poster session 3-la poetica delle emozioni: performance e paesaggio rituale

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Diritti riservati per l’edizione nei relativi atti. www.romarche.it 1 POSTER SESSION III SESSIONE LA POETICA DELLE EMOZIONI: PERFORMANCE E PAESAGGIO RITUALE Luigi Quattrocchi, Il dolore per la morte. Espressioni artistiche dal Geometrico al Tardo Classico in Grecia Il dolore per la morte è oggi, come in antico, un momento di forte angoscia. Nel mondo antico la perdita di un membro della comunità destabilizzata la tranquillità, introduceva un senso di paura per la sua ineluttabilità. Il phóbos faceva sì che l’idea della morte non fosse più nascosta all’uomo, anzi, rendeva coscienti della fine ultima di tutti gli individui. Le espressioni artistiche che vanno dal Geometrico al Tardo Classico ci restituiscono molto bene questo stato di angoscia che pervade l’essere umano. Attraverso un’analisi dei principali reperti (in questa sede si fa una scelta dei più significativi, quelli che ci aiutano maggiormente a comprendere il dolore per la morte) che siano vasi dipinti, rilievi o sculture a tuttotondo, si cerca di comprendere, innanzitutto, se esistono dei mutamenti nei riti legati alla morte ad esempio come la próthesis che è una delle fasi iniziali del rito funerario, l’ekphorá che invece possiamo definirla come fase intermedia, insieme alla sepoltura vera e propria, in ultimo il banchetto che è a tutti gli effetti la fase finale. I periodi analizzati sono suddivisi in Geometrico (900-700 a.C.), Orientalizzante (700-600 a.C.), Arcaico (620-480 a.C.), Classico (480-380 a.C.) e Tardo Classico (380-323 a.C.) seguendo dunque le suddivisioni standard del mondo greco antico; volutamente si esclude il periodo Ellenistico, che come si sa, rivoluziona il mondo greco e lo trasforma. Ove possibile, oltre a reperti archeologici/artistici, si affiancano le fonti letterarie, preziose per avere un duplice riscontro della realtà del rito funerario. Lo studio dei gesti, della mimica facciale, della posizione dei corpi, dell’abbigliamento, sono utili a comprendere il significato antropologico intrinseco del rito funerario, cercando di capire come effettivamente fosse sentito il dolore per la morte nella Grecia antica. English Abstract The grief over someone’s death is still very strong now as in the past. In ancient times the loss of a member of society threatened the harmony, instilling a sense of fear for its unavoidability. Thank to the phóbos the idea of death was not hidden to people any more but it actually made them conscious of everyone’s ultimate aim. The artistic expressions from the Geometric to the Classical period return very well this sense on anxiety that pervaded the human being. Analyzing the main findings, either painted vases, reliefs or sculptures, we’ll try to figure out, first of all, whether the funerary rituals have undergone some changes, for instance the próthesis (one of the initial phases), the ekphorá (intermediate phase), the real sepulture and, finally, the banquet. Keywords Athens; ancient Greece; funerary rituals; gestures; death. Read at: http://www.calameo.com/read/00428374726897f5fc294

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POSTER SESSION

III SESSIONE

LA POETICA DELLE EMOZIONI: PERFORMANCE E PAESAGGIO RITUALE Luigi Quattrocchi, Il dolore per la morte. Espressioni artistiche dal Geometrico al Tardo Classico in Grecia Il dolore per la morte è oggi, come in antico, un momento di forte angoscia. Nel mondo antico la perdita di un membro della comunità destabilizzata la tranquillità, introduceva un senso di paura per la sua ineluttabilità. Il phóbos faceva sì che l’idea della morte non fosse più nascosta all’uomo, anzi, rendeva coscienti della fine ultima di tutti gli individui. Le espressioni artistiche che vanno dal Geometrico al Tardo Classico ci restituiscono molto bene questo stato di angoscia che pervade l’essere umano. Attraverso un’analisi dei principali reperti (in questa sede si fa una scelta dei più significativi, quelli che ci aiutano maggiormente a comprendere il dolore per la morte) che siano vasi dipinti, rilievi o sculture a tuttotondo, si cerca di comprendere, innanzitutto, se esistono dei mutamenti nei riti legati alla morte ad esempio come la próthesis che è una delle fasi iniziali del rito funerario, l’ekphorá che invece possiamo definirla come fase intermedia, insieme alla sepoltura vera e propria, in ultimo il banchetto che è a tutti gli effetti la fase finale. I periodi analizzati sono suddivisi in Geometrico (900-700 a.C.), Orientalizzante (700-600 a.C.), Arcaico (620-480 a.C.), Classico (480-380 a.C.) e Tardo Classico (380-323 a.C.) seguendo dunque le suddivisioni standard del mondo greco antico; volutamente si esclude il periodo Ellenistico, che come si sa, rivoluziona il mondo greco e lo trasforma. Ove possibile, oltre a reperti archeologici/artistici, si affiancano le fonti letterarie, preziose per avere un duplice riscontro della realtà del rito funerario. Lo studio dei gesti, della mimica facciale, della posizione dei corpi, dell’abbigliamento, sono utili a comprendere il significato antropologico intrinseco del rito funerario, cercando di capire come effettivamente fosse sentito il dolore per la morte nella Grecia antica. English Abstract The grief over someone’s death is still very strong now as in the past. In ancient times the loss of a member of society threatened the harmony, instilling a sense of fear for its unavoidability. Thank to the phóbos the idea of death was not hidden to people any more but it actually made them conscious of everyone’s ultimate aim. The artistic expressions from the Geometric to the Classical period return very well this sense on anxiety that pervaded the human being. Analyzing the main findings, either painted vases, reliefs or sculptures, we’ll try to figure out, first of all, whether the funerary rituals have undergone some changes, for instance the próthesis (one of the initial phases), the ekphorá (intermediate phase), the real sepulture and, finally, the banquet. Keywords Athens; ancient Greece; funerary rituals; gestures; death. Read at: http://www.calameo.com/read/00428374726897f5fc294

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Clelia Petracca, La gestualità femminile nei riti funerari in Grecia tra VIII e VI secolo a.C.

Lo studio della componente perfomativa e della dimensione emozionale dei riti funerari non può prescindere dall'analisi del comportamento femminile durante le fasi preparatorie alla sepoltura. Infatti, anche se le necropoli e gli spazi tombali costituiscono il deathscape per eccellenza, non si deve dimenticare che esiste un secondo deathscape, più intimo e riservato, racchiuso tra le mura domestiche, in cui ha luogo la prosthesis del defunto e dai cui parte la processione che lo condurrà nella sua dimora eterna. Proprio all'interno di questo paesaggio rituale così atipico, nei giorni che precedono l'inumazione/cremazione del cadavere, si svolgono dei riti preparatori, che sono parte integrante della cerimonia funebre, di cui le donne sono le vere protagoniste. Alle eterne escluse dalla vita sociale e politica è concessa un'occasione di riscatto e, contro ogni aspettativa (dato il carattere pubblico del rito), è riconosciuto loro un ruolo di primo piano durante i riti funerari, essendo le sole in possesso della ritual knowledge necessaria per preparare il cadavere (data la loro esperienza nel maneggiare oli e unguenti). Si tratta di mogli e madri, ma anche di donne chiamate appositamente per l'occasione, che non solo garantiscono l'incolumità della comunità, da cui allontanano ogni eventuale contaminazione dovuta alla presenza del defunto, ma che fungono anche da parafulmine emotivo per parenti e concittadini. Sui sarcofagi e i vases for the death dall'epoca micenea all'età classica, infatti, le donne sono rappresentate in gesti di dolore esasperati (strapparsi i capelli, graffiarsi le guance fino a sanguinare, battersi la testa o il petto in modo ripetitivo), a cui fanno da pendant i composti atteggiamenti maschili. Come delle spugne, le donne assorbono tutto il dolore dei presenti e, facendosi strumento della comunità, le permettono di metabolizzare il dolore della perdita e distaccarsi definitivamente dal defunto. Solo accentuando e portando all'estremo l'innata emotività femminile, infatti, si riesce a garantire un corretto compianto al morto (per la cui vita nell'aldilà è necessario essere celebrato nel migliore dei modi) e parallelamente a mantenere saldo l'ordine sociale, che impone agli uomini decoro e misura. In questa prospettiva i gesti plateali e il canto delle lamentatrici, a cui l'archeologia può avvicinarsi solo attraverso lo studio delle pitture vascolari, sono la sola componente emotiva dei riti funerari di cui rimane traccia. Un'emotività che prende forma nel corpo delle donne (diventando visibile anche a noi contemporanei) e che trova il suo contesto ideale in un luogo intimo come la casa, protetto e appartato, isolato dallo spazio aperto in cui avvengono la processione e la sepoltura, in cui le leggi impediscono di abbandonarsi a manifestazioni di dolore esagerate. Un luogo nell'ombra, la stessa in cui vivono le diafane donne della Grecia antica. English Abstract In ancient Greece, funeral rites include several ceremonies as well as the burial and the cremation of the corpse. There is a more intimate deathscape inside the walls of the house, where the women of the family mourn and complain the death in a very particular way during the pròthesis. They hit their head and chest, tear their hair and scratch their cheeks until the bleeding. The Attic pottery and the Iliad show different kinds of ritual self-mutilation made only by women. These are the real protagonists of funeral rites between VIII and VI century BC since they hold the ritual knowledge needed to correctly prepare the corpse and lament his death. In this way they guarantee the success of the ceremony and carve out for themselves a prominent role in this important event of city life. Keywords Funeral rites, women, pain gesture, self mutilation, Attic pottery Read at: http://www.calameo.com/read/0042837470ed7dd1bea00

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Sonia Modica, Paesaggio sonoro e rituale funerario: al confine tra natura, cultura e spiritualità

