il

periodo delle sue contese con il Papa, il Re privò l’ordine Teutonico del

possesso e del godimento dei beni del Castelluccio. 9

Solo con la sua morte Federico II nel 1250 dispose, secondo testamento, che

dovevano essere rest ituiti tutt i i beni al la Chiesa confiscati in prece denza.

Dopo questi avvenimenti non vi è altro che il silenzio delle fonti storiche

fino al periodo del terremoto e della nascita della colonia agricola.

9 Ibidem, p. 12

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CAPITOLO II

2.1 CONTESTO STORICO

Mentre in Italia settentrionale Vittorio Emanuele e Napoleone stavano

cacciando gli austriaci dalla Lombardia, a Napoli moriva Ferdinando II, Re

Bomba.

Dopo la crisi del 1849 egli dette libero sfogo alla sua natura dispotica,

facendo e disfacendo Ministeri. Il suo regime si basò unicamente

sull’esercito e sulla polizia: gli oppositori finirono tutti in galera o in esilio.

Spesso venne accusato di essere troppo sottomesso ai voleri di Vienna, ma la

sua polit ica si basò sul rigoroso isolazionismo, e se avesse potuto avrebbe

rinchiuso il suo reame in una muraglia cinese.

Il suo modello, più che di Re assoluto, fu quello del Patriarca che amministra

personalmente la giustizia e mozza la testa a chiunque la viola.

L’ amore per i sudditi fu sincero, anche se lo manifestò opprimendoli. I

napoletani gli diedero il soprannome di «guappo», perché del guappo ebbe le

prepotenze e le generosità.

Sulla fine del ’56, mentre passava in rivista la truppa, un soldato uscì dai

ranghi e gli vibrò un colpo con la baionetta. Il Re rimase impassibile anche

perché la lama non gli procurò nessuna ferita.

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Ma da quell’episodio in poi diventò più inquieto, cupo e sospettoso. Neanche

il fal limento della spedizione di Pisacane, che dimostrò la sordità del suo

popolo a ogni grido di rivoluzione, bastò per ridargli pace e fiducia.

Il suo motto era: «Amico di tutti, nemico di nessuno»; nella guerra del ‘59

che stava sconvolgendo l’Ital ia in quel periodo, si era at tenuto alla più stretta

neutralità, sostenendo di fatto che ciò che stava accadendo non lo

riguardasse, tanto meno si preoccupò delle sommosse rivoluzionarie, in

quanto considerò l’Italia solo «un’espressione geografica».

Nel Gennaio del ’59, mentre Cavour strinse rapporti con Napoleone per la

conquista del Lombardo – Veneto, Ferdinando li str inse col Duca di Baviera

per dare una moglie a suo figlio Francesco.

Proprio durante i l viaggio per recarsi a Bari, le condizioni di salute del Re si

aggravarono improvvisamente forse a causa di febbre alta, o come egli stesso

sostenne, fu la lama avvelenata dell’attentato.

Prima di morire convocò suo figlio Francesco e gli fece promettere di

continuare la sua politica senza lasciarsi coinvolgere in quel che succedeva

fuori del Reame.

Entrò in agonia lo stesso giorno che i franco – piemontesi a Montebello

inflissero la prima disfatta agli austriaci.

Francesco quando salì al trono aveva solo 23 anni e sentiva un enorme carico

di responsabilità, anche perché i napoletani salutarono con entusiastiche

dimostrazioni la vit toria franco – piemontese.

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Il giovane Re si trovò tra l’ambiente reazionario di Corte capeggiato dalla

matrigna, che voleva un inasprimento del regime poliziesco, e la pressione

dell’ambiente liberale capeggiato dallo zio Leopoldo che st imolava ad

un’alleanza con Vittorio Emanuele per togliergli l’esclusiva del movimento

patriottico nazionale e arr ivare ad una spartizione della penisola con lui.

Francesco per uscire dalla situazione pensò ad un uomo che nella pubblica

opinione passava per un taumaturgo: Carlo Filangieri. Vecchio ufficiale

muratt iano, aveva combattuto sotto le bandiere di Napoleone in Spagna e

Russia e aveva dato prova di fedeltà alla Corona reprimendo le insurrezioni

del ’48 – ’49 in Sicil ia.

Nei pochi mesi che fu in carica agì con decisione, minacciando le dimissioni

ogni volta che incontrava resistenza.

Fu autore di un paio di provvedimenti che scossero i l Reame. Il primo fu

quello che grazie ad un’amnistia che consentì il ritorno a centinaia di esuli,

ostili tuttavia alla causa borbonica.

Licenziò inoltre i mercenari svizzeri, gli unici reparti fedeli e agguerriti

dell’esercito napoletano.

L’ Ambasciatore piemontese scrisse a Cavour: «Senza gli svizzeri, l’esercito

napoletano versa in condizioni disastrose».

Il moto unitario dilagava a macchia d’olio e nel Marzo del ’60 Filangieri

rassegnò definitivamente le sue dimissioni.

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Ai primi di Aprile, lo zio Leopoldo scrisse al nipote una let tera esortandolo

ad allearsi con Cavour e Vittorio Emanuele per salvare il Reame e cosi

collegarlo con «l’Italia Superiore».

Dopo poco il re ricevette una let tera direttamente da Vittorio Emanuele, che

avanzò la proposta di spart ire la penisola in due potenti Stati, quello del Sud

e quello del Nord, arricchiti dalle spoglie di quello Pontificio che doveva

ridursi al la sola Roma con la sua provincia. Vittorio Emanuele fu convinto

che questa soluzione gli italiani potevano ancora accettarla, purché le due

politiche fossero state ben coordinante e onestamente seguite. Concluse la

lettera cosi: « se permetterà a qualche mese di passare senza porre in at to il

mio amichevole suggerimento, Vostra Maestà sperimen terà forse l’amarezza

delle terribil i parole: troppo tardi».

Il 3 novembre 1860 fu dichiarata decaduta la Dinastia dei Borbone di Napoli

con un plebiscito per l 'annessione delle Due Sicilie al Piemonte. 10

10 I . Montanel l i , Sto r ia d ’ I ta l ia da l 1831 a l 1861 , R CS Q uot idian i S. p. A. , Mi lano, 2003, pp. 419 - 426

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2.2 IL TERREMOTO NEL SALERNITANO DEL 1857

Nella storia del Mezzogiorno hanno avuto notevole incidenza le calamità

naturali. Tra le molte che si sono abbattute nel Sud Italia, quelle di

particolare rilievo sono di certo i terremoti, proprio a causa della natura

sismica di gran parte del territorio meridionale.

Soprattutto il mondo contadino ha avuto un tipico modo di porsi di fronte a

queste calamità, a metà strada tra fatalismo e rassegnazione.

Si tratta di due momenti e due atteggiamenti – uno di matrice cristiana,

l’altro di matrice laica – propri della mentalità popolare, la cui tradizione è

giunta fin quasi ai nostri giorni. Alle discussioni esterne di questi eventi e

dei danni provocati occorre aggiungere un diverso livello di conoscenza,

quello relativo alle conseguenze psicologiche sui superstit i.

Che il terremoto fosse una delle grandi cause modificatrici, non era sfuggito

all’analisi attenta di Francesco Saverio Nitt i nell’ Inchiesta sulle condizioni

dei contadini all’ inizio del secolo XX. «Terremoti frequenti – scrive Nitt i –

vi hanno portato la desolazione e distrutte opere di civiltà e arrestato i l

progresso economico, e turbata profondamente la vita di quelle popolazioni

(…). Da oltre un secolo in Basilicata e in Calabria i terremoti si sono seguiti

con straordinaria violenza; come ciò abbia determinato una speciale

psicologia di alcune popolazioni, può intendere solo chi le ha visitate. La

poca sicurezza del vivere, l’at tesa continua di avvenimenti improvvisi e

terribili, il ricordo incessante di fatti dolorosi hanno determinato uno stato

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d’animo particolare (…). Senza dubbio tutto ciò si può rinnovare. La morte e

la vita sono fenomeni della stessa natura (…). Ma la psicologia delle

popolazioni di quelle zone deve essere di necessità influenzata da cause

modificatrici cosi profonde. Quelle popolazioni acquistarono spesso, dopo i

grandi disastri, una forma di apatia, una indifferenza al male, una incapacità

di osare. Che cosa sono le opere degli uomini se una piccola violenza della

natura può distruggerle d’un trat to?» 11

Le parole, le riflessioni del Nitti, coglievano aspetti importanti del

fenomeno.

Non si era dato il giusto ri lievo al terremoto, essendo il discorso ancorato

prevalentemente agli aspetti materiali.

Ovviamente come per la popolazione, anche per la dinastia borbonica i l

terremoto era apparso come rivelazione di uno stato di miseria e di

abbandono in cui erano costrette a vivere le popolazioni rurali delle zone

interne.

I Comuni non erano in grado di provvedere alle prime forme di assistenza,

alla costruzione delle baracche, perché le casse comunali erano esauste.

Il terremoto del 16 dicembre 1857, che aveva colpito un vasto territorio, «tra

l’Adriatico e i l Tirreno, tra Puglia, Calabria, Basilicata e Salerno» 12, è quello

che avuto maggiore risonanza nell’opinione pubblica del tempo, sia per le

11 F. S. N i tt i , Scr i t t i su l la q u est ion e merid ion a le. In ch ies ta su l le co nd iz ion i d e i con tad in i in B a s i l i ca ta e in Ca la b ria , B ar i 1968, vo l . I I , pp . 57, 60, 62

12 A. Cestaro, I l terremoto d el 1857 e la fo nd a zion e d el la “co lo nia ag r i co la ” d i B a tt ip ag l ia , E d. Osanna, V enosa, 1995, p. 26

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notizie diffuse rapidamente a Napoli tramite i l telegrafo elet trico, sia per le

numerose corrispondenze apparse sui giornali napoletani e stranieri. Si

trattava anche di quello più documentato, anche perché cadeva in un

particolare momento politico per il regno e a pochi mesi dallo sbarco di

Pisacane a Sapri.

