tesi
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Alla mia famiglia e al mio
ragazzo, per essermi stati
vicino e per aver creduto
in me!
“Una torre di cento piani
inizia con una sola zolla di terra,
un albero enorme ha come radice un capello,
un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo”.
Dice il saggio: Lao Tze
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RINGRAZIAMENTI
Al professor Claudio Trachelio per avermi dato l’idea di approfondire
quest’argomento di tesi, e per essersi dimostrato disponibile e comprensivo nei
miei riguardi.
Ai miei genitori che mi hanno dato la possibilità sia economica che morale per
proseguire questo percorso, cercando ove possibile di non far carico sulle
problematiche.
Al mio ragazzo Emanuele che con la sua virtù mi ha regalato la sua stima, il suo
appoggio nei momenti più difficili, e il suo rispetto verso questo percorso
formativo.
Alla mia amica Martina Gilardini, preziosa compagna di questo percorso, insieme
con l’aiuto reciproco siamo giunte al risultato finale con una profonda stima
reciproca e rispetto.
Infine, ringrazio l’università Cattolica per aver permesso l’arricchimento delle mie
conoscenze, ma soprattutto per avermi dato la possibilità di conoscere i docenti
del mio corso di laurea che hanno contribuito alla mia riuscita.
LE FOTO
Le fotografie sono state prese da diversi libri citati nella bibliografia e da diversi
siti internet. Alcune di esse sono a colori altre in bianco e nero secondo la ricerca
effettuata, in ogni caso tutte rispettano i diritti d’autore.
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PRESENTAZIONE E MOTIVAZIONI
Ho letto diversi manuali di riabilitazione ma soprattutto ho approfondito
l’argomento durante i tre anni di percorso formativo con il professor Trachelio,
docente del corso di laurea triennale di Scienze Motorie e dello sport.
Gli argomenti studiati con il professore, anche se difficili, hanno avuto la
capacità di suscitare il mio interesse. Lo stimolo è anche stato consolidato
dall’infortunio del mio ragazzo, che è stato affetto dalla patologia femoro- tibiale
a causa di sforzi funzionali quotidianamente ripetuti.
Indi per cui ho pensato di aiutarlo cercando di amplificare la mia conoscenza.
L’infortunio però è stato analizzato in un saltatore in lungo per due motivi:
Il primo, il mio corso di laurea si basa su una conoscenza tecnica e educativa di
diversi sport.
Il secondo, ed è anche il più importante, io vale a dire l’autrice della tesi ho una
profonda passione per il gesto tecnico del salto in lungo.
Purtroppo per motivi di salute ho dovuto interromperre la mia passione e
consolidare solo l’insegnamento di essa.
Questa patologia è stata analizzata nel dettaglio, evidenziando lo studio della
biomeccanica del ginocchio e del gesto tecnico (salto in lungo). Sono spiegate le
cause, gli effetti, le precauzioni e discussi metodi riabilitativi focalizzandoli su
protocolli di lavoro non rigidi ma flessibili e di facile applicazione.
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INDICE GENERALE
CAP. 1L’ANATOMIA FUNZIONALE DEL GINOCCHIO pag. 7
- Articolazione femoro-tibiale pag. 8
- Articolazione tibio- peroneale pag. 9
- Articolazione femoro-rotulea pag. 10
- Legamenti collaterali e crociati pag. 11
- Menischi pag. 13
- La capsula pag. 15
- La rotula e la troclea femorale pag. 17
- Grasso e borse mucose pag. 18
- I movimenti del ginocchio pag. 19
CAP. 2LA MECCANICA DEL SALTO IN LUNGO
-Introduzione pag. 24
-Il movimento pag. 25
- La forza pag. 30
- L’assenza di gravità pag. 30
- Il centro di gravità pag. 31
- L’attrito pag. 32
- L’equilibrio pag. 32
L’ATLETICA LEGGERA: IL GESTO TECNICO DEL SALTO IN LUNGO
- Introduzione pag. 33
- La rincorsa pag. 34
- Lo stacco pag. 35
- Il volo pag. 38
- L’atterraggio pag. 40
-Il ginocchio nell’attività sportiva pag. 42
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CAP. 3CONDROPATIA FEMORO-TIBIALE
- Introduzione pag. 45
- Il ginocchio del saltatore pag. 47
- La sindrome femoro-tibiale pag. 51
- Protocollo di lavoro: Esercizi analitici pag. 55
- Trattamento fisioterapico pag. 56
- Procedure chirurgiche pag. 65
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INRODUZIONEQuesta tesi nasce dall’esigenza di comprendere e approfondire i molteplici aspetti
che caratterizzano il movimento umano.
In generale è costituita dall’anatomia funzionale del ginocchio e dalla meccanica e
la tecnica del salto in lungo ( disciplina atletica), vale a dire: l’analisi funzionale e
strutturale del ginocchio e il gesto tecnico e le leggi della fisica del salto in lungo.
Per poter acquisire la funzione bisogna, poi, ricorrere, in particolare a leggi
fisiche, meccaniche, psicologiche e tecniche.
Le leggi fisiche sono proprie della fisica meccanica, esse consentono di
comprendere quello che è spesso definito l’aspetto esecutivo del movimento il
quale rappresenta quanto può essere, direttamente, visualizzato da chi osserva,
quindi: le posizioni, i gesti e i movimenti.
La meccanica esamina, nel dettaglio, alcune azioni umane come la
deambulazione, la corsa, il salto e alcuni problemi importanti inerenti alla
riabilitazione motoria.
La psicologia serve a chiarire alcune motivazioni profonde al movimento ma,
anche, le difficoltà motorie, in particolare nell’atleta infortunato.
La tecnica che è l’insieme delle regole pratiche nell’esercizio di un’attività
manuale o intellettuale, quindi un procedimento specifico seguito nell’esecuzione
di un lavoro.
Questo percorso analizza una possibile patologia a carico dell’articolazione del
ginocchio, definita sindrome femoro- tibiale.
Questa patologia è molto frequente nei saltatori, infatti, è spesso conosciuta come
patologia del saltatore. La sindrome del saltatore è un sovraccarico funzionale
repentino, che nel tempo diventa sempre più grave e difficile da contenere.
L’analisi di questa lesione è a carico della cartilagine che si usura tra il piatto
tibiale e i condili femorali, inoltre si accenna anche di un’ulteriore patologia: lo
jumper’s knee.
Il ginocchio del saltatore presenta diverse problematiche che ho discusso con
scrupolo e interesse e spero siano di sufficiente interesse.
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Questo lavoro è stato creato per raggiungere una maggior conoscenza a riguardo e
per dare una maggior sicurezza ai miei atleti di salto in lungo; cercando ove
possibile di evitare o limitare i possibili infortuni atletici.
La tesi è formata da un protocollo riabilitativo con i relativi obiettivi terapeutici
e singoli esercizi affiancati da consigli per il paziente; in alternativa è citato
l’intervento chirurgico nel caso in cui la malattia arrivi al massimo grado di
lesione.
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PRIMO CAPITOLO
ANATOMIA FUNZIONALE
Il ginocchio è un’articolazione complessa che ricopre una posizione intermedia
nell’arto inferiore, necessita di una buona stabilità che gli consente di sostenere e
trasmettere le numerose sollecitazioni provenienti dall’anca ed esige una buona
stabilità che colmi il cambiamento dalla stazione quadrupedica a quell’eretta.