Il concetto di paesaggio sonoro, sviluppato, durante la seconda metà del secolo scorso, dagli studi musicali canadesi di estetica, viene elaborato qui ai fini della ricerca archeologica, orientata a indagare le implicazioni degli “oggetti sonori” attraverso la documentazione di repertorio. Una prima considerazione da valutare in questa direzione è che il senso percettivo dominante, all’interno della cultura occidentale, è certamente quello della vista: la “visione” del mondo, anche nel linguaggio comune, tende a coincidere con ciò che viene percepito della realtà generale. Non a caso, il nostro essere nel mondo è sempre più definito dalla prospettiva di un unico “punto di vista”. La prima conseguenza è il progressivo assorbimento della componente multisensoriale, che caratterizza inevitabilmente ogni atto di percezione, all’interno delle modalità di un’“immagine” di sempre più degradata e impoverita consistenza. In realtà, il paesaggio è un’interfaccia costituita da oggetti, situazioni e configurazioni che indicano precise posizioni di risorse e significati. Configurazioni spaziali che permettono l’identificazione di una risorsa o un senso possono essere sia di tipo strutturale (ad esempio una fila di alberi) sia relative a un tipo di energia (configurazioni acustiche o sonore), o all’intensità della luce (punti luce all’interno di una foresta) o di carattere olfattivo (tracce maleodoranti lasciate da un animale). In questo lavoro è previsto lo studio di alcuni contesti materiali attraverso la lente concettuale del ‘paesaggio sonoro’ applicata all’archeologia funeraria. L’esame delle componenti uditive relative ad ambiti funerari dell’Italia pre-romana, coinvolge quindi il riferimenti alla definizione di ‘paesaggio sonoro’ come oggetto di ricerca archeologica. Questo concetto, infatti, va principalmente a caratterizzare l’ambiente sonoro naturale, indicando essenzialmente qualsiasi campo acustico di studio attraverso le sue componenti fisiche primarie. La lente viene spostata, quindi, da quanto osservato a quanto udito, e, per quanto riguarda il repertorio dell’analisi archeologica, dobbiamo necessariamente fare riferimento a una proiezione dei dati raccolti su uno scenario acustico culturalmente contestualizzato. Per questo i referenti archeologici sono stati identificati come “indicatori sonori” e descritti come una funzione di richiamo del paesaggio culturale. Il contributo presenta valutazioni metodologiche e alcuni “casi di studio” contestualizzati per un’indagine che vuole essere un aspetto del percorso sulle implicazioni storiche (valenze indigene/non indigene, continuità diacronica o discontinuità di diversi segni sonori), degli indicatori culturali e sociali (rituali, genere, rango, funzione). In particolare si tratta di evidenziare le strette, seppur indirette, relazioni tra oggetti sonori, connotazioni socio-culturali e loro pertinenza a modalità rituali complementari e/o sostitutive, attraverso i dati forniti dalla documentazione archeologica e storiografico-letteraria. English Abstract The contribution presents methodological evaluations and some contextualization for an investigation that wants to be an aspect of the research path on the historical implications (indigenous/non indigenous meanings, diachronical continuity or discontinuity of different sound signs), on the cultural and social indicators (rituals, gender, rank, functions). Particularly I want to underline the close, even though indirect, relationships between sound objects, socio-cultural connotations and their closeness to complementary and/or substitutive ritual models, trough the data given by the archaeological and historiography-literary documents. Keywords Sound indicators, archaic era, funerary rite, sensory perception, bell Read at: http://www.calameo.com/read/0042837477632ab7b4aad

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Angela Bellia, Musica e morte nell’iconografia delle ceramiche attiche: il cratere del Pittore di Kleophon dalla necropoli greca di Akragas (V sec. a.C.) Nel mondo delle immagini delle ceramiche attiche connesse con l’ideologia funeraria, la musica, in particolare quella espressa dall’impiego di auloi e lire, ha le sue articolate manifestazioni. Il rapporto fra questi strumenti musicali e il defunto, il loro ruolo nel rito funebre e il messaggio simbolico della loro deposizione nella tomba sono rispondenti a una ideologia che va esplorata e si riflette tramite le raffigurazioni. L’associazione dei due strumenti nell’ambito funerario è attestata anche dalle fonti scritte che ne testimoniano la connessione con l’idea di felicità e di simposio nell’aldilà. La loro funzione nei riti funerari era quella di omaggiare e ad accompagnare il defunto nell’ultima dimora con il loro suono e di richiamare lo status del defunto. Infatti, i rituali erano un’occasione in cui la musica, nelle forme del threnos, celebrava il defunto e ne segnava ritualmente l’ingresso nell’oltretomba, contribuendo a consolare coloro che lo avevano conosciuto. A partire dallo studio della scena musicale raffigurata nel cratere a colonnette attico a figure rosse attribuito al Pittore di Kleophon rinvenuto nella necropoli di Akragas si indagherà sulla presenza dei due strumenti nella ceramica attica a figure rosse con immagini legate alla sfera funeraria. English Abstract The vast majority of the painting vases with musical iconography is connected with death, because so much of what still exists comes from graves. Nevertheless, only some of what is preserved was actually produced for funerary rituals, and it is this object that we shall consider here. In a column krater found at Agrigento, ancient Akragas, are depicted a male lyra player and a female auloi player. The presence of the musical instruments reveals the close link between the lyra and aulos and the funerary sphere. La lyra seems to be a clear reference to a retrospective representation of the deceased and of his socio-political role. The combination of the lyra and aulos seem connected with the idea of symposiums and the afterlife. Keywords Lyra, ancient musical instruments, aulos, musical iconography, column-krater. Read at: http://www.calameo.com/read/0042837477c0c1a02ceeb Francesca Lai, Genita Mana. Ambivalenza e liminarità della morte in associazione al genere femminile nell’antica Roma Nell’antropologia della morte, la lettura dei rituali e delle pratiche funerarie restituiscono sia l’identità sociale del defunto, sia i valori civili e morali della società a cui il morto apparteneva. Così nell’antica Roma la distinzione di genere si esplicava anche durante eventi luttuosi, nei quali uomini e donne erano richiamati a diverse funzioni e diversi atteggiamenti. Nel mondo romano l’espressione del dolore legato al luctus era visibile e udibile. Gli stessi termini planctus, luctus e squalor descrivono le manifestazioni del dolore più evidenti, espresse da coloro che partecipano all’evento luttuoso. Nei rituali che accompagnano il distacco del defunto dal mondo terreno le donne romane rappresentano la porta alla nuova vita e pertanto sono incaricate delle fasi preliminari e finali dei funerali. Esse fungono da elemento cerniera con i pubblici rituali di passaggio (processione

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pubblica e laudatio funebris), i quali prevedono la celebrazione del morto per le sue glorie e virtù in vita, pertanto sono affidati all’uomo in quanto custode della funzione pubblica e sociale della famiglia del defunto. Le donne possono esternare le emozioni in maniera accentuata ed evidente (con gravitas) al contrario degli uomini, a cui si richiede la fermezza e compostezza tipica della funzione sociale a cui sono chiamati. Tra le manifestazioni corporali più note e antropologicamente ricorrenti vi è l’atto di piangere e battere il petto, talvolta anche a pagamento, come dimostra la figura della praefica, ma non solo. Durante il corteo la donna poteva tenere i capelli sciolti, graffiarsi (sino a giungere all’automutilazione, pratica proibita dalla legge) e denudare petto (nudatus pectus) e piedi (nudus pes): in questo vi è il richiamo al più generico aspetto rituale. Tra i gesti più singolari, che riguardano una circostanza differente, ossia quella pre-morte, vi era quello di allattare il morente. Nel rituale funerario questo atto estremo rappresenta la transizione dalla vita sulla terra a quella ultraterrena, in una ciclica ricomposizione del principio della vita, di cui la donna stessa è simbolo ed essenza, in quanto genitrice e nutrice. Così la doppia valenza vita/morte associata al mondo femminile è presente nel Pantheon romano. Genita Mana è una poco nota divinità arcaica, forse solo una caratterizzazione della più complessa figura femminile della Bona Dea, divinità a cui si accompagna l’ideale di fertilità e di guarigione. Genita Mana tramanda nello stesso tempo la nozione di morte (cfr. Dei Mani) e di vita, dunque protegge la vita degli abitanti della casa, ma decide il destino di ciascun nuovo nato, se sarà vivo o morto, argomento, questo, che richiama la problematica dell’altissima mortalità perinatale. In questo aspetto religioso si manifesta la concezione del genere femminile come limes tra vita e morte che scaturisce dal potere rinnovatore e vivificante posseduto dalla donna. Entro questo quadro generale, che ha il suo focus nella gestualità femminile nell’evento mortale, si analizzeranno i documenti epigrafici e le testimonianze archeologiche e iconografiche più rappresentative, associate ai riti del funerale o alle circostanze di pre morte. English Abstract In Ancient Rome women have a specific role in the funus. Men supervise the formal aspects of the burial and its public conception, essential to preserving the memory of the dead; women take care the initial and final moments of the funus. They express the pain and mourning with the visible and audible manifestations. Praeficae in Rome and the modern attittidu in Sardina are strictly connected with the same ancestral Indo-European and Mediterranean rituals. Women are liminal corpse during the life: they provide to childbirth and nurse the human population with their milk. The myth of Pero e Micon provide a interesting aspect of the life and death connected to breastfeeding, as the religion provide to express, with the deity of Genita Mana, the similar expression of the feminine power, in the balance with the existence and the loss. Keywords Women mourning, funus, Genita Mana, nursing, midwife. Read at: http://ita.calameo.com/read/004283747710799559ef6 Elena Castillo Ramìrez, La musica come chiave del contagio emozionale nei cortei funebri imperiali La cultura romana, come il resto delle culture dell´Antichità, era pienamente consapevole del potere della musica nel manipolare la percezione e la valutazione degli stimoli e degli avvenimenti esterni, di alterare la condotta dell´auditorio e di contagiare o indurre emozioni sulla massa. Si sapeva