Certo il terremoto era stata una grande occasione per i cospiratori del regno,

tanto è vero che il cataclisma poteva rappresentare l’ultimo banco di prova a

disposizione dei Borboni, per cercare di recuperare una propria credibili tà

nei confronti delle popolazioni locali.

Sia la tradizione storiografica borbonica che quella di parte liberale

riconobbero i cospicui interventi fat ti dal governo per aiutare le popolazioni

danneggiate, anche se si segnalavano le malversazioni e la dispersione di

tanto pubblico denaro.

Gran parte delle donazioni figuravano solo sulle carte, mentre di gran parte

delle elargizioni e dei sussidi raccolti ben pochi giungevano a destinazione.

Nei comuni più colpiti non arrivavano – e con ritardo – che poche sdrucite

coperte e poche tavole per letti.

De Sivo scriveva con una punta di rabbia: «Il governo a nulla mancò; ma

tanti soccorsi e danari passarono per brutte mani». 13

Per gli storici del tempo il terremoto aveva avuto diverse funzioni.

Per il De Cesare esso non era che uno dei tanti episodi utili a descrivere la

lenta e irreversibile f ine di un regno e di una monarchia. 13 Ib id em , p. 28

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Per il De Sivo gli eventi del 1857 – il terremoto e la spedizioni di Sapri –

non erano che i sintomi del declino della monarchia e il preannuncio del

grande cataclisma che da lì a pochi anni si sarebbe abbattuto sull’Italia.

Secondo lo storico filo borbonico il terremoto avrebbe favorito e consentito

ai cospiratori di riorganizzarsi. Infatt i successivamente scrisse che solo in

questo modo era possibile ad «uomini malvagi» scalzare i Borboni dal loro

trono.

Il terremoto era occasione per l’ allargamento delle file cospiratr ici e

lanciava accuse di catt iva gestione da parte degli Intendenti. 14

Eppure a ricoprire tale carica amministrativa non erano funzionari di secondo

ordine, ma personaggi di un certo r ilievo.

A Salerno Luigi dei marchesi Ajossa era giunto in cit tà dopo circa una decina

di anni di carriera e dopo aver ricoperto la carica di Intendente a Bari, e per

di più si era trovato a fronteggiare nella sua provincia l’emergenza legata

alla spedizione di Sapri.

Di lui si dice che fosse «Cauto e spregiudicato manovratore dalla mente ricca

di iniziative».15

Egli durante i momenti drammatici del terremoto, era tutto intento a seguire,

con la sua polizia segreta, le delicate fasi del processo della spedizione di

Sapri.

14 Ib id em , p. 28

15 I b idem, p . 29

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Fu un processo che ebbe rilievo internazionale e grazie ai suoi riflessi

politici aveva richiamato a Salerno, oltre i consoli piemontese e inglese,

perfino un inviato del «Times» e del «Daily News», per la presenza tra gli

imputati di due macchinist i inglesi della nave «Cagliari».

Man mano che il processo si avvicinava alla fine, Ajossa affrontava e

sollecitava due problemi strettamente connessi al l’emergenza del terremoto:

la questione delle chiese distrutte o fortemente danneggiate e la fondazione

di una colonia agricola nella pianura del Sele.

Sulla prima questione aveva richiamato l’attenzione del Ministero in un

rapporto del 29 maggio 1858, nel quale si era pure riservato di inviare uno

stato dettagliato delle chiese, dopo aver interpellato gli Ordinari diocesani.

A causa della grave enti tà dei danni e dell’assoluta mancanza di chiese in

molti Comuni, il Re aveva autorizzato una «colletta particolare» dando la

preferenza, con quei fondi, alla ricostruzione delle chiese parrocchiali, dove i

Comuni erano privi di mezzi per provvedervi.

Per gli altri che avevano i l diri tto di patronato sulle Chiese, Ajossa aveva

proposto l’imposizione di un dazio sul macinato, una tassa cui spesso si era

fatto ricorso in passato per far fronte a spese straordinarie.

Ma i Comuni che dovevano provvedere alla spesa per le chiese si rif iutavano

di contribuire e di imporre il dazio sul macinato, a causa delle precarie

condizioni di vita delle popolazioni.

E fu cosi che per «risoluzione sovrana» del 20 dicembre 1858 si assegnavano

per la r icostruzione delle chiese ducati 4 mila dai residui della «Colletta» e

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ducati 5 mila venivano presi dalla somma dovuta dalle Amministrazioni

diocesane. 16

Tuttavia, solo 1.200 erano destinati per le chiese della provincia di Salerno,

mentre gli altri erano destinati alle altre zone colpite dal terremoto.

16 Ib id em , p. 33

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2.3 PROGETTO DELLA BONIFICA AGRARIA NELLA

PIANA DEL SELE

La ricostruzione delle case crollate o danneggiate dal terremoto non rientrava

nei compiti dello Stato borbonico. L’intervento delle istituzioni pubbliche

non andava oltre l’assistenza e la beneficenza a favore dei poveri senza tetto.

Lo Stato interveniva solo per la «riattazione» dei pubblici edifici e delle

chiese, con particolare riguardo alle chiese parrocchiali, mentre al la

ricostruzione delle case erano tenuti a provvedere i privati a proprie spese.

Dopo gli eventi del 1857, a differenza di quanto si era fatto prima in

occasioni analoghe si sperimentò un tipo di assistenza alle popolazioni

consistente nel trasferimento di intere famiglie di contadini, senza tetto e

senza terra, in zone di nuove popolamento, in colonie agricole da istituire in

vasti territori incolti, ove già erano stat i avviati lavori di bonifica.

Di certo questa soluzione rappresentava una novità in fat to di progettazione e

di realizzazione. Non lo era invece come idea generale, in quanto

l’isti tuzione di colonie agricole rientrava nel progetto di rinnovamento del

regno.

Basterebbe ricordare la colonia di San Leucio, nei pressi di Caserta, fondata

da Ferdinando IV nel 1773 con gruppi di famiglie dedite al la lavorazione

della seta.17

17 A. Cestaro, I l terremoto d el 1857 e la fo nd a zion e d el la “co lo nia ag r i co la ” d i B a tt ip ag l ia , E d. Osanna, V enosa, 1995, p 36

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24

Cosi prese avvio l’ idea di «profferte di terre colt ivabili e di asilo agli

errabondi agricoltori per creare nuove colonie e nuovi centri di

popolamento», cosi come scriveva il Rosica, Intendente della Basil icata.

Le procedure per la ist ituzione di una colonia agricola nella piana del Sele

furono avviate il 26 Febbraio 1858, quando il Re diede incarico

all’Amministratore generale delle bonifiche, barone Giacomo Savarese, di

prendere contatto con gli Intendenti di Salerno e di Potenza per la scelta del

luogo più idoneo.

Per Savarese la colonia agricola doveva collocarsi nelle immediate vicinanze

del terri torio da bonificare e dei demani comunali da assegnare ai coloni,

precisamente nei pressi del Ponte della Radica, ove si incrociavano le due

strade Eboli – Persano e Batt ipaglia – Pesto, allo scopo di assicurare,

soprattutto, la manodopera necessaria ai lavori già intrapresi e da

intraprendere. L’idea di Savarese era di istituire la colonia in una pianura

deserta. Egli pensava di costruire vere e proprie case, al posto dei casoni per

alloggiare gli operai, con poco aumento di spesa; cosi distr ibuire alle

famiglie dei coloni anche un pezzo di terra demaniale di circa 10 moggia in

misura locale.

Il t rasferimento di popolazione da un luogo all’altro si giustif icava solo in

quanto potesse dar vita ad un nuovo centro abitato, destinato a promuovere la

bonifica ed a sviluppare le risorse agricole della zona.

Egli non ignorava che l’ostacolo maggiore era rappresentato dalla

condizione dell’ aria», vale a dire dalla malaria, per cui pensava di

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25

trasportare le famiglie, durante la stagione estiva, nei monti vicini. Nel

frattempo con il prosieguo delle opere di bonifica, le condizioni generali del

territorio sarebbero migliorate e, nel giro di qualche anno, i coloni si

sarebbero potuti fissare stabilmente nella nuova colonia.

Ajossa, Intendente di Salerno, non era dello stesso avviso riguardo

l’ubicazione della colonia. Dopo essersi fatto consegnare, tramite i

Sottintendenti di Sala e Campagna un elenco di famiglie disposte a trasferirsi

nella piana del Sele, riteneva che il luogo indicato dal Savarese non fosse

opportuno per la fondazione di un «novello vil laggio» essendo al centro

«dell’aere malsano».

Ajossa era più orientato a collocare la colonia sulle colline di Batt ipaglia,

verso Faiano. Anche dopo le precisazioni fornite da Savarese, Ajossa non

fece che confermare la sua opinione, precisando che «l’idea di potersi

affittare nei monti vicini qualche locale per alloggiare le famiglie durante i

mesi estivi, era priva di fondamenta» 18, non essendovi in quei luoghi abituri

da destinare a tale scopo.

Intanto, la voce delle disposizioni sovrane circa la nuova colonia si era già

diffusa tra le popolazioni della Basil icata, anche a seguito della r ichiesta

inoltrata ai Comuni più danneggiati.

Molti contadini spinti dal bisogno e dal miraggio di nuovo benessere, senza

attendere disposizioni dall’al to, si erano già messi in movimento verso la

piana del Sele, con la speranza di una casa e di un pezzo da terra di colt ivare. 18 Ibidem, p. 39

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26

Ajossa scriveva: «Il numero era cosi eccedente che mancavano le carte di

passaggio, ed in ciascuna di esse vi erano iscritt i nomi di due individui.