Il ginocchio è un’articolazione a cerniera costituita da 3 componenti: le 2
articolazioni femoro-tibiali e l’articolazione femoro -rotula contenute in una
robusta capsula articolare. Codeste articolazioni gli consentono una buona
mobilità in presenza di un notevole carico corporeo da sostenere. I corpi ossei
hanno una scarsa consistenza , la loro stabilità è frutto di robusti legamenti e
potenti fasci muscolari (mono- e biaricolari). L’articolazione è formata da una
componente ossea e un apparato capsulo legamentoso con formazioni tendinee.
Figura 1 superficie mediale di una sezione sagittale dell'articolazione del ginocchio condottalungo i condili laterali del femore e della tibia ( da L. Bucciante, Anatomia Umana, Piccin
Nuova Libreria, Padova 1986).
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1.1 ARTICOLAZIONE FEMORO- TIBIALE:
L’articolazione femoro tibiale è costituita dalle facce convesse dei due condili
femorali e dalle facce concave della tibia.
Nello specifico la tibia ha la faccia mediale di forma ovale e pianeggiante e la
faccia laterale di forma quasi rotonda e lievemente concava.
Fra le due superfici (tibia e femorale), oltre alla cartilagine ialina che le ricopre
sono poste due formazioni connettivali, quali: i menischi, fra le due facce tibiali è
interposta una zona ossea irregolare detta eminenza intercondiloidea.
Questa articolazione, pur essendo classificata come un ginglimo angolare,
beneficia di sei gradi di libertà nello spazio, anche se alcuni movimenti, come
l’intrarotazione e l’extrarotazione non sono consentiti fino a quando il ginocchio
non è flesso per effetto di un meccanismo di blocco in avvitamento in massima
estensione.
I condili femorali presentano una superficie articolare convessa con raggio di
curvatura asimmetrica e decrescente antero- posteriormente; lo spostamento
posteriore dell’asse tibiale durante la flessione è guidato e controllato
principalmente dai legamenti crociati che limitano la traslazione sul piano
sagittale e le rotazioni assiali, e dai legamenti collaterali responsabili del controllo
dei movimenti sul piano frontale e dalla muscolatura.
La superficie articolare del condilo mediale appare più sviluppata in senso antero-
posteriore rispetto alla controlaterale, creando così un meccanismo d’avvitamento
automatico che avviene negli ultimi 30° di flessione permettendo la rotazione
interna del femore.
Figura 2 articolazione femoro-tibiale
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1.2 ARTICOLAZIONE TIBIO- PERONEALESi tratta dell’articolazione posta fra la superficie "postero- infero- laterale" del
condilo tibiale e la testa della fibula.
È un’articolazione poco mobile definita anfiartrosi, inoltre e avvolta da una
robusta capsula a sua volta stabilizzata da legamenti chiamati “legamenti della
testa della fibula”.
Il compito è ricevere e respingere, grazie ad un’azione ammortizzante le
sollecitazioni verso l’esterno. Ci troviamo, infatti, davanti ad una compensazione
esercitata solo da quest’articolazione.
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1.3 ARTICOLAZIONE FEMORO- ROTULA:
L’articolazione femoro- rotulea è costituita dalla faccia posteriore della rotula che
si articola con la troclea femorale. La rotula è un osso sesamoide più grosso del
corpo umano inglobato nello spessore del tendine quadricipitale e controllato
durante lo scivolamento dai legamenti alari.
L’articolazione femoro-rotula, in virtù delle superfici piane che la definiscono,
consente movimenti combinati e complessi come: movimenti di scivolamento,
inclinazione e rotazione, della rotula nella gola intercondiloidea.
La sua funzione è quella di offrire una protezione alla faccia anteriore
dell’articolazione fomorotibiale e d’incrementare l’efficienza della contrazione del
quadricipite.
La rotula, infatti, agendo da fulcro, aumenta il braccio di leva del quadricipite ai
loro gradi di flessione del ginocchio.
La risultante della forza in compressione femoro-rotulea è determinata dalla forza
dei tendini del quadricipite e rotuleo.
La forza in compressione varia con il movimento, quindi sarà minima a ginocchio
esteso e aumenterà progressivamente con la flessione del ginocchio fino a 70° -
80° ( circa 4 volte il peso del corpo); Fino a 100° la rotula interagisce con la
troclea femorale, oltre i 100° la rotula è in contatto con la porzione distale e
posteriore dei condili femorali.
Figura 3 disposizione dei tendini del ginocchio( visione anteriore).
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2. LEGAMENTI COLLATERALI E CROCIATI:
I primi sono posti ai lati del ginocchio: rinforzano la capsula articolare dal lato
interno ( legamento collaterale interno) e da quell’esterno (legamento collaterale
esterno) e assicurano la stabilità laterale del ginocchio in estensione.
Figura 4 legamenti del ginocchio( da Lang & Wachsmuth, Atlante di Anatomia: artoinferiore, Piccin, Padova 1978).
Il legamento collaterale interno (o mediale o tibiale) si estende dall’epicondilo
mediale all’estremità superiore della tibia, al contrario il legamento collaterale
esterno ( o laterale o fibulare) è teso dalla superficie esterna cutanea del condilo
esterno alla testa del perone.
I legamenti collaterali, sono tesi durante l’estensione, diversamente, si tendono in
flessione del ginocchio.
La posizione del flex a 30° che detende i legamenti collaterali è usata per
l’immobilizzazione del ginocchio dopo la sutura dei legamenti collaterali.
Durante le violente sollecitazioni laterali della corsa e del cammino i legamenti
collaterali assicurano la stabilità del ginocchio aiutati in questo compito dai
muscoli, che costituiscono dei veri e propri legamenti attivi dell’articolazione.
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Il legamento collaterale esterno è validamente rinforzato dalla banderella di
Maissiat messa in tensione dal tensore della fascia lata.
Il legamento collaterale interno è rinforzato, nello stesso modo dai muscoli della
zampa d’oca: sartorio, semitendinoso e gracile.
I legamenti crociati sono 2 legamenti intracapsulari extrasinoviali che
connettono, singolarmente le 2 superfici interne dei condili femorali con il piatto
tibiale in corrispondenza dell’area intercondiloidea.
I legamenti crociati assicurano la stabilità antero-posteriore del ginocchio sia in
carico che nella fase oscillatoria, mantenendo sempre in contatto le superfici
articolari.
Essi, contribuiscono alla stabilità passiva del ginocchio intervenendo nei
movimenti di traslazione sul piano sagittale con spostamento anteriore (legamento
crociato anteriore) o posteriore (legamento crociato posteriore) della tibia, e nel
controllo dei complessi movimenti combinati di rotolamento e scivolamento dei
condili femorali sulla superficie tibiale, grazie al loro particolare orientamento
spaziale.
Durante la flex del ginocchio, il legamento crociato anteriore interviene
garantendo uno scivolamento in avanti del condilo insieme con un rotolamento
all’indietro; in fase estensiva, invece, interviene il legamento crociato posteriore,
permettendo uno scivolamento posteriore associato ad un rotolamento in avanti.
L’azione combinata dei 2 legamenti crea un sistema di vincolo e di guida del
momento dall’articolazione femoro-tibiale, mantenendo costante l’asse del
movimento di flesso- estensione.