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quello che la tecnologia della neuro immagine ha potuto verificare negli ultimi anni: che la musica ha la capacità d´indurre emozioni e che queste sono più intense quando chi l´ascolta forma parte di un gruppo più grande, giacché la risposta emozionale di ogni membro del gruppo impatta sulla risposta emozionale del gruppo intero come risultato del contagio emozionale (Egermann, Grewe 2009). E anche che la sovrapposizione di stimoli visivi e olfattivi agli stimoli uditivi modifica interamente la valutazione dei primi, oggetto di ricerca de l´equipe di Bouhuys (Pouling-Charronnat, Bigand 2005; Bouhuys 1995). Plutarco, nella biografia di Marco Crasso (XXII), affermava “che di tutti i sensi l´udito è quello che influisce di più nel terrore dell´animo e che le sensazioni che provoca sono quelle che più velocemente disturbano la ragione”. La musica aveva perciò un´inestimabile funzione nei festeggiamenti collettivi, particolarmente in quelli che avevano come fine produrre la catarsi o l´euforia generale dei concorrenti per sostenere la classe dirigente. Come il trionfo, il funerale degli imperatori romani divenne un´occasione unica per affascinare il popolo, stordirlo e soggiogarlo ancora di più, giacché la desolazione generale era lo stato più propizio per raggiungere l´accettazione docile e rassegnata del successore proposto, erede della gloria del defunto e perciò garante del benessere pubblico. Durante il funus imperato rum – erede diretto del funus indictivum, che aveva allo stesso tempo la considerazione di funus publicum – immagini, parole e musica contribuivano a magnificare la memoria del morto e a configurare il suo ricordo nelle menti sbalordite dei cittadini. Dalle fonti classiche, dai rilievi etruschi e romani (come il rilievo di Amiterno o le urne del Museo Guarnacci di Volterra) e da qualche reperto archeologico è possibile ricostruire come era la musica che suonava nei funerali imperiali romani o, almeno, quali erano i musicisti che partecipavano nel corteo funebre e quale l´effetto che la loro musica provocava: cornicines (suonatori di cornua), liticines (o tymbaules, in greco, interpreti di litua), siticines (interpreti di un tipo di corno che si suonava soltanto nei funerali) e tibicines (suonatori di tibia o doppio aulós) creavano un grande strepito (descrive Orazio in una Satura), simultaneo alla recita del logos epitaphios, lode delle virtù del defunto eseguita davanti a uno scenario spettacolare, in cui simbolicamente apparivano tutti gli antenati della famiglia, imitati da attori mascherati o truccati. Petronio (Satir.78.5) compara, in una scena comica alla fine del banchetto di Trimalcione, la marcia funebre suonata dai cornicines (funebris strepitus) con un allarme d’incendio. I suoni degli istrumenti di fiato servivano per convocare il popolo a partecipare nella solenne cerimonia, ma anche per imitare il grido in articulo mortis nella conclamatio, un modo di assicurare che il defunto era veramente morto (abitudine ancora in uso davanti al letto del Papa). Lo strepito provocato dagli strumenti di fiato incrementava l´effettività della chiamata e conferiva al grido una solennità e gravità che le voci umane non avrebbero potuto raggiungere da sole. Allo stesso tempo condizionava gli animi nella ricezione delle parole di glorificazione pronunciate sui rostra del foro, messaggi di esaltazione che scuotevano in un modo più profondo nelle coscienze grazie a questo clima di paura e di dolore generale raggiunto attraverso la musica e l´accumulo d´immagini sconvolgenti che circolavano davanti agli occhi degli spettatori. Nelle esequie solenni dei funerali imperiali, in cui si incorporavano siticines e cornicines all´abituale gruppo di musicisti, integrati da tubicines e tibicines, senza limitazione nel loro numero, le prefiche (praeficae) che abitualmente guidavano il corteo, interpretando gesti di dolore (Lucil. Sat. Fragm. Satire), e sollevando in aria forti grida, lamenti (Suter 2008; Richlin 2001) e cantilene ripetitive di contenuto insignificante e monotono (paragonato da Plauto (Bacch. 889) con le grida dei topi in una gabbia), furono sostituite da cori di uomini incaricati di cantare la lode del defunto o da cori di ragazzi e bambini o di donne del più elevato ceto sociale, elemento comune alla tradizione della Grecia classica (Plat. Leg. XII 947 b). Il suono del funerale solenne poteva diventare pertanto molto più grave e sempre più elevato e armonico (Dio Cass. LXXV, 4. 5). Una

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delle testimonianze più antiche della partecipazione di un coro in un funus indictivum l’offre Ovidio (Pont. I. 7. 28-30), in riferimento al funerale di Messala. Ma sono specialmente conosciuti i cori di uomini che attuarono durante il funus imaginarium di Pertinax (descritto da Cassio Dione (LXXV, 4-5)) e quello formato da ragazzi e da donne che cantarono durante il funerale di Settimio Severo (Herod. Ab excessu divi Marci. 4.2.5-6). Era proprio dei funerali imperiali e, pertanto, un elemento straordinario ed esclusivo delle esequie della nobilitas, il portare dietro dei musicisti danzatori, istrioni e mimmi (Dion Halic. VII. 72. 12; Diodoro di Sicilia 31. 25.2 (funerale di L. Aemilius Paulus nel 160 a.C.), Suet. Caes. 84). La musica e le grida di lamento erano la chiave del contagio emozionale, di quell´attivazione della risposta emozionale del pubblico, se si considera che la maggior parte della massa che assisteva, non potendo vedere quasi nulla della processione, oltre al letto sul quale giaceva la salma, trasportato in alto, percepiva soltanto il fragore musicale e l´odore dell´incenso bruciato, principali elementi di coinvolgimento nella cerimonia (Fabro, Johanson 2010; Johanson 2008). L´effetto cercato si riusciva a raggiungere, come afferma Polibio (VI. 53. 3) in relazione ai funerali aristocratici, più modesti di quanto furono quelli imperiali: “Il risultato è che con l´evocazione e la memoria di queste imprese, che si mettono davanti agli occhi del popolo – non solo di coloro che partecipano direttamente, ma di tutto il resto – tutto il mondo sperimenta un´emozione tale che il lutto non sembra più limitato alla famiglia, ma colpisce l´intero popolo”. English Abstract The death of a roman emperor or of a member of the domus augusta started a great display of political and ideological propaganda in which the music played a crucial role. The funeral procession was one of the few occasions during which all imperial family and members of the highest aristocracy was seen in public all together, with all their richness and sumptuousness. The ceremony had to involve the crowd in the mourning, in order to create a favorable situation to legitimate the values of the monarchy. The shrill and dramatic sound of brass instruments increased listeners´ affective response to the public mournful spectacle, and therefore changed the (emotional) processing of symbols and words that they saw and listened. Cornicines, liticines, tubicines and choirs of men, women and children of the most illustrious families took part in a magnificent performance. Keywords Imperial mourning; roman music; choirs; emotional mimesis; ritual performance. Read at: http://www.calameo.com/read/004283747ad6279c7239f Clara Stevanato, La morte degli animali d’affezione nel mondo romano: per una zooepigrafia tra ritualità e sentimento Il mio intervento verterà sull’analisi di alcuni aspetti che emergono dallo studio dell’epigrafia funeraria dedicata agli animali nel mondo romano. La valutazione di dediche sepolcrali iscritte, metriche o in prosa, destinate a commemorare animali d’affezione, in particolare cani e cavalli, evidenzia l’esistenza di un legame affettivo “interspecifico” tra uomo e animale che si perpetua oltre la vita terrena. Queste iscrizioni costituiscono pertanto la manifestazione ultima e perenne di un rapporto coltivato nella quotidianità, la cui importanza risulta degna di essere ricordata. La scelta di riservare un sepolcro e un segnacolo funerario, più o meno ricco ed elaborato, alla memoria di un animale, non sembra infatti rispondere a una norma legislativa, a una consuetudine consolidata o a doveri sociali e morali, ma, piuttosto, a una sensibilità personalissima e a una volontà spontanea e