Infine, dinotarono che le assicurazioni di quelle cose erano state loro fatte

dal sindaco del paese, e nominavano la contrada Radica in tenimento di Eboli

e Barizzo».19

19 Ibidem, p. 39

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27

2.4 La fondazione della “Colonia Agricola” di Battipaglia

L’esodo verso la piana del Sele continuava inesorabilmente. Per questo

motivo il Ministero dei Lavori Pubblici sollecitava l’Amministrazione

generale delle bonifiche a dare inizio al più presto ai lavori di costruzione,

entrando nel concreto per quanto riguardava la scelta del luogo, la previsione

della spesa e dell’ente pubblico cui doveva essere attribuita.

Il barone Savarese riteneva che la nuova colonia doveva essere costruita con

le somme raccolte per volontaria offerta in soccorso dei danneggiati, in

quanto le nuove case che si andavano a costruire erano un soccorso che si

dava ai coloni.

Il 17 Maggio 1858 il Ministero dei Lavori pubblici contattava Savarese e gli

comunicava le disposizioni del Re: doveva recarsi insieme all’Intendente di

Salerno nella piana del Sele per individuare la zona più idonea, e procedere

all’erezione della colonia, fare un calcolo di tutte le spese del primo

impianto, salvo gli ampliamenti successivi. Con i soldi della «colletta»

sarebbero stat i acquistati strumenti agrari per l’edificazione dei pagliai per la

sussistenza dei primi mesi in cui non vi sarebbe stato lavoro.

Il 28 Maggio dello stesso anno, dopo aver percorso insieme con l’intendente

tutta la campagna fra la strada regia delle Calabrie e il fiume Sele, il barone

Savarese, d’accordo con Ajossa, sceglieva una zona presso Batt ipaglia.

Anche Ajossa comunicava al ministero dei Lavori Pubblici la scelta di quel

sito: «Dappoicchè quivi concorrono la strada delle Calabrie, quella del Vallo,

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28

ed in poca distanza la traversa di Montecorvino. Vi esistono dei fabbricati,

una Cappella, dei molini a farina, una bella sorgiva di acqua potabile, la

migliore di quante scaturiscano nella vasta pianura del Sele; ed in ultimo,

facile, con non molto costo il t rasporto dei materiali inservienti al le

fabbriche». 20

Savarese faceva sapere tra l’altro che anche i proprietari terrieri delle zone

limitrofe erano entusiasti della costruzione della Colonia e che alcuni di loro

avevano offerto di assicurare a qualsivoglia numero di coloni il salario

giornaliero.

Il re aveva comandato che con i 12 mila ducati donati da lui stesso, si

dovevano fare dei pagliai, in quanto successivamente sarebbero giunti i soldi

della «collet ta».

Molteplici erano le operazioni da compiere per la costruzione della nuova

colonia. Ma quelle che si riferivano ai lavori erano fondamentalmente due: la

costruzione delle case e la ripartizione delle terre ai coloni.

Per la seconda operazione erano indispensabili il disboscamento ed il

dissodamento delle terre, la costruzione di strade di accesso, l’apertura di

pozzetti di scolo delle acque per preservare il raccolto dalle inondazioni

invernali.

Ma per potere procedere al la ripartizione delle terre dovevano essere

demandate le località Arenosola e Campolongo. Su questo punto il Comune

20 A. Cestaro, I l terremoto d el 1857 e la fo nd a zion e d el la “co lo nia ag r i co la ” d i B a tt ip ag l ia , E d. Osanna, V enosa, 1995, p. 41

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29

di Eboli sosteneva fossero patrimoniali, e non demaniali, e pertanto non

divisibili. Qualora fossero stati accolti i reclami del comune di Eboli, si

sarebbero dovuti rinvenire altr i terreni demaniali nei Comuni limitrofi, con i l

rischio, ovviamente, di mandare all’aria tutta la complessa operazione

riguardo la nuova colonia.

Alla f ine del mese di Luglio del 1858, con l’incarico affidato al barone

Savarese ed all’Amministrazione delle bonificazioni, si passava alla

realizzazione progettuale della colonia.

Il barone fissava alcuni punti fermi cui attenersi: era necessario, innanzitutto,

disporre di una sufficiente estensione di terreno per distr ibuirla ai coloni; si

doveva puntare sulla costruzione di case di fabbrica e non sulle baracche.

«Le baracche di legname – scriveva – sono a un di presso tanto costose

quanto le case di fabbrica. Esse sono poi di breve durata e, dopo i primi anni,

richiedono forte manutenzione. Son soggette all’incendio e malsane

nell’estate. Le case di fabbrica sono preferibili sotto tutti i rapporti, ed anche

perché è a prevedersi che i nuovi coloni difficilmente consentiranno ad

espatriare quando sapranno che invece di una casa in fabbrica si promette

loro una baracca di legno, o pur un pagliaio». 21

Inoltre occorreva che lo stabilimento ed il governo della nuova colonia

venissero accentrate in una mano sola, fedele ed energica, e che la scelta dei

coloni venisse fatta con rigorosi cri teri basati sull’appartenenza ai Comuni

terremotati, sulla laboriosità e sull’età, non superiore ai 40 anni, sulla buona 21 Ibidem, p. 43

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30

condotta politica e religiosa. Tutti i poteri amministrativi dovevano essere

attribuiti ad un agente, o alle dirette dipendenze del Ministero dei Lavori

Pubblici.

Il 24 agosto, giungevano a Savarese le sovrane determinazioni sulle proposte

contenute nel «Memorandum». In esse si stabil iva che la colonia avrebbe

ospitato in un primo momento 100 famiglie, che sarebbero state inviate a

scaglioni man mano che si costruivano le case.

L’incarico dell’instal lazione della colonia e del regime di amministrazione

venivano affidate all’Amministratore generale delle bonificazioni Barone

Savarese, il quale avrebbe dovuto lavorare in stretto contatto con gli

Intendenti di Basilicata e di Salerno.

Nell’udienza del 15 Settembre 1858 in Ischia, Savarese aveva presentato al

Re il progetto in pianta del nuovo fabbricato per la colonia da stabilirsi in

Battipaglia. Nel corso dell’udienza il Re aveva approvato il progetto sia

nell’insieme che nei dettagli.

Il 19 settembre dello stesso anno l’ing. Errico Dombrè, direttore delle opere

di bonificazione del Bacino del Sele, si era recato sul posto per dare i l via ai

lavori.

Il complesso edilizio era composto di 120 case coloniche, le cosiddette

«comprese», formate da due vani al pianterreno e 2 vani al primo piano, al

quale si accedeva mediante una scala di legno. Le abitazioni erano

raggruppate in 20 edifici, dei quali 16 formati da 5 abitazioni ed i rimanenti

4 da 10 abitazioni. Essi erano uniti a due a due con muri intermedi, in modo

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31

da formare dieci cort ili. In ogni cort ile vi erano servizi igienici in comune ed

inoltre forni pubblici per gli usi della comunità.

I nuclei familiari che trovarono sistemazione immediata in questa colonia

furono 32. Le altre abitazioni furono concesse in fitto al Demanio dello

Stato, ai lavoratori agricoli già residenti sul posto in abitazioni malsane.

Questo ci dimostra che Battipaglia aveva già una propria popolazione,

essenzialmente dedita al lavoro dei campi, che venne soltanto incrementata

dall’arrivo delle famiglie superstit i del terremoto, ben presto fuse con il resto

della collett ività.

I vecchi ed i nuovi abitanti di Batt ipaglia continuavano insieme a fecondare

con il loro lavoro e con il loro sudore le terre della Piana, mentre lentamente

ma costantemente Battipaglia cresceva e si sviluppava.

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32

CAPITOLO III

29 APRILE 1929: LA NASCITA DEL COMUNE

Battipaglia è una cit tà di formazione recente; l’at to di nascita ufficiale è del

29 Aprile 1929.

Come già detto precedentemente il centro abitato esisteva già anteriormente a

quell’anno, sulla destra del fiume Tusciano come frazione di Montecorvino

Rovella, e, in gran parte, sulla sinistra, come frazione del comune di Eboli.

Battipaglia rappresenta la r ivincita e la rinascita della pianura sulle montagne

e le colline all’interno, dopo secoli di abbandono.

La nuova città rispetto a tutte le altre terre del Sud, ha una serie di fat tori

positivi che hanno determinato la sua straordinaria e rapida espansione.

È importante sottolineare come alcuni avvenimenti in sede locale ne abbiano

preannunziato al tri s imili, verif icatisi sul più vasto piano meridionale e

nazionale: ad esempio il governo di centro – sinistra, realizzatosi al Comune

di Battipaglia nel 1962 prima di quello nazionale, e la r ivolta del 9 Aprile

1969, che diede l’avvio ad un generale processo di ribellione e di protesta

contro i poteri centrali, per la sfasatura che stava creandosi tra il poderoso

sviluppo industriale del Nord e il rachit ico germogliare di quello del Sud. 22

22 65 anni di sviluppo economico e di crescita sociale nel segno della cooperazione, Ed. Cassa Rurale ed Artigiana di Battipaglia, Battipaglia, 1979, p. 61

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33

Tra gli anni ’50 – ’60 il comune è stato un microcosmo di att ività febbrili e

di speranze.

Accanto ai vari fat tori che ne hanno favorito lo sviluppo, Battipaglia ebbe

un’altra fortuna, quello di avere al fonte battesimale un padrino di ottime

capacità e molto attaccato alla creatura affidatagli.

Alfonso Menna, funzionario esperto e lungimirante amministratore, intuì che

Battipaglia era destinata, per la sua posizione geografica e topografica, ad un

rapido progresso e pose basi solide e durature per lo sviluppo futuro della

città. 23

Menna si rese conto delle enormi possibilità che si aprivano al nuovo

Comune, ma fu anche spinto dalla soddisfazione del funzionario solerte ed

accorto che vede sorgere, giorno per giorno, attraverso la sua opera, la

fantastica realizzazione delle strutture pubbliche e dei servizi per il luogo di

cui si occupa.