Osservati sia sul piano frontale che sagittale, il loro decorso appare incrociato
perché il legamento crociato anteriore origina in corrispondenza del tubercolo
intercondiloideo della tibia, quindi decorre obliquo dal basso in alto e con
direzione posteriore/laterale andando ad inserirsi sul condilo laterale del femore; il
legamento crociato posteriore è più robusto e parte posteriormente dalla fossa
intercondiloidea tibiale posteriore, portandosi in alto, in avanti e medialmente, per
inserirsi sulla superficie laterale del condilo mediale del femore, nella fossa
intercondiloidea.
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3. MENISCHI:
Sono due corpi fibrocartilaginei interposti tra i condili femorali ed il piatto tibiale,
hanno una conformazione a semiluna e sono vincolati alla tibia tramite i loro
corni, anteriore e posteriore.
Figura 5 menischi mediale e laterale che si attaccano alla regione intercondiloidea della tibia.1) menisco laterale, 2) legamento crociato, 3) menisco mediale, 4) leg. crociato ant. 5) leg.trasverso, 6) menisco latera.
Dal punto di vista anatomico non sono uguali ,infatti, il menisco mediale ha una
forma a semiluna con maggiore ampiezza in sede posteriore, con inserzione
periferica alla capsula articolare e il terzo medio è strettamente collegato con il
legamento collaterale mediale. Al contrario il menisco laterale ha una forma
quasi circolare con copertura di una porzione maggiore di superficie tibiale e una
zona periferica che non s’inserisce nella capsula che però consente il passaggio
del tendine del muscolo popliteo. La differenza rispetto al menisco mediale sta nel
fatto che non ha connessioni con il legamento collaterale esterno.
I menischi grazie alla loro convessità e consistenza manifestano la duplice
funzione di ammortizzare gli eventuali impatti articolari e di gestire in maniera
equilibrata i carichi su entrambi i corpi articolari cercando di limitare gli effetti
erosivi dell’attrito sulla cartilagine articolare.
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I menischi svolgono un ruolo essenziale nella meccanica articolare del ginocchio;
riducono il carico cui sono sottoposte le superfici articolari e assorbono circa il
50% del carico in estensione ed l’80% del carico quando il ginocchio è a 90 gradi
di flessione.
Oltre ad una corretta distribuzione del peso e ad un giusto assorbimento delle
sollecitazioni intermittenti prodotte durante il cammino quotidianamente o durante
sforzi recidivi creati in un ambiente lavorativo, sono in grado di svolgere una
funzione di stabilizzazione meccanica in relazione alla loro morfologia e ai loro
movimenti.
Essi dispongono di un’ampia mobilità anche se quello mediale è più vincolato a
causa dell’unione con il legamento collaterale mediale. Durante una flessione del
ginocchio, entrambe si spostano posteriormente contemporaneamente ai condili; il
contrario avviene se il ginocchio è in estensione.
In supporto alla cartilagine ialina, essi diminuiscono l’attrito tra i capi articolari e
aumentano la stabilità del ginocchio, migliorando la congruità della superficie
articolare articolare, sia agendo come strutture propriocettive.
Una meniscopia totale riduce, la superficie di contatto di circa il 50% e amplifica
la deformazione complessiva della cartilagine articolare sull’osso subcondrale in
posizione ortostatica.
Il supporto ematico dei menischi è limitato alla porzione più periferica (25%-
30%) del menisco stesso e origina dai tessuti molli circostanti: la membrana
sinoviale e la capsula.
Per terminare, va rilevata la funzione propriocettiva dei menischi, legata alle
terminazioni nervose di tipo sensitivo presenti nei corni meniscali.
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Figura 6 deformazione e spostamento dei menischi durante alcuni movimenti del ginocchiodestro. a) estensione con rotazione terminale; b) massima flessione forzata del ginocchio; c)flessione a 90° con modesta rotazione interna; d) flessione a 90° discreta rotaz.
4. LA CAPSULA:
La capsula è amplia, lassa e sottile costituita da una parte sinoviale e una fibrosa.
È rinforzata da numerosi legamenti che la ricoprono o la penetrano ,infatti, risulta
più robusta posteriormente e più sottile sugli altri tre lati.
In sostanza, l’inserzione tibiale della capsula lascia all’esterno dell’articolazione il
legamento crociato anteriore, lo stimolo con l’eminenza intercondiloidea e il
legamento crociato posteriore.
L’inserzione capsulare al femore rileva, inferiormente, l’esclusione degli attacchi
femorali dei legamenti crociato anteriore e posteriore.
Anteriormente la capsula è molto lassa per consentire la formazione di un recesso
sottoquadricipitale.
Posteriormente, invece, c’è un ispessimento generalizzato di esse, più evidente
nella parte alta dei condili, costituendo una parete di scorrimento dei muscoli
gemelli che va ad inserirsi, al di fuori dell’articolazione, subito sopra ai punti di
confine della capsula.
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Occorre aggiungere che qui, ma anche anteriormente, la membrana fibrosa si va
ad inserire rispettivamente avanti e dietro ai legamenti crociati – a livello della sua
inserzione tibiale –incapsulandoli avendo interposto materiale lipidico;quindi, è
comune affermare che i legamenti crociati sono intracapsulari ma anche
extrarticolari. Lateralmente e medialmente la capsula si presenta piuttosto lassa
per formare i recessi laterali rotulei mentre, posteriormente forma due recessi
chiamati “recessi posteriori “.
Lateralmente e subito sotto l’attacco capsulare, quindi all’interno
dell’articolazione, si va ad inserire il muscolo popliteo; medialmente, è il
legamento collaterale mediale ad essere intracapsulato.
Figura 7 capsula: zone d'inserzione nel ginocchio. a) visione frontale posteriore del ginocchiodestro; b) visione nel piano trasverso. 1- leg. crociato posteriore, 2- leg. crociato anteriore.
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LA ROTULA E LA TROCLEA FEMORALE:
La rotula
La rotula è il più grosso osso sesamoide del corpo umano; ha una forma
triangolare, con l’asse maggiore diretto in senso prossimale e un apice distale se
vista sul piano frontale.
La sezione traversa mostra una forma triangolare con un apice posteriore e una
larga base anteriore formata dalla superficie.
La faccia anteriore è leggermente convessa ed è divisa nelle seguenti parti:
- il terzo superiore, che riceve le fibre profonde del tendine, contiene numerosi
orifizi vascolari
- il terzo inferiore, che presenta una struttura a “v, accoglie il tendine rotuleo
La superficie posteriore, che si articola con il femore attraverso una serie di sette
faccette, può essere suddivisa in una parte anteriore e una inferiore (l’apice) che
non si articola con il femore, rappresenta circa il 25% dell’altezza della rotula, e
giace nello strato adiposo di HOFFA.
La parte articolare completamente ricoperta da cartilagine ialina, la quale può
essere alta fino a 10 mm, infatti, la più spessa tra tutte.
La rotula si divide in un complesso di faccette mediali e laterali. Queste faccette
sono concave al fine di articolarsi dolcemente con i condili femorali convessi.
La troclea femorale
Rappresenta il solco a forma di “v”, ricoperto da cartilagine, situato sulla faccia
anteriore dell’estremità femorale distale.
Il femore distale ripartisce il carico sui due condili separati posteriormente dal
solco intercondiloideo mentre anteriormente s’inserisce sull’incisura trocleare,
fornendo una superficie articolare per la rotula. Entrambe i condili così come
l’incisura trocleare sono coperti da cartilagine ialina articolare indispensabile per i
movimenti. I condili femorali laterale e mediale sono convessi sia sul piano
sagittale sia frontale ed entrambi hanno un’asse antero- posteriore.
