andré salmon. alle origini della modernità poetica

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- i - Indice Premessa p. I Introduzione p. 3 I Un mondo a parte: aspetti del funzionamento del mondo letterario francese agli inizi del Novecento p. 9 I. 1. Tratti delle riviste d’avanguardia agli inizi del secolo p. 13 I. 2. Lo spazio delle riviste nel 1912: valori, modelli e gerarchie p. 18 II La prima serie delle “Soirées de Paris”: “une gazette à l’ancienne modep. 25 II. 1. La prima redazione delle “Soirées de Paris”: creatori e giornalisti p. 26 II. 1.1 I creatori della rivista: Apollinaire e Salmon p. 27 II. 1.1.1 Apollinaire p. 28 II. 1.1.2 André Salmon p. 37 II. 1. 2 I giornalisti p. 40 II. 2. La fondazione della rivista p. 44 II. 3. Posizione dei redattori e linea editoriale della rivista p. 52 II. 4. Apollinaire critico e poeta p. 57 II. 4.1 La produzione poetica di Apollinaire nella prima serie delle “Soirées de Paris” p. 62 II. 5. Influenza della rivista nella traiettoria di Apollinaire e degli altri redattori p. 76 III La seconda serie des “Soirées de Paris”: “une revue moderne à excèsp. 81 III. 1. I direttori p. 84 III. 1.1 Posizione di Apollinaire p. 87 III. 2. I principali collaboratori p. 91

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Indice

Premessa p. I

Introduzione p. 3

I Un mondo a parte: aspetti del funzionamento del mondo letterario francese agli inizi del Novecento p. 9

I. 1. Tratti delle riviste d’avanguardia agli inizi del secolo p. 13

I. 2. Lo spazio delle riviste nel 1912: valori, modelli e gerarchie p. 18

II La prima serie delle “Soirées de Paris”: “une gazette à l’ancienne mode” p. 25

II. 1. La prima redazione delle “Soirées de Paris”: creatori e giornalisti p. 26

II. 1.1 I creatori della rivista: Apollinaire e Salmon p. 27

II. 1.1.1 Apollinaire p. 28

II. 1.1.2 André Salmon p. 37

II. 1. 2 I giornalisti p. 40

II. 2. La fondazione della rivista p. 44

II. 3. Posizione dei redattori e linea editoriale della rivista p. 52

II. 4. Apollinaire critico e poeta p. 57

II. 4.1 La produzione poetica di Apollinaire nella prima serie delle “Soirées de Paris” p. 62

II. 5. Influenza della rivista nella traiettoria di Apollinaire e degli altri redattori p. 76

III La seconda serie des “Soirées de Paris”: “une revue moderne à excès” p. 81

III. 1. I direttori p. 84

III. 1.1 Posizione di Apollinaire p. 87

III. 2. I principali collaboratori p. 91

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III. 3. Ruolo dei direttori nella pubblicazione p. 95

III. 4. Strategia della rivista p. 98

III. 5. Un lento processo di elaborazione della modernità: i primi numeri della rivista p. 103

III. 6. Evoluzione poetica di Apollinaire p. 113

III. 7. “Il faut être absolument moderne” p. 120

III. 8. “Et nombre de poèmes parus dans cette revue n’étaient que des efforts pour pénétrer les arcanes de cette synthèse” p. 136

III. 9. Esiti della rivista p. 144

III. 10. “Les Soirées de Paris” nel circuito transnazionale dell’avanguardia p. 153

III. 11. Effetti su Apollinaire e sugli altri collaboratori p. 157

Appendice p. 163

Bibliografia selettiva p. 227

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PREMESSA

Lo studio delle riviste, per quanto possa essere vario e promettente, spesso presenta difficoltà pressoché insormontabili, soprattutto a causa delle diverse voci dei loro collaboratori, dei frequenti e talvolta confusi cambiamenti di orientamento.

Pur consapevole di queste generali difficoltà ampiamente provate, Maria Dario, alla quale si devono indagini penetranti e significative come quella incentrata su André Salmon, non ha esitato ad affrontarle, incoraggiata dalla giusta convinzione che una rivista come “Les Soirées de Paris” abbia avuto specificità tali da consentirne un esame capace di portare a risultati di rilevante interesse per chiunque desideri fare ingresso nei problemi concreti e vivi dell’avanguardia francese e transnazionale al suo primo apparire.

Le due serie della rivista riguardano infatti i tre anni (1912-1914) che si sono rivelati determinanti per l’affermazione dell’avanguardia artistica e letteraria europea. Dopo avere puntualmente contestualizzato “Les Soirées de Paris” nel variegato panorama delle manifestazioni letterarie e artistiche dell’epoca, la Dario si è addentrata nell’analisi della rivista, in particolare mettendo in luce l’attività e le principali caratteristiche dei singoli collaboratori. Ha potuto in tal modo accertare la sostanziale differenza fra le due serie: mentre la prima si muove con scarsa coesione, con incertezze e ambiguità soprattutto a causa del-l’influenza moderatrice che vi esercita André Billy, la seconda, che raccoglie i migliori ingegni già frequentatori del celebre Bateau Lavoir (autentica culla del-l’arte moderna), ha praticamente in Apollinaire l’unica rispettata guida (Serge Jastrebzof, che si firma Jean Cérusse ed è con Hélène d’Œttingen il finanziatore della rivista, si occupa quasi esclusivamente dell’aspetto iconografico).

Chi ha studiato Apollinaire in rapporto al rinnovamento rappresentato dal-l’avanguardia ha finora concentrato la sua attenzione su Alcools e sulle Méditations esthétiques. Les Peintres cubistes, due libri pubblicati nel 1913. Ha ragione Maria Dario a dire che esiste un’altra fondamentale “opera” di Apollinaire che ci consente di cogliere nella sua effettiva progressione la particolare elaborazione della poesia di Apollinaire nel momento in cui si afferma l’avanguardia europea: quest’“opera” è appunto la seconda serie delle “Soirées de Paris”. Le poesie che Apollinaire vi pubblica via via nei vari fascicoli

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possono essere osservate nella loro necessità in rapporto con la riflessione estetica e nella loro interazione con quanto nello stesso tempo vanno facendo altri artisti e poeti a lui vicini o in opposizione. Ciò è estremamente interessante e istruttivo. I componimenti poetici che il lettore leggerà nella raccolta Calligrammes (pubblicata nel 1918), specie quelli delle sezione iniziale “Ondes” (ben pochi ebbero modo di conoscere il libriccino Case d’armons, ciclostilato al fronte nel 1915), hanno nelle “Soirées de Paris” la loro collocazione più necessaria, quella che ne consente una comprensione dinamicamente collegata a un contesto in rapida evoluzione negli anni che immediatamente precedono il conflitto mondiale.

I risultati a cui giunge il lavoro di Maria Dario consentono anche, a mio parere, di mettere meglio a fuoco un problema di fondo che sta alla base dei contrasti che agitarono il mondo delle prime avanguardie. Mi riferisco al radicale divario fra l’idea che orientava Marinetti per il significato da attribuire al suo futurismo (movimento collettivo di natura essenzialmente politica: “Un grande movimento di energie e di eroismi intellettuali, nel quale l’individuo è nulla, mentre la volontà di distruggere e rinnovare è tutto”, ribadiva in “Lacerba” il 15 agosto 1913) e il valore dell’opera d’arte esteticamente apprezzabile dei singoli artisti, valore peculiare della tradizione occidentale sostenuto e difeso da quanti non volevano rinunciare al modello orfico, fondato sulla natura eccezionale, ricevuta per nascita, del genio, cantore solitario e malinconico. Soffici e Papini accolsero nella loro “Lacerba” i futuristi marinettiani col preciso intento di convertirli alla loro concezione orfica mascherata di futurismo. Il fallimento dell’operazione fu la principale ragione della rottura fra i due gruppi attivi in “Lacerba”. Apollinaire, per parte sua, adottò a Parigi una strategia più accorta e apparentemente aperta se non ambigua (si pensi al suo manifesto dell’Antitradition futuriste). L’opportunità del suo comportamento l’aveva chiarita in una lettera a Soffici del 19 dicembre 1911, non molti giorni prima che cominciasse l’impresa delle “Soirées de Paris” (febbraio 1912). A Soffici che aveva negativamente giudicato l’“arte” di alcuni pittori cubisti come Léger o Le Fauconnier così aveva risposto Apollinaire:

… ne croyez-vous pas que pour qu’une conception artistique nouvelle puisse s’imposer, il soit nécessaire aux choses médiocres de paraître en même temps que les sublimes. De cette façon, on peut mesurer l’étendue de la nouvelle beauté. C’est pour cela et en faveur des grands artistes comme Picasso par exemple que je soutiens Braque et les cubistes dans mes écrits, car poursuivre la condamnation générale des uns ce serait faire la critique particulière d’un talent qui ne mérite que d’être encouragé.

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Accogliendo nelle “Soirées de Paris” (seconda serie) scrittori e artisti dell’avanguardia europea (francesi, russi e italiani), Apollinaire cercava appunto d’incoraggiare un’estetica nuova intendendo nello stesso tempo affermare la sua irrinunciabile consacrazione orfica, che molto probabilmente in quel momento gli doveva apparire essere adeguatamente onorata in forme realmente nuove soltanto da Picasso e da lui stesso, magari aggiungendovi un altro (“Nous ne sommes que deux ou trois hommes/ Libres de tous liens/ Donnons-nous la main”, proclamava in Liens, così poi un po’ ronsardianamente rincarando nelle Collines: “Je dis ce qu’est au vrai la vie/ Seul je pouvais chanter ainsi/ Mes chants tombent comme des graines/ Taisez-vous tous vous qui chantez/ Ne mêlez pas l’ivraie au blé”). Non a caso il grande movimento artistico europeo che egli intendeva creare si sarebbe dovuto denominare orphisme. Maria Dario ha sottolineato assai bene con quale costante e autorevole presenza, pure a rischio di rimanere isolato, la “personalità poliedrica” di Apollinaire si fosse riflessa nella rivista, che certamente fu un “laboratorio collettivo di idee”, ma pur sempre controllato con duttile fermezza dal poeta, Orfeo della modernità, della “nouvelle beauté”. Con le “Soirées de Paris” in certo senso Apollinaire proseguì con più concreti mezzi il Bestiaire ou Cortège d’Orphée in cui nel 1911 aveva dato singolare voce poetica alle incisioni di Raoul Dufy. L’impegno profuso nelle “Soirées” a favore della civiltà occidentale nei suoi irrinunciabili valori si protrasse per Apollinaire negli anni seguenti, durante la guerra, quando per lui si sarebbe trattato di combattere per difendere – come si legge in una sua lettera, ancora a Soffici, del 23 maggio 1915 – la “terre natale de beauté et de raison” (ossia, nella sua visione, la terra orfica) e quando il serio pericolo di un’invasione di innumerevoli icari (un mostruoso sciame di formiche con le ali, s’intenda futuristi e dadaisti) lo indusse a scrivere una delle sue più intense e più drammatiche poesie, La Victoire (1917).

Maria Dario ci introduce con intelligenza, con equilibrio e sicura competenza in quello che fu senz’altro il più significativo laboratorio teorico e poetico di Apollinaire in anni cruciali per tutta l’arte moderna, appunto “Les Soirées de Paris”, e direi che questo suo nuovo libro si viene degnamente ad affiancare con apporti critici di grande interesse all’importante opera nella quale Claude Debon ci ha recentemente consegnato in edizione critica la raccolta Calligrammes con tutti gli stati manoscritti delle poesie in essa contenute.

Mario Richter

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Introduzione

“Les Soirées de Paris” (1912-1914) rappresentano un caso esemplare tra le riviste letterarie di inizio secolo: eclettica e moderata nel momento della sua fondazione, la pubblicazione divenne nel corso della sua breve esistenza una delle voci più originali dell’avanguardia internazionale, influenzò l’evoluzione del gusto e delle idee e consacrò la fama del suo direttore, Guillaume Apollinaire.

Come spiegare la riuscita di questa “petite revue”1 che niente, all’inizio, di-stingueva dalle altre nella proliferazione delle pubblicazioni letterarie dell’epoca? E come spiegare la contemporanea affermazione di Apollinaire nella situazione di aspra rivalità tra i poeti che caratterizza la vita letteraria alla vigilia della guerra?

Lo studio delle “Soirées de Paris” presenta diversi motivi di interesse nel quadro di una ricerca su questo autore e, più in generale, per quanto riguarda la letteratura dell’avant-guerre. L’epoca della rivista coincide in effetti con un perio-do fecondo nell’evoluzione artistica di Apollinaire durante il quale riunisce in Alcools e nei Peintres cubistes (1913) la maggior parte della sua produzione poetica e della critica d’arte composta fino ad allora ed elabora “une esthétique toute neuve dont je n’ai plus retrouvé plus les ressorts”, all’origine di creazioni speri-mentali come i “poèmes-conversation” e gli ideogrammi lirici.

Dal Pont Mirabeau (“S.P.” n. 1, febbraio 1912) alla Lettre-Océan (“S.P.” n. 25, giugno 1914) sino ai calligrammes (“S.P.” nn. 26-27, luglio-agosto 1914), “Les Soirées de Paris” rappresentano nei loro sommari i momenti più significativi di questa intensa attività perché Apollinaire crea per la rivista e le destina la mag-gior parte delle poesie e della critica d’arte che compone in quegli anni. Così questa pubblicazione ci sembra un punto di vista interessante per rileggere l’o-pera di Apollinaire in questa fase e seguire la sua evoluzione giorno dopo gior-no e nel suo contesto, ricostituendo in un insieme unitario la produzione e l’im-magine del poeta “écartelé” dalla critica.

“Primavera d’orgasmo e d’attesa che precedette lo scoppio del conflitto eu-ropeo2”, la stagione delle “Soirées de Paris” si situa in un momento particolar-

1 L’espressione “petite revue” è stata usata da R. de Gourmont nel saggio su Les Petites Revues. Essai de bibliographie, Paris, Librairie du Mercure de France, 1900, riedizione Paris, Ent’revues, 1992.

2 G. de Chirico, La Mostra personale di Ardengo Soffici a Firenze, “Il Convegno”, luglio 1920.

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mente intenso della vita dell’avanguardia, quando la sfida per la definizione dei nuovi valori letterari raggiunge dimensioni parossistiche e incita i futuristi, Bar-zun, Cendrars, Apollinaire ad esplorare le molteplici vie della modernità. Tale sfida si svolse soprattutto nelle pagine delle riviste che divennero gli organi e le voci di questo rinnovamento. Meglio delle opere individuali, pubblicazioni quali “Les Soirées de Paris”, “Montjoie!”, “Poème et Drame”, che furono il terreno privilegiato di confronto di questa modernità, ci restituiscono con immediatezza il fervore delle sperimentazioni che caratterizza questa straordinaria epoca arti-stica. L’evoluzione delle “Soirées de Paris” costituisce un caso esemplare in questo contesto, perché ci mostra il travaglio del mondo letterario dell’avant-guerre, erede del simbolismo, alla ricerca delle forme e dei modi per ripensarsi nelle forme della contemporaneità.

Per l’insieme dei collaboratori, che figurano tra le personalità più interessanti della letteratura e dell’arte del momento (citeremo Max Jacob, Cendrars, Savi-nio, e per la parte iconografica, Picasso, Braque, Derain, Léger, Picabia, Matisse, Archipenko…), la rivista si pone al centro delle problematiche più avanzate dell’epoca non solo sul piano letterario ma anche su quello artistico, musicale, teatrale, incoraggiando soprattutto l’esperienza creativa. “Les Soirées de Paris” si distinsero inoltre per la valorizzazione delle arti minori come il cinema e la letteratura popolare, legittimandole come fenomeni culturali. Di fatto la rivista non è semplicemente l’espressione dei valori della modernità3, “un creuset et un carrefour des arts”4 ma un vero laboratorio creativo che presiede all’ela-borazione dei nuovi orientamenti artistici. Dalla prima alla seconda serie, la co-struzione dell’immagine modernista delle “Soirées” può essere considerata il risultato finale di un processo che ha interessato la rivista e i suoi redattori.

La storia breve ma significativa delle “Soirées” si svolge in effetti nell’ambito di due serie; la prima dal febbraio 1912 al giugno 1913 (numeri 1-17), la secon-da serie dal novembre 1913 al luglio-agosto 1914 (numeri 18-26/27), serie di-stinte per redazione, organizzazione e linea editoriale, in cui Apollinaire costi-tuisce l’unico legame tra le due fasi.

La prima redazione è una manifestazione concreta della solidarietà espressa ad Apollinaire dopo l’affaire della Gioconda da un gruppo di amici, scrittori e giornalisti come lui (André Billy, André Salmon, René Dalize, André Tudesq).

3 N. Blumenkranz-Onimus, “Les Soirées de Paris ou le mythe du moderne”, in L’Année 1913. Les formes esthétiques de l’œuvre d’art à la veille de la première guerre mondiale, Paris, Klincksieck, 1971.

4 Cfr. Isabel Violante Picon, “Les Soirées de Paris (1912-1914): du cubisme au surréalisme en pas-sant par le futurisme”, in Futurisme et surréalisme, Lausanne, L’Age d’homme, 2008, p. 35.

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In effetti il piccolo nucleo si mostra alquanto eterogeneo quanto alle intenzioni che presiedono alla fondazione della rivista e l’impresa comune si rivelerà pre-sto una illusione a breve scadenza. A causa di queste differenze Apollinaire, quasi completamente isolato nella redazione, non riesce a imporre il suo proget-to e “Les Soirées de Paris” si caratterizzano allora per una linea editoriale mo-derata ed eclettica; la sola presenza di Apollinaire non basta a far emergere la rivista nella profusione di pubblicazioni che affollano il panorama letterario contemporaneo, così che, abbandonata dai suoi stessi redattori, essa cessa le pubblicazioni nell’estate del 1913. Grazie al sostegno di due mecenati russi, il pittore Serge Férat e sua cugina, la baronessa Hélène d’Œttingen, Apollinaire poté riprendere la rivista nel novembre 1913 per farne l’organo delle tendenze più avanzate in poesia e in arte. Una nuova fase si apre allora nella storia delle “Soirées de Paris”: Apollinaire, il nuovo direttore insieme a Jean Cérusse (pseu-donimo allusivo all’identità dei mecenati russi), vi pubblicò le sue nuove crea-zioni sperimentali insieme a quelle di Max Jacob e Blaise Cendrars, sostenne ar-tisti discussi dalla critica (Archipenko, Picabia), lanciò debuttanti promettenti come Alberto Savinio e Mireille Havet e inaugurò con Maurice Raynal la prima cronaca regolare mai consacrata al cinema in una rivista letteraria. Lo scoppio della guerra interruppe bruscamente il fervore creativo delle “Soirées de Paris” che malgrado la loro breve esistenza lasciarono una traccia durevole nella storia letteraria e artistica dei primi decenni del secolo.

La riuscita della rivista è dunque strettamente legata all’affermazione del progetto di Apollinaire e al suo ruolo di primo piano assunto nella seconda fase della pubblicazione. Questa trasformazione ne fa, ci sembra, un oggetto significa-tivo per studiare le condizioni di produzione dei testi d’avanguardia e per la co-noscenza del ruolo che le riviste hanno svolto nella vita letteraria del XX secolo.

Generalmente gli studi dedicati alle riviste tendono a presentare la linea edi-toriale di una pubblicazione come la giustapposizione dell’insieme delle collabo-razioni. Nel nostro lavoro abbiamo cercato di adottare un approccio relazionale volto a considerare la rivista come una rete di rapporti con il circuito letterario in cui si inserisce, che determina a sua volta la posizione della pubblicazione al-l’interno dello spazio delle riviste. Questo principio ci sembra spiegare la forma e la linea editoriale della rivista come il prodotto costante di questa relazione tra la redazione, i collaboratori e il circuito letterario. Allo stesso tempo la pubbli-cazione, realtà collettiva, agisce come un piccolo campo di forza che orienta la traiettoria dei diversi membri della redazione, soprattutto di coloro che sono maggiormente coinvolti nel suo funzionamento. Come scrive Anna Boschetti, “c’est une véritable opération d’alchimie symbolique, qui peut transformer de

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façon décisive aussi bien la position de ceux qui la font que l’espace intellectuel, au point qu’il ne semble pas exagéré d’affirmer que les revues ont été, de fait, le ressort principal des changements qui se sont produits dans la vie culturelle et dans notre imaginaire au cours du siècle”.5 Così le sperimentazioni poetiche degli anni 1912-1914 risultano più comprensibili alla luce della rivista per le quali sono concepite e nella quale sono pubblicate. Meglio forse delle singole opere, più me-ditate, riviste come “Les Soirées de Paris”, “Poème et Drame”, “Montjoie!” in Francia, e “Lacerba” e “Der Sturm” all’estero ci permettono di seguire giorno dopo giorno l’evoluzione di un’epoca così feconda di trasformazioni nel contesto che la rese possibile; “on y voit – scrive Jean Paulhan che debuttò proprio nelle “Soirées de Paris con dei Poèmes malgaches6 – les lettres à l’état naissant”7.

Per cogliere la specificità di questa esperienza ci siamo sforzati di definire la posizione delle “Soirées” nello spazio contemporaneo delle riviste letterarie d’a-vanguardia, soprattutto in relazione a pubblicazioni come “Poème et Drame” e “Montjoie!”. Come scrive Chistopher Charle, le riviste “ne se comprennent que par la prise en compte de leur coexistence et concurrence”8 e, del resto, la ne-cessità di un approccio relazionale era già stata riconosciuta dalla “N.R.F” che nel marzo 1911 riprende una nota apparsa il mese precedente sull’“Ile sonnan-te”: “les revues ne comptent guère que parce qu’elles participent à un mouve-ment général, chacune d’elle, isolée, ne signifie rien”.

Da una parte si cercherà di far emergere il ruolo di Apollinaire nell’evo-luzione della rivista: la storia delle “Soirées de Paris” è indiscutibilmente legata a quella del poeta, che è all’origine della sua fondazione e che, divenuto il diretto-re della pubblicazione, ne garantisce il prestigio, facendone un punto di riferi-mento delle ricerche sul nuovo in arte e in letteratura. Dall’altra parte si valoriz-zerà un aspetto solitamente trascurato dagli studi condotti sulle riviste, vale a dire le funzioni e gli effetti della rivista sul percorso dei redattori, in primis sullo stesso Apollinaire.

In assenza di studi dettagliati sull’argomento9 abbiamo ripercorso la storia della rivista a partire dalle testimonianze dei collaboratori e degli amici delle

5 A. Boschetti, Des revues et des hommes, “La Revue des Revues”, n. 89, 1994, pp. 53-54.

6 “S.P.” n. 17.

7 Citato in J. Pluet-Despontin, M. Leymaire, Y.-J, Mollier, La Belle Epoque des revues, Paris, Ed. de l’Imec, 2002, pp. 14-15.

8 Ch. Charle, “Le temps des hommes doubles”, in Paris fin de siècle, Paris, Seuil, 1998, p. 16.

9 I pochi articoli dedicati alla rivista consistono in profili generali, quello di Noemi Blumekranz-Onimus, e di Isabel Violante Picon, già citati, e in uno studio sull’estetica poetica di Apollinaire

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“Soirées” e abbiamo cercato poi di inserire la produzione di Apollinaire e degli altri redattori nel dibattito letterario e artistico attraverso lo spoglio delle princi-pali riviste dell’epoca. Situate nel contesto culturale degli anni 1912-1914 “Les Soirées de Paris” ci rivelano la loro importanza per la consacrazione di Apolli-naire e, più in generale, per la vita intellettuale del tempo. L’analisi è completata da un’appendice di testi e riproduzioni artistiche che costituiscono dei percorsi significativi all’interno della rivista, volti a restituirla alla sua fecondità creatrice.

Così, riprendendo l’invito di Akira Ise a rivalutare il ruolo delle “Soirées de Paris” nella storia dell’arte del XX secolo10, riesaminando il loro significato nel percorso degli artisti coinvolti, non ci proponiamo solo di esplorare questo luo-go privilegiato dell’invenzione della modernità apollinariana ma anche le moda-lità della creazione di un mito, quello di un poeta strettamente associato all’e-laborazione di questa modernità11.

nella rivista, Akira Ise, “Les Soirées de Paris” comme lieu de mise en scène de l’invention apollinarienne, “Etudes de langue et littérature françaises”, n. 78, 2001.

10 Akira Ise, “Les Soirées de Paris” comme lieu de mise en scène de l’invention apollinarienne, art. cit., p. 169.

11 Franca Bruera, “Du mythe de Paris au mythe d’Apollinaire”, in Amis européennes d’Apollinaire, Paris, Presses de la Sorbonne nouvelle, 1995, p. 103.

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Ringraziamenti

Desidero esprimere in questa sede il mio profondo ringraziamento a quanti hanno favorito in vario modo e a vario titolo la realizzazione di questo lavoro. La mia gratitudine innanzitutto alla prof.ssa Anna Boschetti che è all’origine della mia ricerca, che ha seguito e indirizzato con la passione, la generosità e il rigore scientifico che le sono propri. Al prof. Mario Richter per i preziosi inse-gnamenti prodigati in questi anni a coloro che hanno avuto la fortuna di lavora-re sotto la sua direzione. Al prof. Jean-François Rodriguez, che non mi ha fatto mancare consigli e suggerimenti su un argomento a lui così familiare. Ai miei familiari, e in particolare a mio marito Giovanni, per l’amorevole sollecitudine con cui si è occupato dell’aspetto materiale del volume. E infine, last but not least, tutta la mia riconoscenza alla prof.ssa Maria Emanuela Raffi che mi ha sollecita-to alla concretizzazione di un progetto che grazie al suo impegno ha potuto trovare la forma compiuta del saggio.

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I

Un mondo a parte: aspetti del funzionamento

del mondo letterario francese agli inizi

del Novecento

Per comprendere l’esperienza della rivista di Apollinaire nella sua specificità è necessario situarla in riferimento alla struttura del mondo letterario francese, il cui funzionamento ai primi del secolo è definito da due tratti fondamentali: l’autonomia artistica rispetto ai poteri esterni, politici, sociali, economici e la tensione al superamento permanente della tradizione che ispira l’azione dei movimenti d’avanguardia. La tendenza all’autonomia del campo letterario francese è l’esito di un

processo delineatosi a partire dal Romanticismo e che si afferma partico-larmente alla fine del XIX secolo, durante il quale il mondo letterario si è progressivamente riconosciuto nella concezione autonoma della letteratura che identifica nei valori artistici gli unici valori legittimi della creazione letteraria. È la cosiddetta “République des Lettres”, entità metaforica eppure ben presente ad ogni scrittore, improntata a gerarchie, modalità di diffusione e di riconoscimento proprie. Pierre Bourdieu ne ha analizzato la genesi e il funzionamento nella sua teoria del “campo letterario”1. Questo processo è favorito da diversi fenomeni tra i quali l’aumento della scolarizzazione secondaria che attira verso la letteratura un crescente numero di giovani diplomati, come pubblico competente da una parte, come produttori dall’altra. La tensione all’autonomia trova il suo riconoscimento nella cosiddetta letteratura “pura”, che si identifica nel principio dell’art pour l’art enunciato dai parnassiani e ripreso dai simbolisti. Proclamando la supremazia dei valori artistici su ogni altro principio si legittima la tendenza alla separazione tra lo scrittore e la società istituita da Baudelaire e scavata dalle generazioni successive. La pretesa all’autonomia è così all’origine di una produzione di ricerca, soprattutto poetica, indipendente dalle esigenze del mercato editoriale, e destinata agli iniziati, di fatto i poeti stessi, i soli che in ragione della

1 P. Bourdieu, Les règles de l’art, Paris, Seuil, 1992.

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competenza richiesta al lettore potevano realmente comprendere e decretare il valore artistico di un’opera: un atteggiamento che si traduce nella difficoltà crescente a pubblicare nei circuiti editoriali tradizionali. La logica fondamentale che ispira il funzionamento di questo circuito

ristretto, limitato ai soli produttori, è il principio del “nuovo”, in base al quale si definiscono gli orientamenti della ricerca letteraria e soprattutto di quella poetica. Esso si era imposto in letteratura dalla fine del Settecento, quando i valori dell’originalità e dell’innovazione si sostituiscono al principio, prima vigente, di imitazione e di filiazione rispetto ai modelli ereditati dalla tradizione. Dal Romanticismo in poi gli scrittori e i movimenti che si considerano l’avan-guardia2 si propongono così come l’incarnazione del “nuovo”, in nome del quale pretendono di superare quanti li hanno preceduti, secondo un’idea teleologica della letteratura come processo di continua evoluzione rispetto al passato. È il caso, per esempio, del naturismo, alla fine del XIX secolo e di tutti i movimenti che dopo di lui aspirano a sostituirsi al Simbolismo. Il circuito poetico diviene allora il luogo di una lotta incessante che oppone i nuovi entranti, desiderosi di affermarsi, all’avanguardia consacrata che i giovani aspirano a consegnare al passato. Allo stesso tempo non si può negare la continuità che lega le ricerche dell’avanguardia poetica in nome della tradizione del nuovo, un paradosso apparente, implicito nell’idea che la storia artistica è un percorso in cui ogni progetto di innovazione è una tappa che suppone le esperienze precedenti. Alla fine dell’Ottocento la poesia gode di uno straordinario prestigio – grazie

anche al fascino che la figura del poeta-profeta come Hugo continua a esercitare nell’immaginario collettivo – e rivendica una sorta di supremazia simbolica sugli altri generi ma occupa una posizione marginale nel circuito letterario, rifiutata dagli editori tradizionali per i quali, dopo la “crise de la librairie” e la caduta delle tirature, rappresenta un investimento sempre più rischioso. La produzione poetica è confinata allora nelle piccole riviste a circolazione limitata, nelle pubblicazioni confidenziali a spese d’autore. Questo riguarda soprattutto le opere dell’avanguardia poetica che hanno una diffusione molto circoscritta, poche centinaia di copie anche nel caso di Verlaine e Mallarmé. Alla luce di questa marginalità, che esaspera ulteriormente la competizione tra i poeti che aspirano ad imporsi come la nuova avanguardia, si

2 Per la nozione di avanguardia rimando ad Anna Boschetti, “L’avanguardia, Apollinaire e lo struzzo di Jarry”, in Verso la modernità, Fasano-Parigi, Schena-Nizet, 1995.

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comprende l’importanza delle riviste nella vita letteraria tra la fine dell’800 e gli inizi del nuovo secolo. La proliferazione delle riviste inizia a partire dagli anni ’80, quando la

frattura con il mercato editoriale tradizionale costringe i poeti a elaborare strategie autonome di pubblicazione in cui la rivista si affianca alla pub-blicazione a spese d’autore. Questo sviluppo è favorito anche da trasformazioni economiche e tecnologiche, in particolare il prezzo favorevole della carta e il progresso delle tecniche tipografiche che permettono la creazione ed il finanziamento di un periodico anche ai gruppi più sprovvisti di risorse economiche. Allo stesso tempo il processo di industrializzazione, rendendo più difficile l’accesso alla visibilità e al riconoscimento per gli autori isolati, e in particolare per coloro che rifiutano di sottomettersi alla logica mercantile, è un fattore che favorisce ulteriormente la tendenza al raggruppamento operata nelle riviste. Le riviste3 sono dunque strumenti fondamentali della vita letteraria e soprattutto poetica in quanto permettono ai poeti di pubblicare opere scarsamente appetibili per il circuito commerciale, consentendo loro di “esistere” simbolicamente all’interno del mondo letterario. La rivista permette così ai poeti, e soprattutto ai debuttanti, di farsi conoscere e assicura loro, sommario dopo sommario, una presenza costante sul campo come un’opera individuale non potrebbe fare. In generale, la prepubblicazione in rivista facilita la pubblicazione in volume e l’accoglienza presso gli editori tradizionali, così che non è un caso se la maggior parte delle opere poetiche moderne sono apparse in rivista prima che in volume. La partecipazione alla vita di una rivista offre inoltre ai collaboratori la visibilità che deriva dall’effetto di rag-gruppamento, dato che, come è noto, si attribuisce maggiore importanza ad una tendenza collettiva piuttosto che ad una posizione individuale. L’effetto di concentramento realizzato dalle riviste è molto importante perché contribuisce a creare l’immagine di una tendenza originale in un contesto di forte con-correnza come quello del circuito poetico; così dal Romanticismo in poi la sopravvivenza letteraria dipende spesso dall’appartenenza ad un gruppo capace di imporre un’immagine collettiva. Allo stesso tempo, come ha sottolineato Anna Boschetti, “l’image du groupe marque les positions individuelles qui lui sont associées, et par ce biais contribue à orienter leur évolution”4. In breve, in un campo sovraffollato di concorrenti come quello poetico, la rivista è la via più 3 Per l’approccio teorico e metodologico allo studio delle riviste rimando agli studi di Anna Boschetti, in particolare Des revues et des hommes, art. cit. 4 A. Boschetti, Des revues et des hommes, art. cit., p. 61.

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accessibile di pubblicazione e lo strumento più efficace per accedere alla notorietà: “les revues, même si leur tirage est modeste, représentent un lieu de pouvoir symbolique et réel”5. Le riviste vengono fondate generalmente da coloro che hanno difficilmente accesso ai circuiti editoriali tradizionali, i poeti, come s’è detto e soprattutto i debuttanti, esclusi dal riconoscimento, che trovano in queste pubblicazioni delle “sortes des coopératives ou de sociétés de secours mutuelles6”, tanto che l’ingresso di ogni una nuova generazione nel mondo letterario è accompagnato solitamente proprio dalla fioritura di nuove pubblicazioni, possiamo citare l’esempio del simbolismo, del naturismo, di dada, del surrealismo. Il poeta e giornalista Ferdinand Divoire7, un contemporaneo di Apollinaire, evoca ironicamente nelle sue note di Stratégie littéraire (1919) l’im-portanza delle riviste nel mondo letterario dei primi del Novecento:

La façon la plus simple d’entrer sans fracas dans la vie littéraire, était, il y a quelques années, de fonder une Revue. […] Rien de plus facile donc que de fonder une revue. Si l’on n’est point riche, on cherche quelques camarades, dont le seul point commun avec soi est d’avoir de la copie à faire imprimer. Chacun paie sa cotisation mensuelle. Quand les cotisations ne rentrent plus, la Revue meurt. Mais on a eu le temps de citer élogieusement un certain nombre de gens […], on est entré en correspondance avec des gens. C’est la première étape. En même temps, le service de la Revue a été fait à tous les porte-plumes, qui n’ont point regardé à l’intérieur du fascicule mais qui ont vu le nom sur la couverture, et, après quatre ou cinq numéros, l’ont retenu. La petite renommée littéraire est acquise.8

Questo spiega che nel 1903 Apollinaire, appena ventitreenne, decida di fondare una rivista, “Le Festin d’Esope”, che permetterà a lui e ai suoi collaboratori di presentarsi come una posizione nuova nello spazio letterario contemporaneo. Allo stesso tempo le riviste sono strumenti importanti di conoscenza del mondo letterario dove si elaborano e si definiscono i nuovi orientamenti della ricerca poetica. Non è un caso che Apollinaire e Salmon si formino alla conoscenza delle problematiche poetiche attraverso la lettura delle principali riviste letterarie del tempo e che i loro successori, i surrealisti, siano iniziati alle esperienze poetiche più interessanti realizzate nell’avant-guerre proprio

5 Ch. Charle, “Le temps des hommes doubles”, in Paris fin de siècle, op. cit., p. 16. 6 Ibidem. 7 Membro del gruppo drammatista, nel febbraio 1914 Divoire collaborò al n. 21 delle “Soirées de Paris”; per questo aspetto si veda il III capitolo dedicato alla seconda serie della rivista. 8 F. Divoire, Stratégie littéraire, Paris, La Tradition de l’Intelligence, 1928, (Ia edizione 1919), pp. 15-16.

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dalla lettura delle riviste dei loro aînés. Così dalla seconda metà dell’Ottocento la rivista è divenuta, insieme ai caffè, una vera istituzione nel mondo letterario che sostituisce i luoghi di riconoscimento e socializzazione che erano in precedenza i salotti. L’importanza delle riviste nel mondo letterario dei primi del Novecento si rivela anche dal fatto che gli orientamenti letterari più significativi sono rappresentati proprio da riviste, in particolare dal “Mercure de France”, da “Vers et Prose”, dalla “Phalange”, dalla “N.R.F.”.

I. 1. Tratti delle riviste d’avanguardia agli inizi del secolo

La vita letteraria tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del nuovo secolo è dominata dalla lunga lotta di successione al Simbolismo, a partire dal 1891 quando Ghil e Moréas rinnegano il movimento che a causa del suo stesso successo cominciava inesorabilmente a trasformarsi in routine accademica. La crisi del simbolismo9, inaugura così una fase di incertezza durante la quale si susseguono i gruppi e i movimenti che tentano di imporsi, primo fra tutti il naturismo che in opposizione all’eredità simbolista, al sogno, all’ideale, all’ar-tificiale pretende di incarnare diversi valori di riferimento quali il ritorno alla vita e alla natura. Gli effetti di questa crisi sono visibili nelle trasformazioni che modificano il

campo delle riviste d’avanguardia alla svolta del secolo: le principali pubblicazioni simboliste, fondate nel momento in cui il movimento si era costituito come una vera scuola letteraria, in particolare “La Plume” (1889-1903), il “Mercure de France” (1890-), “La Revue Blanche” (1890-1903), “L’Ermitage” (1890-1906), conoscono delle difficoltà. “La Revue Blanche” e “La Plume” scompaiono nel 190310, “L’Ermitage” inizia il suo declino nel 1902 e cessa le pubblicazioni quattro anni dopo. Sopravvive solo il “Mercure”, che era stata la rivista di punta del simbolismo, ma al prezzo di cambiamenti profondi; se nella sua fase iniziale si presentava come una rivista d’avanguardia che contribuiva alla definizione di una nuova estetica soprattutto poetica (con Jarry, Verhaeren, H. de Régnier…), successivamente diventa una pubblicazione più tradizionale ed eclettica, addirittura enciclopedica, grazie alle rubriche destinate a rendere conto dell’at-tualità letteraria nelle sue varie estensioni. Agli inizi del Novecento il “Mercure” è considerato una vera e propria istituzione del mondo letterario dell’epoca,

9 Il periodo è stato analizzato nell’opera di M. Décaudin, La crise des valeurs symbolistes, Paris-Genève, Slatkine, 1981 (Ia edizione 1960). 10 Nonostante un tentativo di rilancio della “Plume” nel 1905.

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portatore “d’informations au sein d’un système culturel établi”11; escludendo nuovi e vivificanti apporti dai suoi sommari che si limitano ad accogliere gli scrittori riconosciuti12, il “Mercure” si rinchiude in una visione conservatrice della poesia dominata dalla fedeltà alla tradizione simbolista13. Alla messa in discussione del Simbolismo non era corrisposta tuttavia l’ela-

borazione di un linguaggio poetico da opporre al suo repertorio usurato tanto che la ripresa effimera della “Plume” nel 1905 e la creazione di riviste come “Vers et Prose” nel 1905 (1905-1914) di Paul Fort e “La Phalange” nel 1906 (1906-1914) di Jean Royère si propone invece di rilanciare proprio quell’e-sperienza poetica che, stante le difficoltà e le incertezze in cui si dibattevano i giovani movimenti d’avanguardia, non poteva dirsi definitivamente archiviata. “Vers et Prose” era una rivista antologica dedicata al lirismo nelle sue espressioni più ampie e rappresentava nei suoi sommari soprattutto l’eredità simbolista, mentre “La Phalange” si richiamava essenzialmente alle ricerche di Mallarmé: pur aprendo le loro pagine ai poeti emergenti “moins systéma-tiquement hostiles que les autres au symbolisme”14, come Apollinaire e i suoi amici, al gruppo dell’Abbaye e a Jules Romains, queste pubblicazioni costituiscono un tentativo di affermazione dell’ultima generazione simbolista, cui appartengono tanto Fort quanto Royère, e tendono, di fatto, a controllare le nuove tendenze poetiche, riconducendole nell’alveo della comune matrice simbolista15. La fondazione della “N.R.F.”, nel 1909 è un elemento fondamentale per

comprendere la struttura delle relazioni del campo letterario e del circuito delle riviste e il processo di ridefinizione degli orientamenti dominanti in 11 Cfr. M. Décaudin, “Formes et fonctions de la revue littéraire au XXe siècle”, Situation et avenir des revues littéraires, 1976, Actes du colloque public dans le cadre du Festival international du Livre de Nice (5 - 6 mai 1975), Nice, Centre du XX siècle, 1976, p. 35. 12 È significativa al riguardo la risposta di Van Bever, redattore del “Mercure”, a André Salmon che gli aveva proposto di pubblicare i suoi versi: “Nous sommes encombrés de vers pour au moins trois ans. Le patron, M. Alfred Vallette est décidé, fermement résolu, à ne publier dans le Mercure aucun poème d’un auteur nouveau”. A. Salmon, Souvenirs sans fin, première époque (1903-1908), Paris, Gallimard, 1955, p. 43. 13 Per la posizione del “Mercure” rispetto alla nuova avanguardia si veda in particolare il capitolo III. 14 Lettera inedita di André Salmon a Jacques Doucet del 18 gennaio 1917, Parigi, Bibliothèque littéraire Jacques Doucet. 15 Per i rapporti tra “Vers et Prose”, Apollinaire e Salmon mi permetto di rimandare al mio saggio André Salmon. Alle origini della modernità poetica, Venezia, Istituto di Scienze, Lettere ed Arti, 2000, pp. 44-45.

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precedenza16. “La N.R.F.” nasce in due tempi, nel 1908 e poi nel 1909 dal-l’associazione di scrittori come Gide, Copeau, Ghéon, Schlumberger che avevano partecipato all’esperienza dell’“Ermitage” e condividevano gusti ed interessi comuni. Il gruppo si riconosceva sotto l’egida di André Gide, lo scrittore che incarna nel modo migliore gli orientamenti del momento ed è il vero animatore della rivista, sebbene non svolga alcun ruolo ufficiale nella pubblicazione. I fondatori della “N.R.F.” appartengono anch’essi alla generazione di Fort e di Royère ma a differenza degli esponenti dell’avanguardia sono dei borghesi agiati che hanno i mezzi oltre che l’esperienza per creare una pubblicazione più duratura rispetto alle “petites revues”, le imprese effimere diffuse nel circuito poetico: giunti alla soglia della quarantina, Gide e il suo gruppo sentono di avere ormai superato l’età delle rivoluzioni e aspirano a creare un’impresa durevole. Punto di riferimento della generazione post-simbolista, la “N.R.F.” interpreta una posizione diffusa in molti ambienti letterari, quella di una mediazione tra la fedeltà ai valori più alti della tradizione francese e lo spirito della modernità, ed esprime con le sue scelte prudenti una rivoluzione conservatrice come indica la parole d’ordine della rivista che si riconosce nel “classicisme moderne”. Se l’importanza della tensione ai nuovi valori di riferimento nella letteratura

dei primi anni del ’900 non deve essere sottolineata17, in quanto è il principio che come s’è detto, ispira il funzionamento dell’avanguardia poetica, non bisogna altresì misconoscere l’importanza del richiamo ai valori della tradizione nella letteratura francese dei primi anni del secolo che si traduce nella creazione di una vera e propria corrente neo-classica, sorta in parallelo al movimento maurrassiano dell’Action française, in cui il rigetto dello scetticismo decadente si affianca all’esigenza di ordine e disciplina intellettuale e sociale. Tale tendenza è illustrata, contemporaneamente alla creazione della “N.R.F.”, dalla fondazione di riviste quali “La Revue critique des idées et des livres” (1908-1914), organo del neoclassicismo maurrassiano che nega la rivoluzione poetica compiutasi con Baudelaire e pretende di riportare la letteratura francese nell’alveo della

16 Per l’analisi della “N.R.F.” rimando al libro di A. Boschetti, La poésie partout, “Les unanimistes, la NRF et l’avant-garde”, Paris, Seuil, 2001, pp. 120-131 e di Maijke Koefmamnn, Entre classicisme et modernité: la Nouvelle Revue Française dans le champ littéraire de la Belle Époque, Amsterdam – New York, Rodopi, 2003. 17 Per questo aspetto rimandiamo agli studi ormai classici sull’argomento di Somville, Devanciers du surréalisme, Genève, Droz, 1971 e di Pär Bergman, “Modernolatria” et “Simultaneità”, Uppsala, Svenska Bokförlaget, 1962.

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tradizione del passato, e dalla sua ala polemica “Les Guêpes” (1909-1912) di J.-M. Bernard. Di fatto la “N.R.F.” costituisce una anti-avanguardia che prendendo le

distanze dall’avanguardia ed inaugurando una modalità di funzionamento alternativo riesce a conquistare una posizione stabile al centro del campo letterario; istituendo il rigore e la purezza formale come requisito assoluto del-l’opera letteraria, la rivista supera, di fatto, i motivi di divisione ideologica che opponevano simbolisti e neo-classici, riportando il dibattito sul terreno della creazione artistica18. Così, “la NRF est classique sans être réactionnaire, patriotique sans être xénophobe et moderniste sans être anarchique. Elle cherche à renouveler la littérature française à travers une revivification de la tradition”19. Tra il 1909 e il 1910 la rivista apre le sue pagine agli unanimisti e, al contempo, fedele alla sua linea prudente, riequilibra la spinta modernista accogliendo il poeta J.M. Bernard, esponente del neo-classicismo radicale. Coniugando il culto dell’autonomia artistica e della qualità formale con un’estetica moderata e l’attenzione privilegiata al romanzo la “N.R.F.” inventa una posizione nuova che, coltivando un eclettismo ragionevole, lontano dall’intransigenza del neoclassicismo e dall’esoterismo dell’avanguardia si apre ad un pubblico più ampio. Il prestigio di Gide, avviato a diventare il “contemporain capital” che dominerà la cultura dell’entre-deux-guerres, riesce ad attirare alla “N.R.F.” la collaborazione di scrittori come Claudel e Valéry, già noti ai circoli letterari dell’epoca, aggregando intorno alla pubblicazione un ampio consenso che le permette di svolgere una funzione centrale nello schieramento letterario. La “N.R.F.” ottiene così il riconoscimento dei pari e quello del pubblico colto per il quale diventa un’istanza di arbitrato in materia di gusto letterario20. In questo modo la “N.R.F.” modifica la struttura tendenzialmente bipolare dello spazio letterario, costituito dal circuito ristretto da una parte e dal circuito di grande produzione dall’altra, e crea un modello nuovo di rivista, che coniuga le proprietà della rivista per iniziati con quello della rivista accademica e di divulgazione, ruolo quest’ultimo svolto in precedenza dalla “Revue des deux mondes” e dalla “Revue de Paris”.

18 Cfr. A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit. 19 M. Koefmann, Entre classicisme et modernité, op. cit., p. 139. 20 Per la lotta al “buon gusto” che definisce gli orientamenti dell’avanguardia, di Marinetti come di Apollinaire e che costituisce un aspetto specifico della linea delle “Soirées” proprio in opposizione alla “N.R.F.” rimandiamo al capitolo III.

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Una conseguenza importante della rottura della bipolarizzazione prodotta dalla fondazione della “N.R.F.” è quella della marginalizzazione ulteriore del circuito ristretto, e soprattutto del circuito poetico, perché la riuscita della rivista di Gide ha mostrato che è possibile conciliare i valori artistici con l’apertura e l’attenzione al pubblico colto. In questo modo l’ingresso della “N.R.F.” non modifica radicalmente solo la struttura del campo delle riviste ma quella dell’intero campo letterario francese dell’avant-guerre. Così dopo quella che Décaudin designa come l’heure des trêves quando il mondo letterario aveva trovato una certa convergenza su alcuni temi e persino unanimisti come Romains e neoclassicisti come J.M. Bernard si erano scoperti dei punti di contatto è inevitabile che i gruppi d’avanguardia e il movimento neoclassico tendano a radicalizzare le loro posizioni per non essere confusi con le posizioni moderate rappresentate ora, con successo, dalla “N.R.F.”. Si comprende allora che il movimento neo-classico assuma indirizzi sempre più conservatori, arroc-candosi nella difesa intransigente della tradizione, come mostrano le polemiche intraprese dalle “Guêpes” contro “La Phalange” di Royère e le altre risorgenze simboliste. A sua volta nel campo dell’avanguardia si assiste alla proliferazione di gruppi come l’impulsionismo, il parossismo, il dinamismo che, seppure in modo confuso e spesso incoerente, si propongono di esprimere poeticamente i valori della modernità e aspirano ad imporsi come l’incarnazione più legittima delle nuove tendenze letterarie. Il futurismo di Marinetti, che irrompe con clamore nella vita letteraria parigina del 1909 lanciando il Manifesto della sua rivoluzione letteraria dalle pagine di “Le Figaro”, contribuisce a polarizzare ulteriormente l’attenzione del circuito poetico verso il nuovo, assurto quale spinta dinamica della vita culturale. Da allora il circuito poetico è attraversato da violente polemiche che rispondono ad una esigenza fondamentale, quella di distinguersi per novità ed originalità rispetto ad altri pericolosi concorrenti, screditando ogni tendenza diversa rispetto a quella che si pretende di incarnare. Ne è un esempio la polemica intrapresa da Salmon e poi da Apollinaire contro gli unanimisti nel 1910-1911 che trova eco nella stroncatura dell’Armée dans la ville 21 pubblicata nella “N.R.F.”, così distante dal tono misurato che contrad-distingue generalmente la rivista. Il principio che può spiegare la situazione del campo delle riviste e delle

posizioni così come si presenta in questo periodo è la logica della differen-ziazione che oppone i “giovani”, letterariamente parlando, ai quarantenni

21 Per la polemica anti-unanimista si veda il libro di A. Boschetti, La poésie partout, op. cit., e il mio saggio, André Salmon. Alle origini della modernià poetica, op. cit., § 3.6.

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detentori del prestigio simbolico, che scatena la competizione all’interno del campo letterario; in questa competizione le prese di posizioni si definiscono nella maggior parte dei casi come manifestazioni di differenza. I giovani contendenti che si affrontano (Apollinaire, Beaduin, Barzun, Divoire, Mercereau, Romains e il gruppo unanimista, Salmon, Cendrars, Carco e i poeti fantasisti, J.-M. Bernard…) sono nati intorno al 1880 e accedono alla notorietà verso il 1910 quando per affermarsi sono chiamati a scontrarsi con la generazione precedente, quella di Gide, Fort, Royère. Ora, la tensione alla differenziazione può orientarsi, secondo le disposizioni proprie, tanto verso le posizioni dell’avanguardia propriamente detta come pure verso quelle opposte del neoclassicismo22, secondo delle tendenze che definiscono gli orientamenti principali anche nel campo delle riviste. La competizione accresciuta all’interno del circuito ristretto, legata all’effetto

di marginalizzazione provocato dalla fondazione della “N.R.F.”, tende a favorire le aggregazioni per contrastare il rischio dell’isolamento, e spiega la spinta al raggruppamento che caratterizza la vita letteraria francese in questa fase. I tentativi di alleanze sono visibili nel proliferare dei cosiddetti movimenti modernisti e nella fondazione di riviste che segnalano la presenza di una generazione letteraria impaziente di affermarsi; questi raggruppamenti sono però nella maggior parte dei casi di breve durata e si disgregano non appena il bisogno di affermazione personale passa in primo piano23.

I. 2. Lo spazio delle riviste nel 1912: valori, modelli e gerarchie

L’ingresso della “N.R.F.” avvia, l’abbiamo detto, un processo di profonda riorganizzazione nel campo delle riviste: la maggior parte delle riviste fondate nel periodo precedente scompaiono, sostituite da una straordinaria fioritura di

22 Mi riferisco allo studio di M. Koefmann, Entre classicisme et modernité, op. cit., pp. 138-139 “Si divergentes que soient leurs idées, les groupes néo-classiques et avant-gardistes se ressemblent sur plus d’un point. Les artistes en question appartiennent à la même génération post-symboliste; tout juste entrés dans le champ, ils sont impatients de se démarquer de leurs aînés. Ils parlent à peu près le même langage, favorisant les notions de jeunesse, énergie, ferveur et virilité. On peut dire qu’ils fonctionnent selon la même logique de rupture, même si les résultats de leurs efforts sont diamétralement opposés. Selon William Marx, le néo-classicisme réactionnaire peut aussi être considéré comme une avant-garde, en raison de sa volonté de rupture avec l’esthétique dominante. Mais le fait paradoxal qu’il veut innover par un retour au passé a confondu les historiens de la littérature, qui ont eu tendance à négliger ce mouvement influent”. 23 Si veda nel II capitolo la relazione tra Apollinaire e Salmon nella prima serie delle “Soirées de Paris”.

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nuove pubblicazioni che affollano il panorama letterario tra il 1912-1914, come ai tempi del simbolismo. Questo fenomeno, che segna la ripresa della vita del-l’avanguardia in un crescendo vorticoso interrotto solo dallo scoppio della guerra, è segnalato anche dal responsabile della Revue de la Quinzaine del “Mercure”, Charles-Henri Hirsch, che il 16 marzo 1912, poco dopo la fondazione delle “Soirées de Paris”, nota: “en un mois, 14 revues nouvelles ou ressuscitées. La saison est particulièrement féconde”. In effetti tutte le posizioni di un certo rilievo nella vita letteraria sono

rappresentate da una rivista e anche i gruppi che non dispongono di un organo ufficiale, come gli unanimisti, possono contare su pubblicazioni amiche, come “Les Bandeaux d’or” e “Les Feuilles de mai”, e occupano posizioni chiave in pubblicazioni prestigiose; è il caso di Duhamel che dopo la morte di Quillard redige la principale cronaca poetica dell’avant-guerre, quella del “Mercure de France”. Data l’ampiezza del fenomeno è ovviamente impossibile citare tutte le pubblicazioni presenti nel circuito letterario nel momento in cui “Les Soirées de Paris” fanno il loro ingresso; ci limiteremo pertanto a delineare le posizioni principali, che contribuiscono alla definizione della struttura di questo spazio e dei suoi orientamenti. La posizione centrale nel campo letterario è occupata, come s’è detto, dalla

“N.R.F.” che nel 1912 conosce una fase di espansione, per quanto riguarda il numero dei collaboratori, delle pagine (soprattutto nella parte critica, la vera anima della rivista, che copre i diversi ambiti dell’attualità artistica e culturale, anche internazionale) e dei lettori24. Desiderosa di soppiantare il “Mercure de France”, istituzione centrale della vita letteraria che aveva rappresentato e rappresentava ancora gli orientamenti dominanti, almeno in ambito poetico, la “N.R.F.” che aveva elaborato la sua strategia editoriale sulla valorizzazione del romanzo e del teatro inizia a prestare maggiore attenzione alla poesia, al punto di affidare a Ghéon nel 1912 una rubrica di cronaca poetica. Le scelte editoriali della “N.R.F.” sono un rivelatore interessante dell’evoluzione in atto nel campo letterario; così se al momento della sua fondazione la rivista di Gide sembrava più vicina alle istanze del neoclassicismo che a quelle all’avanguardia, al punto che sulla scia del suo successo si assiste alla nascita di riviste che si richiamano ai valori della tradizione (le già citate “Revue critique des Idées et des Livres”, “Les Guêpes”, “Le Divan”), nel periodo successivo la rivista valorizza mag-giormente l’innovazione, soprattutto nella sua versione unanimista. Così Michel Puy nell’“Ile Sonnante” del febbraio 1911 saluta la “N.R.F.” come “une des revues 24 La rivista conta allora su 700 abbonati.

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qui sont à l’avant-garde du mouvement littéraire” e Maijke Koefmann non esita a individuare nella rivista di Gide “un précurseur du modernisme des années vingt”25. Le pubblicazioni del circuito neo-classico risentono indubbiamente del

successo della “N.R.F.” tanto che “Les Guêpes” scompaiono nel corso del 1912 mentre “La Revue critique des Idées et des Livres” resta il solo baluardo ideologico del neoclassicismo maurassiano e del suo “classicisme éternel”. L’af-fermazione del modello “N.R.F.” è confermato anche dal proliferare di pubblicazioni che si richiamano a quegli orientamenti, ciascuna secondo modalità e configurazioni proprie, come “Le Divan” (1909-1932), fondato contemporaneamente alla rivista di Gide, ma che a differenza della “N.R.F.”, concentrata prevalentemente sul romanzo, accoglie ecumenicamente buona parte dei giovani poeti del tempo tra cui collaboratori della “Revue critique des Idées et des Livres”, J.-M. Bernard, elegiaci come Derennes, fantasisti come Carco, Pellerin e Vérane, Derème, e persino modernisti come Beauduin, il fondatore del parossismo. Su posizioni vicine per collaboratori e linea tradizionale si situa l’organo dei cosiddetti spiritualisti, “La Revue du Temps présent” (tra i cui collaboratori citiamo Bernard e Dominique Combette e Mauriac) e “Les Marges” (1911-1914) la rivista fondata e redatta dall’ex-naturista Montfort dopo il fallimento della prima “N.R.F.” nel 1908; si tratta di una pubblicazione eclettica, che riunisce gli stessi collaboratori di “Le Divan” (J.M.-Bernard, Derème), dove Apollinaire tiene un’apprezzata rubrica sui Contemporains pittoresques. Tra le giovani riviste di area moderata segnaliamo soprattutto l’“Ile sonnante” (1909-1913, assorbita dal “Gay Savoir” nel 1913), che era la pubblicazione di riferimento dei poeti fantasisti26. Questo gruppo (Carco, Bizet, Derème, Pellerin, Vérane) che coniugava la sensibilità verso il mondo contemporaneo con gli strumenti prosodici tradizionali si propone all’attenzione del mondo letterario nel 1912 e assumerà importanza soprattutto alla vigilia della guerra. Accanto all’“Ile sonnante”, “Les Horizons” (febbraio 1912-maggio 1913), diretta da Strentz, un’altra pubblicazione antologica tra i cui collaboratori figurano inizialmente soprattutto poeti fantasisti. In questo contesto un ruolo a parte è svolto dalle riviste della renaissance latine, che contro l’arte esausta dei circoli parigini valorizzano l’apporto regionalistico già in voga all’inizio del secolo27, come “Le Pays d’oc” (1912) e “La Terre latine” (1912- 25 M. Koefmann, Entre classicisme et modernité, op. cit., p. 133. 26 Per i rapporti tra Apollinaire e il gruppo fantasista si veda il capitolo III. 27 Cfr. M. Décaudin, La crise des valeurs symbolistes, op. cit., pp. 128 e sgg.

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1914), alle quali collabora anche André Tudesq, uno dei fondatori delle “Soirées de Paris”. Nel settore dell’avanguardia, le riviste rimaste fedeli al Simbolismo (il

“Mercure”, “Vers et Prose”, “La Phalange”) appaiono ormai sclerotizzate nella difesa di valori che appartengono all’eredità del passato. Anche se il “Mercure de France” perde progressivamente prestigio a favore della “N.R.F.” che sintetizza meglio gli orientamenti dominanti, esso resta comunque, come s’è detto, la rivista di riferimento in poesia28, affiancata da un’importante casa editrice che pubblicherà anche Alcools e Calligrammes. “Vers et Prose” rappresenta l’espressione della tradizione lirica francese in un’ampia varietà di possibili29 che si estendono, solo per limitarsi a qualche esempio, agli unanimisti (Vildrac, Duhamel, Arcos, Romains), ai poeti arcaicizzanti come Muselli e Mary sino ai neoclassici come Laurent de la Tailhade. “La Phalange”, rinchiusa nella devozione intransigente all’ermetismo mallarmeano, finisce per scomparire quasi completamente dal dibattito letterario. Per quanto riguarda la nuova avanguardia il gruppo unanimista (Arcos,

Chennevière, Duhamel, Romains, Vildrac), che rappresenta a quel momento il movimento modernista più in vista, non dispone, l’abbiamo detto, di organi propri ma collabora a molte riviste e gode dell’ospitalità di pubblicazioni alleate o amiche, tanto che si delinea un vero e proprio circuito unanimista o vitalista che comprende “Les Bandeaux d’or” (1906-1914), diretta da Castiaux, Charpentier, P.-J. Jouve, e “l’Effort” poi “Effort libre” di J.-R Bloch, rivista di ispirazione sociale che oltre agli unanimisti annovera tra i collaboratori altri poeti modernisti come Divoire e Guilbeaux e Romain Rolland. Il successo delle riviste come questa, che operano per il rinnovamento intellettuale e politico oltre che letterario, si conferma anche con la fondazione alla fine del 1912 delle “Feuilles de mai” (1912-1914), tra i cui collaboratori figura Vildrac, e dei “Cahiers d’aujourd’hui”, fondati nello stesso periodo da Georges Besson. I “Cahiers de la Quinzaine” di Péguy sono una pubblicazione originale nel mondo letterario dell’epoca, che possiamo avvicinare, per ispirazione e tematiche, alle riviste di ispirazione sociale quali l’“Effort”.

28 È qui che Apollinaire aveva pubblicato nel 1909 La Chanson du Mal-Aimé che rimane la sua unica collaborazione poetica nella rivista di Vallette durante l’avant-guerre. 29 Sull’eclettismo poetico di “Vers et Prose” possiamo citare il commento di Salmon, che fu segretario di redazione della rivista dal 1905 al 1910: “Tous étaient alors les amis de Paul Fort dont l’éclectisme, au moins affiché, eût pu rendre jaloux Pierre Larousse en personne”, lettera inedita a Jacques Doucet del 18 gennaio 1917, Parigi, Bibliothèque littéraire Jacques Doucet.

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Oltre alle riviste unanimiste, nel circuito dell’avanguardia proliferano una serie di pubblicazioni le quali, pur reclamandosi formalmente ai valori della modernità e dell’innovazione, esprimono in realtà delle posizioni molto più moderate di conciliazione tra la tradizione e il presente. “Les Rubriques nouvelles” di Nicolas Beauduin, fondatore nel 1911 del

parossismo, sono un esempio significativo di queste incertezze. Oltre allo stesso Beauduin, i collaboratori della pubblicazione appartengono infatti per lo più all’area moderata, citeremo Sauvebois (che sarebbe diventato collaboratore delle “N.R.F.”), Picard, Thomas che pubblicano molti articoli di riflessione sul verso e sul classicismo, Billy – uno dei futuri fondatori delle “Soirées” – o sono aînés come Verhaeren e Fernand Gregh. I poeti della sua generazione vi collaborano solo episodicamente, come Apollinaire che nel 1912 vi pubblica Merlin et la vieille femme, una delle sue prime poesie, di ispirazione simbolista. Le riviste citate da Beauduin appartengono prevalentemente all’area più tradizionalista come “La Revue critique des idées et des Livres” e “Le Divan” mentre la critica d’arte, che pur trova spazio nella rivista, esclude le tendenze più innovative per concentrarsi invece sulle forme più tradizionali. Accanto a questo che si vorrebbe un organo della modernità, “l’expression du Paroxysme Moderniste et de la Beauté neuve, nées des applications mécaniques de la science”30, si situano riviste più eclettiche. “L’Heure qui sonne” (1911-1913), diretta da Veyssié e dal critico Picard, riunisce intorno all’idea di una “renaissance contemporaine” una coorte di collaboratori eterogenei31 tra cui Beauduin e Voirol, che presto si doteranno di loro organi, spiritualisti come Bernard Combette, ex-simbolisti come Régnier, neo-mallarmeani come Royère, indipendenti come Strentz e Han Ryner, critici come Allard, classicisti come Sauvebois e Martineau. A sua volta “La Vie française” (1911-1913) diretta da Léo Larguier, attira soprattutto scrittori indipendenti come Dyssord, Derennes, Salmon (curatore della rubrica les Arts e la revues des revues), gli ex-naturisti Maurice Magre, Saint-Georges de Bouhélier e Thomas. Nel corso del 1912 vengono fondate o rilanciate numerose riviste che si vogliono esplicitamente d’avanguardia, come “La Flora”, “La Vie” (1912-1913) tra i cui collaboratori

30 Cfr. la risposta di Nicolas Beauduin all’inchiesta sulle riviste d’avanguardia promossa dalle “Belles- Lettres” nel dicembre 1924 , ripubblicata sotto il titolo Les revues d’avant-garde (1870-1914), enquête de MM. Maurice Caillard et Charles Forot, Paris, Ent’revues-Jean Michel Place, 1990, p. 117; nel corso del 1913 Beauduin rilanciò la rivista sotto il titolo della “Vie littéraire” con intenti decisamente più innovativi. 31 Apollinaire vi pubblica nel gennaio 1913 Le Brasier, già pubblicato su “Gil Blas” nel 1908.

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figurano Apollinaire e Salmon, e “Panurge” (marzo 1912-gennaio 1913) cui collaboreranno anche redattori delle “Soirées” come Salmon, Perrès e Zavie. Tuttavia mentre il classicismo moderno è rappresentato con successo dalla “N.R.F.” e sul piano poetico da “Le Divan”, oltre che dalle numerose altre pubblicazioni che pur non richiamandosi esplicitamente a questi orientamenti finiscono di fatto per rappresentarli nei loro sommari, nessuna delle cosiddette pubblicazioni d’avanguardia presenti nello spazio letterario può dirsi l’espressione dei nuovi valori letterari di riferimento. Nel momento della loro fondazione “Les Soirées de Paris” hanno la possibilità di colmare questa lacuna ma a causa delle divergenze tra i redattori bisognerà attendere la seconda serie perché la pubblicazione diventi, sotto la direzione di Apollinaire, una rivista d’avanguardia.

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II

La prima serie delle “Soirées de Paris”:

“une gazette à l’ancienne mode”

Per comprendere le vicende della rivista nella sua prima serie, la sua evoluzione e il ruolo che svolge nella vita letteraria è necessario considerare innanzitutto la traiettoria del gruppo fondatore e la posizione dei singoli membri nel mondo letterario. Tale elemento determina, a sua volta, la posizione e il ruolo della rivista nello spazio letterario così come le sue possibilità di affermazione.

Come avviene nella creazione delle riviste che, come abbiamo sottolineato in precedenza, dipende spesso più da esigenze di raggruppamento e di visibilità che da un progetto artistico coerente, la fondazione delle “Soirées de Paris” risponde ad una logica che non è esclusivamente letteraria. Il principio di reclutamento del nucleo originario della prima redazione della rivista è infatti costituito dai rapporti di amicizia che legano il gruppo di scrittori e giornalisti riunito da André Billy intorno a Apollinaire, – che comprende, oltre allo stesso Billy, René Dalize, André Salmon e André Tudesq – in un momento estremamente difficile per il poeta, quando, dopo l’incarcerazione a seguito dell’affaire della Gioconda, è estremamente provato e scoraggiato1. Nel febbraio 1912 Billy propose al comitato di amici che avevano lanciato una petizione in suo favore la creazione di una rivista che lo avrebbe rilanciato nel mondo letterario dopo la sua disavventura. Apollinaire costituisce così il nucleo aggregatore di questo gruppo di scrittori, associati al progetto in virtù dei loro rapporti personali con il poeta. Queste motivazioni appaiono retrospet-tivamente troppo fragili per sostenere alla distanza un progetto così esigente in

1 Sulle circostanze della fondazione della rivista rimando alla vasta bibliografia di Billy sull’ar-gomento e al catalogo della mostra dedicata alle “Soirées de Paris” dalla Galerie Knoedler nel 1958. Sullo stato di prostrazione di Apollinaire possediamo la lettera a Gide del 26 gennaio 1912, depositata presso la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet: “Je suis extrêmement las de tout et particulièrement de devoir rester à Paris, de devoir aller dans les journaux, d’avoir tant de mal à vivre misérablement”, citata in P.M. Adéma, Guillaume Apollinaire, Paris, Editions de la Table Ronde, 1968, p. 197.

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termini di tempo, di energia e di investimento economico quale è la redazione di una rivista, anche se in un primo tempo interessi più profondi e personali vengono a corroborare la partecipazione dei fondatori al progetto comune. La fondazione della rivista risponde così più a circostanze contingenti che ad una reale affinità di gusti e di interessi all’interno della redazione; le differenze tra i fondatori sono all’origine dei contrasti che oppongono sin dall’inizio le tendenze innovatrici di Apollinaire agli orientamenti prudenti degli altri membri dell’équipe. Così nella storia della prima serie delle “Soirées” (febbraio 1912-giugno 1913) possiamo isolare due momenti ben distinti: il primo corrisponde alla gestione collettiva della rivista tra il febbraio e il dicembre 1912 (nn. 1-10) nella quale la frazione moderata tende a imporre progressivamente il proprio progetto a scapito della linea innovativa auspicata da Apolliniare. In una seconda fase la dispersione del gruppo originario dovuta all’abbandono di Salmon, Tudesq e alle divergenze con Apollinaire permettono a Billy di ottenere il controllo delle “Soirées” delle quali assume in proprio la gestione. Facendo appello all’aiuto di Dalize e a collaboratori occasionali, Billy riuscì a pubblicare ancora cinque numeri della rivista dal gennaio al giugno 1913, quando le crescenti difficoltà lo costrinsero a sospenderne la pubblicazione.

II. 1. La prima redazione delle “Soirées de Paris”: creatori e giornalisti

Se si considera la composizione dell’équipe si rileva subito una certa eterogeneità all’interno del gruppo fondatore: eccettuata l’appartenenza generazionale – sono tutti trentenni – e la comune condizione di scrittori prestati al giornalismo: “nous gagnions tous notre vie dans les journaux”2 – la loro importanza e il loro peso nella vita letteraria dell’epoca sono piuttosto diseguali come pure i loro valori di riferimento. In particolare è necessario sottolineare come i titoli necessari alla riuscita della rivista, il prestigio di cui dispone ciascun redattore, si concentrino quasi esclusivamente su Apollinaire, l’elemento aggregatore del gruppo, e Salmon, poeti, prosatori e critici d’arte oltre che giornalisti; essi hanno una situazione diversa rispetto al resto del gruppo (in particolare Billy e Tudesq), costituito prevalentemente da scrittori convertiti al giornalismo nel quale hanno trovato una seconda possibilità di riuscita rispetto alla vocazione letteraria3, mentre il caso di Dalize, che ha una

2 A. Billy, catalogo delle “Soirées de Paris”, op. cit. 3 È esemplare il caso di Billy, che diventa il più importante giornalista letterario della prima metà del secolo, mentre Tudesq si affermerà come uno dei principali reporter tra le due guerre, cfr. M.

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posizione subordinata tanto in letteratura che nel giornalismo, deve essere considerato a parte. A questo si aggiunga che lo stesso Salmon in questa fase è sempre più assorbito dalla sua attività di cronista, soprattutto di critico d’arte, a spese della sua produzione poetica. Analizzando le traiettorie dei redattori colpisce l’opposizione tra quelli che potremmo chiamare i “creatori” della rivista (Apollinaire e Salmon) e i giornalisti del gruppo che differiscono per gli interessi e gli scopi che attribuiscono alla pubblicazione. Queste differenze tra i redattori sono il principio che orienta e permette di spiegare la forma assunta dalla rivista in questa prima fase della sua esistenza. L’alleanza simbolica si rivela una strategia fondamentale per emergere e rendersi visibili in quel momento di aspra concorrenza, in cui gli spazi del circuito poetico si sono drammaticamente ridotti, e questo spiega come, nonostante le differenze di posizione, di capitale e frequentazioni, e le divergenze di opinione quanto all’orientamento della rivista, l’impresa collettiva sembri possibile, almeno in una prima fase.

II. 1.1 I creatori della rivista: Apollinaire e Salmon

Nello spirito autarchico e indipendente che caratterizza questa prima équipe che in una prima fase esaurisce al suo interno tutti i ruoli, senza ricorrere a collaboratori esterni, è evidente che il progetto di rivista concepito da Billy, anima e organizzatore del gruppo, si fonda essenzialmente sul polo Apollinaire-Salmon, le figure di spicco della redazione. Tra il 1903 e il 1904 essi avevano già animato una rivista, il “Festin d’Esope” (e i numeri unici della “Revue Immoraliste” e delle “Lettres Modernes” nel 1905, ai quali si associa Max Jacob) in cui, poco più che debuttanti avevano condiviso esperienze e in-tenzioni comuni: nella coesione del gruppo assicurata dalla pubblicazione trovano la forza di affrontare un mondo poco aperto ai nuovi venuti grazie alla solidarietà tra i membri che si esprime attraverso la rete di relazioni reciproche4.

L’esperienza del “Festin” si propone come un precedente significativo cui Billy, che aveva brevemente collaborato alla sua distribuzione, intese fare appello per la fondazione delle “Soirées”; tuttavia la situazione e i rapporti di forza all’interno del nucleo fondatore e soprattutto tra Apollinaire e Salmon sono ora profondamente mutati. “Les Soirées” non sono infatti una pub- Boucharenc, L’écrivain reporter au coeur des années trente, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 2004; Dalize morì sul campo di battaglia nel 1917. 4 Cfr. l’affermazione di Max Jacob, “quand l’un de nous entrait dans une revue, chez un éditeur, dans une galerie, son premier travail était d’y faire entrer tous les camarades avec lui”, “La Boîte à clous”, febbraio 1951, numero in omaggio a Max Jacob.