Le sue sono tappe rapide e incisive, che permettono il decollo della città;

risolve problemi in maniera brillante e con un tempismo fuori dall’ordinario.

In poco tempo Battipaglia è un cantiere di opere pubbliche. Nascono piazze e

strade, oggi diventate le principali piazze e strade del centro cittadino.

Le capacità politiche dell’uomo Menna vengono messe in evidenza nei

contatti umani. Infatti come egli stesso afferma: « Nonostante il lungo tempo

intercorso dalla data in cui ho lasciato le funzioni di Sindaco, permangono

tutt’ora insistenti domande, che mi è dato di raccogliere direttamente negli 23 Ibidem, pp 67

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34

incontri giornalieri, lungo le strade cittadine. Sono uomini del popolo, che,

nella loro buona fede e nella loro semplicità, mi at tribuiscono qualità che

certamente non ho, oppure suppongono che io mi sia avvalso di chissà quale

misterioso potere, per r imanere in carica tanti anni». 24

Come si può notare ancora dopo tanti anni quello che per Menna è stato i l

suo punto di forza per la scalata al successo, ovvero il contatto umano,

perdura ancora dopo la fine della sua carriera.

La competenza del funzionario emerge nella stesura del regolamento di

polizia urbana e rurale, nell’istituzione del servizio sanitario, con un medico

sanitario, nella istituzione del regolamento d’igiene, nelle norme dettate per

mantenere la pulizia nelle «comprese», nella lotta antimalarica; infine, negli

accordi con i Comuni di Eboli e Montecorvino Rovella per la spartizione del

suolo demaniale. 25

Quando i l 28 Aprile 1929 ha avuto luogo in Battipaglia la cerimonia ufficiale

del nuovo Comune, Menna ha già le idee chiare e tiene un discorso alla

presenza del Cav. Uff. dr. Michele Amendola, commissario prefettizio del

comune di Eboli, del Cav. Nicola Farina, delegato municipale per la vecchia

frazione e del Prefetto Ecc.za De Biase.

«Al degno rappresentante di Eboli, mi è gradito assicurare che Battipaglia

non ha per quel Comune, come taluni vorrebbero far credere, i sentimenti che

24 A. Menna, Palazzo di città, per il buon governo 1956/1970 2° Edizione, Ed. De Luca, Roma, 1986, p. 7

25 65 anni di sviluppo economico e di crescita sociale nel segno della cooperazione, Ed. Cassa Rurale ed Artigiana di Battipaglia, Battipaglia, 1979, p. 69

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l’oppresso può nutrire per l’oppressore, Batt ipaglia ha, invece, per Eboli,

quell’amore di cui può essere soltanto capace il figlio virtuoso, che alla

maggiore età si stacca dal padre per creare una nuova famiglia, nella quale

porta la tradizione e la impronta di quella di origine, e ne segue,

religiosamente, i consigli e le direttive, che sa per prova, frutto di lunga

esperienza.

A questo concetto, Batt ipaglia, ispirerà i suoi rapporti con Eboli, ricca di

virtù ed onesta di gloria, e con essa si promette di procedere, in perfetta

unione, sulla via di ogni benessere». 26

In un altro intervento Menna sottolinea: «Nessun altro centro abitato della

Piana potrà sostituirsi a Battipaglia in questa nobile ed importante missione,

dal cui svolgimento dipende la redenzione economica, fisica e morale della

parte vitale della Provincia di Salerno. Onde, anche e principalmente per

questo motivo, resta dimostrata la ineluttabile necessità della creazione del

nuovo ente, che, come abbiamo detto, avrà la espressione più t ipica del

Comune di bonifica». 27

L’imbeccata l’aveva ricevuta dal Podestà di Salerno, Antonio Conforti.

Questi un giorno chiamò “testa dura”, soprannome di Menna, nella sua stanza

e lo informò che era uscito un decreto ministeriale, il decreto Arpinati, in

base al quale le frazioni potevano diventare Comuni.

26 F.I.D.A.P.A., BATTIPAGLIA, documenti, testimonianze, personaggi dal 1929 al 1969, Ed. Tipolito Guidotti, Montecorvino Rovella, 1991, pp. 51 - 52

27 A. Menna, Per la elevazione di Battipaglia a Comune, Battipaglia, 1994, pp. 21 - 22

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Menna intuì subito l’opportunità che gli si offriva e in capo a una decina di

giorni approntò i l carteggio necessario, che consegnò al Prefetto De Biase

perché lo facesse pervenire a Roma. 28

Dal censimento del 1921 Menna rileva la presenza di 2919 abitanti nella

frazione di Battipaglia e che ben 1768 erano gi abitanti sparse in varie

fattorie, sulla riva destra del Tusciano, nel Comune di Montecorvino Rove lla:

in tutto 4768 maggiore, cioè, del minimo richiesto dalla legge perché possa

farsi luogo alla erezione della Frazione in Comune autonomo. 29

Ma Menna trovò non poche difficoltà. Primi fra tutti ad avversare

l’ambizioso progetto, anche se spesso la loro spigolosa ostili tà rimaneva al

coperto, furono i grandi proprietari terrieri, che vedevano i loro piccoli

imperi messi in pericolo dal vento della novità.

Il t ravaglio di Menna si può riscontrare in un intervento postumo: « La

difficoltà più grossa – egli ricordò – erano i latifondisti della zona, i De

Martino, i Farina, gli Jemma, i Moscati, i Pastore. Gente che sapeva

stringersi a corte quando vedeva minacciati gl i interessi della categoria. Io

rappresentavo il cambiamento e mi dichiararono guerra». 30

E proprio contro Carmine De Martino, il potente padrone del tabacchificio

Saim, c’è stata una battaglia sott ile ma non di poco conto.

28 C. Tarsia, Battipaglia, nel Duemila a settant’anni, EDI.ME, Napoli, 1999, p. 10

29 L. Rocco Carbone, BATTIPAGLIA, 70 anni nella sua storia, Massa Editore, Napoli, 1999, p. 43

C. Tarsia, Battipaglia, nel Duemila a settant’anni, EDI.ME, Napoli, 1999, p. 9

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Tra i due si sviluppò una lotta sotterranea, che tra al ti e bassi, t ra polemiche

velate e attacchi frontali all’interno della Democrazia Cristiana, durò tutta

una vita.

La missione di Menna a Battipaglia è durata sei mesi e otto giorni: una

presenza che ha lasciato il segno indelebile di un impegno portato a termine

con alto senso del dovere, come ancora oggi ricordano gli ammi nistratori che

si sono alternati alla guida dell’Amministrazione, i quali, alla fine degli anni

’80, vollero conferirgli la cittadinanza onoraria, in una pubblica cerimonia.

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CAPITOLO IV

4.1 1943: LE STRAGI DELLA GUERRA

Nodo stradale e ferroviario di rilevante interesse strategico, Battipaglia fu

quasi completamente distrutta dai bombardamenti del 1943: il primo

bombardamento aereo da parte dell’aviazione anglo – americana si ebbe il 21

giugno 1943, festa di S. Luigi Gonzaga, alle ore 13.20.

Velivoli bimotori americani Mitchell B. 25 sganciarono numerose bombe che

mancarono il loro principale obiettivo, l’importante nodo ferroviario locale.

La popolazione, colta di sorpresa, non ebbe tempo di lasciare l’abitato o di

trovar scampo nei rifugi antiaerei che erano stat i allestiti sotto il piano di

calpestio dell’attuale piazza Aldo Moro. Avevano una capienza massima di

cinquanta persone. Completamente assente la difesa contraerea locale, ma

l’intervento sarebbe stato comunque inefficace sia per la quota al la quale

volava la formazione nemica sia per l’ inadeguatezza del suo armamento.

Eppure, la difesa antiaerea di Battipaglia era assurta a notorietà nazionale

allorché il bollettino di guerra, radiotrasmesso l’11 febbraio 1941, cominciò

all’Italia intera che essa, nella notte precedente, aveva centrato ed abbattuto

un aereo nemico.

In effett i il veicolo era stato colpito gravemente sul cielo di Napoli e

perdendo quota era giunto in fiamme a Battipaglia.

Successivamente, la notte del 19 maggio 1943, i battipagliesi vissero

momenti di paura quando un aereo britannico effettuò un breve

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39

mitragliamento sugli edifici della stazione ferroviaria. Questo velivolo era

stato battezzato dalla popolazione Ciccio ‘o ferroviere perché dall’aprile del

1943, quasi ogni notte tra le ventuno e le ventidue effettuava un volo di

ricognizione al sud fino a Salerno sorvolando i l tracciato della linea

ferroviaria Sapri – Napoli. 31

Il r icordo di quel velivolo entrerà nella mente dei ci ttadini di Battipaglia,

cosi come ci descr ive gli istanti del sorvolo un anonimo:

Si tratta del più antipatico volati le che abbia mai sorvolato i cieli del

salernitano, un aereo con i cerchi rossi , bianchi e blu della Royal Air Force.

Non sgancia bombe, ma comunque con la sua presenza incute paura nella

popolazione che ha ancora nella mente e nelle orecchie il rombo degli aerei

dei giorni precedenti, quando le incursioni portano distruzione e morte. La

popolazione non se ne spiega la presenza, ma alcuni giorni dopo si capisce il

motivo delle sue visite: il mezzo aereo controlla se sulla linea ferroviaria

esistano punti strategici di difesa, in quanto da un momento all’altro deve

avvenire lo sbarco degli alleati nel Golfo di Salerno. 32

Ma è soltanto con il bombardamento del 21 giugno 1943 che ebbe veramente

inizio per i battipagliesi la guerra.