Il condilo mediale si allarga posteriormente e medialmente a partire dalla dialisi
femorale, mentre quello laterale è ingrossato in direzione traversa, infatti, ha il
compito di proteggere la rotula dalla sublussazione laterale.
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5. GRASSO E BORSE MUCOSE:
Il grasso possiede prevalenti funzioni ammortizzanti e di facilitazione allo
scorrimento ed è sito in diverse parti dell’articolazione del ginocchio fra
membrana sinoviale e membrana fibrosa.
La sua presenza si denota già nella parte posteriore della tibia che consente, fra
l’alto, di isolare, fra le due membrane, le inserzioni tibiali dei legamenti crociati.
La parte adiposa più importante è, in ogni modo, posta anteriormente con il nome
di corpo adiposo infrapatellare disposto dietro alla faccia postero-inferiore della
rotula e al legamento rotuleo e davanti al femore e la tibia.
La sua funzione è di riempire spazi durante il movimento flessorio.
Le borse più importanti sono:
- La borsa sovrapatellare, posta anteriormente al di sopra della rotula e
comunicante con la cavità articolare.
- La borsa prepatellare, posta sotto la cute davanti alla rotula e sotto al
tendine del muscolo quadricipite.
- La borsa infrapatellare profonda, posta inferiormente rispetto alla
rotula sotto il tendine del muscolo quadricipite, è posta posteriormente
rispetto alla borsa del muscolo semimembranoso, al recesso subpolpliteo
sotto il muscolo omonimo, alle borse subtendinee dei gemelli posti sotto
l’origine di questi muscoli e in fine alla borsa subtendinea del bicipite
femorale sotto la sua inserzione.
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I MOVIMENTI DEL GINOCCHIO:
I movimenti permessi dalle articolazioni del ginocchio sono:
- il movimento flesso- estensorio a ginocchio flesso.
-il movimento rotatorio della gamba rispetto al femore.
Figura 8 1) flessione di ginocchio; 2) rotazione di ginocchio; 3) estensione di ginocchio.
La flesso- estensione:
La flesso- estensione avviene, sul piano sagittale, attorno ad un’asse frontale che
attraversa i condili femorali.
Possiamo dunque, paragonare più semplicemente i condili femorali ad un cilindro
irregolare con un’amplia superficie scavata, chiamata cavità intercondiloidea.
Osservando da entrambe i lati possiamo notare che la curvatura che funge da base
(mediale e laterale ) di questo cilindro, vista anteriormente denota, nella parte
posteriore un restringimento che riduce il suo raggio, modificando in questo modo
il suo centro di rotazione.
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Esaminando i due condili posteriormente, si può scorgere che quello laterale
risulta più grande del mediale e l’unione dei loro assi di rotazione, se valutati
singolarmente, crea due linee che intrecciandosi formano un angolo di 160° che
gli garantisce una morfologia definita da Fick “ruote di una carrozza usata “.*
Analizzando l’articolazione coxo- femorale riconosciamo l’esistenza di tre assi:
L’asse diafisario- femorale presenta un’obliquità che insieme all’asse diafisario-
tibiale forma un angolo aperto in fuori di circa 173°che nell’individuo normale
varia da 170° a 175°; nella donna, a causa del bacino più largo risulta più vicino ai
170°.
L’asse meccanico, dell’arto inferiore è quello che rispetta la linea di carico;
origina dal centro della testa femorale e giunge circa nella posizione centrale del
ginocchio, andando a coincidere con l’asse della tibia ed in fine carica il mortario
tibio- astragalico nel piede.
L'asse meccanico, infatti, non coincide con l’asse della verticale inclinandosi
all’esterno per un valore di circa 3-5°.
Questo valore è in relazione all’inclinazione dell’asse diafisario- femorale quindi,
maggiore sarà la sua diagonale, superiore, sarà il suo valore ovviamente, in questo
modo però condiziona anche l’asse meccanico.
Si comprende, pertanto, che anche l’asse teorico (asse di rotazione per la flesso
estensione del ginocchio ) passante per i condili non può essere ortogonale
all’asse della verticale.
Durante la flessione, in pratica il movimento che avvicina le superfici posteriori di
gamba coscia, non si avrà una coincidenza d’affrontamento fra asse femorale e
asse tibiale ma la gamba si fletterà portandosi un po’ all’interno rispetto alla
posizione della coscia.
In ogni caso la meccanica della flesso- estensione si realizza con una particolare
dinamica che include rotazione e scivolamento.
L’azione è comandata dai muscoli, in essa, notevole è il rilievo dei legamenti
soprattutto dei crociati che compiono un’azione guidata.
La rotazione dei condili femorali, nella flessione, avviene posteriormente e lo
scivolamento anteriormente.
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Senza questo scivolamento anteriore, in teoria, si produrrebbe una lussazione
posteriore del femore.
Il contrario avviene nell’estensione: rotazione avanti e scivolamento indietro.
Infine, durante la flesso- estensione si verifica un modesto movimento di
rotazione del tutto involontario.
La realizzazione dell’intera estensione del ginocchio, in stazione eretta, necessita
di una modesta rotazione esterna terminale della tibia (o interna del femore ) che
detende leggermente il legamento crociato anteriore consentendo ai collaterali di
raggiungere il massimo della tensione.
Si completa, cosi, l’estensione del ginocchio, ovviamente per poter intraprendere
la cinetica opposta, vale a dire la flessione, è essenziale ruotare prima
internamente la tibia.
I movimenti di flesso- estensione hanno, come punto di riferimento, l’arto
inferiore in carico o in decubito con angolo di 180°fra coscia e gamba sul piano
sagittale.
Da questo riferimento la flessione attiva è di circa 120° ad anca estesa e di 140°ad
anca flessa.
Quest’ultimo valore è reso possibile dalla messa fuori gioco dei muscoli ischio-
crurali che, come noto sono muscoli poliarticolari che, oltre a flettere il ginocchio,
a causa delle loro origini, estendono anche l’anca.
Il valore della flessione passiva è di circa 160°; l’estensione ha lo stesso valore
della posizione di riferimento, ossia, zero, non essendoci, se non in rari casi e
perlopiù nei bambini, un’iperestensione, il cui valore viene in questo caso definito
estensione assoluta.
Si definisce, invece, estensione relativa l’angolo di movimento necessario per
estendere completamente il ginocchio da una qualsiasi posizione predeterminata
di flessione.
Ovviamente i legamenti crociati sono da considerarsi, oltre che la guida della
flesso- estensione, gli elementi della stabilità antero- posteriore.
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La rotazione:
La rotazione del ginocchio (ossia la rotazione della tibia rispetto al femore ) non è
permessa a ginocchio esteso.
In questa posizione i legamenti collaterali sono al massimo della loro tensione e
costituiscono, con i muscoli, l’elemento stabilizzante per eccellenza dei
movimenti di lateralità (piano frontale) mentre ai legamenti crociati spetta il
compito della stabilizzazione del piano sagittale.
Peraltro questi movimenti sono bloccati anche dalla presenza dell’eminenza
intercondiloidea tibiale che rende diversa l’articolazione condiloidea.
Si è preferito, infatti, parlare di “due articolazioni condiloidee affiancate” a cui
sono negati i movimenti d’abduzione e adduzione.(PIROLA: Cinesiologia)
Ricordiamo, inoltre, che i legamenti collaterali presentano inserzioni posteriori ai
condili femorali dove risulta particolarmente arretrata quella del collaterale
laterale; è sufficiente, quindi, una modesta flessione per ottenere una rotazione.