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libera da condizionamenti. L’animale non viene valutato dunque da un punto di vista utilitaristico quale strumento del sacrificio, del rituale o come mezzo di lavoro: esso diventa invece soggetto del rito funerario, protagonista, destinatario precipuo delle attenzioni e della dedizione dell’uomo che ne ha curato intenzionalmente la sepoltura. Non si tratta di una deposizione di tipo agonistico o rituale bensì di una tumulazione che si potrebbe definire “affettiva” dalla cui valutazione emerge il rapporto interattivo uomo-animale. Se la considerazione della presenza di un monumentum posto sulla sepoltura di un animale denota di per sé una volontà precisa, l’analisi del testo iscritto offre una molteplicità di informazioni relative a tale legame e alla concezione dell’animale in rapporto alla morte e al suo destino oltremondano. Si verifica dunque la replicazione di un rito funebre destinato a un essere umano, quasi si trattasse di un processo imitativo più o meno conscio: l’animale infatti riceve il medesimo trattamento del corpo, la sepoltura è segnalata da un monumentum in tutto simile a quello destinato a un uomo, l’iscrizione accoglie numerosi topoi, formule e epiteti che ricorrono nell’epigrafia funeraria “canonica”. Un aspetto del tutto peculiare di questo genere di iscrizioni è la gestione testuale dell’“affettività”: emerge con evidenza una “poetica delle emozioni” che si traduce nell’utilizzo di un lessico carico di espressioni singolari evocanti emozioni e sentimenti nutriti reciprocamente da uomo e animale. Sembra dunque importante considerare l’emersione e le modalità espressive di tali sentimenti non condizionati da formule standardizzate per poter aprire uno squarcio sull’“emozionalità epigrafica” relativa alla relazione uomo-animale. La messa a fuoco di tale rapporto interattivo permette di collocare il tema preso in esame nel recente dibattito, il cui principale animatore è A. Chaniotis, concernente lo studio di emozioni e sentimenti quali emergono dalle testimonianze epigrafiche, letterarie, archeologiche antiche. Sebbene le iscrizioni celino sovente una precisa strategia comunicativa, tuttavia esse veicolano un’intenzione, un’emozione che può essere genuinamente provata e percepita o teatralizzata e enfatizzata. Analizzando il coté emozionale di un testo epigrafico, nonché l’apparato iconografico e decorativo, è possibile tentare di individuare lo scarto tra ciò che è “formula, stereotipo” e ciò che invece è “scelta personale, originale”. Il testo epigrafico è infatti frutto di selezione e composizione ed è per tale motivo che risulta una fonte valida per lo studio delle emozioni e dei sentimenti. Attraverso dunque l’analisi, corredata di alcune esemplificazioni, di alcuni documenti relativi alle sepolture di animali, si proporranno considerazioni sull’emozionalità che anima tali testimonianze poste a memoria non solo di un animale ma anche, nello stesso tempo, di un legame d’affetto. English Abstract A particular category of Latin inscriptions includes funerary epitaphs addressed to animals, especially dogs and horses. These inscriptions have been often ignored by scholars but they provide a considerable amount of interesting contents. The two main aspects investigated in this study concern the funerary practices adopted for animal burials and the bond of affection that emerges from the epigraphic message. There is almost no difference between human and animal funera and the inscription is permeated by affection and emotions. The premise to both aspects is the relationship between humans and their pets which was seen in terms of continuity after death. Keywords Animal Latin epitaphs, emotions, funerary practice, human-animal relationship, pet-keeping. Read at: http://www.calameo.com/read/00428374773352b72716f

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Matteo Venturini, Maria Giovanna Belcastro, Valentina Mariotti, lo studio dei resti umani nella ricostruzione dei rituali funerari: le sepolture del sito neolitico di passo di corvo (Foggia) Lo scopo del presente lavoro è quello di contribuire alla ricostruzione di aspetti della ritualità funeraria integrando i dati antropologici con quanto emerge dallo studio archeologico dei siti. Di particolare interesse si è rivelato lo studio dei resti scheletrici umani delle 12 sepolture rinvenute nel villaggio neolitico trincerato di Passo di Corvo (V millennio B.P.; Foggia), scavato tra il 1949 e 1980 (cfr. Tinè 1983). Tali reperti, custoditi presso il Museo di Antropologia dell’Università di Bologna, sono stati inizialmente studiati da Corrain e Capitanio (1968) e da Facchini (1983), e più recentemente, per aspetti paleodietetici, da Tafuri e collaboratori (2014). In particolare, alcune sepolture identificate come primarie (Tinè 1983) hanno restituito ossa che presentano tracce di lesioni (cut marks, scrape marks) riconducibili a interventi intenzionali peri mortem. Sono state rilevate distribuzione e tipologia delle lesioni ossee, avvalendosi sia dell’osservazione macroscopica, sia dello stereomicroscopio. Tali lesioni sono presenti in almeno 5/18 (circa 28%) individui maschili e femminili, tra cui 1 bambino di circa 6 anni. Le lesioni sono state riscontrate su clavicole, ossa lunghe degli arti e bacino. È da rilevare che il numero di lesioni osservate potrebbe rappresentare una sottostima, tenendo conto del cattivo stato di conservazione delle ossa, che si presentano incomplete, spesso prive delle estremità, e ricoperte da una patina calcificata (“crusta”, cfr. Tinè 1983). L’osservazione di queste lesioni pone il problema dell’interpretazione del rituale funerario, non necessariamente ponendo in discussione il carattere primario della sepoltura, ma ampliando lo scenario su possibili fasi, verosimilmente rituali, precedenti la sepoltura stessa. Alternativamente non si può escludere che le sepolture in esame si riferiscano a un contesto secondario in cui le ossa sono state riposizionate in modo da simulare la deposizione di un corpo integro. Dalla lettura esclusivamente archeologica del contesto funerario, tali scenari non erano prevedibili. Questo studio sottolinea l’importanza dell’indagine antropologica anche nel caso di contesti sepolcrali apparentemente chiari e definiti, evidenziando l’opportunità di riesaminare materiali già scavati e pubblicati. Si segnala che esiti di trattamenti peri mortem sono stati osservati su reperti scheletrici neolitici dell’Europa continentale e mediterranea (Bertrand et al. 2004; Boulestin et al. 2009; Goring and Belfer-Cohen 2013; Villa et al. 1986). English Abstract The aim of the present study is to reconstruct the funerary rituals complementing the archaeological information with the data of the anthropological analysis of the human bones. In particular, we analysed the skeletal remains of the 12 inhumations brought to light in the Neolithic ditched village of Passo di Corvo (5th millennium BP, Foggia, Apulia, Italy), excavated between 1949 and 1980. Among the burials, identified as primary inhumations during the excavations, we observed bones showing signs of intentional peri mortem interventions (cut marks, scrape marks). This study highlights the importance of the anthropological analysis also in the case of apparently clear contexts. Keywords Neolithic, funerary rituals, disarticulation, defleshing, cut marks. Read at: http://www.calameo.com/read/004283747139eb4f56969

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Simona Dalsoglio, L’analisi spaziale degli oggetti nelle sepolture per la ricostruzione del rituale funerario: il caso delle cremazioni protogeometriche del Kerameikos di Atene In un periodo caratterizzato dall’assenza di fonti scritte e di arte figurativa come il Protogeometrico ateniese (c. 1050-900 a.C.), la corretta lettura e interpretazione dell’evidenza materiale è fondamentale per la ricostruzione, almeno parziale, della “performance” funeraria. Ad Atene le sepolture della necropoli del Kerameikos sono le meglio indagate e sinora le sole interamente pubblicate tra quelle della Prima Età del Ferro. Grazie alla precisione e alla minuziosità dei dettagli delle pubblicazioni, sebbene queste siano risalenti a più di settanta anni fa, è possibile localizzare nello spazio della tomba i singoli oggetti rinvenuti. La disposizione degli oggetti, trattandosi di contesti chiusi, restituisce una visione sincronica e ferma nel tempo del risultato di alcune delle azioni messe in atto durante l’evento funerario. La quasi totalità delle sepolture è costituita da cremazioni in anfora. Si potrebbe pensare che un’analisi della collocazione dei reperti in una tomba e della loro relazione con il defunto sia possibile nelle inumazioni, dove il corpo ha lasciato una traccia concreta della sua presenza, e che nelle cremazioni presenti problematiche maggiori. Le sepolture in esame, del noto tipo “trench-and-hole”, hanno in realtà una struttura ben definita: all’interno di una fossa rettangolare era scavata una buca circolare di dimensioni inferiori; nella buca veniva collocato il cinerario, mentre nella fossa superiore erano solitamente gettati i resti della pira. Le zone individuate all’interno delle sepolture e da cui provengono i reperti sono tre: la fossa rettangolare, la buca con il cinerario e l’anfora-urna che in alcuni casi contiene, oltre ai resti cremati dei defunti, anche manufatti o ossa animali. Osservando la natura, la distribuzione dei reperti e le loro occorrenze nelle diverse aree della sepoltura è possibile riconoscere tracce e caratteristiche del rituale funerario. Per tentare una ricostruzione delle pratiche funerarie è fondamentale dunque non solo lo studio della topografia del sito ma anche l’esame dell’aspetto spaziale degli assemblaggi di oggetti all’interno della tomba attraverso cui ricostruire aspetti del rituale funerario che, pur essendo stati messi in atto all’esterno della sepoltura, non hanno lasciato tracce tangibili nel paesaggio della necropoli. English Abstract For the Protogeometric period in the Kerameikos cemetery at Athens it is not possible to recognize a particular area dedicated to the burning of the pyres; moreover the funerary rites left no traces into the landscape of the necropolis. The structure of the graves, that belong to the well known trench-and-hole type, makes possible a study of the objects that occur more frequently into the urn, the hole with the cinerary amphora and the upper trench with the pyre debris. Through the analysis of the objects and of their disposition into the tomb it is possible to propose a partial reconstruction of the different phases of the funerary ritual, included the ones that took place outside the grave. Keywords Protogeometric, Athens, Kerameikos, cremation, grave structure. Read at: http://www.calameo.com/read/004283747f7676813f0da Sabrina Batino, Oltre la soglia a guardia del defunto. Per una interpretazione delle oinochoai figurate in bucchero nella tomba etrusca arcaica di Villastrada In questo contributo richiamiamo l’attenzione su un contesto funerario di epoca etrusca arcaica (intorno al 580-570 a.C.) facente parte integrante, in antico, del comparto agrario più redditizio ascrivile alla città di Chiusi, quello compreso fra il centro urbano e le sponde occidentali del Lago