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blicazione di debuttanti alle prime esperienze, ansiosi di emergere; la rivalità letteraria e l’accesso diseguale alla consacrazione emerse nella seconda parte del loro percorso evidenzia differenze e divergenze tra i due amici che le indubbie affinità e la natura solidaristica dei loro rapporti avevano precedentemente minimizzato5.

II. 1.1.1 Apollinaire

Apollinaire 1900-1911

Durant 12 ans seul poète de France (Blaise Cendrars, Hamac, “Montjoie!”, avril-mai-juin19146)

Analizzando la posizione di Apollinaire all’epoca vediamo delinearsi una situazione e degli orientamenti diversi rispetto a quelli degli altri redattori.

Nel 1912 Apollinaire ha 32 anni ed è un personaggio in vista del mondo letterario e artistico; poeta e prosatore stimato, è un critico influente e un sostenitore della nuova generazione artistica. Grazie alle sue capacità relazionali e alla sua conoscenza dei meccanismi che regolano la vita letteraria, Apollinaire è perfettamente integrato al circuito parigino, dove si elaborano gli orientamenti vitali della ricerca poetica e provvisto delle disposizioni necessarie per padro-neggiarne il funzionamento; la sua traiettoria appare esemplare perché entra in relazione, anche negativamente, con tutte le posizioni che concorrono a definire la struttura dello spazio letterario in quel periodo. Nel suo percorso Apollinaire si accosta ai movimenti e alle personalità che attraverso i loro sforzi di rinnovamento svolgono un ruolo significativo nella poesia contemporanea (dal naturismo all’umanismo sino al neosimbolismo e all’unanimismo), senza mai aderire a nessuno di essi, ma assimilandone piuttosto gli insegnamenti. Ispirata ad un incessante spirito di ricerca, la sua produzione letteraria mostra come egli abbia saputo rielaborare in modo personale le forme, le problematiche e le tematiche ereditate dalla tradizione, utilizzando le molteplici risorse della prosa e della poesia, nella quale individua l’essenza più alta della letteratura, svilup-pando tutte le gamme dell’espressione lirica, sia in versi regolari che in versi liberi, senza rinunciare al suo ideale esigente di perfezione artistica.

La prima fase della sua attività poetica consiste nell’acquisizione e nella presa di distanza dall’eredità simbolista, di cui sovverte i procedimenti, sul modello 5 Per questo aspetto rimando al mio saggio su André Salmon. Alle origini della modernità poetica, in particolare cap. IV. 6 Ripreso nei Dix-neuf poèmes élastiques, Paris, Au sens Pareil, 1919.

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della poetica della sorpresa istituita da Jarry come risorsa estetica fondamentale, piegandoli ad esprimere significati inediti, talvolta scopertamente parodici (“L’Ermite”, “Le Larron”, “Merlin et la vieille femme”, poi “Palais”, “Rosemonde”, in Alcools).

Con le poesie renane pubblicate sul “Festin d’Esope” tra il 1903 e il 1904 (Les Femmes, La Loreley, Passion, Schinderhannes, L’Emigrant de Landor Road, Salomé, Les Cloches, Mai ) Apollinaire definisce un suo stile poetico personale, che integra le esigenze di semplicità, spontaneità apparente, l’attenzione per il vissuto espressi dal movimento naturista con le forme del lirismo popolare in voga nel periodo simbolista (sull’esempio del Moréas delle Cantilènes, del Maeterlinck delle Quinze Chansons, delle Ballades françaises di Paul Fort). Il soggetto principale ne è la fuga del tempo: “Rien ne détermine plus de mélancolie chez moi que cette fuite du temps. Elle est en désaccord si formel avec mon sentiment, mon identité, qu’elle est la source même de ma poésie”7. Il periodo successivo è dominato dal confronto con i maestri del Simbolismo, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, quando delinea la sua concezione della poesia come creazione assoluta che rifiuta di piegare l’arte alla semplice riproduzione mimetica della realtà attraverso il lavoro sull’estetica formale del linguaggio. Sul piano concreto questa tensione si traduce nella poetica della discontinuità, del montaggio, del collage8, in cui si giustappongono toni e registri diversi e l’elaborazione di una metrica personale da sostituire all’ancien jeu de vers (“Les Fiançailles”, in Alcools) attraverso l’espansione o la riduzione dei metri tradi-zionali e l’allentamento dello schema ritmico delle rime. La Chanson du mal-Aimé, pubblicata nel 1909 nel “Mercure de France” dopo una lunga gestazione è una realizzazione esemplare di tutto il percorso poetico compiuto sino ad allora: su un tessuto di ispirazione elegiaca, malinconica e sentimentale si innesta un procedimento di fusione dei contrari, dove coesistono bellezza e cattivo gusto, nobiltà e scatologia, malinconia e burlesco integrate alle prime apparizioni della civiltà moderna9. La poesia apollinariana si caratterizza per una grande mobilità espressiva, una varietà di gamme (dal tono elegiaco, al grave e solenne, al profetico sino al riso e alla parodia) e di registri formali che si estende ulteriormente con la pubblicazione del Bestiaire ou Cortège d’Orphée nel 1911, illustrato da Dufy, composto da diciotto brevi poesie a carattere descrittivo in 7 G. Apollinaire, Lettres à sa marraine, Paris, Gallimard, 1951, p. 72. 8 Per l’analisi del percorso di Apollinaire rimando al saggio di A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit. 9 Cfr. la lettura esemplare di M. Richter in Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica all’inizio del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1990.

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octosyllabes che propongono delle variazioni (nel senso musicale del termine) di tono ironico sui temi della vita quotidiana, in uno stile che unisce la docilità del verso libero al rigore del verso tradizionale, l’incontro di immagini inattese e la preziosità del codice simbolista. La sua incessante ricerca formale non si limita però alla poesia; L’Enchanteur pourrissant, il suo primo libro pubblicato nel 1909 da Kahnweiler con le illustrazioni di Derain, è un esempio di prosa lirica in cui sezioni narrative si alternano a monologhi drammatici o a versi, mentre i racconti dell’Hérésiarque et Cie (Stock, 1910) si propongono come l’esplorazione di una prosa più semplice e diretta, quasi mimetica, che nell’impianto anti-naturalistico che caratterizza tutta la ricerca artistica di Apollinaire si sforza di poetizzare gli aspetti più singolari della realtà. Dopo la pubblicazione di questi primi libri che concretizzano parte dell’attività precedente, la sua opera multiforme, che domina tutti i fronti della creazione letteraria e ne esplora le molteplici virtualità espressive, comincia ad essere apprezzata in tutta la sua originalità, al punto che persino il “Mercure de France” nel 1911 gli affida una rubrica, La Vie anecdotique. Si può comprendere che retrospettivamente egli appaia l’erede ideale della tradizione che lo ha preceduto e che la sua poesia, nella sua disponibilità ad accogliere le forme e le suggestioni più diverse, incarni gli orientamenti del suo tempo, come sottolinea Cendrars in Hamac (“Montjoie” aprile-giugno 1914), rendendo omaggio al suo percorso poetico. Questa capacità di riunire possibili che ai contemporanei appaiono incompatibili, l’in-novazione e la tradizione, l’elegia e la dissacrazione, il virtuosismo stilistico e la sperimentazione, un aspetto che costituisce ai nostri occhi la grandezza di Apollinaire, è tuttavia lungi dall’essere pienamente riconosciuta dai contem-poranei, anche dai più competenti, in quanto si tratta di una posizione che sfida gli schemi di percezioni in vigore.

Il periodo immediatamente precedente la fondazione della rivista rappresenta un periodo di riflessione per Apollinaire; nel 1910 non pubblica versi, mentre l’anno successivo la sua produzione consiste in un inedito, Stances (“Signe” in Alcools, “Schéhérazade” n 6, marzo 1911) e soprattutto in poesie in buona misura già edite o composte nel periodo precedente: Crépuscule e Salomé, riprese in “Le Parthénon” (dicembre 1911), il Poème lu au mariage d’André Salmon le 13 juillet 1909 (“Vers et Prose” ottobre-dicembre 1911) e un gruppo di Rhénanes, che dovevano essere riunite nella progettata plaquette, Le Vent du Rhin10, e pubblicate invece nell’Anthologie critique des poètes contemporains di Florian-

10 Nuit rhénane, Le Vent nocturne, Passion, La Tzigane, Le Signe de l’automne [Signe in “Schéhérazade”], Les Colchiques.

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Parmentier. Al di là del Poème lu au mariage d’André Salmon, che è allo stesso tempo un omaggio alla poesia dell’amico e una rielaborazione personale e un superamento del linguaggio unanimista11, la pubblicazione di poesie apparen-temente tradizionali sembra essere una presa di posizione e una risposta concreta alla negligenza formale dei cosiddetti poeti modernisti, e soprattutto degli unanimisti12 (già ribadita nella stroncatura dell’Armée dans la ville13) che avevano lanciato una vera offensiva poetica nel 1910. Al loro arrivismo, al loro dogmatismo dottrinario Apollinaire oppone l’esempio di Moréas, appena morto, cui rende omaggio con Stances, ove la perfezione della fattura tradizionale si allea all’ispirazione elegiaca. La tonalità autunnale è l’aspetto dominante anche nei testi della serie “La Santé”, composti a seguito dell’incarcerazione e pubblicati per prima volta in Alcools, in cui Apollinaire sembra voler nobilitare la sua drammatica esperienza attraverso la riattualizzazione di un precedente illustre, quello verlainiano. Così nonostante l’innovazione costante che presiede alla sua elaborazione artistica, agli occhi dei contemporanei Apollinaire si presenta soprattutto come un poeta lirico, distante dalle accezioni di modernità comu-nemente recepite all’epoca. Questa è l’interpretazione diffusa all’interno dell’équipe, in particolare presso Billy, che ancora nella prefazione alle Œuvres poétiques di Apollinaire nel 1965 esprime un’idea riduttiva delle sue qualità, assimilando il “vero Apollinaire” a “un grand poète élegiaque”, dagli straor-dinari doni lirici: “il a beau s’être acharné comme pour gageure à les réduire, à les annuler au profit d’une beauté nouvelle fort incertaine dont à la fin il commençait à douter lui même”14. Proprio questa ricezione prevalente all’interno della redazione è a nostro avviso l’elemento che permette la costituzione del gruppo intorno ad Apollinaire ed assicura l’esistenza della rivista, almeno in una prima fase.

11 Per questo aspetto cfr. M. Dario, Apollinaire tra Souvenir e Avenir : il “Poème lu au mariage d’André Salmon”, in Les pas d’Orphée, scritti in onore di Mario Richter, Padova, Unipress, 2005, pp. 415-431. 12 Questa presa di distanza dal modernismo ideologico che si stava imponendo nella vulgata degli unanimisti e dei dinamisti come Guilbeaux si esprime in modo esplicito in un testo pubblicato nel luglio 1911 su “Le Printemps des Lettres”, L’ancien tailleur, in cui Apollinaire allude esplicitamente ai “poètes et doctrinaires qui n’ont pas de beauté. Le public aujourd’hui aime la platitude, les choses mal faites, il rit de la beauté, elle le gêne quand il la rencontre”, Œuvres en prose complètes II, Paris, Gallimard, “Bibliothèque de la Pléiade”, 1991, pp. 1206-1208. 13 Dell’aprile 1911, ibidem, pp. 960- 963. 14 Prefazione di Billy alle Œuvres poétiques di Apollinaire, Paris, Gallimard, “Bibliothèque de la Pléiade”, 1965, p. XLVI.

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La figura del poeta associato ad una produzione elegiaca e tradizionale si accompagna ad un’immagine sempre più precisa di difensore ed interprete delle nuove tendenze artistiche. Non deve stupire il rilievo che la critica d’arte assume nell’attività di scrittori e poeti di questo periodo, i quali non la ritengono solo un’espressione collaterale a quella letteraria, ma addirittura una sua estensione. L’interesse degli scrittori per le manifestazioni artistiche non era certo un fenomeno nuovo, per limitarci ad un esempio celeberrimo possiamo riferirci a Diderot che tra le sue svariate attività annoverò anche quella di critico d’arte. È indubbio però che nel corso della seconda metà dell’Ottocento legami più stretti di solidarietà uniscano i pittori e gli scrittori più esigenti, accomunati dai valori dell’art pour l’art e dalla frattura crescente rispetto ai gusti del pubblico. Così Baudelaire può riconoscere in Delacroix un suo pari, votato come lui al culto assoluto dell’arte e notevoli affinità avvicinano analogamente impres-sionisti e simbolisti15. Nel caso di Apollinaire e dei pittori che ha sostenuto, che hanno tutti svolto un ruolo di primo piano nella rivoluzione pittorica moderna (Picasso in primis, ma anche Derain, Braque, Delaunay, Picabia, Duchamp, Archipenko, Chagall, De Chirico…) si realizza una vera e propria convergenza di interessi. In effetti non solo i poeti come Apollinaire e Salmon assistono alla rivoluzione della pittura moderna ma vi sono strettamente associati. Grazie anche all’apporto dell’esperienza del Bateau-Lavoir16, dove pittori e poeti si sono confrontati instancabilmente sul terreno dell’innovazione artistica, la poesia e la pittura moderna si riconoscono ideali ed obbiettivi comuni, che si traducono in un’effettiva e reciproca interazione tra forme artistiche diverse. Il fenomeno dei poeti-critici costituisce un aspetto peculiare delle relazioni privilegiate tra arte e letteratura che trova origine nella separazione tra l’arte non accademica e i circuiti di riconoscimento ufficiali (critica, salons…). In questa fase i poeti sono i più accreditati e riconosciuti critici d’arte17 in quanto la pittura nuova non viene trattata nelle riviste d’arte specializzate, legate all’accademia e ai salons ufficiali. Per gli stretti contatti che li legano ai pittori i poeti sono invece perfettamente al corrente degli orientamenti in via di

15 Cfr. il saggio di Dario Gamboni, La Plume et le Pinceau, Paris, Editions de Minuit, 1989. 16 Cfr. il saggio André Salmon. Alle origine della modernità poetica, op. cit., cap. 2.2, “Quand poètes et peintres s’influençaient tour à tour”, p. 72 e sgg. 17 Questa situazione viene rovesciata alla morte di Apollinaire quando i galleristi, i mercanti, i critici si riprenderanno gli spazi usurpati dai critici poeti, che verranno da allora sottoposti ad un vero processo di delegittimazione e di discredito; cfr. A. Boschetti, La poésie partout, op. cit., “Apollinaire et la révolution des peintres”.

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elaborazione nel mondo chiuso degli ateliers e delle gallerie; in virtù delle loro reali affinità con le ricerche che vi si conducono e del credito acquisito in letteratura e nel giornalismo essi possono presentarsi come gli interpreti più qualificati delle nuove tendenze artistiche nei grandi quotidiani ai quali collaborano, “Paris-Journal”, “L’Intransigeant”, “Gil Blas”. Nel 1910 quando Salmon, passato a “Paris-Journal”, designa Apollinaire come suo sostituto a quella che è diventata la cronaca artistica dell’“Intransigeant”, questa attività assume un particolare rilievo, soprattutto perché il cubismo, assurto a tendenza artistica collettiva, diviene un caso nazionale, degno dell’interesse dell’opinione pubblica.

È la nascita della cosiddetta “critique des poètes”, espressione coniata dal critico Vauxcelles a proposito di Salmon, il quale la rilancia a sua volta in un articolo su “Montjoie!” del marzo 1914, designandola come un contributo essenziale della sua generazione poetica. “Nous avons tué la vieille critique! Elle est morte à jamais!”. In un articolo del maggio 1914 Apollinaire difende a sua volta la critique des poètes contro coloro che, come il critico Gaston Thiesson, accusano i critici-poeti di “incomprehension de la peinture” per aver valorizzato unicamente Matisse, Picasso, Braque a scapito delle altre tendenze della pittura francese:

On peut n’aimer point Matisse, Picasso, Derain, Braque, Léger, Marie Laurencin etc., mais on ne peut nier que ces peintres n’aient été les plus importants de leur époque, ni que je les ai défendus […]. La critique des poètes n’existait pas “lorsque Gaugin vivait misérablement à Tahiti, e que Van Gogh, ignoré, peignait ses tableaux passionnés”. Aujourd’hui les poètes n’ont laissé dans l’ombre ni Matisse, ni Picasso. Ils n’ont point pris parti d’admirer toute chose nouvelle. Ils s’efforcent de la distinguer pour que les forces qu’elle peut apporter ne soient point perdues18.

Artisti come Picasso, Braque, Derain, Delaunay, Picabia devono molto al-l’operato di poeti come Apollinaire e Salmon che, complici dei pittori, si fanno critici, sostenendo quotidianamente le loro ricerche dalle pubblicazioni alle quali collaborano e riconoscendo i segni fecondi dell’“art vivant”19 in corso di elaborazione tra le innumerevoli realizzazioni esposte nei salons e nelle gallerie d’arte.

18 Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 671 e sgg. 19 L’Art vivant è titolo di un’opera di Salmon dedicata all’arte moderna (Paris, Crès, 1920).

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In una lettera al poeta inglese F.S. Flint20 del maggio 1912 Apollinaire rivendica orgogliosamente il ruolo da lui svolto nella pittura moderna: “Comme critique d’art j’ai été longtemps le seul à défendre les écoles avancées de peinture et de scu[ l ]pture [sic]”21. Questa affermazione è più comprensibile se si tiene conto del fatto che nessun altro contemporaneo possiede la sua competenza tecnica, acquisita grazia alla sua familiarità con i pittori, dei quali Apollinaire studia attentamente le pratiche e le ricerche, che espone successivamente sul piano teorico22.

Allo stesso tempo l’esercizio della critica costituisce un vero e proprio atout per gli scrittori che mirano ad affermarsi all’interno dell’avanguardia: dal ruolo di difensori ed interpreti della pittura moderna che svolgono presso l’opinione pubblica essi traggono un indubbio prestigio simbolico e una eccezionale considerazione, quale non conosceranno più probabilmente nelle epoche successive.

Con il suo ingresso all’“Intransigeant” Apollinaire ha la possibilità di sostenere giorno dopo giorno gli sforzi di rinnovamento dei pittori, ignorati se non attaccati dalla critica ufficiale. Egli che, come Salmon, inizialmente aveva accordato il suo appoggio incondizionato solo ai grandi promotori della rivoluzione artistica moderna (Picasso, Matisse, Braque e Derain) decide nel corso del 1911 di presentarsi pubblicamente come il difensore del movimento cubista. Tale attaggiamento risulta più comprensibile se si pensa che in quegli anni Picasso e Braque non venivano considerati “cubisti” perché il termine di “cubismo” designava un movimento collettivo, formalizzato teoricamente, e riconducibile alle tendenze elaborate dai cosiddetti “pittori di Montparnasse” come Metzinger, Gleizes, Le Fauconnier sulla scia dell’impulso rivoluzionario lanciato dall’artista spagnolo23. Apollinaire è allora spinto, per amicizia e per quella competenza acquisita dalla frequentazione e dallo scambio con i pittori –

20 Redattore della “French Chronicle” per la rivista inglese “Poetry and Drama”; per i rapporti tra Apollinaire e l’avanguardia inglese si veda il capitolo successivo. 21 C.N. Pondrom, The Road from Paris. French Influence on English Poetry 1900-1920, London, Cambridge University Presse, 1974, p. 78. 22 Per l’esplorazione della produzione critica di Apollinaire rimandiamo all’abbondante bibliografia di W. Bohn, in particolare per questo aspetto della relazione tra il poeta ed i pittori, Apollinaire inédit, L’énigme de Giorgio de Chirico, “Revue des Lettres Modernes”, serie Guillaume Apollinaire 15, 1980. 23 Cfr. il saggio di M.G. Messina e J. Nigro-Covre, Il cubismo dei cubisti, Roma, Officina Edizioni, 1986.

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un aspetto che la maggior parte dei critici e dei pittori, parte in causa interessata, ha ridotto a intuizione, fiuto, divinazione24 –, a sostenere pubblicamente il movimento cubista e a farsi il portavoce di quella tendenza collettiva, nonostante le sue esitazioni iniziali. Apollinaire chiarisce i motivi di questo cambiamento di strategia in una lettera a Soffici del gennaio 1912: la modernità non è questione di singole innovazioni, ma delle ricerche collettive che derivano da un atteggiamento nuovo nei confronti della rappresentazione del reale:

ne croyez-vous pas que pour qu’une conception artistique nouvelle puisse s’imposer, il soit nécessaire aux choses médiocres de paraître en même temps que les sublimes? […] C’est pour cela et en faveur des grands artistes comme Picasso, que je soutiens Braque et les cubistes25.

In effetti, come sottolinea Peter Read, Apollinaire si trova allora in una situazione critica: desidera sostenere i giovani artisti ma l’assenza dei maestri dai Salon (come è noto Braque e Picasso non espongono alle manifestazioni ufficiali) lo costringe a parlare di artisti secondari; se li critica troppo duramente “il semblera se rallier à la critique anti-moderniste”26. Nel giugno 1911 Apollinaire accetta così a nome dei giovani pittori la qualifica di “cubistes” con la quale vengono designati spregiativamente dalla critica ufficiale e in occasione del Salon d’Automne del 1911 è uno tra i pochi critici apertamente schierati a fianco dei cubisti, insieme ad Alexandre Mercereau, Maurice Raynal, Olivier Hourcade, mentre buona parte dei poeti modernisti, ferventi sostenitori del “nuovo” in poesia, si mostra del tutto incapace di intuire il valore della rivoluzione artistica in atto, si citerà il caso di Guilbeaux27. Apollinaire diviene allora il paladino della nuova pittura fino a proclamare che “sans méconnaître les talents de toutes sortes qui se manifestent au Salon d’Automne, je sais bien que le cubisme est ce qu’il y a de plus élévé aujourd’hui dans l’art français”28. In questa affermazione bisogna rilevare non un cambiamento nelle sue opinioni ma il senso diverso che attribuisce alla parola “cubista” in cui non inserisce più solo il movimento di Gleizes e Metzinger, ma anche Braque e soprattutto Picasso

24 Questo aspetto è esemplificato dalla recensione di M. Raynal ai Peintres cubistes, pubblicata su “Montjoie!” del gennaio 1914; cfr. A. Boschetti, op. cit., pp. 300-301 e il capitolo III. 25 G. Apollinaire, Œuvres complètes, IV, Paris, Balland e Lecat, 1966, p. 758. 26 P. Read, Picasso et Apollinaire, les métamorphoses de la mémoires, Paris, Jean-Michel Place 1995, p. 95. 27 Cfr. alcune delle dichiarazioni espresse al riguardo in “Les Hommes du jour”, riportate in G. Apollinaire, Méditations esthétiques. Les peintres cubistes, Paris, Hermann, 1980. 28 “L’Intransigeant”, 10 ottobre 1911, in Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 372.

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che sin dal 1911 cerca di far riconoscere come il fondatore del movimento29. Tale presa di posizione non manca di suscitare reazioni ostili nell’avanguardia letteraria, come appunto quella di Guilbeaux, che per sminuire la funzione eminente che Apollinaire va acquisendo in seno al movimento artistico sottolinea la contraddizione tra il ruolo pubblico assunto dal poeta e le sue convinzioni personali30, una contraddizione in realtà solo apparente, come abbiamo visto.

La capacità di associare posizioni e di operare in contesti diversi, che è propria di molti grandi artisti, da Picasso a Montale, non è solo un aspetto della personalità di Apollinaire, ma un tratto specifico che presiede alle sue scelte artistiche, quella che è stata definita da Anna Saint-Léger Lucas la sua polivalenza31: Apollinaire intrattiene buone relazioni con esponenti di tutte le tendenze – dal poeta ed erudito Fernand Fleuret, decisamente ostile alle esperienze moderniste, a Gide, sino a Marinetti, i futuristi e tutti gli altri gruppi letterari ed artistici –, ed è onnipresente in tutti gli ambienti che contano, ateliers degli artisti, gallerie d’arte, salons e riviste letterarie. Tuttavia, alla vigilia della fondazione della rivista Apollinaire che, come mostra tutto il suo percorso, ben comprende l’importanza dei gruppi ai quali ha partecipato (la banda del “Festin d’Esope” e del Bateau-Lavoir) o si è avvicinato (il naturismo, l’unanimismo), è isolato rispetto alla spinta aggregativa che caratterizza la vita letteraria in questa fase32. Nel 1910 l’entrata sulla scena letteraria francese di movimenti poetici quali il dinamismo, il parossismo e soprattutto il futurismo, con il loro modernismo messianico, sembra mettere in discussione la funzione

29 “En 1908 on vit quelques tableaux de Picasso où il y avait des maisons qui simplement et fermement dessinées donnèrent au public l’illusion de ces cubes, d’où vint le nom de notre plus jeune école de peinture”, “Intransigeant”, 10 ottobre 1911, Œuvres en prose complètes II, op. cit., p 372 e ancora nel “Mercure de France” del 16 ottobre 1911 “Le nome cubisme a été trouvé par le peintre Henri Matisse qui le proposa à propos d’un tableau de Picasso. Les premiers tableaux cubistes que l’on ait vus dans une exposition étaient l’ouvrage de Georges Braque”, G. Apollinaire, Œuvres en prose complètes III, Paris, Gallimard, “Bibliothèque de la Pléiade”, 1993, p. 87. 30 “A plusieurs personnes, à moi notamment, M. Apollinaire s’est exprimé très sévèrement sur le cubisme”, H. Guilbeaux, “Les Hommes du jour”, 30 settembre 1910, riportato in G. Apollinaire, Les peintres cubistes, op. cit., p. 202. 31 Anna Saint-Léger Lucas, A. “La polyvalence d’Apollinaire”, in Guillaume Apollinaire devant les avant-gardes européennes, Roma, Bulzoni, 1997. 32 Cfr. il capitolo precedente e la dichiarazione riportata nella lettera a Gide del giugno 1911, “J’ai peur que mon époque me surpasse sans même m’émouvoir”; P.-M. Adéma, Guillaume Apollinaire, Paris, La Table Ronde 1968, p. 179.

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e il destino stesso della poesia. Grazie alla sua straordinaria competenza, la conoscenza delle problematiche che orientano la ricerca letteraria, Apollinaire può comprendere meglio di chiunque altro l’importanza della sfida lanciata dall’avanguardia per la definizione dei nuovi valori poetici. “Pourquoi faut-il être si moderne?” si chiedeva Apollinaire in una prima redazione di “Cortège”33; nel biennio che precede lo scoppio della guerra la modernità si è ormai installata al centro delle problematiche letterarie e al poeta contemporaneo si apre un altro e non meno pressante interrogativo, che concerne il come essere poeta del proprio tempo, senza abdicare ai valori artistici in cui si riconosce. Si comprende che in questa situazione la rivista rappresenti un’opportunità importante per uscire dal suo isolamento letterario e promuovere le sue concezioni artistiche con maggiore libertà rispetto ai giornali, un mezzo per rafforzare la sua posizione letteraria associandola ad un’immagine forte di promotore della nuova pittura. Grazie alla sua conoscenza della vita letteraria Apollinaire può progettare la creazione di una rivista d’avanguardia in grado di colmare le attese di un certo pubblico, “un moyen d’influence […] où il ne dépendrait de personne et aurait toute liberté pour mener le combat en faveur de la peinture nouvelle”34, che avrebbe costituito un atout in rapporto ai suoi concorrenti.

II. 1.1.2 André Salmon

Il percorso artistico di André Salmon (1881-1969) si era strettamente intrecciato a quello di Apollinaire nella prima fase della loro attività che li aveva visti accomunati dalle stesse amicizie, dalle stesse esperienze letterarie e culturali: debuttanti alle serate della “Plume” nel 1903, animatori del “Festin d’Esope” e collaboratori delle stesse riviste (“La Plume”, “La Revue littéraire de Paris et de Champagne”, “Vers et Prose”), frequentatori abituali del Bateau-Lavoir e testimoni in prima persona della nascita del cubismo, critici d’arte sui giornali. Sul piano poetico si è sottolineata l’affinità dei loro percorsi poetici35, la derivazione iniziale dall’estetica simbolista e un’analoga aspirazione a rinnovare il lirismo ereditato dalla tradizione simbolista che diviene una presa di distanza attraverso l’esercizio salutare dell’ironia e dello spirito critico, il gusto per le

33 G. Apollinaire, Œuvres poétiques, op. cit., p. 1051. 34 Les Soirées de Paris, catalogo della mostra, op. cit. 35 Cfr. C. Debon, Apollinaire lecteur de Salmon, Casanova et quelques autres, “La Revue des Lettres modernes”, serie Guillaume Apollinaire, n. 14, 1978 e il mio saggio su André Salmon alle origini della modernità poetica, op. cit., cui mi riferirò per l’insieme del percorso di Salmon.

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immagini insolite e le atmosfere cosmpolite. “Notre amitié a été le fleuve qui nous a fertilisés” afferma Apollinaire nel “Poème lu au mariage d’André Salmon” (1909), esaltando questa stagione di intensa elaborazione creativa. Questo periodo coincide con una fase particolarmente favorevole per Salmon che pubblica ben tre raccolte di versi in cinque anni, Poèmes nel 1905, Les Féeries nel 1907 (entrambi per le edizioni di “Vers et Prose” di cui era segretario di redazione) e Le Calumet (Falque) nel 1910, e viene considerato dai contem-poranei più avvertiti la speranza della poesia francese al pari, se non più, dello stesso Apollinaire. Così risulta più comprensibile l’affermazione di Max Jacob secondo la quale “en ce temps-là (il s’agit de l’époque 1905-1907) Apollinaire était petit employé de banque. Il lisait ses poèmes aux uns et aux autres… Le grand poète de la bande, aux yeux de tous, c’était André Salmon”36. Salmon precede infatti l’amico nelle tappe salienti della sua carriera e rappresenta per lui un riferimento importante. Dedicatosi subito completamente all’attività poetica, Salmon è il primo a pubblicare una raccolta di versi; collaboratore dei giornali, egli lancia sin dal 1908 la critique des poètes e quando nel 1910 lascia “L’Intransigeant” per “Paris-Journal” designa Apollinaire a succedergli in quello che è diventato grazie a lui il ruolo ufficiale di critico d’arte del giornale37, curatore di una rubrica regolare, la Vie artistique. Malgrado il riconoscimento precoce di cui gode nel mondo letterario, il silenzio della critica seguito alla pubblicazione delle Féeries (1907) e l’accoglienza controversa riservata a Le Calumet (1910), l’entrata a pieno titolo nel giornalismo, come pure il successo crescente di Apollinaire, che giudica eccessivo, coincidono con l’abbandono progressivo della poesia in favore della prosa e del giornalismo38: a partire dal 1910 Salmon si consacra soprattutto alla difesa della pittura moderna ed è insieme ad Apollinaire all’“Intrasigeant” e Warnod a “Comoedia” uno dei critici più influenti della nuova generazione artistica. In questa rinuncia momentanea alla creazione lirica39 sembra che la rivelazione della grandezza di Apollinaire – che nel

36 M. Jacob, “La Boîte à clous”, op. cit. 37 Cfr. Marilena Pronesti, “André Salmon e l’“art vivant”: biografia di una nuova estetica”, in Scrivere le vite. Consonanze critiche sulla biografia, Torino, Tirrenia Stampatori, 1996. 38 Nella produzione di questo periodo possiamo segnalare La Jeune Peinture française (Massein, 1912) con l’“Histoire anecdotique du cubisme”, testimonianza a caldo sulla rivoluzione cubista e Les Tendres Canailles (Œllendorf, 1913), romanzo sul quartiere popolare della Buci. 39 Dal 1910 al 1919, negli anni più intensi dell’attività poetica di Apollinaire, fino alla sua morte, Salmon non pubblica alcuna raccolta poetica; Prikaz, per le Editions de la Sirène inaugura la seconda fase della sua attività poetica nel 1919.

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1909 aveva pubblicato La Chanson du Mal-Aimé, una della sue creazioni più emblematiche – abbia svolto un certo ruolo; sono gli esiti a cui perviene il Poème lu in cui Apollinaire rende omaggio all’amico riutilizzando in modo straordinario gli elementi attinti al suo repertorio poetico e, di fatto, superandolo. Successivamente i destini dei due poeti si dividono: se agli inizi della loro attività essi si erano avvicinati per affrontare uniti le difficoltà comuni, è naturale che in seguito, amici e rivali allo stesso tempo, siano chiamati a competere per affermare le loro posizioni personali sul terreno della creazione letteraria e della critica d’arte. In questo senso bisogna interpretare la dedica enigmatica dell’Hérésiarque et Cie a Salmon (“A mon très cher/ André Salmon/ Hommage d’une amitié qui ne peut finir”) e l’assenza dalla rivistina da lui fondata e diretta nel 1910, “Les Nouvelles de la Républiques des Lettres”.

Da allora Salmon e Apollinaire continuano separatamente il loro percorso sebbene non vengano meno i loro legami di amicizia; essi si espongono così al rischio dell’isolamento di fronte alla spinta aggregativa che è un tratto distintivo della vita letteraria contemporanea. Se la fondazione del “Festin d’Esope” era stato il primo atto della loro avventura poetica comune, “Les Soirées de Paris” sono invece l’occasione di un confronto ravvicinato tra i due compagni. Come è logico, Apollinaire è la vedette della rivista creata intorno a lui, tanto più che il nucleo più attivo della redazione, composto da Billy e Dalize, gli riconosce una vera autorità morale su tutto il gruppo. Così nonostante la situazione di Apollinaire e Salmon riproponga delle analogie con le condizioni che avevano favorito la fondazione del “Festin” –, l’esigenza di rendersi visibili attraverso la creazione di una rivista indipendente che li avrebbe segnalati all’attenzione del mondo letterario e ove sarebbero stati liberi di pubblicare i loro testi – si comprende che l’atteggiamento di Salmon verso il progetto comune questa volta sia sensibilmente diverso. Egli non è affatto coinvolto in quest’impresa che gli appare semplicemente “une publication sans bénéfice ni développement futur, rien qu’un organe à répandre aussi largement comme n’importe quelle autre petite revue, histoire de prouver que Guillaume Apollinaire survivait à son malheur immérité”40, un “divertissement passager”41 volto a distrarli dagli impegni giornalistici.

40 Souvenirs sans fin II, Paris, Gallimard,1956, p. 123. 41 Catalogue des Soirées de Paris, op. cit.

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II. 1. 2 I giornalisti

I rapporti tra giornalismo e letteratura costituiscono un aspetto specifico della vita letteraria di questo periodo, utile a precisare i tratti propri al percorso degli altri fondatori della rivista, Billy, Dalize e Tudesq. Apollinaire e la sua generazione sono stati definiti, a ragione, “la génération du journalisme”42, attività che attira romanzieri come Mac Orlan e Alain-Fournier, poeti come Carco, Divoire, Muselli, oltre agli stessi Salmon e Apollinaire. Le loro motivazioni sono innanzitutto di ordine economico. Privi di risorse materiali, hanno l’esigenza di sfuggire alla precarietà dell’esistenza quotidiana, alle miserie della vita di bohème, preservando la loro opera dai rischi connessi all’incertezza e all’instabilità. Il giornalismo – attività allora in costante espansione che vede il rilancio di diverse testate tra le quali “Paris-Journal” – diviene una risorsa importante soprattutto per i giovani scrittori, che hanno l’occasione di sfruttare il loro talento letterario per accedere a un vero e proprio mestiere, regolarmente retribuito. L’aumento del pubblico colto, favorito dalla scolarizzazione secondaria, incoraggia l’interesse dei giornali per le manifestazioni letterarie ed artistiche, che si traduce nel lancio di rubriche curate dal courriériste littéraire, figura intermediaria tra letteratura e giornalismo. Nel 1907 nasce “Comoedia”, quotidiano interamente consacrato all’attualità culturale; nel 1908 “Gil Blas”, su iniziativa di Gustave Kahn, apre le proprie colonne alla poesia (è qui che figurano i versi apollinariani di Le Pyrée, “Le Brasier” in Alcools). Quello stesso anno un altro quotidiano, “L’Intransigeant”, istituisce una cronaca letteraria regolare, esempio poi seguito da altri giornali parigini. La rubrica diviene nel corso del 1909 la famosa Boîte aux Treize, redatta da un numero variabile di collaboratori, che si affermerà come la più autorevole nel suo genere. Da allora, numerosi giovani scrittori divengono courriéristes littéraires nei giornali; credono e difendono i valori artistici e contribuiscono, nel tempo, ad orientare i gusti del grande pubblico al quale si rivolgono; tra i più importanti giornalisti letterari dell’epoca possiamo citare André Warnod a “Comoedia”, Alain-Fournier a “Paris-Journal”, André Billy a “Paris-Midi”, mentre anche Apollinaire dopo Salmon entra nel 1910 a far parte dei Treize che redigono la rubrica letteraria dell’“Intransigeant”. Il fenomeno non è privo di conseguenze importanti. La stampa a grande diffusione, infatti, ha il potere di segnalare, e di rendere dunque “visibili” ad una vasta platea anche i gruppi d’avanguardia, gene-

42 J. Gojard, “Sources et ressources d’Apollinaire et de quelques-uns de ses contemporains”, in Apollinaire et son temps, Paris, Publication de la Sorbonne Nouvelle, 1990.

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ralmente confinati nelle piccole pubblicazioni a circolazione limitata. Non sorprende che i manifesti delle nuove scuole poetiche vengano lanciati sui giornali (si penserà al manifesto futurista lanciato da “Le Figaro” nel 1909) e che il dibattito letterario si svolga con frequenza anche nelle loro pagine culturali, oltre che negli organi tradizionalmente deputati a questo compito, come le riviste. Tuttavia anche se l’esercizio del giornalismo offre numerosi vantaggi agli scrittori (introiti regolari, una vasta tribuna per la pittura e la letteratura moderna), non è privo di inconvenienti: il mestiere del giornalista richiede una disposizione mentale diversa rispetto all’esercizio della scrittura letteraria, flessibilità, un riguardo particolare verso i gusti del pubblico, uno stile brillante e accattivante. Da attività puramente collaterale e “alimentare”, il giornalismo finisce spesso per diventare un’occupazione permanente, una vera e propria professione che con suoi gravosi impegni può compromettere la realizzazione di progetti di ampio respiro e favorire un certo distacco dai circoli letterari, dove si elaborano le direzioni vitali della ricerca poetica. In effetti il carattere eminentemente associativo e collettivo della vita dell’avanguardia ha una funzione essenziale nella nascita e nella diffusione delle nuove tendenze artistiche: in un circuito così ristretto come è quello in cui si circoscrive il campo poetico quanti aspirano a svolgervi un ruolo di primo piano sono destinati a ritrovarsi continuamente fianco a fianco negli stessi luoghi, presso le redazioni delle medesime riviste, utili occasioni di scambi di idee. Non è un caso allora che molti dei giovani scrittori impegnati nel giornalismo, soprattutto i meno fiduciosi nelle loro capacità, trovato un modo dignitoso per vivere della propria penna, finiscano per convertire i loro sogni di gloria letteraria nel-l’attività giornalistica. È un aspetto che si riscontra nella traiettoria di André Billy e André Tudesq, gli altri fondatori delle “Soirées de Paris” i quali, dopo gli esordi letterari, finiscono per diventare dei giornalisti a tutti gli effetti: Billy diventerà il più celebre courriériste littéraire della prima metà del Novecento e Tudesq un grande reporter del “Journal”.

I giornalisti della rivista formano un piccolo nucleo nella redazione, unito da rapporti personali e da inclinazioni artistiche molto più convenzionali di quelle che ispirano l’opera di Apollinaire e Salmon.

Dopo qualche tentativo come romanziere43 André Billy (1882-1971) si era

43 Billy è autore di alcuni romanzi: nel 1907, Benoni, moeurs d’église (Sansot, 1907), cronaca di una vocazione religiosa mancata, La Dérive nel 1908.

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dedicato soprattutto alla critica44 e al giornalismo letterario che in questo periodo conosce, – l’abbiamo detto – una fase di grande espansione; nel 1910 è segretario di redazione del “Censeur”, poi giornalista all’“Intransigeant”, critico letterario a “L’Echo du Boulevard” e infine a “Paris-Midi” dove nel 1912 firma il corriere letterario con lo pseudonimo di Jean de l’Escritoire. Collaboratore di riviste letterarie, in particolare delle “Rubriques nouvelles” di Beauduin, dove pubblica riflessioni sulla poesia, sul teatro e note di storia letteraria, dopo la pubblicazione del romanzo La Dérive (1908), di Paris vieux et neuf (1909), suggestiva rievocazione dei luoghi simbolo della capitale, e dell’Enquête sur l’Evolution du roman (1911), comincia ad essere conosciuto come narratore e come critico.45 Partigiano del gusto, del genio e della misura francese, lontano tanto dagli eccessi del neo-classicismo quanto dall’audacia dell’avanguardia, Billy è un fervente ammiratore dell’Apollinaire malinconico ed elegiaco ma era lungi dal condividere il suo entusiasmo per l’arte moderna. Dietro le motivazioni solidali che lo spingono a fondare la rivista “pour le salut spirituel de Guillaume Apollinaire” si intuisce l’estrema importanza personale che riveste per lui l’iniziativa. A dispetto delle sue stesse dichiarazioni – “pour Tudesq et moi, elles [Les Soirées] n’étaient qu’un aimable divertissement, propre à nous distraire du journalisme”46 – la fondazione della rivista risponde a un’esigenza vitale per lui, quella di ottenere riconoscimento e legittimazione come critico dal circuito letterario dal quale dipende la vera consacrazione. Billy si dedica alle “Soirées de Paris” con un fervore che rivela la grande importanza che attribuisce a questa iniziativa. Così, egli è l’ideatore del progetto, si incarica di reclutare gli altri fondatori nell’ambiente giornalistico, tra le amicizie e le conoscenze di Apollinaire: Salmon, allora giornalista a “Paris-Journal”, Tudesq e Dalize, rispettivamente redattore-capo e collaboratore del suo giornale, “Paris-Midi”. Billy assume inoltre in prima persona l’organizzazione e la gestione pratica della pubblicazione, reclutando nuovi collaboratori quando la copie del gruppo fondatore comincia a scarseggiare. Questa attività gli permette di svolgere un ruolo importante di controllo sulla rivista a cui associa René Dalize (1879-1917), pseudonimo di René Dupuy, figlio del capo del movimento monarchico,

44 Cfr. le sue conclusioni sull’Evolution actuelle du roman, Paris, L’echo bibliographique du Boulevard, 1911. 45 Cfr. la segnalazione di Rachilde sul “Mercure” e la buona recensione di Beaduin a La Dérive, “Les Rubriques nouvelles”, marzo 1912: “Parmi les romanciers qui se sont révélés ces dernières années, nul ne me semble plus attachant qu’André Billy”. 46 Catalogo delle Soirées de Paris, op. cit.

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Charles Dupuy. “Le plus ancien de tes camarades”, come lo designa Apollinaire in “Zone”, aveva abbandonato nel 1907 la carriera di ufficiale di marina per dedicarsi alla letteratura e al teatro. A Parigi riprende i contatti con Apollinaire e grazie a lui e a Tudesq che lo introduce a “Paris-Midi” riesce ad accedere al mondo letterario, anche se in posizione subordinata: giornalista e poligrafo (poeta, romanziere, e drammaturgo) collabora ai romanzi erotici di Apollinaire47 e pubblica dei feuilletons nei giornali sotto lo pseudonimo di Franquevaux (Le club des Neurasthéniques). Ferocemente conservatore per tradizione familiare, fervente ammiratore di Moréas, Barrès e Toulet, Dalize è legato ai modelli decadenti della giovinezza da cui deriva gli atteggiamenti estetizzanti, il culto dell’oppio, la passione per l’esotismo, il cinismo disincantato e rappresenta con Billy e Tudesq il polo moderato della pubblicazione. Come per Billy, la sua grande ammirazione per la poesia di Apollinaire si accompagnava ad un’eguale disapprovazione per le sue posizioni troppo audaci in materia di critica d’arte, suscettibili di compromettere il futuro della rivista, che non immaginava certo come una pubblicazione d’avanguardia ma piuttosto sul modello istituzionale del “Mercure de France” o delle riviste di divulgazione come “La Revue de deux mondes”.

André Tudesq (1883-1925) è il più esterno alla cerchia di intimi di Apollinaire che compongono la redazione delle “Soirées de Paris”. Poeta e romanziere di origine meridionale, aveva debuttato come Apollinaire e Salmon alle serate della “Plume”48 ed era stato un esponente del movimento regionalista che aveva avuto una certa voga in riviste come “La Jeune Champagne” agli inizi del secolo e poi nel “Pays d’oc” (1912) e nella “Terre Latine” (1910-194) di cui era stato collaboratore. Nel 1911 partecipa all’Anthologie de la jeune poésie française dei “Loups”, poeti che si richiamavano ad un lirismo epico ed oratorio di ispirazione romantica, e contemporaneamente inizia una brillante carriera giornalistica che lo vede nel 1912 redattore capo a “Paris-Midi”. Vicino alle posizioni della renaissance classique – collabora tra l’altro alla “Critique indépendante” che ne è una delle voci – condivideva il gusto per la letteratura esotica ed allucinogena di Dalize. Secondo le testimonianze di Billy e Salmon non attribuisce eccessiva importanza al progetto della rivista che concepisce

47 La fin de Babylone e La Roma des Borgia in particolare, pubblicato nel 1913 per la “Bibliothèque des curieux” e riproposto in edizione moderna da Slatkine nel 1997. 48 Come poeta pubblica La Vie (1905) e L’Amour; come prosatore i racconti Les Magots d’Occident, Grasset, 1908.

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come “un divertissement passager” volto a distrarlo dagli impegni giornalistici, “un jouet aux mains d’écrivains qui avaient encore l’âge de s’amuser un peu”49.

II. 2. La fondazione della rivista

Il gruppo fondatore si rivela così piuttosto eterogeneo tanto sul piano del prestigio personale che i membri possono portare alla rivista, quanto delle posizioni, degli interessi e delle intenzioni ad essa associate. Scopi e progetti diversi convivono così nella pubblicazione: sin dalla loro fondazione “Les Soirées de Paris” sono il terreno di uno scontro interno che tende a modellare e a controllare la rivista ancora in via di definizione. Nonostante tali differenze tra i redattori il sodalizio appare tuttavia possibile, almeno in un primo tempo, anche per motivi pratici. Il gruppo, Billy soprattutto, conta su Apollinaire, il suo redattore più prestigioso, per attrarre l’attenzione sulla pubblicazione, mentre Apollinaire, a sua volta, ha bisogno del gruppo per uscire dal suo isolamento letterario.

La rivista si organizza come un’associazione di scrittori che si auto-finanziano (“une vingtaine de francs par mois. Cela ne nous parut pas excéder nos moyens”)50 e che hanno pari dignità nella pubblicazione della quale decidono collegialmente il funzionamento. Questo spiega come, nonostante il prestigio e l’autorità morale che esercita sul gruppo, Apollinaire sia isolato nel progetto innovatore che concepisce per la rivista, tanto più che Salmon, l’altro scrittore importante dell’équipe, solo alleato possibile per l’affinità delle loro posizioni, è poco interessato a quella che gli appare “la rivista di Apollinaire”. Gli altri redattori, in particolare Billy, concepiscono una pubblicazione più tradizionale e vicina ai gusti del pubblico, conforme ad uno spirito “amical, doctrinal et narratif que notre revue devait avoir”51, dove l’amical evoca un tono conviviale, leggero e disimpegnato, che bene si accompagna all’idea della rivista come divertissement passager, mentre il narratif suggerisce la predilezione per la prosa di tradizione realistica o naturalistica, ormai acquisita presso i gusti del pubblico. Il carattere programmaticamente narratif della pubblicazione emerge anche dal titolo suggerito da Billy che – senza alcuna intenzione ironica, apparentemente – allude ad un genere che aveva illustrato altri celebri opere letterarie del passato, quali Les Soirées de Saint-Pétersbourg di Joseph de Maistre

49 Catalogo delle Soirées de Paris, op. cit. 50 Ibidem. 51 Ibidem.

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(1821), testo di riferimento dell’integralismo cattolico anti-rivoluzionario, Les Soirées de Neuilly, e soprattutto Les Soirées de Médan (1880), la raccolta di racconti di Zola, Huysmans, Céard, Hennique e Mirbeau sul tema della guerra franco-prussiana, che divenne il manifesto della scuola naturalista. Non si può escludere, inoltre, che il successo della “N.R.F.” che aveva riallacciato i legami con il pubblico colto, valorizzando il romanzo, fosse del tutto estraneo alle scelte editoriali di Billy. Come Dalize egli pensa a una pubblicazione meno elitaria rispetto alle riviste confidenziali dell’avanguardia grazie al rilievo dato alla prosa nei vari aspetti del racconto e della cronaca letteraria. In conformità al titolo ispirato al passato anche i caratteri tipografici scelti da Billy erano dei Didots gotici e romantici che “devaient donner aux Soirées un caractère un peu désuet, conforme au goût du moment”52, anche se a ben vedere la veste delle “Soirées” non era lungi dal richiamare quella delle “Rubriques nouvelles”, che Billy conosceva bene come collaboratore, e di altre riviste letterarie dell’epoca. “Ces questions-là n’intéressaient pas beaucoup Guillaume, – precisa Billy – il n’avait pas le sens de la présentation, du décor”. In realtà l’attenzione di Apollinaire verso l’aspetto visivo del testo era una delle sue preoccupazioni fondamentali del momento, che risulta subito evidente nel cambio della veste grafica che accompagna il lancio della seconda serie delle “Soirées”. È probabile invece che Apollinaire abbia assecondato le scelte di Billy non tanto per indifferenza, quanto per non irritare lui e gli altri redattori rendendoli ostili alla parte certamente più audace e controversa della sua collaborazione, la critica d’arte.

Le divergenze tra Apollinaire e i “giornalisti” emergono sin dalla pre-parazione del primo numero in cui si delineano apertamente le due anime della redazione, quella più avanzata rappresentata da Apollinaire e Salmon, che si rivolgono ad un pubblico di pari e di competenti, e quella moderata, incarnata dal polo giornalistico, che concepisce una pubblicazione più convenzionale e divulgativa. Forte del suo prestigio e dell’autorevolezza che esercita sul gruppo Apollinaire non sembra attribuire un’eccessiva importanza all’opinione degli altri redattori, Billy e Dalize in particolare, i quali lo accusano di voler affossare la rivista con i suoi interventi sul cubismo, che avrebbero potuto allontanare i futuri lettori e abbonati della rivista53, e riesce a imporre, dopo

52 Catalogo delle Soirées de Paris, op. cit. 53 La reazione di Dalize è significativa: “C’est idiot, c’est absurde… Tu vas nous couler avec ton cubisme! Les Soirées n’ont pas été créées pour soutenir les peintres ignorants et prétentieux dont

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svariate discussioni e provvisoriamente del resto, la sua critica d’arte54: “ils finirent par céder comme on cède à un malade, à un fou, à une maîtresse”. Il primo numero delle “Soirées de Paris”, pubblicato nel febbraio 1912, si apre, così emblematicamente, con l’articolo Du sujet dans la peinture moderne (ripreso nel secondo capitolo delle Meditations esthétiques) nella posizione tradizionalmente assegnata al programma o almeno al testo più rappresentativo del numero d’esordio di una rivista. La decisione di aprire “Les Soirées” con le sue note sulla pittura moderna, a dispetto dell’opposizione della maggioranza della redazione, e non con una poesia è indicativa dell’eccezionale importanza che Apollinaire attribuisce in questo momento alla sua riflessione estetica55.

Il titolo dell’articolo è solenne, Du sujet dans la peinture moderne, come il tono elevato che ne scandisce l’articolazione. La scelta di un tale argomento sta a indicare che Apollinaire intendeva presentare organicamente la pittura moderna in tutti i suoi aspetti costitutivi per chiarirne modalità e intenzioni al pubblico, in conformità al ruolo di interprete delle nuove tendenze artistiche che stava assumendo. Del resto, in contrasto con gli orientamenti prevalenti nella pittura cubista, la questione del soggetto era al centro della mostra dei pittori futuristi in svolgimento presso la galleria Bernheim jeune, di cui Apollinaire aveva reso conto nell’“Intransigeant” del 7 febbraio e nel “Petit Bleu” del 9 febbraio56. L’articolo delle “Soirées” si apre in medias res su affermazioni provocatorie, “les peintres nouveaux peignent des tableaux où il n’y a pas de sujet véritable”, che preconizzano l’abbandono della raffigurazione convenzionale:

les peintres, s’ils observent encore la nature, ne l’imitent plus et ils évitent avec soin la représentation de scènes naturelles observées ou reconstituées par l’étude. […] L’art moderne repousse tous les moyens de plaire mis en œuvre par

tu t’entoures parce qu’ils te flattent et qui, à l’exception de quatre ou cinq, n’ont aucun talent”. Les Soirées de Paris, op. cit. 54 J. Hartwig, Apollinaire, Paris, Mercure de France, 1972, p. 207. 55 Oltre a questo articolo l’unica altra apertura della rivista concessa ad Apollinaire sarà il racconto L’Ingénieur hollandais (“S.P.” n. 5), in omaggio allo spirito narratif della rivista. 56 Cfr. un articolo contemporaneo di Apollinaire sul futuristi: “Tandis que nos peintres d’avant-garde ne peignent plus aucun sujet dans leurs tableaux, le sujet est souvent ce que les toiles des “pompiers” ont de plus intéressant. Les futuristes prétendent ne point renoncer au bénéfice du sujet et cela pourrait être bien l’écueil contre lequel viendrait se briser leur bonne volonté plastique !” G. Apollinaire, “L’Intransigeant”, 7 febbraio 1912, ora in Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 407 e p. 411 e sul “Petit bleu”: “ils se préoccupent avant tout du sujet. Ils veulent peindre des états d’âme”.

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les plus grands artistes des temps passés. […] La vraisemblance n’a plus aucune importance car tout est sacrifié par l’artiste à la composition de son tableau.

Alla scomparsa della rappresentazione convenzionale si accompagna la rappresentazione concettuale del reale e un nuovo piacere estetico che ne sarebbe derivato:

Si le but de la peinture est toujours comme il fut jadis le plaisir des yeux, on demande désormais à l’amateur d’y trouver un autre plaisir que celui que peut lui procurer aussi bien le spactacle des choses naturelles. […] Ce sera de la peinture pure57.

La questione del soggetto aveva del resto una rilevanza fondamentale anche rispetto alle sue implicazioni letterarie: enunciare l’insignificanza del soggetto significava suggerire che, in arte come in letteratura, la modernità non consisteva nella scelta di un soggetto “nuovo” – come sostenevano i futuristi– ma nelle nuove modalità di rappresentazione del reale. Per conferire al suo articolo una portata generale, conforme alle sue intenzioni, Apollinaire evita le distinzioni di scuole o di movimenti e, tranne in una circostanza in cui allude esplicitamente alla severità delle tele cubiste, si riferisce all’avanguardia come alle “ecoles extrêmes”, ai “peintres nouveaux”, ai “jeunes peintres”, all’“art moderne”; il suo discorso è costruito unicamente intorno ad una categoria estetica, quella del nuovo e del presente [“l’art de maintenant”], che oppone concettualmente all’ancien e al passato [“les grands artistes du passé”], pro-ponendo un’arte anti-naturalista e anti-mimetica come creazione originale del-l’artista. L’arte moderna rifiuta di allettare con le belle forme e il pittore nuovo rinuncia alle attrattive della sua arte in nome di un ideale estetico puro, fondato cioè sulla sua concettualizzazione (“l’harmonie des lumières et des ombres”) come il compositore non imita “le sifflement du vent dans une fôret ou les harmonies du langage humain fondées sur la raison et non sur l’eshétique”. Apollinaire riflette sin d’ora, attraverso la sua critica d’arte, sulle possibilità espressive di un linguaggio fondato su un ordine elaborato dal poeta come in pittura invece che sulle convenzioni linguistiche: la circolazione molto stretta tra le idee in materia di critica d’arte e le sue concezioni letterarie è una caratteristica della quale è necessario tener conto per comprendere la sua produzione, soprattutto in questa fase.

Allo stesso tempo Apollinaire smentisce le accuse di artificiosità che erano state rivolte alla pittura moderna, come prima al Simbolismo, arte pura per 57 “Les Soirées de Paris”, n. 1, febbraio 1912, pp. 1-4. Si veda Appendice.

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eccellenza che si era rinchiusa in una visione astratta ed idealistica, e ribadisce il carattere concreto, profondamente realistico, della pittura nuova, frutto di un’attenta osservazione della realtà (“un Picasso étudie un objet comme un chirurgien dissèque un cadavre”). Nella concezione che gli è propria, essa si propone come una modalità espressiva che, senza sostituirsi in toto all’arte figurativa, ampliava smisuratamente il campo dell’esperienza artistica: “cet art de la peinture pure s’il parvient à se dégager entièrement de l’ancienne peinture, ne causera nécessairement la disparition de celle-ci”. Riconosciamo qui la continuità di una ricerca volta ad estendere i confini della libertà artistica, in arte come in poesia, come scriverà in L’Esprit nouveau et les poètes : “j’ai voulu ajouter d’autres domaines à la recherche artistique”. Come sostiene nella stessa occasione, il senso della rivoluzione intrapresa dall’avanguardia tra la fine del-l’Ottocento e i primi del Novecento non era quello di una rivolta contro la grande tradizione artistica ma contro “la routine académique”58 che ne era derivata. Riportando l’analisi dell’opera ai suoi elementi costitutivi, il colore, la forma, la materia, la critica di Apollinaire ha cambia profondamente l’approccio all’oggetto artistico, teso precedentemente alla descrizione dell’oggetto.

Le poesie che pubblica nel primo numero della rivista sono invece molto più conformi alla tradizione di quanto il suo contributo critico lasciasse prevedere. Consistono in un sonetto allegorico, Per te præsentit aruspex (ripreso in Il y a), sorta di esercizio poetico baudelairiano59 e parnassiano che si sviluppa sull’as-similazione, ben attestata dalla tradizione letteraria, tra l’amata e l’opera d’arte, creazione del poeta e testimone della sua gloria postuma. La scelta di un tema volutamente convenzionale, ereditato dalla storia letteraria, non è eviden-temente casuale ma rientra in un’esplicita estetica del cliché che Apollinaire e Salmon avevano opposto negli ultimi anni all’estetica puerilmente “nuova” preconizzata dai movimenti modernisti. L’altra poesia di Apollinaire in questo primo numero, Le Pont Mirabeau, è invece una delle composizioni esemplari del poeta, ancora oggi tra le più note al pubblico. Rielaborando il tema del ricordo per contrastare l’inesorabile scorrere del tempo, vivificato dall’immagine della Senna, sorgente simbolica dell’ispirazione poetica, Apollinaire rinnova il lirismo elegiaco con l’uso abile delle suggestioni musicali offerte dalle terzine di

58 Lo stesso concetto è ripreso in un articolo pubblicato sulla seconda serie della rivista, Le 30e Salon des Indépendants, “S.P.” n. 22. 59 Cfr. Ch. Baudelaire, “Je te donne ces vers afin que si mon nom”, componimento XXXIX delle Fleurs du Mal; rimando in particolare all’analisi di M. Richter, Baudelaire, Les Fleurs du Mal. Lecture intégrale, Genève, Slatkine, 2001, pp. 365-377.

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décasyllabes, innestate sulle rime femminili con la predominanza delle nasali ad eco prolungato e delle liquide60. Questa versione presenta, rispetto a quella pubblicata in Alcools, una maggiore regolarità formale, in cui la circolarità del verso rafforza l’effetto di ridondanza fonica. Il tema dello scorrere del fiume legato al trascorrere del tempo è una delle immagini guida di Alcools che percorre la produzione di questo periodo (in Marie ad esempio: “le fleuve est pareil à ma peine/ il s’écoule et ne tarit pas”). Tuttavia, a differenza di altre liriche come La Chanson du Mal-Aimé, la grande abilità con la quale Apollinaire utilizza qui il suo repertorio poetico per affermare la magia lirica rende particolarmente sensibile l’illusorietà dell’atto poetico, incapace di esprimere efficacemente un nuovo rapporto con il reale: “ni temps passé ni les amours reviennent”. Così, analizzando la produzione poetica apollinariana in questo periodo nel suo contesto si possono formulare alcune osservazioni a questo riguardo; innanzitutto sul piano generale, l’affaire delle statuette lo ha colpito molto e può averlo indotto ad una certa prudenza. Dall’altra parte il richiamo alle forme della tradizione e la riattivazione del modello verlainiano che, come s’è detto è una caratteristica esplicita della poesia di questa fase, sembra rispondere tanto a un’esigenza interna, quella di presentare una produzione poetica apprezzata dal gruppo, tale da rendere accettabile quella più controversa, quanto alla volontà di ribadire la sua competenza e la sua abilità tecnica proprio nel momento in cui la sua posizione di critico d’arte poteva accreditarlo, erroneamente, come un “farceur”, o peggio un nemico della tradizione e della grande letteratura. A questo si aggiunga che pur avendo già composto poesie che in un certo senso potevano rispondere ai criteri della modernità, come il Poème lu au mariage d’André Salmon, Cortège e Vendémiaire, le ultime due ancora inedite, Apollinaire non ritiene di avere ancora elaborato un linguaggio all’altezza delle sue ambizioni di rinnovamento.

Nel resto del sommario del primo numero predominano il racconto e la cronaca. La collaborazione di Billy consiste nelle Scènes de la vie littéraire à Paris, cronache aneddotiche sul mondo letterario parigino, che affettano un gusto per le atmosfere fin de siècle e per il bozzetto impressionistico61. La serie inaugurata

60 La predominanza delle liquide suggerisce l’idea dello scorrere del fiume (“le pont”, “coule la Seine”). Si veda Appendice. 61 Da rilevare, casualità o esplicito riferimento intertestuale all’interno della rivista, la ripresa del ritornello del Pont Mirabeau (“vienne la nuit, sonne l’heure”) nel testo di Billy, nella pagina accanto: “A présent l’heure a sonné, son heure”; la seconda ipotesi sembrerebbe più conforme allo spirito ludico che era proprio della rivista, vedi Catalogue des “Soirées de Paris”, op cit.

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da Dalize sulla Littérature des Intoxiqués coniuga i modelli della narrativa decadente di Barbey d’Aurevilly e di Villiers de l’Isle Adam, con la letteratura allucinogena e fantastica che aveva trovato i suoi riferimenti in De Quincey, Coleridge, Poe, Baudelaire e il racconto esotico alla Loti, che risente delle sue esperienze di viaggio nei mari del Sud. Tudesq esordisce nella rivista con una relazione di viaggio, Deux nuits en Alsace-Lorraine, che tratta con taglio aneddotico e attenzione al dettaglio piccante un argomento di rilevante interesse nazionalistico, quello dell’Alsazia-Lorena, annessa ai territori germanici dopo la guerra franco-prussiana del 1870.

Per quanto riguarda la collaborazione di Salmon, è facile rilevare come le sue Observations déplacées, situate nella parte finale del primo numero, lo releghino, come suggerisce emblematicamente il titolo, in una posizione marginale nella rivista, estranea sia al progetto innovativo di Apollinaire che a quello del resto del gruppo. In effetti, lo scarso interesse che nutre per la rivista dell’amico emerge subito alla lettura di queste note caustiche sull’attualità, letteraria e non, ispirate alla farsa e allo spirito di plaisanterie che aveva adottato nelle “Nouvelles de la République des Lettres”. L’aforisma e l’epigramma sono le forme privilegiate con cui si esprime il suo atteggiamento ironico verso l’attualità letteraria e la cronaca del tempo; esemplare risulta uno di quelli inseriti nel primo numero della rivista, poi ripreso nel Manuscrit trouvé dans un chapeau:

Il y avait une fois un poète si mal logé et si dépourvu que lorsque l’Académie lui offrit un fauteil il demanda la permission de l’emporter chez lui.62

Salmon sottolinea la sua posizione indipendente nel panorama letterario rilanciando la polemica già intrapresa sui movimenti modernisti e in particolare contro l’unanimismo, e la sua poesia sincera e autentica, che lungi dall’essere una nuova espressione artistica si riduce invece ad una imitazione puerile del reale, sprovvista di una vera qualità artistica. Con le allusioni alla cronaca giudiziaria e allo scandalo Nitchevo che appassionano l’opinione pubblica, Salmon si presenta invece nella veste del cronista più che in quella dello scrittore che doveva contribuire con Apollinaire al prestigio letterario della rivista. Si comprende che la sua collaborazione finisca per disattendere le aspettative del gruppo63, alimentando così il suo disagio verso la pubblicazione dell’amico.

62 “S.P.”, n.1, febbraio 1912, p. 29. 63 “René Dalize n’a pas été non plus satisfait de ma collaboration au premier numéro. J’inaugurais une rubrique: Observations déplacées”, Souvenirs sans fin II, op. cit., p. 124.

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La nota distaccata sulla “Vie français” del marzo 1912 con cui Salmon riferisce circa il primo numero della rivista mostra bene come “Les Soirées de Paris” integrino senza fonderli progetti editoriali diversi:

Les Soirées de Paris, dont le premier numéro vient de paraître, ont de commun avec les Soirées de Saint-Pétersbourg, le ton antidémocratique; encore que la rédaction soit un agréable mélange de républicains purs, de nihilistes (moralement), de réactionnaires.

Accennando brevemente ai contenuti del sommario, Salmon segnala l’articolo di Apollinaire sulla pittura moderna e i suoi versi (Le Pont Mirabeau) “d’une haute inspiration”, le Scènes de la vie littéraire redatte da Billy. “Cela promet […]. La robe de la revue est d’un archaïsme très réussi.” Il lancio del primo numero della rivista ha un eco anche nella nota enigmatica di Hirsch nella cronaca sulle riviste letterarie del “Mercure”, di cui Apollinaire era un collaboratore: “Les Soirées de Paris (février, n. 1), rédigées par MM. G. Apollinaire, A. Billy, R. Dalige [sic], A. Salmon, A. Tudesq, débutent par un fascicule qui vaut le meilleur manifeste”.64

Il tono anacronistico che sembra prevalere nei contributi del polo giornalistico viene rilevato dall’eco che La Boîte aux Lettres, la famosa rubrica letteraria dell’“Intransigeant”, dedica l’11 febbraio 1912 al primo numero della rivista:

Les Soirées de Paris, son premier, curieux numéro. Ce premier numero avec sa couverture élégante et vieillotte a un peu l’air d’avoir été trouvé sur les quais. Cinq rédacteurs: G. Apollinaire, A. Billy, R. Dalize, A. Salmon, A. Tudesq. Chacun a donné quelque chose à ce numéro: André Billy une tragique scène de la vie littéraire; Guillaume Apollinaire des vers; André Salmon des “observations déplacées”.

Nel sottolineare la singolarità della rivista nessun accenno viene fatto alle note d’arte presentate da Apollinaire. Le tendenze delineate nel primo numero si confermano anche nel secondo che si apre con Au bord du Fjord, una “tranche de vie” di Maurice de Waleffe, direttore di “Paris-Midi”, il quotidiano di Tudesq e Billy. Questi ultimi si mantengono fedeli al tono aneddotico e giornalistico della loro collaborazione, il primo con le curiosità dei Mœurs du journalisme, il secondo con le Scènes de la Vie littéraire à Paris, come Dalize che propone un racconto di ambientazione esotica (Sur les bateaux des fleurs).

64 “Mercure de France”, 1 marzo 1912, p. 166.

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Tanto Apollinaire che Salmon si situano su una linea divergente rispetto agli orientamenti prevalenti nella rivista. Apollinaire prosegue l’illustrazione della pittura nuova con la pubblicazione delle lettere di Cézanne, considerato, soprattutto per la sua ultima produzione cui si riferiscono le lettere riprodotte, il padre della rivoluzione pittorica cubista: “Tout est, en art surtout, théorie développée et appliquée au contact avec la nature.”65 Il contributo di Salmon nel secondo numero è costituito dall’Académie des sciences morales et splénétiques, dei divertissements poetici sull’arte e sull’amore (L’art console de tout, L’amour médecin, … Et tout le reste est littérature!). Questi sonetti in octosyllabes sono essenzialmente delle riflessioni in versi di carattere descrittivo che riallacciano con l’ispirazione “fantasista” del Calumet in cui la critica feroce del moralista riduce ad un cinico gioco le espressioni più elevate dell’animo umano, il lirismo musicale è soppiantato dal tono prosastico, i riferimenti colti degradati a produrre un effetto comico o parodico66. Il “rapin” che dipinge una marina in un salotto Louis-Philippe (L’art console de tout) richiama, in un gioco di riferimenti intertestuali frequente in Salmon, uno dei suoi primi articoli sul fenomeno cubista che alludeva ironicamente ai quadri di Metzinger esposti al Salon d’Automne del 1910, un paesaggio appunto ed un nudo ambientato in un mobilio Louis-Philippe (“ô le cubisme Louis Philippe”)67. Risulta evidente che una poesia così brillante e leggera, modulata in tono minore, non poteva certo competere con lo slancio lirico dei versi di “une haute inspiration” del Pont Mirabeau.

II. 3. Posizione dei redattori e linea editoriale della rivista

La linea editoriale è così il risultato delle posizioni diverse e del ruolo che i redattori svolgono nella pubblicazione. La loro “devozione alla causa” determina in grande misura il loro peso nella rivista; è il caso di Apollinaire, Billy e Dalize, i più coinvolti nell’impresa, mentre Salmon, il meno interessato al progetto, è anche il primo ad abbandonare la rivista, seguito successivamente da Tudesq.

“Les Soirées de Paris” portano dolorosamente allo scoperto i cambiamenti intervenuti nella situazione e nelle relazioni tra Apollinaire e Salmon. Salmon si vede inevitabilmente relegato in secondo piano rispetto ad Apollinaire, la vedette

65 Quatre lettres sur la peinture, “S.P.” n. 2, p. 45. 66 L’art console de tout. Si veda Appendice. 67 A. Salmon, Le Salon des Indépendants, “Paris-Journal”, 30 settembre 1910.

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del gruppo intorno a cui viene fondata la rivista, sia sul terreno della poesia che su quello della critica d’arte. In particolare, egli si sente probabilmente spodestato nel ruolo di interprete delle nuove tendenze artistiche che rivendica come suo, sia perché, figlio di un artista, si reputa il vero esperto, che fin dal 1908 aveva portato l’arte moderna sui giornali, facendola conoscere al grande pubblico, sia perché ai suoi occhi Apollinaire sostiene il cubismo per farsi il portavoce dell’avanguardia, senza credere veramente nel suo valore artistico. Tale situazione costituisce per lui un motivo di disagio sicché si può capire che i rapporti tra i due poeti non siano più buoni come un tempo. Così, nella partecipazione di Salmon alle “Soirées de Paris” si osserva una certa am-bivalenza: egli non nega il suo sostegno all’amico in difficoltà, accettando di collaborare alla fondazione della rivista, ma riconosce in lui un rivale che lo sta superando. La tacita competizione in atto tra i due compagni non tarderà a rendere insostenibile la posizione di Salmon. È presumibile che la percezione della superiorità incontestabile di Apollinaire tanto sul piano poetico quanto su quello critico si sia rivelata un elemento decisivo per Salmon, che nel timore di essere assimilato alla posizione dell’amico in un ruolo ormai subordinato per lui, abbandona repentinamente la rivista dopo il secondo numero, apparentemente senza alcuna spiegazione.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte si spiega l’enunciato alquanto elusivo con il quale, a molti anni di distanza, i Souvenirs sans fin illustrano tale decisione:

André Billy a écrit naguère n’avoir jamais compris pourquoi j’avais lâché les “Soirées de Paris” dès le deuxième numéro. […] Nous avions remis Guillaume Apollinaire en selle sur un bel et bon cheval; l’essentiel. Quant au reste… Le reste? La forte personnalité de Guillaume alors que je n’avais à suivre personne. Orgueil? Volonté de n’être que moi-même.68

Salmon cessò completamente i suoi rapporti con “Les Soirées de Paris”, che non ripresero nemmeno durante la seconda serie della rivista, diretta da Apollinaire, mentre collaborò a “Montjoie”, la rivista di Ricciotto Canudo, concorrente diretta delle “Soirées de Paris” nella seconda serie, riprendendo il posto di critico d’arte lasciato vacante proprio da Apollinaire.