L’asse della rotazione, per effetto degli orientamenti degli assi diafisario-
femorale, meccanico e verticale oltre che per l’asimmetria morfologica dei
condili, finisce per porsi medialmente alla cresta intercondiloidea.
La rotazione che si realizza con l’arto in scarico( soprattutto nella fase del
cammino) raggiunge valori diversi secondo il grado di flessione del ginocchio.
Mediamente è assegnato alla rotazione esterna il valore di 40°-50° e, a
quell’interna di 20°-30°.
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BIBLIOGRAFIA DEL PRIMO CAPITOLO
- L. Coppola – S. Masiero, Riabilitazione in ortopedia, ed. Piccin
- Vincenzo Pirola, Il movimento umano applicato alla rieducazione e alle
attività sportive, ed., edi-ermes.
- Danowski R.G., Chanussot J.-C.: Traumatologia dello sport, II ed. a
cura di S. Ferrari, Masson, Milano 2004.
- Mancini A., Morlacchi C.: Manuale di clinica ortopedica, IV ed.,
Piccin Nuova Libreria, Padova 2003.
- Vanti C., Ferrari S.: Allungamento della muscolatura posteriore nelle
patologie dell’apparato estensore del ginocchio- Atti del IV Congresso
Internazionale di Rieducazione Posturale Globale, 91-98 -1999.
Siti internet:
- www.l’anatomiadelginocchio.it
- www.fisiobrain.com
- www.ilginocchionellamedicinadellosport.it
- www.oasiortopedia.it
- www.ilginocchio.it
24
SECONDO CAPITOLO :
INTRODUZIONE
Il movimento umano in tutta la sua infinita varietà ubbidisce alle leggi del
movimento in genere e ciascuna specialità atletica deve applicare questi stessi
principi per un migliore rendimento a livello più elevato.
Dato che l’atleta acquisisce una tecnica attraverso sensazioni cinestesiche,
traducendo ciò che egli vede o ciò che egli sente(sensazione di un movimento) in
un linguaggio più descrittivo (meccanicamente inesatto), ciò è quindi sovente da
preferire al rigore della macchina pura. In ciò sta la bravura dell’allenatore, più
che nel suo sapere.
D’altra parte, i velocisti, i saltatori o i lanciatori devono compiere un lavoro più
tecnico e analitico per giungere ad essere padroni della loro specialità.
In genere, è meglio lasciare ignorare all’atleta la natura esatta dei propri
movimenti e accontentarsi d’insistere su qualche dettaglio destinato a correggere i
suoi difetti, soddisfare la sua curiosità e dargli fiducia in se stesso.
Per quanto riguarda gli allenatori e gli educatori, tuttavia, la conoscenza di questa
meccanica dei movimenti è uno strumento essenziale per distinguere l’importante
dall’accessorio, il corretto dallo scorretto, la causa dall’effetto, il possibile
dall’impossibile.
Gli atleti si differenziano largamente tra loro per peso, scheletro, lunghezza delle
leve e scioltezza; è spesso impossibile determinare esattamente la loro forza
muscolare e, altrettanto spesso, è necessario ridurre le forme complesse del corpo
umano in altre geometriche più pratiche, a scapito della precisione delle misure.
25
2..2 IL MOVIMENTO
Ogni movimento in atletica, sia che si tratti di quello del corpo di un atleta, di una
parte di questo corpo, o il movimento di un attrezzo (disco, peso, ecc...), si
sviluppa seguendo principi ben precisi ed è soggetto alle stesse leggi meccaniche
di ciascun corpo animato o non.
Il movimento può essere lineare (rettilineo) o angolare:
2.1 Il movimento rettilineo:
Il movimento rettilineo è caratterizzato dalla progressione di un corpo su di una
retta. Tutti i suoi punti si spostano alla stessa distanza, nella medesima direzione
ed alla stessa velocità. È raro trovare in atletica il movimento rettilineo allo stato
puro, ma bisogna quand’anche tenerne conto. Tuttavia, supponendo che si possa
considerare lo spostamento di un velocista come movimento rettilineo( dalla
partenza all’arrivo), lasciandone da parte i movimenti di rotazione degli arti e di
ondulazione.
2.2 Il movimento angolare:
La maggior parte dei movimenti in atletica sono da collocare in questa categoria
perché il corpo umano è formato da un sistema di leve capaci solamente di
effettuare rotazioni. Gli stessi movimenti che, a prima vista, sembrano rettilinei
sono in realtà il risultato di un insieme complesso di rotazione. perciò è
importante, nello studio della tecnica atletica, conoscere i principi che regolano il
movimento di rotazione.
Questo movimento è molto conosciuto nella locomozione animale e umana
perché, meccanicamente parlando, un tale movimento dipende dal sistema di leve
di cui sono appunto dotati gli esseri viventi.
La differenza essenziale fra i due movimenti è che, mentre nel movimento
angolare l’oggetto possiede un centro o un’asse di rotazione fisso, nel movimento
rettilineo ciascun punto dell’oggetto si sposta alla stessa distanza, da una
posizione all’altra.
Un corpo può essere animato, nello stesso tempo, da due movimenti, ed è quando,
durante la sua rotazione o il suo spostamento angolare, il suo asse si sposta su una
certa traiettoria.
26
2.3 Il movimento uniforme e non uniforme:
Si dice che un movimento è uniforme quando distanze uguali sono percorse in
intervalli di tempo uguali. Esso non è uniforme quando distanze ineguali sono
coperte in intervalli di tempo uguali.
2.3,2 La velocità:
In meccanica, si fa differenza tra la velocità e il vettore velocità, l’ultimo
comprende la nozione di direzione dello spostamento e della misura della sua
velocità.
Il corridore può spostarsi ad una determinata velocità, ma per definire il suo
vettore velocità deve capire in quale direzione si sposta, infatti, la velocità è data
in unità di tempo e lunghezza, indi per cui possiede grandezza e direzione, è una
quantità vettoriale e può dunque essere rappresentata dalle frecce.
2.3,3 L’accelerazione:
In atletica le velocità sono raramente costanti, il più delle volte cambiano di valore
e direzione, talvolta simultaneamente, infatti, quando la velocità di un oggetto
cambia di valore, si sostiene che il movimento è ritardato se la velocità decresce
continuamente o accelerato se la velocità cresce in modo continuo.
In meccanica la parola accelerazione è impegnata in due casi, nel primo quando è
in opposizione al vettore-velocità e si parla d’accelerazione negativa, quando essa
è diretta nello stesso senso abbiamo l’accelerazione positiva.
L’accelerazione dunque, è la misura della variazione di velocità in un intervallo
temporale. Di conseguenza ogni volta che parliamo d’accelerazione l’unità di
tempo, entra in merito due volte: nella velocità e nella durata (dove si compie la
variazione di velocità). Tutto ciò appena accennato riguarda l’accelerazione
uniforme, ma in atletica come vedremo, si tratterà il più delle volte
d’accelerazione di carattere non uniforme.
Si può tuttavia calcolare il valore di un’accelerazione in ogni momento,
prendendo come base la variazione di velocità durante un intervallo di tempo il
più breve possibile.
27
2.4 Il movimento dei corpi in caduta libera:
Ogni attività e ogni risultato sul terreno sono influenzati dalla gravità, per questo
le leggi della caduta libera dei corpi devono applicarsi alle specialità d’atletica,
codeste leggi sono applicate alla caduta libera dei corpi nel vuoto.