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Trasimeno, area di cerniera congiunta all’asse viario Chiusi-Cortona, da cui si diramava, tra gli altri, un diverticolo che scendeva verso la valle del torrente Tresa per dirigersi poi verso il distretto perugino. Rinvenuta casualmente durante interventi edilizi in una proprietà privata nel 1977 in località Villastrada di Castiglione del Lago (Pg), e documentata grazie all’indagine condotta in emergenza dal personale della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, la piccola tomba a camera permette di inquadrare con maggior grado di dettaglio il panorama archeologico di tale area nell’arco cronologico concernente la fase arcaica, altrimenti solo abbozzato in virtù di frammentari ritrovamenti precedenti, privi purtroppo di informazioni coerenti ed esaustive. In occasione del recente allestimento multimediale 3d presso il percorso museale di Palazzo della Corgna di Castiglione del Lago e la nuova esposizione del corredo reale al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia, è stato possibile rileggere il contesto di sepoltura alla luce delle note d’archivio rimaste finora inedite, che, sulla scorta dell’ordine seguito nell’attività di recupero dei materiali, gettano qualche luce in più sulla “geografia” interna della cella e su eventuali registri interpretativi inerenti la ratio de posizionale/rituale. La struttura, scavata nel terreno sabbioso e già parzialmente collassata al momento della scoperta, conteneva le spoglie di un individuo di sesso maschile, deposto con rito inumatorio insieme a un notevole apparato di corredo, del quale fu possibile recuperare/ricostruire interamente almeno una cinquantina di pezzi. A dispetto della ricorrente scarsità di oggetti in metallo attestata nei contesti arcaici di gravitazione chiusina, in questo caso è per contro doveroso sottolineare la presenza di un intero set di bronzo e ferro per il banchetto a base di carne, riecheggiante più antiche consuetudini di stampo nobiliare. Il resto dell’equipaggiamento, ad eccezione di due ollette in impasto bruno e numerosi lebeti in impasto rosso lucido,era invece costituito da un articolato servizio in bucchero per il simposio, comprendente calici, kantharoi, attingitoi, anfore e oinochoai. Proprio fra queste ultime, tutte in bucchero nero tranne l’esemplare grigio con lettera A replicata due volte sull’ansa, ve ne sono tre che destano interesse nello specifico per la caratterizzazione del decoro. Pur trattandosi di motivi a stampo – principalmente sfingi, felini, guerrieri – senza dubbio abbastanza reiterati nel repertorio chiusino del bucchero pesante, tuttavia in seno allo spazio funerario il loro valore simbolico, genericamente riconosciuto, parrebbe acquisire una forza ancor più incisiva, in qualche misura cruciale. Sembra infatti suggestivo pensare, concordemente con quanto suggerito dalla loro stessa collocazione, che il trittico di brocche sia stato intenzionalmente sistemato a ridosso dell’entrata per assicurare, mediante i soggetti figurati di cui costituiva supporto, una sorta di ideale “cortina salvifica” alla nuova dimensione raggiunta dal defunto, celebrandone al contempo, pur in tono minore, uno statuto elitario perpetuato anche dopo la morte, che intendeva affiliarsi al rango marcatamente aristocratico di chi, da parte sua, quei medesimi soggetti aveva agio di ostentarli alla luce del sole, effigiati nella pietra di ben più monumentali markers gentilizi, volti a delineare “paesaggi” rituali di maggior impatto, se non altro nella percezione immediata, in ordine alle complesse dialettiche intercorrenti tra mondo dei vivi e mondo dei trapassati.

BIBLIOGRAFIA

MAETZKE, TAMAGNO PERNA 1993: G. MAETZKE, L. TAMAGNO PERNA (edd.), La civiltà di Chiusi e il suo territorio, Atti del XVII Convegno di Studi Etruschi ed Italici (Chianciano Terme, 28 maggio - 1 giugno 1989), Firenze 1993.

ORTALLI 2008: J. ORTALLI, “Scavo stratigrafico e contesti sepolcrali. Una questione aperta”, in J. Scheid (ed.), Pour une archéologie du rite. Nouvelles perspectives de l’archéologie funéraire, Roma 2008, pp. 137-159.

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PAOLUCCI 2002A: G. PAOLUCCI, “A ovest del lago Trasimeno. Note di archeologia e di topografia”, in G.M. Della Fina (ed.), Perugia etrusca, Atti del IX Convegno Internazionale di Studi sulla storia e l’archeologia dell’Etruria, (Orvieto, Roma 2002, Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina», IX), pp. 169-173.

RASTRELLI 1993: A. RASTRELLI, “Le scoperte archeologiche a Chiusi negli ultimi decenni”, in Maetzke-Tamagno Perna 1993, pp. 122-123, tavv. VII-VIII. Taccuino inedito Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria English Abstract This paper will examine an Etruscan burial context dating back to ca. 580-570 B.C., included in the agrarian estate of the powerful city of Camars-Clusium. The settlement nearby Villastrada- Castiglione del Lago (Pg), rose up in the archaic period presumably by exercising a control along the road linking the east part of river Clanis with the city of Perugia. The small chamber tomb discovered by chance in 1977 during building works on private property was summarily carved in the sandstone, and had an almost square planimetry preceded by a narrow access corridor. The finding of bone remains suggests that the deceased individual was a man. The excavation, carried out by the staff of the Superintendence for Cultural Heritage of Umbria, allowed them to acquire significant materials, both for the quantity of objects (more than fifty carefully restored finds), and for the quality level of the artefacts. On the occasion of the investigation work conducted for the setting up of a 3D multimedia exhibition at Palazzo della Corgna in Castiglione del Lago (Pg), it was possible to read once again the burial context thanks the archive documents remained unpublished until now, that, on the basis of order followed during the excavation, throw some more light on the "geography" within the cell and possible levels of interpretation about the ritual ratio. Among the grave goods, there are three interesting bucchero oinochoai, whose decorations would seem to acquire a great force by their own location, intentionally placed near the entry to ensure a kind of ideal “parade” saving and commemorating the dead. Keywords Ager clusinus, Archaic Period, cylinder– and mould- pressed bucchero decorations, symposion

Read at: http://www.calameo.com/read/00428374721fa7c7c484b Lucina Giacopini, Giandomenico Ponticelli, Romina Mosticone, Paesaggio funerario antico. Sepolture privilegiate e pratiche funerarie La ricerca collaborativa come indispensabile strumento per meglio comprendere il record archeologico. Confronto e cooperazione integrata tra analisi antropologica e dato archeologico applicato nel contesto degli studi paleoantropologici consentono di esplorare meccanismi e processi alla base di fenomeni deposizionali e cultuali e di individuare le risposte dell’archeologia al tema della ritualità funeraria – nel caso in esame – nel pieno medioevo. In questa relazione descriviamo delle brevi considerazioni basate sull’esperienza diretta di scavo di deposizioni Tardo Trecentesche del cimitero medievale di San Nicola di Cesano di Roma, complesso funerario indagato nell’ambito del programma di archeologia urbana inaugurato da Roma Capitale nel biennio 2013 - 2014 con gli interventi di riqualificazione del borgo medievale di Cesano di Roma, diretti da chi scrive su affidamento della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale insieme alla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. A Cesano il cimitero si inserisce all’interno dello spazio urbano dove parte degli spazi viene destinata a luogo di sepoltura, in stretta connessione con strutture di XI secolo. Le riflessioni sono scaturite dall’analisi di alcuni degli aspetti del complesso

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problema della ritualità funeraria a partire dalle modalità di sepoltura e i riti della deposizione – di straordinario interesse l’area funeraria per tipologie tombali definibili privilegiate per la presenza – scarsamente attestata nell’area – di lastre di copertura in marmo; l’ostentazione della ricchezza al momento della morte ovvero la distinzione tra corredo personale e corredo rituale; l’uso di sepolture multiple inteso come deposizioni multiple contemporanee o come riuso anche a breve distanza di tempo dalla prima deposizione; l’evidenza dell’uso della riduzione delle deposizioni; la pratica dello spostamento dei crani al fine dell’esposizione rituale in un luogo non ancora identificato del cimitero; il concetto della sacertà e della inviolabilità della tomba. English Abstract In this paper we describe some brief considerations resulting from 'direct experience of excavation of a core of depositions of the medieval cemetery of St. Nicholas of Cesano in Rome, a funerary complex investigated in the years 2013 - 2014 with the redevelopment of the medieval town of Cesano from Rome. The burials investigated that returned a minimum of 28 individuals in anatomical connection, are attributed to a cemetery planting Late Trecentesco contained within formae in drafts of tufa, whose construction is inserted architecturally near to an open space, perhaps a hall, part of a building, almost certainly a medieval church whose origin may date back to the eleventh century. Keywords Low medieval cemetery, burial rituals, burials fit, brotherhoods, Ospedale S. Spirito in Sassia, medieval villages. Read at: http://www.calameo.com/read/00428374795e66c28e33e Gaëlle Granier, Alexia Lattard, Florence Mocci, Titien Bartette, Carine Cenzonz-Salvayre, Céline Huguet, The role of a funerary space in the construction of a ritual landscape: the domanial necropolis of Richeaume XIII, near Aquae Sextiae (France) At the eastern end of the Aix-en-Provence territory (antique Sextiae Aquae), on the southern foothills of Mount Sainte-Victoire, the ancient Domaine Richeaume includes the remains of a vast Roman agricultural domaine; the villa (Richeaume I) and its burial space (Richeaume XIII) have been the object of extensive fieldwork. The creation of the different zones (production, residential housing, burial space) across this domaine reflects the structure and the organization of this landscape. The burial space at Richeaume XIII comprises 43 funerary structures, broadly grouped into two chronological phases: the first to the middle of the third centuries AD, and the second half of the third to the seventh century AD. The first phase of occupation is characterized by the exclusive use of cremation, except for the very young infants. The key element on the site is a large monument, around and within which the Early Imperial funerary elements were situated. During Late Antiquity and Early Middle Age, the southern part of the necropolis was still used. The monument retains an important role in the landscape despite the abandonment of his funeral service. Research at the site was situated within a framework assessing ritual and gesture and is therefore interdisciplinary in nature: common protocols across physical anthropology, archaeo-anthracology and archaeo-thanatology, along with other specialisms (archeology, ceramology, paleobotany, architecture, geomorphology, etc...), with a view to identifying common human gestures. The