In quella soleggiata giornata di giugno, Battipaglia ebbe la sua strage degli

innocenti.

31 F.I.D.A.P.A., BATTIPAGLIA, documenti, testimonianze, personaggi dal 1929 al 1969, Ed. Tipolito Guidotti, Montecorvino Rovella, 1991, pp. 127 - 128

32 R. Raviello, Battipaglia 1943 La nostra storia, Comune di Battipaglia, 2003, p. 22

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40

Una preziosa testimonianza è offerta dalla congregazione dei PP. Stimmatini

che a causa di quel disastro ebbero modo di legarsi strettamente con tutti gli

strati della popolazione: furono essi i primi nelle opere di soccorso e

assistenza.

Sui giornali dell’epoca, sotto la data del 21 giugno 1943, troviamo la

seguente annotazione: Alle ore 13 e ¾ una formazione americana di 46

quadrimotori ha sganciato su Battipaglia 240 bombe! Tutti noi siamo salvi.

La Casa nostra i llesa.

La Chiesa assai lesionata per lo scoppio di una bomba a due – tre metri.

Tutti i Padri immediatamente corrono sui vari punti colpiti e prestano la loro

opera preziosa per i feriti, morti e sepolti vivi. Siamo i primi a portare il

soccorso, senza badare a pericolo di macerie e bombe inesplose. Parecchi

moribondi hanno il conforto dei Sacramenti, altri una buona parola, un

consiglio. Il lavoro dura parecchie ore. Poi c’è l’esodo doloroso. È una

desolazione! Una trentina di morti e una settantina di feriti 33.

Il 22 luglio, alle ore 11,30, 48 aerei Mitchell, colpirono violentemente la

cittadina, in modo particolare il nodo ferroviario che rimase inatt ivo per tre

giorni. Per fortuna gran parte della popolazione già dopo il 21 giugno aveva

lasciato il paese, trovando scampo e rifugio nelle località meno esposte ad

attacchi aerei.

33 L. Rocco Carbone, BATTIPAGLIA, 70 anni nella sua storia, Massa Editore, Napoli, 1999, pp. 48-49

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L’incursione causò cinque morti e varie decine di feriti, soprattutto per un

mitragliamento compiuto dagli aerei a bassa quota su un gruppo di

battipagliesi che si era rifugiato in un canneto sulle rive del Tusciano.

Il 6 Agosto, aerei della Strategical Air Force, specializzati nel colpire centri

di comunicazioni, industrie e basi aeree, attaccarono il nodo ferroviario e

stradale di Battipaglia, colpendo anche Eboli, l’aeroporto di Montecorvino

Rovella e Salerno.

Il 17 agosto, alle 9.30, diverse ondate successive di aerei americani,

piombano sulle macerie di Battipaglia semidistrutta, arrecando nuovi danni

con undici morti.

L’ 8 settembre ebbe inizio l’operazione Avalanche , nome in codice dello

sbarco anglo – americano sulle spiagge del Golfo di Salerno.

Tra una valanga di ferro e di fuoco proveniente dal cielo, dal mare e dalla

terra, circa 20.000 soldati tedeschi cercarono di opporsi alle forze alleate,

contrastando la loro avanzata fino al 20 Settembre, giorno in cui ebbe

termine quella che passerà al la storia come la Battaglia di Salerno.

Cessò a questo punto anche il martirio di Battipaglia, conquistata il 9

settembre dagli inglesi della 56° divisione di fanteria, riconquistata dai

tedeschi il giorno seguente ed il 12 settembre ripresa dalle truppe

britanniche.

La cittadina, divenuta campo di battaglia tra le opposte forze, fu ancora più

volte occupata e perduta da inglesi e tedeschi e solo il 19 settembre fu

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completamente evacuata dalle forze germaniche ormai in ritirata sul tutto il

fronte.

Soltanto dopo qualche giorno incominciò il lento ritorno dei battipagliesi tra

le rovine della loro cittadina. I più coraggiosi si avventurarono tra le macerie

ancora fumanti, tra mine e bombe inesplose, armi abbandonate, ecc.

E lentamente, anche tra il rimpianto per tante vite umane perdute, per tante

distruzioni, per tante perdite dei beni, la vita riprese il sopravvento sulla

morte.

Quando i l Generale Clark, nel giugno del 1975, per celebrare il trentesimo

anniversario della f ine della guerra, ritornerà sui luoghi della battaglia di

Salerno insieme con 125 ufficiali che facevano parte del quartier generale

della V armata, Batt ipaglia sarà molto diversa da quell’ammasso di rovine

che il generale aveva visto nel settembre del 1943. La cit tadina, rinata e

ricostruita grazie al l’orgoglio, alla tenacia, ai sacrif ici, alla fatica ed

all’ingegno dei suoi f igli migliori, gli apparirà come il simbolo tangibile

della volontà degli uomini che desiderano vivere e crescere nella pace. 34

34 F.I.D.A.P.A., BATTIPAGLIA, documenti, testimonianze, personaggi dal 1929 al 1969, Ed. Tipolito Guidotti, Montecorvino Rovella, 1991, pp. 134 - 136

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4.2 IL SINDACO SCOMPARSO

Il 20 gennaio 1953 la città di Battipaglia veniva scossa da un episodio che

avrebbe avuto riecheggio in tutta la nazione e non solo.

Erano circa le 21.30 quando al passaggio a livello scompariva per sempre il

sindaco di Batt ipaglia Lorenzo Rago. Non fu mai ritrovato.

Il mistero dura ancora oggi: nessun processo, nessun colpevole, nessun

cadavere.

Lorenzo Rago, classe 1908, sposato, un po’ di anni trascorsi in America, due

grandi aziende che andavano alla grande nel settore della trasformazione del

pomodoro, e qualche salto qua e là nella politica di quegli anni.

Dalle bandiere dell’ Uomo Qualunque ai lidi emergenti dei socialist i

salernitani, da monarchico alla maggioranza di sinistra che lo ha incoronato

sindaco il 21 maggio del 1948, con un quasi plebiscito.

Proprio per questo si venti lò l’ipotesi di una pista poli tica. Si pensava che

qualcuno voleva fargliela pagare.

Scartando altre ipotesi le indagini si orientarono verso la camorra. Furono

fatti i nomi di grandi boss camorristici, quali: ‘O malommo, Pascalone ‘e

Nola e, soprattutto, Vito Nappi, ‘O studente.

Si arrivò addirittura ad ipotizzare il coinvolgimento del boss italo –

americano Lucky Luciano, in relazione alle intense attività di borsa nera e a

sbarchi strani di merci che arrivavano sul litorale batt ipagliese.

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Il mafioso italo – americano aveva scelto Battipaglia, anche per la vicinanza

della stazione ferroviaria, per far sbarcare le sigarette americane, alcuni

stupefacenti e gli alcolici del primo contrabbando importante spostato su

Napoli.

Può darsi che Lorenzo Rago abbia pagato per la politica dei prezzi del

pomodoro della sua fabbrica e delle sue aziende agricole.

In quel momento in Campania la si tuazione dell’ordine pubblico non era

tranquilla. L’intervento dei gruppi criminali era violento: nel nolano tra il

1954 e il 1956 furono commessi 61 omicidi, era la terza zona nella classifica

nazionale degli omicidi. La posta in palio erano i prezzi dei mercati

all’ingrosso e il contrabbando.

La vicenda arrivò in tribunale. L’11 marzo 1959 a Palmi, Reggio Calabria, il

tribunale condannava in contumacia a 2 anni e 6 mesi Francesco Scibil ia, che

aveva accusato Lucky Luciano di contrabbando nonché di aver organizzato il

rapimento dell’ ex – sindaco di Battipaglia. La magistratura sosteneva che

non c’entrasse nulla. C’erano, e ci sono, tanti sospetti sulle coperture

politiche del capomafia.

Si diceva, infatt i, che Lucky Luciano nel giugno del 1943, un mese prima

dello sbarco, fosse arrivato clandestinamente in Sicilia per preparare il

terreno alle forze alleate. Di questa missione non esistono prove, all’epoca

Luciano era ufficialmente nel carcere di Dannemora, condannato a trent’anni

di reclusione.

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Ma a lui, nel 1942, si era rivolto il Naval Intell igence, chiedendogli di

mettersi a disposizione per i l proprio paese. Luciano accettò. L’operazione

d’appoggio della mafia riuscì perfettamente, in so li due mesi i casi di

sabotaggio e di passività antibellica si ridussero del settanta per cento. In

riconoscenza a Luciano vennero abbonati venti anni di carcere che aveva

ancora da scontare e nel 1946 ritornò in Italia. 35

Sta di fat to che la camorra nella pianura del Sele comincerà a mettere radici

sempre più salde a partire proprio dalla scomparsa di Rago.

Quella sera del 20 gennaio la moglie e i familiari attendevano il suo ri torno

nella Villa dei Cacciottoli, residenza del primo cittadino. L’orologio segnava

la mezzanotte e la moglie, Anna Fiorino, pensando che il marito avesse fat to

tardi per i suoi affari, decide di andare a dormire.

Ma uan volta giunta l’alba il sindaco non era rientrato. La moglie

preoccupata corse in paese, allo stabilimento di cui Rago era proprietario in

società con Vincenzo Gambardella.

Davanti al cancello videro la macchina del sindaco tranquillizzandosi. Ma il

guardiano della fabbrica, Giuseppe Orlando, fece crollare la certezza

affermando che don Lorenzo non era stato lì.

Durante gli interrogatori successivi, Orlando dichiarerà che si era accorto

della presenza della macchina soltanto verso le 23,50 e che si era limitato a

spegnere i fari, che erano accesi.