In un tempo remoto fino ai tempi di Galileo si credeva che gli oggetti più pesanti
cedessero più velocemente in proporzione al loro peso.
Tuttavia, due corpi lasciati contemporaneamente, fianco a fianco, partendo da
fermi, cadono alla stessa velocità indipendentemente dalla loro grandezza, dal loro
peso e dal materiale di cui sono fatti.
2.4,2 Il parallelogramma delle velocità e le risoluzioni:
Nella corsa, nei salti, nei lanci un atleta imprime al suo corpo o a un attrezzo due
movimenti contemporanei, uno verso l’alto e l’atro verso l’avanti.
Figura 9 parallelogramma della velocità, le due componenti.
Queste due velocità sono chiamate velocità componenti perché la loro
combinazione dà origine ad una velocità risultante cioè a una velocità reale del
corpo o dell’attrezzo.
Queste due componenti simultanee sono separate perché indipendenti; essendo
conosciuto il valore di ogni componente, se ne possono dedurre la direzione e la
grandezza della velocità risultante con l’aiuto del metodo del parallelogramma .
28
2.4,3 Traiettoria dei proiettili:
A partire dal momento in cui un atleta abbandona il suolo, esso comincia in realtà
a cadere in quanto la gravità cambia la direzione del movimento. Dunque per
arrivare ai migliori risultati, la velocità iniziale dei salti deve essere la risultante di
una componente orizzontale e di una componente verticale.
In questo modo l’atleta staziona in aria più a lungo, e dunque percorre una più
ampia distanza orizzontale prima di riprendere contatto col terreno.
Nel vuoto il centro di gravità di un atleta descrive una parabola perfetta.
Considerando maggiormente la velocità orizzontale, notiamo che la curva è lunga
e bassa , ma se consideriamo il salto in alto noteremo che la componente verticale
predomina e quindi la curva sarà corta e alta.
In atletica non esiste ne la propulsione per reazione ne un cambiamento di massa
durante il volo, quindi i movimenti dell’atleta sulla sua traiettoria non possono in
alcun modo modificare quella del suo centro di gravità.
Inoltre, nel vuoto mentre la componente orizzontale rimane costante durante il
volo, la velocità del lunghista sarà uguale alla caduta e allo stacco.
La componente verticale, tuttavia, poiché essa è soggetta alla legge della caduta
dei corpi, si annullerà al vertice della traiettoria, per far posto dopo a una caduta
uniformemente accelerata. Infatti, un saltatore può essere considerato come
possessore di due movimenti indipendenti.
Da notare che il saltatore si muove orizzontalmente ad una velocità costante
perché la diminuzione della velocità nella fase ascendente è compensata
dall’aumento di quella della fase discendente.
Dalla figura precedente notiamo, l’intervento dell’aria, cioè una forza che rallenta
il movimento orizzontale e accorcia la traiettoria. La resistenza dell’aria dipende
dalla grandezza, dalla forma, dalla velocità e dal movimento di rotazione
dell’oggetto in moto, ma nei salti e nei lanci essa rimane molto debole se le
traiettorie sono simili a delle parabole.
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-un movimenti iniziale e uniforme verso l’alto,lungo la linea A-B
-un movimento di caduta libera misurato in punti successivi.
Nel salto in lungo, la rincorsa permette all’atleta di raggiungere la più grande
velocità possibile allo stacco, ma a carico della velocità verticale.
La velocità orizzontale riveste un’importanza tale che nei migliori salti il centro di
gravità dell’atleta si muove, al momento dello stacco, sotto un angolo nettamente
inferiore a 30°.
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2.2 LA FORZA:
Il movimento in atletica non può essere prodotto se non con l’applicazione di una
forza, vale a dire l’azione di un corpo su un altro corpo, ma è tuttavia possibile
che una forza sia applicata anche senza movimento. In atletica le fonti principali
di forza sono interne (le contrazioni muscolari) ed esterne (l’azione della
gravità, gli attriti, le reazioni del suolo e la resistenza dell’aria).
Una forza, non genera necessariamente un movimento, si può sentire, misurare
una forza, ma non vederla. I suoi effetti, al contrario, sono spesso visibili e
misurabili; si può definire una forza dalla sua grandezza, dalla sua direzione e dal
suo punto d’applicazione. È una quantità vettoriale alla quale può essere applicato
il metodo del parallelogramma. L’atleta, trae le sue forze dalla contrazione delle
sue fibre muscolari, esse sono lunghe diversi centimetri e spesse alcuni
millimetri.
2.1 L’ASSENZA DI GRAVITÀ:
Quando un uomo è in piedi, la forza di gravità che agisce sul suo corpo (in altre
parole il suo peso) è annullata da un’uguale azione verso l’alto proveniente dal
terreno (reazione del terreno); altrimenti egli sarebbe attirato verso il centro della
Terra.
Questa condizione si applica anche alle varie parti del suo corpo, le quali, nella
posizione illustrata, devono sopportare il peso del corpo sovrastante.
Quindi ciascuna parte sente un grado di compressione che aumenta
progressivamente dalla testa verso i piedi. Tale compressione può modificare col
mutare della posizione; per esempio, nell’appoggio su di un piede solo o
nell’accelerazione di una parte del corpo in senso verticale.
Tuttavia quando l’atleta si stacca dal terreno, la sua velocità verso il basso
aumenta mentre la reazione del terreno verso l’alto ovviamente diminuisce e le
varie fasi di compressione, le sensazioni associate ad asse ed il loro effetto sulle
interazioni neuro- muscolari, che controllano le posizioni e dirigono il
movimento, non esistono più.
Il corpo dell’atleta, mancando la reazione del suolo, assume una condizione
d’assenza di gravità transitoria e può spostare le sue varie membra, in modo tale
31
che in condizioni normali richiederebbe uno sforzo maggiore, essendo ormai la
resistenza al movimento prodotta solo dall’inerzia.
"Quindi la condizione d’assenza di gravità tende ad aumentare la mobilità a
spese del controllo".*
La posizione che un uomo tende ad assumere in caduta libera quando si rilascia
completamente, è quella in cui si raggiunge uno stato d’equilibrio angolare tra le
varie parti del corpo, che tuttavia può essere modificato dalla massa e dal tono dei
diversi gruppi muscolari. Nell’acqua il nuotatore che galleggia fermo, non è
l’assenza di gravità ciò che sente, ma l’azione della colonna liquida verso l’alto.
2.2 IL CENTRO DI GRAVITÀ:
Partendo dal presupposto che ciascuna parte di un oggetto è sottoposta
all’attrazione della gravità, cerchiamo la risultante di tutte queste azioni, che come
noteremo corrisponde al peso dell’oggetto; questa risultante si applica in un punto
che è il centro di gravità dell’oggetto.
Analizzando le varie specialità atletiche questo punto rappresenta spesso la massa
totale: peso di un atleta, di un attrezzo o dell’insieme “ atleta più attrezzo”.
Tutto questo accade come se il peso totale sia concentrato in un solo punto;
Infatti, sospeso per il suo centro di gravità, un atleta si mantiene in equilibrio in
qualsiasi posizione; questo punto però non è necessariamente al centro
dell’oggetto o dell’atleta, infatti, il centro di gravità coinciderà con il suo centro di
volume soltanto quando il corpo è di densità uniforme.