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recognition of the function and nature of the archaeological structures allowed us to define the ritual landscape and suggests variability and complexity in practices across this burial space. This collaboration contributes to the reconstruction of the funerary landscape. The visual prominence of the monument, along with the funerary terrace, are dominant elements in the ritual landscape. Moreover, the various stages in the funeral rites on this site have been identified and allow us to infer the visual, audible and olfactory experiences associated with cremation. All of these elements reflect very specific choices regarding location of the site and the burials. Our study reflects the proliferation of memorial sites and places, as well as the ritual importance of the monument, designed as a funerary garden whose operation is similar to that of a mausoleum. It allows to determine the parameters leading to its inclusion in the domanial landscape. The multiplicity of funeral rites in the Roman world is thus revealed by this interdisciplinary strategy. This approach also implies extreme complexity in Roman ritual landscapes. We also contrast our evidence with evidence provided by written sources. English Abstract The ancient Domaine Richeaume includes the remains of a vast villa (Richeaume I) and its burial space (Richeaume XIII).The burial space at Richeaume XIII comprises 43 funerary structures, broadly grouped into two chronological phases: (Ist-IIIrd c. AD and IIIrd-VIIth c. AD). The first phase is characterized by the exclusive use of cremation, except for the very young infants. The key element on the site is a large monument, around and within which the Early Imperial funerary elements were situated. Research at the site was situated within a framework assessing ritual and gesture. The recognition of the function and nature of the archaeological structures allowed us to define the ritual landscape. The visual prominence of the monument is a dominant element in the ritual landscape. Moreover, the various stages in the funerary rites have been identified and allow us to infer the visual, audible and olfactory experiences associated with cremation. Keywords Cremation, roman funerary practices, funerary monument, anthracology, southern France Read at: Marco Baldi, Verso la deificazione del sovrano: la ritualità funeraria nella Nubia meroitica

La celebrazione funeraria devota ai membri dell’élite meroitica (270 a.C. – metà IV secolo d.C.) si nutriva di rituali eterogenei tradenti il profondo sincretismo radicato nella realtà culturale del tempo. La penetrazione ellenistica, che in ambito mortuario si espresse con preminenza nell’importazione e imitazione di manufatti riutilizzati secondo le esigenze locali, piuttosto che nella diffusione di determinate prassi rituali, si accompagnò alla soverchiante impronta della tradizione faraonica, che mantenne vigore nella Nubia coeva grazie alla forza del retaggio napateo (inizi VIII secolo – 270 a.C.). Nell’incontro con il vivace contesto locale, la rielaborazione delle differenti influenze allogene da parte dell’esperto clero indigeno portò in campo funerario all’adozione di originali scelte rituali, divenute identitarie della tanatologia meroitica. Esse trovano divulgazione preminente nelle iconografie delle cappelle reali e nobiliari, nonché delle ricorrenti tavole d’offerta, oltre che in manufatti, talora accompagnanti il defunto, che ne attestano la reale esecuzione.

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L’intervento proposto vuole focalizzare la propria attenzione sul complesso dei riti volti ad assicurare la deificazione del sovrano, che la teologia meroitica trasfigurava identificandolo quale nuovo Osiride. Fonti iconografiche e materiali evidenziano come il defunto venisse sacralizzato mediante la medesima ritualità riservata alle statue divine in ambito templare, destinatarie di offerte quotidiane e onorate da una cerimonialità che ne ribadiva la natura metafisica. I rilievi funerari, laddove il sovrano gode in più casi della protezione di Iside alata, enfatizzano la profusione di offerenti, sovente incarnati da divinità secondo una consuetudine propriamente nubiana, recanti omaggio al defunto; egli è destinatario di effluvi d’incenso e onorato da libagioni di acqua e latte, quali atti che ne evidenziavano la natura divina. Analoghe libagioni erano riproposte nelle tavole d’offerta, che costituivano complemento estremamente comune delle sepolture elitarie, e vedevano l’atto dedicatorio performato generalmente da Anubi e da una divinità femminile, Nepthys o Iside in primis. L’unzione del corpo mediante unguenti e oli profumati aveva funzione purificatrice costituendo tappa della divinizzazione del defunto. I manufatti funzionali all’esecuzione di tali rituali erano parte integrante del corredo delle tombe reali nonché di quelle aristocratiche, che riproducevano in molti casi le sepolture dei sovrani, seppur con dimensioni minori e più modesto apparato decorativo, nella speranza di condividerne il destino ultraterreno. Il vasellame per le libagioni e i contenitori delle essenze profumate, che ne hanno talvolta conservato tracce, erano spesso collocati vicino gli uni agli altri, in prossimità della testa del defunto, a evidenziare forse un collegamento fra i due riti, che vedevano reciprocamente ampliato il proprio valore. English Abstract The Meroitic kingdom dominated the Nubian territories from the third century BC to the fourth century AD. Kings and queen were buried in pyramids having rich iconographical programmes, that visualize the transfiguration of the dead in a divine being. Manifold rituals, accurately chosen by the expert local priesthood and whose real making is confirmed by grave goods, allowed to the dead to pass successfully from the Underworld to the divine status as new Osiris. The scenes reporting the different phases of the deification process reveal the syncretic nature of the Meroitic religion, which was the result of a well thought-out mixture of Napatan heritage, local beliefs and Hellenistic influx. Keywords Meroitic funerary religion, Egyptian-Nubian syncretism, Osiris rituals, mortuary reliefs, divine transfiguration of the royal members. Read at: http://www.calameo.com/read/0042837470e4e16cf3426 Giulia Pedrucci, L’ambiguità del latte, bevanda dei morti

Il latte è un cibo antico e universalmente diffuso, che ci alimenta dalla nascita. Nonostante ciò, soltanto una ristretta percentuale della popolazione terrestre lo beve: il latte animale (compreso quello umano) è forse il cibo più controverso in assoluto. Le qualità del latte e i rischi ad esso connessi sono da sempre dibattuti, e il latte da sempre viene sia demonizzato come veleno bianco che esaltato come bianco elisir. Limitando la nostra ricerca al mondo greco, parte della sua ambiguità la deve indubbiamente alla sua natura: il latte, infatti, a partire dai testi ippocratici e aristotelici in poi è considerato sangue mestruale cotto. Unendo informazioni ricavate dai testi medici a quelle presenti in testi di varia

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natura, scopriamo che il latte era considerato bevanda adatta soltanto per bambini, uomini, anziani, malati e barbari: tutte categorie portatrici di una o più alterità rispetto all’uomo cittadino adulto sano. Ed era anche un liquido per entrare in comunicazione con il mondo “altro” per eccellenza: quello dei morti. Il latte, infatti, era l’ingrediente principale delle choai, di solito composte da latte e miele (melikraton), oppure da latte, miele, vino e talvolta acqua; ma il latte poteva talvolta essere l’unico liquido versato. Il melikraton veniva offerto, inoltre, alle Erinni. Sono celebri i passi in cui Odisseo prega i defunti prima di scendere nell’Ade, offrendo prima miele con latte, poi vino e poi acqua; oppure la scena in cui Ifigenia, come l’Elettra delle Coefore, guida il coro all’offerta di vino, latte e miele, ma per un morto qui soltanto sognato, su una tomba che non c’è. Questo utilizzo è verosimilmente da connettere con le virtù calmanti del latte, che ci introducono all’altra “faccia” della bianca bevanda, normalmente associata al candore, alla purezza, alla vita e alla rinascita. Per questa ragione probabilmente troviamo il latte in alcuni riti orfici. Segnaliamo in particolare l’usanza, testimoniata in Magna Grecia, di “battezzare” gli eriphoi, cioè gli iniziati che hanno raggiunto il livello più alto, con il latte. Dalle medesime zone proviene un numero elevato di terrecotte, dette di Medma, che potrebbero rappresentare iniziati,ritratti con sembianze infantili, mentre sono attaccati (o, come recita un inno orfico scritto su una tavoletta rinvenuta nei pressi di Sibari del IV secolo a.C. circa, soltanto appoggiati) al seno di Kore-Persefone. Lo scopo del presente contributo è, pertanto, quello di indagare che ruolo ha il latte all’interno della “corrispondenza di amorosi (non sempre) sensi” fra vivi e morti nel mondo greco,a partire da una riflessione sulla natura di questo liquido straordinariamente ambiguo. English Abstract Milk is an ancient and universal food, sustaining us from birth. However, only a small percentage of the world’s population drinks milk: Animal milk is probably the most controversial of foods. Milk’s qualities and associated dangers have been debated since the dawn of civilization, which has resulted in milk being demonized as “white poison” or exalted as “white elixir”. As concern Greece, from the sources, we gain the impression that there was a heated debate on milk as an ailment, probably because of its hemogenesis from the menstrual blood. Indeed, some sources seem to suggest that the milk as an aliment was indicated only for children, women, old and/or sick people and barbarians: These are all categories of otherness, not fully civilized people. A healthy young citizen was not supposed to drink milk (even if he probably did sometimes in his everyday life), but it could be used in magic or medical potions. Moreover, it was used to prepare libations for dead people. Keywords Milk, libations, dead people, funerary practices, ancient Greek world Read at: http://www.calameo.com/read/004283747a2fe284f6e19 Stefania Paradiso, Tracce di un rituale: la libagione come nutrimento dei morti

Il presente contributo intende focalizzare l’attenzione su due classi di materiali, i rhyta e i vasi zoomorfi, attraverso i quali si esprimono i gesti e le pratiche rituali delle cerimonie funebri nei contesti archeologici della Siria del Bronzo Tardo. Nello studio del paesaggio rituale, se pure il manufatto rappresenta una piccola maglia di un più ampio tessuto, esso veicola la comunicazione tra i vivi e i morti, poiché ne rappresenta l’evidenza tangibile. Le azioni dell’uomo definiscono una