35 Cfr. Il settimanale unico, Anno VII, N.27, 22 luglio 2005 pag. 4

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Immediatamente il fratello di Rago, Fiorentino, si diresse a Salerno do ve il

sindaco era soli to incontrarsi con l’amante, Immacolata Melucci detta Tina.

Lorenzo aveva lasciato la casa di Via Poerio, appartamento regalato da

Lorenzo, verso le 20.

Tina fu una tra le prime persone fermate dagli inquirenti. Essi pensavano che

la donna fosse al corrente dei contatti di Rago con il mondo del

contrabbando.

Al ri torno da Salerno fu presentata formale denunzia, presso il

Commissariato di Polizia, per la scomparsa di Lorenzo Rago.

La notizia fece subito il giro del paese, mentre i l locale ufficio telefonico

diramava ai giornali la notizia.

Incominciarono a circolare numerose ipotesi: fuga volontaria, suicido,

sequestro di persona per r icatto o per vendetta, omicidio per ragioni

politiche.

Si ricostruirono minuziosamente tutti i movimenti di Rago, fino alle ore

21.30, fino al passaggio al livello, luogo dove è visto per l’ultima volta.

Nel frattempo accorsero a Battipaglia giornalisti da ogni luogo. I lettori di

tutta Italia apprendevano che Battipaglia era senza il suo primo cittadino, che

non si riusciva a trovare.

Oltre al commissariato di Battipaglia si mossero anche quello di Salerno, e

da Roma giunse l’ispettore generale di Polizia Messana, che dopo aver

esaminata la faccenda nei suo dettagli, ordinò i l dragaggio dei numerosi

canali esistenti, in numero circa di 170.

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Inoltre si fecero preparativi anche per esplorare un largo tratto del fondo

marino del litorale battipagliese, con l’aiuto di palombari e sommozzatori.

Non trovando niente e nessuno, gli inquirenti avanzarono sempre più l ’ipotesi

del contrabbando, pensando addirit tura rapporti con il contrabbando

internazionale.

Venne contattata l’Interpol estendendo le indagini a Tangeri, a Casablanca ed

in altre centrali di attività dei contrabbandieri.

La situazione si andò ad confondendo sempre di più quando a Penta, località

nei pressi di Mercato S. Severino, si ta a circa 34 km da Battipaglia, scompare

misteriosamente i l dott. Pacileo, conosciutissimo nella zona.

In seguito al le indagini, risulterà che la sparizione di Pacileo non ave va

alcuna relazione con quella del sindaco.

Ma a confondere ulteriormente le indagini furono le lettere: lettere anonime,

alcune senza senso logico, che giunsero alla Polizia ed ai familiari, perfino

dall’America del Nord e dalla Costa Azzurra.

Nel frat tempo la gente del paese iniziava ad inventare ognuno la propria

versione, facendo apparire dal nulla macchine fantasma: tutt i vedevano

rapinatori, bandit i e macchine misteriose. Anche se in realtà una misteriosa

1400 nera era stata vista nei pressi della casa del Sindaco.

Ad affermare questa notizia fu il pastore Pasquale di Genova. Non capiva

molto di macchine, ed è forse per questo motivo che quando sostenne che

l’auto di Rago era stata bloccata da un’altra macchina, seppe solo mettere

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insieme sarà una frase del tipo: era una macchina più grande, molto più

grande di quella di don Lorenzo.

Secondo il pastore la scena si consumava in Via Cupa Filetta, a poco meno di

400 metri dalla fabbrica del Sindaco.

Qualcuno puntava i fari in faccia a Rago. Sosteneva che in quell’auto il

Sindaco ci fosse salito e avrebbe esclamato: ah… siete voi…!

Di lì a poco il pastore si rimangiò tutto, fino a dire che lui in Via Cupa

Filetta non c’era neanche mai stato.

Intanto il commendatore Vincenzo Gambardella, socio d’affari di Rago,

promise a chi avrebbe dato notizie util i per il ritrovamento dello scomparso,

la somma di mezzo milione, alla quale si sarebbe aggiunta in seguito la

somma di un milione, da parte dei familiari.

Nel frattempo giunse un’altra missiva con la quale si informava che Lorenzo

Rago era sepolto clandestinamente in una fossa del cimitero di Montecorvino

Rovella, a circa 10 km da Battipaglia.

Gli inquirenti questa volta decisero di verificare l’attendibilità della notizia

dal momento che già in precedenza era stata recapitata una lettera simile.

D’altronde la località si sarebbe prestata benissimo alla situazione: calma,

lontana dal centro abitato, con le mura di cinta che in qualche tratto

rasentano il livello di strada.

E se realmente fosse stato cosi, chi avrebbe potuto indicare il tumulo esatto

nel quale Rago era stato inumato?

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Ma l’intervista con il guardiano del cimitero, Filippone Luigi, ex guardia

giurata ed amico del Sindaco, fece crollare questa notizia.

Egli escluse che il cadavere si trovasse in quel cimitero, dato che ogni giorno

compiva un’accurata ispezione per controllare se nel corso della notte dai

tumuli era stato asportato qualche ornamento in ferro e in ottone; avrebbe

dovuto notare qualche cosa di anormale su qualche fossa, o per lo meno

avrebbe dovuto notare del terreno smosso, il che avrebbe attirato la sua

attenzione.

Anche ammettendo che qualche cosa possa essere sfuggito al guardiano e al

pastore, un movimento sospetto non sarebbe sfuggito ai carabinieri che ogni

notte pattugliavano la strada che da Montecorvino conduceva alla nazionale.

Ad un certo punto, dopo più di un anno di fallimenti, i sospetti degli

inquirenti si appuntarono sul fratello dello scomparso, Fiorentino Rago. Per

stanarlo si escogitò un grottesco stratagemma; Nappi, boss camorristico, lo

invitò a un colloquio in cui gli ingiunse di versargli quattro milioni di lire

come risarcimento per tutte le grane giudiziarie e i fastidi subiti,

intimandogli di tenere la bocca chiusa su queste minacce. Al colloquio, per

spiare le reazioni del sospettato, presenziarono anche due ufficiali dei

carabinieri (spacciati per guardia spalle del guappo). La trappola non scattò,

Fiorentino Rago denunciò subito al commissariato di polizia il tentativo di

estorsione.

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Ormai gli inquirenti brancolavano nel buio, non sapendo più cosa pensare,

supporre, chi interrogare o sospettare. 36

Persino la moglie dello scomparso, Anna Fiorino, successivamente

risposatasi col ragioniere Formisano, dice che la vicenda è chiusa. Perché

riaprila? È chiusa per volontà di qualcuno, dice. E sembrava alludere all’ex

cognato Fiorentino Rago, il quale aveva concluso recentemente una

lunghissima lite giudiziaria sulle volontà testamentarie.

La moglie di Rago, nella forzata conversazione di Salerno, lo ammette.

Le scappa di bocca una cosa che forse non avrebbe dovuto rivelare: Quei

documenti Lorenzo li portava custoditi in una delle tasche dell’abito. Erano

misteriosi. Sono spariti con lui. L’ex maggiore dei carabinieri sa di cosa si

tratta: roba di spionaggio. Quei fogli avrebbero dovuto finire, la mattina

successiva alla sparizione, nelle mani di un emissario sovietico. Il maggiore

Izzo non ci ha voluto dire di più.

Cosi racconta a 36 giorni dal rapimento del marito di un’intervista.

Ma è vero che suo marito non dormiva più la notte?

Verissimo. Una mattina gli chiesi il perché di quel turbamento. Questione di

soldi mi disse. In effet ti aveva delle scadenze da soddisfare. Poco più di tre

milioni. Una cifra cosi lui poteva facilmente trovarla.

E vi ha mai parlato di ricatt i, lotte polit iche o contrabbando?

36 F.I.D.A.P.A., BATTIPAGLIA, documenti, testimonianze, personaggi dal 1929 al 1969, Ed. Tipolito Guidotti, Montecorvino Rovella, 1991, pp. 173 - 178

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Mai di niente. In quanto al contrabbando poi debbo assolutamente smentire

tutte queste fandonie. Mio marito non si è mai occupato di certe faccende. Ne

sono sicura.

Però è stato visto con qualcuno…

Qualcuno di Scafati. Ma quel signore stava trattando per noi per la

risoluzione di una controversia civile con alcune persone di Battipaglia.

Niente, assolutamente niente, che avesse a che fare con le sigarette.

Perdoni la domanda. La sua unione con suo marito come andava?

La nostra era un’unione perfetta sotto tutti i punti di vista. Spesso mi

riferivano certe cose di Lorenzo. Erano scappatelle. Non gli ho mai dato

importanza.

Girano voci che ipotizzano che sia proprio lei la mandante di un presunto

delitto a sfondo passionale…

Una risata insieme genuina e nervosa seppell isce ogni dubbio.

Anna Rago ha gli occhi gonfi di lacrime. Piange a dirotto. Del caso della

scomparsa del marito ormai non si parla più.

L’attenzione della stampa è andata via via scemando. Ogni tanto c’è qualcuno

che si diverte ad indirizzarle una lettera. Maghi ed indovini, scienziati ed

investigatori improvvisati, mitomani conclamati, ognuno scrive la propria

verità e preannuncia terribili r ivelazioni sulla sorte dell’ex sindaco di

Battipaglia. 37

37 Giani Mazzillo, "Lo specchio" del 15/10/1966

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La gente al mattino riduceva il saluto ad una sola frase che per mesi fu

sempre la stessa: Che si dice? Si sa niente? .

Cosi è anche cinquantanove anni dopo.

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4.3 La rivolta di Battipaglia: 9 aprile 1969

Disordini e tumulti non sono rari nella storia del Sud. Non di rado hanno

occupato spazio nelle pagine della cronaca quotidiana.

Il più delle volte si è trattato di sommosse tese, più che alla conquista di un

ruolo, a ridurre i l peso dei soprusi ed a conservare, pur nella loro precarietà,

condizioni di vita infelici per timore del peggio.