Se il suo apporto è poco importante negli orientamenti editoriali della rivista, la sua defezione, considerata un vero tradimento dagli altri membri dell’équipe, è determinante nell’avvenire delle “Soirées” poiché indebolisce il fronte

68 S.s.f. II, op. cit., p. 124.

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innovativo rappresentato ora solo da Apollinaire. Dopo l’abbandono di Salmon, si apre in effetti una nuova fase nella vita della rivista, in cui il polo conservatore rappresentato da Billy e Dalize assume un’influenza crescente. Così Billy si incarica di trovare un sostituto di Salmon, in grado, così speravano, di assicurare degli introiti più solidi e regolari alla rivista. La scelta ricade su Charles Perrès, un poeta poco noto negli ambienti letterari del tempo – una delle sue poche collaborazioni in rivista si riferisce a “Schéhérazade”, la rivista di Cocteau, nel 1911 –, che si inserisce nella tradizione parnassiana69; ultimo arrivato della rivista, dal prestigio letterario modesto, egli conferma gli orientamenti moderati della maggioranza della redazione con una produzione prevalentemente narrativa che consiste in racconti di costume, storie galanti, affreschi mondani, impressioni di viaggio.

Apollinaire si ritrova allora ancora più solo e isolato all’interno della redazione ed è costretto ad abbandonare il suo progetto iniziale per la rivista poiché le difficoltà della pubblicazione, dovute ad una posizione incerta e per certi versi anacronistica, sono invece imputate ai suoi articoli troppo audaci sulla pittura moderna, che scompaiono dopo il quarto numero. Così non solo Apollinaire non riesce a modellare la rivista come avrebbe desiderato ma il suo stesso ruolo nella pubblicazione viene ridimensionato. A sua volta il nucleo più attivo nella gestione della rivista, il polo Billy-Dalize, riesce ad assumerne il controllo facendo appello ad alcuni collaboratori esterni, quasi tutti scrittori giornalisti, che appoggiano la linea tradizionale e prudente del polo dominante. Citeremo in particolare il poeta fantasista René Bizet70, il giornalista Jérôme Tharaud71, il critico stendhaliano Adolphe Paupe72.

La rivista si presenta allora come una “gazette à l’ancienne mode”73, preclusa alle problematiche di attualità nel circuito letterario dove occupa una posizione 69 Cfr. Les Bavardages d’Attila (Falque, 1910), poèmes et madrigaux en l’honneur de Nietzsche et Théodore de Banville, L’Epouvantail et Saint François d’Assise, Paris, La Belle Edition, 1911. Nel catalogo delle Soirées de Paris Billy riferisce di aver scelto Perrès perché era uno dei pochi scrittori a non fare del giornalismo e a dedicarsi alla sua produzione poetica, piuttosto scarna invero. Su Perrès si veda la testimonianza di Vincent Muselli a Michel Décaudin: “Dans l’entourage d’Apollinaire fréquentait alors un écrivain que j’ai beaucoup aimé et admiré et que je continue à aimer et à admirer beaucoup: Charles Perrès… sportif très en vue, mathématicien, il publia cet étonnant poème Les Bavardages d’Attila”, “Le Flâneur des deux rives”, n. 5, marzo 1955, p. 43. 70 Trois nègres sur un bateau, Gigue triste (“S.P.” n. 7). 71 La guerre des Balkans, “S.P.” n. 10. 72 Les livres de Stendhal, “S.P.” n. 10. 73 Cfr. A. Tudesq, Sacrifions aux modes du jour, “S.P.” n. 5. Si veda Appendice.

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marginale: “Il y régnait une humeur très particulière, faite surtout de cynisme et de désenchantement et qui certes, ne venait pas d’Apollinaire; il était lui, tout à fait étranger à cette attitude-là”74.

Vi predomina la prosa nelle sue varie forme del racconto e della cronaca giornalistica, in accordo con gli interessi del gruppo e soprattutto di Billy che, a dispetto della sua ammirazione per Apollinaire, proclamava un sostanziale disprezzo per i poeti75. Billy vi pubblica racconti che esplorano le diverse possibilità della tradizione narrativa francese, dal racconto realistico76, a quello psicologico o sconcertante77, sino alle note di costume. L’aspetto più si-gnificativo della presenza di Billy è riconducibile comunque soprattutto alle sue cronache letterarie (Scènes de la vie littéraire à Paris)78, concentrate sul dettaglio e sul pittoresco giornalistico, che si ispirano al modello di Sainte-Beuve, teso a illustrare le opere attraverso la vita e la psicologia del creatore, un approccio che cominciava ad essere contestato tanto in ambito letterario (si penserà al celeberrimo Contre Sainte-Beuve di Proust) quanto dalla critica universitaria più avanzata. Questi articoli, ci riferiremo in particolare a “Paul Léautaud” (“S.P.” n. 6)79, che sono apprezzati anche all’esterno della rivista80 e gli danno fiducia nelle sue capacità sono all’origine della vasta produzione biografica che caratterizzerà tutta la lunga attività di Billy81.

74 A. Billy, Catalogue des “Soirées de Paris”, op. cit. 75 “Mon mépris des poètes date de mon service militaire”, Comment je suis devenu poète, “S.P.” n. 9, p. 279. Si veda Appendice. 76 Madame Couvroy (“S.P.” n. 4). 77 Le médecin noir (“S.P.” n. 7), Gilles (“S.P.” n. 10). 78 Scènes de la Vie littéraire à Paris, “S.P.” n. 1, n. 2, n. 3, n. 5, n. 8, n. 12, n. 16; inoltre citeremo Tableau de la rue de Seine, “S.P.” n. 15, Images du XIXe siècle: 1889, “S.P.” n. 17; Images populaires du XIXe siècle, “S.P.” n. 18. 79 Citeremo La barbe de M. de Porto-Riche (“S.P.” n. 9) firmata da Jean de l’Esc [Jean de l’Escritoire], lo pseudonimo con cui Billy redigeva la sua cronaca letteraria a “Paris-Midi”, Séance nocturne au Stendhal-Club (“S.P.” n. 11), ora ripreso in Stendhal for ever a cura di V. del Litto, Paris, Agence culturelle de Paris, 1997. 80 Cfr. la nota apparsa sul “Mercure” del 1° novembre 1912 a cura di C. H. Hirsch sulla rubrica delle riviste che riporta dei lunghi estratti dall’articolo, pp. 157-159. 81 Come testimonia la prefazione di Billy alle opere poetiche di Apollinaire pubblicate dalla Pléiade: “je tiens qu’au contraire la personnalité de l’homme est indispensable à qui veut approfondir la pensée et les intentions du poète”; tra le biografie dei Billy citeremo Vie de Diderot, Paris, Flammarion, 1943, Vie de Balzac, Paris, Flammarion, 1944, Sainte-Beuve, sa vie et son temps, Paris, Flammarion, 1952, Les Frères Goncourt, la vie littéraire à Paris pendant la seconde moitié du XIXe siècle,

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Tudesq, che figura anche come gerente della rivista tra il n. 3 e il n. 11, dopo la defezione di Salmon estende il suo ruolo nella pubblicazione nella quale copre tutti i fronti tanto in poesia, con una produzione che si può ricondurre latamente nella vena fantasista82, quanto in prosa83. La sua produzione narrativa consiste soprattutto in racconti allucinogeni e sconcertanti, che si affiancano alle prose fantastiche e ai testi esotici di Dalize84, e in racconti a chiave, citeremo in particolare Un banquet selon Platon, (“S.P.” n. 4) e L’Ethiopan Queen’s Bar (“S.P.” n. 6), dei divertissements letterari che alludono ai diversi membri della redazione e sono comprensibili solo alla piccola cerchia di iniziati che conoscevano il gruppo, in grado di comprendere riferimenti e allusioni per noi ormai in gran parte perduti. Lo spirito autarchico e autoreferenziale che caratterizza in buona misura la rivista e la rende una pubblicazione fuori dal tempo emergono da una nota di Tudesq, Sacrifions aux modes du jour (“S.P.” n. 5):

Quelqu’un qui nous veut du bien nous a déclaré: “Votre compagnie est curieuse. Vous êtes tous les cinq hommes de goût et vous le prouvez. Mais l’un et l’autre, vous écririez au temps des souliers à poulaines, du vertugadin ou des perruques, que vous ne paraîtriez rester davantage étrangers à votre époque…[…] Sacrifiez aux modes du jour !…Vous avez des contemporains. Ne les ignorez pas […] Parlez des autres, ils parleront de vous”.

In conformità alla linea narrativa propugnata da Billy, la poesia occupa uno spazio ridotto, riservato soprattutto ad Apollinaire e in misura minore a Tudesq, tanto che persino Perrès85 vi pubblica pochi versi, poco impegnativi,

Paris, Flammarion, 1954, Vie des frères Goncourt, Monaco, les Éditions de l’Imprimerie nationale de Monaco, 1956, Mérimée, Flammarion, 1959, oltre all’abbondante produzione memorialistica concernente Apollinaire e il suo tempo. 82 Cfr. le poesie di Tudesq: L’Ermitage (“S.P.” n. 3), lunga poesia in alessandrini dalla raccolta in preparazione L’Amour, Haute fiole de vieux marc (“S.P.” n. 4), Billet, Musique pour un soir de natte, Invocation au petit dieu Vertumne (“S.P.” n. 7). 83 Per i racconti cfr. in particolare La Galonnière (“S.P.” n. 4), Un banquet selon Platon (“S.P.” n. 4), Les contes déconcertants (“S.P.” n. 6); per la cronaca Eloge de la prison pour dette (“S.P.” 8), Le jeune homme de la montagne (“S.P.” n. 9), La guerre des Balkans (“S.P.” n. 11). 84 Oltre alla La littérature des intoxiqués già apparsa nel primo numero che percorre tutta la rivista (“S.P.” n. 7, “S.P.” n. 9) Dalize pubblica i Contes de la vieille Chine (“S.P.” n. 2), Variations sur le cannibalisme (“S.P.”, n. 3), La Révolte (“S.P.” n. 4), Sous un volcan (“S.P.” nn. 12-13); delle note di costume: L’Appel aux barbares (“S.P.” n. 10), Les vieux ont soif (“S.P.” n. 11), poesie di ambientazione esotica: Au poète exilé, Au voyageur (“S.P.” n. 7). 85 Per la prosa di Perrès si veda il racconto disincantato sulle curiosità della vita letteraria, La manière de Paul Y (“S.P.” n. 4) e, sul medesimo argomento, le note ironiche De spiritu (“S.P.”, n. 5),

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dei sonetti maliziosi e delle divagazioni poetiche che coniugano fattura classica ed ispirazione umoristica, richiamando, come per Tudesq, dei tratti vicini alla produzione fantasista86, una delle tonalità poetiche certamente più diffuse in questo periodo.

“Les Soirées” sono allora una rivista come tante e niente le differenzia dalle altre innumerevoli piccole pubblicazioni del momento se non la produzione poetica e la critica d’arte di Apollinaire. Per la linea prevalente all’interno della redazione “Les Soirées” finiscono situarsi in una posizione vicina all’“Ile Sonnante”, una contiguità che si conferma anche dalle note favorevoli con le quali la rivista fantasista commenta nel settembre 1912 i primi numeri della rivista, segnalando i “bons vers, pleins de talents, d’André Tudesq”, il “bien joli portrait de M. Léautaud par M. André Billy et trois précieux petits poèmes de M. Guillaume Apollinaire. Citons Rosemonde. Cette toute petite revue est une des meilleures du moment”87.

II. 4. Apollinaire critico e poeta

La creazione delle “Soirées” si presenta ad Apollinaire come un’occasione per richiamare, attraverso l’effetto di concentrazione realizzato dalla rivista, il consenso intorno alla sua posizione. È il momento in cui progetta di riunire in volume i suoi versi e le sue critiche d’arte sulle nuove tendenze pittoriche; attraverso la rivista Apollinaire ha quindi la possibilità di proporre un’immagine globale di sé che associa all’immagine del poeta e dello scrittore una posizione forte come critico d’arte, interprete degli artisti più discussi. In effetti la sua attenzione verso la modernità in questo periodo si manifesta soprattutto negli scambi intensi che intrattiene con i pittori e i poeti più impegnati nello sforzo di innovazione88, in particolare Delaunay, Picabia, Duchamp, Cendrars, che lo vedono al centro di tentativi che mirano a sovvertire le regole convenzionali della rappresentazione artistica.

Apollinaire destina alla rivista quasi tutte le poesie e i saggi di critica d’arte che compone in questo periodo. Anche se limitata ai primi numeri della rivista

le note Au hasard (“S.P.” 3), Du choix dans l’amour et l’amitié (“S.P.” n. 11); il racconto tocca anche il tono mondano con Le meurtre impossibile (“S.P.” n. 6) e psicologico: Une histoire comique (“S.P.” n. 7), La pierre de touche (“S.P.” n. 8), L’Eternel retour (“S.P.” n. 9), Les voluptés de Jeannette (“S.P.” n. 10). 86 Dixit poeta (“S.P.” n. 4); Une Méprise e Minet dédaigneux (“S.P.” n. 5), A des fleurs méconnues (“S.P.” n. 6). 87 “Ile sonnante” settembre 1912, p. 23. 88 A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit., p. 133.

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(nn. 1-4) la critica d’arte è un elemento fondamentale per comprendere la sua evoluzione, perché stimolando la riflessione sul piano estetico prefigura le tappe più innovatrici del suo percorso poetico.

Dopo aver presentato i principi alla base della rivoluzione artistica in via di elaborazione (la pittura pura, non più soggetta al principio di imitazione, ma unicamente all’ordine formale elaborato dal pittore), nell’articolo sulla quarta dimensione pubblicato sul terzo numero della rivista (La Peinture nouvelle. Notes d’art, “S.P.” n. 3), Apollinaire si sforza di spiegare i motivi della deformazione subita dagli oggetti nella pittura cubista, giustificando l’estetica geometrica alla quale si riconducono come un ritorno ai fondamenti dell’arte, alle figure geometriche, espressione di una necessaria disciplina (“on a vivement reproché aux peintres nouveaux des préoccupations géométriques”). Come se dopo il flou dell’arte impressionista in cui la sensazione dominava la resa pittorica sulla tela, tesa a cogliere la fugacità dell’attimo (un’arte quindi soggetta alla passiva riproduzione del dato esteriore), i pittori sentissero l’esigenza di tornare ai principi costruttivi della loro arte, al rigore di una costruzione formale fondata sulle solide basi del disegno.89 Nel parallelismo tra arte e letteratura che si potrebbe istituire il flou impressionista trovava una corrispondenza ideale nel verso libero: come i pittori più esigenti erano ritornati al disegno e alla disciplina costruttiva così i più esigenti tra i poeti contemporanei, come Apollinaire e Salmon, avevano rifiutato il verso libero, ereditato dal simbolismo, per tornare al rigore del verso regolare.

Nel secondo paragrafo Apollinaire allude alla peculiarità dell’epoca contemporanea che per le sue esigenze di rappresentazione artistica (“les inquiétudes que le sentiment de l’infini met dans l’âme des grands artistes”) non si soddisfa più delle tre dimensioni della geometria euclidea e ricorre alla quarta dimensione “qui figure l’immensité de l’espace s’éternisant dans toutes les directions à un moment determiné”, vale a dire la dimensione spazio-temporale, un concetto mentale inserito in una realtà sin lì unicamente fisica. La rappresentazione plastica acquista un ritmo e delle proporzioni determinate dalla presenza simultanee di diversi possibili temporali, come se nella tela si trasferisse la memoria dell’evoluzione degli oggetti nello spazio. Apollinaire entra poi nel vivo della sostanziale differenza che separa la pittura con-temporanea dalla tradizione greco-romana e rinascimentale che aveva dell’arte una concezione puramente umana perché prendeva l’uomo a misura di tutte le

89 Nel numero di giugno 1912 “Les Rubriques nouvelles” di Beaduin presentano una lunga citazione dell’articolo di Apollinaire, riprodotto in Appendice.

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cose e dunque anche della creazione artistica, “l’art grec avait de la beauté une conception purement humaine. Il prenait l’homme comme mesure de la perfection”. Superando questo portato si opera uno smisurato allargamento di prospettiva le cui implicazioni non sono ancora del tutto evidenti: “l’art des peintres nouveaux prend l’univers infini comme idéal”, ed è alla quarta dimensione, dimensione puramente mentale a differenza delle altre che sono fisiche, che si deve questa nuova misura della perfezione nell’arte con-temporanea. Segue il consueto interludio aneddotico che esemplifica l’enun-ciato teorico e lo rafforza (“O Dyonisos divin, pourquoi me tires-tu les oreilles? demande Ariane à son philospique amant dans un de ces célèbres dialogues sur l’île de Naxos. – Je trouve quelque chose d’agréable, de plaisant à tes oreilles: pourquoi ne sont-elles plus longues encore?”) in cui Apollinaire evoca discretamente le opere di Picasso e in particolare Les Demoiselles d’Avignon e le loro deformazioni fisiche90. All’arte soggetta all’impressione sensoriale (della percezione ottica e della prospettiva) si sostituisce un’arte che ha quale unico riferimento il mondo cerebrale dell’artista, creatore di un’opera ideale, meta-fisica e quindi religiosa nell’accezione più ampia del termine. Di questa arte nuova Apollinaire dà una definizione che si avvicina alla propria elaborazione letteraria: l’arte come creazione di nuove illusioni, che trascende l’apparenza specifica del reale per riconfigurarlo secondo la sua concezione, un’operazione questa che legittima la funzione dell’arte nel proprio tempo. Anche questo articolo è stato ripreso nelle Méditations esthétiques di seguito a quello pubblicato nel primo numero con un’interpolazione che sviluppa ulteriormente il concetto:

Les grands poètes et les grands artistes ont pour fonction sociale de renouveler sans cesse l’apparance que rêvet la nature aux yeux des hommes. Sans les poètes, sans les artistes les hommes s’ennuieraient vite de la monotonie universelle. L’idée sublime qu’ils ont de l’univers retomberait avec une vitesse vertigineuse. L’ordre qui paraît dans la nature et qui n’est qu’un effet de l’art s’évanouirait aussitôt. Tout se déferait dans le chaos. Plus de saison, plus de civilisation, plus de pensée, plus d’humanité, plus de vie même et l’impuissante obscurité régnerait à jamais. Les poètes et les artistes déterminent de concert la figure de leur époque et docilement l’avenir se range à leur avis.

Le riflessioni estetiche di Apollinaire si concludono con le notes d’art pubblicate sul numero 4 della rivista che, come già per l’articolo precedente, sono scivolate dall’apertura verso la parte centrale della rivista. In questo 90 Cfr. P. Read, Picasso et Apollinaire, op. cit., p. 99 e G. Apollinaire, Méditations esthétiques, in Œuvres en prose complètes II, op. cit., pp. 12-13.

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contributo Apollinaire sviluppa l’aspetto della ricezione presso il pubblico, iniziato nell’articolo precedente (“S.P.” n. 3), teso a sgombrare definitivamente il campo dagli equivoci, dalle resistenze che ostacolavano la piena legittimazione della scuola pittorica moderna. La prima parte affronta le accuse di mistificazione rivolte alla pittura moderna. Ora, sostiene Apollinaire, “on ne connaît pas dans toute l’histoire des arts une seule mystification collective, non plus une erreur artistique collective”. Non vi sono errori né mistificazioni ma “diverses époques et diverses écoles de l’art. Toutes sont également respectables”. In conformità alle posizioni che sostiene in letteratura, Apollinaire non rinnega le acquisizioni del passato a profitto di quelle attuali, ma considera le diverse scuole artistiche, e gli esiti a cui sono pervenute, come le tappe dell’incessante cammino compiuto dall’arte verso un ideale di bellezza continuamente rinnovato. Nella seconda parte dell’articolo, la sezione propriamente teorica delle sue notes d’art, Apollinaire esplicita la sua predilezione per la scuola pittorica moderna: “Pour ma part j’admire à l’extrême l’ecole moderne de peinture parce qu’elle me paraît la plus audacieuse qui ait jamais été. Elle a posé la question du beau en soi”. Nonostante la continuità che caratterizza le scuole pittoriche del passato e del presente, Apollinaire rileva nella pittura con-temporanea una novità sostanziale, l’eccezionale audacia nella ricerca del nuovo nella quale risiede, a suo avviso, tutta la rivoluzione artistica moderna. Tale rivoluzione avviene attraverso la messa in discussione della nozione di bello così come si era elaborato all’interno di una tradizione artistica plurisecolare, fondato sui canoni estetici della figura umana come misura della bellezza e della perfezione elaborati dal pensiero rinascimentale, cui si assimilava il principio di imitazione ed il concetto di verosimiglianza. A questa bellezza umana si affianca ora, grazie alla pittura moderna, una beauté idéale che non vuole più essere l’espressione orgogliosa della specie.91 Nella terza parte dell’articolo, Apollinaire descrive i tratti dell’arte moderna, concettualmente grandiosa perché si pone l’infinito, l’ideale a misura della propria ricerca. Questo aspetto monumentale dell’arte moderna è riferito esplicitamente a Delaunay cui si riferisce un’analoga

91 Ripenseremo ai versi di Baudelaire che nell’Hymne à la beauté delinea un’idea di bellezza non umana, ignota e infinita perché situata al di là delle opposizioni concettuali che fondano il nostro pensiero, “viens-tu du ciel profond ou sors-tu de l’abîme,/ O Beauté… Que tu viennes du ciel ou de l’enfer, qu’importe,/ O Beauté! Monstre énorme, effrayant, ingénu!/ Si ton oeil, ton souris, ton pied, m’ouvrent la porte/ D’un infini que j’aime et n’ai jamais connu?”. Per Baudelaire rimandiamo alla lettura monumentale di Mario Richter, Baudelaire, Les Fleurs du Mal. Lecture intégrale, op. cit., pp. 197-208.

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proposizione pubblicata su “L’Intransigeant” del 5 marzo 191292. Anche in un accento puramente strumentale alle radici nazionali della ricerca cubista93, poi eliminate nelle Méditations esthétiques, vi è tuttavia un aspetto che si riallaccia alla novità cui Apollinaire accennava nei paragrafi precedenti; l’arte contemporanea è francese perché superando l’esperienza rinascimentale, risale alle sorgenti del gotico, che non si modulava sulle proporzioni armoniche dell’uomo ma prendeva l’infinito a modello del suo slancio ideale; in questo contesto si può comprendere più adeguatamente il senso dell’affermazione: “finies les influences grecques et italiennes”94 che trova il suo corrispettivo poetico al verso 3 di Zone che recita: “Tu en a assez de vivre dans l’antiquité grecque et romaine”.

Con questo articolo Apollinaire conclude le sue riflessioni estetiche (“Soirées” nn. 1-4 febbraio-maggio 1912)95. Nell’ottobre 1912 Apollinaire annuncia l’“écartèlement du cubisme”96 e la nascita di una tendenza, l’orfismo, che designava il cubismo “eretico” di Delaunay, Duchamp, Picabia. Mentre il pittore Gleizes (Du Cubisme) e Salmon (La Jeune Peinture française) pubblicano nel-l’autunno 1912 i loro saggi sul cubismo, Apollinaire rimanda volontariamente la pubblicazione delle Méditations esthétiques, quasi completate, per seguire più attentamente i nuovi sviluppi in atto nel movimento artistico. Nel dicembre 1912 Apollinaire pubblica nelle “Soirées” le Notes, Réalité peinture pure (“S.P.” n. 11) in cui raccoglie le dichiarazioni di Delaunay sul suo stile pittorico, utilizzando il termine di “contraste simultané” e di “simultanéité des couleurs” per definirne l’estetica pittorica. Non è privo di interesse sottolineare che nello stesso numero della rivista viene pubblicata Zone: l’opera del pittore e la 92 “Un artiste qui a de l’univers une vision monumentale”, in riferimento alla tela grandiosa della Ville de Paris. 93 L’inserimento dello spunto nazionalistico è un aspetto contingente dell’articolo che mira anche a scongiurare le critiche di “metechismo” che venivano rivolte alla nuova arte, considerata di origine straniera; vi si riscontra inoltre, un’allusione polemica al futurismo italiano che aveva fatto il suo ingresso rumoroso sulla scena artistica francese con la prima esposizione pittorica del febbraio 1912. Si veda Appendice. 94 “S.P.” n. 4, p. 114. 95 In occasione del Salon des Indépendants che si apre alla fine del marzo 1912 Apollinaire rivendica esplicitamente il suo ruolo di interprete della pittura moderna: “Au moment où les Indépendants vont ouvrir leur exposition, je puis dire que depuis sept ans j’ai énoncé sur l’art contemporain dans diverses publications et dans les colonnes de ce journal des vérités que nul autre que moi n’aurait osé écrire”. 96 Alla conferenza tenuta presso la mostra della Section d’or.

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creazione del poeta partecipano allo stesso sforzo di rinnovamento che anima le ricerche dell’avanguardia.

II. 4.1 La produzione poetica di Apollinaire nella prima serie delle “Soirées de Paris”

Negli anni immediatamente precedenti la fondazione della rivista Apollinaire, l’abbiamo detto, attraversa una fase di riflessione poetica che si traduce in una produzione esigua; il 1912 apre una fase di eccezionale fecondità in un crescendo interrotto solo dallo scoppio della guerra.

Ripercorrendo le composizioni pubblicate sulle “Soirées” fino all’estate 1912 è agevole constatare come esse lascino presagire solo indirettamente le sue preoccupazioni in ambito artistico; la critica d’arte è l’aspetto sul quale Apollinaire concentra le sue energie tant’è che fino a quando compare sulla rivista (nn. 1-4) risulta prevalente sulla poesia sul piano qualitativo oltre che su quello quantitativo; se si esclude, beninteso, Le Pont Mirabeau, i primi testi pubblicati da Apollinaire sono dei sonetti allegorici, il già citato Per te præsentit aruspex (“S.P.” n. 1) e L’Enfer (“S.P.” n. 4), sorta di esercizio poetico sul motivo convenzionale del desiderio amoroso, non ripresi in Alcools, cui si affiancano in omaggio alla linea narrativa della rivista, il racconto L’Ingénieur hollandais (“S.P.” n. 5) e le note sulle Petites recettes de magie moderne(“S.P.” n. 7), pubblicati poi nel Poète assassiné.

Dall’estate del 1912, quando Apollinaire è costretto a rinunciare alla critica d’arte, la sua produzione poetica diviene invece molto intensa; essa consiste prevalentemente in una galleria di ritratti femminili che si apparentano per atmosfera al ciclo renano: Rosemonde, Marie-Sybille e Clotilde (“S.P.” n. 6), Fanny (“Annie” in Alcools) e Cors de chasse (“S.P.” n. 8), Marie (“S.P.” n. 9), una sequenza interrotta solo da Le Voyageur (“S.P.” n. 8), che presenta delle caratteristiche diverse. In questo periodo di crisi personale, innescata dal-l’incarcerazione e aggravata dalla rottura sentimentale con Marie Laurencin, Apollinaire pubblica poesie apparentemente piuttosto tradizionali, che si allontano molto discretamente dalle convenzioni poetiche, e improntate al tono malinconico, all’atmosfera crepuscolare del ricordo. Apparse in rapida successione in una rivista associata ad una posizione alquanto moderata, esse diffondono di lui un’immagine di poeta elegiaco recepita con sconcerto tra le sue frequentazioni dell’avanguardia, come scrive Gabrielle Buffet Picabia

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sottolineando quanto quella produzione poetica sembrasse “tenir par de profondes racines à tout ce passé de romantisme97”. Rosemonde, la poesia inaugurale della serie, che funziona da principio

modellante per le successive, si dispiega su un motivo tradizionale della poesia popolare, la polivalenza semantica attivata sul gioco di interferenze linguistiche tra il francese “Rosemonde” e l’originale tedesco Rosemund (il famoso “bocca di rosa”). Nell’apparente semplicità della poesia in octosyllabes, il verso di elezione del poeta, vi sono tuttavia alcuni elementi di novità da rilevare, in particolare la scomparsa quasi completa della punteggiatura (solo due punti in chiusura della seconda e della terza strofa) i cui effetti ritmici e semantici si ripercuotono sulla lettura del testo. La modalità corrente, che tenderebbe ad imporsi naturalmente, modulata sulle scansioni logico-sintattiche del discorso, è incrinata tuttavia da una lettura che si volesse rispettosa delle uniche pause poetiche proposte dal testo, che sono il verso e la strofa; gli esiti di una simile lettura si offrono, paradossalmente, proprio ad un effetto prosastico che mina la modalità elegiaca dell’octosyllabe 98. Apollinaire, del resto, ha sempre manifestato un atteggiamento mutevole nei confronti della punteggiatura, che usa generalmente per ottenere effetti ritmici e non semantici, così che la decisione di sopprimerla com-pletamente nel novembre 1912 dalle bozze di Alcools, già composto tipo-graficamente, non deriva, come si è detto, dall’esigenza di emulare in audacia i futuristi, il cui esempio ha certamente contribuito a incoraggiarlo, ma da una sua disposizione personale, descritta nella lettera a Martineau99 del 1918, e confortata dall’esempio di Mallarmé. La tensione tra le due letture coesistenti, la lettura poetica e la lettura corrente/sintattica produce inoltre ambiguità semantiche che hanno ripercussioni evidenti per la comprensione del testo. L’indicatore temporale “Longtemps” lanciato nell’incipit e poi sospeso dal lungo inciso “au pied du perron de/ la maison où entra la dame/ Que j’avais suivie pendant deux bonnes heures à Amsterdam”, si riferisce evidentemente all’ultimo verso “Mes doigts jetèrent des baisers”, la frase principale della prima strofa, intercalata da due proposizioni relative in sequenza (“où entra la dame/

97 G. Buffet, Rencontre avec Apollinaire, “Le Point”, novembre 1937. 98 Per l’analisi degli effetti dell’abolizione della punteggiatura sulla lettura e l’interpretazione del testo poetico rimando alla lettura di Mario Richter della “Chanson du Mal-Aimé”, in Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica, op. cit. 99 “Pour ce qui concerne la ponctuation je ne l’ai supprimée que parce qu’elle m’a paru inutile et elle l’est en effet, le rythme même et la coupe des vers voilà la véritable ponctuation et il n’en est point besoin d’une autre”, Œuvres poétiques, op. cit., p. 1040.

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que j’avais suivie”). Il procedimento adottato da Apollinaire consiste nella distribuzione dell’enunciato in cadenze versificate e nella soppressione dei segni di interpunzione che organizzano gerarchicamente la frase, così che la coupe del verso conferisce un carattere poetico ad un insieme apparentemente discorsivo; questo approccio si rivela particolarmente interessante perché avviene in un testo che esplora le molteplici virtualità poetiche dell’oralità al di là della sintassi. Come suggerisce il titolo del quale abbiamo evocato la polivalenza semantica, la rosa del mondo è la bocca del mondo, riproposta nel leitmotiv dei “baisers” nella prima e nella seconda strofa, nella “bouche fleurie” della seconda. Le infrazioni, sottili, al codice poetico tradizionale si rivelano nell’uso di rime proscritte, come quelle che collegano una preposizione a un numerale (de, deux), di rime per l’orecchio (dame, Amsterdam), rime equivoche (vit/vie), rime incluse (Rosemonde, Monde), assonanze (baisers, désert). Per riequilibrare la coupe prosastica del verso il testo, percorso da una rete di echi fonici che uniscono il tessuto testuale100, presenta dei meccanismi importanti di strutturazione ritmica: la circolarità del motivo pendant deux bonnnes heures della prima strofa ripreso, leggermente modificato nella seconda (Pendant plus de deux heures), i principi di ricorrenza sonora utilizzati negli inizi di verso, per esempio, tra il primo e il secondo con l’anafora della liquida e della nasale tra Longtemps/La maison e della labiale nel quarto e nel quinto verso della terza strofa (Puis/Pour). Apollinaire organizza ritmicamente la strofa per creare dei principi di ridondanza che evocano la funzione poetica, ma lo fa evitando il principio di regolarità, lo schema fisso delle rime e dei versi che rendeva frusto e ripetitivo il ron ron del verso tradizionale. Nulla ci viene precisato a proposito di Rosemonde, ed è evidente che il nome funziona come un senal della poesia trobadorica, uno schermo che rimanda ad una realtà ben più profonda, evocata dalla quête dei romanzi cavallereschi e qui simboleggiata dalla “Rose du monde”.

La poesia successiva, anch’essa in octosyllabes, Marie-Sybille [“Marizibill” in Alcools], è un testo descrittivo, almeno nella parte iniziale che, all’opposto di Rosemonde, dove si esibiva una elaborata costruzione sintattica alla maniera simbolista, opera sulla semplificazione della costruzione, ridotta a enunciati verbali semplicissimi (“elle allait et venait”), secondo uno stile che rinuncia agli orpelli per tendere al presentativo (“C’était un juif, il sentait l’ail/ Et l’avait venant de Formose/ tirée d’un bordel de Shangaï”). Anche in questo caso Apollinaire

100 Perron unisce il primo verso a maison nel secondo, tra terzo e quarto la rima interna su pendant/ Amsterdam; nella seconda strofa al secondo verso aussi – vit- e nel terzo à qui - ma vie. Voulant/ Hollande/ Lentement/ m’en allai/ Monde.

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inserisce degli echi fonici interni di ridondanza sonora per riequilibrare la cadenza prosastica101, mentre la presenza di termini stranieri (“Formose”, “Shangai”) produce un effetto di straniamento sul tessuto lessicale ordinario. La chiusa finale riscatta l’apparente banalità del testo attraverso le immagini suggestive “des gens de toutes sortes,/[…]/ indécis comme feuilles mortes,/ leurs yeux sont des feux mal éteints,/ leurs coeurs bougent comme leurs portes.” Qui il poeta non è più al centro della scena testuale ma si apre al mondo facendosi partecipe dei “destins/ éteints”, associati in rima, di Marie-Sybille e dell’umanità dolente che troverà eco in Zone. Clotilde, pervasa dall’immaginario simbolista-decadente, è articolata invece su un dialogo tra il noi (nos ombres) e il tu (il faut que tu poursuives, tu veux). Come in tutti questi testi alla parte descrittiva segue la conclusione riflessiva, che qui opera anche da allusione autoreferenziale: Passe! il faut que tu poursuives/ cette belle ombres que tu veux. Il compito che Apollinaire affida all’io lirico sembra allora quello di passare, di inseguire un’ombra che si sottrae continuamente al suo sguardo. Fanny, “Annie” in Alcools, pubblicata sul n. 8 della rivista, è un altro testo descrittivo dall’andamento prosastico che si assimila a Rosemonde per la circolarità del tema floreale della Rose e a Clotilde per l’evocazione del motivo del giardino chiuso. La poesia si caratterizza soprattutto per la rottura degli schemi prosodici tradizionali, esibendo una ampia gamma di versi, regolari e non (ennéasyllabes, décasyllabes, octosyllabes…) che utilizzano rime proscritte come le rime ripetute (rose, roses). Nello stesso numero delle “Soirées” figura un altro testo di Apollinaire, Cors de chasse, che dopo il prologo descrittivo, evoca la postura metaforica del poeta che avanza proteso all’indietro: Passons, passons, puisque tout passe/ je me retournerai souvent. Questa “doppia postulazione” verso il futuro e il passato che costituisce il particolarissimo passo del poeta può essere considerata una riattivazione del mito di Orfeo ed Euridice102. Riprendendo una suggestione di Mario Richter, non ci sembra esagerato supporre che il mito orfico strutturi simbolicamente il passaggio del poeta che, per far rinascere la poesia deve scendere negli inferi della modernità, senza volgersi indietro a rimpiangere il passato, pena la perdita irrimediabile del suo bene più prezioso.

101 Elle allait et venait nel secondo verso; tous e tout nel secondo, allitterazioni che legano le dentali nel quarto verso: trottoirs/ très tard, dans des, e la labiale brasseries borgnes; nella seconda strofa la liquida roux et rose, feux-yeux nella terza e in inizio di verso l’anafora leurs/Leur. 102 Per questo aspetto rimandiamo a Mario Richter, Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica agli inizi del Novecento, op. cit.

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Nello stesso numero della rivista compare Le Voyageur (“S.P.” n. 8 settembre 1912); generalmente considerata la prova generale di Zone, questa è la prima poesia in cui il poeta affronta simbolicamente il passaggio periglioso verso la modernità metaforizzato dalle correnti dell’Euripo. Per comprendere meglio l’evoluzione di Apollinaire non sarà inutile forse ricordare che nel maggio 1912 si era avvicinato al movimento drammatista fondato da H.M. Barzun, un ex-aderente dell’Abbaye che si proponeva di rendere la simultaneità delle esperienze sensoriali, e aveva firmato il manifesto L’Ere du Drame, insieme a T. de Visan, Mercereau, Voirol, Divoire. Un ulteriore stimolo all’innovazione per Apollinaire è costituito dall’arrivo a Parigi di Blaise Cendrars, tra la primavera e l’estate del 1912, che gli offre l’esempio di una poesia in rapporto più diretto rispetto alla realtà.

In Le Voyageur i motivi ricorrenti del lirismo apollinariano quali il sentimento di esclusione (“ouvrez-moi cette porte où je frappe en pleurant”) e la fuite du temps (“La vie est variable aussi bien que l’Euripe”), sono elaborati in modalità nuove: con la dimensione del tempo che si compie ciclicamente in alternanza tra diversi livelli del passato (imperfetto, passato remoto e trapassato) e del presente, attivato dai ricordi e dai rimpianti che lo accompagnano (“et tous ces regrets, ces repentirs, Te souviens-tu”). Anche sul piano dell’enunciazione il testo si struttura su due livelli nell’alternanza tra io (“je frappe”) e il tu, oggettivazione dell’io (“tu regardais le banc des nuages”) propria di Zone. Come in tutte le creazioni di questo periodo, anche questa si connota per una fortissima densità visiva in cui l’evocazione dell’Euripo muove metaforicamente il testo intorno al motivo acqueo (“le banc des nuages”, “le paquebot orphelin”, “vague”, “poissons”, “fleurs surmarines”, “la mer”, “et les fleuves”, “les matelots”…) che figura il passaggio metaforico del poeta e dei suoi “chers compagnons” (i drammatisti?, Cendrars?) di notte, alla fine dell’estate, verso un’altra riva ancora disabitata. Rispetto alla struttura chiusa degli altri testi, Le Voyageur presenta una forma aperta, compattata dai ritorni ciclici (il secondo verso e l’explicit) e coordinata per pacchetti di versi eterometri che com-prendono alessandrini, versi regolari e versi liberi divenuti la principale scansione ritmica del testo. Lo stile nominale evoca efficacemente l’im-maginario modernista che pervade il tessuto testuale (“sonneries électriques des gares”), vivificando l’inanimato (“régiment des rues sans nombres/cavalerie des ponts”) come in Zone (“le troupeau des ponts bêle ce matin”).

Questo ciclo poetico si compie con Marie, pubblicata sul numero 9 delle “Soirées de Paris” (ottobre 1912), che pone al centro della scena testuale la figura dell’amata perduta. La poesia che è ancora punteggiata nelle “Soirées de

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Paris” non lo è più nel numero ottobre-dicembre 1912 di “Vers et Prose”; nello stesso periodo, tra fine ottobre e novembre, Apollinaire sopprime la punteggiatura dalle bozze di Alcools. L’impianto fonico è senza dubbio l’ele-mento caratterizzante della poesia, nel ritmo cadenzato della danza vallona della quale mima il movimento, “la maclotte”, nelle rime forti e inconsuete in “neige”103, “n’ai-je”, “sais-je” e nelle anafore che organizzano la linea melodica del testo. Quasi a condensare il suo percorso poetico nelle “Soirées de Paris” Apollinaire riprende in Marie i motivi strutturanti delle poesie precedenti: l’autunno evoca il paesaggio sentimentale del Pont Mirabeau, con le immagini associate allo scorrere della Senna (“le fleuve est pareil à ma peine/ il s’écoule et ne tarit pas/ Quand donc finira la semaine?”) che ricorrono anche alle stesse rime (“Seine/ peine”/ “Seine semaine”; e ancora “bras” e “pas”). Declinando insistentemente il tema del passaggio Apollinaire ci consegna di sé l’immagine di un passante che attraversa la Senna con un “livre ancien” a guisa di amuleto, quasi a garantirlo dal trascorrere del tempo. Si direbbe che dietro il simulacro dell’amore perduto, inseguito nelle sue molteplici maschere femminili (Rosemonde, Marisybille, Clotilde, Annie, Marie), la voce lirica del poeta non cessi di inseguire l’ombra fuggevole della poesia, che si sottrae ostinatamente al suo sguardo cristallizzante: “Passe il faut que tu poursuives/ cette belle ombre que tu veux” (Clotilde). In questa fase di incertezza sul proprio futuro di uomo e di poeta, Apollinaire affida il suo destino ai valori perenni dell’arte, riaffermando anche il suo passato simbolista con la pubblicazione nel giugno 1912 di una delle sue prime poesie, Merlin et la Vieille Femme, ancora inedita, nelle “Rubriques nouvelles”, la rivista di Beaduin.

Come si è detto “Les Soirées” offrono un’immagine completa di Apollinaire che si esprime anche in prosa, con il racconto L’ingénieur hollandais (“Soirées de Paris” n. 5, giugno 1912) e le note sulle Petites recettes de magie moderne (pubblicato sulle “S.P.” n. 7, agosto 1912), entrambi ripresi nel Poète assassiné. La caratteristica fondamentale della prosa fictionnelle di Apollinaire è quella di trasporre la problematica e le acquisizioni della poesia104, rompendo con la tradizione realistica e l’analisi psicologica predominante nella redazione, con l’esotismo decadente e il fantastico in auge presso Dalize e Tudesq. Il testo, la cui cifra distintiva è il gioco dell’ambiguità tra il vero e il falso, mette in scena

103 Questa rima è ripresa anche in La blanche neige pubblicata in Alcools; cfr. la lettura che ne propone Mario Richter in Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica agli inizi del Novecento, op. cit. 104 Cfr. A. Boschetti, “On peut être poète dans tous les domaines”, La Poésie partout, op. cit. e D. Delbreil, Apollinaire et ses récits, Fasano - Parigi, Schena - Nizet, 1999.

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l’irruzione dell’insolito nel quotidiano attraverso il racconto di un crimine misterioso e immotivato – una modalità che richiama alcuni racconti dell’ Hérésiarque et Cie: “Il Matelot d’Amsterdam” e “Un beau film” – che ribalta la struttura dell’inchiesta poliziesca. Pur rispettando apparentemente le convenzioni il racconto infrange in realtà la linearità narrativa sospendendo nella fase centrale, quella relativa al crimine, la successione cronologica, sostituita dalla simultaneità diegetica evocata dagli indicatori temporali: “en même temps, au moment, tandis que”; questo principio di ricorrenza formale che ritma i testi poetici sarà poi il leitmotiv intorno a cui Apollinaire elaborerà la scrittura simultanea del Musicien de Saint-Merry105.

Nel numero 7 dell’agosto 1912 Apollinaire pubblica un altro testo in prosa, Petites recettes de magie moderne, in cui ripropone un motivo frequente del repertorio romanzesco, quello del manoscritto ritrovato. Queste note divertite sul tema della magia – formule per i guasti automobilistici, per problemi di salute o per parlare bene, invocazioni propiziatorie per vincere in borsa o trovare dei soldi… – tutte ispirate al principio della sorpresa e dell’assurdo, si affiancano a rimedi riferiti esplicitamente all’ambito poetico106 che rompono anche qui il principio della verosimiglianza narrativa.

Nell’estate Apollinaire frequenta assiduamente i promotori del rinno-vamento artistico e poetico quali i Delaunay, Picabia, Cendrars e partecipa all’attività del gruppo drammatista per non essere isolato nel momento in cui l’alleanza simbolica è, più che mai, una condizione indispensabile per emergere. A questa esigenza aggregativa risponde in effetti la fondazione della rivista di Barzun, “Poème et Drame” nel novembre 1912, cui Apollinaire affida la pubblicazione di Cortège, e in un secondo momento di “Montjoie” di Canudo nel febbraio 1913. Le poesie che Apollinaire pubblica in questa fase, Le Voyageur, già citato, (“S.P.” n. 8), Vendémiaire (“S.P.” n. 10), Cortège (“Poème et Drame” n. 1, nov. 1912), Zone (“S.P.” n. 11) prendono così senso alla luce dei diversi tentativi promossi dall’avanguardia per dare un’espressione moderna al lirismo; in particolare esse si richiamavano alla ricerca sulla simultaneità spaziale e temporale intrapresa sotto varie forme dai drammatisti, da Cendrars, da Delaunay, dai futuristi che nel 1912 avevano lanciato il Manifesto tecnico della letteratura futurista, e avevano lo scopo di affermare l’anteriorità dei tentativi di Apollinaire in questo senso. Con questa produzione Apollinaire mostra di avere 105 Per questo aspetto rimandiamo in particolare all’analisi del Musicien de Saint-Merry nel capitolo succcessivo. 106 Sull’evocazione pragmatica della magia a fini poetici Apollinaire costruisce Prophéties, “S.P.” n. 24.

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ormai superato le sue esitazioni circa la modernità e riconosce la “nécessité d’appartenir avant tout à son temps et d’intégrer la vie contemporaine dans son art”107. Sottolineando l’accentuazione in senso modernista della produzione di Apollinaire non intendiamo negare l’indubbia permanenza di forma e ispirazione che caratterizza la sua opera, o evocare il “changement de front” che è stato suggerito per motivi diversi da Billy e Fleuret, sostenitori del-l’Apollinaire elegiaco, e da Romains108, che aveva tutto l’interesse a squalificare l’opera di rivali pericolosi; ciò che è nuovo invece è la sistematicità con cui questa esplorazione si realizza tra 1912 e 1914.

La rivista si rivela uno strumento prezioso per seguire da vicino questa fase. Un racconto a chiave di Billy, Comment je suis devenu poète (“S.P.” n. 9), ci permette di inscrivere l’atteggiamento di Apollinaire in questo contesto e di comprendere meglio la sua posizione. All’ammirazione di Billy per i suoi versi “animés d’un sentiment qui leur est propre” e ispirati a “une humeur vagabonde”109, Apollinaire (“le charmant Hector”) contrappone l’esigenza di trovare dei “thèmes nouveaux et forts différents de ceux sur lesquels vous m’avez vu jusqu’à présent entrelacer des rimes” e proclama l’intenzione di creare una poesia diversa che trovi la sua fonte nel quotidiano: “les prospectus […], les catalogues, les affiches, les réclames de toutes sortes. Croyez-moi, la poésie de notre époque je l’en ferai jaillir.” Si tratta di un lirismo scaturito direttamente dalla realtà, che il poeta rimotiva conferendogli un senso ed una destinazione nuovi, come per il cartello apposto sul treno:

- Tout appel non justifié expose le voyageur à des poursuites judiciaires […]. Cette inscription est chargée de lyrisme. Un individu tire la sonnette sans motif, il accomplit ce geste dérisoire: en voilà assez pour qu’il aille au bagne. La menace est formidable. Elle donne proprement le vertige. Je la transposerai en poésie.

Questa suggestione che Billy presenta come una “médiocre plaisanterie” è, per Apollinaire, una risorsa importante per rinnovare le fonti e le forme della sua ispirazione poetica. A queste dichiarazioni corrisponde infatti un processo

107 Cfr. la prefazione al catalogo della mostra di Archipenko presso la galleria di “Der Sturm” del marzo 1914, in Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 657. 108 J. Romains, Souvenirs et confidences d’un écrivain, Paris, Fayard, 1958, p. 32. 109 Billy colpisce talmente nel segno con questo articolo che quando Léautaud pubblica nel maggio 1913 la recensione ad Alcools egli riprende le stesse parole che Billy aveva utilizzato per evocare il lirismo di Apollinaire: una poesia dall’anima “flottante, vagabonde”, M. Décaudin, Alcools de Guillaume Apollinaire, Paris, Gallimard, “Foliothèque”, 1993 p. 173.

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di evoluzione che si riferisce a tutte le sperimentazioni incoraggiate su questi aspetti dalla ricerca poetica. Nel numero successivo delle “Soirées de Paris” Apollinaire sopprime la punteggiatura da Vendémiare così che l’unico riferimento per la suddivisione del testo non è più la sintassi, scandita dai segni di interpunzione, ma sono le pause del verso e delle strofe. Come nei testi precedenti la poesia continua a declinare il tema autoreferenziale (soprattutto Marie e Le Voyageur) e la problematica del ricordo, seppure in modo più diretto, a partire dalla prima strofa in cui il poeta si assimila metaforicamente ai re in declino e alle loro voci sommesse che evocano una poesia crepuscolare, “au déclin de l’été”. A differenza però delle poesie precedenti il passaggio dell’io lungo il quai invece di chiudere il testo sul ripiegamento interiore apre un movimento di espansione lirica che da Parigi, la Francia, l’Europa si estende all’“universelle ivognerie”, ad altre voci “limpides et lointaines”. La mescolanza di metri diversi, rompendo il parallelismo fonosintattico, provoca un effetto di contrappunto (“et Rennes repondit avec Quimper et Vannes, et les villes du Nord répondirent gaiement/…/ et Lyon répondit”), mentre le associazioni fonosemantiche in allitterazione (la voix, le vin, l’ivresse, la ville, le viriles cités) figurano l’introiezione dell’universo attraverso la voce del poeta e le sue divines paroles. È come se il poeta in stato di ebrezza lirica (“tu es beau, tu es noble c’est dans toi que Dieu peut devenir”) offrisse un sacrificio mistico alla città di Parigi (“ces grappes de nos sens, les cervaux, ces berceaux pleins de cris, nos pensées, les oreilles des écoles…”), un addio simbolico ai “bons vers immortels qui s’ennuient patiemment”. Di fronte alla minaccia del silenzio, morte simbolica della poesia, il lirismo ribadisce la fiducia nel proprio potere creatore: “Parce que c’est dans toi que Dieu peut devenir”. Come la memoria della prosodia tradizionale persiste anche nei versi apparentementi liberi così l’eco del passato feconda il lirismo della modernità nella riesumazione del mito di Issione; il poeta, novello Issione, feconda la creazione lirica con il fumo delle ciminiere mentre le sirene s’involano verso il cielo, simili ad altre sirene, quelle modernissime delle fabbriche. Così Apollinaire innesta nel presente la condensazione metaforica propria ai miti del passato.

Lungi dall’essere una conversione improvvisa alla modernità poetica, Zone è il punto di arrivo di un processo di elaborazione che ha permeato l’attività poetica e critica di Apollinaire nelle “Soirées de Paris”. Questa continuità si manifesta per esempio nella ripresa di motivi già esplorati nelle poesie precedenti. Per limitarci ad alcuni aspetti particolarmente evidenti citeremo inanzitutto l’alternanza dell’enunciazione tra l’io e il tu, già proposta da Le Voyageur e qui accentuata dalla postura del poeta che si svela, oggettivandosi. In

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secondo luogo la ripresa della struttura ciclica di Le Voyageur e Vendémiaire che in Zone inizia con ce matin al secondo verso e si conclude con il soleil levant all’ultimo verso. Infine il ritorno di immagini pregnanti (il volo del Cristo), il processo di animazione dell’inanimato già proposto in Le Voyageur e Vendémiare: “le troupeau des ponts bêle”, “la sirène y gémit”, “une cloche rageuese y aboie”. Secondo le indicazioni contenute in Comment je suis devenu poète la vita moderna offre inedite possibilità espressive ad un lirismo nuovo e stridente come “les inscriptions des enseignes et des murailles les plaques et les avis à la façon des perroquets criaillent”. L’effetto di novità è costruito soprattutto con l’uso di un verso che sfugge alle distinzioni prosodiche per assimilarsi unicamente ad un proprio ritmo interno, appoggiato sullo stile diretto, presentativo (“C’est”, “Il y a”), sulle espansioni nominali (“Voilà la poésie”). Un altro aspetto originale deriva dalla giustapposizione dei piani dell’enunciazione e dei piani temporali; l’ambiguità del soggetto dell’enunciato nel movimento continuo dall’io al tu, che si osserva come in un sogno (“tu as souffert de l’amour”/ “J’ai vécu comme un fou”) rende possibile la coesistenza dei diversi piani temporali/ spaziali in un presente del qui ed ora: “ce matin”, “le matin”. L’incipit in medias res che sembra proseguire una riflessione o un dialogo già precedentemente avviato non esprime la semplice constatazione della fine di un mondo, inteso metaforicamente come un universo poetico (“A la fin tu es las de ce monde ancien”), ma anche e soprattutto delle coordinate estetiche che lo governano (“C’était et je voudrais ne pas m’en souvenir au déclin de la beauté”). In effetti la presenza del mondo contemporaneo e del suo linguaggio mostrano la ricerca di Apollinaire tesa ad integrare la vita moderna nella sua poesia. L’inerzia di un modello formale e concettuale immutabile, quello greco-romano, sul quale si è edificata tutta l’arte occidentale110 (“tu en as assez de vivre dans l’antiquité grecque et romaine”) aveva finito per neutralizzare ogni sforzo innovativo: “Ici même les automobiles ont l’air d’être anciennes”. Come non leggere nel verso un’allusione esplicita alla “modernolatria” dei gruppi d’avanguardia e so-prattutto del futurismo nella loro esaltazione puerile della macchina? Il nuovo lirismo al quale questi movimenti aspiravano in modo confuso e spesso incoerente, non è solo questione di soggetti, già superati nella pratica artistica, ma di un rapporto diverso tra il reale e le sue modalità di rappresentazione poetica (“tu lis les prospectus les catalogues les affiches qui chantent tout haut/

110 Cfr. la convergenza con le affermazioni riportate nelle Notes d’art delle “Soirées de Paris” n. 4, p. 114: “finies les influences grecques et italiennes. Voici la renaissance de l’art français, c’est à dire de l’art gothique”.

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Voilà la poésie ce matin et pour la prose il y a les journaux/ il y a les livraisons à 25 centimes pleines d’aventures policières”). Queste affermazioni che ripren-dono quelle riportate da Billy in Comment je suis devenu poète (“il me reste les catalogues, les affiches, les réclames de toutes sortes. Croyez-moi la poésie de notre époque y est incluse, je l’en ferai jaillir”) erano allo stesso tempo un modo per ricollegarsi alle dichiarazioni sovversive dei manifesti futuristi e alle ricerche di Braque e Picasso, che introducono lettere e insegne nei loro quadri111 o di Picabia. È come se al termine di una lunga riflessione Apollinaire avesse compreso che la crisi della poesia non dipendeva dalla dimensione moderna, transitoria e contingente della civiltà contemporanea, quanto piuttosto dall’im-mobilità di un ordine estetico, che condannava al fallimento ogni volontà di reale cambiamento112. Tali aspirazioni richiedevano altre modalità espressive, derivate da altre coordinate formali (“une autre forme et une autre croyance”) che, senza cancellare le precedenti, inaugurassero prospettive inedite. Abban-donando le sicurezze derivate dal passato ed assumendo fino in fondo la condizione intrinsecamente effimera del nuovo all’interno dell’esperienza poetica, Apollinaire spera così di durare, un paradosso che riassume la logica sovversiva dell’avanguardia la quale, per affermarsi, deve superare continua-mente le proprie acquisizioni: “passe et dure sans t’arrêter” (“Les Collines”). Così, Zone si compie su un’immagine sfolgorante di morte, separazione traumatica da quel passato sul quale il poeta aveva costruito la propria identità: “Adieu Adieu/Soleil cou tranché” (“coupé” in Alcools).

La pubblicazione di Zone (“S.P.” n. 11) si inscrive nelle ricerche sulla simultanetà113, la problematica che in quel momento catalizza l’attenzione degli innovatori perché appare ai pittori e ai poeti la più adatta a esprimere la visione frammentata dell’uomo contemporaneo. Insieme alle Pâques di Cendrars, pubblicate nel novembre 1912, la poesia di Apollinaire è considerata la prima realizzazione riuscita dell’intensa attività di ricerca promossa dall’avanguardia

111 Cfr. l’articolo su “Der Sturm” del febbraio 1913, “Picasso et Braque introduisaient dans leurs œuvres d’art des lettres d’enseignes et d’autres inscriptions, parce que dans une ville moderne, l’inscription, l’enseigne, la publicité jouent un rôle artistique très important”, Œuvres en proses complètes II, op. cit., p. 503; cfr. A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit. 112 Cfr. le riflessioni esposte già nelle Trois vertus plastiques (1908) e riportate in apertura alle Méditations esthétiques: “En vain, on bande l’arc-en-ciel, les saisons frémissent […], la science défait et refait ce qui existe, les mondes s’éloignent à jamais de notre conception, nos images se répètent […]. Ce monstre de la beauté n’est pas éternel”, Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 5. 113 Soffici parla per esempio di “sintesi simultanea di Zone”, in “Lacerba” I maggio 1914.

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poetica, dai futuristi, dai drammatisti intorno a questa problematica. Se, come sembra ormai certo, la redazione delle Pâques ha preceduto quella di Zone, gli esiti della poesia di Apollinaire sono profondamente originali, come hanno mostrato le analisi di Marie Louise Lentengre e Anna Boschetti114.

Così ne riferiscono Marc Brésil e Louis de Gonzague Frick sulla “Phalange” del gennaio 1913:

Les Soirées de Paris ont publié un long poème “Zône” de M. Guillaume Apollinaire. Dans “Zône”, M. Guillaume Apollinaire tente une synthèse de son existence et nous offre cette particularité de mêler ‘l’esprit antique à l’esprit moderne’. C’est d’une puissante réalisation.115

La poesia ha grande eco in Europa; viene riprodotta nel numero di aprile 1913 di “Der Sturm” e ispira una poesia di Alfred Richard Meyer pubblicata sulla stessa rivista nell’agosto 1913: “Paris” à Guillaume Apollinaire avec mille remerciements pour Zone116. Zone segna anche la fine del progetto collettivo delle “Soirées de Paris”; gli orientamenti piuttosto tradizionali della redazione appaiono ora ad Apollinaire talmente inconciliabili con la sua posizione in poesia e nella critica, come sottolinea Billy – “de son côté, Apollinaire avait des visées qui dépassaient beaucoup les nôtres”117 – che finisce per abbandonare la sua rivista alla fine del 1912.

Questo atteggiamento risulta più comprensibile alla luce dell’accelerazione vertiginosa dell’attività dell’avanguardia che vede la fondazione di riviste e movimenti; alla nascita di “Poème et Drame” nel novembre 1912, fa seguito il lancio di “Montjoie!” nel febbraio 1913 e nel marzo dello stesso anno la trasformazione della “Rubriques nouvelles” di Beauduin nella “Vie des Lettres”, che segna per il fondatore del parossismo il passaggio dal lirismo di derivazione hugoliana alla modernità. Si comprende allora che Apollinaire preferisca affidare la sua nuova produzione poetica e la sua critica d’arte a

114 Cfr. M.L. Lentengre, Apollinaire le nouveau lyrisme, Paris, Jean-Michel Place, 1996 e A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit. 115 “La Phalange”, fasc. 79, 20 gennaio 1913, p. 14. 116 Cfr. W. Bohn, Apollinaire parmi les expressionistes A.R. Meyer et Fritz Max Cahén in Apollinaire devant les avant-gardes européennes, op. cit., p. 104; tra la posterità di Zone possiamo anche annoverare una composizione di Pierre Henner pubblicata sul numero 23 delle “Soirées de Paris”, seconda serie per la quale rimandiamo al capitolo successivo. 117 Les Soirées de Paris, op. cit.

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pubblicazioni d’avanguardia come “Poème et Drame”, “Montjoie”, più vicine alle sue posizioni letterarie118.

“Poème et Drame”, organo del gruppo drammatista, è una rivista letteraria che ambisce ad essere il punto di riferimento delle diverse correnti della “génération novatrice actuelle”119; Apollinaire vi pubblica Cortège nel novembre 1913, Les Fenêtres, Veille, Rencontre nel gennaio 1913.

“Montjoie!”, “revue de l’art cérébriste” fondata da Ricciotto Canudo, uno scrittore italiano “transplanté” a Parigi120, illustra i molteplici aspetti dell’estetica contemporanea, in particolare nell’arte, nella musica, nel teatro. Non si può escludere che il tentativo inizialmente promosso da Apollinaire con “Les Soirées”, quello di creare una rivista d’arte e di letteratura, sia stato compreso e rilanciato da Canudo che sollecita la collaborazione di Apollinaire come critico121 e come poeta (Liens, “Montjoie!” 14 aprile 1913). Apollinaire non rompe tuttavia completamente con “Les Soirées” e oltre all’articolo Réalité peinture pure, apparso nel numero 13, pubblica L’Inscription pour le tombeau du peintre Henri Rousseau, le Douanier (“S.P.” n. 15), dei versi di circostanza in cui Apollinaire mostra la sua abilità tecnica, e Perceval le Galloys (“S.P.” n. 16), trascrizione di un frammento di un romanzo medievale secondo l’antica grafia francese, realizzata in realtà da Cendrars per Apollinaire che ne progettava un’edizione critica.

La partenza di Tudesq come correspondante di guerra nei Balcani nel novembre 1912122 e l’allontanamento di Apollinaire inducono Billy a un tentativo di gestione personale delle “Soirées de Paris”. Contando sulla collaborazione di Dalize e su qualche aiuto finanziario esterno Billy assume la direzione della rivista nel gennaio 1913. L’abbandono di buona parte del gruppo fondatore – anche Perrès dirada la sua collaborazione e scompare dalla rivista dopo il numero 15 – costringe Billy a fare appello a tutte le sue conoscenze letterarie per preparare i numeri delle “Soirées”, in particolare al gruppo dei poeti fantasisti, come Derème, Carco, Pellerin, Zavie che di-

118 Per l’analisi della posizione di queste riviste si veda il capitolo successivo. 119 “Poème et Drame” n. 1, novembre 1912, p. 11. 120 Canudo, Les Transplantés, Paris, Fasquelle, 1913. 121 Anche se di fatto la collaborazione di Apollinaire si conclude con il 16 aprile 1913, nonostante le sollecitazioni di “Montjoie!” per la quale doveva seguire l’attualità artistica. Cfr. A.P. Mossetto-Campra, “Montjoie!” ou la ronde des formes et des rythmes, Fasano, Grafischena, 1979. 122 Collabora a “Montjoie!” con Notes de campement, n. 2, febbraio 1913.

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spiegavano un’intensa attività in quel periodo. Questa convergenza si spiega con varie ragioni; un’affinità di situazione – i fantasisti sono in buona parte giornalisti come Billy –, e di posizione, in quanto si riconoscono anch’essi in una posizione intermedia tra i tradizionalisti neoclassicici e l’avanguardia poetica rappresentata da Apollinaire, Max Jacob, Cendrars. Questo gruppo che si richiamava all’ispirazione del quotidiano di Corbière e Toulet, coniugando l’uso virtuosistico della prosodia tradizionale con il tono umoristico, aveva trovato dei modelli recenti nel Bestiaire di Apollinaire e soprattutto nel Calumet di Salmon. Nel novembre 1912 il primo numero dei “Cahiers des poètes” viene consacrato a Carco e ai suoi amici che si segnalano per l’intensa presenza nelle riviste contemporanee, soprattutto nell’“Ile sonnante”, prima di creare un proprio organo che sarebbe diventato “Le Gay Sçavoir”. “Les Soirées de Paris” avevano già pubblicato in precedenza delle poesie di Bizet (“S.P.” n. 7) e in questa seconda fase accolgono testi di Derème123, Carco124, Pellerin125, oltre alle serie sui Journaux de Paris di Zavie126. Un altro gruppo presente durante la gestione Billy è quello degli spiritualisti della “Revue du temps présent”, in particolare i fratelli Bernard127 e Dominique128 Combette, che si identificavano anch’essi con una posizione moderata, oltre a scrittori indipendenti come il direttore di “Les Marges”, Montfort129, il poeta arcaicizzante Vincent Muselli130, il giornalista e poeta Divoire131, membro del gruppo drammatista, Adophe Lacuzon 132, fondatore dell’integralismo, la cronista mondana Louise Faure-

123 La Gourde, “S.P.” nn. 12-13. 124 Les Tilleuls, Les Lilas d’Espagne, “S.P.”, n. 14. 125 La grosse dame chante, “S.P.”, n. 17. 126 “S.P.”, nn. 14, 15, 16, 18 e un racconto, Le chef d’œuvre, “S.P.” n. 17. 127 Traînards, “S.P.”, n. 12, scrittore di ispirazione coloniale, introduce il fratello Dominique presso Apollinaire. 128 Poème en prose, “S.P.”, n. 16, Dominique Combette era uno degli amministratori de “Le Gay Sçavoir” in cui Apollinaire pubblicherà Arbre. 129 La Leçon aux pages, “S.P.” n. 12. 130 Avril, “S.P.” n. 15. 131 Angoisse, “S.P.” n. 12. 132 L’affirmation au silence, “S.P.” n. 14.

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Favier133, compagna di Billy, il giovane Jean Paulhan al suo debutto con delle Poésies malgaches134.

Il declino della rivista è tuttavia inesorabile. Il nuovo direttore non dispone del prestigio necessario a rilanciare la pubblicazione nel mondo letterario, così che i sommari dei cinque numeri pubblicati sotto la gestione di Billy (nn. 13-17) si caratterizzano per una certa disparità ed un notevole eclettismo dovuto al susseguirsi delle collaborazioni, per la maggior parte episodiche (gli unici collaboratori frequenti sono Zavie e Louise Faure Favier). L’impegno diventa così sproporzionato per il solo Billy che non dispone delle relazioni necessarie ad attirare un nuovo gruppo di redattori nella sua pubblicazione. La rivista finisce allora per riprodurre i sommari dell’“Ile sonnante” e del “Gay Sçavoir”, che raccolgono quasi gli stessi collaboratori, finché cessa le pubblicazioni nell’estate 1913.

II. 5. Influenza della rivista nella traiettoria di Apollinaire e degli altri

redattori

Nonostante questo fallimento “Les Soirées de Paris” sono un’esperienza importante che trasforma in varia misura coloro che vi partecipano. Per Apollinaire la rivista svolge un ruolo fondamentale di catalizzatore nell’ambito della critica d’arte: nonostante le difficoltà che gli vengono opposte dagli altri redattori, Apollinaire è più libero di manifestare le sue opinioni e i suoi gusti nella sua rivista che nei giornali. Le sue Notes d’art sono un’indubbia riuscita, tanto che vengono incluse nelle Méditations esthétiques, in preparazione sin dall’estate 1912 e già composte tipograficamente nell’ottobre 1912, ma pubblicate solo nel marzo del 1913, per rendere conto degli sviluppi in atti nel movimento cubista. Il volume presenta una struttura dittica, formulata nella prima parte come una riflessione Sur la Peinture, basata sugli articoli delle “Soirées” (capp. 2-7), e nella seconda come una celebrazione dei Peintres nouveaux. Le Méditations esthétiques lanciano Apollinaire come rappresentante della modernità e difensore dell’in-novazione tanto in Francia quanto all’estero e costituiscono il principale punto di riferimento per quanti si interessano all’evoluzione artistica. Il libro viene conosciuto negli Stati Uniti attraverso Picabia che diffonde l’opera in America; nel luglio 1913 è citato dalla principale rivista d’avanguardia americana,

133 Propos avant-cinq heures, “S.P.”, nn. 14, 15, 16 e Souvenirs sur Renée Vivien, “S.P.”, n. 17. 134 Les Mots-de-Science, poésies malgaches, “S.P.”, n. 17.

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“Camera Work” di Stieglitz (nn. 42-43, aprile-luglio 1913)135 e poi commentato nelle pubblicazioni americane specializzate136.

A sua volta l’impegno assunto nelle “Soirées” incita Apollinaire a una intensa attività per mettere a punto numerose poesie o per comporne di nuove, che pubblica nella rivista. Non è un caso se per quanto riguarda il numero delle poesie pubblicate il 1912 è di gran lunga l’anno più produttivo fino a quel momento. Ed è così che disponendo di una quantità sufficiente di poesie riesce infine a pubblicare nell’aprile 1913 Alcools, la sua prima raccolta importante. Le date apposte nel frontespizio (1898-1913) lo designano come il successore di Mallarmé e invitano a leggere il suo libro come la summa delle ricerche che hanno caratterizzato la storia della poesia fino a quel momento137. “Recueil transséculaire de tout ce qui fut dit ou fait”138, Alcools integra e ripercorre la poesia precedente gettando uno sguardo sul periodo di interregno occupato dagli epigoni dei maestri simbolisti come Régnier, Viélé-Griffin, Quillard, con l’accostamento di effetti, pratiche, stili contraddittori. Come nei Peintres cubistes anche con la pubblicazione di Alcools Apollinaire valorizza la sua immagine di innovatore, utilizzando il suo ritratto cubista fatto da Picasso come frontespizio e collocando in apertura “Zone”, la poesia in cui la sua modernità si manifesta con maggiore evidenza. Le modifiche apportate da Apollinaire ai testi già pubblicati rientrano ugualmente in questa strategia innovativa. Così la soppressione della punteggiatura, che si ricollega a Mallarmé che l’aveva preconizzata prima del Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912, e gli altri interventi sui testi tendono a produrre un effetto di rottura, come sottolinea M. Décaudin139, rafforzando la connotazione visiva del testo attraverso i rimaneggiamenti sull’impaginazione e la tipografia. Un esempio significativo è costituito proprio dal Pont Mirabeau, pubblicato nel primo numero delle “Soirées de Paris”, in cui Apollinaire spezza l’uniformità del testo mediante la ripartizione del secondo decasillabo delle terzine originali in due versi distinti, di

135 Cfr. il documentato articolo di P. Read, “Présence et réception d’Apollinaire”, in Apollinaire en 1918, Paris, Klincksieck, 1988, pp. 90-114 e soprattutto W. Bohn, Apollinaire and the International Avant-garde, Albany, New York University Press, 1997. Per i rapporti tra “Les Soirées de Paris” e la rivista di Stieglitz si veda il capitolo successivo. 136 A.J. Eddy, Cubists and Post-Impressionist, Chicago, Mc Clurg, 1914. 137 Cfr. A. Boschetti, La Poésie partout, op. cit., pp. 143-149. 138 J.L. Steinmetz, “Apollinaire entre deux siècles”, in Guillaume Apollinaire. “Alcools”, Kincksieck, 1996, p. 91. 139 M. Décaudin, Alcools de Guillaume Apollinaire, op. cit., p. 54.

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quattro e di sei sillabe, che producono un effetto di rottura, visivo oltre che ritmico, nel contesto elegiaco della poesia. Anche Alcools contribuisce come Les Peintres cubistes alla reputazione internazionale di Apollinaire: il libro è citato da F.S. Flint nella French Chronicle della rivista inglese “Poetry and Drama” nel settembre 1913 e vi viene recensito in termini elogiativi nel dicembre dello stesso anno. Così il 1913 costituisce un data importante per Apollinaire che grazie ai Peintres cubistes e ad Alcools comincia a essere conosciuto in Europa e in America.

L’exploit realizzato con la pubblicazione di queste opere lo rassicura e lo incoraggia alla sperimentazione di nuove possibilità liriche (Les Fenêtres, “Poème et Drame” gennaio 1913; Arbre, “Le Gay Sçavoir”, marzo 1913; Liens, “Montjoie!”, aprile 1913) che mettono in discussione il concetto comunemente recepito di “poesia”, tanto che potrebbero definirsi piuttosto degli oggetti poetici nei quali elementi della realtà bruta, quali i frammenti di conversazione, sono incorporati nel testo come i ritagli di giornali nei papiers-collés di Picasso. Secondo i principi già enunciati nell’articolo Du sujet dans la peinture nouvelle qui Apollinaire tenta di realizzare una poesia pura, priva di un vero soggetto, che rinuncia al lirismo tradizionale per sviluppare una nuova armonia dal contrasto delle immagini. Possiamo affermare che è soprattutto grazie alla rivista che questa fase di profonda maturazione e di elaborazione estetica si apre per Apollinaire. Jean Burgos sottolinea l’importanza della rivista nello sviluppo estetico di Apollinaire, nell’incitare Apollinaire non solo ad linguaggio nuovo, ma a una nuova visione estetica:

En 1913, cependant, se passe quelque chose. Quelque chose qui procède sans doute et de la naissance, l’année précédente, des Soirées de Paris où s’opère une salutaire réflexion sur l’art nouveau, et des différends qui opposent les diverses tendances cubistes - ce fameux “écartèlement du cubisme” dont parle Apollinaire dans sa conférence d’octobre 1912; peut-être même de la première exposition à Paris des peintres futuristes italiens, si mal accueillie qu’elle ait été.140

Se Apollinaire è il membro più prestigioso della rivista, in cui gli effetti della pubblicazione sono più evidenti, è interessante sottolineare come la par-tecipazione alla rivista influisca, a sua volta, anche sugli altri membri della redazione, in particolare su Billy, il più coinvolto nella gestione della rivista, insieme a Dalize che morì nel 1917, per il quale non possiamo valutarne gli

140 J. Burgos, “Sur la poétique de l’Esprit nouveau” in L’Esprit nouveau dans tous ses états, Paris, Minard, 1986, p. 149.