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dimensione attiva che si manifesta nella cultura materiale, il cui studio conduce alla ricerca di codici che si concretizzano nel manufatto. Il rapporto che l’uomo instaura con il mondo dei defunti è tra gli elementi fondanti il culto, che si manifesta nella forma di riti. Culturalmente il rito è una via di comunicazione tra il referente, rappresentato dal defunto, e l’attore, ossia l’uomo. L’aspetto più diffuso dei riti cultuali è il sacrificio, che si esplica attraverso offerte alimentari, libagioni, sacrifici animali e offerte di incenso. L’uomo per compiere gesti rituali si avvale di supporti materiali, per contenere le offerte o essere essi stessi presentati come dono. Il sacrificio in antico era inteso come l’atto di nutrire, e tra le varie espressioni,la libagione consisteva nell’offerta sacrificale di liquidi: un modo per istaurare un dialogo tra i vivi e i morti. La sua importanza risiede nel gesto di versare all’interno di un buco scavato nel suolo, o anche su altari, stele, oggetti cultuali, vittime sacrificali o per terra. I liquidi versati, oltre alla naturale funzione “nutritiva”, assunsero nel tempo anche una valenza simbolica. Tra le sostanze utilizzate per libare, un ruolo preminente era rivestito dalle bevande fermentate, in particolar modo dal vino. In ambito religioso e cerimoniale, l’olio e l’acqua possedevano un alto valore simbolico tanto da essere ritenuti anche un efficace elemento di purificazione. I centri di Ugarit e di Mine el-Beid, qui presentati come casi-studio, hanno fornito importanti elementi per la ricostruzione del paesaggio rituale e il rapporto vivi-morti: elementi della cultura materiale ci parlano dell’atto rituale officiato sia nei luoghi della deposizione, sia negli spazi della quotidianità destinati alla memoria rituale del defunto. Nel sito di Minetel-Beida è stata indagata un’area di depositi votivi, connessa aduna cisterna che ha restituito molti scheletri d’infanti e un edificio con altare di forma ovoidale in pietra, ai piedi del quale sono stati raccolti ciottoli, pesi e rhyta. Nello stesso sito, nell’area della necropoli sono stati individuate diverse tipologie di rhyta, utilizzati durante i rituali funerari. Vasi zoomorfi provengono dalle sepolture della città di Ugarit: la forma animale aveva un alto significato simbolico associato alle pratiche rituali ripetute durante la prassi libatoria. Ad Ugarit la cavità sacrificale, nell’ambito del culto privato degli antenati, accoglieva le offerte libate destinate a nutrire i defunti, e a consentire la comunicazione con essi. English Abstract During the Late Bronze Age, it was usual in Ugarit for the living and dead to remain in close proximity. Houses were homes for both the living and the dead, with mausoleums occupying chambers under the house. The builders put wall apertures in place for grave goods, as ceramics, glass, zoomorphic vases, rhyta. Some of Ugarit’s many religious records suggest possible reasons why families kept their dead so close. To the people of Ugarit, theis ancestors were not dead and gone; they had merely evolved to another state. In the city of Ugarit the ritual texts provide information about the kinds of liquid and instruments that were used during the libation. The literary material of Ugarit offers a diverse picture of libation practice in the ancient city. The liquid used was usually wine, but water and oil too. They were poured out of rhytons; they were poured into any sort of vessels, or into various receiving tibes/channels, or directly onto the floor. Keywords Ugariy city of Syria, libation offerings, rhyta, zoomorphic vases, intramural burials. Read at: http://www.calameo.com/read/0042837476b7b06223846

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Federica Maria Riso, Rossella Rinaldi, Marta Bandini Mazzanti, Giovanna Bosi, Donato Labate, Primi dati sulle offerte vegetali della necropoli romana dell’area archeologica Novi sad a Modena A partire dal 2009 è stata indagata a Modena una vasta zona archeologica venuta alla luce quando sono iniziati i lavori per la costruzione del grande parcheggio interrato nell’area denominata “Novi Sad”. Dagli strati di età romana è emerso, perfettamente conservato, il tracciato di una strada in grossi ciottoli fluviali, in uso dalla tarda età repubblicana al tardo antico1. La strada era fiancheggiata da una vasta necropoli e complessivamente sono state scavate diverse centinaia di tombe di età romana, alcune con più deposizioni, per un numero complessivo di 327 sepolture2. Dalle aree funerarie del Novi Sad sono stati prelevati campioni per le analisi carpologiche dai contesti datati dal I al III/IV sec. d.C. Alcuni materiali erano stati prelevati a vista dagli archeologi in fase di scavo (su 21 tombe per lo più a incinerazione e 2 recinti funerari) ma in alcuni casi(per 7 tombe a incinerazione e 3 a inumazione, una terra di libagione e un probabile scarico rituale) è stato possibile avere campioni volumetrici (da 0,1 a 25 litri per contesto). I campioni sono stati analizzati presso il Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Modena e Reggio Emilia3.Sono stati isolati 1669reperti carpologici (276 dai contesti campionati a vista e 1393 dai campioni volumetrici) con uno stato di conservazione discreto, divisi in 45 taxa. Quasi la totalità dei reperti si presentano carbonizzati, a sostegno del loro legame con i riti funerari. Le tombe che presentano maggiori reperti carpologici sono quelle a incinerazione del I sec. d.C. Sono dominanti le piante coltivate/coltivabili (20 taxa, oltre 90% dei reperti): cereali (orzo e grani nudi), legumi (cece, lenticchia, pisello, favino, vecce), frutta (nocciole, fichi, noci, datteri, pesche, uva) e alcune ortive/condimentarie (finocchio, zucca da vino, porcellana). Le piante coltivate sono soprattutto specie di possibile coltura locale, delle quali è ampiamente documentata la presenza e il consumo nella regione e a Mutina in età romana4. L’attestazione di alcuni alimenti, in particolare il favino (l’elemento più abbondante), oltre a fichi e datteri, ha sicuramente un significato rituale; questi vegetali erano probabilmente selezionati per il loro pregio e significato simbolico, ma forse anche per il fatto di essere disponibili in ogni momento dell’anno nella forma essiccata, fatto che potrebbe aver favorito la ripetitività prevista nei gesti rituali. Complessivamente i dati conseguiti dalle analisi carpologiche delle tombe del Novi Sad sono in linea con quelli ottenuti dalle analisi di altre necropoli romane del Nord Italia: la frutta, coltivata e spontanea, è generalmente il ritrovamento più comune e abbondante, con uva, noci, datteri, fichi, nocciole, pinoli e pesche; seguono i cereali, rappresentati soprattutto da orzo e grani nudi, e legumi, tra i quali il favino è il più frequente5.Gli elementi vegetali sembrano quindi essere sempre una componente sostanziale e imprescindibile del convivium, simbolico nella sua valenza di atto di comunione tra i convenuti ai banchetti. I recenti scavi in necropoli romane e la crescente attenzione verso le tracce archeologiche più esigue, associata al progressivo affinamento delle tecniche di scavo6, ha permesso di individuare con sempre maggior frequenza la presenza di labili tracce sparse sui piani di calpestio, tracce relative agli esiti della frequentazione delle necropoli. L’importanza di questi tipi di rinvenimenti è decisiva, poiché essi riflettono direttamente le procedure di seppellimento e le azioni che accompagnavano la frequentazione rituale delle aree sepolcrali:

1LABATE, LIBRENTI, PELLEGRINI, PULINI2010 2LABATE, LIBRENTI, MARCHI, MAZZONI 2012 3RINALDIet al., in stampa. 4RINALDI, 2010; RINALDIet al., 2013; BOSI et al., 2015. 5ROTTOLI, CASTIGLIONI, 2011. 6 Si fa qui riferimento al metodo stratigrafico.

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esaminandoli con attenzione si possono dunque ricavare informazioni fondamentali per comprendere i comportamenti legati alle pratiche funerarie7. Le osservazioni che sono state riportate per il sito del Novi Sad sono una parte preliminare delle analisi archeologiche e archeobotaniche oggetto di un progetto di dottorato in corso presso il Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica con la collaborazione della Soprintendenza ai Beni archeologici dell’Emilia Romagna. La ricerca si prefigge di analizzare l’ideologia funeraria romana nelle sue numerose sfaccettature nel suburbio Mutinense,soprattutto attraverso lo studio dei resti archeobotanici e archeologici rinvenuti nei contesti di necropoli, dove si possono riconoscere consistenti tracce delle offerte legate al culto funerario. I residui di pasto, i balsamari, le lucerne e gli utensili da mensa spesso sono sparsi e frammentati sul terreno come testimonianza del rituale della circumpotatio; associati e comparati ai materiali di corredo, questi elementi integrano la documentazione “ideologica” dei rituali esterni8.Le tombe prese in considerazione per questo studio sono quelle delle necropoli urbane e suburbane (già indagate o scavate nel prossimo futuro) a Mutina e nell’agro mutinense; per l’ambito urbano la necropoli del Novi Sad rappresenta la più importante fonte d’informazioni grazie alla restituzione di centinaia di tombe. Il progetto di dottorato si propone quindi di ottenere un quadro conoscitivo il più articolato possibile sugli usi funerari romani nel territorio modenese, inquadrando tutti i dati raccolti nel loro contesto cronologico, territoriale, culturale e sociale. Sarà importante delineare un quadro comportamentale standard oppure le ripercussioni che i vari processi di sviluppo ideologico e sociale hanno avuto sul rapporto con la morte, soprattutto in alto e media età imperiale, considerando le differenze tra aree urbane e suburbane. Le manifestazioni culturali legate al funus, infatti, non si prestano a univoche generalizzazioni, dal momento che sono caratterizzate da un’evidente variabilità derivata da motivazioni di natura cronologica, territoriale, sociale e culturale9.