In quei giorni di apri le 1969 l’atmosfera a Battipaglia era diventata tesa, e

per le strade della città si discuteva della grave depressione economica che

minacciava i cittadini, in seguito ai tentativi di chiudere alcune indus trie

locali.

La lotta per il dirit to al lavoro teneva unita quella gente, anche se di

economia potevano sapere ben poco.

Attaccati su ogni muro della città, si poteva leggere i l manifesto con il quale

gli organizzatori della sommossa incalzavano gli abitan ti: Cittadini, la

situazione è diventata insostenibile. Prima, la chiusura dei conservifici

Baratta, Gambardella, D’Amato, D’Agostino con più di duemila

licenziamenti. Adesso, è la volta dello zuccherificio e del tabacchificio. Non

dovete permetterlo! Se non volete che centinaia di famiglie restino senza

lavoro, restino senza pane per i propri figli. Partecipiamo compatti al la

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seduta del consiglio comunale di questa sera. Noi saremo, come sempre, al

vostro f ianco 38.

Molti simpatizzanti si unirono ai giovani del M.S.I. Alcuni attendevano

davanti al bar sottostante la sede; al tri s’incontravano per strada.

La sala consiliare appariva affollat issima. Ir ipini e ci lentani, lucani e

calabresi, venuti a Battipaglia dai loro paesi d’origine per sistemarsi, non

volevano ora rinunciare al posto di lavoro. Tentavano in tutti i modi di far

capire ai consiglieri che non avrebbero ceduto.

Intorno al tavolo a ferro di cavallo, a destra i cinque consiglieri del M.S.I. e

a sinistra i quattro del P.C.I. erano i più vicini al pubblico. I più lontani

apparivano i democrist iani, con la punta estrema costituita dal seggio del

sindaco. Proprio da quest’ultima parte venne la proposta decisiva della

seduta: indire per l’indomani una manifestazione di protesta generale, mentre

una delegazione, guidata dal sindaco stesso, si sarebbe recata a Roma, per

chiedere e ottenere i provvedimenti necessari a sanare la crisi. Tutt i

approvarono.39

Il matt ino del 9 aprile le strade apparivano deserte. Una strana calma vi

regnava: i negozi erano chiusi.

La maggior parte della popolazione aveva fissato appuntamento alle 8.30

davanti all’Isti tuto tecnico con i cancelli chiusi e completamente vuoto.

L’appuntamento generale era davanti al Municipio.

38 V. Campagna, La rivolta di Battipaglia, ed. Ar, Padova, 1988, p. 22

39 Ibidem, p. 23

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Man mano che si avanzava c’era sempre più gente. I primi avvisagli di

disordine pubblico già c’erano stati.

Da un lato di piazza del Popolo alcune persone aiutavano a trasportare un

uomo che perdeva sangue dalla fronte mentre urlavano: Sono dei pazzi. I

poliziotti ci hanno caricati all’ improvviso senza che facess imo nulla!40

In fondo via Roma, davanti al passaggio a livello, la polizia stava schierata

in assetto da carica: visiere abbassate e manganelli in pugno.

Capannelle di persone commentavano l’operato della polizia, erano sdegnati.

Nel frattempo il corteo si era ricomposto, e molti manifestanti gridavano di

occupare la stazione.

I primi ad arrivare al la stazione furono i più giovani e immediatamente due

carrett i vennero spinti in mezzo ai binari. Altre persone irruppero nelle sale

d’aspetto, prendendovi le panche di legno che, insieme a vari suppellett ili,

furono poste di traverso ai binari.

Richieste di aiuto vennero dallo sbocco autostradale, dove cariche selvagge

erano state eseguite dai celerini.

La notizia degli incidenti si era sparsa in un attimo. Alcune centinaia di

dimostranti si avviarono verso il luogo degli scontri, sbarrando dietro di loro

la strada. Per bloccare il passaggio dei cellulari della polizia vennero

utilizzati mattoni presi da un cantiere, un autobus, gomme d’auto poi

bruciate.41

40 Ibidem, p. 27

41 Ibidem, p. 29

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Centinaia di pietre, raccolte tra i binari , cominciarono a piovere sui poliziott i

che tentavano invano di proteggersi con gli scudi.

Ad uno ad uno i poliziott i cominciarono a cedere. Sembrava che tutto fosse

finito, che la polizia avesse capito di non dover impiegare la violenza verso

chi chiedeva soltanto lavoro.

Invece giunsero altri rinforzi da ogni parte della Campania e tutto

ricominciò.

La polizia si concentrò davanti e dentro il commissariato di via Gramsci,

attirando maggiormente l’ira della gente.

Iniziò una pressante sassaiola. A un certo punto, la polizia iniziò a sparare.

Ma la paura non ebbe i l sopravvento sulla furia della gente. Qualcuno ferito

veniva soccorso e accompagnato in ospedale.

In un attimo si divulgò la notizia della morte di Teresa Ricciardi, colpita da

un proiettile al l’interno della sua abitazione.

La rabbia dei dimostranti si accrebbe, esplodendo furiosamente quando si

seppe di un giovane in fin di vita, Carmine Citro, colpito da un proietti le in

via Mazzini.

Un ragazzo diede fuoco a un carretto di frutta e lo spinse davanti la porta del

commissariato, che prese a bruciare.

Da quel momento non si capì più nulla; camionette, cellulari e autoidranti

abbandonati nella fuga vennero capovolti e incendiati.

Alle 20 circa la cit tà rimaneva completamente nelle mani dei manifestanti. 42 42 Ibidem, p. 32

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Il 10 aprile la gente ricominciò a protestare davanti al commissariato

pretendendo il ri tiro immediato della polizia da Battipaglia. Durante la notte

un battaglione della Celere aveva imposto il coprifuoco. Questa nuova

incursione aveva esasperato anche i cittadini più moderati.

Il ritiro della polizia da Battipaglia si rivelava indispensabile, al punto tale

che anche i l sindaco di Batt ipaglia, Domenico Vicinanza, si fece portavoce

delle r ichieste popolari: La polizia deve lasciare la città. I fermati devono

essere ri lasciati.

Nell’abbandonare Battipaglia, la polizia lasciò all’interno del commissariato

parecchie armi e munizioni, che furono poi rinvenute da alcuni dimostranti e

consegnate ai vigili urbani.

In quel periodo, il Mattino , il Tempo e il Roma erano a Battipaglia i

quotidiani più diffusi.

Il 10 apri le, in prima pagina, a caratteri cubitali, scrivevano: Battipaglia è

stata sconvolta da violente azioni insurrezionali, oppure Sanguinosa

sommossa a Batt ipaglia per la minacciata chiusura del tabacchificio, e

ancora Due morti, novanta feriti a Battipaglia in un’assurda giornata di

protesta.

Scorrendo l’articolo, i lettori di Battipaglia apprendevano che i dimostranti si

erano armati anche con zappe, vanghe, falci ed altri attrezzi agricoli. 43

Che a scrivere simili menzogne fosse stato, ad esempio, i l Resto del Carlino

alla gente importava poco, ma essa non poteva accettare che una testata 43 Ibidem, p. 34

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napoletana con redazione nella vicinissima Salerno mentisse cosi

spudoratamente.

E quindi esplodeva la protesta contro i pennivendoli; se s’incontrava qualche

giornalista lo si invitava, con maniere non troppo civili, a rettificare quello

che aveva scritto sul suo giornale.

Nel tentativo di criminalizzare il popolo di Batt ipaglia, si volevano occultare

i reali motivi della rivolta.

Il Mattino , per esempio, parlava di un premeditato piano che prevedeva di

approfittare dell’agitazione sindacale per sperimentare un tentativo

insurrezionale, promosso e svolto da gruppi di rivoltosi organi zzati che,

secondo le informazioni di fonte governativa, sarebbero in gran parte affluiti

a Battipaglia da altre zone. 44

La stampa tentava, inoltre, di attr ibuire ai dimostranti stessi l’uso delle armi.

Queste le parole del Mattino del 10 aprile: La povera signorina Ricciardi è

stata raggiunta da un colpo sparato in alto, ma non in aria, da qualcuno…

occorre tener presente che purtroppo poco prima alcuni agenti erano stati

circondati e disarmati.

L’11 aprile, quarant’otto ore dopo l’inizio della r ivolta, la situazione a

Battipaglia era la medesima. Di diverso c’era solo un sentimento di

commozione per i funerali di Teresa Ricciardi e Carmine Citro, che dovevano

svolgersi alle ore 10.

44 Cfr. Il Mattino,10 aprile 1969, anno LXXVIII, n. 97, p. 1

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Ai funerali dell’11 aprile parteciparono non solo i cittadini di Battipaglia ma

anche molte persone giunte dai paesi vicini.

Nel corso del dibatti to parlamentare sui fatti di Batt ipaglia ognuno sostenne

le proprie idee in rapporto alle proprie esigenze ed ideologie. Esso si

concluse senza la votazione di alcun documento.

Oltre alla secolare questione meridionale e al disarmo della polizia, si parlò

di:

- un assegno di disoccupazione di poco inferiore al salario goduto f ino a

quando essi (i l icenziati di Battipaglia) non trovino un nuovo inserimento nel

lavoro e nel processo produttivo. 45

Il dibattito parlamentare non diede alcun risultato : nemmeno una promessa di

qualche ministro di recarsi a Battipaglia per verificare personalmente la

situazione.