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effetti. Nel caso di Billy possiamo senza dubbio affermare che nonostante l’in-successo del suo tentativo di gestione personale “Les Soirées” sono un’e-sperienza estremamente positiva: i suoi articoli sono seguiti e segnalati con favore all’interno del mondo letterario e gli danno fiducia nei suoi mezzi, come riconosce in seguito alla pubblicazione dell’articolo su Léautaud141. Questo riconoscimento gli permette così di accedere pienamente al mondo letterario e di rafforzare la sua posizione di critico collaborando ad altre riviste letterarie come gli “Ecrits français” di Marc Brésil e L. de Gonzague Frick. Durante il periodo bellico Billy svolge un’intensa attività come critico e cronista; nel 1917 appaiono La Malabée, La guerre des journaux, chronique de la presse parisienne 1917-1918 e nel 1918 Les Scènes de la vie littéraire à Paris di cui aveva intrapreso la pubblicazione nelle “Soirées”. È l’inizio di una brillante carriera che fa di Billy il più noto tra i courriériestes letterari della prima metà del Novecento, membro dell’Académie Goncourt e firma prestigiosa del “Figaro littéraire” nel secondo dopoguerra.

La partecipazione alle “Soirées” non sembra invece aver prodotto effetti molto rilevanti sui redattori meno coinvolti, quali Tudesq e Perrès. Dopo aver lasciato la rivista Tudesq è presente nel secondo numero di “Montjoie!” (25 febbraio 1913) con delle Notes de campement sulla guerra dei Balcani; durante la guerra è corrispondente dal fronte142. Nel dopoguerra Tudesq si dedicherà completamente al giornalismo e diventerà un grande reporter internazionale per il “Journal”; muore a Saigon, in Indocina, nel 1925. Di Perrès e della sua attività letteraria si perdono le tracce, come s’è detto, nel corso del 1913.

Il caso di Salmon è esemplare invece per i suoi riscontri negativi. In effetti nonostante la sua breve durata, l’esperienza delle “Soirées de Paris” produce dei risvolti considerevoli sulla sua traiettoria; allontanandosi da Apollinaire e dalla sua rivista, Salmon non cessa infatti di misurarsi a distanza con l’esempio dell’amico nei diversi ambiti della sua attività. Nell’autunno 1912 Salmon pubblica un saggio consacrato alle più recenti tendenze artistiche, La Jeune Peinture française in cui si attribuisce il ruolo di cronista della rivoluzione pittorica. È agevole riconoscere la presenza di precise analogie con le opinioni e con il linguaggio critico di Apollinaire, anche se Salmon evita di soffermarsi sul ruolo svolto dall’amico nell’evoluzione delle nuove tendenze artistiche. Così in

141 Cfr. il catalogo delle “Soirées de Paris”, op. cit. 142 Dell’abbondante produzione giornalistica di questa fase possiamo citare, Le canon merveilleux, les mémoires d’un “75” (1914), Les compagnons de l’aventure (1916), Notre camarade Tommy (1917), La Mâchoire carrée (1918).

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una lettera indirizzata al compagno Apollinaire gli rimprovera questa omissione: “Dans ton livre tu m’éludes tout le temps – je ne t’en veux pas, parce que je ne déteste pas l’obscurité – mais cela me peine un peu parce que je t’aime beaucoup, que nous sommes de vieux amis, je crois, et que je ne t’ai jamais fait de mal.”143 È una conferma degli attriti e delle rivalità latenti emersi con la rivista. Tale confronto si esplicita anche sul piano poetico: nel momento in cui la produzione speriementale di Apollinaire diventa il modello di riferimento dell’innovazione poetica, Salmon rifiuta la sfida in nome del nuovo ad ogni costo e si rinchiude in una visione tradizionale della poesia, asservita alla metamorfosi fantastica del reale. Tale riferimento ci sembra essere uno degli elementi che contribuiscono ad orientare le scelte di Salmon nella fase successiva della sua evoluzione e ad allontanarlo dalla competizione poetica proprio nel momento in cui Apollinaire è al culmine del suo prestigio. Così tra le cause dell’isolamento di Salmon alla vigilia della guerra vi è il confronto con l’amico che la rivista aveva indubbiamente amplificato.

143 G. Apollinaire, Œuvres complètes IV, op. cit., p. 958.

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III

La seconda serie des “Soirées de Paris”:

“une revue moderne à excès”

La rinascita delle “Soirées de Paris”, nel novembre 1913, è possibile grazie all’iniziativa di una coppia di mecenati – il pittore Serge Férat, pseudonimo di Serge Jastrebzoff, e sua cugina1, la baronessa Hélène d’Oettingen, scrittrice e pittrice –, che insieme al poeta decidono di rilanciare la pubblicazione per farne “la plus moderne des revues actuelles”2.

Dopo l’abbandono delle prime “Soirées de Paris” Apollinaire aveva già progettato con Cendrars la creazione di una rivista consacrata all’arte e alla letteratura moderna, “Zônes”3 ma l’idea non aveva avuto seguito; l’alleanza con i cugini russi, conosciuti intorno al febbraio 19124, assicura alle “Soirées” i mezzi finanziari e l’intesa necessari a garantire la solidità dell’impresa. A differenza di riviste come la “N.R.F.” che si rivolgono anche al pubblico, l’avanguardia è praticamente priva di mercato e può sperare solo nell’aiuto di mecenati interessati alle sue ricerche e disposti a

1 Le ricostruzioni hanno permesso di accertare che Hélène d’Œttingen e Serge Jastrebzoff erano cugini – le loro madri portavano lo stesso patronimico di Beironowitch – anche se nella corrispondenza e nelle testimonianze si designano sempre reciprocamente come fratelli; il loro rapporto resta comunque ancora circondato dal mistero, cfr. Arlette Albert-Birot, Roch Grey, un témoin de l’Esprit nouveau, in Les Oubliés des avant-gardes, Chambéry, Editions de l’Université de Savoie, 2006, pp. 139-157. 2 Présence d’Apollinaire, op. cit. 3 Cfr. l’articolo di P. Caizergues in “Sud”, art. cit., p. 99. Cendrars collaborerà alle “Soirées” dal n. 23. 4 Così emerge dalla corrispondenza tra Soffici, Serge Férat, grande amico di Soffici, e Apollinaire; cfr. in particolare J.-F. Rodriguez, “Yadwiga, disastrosa donna russa…” Postsimbolismo Cubismo e Futurismo da “La Voce” a “Les Soirées de Paris”, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2004.

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puntare su di esse. Così il ricorso al mecenatismo è una condizione essenziale nella sopravvivenza delle riviste d’avanguardia come mostrano i casi di “Montjoie!”5, di “Lacerba”, finanziata da Vallecchi6 e in seguito anche da Marinetti, di “Der Sturm”7, mentre “Poème et Drame” era distribuita solo in abbonamento.

Serge Jastrebzoff e Hélène d’Oettingen, sono dotati di importanti mezzi economici e di prestigio sociale - appartengono all’alta società russa, molto attiva a Parigi nel mondo artistico dell’epoca –; artisti, collezionisti del Douanier Rousseau, legati da una lunga amicizia con Soffici8, essi aspirano a inserirsi nell’avanguardia francese e una rivista capace di diventare il punto di riferimento delle nuove tendenze in arte e letteratura sembra lo strumento più adatto a realizzare queste intenzioni.

Grazie alla fama che Apollinaire ha acquisito nei diversi ambiti della sua attività comme poeta e critico, alla straordinaria rete di relazioni che ha saputo intessere con gli esponenti più in vista dell’avanguardia internazione, egli appare il direttore ideale della nuova rivista che Férat progetta di creare.

Comme mon frère [sic]– scrive la baronessa – avait déjà l’idée d’une revue qui lui permettrait dans une complète indépendance matérielle et morale de défendre les idées et les intérêts de l’art et que seul Guillaume Apollinaire, ayant déjà une très haute renommée littéraire, les représentait en France, il lui offrit la conduite de cette merveilleuse expédition qui visait le grand renouveau9.

È lecito pensare anche che la creazione di riviste d’avanguardia come “Poème et Drame”, “Montjoie!” e all’estero “Der Sturm” e “Lacerba”,

5 Cfr. A. P. Mossetto-Campra, “Montjoie!”, op. cit. 6 Cfr. Carteggio Papini-Soffici II, a cura di M. Richter, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1999. 7 La rivista ai suoi esordi si appoggia sul contributo economico di K. Kraus e poi sui fondi della seconda moglie del fondatore Herwarth Walden. 8 La baronessa aveva già promesso di sostenere economicamente la prima progettata rivista di Soffici e Papini, “Lirica”, nel 1911, progetto poi abbandonato, che avrebbe trovato realizzazione concreta in “Lacerba”; cfr. Papini-Soffici, Carteggio II, op. cit., p. 268. 9 Présence d’Apollinaire, op. cit.

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che Apollinaire conosceva bene perché vi aveva già collaborato10, abbia confortato i direttori nelle possibilità di successo di un organo consacrato al nuovo.

All’inizio del settembre 1913 Serge Férat scrive al poeta per avere delucidazioni circa il progetto comune:

Je n’ai pas très bien compris de votre lettre si vos préférences sont pour l’achat des “soirées de Paris” ou pour la création d’une revue nouvelle et puis si on achete voudrez vous garder les memes dimensions ou ne laisser que le nom, qui est très joli ? Il faudrait savoir aussi le prix de l’impression. Naturellement les 18 mois d’existance d’une revue ne sont pas negligeables, mais puisqu’elle change radicalement ses tendances peut-on compter garder les quelques abonnés ? Faites comme vous jugez le mieux et au cas si vous etes pour ‘les soirées de Paris’ proposez à Billy le 200 frs. Dans une quinzaine nous serons à Paris – écrivez votre décision tout de suite11.

Dietro suggerimento di Apollinaire si decise di riprendere titolo e abbonamenti dalla gestione precedente, come si desume da una lettera di Serge Férat all’amico Soffici: “Les Soirées de Paris ne changeront pas brusquement, mais j’espère peu a peu elles prendront autre caractère moins mou – Billy les a abimé beaucoup”12.

Apollinaire assume allora la direzione letteraria della rinnovata rivista e Serge Férat quella artistica, sotto lo pseudonimo allusivo all’identità dei mecenati di Jean Cérusse – C’est russe o Ces russes. La ripresa di un titolo già noto, anche se associato a una pubblicazione prudente e “vieillotte”, avrebbe permesso di sfruttare la visibilità acquisita nella prima serie e di limitare così le difficoltà di lancio e di diffusione occorse nella gestione precedente. “Très prudent, Apollinaire ne voulait rien brusquer: Nous avons quarante abonnés! c’est beaucoup. Nous devons les ménager!”13 ricorda la baronessa. 10 Anche la baronessa aveva collaborato a “Lacerba”, vedi infra. 11 L. Cavallo, Soffici, immagini e documenti (1879-1964), Firenze, Vallecchi, 1986, p. 182; la trascrizione rispetta qui come altrove gli errori originali di grafia. 12 Ibidem, p. 182. Qui Serge Jastrebzoff allude evidentemente all’ultima fase, alquanto laboriosa, della gestione della rivista. 13 Présence d’Apollinaire, op. cit.

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Con la seconda serie delle “Soirées de Paris” (n. 18 - nn. 26/27, novembre 1913 – luglio-agosto 1914) si apre allora un’altra fase nella vita della rivista, un vero e proprio “changement de front” nella pub-blicazione completamente rinnovata nella redazione, nella veste tipografica e nella linea editoriale. Le intenzioni apertamente moderniste che ispirano le nuove “Soirées de Paris” sono espresse nella circolare che accompagna i bollettini di abbonamento:

La nouvelle direction des Soirées de Paris a mis au point le type définitif du recueil mensuel illustré en noir et blanc et en couleur – et sollicite l’abonnement – à une revue indispensable à tous ceux qui s’intéressent au mouvement moderne dans les lettres et dans les arts14.

Per queste differenze di tendenze, modelli e pubblico le nuove “Soirées de Paris” possono essere considerate una pubblicazione distinta dalla precedente, in cui Apollinaire e il titolo restano gli unici legami tra le due serie. Questa trasformazione è legata all’evoluzione di Apollinaire e al ruolo di primo piano che svolge nella rivista.

III. 1. I direttori

Come molte riviste d’avanguardia “Les Soirées de Paris” non dispongono di un vero comitato di redazione e il funzionamento della pubblicazione è assicurato unicamente dai direttori, in primo luogo da Apollinaire, da cui dipendono l’organizzazione dei sommari e la scelta dei testi da pubblicare, e da Jean Cérusse per la parte iconografica.

Le notizie relative ai due cugini prima del loro arrivo a Parigi sono piuttosto incerte. Nel 1913 Serge Jastrebzoff (1881-1958), nome francesizzato del conte Serguei Yastrebzoff, ha 32 anni15. Dopo l’appren-distato alla scuola d’arte di Kiev, agli inizi del Novecento si stabilisce a

14 Catalogue des Soirées de Paris che riporta (notizia 47) un progetto manoscritto di Apollinaire di circolare: “Les Soirées de Paris/ recueil mensuel/ La plus moderne des revues actuelles/ Reproductions des œuvres d’art les plus modernes”. Seguono le indicazioni circa i direttori, Guillaume Apollinaire e Jean Cérusse, la sede della rivista (278 Boulevard Raspail), diffusione e prezzo degli abbonamenti. 15 Serge Férat è anche il modello di Nicolas Varionoff nel romanzo di Apollinaire, La Femme assise.

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Parigi dove studia all’Académie Julian con il pittore accademico Bouguereau, praticando una specie di “retrospectivisme maniéré et d’intimisme décadent”16; nel 1906 espone al Salon des Artistes français con il nome di Serge Jastrebzoff ottendo una menzione onorevole, e con quello di Serge Roudnieff17 agli Indépendants nel 1911. Nel 1910 conosce Picasso che diviene il grande ispiratore della sua pittura: i quadri dipinti come Edouard, poi come Serge Férat18, pseudonimo francese con il quale manifesta la sua piena adesione alla scuola pittorica francese prendendo le distanze dalla sua produzione precedente, si avvicinano al cubismo “analitico” – per riprendere la classificazione proposta da Apollinaire nei Peintres cubistes – sviluppato da Picasso e Braque; nel 1912 partecipa alla fondazione della Section d’or. Protettore e mecenate del Douanier Rousseau19, intimo del condirettore di “Lacerba”, Ardengo Soffici, Serge Férat si propone di difendere le idee e gli interessi dell’arte d’avanguardia con la creazione di una rivista “qu’il voulait d’une seule pièce, neuve et combattive”20. Non è escluso che proprio l’esempio dell’amico italiano e della sua rivista battagliera lo abbia incoraggiato a perseguire con determinazione le sue ambizioni di rinnovamento per “Les Soirées”. Così descrive a Soffici i suoi progetti: “dans chaque NN il y aura de reproductions de tableaux – la dessous je compte jouer un role assez important dans le choix, car Apollinaire a trop de politesse et je n’en ai pas du tout”21. Nella seconda serie si rafforza allora l’importanza della dimensione artistica: numerose riproduzioni in bianco e nero e 16 Cfr. J-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa…”, op. cit., p. 52. 17 Cfr. la nota di Apollinaire, precedente alla sua conoscenza del pittore, il quale attira l’at-tenzione sull’invio di Roudnieff al Salon des Indépendants nel 1911, situandolo accanto ad Archipenko, “en somme, ces artistes ont de la personnalité et leurs recherches sont pénétrantes”, Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 321. 18 Sul debutto di Jastrebzoff con lo pseudonimo di Férat si vedano la cronaca di Apollinaire per l’“Intransigeant” del 28 febbraio 1914: “un nouveau qui ne paraît pas le dernier venu”, ibidem, op. cit., p. 430. 19 Il n. 20 delle “Soirées de Paris”, dedicato al Douanier Rousseau, è una testimonianza dell’amicizia e della stima di Apollinaire e dei cugini russi verso il pittore. 20 Roch Grey, Présence d’Apollinaire, op. cit. 21 Lettera riprodotta in Cavallo, Soffici immagini e documenti, op. cit., p. 182.

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persino a colori illustrano i molteplici sforzi dei pittori per giungere ad una rappresentazione innovativa della realtà.

Hélène d’Oettingen (1887-1950)22 è una figura misteriosa, per le sue origini (nata Miotchinski, la leggenda la vuole figlia illegittima dell’im-peratore Francesco Giusepppe23), la sua vita e la sua personalità tumultuosa. Dopo la separazione dal marito, un nobile baltico, viaggia in Europa e si stabilisce a Parigi dove frequenta l’Académie Julian. Nel corso della burrascosa relazione con Soffici, durata con alterne vicende fino al 1908, si appassiona di letteratura e inizia una poliedrica attività letteraria che si affianca a quella artistica, articolata in diversi pseudonimi. Come prosatore e critico assume quello di Roch Grey, con cui firma nel 1911 i suoi primi contributi, pubblicati grazie a Soffici nella “Voce”24 di Prezzolini e in “Lacerba”25 nel 1913; nella prima serie delle “Soirées de Paris” presenta la prosa lirica “Rafale” (“S.P.” n. 6, luglio 1912), segno di una certa familiarità con Apollinaire26. In poesia si firmava Léonard Pieux e in pittura François Angiboult. Questi pseudonimi, francesi e maschili, intendono suggerire da una parte l’adesione al mondo culturale francese in cui ambisce ad entrare a pieno titolo ed evocare, allo stesso tempo, un’estetica di rottura rispetto allo stile manierato ed elegante che

22 Cfr. J-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa”, op. cit. e Elena Franzevna von Ettingen. “Una signora di balzano ingegno…”, “Resine”, aprile-giugno 2002, pp. 11-20, e A. Albert-Birot, Roch Grey, un témoin de l’Esprit nouveau, op. cit. 23 Cfr. A. Savinio, “La figlia dell’Imperatore”, in Casa la vita, Milano, Bompiani, 1943 (Ia ediz.). 24 I testi apparvero tradotti in italiano; Appendice al Badeker. Milano, “La Voce” 11 gennaio 1911 e Venezia, “La Voce”, 18 luglio 1912. 25 Faits divers, Romance, Elégie, inviati a Soffici nel gennaio 1912 per essere pubblicati nella “Voce” verranno accolti nei fascicoli di “Lacerba” del 15 aprile 1913, del 15 maggio e del 15 luglio 1913 nella versione originale francese. 26 “Apollinaire m’a pris dans un coin et m’a dit que si je veux il va placer ce que je voudrais dans “Les Soirées de Paris”; je lui répondis que peut-être la langue ect. Il m’ a dit qu’en m’entendant parler il est sûr de moi – et voilà ce que je pense: les Soirées je trouve trop petite feuille pour abriter une chose comme “Prélude” par ex., ça n’a ni la sériété obligatoire ni les collaborateurs qui pourraient former un attelage avec moi – qu’en dites vous?”, lettera a Soffici, non datata, citata da J-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa…”, op. cit. 77.

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caratterizzava l’opera di tante scrittrici e artiste contemporanee; in ambito artistico ci si riferirà evidentemente a Marie Laurencin, in quello letterario a Louise Faure-Favier che con lo pseudonimo di Doniazade aveva pubblicato delle conversazioni di tono mondano sulle “Soirées de Paris” gestite da Billy. La baronessa è molto attiva nella rivista anche come animatrice delle riunioni settimanali della redazione che attirano amici, collaboratori, persino abbonati, dove si discutono idee, possibilità, direzioni di ricerca dell’avanguardia e che tendono a creare uno spirito di coesione nel gruppo degli artisti presenti in sommario.

Da questi brevi profili si comprendono le affinità personali oltre che artistiche che possono avere favorito l’intesa tra Apollinaire e i suoi mecenati; stranieri di origine slava come lui, dalla nascita illustre ma misteriosa (soprattutto nel caso della baronessa), viaggiatori cosmopoliti, essi rafforzano le sue ambizioni di innovazione per la rivista e lo incoraggiano nelle sue intenzioni circa l’apertura internazionale della pubblicazione.

III. 1.1 Posizione di Apollinaire

Nel 1913 Apollinaire conosce un prestigio crescente come poeta e critico d’arte. Dopo la pubblicazione di Alcools e dei Peintres cubistes, che gli hanno dato fama e visibilità a livello internazionale, la sua posizione si è rafforzata ulteriormente con la creazione dei suoi ultimi testi poetici che delineano una ricerca sistematica del nuovo sul piano dell’ispirazione e della forma, sconosciuta in precedenza in questa modalità; si apre allora per Apollinaire una intensa stagione di rinnovamento, che sarebbe stata interrotta solo dallo scoppio della guerra.

Per la sua attività letteraria e critica e per le sue relazioni con innovatori quali Barzun, Cendrars, Delaunay, Picabia, Duchamp (questi ultimi i cosiddetti eretici del cubismo per i quali conia il termine di orfismo), Apollinaire è divenuto una figura di riferimento nell’avan-guardia letteraria ed artistica internazionale. Quest’immagine è tanto più prestigiosa in quanto Cendrars, il suo rivale più accreditato, era piuttosto isolato nel circuito letterario e Barzun non aveva ancora realizzato nessun’opera all’altezza delle sue teorizzazioni.

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La concorrenza tra i poeti che per le loro ricerche si situavano nelle posizioni d’avanguardia come i futuristi, Barzun e i drammatisti, Cendrars e in misura minore Beauduin, fondatore del parossismo, e Guilbeaux, capofila del dinamismo, contribuisce a spiegare la vertiginosa acce-larazione dei tentativi che si richiamavano al nuovo. Dalla metà del 1913 allo scoppio della guerra il circuito letterario parigino fu il luogo di una accesa polemica che riguardava la priorità delle realizzazioni sulla simultaneità che, dopo aver preso impulso dalle elaborazioni pittoriche, si era poi estesa anche all’ambito letterario. La ricerca di una forma simultanea, accezione con cui si identificava allora generalmente l’espres-sione della modernità, atta a rendere i vari aspetti del processo percettivo nella sua globalità, si era delineata nel 1912 con le opere pittoriche dei futuristi che rendevano la “simultanéité des états d’âme” e con i “contrastes simultanés” di Delaunay già presentati da Apollinaire nel dicembre 1912 nelle “Soirées de Paris” sotto il titolo di Réalité peinture pure (“S.P.” n. 11). Queste aspirazioni coinvolsero successivamente anche il mondo poetico e furono al centro di ricerche che si proponevano di rivoluzionare l’espressione poetica per renderla conforme alla sensibilità “sintetica” propria della vita moderna. Le tappe principali della produzione poetica di Apollinaire acquistano così pieno significato se inserite in quei dibattiti che trovarono un riferimento fondamentale nelle rinnovate “Soirées de Paris”. A differenza del periodo precedente in cui si era preoccupato soprattutto della perfezione della realizzazione artistica, l’interesse di Apollinaire è rivolto ora all’elaborazione di una nuova estetica poetica. Con Les Fenêtres, il primo dei suoi “poèmes-conversation”, posto in apertura al catalogo della mostra di Delaunay presso la galleria di “Der Sturm” a Berlino e pubblicato in “Poème et Drame” nel gennaio 1913, Apollinaire mostra di essere entrato in un’altra fase del suo percorso, tesa alla realizzazione di una poesia pura, non descrittiva, in consonanza con gli esiti cui era giunto il pittore francese nelle sue creazioni. Arbre (“Le Gay Sçavoir”, marzo 1913), il cui il titolo designa un referente vuoto, come nella pittura moderna27, è costruito su

27 Cfr. Du sujet dans la peinture moderne, “Les peintres nouveaux peignent des tableaux où il n’y a pas de sujet véritable. Et les dénominations que l’on trouve dans les catalogues

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un gioco intertestuale rispetto alla poesia di Cendrars cui è eviden-temente riferito. In Liens (“Montjoie” n. 5, 14 aprile 1913) Apollinaire esprime con lo stile telegrafico, le onomatopee e i giochi di deformazione linguistica propri dell’estetica futurista la necessità dell’associazione con i pochi in grado di comprendere la portata delle sue ricerche, “Nous ne sommes que deux ou trois hommes/ Libres de tous liens/ Donnons-nous la main”. In effetti l’attività di Apollinaire in questa fase sembra essere ispirata, oltre che ad una straordinaria tensione di innovazione, anche ad una costante volontà di confronto e di associazione con quanti, pittori e poeti, potevano essergli compagni nell’esplorazione dei possibili dell’espressione artistica.

La stessa tensione all’aggregazione è all’origine del manifesto del-l’Antitradition futuriste del luglio 1913. L’ideazione e la pubblicazione del manifesto28 si situa nel momento in cui Apollinaire, irritato dal dogmatismo di Barzun e dal suo tentativo evidente di sfruttare a suo vantaggio la fama acquista dall’autore di Alcools e dei Peintres cubistes, si allontana dal movimento drammatista con il quale rompe nel luglio 1913. Delineando un progetto d’intesa con il gruppo italiano che trova espressione concreta nel manifesto, l’unico aspetto della collaborazione tra Apollinaire e il futurismo effettivamente realizzato, il poeta di Alcools intende esprimere tanto la sua volontà di modernità quanto la necessità di sfuggire ai pericoli dell’isolamento. A queste considerazioni possiamo aggiungere anche che la ricezione controversa di Alcools nel circuito letterario francese, con la severa stroncatura di Duhamel sul “Mercure de France”, non era probabilmente del tutto estranea alla sfida lanciata da Apollinaire nel richiamarsi a quelli che venivano considerati gli “enfantillages” di Marinetti29.

jouent désormais le rôle des noms qui désignent les hommes sans les caractériser”, “S.P.”, n. 1, p. 1. 28 La più convincente messa a punto sull’Antitradition futuriste è contenuta nell’intervento di Barbara Meazzi, “Le manifeste de l’Antitradition futuriste: Apollinaire et le Futurisme”, in Guillaume Apollinaire devant les avant-gardes européennes, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 139-166. 29 Per la ricezione del futurismo in Francia si veda La fortuna del futurismo in Francia, Roma, Bulzoni, 1979.

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Apollinaire è attratto e allo stesso tempo respinto da quella che Jannini ha definito “la tentazione futurista”30; il poeta, che padroneggia meglio di chiunque altro i meccanismi di funzionamento del mondo letterario, ne comprende perfettamente l’importanza, soprattutto per la spinta propulsiva che imprime all’avanguardia francese, e i limiti, il divario tra l’enunciato normativo e i suoi esiti effettivi che la sua ultima produzione lirica tende appunto a colmare. Il manifesto è lungi dall’essere un’ade-sione al movimento di Marinetti, come viene interpretata in ambito futurista, o una sua parodia come sostiene Salmon, che lo considera una farsa organizzata proprio a spese dei futuristi, “la plus colossale bouffonnerie du siècle”, come scrive su “Gil Blas”:

Le Futurisme a vécu! C’est M. Guillaume Apollinaire, le poète d’Alcools, le romancier de l’Hérésiarque et Cie, qui lui a porté le coup fatal, en signant le manifeste qu’on va lire. Il fallait trouver ceci: être plus futuriste que Marinetti! M. Guillaume Apollinaire y a réussi, pour notre joie31.

L’Antitradition, esprime soprattutto, come s’è detto, un’esigenza di raggruppamento collettivo, ecumenico (ce moteur à toutes tendances) che, al di là delle distinzioni di gruppi e tendenze – quelle più significative dalla fine del secolo precedente: impressionnisme, fauvisme, cubisme, expressionisme, pathétisme, dramatisme, orphisme, paroxysme –, doveva unire in una sintesi gli sforzi degli innovatori32. Il manifesto è segnalato anche all’estero33, tanto che vanterà anche un’imitazione inglese nel giugno 1914 nel primo numero della rivista vorticista “The Blast” ed accresce la sua fama, oltre a quella dei futuristi che, grazie ad Apollinare, ottengono una straordinaria

30 P.A. Jannini, Le avanguardie letterarie nell’idea critica di Guillaume Apollinaire, Roma, Bulzoni, 1971, pp. 125-185. 31 A. Salmon, La fin du futurisme, “Gil Blas”, 3 agosto 1913. 32 Cfr. la lettera a Soffici recante il timbro postale del 23 luglio 1913 in Guillaume Apollinaire, 202 Bd Saint-Germain, Paris, vol. I, a cura di L. Bonato, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 70-71. 33 “M. G. Apollinaire, the author of Alcools and the defender of the cubists, signs the last manifesto, L’Antitradition futuriste”, F.S. Flint, French Chronicle, “Poetry and Drama”, settembre 1913.

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visibilità34; tuttavia viene generalmente accolto con ironia, se non con sconcerto e irritazione nel mondo artistico francese, dagli oppositori del futurismo come Delaunay, che lo interpretano come un tradimento della causa dell’avanguardia francese, a Barzun che vi vede il tentativo di appropriarsi delle ricerche collettive a tutto vantaggio della sua posizione personale. Così, nonostante il suo intento associativo Apollinaire finisce per ritrovarsi ancora più isolato nel circuito dell’avanguardia francese che gli attribuisce una volontà egemonica su gli orientamenti artistici che si richiamano alla modernità.

La spinta all’aggregazione degli innovatori al di sopra delle parti, dei movimenti, delle scuole, è l’esigenza fondamentale che presiede alla rifondazione delle “Soirées de Paris” e presiederà anche alle sue scelte come direttore di una rivista che si vuole il catalizzatore di tutti gli sforzi più interessanti di elaborazione del nuovo in arte e in letteratura.

III. 2. I principali collaboratori

Il credito di cui gode presso i suoi mecenati, che non sono solo finanziatori generosi ma anche degli artisti, convinti della sua grandezza, e la loro marginalità nel circuito letterario permette ad Apollinaire di dirigere la rivista con grande libertà; probabilmente la preparazione dei numeri ricade esclusivamente su di lui35 – come suggerirebbe il fatto che la grafia di Apollinaire è l’unica che si trova sulle bozze dei fascicoli pronti per la tipografia –, così come il reclutamento dei collaboratori che avviene nella cerchia delle sue relazioni personali o tra gli artisti vicini ai suoi orientamenti. Le riunioni dei direttori attirano un gruppo di amici di Apollinaire e dei mecenati, letterati ed artisti che assicurano la maggior parte delle collaborazioni alla rivista.

34 Nel settembre del 1913 la rivista inglese “Poetry and Drama” dedica il n. 3 al futurismo inteso come un impulso vitalistica dell’espressione artistica. 35 Cfr. la testimonianza della baronessa: “régulièrement il composait le numéro chez lui. Avant de livrer les manuscrits à l’imprimeur, il les portait dans l’atelier de Serge Férat, au 228, boulevard Raspail, où quelquefois éclataient des discussions orageuses qui duraient des nuits entières […]”, Présence d’Apollinaire, op. cit.

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All’interno del gruppo delle “Soirées” è opportuno distinguere i membri più assidui, legati al direttore da strette relazioni personali e da affinità artistiche, dall’insieme degli altri collaboratori, reclutati gene-ralmente tra gli esponenti di spicco dell’avanguardia francese e inter-nazionale.

Dopo Apollinaire e Hélène d’Œttingen sotto i suoi vari pseudonimi (Roch Grey, Léonard Pieux, talvolta Jean Cérusse), le firme più frequenti di questa seconda serie sono Maurice Raynal e Max Jacob, che ricorrono in quasi tutti i nove numeri della seconda serie della rivista; per la loro posizione nel mondo artistico e letterario dell’epoca e la loro relativa assiduità nella rivista essi contribuiscono in modo particolarmente significativo alla definizione della linea editoriale della pubblicazione.

Maurice Raynal (1885-1954) appartiene alla vasta cerchia delle relazioni letterarie di Apollinaire che conosce alle serate della “Plume” agli inizi del secolo e ritroverà al Bateau-Lavoir insieme a Salmon e Max Jacob negli anni del nascita del cubismo. Dopo aver collaborato bre-vemente con Paul Fort alla fondazione di “Vers et Prose” nel 1905, si avvicina al gruppo dell’Abbaye, anche se il suo principale riferimento letterario resta quello di Jarry, del quale ama riproporre l’“humour noir” e gli atteggiamenti sconcertanti. Dopo alcuni tentativi letterari mancati Raynal conosce una certa fama come moralista dissacrante dei costumi della buona società36 e trova infine la sua strada come critico d’arte votato alla difesa dei suoi amici cubisti. Nel 1912 partecipa con Apollinaire alla redazione del Bulletin de la section d’or, collabora episodicamente a “Comoedia illustré” e a “Montjoie!”37, dove nel gennaio 1914 pub-

36 Su Maurice Raynal si veda la nota pubblicata da Apollinaire su “L’Intransigeant” del 12 luglio 1911: “Maurice Raynal, qui fut un des amis de Jarry et dont les soirées un temps furent célèbres sur la Rive gauche, va sortir d’un long silence et se prépare à publier un ouvrage curieux e dont voici le titre long mais suggestif: Manuel du parfait homme d’esprit en vingt-cinq théorèmes et propositions, suivis d’exemples. Ouvrage propre à inspirer aux gens de lettres et du monde le désir et les moyens de briller dans l’art de la conversation et celui des belles-lettres. L’épigraphe de ce livre est une trouvaille: ‘L’esprit est une science et non pas un art’”. In effetti in questa fase Raynal non pubblica opere ad eccezione del Manuel, un opuscolo derivato da una serie di conferenze pronunciate nei salotti parigini, riprodotto parzialmente nelle “S.P.” n. 17, e L’art d’être un imbécile, “S.P.” n. 21. 37 Puvis de Chavannes, “Montjoie!” n. 3, 14 marzo 1913.

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blicherà una recensione ambigua ai Peintres cubistes di Apollinaire38. Apollinaire gli affida la redazione della prima cronaca regolare mai consacrata al cinema in una pubblicazione letteraria, legittimando in questo modo le possibilità estetiche di questo nuovo mezzo espressivo.

Anche Max Jacob (1876-1944), intimo di Apollinaire, è un membro attivo, anche se meno regolare all’interno della rivista, presente su sei dei nove numeri della seconda serie. Nato a Quimper da una facoltosa famiglia ebrea giunge a Parigi agli inizi del secolo per coltivare la sua vocazione poetica e artistica39. Poeta e pittore, condivide con Picasso, cui vota un vero culto affettivo e artistico, Apollinaire e Salmon la stagione eroica del Bateau-Lavoir40 e della nascita del cubismo. Ancora poco conosciuto al mondo letterario dell’epoca – è uno dei pochi a non collaborare né a giornali né a riviste –, il suo percorso si svolge lontano dai circuiti letterari tradizionali, al chiuso del Bateau-Lavoir dove conduce esperienze poetiche indipendenti. Negli ultimi anni tuttavia acquisisce un certo riconoscimento con la pubblicazione delle sue opere41: nel 1911 il Saint Matorel, un’autobiografia in poesia e in prosa, pubblicata da Kahnweiler in edizione di lusso illustrata dalle acqueforti cubiste di Picasso, e La Côte, recueil de chants celtiques anciens inédits, pub-blicata a spese d’autore, cui si aggiungono nel 1912 Les Œuvres burlesques et mystiques de Frère Matorel, mort au couvent de Barcelone illustrate da Derain, sempre per Kahnweiler. Nel 1913 inizia a collaborare anche a riviste come “Lacerba”42, “La Phalange” di Royère e “Montjoie!” per non

38 La recensione di Raynal è all’origine del pregiudizio che nega al poeta Apollinaire l’au-tentica comprensione della pittura: “En général, les vrais poètes ne comprennent rien mais ressentent tout. Aussi Guillaume Apollinaire, sorte de sensualiste mystique, ne comprend pas la peinture, mais la perçoit, l’éprouve”, Arts Plastiques, “Montjoie!” nn. 1-2, gennaio-febbraio 1914, citato in G. Apollinaire, Les Peintres cubistes, op. cit., p. 166. 39 Su questo aspetto si veda il racconto presentato nelle “Soirées” n. 25, Surpris et Charme, infra. 40 Cfr. in particolare la sua Chronique des temps héroïques, s.l. [Paris], Louis Broder, s.d. [1956]. 41 Nella sua stroncatura di Alcools Georges Duhamel aveva accusato Apollinaire di avere imitato tra gli altri anche Max Jacob. 42 Cfr. J.-F. Rodriguez, Presenza di Max Jacob in Italia, Padova, Cleup, 1996.

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essere escluso dalla competizione letteraria in un momento cruciale della vita dell’avanguardia. La sua presenza rafforza la posizione letteraria della rivista con la sua produzione, poesie e poèmes en prose, che rinnovano il lirismo ereditato dalla tradizione nel tono del burlesco e del “cocasse”.

Intorno alle “Soirées de Paris” si ricostituisce così in parte il gruppo della rue Ravignan, con la rivista che come prima il Bateau-Lavoir funge da luogo di aggregazione ed elaborazione creativa per poeti – Apollinaire, Max Jacob, in seguito Cendrars – , ed artisti, mentre la defezione di Salmon viene compensata dalla presenza di Raynal, che era stato anch’egli un fedele del Bateau-Lavoir e che ora andava distinguendosi come critico dell’arte contemporanea. Si tratta di un gruppo di scrittori ed artisti uniti dall’amore per il nuovo, dall’opposizione ai modelli convenzionali, al “buon gusto” e alla misura in auge presso riviste come la “N.R.F”. Si può affermare allora che il circuito dei poeti e artisti sorto dal Bateau-Lavoir, legato da tendenze artistiche, progetti e gusti comuni, aveva modo infine di esprimersi con le “Soirées de Paris” in una pubblicazione comune. Intorno alla posizione dominante di Apollinaire in poesia e nella critica d’arte si crea un’affinità e un accordo tra i collaboratori, quello che si definisce normalmente lo “spirito” di una rivista, che co-stituisce l’originalità delle “Soirées” rispetto alle pubblicazioni con-correnti.

I direttori sono assistiti nella gestione pratica da Jean Mollet43, amico e segretario di Apollinaire, che figura come gerente della rivista, compito che aveva precedentemente svolto per il “Festin d’Esope”. Egli si occupa soprattutto dei rapporti con il tipografo e della distribuzione presso i librai, riluttanti ad accettare una rivista così audace, nei testi e nelle illustrazioni, per l’epoca.

La nuova redazione delle “Soirées de Paris” gode così del prestigio, delle buone relazioni indispensabili e dei mezzi a fare della rivista il punto di riferimento dell’avanguardia letteraria e artistica internazionale. A differenza della prima équipe, questo nuovo gruppo è legato da ideali

43 Per i ricordi di Mollet su Apollinaire e la rivista rimandiamo a J. Mollet, Soirées de Paris et Ballets russes avec G. Apollinaire, “Lettres françaises”, 11 novembre 1948; Mémoires, Paris, Gallimard, 1963.

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artistici e letterari comuni e si presenta come un fronte unito dominato dalla figura di Apollinaire.

III. 3. Ruolo dei direttori nella pubblicazione

Grazie alla familiarità con i suoi mecenati e al loro sostegno, Apollinaire dispone infine di una rivista in cui può esercitare con la massima libertà i suoi molteplici talenti nei ruoli di direttore, poeta, critico d’arte. Per la sua polivalenza, la capacità di cogliere le compenetrazioni tra le diverse forme artistiche e le sue relazioni con l’avanguardia internazionale, Apollinaire sta divenendo “la pierre de touche de toute une convergence artistique et esthétique”44 che troverà orientamento nelle nuove “Soirées de Paris”.

In qualità di direttore Apollinaire interviene con autorità sulle questioni di attualità letteraria e artistica45 e si sforza di precisare e di mettere in valore la sua posizione, come nelle note Nos amis les futuristes e Simultanisme-Librettisme che si richiamano esplicitamente alla polemica sulla simultaneità46. Come critico d’arte commenta le principali mani-festazioni artistiche, promuove iniziative in favore delle nuove espres-sioni artistiche47 e consacra la fama di artisti ancora discussi come Archipenko, sottolineando l’apparizione di nuovi talenti in Francia (De Chirico, la Gontcharova e Larionov, Survage, Savinio) o all’estero (Loos, Kokoschka, Kandinski). Tuttavia la critica d’arte che nella prima serie era, come abbiamo visto, l’aspetto più audace della sua produzione presenta ora una rilevanza diversa nella strategia di Apollinaire, che negli ultimi numeri delle “Soirées” delega gli stessi artisti come Léger (Les 44 Anna Saint-Léger Lucas, “La polyvalence d’Apollinaire”, in Apollinaire devant les avant-gardes européennes, op. cit., p. 19. 45 Cfr. La Chronique mensuelle che apre il primo numero in cui Apollinaire si esprime sulle principali manifestazioni artistiche e letterarie del momento; l’intervento sulla rappre-sentazione dell’Otage di Claudel al Vieux Colombier (“S.P.” n. 22), vedi infra. 46 Nos amis les futuristes, “S.P.” n. 21, sulla tecnica delle parole in libertà e Simultanisme-Librettisme, “S.P.” n. 25, un intervento sulla querelle della simultaneità che lo opponeva a Barzun. 47 La Chronique mensuelle e Le Salon d’Automne (“S.P.” n. 18), Le Salon d’Automne suite (“S.P.” n. 19), Le 30e Salon des Indépendants (“S.P.” n. 22).

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réalisations picturales actuelles, “S.P.” n. 25) e Survage (Le Rythme coloré, “S.P.” n. 26-27) ad illustrare il dibattito sulle nuove tendenze artistiche. Preparata accuratamente dall’esperienza delle ricerche artistiche, la poesia di Apollinaire, rappresentata quasi integralmente nelle “Soirées de Paris”, sembra costituire il suo principale interesse in questa fase intorno al quale si giustifica e si orienta tutta la sua attività nella rivista48. Si può pensare che la concorrenza all’interno dell’avanguardia per giungere a delle forme concrete di simultaneità letteraria non sia estranea a questa tensione creativa, tanto più che la preminenza acquisita da Apollinaire grazie ad Alcools e alle sue nuove composizioni era contestata polemicamente da Barzun. Sul piano degli esiti più propriamente poetici il ruolo avanzato di Apollinaire è invece messo in discussione da Cendrars che nell’ottobre 1913 aveva realizzato La Prose du Transsibérien in collaborazione con Sonia Delaunay. “Le premier livre simultané”, come lo definiscono gli autori, che integra in un’unica superficie parole e immagini, si configura come un tentativo per superare le convenzioni tipografiche ricreando l’unità “simultanea” dell’esperienza percettiva, secondo una modalità che si vuole profondamente innovativa rispetto alle realizzazioni di Marinetti, Barzun e dello stesso Apollinaire:

le simultanisme de ce livre est dans sa présentation simultanée et non illustrative. Les constrastes simultanés des couleurs et le texte forment des profondeurs et des mouvements qui sont l’inspiration nouvelle.49

In questo senso si comprende e si giustifica l’attenzione privilegiata che Apollinaire riserva alla poesia in questa fase del suo percorso.

Non è sempre agevole stabilire l’esatta attribuzione dei testi firmati Jean Cérusse nella rivista. In assenza di testimonianze precise è possibile ipotizzare, a partire da alcune considerazioni di ordine stilistico e 48 Apollinaire riserva alla rivista tutte le poesie nuove che compone a quest’epoca, ad eccezione di Un fantôme des nuées pubblicato nel primo numero degli “Ecrits français” (dicembre 1913), diretto dai suoi amici Marc Brésil e Louis de Gonzague Frick che gli erano stati particolarmente vicini nel momento della rottura con Marie Laurencin. 49 Si tratta di una lettera datata 12 ottobre 1913, depositata presso la Biblioteca nazionale di Berna, che Cendrars e Sonia Delaunay inviarono a Salmon a seguito di un suo articolo pubblicato sul “Gil Blas” dell’11 ottobre 1913, in cui gli autori sottolineano l’originalità della Prose du Transsibérien rispetto alle creazioni di Apollinaire, Marinetti, Barzun.

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tematico, che lo pseudonimo sia stato talvolta utilizzato dalla baronne, in accordo con Serge Férat e Apollinaire – è il caso dell’Avertissement del primo numero della nuova serie –, e dallo stesso Apollinaire quando si trattava di questioni nelle quali, essendo implicato personalmente, non voleva intervenire troppo direttamente. A titolo esemplificativo pos-siamo attribuire a buon diritto ad Apollinaire la nota Surnaturalisme (“S.P.” n. 24), firmata J. Cérusse, che apporta dei chiarimenti sulla sua poesia, qualificata talvolta come “fantaisiste”, secondo una precisa strategia di annessione messa in atto da Carco e dal suo gruppo nei confronti di poeti come Apollinaire, Max Jacob, Salmon50. La sigla J.C. (Jean Cérusse) ricorre anche nella presentazione dell’opera di Alberto Savinio51 (“S.P.” nn. 25 e 26-27), che nella sede della redazione delle “Soirées” aveva presentato un’audizione delle proprie composizioni, e nella nota Futurisme (“S.P.” n. 25), che possiamo attribuire ad Apollinaire o almeno ricondurre ad una sua supervisione.

Hélène d’Œttingen è praticamente un’esordiente nel mondo letterario francese, tanto più che le sue prime collaborazioni a riviste come la “Voce”, “Lacerba” e la prima serie delle “Soirées de Paris” erano dovute soprattutto alle sue relazioni personali con Soffici e Apollinaire; si comprende che svolga un ruolo di secondo piano negli orientamenti della rivista, sebbene disponga di ampio spazio per presentare le sue poesie e le sue prose. I suoi pochi inteventi critici costituiscono un’esten-sione della posizione di Apollinaire: così Avertissement, pubblicato nel primo numero della nuova serie a firma Jean Cérusse, che funge da presentazione e da istruzione per l’uso della rivista, e la stroncatura di Eve di Péguy (“S.P.” n. 21) a firma R.G. (Roch Grey) che esprime la stessa incomprensione che Apollinaire aveva sempre manifestato per l’opera del direttore dei “Cahiers de la Quinzaine”.

Sebbene la partecipazione di Serge Férat alle “Soirées” sia alquanto discreta – non pubblica articoli, il suo nome è citato raramente e i contributi firmati J. Cérusse sono da attribuire alla cugina o ad

50 Per questo aspetto vedi infra. 51 L’audition des œuvres musicales de M. Albert Savinio, “S.P.” n. 25 e Alberto Savinio et la nouveauté en musique, nn. 26-27.

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Apollinaire stesso – la sua presenza sembra essere stata più determinante di quanto non appaia immediatamente, svolgendo un ruolo di orientamento e ispirazione e incoraggiando il dibattito estetico. Grazie a Férat si spiega allora l’importanza della dimensione artistica nella seconda serie: oltre alla critica d’arte la rivista presenta un nutrito apparato iconografico in bianco e nero e, assoluta novità per l’epoca, a colori, composto da quelle che sono ora considerate le opere di riferimento della pittura moderna, e ne costituisce uno dei principali motivi di interesse.

I principali collaboratori, Raynal e Max Jacob, occupano una posizione subordinata rispetto ai direttori; sono liberi di pubblicare i loro contributi ma non hanno un vero potere decisionale all’interno della rivista, anche se non si deve sottovalutare il loro apporto e quello degli altri collaboratori nella definizione della linea editoriale. Di fatto, Apollinaire esercita una tale dominazione sulla pubblicazione che non sorprende che la rubrica cinematografica firmata da Raynal, una delle sezioni più originali della rivista, fosse, in realtà redatta talvolta dal poeta stesso, come dimostra la scrittura sulle bozze composte tipograficamente52.

Alla luce di queste considerazioni ci sembra dunque giustificato affermare che le rinnovate “Soirées de Paris” sono “la rivista di Apollinaire”, un’emanazione delle sue idee e uno strumento fondamentale nella competizione all’interno dell’avanguardia.

III. 4. Strategia della rivista

Rilanciate nel novembre 1913, “Les Soirées de Paris” sono l’ultima rivista a fare il loro ingresso nello spazio circoscritto e sovraffollato delle pubblicazioni che si richiamano all’avanguardia, così che per imporsi devono necessariamente superare in audacia, novità e originalità le riviste già esistenti; in particolare “Poème et Drame”, fondata nel novembre 1912, e “Montjoie!” fondata nel febbraio 1913. Nell’aprile 1913 Beaduin, inoltre, chiude “Les Rubriques nouvelles”, pubblicazione piuttosto moderata, per fondare con intenti più esplicitamente modernisti “La Vie des Lettres”, “collection anthologique et critique de poèmes et de

52 Ringraziamo Pierre Caizergues per averci comunicato questa informazione.

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proses” che intende opporsi all’influenza dogmatica di Romains e Barzun, bersagli dei suoi attacchi polemici, con il vigore delle sue realizzazioni creative.

“Poème et Drame” è una rivista soprattutto letteraria, che nella prima fase della sua esistenza si proponeva di essere il punto di riferimento delle diverse correnti della modernità letteraria53, stimolando il dibattito teorico e le realizzazioni poetiche ispirate al simultaneismo; oltre ai poeti drammatisti come Voirol, Divoire, lo stesso Barzun, accoglie nei suoi sommari anche gli unanimisti, poeti indipendenti e i futuristi; Martinetti vi pubblica tra gli altri le prime parole in libertà. Dal maggio 1913, nel momento in cui si inasprisce il confronto letterario sulle problematiche simultaneiste si osserva un irrigidimento teorico in “Poème et Drame”, diventata Anthologie internationale de la Poétique des Arts et des Idées modernes (vi si formalizza tra l’altro l’Esthétique dramatique), che la conduce ad una chiusura progressiva verso le altre tendenze della poesia moderna; nel luglio la rivista si proclama Atlas international des arts modernes e rompe con Apollinaire e con buona parte del mondo letterario contemporaneo.

Rivista di estetica letteraria, teatrale, musicale e delle arti plastiche, “Montjoie!”si sforza di sintetizzare i molteplici aspetti dell’estetica contemporanea, in particolare nella musica, nel teatro, nell’arte, incoraggiando soprattutto il dibattito critico e teorico sulle opere. La sua esistenza si svolge per dodici numeri nel 1913 e sei nel 1914, con una periodicità quindicinale abbandonata dopo l’ottavo numero in favore di una nuova formula: fascicoli speciali dedicati ai principali avvenimenti artistici, di volta in volta uno speciale consacrato ai Salons, alla danza contemporanea, alla crisi del teatro francese, alle arti applicate, toccando i vari settori dell’estetica contemporanea. Accanto a questi aspetti inno-vativi bisogna evocare, allo stesso tempo, la questione del nazionalismo brandito dalla rivista fin dal sottotitolo, Organe de l’impérialisme artistique français. “Montjoie!” si definisce infatti per una posizione singolare che coniuga la difesa delle sperimentazioni avanguardistiche con il nazio-nalismo “pan-latino” di cui considera la Francia l’elemento predo-minante54. Così accanto alle sperimentazioni artistiche la rivista si allinea 53 “Poème et Drame” n. 1, novembre 1912, p. 11. 54 H. Clouard, La Discipline Française, “Montjoie!” n. 3, 14 marzo 1913.

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alla campagna per la “renaissance classique”, tanto che “L’Action française” tende a considerarla una emanazione della propria dottrina.

Sul piano internazionale le riviste d’avanguardia con le quali “Les Soirées” dovevano confrontarsi erano “Der Sturm” e “Lacerba”; la prima, fondata nel 1910, aveva un orientamento prevalentemente artistico e si declinava anche in una galleria e in una casa editrice, mentre la seconda si voleva un’impresa della libertà intellettuale a tutto tondo, filosofica e politica oltre che artistica; pur attenendosi all’indipendenza assoluta reclamata dai direttori, dalla primavera del 1913 era diventata di fatto la voce del movimento futurista che invade le pagine del foglio fiorentino con i suoi manifesti e le sue creazioni sperimentali. È questo il circuito delle riviste che contribuiscono a definire gli orientamenti dell’avanguardia nazionale e internazionale, un sistema relazionale la cui esistenza e la cui effetti sono testimoniati dalla formazione di un insieme di riferimenti condivisi: problematiche, parole d’ordine, concetti, risorse. La diversità culturale e linguistica vi favorisce l’invenzione, promuo-vendo l’ibridazione, la contaminazione e dunque la messa in discussione dei canoni nazionali. All’interno di quella che potremmo definire una rete avanguardistica in via di definizione “Poetry and Drama”, la rivista inglese edita da Monro, svolge un ruolo minore, in quanto “beaucoup plus avancée dans ses critiques que dans ses poèmes”55, essa rappresenta più un osservatorio privilegiato che un laboratorio di elaborazione dei nuovi valori letterari.

Non ci sembra azzardato avanzare che il progetto concepito da Apollinaire per “Les Soirées de Paris” si proponga di riunire in un’unica pubblicazione i diversi modelli già presenti nello spazio delle riviste d’avanguardia, tanto più che il poeta di Alcools vi aveva partecipato direttamente. Più artistiche di “Poème et Drame”, in nome dell’unità delle arti che era una delle preoccupazioni principali dell’avanguardia, più letterarie di “Montjoie!”, “Les Soirées” cumulano le esperienze e i possibili esplorati dalle altre pubblicazioni e concentrano tutti i loro sforzi sul piano della creazione, poetica e artistica, che costituisce la vera specificità della rivista di Apollinaire rispetto alle sue concorrenti

55 H. Holley, Notes anglaises, “S.P.” n. 19, p. 4.

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nazionali e internazionali, in cui abbondano invece generalmente proclami, manifesti, dichiarazioni teoriche e programmatiche56. Come è noto, Apollinaire rimprovera ai futuristi e ad altri artisti d’avanguardia come i drammatisti di produrre “plus de discours tapageurs que d’œuvres vraiment novatrices” e le nuove “Soirées” rispondono concretamente a questa esigenza. A differenza di “Poème et Drame”, della “Vie des Lettres” di Beauduin, di “Lacerba”, della stessa “Montjoie”, il cui fondatore lancia nel gennaio 1914 il manifesto dell’Art cérébriste, “Les Soirées de Paris” non sono l’organo di nessun movimento, come il loro direttore che coordina intorno al nuovo una gamma di possibili, e la rivista può sperare di diventare un punto di collegamento tra le varie avanguardie accogliendo tutti gli scrittori indipendenti che intendono collaborare all’elaborazione dei valori della modernità.

Secondo gli auspici dei mecenati ampio spazio era riservato alle arti plastiche, pittura e scultura – con la riproduzione in bianco e nero o a colori delle opere più significative, accompagnate talvolta dagli interventi critici degli autori57 – e, in parte, alla produzione musicale contem-poranea. La parte letteraria doveva rappresentare le molteplici ricerche dell’avanguardia soprattutto in poesia, in misura minore nella prosa e nel teatro, tese a realizzare una nuova estetica letteraria. Questo partito preso di novità che si estende a tutti i fronti della ricerca artistica definisce la linea della rivista, tanto nella scelta dei collaboratori che nella linea editoriale.

Un altro aspetto di cui tener conto nella definizione della rivista è la sua strategia di apertura internazionale, che risulta certamente più chiara in riferimento alle dinamiche che definiscono lo spazio delle riviste in

56 Così, non è un caso che il primo numero delle “Soirées” non contenga le usuali dichiarazioni programmatiche che accompagnano il lancio di una nuova rivista; nell’aprile 1914 Apollinaire rifiuta di pubblicare un articolo del direttore di “Der Sturm”, Walden, perché troppo simile a un manifesto e in una missiva del 18 maggio 1914 Apollinaire invita Walden a collaborare alle “Soirées”, “aber keine deklaration”, “ma niente dichiarazioni”, citato in Corrispondance Guillaume Apollinaire-Herwarth Walden, a cura di Ph. Rehage, Caen, Lettres Modernes Minard, 2007, pp. 78-79. 57 Les réalisations picturales actuelles di Léger, “S.P.” n. 25, e Le rythme coloré di Survage, “S.P.” nn. 26-27. Vedi Appendice.

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questo periodo. Dall’analisi del circuito delle riviste francesi d’avan-guardia tra il 1912 e il 1914 – ci riferiamo in particolare alle pubblicazioni citate in precedenza, “Poème et Drame”, “Montjoie!”, “La Vie des Lettres” – si constata una attenzione crescente all’internazionale, divenuto un indice valorizzante su cui misurare l’affermazione e la diffusione di una tendenza letteraria. Questa apertura internazionale funziona generalmente come strategia di rinforzo e di espansione rispetto alla posizione occupata nel campo nazionale, una sorta di conquista di un nuovo territorio, un atout utilizzato come ulteriore strumento di legittimazione nella competizione esasperata che oppone i produttori d’avanguardia. All’imperativo assoluto della ricerca del nuovo si viene ora ad affiancare la necessità altrettanto perentoria di una proiezione internazionale che è una delle modalità più usate per innovare e allo stesso tempo per rafforzarsi agli occhi del mondo letterario. Già nel 1912 Vildrac, membro del gruppo unanimista, e i futuristi intraprendono delle tournée promozionali di conferenze in Inghilterra, mentre Barzun e Beauduin tentano a loro volta di legittimare i loro movimenti mostrandone l’espansione e il riconoscimento ottenuti all’estero. È significativo notare infatti che alla fase di irrigidimento ideologico di “Poème et Drame” seguita alla rottura con Apollinaire si accompagna uno sforzo di internazionalizzazione della rivista, esplicitato nella scelta del sottotitolo: Anthologie internationale de la poétique des Arts et des Idées modernes e nella moltiplicazione dei luoghi di edizione, ove Londra e Bruxelles affiancano Parigi58. Così nel numero di settembre 1913 “Poème et Drame” rende conto del movimento imagista inglese, presentandolo come una pro-paggine estera del drammatismo, unico legittimo depositario del simul-taneismo poetico, cioè della modernità. A sua volta anche la rivista di Beauduin si premura di registrare il successo all’estero, e specialmente in Inghilterra, del parossismo di cui “Poetry and Drama”, la rivista letteraria inglese più attenta alle nuove tendenze, offre un resoconto aggiornato nella French Chronicle di F.S. Flint nel numero di aprile 1913.

58 Il sottotitolo che richiama eccessivamente nella modalità antologica l’esperienza di “Vers et Prose” viene nuovamente modificato nel luglio 1913 in Atlas international des arts modernes.

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Se l’attenzione alla dimensione internazionale è un aspetto di cui tener conto nell’analisi delle problematiche concernenti le riviste di questo periodo essa diviene un aspetto costituivo, invece, di pubblicazioni come “Montjoie!” e “Les Soirées de Paris”, che per il profilo dei direttori e dei collaboratori definiscono il loro progetto in una prospettiva di apertura internazionale.

III. 5. Un lento processo di elaborazione della modernità: i primi

numeri della rivista

Le intenzioni della direzione si manifestano sin dal debutto della rivista, lanciata il 14 novembre 1913 in occasione dell’inaugurazione del Salon d’Automne. La rivista non presenta, come abbiamo detto, un programma vero e proprio ma si apre, eccezionalmente, su un manifesto artistico rivoluzionario, la prima delle cinque Nature Morte di Picasso, al quale viene dedicata tutta la sezione iconografica del primo numero, un papier-collé che integra nella superficie pittorica brandelli di reale (compreso un frammento “autoreferenziale” del titolo della rivista in cui appare), cifre, lettere e altro materiale eterogeneo; ad esso fanno seguito delle costruzioni cubiste polimateriche, ora quasi del tutto perdute, per le quali la rivista costituisce una delle pochissime documentazioni fotografiche esistenti59. Nella discontinuità della rivista questa scelta costituisce una sorta di continuità con il primo numero della serie precedente che si era aperta con le riflessioni estiche di Apollinaire sulla pittura moderna, Du sujet dans la peinture moderne.

In questo primo numero Apollinaire mostra la sua capacità di padroneggiare il funzionamento dello spazio letterario nazionale e internazionale, prendendo posizione sugli avvenimenti culturali rilevanti in Francia e all’estero, valorizzando il proprio ruolo di promotore del movimento artistico60 e delle nuove tendenze come l’orphisme, di talenti 59 A. Parigoris, Les constructions cubistes dans“Les Soirées de Paris”, Apollinaire, Picasso et les clichés Kahnweiler, “Revue de l’art”, n. 82, 1988, pp. 61-74. 60 “L’idée due à l’auteur [Apollinaire stesso] avait été communiquée à Delaunay, Gleizes, Léger, Duchamp-Villon, Marcel Duchamp, quelques mois avant l’exposition de Boccioni. Il s’agissait d’organiser une exposition de sculptures nouvelles avant tout le monde, l’auteur est heureux que quelqu’un l’ait enfin compris”, Chronique mensuelle, p. 2.

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ancora poco noti in Francia (per esempio Kandinski e De Chirico i cui “paysages métaphysiques” erano generalmente scambiati per fondi teatrali).

La dimensione internazionale e avanguardistica della rivista è subito suggerita dall’apertura della Chronique mensuelle di Apollinaire sull’Herbstsalon di Berlino organizzato da “Der Sturm”, la rivista diretta da Walden di cui era un collaboratore, e nell’evocazione della vasta rete relazionale al centro della quale si situa la rivista grazie al suo direttore (“nous recevons de Berlin la lettre suivante”, “on nous écrit de Vienne”). Questa apertura internazionale non esclude allo stesso tempo la visione centripeta61 che fa di Parigi la capitale della nuova pittura e dell’orphisme – termine coniato da Apollinaire per designare il “cubismo eretico”62 di Delaunay, Picabia, Duchamp – la sintesi degli sforzi di rinnovamento del movimento artistico europeo. Nell’articolo sul Salon d’Automne Apollinaire può soffermarsi più liberamente sugli artisti di quanto non possa fare nella sua rubrica dell’“Intransigeant” e illustrarne gli apporti principali: Matisse soprattutto, che con la sua arte edonista e anti-realistica legittima la “sainte et admirable ivresse de la couleur” dei pittori orfici, il cubismo severo di Gleizes o delicato di Metzinger, la forza delle realizzazioni di Picabia, incoraggiando i progressi, distinguendo tendenze e filiazioni63.

Privilegiando nella rivista la prospettiva artistica e internazionale Apollinaire non intendeva tuttavia trascurare il “fronte interno” che costituisce una componente non meno essenziale nella strategia di affermazione della sua pubblicazione. Così Apollinaire non manca di prendere posizione contro il Théâtre du Vieux Colombier di Copeau64, una

61 Per questo aspetto rimandiamo al § Il faut être absolument moderne. 62 Cfr. M.G. Messina-Y. Nigro Covre, Il cubismo dei cubisti, Roma, Officina Edizioni, 1986. 63 Cfr. N. Blumenkranz-Onimus, Apollinaire et l’avant-garde internationale, “Que-vlo-ve?”. 21-22, luglio-ottobre 1979, p. 17. 64 Critico d’arte e drammaturgico, Copeau era uno dei redattori della “N.R.F.”; nel 1913 decise di fondare il Théâtre du Vieux Colombier contro l’“industrialisation effrenée qui, de jour en jour, cyniquement dégrade notre scène française et détourne d’elle le public cultivé”, J. Copeau, Un essai de rénovation dramatique. Le Théâtre du Vieux Colombier, 1913; l’impresa del Vieux Colombier si situa sotto l’egida di Molière, di cui il 23 ottobre 1913 viene rappresentato L’amour médecin.

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diretta emanazione della “N.R.F.”, per la prudenza e la moderazione di questo progetto teatrale attento a non scioccare il buon gusto del pubblico, cui contrappone invece l’audacia del manifesto del Music-hall di Martinetti, pubblicato nel settembre 191365, “où les acteurs ne seraient qu’acrobates, clowns et danceurs, tandis que les spectateurs s’y démèneraient, y crieraient, jouant chacun un rôle improvisé à l’instar de la Commedia dell’arte”. Non si tratta solo di sottolineare fin dall’inizio la posizione avanzata della rivista che fa della “nouveauté” e della lotta al buon gusto uno degli aspetti costitutivi del suo programma implicito ma anche di una reazione al dispositivo multiposizionale (rivista, casa editrice, teatro) con il quale la “N.R.F.” tenta di dominare la vita culturale francese.

La baronessa di Œttingen si assume il compito di illustrare più esplicitamente le intenzioni della direzione nell’Avertissement firmato J. Cérusse in cui, con stile enfatico e oratorio, esprime una generale aspi-razione al nuovo e al “modernisme” che doveva caratterizzare “Les Soirées” nella loro seconda serie. Il testo riprende, del resto, concetti fre-quentamente utilizzati nelle Méditations esthétiques di Apollinaire (la meta-fora mortifera associata all’arte del passato evoca la celebre formula dei Peintres cubistes: “on ne peut pas transporter partout avec soi le cadavre de son père”, la tensione all’innovazione più che alla perfezione, la lotta contro la routine accademica), che per la sua autorevolezza costituisce certamente un riferimento essenziale nella sua elaborazione artistica:

Il y a une fatigue immense de marcher toujours à l’ombre du passé et quelle tristesse d’applaudir éternellement ceux qui ne nous entendent point, de ne jamais trouver une nouvelle formule […]. Il y a le grand bruit du mouvement moderne éclos dans l’Europe latine. Sans toucher leurs masses il exprime les sentiments, les tendances encore inconscientes qui pullullent aux cœurs des plus simples. On étouffe dans les cercueils des aîeux […]. Ce n’est pas le moment de demander des chefs-d’oeuvre; il faut applaudir le courage, la haine qui bave et crie, l’esprit batailleur de ceux qui bondissent contre la routine.

65 Marinetti celebra questo spettacolo che contiene i germi del teatro d’avanguardia: “Le futurisme veut transformer le Music-hall en Théâtre de la stupeur, du record et de la physicofilie”.

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In chiusura Hélène d’Oettingen prende le distanze dalle altre pubblicazioni, “vieilles revues méfiantes et hostiles, bien assises entre les bras de leurs croque-morts”66 (il “Mercure?”, “la N.R.F.”?), esplicitando il suo progetto di collaborazione personale per la rivista:

J’aime mieux lui [a Balthazar] raconter mes longs voyages, ce que j’ai vu et les couleurs des pays inconcevables qu’il n’a jamais rêvés. Je lui parlerai des mirages du désert et des navires en détresse au milieu des flots. Il entendra les bruits, les vacarmes des chevauchées invisibles et fuyantes; il verra les cavalcades joyeuses et parées et les chutes souveraines traînant leur pourpre parmi les décombres.

Nel primo numero inaugura con lo pseudonimo di Roch Grey una serie di racconti di viaggi che toccano le più celebri stazioni turistiche d’Europa, ad iniziare con Chamonix ove si ribadisce il proposito già espresso in Avertissement “surtout pas de lyrisme et rien qui évoque le passé – même d’il y a une heure”. Il suo apporto originale si ritrova soprattutto in questi racconti di viaggio, prose liriche che sono le tappe di un itinerario interiore ed esteriore attraverso le quali la baronessa definisce progressivamente la sua identità artistica. Sotto lo pseudonimo di Léonard Pieux pubblica invece dei versi liberi piuttosto convenzionali (1913), una metafora dell’ispirazione poetica (“l’inspiration arrange la coiffure d’un épervier”) che rievoca atmosfere e procedimenti simbolisti.

La novità per quanto concerne il primo numero consiste, oltre che per le rivoluzionarie e sconcertanti costruzioni cubiste di Picasso, nella collaborazione poetica di Max Jacob: la Plainte du mauvais garçon, poi ripreso nel Laboratoire central, è un testo in cui Max Jacob usa e deride le convenzioni poetiche attraverso lo scherzo e la parodia, come rivela l’incipit solenne dell’alessandrino con inversione sintattica e cesura forte in 6a posizione, che gioca sull’uso polisemico delle persiennes in un contesto straniante e derisorio: “Je revois de l’été les persiennes bien closes/Les persiennes que regrettent les roses”. Max Jacob, che utilizza l’ironia per “faire frissonner l’inconscient”, elabora una poesia appa-rentemente spontanea nel tessuto lessicale (gars, panier à salade) che, trasponendo il tono della conversazione di cui utilizza le interiezioni,

66 “S.P.” n. 18, pp. 10-11. Si veda Appendice.

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sorprende con i suoi mirabolanti procedimenti associativi67. En famille è un testo poetico contenuto nella serie del Bal masqué che verrà ripreso nella terza parte del Laboratoire central, mentre Boute-en-train è un autoritratto parodico del poeta ripreso nella Défense de Tartufe. Si tratta di un poème en prose che funziona intorno al principio estetico della sorpresa e dell’assurdo, come già per Jarry: “ne pas trouver mon nom sur une lettre qui ne m’est pas adressée me surprend et me blesse”. La contestazione velata od esplicita della seriosità borghese, delle con-venzioni di ogni genere, poetiche, letterarie, linguistiche costituisce sin dall’inizio un aspetto caratterizzante nella definizione degli orientamenti della pubblicazione che non ritroviamo per esempio in “Montjoie” e “Poème et Drame”; nello stesso numero, una nota di F.F. (Fernand Fleuret?), L’Iconoclaste, esplicita lo spirito ludico, iconoclastico appunto della rivista inventando un attentato immaginario ai danni degli esponenti della scuola cubista.

Accanto a questi contributi il primo numero e quelli immediatamente successivi presentano ancora numerosi testi ereditati dalla gestione precedente68, oltre a qualche collaborazione legata, probabilmente, alle relazioni personali di Apollinaire, come la traduzione di un racconto biblico di Fleuret e i versi umoristici del poeta Jacques Dyssord. L’insod-disfazione di Serge Férat traspare chiaramente in una lettera a Soffici del 21 novembre 1913: “Je t’envoie 1 numéros des Soirèes il est môche, il y a des choses médi[ocres] le prochain N sera mieux et tout entier comme édition (papier et ct.)”69. Lo stesso Soffici si farà del resto portavoce di questo sentimento nella lettera ad Apollinaire del gennaio 1914 in cui esprime la sua delusione per gli esiti piuttosto blandi della trasformazione operata nella rivista.70 Il primo numero si chiude sulle Informations littéraires 67 L’esclamativo Ah che serve da zeppa per ottenere l’alessandrino; le modulazioni foniche sulle rime interne “été, persiennes, persiennes/regrettent/ verres; grands, blanc, étang/ différent”. 68 Les images populaires du XXe siècle di Billy, Notes sur des ruines, racconto esotico di Dalize, versi di René Bizet e Domique Combette, la serie sui giornali di Parigi di Zavie. 69 Lettera depositata presso l’Archivio Soffici di Firenze e citata da J.-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa…”, op. cit., p. 115; la trascrizione mantiene gli errori di Férat. 70 Guillaume Apollinaire 202, Bd Saint-Germain, op. cit.

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provisoires redatte da Raynal, che rende omaggio alla tradizione sovversiva del suo maestro, Jarry, parodiando le rubriche delle riviste letterarie del genere serio e “ennuyeux” come la “N.R.F.” o il “Mercure”. In effetti, le informazioni riportate sulle opere in via di pubblicazione da parte degli esponenti più diversi del mondo letterario sono abusive e ricorrono ad uno spirito demistificatorio che fa della realtà un puro gioco inventivo.

Nel corso del numero successivo la rivista viene precisando la sua dimensione di novità e internazionalità: attraverso le relazioni stabilite con la colonia angloamericana di Parigi e con “Der Sturm” “Les Soirées” possono rendere conto delle tendenze del movimento letterario e artistico moderno in Inghilterra, in Germania71, persino in Danimarca (“S.P.” n. 23). Le Notes anglaises redatte da Horace Holley (1887-1961), poeta e giornalista americano residente a Parigi72, sono una delle rubriche più regolari nella rivista (nn. 19, 20, 21, 22, 26-27) e propongono un panorama della letteratura inglese contemporanea che inizia nel numero 19 a partire dalle riviste, in particolare “Poetry and Drama”, la più aperta alla poesia moderna. Per spiegare il posto privilegiato che la letteratura inglese occupa nelle pagine critiche delle “Soirées” bisogna proba-bilmente considerare l’attenzione che pubblicazioni come “Poème et Drame” e “La Vie nouvelle” avevano prestato alla diffusione del moder-nismo poetico in Inghilterra, tale da indurre i direttori delle “Soirées” a non lasciare scoperto alcun ambito significativo sul quale si esercitavano le altre riviste. Bisogna anche aggiungere che al momento della fonda-zione della rivista Apollinaire aveva ripetutamente sollecitato Soffici a collaborare alle “Soirées” con delle Notes d’Italie, ma tale richiesta rimase senza seguito73.

Nel contempo occorre osservare che “Montjoie!”, la rivista diret-tamente concorrente delle “Soirées” sul piano della posizione e della

71 Littérature allemande, redatta da Ludwig Rubiner, “S.P.” n. 23; Peintres allemands, “S.P.” n. 25, testo anonimo (“On nous écrit de Dusseldorf [sic]”) ma redatto dal gallerista Flechtheim. 72 Si veda la raccolta Creation, marzo 1914; cfr. Pierre Caizergues e Jacqueline Stallano, “Apollinaire et les avant-gardes anglo-saxonnes” in Apollinaire devant les avant-gardes européennes, op. cit., pp. 87-97. 73 Per questo aspetto si vedano i sottocapitoli successivi.