La posizione del centro di gravità in una data persona varia, ad esempio in base
alla posizione che egli assume, con l’inspirazione e con l’espirazione,
l’assorbimento delle bevande e degli alimenti, secondo il grado di magrezza e
l’età; infatti, è un punto molto instabile e tuttavia i suoi continui movimenti lo
conducono raramente fuori della cavità pelvica.
Movimento al suolo: se un atleta si sposta a contatto col suolo, cambia
automaticamente il suo centro di gravità, in rapporto alla sua massa e al suolo, ciò
avviene a prescindere dal tipo di contatto col suolo.
Esempio: nel salto con l’asta, in posizione eretta o nel carpiato...
Movimento in volo: quando l’atleta lascia il contatto col suolo la traiettoria del
suo centro di gravità, è regolare e non interrotta fino alla caduta.
32
Quindi, nessun movimento eseguito dall’atleta può alterarla; codesto principio di
conservazione della traiettoria del centro di gravità, è chiaramente dimostrato nel
salto in lungo, dove l’atleta non può modificare la sua traiettoria.
Dunque, se i saltatori potessero portare dei pesi,potrebbero accrescere la loro
velocità e l’altezza della loro traiettoria, proiettandoli verso il basso e all’indietro
durante lo svolgimento del salto; grazie al principio dell’azione e della reazione,
l’impulso dato reagirebbe sul corpo del saltatore, ma in senso inverso.
I movimenti del saltatore dunque non fanno che modificare la posizione del corpo
in rapporto al centro di gravità; essi non possono servire da propulsori.
Quando, il saltatore è in volo, una parte del corpo si sposta in un senso, un’altra in
senso contrario, simultaneamente, in modo che la somma dei prodotti delle masse
e delle distanze rispetto al centro di gravità rimane invariato.
2.3 L’ATTRITO:
Vi è attrito quando un corpo si sposta o prova a spostarsi stando in contatto con un
altro corpo. Il contatto corrisponde ad una forza che si oppone al movimento.
La misura della resistenza d’attrito è la forza necessaria per mantenere il
movimento uniforme del corpo.
In atletica, il termine attrito spesso usato sia a proposito del movimento dei piedi
sul suolo, quando la resistenza varia con la natura del suolo stesso e con quella
delle suole delle scarpe, sia a proposito della forza che si applica, sia ancora a
proposito del loro movimento relativo.
Se, l’attrito non esiste, gli atleti non potrebbero correre, saltare e lanciare, ma
solamente sollevare o abbassare il proprio peso.
2.4 L’EQUILIBRIO:
Un equilibrio corretto, sia durante il riposo che durante il movimento, è essenziale
in atletica ed è spesso difficile da ottenere.
L’equilibrio e la stabilità a riposo: dipende da diversi fattori, dalla superficie
della sua base, dall’altezza del suo centro di gravità, dalla distanza orizzontale tra
il centro di gravità e l’asse di rotazione e dal suo peso.
L’equilibrio nel movimento: quest’equilibrio si riferisce allo spostamento globale
senza rotazione di un atleta o di un oggetto.
33
L’ATLETICA LEGGERA: IL SALTO IN LUNGO
Introduzione:
I salti, come le corse, sono forme di movimento che l’uomo pratica e perfeziona
da 5000 anni. Ritornando nel passato in Egitto e in Grecia tutti volevano essere
destri, correre veloci, saltare alto e lontano, ed è così anche oggi.
Esistono persone che si allenano per prepararsi a gare, campionati, olimpiadi, c’è
chi lo fa per divertimento o per soddisfazione; tutti però vogliono raggiungere il
loro massimo in velocità, in lunghezza o altezza.
Perfino i bambini, già da piccoli, cercano bastoni lunghi per saltare sopra recinti o
altri ostacoli.
Il salto in lungo è dei quattro salti( triplo, lungo, alto e con l’asta ) la specialità più
naturale e più semplice da insegnare sotto alcuni aspetti.
I motivi per una buona riuscita del salto vanno ricercati soprattutto nella velocità
della rincorsa e nella capacità che l’atleta ha di trasformarla, attraverso lo stacco,
in un salto.
Il gesto globale del salto può essere frazionato in quattro parti:
- Rincorsa: lo scopo di questa fase è raggiungere la massima velocità per
inserire correttamente l’azione di stacco.
- Stacco: lo scopo è evitare il più possibile di perdere la velocità orizzontale
elevando contemporaneamente il centro generale di gravità all’altezza
ottimale.
- Volo: bisogna mantenere al meglio l’equilibrio per preparare un buon
atterraggio.
- Atterraggio: lo scopo è arrivare il più lontano possibile senza che l’atleta
cada all’indietro.
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LA RINCORSA:
Nell’analisi della rincorsa bisogna tener presente:
- La lunghezza, varia in funzione della struttura fisica, del sesso, del grado
di preparazione e della capacità d’accelerazione dell’atleta. Teoricamente
la lunghezza della rincorsa dovrebbe essere determinata dalla facilità con
cui l’atleta raggiunge la sua massima velocità, più 3-5 passi speciali e
preparatori allo stacco. Per i ragazzi di 12-15 anni si consiglia un minimo
di 11 passi ed un massimo di 16, mentre invece l’atleta evoluto è tra i 18
ed i 20 passi.
- La velocità, deve essere sviluppata in modo crescente. È provato che gli
sprinters, spingendo al massimo, raggiungono questa velocità attorno ai 55
metri; la rincorsa ideale sarebbe allora sui 60 metri, ma si può dire che lo
sforzo massimo del saltatore in lungo si verifica alla fine della rincorsa e
non all’inizio, ed è meglio che l’accelerazione si faccia in progressione e
quindi su una distanza ancora superiore. In effetti, i migliori specialisti non
vanno sopra i 45 metri; la maggior parte di loro usa 35-45 metri ed alcuni
superano appena i 30 metri. Generalmente si può affermare che essi
raggiungono il 95% della loro velocità massima. In futuro è possibile che i
records saranno migliorati grazie a delle rincorse più lunghe.
- L’avvio, può avvenire da fermo o in movimento. (attraverso alcuni
appoggi di passo o di corsa leggera). L’avvio da fermo consente una
maggiore precisione allo stacco, quello in movimento una maggiore
decontrazione. In età giovanile è consigliabile l’utilizzo dell’avvio da
fermo.
- La tecnica di corsa, deve essere svolta in forma circolare, ad anche e
ginocchia alte, a busto naturalmente eretto ed in decontrazione.
35
LO STACCO:
Questa azione coinvolge tutto il corpo e non solo l’arto di stacco.
L’azione deve avvenire attraverso un movimento rotondo attivo con una
buon’apertura tra le due cosce e l’angolo al ginocchio ( fig. A).
Figura 10 progressione di stacco nelle fasi
Il movimento rapido dell’arto di stacco è realizzato attraverso l’azione griffata del
piede, che poggia con tutta la sua superficie e termina la sua azione spingendo con
la sua parte anteriore e con l’arto di stacco esteso naturalmente (fig. B).
L’arto libero raggiunge rapidamente la posizione flessa con la coscia, parallela
al terreno, in modo da alleggerire la spinta dell’arto di stacco verso l’avanti-
alto; quindi il busto si trova in posizione eretta.