Su un art icolo di giornale si leggerà che il sindaco, Domenico Vicinanza, a

pochi giorni dalla rivolta, è l’immagine della paura fisica. Sta nascosto

presso il comando dei vigili urbani. Come sindaco è l’immagine

dell’incapacità della classe dirigente locale, come democristiano viene

considerato rappresentante anche del potere centrale che ha dato poco alla

città. Se fosse capitato nelle mani dei rivoltosi, non se la sarebbe cavata a

buon mercato. È moralmente distrutto. Viene soprannominato Mimì ‘a bucia,

ma sembra sincero: vuole dimettersi, anche se continua ad affermare che

45 V. Campagna, La rivolta di Battipaglia, ed. Ar, Padova, 1988, p. 43

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Roma era stata avvertita della situazione a Battipaglia, e che era gravissima

tanto da poterci scappare il morto. 46

Proprio sulla spedizione a Roma fu intervistato i l segretario locale della Dc:

Matteo Barra. Siamo andati a Roma per scongiurare la chiusura dei due

stabil imenti, eravamo una delegazione con il s indaco ed alcuni consiglieri

comunali. Quando il ministro socialista dell’industria Tanassi ci ha ricevuto

al matt ino di mercoledì era all’oscuro di tutto. Battipaglia? – ci ha detto –

ma io non so niente, vengo adesso da capri. Gli abbiamo spiegato che la

situazione era grave e poteva degenerare. Quando lo abbiamo visto il

pomeriggio ci ha fatto mille difficoltà, sembrava lui il proprietario

dell’azienda. Il complesso è in passivo – ha detto – ormai non è più un

investimento economico. E quando gli si chiese il motivo della gravità degli

incidenti rispose seccamente: è mancato un controllore al commissario di

polizia De Masi che è un perfetto cretino. 47

Molti si chiedono ancora tutt’oggi se i morti, gli incidenti, le violenze

potevano essere evitate.

Su alcuni giornali locali dell’epoca è indicato: incidenti, violenze, blocchi

erano inevitabili. I morti no. I due morti sono sulla coscienza della polizia.

Quando hanno sparato, i poliziotti s i trovavano in una condizione assai

difficile. Ma perché si era venuta a trovare in questa situazione? Per una 46 F.I.D.A.P.A., BATTIPAGLIA, documenti, testimonianze, personaggi dal 1929 al 1969, Ed. Tipolito Guidotti, Montecorvino Rovella, 1991, p. 209

47 Ibidem, p. 212

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serie di errori pratici e per avere male inteso il suo ruolo in una

manifestazione di interesse locale.

Innanzitutto i l comando delle operazioni non doveva essere affidato a De

Masi. È un autoritario, inviso alla popolazione. La polizia ha interpretato i l

suo ruolo nella forma più brutalmente repressiva, cercando di vincere la

manifestazione con la forza ed opponendo poche centinaia di uomini a

cinquemila dimostranti esasperat i.

Ferruccio Ricciardi e suo f iglio hanno visto un poliziotto sparare e la figlia

e sorella morire.

Un cit tadino che non ha voluto tacere il proprio nome, il s ignor Ferraiuolo,

ha test imoniato: ho visto un poliziotto inginocchiarsi, prendere la mira,

sparare: i l giovane che era vicino a me si è accasciato a terra. Quel giovane

era Carmine Citro. 48

L’articolo di giornale si conclude con le seguenti parole: fallimento della

politica meridionale, fal limento dei partit i e della classe poli tica locale,

incapacità e brutalità della polizia: sono gli elementi che spiegano la rivolta

di Battipaglia. Ma non riempiono il vuoto che essa ha creato. 49

48Ibidem, p. 213

49 Ibidem, p. 215

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CONCLUSIONI

Le grandi trasformazioni socio-economiche, che dalla fine degli anni trenta

del 1900 hanno caratterizzato le grandi pianure del mezzogiorno per effetto

dell’at tività di bonifica, hanno riguardato in maniera particolare la piana del

Sele.

E il Comune di Batt ipaglia è certamente quello che ha mostrato la maggiore

vivacità economica ed il più elevato tasso di incremento demografico e di

produzione nel settore industriale.

Tutto questo è stato reso possibile sia dalla sua posizione in territorio

pianeggiante vicino al mare e servita dall’unica linea ferroviaria che

congiunge il nord con il sud dell’Italia, sia da un clima favorevole allo

sviluppo agricolo, sia da uomini che hanno creduto nelle potenzialità di

questo territorio e gli hanno dato la possibili tà di poter crescere ed evolversi.

La nascita di Battipaglia come centro urbano è dovuto ad un evento tanto

fortuito quanto doloroso: il terremoto che colpì il salernitano nel 1857. In

seguito a questa calamità centinaia di persone si spostarono verso il territorio

paludoso dove in seguito sarebbe sorta Battipaglia e che Ferdinando II aveva

concesso per at tuare la bonifica territoriale . Essa è portata a compimento solo

nella prima metà del 1900, quando si assiste anche all’inizio del progresso

economico che raggiungerà l’apice negli anni ’50 e ’60.

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In questo contesto, fermo restando l’ importante ruolo di tutti i cittadini,

fondamentale è stato il contributo di alcuni uomini che più degli altri si sono

prodigati per la città.

E cosi fu grazie alla volontà di Luigi Ajossa, intendente di Salerno, e del

barone Giacomo Savarese, amministratore generale delle bonifiche, se fu

possibile costruire la prima colonia agricola, àncora di salvezza per i

terremotati.

Da quel momento in poi Battipaglia, frazione di Eboli da un lato e di

Montecorvino Rovella dall’al tro, crebbe sempre di più.

Ancora all’intervento di un altro uomo, Alfonso Menna, si deve se il 29

aprile 1929 Battipaglia divenne Comune autonomo. Menna si rese conto delle

enormi possibil ità che aveva i l nuovo Comune e, grazie alla sua esperienza e

alla sua lungimiranza, la città decollò e divenne un cantiere di opere

pubbliche e pose basi solide e durature per il suo sviluppo futuro.

Ancora oggi le principali piazze e strade del centro cit tadino sono quelle

ideate e volute dal sindaco Alfonso Menna.

Purtroppo Batt ipaglia subì un arresto nella crescita il 21 giugno del 1943,

quando fu fat ta oggetto di continui e pesanti bombardamenti: in poco tempo

la città fu rasa al suolo.

Ma in quell’occasione i ci ttadini di Battipaglia si mostrarono più forti della

guerra e in poco tempo ricostruirono la città. Il generale Mark Wayne Clark

che guidò l’ “Operazione Avalanche” dello sbarco degli alleati a Salerno,

ritornato trenta anni dopo nella cit tà di Battipaglia, si meravigliò di come un

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piccolo centro avesse avuto la forza di riprendersi cosi rapidamente da un

attacco tanto sconvolgente come quello del 1943.

Ma Battipaglia ha dovuto fare più volte i conti con la cattiva sorte!

Un’altra pagina nera fu scri tta il 20 gennaio 1953 quando il sindaco Lorenzo

Rago scomparve nella notte e il suo corpo non fu mai più ritrovato.

Sulla sua sorte sono state fatte le ipotesi più contrastanti: chi ha affermato

che fosse invischiato in situazioni di contrabbando con Lucky Luciano, i l

potentissimo boss italo-americano, chi ha negato con forza questa tesi e ha

ritenuto che Rago sia stato piuttosto una vitt ima della camorra che egli

avrebbe contrastato in più occasioni.

Questa tesi è stata ripresa e ribadita recentemente in occasione della morte

del sindaco di Pollica Angelo Vassallo che la sera del 5 settembre 2010,

mentre faceva ritorno a casa, fu ucciso da uno o più attentatori tuttora ignoti

che gli esplosero contro ben nove proiettili.

Anche in questo caso l’ipotesi più attendibile è che il delitto sia stato

commissionato dalla camorra, al fine di punire un rappresentante dello Stato

che si era opposto a pratiche il legali. Un collegamento potrebbe risiedere nel

fatto che Vassallo, soprannominato “sindaco pescatore” a causa della sua

attività nel settore i ttico e le sue azioni a tutela dell’ambiente, era visto dalla

camorra come un ostacolo al controllo del porto che le avrebbe garantito

libertà nel commercio illegale della droga.

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Nel 1969 Battipaglia subì una dura crisi nel settore industriale che arrivò

fino alla minaccia della chiusura del tabacchificio e dello zuccherificio che

da soli davano lavoro a quasi il 60% della popolazione batt ipagliese.

Il 9 aprile 1969 la protesta contro la chiusura delle due imprese sfociò in una

vera e propria rivolta cit tadina che, a causa della cattiva gestione di essa da

parte della polizia locale, comportò la morte di Teresa Ricciardi e Carmine

Citro, colpiti da proiettili vaganti.

I cittadini che ancora oggi ricordano i fatti del ’69 insistono nel dire che

l’anima e la mentalità operosa di Battipaglia sono morte quel giorno insieme

alle due vittime.

Da quel momento in poi Batt ipaglia è caduta come in un vortice, vitt ima

della corruzione, del clientelismo e soprattutto dell’abusivismo che ha

colpito principalmente i l litorale della città!

Battipaglia è caduta anche vittima della droga e negli ultimi dieci anni è

diventata una delle piazze più grandi del sud Italia. Ogni anno vengono

effettuate continue retate, arrestate decine di persone e sequestrati chili di

sostanze stupefacenti.

La colpa di questa cattiva amministrazione non può non ricadere sugli

amministratori della città, sempre più attenti a fare i loro interessi e non

quelli dei cittadini!

Dato indicativo è che dagli anni ’90 al Comune si susseguono sindaci e

commissari prefettizi.

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Battipaglia è un Comune che conta oggi quasi sessantamila abitanti e la

domanda che i cittadini onesti continuano a porsi è come mai questa cit tà non

riesca ad uscire da una mentalità provinciale che ne blocca la crescita,

quando invece cinquanta anni fa era tra i dieci Comuni più produtt ivi

d’Italia.

Pratiche clientelari e una visione distorta della politica hanno negli ultimi

anni allontanato la progettuali tà degli amministratori dalle rosee speranze

degli anni precedenti.

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