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proiezione internazionale, non aveva delle rubriche regolari dedicate alle cronache artistiche all’estero, in quanto, come abbiamo detto, considera la Francia l’unico punto legittimo di convergenza degli sforzi artistici; si può quindi affermare che l’attenzione all’internazionale, derivata dai contatti stabiliti da Apollinaire con l’avanguardia straniera, costituisce un altro aspetto originale e distintivo delle “Soirées de Paris”. Questa strategia è confermata dalla sezione icononografica delle “Soirées” che presentano – accanto alle opere di Marie Laurencin, Matisse, Metzinger, Gleizes – anche un quadro del pittore americano Bruce, Composition, esposto al Salon d’Automne, e delle note di Gabrielle Buffet Picabia (moglie di Francis Picabia) sull’Armory Show di New York. Questa che fu la prima grande esposizione americana dedicata all’arte moderna fece conoscere oltreoceano la rivoluzione pittorica in elaborazione in Europa e costituì una tappa essenziale nella costruzione dell’immagine inter-nazionale di Apollinaire, grazie soprattutto alla mediazione di Picabia che si adoperò per farne conoscere l’opera critica e poetica74.

Nel secondo numero Raynal inaugura la rubica cinematografica esponendo il suo approccio al genere: “nous sommes d’irréductibles adversaires de cette manie d’adaptation de pièces ou de romans qui nous ont valu le massacre de ce pur chef-d’oeuvre d’émotion qu’est Roger la Honte”. I suoi interventi valorizzano l’autonomia del mezzo cine-matografico e ne definiscono sin dall’inizio le possibilità espressive.

Polydore, savetier nous montre la boutique d’un cordonnier où toutes les chaussures neuves ou à réparer se livraient d’elles-mêmes à des sarabandes, des colloques, des enlacements et des poses. […] C’est dans ce sens que le cinéma pourrait, peut-être, créer quelque chose et non dans la reproduction des scènes historiques75.

74 Si veda l’articolo di P. Read, “Présence et réception d’Apollinaire en Grande Bretagne et aux Etats-Unis”, in Apollinaire en 1918, op. cit. e W. Bohn, Apollinaire and the International Avant-garde, op. cit. 75 “S.P.”, n. 19, pp. 6-7.

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Gli altri artisti presenti in sommario confermano in grande misura76 l’orientamento delle ricerche poetiche di Apollinaire; così nei testi pubblicati da Max Jacob (Le Bal Masqué, “S.P.” n. 19, ripreso nel Laboratoire central), costruiti sul gioco virtuosistico delle associazione foniche (“Voici Félix et Félicie félicitant la Fénicie”) possiamo rico-noscere la presenza di procedimenti utilizzati da Apollinaire come l’in-serimento di frammenti di conversazione nel testo e le citazioni in stile telegrafico: “Le cristal des buffets en style télégraphique/ se plaint de tes baisers”.

Tutta la produzione di Apollinaire nella rivista rimanda ai vari aspetti della sua attività in un gioco continuo di interrelazioni teso a legittimare la sua posizione poetica. Questo fenomeno è rilevato anche da Anna Paola Mossetto Campra che a proposito del fondatore di “Montjoie!” sottolinea “l’enchaînement dans l’oeuvre de Canudo directeur de revue, autant que dans celle de l’artiste ou de l’essayiste”77. Con la recensione al saggio di Albalat, Comment il faut lire les auteurs classiques de Villon à Victor Hugo Apollinaire risponde indirettamente agli attacchi di coloro “dont les opinions sont préconçues” e mostra la sua conoscenza della letteratura classica e soprattutto della prosodia. Il testo sul Salon d’Automne (suite) mette a sua volta in relazione la critica d’arte con i suoi orientamenti letterari e fornisce delle precisazioni sul suo rapporto col movimento di Marinetti e sul manifesto dell’Antitradition futuriste

qui n’était pas spécialement futuriste, exaltant différentes tentatives nouvelles et, en le publiant, les futuristes ont simplement montré qu’ils tenaient à n’être pas mis à l’écart de l’effort général de modernité qui s’est manifesté dans le monde entier mais plus particulièrement en France.

Apollinaire entra poi nel vivo della questione della simultaneità con la quale i pittori hanno inaugurato “un nouvel art qui peut bien être à l’ancienne peinture d’imitation ce que la musique est à la littérature, mais

76 Anche nel secondo numero vi sono dei testi che derivano probabilmente dalla gestione precedente, come il racconto sui costumi letterari di Dupont, Cujas, Rostand et la Tuberculose o le prose simboliste di Dominique Combette Détresse, La Mort amoureuse. 77 Cfr. A.P. Mossetto-Campra, “Montjoie !” ou la ronde des formes et des rythmes, op. cit., p. 35.

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cette peinture n’a aucune ressemblance avec la musique, car dans la peinture tout se présente à la fois, l’oeil peut errer sur le tableau, revenir sur telle couleur […] dans la littérature, dans la musique tout se succède et l’on ne peut revenir sur tel mot, sur tel son au hasard” [sott. agg].

Apollinaire insiste sui principi fondamentali del suo pensiero critico e poetico, il realismo profondo delle nuove realizzazioni artistiche, fondate sulla ricerca più che sul risultato:

Les études éclatantes, surprenantes et sévères des nouveaux peintres sont profondément réalistes. […] Il était peut-être nécessaire de ramener l’art à ses stricts éléments. C’est ce qu’on a tenté de faire de nos jours et, s’il y a eu des erreurs, elles étaient inévitables, mais l’effort qu’elles ont coûté servira au développement de l’art. Excès de nouveauté? Qui sait? je le répète, elle n’est pas dangereuse pour l’art mais seulement pour les artistes médiocres, et ceux-là, quoi qu’ils fassent, resteront médiocres; qu’importe après tout, qu’en outre ils soient absurdes. [sott. agg]

Nello stesso numero della rivista (“S.P.” n. 19), Apollinaire pubblica una realizzazione esemplare di questa tensione a riportare l’arte ai suoi “stricts éléments”: Lundi Rue Christine.

Un ulteriore elemento di interesse di questo secondo numero è costituito dal debutto dell’enfant prodige Mireille Havet78, appena quindicenne (1898-1932). Tra le prose di colei che designerà come “ma petite poyétesse”79 Apollinaire seleziona un racconto apparentemente

78 Mireille Havet appartiene alla cerchia delle relazioni di Apollinaire con cui ha scambiato una corrispondenza: Guillaume Apollinaire/Mireille Havet, Correspondance, s.l., Centre d’Etude du XXe siècle, Université Paul Valéry, 2000. Oppiomane e omosessuale, questa scrittrice morta giovanissima fu al centro della vita intellettuale degli anni venti; amica di Paul Fort, Cocteau (che le affidò il ruolo della morte nel suo Orphée), Morand, la sua figura è stata riportata all’attenzione della critica dopo la riscoperta del suo straordinario Journal, edito da Claire Paulhan tra il 2003 e il 2008. La Maison dans l’oeil du chat è riprodotto in una raccolta di racconti pubblicata nel 1917 da Crès con prefazione di Colette; su Mireille Havet si vedrà la biografia a lei dedicata da E. Retaillaud-Bajac, Mireille Havet. L’enfant terribile, Paris, Grasset, 2008. Si veda Appendice. 79 Lettera di Apollinaire del 31 marzo 1915 in Guillaume Apollinaire/Mireille Havet, Correspondance, op. cit., p. 59.

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semplice, La Maison dans l’œil du chat, che operando una mise en abyme attraverso uno sguardo singolare sul reale afferma il primato dell’ignoto.

Grazie all’audacia delle riproduzioni e alla novità delle rubriche e dei testi la rivista assume delle connotazioni originali che, se non soddisfano ancora pienamente i direttori, segnano però la completa metamorfosi del suo pubblico: i vecchi lettori e abbonati, sconcertati dalla sua evoluzione, abbandonano “Les Soirées” dopo il secondo numero80. Questa svolta modernista viene sottolineata anche nella ricezione della rivista; se nel settembre 1912 “L’Ile Sonnante” aveva segnalato positivamente la prima serie della rivista81, nel gennaio 1914 Henriette Charasson responsabile della Revue des Revues della rivista fantasista “Le Gay Sçavoir”, la pubblicazione che aveva assorbito “L’Ile Sonnante”, contesta recisa-mente la nuova formula della rivista: “Dans Les Soirées de Paris (15 nov. 1913) qui deviennent fâcheusement cubistes, futuristes, simultanéistes nous apprenons que nos peintres les plus avancés parurent, auprès des exposants allemands à Berlin, le symbole même de la mesure et du goût français. Cela est aussi savoureux”82..La nuova linea trova allora il consenso di un pubblico competente e internazionale, costituito da scrittori, artisti, critici e galleristi: “Les demandes de spécimens affluaient de toutes parts – riferisce la baronessa – en suivant du doigt les adresses des amateurs sur un globe de porcelane on arrivait à faire le tour du monde”.83

80 Cfr. il catalogo delle Soirées de Paris, op. cit. 81 Si veda il capitolo precedente § II. 4. 82 “Le Gay Sçavoir” n. 4, gennaio 1914. 83 Tra gli abbonati possiamo citare tra gli altri Bakst, Brancusi, Boccioni, Bruce, Jean Cocteau, Dufy, Delaunay, O. Friesz, A. Halicka, moglie di Marcoussis, Marie Laurencin, La Fresnaye, Léger, Picabia, Morgan Russell, Vlaminck, Marc Chagall, Matisse, De Chirico, collezionisti e galleristi come Cassirer, Flechtheim, i fratelli Haviland, A. Kann, A. Level, H.P. Roché, G.F. Reber, P. Rosenberg, Mme Ricou, S. Stschoukine, Ambroise Vollard, l’architetto Adolf Loos, il critico A. Basler, Cocteau, il principe Bibesco, Thadée Natason. Per una lista più completa si rimanda al catalogo de Les Soirées de Paris, op. cit., nota n. 46.

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III. 6. Evoluzione poetica di Apollinaire

Uno sforzo incessante di rinnovamento dell’ispirazione e dell’espres-sione poetica caratterizza tutti i testi che appaiono nella seconda serie delle “Soirées de Paris”: ogni nuova composizione pubblicata nella rivista (poi raccolta in “Ondes”, la prima sezione dei Calligrammes) apre direzioni nuove nello sviluppo della poesia moderna. In un momento di ecce-zionale accelerazione delle ricerche poetiche la sua poesia si situa ine-vitabilmente, come s’è detto, rispetto alle altre esperienze moderniste/ simultaneiste rappresentate da coloro che come i drammatisti, i futuristi, Cendrars e in misura minore, Beauduin e Guilbeaux, capofila del dinamismo, rivendicano un ruolo di primo piano nell’affermazione dei nuovi valori letterari. La ricerca di Apollinaire persegue allora un simultaneismo concettuale, una forma espressiva in grado di cogliere i diversi aspetti dell’esperienza percettiva, realizzata attraverso la sop-pressione del soggetto e la giustapposizione di frammenti di con-versazione. Il “poème-conversation” che si vuole una specie di ricettore cosciente che registra il “lyrisme ambiant” è rappresentato nella forma più emblematica in Lundi Rue Christine (“S.P.” n. 19) che si differenzia tanto dalle polifonie corali di Barzun, quanto dalla rappresentazione “synchrome” di Cendrars e dalle sue stesse composizioni precedenti. Certo, come rileva Jean Burgos, la simultaneità è una modalità radicata nell’immaginario del poeta, operante nella sua pratica creativa sin dalle sue prime prove letterarie84, tuttavia ci sembra riduttivo minimizzare la novità di una scrittura che era una virtualità latente nel suo percorso ed attendeva gli stimoli e le problematiche del momento per attuarsi nelle forme specifiche dei “poèmes-conversation” e degli ideogrammi lirici. Lundi rue Christine è un collage di enunciati anonimi, indipendenti l’uno dall’altro e apparentemente assemblati casualmente, in cui il poeta ricorre deliberatamente al materiale più effimero e spontaneo del linguaggio, la conversazione, utilizzata in modo poetico, autoreferenziale, alla maniera dei ready-made (“ces crêpes étaient exquises/ la fontaine coule”). La poesia deriva allora da un’operazione di riciclaggio di materiali triviali gius-

84 J. Burgos, “Sur la poétique de l’Esprit nouveau”, in L’Esprit nouveau dans tous ses états, op. cit., p. 83.

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tapposti ed estrapolati dal contesto locutorio che riproducono la percezione del reale assunto da diversi punti di vista, secondo quella che potremmo chiamare una prospettiva cubista. Qui Apollinaire non abbandona solo la logica successiva, che soggiace inevitabilmente alle disposizioni grammaticali e sintattiche, “déjà condamnées par l’usage dans toutes les langues”85 ma incrina la stessa organizzazione del discorso in quanto emanazione di un ordine esteriore alla creazione poetica in favore di una concezione che ne integra la dimensione transitoria, rendendone le infinite mutazioni. E nulla sembra essere più fuggevole di una “conversazione” che, come i “papiers-collés” di Picasso, pubblicati nel numero precedente della rivista erigono la propria provvisorietà, la propria imperfezione a statuto della nuova arte in via di elaborazione; si tratta di testi unici, soggetti alla logica del superamento continuo che vanifica ogni possibilità di sistematizzazione concettuale, sfidando continuamente le abitudini e le certezze del lettore. In Lundi rue Christine il verso o il gruppo di versi che modulano la composizione non rappresentano solo la misura formale del testo ma ne costituiscono addirittura l’unità autonoma produttrice di senso; la costruzione per piani alternati ed associazioni analogiche annulla ogni uniformità prospettica, e insieme ad essa, la coerenza del discorso, inteso come struttura che ordina il pensiero e la sua espressione linguistica. La molteplicità dei discorsi operanti nella polifonia del verso dissipa la supremazia dell’unicità discorsiva, il logos, apportando al testo una diversa coerenza, tematica e formale. Le parole sono così assunte in tutti i sensi attivando tutte le possibilità significanti del linguaggio. Il poeta, che eleva i frammenti bruti del reale al rango di materiale artistico, implica l’attiva collaborazione del lettore che ne deve riconoscere la poeticità. Si tratta di testi sconcertanti che manifestano l’opacità del linguaggio che li rende veri e propri oggetti verbali, privi di situazione elocutoria e di contesto,

85 Il Manifesto tecnico della letteratura futurista, pubblicato da Marinetti nel 1912, aveva condannato “l’inanité ridicule de la vieille syntaxe héritée de Homère”, rinvenendo nelle “parole in libertà” lo strumento più idoneo ad attivare il processo di liberazione della poesia dalla logica discorsiva. Anche Apollinaire, a sua volta, nel manifesto dell’Anti-tradition futuriste reclama la “suppression des syntaxes”. A partire da un dato analogo, la scrittura poetica apollinariana realizza opzioni diverse.

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in cui il senso è inseparabile dall’aspetto fonico. L’evacuazione del locutore dal testo, come del tema sentimentale e delle connotazioni psicologiche fanno di Lundi rue Christine uno dei primi esempi di poesia oggettiva, inumana, che si ricollega strettamente agli enunciati delle Méditations esthétiques in relazione alla nuova pittura. Annunciata da Rimbaud (“je est un autre”), questa tendenza era stata formalizzata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912 in cui Marinetti preconizza la distruzione dell’io e del soggettivismo in letteratura mentre l’unani-mismo e il drammatismo avevano rivendicato a loro volta la tensione alla fusione tra l’io e la collettività nel rifiuto della concezione descrittiva dell’arte. La funzione poetica del testo viene chiaramente evocata attraverso un’allusione autoreferenziale Ça a l’air de rimer che ribadisce l’importanza del richiamo al codice poetico tradizionale, alle rime, ai principi di ricorrenza formale seppure nella loro trasgressione. Quest’al-lusione autoreferenziale contiene anche un elemento di gioco e divertimento (atteggiamento proprio della rivista, come s’è visto nei testi di Raynal) che era sconosciuto in queste modalità nella poesia precedente di Apollinaire. I frammenti di linguaggio funzionano come relitti del reale e del bagaglio esperienziale di cui portano le tracce; così l’intrusione del vissuto dell’autore, la partenza del poeta Jacques Dyssord per Tunisi – che nello stesso numero della rivista pubblica una poesia di saluto, Sur le champ de départ – viene evocata nel testo, “quand tu viendras à Tunis je te ferai fumer du kief”, insieme alla taverna di rue Christine frequentata da Apollinaire e dai suoi amici. Nell’impossibilità tuttavia di identificare il locutore queste allusioni sprofondano ulteriormente il testo nell’oscurità restituendole il carattere enigmatico di un réalisme supérieur: “L’Honneur tient souvent à l’heure que marque la pendule/ La quinte majeur”.

Nel terzo numero della nuova serie la rivista inizia a delineare la sua fisionomia avanzata promuovendo l’opera dei padrini dell’arte e della letteratura moderna quali il Douanier Rousseau, cui è dedicato il numero 20, e Jarry, del quale viene riprodotta la corrispondenza nei numeri successivi. Quello stesso numero presenta una nota di Apollinaire Nos amis les futuristes in cui il direttore delle “Soirées” interviene nella polemica sul simultaneismo prendendo posizione rispetto alle parole in libertà dei futuristi, alle quali riconduce la poesia simultanea, polifonica e verticale,

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realizzata da Barzun, ma già preconizzata dai maestri simbolisti ed esplorata da Romains. Apollinaire contesta la portata realmente innovativa delle parole in libertà, tecnica descrittiva, limitata all’aspetto sintattico, che non sostituisce il verso mentre riconduce un autentico rinnovamento poetico al ritorno non mimetico alla “vérité extérieure” della natura e della vita, fondato su uno spirito di osservazione analogo a quello della pittura cubista86:

Et pour renouveler l’inspiration, la rendre plus fraîche, plus vivante et plus orphique, je crois que le poète devra s’en rapporter à la nature, à la vie”. Il compito che assegna al poeta nuovo è quello di “noter le mystère qu’il voit ou qu’il entend, […] la vie même […] comme l’ont fait au dix-neuvième siècle les romanciers qui ont ainsi porté très haut leur art, et la décadence du roman est venu au moment même où les écrivains ont cessé d’observer la vérité extérieure qui est l’orphisme même de l’art.

La nota esplicita chiaramente lo sforzo di elaborazione che presiede alla creazione di Lundi rue Christine e introduce le composizioni successive ispirate al “surnaturalisme”, Un Fantôme des nuées (“Les Ecrits français” n. 1, dicembre 1913), Le Musicien de Saint-Merry (“S.P.” n. 21), Rotsoge (“S.P.” n. 23, “A travers l’Europe” in Calligrammes), in cui la poesia si assegna il compito di pénétrer le mystère contenuto nella realtà.

Le Musicien de Saint-Merry, che canta il potere del poeta di trasfigurare la realtà attraverso il suo doppio, il suonatore di flauto senza occhi, naso e orecchi87 suonando “l’air que j’ai inventé”, esplora delle modalità diverse rispetto a Lundi rue Christine e presenta, come Un fantôme des nuées, il rientro del locutore ad assicurare la coerenza del discorso. Il recupero del soggettivo nel testo non implica tuttavia un ripiegamento interiore, ma al contrario, apre il testo ad una dimensione sconosciuta, una sorta di transoggettività più grande dell’io limitato: “je ne chante pas ce monde ni les autres astres/ Je chante toutes les possibilités de moi-même hors de

86 Rileveremo che tale atteggiamento era esposto nelle lettere di Cézanne pubblicate da Apollinaire nel n. 2 della prima serie delle “Soirées”: “Mais vous faites bien d’étudier sur nature. […] Tout est, en art surtout, théorie developpée au contact avec la nature”. 87 Il medesimo motivo è ripreso nella pantomima A quelle heure un train partira-t-il pour Paris? in preparazione alla vigilia della guerra. Vedi infra.

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ce monde et des astres”. Apollinaire descrive il fascino della poesia per dirne il potere e lo fa convocando tutto il repertorio formale di Alcools, a partire dall’incipit che richiama quello di Zone (“J’ai enfin le droit”; “A la fin tu es las” in Zone), i significati allegorici e mitologici utilizzati ora in un diverso contesto di riferimento; dal tema del corteo (“Le cortège des femmes long comme un jour sans pain/Cortèges ô cortèges”), del passaggio (“Ils passent devant moi et s’accumulent au loin/…/ Passeur des mort”), dell’erranza poetica (“Je chante la joie d’errer”). La funzione poetica è evocata attraverso gli echi e i giochi fonici (“quand les ambassadeurs”/ “Quand le maigre”), l’uso poetico degli avverbi, vero leitmotiv del testo, già esplorato in Le Voyageur (“il s’en allait terriblement/…/ Et maintenant/… malheureusement”), le inversioni poetiche: “jeune l’homme était brun”. Il poeta diventa così un operatore di metamorfosi (“Rivalise poète avec les étiquettes des parfumeurs”) attraverso l’evocazione della natura misteriosa del linguaggio, la densità delle allusioni erudite, i procedimenti di frammentazione del tempo e dello spazio che si rispondono nei richiami fonici e suggeriscono la simultaneità delle sensazioni percettive nella sequenza centrale ove si sospende la successione cronologica: “Puis ailleurs/A ce moment/ En même temps/ Ailleurs/Au même instant/ Et maintenant/ Et tandis que le monde vivait et variait”. Questo procedimento era già stato esplorato nel racconto pubblicato nella prima serie delle “Soirées” L’ingénieur hollandais (“S.P.” n. 5) in cui la successione diacronica della narrazione veniva sospesa nella parte centrale, misteriosa, della narrazione per offrirsi alla temporalità assoluta, del qui ed ora poetico, scandita dall’evo-cazione degli avverbi simultanei “en même temps”, “au moment”, “tandis que”. Nonostante il ritorno del discorso e del locutore, il testo non è meno enigmatico di Lundi rue Christine e costituisce una sfida alla conoscenza convenzionale come quella lanciata dalle mordonnantes mériennes88.

Gli orientamenti poetici di Apollinaire si confermano nel resto del sommario. Così ripercorrendo l’avvenimento saliente del periodo, Le 30e Salon d’Automne (“S.P.” n. 22) Apollinaire definisce le ragioni della pittura 88 Sulle “mordonnante mériennes” ci si riferirà all’analisi di M. Richter, Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica all’inizio del Novecento, op. cit.

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moderna come “une longue révolte contre la routine académique”. Evocando l’“étrangeté des énigmes plastiques” delle composizioni pittoriche di De Chirico Apollinaire sottolinea un procedimento che egli stesso aveva adottato in Le Musicien de Saint-Merry: “c’est au ressort le plus moderne, la surprise, que ce peintre a recours pour dé peindre le caractère fatal des choses modernes”89.

Dall’aprile 1914 i contributi di Apollinaire alla rivista consistono quasi esclusivamente in composizioni poetiche. Rotsoge (“S.P.” n. 23), dedicato a Marc Chagall, forse composto in occasione della mostra dedicata al pittore russo presso la galleria di “Der Sturm”90 a Berlino, ritorna alle modalità del “poème-conversation” e si presenta come un collage di enunciati (anche plurilinguistici) autonomi, citazioni o ricreazioni del-l’universo del pittore, con il quale Apollinaire interagisce rielaborandolo poeticamente. La poesia celebra così il potere di trasfigurazione del reale attraverso la visione: “Il me faut la clef des paupières”; “Regarde mais regarde donc”; “Un jour fait de morceaux mauves jaunes bleus verts et rouges”… Anche in questo caso il procedimento del “poème-conversation” esaspera l’aspetto enigmatico della composizione ripro-ducendo mimeticamente frammenti di reale con un effetto straniante: “una volta ho inteso dire Ach du lieber Gott”91. Le allusioni referenziali (che evocano direttamente il mondo ristretto del poeta) restano oscure e stabiliscono un gioco di complicità con un lettore competente. Rotsoge è seguito nella rivista da un altro testo dedicato ad un pittore, Souvenir du douanier 92, non ripreso in Calligrammes, che integra diversi precedimenti: l’evocazione poetica dei quadri di Rousseau – “ils se donnaient la main et s’attristaient ensemble/ sur les tombeaux ce sont les même fleurs qui tombent” allude al quadro Le présent et le passé riprodotto nel numero speciale dedicato a Rousseau –; il rifacimento delle “chansonnettes” di ispirazione popolare composte da Rousseau e riprodotte nello stesso

89 Le 30e Salon des Indépendants, “S.P.” n. 22, p. 186; cfr. W. Bohn, Apollinaire inédit, L’énigme de Giorgio de Chirico, “Revue des Lettres Modernes”, 15, 1980. 90 La poesia è ripresa nel maggio 1914 da “Der Sturm”. 91 “Una volta ho inteso dire Ché vuoi” in Calligrammes. 92 Ripreso nel numero di luglio 1914 di “Der Sturm”.

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speciale – “La belle Américaine/ qui rend les hommes fous/ Dans deux ou trois semaines/ Partira pour Corfou” –; le strategie testuali del “poème-conversation” – “il faut que je reste ici/ …/ Il faudra que je te montre ça/ …/ tu traverses Paris à pied très lentement/ La brise au voile mauve Etes vous là maman” – e le risorse melodiche del lirismo tradizionale: “Je tourne vire/ Phare affolé/ Mon beau navire/ S’en est allé”.

Prophéties (“Sur les prophéties” in Alcools), pubblicato sul numero 24 delle “Soirées de Paris” esplora delle possibilità ancora diverse. La poesia si caratterizza per un prosaismo sconcertante che mette in discussione lo statuto del linguaggio poetico; nel contesto di una lettura intertestuale riferita alla rivista essa appare chiaramente la replica poetica alle note pubblicate da Billy sul n. 9 delle “Soirées de Paris”, Comment je suis devenu poète93; alla rivelazione di Apollinaire: “vous êtes poète”, Billy faceva seguire il misconoscimento ironico di questa sua vocazione poetica ancora ignorata: “Des objets insignifiants, je puis recevoir, si je le veux, une commotion poétique. […] Il ne me reste plus qu’à faire des vers. Je n’y ai pas encore réussi”94. Nel testo poetico di Apollinaire lo stesso Billy è implicato invece attivamente, e suo malgrado, nel processo di elaborazione del nuovo lirismo (“Tout le monde est poète mon cher André Billy”). Così, la profezia, la conoscenza di sé e del mondo al centro della “creazione argomentativa”, così potremmo definirla, del poeta non è più un’acquisizione metafisica, un atto di veggenza riservato solo ai predestinati dotati di facoltà sovrannaturali, al Poète baudelaria-nemente o rimbaldianamente inteso, ma un’esperienza pragmatica ed empirica, fondata sull’osservazione, sullo sguardo e l’ascolto, “Car je ne crois pas mais je regarde et quand c’est possible j’écoute”, “une façon d’observer la nature/ Et d’interpréter la nature/ Qui est très légitime”. Altre circostanze possono contestualizzare ulteriormente il testo, in particolare la nota Surnaturalisme, pubblicata nella Chronique mensuelle a firma J. C., ma redatta probabilmente da Apollinaire, che fungeva da istruzione per l’uso del testo e insieme da presa di distanza rispetto al gruppo fantasista. 93 Cfr. il capitolo precedente. 94 A. Billy, Comment je suis devenu poète, “S.P.” n. 9, p. 280.

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Nel corso del 1913-1914 i poeti fantasisti, il cui raggruppamento si era segnalato all’attenzione del circuito poetico nell’anno precedente, avevano scatenato una vera e propria offensiva, tesa a ricondurre alla loro posizione poeti come Apollinaire, Salmon, Max Jacob, che nel marzo 1914 figurano, infatti, nella French Chronicle di Flint su “Poetry and Drama” come poeti fantasisti. A fronte di questi tentativi di annessione Apollinaire ribadisce il realismo profondo delle sue composizioni poetiche: “Le poète d’Alcools a toujours aimé la fantaisie […]. Toutefois, on comprendrait mal sa poésie et surtout celle de maintenant en n’en voyant point la réalité […], il s’agit là d’une poésie entièrement naturelle […]. C’est un naturalisme supérieur, […] un surnaturalisme […], un grand souci de vérité. Rien n’est beau que le vrai…” (“S.P.” n. 24). Accanto a Prophéties Apollinaire pubblica dei testi composti anteriormente, 1904 e L’Anguille, non punteggiati ed apparentemente facili nelle modulazioni del lirismo di ispirazione popolare, che riaffermano la sua originalità anche sul piano della poesia di tono minore.

Apollinaire si trova allora in una situazione non facile, attaccato da Barzun che gli contesta l’originalità delle sue creazioni poetiche e allo stesso tempo dai fantasisti che riconducono le sue ricerche all’espres-sione di un’estetica d’immaginazione. Non è un caso che, scrivendo al-l’amico Toussaint Luca deplori, a dispetto del prestigio e della visibilità che gli conferisce la sua rivista, l’isolamento in cui si trova.

III. 7. “Il faut être absolument moderne”

Per l’insieme delle sue pratiche che coprono tutti i settori del campo letterario (poesia, prosa, critica), per l’ampiezza dei suoi interessi che si estendono al di là dei limiti convenzionali del culturale, per la sua fama di poeta e di critico, le sue relazioni con l’avanguardia internazionale, e il suo ruolo di intermediario, di passeur tra le lingue e le culture che è andando acquisendo (poliglotta, conosce l’inglese, il tedesco e l’italiano), Apollinaire riesce a fare della rivista il punto d’incontro delle diverse esperienze di rinnovamento artistico.

La polivalenza, già evocata, di Apollinaire è il presupposto necessario per il funzionamento di questa rivista, modellata sull’immagine poliedrica

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del suo direttore. Come sostiene Longree95, Apollinaire, catalizzatore di idee e movimenti, tende a ricercare gli accordi più che le particolarità ed è in grado di cogliere la compenetrazione tra le diverse forme di espres-sione artistica e i legami che uniscono le avanguardie. Per comprendere questa disposizione che svolge un ruolo fondamentale nell’affermazione della rivista è necessario tener conto di una serie di fattori nel contesto parigino dell’epoca e nella posizione di Apollinaire che ne favoriscono l’apertura; in particolare l’attrazione straordinaria che Parigi, vera capitale culturale del mondo occidentale dal ’600 e fin dopo la seconda metà del ’90096, esercita sugli stranieri. Questa attrazione si esercita soprattutto sulle avanguardie straniere perché Parigi è sentita come il centro della modernità, della scoperta e dell’innovazione, la “Ville-visage du Monde” di Canudo, un ruolo che si rafforza ulteriormente con gli apporti degli stranieri che vi affluiscono sempre più numerosi dagli ultimi decenni dell’800; citeremo il caso di Hérédia (di origine spagnola), di Moréas (di origine greca) e dei belgi francofoni come Verhaeren, che vengono accolti tra le file dei parnassiani e dei simbolisti. La disponibilità dell’a-vanguardia parigina ad accogliere i nuovi venuti e ad effettuare degli scambi con loro dipende dal fatto che il sostegno di una rete inter-nazionale costituisce un sostegno simbolico fondamentale per coloro che, a causa delle loro sperimentazioni, possono trovare solo un pubblico limitato nello spazio nazionale per le proprie sperimentazioni. Il circuito dell’avanguardia che gravita intorno ad Apollinaire e alle “Soirées de Paris” è particolarmente aperto agli stranieri, a differenza di altri gruppi come gli unanimisti e i drammatisti in cui predominano i francesi. Apollinaire non attirava gli stranieri solo perché quando entravano nel circuito parigino scoprivano che dopo la pubblicazione dei Peintres cubistes e di Alcools era la figura di spicco dell’avanguardia francese, il critico d’arte più autorevole e il poeta più prestigioso, riconosciuto dai suoi stessi pari. Apollinaire era sentito come affine perché lui stesso di origine straniere, e quindi particolarmente attento e sensibile alle problematiche 95 Longree, L’expérience idéogrammatique d’Apollinaire, Paris, Editions Noël, 1984. 96 Rimando soprattutto a P. Casanova, “Paris méridien de Greenwich de la littérature” in Capitales culturelles et capitales symboliques, Paris et les expériences européennes (XVIIIe-XIXe siècle), op. cit., p. 299.

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internazionali. Questo aspetto contribuisce a spiegare come mai tra le riviste d’avanguardia attive nel circuito dell’avanguardia parigina tra il 1912 e il 1914 quelle che collaborano maggiormente all’elaborazione di un’arte di confine siano soprattutto “Les Soirées de Paris” (alla cui direzione Apollinaire è affiancato da una coppia di mecenati di origine russa) e “Montjoie” (1913-1914), diretta da Ricciotto Canudo, un italiano transplanté a Parigi. Risulta allora più chiara la costituzione del gruppo di artisti internazionali che gravitano intorno alle “Soirées de Paris” tra il 1913 e il 1914, tra le cui fila annoveriamo Cendrars, i direttori di “Lacerba” Papini e Soffici, i fratelli De Chrico, scrittori e artisti della colonia anglo-americana di Parigi (gli scrittori Holley, Reeves, Seeger, e i pittori vorticisti Bruce e Russell), il messicano Zayas, oltre ai membri della comunità russa di Parigi che comprende Chagall, Archipenko, Survage, la Gontcharova e Larionov97. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare che la proiezione internazionale della rivista costituisce per Apollinaire un’opportunità per uscire dal suo isolamento e dall’incom-prensione con cui sono accolti i suoi tentativi anche all’interno dell’a-vanguardia, diventando il rassembleur degli stranieri di Parigi. Accogliendo così gli artisti indipendenti che intendono collaborare all’elaborazione dei nuovi valori della modernità la rivista può diventare un punto di collegamento tra le varie avanguardie. Questo spiega perché, come scrive Isabelle Violante Picon, tra le pubblicazioni contemporanee “il n’en est aucune qui trascende autant les clivages entre les -ismes de l’époque, aucune qui n’ait moins tendance à se poser en organe d’une école, et aucune où tant de courants divers aient pu se reconnaître aussi durablement.”98

Gli autori rappresentati nei sommari sono per lo più artisti della sua generazione, anche se non si escludono gli aînés come Royère, che con la loro presenza rendono omaggio ai loro successori, e i debuttanti come

97 Non includo Picasso nell’elenco perché può essere considerato ormai simbolicamente acquisito all’avanguardia francese. 98 I. Violante Picon, “Les Soirées de Paris (1912-1914): du cubisme au surréalisme en passant par le futurisme”, art. cit., p. 35.

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Savinio99, Mireille Havet e Jean Le Roy100, chiamati in varia misura ad un destino artistico, che costituiscono un’estensione della posizione di Apollinaire. Si può comprendere meglio allora la posizione originale che le “Soirées” vanno acquisendo nel circuito nazionale e transnazionale, le quali attraverso relazioni non esclusive ma certamente privilegiate stabilite con esponenti e organi dell’avanguardia internazionale si assi-curano la presenza degli artisti di spicco e allo stesso tempo la copertura degli avvenimenti significativi del panorama letterario e artistico. Se il sommario di una rivista può essere considerato l’esibizione del suo capitale simbolico allora si comprende che i numeri delle “Soirées de Paris” manifestino tutto il potere relazionale del direttore, la sua capacità di entrare in risonanza con le problematiche che orientano la definizione dei valori letterari ed artistici del momento. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare che la pubblicazione di una rivista risponde anche ad una logica propriamente interna che si riferisce in questo caso alla concorrenza tra i produttori sul tema particolarmente sensibile della simultaneità.

L’internazionalizzazione della rivista, elemento che agevolando gli scambi favorisce indubbiamente i processi di innovazione, incoraggia un clima di incitamento collettivo e di fervore al cui centro si situa la figura di Apollinaire. Soffici evoca l’“ambiente di ebollizione intellettuale” in cui Apollinaire era “il teorico, il banditore, l’avvocato ed il giudice riconosciuto ed apprezzato in ognuno di quei movimenti”, […] centro di raccolta e di irradizione, sottolineando l’“immensa apertura d’orizzonti ideali”, “le elaborazioni teoriche ed effettive” che avevano luogo durante le riunioni della rivista, ospitate presso il domicilio dei mecenati101. La rivista acquista una fisionomia innovativa, sebbene persistano anche

99 La bibliografia su questa fase francese della sua attività è particolarmente abbondante; in particolare ci riferiremo a L. Pietromarchi Dal manichino all’uomo di ferro, Milano, Unicopli, 1984, e a F. Cornacchia, La Casa francese di Alberto Savinio, Bari, B.A. Graphis, 1998. 100 Il poeta Jean Le Roy (1894-1918), autore di una plaquette di versi Le Prisonnier des mondes (1913), divenne amico di Cocteau nel 1917; cfr. la corrispondenza Apollinaire/Cocteau, Paris, Jean Michel Place, 1991. 101 Soffici, Opere VI, Firenze, Vallecchi, 1965, p. 134.

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successivamente dei contributi non esattemente in linea con il suo modernismo affiché, da attribuire probabilmente all’eccesso di “politesse” di Apollinaire, deplorato da Férat102. Al di là di questa che può apparire una forma di ecumenismo aggregativo – analoga a quello dell’Antitradition futuriste – grazie alla quale Apollinaire accoglie amici e colleghi che non appaiono precisamente modernisti (Dyssord, Hertz, Strentz, Dupont, Muselli), il partito preso di novità definisce la strategia della rivista tanto nella scelta dei collaboratori che negli orientamenti editoriali. Gli artisti rappresentati, pur non manifestando concezioni univoche nelle loro elaborazioni sul nuovo, si riconoscono comunque negli orientamenti principali che definiscono la posizione di Apollinaire. Tutta la linea della rivista esprime la rivolta contro la routine accademica, contro l’imi-tazione realistica, contro il buon gusto, atteggiamenti che abbiamo visto illustrati nell’elaborazione critica e poetica di Apollinaire. Il nostro scopo non è certamente quello di proporre un’analisi esauriente della produ-zione degli artisti rappresentati nei sommari delle “Soirées”, bensì quello di indicare quei tratti della loro collaborazione che partecipano maggiormente all’elaborazione della posizione collettiva della rivista e al suo orientamento.

La parte letteraria rappresenta le molteplici ricerche condotte soprattutto in poesia, senza escludere la prosa e il teatro per sperimentare una nuova dimensione estetica del reale, rispondente ad un ideale di arte pura, antidescrittiva.

L’aspetto propriamente poetico della rivista evidenzia un gioco comune sul linguaggio, che percorre i testi dei diversi collaboratori (da Max Jacob, a Cendrars, Soffici fino a Dyssord) attraverso la messa in discussione e la desacralizzazione dello statuto tradizionale del lirismo

102 Alle incertezze delle “Soirées de Paris” allude una missiva di Soffici dell’11 gennaio 1914, già citata: “Vous avez déjà vu que dans Lacerba j’ai parlé et bien parlé des Soirées [si allude alla rubrica Caffé a firma I Camerieri del I gennaio 1914]. J’en parlerai par la suite e citerai dans Caffè tous les articles qui me paraîtront intéressants d’un point de vue européen. J’aime pourtant vous dire que je m’attendais à une transformation bien plus radicale de votre revue. Après votre manifeste magnifique, je croyais que vous étiez dégoûté du convenable, du sérieux, du joli. Il faut être absolument moderne et la beauté de nos jours, notre beauté est scandaleuse”, Guillaume Apollinaire 202 Bd Saint-Germain, op. cit., p. 81.

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contaminato attraverso il collage, il pastiche, il calembour. Esso è determinante per dare l’impressione di un’“affinità” tra questi scrittori, che sono attori e fruitori del gesto creativo, convocati a intergire nella creazione poetica.

“Les Soirées de Paris” riuniscono intorno ad Apollinaire i suoi rivali più accreditati sul piano strettamente poetico, Max Jacob e Cendrars, sebbene la loro non sia una collaborazione esclusiva, in quanto sono presenti in altre pubblicazioni d’avanguardia come “Montjoie!”, “Lacerba”, “Der Sturm”103. È indubbio che il clima di competizione e di sfida che si stabilisce nella rivista intorno ad Apollinaire sia un elemento caratterizzante della loro presenza nelle “Soirées de Paris”, e che costituisca un incitamento formidabile alla sperimentazione poetica. Come non ritrovare questa tensione nei testi di Max Jacob, in direzione dell’invenzione linguistica, in quelli di Cendrars, verso l’essenzialità stilistica?

La Vie d’artiste, La Rue Ravignan de Montmartre, Romances dans le goût du temps (“S.P.” n. 21) di Max Jacob, due testi in versi intercalati da un poème en prose, possono essere considerati delle tappe di quell’auto-biografia che il poeta bretone sta elaborando dal Saint-Matorel; nelle dissonanze ritmiche e stilistiche, nelle acrobazie verbali delle contiguità fonico-semantiche sperimentano dei possibili del lirismo collaterali a quelli sui quali si era concentrata la ricerca di Apollinaire, con un’atten-zione particolare ad un genere, quello del poème en prose (La Rue Ravignan), che verrà rilanciato nel Cornet à dés dove figurano buona parte dei poèmes en prose qui apparsi.

Printemps et cinématographe mêlés (“S.P.” n. 23), ripreso nella Défense de Tartufe (1919), si presenta invece come un insieme di testi poetici apparentemente facili, modulati nel tono colloquiale della conversazione, che trovano ispirazione nel cinema, passione collettiva della redazione:

103 Max Jacob collabora a “Lacerba” e all’ultimo numero di “Montjoie!”: A propos de mon suicide, 4-5-6, aprile-maggio-giugno 1914; Cendrars è anch’egli presente in “Montjoie” con Ma Danse, n. 1-2, gennaio-febbraio 1914, Apollinaire e Canudo n. 4-5-6, aprile-maggio giugno 1914, ripresi nei Dix-neuf poèmes élastiques (1919) , e a “Der Sturm”.

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Au théatre pensé de François de Curel Préférons le Ciné des couleurs naturelles Au son d’une musique absurde Nous verrons défiler les Kurdes

Questi testi elevano l’assurdo e l’ironia al rango di risorsa estetica fondamentale, utilizzando procedimenti che ricreano in un gioco complice e allusivo la tecnica dei poème-conversation di Apollinaire: “les immeubles sont neufs; les verres sont d’eau clairs; j’endure, pour guérir, un régime sévère”. La dimensione ludica e dissacrante è del resto un aspetto caratterizzante della rivista che si evidenzia oltre che nei testi di Max Jacob, nel riferimento a Jarry, padre spirituale della modernità letteraria ed artistica104, le cui lettere sono pubblicate nei numeri 21-24, oltre che negli articoli e nella critica cinematografica di Raynal, che si richiamava esplicitamente al suo esempio (in particolare L’Art d’être un imbécile, “S.P.” n. 21).

La collaborazione di Cendrars alle “Soirées de Paris”, a partire dal numero 23 della rivista, può essere considerata – contrariamente alle dichiarazioni successive del poeta di origine svizzera105 – un atto di riconoscimento di Apollinaire nei confronti di uno dei suoi rivali più accreditati e allo stesso tempo un mezzo per ricondurre la sua posizione agli orientamenti promossi dalla rivista e dal suo direttore. È evidente anche che la partecipazione di Cendrars a riviste come “Les Soirées de Paris”, “Montjoie!” e “Der Sturm” ha lo scopo di non escluderlo dalla competizione poetica in un momento cruciale della vita dell’avanguardia. Queste poesie si illustrano nel contesto della rivista, nel gioco compice di allusioni con la poesia di Apollinaire, nell’interferenza con la pittura e le allusioni autobiografiche e con l’attualità letteraria; si tratta di una

104 Introduzione di Apollinaire alle lettere di Alfred Jarry, “S.P.” n. 21, pp. 87-89. 105 È evidente che la Notule d’histoire littéraire (1912-1914) inserita alla fine dei Dix-neufs poèmes élastiques è ingiusta e risente dello spirito di rivalsa che ispira la condotta di Cendrars nel dopoguerra: “A l’exception de deux ou trois d’entre eux, ils ont été publiés par des revues étrangères; Le Mercure de France, Vers et Prose, Les Soirées de Paris et Poèmes et Drame, c’est-à-dire les aînés, les poètes déjà classés et la soi-disant avant-garde refusaient ma collaboration. C’est qu’à ce moment-là, il ne faisait pas bon, en France, d’être un jeune authentique parmi les ‘jeunes’ ”.

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produzione importante che verrà ripresa nella principale opera poetica di Cendrars del dopoguerra, i Dix-neuf poèmes élastiques (1919). Journal (“S.P.” n. 23), che inaugura la sua collaborazione poetica con “Les Soirées de Paris”, istituisce una continuità con la produzione precedente nella celebrazione delle sue Pâques; tuttavia secondo una caratteristica costante della sua elaborazione poetica, ispirata all’intertestualità come strategia creativa, il testo interagisce anche con le poesie di Apollinaire nel richiamo al simultaneismo concettuale e all’essenzialità stilistica caratteristica di questa fase:

Passion feu Roman-feuilleton Journal

A differenza dei testi apollinariani l’enunciazione risente ancora del-l’impianto soggettivo: “On a beau ne pas vouloir parler de soi-même/ il faut parfois crier// Je suis l’autre/ Trop sensible”. I poèmes en prose Amours, la cui composizione risale ad una fase precedente, si situano a loro volta nello stesso clima di isolamento e di solitudine morale delle Pâques. La pubblicazione del Fantômas di Cendrars (“S.P.” n. 25) costituisce un esempio interessante della sfida accesa tra i collaboratori della rivista sull’innovazione poetica. La poesia, che rappresenta il primo intervento delle “Soirées” sull’eroe ideato da Souvestre e Allain che, grazie alla trasposizione filmica di Feuillade stava divenendo un vero e proprio fenomeno di costume, è un prodotto concepito nel clima della rivista e ad essa destinato in quanto la passione per Fantômas, vera epopea della vita moderna, era una passione collettiva che accomunava tutti i membri della redazione106. Questo testo costituisce inoltre una presa di posizione in relazione alla polemica sul simultaneismo in cui Cendrars e Apollinaire sono coinvolti personalmente, e a cui si riferisce esplicitamente Simultanisme-Librettisme di Apollinaire, pubblicato in quello stesso numero, che riporta in epigrafe una citazione dallo stesso Fantômas. 106 Cfr. la cronaca di Apollinaire sul “Mercure” del 26 luglio 1914, Œuvres en prose complètes III, op. cit., p. 215.

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Tu as étudié le grand siècle dans l’Histoire de la Marine Sue [Française par Eugène […] Le simultanéisme est passéiste […] Il y a aussi une jolie page “vous vous imaginiez, monsieur Barzum, que j’allais tranquillement vous permettre de ruiner mes projets […] Allons! Sous votre apparance d’homme intelligent, vous n’étiez qu’un imbécile…” Et ce n’est pas mon moindre mérite que de citer le roi des voleurs Vol. 21, le Train perdu, p. 367.

Nel contesto della poesia, della rivista e dell’attualità letteraria l’evo-cazione della “jolie page” in cui Fantômas, “le roi des voleurs”, interpella “monsieur Barzum” non può che richiamare il quasi omonimo Barzun e il suo “simultanéisme passéiste” con la sua pretesa di rappresentare l’unica forma legittima di modernità poetica. La particolare dislocazione tipografica sulla pagina, con i giochi sui rientri particolarmente mobili, suggerisce un’attenzione all’aspetto visuale del testo – accostato ad una dissacrante scultura di Archpenko sulla Boxe – che si amplifica smi-suratamente nella pagina successiva dove compare Lettre-Océan di Apollinaire. La chiusa finale: “Il y a encore de jolis coups à faire/ Tous les matins de 9 à 11” non è solo la celebrazione dell’eroismo criminale e antiborghese di Fantômas, ma anche un invito esplicito ai poeti, e proprio ai poeti delle “Soirées de Paris” in cui il testo è pubblicato, a procedere insieme in quell’avventura collettiva che è la poesia moderna.

Le poesie inserite nell’ultimo numero della rivista – Aux cinq coins, Titres, Mee too Buggi – costituiscono un’esperienza ancora diversa che orienta la poesia contemporanea: esse si constituiscono come un metalinguaggio che concentra tutta la sua attenzione sull’atto creativo, plurilinguistico che diviene, di fatto, il solo tema della composizione107.

Aux cinq coins coniuga la spoliazione sintattica e il movimento di espansione nominale proprio a queste poesie di Cendrars – “Oser et faire 107 Aux cinq coins: “la poésie est en jeu”; si veda Appendice.

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du bruit/ Tout est couleur mouvement explosion lumière” – con i procedimenti del poème-conversation utilizzati particolarmente in Rotsoge, “Tu parles, mon vieux/ Je ne sais pas ouvrir les yeux” e nella Lettre-Océan, e si chiude sulla constatazione che “La poésie est en jeu”. A sua volta Titres, che come i papiers-collé integra titoli giornalistici nella superficie testuale si vuole il “premier poème sans métaphores et sans images/ Simples nouvelles”; anche qui l’allusione alle poesie visive di Apollinaire emerge immediatamente nel contesto della rivista. L’ultimo testo Mee too buggi, si apre su un’evocazione orfica che non poteva non richiamare l’“orphisme” di Apollinaire: “Comme les Grecs on croit que tout homme bien élevé doit savoir pincer la lyre”; agli ideogrammi lirici di Apollinaire, Cendrars oppone allora una poesia costruita sulle sonorità dissonanti della musica negra e sul plurilinguismo come programma estetico di riferimento.

L’unico esito effettivo, creativo della relazione tra la rivista di Apollinaire e l’avanguardia lacerbiana108, e in particolare con Soffici, è Masque, un testo di esplicita derivazione palazzeschiana (Chi sono?), non punteggiato, che sul tema del ritratto dell’artista in saltimbanco “estraeva da Palazzeschi – come scrive Mario Richter – gli elementi di una poetica che riscattava Pulcinella e Stenterello per cercare di imprimere una marca ‘italiana’ a quanto proveniva d’oltr’alpe”109. Su questi elementi, che ne definiscono la poetica di fondo, si innestano anche delle risonanze tipicamente apollinariane, tali da poterlo configurare allo stesso tempo come un omaggio al suo percorso poetico, a Zone, di cui Soffici evoca il clima di desolazione interiore, alla poesia degli affiches, dei prospectus e dell’alcool110, e più recentemente al simultaneismo visivo delle Fenêtres e 108 “Les Soirées de Paris” n. 22 avevano già pubblicato un articolo di Papini, Deux philosophes su Croce e Bergson. 109 Cfr. M. Richter, La formazione francese di Soffici, Prato, Pentalinea, 2000, pp. 238-242; si veda inoltre M. Barbaro, I poeti-saltimbanchi e le maschere di Aldo Palazzeschi, Pisa, ETS, 2008. 110 Cfr. la lettera ad Apollinaire dell’11 gennaio 1914 in cui lo invitava ad un rinnovamento più radicale della rivista: “il faut être absolument moderne et la beauté de nos jours, notre beauté est scandaleuse. C’est une beauté cocotte et affichiste. La vie des grandes villes a des charmes d’alcool et des tragédies de trains express […]. Les prospectus sont plus beaux que les paysages printaniers. Il est écrit dans un ancien n° des Soirées mais ironiquement il faut prendre cela au sérieux et changer par conséquence la

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di Rotsoge : “Je me balade aux feux des affiches et des glaces/ Dans les soirs artificiels/ De Paris d’ailleurs/ …/ Dans l’ombre jaune vermeille/ Des théâtres des cafés des bars/ Je ramasse un regard comme un prospectus/ Mon alcool est au ciel que j’avale”.

Il resto delle collaborazioni poetiche conferma il prestigio poetico di Apollinaire, amplificandone la posizione. La pubblicazione della poesia di Pierre Henner, Un Ami (“S.P.” n. 23), in versi a-metrici, non pun-teggiata, che presenta una forte analogia con Zone e con i procedimenti dei poème-conversation, testimonia concretamente l’influsso di Apollinaire sulla poesia contemporanea111. A sua volta, la presenza delle poesie del pittore George Rouault nell’ultimo numero della rivista è egualmente significativa112 nella misura in cui il pittore era stato uno dei primi a pubblicare dei testi privi di punteggiatura. La collaborazione del poeta drammatista Divoire, giornalista letterario a “L’Intransigeant”, con un frammento della poesia psicologica Iago113 (“S.P.” n. 22), riveste invece un certo interesse soprattutto nel contesto della polemica simultaneista.

L’abbondante produzione poetica della baronessa sotto lo pseu-donimo di Léonard Pieux è inizialmente dominata da un certo timore reverenziale, tanto che nonostante i proclami di modernità del-l’Avertissement non si discosta sostanzialmente dai moduli tradizionali e dall’eredità decadente-simbolista; l’esperienza della rivista, favorendo scambi e contatti, le consente di acquisire una certa sicurezza nei propri mezzi che si traduce in una maggiore libertà nell’uso dello strumento

couleur de nos tableaux, de nos images”, Guillaume Apollinaire. 202, Bd Saint Germain, op. cit., p. 81. Qui Soffici sembra dimenticare che Apollinaire aveva già realizzato questa metamorfosi poetica in Zone e nelle composizioni successive. 111 “Je suis tout seul ce soir tout seul parmi ces gens/ […]/ Et trop souvent le c’est fini Monsieur/ Tout cela est loin/ Le public est le même fidèle à la boîte comme le chat à son assiette/ Le mec de la Buci a pris une autre poule/ Il a l’air d’un rentier et fait la boxe/ Des rapins discutent sur Jaurès les Indépendants/ La vieille dame de la boîte qui aime le bon vin et les plats farcis/ […] Tu n’es qu’une feuille tu te laisses aller/ Tu voles mais tu voles tu sens tes ailes […]”. 112 S.P. nn. 26-27: L’artiste, Miserere; Apollinaire aveva evocato la poesia di Rouault nella Vie anecdotique del 16 marzo 1913. 113 Ripreso in Ames, Paris, La Renaissance du Livre, 1918.

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poetico. A contatto diretto con le creazioni innovative della rivista le sue poesie diventano più personali sul piano della forma e dell’ispirazione114.

La prosa è certamente meno rappresentata nei sommari della rivista e consiste soprattutto in testi che contaminano la poesia e la prosa, rompendo a vario titolo con le convenzioni diegetiche e descrittive, come i racconti di viaggio in stile lirico della baronessa, sotto lo pseudonimo di Roch Grey, che introducono procedimenti nuovi come il passaggio senza transizione dalla narrazione oggettiva al monologo interiore. Un altro aspetto della sua collaborazione nella rivista è costituito da racconti, Un fait divers (“S.P.” n. 24) e R.P.R.D.V (“S.P.” nn. 26-27), caratterizzati da un fantastico moderno, ispirato a un “naturalisme supérieur” nei suoi diversi aspetti. Il testo autobiografico di Max Jacob, Surpris et charme (“S.P.” n. 25) continua sotto la forma del-l’autofiction il racconto della vocazione artistica che è al centro della sua collaborazione alle “Soirées de Paris”: “je devins artiste ou j’appris que je l’étais ou je crus l’être ou j’appris à l’être […]. Alors commença cette vie de privations et de souffrances qui est encore aujourd’hui la mienne”. Le Proses et poèmes che Mireille Havet pubblica sull’ultimo numero della rivista, caratterizzate da un’interferenza tra prosa e poesia, cercano di rendere il flusso della vita moderna, come in Lundi Rue Christine nella giustapposizione di luoghi, oggetti, situazioni. Nella poesia Sur un tableau cubiste che si vuole la “réalisation enfin nouvelle d’une beauté simplifiée/ comprise et universelle” Mireille Havet, che era figlia di un pittore, ricrea liricamente il quadro di Picabia Culture physique, secondo modalità assimilabili a Rotsoge di Apollinaire e alla sua riflessione critica.

La ricerca di forme nuove si esprime ancora nell’attenzione portata ai materiali bruti offerti alla poesia dal linguaggio quotidiano in una sorta di contaminazione tra l’alto e il basso che crea un brassage tra generi e forme artistiche inedito, caratteristico della rivista e che trova la sua legittimazione nella creazione degli ideogrammi lirici; così i saggi di trascrizione di conversazione ispirati al “naturel” e alle “vérité” del

114 Cfr. Le Caire, “S.P.” n. 24 e Soliloque gaillards, “S.P.” nn. 26-27.

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pittore G.P. Fauconnet115 (“S.P.” n. 24, “S.P.” nn. 26-27), un amico del Douanier Rousseau, che si apparentano a una sorta di ready-made, prendono senso alla luce dei “poèmes-conversation” d’Apollinaire e della nota Surnaturalisme che seguono (“la fantaisie de Guillaume Apollinaire n’a jamais été autre chose qu’un grand souci de vérité, un minutieux souci de vérité”).

Un altro aspetto particolare di questo brassage tra i generi e le forme è costituito dalla pubblicazione dei Chants de la mi-mort di Savinio nell’ul-timo numero della rivista, una composizione drammaturgico-musicale che segna il debutto letterario del fratello di De Chirico. Abbiamo visto come Apollinaire avesse inteso la rivista come un laboratorio creativo che valorizzando soprattutto la poesia e le arti figurative non escludeva altre espressioni artistiche come il teatro e la musica, che pure erano appannaggio soprattutto della rivista di Canudo “Montjoie!”, che aveva fatto del rinnovamento dell’estetica teatrale e musicale uno dei suoi punti di forza. Per la posizione polivalente della rivista era vitale tuttavia pren-dere posizione su ogni aspetto dell’espressione artistica; così sin dal primo numero Apollinaire segue anche l’attualità teatrale, stroncando iniziative come il Vieux Colombier di Copeau e opere come l’Echange di Claudel, “pièce sommaire où Shakespeare se débat en vain contre Ibsen” (“S.P.” n. 22)116 cui nello stesso numero della rivista oppone il teatro poetico di Synge (il Baldin du monde occidental; “S.P.” n. 21) e Ubu-roi di Jarry.

Allo stesso tempo Apollinaire affida l’attualità musicale a esperti come Edgar Varèse117 e alla pianista Gabrielle Buffet-Picabia (“S.P.” n. 22) che nell’articolo sulla Musique d’aujourd’hui, a fronte della crisi della musica contemporanea, preconizza un genere musicale nuovo, mescolanza di musica e di testo:

115 Suite d’une conversation échangée…, “S.P.” n. 24; Conversation, “S.P.” nn. 26-27; cfr. anche l’articolo di Apollinaire su “Paris-Journal” del 24 maggio 1914, G.P. Fauconnet, peintre et notateur, in Œuvres en proses complètes II, op. cit., II, pp. 727-728. 116 Si rileverà a contrario che su “Montjoie!” (n. 4-5-6, 1914) Clouard, collaboratore della rivista, interpellato “en tant que tenant du classicisme”, decreta Le Triomphe de Claudel a proposito della rappresentazione de L’Otage. 117 Le Quatuor Hongrois, a firma E.V., apparso sulle “Soirées” n. 21.

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Peut-être, serait-ce le point de départ d’une forme d’art tout à fait neuve, qui n’aurait plus grand point de ressemblance avec ce que nous avons appelé jusqu’à ce jour, musique et composition musicale. Grâce à des bruiteurs mécaniques et perfectionnés […] nous découvririons la forme des sons en dehors de la convention musicale, et ceci est, après tout, aussi vraisemblable, que de voir la peinture abandonner la représentation objective pour s’échapper dans le domaine de la spéculation pure.

Il numero successivo della rivista presenta un intervento su Le drame et la musique (“S.P.” n. 23) in cui Savinio propugna un ideale di musica pura, non descrittiva degli stati d’animo, non soggettiva, non lirica che ricorrendo a motivi triviali e commerciali, ad elementi bruti della realtà giustapposti, cerca di dare coscienza all’inconscio, forma all’informe, secondo concetti e immagini che evidenziano un chiaro accostamento o piuttosto una derivazione dalla poetica di Apollinare118. Il concetto di musica pura, intesa come “art neuf, libre, affranchi” è poi ripreso dalla nota firmata J.C. sull’Audition des œuvres musicales de M. Albert Savinio (“S.P.” n. 25), dedicata al concerto tenuto da Savinio nella redazione delle “Soirées de Paris” dove, a proposito dei Chants de la Mi-Mort, si evoca “une poésie musicale si imprévue et si choquante, que nous sommes persuadés que cette oeuvre pourra constituer désormais le point de départ d’une orientation de la musique moderne”119. Nella nota che precede la pubblicazione di un frammento del poema drammaturgico di Savinio J.C., probabilmente ancora Apollinaire, riconosce il carattere innovativo dell’opera “dans sa volonté de provoquer des impréssions poétiques nouvelles et une dramaticité personnelle, par l’agrément, l’émotion, la curiosité, l’horreur, le choc, empruntés évidemment aux musiques les plus diverses, celles que l’on rencontre partout et que l’on 118 Cfr. su questo aspetto W. Bohn Apollinaire et l’homme sans visage, Roma, Bulzoni, 1982; F. Cornacchia, La casa francese di Alberto Savinio, op.cit.; L. Pietromarchi., Dal manichino all’uomo di ferro, op. cit. 119 “S.P.” n. 25, p. 301; cfr. anche l’articolo di Apollinaire su “Paris-Journal” del 24 maggio 1914, La Musique nouvelle, Œuvres en prose complètes II, op. cit., pp. 723-726: “il a l’espoir et la volonté de porter sur la scène le souffle puissant d’une poésie véritable. Il croit pouvoir présenter sur le théâtre et faire ressortir par sa musique tout ce qui, dans notre époque, se révèle à nous sous une forme étrange et énigmatique; il veut encore faire éclater en musique le choc de l’inattendu, de la chose curieuse”.

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entend de toute part”120. Se nei Chants de la mi-mort Savinio si ispira palesemente alla poesia di Apollinaire e in particolare al Musicien de Saint-Merry121 e a Picasso, a sua volta Apollinaire riconosce l’affinità dell’opera di Savinio con la propria, resa visibile proprio grazie alla rivista.

Anche nel resto della riflessione critica offerta dalla rivista è possibile riconoscere la contiguità con le tendenze espresse da Apollinaire. Nella conferenza sulle Réalisations picturales actuelles (“S.P.” n. 25) Fernand Léger utilizza anch’egli delle formule care alle concezioni apollinariane: il profondo realismo delle nuove realizzazioni artistiche, che riproducono i ritmi frenetici della vita moderna, l’abbandono del soggetto, la lotta contro il buon gusto “pompier” e accademico; questi motivi mostrano bene come la critica d’arte di Apollinaire avesse elaborato un tale grado di comprensione delle problematiche artistiche, che le sue idee venivano riprese a loro volta dai pittori, senza che questi ne fossero sempre pienamente consapevoli122.

L’obbiettivo che Apollinaire persegue nella pubblicazione e che retrospettivamente appare chiaro, era quello di creare il consenso intorno alla sua posizione mostrando che non era frutto di stravaganza o di calcolato opportunismo, come si sosteneva negli ambienti più tradizionalisti o dai suoi più diretti avversari, ma una tendenza generale a cui si richiamava l’intera avanguardia letteraria e artistica.

Negli ultimi numeri della rivista Apollinaire esalta, nella tensione all’unità delle forme artistiche all’origine del “rayonnisme” di Larionov, delle preoccupazioni simili alle proprie (“S.P.” nn. 26-27):

L’œuvre d’art telle que la coinçoivent Larionow et les rayonnistes des arts plastiques et des lettres russes, est comme un aimant vers quoi convergent toutes les impressions, toutes les lumières, toute la vie

120 Albert Savinio et la nouveauté en musique, “S.P.” nn. 26-27, p. 369. 121 Cfr. le analogie tra il Musicien de Saint-Merry e i manichini dei Chants de la mi-mort. 122 Per questo aspetto rimando a Anna Boschetti, La Poésie partout, “Apollinaire et la révolution des peintres”, p. 284 e sgg. su questo argomento si era espresso lo stesso Apollinaire, “il ne faut pas oublier que Delaunay, Gleizes, Le Fauconnier, Metzinger, Léger, etc. c’est-à-dire la plupart des peintres cubistes, vivent dans la compagnie des poètes”, “Mercure de France”, 16 novembre 1912, Les cubistes et les poètes, in Œuvres en prose complètes III, op. cit., p. 131.

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ambiante. Cet art est en accord avec les audaces les plus nouvelles auxquelles on se soit livrés en France. Elles montrent assez qu’il se constitue un art universel, où se mêleront la peinture et la sculpture, la poésie, la musique, la science même sous ses apparences multiples. Et nombre de poèmes parus dans cette revue n’étaient que des efforts pour pénétrer les arcanes de cette synthèse.

Nel suo intervento su Le Rythme coloré 123 (“S.P.” nn. 26-27), Lépold Survage, un artista di origine finlandese intimo della baronessa, pre-conizza il cinema astratto, attraverso la sperimentazione di forme visuali dinamiche da realizzarsi con l’ausilio di strumenti cinematografici, e descrive la sua ricerca artistica come un passo nella direzione della sintesi delle arti a cui si richiamava Apollinaire con le sue ultime composizioni, la Lettre-Océan e gli ideogrammi lirici.

Così la linea della rivista è incontestabilmente orientata dalla posizione di Apollinaire, posizione che si estende a tutta la redazione e ai collaboratori con una sostanziale identità di opinione e intenzioni che caratterizza questa nuova fase della vita delle “Soirées de Paris”. Non solo, come hanno riferito i protagonisti di quella stagione intensa, la dimora parigina dei mecenati diventa il trait d’union tra l’avanguardia francese e l’Italia futurista, ma tutta la rivista è un vero trait d’union tra le avanguardie124 e, aggiungeremmo, tra l’arte e la letteratura d’avanguardia, secondo una contaminazione che costituisce l’originalità della pub-blicazione.

123 Cfr. anche l’articolo di Apollinaire, Le Rythme coloré, “Paris-Journal”, 15 luglio 1914: “J’avais prévu cet art qui serait à la peinture ce que la musique est à la littérature. […] Nous aurons ainsi hors de la peinture statique, hors de la représentation cinémato-graphique un art auquel on s’accoutumera vite”, Œuvres en proses complètes II, op. cit., p. 827. Dal 1912 al 1914 Survage realizza un insieme di composizioni colorate destinate ad essere filmate secondo la tecnica del disegno animato; nel 1914 Survage contattò Louis Gaumont per concretizzare il progetto ma la guerra ne impedì la realizzazione. No-nostante tutto i “Ryhtmes colorés” sono le prime opere astratte e annunciano il cinema sperimentale e l’arte cinetica. 124 P. Caizergues e J. Stallano, “Apollinaire et les avant-gardes anglosaxonnes”, art. cit., p. 89.

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III. 8. “Et nombre de poèmes parus dans cette revue n’étaient que des efforts pour pénétrer les arcanes de cette synthèse”

Si accennava alla polivalenza di Apollinaire che concentra nella sua posizione una pluralità di interessi, presupposto per l’apertura culturale e internazionale propria alla rivista. L’impegno assunto per coprire tutti i fronti in cui si esplica l’attività della rivista finisce per determinare a sua volta un’identificazione progressiva di Apollinaire con la pubblicazione che assomiglia sempre più alla personalità poliedrica del suo direttore e ne costituisce, come abbiamo visto, una sorta di emanazione e di espansione; non è un caso che “i mercoledì” di Apollinaire diventino “i mercoledì” della rivista. Questo processo di identificazione non è privo di effetti sulla sua traiettoria personale che si rapporta fino a coincidere con la posizione collettiva della pubblicazione. Così, se Apollinaire domina la rivista, anch’egli finisce a sua volta per subire gli effetti di questa dominazione: direttore di una rivista che ha fatto dell’innovazione la sua parola d’ordine, Apollinaire non può non esprimere (e superare) la posizione della sua rivista anche sul piano dell’attività poetica. Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere meglio forse la tensione sperimentale che presiede alla sua elaborazione poetica in questo periodo e la grande unità della sua produzione che rimanda, come in un gioco di specchi, a tutti gli altri aspetti della sua attività, all’insieme degli altri testi presenti in rivista, in una grande sintonia tra le creazioni artistiche e letterarie. L’elaborazione sulla sintesi delle arti intrapresa dalla rivista e la concorrenza che si svolge nella pubblicazione e nel mondo letterario con la querelle sul simultaneismo, stimolando lo spirito di emulazione, possono spiegare l’innovazione continua che caratterizza i testi dei collaboratori e soprattutto quelli pubblicati da Apollinaire in questa seconda serie della rivista. Pascal Pia scrive che tutti i testi che Apollinaire compone fino allo scoppio della guerra “trahissent la recherche systématique de la surprise125”, in una modalità che non si ritroverà più probabilmente con la stessa intensità e nelle stesse forme nella sua produzione successiva. La nascita dei calligrammes e le esperienze drammaturgiche intraprese da Apollinaire in questo momento con la

125 P. Pia, La poétique d’Apollinaire, “Les Lettres nouvelles”, n. 12, febbraio 1954.

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preparazione della pantomima A quelle heure un train partira-t-il pour Paris? appaiono così più comprensibili alla luce del clima di tensione al nuovo e di competizione tra i collaboratori che si era instaurato all’interno della rivista. Questo meccanismo suscettibile di produrre degli effetti sulla produzione dei redattori è esplicitato da una lettera di Apollinaire a Picasso in cui il direttore delle “Soirées” riferisce l’ira di Max Jacob per essere stato preceduto da Cendrars nella celebrazione della saga fantomassiana (Fantômas, “S.P.” n. 25) e annunciava a sua volta prossime rivincite, concretizzatesi con la pubblicazione dell’Ecrit pour la S.A.F 126. Così la necessità di essere continuamente presenti sulla rivista e sul campo con una produzione poetica tesa a riaffermare la novità e la priorità delle proprie realizzazioni contribuisce indubbiamente ad orientare le loro elaborazioni creative.

Nella primavera 1914, la querelle sul simultaneismo raggiunge livelli parossistici quando Barzun attaccò Apollinaire con accuse che andavano dal plagio a proposito di Lundi rue Christine e di altre composizioni al furto di termini e idee come l’orphisme. La disputa rigurdava soprattutto la priorità sulla simultaneità impressiva o tipografica127 che Cendrars aveva cercato di realizzare nella Prose du Transsibérien. Nonostante tutti gli sforzi per sintetizzare l’esperienza percettiva, la poesia restava però soggetta alle convenzioni tipografiche che la rendevano simultanea nello spirito ma successiva nella realizzazione, così che non si poteva, come aveva scritto Apollinaire nell’articolo sul Salon d’Automne pubblicato sul n. 19 della rivista, “revenir sur tel mot… au hasard” come nella pittura moderna.

Possiamo riferire a questo contesto le affermazioni riportate nel numero di gennaio-marzo 1914 di “Poème et Drame” circa le realizzazioni di Apollinaire, definito spregiativamente “ce distingué critique”: alla richiesta formulata da alcuni lettori se certe sue poesie pubblicate sulle “Soirées de Paris” potessero apparentarsi all’estetica

126 Cfr. nella corrispondenza Picasso/Apollinaire, Paris, Gallimard/Réunion des Musées Nationaux, 1992 la lettera di Apollinaire a Picasso del 14 luglio 1914: “Max lit toujours Fantômas ainsi que moi et tout le monde mais furieux que Blaise Cendrars ait déjà fait un poème sur Fantômas, il en prépare un autre destiné à rivaliser avec le premier”. 127 Cfr. Roger Shattuck, Une polémique d’Apollinaire, “Le Flâneur des deux rives”, n. 4, dic. 1954, pp. 41-45.

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simultaneista, Barzun risponde negativamente perché queste compo-sizioni si presentavano secondo una logica tipografica successiva, anche se l’autore pensava di renderle simultaneamente: la simultaneità esigeva forma e ritmi propri128.

Per comprendere meglio la situazione di Apollinaire che si sentiva continuamente attaccato all’interno dell’avanguardia e nel resto del mondo letterario a motivo della sua posizione avanzata, che gli era costata tra gli altri il posto come critico d’arte all’“Intransigeant”129, possiamo riferici ad una sua cartolina postale alla baronnessa, allora in Italia: “Les Soirées vont bien. Elles paraîtront demain […]. Où faut-il vous en envoyer un numéro? Travaillez bien. Je travaille aussi. Je suis en train de faire un déménagement intérieur. […] Tout va bien; on est plein de courage malgré les ennemis”130.

Si può pensare che non sia un caso se proprio allora, sotto la pressione del circuito che esigeva una presa di posizione tale da riaf-fermare la sua preminenza nell’avanguardia poetica e del suo ruolo di direttore di una rivista artistico-letteraria situata alla punta avanzata del nuovo, Apollinaire tende ad esprimere sino al limite le potenzialità visuali del testo scritto. La rivista, per il suo carattere di attualità, per il suo essere un laboratorio collettivo di idee, un “foyer vivant de rassemblement”, come scrive Tzara131, tende anche a favorire posizioni più avanzate di

128 “Poème et Drame”, gennaio-marzo 1914, p. 76. 129 A causa della difesa di Archipenko Apollinaire dovette dare le dimissioni dalla rubrica artistica dell’“Intransigeant”, cfr. la lettera con cui Balby, il direttore dell’“Intransigeant”, gli annunciò il 5 marzo 1914 la sua sospensione: “Vous vous êtes obstiné à ne défendre qu’une école, la plus avancée, avec une partialité et une exclusivité qui détonnent dans notre journal indépendant… la liberté qu’on vous a donnée n’impliquait pas dans mon esprit le droit de méconnaître tout ce qui n’est pas futuriste”, citata da P. Caizergues, Apollinaire journaliste, Paris, Minard, 1981, p. 103. 130 Cartolina postale del 21 aprile 1914, Fondo Apollinaire, donazione P.M. Adéma, Bibliothèque historique de la ville de Paris, citata da J.-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa…”, op. cit., p. 110. 131 “Les revues d’avant-garde à l’origine de la nouvelle poésie”, in Œuvres complètes, V, 1924-1963, Paris, Flammarion, 1982, p. 263.