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7ORTALLI, 2011. 8SCHEID 2008. 9RISO 2014

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RINALDI, BOSI, BANDINI MAZZANTI (IN STAMPA): R. RINALDI, G. BOSI, M. BANDINI MAZZANTI, “Offerte vegetali nei contesti funerari, in Parco archeologico NoviArk. Ricerche interdisciplinari di archeologia urbana nel suburbio di Modena romana e medievale (IX a.C.-XVII d.C.)”, in D. LABATE, L. MALNATI (a cura di), Quaderni dell’Emilia Romagna.

Riso 2014: F. Riso, La festa dell’addio, 2014. ROTTOLI, CASTIGLIONI 2011: M. ROTTOLI, E. CASTIGLIONI, “Plant offerings from Roman cremations in northern Italy: a

review”, in Vegetation History and Archaeobotany 20, pp. 495-506. SCHEID 2008: J. SCHEID, Pour une archéologie durite. Nouvelles perspectives de l’archéologie funéraire. English Abstract The excavation of the Novi Sad site in Modena brought to light a necropolis dated from the I to the IV century AD. The purpose of the research is to analyze archaeological and archaeobotanical remains in order to make a wider and complete framework of which kind of foodstuffs and offers were common in graves, what they represent and which was the symbolism related to death in juxtaposition with life. Ritual offerings were widespread especially in three principal phases of the ceremony: the libation, the funeral meal and the gift to the dead. Seeds and fruits, that were collected from archaeological layers, are the most direct evidence delivered by botanical remains of the after-death rituals. In particular, beans, figs and dates are frequent, certainly for the symbolic meaning. Keywords Funerary banquet, paleobotany, symbolic meal, funerary rituals, roman convivium

Read at: http://www.calameo.com/read/004283747c52a370b5032 Anamarija Kurilić, Zrinka Serventi, The caska necropolis – exceptions, rituals and “deathscapes” Caska, present-day settlement located within a deep cove on the island of Pag (Croatia), was most likely during the Roman period the ancient settlement of Cissa (Gissa), mentioned by Pliny the Elder. The island of Pag was inhabited by the people of Liburni and after the Roman expansion it was included in the province of Dalmatia. Nice and cosy Caska bay attracted the attention of one of the Rome’s most powerful senatorial families – the Calpurni Pisones, who most likely had their estates there and certainly made an impact on life and customs of its inhabitants during the early 1st century AD. The site is also important because of a complex Early Roman necropolis located at the southern end of the cove. This necropolis is truly an exceptional site for its complex grave constructions, unique in all Liburnia and province of Dalmatia, and with no known direct analogies elsewhere in the Roman world (which justify naming them as tombs of the Caska type): these tombs consist of two different layers of construction placed around the incinerated remains of the deceased and the grave-goods: the internal one, almost always of the alla cappuccina type (i.e. with tegulae and imbrices put in such a manner as to imitate a gabled roof), and the external one, rectangular and build of local stone and mortar, which was closely attached to the former. The top part of the latter – slightly smaller than the bottom part – was executed with greater care and most certainly was intended to be visible above ground and carry the tombstone. Furthermore, almost every such tomb had at least one profusion so stone structures and their profusions absolutely dominated the “deathscape” of the Caska necropolis. The complex structure of the Caska type tombs in itself should imply an elaborate and distinct funerary ritual. Furthermore, through profusions (quite uncommon in Liburnia and entire Province

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of Dalmatia) – which clearly indicate common libation rituals – the worlds of both the living and the dead interlaced. Apart from the profusions, necropolis in Caskadisplays remains of other potential rituals, which are rarely found in the territory of Liburnia, making them exceptional and unique for the aforementioned area (although some are attested at other necropolises throughout the province of Dalmatia and the Roman world in general). Such rituals are, in example, the placement of amphorae immediately by the grave or partly beneath it, which could also indicate the existence of libation rituals, rustic and almost unusable ceramic lamps deposited next to the deceased, which were most likely used only in sepulchral contexts, remnants of sepulchral meals within the graves (mostly seashells) or the procedure of cleansing of the burial space with fire before the placement of the cremated remains of the deceased. The most intriguing feature, possibly also linked with libation and/or some other ritual, can be observed in a circle made of 15 glass balsamaria placed beneath the urn bottom with their necks turned downwards. Therefore, in this contribution we shall extensively discuss the issue of the funerary landscape created by the Roman necropolis in the Caska bay and, at the same time, explore the occurrence and importance of funerary rituals present therein, but also in the context of territory of Liburnia and province of Dalmatia. English Abstract Caska, present-day settlement located within a deep cove on the island of Pag (Croatia), was most likely during the Roman period the ancient settlement of Cissa (Gissa), mentioned by Pliny the Elder. The island of Pag was inhabited by the people of Liburni and after the Roman expansion it was included in the province of Dalmatia. Nice and cosy Caska bay attracted the attention of one of the Rome's most powerful senatorial families - the Calpurni Pisones, who most likely had their estates there and certainly made an impact on life and customs of its inhabitants during the early 1st century AD. The site is also important because of a complex Early Roman necropolis located at the southern end of the cove. This necropolis is truly an exceptional site for its complex grave constructions, unique in all Liburnia and province of Dalmatia, and with no known direct analogies elsewhere in the Roman world (which justify naming them as tombs of the Caska type): these tombs consist of two different layers of construction placed around the incinerated remains of the deceased and the grave-goods: the internal one, almost always of the alla cappuccina type (i.e. with tegulae and imbrices put in such a manner as to imitate a gabled roof), and the external one, rectangular and build of local stone and mortar, which was closely attached to the former. The top part of the latter - slightly smaller than the bottom part - was executed with greater care and most certainly was intended to be visible above ground and carry the tombstone. Furthermore, almost every such tomb had at least one profusion so stone structures and their profusions absolutely dominated the "deathscape" of the Caska necropolis. The complex structure of the Caska type tombs in itself should imply an elaborate and distinct funerary ritual. Furthermore, through profusions (quite uncommon in Liburnia and entire Province of Dalmatia) - which clearly indicate common libation rituals - the worlds of both the living and the dead interlaced. Apart from the profusions, necropolis in Caska displays remains of other potential rituals, which are rarely found in the territory of Liburnia, making them exceptional and unique for the aforementioned area (although some are attested at other necropolises throughout the province of Dalmatia and the Roman world in general). Such rituals are, in example, the placement of amphorae immediately by the grave or partly beneath it, which could also indicate the existence of libation rituals, rustic and almost unusable ceramic lamps deposited next to the deceased, which were most likely used only in sepulchral contexts, remnants of sepulchral meals within the graves

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(mostly seashells) or the procedure of cleansing of the burial space with fire before the placement of the cremated remains of the deceased. The most intriguing feature, possibly also linked with libation and/or some other ritual, can be observed in a circle made of 15 glass balsamaria placed beneath the urn bottom with their necks turned downwards. Therefore, in this contribution we shall extensively discuss the issue of the funerary landscape created by the Roman necropolis in the Caska bay and, at the same time, explore the occurrence and importance of funerary rituals present therein, but also in the context of territory of Liburnia and province of Dalmatia. Keywords Cissa (Caska, island of Pag, Croatia), Roman necropolis, funerary rituals, libation, "deathscape"

Read at: http://www.calameo.com/read/00428374751127c1f417d Giovanna Montevecchi, Ravenna crocevia di popoli. Ritualità funeraria nelle necropoli di età imperiale romana Lo scopo della ricerca è quello di analizzare le abitudini funerarie della popolazione ravennate nei primi secoli dell’era imperiale romana: nel momento in cui la città era sede della flotta navale di tradizione augustea e numerose genti affluivano a Ravenna da varie parti dell’impero, soprattutto dai territori orientali. Il lavoro parte da una disamina degli scavi in necropoli effettuati negli ultimi decenni con valenza scientifica e con metodo stratigrafico; necropoli ricavate in un territorio molto particolare dal punto di vista geomorfologico e geografico, in cui le sepolture si localizzavano fuori dal centro urbano in spazi circoscritti corrispondenti ai cordoni sabbiosi relativi alle dune marine. I contesti di necropoli scelti costituiscono un campione esemplare per la comprensione degli aspetti funerari in uso a Ravenna in periodo cronologico circoscritto: la scelta del rito adottato (cremazione o inumazione); il tipo di sepoltura e struttura predisposta per la tomba; gli eventuali segnacoli; i sistemi libatori eventualmente presenti; l’analisi degli oggetti posti all’interno e all’esterno delle sepolture e connessi ai singoli atti del cerimoniale e fondamentali per la comprensione dei diversi momenti del rito; infine la possibilità di comprendere la frequentazione della tomba successiva al funerale. Il fine è quello di cogliere le peculiarità delle consuetudini ravennati, le eventuali inosservanze rispetto alla tradizione funebre del mondo romano e le variazioni nel corso del tempo fra prima e media età imperiale. A tal fine lo studio vuole proporre anche un sintetico confronto della cultura funeraria ravennate con quella di altre situazioni limitrofe: in particolare con il centro di Ariminum, in area costiera, e con il territorio centuriato cesenate, nell’entroterra agricolo romagnolo. English Abstract The research aims to analyze the funerary habits of the people of Ravenna in the early centuries of the Roman Empire: when the city was the base of Augustan military fleet and many people flocked to Ravenna from different areas of the empire. The contexts of necropolis we have chosen are a perfect example to help us to understand the funerary habits in Ravenna: the choice of ritual (cremation or burial); the kind of burial and the structure of the tomb; the presence of ‘segnacoli’; libatory systems; the analysis of the items placed inside and outside the burials, related to single acts of ceremonial who are fundamental to understand the different steps of the ritual.

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The aim is to catch the peculiarities of the customs of Ravenna and the changes over time between early and middle imperial age. Keywords Ravenna, cremation, curial, ritual, military fleet. Read at: http://www.calameo.com/read/0042837472eb82e862c12