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quelle che si manifestano in una pubblicazione personale; Burgos132, richiama l’attenzione sull’importanza delle riviste più o meno effimere del Novecento in cui gli scrittori non esitano, in modo più spontaneo, più audace ma anche più immediato, a impegnarsi in posizioni più avanzata di quanto non facciano altrove, tant’è vero che la battaglia sul simultaneismo si svolse soprattutto dalle pagine delle riviste come “Poème et Drame” e “Les Soirées de Paris” che ne pubblicano i testi più rappresentativi. Proprio queste pubblicazioni ci restituiscono con im-mediatezza il fervore delle ricerche del momento e non è irrilevante considerare che tutta l’attività di Apollinaire in questa fase (ad eccezione beninteso di quella giornalistica, rispetto alla quale si delinea comunque un gioco di rinvii e riferimenti) è pensata per apparire nella rivista e quindi orientata da questa destinazione. Nel suo Apollinaire journaliste Caizergues sostiene che Apollinaire era stato molto più libero di esprimersi in esperienze “revuiste” precedenti di quanto lo sarebbe stato nelle “Soirées”. In realtà le scelte tematiche e formali di Apollinaire sono innegabilmente orientate, e quindi delimitate, fin dall’inizio della sua traiettoria dalla problematica e dalle gerarchie del campo letterario, per il fatto stesso che costituiscono le coordinate rispetto alle quali egli definisce, progressivamente, con grande conpetenza, il suo progetto creatore. Gli esiti di questa produzione così controversa di Apollinaire risultano così più comprensibili se ricontestualizzati nella loro desti-nazione originaria.

In Simultanisme-Librettisme (“S.P.” n. 25), preceduto da una citazione liminare al “roi des voleurs”, Apollinaire commenta esplicitamente la propria pratica poetica, illustrando gli sforzi di simultaneità attuati nei suoi poèmes-conversation. Dopo aver svalutato gli esiti delle ricerche del suo rivale “c’est du théâtre”, Apollinaire afferma l’anteriorità delle proprie ricerche, oltre a quelle di Cendrars e di Marinetti, sul piano squisitamente tecnico:

On a donné ici des poèmes où cette simultanéité existait dans l’esprit et dans la lettre même puisqu’il est impossible de les lire sans concevoir

132 J. Burgos, “Sur la poétique de l’Esprit nouveau” in L’Esprit nouveau dans tous ses états, op. cit., p. 151.

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immédiatement la simultanéité de ce qu’ils expriment, poèmes-conversation où le poète au centre de la vie enregistre en quelque sorte le lyrisme ambiant. Et même l’impression de ces poèmes est plus simultanée que la notation successive de Barzun.

Tuttavia, se lo spirito di queste poesie era nuovo, esse restavano ancora soggette alle convenzioni tipografiche che conservando la successione lineare non si prestavano a rendere sensibile l’effetto di simultaneità. La competizione sul simultaneismo congiunta al fervore degli scambi creativi che sono tipici di questa fase incitano Apollinaire alla realizzazione poetica di un simultaneismo visivo da opporre alla “poesia scenica” di Barzun133. “Ici même, après s’être efforcé de simultanéiser l’esprit et la lettre des poèmes, de leur donner, si j’ose dire, le don d’ubiquité on s’efforcera aussi de faire faire un pas à cette question de l’impression nouvelle qui ne doit nullement être confondue avec la poésie scénique de M. Barzun […]”, ricerche in cui Barzun era stato preceduto dalle novità tipografiche dei futuristi, dalla Prose du Transsibérien di Cendrars e Sonia Delaunay, dal Sacre du Printemps di Voirol, “par mes poèmes différents par l’expression et l’impression de ceux qui précèdent et que mes amis ont vus et lus chez moi”. Con questo articolo Apollinaire ripercorre l’evoluzione del simultaneismo nella sua opera e offre le istruzioni per l’uso del testo successivo, la Lettre-Océan, che prolunga sul versante poetico la polemica con Barzun134. In questo primo ideogramma lirico Apollinaire procede nel suo gesto di liberazione dalla logica discorsiva, già intrapreso nei poèmes-conversation. Lettre-Océan vuole inaugurare una forma nuova di poesia in cui il testo è segno e senso insieme, sintesi di due linguaggi; sconvolgendo la disposizione convenzionale della poesia sulla pagina, Apollinaire cerca così di rendere l’unità dell’esperienza percettiva, integrando nel testo i frammenti sparsi del reale, linguaggio pubblicitario, monconi di conversazioni, grida, annunci in un insieme che mette in discussione il funzionamento e il

133 G. Apollinaire, Simultanisme-Librettisme, “S.P.” n. 25, p. 324. 134 Cfr. W. Bohn, L’imagination plastique des Calligrammes, “Que vlo-ve?” n. 28, 1981, in particolare p. 14 e sgg.

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senso stesso della poesia e dei segni che la compongono. La dislocazione dei segni nella pagina sostituisce l’ordine logico della sintassi e crea attraverso questo materiale eteroclito un ordine estetico creato dal poeta. Questi testi infatti, che come i poèmes-conversation, presentano un aspetto improvvisato, una dimensione ludica e umoristica, necessitano della competenza e della collaborazione del lettore che ne riconosca la funzione poetica. Come si è già detto, l’impossibilità di conoscere è un aspetto funzionale al nuovo lirismo apollinariano che impedisce alla rappresentazione poetica ogni possibilità di sistematizzazione all’interno delle conoscenze precostituite (“tu ne connaîtras jamais bien les Mayas”, Lettre-Océan). Così, varie e diverse sono le virtualità significanti di questo testo135 che le accoglie tutte: la figurazione realistica di una cartolina, le onde della TSF quali metafora dell’arte poetica, la città sorgente di poesia e il poeta come un sole (apollineo) che ricrea un proprio ordine, articolato intorno alla valenza visiva del linguaggio. La Lettre-Océan è fatta per essere letta e guardata come una delle riproduzioni artistiche che comparivano sulla rivista; in questo senso l’evoluzione in senso artistico-letterario della rivista coinvolge anche l’evoluzione poetica del direttore della rivista.

La valorizzazione della disposizione spaziale nella pagina era un aspetto implicito nel processo di liberazione del verso e nella concezione del testo come partitura propria del Coup de dés. Trattando la pagina come uno spazio figurativo, disponendo le parole in forma di disegni nel senso della globalità e multilinearità del testo dove tutto si percepisce con-temporaneamente Apollinaire non vuole rivaleggiare con la pittura ma superare il principio di successione discorsiva mediante la valorizzazione della dimensione fisica del linguaggio, sulla base dell’aspetto visivo dei segni; essi possono essere considerati come il risultato finale del sogno di un’arte universale136. Queste che avevano l’ambizione di essere le rea-lizzazioni poetiche più audaci dopo il Coup de dés di Mallarmé non si

135 Per un’analisi dettagliata rinvio al saggio di M. Richter, Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica agli inizi del Novecento, op. cit. 136 G. Apollinaire, Exposition Nathalie de Gontcharowa et Michel Larionow, “S.P.” nn. 26-27, p. 371.

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istituiscono come formulazioni definitive ma come sperimentazioni esposte per il loro statuto a errori e imperfezioni.

Gli ideogrammi lirici presentati nell’ultimo numero delle “Soirées de Paris” (Voyage, Paysage animé, La cravate et la montre, Coeur couronne et miroir) sono più della Lettre-Océan, ancora vicina per certi aspetti alle parole in libertà dei futuristi, una fusione tra l’immagine e la scrittura poetica; sono simultanei come rappresentazione visuale e successivi in quanto segno verbale, secondo il titolo progettato da Apollinaire per questa raccolta, Et moi aussi je suis peintre. Per giustificare le sue scelte e difendersi dalle accuse di stravaganza poetica che gli vennero rivolte nel mondo letterario137, e da parte degli stessi poeti dell’avanguardia come Cendrars138, Apollinaire fa precedere gli ideogrammi lirici pubblicati nell’ultimo numero da un articolo del critico letterario Gabriel Arbouin, collaboratore degli “Ecrits français” e di “Paris-Journal” che, pur non condividendo completamente queste ricerche, ne definisce gli aspetti innovativi sul piano della resa simultanea come una rivoluzione ai suoi inizi139, “parce qu’il faut que notre intelligence s’habitue à comprendre synthético-idéographiquement au lieu de analytico-discursivement”. I calligrammes realizzano anche la tendenza alla sintesi delle arti che era una delle parole d’ordine della rivista; Apollinaire non cercava tuttavia un’essenza comune a tutte le arti, come Wagner, ma ampliava il potere di creazione linguistica della poesia al di là del verso, al di là della parola stessa che interagisce con le immagini ed i suoni, riattivandoli. È come se la poesia eccedesse il

137 Sulla ricezione delle sue nuove poesie possiamo riferirci a André Warnod, critico d’arte a “Comoedia”: “Ce poème (?) [La Lettre-Océan] est sans doute une manière d’évocation du téléphone et de la télégraphie sans fil. Mais il n’empêche qu’on regrette de le voir signé par un poète au talent si grand. Ce soir, nous relirons Alcools”, “Comœdia”, 15 giugno 1914, pp. 340-341. 138 Cfr. la lettera di Cendrars a Robert Delaunay: “Je songe aux nombreuses cartes postales que nous vous avons envoyées l’année dernière avec leur enchevêtrement de signatures, d’exclamation, etc. Tout cela ne l’aurait pas inspiré? En somme, c’est ce qu’il a repris et coordonné… C’est du Picasso. Du raisonnement et non de la sensibilité”, riprodotta in “Sud”, numero speciale Blaise Cendrars, p. 100. È evidente che motivi di rivalità letteraria agiscono su queste considerazioni negatiive. 139 Definita come “une logique idéographique aboutissant à un ordre de disposition spatiale tout contraire à celui de la juxtaposition discursive”, “S.P.” nn. 26-27, p. 383.

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linguaggio verbale per utilizzare le risorse espressive di altri linguaggi, in modo più audace e sistematico di quanto si fosse fatto fin lì, concorrendo ad una visione sintetica del reale, riconfigurato nelle forme estetiche create dal poeta. Il titolo progettato per la sua raccolta di ideogrammi lirici, Et moi aussi je suis peintre!, indica come il poeta avesse acquisito una capacità di rappresentazione estetica che gli permetteva infine di competere sullo stesso piano con le ricerche pittoriche più avanzate, in uno sforzo estremo per riportare alla letteratura, alla poesia, il ruolo che l’audacia delle realizzazioni pittoriche le andava sottraendo. “Prépare un’art nouveau”, scriverà Apollinaire in L’Esprit nouveau et les poètes, “plus vaste que l’art simple des paroles”. Ripensando in quella circostanza al proprio apporto all’elaborazione della nuova letteratura, Apollinaire ne rivendica le modalità e potenzialità; se in precedenza “on écrivait en prose ou l’on écrivait en vers”140, la sua originalissima pratica poetica aveva esteso le sue funzioni oltre i limiti tradizionalmente assegnati a tale attività.

L’evoluzione poetica di Apollinaire che conduce ai calligrammes non può essere pienamente compresa se non si tiene conto della posizione della rivista che aveva fatto della sintesi delle arti la sua parola d’ordine. Noemi Blumenkranz-Onimus formula in particolare l’ipotesi che La Lettre-Océan con la sua disposizione a raggi possa essere stata stimolata dal raggismo di Larionov, esempio di “pittura pura” che tendeva a cancellare i limiti tra il quadro e natura in direzione di un’arte sintetica141. L’interesse di questi suggerimenti per il nostro proposito sta nel fatto che essi confermano l’importanza, indubbia, che la rivista ebbe nel processo creativo del poeta. È lecito anche considerare il fatto che senza “Les Soirées de Paris” i calligrammes probabilmente non sarebbero esistiti; in effetti il carattere sperimentale ad oltranza di queste realizzazioni, che hanno conosciuto una ricezione controversa all’interno della stessa avanguardia, le rendeva difficilmente proponibili in altre pubblicazioni.

140 Œuvres en prose complètes II, op. cit., p. 944. 141 N. Blumenkranz-Onimus, Apollinaire et l’avant-garde internationale, “Que-vlo ve ?”. 21-22, luglio-ottobre 1979, p. 17.

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L’immagine di Apollinaire come “pionnier et rassembleur”, “incitatore e […] apritore di idee […], di vie nuove verso nuovi, più liberi e più profondi orizzonti spirituali” che si era imposta alla vigilia della guerra ci sembra legata non solo alla pubblicazione di Alcools e dei Peintres cubistes come suggerisce Peter Read142, ma anche della rivista. La pubblicazione, in effetti, gli assicura una visibilità e una presenza costante nell’attualità letteraria che un’opera personale non potrebbe dargli; le sue poesie, le sue note e le sue prese di posizione sono lette e commentate mese dopo mese nel mondo culturale, favorendo la diffusione delle sue idee. Non è un caso, infatti, se egli associò gli anni della rivista al suo periodo più fecondo e all’elaborazione “di une esthétique toute neuve dont je n’ai plus retrouvé les ressorts”143 e se cercò, invano, di far rivivere quell’esperienza negli anni immediatamente successivi.

III. 9. Esiti della rivista

Le nuove “Soirées de Paris” ci rivelano una ricchezza di aspetti e una molteplicità di realizzazioni letterarie e artistiche che le attribuiscono un ruolo di primo piano tra le pubblicazioni dell’avant-guerre. Grazie alla novità dei testi e dell’apparato iconografico la rivista subisce una completa metamorfosi. Nel mondo letterario francese la trasformazione della rivista si attira le critiche severe delle pubblicazioni più tradizionali; interessante risulta la posizione del “Mercure” del 16 maggio 1914 che condanna esplicitamente sia i quadri sia i testi poetici pubblicati nella rivista.

Pour peu que la revue persévère, elle constituera une collection inappréciable de rebus à l’usage des gens à loisirs […]. Le texte n’est pas toujours sans participer de cette tendance à surprendre, M. Guillaume Apollinaire, de tous les signes de la ponctuation, ne retient que les points de suspension et que les points d’exclamation, pour en accidenter ses poèmes. Ils sont d’un humoriste qui aurait lu les premiers vers de Franc-Nohain et se serait promu de les dépasser. M. Apollinaire ne saurait

142 P. Read, “ ‘La Victoire d’Apollinaire’, contexte, sources et images” in L’Esprit nouveau dans tous ses états, op. cit., p. 204. 143 G. Apollinaire, Tendre comme le souvenir, Paris, Gallimard, 1952, pp. 70-71.

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croire qu’il y soit parvenu parce qu’il n’admettra pas cette parenté. Celle des “Chants” d’un Lautréamont lui conviendrait mieux, sans doute. Nos lecteurs décideront, d’après ce bref fragment: “Rotsoge”. “Printemps et cinématographe mêlés” de M. Max Jacob confirme l’originalité d’un poète exceptionnellement adroit et presque toujours intelligible […]. M. Jacob est un lyrique d’une fantasie incontestable.[…] A la réflexion, cet art-là n’est pas très loin de l’esthétique de François Coppée”.

Anche i versi di Journal di Cendrars vengono derisi: “Voilà pour charmer les après-midis de l’“Œdipe du Café des Patriotes” au Mans ou ailleurs”.144

La sua linea nuova trova invece il consenso di un pubblico competente e internazionale, costituito da scrittori, artisti, critici e galleristi.

La sezione poetica delle “Soirées de Paris” che doveva rappresentare i multiformi aspetti della produzione d’avanguardia è l’aspetto di gran lunga più interessante della pubblicazione a motivo della varietà delle espressioni rappresentate che raccolgono tecniche di collage (Lundi Rue Christine), poesie-manifesti come La Lettre-Océan, frammenti di conver-sazione, dépliants pubblicitari; la scrittura cerca di rendere il fluire della vita attraverso le trascrizioni di conversazioni, trova altre fonti di ispirazione nella vita moderna, nelle passioni collettive come lo sport o il cinema.

Il confronto continuo, gli aggiustamenti e le trasformazioni che intervengono danno vita ad uno stile proprio alla rivista, quello che si definisce lo “spirito” di una pubblicazione che opera una ristrutturazione del pensabile attraverso l’attenzione particolare rivolta alle arti popolari come “le Ciné” e il romanzo popolare, nella celebrazione del Fantômas, assunto come modello antiletterario per il suo stile orale, epopea della vita moderna che emerge dai giornali scandalistici145 o a determinati aspetti del mondo contemporaneo, come la passione collettiva per lo sport che distingue nettamente “Les Soirées de Paris” da tutte le altre pubblicazioni d’avanguardia e le attribuisce una posizione originale nel circuito delle riviste. 144 “Mercure de France”, Revue de la Quinzaine, 16 maggio 1914. 145 Cfr. la cronaca di Apollinaire sul “Mercure” del 26 luglio 1914.

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I principali redattori, quelli che si identificano maggiormente con lo stile collettivo della rivista, ne vengono influenzati. Gabrielle Buffet Picabia ha evocato malignamente l’opportunismo di Apollinaire che per diventare il capofila dell’avanguardia avrebbe lanciato delle mode come quella di Fantômas, “qu’il fallait lire et admirer pour faire partie du mouvement”146; e la stessa considerazione sulle motivazioni contingenti di un simile interesse si ritrova in Salmon147. In realtà la passione di Apollinaire per la letteratura popolare e commerciale, per le manife-stazioni popolari (i fascicoli di Nick Carter, i polizieschi di Sherlock Holmes, i romanzi di Jules Verne ecc.) risaliva alla giovinezza e si era rafforzata all’epoca del Bateau-Lavoir quando Apollinaire, Max Jacob e Picasso iniziano a frequentare assiduamente il circo. Nelle “Soirées” troviamo tracce di questo suo interesse negli accenni all’opera di Dumas padre (“S.P.” n. 21), alla ricchezza immaginativa di Wells e Verne (“S.P.” n. 25) e alle avventure dello stesso Fantômas (la citazione liminare del Fantômas a Simultanisme-Librettisme).

Attraverso la creazione di una rubrica consacrata al cinema Apollinaire compie un’operazione simbolica attraverso la quale rivendica implicitamente l’autorità di consacrare come consumi legittimi per gli intellettuali dei prodotti ritenuti fino ad allora l’espressione di una cultura inferiore e popolare come la serie di Nick Carter148 e soprattutto il Fantômas di Souvestre e Allain, proposti come letture poetiche e modelli di scrittura spontanea ed istintiva. L’atteggiamento semi-parodico e distanziato verso le forme di arte minore, integrate come materiale di riferimento nel sistema letterario, aveva avuto un precedente illustre in Rimbaud149 e dopo “Les Soirées” diviene una pratica comune a tutta

146 Cfr. G. Buffet, “Le Point”, 1937. 147 “Mes amis les amis de Fantômas ont pu avoir raison contre moi, qui ne marchais pas”, Souvenirs sans fin II, op. cit., p. 12. 148 Cfr. l’articolo di Harrison Reeves, Les Epopées populaires Américaines, “Soirées de Paris”, n. 22. Si veda Appendice. 149 Cfr. il celebre passo di “Alchimie du verbe”: “J’aimais les peintures idiotes […]; la littérature démodée, latin d’église, livres érotiques sans ortographe, romans de nos aïeules, contes de fées, petits livres de l’enfance, opéras vieux, refrains niais, rhytmes naïfs”, A.

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l’avanguardia, si pensi al caso di Duchamp150. La rubrica firmata da Maurice Raynal riconosce l’autonomia del

cinema – arte simultanea per eccellenza – in rapporto alle forme artistiche tradizionali151 e le possibilità impreviste, non realistiche, aperte dal nuovo mezzo espressivo. Secondo Raynal, le arti popolari sono le manifestazioni moderne dello spirito poetico, che – a differenza delle sorelle maggiori – non hanno ancora perso il loro potere di ricreare il reale:

Hâtons-nous, en effet, de rire de tout de peur d’être obligé d’en douter, et tâchons puisque faire le faut, à chercher quelque issue parmi la brillante floraison des scandales, des crimes et des catastrophes qui nous comblent vraiment ces temps-ci. Reconnaissons-là les influences précieuses de Rocambole, de Sherlock Holmes, de Fantômas et des romanciers policiers contemporains152.

In questo modo, egli appare come il precursore di un atteggiamento, l’apprezzamento della dimensione estetica dell’atto criminale, che poco dopo Gide con Les Caves du Vatican e poi i surrealisti renderanno di moda presso gli scrittori.

Accanto al cinema “Les Soirées” dedicano ampio spazio alla letteratura seriale come Nick Carter e Buffalo Bill153. In Les Epopées populaires américaines (“S.P.” n. 22) il giornalista americano Harrison Reeves conforta la strategia sul “nuovo” di Apollinaire e della rivista ap-plicandola alla letteratura popolare, considerata, a dispetto del pubblico,

Rimbaud, Une saison en enfer, in Œuvres complètes, Paris, Gallimard, “Bibliothèque de la Pléiade”, 1972, p. 106. 150 Per questo aspetto si rimanda a P. Durand, D’une rupture intégrale: avant-garde et transitions symboliques, “Pratiques”, 50, giugno 1986. 151 “Nous sommes des irréductibles adversaires de cette moderne manie d’adaptation de pièces ou de romans…”, “S.P.” n. 19. 152 “S.P.” n. 23. 153 A partire dal 1907 accanto ai tradizionali romanzi a puntate si diffusero in Francia dei fascicoletti di 32 pagine dedicati alle avventure di Buffalo Bill e Nick Carter, traduzioni di “dime novels” (romanzi a 10 cents americani). Nick Carter ottenne un tale successo da diventare l’eroe di una serie di film nel 1908 e nel 1909.

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non solo un’espressione letteraria (“le public américain n’a jamais reconnu Nick Carter, ni les autres épopées populaires comme étant de la littérature”) ma addiritura poetica (“tous les crimes dans ces épopées étaient commis pour des raisons poétiques”). Il carattere singolarmente realistico di queste realizzazioni disprezzate del pubblico di buon gusto che disdegnava “le nouveau en littérature, musique ou beaux arts” era quello giustamente riconosciuto e valorizzato dalle “Soirées”. Espri-mendo un paradosso che poteva estendersi anche alla poesia e all’arte francese, l’incomprensione del pubblico americano, incapace di apprez-zare l’originalità e il nuovo accomunava tanto l’autore di Nick Carter quanto il grande poeta americano Walt Whitman.

Il Fantômas di Cendrars viene a consacrare infine il carattere epico del romanzo e del cinema popolare con la creazione di un testo poetico ispirato al personaggio creato da Souvestre et Allain (“S.P.” n. 25):

Mais tout ce qui et machinerie mise en scène changement de décors etc etc Est directement plagié de Homer, ce Châtelet

Dopo essere stata evocata in precedenza, la saga di Fantômas invade tutto l’ultimo numero della rivista fino a costituire una dittatura fittizia sulle “Soirées de Paris”154 (Une dictature aux “Soirées de Paris” nn. 26-27). La rubrica di Raynal155 celebra allora la trasposizione cinematografica del ciclo “fantômassien” realizzata da Feuillade156 con un incipit degno del 154 “Une dictature aux Soirées de Paris. Les collaborateurs des Soirées de Paris sont instamment priés de ne plus envahir la revue avec leurs visions de Fantômas, car élever un roman policier à la hauteur d’une épopée mondiale, c’est encore encourager l’autorité à prendre les libertés les plus imprévues. Signé: Fantômas”, “S.P.” nn. 26-27. Notiamo che Apollinaire non interviene direttamente sulla questione fantomassiana nella rivista ma nel “Mercure” come per Nick Carter. 155 Si segnala inoltre il primo film a colori Eros, fantaisie grecque en couleur. 156 Tra il 1913 e il 1914 il regista realizzò cinque film interpretati da Louis Navarro che divenne un verio divo dell’epoca; i film di Feuillade si ispirano a un “realismo poetico” e introducono dei cambiamenti significativi nell’arte di filmare: alle scene in studio si sostituiscono le riprese nell’ambiente naturale che interviene nell’azione e acquista uno statuto proprio. L’uso degli oggetti e di luoghi banali o insoliti affascinano i poeti dell’avan-guardia.

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carattere epico che attribuisce all’opera: “O noblesse, o beauté!… Il est de ces sujets qui vous écrasent. […]. Mais, rien que dans ce film, touffu, compact et concentré, que de génie éclate!”. In competizione con Cendrars, che per primo lo aveva celebrato nella sua poesia, Max Jacob suggella la nascita del mito dell’antieroe con l’Ecrit pour la S.A.F 157 (“Société des Amis de Fantômas”) – società fittizia alla quale aderiscono oltre all’autore, Apollinaire, Cendrars, Raynal, Picasso, e “qui nous paraît ni moins mystérieuse ni moins digne d’intérêt que le Stendhal-Club158 ou le Baudelaire-Club”159 – ed esalta il gesto criminale puro incarnato da Fantômas: “Pour éveiller nos joies un beau crime est bien fait/ Quant à moi je sentais le besoin d’un héros/ plus grand que Bel-Ami et que Monte-Cristo, autre que des Esseintes ou le Maître de Forges” (Max Jacob, Ecrit pour la S.A.F). In spregio alla crisi del teatro contemporaneo i creatori di Fantômas si rivelano dei veri poeti “aigus, terribles, des auteurs dramatiques d’une ingéniosité unique” (Partie critique). Questa posizione è uno degli aspetti della lotta contro l’accademismo e il buon gusto borghese in favore dell’insolito, del curioso, del triviale, delle opere popolari apprezzate per quelle qualità di spontaneità che le distinguono dalla letteratura colta. In particolare, i ritmi forsennati della produzione industriale determinano un certo automatismo di scrittura che può favorire la messa in discussione delle convenzioni estetiche acquisite, del conformismo culturale e diventare una fonte di ispirazione per la poesia moderna.

Il procedimento inaugurato dalle “Soirées” fu adottato infatti dalle avanguardie successive che ripresero il culto di Fantômas come personificazione del Male ed esempio di scrittura libera dalle convenzioni letterarie160.

157 Ripreso nella Défense de Tartufe, Paris, Gallimard, 1964. 158 Cfr. in particolare Une séance nocturne au Stendhal-Club di Billy, pubblicato nella prima serie della rivista. 159 Note des rédacteurs des Soirées de Paris nn. 26-27, p. 359. 160 Tra i fans di Fantômas citiamo Cocteau, Robert Desnos che compose una Complainte de Fantômas con musica di K. Weill, trasmessa da Radio-Paris nel 1933; André Malraux e i surrealisti a loro volta ne faranno un simbolo.

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Un altro aspetto originale della rivista si manifesta anche nella valorizzazione di altre passioni popolari come lo sport, soggetto che risveglia egualmente la creatività dei redattori, citiamo al riguardo un articolo di Dalize (“S.P.” n. 20), un racconto di Raynal, Le boxeur et son ombre (“S.P.” nn. 26-27), una scultura di Archipenko, Boxe, (“S.P.” n. 25), il quadro di Picabia, Culture physique e la poesia di Mireille Havet ad esso dedicata, in un gioco continuo di riferimenti intertestuali che percorre la rivista161. L’articolo dello scrittore americano Alain Seeger pubblicato sull’ultimo numero, Le baseball aux Etats Unis (“S.P.” nn. 26-27), analizza questo fenomeno collettivo in relazione alla problematica modernista: “En effet, le grand titre du baseball d’être le jeu représentatif par excellence du modernisme, c’est précisément parce que c’est le plus bruyant de tous les sports”162.

La rivista crea così un gruppo unito dal culto parodico per Fantômas e dal gusto per i fenomeni popolari, posizioni comuni che danno vita ad uno spirito proprio alla rivista, creando una specie di movimento di iniziati163.

“Les Soirées de Paris” divengono il punto d’incontro di un nuovo che si riconosce in esperienze diverse, letterarie ed artistiche164 che fanno rumore e scandalo, e creano generi nuovi (gli ideogrammi lirici, il poema drammaturgico con Les chants de la mi-mort, il racconto di viaggio della baronessa, le costruzioni di Picasso e Archipenko…), esperienze nelle quali Apollinaire costituisce il punto di riferimento comune. In questo modo la rivista attira tutto quanto c’è di nuovo in arte e in letteratura, portando all’attenzione del pubblico sia artisti già conosciuti nella cerchia ristretta dell’avanguardia (Max Jacob, Cendrars) che lanciando artisti 161 Cfr. la testimonianza di F. Olivier, Picasso et ses amis, Paris, Stock, 1933, “Les distractions étaient peu variées dans ce milieu où l’esprit seul devait tenir lieu de tout. A part le cirque Médrano pour tous, la boxe pour certains comme Picasso, Braque ou Derain”, p. 163. 162 Le Baseball aux Etats-Unis, “S. P.” nn. 26-27, p. 450. 163 W. Bohn, Apollinaire visual poetry and art criticism, Lewisburg, London, Toronto, Bucknell University Press – Associated Press, 1993, p. 136. 164 Cfr. per tutti un esponente della generazione successiva come Paul Dermée: “Cette revue fut le lieu de ralliement de toutes les forces novatrices d’avant-garde”.

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nuovi (come De Chirico, Savinio). Ampio spazio viene dato agli stranieri, alle personalità e alle tendenze del panorama letterario, artistico e musicale in Inghilterra, in Germania e le pagine delle “Soirées de Paris” ci offrono un panorama variegato delle ricerche dell’avanguardia attraverso le note critiche della rivista, che presentano la pittura tedesca, Kandinski165 e Kokoschka, come pure i futuristi e i numerosi artisti stranieri operanti a Parigi da De Chirico ad Archipenko, Survage, Larionov, la Gontcharova.

Così per esempio le Notes anglaises di Horace Holley ricostruiscono un momento significativo della letteratura inglese moderna attraverso le celebri riviste del 1890 come “Yellow Book” (Wilde, Symons, Beardsley) e “Savoy” (Shaw, Kipling, Chesterton), “plus que des magazines, ce sont des bouquets dont le parfum s’est gardé jusqu’à nous”. Il n. 21 rende invece conto di alcune pubblicazioni come la raccolta Irradiations di J. Fletcher, che si richiama al “sens rythmique ou le sens créateur […] qui est l’essence même de notre époque”, citando la scuola anglo-americana di Parigi, ispirata al verso libero whitmaniano; nel n. 22 evoca invece la poesia cubista di Gertrude Stein e di Marinetti (?) e contro il nuovo a tutti i costi preconizza il rinnovamento dell’espressione artistica come una esperienza nuova soprattutto sul piano percettivo. L’ultimo numero166 rappresenta il climax della presenza inglese e americana nella rivista che si traduce in un’ampia nota di H. Gambedoo (alias Holley)167 sui nuovi poeti inglesi e americani, con la riproduzione di poesie tradotte in francese, e in un articolo antologia di F.S. Flint, redattore della French Chronicle di “Poetry and Drama”, sul movimento imagista, sollecitato da Apollinaire168 che riproduce a sua volta delle composizioni in lingua

165 La nota su Kandiski, a seguito della pubblicazione di un Album dedicatogli da “Der Sturm” gli era stata richiesta da Walden il 16 marzo 1914, Corrispondance Guillaume Apollinaire-Herwarth Walden, op. cit., pp. 78-79. 166 Cfr. infra. 167 Sullo pseudonimo H. Gambedoo adottato da Holley cfr. W. Bohn in “Revue des Lettres modernes”, n. 9, 1970 e Pierre Caizergues e J. Stallano, “Apollinaire et les avant-gardes anglosaxonnes” in Apollinaire devant les avant-gardes européennes, op. cit. 168 Ibid., p. 92.

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originale di Aldington, di Carlos Williams, H.D (Hilda Doolittle), Pound e dello stesso Flint.

L’ultimo punto che vorremmo affrontare qui riguarda la scelta dell’apparato iconografico inserito nella rivista; gli artisti che compaiono nella rivista sono quelli che Apollinaire aveva sempre sostenuto, con la sola eccezione di Delaunay169. Il primo numero è consacrato, come era dovuto, a Picasso che presenta delle rivoluzionarie “Natures mortes”, costruzioni polimateriche astratte oggi perdute. Al numero successivo, dedicato agli artisti del Salon d’Automne, seguirono i numeri monografici sul Douanier Rousseau (n. 20), Derain (n. 21), Picabia (n. 22), Braque (n. 23), Matisse (n. 24), Archipenko (n. 25), e nell’ultimo numero della rivista, Léger, de Vlaminck e il caricaturista de Zayas170, collaboratore della rivista americana di Stieglitz, “Camera Work”. Queste riproduzioni assicurano la fama delle “Soirées de Paris” e ne giustificano il posto privilegiato che occupano nella storia dell’arte moderna, contribuendo a far conoscere ed apprezzare in Francia e all’estero artisti ancora discussi o ignorati. È così per esempio che il principale critico d’arte americano dell’epoca Henry Mc Bride è introdotto all’opera del Douanier Rousseau dal numero speciale delle “Soirées” a lui dedicate (“S.P.” n. 20).

Les Soirées de Paris devenaient un événement artistique mensuel, présentant l’art contemporain comme un produit à la mode, digne de l’intérêt des collectionneurs du “beau monde” parisien, et mieux encore, international 171.

Grazie alla loro supremazia sul piano della creazione poetica, al prestigio del loro direttore e dei collaboratori, agli sforzi di rinnovamento delle arti, “Les Soirées de Paris” s’impongono per la loro posizione originale, sintesi delle tendenze più avanzate in ambito letterario e artistico, tese a promuovere nuovi valori artistici. Billy stesso riconosce il loro successo: “Sur un plan tout différent, il est vrai, de celui qu’il

169 Le relazioni con Delaunay si deteriorano nel corso del 1914 a seguito di un malinteso sulla derivazione futurista delle sue ricerche e per il sostegno a Cendrars durante la querelle sul simultaneismo. 170 Cfr. W. Bohn, Apollinaire and the International Avant-garde, op. cit. 171 Cfr Y. Chevrefils-Desbiolles, Les revues d’art à Paris, Paris, Ent’revues, 1993.

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[Dalize] envisageait, Les Soirées de Paris ont réussi. Leur titre, du moins, a fait fortune. Elles ont leur part dans l’histoire de l’art moderne!”172

III. 10. “Les Soirées de Paris” nel circuito transnazionale

dell’avanguardia

Alla luce delle disposizioni proprie ai direttori della rivista e della tendenza generale all’apertura internazionale che caratterizza il mondo letterario nell’immediata vigilia della guerra si comprende meglio la posizione dominante che occupano “Les Soirées” tanto nel circuito nazionale che in quello transnazionale.

In ambito francese, “Poème et Drame” finì per alienearsi il consenso e le collaborazioni che inzialmente non le erano mancate a causa del suo dogmatismo e della virulenza con la quale attaccava tutte le posizioni diverse dalle proprie.

I rapporti delle “Soirées” con “Montjoie!” non erano conflittuali, dato che vi ritroviamo alcuni degli stessi collaboratori (Cendrars, Max Jacob, Divoire, Léger, Raynal…), ma piuttosto di scambio e di collaborazione. Tuttavia “Montjoie!”, pubblicazione orientata all’internazionale come “Les Soirées”, aveva indubbiamente una posizione più debole rispetto alla pubblicazione di Apollinaire sul piano creativo e meno avanzata; vi ritroviamo per esempio esponenti del movimento neo-classico173 come Clouard e J.M. Bernard, dichiarazioni antidemocratiche e antisemite174. Grazie ad Apollinaire, direttore e poeta, “Les Soirées” hanno indub-biamente un prestigio più alto sul piano dell’elaborazione creativa e possono offrire al pubblico la produzione dei poeti e degli artisti più significativi dell’epoca, Picasso, Braque, Derain, Picabia che non sono presenti nella rivista di Canudo, e dei giovani talenti come Savinio.

Per quanto riguarda il contesto internazionale dobbiamo osservare che nonostante la collaborazione e gli scambi instaurati tra Apollinaire e

172 Catalogo delle Soirées de Paris, op. cit. 173 Cfr. A.P. Mossetto-Campra, “L’esprit de Montjoie”, “Montjoie” ou la ronde des formes et des rythmes, op. cit., p. 62 e sgg. 174 Cfr. J. Reboul, Le juif au théâtre, “Montjoie!” n. 7, 16 maggio 1913.

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il direttore di “Der Sturm”175 e le intense relazioni dei direttori delle “Soirées” con l’équipe di “Lacerba” 176 il rapporto tra la rivista francese e le consorelle europee è alquanto diseguale, a dispetto delle richieste reciproche di collaborazione177. Se durante la seconda fase delle “Soirées de Paris” Apollinaire è presente in entrambi le riviste”178, presenza che conferma ed espande il suo prestigio internazionale, a sua volta la presenza della rivista berlinese nella pubblicazione di Apollinaire consiste

175 Cfr. Corrispondance Guillaume Apollinaire-Herwarth Walden, op. cit., pp. 78-79. 176 In particolare la residenza parigina dei mecenati diventa il punto d’incontro ufficiale tra l’avanguardia francese e l’avanguardia italiana, anche e soprattutto dopo la secessione dei fiorentini Papini, Soffici, Palazzeschi dai futuristi milanesi. 177 L’8 ottobre 1913 Soffici chiede informazioni a Apollinaire circa una sua ventilata collaborazione alle rinnovate “Soirées”: “Mme d’Œttingen m’écrit que vous voudriez avoir pour vos “Soirées de Paris” quelque chose de moi. Elle ne m’explique pas cependant de quoi il s’agit, et je voudrais que vous me le disiez en détail”, Guillaume Apollinaire, 202 Bv Saint-Germain, op. cit., pp. 74-75. Il 5 ottobre la baronne lanciava la richiesta: “Apollinaire qui a prit la direction des “Soirées de Paris” nous dit qu’il serait content d’avoir de vous des notes d’Italie ou quelque chose de ce genre. Je crois que vous ferez bien d’accepter cette invitation. Les “Soirées de Paris” vont devenir une revue moderne à excès, il y aura des reproductions de tableaux dans chaque N”, lettera a Soffici citata da J.-F. Rodriguez, “Yadwiga disastrosa donna russa…”, op. cit., p. 105. Il 10 ottobre Apollinaire precisa ulteriormente la sua richiesta:“oui, je voudrais de vous des études sur l’Italie – notes substantielles. Ce n’est pas tout à fait la rubrique du Mercure, ce sont de véritables articles où seraient exposés les rapports entre France et Italie […]. En échange de votre collaboration aux Soirées et jusqu’au moment où il sera possible de payer je vous promets la mienne à Lacerba et je vous enverrai prochainement un poème. Si vous voulez faire un article sur toute la nouvelle génération littéraire italienne j’y consacrerai volontiers un numéro”, Guillaume Apollinaire, 202 Bd Saint Germain, op. cit., p. 76. Nel gennaio 1914 Apollinaire chiede a Papini di incoraggiare Soffici a “tenir sa promesse d’une lettre d’Italie pour Les Soirées dont service vous est fait – promesse confirmeée par une note de Lacerbe [sic]. Et vous si vous voulez bien, envoyez-moi aussi quelque chose et au besoin, de petites notes vraies ou fausses sur ce qui se passe en Italie […] quelque chose sur la philosophie en France et en Italie, serait bien”, cfr. Sergio Zoppi, “Papini e la Francia”, in P. Bagnoli (a cura di) Giovanni Papini, l’uomo impossibile, Firenze, Sansoni editore, 1982, p. 106; Papini acconsentì alla richiesta di Apollinaire e pubblicò l’articolo Deux Philosophes su Croce e Bergson nel numero 22 delle “Soirées”, nessuna traccia invece nelle “Soirées” della Lettre d’Italie così insistentemente richiesta a Soffici. 178 Rotsoge, “Der Sturm”, maggio 1914; Le Los du Douanier (Souvenir du Douanier), “Der Sturm” luglio 1914; Banalités e Quelconqueries in “Lacerba”, aprile, giugno, luglio 1914.

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principalmente nella segnalazione di manifestazioni artistiche e di iniziative editoriali, mentre quella di “Lacerba” si limita essenzialmente a un articolo di Papini, Les Deux philosophes, e alla poesia di Soffici, Masque 179.

Per comprendere le ambiguità che sottendono queste relazioni, che sono anche rapporti di forza, bisogna in effetti riconoscere che l’unificazione dell’avanguardia internazionale al “meridiano parigino” non è priva di resistenze, dato che se è vero che Parigi ha sempre esercitato un ruolo dominante è anche vero che nello spazio europeo ci sono sempre state più capitali. Si può comprendere allora che all’opposto della visione idilliaca dei rapporti letterari tra le avanguardie europee, ispirata ad un’immagine dell’Europa dello spirito, unita dall’amore disinteressato dell’arte, gli scambi e le offerte di collaborazione non nascondano allo stesso tempo secondi fini più o meno interessati. Così Herwarth Walden ritiene che la sua rivista debba diventare il crocevia dell’avanguardia europea mentre, come scrive Mario Richter, “Soffici desiderava che “Lacerba” s’imponesse per la qualità delle sue opere anche nella capitale francese e diventasse e – magari affiancandosi alle apollinariane “Soirées de Paris” o addirittura sostituendole – potessero diventare il luogo d’incontro della modernità europea come ricupero ed espressione di un primato italiano orficamente inteso”180. Apollinaire sottolinea invece l’apertura internazionale di cui doveva farsi portavoce la rivista fiorentina in una lettera a Soffici del 9 gennaio 1914: “Je suis extrêment favorable à votre mouvement en tout ce qu’il a de large, d’international, de joyeux, de brutal, de non compassé, de non pompier”. Queste divergenze spiegano come i progetti di effettiva collaborazione tra le riviste, e persino una ventilata fusione tra la pubblicazione parigina e quella fiorentina, siano inevitabilmente soggetti a resistenze. La collaborazione tra “Camera Work”, la rivista di Stieglitz, e “Les Soirées de Paris” avrebbe potuto probabilmente rivelarsi più fruttuosa; lo testimonia la presenza nella sezione iconografica delle caricature astratte

179 Papini, Deux Philosophes, “Les Soirées de Paris” n. 22 e Soffici, Masque, “Soirées de Paris” n. 25. 180 M. Richter, Introduzione al Carteggio Papini-Soffici II, op. cit., p. 30.

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di Marius de Zayas, collaboratore della pubblicazione americana, e la sua partecipazione all’ideazione della pantomima A quelle heure un train partira-t-il pour Paris, che avrebbe dovuto essere lanciata proprio in America quando la guerra venne ad interrompere l’attività della rivista francese ma non la sua influenza sullo sviluppo dell’avanguardia oltreoceano.

Insieme a “Der Sturm”, a “Lacerba”, a “Montjoie!” e in misura minore “Poetry and Drama”, “Les Soirées de Paris” contribuiscono alla costituzione di un circuito transnazionale dell’avanguardia con le proprie istituzioni, le riviste stesse e le loro emanazioni (gallerie, salon, case editrici), le proprie forme estetiche e i propri valori, in cui le arti colloquiano tra di loro, realizzando prodotti culturali originali che si rivolgono a un pubblico internazionale composto da scrittori e artisti, collezionisti e mecenati, una comunità babelica, continuamente avida di novità.

Per il prestigio straordinario del loro direttore e gli atout diversi che attraverso di lui cumulano nei diversi ambiti di interesse in cui operano “Les Soirées” sono indubbiamente al centro di questa rete, citate dalle principali riviste d’avanguardia come termine di paragone della mo-dernità artistica, una “very modern review, futurist, cubist”.181 Nel giugno 1914 il poeta imagista Aldington testimonia su “The Egoist” la fama internazionale acquisita della rivista, “from what I can hear this review, edited by M. Guillaume Apollinaire, is one of the most up-to-date and interesting of the French journals”182, e propone Rotsoge di Apollinaire e Journal di Cendrars quali esempi significativi dell’orien-tamento avanzato della pubblicazione. È interessante notare che Aldington – che non possedeva la rivista e citava dal “Mercure de France” – manifesta il suo apprezzamento proprio per quei testi così disprezzati da Hirsch: “it will be observed that M. Guillaume Apollinaire has decided to despense with punctuation, except in certain places. The result is rather pleasing”.

Senza il ruolo di confronto, di scambio e di comunicazione incessante che questa rivista, insostituibile passeuse dell’innovazione, ha svolto in

181 “Poetry and Drama”, giugno 1914. 182 W. Bohn, Apollinaire and the international avant-garde, op. cit., p. 21.

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questo periodo tra le frontiere culturali, simboliche, linguistiche e artistiche, il sogno apollinariano di un’internazionale avanguardistica, di “un art universel” non sarebbe stato certamente possibile.

III. 11. Effetti su Apollinaire e sugli altri collaboratori

Come hanno ben dimostrato gli studi condotti in quest’ambito una rivista non è solo una giustapposizione di contributi, ma è un piccolo microcosmo, un minuscolo campo di forze che trasforma tutti quelli che vi contribuiscono e soprattutto coloro che sono maggiormente coinvolti in questa esperienza183. Alla tensione sperimentale in direzione dell’arte totale che caratterizza la posizione della rivista possiamo così ricondurre per esempio il progetto della pantomima A quelle heure un train partira-t-il pour Paris? del luglio 1914 che Apollinaire prepara in collaborazione con Zayas, Picabia e Savinio, generalmente definita uno degli esiti migliori della drammaturgia apollinariana184. Apollinaire che, come abbiamo visto, nelle “Soirées” aveva prestato la sua multiforme attenzione anche alle esperienze teatrali, sviluppa nella pantomima il motivo del Musicien de Saint-Merry, attribuendo però al linguaggio verbale solo uno degli aspetti dell’opera i cui i singoli elementi convergono a creare una zona di simul-taneità spaziale e temporale (attraverso la musica, le scene, i costumi, le proiezioni cinematografiche, gli effetti sonori). Non conosciamo molto circa il ruolo svolto dagli altri collaboratori, ma non ci sembra esagerato presumere che la collaborazione con Apollinaire abbia potuto avere una certa importanza nell’evoluzione dada di Picabia, come per Zayas che si impegna a sua volta nel lancio di una rivista innovativa, “291”, e Savinio che, come è noto, è stato così profondamente segnato da Apollinaire e dalla sua rivista che essa non ha cessato di costituire un nucleo mitico del suo immaginario e dalla sua elaborazione estetica185.

Così gli effetti della rivista non si limitano ad Apollinaire ma riguardano tutti i principali collaboratori coinvolti in quest’esperienza.

183 Cfr. Anna Boschetti, Des revues et des hommes, art. cit. 184 Cfr. Peter Read, Apollinaire et Les Mamelles de Tirésias, la revanche d’Eros, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2000, p. 56. 185 Vedi soprattutto Casa la vita, op. cit.

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Dopo il vero debutto alle “Soirées de Paris”, la baronessa comincia a farsi conoscere come romanziere186 e come critico187 con lo pseudonimo di Roch Grey e a collaborare ad altre riviste d’avanguardia come “Sic” e “Nord-Sud”. È indubbio che “Les Soirées de Paris” abbiano svolto un ruolo decisivo nel suo percorso, alle quali resterà comunque sempre legata la sua fama.

Per Raynal “Les Soirées” furono certamente una grande occasione per affermare una posizione originale come artista e come critico; la redazione di una rubrica così peculiare come quella cinematografica, infatti, gli consente di ottenere visibilità e prestigio presso il pubblico del circuito dell’avanguardia. Collaboratore in seguito delle principali riviste avanzate, “Nord-Sud”, “Montparnasse”, “L’Esprit Nouveau”, nel dopo-guerra redige la cronaca artistica dell’“Intransigeant” sotto lo pseudo-nimo di Aveugles188 e diviene lo storico ufficiale della pittura moderna (Anthologie de la peinture moderne de 1906 à nos jours, Stock, 1927) e del cubismo (Histoire du cubisme).

Grazie alle “Soirées” anche Max Jacob e Cendrars ottengono una grande visibilità: i loro testi sono letti e segnalati in Francia e all’estero. Nello spirito di emulazione che caratterizza la rivista Max Jacob dispiega un’intensa attività per creare o mettere a punto dei testi da pubblicare nelle “Soirées”, attività che contribuisce alla pubblicazione di opere fondamentali come Le Cornet à dés (1916) e Le Laboratoire central; anche per Cendrars la produzione delle “Soirées” costituisce una tappa fon-damentale nel suo percorso poetico, che confluisce nei Dix-neufs poèmes élastiques (1919), una delle grandi opere poetiche del dopoguerra. Possiamo dire che è grazie anche alla rivista che questa fase di intensa elaborazione creativa si è aperta per loro, come per gli altri collaboratori della rivista, per gli artisti e per i giovani debuttanti Savinio e Mireille

186 Con lo pseudonimo di Roch Grey pubblica in particolare romanzi, Le Château de l’Etang Rouge nel 1926; Les Trois Lacs, Bourget, Léman, Annecy, 1927, Age de fer, 1928, Billet circulaire n. 89 nel 1929; come Léonard Pieux pubblica nel 1919 Poèmes presso le edizioni di “Sic”. 187 Guillaume Apollinaire, Editions SIC, 1919; Henri Rousseau, Edition Valori Plastici-Crès, 1921, Van Gogh, Edition Valori Plastici-Crès, 1924. 188 Cfr. in particolare Y. Chevrefils Desbiolles, Les revues d’art à Paris 1905-1940, op. cit.

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Havet, la cui partecipazione alla rivista ha indubbiamente lanciato e orientato la loro carriera successiva. Così attraverso “Les Soirées” è possibile valorizzare il ruolo che le riviste hanno svolto nella vita letteraria e artistica del Novecento.

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Attraverso l’evoluzione della rivista, si è potuto osservare il processo attraverso il quale Apollinaire definisce progressivamente orientamenti e direzioni della sua ricerca, le cui dinamiche ci appaiono legate e orientate dalla posizione delle “Soirées de Paris” nella seconda fase della loro esistenza. La rivista non è solo il luogo e l’oggetto di questo rinno-vamento ma ne è allo stesso tempo il motore; creazione e emanazione di Apollinaire, essa è certamente un elemento di cui tener conto per comprendere le scelte estetiche del suo direttore. Se il legame tra la produzione di Apollinaire e la posizione della rivista era già emerso nella prima serie, questo aspetto si accentua ulteriormente nel corso della seconda fase, quando Apollinaire è ancora più strettamente associato al progetto ed è tenuto a competere per affermare l’originalità e l’audacia delle sue sperimentazioni. Il partito preso di innovazione delle “Soirées de Paris” impegna di fatto il suo direttore, considerato il capofila dell’a-vanguardia, a non smentire nella pratica poetica la tendenza sperimentale fatta propria dalla rivista. Apollinaire incarna così il modello dell’artista nuovo che non cessa di rimettere in causa le proprie acquisizioni. Basta leggere in ordine di pubblicazione i testi apparsi nelle “Les Soirées de Paris” per rilevare che ciascuna di queste composizioni è una rea-lizzazione profondamente originale, inserita in un percorso che appare dominato dalla volontà costante di superamento. Questa tensione al rinnovamento continuo mi sembra uno degli effetti prodotti dalla rivista nella sua ricerca e esaltazione del nuovo, e non è un caso se la poesia di Apollinaire raggiunge in questo periodo una eccezionale tensione creativa.

“Les Soirées” diffondono e perpetuano la sua opera e quella dei suoi collaboratori e divengono l’organo delle nuove idee e il paradigma culturale dell’avanguardia. Inoltre, visto che si attribuisce maggiore importanza ad una tendenza collettiva piuttosto che ad una posizione

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individuale, “Les Soirées” affermano la prevalenza di Apollinaire sui suoi rivali letterari grazie all’effetto di visibilità offerto dalla rivista intorno alla quale si era riunito il meglio dell’avanguardia letteraria ed artistica del tempo, da Max Jacob a Cendrars, da Survage, alla Gontcharova, fino a Larionov e Savinio… La fama e il prestigio così conquistati da Apollinaire sono internazionali, come mostra il ventaglio delle proposte di collaborazione che gli vengono sottoposte durante la guerra189. E non è un caso che proprio i principi realizzati creativamente nella rivista, l’estetica della sorpresa, la valorizzazione del cinema, la sintesi delle arti siano poi assunti nell’Esprit nouveau et les poètes quali elementi fondanti della sua arte.

Così riprendendo un’affermazione di Albert-Birot che sottolinea il ruolo maieutico di “Sic” nel suo percorso – “je suis né le Ier janvier 1916, en même temps que ma revue Sic qui eût cette particularité d’être à la fois ma mère et ma fille”190 –, non è esagerato affermare che “Les Soirées de Paris” contribuiscono a diffondere la fama di Apollinaire allo stesso modo in cui il poeta crea ed assicura la reputazione della rivista come capostipite delle riviste d’avanguardia.

Nel nostro percorso attraverso la rivista abbiamo mostrato come il cosiddetto ultimo grande poeta, come viene definito nella vulgata sur-realista, debba molto della sua gloria e del suo prestigio ad una pub-blicazione collettiva; come lungi dall’essere l’espressione di una ricerca solitaria e personale la sua attività si sia costantemente definita in rapporto allo spazio letterario in cui si inscrive e alle problematiche che lo definiscono, e come l’appartenza a una rivista, come ad un gruppo, sia uno dei fattori che bisogna considerare per comprendere l’evoluzione dell’opera di uno scrittore.

Dall’entusiasmo di Zayas per le ricerche delle “Soirées de Paris” nacque nel marzo 1915 la rivista “291”, ispirata al modello della rivista di Apollinaire e determinata a proseguirne le sperimentazioni191. La rivista è 189 Citeremo in particolare per le pubblicazioni italiane (“La Brigata”, “La Diana), catalane (“L’instant”, “La Revista”), svizzere (“L’éventail”). 190 In T. Tzara, “Les revues d’avant-garde à l’origine de la nouvelle poésie” in Œuvres complètes, V, 1924-1963, op. cit., p. 696. 191 W. Bohn, Apollinaire and the International Avant-garde, op. cit.

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posta sotto il segno del Simultaneism, manifesto inaugurale che riprende alla lettera i concetti esposti in Simultanisme-Librettisme e i principi estetici di Apollinaire che avevano trovato concretizzazione nella sua rivista: la sorpresa, la spontaneità, il modernismo, l’attenzione per la contem-poraneità e la tensione all’originalità e all’innovazione. Tali orientamenti sono illustrati con la pubblicazione dei calligrammes di Apollinaire Voyage, già apparsi nell’ultimo numero delle “Soirées” e di un poème-conversation creato dallo stesso Zayas. Tra il 1917 e il 1924 Picabia pubblicò “391” che si situa in linea di continuità rispetto a “291”; nella copertina del n. 8 (febbraio 1919) viene raffigurata una Construction moléculaire di Picabia che ricostruisce visivamente la genealogia della rivista come pure la sua rete relazionale che comprende artisti – Gabrielle Buffet, Stieglitz, Zayas, Varèse, Duchamp, Picabia, Tzara, Ribemont-Dessaignes, Crotti – e riviste, da “Camera work” a “Blind man”, da “291” a “391” e “Dada”: Apollinaire e “Les Soirées de Paris” si in-scrivono tra gli elementi costruttivi di questa filiazione avanguardistica. Anche la rivista di Picabia, che divenne presto uno dei più importanti periodici Dada, si dedica agli esperimenti tipografici e alle fusioni ideogrammatiche di elementi figurativi e verbali, esercitando una grande influenza sul movimento e sullo sviluppo della letteratura moderna. Così, come sostiene Willard Bohn:

in a fitting tribute to the power of Apollinaire’s original inspiration, the experiments begun by him in 1914 came full circle and returned to Europe in 1917. Renewed by their American experience, they injected new vigor into European literature192.

Non è un caso se “The Little Review”, la rivista di Pound, nel 1917 si ispira alle “Soirées” come modello di rivista innovativa,193 mentre a loro volta “Sic” e “Nord Sud” riprendono e rilanciano la sfida sull’inno-vazione artistica lanciata prima della guerra dalle “Soirées de Paris”. Attraverso la lettura di riviste come “Les Soirées de Paris” si forma il

192 W. Bohn, Apollinaire et l’homme sans visage, op. cit., p. 50. 193 Cfr. la lettera di Pound del 13 settembre 1917: “There is a chance to do what the Soirées de Paris was doing before the war”, citato da W. Bohn, Apollinaire and the International Avant-garde, op. cit., p. 32.

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gusto della nuova generazione letteraria, che ha modo di conoscere e confrontarsi con le ricerche condotte dai suoi aînés alla vigilia della guerra. Alla fine del 1915 il giovane Breton scrive la sua prima lettera ad Apollinaire in cui esprime la sua ammirazione per i versi di Alcools e per quelli pubblicati nelle “Soirées de Paris”194 che in seguito fa conoscere a Aragon. Non è esagerato affermare che è grazie alle “Soirées de Paris” che Apollinaire s’impone alla vigilia della guerra come il capofila dell’avanguardia agli occhi di Breton, Aragon, Soupault, e di tutti gli altri giovani che in riviste come “Sic” e “Nord-Sud” riconosceranno in lui il poeta che ha meglio prepararato e ispirato le loro ricerche.

Grazie alla libertà di atteggiamento che Apollinaire istituisce nella pubblicazione “Les Soirées de Paris” inventano un modello nuovo per le riviste d’avanguardia, “prototype […] imité plus qu’égalé”195, in cui convivono arte, letteratura, linguaggi eterogenei, tesi a rielaborare la nuova complessità del reale. Esse restano il paradigma di una disponibilità inventiva che non ritroveremo nelle stesse forme nelle sue eredi successive.

194 André Breton. La Beauté convulsive, catalogue de l’exposition, Paris, Editions du Centre Pompidou, 1991, p. 87. 195 Cfr. I. Violante Picon, “Les Soirées de Paris (1912-1914): du cubisme au surréalisme en passant par le futurisme”, art. cit., p. 35.

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APPENDICE

I testi qui riuniti formano dei percorsi tematici all’interno delle pro-blematiche definite dalla rivista tra la prima e la seconda serie. Si tratta innan-zitutto di testi che evocano alcuni aspetti dell’elaborazione poetica di Apollinaire (Le Pont Mirabeau prima versione) o di quella critica, come il gruppo delle Notes d’art ripreso nella sezione centrale delle Méditations esthétiques at-traverso le quali è possibile seguire da vicino l’articolazione tra la pratica poetica e la riflessione estetica. In altri casi i testi precisano il contesto e le modalità di questa evoluzione (A. Billy, Comment je suis devenu poète).

Per quanto riguarda gli altri redattori della prima serie delle “Soirées” si è cercato di offrire degli spunti suscettibili di illustrare la posizione della rivista attraverso documenti altrimenti poco disponibili (A. Tudesq, Sacrifions aux modes du jours; A. Billy, Paul Léautaud).

Per la seconda serie si è cercato di ricostituire, dall’insieme delle colla-borazioni, dei gruppi di testi tesi a restituire lo spirito della rivista e a definirne l’originalità. Così le prose e le poesie di Max Jacob poi confluite nel Cornet à dés, nel Laboratoire Central, nella Défense de Tartufe si ricompongono in un insieme organico andando a formare quell’autoritratto dell’artista moderno che ispira la collaborazione del poeta bretone alla rivista di Apollinaire. Le poesie di Cendrars, Soffici, Rouault, le prose di Mireille Havet sperimentano altre virtualità dell’espressione letteraria, la cui esplorazione è al centro della ricerca intrapresa dalla rivista intorno alla contaminazione dei generi. Sul versante della produ-zione critica il ricordo di Roch Grey sul Douanier Rousseau, gli articoli di Harrison Reeves e Maurice Raynal sulla valorizzazione della letteratura po-polare, gli interventi di Savinio, Léger, Survage che preconizzano la sintesi delle arti formano un insieme rappresentativo di quel laboratorio culturale del-l’avanguardia che furono “Les Soirées de Paris”.

Il nostro percorso si compie con una sezione iconografica relativa ad alcune delle opere illustrate nella rivista che anche grazie alle “Soirées” sono entrate di diritto nel patrimonio collettivo della modernità.

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“Les Soirées de Paris” n. 1

DU SUJET DANS LA PEINTURE MODERNE

Les peintres nouveaux peignent des tableaux où il n’y a pas de sujet véritable. Et les dénominations que l’on trouve dans les catalogues jouent désormais le rôle des noms qui désignent les hommes sans les caractériser.

De même qu’il existe des Legros qui sont fort maigres et des Leblond qui sont très bruns, j’ai vu des toiles appelées: Solitude, où il y avait plusieurs personnages.

On condescend encore parfois à se servir de mots vaguement explicatifs comme portrait, paysage, nature morte; mais beaucoup de jeunes peintres n’emploient que le vocable plus général de peinture.

Les peintres, s’ils observent encore la nature, ne l’imitent plus et ils évitent avec soin la représentation de scènes naturelles observées ou reconstituées par l’étude. L’art moderne repousse tous les moyens de plaire mis en œuvre par les plus grands artistes des temps passés: représentation parfaite de la figure humaine, nudités voluptueuses, fini des détails, etc… L’art de maintenant est austère, et le sénateur le plus pudique n’y trouverait rien à redire.

On sait même que l’une des raisons des succès qu’a rencontrés le cubisme dans la bonne société vient justement de cette austérité.

La vraisemblance n’a plus aucune importance, car tout est sacrifié par l’artiste à la composition de son tableau. Le sujet ne compte plus ou s’il compte c’est à peine.

*

Si le but de la peinture est toujours comme il fut jadis: le plaisir des yeux, on demande désormais à l’amateur d’y trouver un autre plaisir que celui que peut lui procurer aussi bien le spectacle des choses naturelles.

On s’achemine ainsi vers un art entièrement nouveau, qui sera à la peinture, telle qu’on l’avait envisagée jusqu’ici, ce que la musique est à la littérature.

Ce sera de la peinture pure, de même que la musique est de la littérature pure. L’amateur de musique éprouve, en entendant un concert, une joie d’un ordre

différent de la joie qu’il éprouve en écoutant les bruits naturels comme le murmure d’un ruisseau, le fracas d’un torrent, le sifflement du vent dans une forêt, ou les harmonies du langage humain fondées sur la raison et non sur l’esthétique.

De même, les peintres nouveaux procurent déjà à leurs admirateurs des sensations artistiques uniquement dues à l’harmonie des lumières et des ombres et indépendantes du sujet dépeint dans le tableau.

*

On connaît l’anecdote d’Apelle et de Protogène qui est dans Pline. Elle fait bien voir le plaisir esthétique indépendant du sujet traité par l’artiste et

résultant seulement de ces contrastes dont j’ai parlé.

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Apelle aborde, un jour, dans l’ile [sic] de Rhodes pour voir les ouvrages de Protogène, qui y demeurait. Celui-ci était absent de son atelier quand Apelle s’y rendit. Une vieille était là qui gardait un grand tableau tout prêt à être peint. Apelle au lieu de laisser son nom, trace sur le tableau un trait si délié qu’on ne pouvait rien voir de mieux venu.

De retour, Protogène apercevant le linéament, reconnut la main d’Apelle et traça sur le trait un trait d’une autre couleur et plus subtil encore et, de cette façon, il semblait qu’il y eût trois traits.

Apelle revint le lendemain et la subtilité du trait qu’il traça ce jour-là désespéra Protogène et ce tableau causa longtemps l’admiration des connaisseurs qui le regardaient avec autant de plaisir que si, au lieu d’y représenter des traits presque invisibles, on y avait figuré des dieux et des déesses.

*

Les jeunes peintres des écoles extrêmes veulent donc faire de la peinture pure. C’est un art plastique entièrement nouveau. Il n’en est qu’à son commencement et n’est pas encore aussi abstrait qu’il voudrait l’être. Les nouveaux peintres font bien de la mathématique sans le ou la savoir, mais ils n’ont pas encore abandonné la nature qu’ils interrogent patiemment.

Un Picasso étudie un objet comme un chirurgien dissèque un cadavre. Cet art de la peinture pure s’il parvient à se dégager entièrement de l’ancienne

peinture, ne causera pas nécessairement la disparition de celle-ci, pas plus que le développement de la musique n’a causé la disparition des différents genres littéraires, pas plus que l’âcreté du tabac n’a remplacé la saveur des aliments.

GUILLAUME APOLLINAIRE

LE PONT MIRABEAU

Sous le pont Mirabeau coule la Seine. Et nos amours, faut-il qu’il m’en souvienne ? La joie venait toujours après la peine.

Vienne la nuit, sonne l’heure, Les jours s’en vont, je demeure.

Les mains dans les mains, restons face à face Tandis que sous le pont de nos bras passe Des éternels regards l’onde si lasse.

Vienne la nuit, sonne l’heure, Les jours s’en vont, je demeure.

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L’amour s’en va comme cette eau courante, L’amour s’en va: comme la vie est lente Et comme l’Espérance est violente !

Vienne la nuit, sonne l’heure, Les jours s’en vont, je demeure.

Passent les jours et passent les semaines, Ni temps passé, ni les amours reviennent; Sous le pont Mirabeau coule la Seine.

Vienne la nuit, sonne l’heure, Les jours s’en vont, je demeure.

GUILLAUME APOLLINAIRE

«Les Soirées de Paris» n. 2

POÉMES: ACADÉMIE DES SCIENCES MORALES & SPLÉNÉTIQUES

L’ART CONSOLE DE TOUT

Ce que les différents poètes on dit de l’Amour ne peut convenir à un seul dieu.

FRANÇOIS BACON

Dans un salon Louis-Philippe, Un rapin peint la mer, de chic; Il peint moins pour plaire au public Ou s’enrichir que par principe.

L’art divinise, il émancipe, Confère, au prix de certains tics, Les avantages de l’aspic Et le droit de fumer la pipe.

Peins, fier rapin, ô bien aimé ! Si Cléopatre t’idolâtre Tu lui paieras l’amphithéâtre.

Mais sauras-tu t’accoutumer A cette infernale cuisine Que te prépare Mélusine ?

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L’AMOUR MÉDECIN Soit ; sachez qu’en toutes facultés il y a un secret

qui ne se dit qu’à ceux qui ont la pure entrée. LE MOYEN DE PARVENIR

Carabin, prends ta carabine ! – Car je présume que te navre Ce manque absolu de cadavre – Et dissèque la concubine. Feu ! et surtout point ne la rate. La petite maîtresse est morte ; Voici le cœur, voici la rate De qui venait t’ouvrir la porte.

Voici ses reins joyeux, pivoines Lourdes, ses poumons qu’un ultime Soupir gonfle, et le péritoine.

Grimoire où l’œil de l’aruspice Lit avec l’ordre du supplice Rédempteur le pardon du crime.

… ET LE RESTE EST LITTÉRATURE !

Et leur semblait que c’estoit affoler les mystères de Vénus, que de les oster du retiré sacraire de son temple, pour

les exposer à la veue du peuple. MONTAIGNE

Quand tu trempais, ô poétesse, Tes doigts de lait dans l’encrier, Prévoyais-tu ce négrier Qui te donna huit cents négresses ?

Si chez les blancs tu fus ogresse, O cœur par l’âme exproprié, Les nègres que tu fais crier Nous diras-tu s’ils t’intéressent ?

Colibri gorgé de mouron Tu ne tourmentes qu’en cachette, Bourreau que l’Europe regrette !

Et tu pleures, couchée en rond, D’entendre en la forêt secrète, Le chant d’un esclave marron.

ANDRÉ SALMON

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«Les Soirées de Paris» n. 3

LA PEINTURE NOUVELLE: NOTES D’ART

On a vivement reproché aux peintres de préoccupations géométriques. Cependant les figures géométriques sont l’essentiel du dessin. La géométrie, science qui a pour objet l’étendue, sa mesure et ses rapports, ont été de tous temps la règle même de la peinture.

Jusqu’à présent, les trois dimensions de la géométrie enclidienne [sic] suffisaient aux inquiétudes que le sentiment de l’infini met dans l’âme des grands artistes, inquiétudes qui ne sont pas délibérément scientifiques puisque l’art et la science sont deux domaines distincts.

Les nouveaux peintres, pas plus que leurs anciens, ne se sont proposés d’être des géomètres. Mais on peut dire que la géométrie est aux arts plastiques ce que la grammaire est à l’art de l’écrivain. Or, aujourd’hui, les savants ne s’en tiennent plus aux trois dimensions de la géométrie enclidienne [sic]. Les peintres ont été amenés tout naturellement à se préoccuper de ces nouvelles mesures de l’étendue que dans le langage des ateliers modernes on désigne toutes ensemble et brièvement par le terme de quatrième dimension.

Sans entrer dans des explications mathématiques d’un autre domaine et en m’en tenant à la représentation plastique, telle qu’elle s’offre à mon esprit, je dirais que dans ces arts plastiques, la quatrième dimension est engendrée par les trois mesures connues: elle figure l’immensité de l’espace s’éternisant dans toutes les directions à un moment déterminé. Elle est l’espace même, la dimension de l’infini; c’est elle qui doue de plasticité les objets. Elle leur donne les proportions qu’ils méritent dans l’œuvre d’art tandis que, dans l’art grec par exemple, un rythme en quelque sorte mécanique détruit sans cesse les proportions.

L’art grec avait de la beauté une conception purement humaine. Il prenait l’homme comme mesure de la perfection. L’art des peintres nouveaux prend l’univers infini comme idéal et c’est à la quatrième dimension seule que l’ont doit cette nouvelle mesure de la perfection qui permet à l’artiste de donner aux objets des proportions conformes au degré de plasticité où il souhaite amener ses objets.

Nietzche avait deviné la possibilité d’un tel art: «O Dyonisios divin, pourquoi me tires-tu les oreilles? demande Ariane à son

philosophique amant dans un de ces célèbres dialogues sur l’Ile de Naxos. – Je trouve quelque chose d’agréable, de plaisant à tes oreilles, Ariane: pourquoi ne sont-elles pas plus longues encore?»

Nietzche, quand il rapporte cette anecdocte [sic], fait par la bouche de Dyonisios le procès de l’art grec.

*

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Voulant atteindre aux proportions de l’idéal, ne se bornant pas à l’humanité, les jeunes peintres nous offrent des œuvres plus cérébrales que sensuelles. Ils s’éloignent de plus en plus de l’ancien art des illusions d’optique et des proportions locales pour exprimer la grandeur des formes métaphysiques. C’est pourquoi l’art actuel, s’il n’est pas l’émanation directe de croyances religieuses déterminées, présente cependant plusieurs caractères du grand art, c’est-à-dire de l’Art religieux.

*

On pourrait donner de l’art la définition suivante: création de nouvelles illusions. En effet, tout ce que nous ressentons n’est qu’illusion et le propre des artistes est de modifier les illusions du public dans le sens de leur création. Ainsi, la structure générale d’une momie égyptienne est conforme aux figures tracées par les artistes égyptiens et cependant les anciens Egyptiens étaient fort différents les uns des autres. Ils se conformaient à l’art de leur époque. C’est le propre de l’Art, son rôle social, de créer cette illusion: le type. Dieu sait si l’on s’est moqué des tableaux de Manet, de Renoir! Eh bien! il suffit de jeter les yeux sur des photographies de l’époque pour s’apercevoir de la conformité des gens et des choses aux tableaux qu’ils en ont peints.

Cette illusion me parait toute naturelle, les œuvres d’art étant ce qu’une époque produit de plus énergique au point de vue de la plastique. Ainsi, ceux et celles qui, dans le public, se moquent des nouveaux peintres, se moquent de leur propre figure, car l’humanité de l’avenir se représentera l’humanité d’aujourd’hui d’après les représentations que les artistes de l’art le plus vivant, c’est-à-dire le plus nouveau, en auront laissé. Ne me dites pas qu’il y a aujourd’hui d’autres peintres qui peignent de telle façon que l’humanité puisse s’y reconnaître peinte à son image. Toutes les œuvres d’art d’une époque finissent par ressembler aux œuvres de l’art le plus énergique, le plus expressif, le plus typique. Les poupées qui sont un art populaire semblent toujours inspirées par les œuvres du grand art de la même époque. C’est une vérité qu’il est facile de contrôler. Et cependant qui oserait dire que les poupées que l’ont vendait dans les bazars vers 1880 ont été sculptées avec un sentiment analogue à celui de Renoir quand il peignait ses portraits? Personne alors ne s’en apercevait. Cela signifie cependant que l’art de Renoir était assez énergique, assez vivant pour s’imposer à nos sens tandis qu’au grand public de l’époque où il débutait ses conceptions apparaissaient comme autant d’absurdités et de folies.

GUILLAUME APOLLINAIRE

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«Les Soirées de Paris» n. 4

LA PEINTURE NOUVELLE: NOTES D’ART

Le grand public d’aujourd’hui résiste aux œuvres des jeunes peintres, de même façon que le public de 1880 aux œuvres de Renoir. Il va jusqu’à les traiter de farceurs et c’est tout au plus s’il condescend parfois à dire qu’ils se trompent.

Or on ne connaît pas dans toute l’histoire des arts une seule mystification collective, non plus une erreur artistique collective. Il y a des cas isolés de mystification et d’erreur, mais il ne saurait en exister de collectifs. Si la nouvelle école de peinture nous présentait un de ces cas, ce serait concevoir que brusquement dans une nation donnée tous les enfants naîtraient privés de tête ou d’une jambe ou d’un bras, conception évidement absurde. Il n’y a pas d’erreurs ni de mystifications collectives en art, il n’y a que diverses époques et diverses écoles de l’art. Toutes sont également respectables et selon les idées que l’on se fait de la beauté, chaque école artistique est successivement admirée, méprisée et de nouveau admirée.

*

Pour ma parte, j’admire à l’extrême l’école moderne de peinture parce qu’elle me paraît la plus audacieuse qui ait jamais été. Elle a posé la question de beau en soi.

Elle veut se figurer le beau dégagé de la délectation que l’homme cause à l’homme et depuis le commencement des temps historiques jusqu’à nos jours, aucun artiste européen n’avait osé cela. Il faut aux nouveaux artistes une beauté idéale qui ne soit plus seulement l’expression orgueilleuse de l’espèce.

*

L’art d’aujourd’hui revêt ses créations d’une apparence grandiose, monumentale, qui dépasse à cet égard tout ce qui avait été conçu par les artistes des époques précédentes et cependant il n’y a dans cet art aucune trace d’exotisme. Certes nos jeunes artistes connaissent les œuvres d’art chinois, les simulacres des Nègres et des Australiens, les minuties de l’art musulman, mais on ne trouve trace d’aucune de ces influences dans leurs œuvres, non plus que des peintures primitives italiennes ou germaniques. L’art français d’aujourd’hui est né spontanément sur le sol français. Et cela prouve la vitalité de la nation française et qu’elle est loin de la décadence. On pourrait facilement établir un parallèle entre cet art français contemporain et l’art gothique qui a semé d’admirables monuments sur le sol de France et de toute l’Europe. Finies les influences grecques et italiennes. Voici la renaissance de l’art français, c’est-à-dire de l’art gothique et spontanément, sans apparence de pastiche. L’art d’aujourd’hui se rattache à l’art gothique à travers tout ce que les écoles intermédiaires ont eu de véritablement français, de Poussin à Ingres, da Delacroix à Manet, da Cézane [sic] à Seurat, de Renoir au Douanier Rousseau, cette humble, mais si expressive et poétique expression de l’art français.

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La vitalité de cet art énergique et infini qui est issu du sol de la France nous offre un merveilleux spectacle. Mais nul n’est prophète en son pays et c’est pourquoi il rencontre ici plus de résistances que partout ailleurs.

GUILLAUME APOLLINAIRE

«Les Soirées de Paris» n. 5

SACRIFIONS AUX MODES DU JOUR OU LES CONTEMPORAINS DE FACE & DE PROFIL

Quelqu’un qui nous veut du bien nous a déclaré : « Votre compagnie est curieuse. Vous êtes tous les cinq hommes de goût et le prouvez. Mais l’un et l’autre, vous écririez au temps des souliers à poulaines, du vertugadin ou des perruques, que vous ne paraîtriez davantage rester étrangers à votre époque…

– « Soit, mais comment faire ? – « Que diable ! Sacrifiez aux modes du jour ! … Vous avez des contemporains. Ne les ignorez

pas. Un des grands axiomes littéraires qui fut de tous les temps, est celui-ci : « Il ne s’agit pas que de savoir faire : il faut aussi faire savoir ». Parlez des autres, ils parleront de vous… »

Nous allons donc sacrifier aux modes. Il le faut. Selon leur tempérament, que MM. les Contemporains veuillent bien se présenter de profil ou de face. Attention ! L’opérateur est prêt. « Ne bougeons plus ! »

M. André Gide et l’élève Lafon Le pensionnat est en rumeur. M. André Gide ayant été surpris dans les cabinets à

fumer une cigarette avec un de ses plus jolis élèves, M. Maurice Barrès, son correspondant, a décidé de ne pas le faire sortir le prochain premier jeudi du mois.

Sur le même. A mon premier roman je n’aurai garde de briguer le Grand Prix de l’Académie;

mais, malin, j’y joindrai un billet de confession.

[…]

Sur les poètes paroxystes De même qu’il n’est pas d’homme qui ait l’air plus emprunté qu’un emprunteur, de

même je ne sais de plus idylliques rimeurs que les poètes paroxystes. Ils me rappellent mon bourg natal.

A l’entrée du bourg se trouve une gare: devant la gare, une place. Sur la place, quelques portefaix.

Entre eux, chaque midi, des querelles éclatent. Ah! le fier chapelet d’insultes! Quand ils sont au bout du rouleau, les deux querelleurs se dressent. Nez à nez les voilà postés dans l’attitude de discoboles. Vont-ils s’étreindre, se mettre en pièces?… Braves gens,

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que c’est mal les connaître! Les poings crispés derrière le dos, écoutez-les: «Qu’on me retienne!… Qu’on me retienne!… Ou je fais un malheur…

Jamais la compagnie qui dort près d’eux au bon soleil n’a daigné intervenir. Et chaque an, aux vacances, j’en suis à attendre leur coup.

[…]

ANDRÉ TUDESQ

«Les Soirées de Paris» n. 6

PAUL LÉAUTAUD

La première fois que je vis Paul Léautaud, ce fut dans une librairie du boulevard. Il avait une barbe noire qui semblait postiche, une redingote noire, une cravate noire, et il était accompagné d’un chien noir. Il fit sur moi une impression triste, encore qu’il me félicitât ironiquement pour un petit article où j’avais raillé son ami Van Bever. Je ne le revis pas avant longtemps et jusqu’au jour où je le retrouvai dans son bureau du Mercure de France, je le confondis avec un personnage dont j’ignore le nom et que je rencontre çà et là dans Paris, barbu de noir, lui aussi, vêtu de noir également et – ma parole! – suivi d’un chien au pelage sombre, à l’exemple de Léautaud. Mais ce passant anonyme est coiffé d’un chapeau «Cronstadt», tandis que Léautaud porte un «melon», extraordinaire, il est vrai.

*

La deuxième fois que je vis Léautaud, ce fut donc au Mercure de France. Ayant à écrire quelques lignes concernant M. Henri de Régnier, j’allai rue de Condé pour me renseigner sur cet écrivain qui n’était pas encore tout à fait de l’Académie. J’avais encore en poche la brochure que Léautaud a publiée sur lui chez Sansot. En présence de Léautaud que je ne reconnus pas, je la montrai à Paul Morisse à qui je demandai:

– Cette brochure est-elle intéressante? Est-ce un travail sérieux, bien fait? Paul Morisse jeta un coup d’œil du côté de Léautaud. Celui-ci écrivait, la tête au ras

de son papier, avec application. Il ne broncha pas. – Peuh! dit Morisse, en réponse à ma question, ça n’est jamais que du Léautaud! Mais au ton de sa voix, je soupçonnai un mystère. Je rempochai la brochure en

silence. Léautaud continuait de faire grincer sa plume.

*

Si je ne le reconnus pas cette fois-là, c’est qu’il avait ôté sa barbe. Glabre, il évoque maintenant le vieil acteur de province, le curé défroqué, etc. Le

modelé naturel de son visage, retouché par la quarantaine, est d’une nerveuse mollesse,

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sa peau d’un jaune ecclésiastique. Il porte des bésicles, un col aux pointes évasées et une petite cravate de paysan qui va au marché.

*

Je lui dis un jour: – Je voudrais lire Le Petit Ami, que je ne connais pas. Si votre volume n’est pas

épuisé… Le rire de Léautaud coupa ma phrase… Le rire de Léautaud est spécial. Je ne puis l’entendre sans en être ému. Je me

rappelle avoir été bouleversé par des bruits semblables quand je m’aventurais dans les bois, jadis. Peut-être y a-t-il là aussi le souvenir vague d’un cauchemar.

Après qu’il eut cessé de rire: – Venez avec moi, dit l’auteur du Petit Ami, je vais vous donner mon livre. Il me conduisit à la librairie du Mercure et prit lui-même un volume, sur le haut d’une

pile. La couverture était toute grise de poussière. – Vous voyez ce que c’est, dit Léautaud, mélancolique. Le Petit Ami, première

édition! Six cents exemplaires vendus en neuf ans!

*

Léautaud aime ou n’aime-t-il pas qu’on l’entretienne du Petit Ami! Cela la flatte et le gêne à la fois. Il m’a avoué qu’il se reprochait souvent de n’avoir

rien publié depuis si longtemps. Le Petit Ami étant son seul livre, lui rappeler Le Petit Ami, c’est lui rappeler, dit-il, dix ans de mauvaise rêverie.

– Je suis un peu agacé par ces gens qui me parlent du Petit Ami. Et je pense à une nouvelle de Daudet, intitulée Les raisins muscats, histoire d’un poète octogénaire derrière qui on chuchote, à la brasserie: «C’est l’auteur des Raisins muscats» parce qu’à l’âge de dix-huit ans il a publié sous ce titre un petit poème assez bien venu. Pourvu qu’on ne dise pas de moi, quand j’ai le dos tourné: «C’est l’auteur du Petit Ami !»

*

Du reste, au Petit Ami, Léautaud préfère In Memoriam qu’il donna dans le Mercure et qui lui parait mieux réalisé, parce que d’une forme plus dépouilée, plus sèche, moins «littéraire».

C’est qu’il a ses idées sur le style. On pourrait les résumer ainsi: «La meilleure façon d’écrire, consiste à se rapprocher du tour que prend la

conversation entre personnes qui savent parler naturellement et qui ont des choses dans la tête!

«Heureux ceux qui écrivent au courant de la plume! «Il n’y a de bon que ce qu’on écrit d’un jet. «On n’écrit bien que dans le plaisir.

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«Néanmoins il convient de réfléchir avant que d’écrire. Car les mots ne doivent pas amener l’idée. Les mots sont pour servir l’idée. On les maintiendra dans ce rôle en les rudoyant un peu à l’occasion.

«Une «répétition»? La belle affaire! Alors pour éviter une «répétition» je serai contraint d’apporter à ma pensée une correction, une nuance que ma raison désapprouvera? Jamais de la vie!

«tenez, vous me faites suer avec votre Flaubert! Ah! ce monsieur qui éprouvait le besoin de gueuler ses phrases!

«Mais la musique, la musique, je m’en f… moi, de la musique! «Je ne connais qu’une seule musique: celle que produit le bec de ma plume en

grattant mon papier».

*

Voilà pour la forme. Léautaud dit encore (et voici pour le fond): «Il n’y a pas de chef-d’œuvre ennuyeux. Un livre ennuyeux n’est pas un bon livre, de

même qu’une pièce où l’on baille, n’est pas une bonne pièce. Ainsi l’Iphigénie de Moréas…

«La tragédie! Je tiens ce genre littéraire pour le plus insupportable qui soit. C’est en dehors de la vie, c’est en dehors de tout!

«Et le phénomène Claudel? en voilà une plaisanterie! «Non! non! personne ne me fera croire que ces gens-là sont dans le vrai. Je sens en

moi une certitude que rien n’ébranlera. N’en parlons plus! «D’ailleurs, je n’ai pas de goût pour la discussion. Chaque fois je regrette de m’être

laissé entraîner. Il arrive toujours un moment où j’éclate de rire au nez de mon contradicteur!».

*

Léautaud est l’homme de Rousseau et, surtout, de Stendhal. Mais si la discussion n’est pas son fort, la lecture non plus.

Comme je l’exhortais à lire le soir, après le dîner: – Pourquoi, répliqua-t-il, gâcher, en lisant, mon plaisir d’être chez moi?

*

Il a aussi des idées sur l’art, particulièrement sur la sculpture: – La beauté d’une jambe, d’une cuisse, d’un dos, ça m’est égal. Mais l’expression de

la physionomie humaine me captive au plus haut point. Un buste, un beau buste, voilà mon idéal en sculpture. J’aurais voulu avoir mon buste sur ma cheminée. J’aurais voulu surtout… Tenez, je serai franc: je trouve que le musée Grévin est bien digne d’estime. Tous ces gens, représentés au naturel, avec leurs cheveux, leur linge, leurs habits… Certainement, j’aurais voulu posséder chez moi mon propre mannequin, costumé comme moi, avec mes lunettes. Je l’aurais installé à ma table de travail, dans une pose

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studieuse. Et quand je rentrerais, je lui dirais en l’apercevant: «Eh! Eh! te voilà! Allons, bon courage! Continue, ne te dérange pas!» et j’irais me promener sans remords… Ou bien, je le placerais dans mon bureau de Mercure. Mais il ne serait pas aussi aimable que moi pour les journalistes qui viennent demander des livres…

*

Quand il cause, Léautaud se renverse dans son fauteuil – un fauteuil ancien, de forme dit «médaillon», et dont la tapisserie élève l’esprit bien au-delà du royaume des couleurs.

Dans le feu de la conversation, Léautaud brandit vers le plafond les dix doigts de ses mains. Ses yeux grossissent derrière ses lunettes, et sa voix devient perçante et déchirante.

Mais le registre en est très étendu. D’autres fois, Léautaud, la tête renversée, le regard rêveur, chasse de ses lèvres sinueuses et sans cesse mobiles, des sonorités graves. Ses paroles sont alors accompagnées du geste familier par lequel il extrait des revers de son veston les crins cousus dans la doublure.

– Autrefois, dit Léautaud, j’étais seul, au Mercure, à avoir ce tic. Depuis quelque temps, je l’ai communiqué au patron.

Le patron, c’est M. Alfred Vallette.

*

Léautaud. S’il avait voulu, aurait eu le prix Goncourt. Plusieurs années de suite, un membre influent de l’Académie Goncourt vint lui dire: – Eh bien! quand publiez-vous en volume In Memoriam ? Dépêchez-vous. Vous

aurez le prix. Je vous le promets. Jules Renard lui donnait la même assurance. – Je finis par m’y décider, raconte Léautaud. Il s’agissait de réunir In Memoriam et

Amours. Un mois ou deux de travail acharné et mon petit livre était au point. Pendant cette période d’ardeur, un des mes chats tomba gravement malade. «Allons! me dis-je à moi-même, que préférerais-tu si tu devais choisir? Le prix Goncourt ou le salut de ton chat? – Pas d’hésitation! me répondis-je. La vie de mon chat est bien préférable au prix Goncourt». Or, mon chat fut sauvé et je n’achevai pas mon travail. Je n’eus pas le prix Goncourt. Vous ne vous étonnerez pas que j’attache une certaine importance à cela, quand vous saurez que j’ai une tendance assez forte à la superstition…

*

Au théâtre, il a une attitude qui lui est bien personnelle; il disparaît tout entier dans son fauteuil. Les mains croisées à la hauteur du menton, la tête inclinée à gauche, il paraît dormir, pour ceux qui peuvent l’apercevoir. Cependant, il ne dort pas et sa voix qui s’élève de temps à autre, soit pour reprocher à une spectatrice l’ampleur excessive de son chapeau, soit pour approuver ou vitupérer quelque tirade d’un acteur, en fait la preuve d’une façon toujours inattendue.

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Un soir que j’assistais avec lui à une représentation du Palais-Royal, un mari et sa femme se disputaient sur la scène, le premier assez calme, la seconde déraisonnable et furieuse.

– C’est exactement comme ça chez moi, s’exclama soudain Léautaud, tout réjoui. Plusieurs personnes se retournèrent.

*

Le même soir, nous nous promenions au foyer du théâtre. – Mon rêve, me dit-il, serait d’habiter une pièce comme celle-ci, où je pourrai me

remuer à mon aise avec toutes mes bêtes.

*

– Ah! les bêtes! me confia Léautaud. Elles ont gâté ma vie. Cinq chiens, trois chats et une chèvre! Sans ces êtres que j’aime tant, je ne serais jamais allé à Fontenay-aux-Roses. J’aurais pris, rue de Richelieu, deux chambres au sixième et avec une femme de ménage, j’aurais été le plus heureux des hommes. Je serais sorti tous les soirs. J’aurais fréquenté les salons, les salles de spectacles, tous les endroits de plaisir. J’adore ces endroits-là. J’aime aussi la conversation et les différentes choses qui s’y rattachent. Qui sait si ma destinée n’était pas d’être un homme à femmes, un Don Juan! Aujourd’hui, il est trop tard!

*

Encore: – Figurez-vous que je commence à me sentir des préoccupations de toilette… «Du reste, j’ai le plus grand mal à m’habiller selon mon goût. Ainsi, mes chaussures,

je suis obligé de les commander sur mesure. J’exige qu’elles soient pareilles à des boîtes. Voyez plutôt!

«Vous connaissez, n’est-ce pas, mon pardessus d’hiver en ratine. Il a été exécuté d’après mes plans. Hélas! j’avais oublié les poches. Ne sachant où les placer, mon tailleur prit le parti de les situer beaucoup trop bas, c’est-à-dire hors de la portée de mes mains. De sorte que je suis contraint de me baisser pour en tirer mon mouchoir. Et cela dure depuis six ans. Je n’ai pas de chance.

«Oui, la toilette et les belles filles, je parviens à m’y intéresser. Je voudrais avant de mourir, avoir quelques belles filles.

«Je n’en ai encore possédé qu’une: la première. J’étais trop jeune. Je me ne suis pas rendu compte qu’elle était jolie».

*

Je l’avais prié de me procurer un chien. – J’ai votre affaire, me dit-elle [sic]. Il me conduisit chez une concierge de la rue de Seine. Ah! justes dieux, cette loge, quel antre! Quelle odeur! Quatre vieilles femmes

fumaient là-dedans comme tout un corps de garde.

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– La fumée ne vous gêne pas, monsieur? me demanda une de ces commères avec un indicible sourire.

Je lui offris une cigarette qu’elle fourra dans sa poitrine. – Ici, murmura Léautaud à mon oreille, il y a en ce moment douze chiens. De petites têtes aux yeux craintifs surgissaient en effet de partout. Cependant, la maîtresse de céans avait extrait de dessous le canapé un grand

escogriffe récalcitrant, aux poils gris ardoise. Nous l’emmenâmes avec difficulté jusqu’à la rue de Furstenberg. Le trajet dura plus d’une demi-heure. L’animal s’arrêtait tous les trois pas.

– Il a peur, m’expliqua Léautaud, d’être reconduit à la fourrière, d’où André Rouveyre a pu le faire sortir, ces jours-ci, par une sorte de miracle. Rouveyre s’est comporté dans cette occasion comme un héros. Il a dû déployer une audace, une persévérance et une adresse vraiment admirable. Il lui en coûtera cinquante francs d’amende et de frais divers – sans compter le temps perdu.

Place de Furstenberg, nous fîmes une longue pause. Le chien manifestait des intentions bien naturelles, vu sa longue réclusion dans la loge. Mais il ne les réalisa point. Léautaud l’encourageait, le caressait, lui donnait les plus doux noms. Rien n’y fit. Il fallut le ramener rue de Seine après lui avoir servi sur le trottoir un paquet de viande qu’il dévora en un clin d’œil.

Je ne sais si raconté de cette manière l’incident fournit matière à réflexions. Mais j’en fus frappé. Je reverrai longtemps Léautaud accroupi au milieu de la rue, étreignant cette bête indifférente et douloureuse et je voudrais qu’on le vit comme je l’ai vu.

*

Dernièrement, je lui montrai un petit fox que quelqu’un m’avait prêté et qui devait m’accompagner au restaurant.

– Est-ce que, dit Léautaud – la question qu’il voulait me faire lui semblait un peu délicate – est-ce que… vous l’emmenez dans un bon restaurant, au moins?

*

Nous causons quelquefois de la mort: – la mort, dit-il, ça ne me fait pas peur, mais ça me dégoûte. «Ça me dégoûte… et pourtant! Quand je passe dans mon jardin, près de la tombe

d’un de mes chiens, j’imagine avec terreur l’état dans lequel il doit être, cette pourriture abominable… Eh bien! vous ne me croirez pas, peut-être: j’ai souvent envie de prendre ma bêche, de rouvrir le trou et de regarder…

«Lorsque mon père fut enterré, j’aurais bien donné cinquante francs pour le revoir!»

*

Ainsi parle Léautaud.

ANDRÉ BILLY

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«Les Soirées de Paris» n. 9

COMMENT JE SUIS DEVENU POÈTE

Pour Guillaume Apollinaire

C’est le 13 septembre dernier, sur le chemin de fer du Nord, que je me suis senti pour la première fois devenir poète. A vrai dire, l’état psychique où je fus alors placé n’était pas nouveau pour moi, j’en avais subi fréquemment l’épreuve, mais sans lui reconnaître son vrai caractère que je sais maintenant être essentiellement poétique. J’avais pour compagnon de voyage le charmant Hector. On devinera son vrai nom. Il est homme de lettres et journaliste tout de même que moi, et nous devisions en fumant, lui une pipe, moi des cigarettes, sur les choses de notre métier. Or, l’entretien s’éleva peu à peu, et si naturellement que je m’en aperçus quand il tomba.

Je faisais à Hector compliment de ses vers que j’aime beaucoup, car ils sont animés d’un sentiment qui leur est propre et que les mots «humeur vagabonde», appliqués par Baudelaire à des vaisseaux, pourraient définir assez bien. Soulevés sur une pensée mouvante, ils ont des balancements lents, de sourdes rumeurs, des émanations exotiques.

- Ce que vous dites de mes vers m’est agréable, fit le charmant Hector. Mais j’essaie depuis quelque temps des thèmes nouveaux et fort différents ce ceux sur lesquels vous m’avez vu jusqu’à présent entrelacer des rimes: je crois avoir trouvé dans les prospectus une source d’inspiration.

- N’est-il pas trop tard, mon cher? On vient de rendre difficile leur distribution sur la voie publique.

- Qu’importe? Il me reste les catalogues, les affiches, les réclames de toutes sortes. Croyez-moi, la poésie de notre époque y est incluse. Je l’en ferai jaillir.

Et comme je lui désignai en souriant l’avis apposé sur la cloison, près de la sonnette d’alarme: - Tout appel non justifié expose le voyageur à des poursuites judiciaires.

- Bravo! applaudit Hector. Vous m’avez compris. Cette inscription est chargée de lyrisme. Un individu tire la sonnette sans motif, il accomplit ce geste dérisoire: en voilà assez pour qu’il aille au bagne. La menace est formidable. Elle donne proprement le vertige. Je la transposerai en poésie.

Nous renchérîmes là-dessus et le jargon philosophique ne fut pas ménagé. L’atmosphère du compartiment, bleuie par la fumée de tabac, semblait complice de nos audaces. Hector fit l’éloge des panneaux de publicité, agrément des paysages contemporains, et pour la protection desquels nous nous proposâmes incontinent de fonder une ligue. Médiocre plaisanterie qui nous enchanta. Elle attestait notre liberté de jugement au plus fort d’une conversation dont l’objet excluait toute ironie.

Nous atteignîmes ainsi par inductions successives et, si je puis dire, d’échelon en échelon, une plate-forme d’où l’horizon humain se laissait voir tout entier. Ce fut un beau moment. Le visage embelli d’Hector portait le reflet d’une nue étincelante. Pour

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ma part, le rayonnement de la jeunesse était revenu se poser sur mon front. Mais mon excitation n’avait pas atteint son plus haut degré. Elle s’accrut pourtant lorsque mon compagnon, tapant contre le bois de la blanquette – nous étions en troisième classe, j’ai oublié de le dire – le fourneau de sa pipe, proféra ces mots:

- Vous êtes poète. Depuis longtemps j’en avais discerné dans vos écrits des signes évidents.

Je fus frappé au cœur. Le mouvement de mon sang s’accéléra. En même temps, un flot de paroles jaillissait de mes lèvres. Je remerciai mon ami de m’avoir éclairé sur moi-même. Je lui racontai ma vie, coordonnant des épisodes qui pour moi, n’avaient jamais eu de lien entre eux et dont l’ensemble se révélait soudain avec la précision d’une carte, d’un plan ou bien d’une vue perspective. Poète! Poète! Quelle douceur! J’étais poète! Et c’est à vingt-neuf ans que je l’apprenais! Destinée singulière!

- J’étais bien jeune, dis-je au charmant Hector, quand le don suprême que je vous dois de sentir maintenant en moi, commença de se manifester. J’avais sept ans et je passais mes vacances chez un brave homme de curé, ami de ma famille. Un soir que nous avions pris le thé chez des voisins, j’eus, dans mon lit, une vision, mais non pas une vision plastique analogue aux images incohérentes d’un cauchemar. C’était une vision métaphysique, ou mieux géométrique, et qui me résuma pendant quelques minutes le monde visible et l’invisible. Elle s’effaça peu à peu et je m’endormis profondément; et il ne me resta le lendemain qu’un immense regret de ne pouvoir exprimer par le langage ce que mon cerveau d’enfant, excité par les vapeurs du thé, avait perçu. La mélancolie où ce regret me plongea dura plusieurs jours.

«Bien des années après, j’étais assis dans mon cabinet de travail, fumant ainsi que je fais à cette heure, c’est-à-dire beaucoup, lorsque la même inspiration ma visita. Mais elle était inharmonique, hostile. J’eus à lutter contre elle, et violemment. Je dus me lever, m’agiter, marcher le front dans les mains à travers les différentes pièces de mon logis. Je mis fin à l’étrange combat en ouvrant au-dessus de ma tête un robinet d’eau froide dont le jet dispersa, si je puis parler ainsi, les assaillants.

«Cela me reprit un autre jour sur l’impériale du tramway. Il me suffit, pour rester le maître, de saisir à deux mains la balustrade. J’avoue que je n’avais point fumé.

«En somme, le conflit dont j’étais le théâtre provenait du désaccord existant entre les parties conscientes et les parties inconscientes de mon être, et qui ne s’était pas encore déclaré quand j’avais sept ans. Mon mépris pour les poètes date de mon service militaire. Je ne maudirai jamais trop cette époque abominable».

Hector m’écoutait d’un air approbateur. J’ajoutai: - Un petit effort de volonté me replacerait, je le sens, dans les dispositions

hyperesthésiques que j’ai connues jadis en un lit de presbytère. Hector me dit: - Faites-le, ce petit effort. Je le fis. C’est alors que le train passa devant la station de Goussainville. Phénomène

foudroyant: le nom du village imprimé, en lettres blanches, dans un rectangle d’azur que

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la maisonnette rouge portait au flanc, fit irruption dans ma tête, s’y installa, me forçant à crier: Goussainville ! Goussainville ! Et j’exultais; je prenais, par mes gestes, Hector à témoin du sens poétique dont rayonnaient ces trois syllabes – Goussainville ! – inscrites au mur d’une habitation humaine. Goussainville ! Goussainville ! chantait Hector, à mon exemple. Notre folie expira dans une crise d’hilarité. Elle fut suivie d’une grande fatigue, d’un long silence.

Nous descendîmes du wagon à la station de Coye, où nous attendait le valeureux Constantin. Le vent de la forêt acheva de dissiper tout le sublime dont nous étions imprégnés. Mais depuis ce temps, il m’est arrivé souvent d’éprouver le bel élan cérébral que me donna la petite gare de Goussainville. Des objets les plus insignifiants, je puis recevoir, si je le veux, une commotion poétique. Mon encrier, le drapeau de l’Institut, un article de M. Gustave Lanson m’élèvent à d’infinies divagations. Il ne me reste plus qu’à faire des vers. Je n’y ai pas encore réussi.

ANDRÉ BILLY

«Les Soirées de Paris» n. 18

AVERTISSEMENT

Qu’on ne nous demande jamais la couleur de nos yeux: ils changent selon l’objet qu’ils visent.

Dans quel sommeil s’engouffre la rue contemporaine! la rue: les hommes qui se reposent après leur travail, qui continuent leurs loisirs en sortant, qui traînent leur besogne sans savoir où roule leur destinée: ceux-là indemnes de notre jugement, libres de notre contemplation et de notre inutile pitié.

Les passantes se ressemblent comme des frères à jamais brouillés. On devine à peine les sexes étrangement mêlés, tout a pris une teinte générale,

surtout l’esprit. Il y a une fatigue immense de marcher toujours à l’ombre du passé; et quelle

tristesse d’applaudir éternellement ceux qui ne nous entendent point, de ne jamais trouver une nouvelle formule par crainte de glacer le souvenir!

Et qui glacera jamais les sommets plus hauts que toutes les atmosphères connues dans ce passé qui ignora notre destin?

La rage enfantine de ceux qui maudissent les génies morts sans les entendre par le simple flair du danger!

Il y a le grand bruit du mouvement moderne éclos dans l’Europe latine. Sans toucher les masses, il exprime les sentiments, les tendances encore

inconscientes qui pullulent aux cœurs des plus simples. On étouffe dans les cercueils des aïeux: c’est le dégoût physique, une agitation

presque bestiale: le vent qui enlève les cailloux sur le chemin de l’Avenir.

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Ce n’est pas le moment de demander des chefs-d’œuvre; il faut applaudir le courage, la haine qui bave et crie, l’esprit batailleur de ceux qui bondissent contre la routine.

La politesse française empêche la brutalité de la franchise: je ne dis pas qu’il faut raser les vieilles échoppes où les anciens font acclamer les résultats de leur décrépitude, mais souffrir cet abus de pouvoir me semble odieux!

Tout le monde porte la muselière. On trouve toujours les obstacles pour dire une vérité vexante; toujours il y a un animal qu’on ménage, une menace qu’on a peur d’affronter, une corporation qu’on craint de bousculer.

Tout cela dans le domaine des Arts. Moi, revenu de longs pèlerinages, il me semble que nous tous nous sommes des

proscrits en face de fortes dynasties, de vielles revues méfiantes et hostiles, bien assises entre les bras de leurs croque-morts.

Et aucune rage ne me soulève pour dogmatiser Balthasar! Proie de l’ancien élevage, il me regarde d’un œil hébété et glacial: je serai navré de le

molester pour ma cause. J’aime mieux lui raconter mes longs voyages, ce que j’ai vu et les couleurs des pays

inconcevables qu’il n’a jamais rêvés. Je lui parlerai des mirages du désert et des navires en détresse au milieu des flots. Il entendra les bruits, les vacarmes des chevauchées invisibles et fuyantes; il verra les

cavalcades joyeuses et parées et les chutes souveraines traînant leur pourpre parmi les décombres…

Animé par ces spectacles imprévus, ira-t-il chercher les aventures introuvables et deviendra-t-il, lui aussi, un vagabond dont les contes feront la joie des petits enfants?

JEAN CERUSSE

PLAINTE DU MAUVAIS GARÇON

Je revois de l’été les persiennes bien closes, Les persiennes que regrettent les roses. Ah ! les grands poissons blancs sur la nappe de verre, La bonne Catherine et le gars Nicolas ! Le soleil sur l’étang derrière l’usine à gaz,

C’est la maladie de l’amour Qui me retient ici avec des désirs différents Parmi les démons et les filles de carrefour.

Ah ! buvons à la régalade ! Encore une de montée dans le panier à salade.

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EN FAMILLE

Nous ne sommes plus de petites filles. Il faut bien apprendre à faire les chapeaux, Et toi-même, frère ! Ah ! le décepteur ! Laissez-moi, ma mère ! il faut le lui dire. Je lèverai l’œil en haut de la table, N’as-tu-pas cinq doigts ? comme nous, tes sœurs ? N’as-tu-pas cinq membres, en comptant la tête ? N’as-tu-pas cinq sens, la vue et le goût, L’odorat, l’ouïe ? La mère essayait… En haut de la table où ils étaient quatre, La sœur écrivait sur un papier clair, La mère en rêvant regardait ses bagues. Que la table est grande ; c’est le jour des morts. La salle est brillante le jour n’est pas blanc, Une étoile est sur votre frère aîné.

BOUTE-EN-TRAIN

C’est moi qui suis le joyeux boute-en-train. Le moindre binocle sur une moustache m’arrête et ne pas trouver mon nom sur une

lettre qui ne m’est pas adressée me surprend et me blesse. Mais si on l’organise la farandole, je sais chanter en courant. Récemment, je chantais Le Petit Bossu dans une farandole et je m’aperçus qu’il y en avait un. Je me demandais si je devais arrêter la chanson ou la continuer. J’eus l’esprit de ne pas chanter tous les complets. C’est moi qui suis le joyeux boute-en-train.

MAX JACOB

«Les Soirées de Paris» n. 19

LA MAISON DANS L’ŒIL DU CHAT

Les objets ne sont pas des objets mais des images qui n’existent que quand nous faisons attention à elles et qui disparaissent dès que nous cessons d’y penser. Il n’existe donc,

non des objets, mais notre rapport envers eux. TOLSTOI

La maison était seule au bord du Vide qui avait enveloppé son petit jardin. La maison était seule au bord du Vide, comme toutes les maisons, à qui personne

ne pense et que personne ne voit.

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Le Vide montait jusqu’au ciel, qui n’était plus le ciel, mais l’Eternité! Et si l’on s’était retourné assez vite, l’on aurait peut-être vu, du seuil de la maison: la Vie tout entière précédée du Passé et suivie de l’Avenir.

La maison, la Vie banale et particulière suivait son cours. Une famille (comme toutes les familles) faisait ses préparatifs pour aller passer l’été

dans une campagne qu’elle désirait infinie et tranquille. Le père, préoccupé, consultait l’horaire. La mère remettait du linge dans une malle déjà pleine. Le fils fermait les volets. Et la fille descendait de sa chambre, avec un sac de cuir jaune, qu’elle allait poser

dehors sur les autres colis. Elle ouvrit la porte de la maison et le petit jardin bien fidèle revint du fond de

l’Eternité et l’Eternité bien fidèle refléta l’image exacte de sa pensée, dans le petit jardin qu’elle aimait.

La jeune fille s’arrêta alors au bord de la maison et des fleurs poussèrent tout de suite sur les plates-bandes des allées: des capucines et quelques tulipes pâles.

Une petite pluie très fine tombait sur la pelouse verte et des souvenirs! et des souvenirs montaient dans l’âme de la jeune fille. C’était là, cette année, qu’elle avait vu le Printemps venir. Le Printemps un peu fou, qui avait couvert l’herbe de pâquerettes, la terre d’iris, le mur d’églantines et de ce jasmin qui restait encore. C’était là qu’elle avait lu, par des journées d’or pâle: Shakspeare [sic], qu’elle aimait tant! Balzac et son premier Zola. C’était là qu’elle avait vu ces crépuscules, comme de grandes ailes d’ange, ourlées d’ombre bleue, venir frôler la terre avant d’aller au ciel. Et c’était fini, tout ça!

Pourquoi? Parce que l’Eté était venu, un vilain été pluvieux qui avait noyé toutes les petites fleurs du Printemps… toutes les petites fleurs! Puis, tout d’un coup, elle songea que la campagne l’attendait, une campagne si douce! où Il était depuis un mois déjà. Alors, elle fut heureuse! Le jardin lui sembla rempli de soleil! Elle sortit dans la rue… et le Vide se reforma derrière elle.

Le fils, quand il eut fermé tous les volets, sortit brusquement de la maison; regarda le jardin, insignifiant pour lui, dans son gris-vert, monotone, puis ses yeux allant bien plus loin, il vit la mer, la plage, le tennis dont il avait déchiré et réparé à ses frais, le filet l’année dernière. Puis il revint au jardin, fixa un moment le trapèze, où il avait failli se tuer et saisissant une valise, il courut dans la rue. La porte resta entr’ouverte et un passant vit le jardin, qui lui sembla «grand pour Paris», et la maison qu’elle trouva «laide». Ce fut tout. – Le Vide.

Le père et la mère sortirent ensemble. Le père ferma la porte de la maison. La mère pensa qu’elle n’avait toujours pas

retrouvé ses ciseaux dans la pelouse. Elle vit la pelouse.

«Si le chat revient, il abîmera les dernières tulipes». Elle vit les tulipes. Elle passa.

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Le père dit: «J’aime mieux que la pluie se soit calmée, ça abîme les bicyclettes». Il mit les clefs dans sa poche, ne vit pas le jardin, ferma la porte de la rue. Mais le jardin resta là, un moment encore. Puis l’Eternité revint dans l’ombre infinie de la Solitude: Il n’y eut plus qu’un ciel, de bas en haut, dont les contours étaient l’Infini.

∗ ∗∗

Au-dessus de la terre, habitée par la pensée des hommes: un ciel clair, semé d’étoiles. La terre est très lumineuse. A l’endroit où la famille a laissé la maison, il n’y a rien. Des Ames, peut-être? et des souvenirs… Mais si, pourtant, le Vide s’écarte, le ciel apparaît admirable, d’une pureté divine. Puis la maison haute! haute! comme une cathédrale. Puis le jardin, avec une pelouse, comme un champ, et les allées, comme des routes de campagne.

Qui y a-t-il? Il n’y a rien. Mais si, par terre, un peu au-dessus du sol, deux étoiles sont suspendues: Les yeux du chat qui regardent la maison. Le chat est là et pour lui, tout revit. Le chat se promène: c’est calme. Il va doucement, près d’un soupirail: il entre, les étoiles illuminent la cave, qui est toute blanche comme le couloir d’une abbaye. Le chat ronronne en marchant. Il est tranquille, rien n’est changé chez lui. Il ressaute sur la route de campagne et va se promener dans le champ. Le chat passe en revue: toute la Nuit. Aux fenêtres des maisons, des vitraux scintillent. Le chat se couche sur une marche de la maison. Devant lui le Vide revient. Ses yeux deviennent très grands, il voit dans le Néant!

MIREILLE HAVET

«Les Soirées de Paris» n. 20

SOUVENIR DE ROUSSEAU

Il venait de très loin, de cette obscure rue Perrel, où il travaillait dans son atelier tout petit en compagnie de son fidèle élève de soixante-quatorze ans. Il dormait sur le canapé rouge, le même sur lequel la belle Jadwiga écouta la syrinx de son mystérieux enchanteur.

Il arrivait toujours en retard. Avant de dîner chez nous, il allait jusqu’en face de l’Economie ménagère, où il attendait la sortie de la femme dure et ingrate qu’il aimait. Je crois que voulant concilier l’amitié avec l’amour il se forçait à prendre part à notre repas, ayant déjà dîné avec elle.

On servait des grands gâteaux qui l’étonnaient; très content de me voir en faire un paquet, il disait qu’il les porterait à son élève. Peut-être les emportait-il plutôt pour me faire plaisir.

A la visite suivante, il ne manquait jamais de m’apporter le compliment de son vieux disciple.

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Parfois, il posait pour un portrait qui ne devait jamais finir. Préoccupé de son amour, sûr de pouvoir l’inspirer encore, il aurait voulu se voir

tirer plus jeune et plus martial sous sa moustache toute blanche qui tombait un peu mélancoliquement.

Aux moments de repos, il faisait de la musique. Convaincu qu’il la connaissait, il jouait les valses, les marches et les polkas de sa propre invention avec un calme charmant. Sa main sûre et légère jetait les ritournelles vieillottes et faciles, émouvantes par on ne sait quoi de religieux, de populaire et d’enfantin.

Posait-il, il s’assoupissait progressivement, luttant avec le sommeil. Il entr’ouvrait parfois les paupières, faisant des excuses, priant qu’on ne chuchotât point, car c’est ça justement qui le faisait dormir.

Sourire extraordinaire, à la fois paternel et enfantin, aussi celui d’un homme très âgé, très absent, très las, cachant par politesse sa fatigue.

Sitôt réveillé, au fond de ses yeux s’allumait la jeunesse, l’appétit de vie, de gaieté, source intarissable d’amour qui fleurissait dans ses lotus éclatants, dans ses forêts vierges qu’il concevait magnifiques en admirant les palmiers nostalgiques de Paris.

A l’heure du départ, toujours à minuit et un quart, pour ne pas manquer le métro, nous le reconduisions lentement jusqu’à la place Pereire. On parlait de Léonie, de cet avenir qui s’attardait; lui très obstiné nous priant de l’inviter, de lui prouver la nécessité de ce mariage, la vie superbe qui l’attendait…

Je lui donnai un jour une bague pour l’offrir, pour attirer vers lui celle qu’il aimait, grâce à cet hommage fait par les gens «distingués». Pour l’attendrir en lui prouvant l’amitié qu’il nous inspirait.

Elle demeura taciturne et sournoise, soupçonneuse, hostile, nous faisant presque souffrir. Lui se lamentait toujours, d’ailleurs plein d’illusions.

Une fois, qu’il était pressé, je l’amenai en auto jusqu’à l’Economie ménagère, la vitesse l’amusa, la facilité de locomotion le rendit pensif.

Descendu de voiture, il s’arrêta sur le trottoir, nous faisant des signes de loin. Rose et blanc sur le fond de la foule qui le poussait, il disparut dans le large portail de cette maison, le plus laid de tous les bazars parisiens. Et je me suis demandé comment il accordait ses goûts, si rares, si précieux, des plantes de rêve et des bêtes inconnues, avec cette passion jetée aux pieds tors d’une petite vendeuse méchante et brutale?

Une fois, nous descendîmes ensemble dans le sous-sol de notre cuisine. Il assistait au bain de notre chien, lui parlant d’une petite voix flûtée très douce: «Bouboul, mon petit Bouboul!», et le chien l’écoutait.

On se mit à parler d’art. A toutes nos questions sur ce qu’il pensait de toutes sortes de peintres, il répondait

d’une voix froide et bien assurée: «Je ne déteste pas, je ne déteste pas…»; il ne détestait personne, sauf Matisse, qui le mettait en colère, c’était comme un formidable mépris, dont il riait lui-même: «Si c’était au moins rigolo! Mais c’est triste, mon cher, c’est affreusement laid! Tenez, j’aime mieux ça», et il regardait la réclame d’un parfum où souriait une jolie figure épanouie et plaisante.

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La dernière fois, un jour de départ, il vint nous faire ses adieux, à nous ses amis si jeunes et si récents…

Très pressés, nous l’avions laissé partir tout seul. Appuyé sur le balcon, je le suivais de mon regard. Il marchait vite, un peu courbé, semblant très petit et très vieux sur le vide de cet interminable boulevard.

Le récit de sa mort m’est parvenu des lèvres d’une vieille femme qu’il connaissait, qu’il protégeait, à laquelle il voulait trouver du travail. Ce ne fut que médisance et blasphème, mais c’est d’elle que j’ai appris la misère dans laquelle il a vécu. Il n’avait pas un seul drap, pas un seul de ses admirateurs ni de ses amis les plus intimes ne s’est jamais soucié de la manière dont il a vécu.

Je fus demander les renseignements à l’hôpital. Il y passa humble et inaperçu, qualifié d’alcoolique, ensuite mis dans la fosse commune.

Sa sinistre Léonie n’est pas venue le voir – il l’attendit jusqu’au moment de sa mort. Elle n’était pas à son enterrement. Image d’une laideur étonnante, traînée derrière le

grand souvenir – aussi durable que lui!

ROCH GREY

«Les Soirées de Paris» n. 21

LA VIE D’ARTISTE

Aux maussades coussins qui bercent mes langueurs Et me donnent du rêve au défaut de la gloire J’ai souvent vu passer les filles de Victoire Ecouté du démon souvent l’accent moqueur Or me sachant logé aux hangars de malheur Celui qui porte encor le vieux nom de mes pères Dit en voyant le cuivre des express à Quimper «Mon fils, ce fainéant est artiste à ses heures.» Ce couple bien sérieux qui gagne des louis d’or Quand la lune parait aux vastes champs du soir Endosse en gourmandant sa toilette du soir Pour boire chez quelqu’autre et se féliciter En son intime cœur de la prospérité. Madame loue d’abord un certain petit chien, Monsieur dit en bâillant n’avoir le temps de rien. On suit d’un œil distrait une fameux violoniste Qu’accompagne allegro un élégant pianiste O brusques pâmoisons ! ô souris pleins de ruse Dites-moi si jamais quelqu’un d’ici s’amuse. Pourtant après minuit le couple ayant trop bu

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Contenant ses désirs s’embrasse dans le cou. Mais moi dont la pudeur réserve la gaieté Je n’ai guère absorbé qu’une tasse de thé. Un docteur en profite et me parle en beauté.

LA RUE RAVIGNAN DE MONTMARTRE

«On ne se baigne pas deux fois dans le même fleuve», disait le philosophe Héraclite. Pourtant ce sont toujours les mêmes qui remontent! Aux mêmes heures ils passent gais ou tristes. Vous tous, passants de la rue Ravignan, je vous ai donné les noms des défunts de l’Histoire! Voici Agamemnon! Voici Madame Hanska! Ulysse est un laitier! Patrocle est au bas de la rue qu’un Pharaon est près de moi. Castor et Pollux sont les dames du cinquième. Mais toi, vieux chiffonnier, toi qui, au féerique matin, viens enlever les débris encore vivants quand j’éteins ma bonne grosse lampe, toi que je ne connais pas, mystérieux et pauvre chiffonnier, toi chiffonnier, je t’ai nommé d’un nom célèbre et noble, je t’ai nommé Dostoïevsky.

ROMANCES DANS LE GOÛT DE TEMPS: PRINTEMPS

Le soleil se lève plus tôt. Ah ! les horizons ! le coucou ! Pieds nus j’ouvre la fenêtre et retourne embrasser ton cou. Soleil, sur les draps tu joues Et sur ma main et sur ses joues ! «Ferme ! dis-tu, grand fou ! Il fait encore un froid de loup !» Les branches du couvent voisin ont des frisures comme un chou. – Le chou, c’est toi ! – C’est toi ! c’est nous Il y a des fraises chez Chevet mais ça n’est pas pour nous, tiou ! «Si tu veux, prenons le bateau qui nos emmènerait à Saint-Cloud ! Un fiacre ouvert, n’importe où ?» Je ne dirai bien que je t’aime que sur le gazon à genoux Et ne trouverai des romances que distillées derrière un houx, «Cette nuit j’ai rêvé d’un ange que la lumière faisait roux. Il jetait un parfum divin avec du soleil sur les roues. – Tu parles « ciel » ! villégiature ? où tu es bien partout – Alors ! viens m’expliquer le musée du Louvre.

MAX JACOB

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«Les Soirées de Paris» n. 22

LES EPOPÉES POPULAIRES AMÉRICAINES

C’est curieux et caractéristique pour l’incident en soi, et pour ce qui concerne la destinée de la personne dont il s’agit, que seul parmi les journaux de Paris, un journal aussi peu littéraire que Paris-Sport ait annoncé un événement littéraire américain d’une certaine importance: la folie de F. Day, le poète épique américain de Nick Carter. Je parcours la plupart des journaux américains les plus importants et à peu près tous les journaux littéraires, et jusqu’ici pas un seul n’en a parlé. Peut-être Paris-Sport a-t-il trouvé l’information dans quelque obscure feuille sportive paraissant dans une des villes intérieures où les courses de chevaux sont encore en honneur.

En tout cas, je n’ai pu savoir que ce qu’a publié Paris-Sport, et jusqu’à présent je n’ai pas pu le vérifier.

Voici ce que disait Paris-Sport:

«L’auteur de Nick Carter. «M. Frédéric van Rensselaer Day, auteur d’une série de romans policiers, connus

sous le titre général d’Aventures de Nick Carter, vient d’être frappé d’aliénation mentale… probablement après avoir eu l’imprudence de lire ses propres œuvres.

«Sur le coup d’une autosuggestion, il s’est imaginé être un fonctionnaire supérieur de la police fédérale secrète et il est allé à Denver pour enrôler des agents. On l’a arrêté au moment où il voulait organiser sa «brigade spéciale» et projetait les plus grands travaux; il avait l’intention de venir en Europe pour arrêter Arsène Lupin, retrouver la Joconde et essayer de comprendre quelque chose à l’affaire du collier.

«Il vient d’être transporté dans un asile d’aliénés. Il avait déjà été interné dans un sanatorium, il y a quelques années».

Personnellement, je n’avais jamais entendu le nom de M. Day, ni de n’importe quelle personne mêlée à la rédaction de Nick Carter. La même chose est vraie des autres épopées populaires américaines concernant les vies et les aventures de Buffalo Bill, Deadwood Dick, Wild Bill, et autres hommes des plaines de 1860 à 1870 et des œuvres concernant les jeunes héros imaginaires qui menaient une vie aventureuse parmi les Peaux-Rouges et les bandits de la frontière durant la période de développement de l’Ouest, qui suivit de près la guerre civile.

J’ai commencé à lire ces épopées quand j’avais cinq ans, et j’ai continué à en lire à peu près un fascicule par semaine jusqu’à l’âge de dix-sept ou dix-huit ans, époque à laquelle j’ai été dans l’Amérique du Sud. Là, je n’ai pu les trouver qu’en espagnol, langage dont je n’étais encore assez maître pour apprécier une lecture épique.

Je ne me rappelle jamais avoir vu un exemplaire de Nick Carter avec nom d’auteur. Dans le cas où l’une quelconque de ces épopées populaires se trouvait signée, le

nom employé était une sorte de nom passe-partout choisi par l’éditeur et destiné à

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rester dans l’oreille du public. Ce n’était, évidemment, pas le nom réel de l’auteur. Je n’ai jamais cru qu’un seul homme eût écrit seul la quantité très considérable des fascicules de la série de Nick Carter ou des autres importantes séries épiques. Il y en avait trop pour un seul homme, qui n’aurait pas pu faire même ce qui paraissait en quelques mois.

Nick Carter a paru pendant dix ans, sans répétition d’incidents et, sans doute, cette publication paraissait déjà avant que je ne fusse d’âge de la lire.

Mon père m’a souvent dit qu’il avait l’habitude de lire «cette sorte d’ordure» (comme il disait), quand il était soldat, au commencement de la guerre civile, à l’âge de dix-sept ans, en 1861, et d’après ce qu’il m’en a dit, il passait ainsi ses journées, quand il n’était pas de garde, devant Vicksburg, ou durant les dimanches pluvieux, pendant la marche de Sherman d’Atlanta jusqu’à la mer. J’ai compris que ce qu’il lisait alors avait le même caractère épique que les Nick Carter de mon temps.

Mon idée a toujours été que quelque obscur homme de génie, dans le monde d’affaire d’édition, a simplement donné les idées et le style épique à des écrivains à gages, qui ont fabriqué des milliers de mots par semaine à tant par mille, en se tenant à côté des presses dans quelque grande imprimerie de Chicago.

Le tout avait toujours le même style général et la même valeur. Quelques-uns de ces contes étaient mieux que les autres pour l’exécution, mais tous étaient également épiques pour la conception.

Presque tout était écrit par des personnes à peu près ignorantes en ce qui concerne la langue anglaise; mais ils étaient inspirés par la même appréciation poétique de la vie de l’Ouest des Etats-Unis, à une période si éloignée que très peu d’hommes vivants auraient pu en parler d’après leur expérience personnelle.

D’après ce que je connais, aucun de ces contes n’avait la moindre ressemblance avec cette vie. En effet, tout paraissait franchement avoir été écrit par des poètes qui avaient simplement rêvé de tout cela sur la base restreinte des reportages des journaux du temps et des légendes de la frontière…

Il doit y avoir littéralement des tonnes de cette littérature aux Etats-Unis. Si quelqu’un a eu le goût de la collectionner, il doit en savoir quelque chose. Mais les érudits professionnels du pays, et il y en a beaucoup, n’ont jamais, autant que je sache, donné la moindre attention à ce sujet.

Les philologues européens me disent que les Etats-Unis sont distingués dans l’opinion européenne à cause de ces philologues.

A l’Université de Harvard, il y a un grand nombre de philologues ayant certainement une réputation mondiale parmi les philologues professionnels. Mais je suis sûr que ni M. Childs, ni M. Kittredge, ni M. Schonfield, ni M. Neilson, ni M. Weiner, ni les autres, n’ont jamais lu un seul Nick Carter ou Buffalo Bill, et j’ose dire que pas un n’a jamais même entendu parler de ces œuvres. Ils écrivent exclusivement à propos d’obscurs sujets européens anciens. L’un d’eux jouit d’une réputation extraordinaire pour un chef-d’œuvre en huit volumes, sur l’imparfait perdu dans le moyen haut allemand; ouvrage sur lequel on dit qu’il a travaillé incessamment durant dix-huit ans.

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M. Wiener (un juif russe, en passant) est le seul qui ait jamais fait des choses importantes avec des sujets américains et toutes ses œuvres, jusqu’ici, concernent la littérature et le langage des Aztèques et autres Indiens. Mais rien à propos de la littérature anglaise en Amérique.

Le public américain n’a jamais reconnu Nick Carter, ni les autres épopées populaires comme étant de la littérature.

On m’a toujours défendu de lire ces «sales choses», sur l’autorité des gouvernantes et des bonnes les plus ignorantes qui avaient entendu leurs maîtres dire que toute cette «saleté à un penny», comme on l’appelait d’après le prix de Chicago, d’un penny par exemplaire, était un poison pour l’esprit des enfants.

Quand on m’attrapait en train de lire Nick Carter, on me disait que j’étais tombé au niveau social des petits télégraphistes et des voyous des courses.

Je me rappelle que fréquemment j’empruntais des exemplaires (quand je n’en pouvais acheter) d’un drôle de jeune homme spirituel, qui était opérateur télégraphiste dans une tour à signaux sur un des grands réseaux transcontinentaux, passant auprès d’une ville des plaines dans le South-Dakota, que ma famille habitait.

Il passait ses nuits à lire les épopées qu’il recevait d’un employé des chemins de fer sympathique, qui allait de Chicago à la côte du Pacifique et qui passait tard dans la nuit. Souvent j’ai veillé avec lui, en attendant ce train qui apportait un tas de Nick Carter, pendant que ma famille croyant que j’étais chez un de mes camarades, étudiant le latin pour mes examens préparatoires. Les gens de la ville disaient que l’opérateur télégraphique était un jeune homme dégénéré, qui lisait des «saletés à un penny», et ainsi de suite.

Et je suis sûr que si on avait su qu’il donnait des exemplaires de cette littérature défendue à de jeunes garçons, les chefs du personnel de la ligne lui auraient ôté son emploi sur la plainte de citoyens vertueux de la ville, parce qu’il corrompait la jeunesse.

Une chose curieuse à propos de Nick Carter et peut-être le secret de la mauvaise réputation qu’il avait dans l’Ouest, c’était sa circulation universelle parmi les «tramps» et «hoboes», comme on appelait les milliers de travailleurs de moissons qui parcouraient les grands réseaux de chemins de fer pendant l’automne.

Je n’ai jamais vu un «hobo» sans son Nick Carter dans sa poche de derrière. J’en ai rencontré dans toute sorte d’endroits, se reposant sur des ponts de chemins de fer ou à l’ombre de wagons de marchandises sur la voie de garage des petites gares, loin dans les grandes régions de culture de blé du North-Dakota, rêvant sur la coté des meules où venait le moins le vent, dans les champs qui longeaient le chemin de fer. Chacun d’eux lisait un Nick Carter ou un Buffalo Bill. Les bonnes avaient l’habitude d’expliquer la criminalité de ces charmants garçons par leurs mauvaises lectures. On tenait surtout Nick Carter responsable comme inspirateur des cambriolages et des brigandages sur les routes. Mais tous les crimes dans ces épopées étaient commis pour des raisons poétiques et héroïques, pour sauver du viol ou du scalp, par de terribles Indiens ou de vils Mexicains (greasers), les belles jeunes filles millionnaires du Massachusetts, ou pour sauver du scalp, par de sauvages rouges et hurlant, des villages de blancs bien sains, ou

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pour empêcher des bergers de faire sauter des écluses, ce qui aurait anéanti tous les respectables éleveurs de la contrée. Mon père, en particulier, avait l’habitude de dire que le fait que ces bergers lisaient Nick Carter était suffisant pour les condamner aux yeux de toute personne civilisée, car quiconque avait quelque chose à faire avec des bergers, en ce temps-là, était estimé plus bas, par les gentlemen éleveurs, qu’un nègre ou un «greaser». Il avait l’habitude d’expliquer que le métier de berger était une occupation stupide de paresseux et que la rumeur de l’interminable bêlement des sottes bêtes à laine et leur imbécile agitation étaient d’un caractère si déprimant, que la personne qui aurait entrepris de suivre ce métier pendant plus d’une saison d’été serait réduite au niveau dégradé de intelligence animale, où son faible esprit serait entretenu par les non-sens, comme on en trouvait dans les puériles aventures d’un Nick Carter. Dans son opinion, la lecture de Nick Carter avait à peu près la même importance sociale que l’habitude de fumer des cigarettes, ce qui ne convenait qu’aux voyous. Sur la frontière Nord-Ouest des Etats-Unis, où l’esprit de caste était très fort, où un homme riche ou intelligent et bien élevé gardait, avec un revolver à six coups, une supériorité sur les gens du commun et des personnes dépendantes, il n’y avait pas de ce relâchement dans la morale et les mœurs qui distinguaient le Sud-Ouest, plus espagnol dans ce temps-là qu’aujourd’hui.

Dans mon pays, les gentlemen ne fumaient que des cigares à trente sous la pièce, portaient seulement des bottes à seize dollars, se faisaient coiffer par Stetson, à Philadelphie, faisaient un voyage dans l’Est pour faire la noce au moins une fois par an, écoutaient le grand opéra en allemand et italien à Minneapolis, au moins toutes les deux saisons hivernales, et ne permettaient jamais à leurs femmes et à leurs enfants d’avoir affaire avec les bas éléments de la population.

Naturellement, dans une telle atmosphère, la lecture de Nick Carter par les fils des puissants propriétaires fonciers témoignait d’une dégénérescence dégradante et c’était s’abaisser au niveau du commun. Telle était le dédain hautain de toute la population capitaliste de cette société du Nord-Ouest vis-à-vis de tous les produits indigènes, qu’une littérature d’aventures tombait dans la même catégorie intellectuelle que les chansons et danses indiennes, ou que ce lent et merveilleux langage des signes employé dans les tribus des Sioux. Je me rappelle que mon père le parlait avec tant facilité et tant d’éloquence, qu’un homme ayant deux fois autant de dons n’aurait pu l’égaler en anglais. Mais je me rappelle aussi qu’il avait pour ce moyen d’expression le plus grand mépris, comme étant le langage des chiens et des hyènes et tout à fait inadmissible dans la bouche d’une femelle blanche qui prétendait se faire respecter. Tous les instincts esthétiques de la contrée étaient académiques, on aimait la musique académique, on se pâmait devant la «belle peinture», on méprisait tout ce qui était «Indien», ou «de l’Ouest», ou «nouveau» en littérature, musique ou beaux-arts. Cela était bon à la frontière pour faire de l’argent, fonder un empire et tuer les sauvages. Chacun, à part soi, ambitionnait d’être «comme les gens de l’Est», comme on dit à l’Ouest du Missouri, c’est-à-dire presque Européen.

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Il n’est pas étonnant que M. Day, ou quiconque a écrit Nick Carter, ait souffert du mépris qui plus tard retomba sur Walt Whitman, qui a souffert comme étant trop sauvage pour les Etats-Unis et qui a été obligé de chercher à être apprécié en Angleterre avec Algeron Charles Swimburne, Oscar Wilde et les autres personnes qui ont eu à souffrir de cette sorte d’embarras et de honte à propos de l’originalité qui a été une des causes les plus considérables parmi celles qui ont retardé le développement intellectuel du Nouveau Monde.

HARRISON REEVES

«Les Soirées de Paris» n. 23

POÈMES

SOUVENIR DU DOUANIER

Un tout petit oiseau Sur l’épaule d’un ange Ils chantent le louange Du gentil Rousseau

Les mouvements du monde Les souvenirs s’en vont Comme un bateau sur l’onde Et les regrets au fond

Gentil Rousseau Tu es cet ange Et cet oiseau Et les regrets au fond

Ils se donnaient la main et s’attristaient ensemble Sur leurs tombeaux ce sont les mêmes fleurs qui tremblent Tu as raison elle est belle Mais je n’ai pas le droit de l’aimer Il faut que je reste ici Où l’on fait de si jolies couronnes mortuaires en perles Il faudra que je te montre ça

La belle Américaine Qui rend les hommes fous Dans deux ou trois semaines Partira pour Corfou

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Je tourne vire Phare affolé Mon beau navire S’est en allé

Des plaines sur les jambes Tu m’as montré ces trous sanglants Quand nous prenons un quinquina Au bar des Iles Marquises rue de la Gaîté Un matin doux de verduresse

Les matelots l’attendent Et fixent l’horizon Où mi-corps hors de l’onde Bayent tous les poissons

Je tourne vire Phare affolé Mon beau navire S’est en allé

Les tessons de ta voix que l’amour a brisée Nègres mélodieux Et je t’avais grisée

La belle Américaine Qui rend les hommes fous Dans deux ou trois semaines Partira pour Corfou

Tu traverses Paris à pied très lentement La brise au voile mauve Etes-vous là maman

Je tourne vire Phare affolé Mon beau navire S’est en allé

On dit qu’elle était belle Près de Mississipi Mais que la rend plus belle La mode de Paris

Je tourne vire Phare affolé Mon beau navire S’est en allé

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Il grava sur un banc près la porte Dauphine Les deux noms adorés Clémence et Joséphine

Et deux rosiers grimpaient le long de son âme Un merveilleux trio Il sourit pour le Pavé des Gardes à la jument pisseuse Il dirige un orchestre d’enfants Mademoiselle Madeleine Ah ! Mademoiselle Madeleine

Ah ! Il y a d’autres filles Dans l’arrondissement De douces de gentilles Et qui n’ont pas d’amants

Je tourne vire Phare affolé Mon beau navire S’est en allé

GUILLAUME APOLLINAIRE

PRINTEMPS ET CINÉMATOGRAPHE MÊLÉS (1)

Les immeubles sont neufs ; les verres d’eau sont clairs ; J’endure, pour guérir, un régime sévère. Allons au Bois, si ça m’amuse J’y rencontre parfois la Muse ! Les bourgeons, c’est amer comme un lit d’hôpital Et l’on voit la pelouse au travers d’un cristal.

Un arbre appelé paulownia Pousse ses fleurs avant ses feuilles Tout comme amandiers et pêchers Mais il arrive bon premier. Sous son ombrelle en fleurs lilas Maints oiseaux, merles et bouvreuils Au soleil blanc donnent le la Et les coudriers sans lilas Seront l’appui des chèvrefeuilles, Ce soir je vais au cinéma.

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Au théâtre pensé de François de Curel Préférons le Ciné des couleurs naturelles.

Au son d’une musique absurde Nous verrons défiler les Kurdes Le fils du banquier Capulet Amoureux fou de Juliette Et si le livret est trop bête Les décors ne seront pas laids. Sherlock sera propriétaire Des secrets d’un noble déchu Un innocent forçat reviendra millionnaire Et le voleur du parachute Au célèbre inventeur son père Démolira les réverbères Sans émouvoir le commissaire.

Soleil ! tu fais sauter les dalles du cimetière, Le blanc de ma baignoire et le blanc des rideaux ; Tu viens tacher aussi ma gentille volière Et mécaniquement fais chanter mes oiseux ! Je me souviens. Je me souviens Du printemps sur l’Océan Indien. Je me souviens aussi, Panama, de ton isthme. Mais n’attendez pas que je fasse de l’exotisme ! De cafés en cafés, les autos en location Reçoivent des pourboires comme une bonne occasion, Aux fenêtres, le soir, les gens ont l’air de spectres Parce qu’on ne tourne pas les boutons électriques. Et dans le Luxembourg qu’un blanc choral allume, Un marchand de corsets joue du cor à la lune, Sous les épais rideaux de l’avenue du Bois, Un membre du Jockey apprend l’art du hautbois, Les pieds de ses valets soulignent les cadences.

« Je n’aime pas ces vers. « Prends un ton plus sévère ! « La Muse à te servir serait plutôt docile « Si, beau soleil d’argent sur l’Océan d’acier, « Tu frétais un steamer pour aller vers les îles. – Tu voudrais m’accordant sur un plus noble ton, « Que je quitte Paris pour le pays breton « A quoi bon ? le pommier ne fleurira qu’en mai

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« Et les gens du pays ne fleurissent jamais. « Oui, je sais que jadis marin convalescent « Avec un doigt au creux d’un livre, « J’ai vu, dans un verger brillant comme le givre, « S’évader de l’école sur le gazon naissant « Les petits paysans bleus que le soleil délivre ; « Mais les rues de Paris m’ont enseigné l’humour, « Un enchanteur puissant transforme ses faubourgs ; « C’est près de lui que je veux vivre. » Printemps ! Printemps ! l’azur est le miroir des toits, L’homme est suivi d’un ange et répond à ses voix ; Sur le boulevard Saint-Martin, dans le halo d’un réverbère J’ai vu l’ange de mon beau-frère. Monsieur le directeur des Nouvelles-Galeries Sortant avec le chef de rayon des Soieries, Voit le sien dans un arbre et lui sourit.

Le printemps dans le Bois débrouille un écheveau : Le résultat complet des courses de chevaux, Ma bonne ose avouer qu’on la photographie En grand décolleté pour l’élu de son cœur. Quoi donc ! noble lecteur tu dis : « Ces gens ! ah ! fi ! » - N’ai-je pas le portrait de ta femme en zingueur ? D’un tremble au gris naissant, suspendu à ses branches, Un audacieux enfant détachait l’orobanche ; Hymen secret d’insectes sur le gazon rasé. Un pneumatique blanc passe sans les écraser. Lascif, sur les fortifs, l’assassin fait relâche. Ceux des duels se baisent et ne se croient pas lâches. Madame Bovary s’ouvre à tous ses désirs Et le pâle Harpagon est mou comme la cire. L’on mange des gâteaux et l’on boit moins d’alcool, Et l’on voudrait avoir du rose à son faux-col.

Les souverains d’Angleterre Se rendant à Rialto Plus tard se félicitèrent D’avoir vu entre deux trains Le printemps à Aix-les-Bains. Je préfère au Rialto Mon logement rue Rataud, Je régale d’un air de danse Sur la flûte ou sur l’alto,

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Je le dis sans outre-cuidance, Mes voisins des hôpitaux.

Et les colliers de jais que sont les hirondelles.

Mars 1914. MAX JACOB

LE DRAME ET LA MUSIQUE

Je me propose d’affranchir ces deux arts: le drame et la musique. Je me propose de les établir en des domaines vastes et sûrs.

Mon but, à dire vrai, serait de parler essentiellement de la musique, mais je la considère comme un art incomplet (je donnerai plus loin une suite à cette assertion) et il m’est avis que modernement on ne saurait point construire une œuvre seulement musicale tout en étant bien établie, puissante, complète, sans recourir, pour ce faire, aux formules protocolaires qui sévirent jusqu’à maintenant dans le champ de la musique, et qui, en échafaudant autour de sens musical tout un support de formes artificielles et hétérogènes, rendaient cette même musique antimusicale. On ne saurait donc construire une œuvre musicale ayant une force d’existence personnelle sans avoir à corriger l’élément musical de son manque de totalité. Mais, par ailleurs, en la corrigeant on l’amoindrit. La contradiction apparaît évidente.

Qu’il soit bien entendu que ma conclusion hâtive ne renferme guère la menace d’un retour vers cette chose horripilante appelée jusqu’à maintenant la musique dramatique.

La question est toute nouvelle, et j’ai la conception d’une œuvre constituée à la fois d’éléments dramatiques et musicaux, mais où ces éléments – contrairement aux méthodes usées – ne se soutiendraient par aucune dépendance mutuelle.

Il reste donc à établir: d’abord la raison morale qui motiverait l’union de ces deux éléments; ensuite, la manière dont ces éléments seraient employés; et enfin – surtout! – la qualité et la valeur de ces éléments.

Avant d’entreprendre cette analyse, il me parait utile de donner un tableau comparatif des arts modernes relativement à l’époque; pourquoi il devient indispensable de préciser, avant tout, l’esprit de cette époque.

L’âge moderne apparaît, de prime abord, gouverné non par l’influence d’un caractère prépondérant, mais plutôt par une multitude de caractères différents, opposés, mais tous exubérants.

Ce chaos n’est qu’illusoire et tout superficiel; il tient d’ailleurs à des raisons très normales, car il est l’apanage inévitable d’un affranchissement complet dans les domaines artistiques, et à leur démocratisation. Cette nouvelle prise de la Bastille, en tout comme la véritable, donna de très beaux fruits par son geste libérateur, mais en même temps elle délia les mains d’innombrables filous.

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L’examen plus sûr nous révèle toutefois une voie qui ressort bien évidemment, et qui, par son importance et sa valeur, me semble destinée à prédominer dans l’heure actuelle et à survivre dans l’avenir; – telle est sa fatalité. – Cette voie se caractérise surtout par sa force austère et sombre et par l’apparence rigide et bien matérialisée de sa métaphysique. Elle pourrait être nommée: second romantisme, ou encore romantisme complet.

A certains cela peut paraître encore très vague et imprécis. Mais je considère l’époque suffisamment mûre pour un affranchissement spirituel complet. Je la considère apte pour l’éclosion d’une nouvelle et puissante force cérébrale – toute préparée qu’elle est depuis longue date par les exercices d’une sensualité savante. – De sorte qu’on serait porté à penser non seulement à la suite d’un effort mental, mais encore par une nécessité corporelle. On sentirait sa pensée. Loin de ces âges où l’abstraction régnait complète, notre époque serait portée à faire jaillir des matières mêmes (des choses) leurs éléments métaphysiques inhérents. L’idée métaphysique passerait, de l’état d’abstraction à celui de sens. Ce serait, ainsi, la mise en valeur totale des éléments qui informent le type de l’homme pensant et sensible.

Ce caractère tout particulier de l’âge présent semble avoir commencé de manifester son influence dans quelques cas très rares en poésie et en peinture. Il n’est pas de même pour la musique ni pour la dramatique. Ce sont là encore des espaces immaculés; des mondes sans dieux.

Tout ce que l’ont peut trouver de plus moderne en musique – ou, pour mieux dire, de plus récent – n’est guère encore qu’impressionniste ou descriptif.

Voici les faits: tel musicien de la jeune école britannique se plaît d’illustrer par des arabesques sonores des épisodes empruntés au «Livre de la jungle» de Ruyard Kipling, et il prend un soin méticuleux de nous décrire le combat d’une langouste contre un serpent, ou bien une lutte de pachidermes; tels autres musiciens des différentes écoles, viennoise, russe, tchèque, hongroise, en sont encore à traduire en musique des impressions; et pour ce qui concerne la jeune et illustre école française, son caractère essentiellement impressionniste est déjà trop connu pour qu’il m’incombe de le signaler.

C’est là, sans nul doute, le dernier cri de l’évolution musicale. Rien donc n’y apparaît qui soit, non saturé, mais ni même influencé faiblement par l’esprit métaphysique et austère qui semble vouloir se préciser dans notre époque.

Aucun musicien moderne – des dramaturges il en est de même – n’est donc une victime de son temps. Présents par le fait, ils appartiennent tous en vérité à des époques irrémédiablement révolues.

La musique moderne, malgré l’opposition apparente de ses multiples orientations, envisagée dans son ensemble, ne constitue qu’un amas d’exercices sensuels et rien davantage. De là il appert que cette musique diverge nettement du caractère de son époque.

Une musique qui aurait à remplir présentement un rôle effectif devrait être tout opposée à ce que les compositeurs contemporains nous ont accoutumé d’entendre. Elle devrait n’être pas formée exclusivement d’éléments sensuels, mais elle serait appelée à

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révéler et à faire éclater tout ce que la métaphysique moderne contient de dramatique, de terrible, d’inconnu et de passionné.

Il ne saurait donc plus être seulement question de revêtir la musique d’une forme plus neuve ni plus originale (comme on dit), car cela, loin de constituer une nouveauté, manquerait encore de tout moyen pour nous conduire vers la révélation d’une chose nouvelle. Et cette révélation, lointaine de l’apparence artistique s’il en fût, ne saurait guère relever d’une de ces formes bizarres de l’art moderne qui, au fait, ne sont que des légères tapisseries jetées sur le trou béant du vide.

Cette métaphysique moderne que souvent je mentionne, mérite bien quelques mots d’explication. Je ne veux pas entendre par ces mots, ce certain sens romantique qui pourrait jaillir des nouveaux éléments et des nouvelles formes nées des exigences et constituant le pittoresque de la vie moderne – comme le rêvent certains poètes fougueux et certains artistes impétueux mais stériles. Je ne prends en considération, quant à moi, que le résultat de cette force spirituelle que l’artiste moderne aurait à déployer pour faire jaillir de partout et rien que par son simple pouvoir, un sens métaphysique. Le contraire, par conséquent, de ce qui put se passer en d’autres époques. Car l’imagination – autant dire l’idée métaphysique – produite à la suite d’un choc extérieur, serait désormais sans la moindre valeur. Ce premier moyen de l’imagination je le nomme la métaphysique barbare, et quoiqu’elle ait tenu bien sa place dans la préhistoire et au moyen âge, elle ne serait plus aujourd’hui d’aucune utilité car elle manquerait totalement de moyens d’action et de pouvoir. Bien qu’ayant enfanté les religions, la poésie, les arts, à commencer des âges les plus lointains jusqu’aux conceptions wagnériennes, elle ne saurait plus aucunement influencer l’art moderne.

De nos jours l’artiste métaphysique devrait agir tout diversement, car au lieu de subir l’influence métaphysique provenant d’un phénomène extérieur et étranger à lui-même, il ferait lui-même subir à la matière façonnée par son art, son influence métaphysique personnelle.

La musique, en tant que moyen de représentation, n’existerait plus, car elle ne serait plus tenue à illustrer des phénomènes indépendants d’elle-même. Elle n’aurait ni à accompagner ni à décrire quoi que ce soit. (Je redoute ici les protestations de certains musiciens très avancés de l’école viennoise, qui croiraient bien m’avoir devancé dans mes entendements, car leurs compositions prétendent à la musique pure. Je me hâte de signaler le malentendu créé par ces musiciens, car leur musique pure n’est autre chose que de la musique animiste, et pourtant descriptive, car elle s’emploie à décrire des états d’âme. Et comment pourrait-il en être autrement alors que la production de ces musiciens se compose surtout de chants écrits sur des paroles?)

Ce n’est seulement l’affaire de la musique que de traduire dans son langage particulier soit des pensées littéraires, soit des impressions, soit encore des états-d’âme; et c’est encore moins son affaire que de représenter des phénomènes, des actions, ou des mouvements.

La musique est un art exceptionnel qui ne tolère point la façon, et qui exige d’être employé tel qu’il est. On dégénère cet art si l’on veut lui appliquer – ainsi qu’on l’a

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toujours fait – l’expression de la dramaticité et de la psychologie humaine, car il possède, lui, une dramaticité et une psychologie (pour ainsi dire) qui lui sont inhérentes.

Ainsi donc, ayant à présenter, dans l’ensemble d’une œuvre, l’élément musical d’un concert avec l’élément dramatique – comme je l’ai proposé – on ne devra voir dans cette association qu’un rapprochement complètement désintéressé, car l’élément musical ne dépendrait guère de l’élément dramatique, ni même celui-ci du premier.

Il s’agirait, somme toute, de faire participer dans le drame l’élément musical indépendant avec la même valeur et la même liberté que cet élément possède quand il apparaît accidentellement parmi les drames continus de la vie. En voici, du reste, des exemples typiques et grossiers: en considérant le mouvement d’une rue comme une action dramatique, on pourrait trouver un élément musical, sinon dans les cris et les voix de cette même rue, dans le son d’un piano provenant de la maison proche; ou bien encore en voulant placer l’élément dramatique dans l’intérieur d’une chambre, on pourrait y faire participer, comme élément musical, un son de trompe montant de la rue à travers la fenêtre ouverte; des travailleurs qui accomplissent leurs besognes manuelles en s’accompagnant par des chansons, constituent, sans s’en douter, des résumés de drames en musique.

Telle serait, succinctement, l’orientation des méthodes en vue d’une rénovation du drame avec musique. Mais encore faudra-t-il bien définir le caractère véritable et la valeur des deux éléments – le dramatique et le musical.

J’ai lieu de craindre que l’on ne puisse rien constituer de vaillant ni de fort tout en voulant se servir de ces éléments dans l’état où ils se trouvent. Et sans doute auront-ils besoin d’une préparation toute spéciale avant que d’être aptes d’informer les volumes et les situations conséquentes d’une métaphysique nouvelle.

La physionomie de l’époque qui se précise est trop caractéristique pour que l’on puisse songer d’utiliser les vieux ingrédients dans la façon d’une production relative à cette époque.

Et, pour tant, il faudra plier les matières selon les exigences futures, et employer, dans ces conceptions nouvelles, des éléments très conformes à la nature même de ces œuvres toutes frissonnantes au souffle puissant de la métaphysique de l’âge.

ALBERT SAVINIO

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«Les Soirées de Paris» n. 25

POÈMES

MASQUE

Je n’ai pas de dieu appréciable Je suis tout nu Je me balade aux feux des affiches et des glaces Dans les soirs artificiels De Paris d’ailleurs Je me balade Sans esprit sans cœur Et sans espoir

Dans l’ombre jaune vermeille Des théâtres des cafés des bars Je ramasse un regard comme un prospectus Et je m’en vais sans le lire

Mon alcool est au ciel que j’avale

Je n’aime pas songer aux choses Vous savez aux grands souvenirs Aux métaphysiques moroses Sans avenir Ni aux x des étoiles

Je suis un masque fantastique Pulcinella Stenterello Figure aigre et maigre à la Watteau Qui passe passe repasse

Ramassis de nerfs et de néant Confits dans le bleu du jour Je voltige léger je danse Aux carrefours Comme un vieux reflet sur le vent

Moderne oh ! là là dans le crépuscule Banal ainsi qu’un grand quotidien Qui serait rose rouge et vert Suppôt fâcheux des littératures

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Je suis un masque un baladin qui vit Par paresse par politesse Qui joue rit sourit Sans cesse Et qui se fout De tout

SOFFICI

FANTOMAS

Tu as étudié le grand-siècle dans l’Histoire de la Marine Française par Eugène Sue Paris, au Dépôt de la Librairie, 1835 4 vol. in-16 jésus Fine fleur des pois du catholicisme pur Moraliste Plutarque Le simultanéisme est passéiste Tu m’as mené au Cap chez le père Moche au Mexique Et tu m’as ramené à Saint-Pétersbourg où j’avais déjà été C’est bien par là On tourne à droite pour aller prendre le tramway Ton argot est vivant ainsi que la niaiserie sentimentale de ton cœur qui beugle Alma mater Humanité Vache Mais tout ce qui est machinerie mise en scène changement de décors etc etc Est directement plagié de Homer, ce Châtelet

Il y aussi une jolie page « …vous vous imaginiez, monsieur Barzum, que « j’allais tranquillement vous permettre de rui- « ner mes projets, de livrer ma fille à la justice, « vous aviez pensé cela ?… allons ! sous votre « apparence d’homme intelligent, vous n’etiez « qu’un imbécile… » Vol. 21 le Train perdu p. 367 Et ce n’est pas mon moindre mérite que de citer le roi des Voleurs

Nous avons encore beaucoup de traits communs J’ai été en prison J’ai dépensé des fortunes mal acquises Je connais plus de 120.000 timbres-postes tous différents et plus joyeux que les N° N° du Louvre Et

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Comme toi Héraldiste industriel J’ai étudié les marques de fabrique enregistrées à l’Office international des Patentes internationales

Il y a encore de jolis coups à faire Tous les matins de 9 à 11

BLAISE CENDRARS Juin 1914

LES RÉALISATIONS PICTURALES ACTUELLES

Conference fait à l’Académie Wassilieff

Apres avoir développé dans une conférence précédente, faite l’année dernière dans cette même Académie: «Les origines de la peinture actuelle et sa valeur représentative», je terminais cette conférence en affirmant que les réalisations picturales actuelles étaient la résultante de la mentalité moderne et étroitement liées à l’aspect visuel des choses extérieures qui sont pour le peintre créatives et nécessaires.

Je vais donc essayer, aujourd’hui, avant d’aborder des questions purement techniques, d’expliquer pourquoi la peinture actuelle est représentative au sens moderne du mot du nouvel état visuel imposé par l’évolution des moyens de production nouveaux.

Une œuvre d’art doit être significative dans son époque, comme toute autre manifestation intellectuelle quelle qu’elle soit. La peinture, parce qu’elle est visuelle est nécessairement le reflet des conditions extérieures et non psychologiques. Toute œuvre picturale doit comporter cette valeur momentanée et éternelle qui fait sa durée en dehors de l’époque de création.

Si l’expression picturale a changé, c’est que la vie moderne l’a rendue nécessaire. L’existence des hommes créateurs modernes est beaucoup plus condensée et plus compliquée que celle des gens des siècles précédents. La chose imaginée reste moins fixe, l’objet en lui-même s’expose moins que précédemment. Un paysage traversé et rompu par une auto ou un rapide perd en valeur descriptive, mais gagne en valeur synthétique; la portière des wagons ou la glace de l’auto, joints à la vitesse acquise, ont changé l’aspect habituel des choses. L’homme moderne enregistre cent fois plus d’impressions que l’artiste du dix-huitième siècle; par exemple, à tel point que notre langage est plein de diminutifs et d’abréviations. La condensation du tableau moderne, sa variété, sa rupture des formes est la résultante de tout cela. Il est certain que l’évolution des moyens de locomotion et leur rapidité sont pour quelque chose dans le visuel nouveau. Nombre de gens superficiels crient à l’anarchie devant ces tableaux, parce qu’ils ne peuvent suivre dans le domaine pictural, toute l’évolution de la vie courante qu’elle fixe; l’on croit à une solution brusque de continuité quand, au contraire, elle n’a jamais été autant réaliste et collée à son époque, comme aujourd’hui.

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Une peinture réaliste dans son sens le plus haut commence à naître et ne s’arrêtera pas de sitôt.

C’est une autre mesure qui apparaît pour répondre à un nouvel état de choses. Les exemples de rupture et de changement survenus dans l’enregistrement visuel sont innombrables. Je prendrai les plus frappants comme exemple. Le panneau-réclame imposé par les nécessités commerciales modernes, coupant brutalement un paysage, est une de choses qui ont le plus fait tempêter les gens dits… de bon goût. Il a même fait naître cette stupéfiante et ridicule société qui s’intitule pompeusement «La Société de protection des paysages». Connaît-on rien de plus comique que cet aéropage [sic] de braves gens chargés de décréter solennellement que telle chose fait bien dans le paysage et cela non. A ce compte-là, il serait préférable tout de suite de supprimer les poteaux télégraphiques, les maisons, et ne laisser que des arbres, de douces harmonies d’arbres! Le gens dits de bon goût, les gens cultivés n’ont jamais pu digérer le contraste, il n’y a rien de plus terrible que l’habitude, et ces mêmes gens qui protestent avec conviction devant le panneau-réclame, vous les retrouverez au Salon des Indépendants se tordant de rire devant les tableaux modernes qu’ils sont incapables d’encaisser comme le reste.

Et pourtant, cette affiche jaune ou rouge, hurlant dans ce timide paysage, est la plus belle des raisons picturales nouvelles qui soient ; elle flanque par terre tout le concept sentimental et littéraire et elle annonce l’avènement du contraste plastique.

Naturellement, pour trouver dans cette rupture de tout ce que l’habitude avait consacré, une raison à une harmonie picturale nouvelle et un moyen plastique de vie et de mouvement, il fallait une sensibilité artistique qui devance toujours le visuel normal de la foule.

De même, les moyens de locomotion modernes ont complètement renversé les rapports connus de toute éternité. Avant eux, un paysage était une valeur en soi qu’une route blanche et morte traversait sans rien changer à l’entourage.

Maintenant, les chemins de fer et les autos, avec leur panache de fumée ou de poussière, prennent tout le dynamique pour eux, et le paysage devient second et décoratif.

Les affiches sur les murs, les réclames lumineuses sont de même ordre d’idée; elles ont fait naître cette formule aussi ridicule que la société précédemment citée: Défense d’afficher.

C’est l’incompréhension de tout ce qui est nouveau et vivant qui a fait sortir cette police des murs. Aussi, ces interminables surfaces que sont les murs administratifs et autres, sont-elles ce qu’il y a de plus triste et de plus sinistre que je connaisse. L’affiche est un meuble moderne, que les peintres aussitôt ont su utiliser. C’est le goût bourgeois que l’on retrouve encore là, le goût du monotone qu’ils traînent partout avec eux. Le paysan, lui, résiste à ces amollissements; il a encore gardé le goût des contrastes violents dans ses costumes, et une affiche dans son champ ne l’effraye pas.

Malgré toute cette résistance, le costume ancien des villes a dû évoluer avec le reste; l’habit noir qui s’oppose dans les réunions mondaines aux toilettes claires féminines est une manifestation certaine d’une évolution dans le goût. Le noir et le blanc chantent et

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se heurtent, et l’effet visuel des réunions mondaines actuelles sont exactement contraires aux effets que les réunions semblables du dix-huitième siècle, par exemple, produisaient. Les costumes de ces époques étaient dans les mêmes tons, l’ensemble était plus décoratif, moins contrasté et plus monotone.

Malgré cela, le bourgeois moyen a encore gardé son concept du ton sur ton, le concept décoratif. Le salon rouge, la chambre jaune seront encore longtemps, en province surtout, la dernière manifestation du bon ton. Le contraste a toujours fait peur aux gens paisibles et satisfaits; ils l’éliminent le plus possible de leur vie, et de même qu’ils sont heurtés désagréablement par une dissonance d’affiche ou autre, de même leur vie est organisée pour éviter tout contact rude. Ce sont les derniers milieux à fréquenter pour des artistes; on enveloppe la vérité et on en a peur; il ne reste plus que des politesses dans lesquelles un artiste peut vainement chercher à s’instruire.

L’application des contrastes n’a jamais pu être utilisée d’une manière intégrale par les époques précédentes pour plusieurs raisons: 1° la nécessité de se soumettre rigoureusement à un sujet (j’ai développé cela dans une précédente conférence), qui devait avoir une valeur sentimentale.

Jamais, jusqu’aux impressionnistes, la peinture n’avait pu se dégager de l’envoûtent littéraire, par conséquent l’application des contrastes plastiques était forcément diluée dans une histoire qu’il fallait décrire, ce que les peintres modernes ont reconnu parfaitement inutile.

Au jour où les impressionnistes eurent libéré la peinture, le tableau moderne essaya tout de suite à s’échafauder sur des contrastes; au lieu de subir un sujet, le peintre fait une insertion et utilise un sujet vers des moyens purement plastiques. Tous les artistes qui ont heurté l’opinion dans ces dernières années ont toujours sacrifié le sujet à l’effet pictural. Même Delacroix, et cela nous fait remonter plus haut, fut tant discuté pour cette raison quand malgré son poids de romantisme littéraire il réussit des tableaux comme l’Entrée des Croisés à Jérusalem, où le sujet est nettement dominé par l’expression plastique; il ne fut jamais admis par les gens qualifiés et officiels…

Cette libération laisse le peintre actuel libre de ces moyens devant un état visuel nouveau que je viens de décrire; il va devoir s’organiser pour donner un maximum d’effet plastique à des moyens qui n’y ont pas encore servi; il ne doit pas devenir un imitateur de l’objectif visuel nouveau, mais une sensibilité toute subjective de ce nouvel état de choses.

Il ne sera pas nouveau parce qu’il aura rompu un objet ou posé un carré rouge ou jaune au milieu de sa toile; il sera nouveau par le fait qu’il aura saisi l’esprit créatif de cette manifestation extérieure.

Du moment que l’on admet que seul le réalisme de conception est capable de réaliser dans le sens le plus plastique du mot ces effets nouveaux de contrastes, il faut laisser le réalisme visuel de côté et concentrer tous les moyens plastiques dans un but qualificatif.

La composition prime tout le reste; les lignes, les formes et les couleurs, pour prendre leur maximum d’expression, devront être employées avec le plus de logique

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possible. C’est l’esprit logique qui devra obtenir le plus grand résultat, et j’entends par logique en art, celui qui a la possibilité d’ordonner sa sensibilité. Savoir donner à la concentration des moyens un maximum d’effet dans le résultat.

Il est bien certain que si je regarde les objets dans leur ambiance, dans l’atmosphère réelle, je ne perçois pas de ligne limitant les zônes [sic] de couleurs, c’est entendu; mais cela c’est du domaine du réalisme visuel et non de celui tout moderne du réalisme de conception. Vouloir éliminer de parti pris des moyens d’expression comme le trait et la forme en dehors de leur signification colorée, c’est enfantin et c’est revenir en arrière; le tableau moderne ne peut avoir une valeur durable et meurt non dans une exclusivité de moyens au détriment d’expression plastique possible, dans un but qualificatif. C’est un acquis des peintres modernes d’avoir compris cela; avant eux, un dessin avait une valeur en soi et une peinture en elle-même; désormais on rassemble tout, pour pouvoir arriver à une variété nécessaire et à une puissance réaliste maximum. Un peintre qui se dit moderne et qui considère à juste titre la perspective et la valeur sentimentale comme des moyens négatifs doit savoir remplacer cela dans ses tableaux par autre chose qu’un continuel rapport de tons purs, par exemple.

C’est absolument insuffisant pour justifier une dimension même moyenne et à plus forte raison des tableaux de plusieurs mètres carrés de surface, comme on a pu voir quelques-uns au dernier Salon des Indépendants – c’est l’agrandissement à l’échelle de la formule néo-impressionniste.

Ce concept qui consiste à utiliser le contraste immédiat de deux tons pour éviter la surface morte est négatif dans la construction du grand tableau. La construction par la couleur pure est depuis longtemps jugée, elle aussi à une neutralité parfaite et à l’égalité, c’est ce que j’appellerai la peinture additionnelle au rebours de la peinture multiplicative que je vais essayer de développer plus loin.

Les impressionnistes, en gens sensés, ont senti que leurs moyens, assez pauvres, ne permettaient pas la grande composition; il se sont maintenus dans des dimensions justifiées. Le grand tableau exige de la variété et par conséquent l’addition d’autres moyens que ceux des néo-impressionnistes.

Le contraste de ton peut se résumer par le rapport 1 et 2, 1 et 2 répété à l’infini. L’idéal dans cette formule serait de l’appliquer intégralement et cela nous conduirait à une toile divisée en une quantité de plans égaux dans lesquels on oppose des tons de valeur égale et complémentaire; un tableau composé de cette sorte peut étonner pendant quelque temps, mais dix sont la monotonie certaine.

Pour arriver à la construction par la couleur, il faut qu’au point de vue valeur (car en somme il n’y a que cela qui compte), les deux tons s’équilibrent, autrement dit se neutralisent si le plan coloré vert, par exemple, est plus important que le plan coloré rouge, il n’y a plus construction. Vous voyez où cela mène. Les néo-impressionnistes ont fait l’expérience il y a longtemps, et il est suranné d’y revenir.

La composition par contraste multiplicatif, en employant tous les moyens picturaux, permet en plus d’une plus grande expérience réaliste une certitude de variété; en effet,

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au lieu d’opposer deux moyens expressifs dans un rapport immédiat et additionnel, vous composez un tableau de telle sorte que des groupements de formes similaires s’opposent à d’autres groupements contraires. Si vous distribuez votre couleur, elle aussi dans le même esprit, c’est-à-dire une addition de tons similaires, coloriant un de ces groupements de forme contre une même addition contraire, vous obtenez ainsi des sources collectives de tons, lignes et couleurs agissant contre d’autres sources contraires et dissonantes. Contraste = dissonances, par conséquent maximum dans l’effet d’expression. Je prendrai un exemple dans un sujet quelconque. Je prends l’effet visuel des fumées courbes et rondes s’élevant entre des maisons et dont vous voulez traduire la valeur plastique, vous avez là le meilleur des exemples pour appliquer cette recherche des intensités multiplicatives. Concentrez vous courbes avec le plus de variété possible, mais sans les désunir; encadrez-les par le rapport dur et sec des surfaces des maisons, surfaces mortes qui prendront de la mobilité par le fait qu’elles seront colorées contrairement à la masse centrale et qu’elles s’opposent à des formes vives; vous obtenez un effet maximale.

Cette théorie n’est pas une abstraction, mais elle est formulée à la suite d’observations d’effets naturels que l’on observera journellement. Je n’ai pas pris exprès un sujet dit moderne, car je ne connais qu’une interprétation nouvelle et c’est tout. Mais les locomotives, les automobiles, si vous y tenez, les panneaux-réclame, tout est bon à l’application d’une forme de mouvement; toute cette recherche vient, comme je l’ai déjà dit, de l’ambiance moderne. Mais avec le sujet le plus banal, le plus usagé, une femme nue dans un atelier et mille autres, vous remplacez avantageusement les locomotives et autres engins modernes, qu’il est difficile de faire poser chez soi. Tout cela, ce sont des moyens; il n’y a d’intéressant que la manière dont en s’en sert.

Dans de nombreux tableaux de Cézanne, on peut voir, à peine ébauchée, cette sensibilité inquiète des contrastes plastiques. Malheureusement, et ceci vient corroborer ce que je disais tout à l’heure, son milieu très impressionniste et son époque moins condensée et moins rompue que la nôtre ne pouvait l’amener au concept multiplicatif; il l’a senti mais il ne l’a pas compris. Toutes ses toiles sont faites devant un sujet et dans ses paysages où des maisons s’écrasent maladroitement dans des arbres, il avait senti que la vérité était là. Il n’a pas pu la formuler et en créer le concept. Abandonner cette trouvaille qui est une certitude de développement et un commencement dans le créatif, pour revenir au néo-impressionnisme qui est un aboutissant et une fin, je dis que c’est une erreur que l’on doit dénoncer. Le néo-impressionniste a tout dit, sa courbe fut infiniment courte, ce fut même un cercle tout petit où il n’y a rien à prendre.

Seurat fut une des grandes victimes de cette médiocre formule dans de nombreux tableaux, et il y a perdu beaucoup de temps et de talent, en s’enfermant dans cette petite touche de couleur pure qui d’ailleurs ne colore pas de tout, car la question de la puissance colorante qui, elle, a une valeur intrinsèque, qui n’est plus respectée car le mélange optique, c’est le gris. Seul le ton local a son maximum de coloration. Seul le système des contrastes multiplicatifs permet de l’utiliser; par conséquent la formule

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néo-impressionniste arrive à ce but assez paradoxal mais certain, celui d’employer des tons purs pour arriver à un ensemble gris.

Cézanne, je le répète, le seul de tous les impressionnistes, avait touché du doigt le sens profond de la vie plastique par sa sensibilité aux contrastes de formes.

Je m’arrêterai ici dans les explications techniques, mais je ne veux pas terminer cette causerie sans répondre à quelques objections qui ont été faites au sujet du Salon des Indépendants.

Je ne veux pas faire ici l’apologie de ce Salon, ce serait une banalité, mais je tiens à répondre à ces objections faites par des personnes qui certainement ont oublié le but de ce Salon.

Le Salon des Indépendants, qui comme tous les ans a tenu sa place prépondérante dans la manifestation mondiale de peinture, est avant tout un Salon de peintres et pour les peintres. Par conséquent, toutes les personnes qui viennent là pour chercher des œuvres parfaitement réalisées n’y ont rien à faire. Elles se trompent complètement sur le but cherché par les exposants. D’autres personnes ont trouvé critiquable que des peintres d’avant-garde d’hier abandonnent aujourd’hui ce Salon et n’y exposent plus leurs tableaux. On croit à des calculs plus ou moins intéressés, ce qui est parfaitement faux. Juger ainsi, c’est avoir oublié que ce Salon est avant tout un Salon de manifestation artistique. C’est la plus grande du monde entier (et je n’exagère rien en employant de pareils qualificatifs).

C’est justement son renouvellement perpétuel, à l’encontre des autres Salons, où l’on voit éternellement les mêmes peintures, qui fait sa raison d’être.

Ici, il doit y avoir toujours place pour les chercheurs et leurs inquiétudes, et ceci grâce aux artistes qui définitivement en possession de leurs moyens expressifs cèdent la place à de plus jeunes qui ont besoin de se voir accrocher dans une relativité. Si tous les peintres qui ont mené la bataille aux Indépendants continuaient à occuper des salles qui seraient certainement attractives, au détriment de plus jeunes, ils empêcheraient les manifestations nouvelles de se produire.

Le Salon des Indépendants est un Salon d’amateurs. Lorsque ces peintres possèdent leurs moyens d’expression, qu’ils se professionnalisent, ils n’ont plus rien à y faire. Ce Salon deviendrait comme tous les autres, un Salon de vente s’adressant aux acheteurs.

C’est ce perpétuel élément de nouveauté qui fait l’intérêt mondial qu’il suscite; c’est le seul qui puisse se permettre d’être l’éternel baladeur dont l’existence foraine loin de la diminuer lui redonne tous les ans un regain de vie. N’importe où il aille, il aura toujours son public de curieux et de peintres. Tout ce qui compte en art moderne a passé là, tous ceux qui cherchent et travaillent aspirent à y exposer. Paris devrait être très fier d’être l’endroit choisi pour cette grande manifestation picturale. Ces pauvres salles en toiles et en planches ont vu plus de talent éclore que tous les salons officiels réunis. C’est le Salon des Inventeurs et, à côté, des folies qui peut-être ne se réaliseront jamais, il y a quelques peintres qui seront l’honneur de leur époque. C’est le seul où le bon goût bourgeois n’ait pu pénétrer, c’est le grand Salon moche, et c’est très beau, on n’y écrase

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pas de tapis, on y accroche des rhumes de cerveau en même temps que les tableaux. Mais jamais autant d’émotion, de vie, d’angoisse et de joie très pure n’ont été amoncelées dans un si modeste endroit.

Il faut avoir exposé là dedans pendant des années de jeunesse, il faut y avoir apporté en tremblant, à l’âge de vingt ans, ses premières ébauches, pour savoir ce qu’il est. L’accrochage des tableaux, l’éclairage, le vernissage, cette lumière brutale qui vous heurte et ne laisse rien dans l’ombre, toutes ces choses inconnues qui, d’un seul coup bousculent votre sensibilité et votre timidité. On s’en rappelle toute sa vie. C’est tout ce que l’on a de plus cher que l’on apporte là. Les bourgeois qui viennent rire de ces palpitations ne se douteront jamais que c’est un drame complet qui se joue là, avec toutes ses joies et ses tristesses. S’ils en avaient conscience, car au fond ce sont de braves gens, ils entreraient là avec respect, comme dans une église.

J’ai d’autant plus de plaisir à dire ces choses-là, ce soir, que je les dis devant un public d’Européens qui me comprendront… car ce sont eux qui sont le Salon des Indépendants.

FERNAND LÉGER

«Les Soirées de Paris» nn. 26-27

CHRONIQUE CINEMATOGRAPHIQUE

[…] Et maintenant, oserai-je… n’oserai-je pas? Enfin, courage, et à la grâce de Dieu! maintenant… Fantômas.

O noblesse! ô beauté! Il est de ces sujets qui vous écrasent, et dont la majesté sereine, comme la splendeur inimitable, laissent le spectateur pantelant, les yeux exorbités et les lèvres muettes. Encore, si j’avais sous la main la plume d’un Brunetière! Mais je ne dois aborder pareille entreprise qu’avec de faibles formes, qu’avec mon enthousiasme, et qu’avec ma jeunesse. Fantômas, pardon! Mais vous, Armand Silvestre, et vous, Marcel Olin [sic], heureux auteurs, qu’avez-vous donc fait là? D’autres plus tard, fouilleront sans doute avec de plus soin la vie de votre héros, M. Romain Rolland peut-être, mais c’est à vous que reviendra toujours la gloire inestimable de l’avoir découvert, connu, compris, dirai-je aimé? et d’avoir fourni tant d’excellents prétextes à raffermir les conversations défaillantes.

Mais, rien que dans ce film, touffu, compact et concentré, que de génie éclate! Tenez, la cheminée à gaz, par exemple. Un marquis, souffrant, se couche après avoir fait allumer sa cheminée à gaz. Que fait alors Fantômas? Il court au compteur, le ferme, et la flamme s’éteint. Ce n’est pas tout. En effet, très posément, il ouvre à nouveau le compteur: le gaz se répand dès lors dans la pièce, et cet aristocrate est asphyxié! Comme c’est simple, comme c’est grand! Et ce jeune homme, qui va cacher des bijoux volés dans la grosse cloche d’une église, comme cela, sans chercher de midi à quatorze heures! Et Fantômas qui le renvoie les quérir, qui le hisse dans la cloche et qui, par une

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niche de gamin, s’amuse à lui retirer l’échelle pour le laisser là-haut, suspendu après le battant, au-dessus de l’abîme! Et ce spectacle sublime d’une pluie de sang, de perles et d’or sur les fidèles de l’église, lorsqu’on fait sonner la cloche et que le malheureux jeune homme, battant humain, est fracassé entre les parois du bronze, lui et ses bijoux! Et, plus loin, voyez avec quelle délicatesse le héros «emprunte» 500.000 francs à la marquise. Comme vous dites, en effet, M. Fantômas, car je n’ose écrire Fantômas tout court, comme vous dites en effet, monsieur, pour vous excuser: «Fantômas a faim quelquefois!» C’est du meilleur Hugo, et c’est trop beau, vraiment! Pour moi, je pense que Fantômas est un roman à clef; mais qui nous la donnera? Enfin, qui vivra verra. Cependant, des personnes bien informées me disent que Fantômas serait le frère de Juve, le policier. Serait-ce possible, mon Dieu? Moi qui aurais juré qu’ils ne faisaient qu’un seul et même personnage!

M. R.

ECRIT POUR LA S.A.F.

à Madame Picabia Dans le village que de virages ! Sur son village notre héros jette la peste aux gens du crû – Mille punaises qu’on cueille au vol sur les deux rives – Mais Juve arrive – qui l’aurait cru ? – Tout est sauvé ! ça sent le phénol. Ma mère fut attachée sur un siège Louis XIII devant un revolver qui devait la tuer à 5 13.

Pickpockets dans les trains ! drames dans le Métro ! Cadavres maquillés au creux des hôpitaux ! « Du féerique tremplin de ma férocité ! « Moi, Fantômas, je saute à mon septième étage « pour montrer mon adresse. « ou montrer mon courage ? « Pour mettre du lyrisme aux Nouvelles Diverses ? « Non, non ! c’est pour montrer à ceux que j’intéresse « qu’un homme chic a toujours sur lui des cartes d’adresse. « J’suis entouré ! j’suis entouré ! j’suis en Touraine ! « Ne vous dérangez pas, messieurs ! c’est pas la peine ! « Mon auto tombe à la rivière ;

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« elle flotte à cause des pneus « Voilà l’hydravion découvert : « Juve et Fandor en seront bleus ! « Crime à tous les Etats ! crime à tous les étages ! « Qu’importe l’or ? on l’a par tas ! « Il n’est crime que crime d’Etat. « Ce qu’il faut c’est qu’un tsar enrage, « que Wilhelmine soit en cage « et tous nos ministres aussi « et les Rothschild à ma merci ! »

Or le quinquina Dubonnet S’étant trouvé empoisonné Tous les gens de l’apéritif De l’Opéra jusqu’aux fortifs Se contordaient sur les trottoirs. Et cet imbécile de Havard Dit à Juve « Fais ton devoir ! » Juve dit : « J’arrive trop tard ! » Ce jour-là Dubonnet rêvait dans un égout – on ne discute pas des couleurs et des goûts – Juve l’y rencontra déguisé en ouvreuse. Ces deux personnalités bien parisiennes se mesurèrent d’un coup d’œil Mais Juve était toujours correct : « Ah ! si j’avais sur moi quelque mandat d’arrêt, Comme cet innocent paierait pour les coupables ! » Une heure après le policier était à table.

Pour éveiller nos joies un beau crime est bien fort En voici treize à la douzaine commis devant des coffres-forts Et tout ça, c’est la faute au Métropolitain ! Asiles d’aliénés ! trappes ! placards ! poignards ! Fusils de précision ! glace avec ou sans tain ! Taxi qui vous conduit à la gare Saint-Lazare.

PARTIE CRITIQUE

Chaque aventure nouvelle de «Fantômas» présente quatre parties. 1re partie: description d’un milieu paisible ou non.

Les auteurs font preuve d’une connaissance minutieuse du milieu décrit. Cette description est large et simple.

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2e partie: un crime est commis avec des circonstances mystérieuses, généralement par un domestique faux et dans un endroit hermétiquement clos. L’habileté du policier Juve découvre que l’auteur du crime est un complice de Fantômas.

3e partie: l’habileté du policier Juve découvre qu’une haute personnalité (quelquefois un monarque) n’est autre que Fantômas grimé.

4e partie: une course fantastique amène Fantômas poursuivi et le policier poursuivant sur divers points du globe: chutes du Niagara, tuyau de locomotive, environs de Grenoble, rade de Cherbourg, ferrures extérieures de la Tour Eiffel, le fond de l’Atlantique, etc… Dans ces occurrences les auteurs ne se montrent pas seulement des savants très forts en géographie et en «Guide Joanne», des chauffeurs experts mais des poètes aigus, terribles, des auteurs dramatiques d’une ingéniosité unique.

J’ajouterais, messieurs, que les caractères sont nombreux, nouveaux, précis, pitto-resques et s’élèvent au type comme chez Balzac ou Eugène Sue. Je me ferai fort de le démontrer si ceci ne devait dépasser le cadre de cette modeste étude.

Le style est déplorable, tranchons le mot, il est déplorable. Les auteurs, m’affirme-t-on, sont d’anciens étudiants de lettres: ils ne font pas honneur à leurs maîtres, avouons-le, messieurs, bien qu’il nous en coûte. Ils écrivent «s’entretenir à quelqu’un», «il faut mieux». Ils abusent du mot «désormais».

PARTIE PHILOSOPHIQUE ET MORALE

En cagoule Napoléon serait bien mieux. Avec deux globes incandescents à la place des yeux ! Voici donc le surhomme à l’œuvre ! Surhomme à l’eau ! surhomme à l’eau ! surhomme à l’œuvre ! Son maillot, c’est une couleuvre ! Du Nietzche écrit pour les boniches Ah ! quelle bonne niche à Nietzche ! Nous eûmes Fantômas dompteur et chef d’orchestre, Astronome, stoppeur ou essayant de l’être, ténor, oculiste, toréador ou gazomètre passant des examens ! Toujours il est le maître. Valez-vous Rodomont, Ubu, Robert Macaire, apache en chausson blanc, rossant le commissaire ? Napoléon ne serait-il pas mieux en cagoule avec deux globes incandescentes aux yeux ? Quant à moi, je sentais le besoin d’un héros plus grand que Bel-Ami et que Monte-Cristo, autre que des Esseintes ou le Maître de Forges, Comme un bourgeois mon temps veut sa face en sublime or voici le portrait que Fantômas nous forge :

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« La science avec le vol, l’impunissable crime » Je ne parle pas pour vous qui avez de l’instruction pour qui le présent n’a pas de fortification, dames et beaux messieurs qui, avec vos projets vivez dans l’Avenir ou bien dans le Passé ni pour vous, bonnes gens dans les petites villes qui allez au bureau et vous tenez tranquilles, Je parle pour tous ceux qui sont « au jour le jour » sans autre grand souci que de manger et boire lisant plus le journal quotidien que l’histoire forcés pour l’exploiter de connaître leur temps ; Pour eux, pour moi, pour vous, Fantômas est vivant. Tu es un meilleur professeur d’énergie que Paul Adam Le fils de mon concierge qui a quinze ans A volé le revolver de son père Pour aller comme lui conquérir mer et terre Tu nous a promené la « marque » Comme des représailles contre les monarques Mais aussi tu as proposé un idéal aux brigands Or un idéal c’est une barrière.

AXIOME FINAL A PRENDRE OU A LAISSER

Les littératures se meurent de synthèses plus qu’elles n’en vivent. Nous n’avons pas d’études de détail et le détail c’est la mécanique de tout. Les membres de la S.A.F. ne pensent-ils pas que «Fantômas» est à la fois une œuvre de synthèse et une étude de détails?

LES CONCOURS DU CONSERVATOIRE

Purgez-vous, chastes gens ; c’est l’heure du concours. Le jour qui luit sera le maître de vos jours Jolis animaux blonds vifs, prudents et rêveurs. Entre cour et jardin analysez vos cœurs. Othello barbouilla ses souliers de cirage. Songez qu’à l’Opéra il s’en met au visage C’est ici qu’on verra Mentor dans une stalle Proposer de changer Télémaque en étoile Les sirènes enfants qui sonnent le tocsin Sur la corde à violon et sur le clavecin Et le plus grand seigneur de la seigneurerie

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Chéri des femmes pleurer d’être ailleurs incompris. – Puis croyez-vous qu’il soit commode De s’habiller gratis à la dernière mode. Mon père appelle les pianos des commodes. Ma mère met de l’ail dans le bœuf à la mode Et la petite sœur que je vois dans la salle rit d’avoir mon portrait sur des cartes postales. Je ne vais en métro que dans les premières classes Et je cherche en parlant les notes les plus basses. Autrefois lauréat du baccalauréat J’hésitais entre la tragédie et la contrebasse. « Vous êtes un ténor, mon cher petit Lucien, M’a dit un ex-croupier du casino d’Enghien. » Mais depuis, j’ai compris : ces gens-là sont des veaux. J’obtiendrai un premier prix dans Marivaux. Je récite du Baudelaire chez les bourgeois. Spectre de Frédérick, es tu content de moi ? Non ! mais quels sont ces cris ? Quelles sont ces clameurs ? c’est Lucrèce en râlant qui montre ses douleurs ; c’est Phèdre tout entière à la proie attachée. Ah ! que ne suis-je assise à l’ombre des forêts ! L’Aigle de l’Empereur arrache encore des tripes Aux flancs de Prométhée, aux yeux sanglants d’Œdipe ; Ruy Blas perce Néron d’un coup de baïonnette. Bien fait ! Monstre naissant ! Ergoteur malhonnête. Hernani présentait le bras à Carmosine ; Macbeth, le chef d’Hamlet à sa tirelire Et Bajazet offrait le miroir à Rosine. Au Mont-de-Piété, les bijoux de Zaïre. Byron adolescent se jetait dans la Seine. C’est comme des légumes qu’on vendrait sur la scène. On jouera du piano dans un décor de hêtres ; Les élèves viendront de tous ces futurs maîtres Aux loges des balcons choisir leurs futurs maîtres.

O Fée qui protégez le Certificat d’Etudes ! Chopin qui, pour hautbois, composas cette étude ! Faites que ces Icares, dont le doigt un peu rude Affronte le soleil de la publicité Jeunes, par le dompteur ne soient pas dévorés. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Le soir tombe. Une vieille pleure près d’un malade, Paillasse Est engagé au Cinéma-Palace. « Mère ! séchez vos pleurs et voyez mes lauriers ! » Paillasse parle encor de ce tragique soir Aujourd’hui que sa femme embellit les trottoirs.

MAX JACOB

PROSES ET POÈMES

DE PASSY A RASPAIL EN METRO

Le métro dans la gare pâle repart avec un grand bruit. Je m’assieds près d’une fenêtre et regarde les dernières lettres de la gare pâle qui est Passy. Le métro file et m’emporte dans le matin d’or qui me rend heureuse. Le soleil, follement rouge, sort en boule de la lumière mauve. Je regarde Paris qui s’éveille et ouvre ses yeux à persiennes. Je regarde la Seine noire et calme, qui passe sous moi et sous le métro. Je la vois qui tourne sous ses ponts en emportant les bateaux. Maintenant, c’est le boulevard de Grenelle avec ses hautes maisons neuves et blanches. Les carreaux reflètent mille soleils qu’ils se renvoient mutuellement. Voilà un café, un coiffeur qui n’est pas encore ouvert et puis «Grenelle» et l’arrêt! Je ne veux rien perdre du matin blanc et tout voir! Alors je regarde les affiches: le bec Auer, qui se pavane, l’Agence H., Zig-Zag qui fume comme une cheminée, et puis le Thermogène qui s’enflamme. Mais voilà de nouveau l’air et le boulevard de Grenelle. Encore des maisons, on me pointe mon billet, une place, une pharmacie, avec ses bocaux verts et bleus, un café, une épicerie, des charrettes de charbonniers, des taxis-autos rouges, des petits garçons allant à l’école, dont les collets noirs s’envolent. «Dupleix». Ah! revoilà le Thermogène, la pâte Radia, le chocolat Meunier et le cacao Suchard avec une cuisinière rouge, rouge, qui pèse des tablettes noires, noires. Un monsieur monte, le métro parte. Le monsieur lit son journal: c’est Excelsior. Mais j’aime mieux regarder dehors. Voilà un dentiste, du moins, c’est écrit en lettres d’or sur son balcon. Un fleuriste et des coucous jaunes. Le grand hôtel du Centre qui est tellement sale que s’il n’était pas du Centre… il serait impardonnable. L’hôtel de l’Europe, qui n’est pas du reste plus propre, mais enfin, c’est l’hôtel de l’Europe. Cafés en gros. Boulevard de Grenelle, toujours et enfin la «Motte-Picquet». Ah! la Pâte flamande Oméga. La roue libre Eadie, la roue libre Eadie, la roue libre Eadie. Le manchon Kern, l’Ecla et un monsieur qui a un pied, un pied! mais je quitte le pied du monsieur pour le boulevard Garibaldi et sa première teinturerie. Voilà un square, il n’y a personne. Des cuirassiers passent avec des poitrines lumineuses, puis un autre square avec un lion en pierre noire qui fait une tache dans la lumière. «Cambronne». Oméga la pâte flamande, la lampe Z, Byrrh. Puis le boulevard Garibaldi, un coiffeur, une teinturerie, un bureau de tabac, des maisons vieilles, couvertes d’affiche, une boulangerie, l’avenue de Suffren, «Sèvres», la Salamandre, Oxo, l’Abricotine, le chocolat

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Meunier, le chronomètre Lipp, et c’est tout ce que je peux voir. Voilà le boulevard Pasteur, on descend! on descend! Je ne vois plus la tête des arbres, je ne vois plus les maisons! Je ne vois plus que les pieds des gens sur le trottoir. Je ne vois plus rien: le noir! le noir! Les lampes électriques me regardent et moi je regarde le long tunnel où les lettres noires de Dubonnet s’étalent. «Pasteur». Les biscuits Pernot, que mangent des militaires à dents blanches, le radiateur Kern, la crème Simon, le fois gras truffé, et, sur le quais, des ouvriers, des femmes, des enfants! Puis on se renforce dans le noir, on rencontre un autre métro et c’est pendant un moment un mélange fou de lumière. Puis le couloir, Dubonnet, les lampes! «Maine», la lumière Jougla, le cacao Van Houten, Saint-Raphaël-Quinquina, La Salamandre. Une vieille dame monte avec des paquets qui tombent. C’est tout. Dubonnet, 0 kil. 275, Dubonnet, 0 kil. 270, Dubonnet, 0 kil. 265. «Edgar-Quinet», l’Habit Vert, le grand Bazar de l’Hôtel-de-Ville, la source Badoit. Bousculade sur les quais! Ils sont fous les Parisiens. Dubonnet, 0 kil. 260, Dubonnet, 0 kil. 255, Dubonnet, 0 kil. 250. «Raspail!» Je me précipite sur le quai. Je grimpe l’escalier. Je me jette sur le boulevard Raspail où le soleil fait tourner les maisons, et je cours, cours, pour respirer tout le Luxembourg.

[…]

SUR UN TABLEAU CUBISTE

« La culture physique » de Picabia exposée aux Indépendants en 1914.

Et mon rêve s’est penché sur le tableau cubiste Harmonieux comme lui il a pris la forme profonde De ses courbes.

Plus rien Mon rêve oublie le monde, il s’enfonce et l’espace entier Fait place à ma pensée Les choses ne sont plus… Ah ! qu’importe les CHOSES comme un arc-en-ciel, elles se décomposent Prisme d’idée Prisme de sensation Réalisation enfin nouvelle d’une beauté simplifiée comprise et universelle Vie simple Sonorité sans limite lumière ronde de ces lignes et s’emboitant dans elle comme des poupées russes.

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Oh ! je vois des choses… non ! des lumières… le Paradis quand il était situé dans le ciel devait avoir de ces profondeurs : morceau de clarté jaillissante me faisant penser à une tasse de porcelaine blanche au milieu d’un crépuscule printanier. Ombre divinement infinie Ombre où l’on tombe comme une âme après la mort doit tomber dans l’éternité. Et mon rêve et moi-même sont entrés dans ces formes, tels des pierres dans une maison neuve Ne m’appelez plus maintenant, ne me demandez plus rien de la vie : je pars – je suis partie navire lointain sur la mer sans fin On ne rappelle pas un navire. On ne rappelle pas une pensée et combien de sifflets, ce soir, annoncent des départs auxquels vous ne songez.

MIREILLE HAVET

LE RYTHME COLORÉ

Le rythme coloré n’est nullement une illustration ou une interprétation d’une œuvre musicale. C’est un art autonome, quoique basé sur les mêmes données psychologiques que la musique.

Sur le son avec la musique.

C’est le mode de succession dans le temps des éléments, qui établit l’analogie entre la musique – rythme sonore et le rythme coloré, dont je préconise la réalisation au moyen du cinématographe. Le son est l’élément primordial de la musique. Les combinaisons des sons musicaux, basées sur la loi des rapports simples entre les nombres de vibrations de sons simultanés, forment des accords musicaux. Ces derniers se combinent en phrases musicales. D’autres facteurs interviennent, l’intensité des sons, leur timbre, etc… Mais toujours la musique est un mode de succession dans le temps, de diverses vibrations sonores. Une œuvre musicale est une sorte de langage subtil où l’auteur exprime son état d’âme ou, d’après une heureuse expression, son dynamisme intérieur. L’exécution d’une œuvre musicale évoque en nous quelque chose d’analogue à ce dynamisme de l’auteur. Plus l’auditeur est sensible – comme le serait un instrument percepteur- plus l’intimité est grande entre lui et l’auteur.

L’élément fondamental de mon art dynamique est la forme visuelle colorée, analogue au son de la musique par son rôle.

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Cet élément est déterminé par trois facteurs: 1° La forme visuelle proprement dite (abstraite); 2° Le rythme, c’est-à-dire le mouvement et les transformations de cette forme; 3° La couleur.

La forme, le rythme

J’entends par la forme visuelle abstraite toute généralisation ou géométrisation d’une forme, d’un objet, de notre entourage. En effet, elle est si compliquée, la forme de ces objets, pourtant bien simples et bien familiers, comme un arbre, un meuble, un homme… Au fur et à mesure qu’on étudie les détails de ces objets, ils deviennent de plus en plus rebelles à une représentation simple. Le moyen, pour représenter abstraitement une forme irrégulière d’un corps réel, est de ramener à une forme géométrique simple ou compliquée, et ces représentations transformées seraient aux formes des objets du monde extérieur comme un son musical a un bruit. Mais ceci n’est pas suffisant pour qu’elle devienne capable de représenter un état d’âme ou de guider une émotion. Une forme abstraite immobile ne dit pas encore grand-chose. Ronde ou pointue, longue ou carrée, simple ou compliquée, elle ne produit qu’une sensation extrêmement confuse, elle n’est qu’une simple notation graphique. Ce n’est qu’en se mettant en mouvement, en se transformant et en rencontrant d’autres formes, qu’elle devient capable d’évoquer un sentiment. C’est par son rôle et sa destination qu’elle devient abstraite. En se transformant dans le temps, elle balaie l’espace; elle rencontre d’autres formes en voie de transformation; elles se combinent ensemble, tantôt cheminent côte à côte, tantôt bataillent entre elles ou dansent à la mesure du rythme cadencé, qui la dirige: c’est l’âme de l’auteur, c’est sa gaieté, sa tristesse ou une grave réflexion… Les voilà qui arrivent à un équilibre… Mais non! il était instable et de nouveau les transformations recommencent et c’est par cela que le rythme visuel devient analogue au rythme sonore de la musique. Dans ces deux domaines, le rythme joue le même rôle. Par conséquent, dans le monde plastique, la forme visuelle de chaque corps ne nous est précieuse que comme un moyen, une source d’exprimer et d’évoquer notre dynamisme intérieur, et nullement comme la représentation de la signification ou importance que ce corps prend en fait dans notre vie. Du point de vue de cet art dynamique, la forme visuelle devient l’expression et le résultat d’une manifestation de forme-énergie, dans son ambiance. Ceci pour la forme et le rythme qui sont liés inséparablement.

La couleur

Produite soit par une matière colorante, soit par rayonnement ou par projection, c’est le cosmos, le matériel, c’est l’énergie-ambiance, dans le même temps, pour notre appareil percepteur d’ondes lumineuses – l’œil.

Et comme ce n’est pas le son ou la couleur, absolue, unique, qui, psycholo-giquement, nous influence, mais les suites alternées de sons et des couleurs, c’est alors

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l’art du rythme coloré qui, grâce à son principe de mobilité, augmente cette alternance existante déjà en peinture ordinaire, mais comme un groupe de couleurs fixées simultanément sur une surface immobile et sans changement de rapport. Par le mouvement, le caractère de ces couleurs acquirent une force supérieure aux harmonies immobiles.

Par ce fait, la couleur à son tour se lie avec le rythme. Cessant d’être un accessoire des objets, elle devient le contenu, l’âme même de la forme abstraite.

Les difficultés du côté technique résident dans la réalisation de films cinématographiques pour la projection des rythmes colorés.

Pour avoir une pièce pendant trois minutes, il faut faire dérouler 1.000 à 2.000 images devant l’appareil de projection.

C’est beaucoup! Mais je ne prétends pas les exécuter toutes moi-même. Je ne donne que les étapes nécessaires. Les dessinateurs, ayant un peu de bon sens, sauront en déduire les images intermédiaires, d’après le nombre indiqué. Lorsque les planches seront faites, on les fera défiler devant l’objectif d’un appareil cinématographique à trois couleurs.

LÉOPOLD STURZWAGE

AUX 5 COINS

Oser et faire du bruit Tout est couleur mouvement explosion lumière La vie fleurit aux fenêtres du soleil Qui se fond dans ma bouche Je suis mûr Et je tombe translucide dans la rue Tu parles, mon vieux Je ne sais pas ouvrir les yeux ? Bouche d’or La poésie est en jeu

TITRES

Formes sueurs chevelures Le bond d’être Premier poème sans métaphores sans images Simples nouvelles Les accidents des féeries 400 fenêtres ouvertes L’hélice des gemmes des foires des menstrues Le cône rabougri

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Les déménagements à genoux Dans les dragues A travers l’accordéon du ciel et de voix télescopées Quand le journal fermente comme un éclair claquemuré Manchette

MEE TOO BUGGI

Comme les Grecs on croit que tout homme bien élevé doit savoir pincer la lyre Donne-moi le fango-fango Que je l’applique à mon nez Un son doux et grave De la narine droite Il y a les descriptions de paysages Les récits des événements passés Une relation des contrées lointaines Bo lo too Papalangi Le poète entre autres choses fait la description des animaux Les maisons sont enlevées par d’énormes oiseaux Les femmes sont trop habillées Rimes et mesures dépourvues Si l’on fait grâce à un peu d’exagération L’homme qui se coupa lui-même la jambe réussissait dans le genre simple et gai Mee low folla Marivagi bat le tambour à l’entrée de sa maison

BLAISE CENDRARS Juin 1914.

L’ARTISTE

La mort l’a pris quand il sortit du lit d’orties où il dormit toute sa vie

Demain sera beau chantait-il tout en pleurs tenant son cœur avec ferveur comme une sainte hostie

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Devant lui la route bénie où les Elus de l’Esprit ont passé tout sanglants et ébloulis

Il arrivait enfin ! la porte de la maison s’ouvrait sans crier sur ses gonds c’était là le havre de grâce

Personne ne lui demandait sa dernière résidence son acte de naissance ni où il faudrait aller dès le soleil levé.

MISERERE

Petit nain Donne-moi la main tes bras son trop petits pour te moucher le nez je vais t’aider !

Tu t’en vas roulant et tanguant à tous les vents dans tes habits trop grands, flottant sur les talons absents

Le vente d’automne souffle à travers tes loques les feuilles mortes volent au vent et la poussière t’aveugle

Petit nain menu, frileux, chassieux, le plus gueux des gueux toujours trottant n’es-tu pas un descendant du Juif-Errant.

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MERE

Va vieille mère ne désespère va doucement et longtemps pour nourrir ces bons enfants qui te délaisseront comme un vieux tison qu’on rejette au feu quand le froid mord la chair et l’âme Et avant de te mettre en terre les vipères t’enverront sur le chemin demander la charité aux chiens

GEORGES ROUALT

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FIGURA

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FIGURA

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BIBLIOGRAFIA SELETTIVA

Una bibliografia dedicata ad un oggetto di studi così complesso, che tocca, oltre ad Apollinaire, numerose personalità del mondo letterario, artistico e giornalistico francese e internazionale non può pretendere evidentemente all’e-saustività. Ci limiteremo pertanto a segnalare le opere e i contributi critici più frequentemente utilizzati per l’analisi del percorso artistico di Apollinaire e del suo contesto letterario. Per quanto riguarda la rivista oltre ai saggi teorici e agli studi specifici sulle riviste, si siamo avvalsi anche di studi e testimonianze che tendono a delineare il funzionamento della rete delle principali pubblicazioni d’avanguardia tra gli anni 1912-1914.

1. Opere di Apollinaire

1.1. Opere letterarie

Œuvres complètes, Paris, Balland et Lecat, 1965-1966, 4 voll.

Œuvres poétiques, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléaide», 1965.

Œuvres en prose I, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1977.

Œuvres en prose complètes III, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1993.

1.2. Critica d’arte

Chroniques d’art, Paris, Gallimard, 1960.

Les Peintres cubistes: Méditations esthétiques, Paris, Hermann, 1980 (1965).

Petites flâneries d’art. Textes retrouvés, préfacés et annotés pas Pierre Caizergues, Montpellier, Fata Morgana, 1980.

Œuvres en prose complètes II, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1991.

1.3. Giornalismo

Le Flâneur des deux rives, Paris, Gallimard, 1954.

Anecdotiques, Paris, Gallimard, 1955.

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Petites merveilles du quotidien. Textes retrouvés, préfacés et annotés par Pierre Caizergues, Montpellier, Fata Morgana, 1979.

1.4. Corrispondenza

Apollinaire & C. Ungaretti, Savinio, Sanguineti, Roma, Bulzoni, 1991.

Correspondance Jules Romains/Guillaume Apollinaire, Paris, J.M.Place, 1994.

Guillaume Apollinaire/André Level, Paris, Lettres Modernes Minard, 1976.

Guillaume Apollinaire, correspondance avec son frère et sa mère, Paris, José Corti, 1987.

Guillaume Apollinaire, 202 Bd Saint-Germain, Paris, vol I, Roma, Bulzoni, 1991.

Guillaume Apollinaire 202 Bd Saint Germain, Paris, vol II, Roma, Bulzoni, 1992.

Guillaume Apollinaire/Herwarth Walden (Der Sturm) 1913-1914, Caen, Lettres Modernes Minard, 2007.

Guillaume Apollinaire/Jean Cocteau, Paris, Jean Michel Place, 1991.

Guillaume Apollinaire/Marcel Duchamp, Paris, L’Echoppe, 1994.

Guillaume Apollinaire-Mireille Havet, s.l., Centre d’Etude du XXe siècle-Université Paul Valéry, 2000.

Je pense à toi mon Lou, poèmes et lettres d’Apollinaire à Lou, nouvelle édition revue et commentée par Laurence Campa, Paris, Textuel, 2007.

Lettres à sa marraine, Paris, Gallimard, 1951.

Picasso/Apollinaire, correspondance, Paris, Gallimard/Réunion des Musées Nationaux, 1992.

Tendre comme le souvenir, Paris, Gallimard, 1952; Lettres à Madeleine, Tendre comme le souvenir, Paris, Gallimard, 2005.

1.5. Edizioni separate

A quelle heure un train partira-t-il pour Paris?, postfazione di W. Bohn, Montpellier, Fontefroide, 1982.

La Bréhatine, in collaborazione con A. Billy, Paris, Lettres Modernes-Minard, 1971.

Journal intime, 1898-1918, Paris, Editions du Limon, 1991.

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2. Opere su Apollinaire

2.1. Bibliografie

«Le flâneur des deux rives», sette numeri dal marzo 1954 al settembre-dicembre 1955.

I repertori bibliografici della serie “Guillaume Apollinaire” della «Revue des Lettres Modernes», primo numero pubblicato nel 1962.

«Que vlo-ve?», bollettino internazionale degli studi su Guillaume Apollinaire.

2.2. Ricordi: libri e periodici

BILLY, André Apollinaire vivant, Paris, Editions de la Sirène, 1923. Guillaume Apollinaire, Paris, Seghers, 1947. Prefazione alle Œuvres poétiques di Apollinaire, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1965. Avec Apollinaire, Paris-Genève, La Palatine, 1966.

CARCO, Francis De Montmartre au Quartier Latin, Paris, Albin Michel, 1927. L’Ami des Peintres, Paris, Gallimard, s.d. [1953].

DE CHIRICO, Giorgio Memorie della mia vita, Milano, Rizzoli, 1962.

FAURE-FAVIER, Louise Souvenirs sur Guillaume Apollinaire, Paris, Grasset, 1945.

FLEURET, Fernand La Boîte à perruque, Paris, Les Ecrivains associés, 1935.

FORT, Paul Mes mémoires, Paris, Flammarion, 1944.

FRICK, Louis de Gonzague Guillaume Apollinaire, Reims, A l’Ecart, 1979 (ristampa della Préface ai Contes choisis di Guillaume Apollinaire, Paris, Stock, 1922).

GREY, Roch (Œttingen Hélène de) Guillaume Apollinaire, Paris, Editions Sic, 1919. Présence d’Apollinaire, Paris, Galérie Breteau, décembre 1943-janvier 1944.

JACOB, Max Correspondance I-II, Paris, Editions de Paris, 1953-1955.

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MOLLET, Jean Mémoires, Paris, Gallimard, 1963.

OLIVIER, Fernande Picasso et ses amis, Paris, Stock, 1933. Souvenirs intimes écrits pour Picasso, Paris, Calmann-Lévy, 1988.

ROUVEYRE, André Apollinaire…, Paris, Gallimard, 1945. Apollinaire, Paris, Editions Raison d’Etre, 1952. Amour et poésie d’Apollinaire, Paris, Editions du Seuil, 1955.

ROMAINS, Jules Souvenirs et confidences d’un écrivain, Paris, Librairie Arthème Fayard, 1958.

SALMON, André L’Air de la Butte, Paris, Editions de Nouvelle France, 1945. Montparnasse, Paris, Editions André Bonne, 1950. Souvenirs sans fin, Paris, Gallimard, 1955-61, 3 voll., ora ripubblicato in un unico volume, Paris, Gallimard, 2001.

SAVINIO, Alberto Casa la vita, Milano, Bompiani, 1943.

SEVERINI, Gino La vita di un pittore, Milano, Edizioni di Comunità, 1965.

SOUPAULT, Philippe Introduzione a Guillaume Apollinaire, Les Epingles, Paris, Aux Editions des Cahiers Libres, 1928.

TOUSSAINT-LUCA, Ange Guillaume Apollinaire. Souvenirs d’un ami, Monaco, Editions du Rocher, 1964.

VLAMINCK, Maurice de Portraits avant décès, Paris, Flammarion, 1943.

2.3. Articoli su periodici

BEAUDUIN, Nicolas Apollinaire et la Vie des Lettres, «Le Flâneur des deux rives», nn. 7-8, settembre- dicembre 1955.

BUFFET, Gabrielle Rencontre avec Apollinaire, «Le Point», novembre 1937.

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COMBETTE, Dominique Entretien avec Michel Décaudin, «Le Flâneur des deux rives», n. 5, marzo 1955.

DIVOIRE, Fernand Guillaume Apollinaire à «L’Intransigeant», «Les Marges», n. 218, 10 aprile 1935, riprodotto in «Que vlo-ve?», n. 8, aprile 1976.

DYSSORD, Jacques Le Miracle d’Apollinaire, «Chronique de Paris», n. 1, novembre 1943.

GONTCHAROWA, Nathalie de Guillaume Apollinaire. 1880-1918, «La Table Ronde», n. 57, numero spécial Guillaume Apollinaire, settembre 1952.

HERTZ, Henri Guillaume Apollinaire, “Les Lettres parisiennes”, febbraio 1919.

JACOB, Max La Boîte à clous, febbraio 1951. Souvenirs sur Guillaume Apollinaire, «Le Flâneur des deux rives», n. 6, giugno 1955. Chroniques des temps héroïques, s.l. [Paris], Louis Broder, s.d., [1956].

PICABIA, Francis L’Esprit Nouveau, numéro spécial Guillaume Apollinaire, ottobre 1924.

SURVAGE, Léopold Rimes et Raison, numéro spécial Guillaume Apollinaire, 1946.

2.4. Opere critiche su Apollinaire

ADEMA, Pierre-Marcel Guillaume Apollinaire le Mal-Aimé, Paris, Plon, 1952. Guillaume Apollinaire, Paris, Editions de la Table Ronde, 1968. Album Apollinaire, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 1971.

BEHAR, Henri Etudes sur le théâtre dada et surréaliste, Paris, Gallimard, 1967.

BOHN, Willard Apollinaire et l’homme sans visage, Roma, Bulzoni, 1982. The Aesthetics of visual poetry, Cambridge, Cambridge Universiy Press, 1986. Apollinaire, visual poetry and art criticism, Lewisburg, London, Toronto, Bucknell University Press - Associated Press, 1993. Apollinaire and the international avant-garde, Albany, State University of New York Press, 1997.

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BORDAT, Denis Apollinaire, Paris, Hachette, 1983.

BOSCHETTI, Anna La poésie partout. Apollinaire «homme-époque», 1898-1918, Paris, Seuil, 2001.

BOUDAR, Gilbert – DECAUDIN, Michel Catalogue de la bibliothèque de Guillaume Apollinaire, Paris, Editions du CNRS, 1983.

BOUDAR, Gilbert – CAIZERGUES, Pierre Catalogue de la bibliothèque de Guillaume Apollinaire, II, Paris, Editions du CNRS, 1987.

CADOU, René Guy Le Testament d’Apollinaire, Paris, Rongerie, 1980.

CAIZERGUES, Pierre Apollinaire journaliste, thèse pour le doctorat d’état, Université de la Sorbonne Nouvelle, 1977, Lille, Service des reproductions des thèses Université de Lille III, 1979, 3 voll. Apollinaire journaliste: les débuts et la formation du journaliste, Paris, Lettres Modernes-Minard, 1981.

CAMPA, Laurence L’esthétique d’Apollinaire, Paris, SEDES, 1996. Apollinaire critique littéraire, Paris, H. Champion, 2002.

CHEVALIER, Jean-Claude Alcools d’Apollinaire, Paris, Minard, 1970.

CLANCIER, Anne Guillaume Apollinaire, Les incertitudes de l’identité, Paris, L’Harmattan, 2006.

COUFFIGNAL, Robert Zone d’Apollinaire, Paris, Archives des Lettres Modernes, 1969.

DEBON, Claude TOURNADRE (DEBON), Claude

Les critiques de notre temps et Apollinaire, Paris, Garnier, 1971. Guillaume Apollinaire après Alcools, Paris, Lettres Modernes-Minard, 1981. “Calligrammes” de Guillaume Apollinaire, Paris, Gallimard, «Foliothèque», 2004. Calligrammes dans tous ses états, Aurillac, Calliopées, 2008.

DECAUDIN, Michel Le dossier d’Alcools, Paris-Genève, Droz-Minard, 1960.

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Apollinaire, Paris, Librairie Séguier Vagabondage, 1986. Alcools de Guillaume Apollinaire, Paris, Gallimard, «Foliothèque», 1993.

DECAUDIN, Michel – CAMPA, Laurence Passion Apollinaire, Paris, Textuel, 2004.

DELBREIL, Daniel Apollinaire et ses récits, Fasano-Paris, Schena-Didier, 1999.

DURRY, Marie-Jeanne Guillaume Apollinaire: Alcools, Paris, S.E.D.E.S, 1956-1964.

FONTEYNE, André Apollinaire prosateur, Paris, Nizet, 1964.

GREET, Anne Hyde Apollinaire et le livre de peintre, Paris, Lettres Modernes-Minard, 1977.

GROJNOWSKI, Daniel «Et moi aussi je suis peintre», Cognac, Le Temps qu’il fait, 2006.

HARTWIG, Julia Apollinaire, Paris, Mercure de France, 1972.

JACARET, Gilberte La Dialectique de l’ironie et du lyrisme dans Alcools et Calligrammes, Paris, Nizet, 1984.

JANNINI, Pasquale Aniel La fortuna di Apollinaire in Italia, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino, 1959. Le avanguardie letterarie nell’idea critica di Guillaume Apollinaire, Roma, Bulzoni, 1971.

LENTENGRE, Marie-Louise Apollinaire et le nouveau lyrisme, Paris, Jean-Michel Place, 1996.

LONGREE, George H.F. L’expérience Idéo-calligrammatique d’Apollinaire, Paris, Editions Noël, 1984.

OSTER, Daniel Guillaume Apollinaire, Paris, Seghers, 1975.

PIA, Pascal Apollinaire par lui-même, Paris, Editions du Seuil, 1954.

POUPON, Marc Apollinaire et Cendrars, Paris, Archives des Lettres Modernes, n. 103, 1969.

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READ, Peter Picasso et Apollinaire, les métamorphoses de la mémoire, Paris, Jean-Michel Place 1995. Apollinaire et “Les Mamelles de Tirésias”: la revanche d’Éros, Rennes, Presses Uni-versitaires de Rennes, 2000.

RENAUD, Philippe Lecture d’Apollinaire, Lausanne, L’Age d’homme, 1969. Le trajet du Phénix, Paris, Archives des Lettres Modernes, 1983, (Archives Guillaume Apollinaire n. 8).

RICHTER, Mario Apollinaire, il rinnovamento della scrittura poetica all’inizio del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1990.

SACKS-GALEY, Pénélope Calligrammes ou écritures figurées: Apollinaire inventeur des formes, Paris, Les Lettres Modernes, 1988.

SHATTUCK, Roger Les primitifs de l’avant-garde: H. Rousseau, E. Satie, A. Jarry, G. Apollinaire, Paris, Flammarion, 1974.

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VIRMAUX, Alain «“La Bréhatine” et le cinéma: Apollinaire en quête d’un langage neuf» in La Bréhatine, par Guillaume Apollinaire et André Billy, Paris, Les Archives des Lettres Modernes, 1971 (Archives Guillaume Apollinaire n. 5).

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Apollinaire au tournant de siècle, Actes du Colloque de Varsovie 1980, Editions de l’Université de Varsovie, 1984.

Apollinaire critique d’art, Paris, Réunion des Musées Nationaux/Gallimard, 1993.

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Apollinaire et le portrait, (Actes du colloque de Stavelot 1-3 septembre 1999), Paris, Lettres Modernes-Minard, 2001.

Apollinaire et le cubisme, Catalogue de l’exposition de Lille, 1965.

Apollinaire et son temps, Paris, Publication de la Sorbonne Nouvelle, 1990.

Apollinaire inventeur des langages, (Actes du colloque de Stavelot 1970), Paris, Lettres Modernes, 1973.

«Cahiers du Musée National de l’Art Moderne», numéro spécial Guillaume Apollinaire, n. 6.

Catalogue de l’exposition Guillaume Apollinaire, Paris, Bibliothèque Nationale, 1969.

Du Monde européen à l’univers des mythes (Actes du colloque de Stavelot 1968), Paris, Minard, 1970.

L’Esprit nouveau dans tous ses états, Paris, Minard, 1986.

Guillaume Apollinaire: «Alcools», Paris, Klincksieck, 1996.

Guillaume Apollinaire devant les avant-gardes européennes, (Actes du colloque du Stavelot 1995), Roma, Bulzoni, 1997.

Mélanges Garnet Rees, Paris, Librairie Minard, 1980.

Omaggio ad Apollinaire, Roma, Edizioni dell’Ente Premi, 1960.

Présence d’Apollinaire, Paris, Catalogue de l’Exposition de la Galerie Breteau, décembre 1943-janvier 1944.

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Regards sur Apollinaire conteur (Actes du colloque de Stavelot 1973), Paris, Minard, 1975.

2.5. Periodici consacrati ad Apollinaire ed articoli

«SIC», numéro special Guillaume Apollinaire, gennaio-febbraio, 1919.

«Vient de paraître», n. 24, novembre 1923.

«L’Esprit Nouveau», n. 26, ottobre 1924.

«Images de Paris», nn. 49-50, gennaio-febbraio 1924, nn. 56-57, settembre-ottobre 1924.

«Le Divan», marzo 1938.

«Cahier spécial de Rimes et Raison», Albi, Editions de la Tête Noire, 1946.

«Revue des sciences humaines», ottobre-dicembre 1950, ottobre-dicembre 1956.

«La Table Ronde», n. 57, settembre 1952.

«Le Flâneur des deux rives», dal n. 1 marzo 1954 al n. 7-8, settembre-dicembre 1955.

«Cahiers du Sud», gennaio-febbraio 1966.

«Europe», novembre-dicembre 1966.

«La Revue des Lettres Modernes», colloque Guillaume Apollinaire à Varsovie (3-6 dicembre 1968), n. 8, 1969.

«Que vlo-ve?», Apollinaire et la peinture, nn. 21-22, luglio-ottobre 1979.

ADEMA, Pierre-Marcel Apollinaire et le Festin d’Esope, «Europe», novembre-dicembre 1966.

BOHN, Willard O.W. Gambedoo, ‘H.H.’ et Les Soirées de Paris, «La Revue des Lettres Modernes», n. 9, 1970. Apollinaire et les peintres: Morgan Russel et Carlo Carrà, «La Revue des Lettres Modernes», n. 15, 1980. Apollinaire inédit: l’énigme de Giorgio de Chirico, «La Revue des Lettres Modernes», n. 15, 1980. Apollinaire et la quatrième dimension, «Que vlo-ve?», n. 19, luglio-settembre 1995. Giorgio De Chirico et le portrait de Guillaume Apollinaire, «La Revue des Lettres Modernes», n. 22, 2007.

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BOISSON, Madeleine «Apollinaire critique littéraire», in Apollinaire en son temps, (Actes du quatorzième colloque de Stavelot 31 aout-3 septembre 1988), Paris, Publications de la Sorbonne Nouvelle, 1990.

BONNET, Marguerite Aux sources du surréalisme: place d’Apollinaire, «La Revue des Lettres Modernes», nn. 104-107, 1964 (4).

BREUNING, L.C. Apollinaire et le cubisme, «La Revue des Lettres Modernes», série Guillaume Apollinaire I, 1962.

BURGOS, Jean «Sur la poétique de l’esprit nouveau», in L’esprit nouveau dans tous ses états, Paris, Minard, 1986. «Vers une poétique nouvelle», in Apollinaire en 1918, Paris, Klincksieck, 1988.

CAIZERGUES, Pierre Apollinaire et la “Démocratie sociale”, Archives des Lettres Modernes, 101, 1969. Cendrars et Apollinaire, «Sud», XVIII, 1988, numéro spécial Blaise Cendrars.

CARMODY, Francis L’Esthétique de l’Esprit nouveau, «Le Flâneur des deux rives», n. 7-8, settembre-dicembre 1955.

CHEVALIER, Jean-Claude G. Apollinaire. Rôle de la peinture et de la poésie dans l’élaboration d’une poétique, Colloque Apollinaire à Varsovie 3-6 décembre 1968, «La Revue des Lettres Modernes», série Guillaume Apollinaire 8 (1969).

DARIO, Maria «“Le règne d’Orphée commence”: Creazione e modernità nella poesia di Apollinaire», in L’utile, il bello, il vero. Il dibattito francese sulla funzione della letteratura tra Otto e Novecento, Pisa-Gèneve, ETS-Slatkine, 2001. «Apollinaire tra Souvenir e Avenir: il “Poème lu au mariage d’André Salmon”», in Les pas d’Orphée, scritti in onore di Mario Richter, Padova, Unipress, 2005, pp. 415-431.

DEBON, Claude «Apollinaire, lectures pour tous: la problématique de la notion d’avant-garde dans l’œuvre d’Apollinaire», in Apollinaire e l’avanguardia, Roma-Paris, Bulzoni- Nizet, 1984. Apollinaire lecteur de Salmon, Casanova et quelques autres, «La Revue des Lettres Modernes», série Guillaume Apollinaire, n. 14, 1978.

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DECAUDIN, Michel Entretien avec Nicolas Beaudin, «Le Flâneur des deux rives», n. 1, marzo 1954. La «changement de front» d’Apollinaire, «Revue des sciences humaines», ottobre-dicembre 1950. Poésie, dimension de l’avant-garde, «Acta Universitatis Wratislaviensis», n. 462, 1979. Pour Apollinaire critique d’art, «Cahiers du Musée National d’Art Moderne», n. 6, Centre George Pompidou, 1981. Apollinaire et Picasso, «Esprit», gennaio, 1982. «De la difficulté d’être avant-garde», in Apollinaire e l’avanguardia, Roma-Paris, Bulzoni-Nizet, 1984. «Ne prenez pas un mot pour un autre», in Verso la modernità, Fasano-Paris, Schena-Nizet, 1995.

GEINOZ, Philippe La Reconnaissance d’une méthode. Lecture de «A travers l’Europe», «La Revue des Lettres Modernes», série Guillaume Apollinaire n. 22, 2007.

GOJARD, Jacqueline «Sources et ressources de Guillaume Apollinaire et de quelques-uns de ses contemporains», in Apollinaire en son temps, (Actes du quatorzième colloque de Stavelot 31 août-3 septembre 1988), Paris, Publications de la Sorbonne Nouvelle, 1990.

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4. Opere consultate per la rivista

Lo studio della rivista è stato condotto sulla ristampa anastatica dell’edizione di Parigi 1912-1914: Les Soirées de Paris, Genève, Slatkine Reprints, 1971, 2 voll.

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