Le fasi di stacco possono essere suddivise in due momenti:
- Ricerca della velocità verticale massima: bisogna cercare di
imprimere al centro di gravità la velocità verticale massima, ci sono
però alcuni modi differenti d’applicazione. L’atleta raggiunge una
velocità sensibilmente più grande prima dei passi speciali, il piede di
stacco è posto più avanti del centro di gravità, ma la posizione non è
bassa come nel salto in alto, e le gambe non sono aperte perché
bloccherebbero in maniera violenta la velocità orizzontale. Prima degli
ultimi passi speciali l’atleta come già accennato, produce lo sforzo
massimo poi cessa l’accelerazione ( raggiunge la spinta d'inerzia), si
raddrizza, per permettere un avanzamento della gamba di stacco il più
36
lontano possibile, e sul penultimo passo, si raccoglie leggermente su se
stesso abbassando leggermente le anche.
Questo schema non è costante, perché i movimenti preparatori
diminuiscono di qualche centimetro l’ultimo passo, ( da 7 a 23 centimetri).
Sembra tuttavia che alcuni saltatori preferiscano fare l’ultimo passo
leggermente più lungo mentre altri si accontentano di un passo normale.
Allo stacco la gamba libera è notevolmente flessa per favorire una rapida
azione successiva; tuttavia una posizione eretta impone all’atleta un tempo
più breve nel contatto con la pedana e perciò un impulso relativamente
ridotto. Un avvicinamento più lento darebbe più tempo di permanenza
sulla pedana, ma ciò avrebbe a scapito della reazione del terreno e della
velocità orizzontale in aria. Il migliore stacco è giustamente quello in cui
tale resistenza al movimento orizzontale è ridotta al minimo e dove, nei
limiti imposti dalla gran velocità orizzontale dell’atleta, l’impulso verticale
diretto verso il centro di gravità è il più grande possibile; la gamba libera è
flessa e la testa, le spalle e le braccia sono prima proiettate in avanti
mentre la gamba di stacco, con la sua vigorosa estensione, accentua la
proiezione.
- Rotazione: Nel saltatore dopo lo stacco si ha un’azione eccentrica nei
tre piani, orizzontale, frontale, sagittale. Come nella corsa anche nel
salto in lungo, i movimenti in senso orario e antiorario in rapporto al
centro di gravità dell’atleta debbano equilibrarsi in tutti i piani. Sul
piano orizzontale e frontale il mantenimento dell’equilibrio è più facile
che sul piano sagittale perché gli effetti della spinta eccentrica sono più
deboli e le reazioni sono più facili da controllare e da annullare; sul
piano sagittale, al contrario, si ha una sensibilità a ruotare in avanti, ciò
è dovuto da un movimento di perno attorno al piede di stacco sulla
tavola e alla componente verticale della spinta della gamba, che si
produce dietro al centro di gravità. La rotazione posteriore è originata
dall’elemento orizzontale dell’azione della gamba di stacco, dalla
componente verticale quando questa si produce avanti al centro di
gravità, e dallo spostamento del momento angolare prodotto
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dall’elevazione della gamba libera. Questi diversi movimenti fanno sì
che, il saltatore possa lasciare la pedana, spinto da una rotazione in
avanti, o da una rotazione all’indietro, oppure senza rotazione; la
rotazione posteriore, sembra che non possa essere ottenuta senza una
considerevole esagerazione dell’ultimo passo, a danno della velocità
orizzontale. L’esperienza dimostra che uno stacco rapido ed efficace
non produce nessuna rotazione oppure, più spesso, una rotazione verso
l’avanti.
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IL VOLO:
I movimenti che l’atleta compie nella fase di volo, servono a mantenere
l’equilibrio. Essi hanno caratteristiche individuali ma sono strettamente legati al
diverso livello tecnico degli atleti. L’atleta non può far nulla per modificare la
traiettoria del suo centro di gravità; sia il momento lineare che angolare, con i
quali l’atleta lascia il terreno, rimangono costanti nell’aria.
Il lunghista, infatti, non può eseguire una propulsione in aria e i movimenti che
realizza possono solo influire sul suo equilibrio e sull’efficacia della presa di
contatto con la sabbia. La posizione della caduta è quella che prolunga il più
lontano possibile la traiettoria del centro di gravità e che permette di raggiungere
la più grande distanza orizzontale possibile tra i talloni e il centro di gravità, senza
che l’atleta ricada all’indietro nell’atterraggio.
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Si possono osservare tre caratteristiche di volo:
o IL VELEGGIATO( dopo lo stacco e relativa tenuta, l’arto libero si
abbassa durante la fase di volo e si appaia all’arto di stacco, le braccia
passano per dietro- fuori-alto assumendo il tipico atteggiamento ad arco;
nella parte finale le gambe vanno in avanti e le braccia in avanti- basso-
dietro).
o A RACCOLTA O TUCK-STYLE (dopo lo stacco l’atleta resta con la
coscia dell’arto libero parallelo al terreno a gamba flessa e con l’arto di
stacco arretrato per la maggior parte del volo, alla fine l’arto libero si
estende ed è raggiunto dall’arto di stacco in azione coordinata con il
braccio opposto).
o I PASSI IN ARIA O STEP- STYLE(prevede un passo e mezzo, due
passi e mezzo o tre passi e mezzo; per i giovani normalmente si usa un
passo e mezzo; dopo aver rispettato le fasi di stacco, l’arto libero si porta
sulla perpendicolare e si sposta indietro).
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L’ATTERRAGGIO:
Nella fase discendente della parabola l’atleta si troverà con le gambe verso avanti-
alto, busto leggermente inclinato verso le ginocchia e braccia che si muovono
dall’avanti alto verso il basso -dietro. In seguito le gambe si estenderanno e il
busto si fletterà ulteriormente in avanti.
Quando i piedi toccano la sabbia (il tallone), le gambe, si piegano alle ginocchia e
l’atleta atterrerà passando sull’orma lasciata dai piedi.
Figura 11 atterraggio sui talloni.
41
Conclusioni:
Teoricamente, un saltatore capace di elevare il suo centro di gravità di 1,20m allo
stacco(per ora è il massimo) e di combinare quest’elevazione ad una velocità
orizzontale di 11 m/sec, potrebbe raggiungere la misura di 11m.
I migliori saltatori arrivano sulla pedana di stacco ad una velocità inferiore a 9
m/s. e l’elevazione del loro centro di gravità non supera i 90 cm.
La seguente immagine non tiene conto della resistenza dell’aria, dà però la
distanza orizzontale coperta dal centro di gravità nelle diverse combinazioni di
velocità orizzontale e verticale.
Figura 12 la meccanica del salto in lungo con le relative distanze e altezze.
42
IL GINOCCHIO NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA:
Le ginocchia rappresentano la cerniera tra tibia e femore, e perciò sono un anello
cruciale della catena cinetica che ci consente di correre e camminare, il suo punto
d’aderenza al suolo si trova nei piedi, che hanno un ruolo fondamentale nella fase
d’appoggio del movimento.
Nel movimento è indispensabile la cooperazione delle due parti dell’arto inferiore
(piede- ginocchio), infatti, il piede deve garantire stabilità e funge d’appoggio e
sostegno del peso del corpo, al contrario, il ginocchio che continua a passare da
un’estensione ad una flessione, è più coinvolto nella fase propulsiva insieme ai
muscoli della gamba e di coscia.
In questi termini, il ginocchio può risultare a primo acchito, un’articolazione
semplice rispetto a quella della spalla o della caviglia, ma in realtà come prima
analizzato nel primo capitolo non lo è affatto.
L’articolazione del ginocchio compie movimenti di flesso- estensione e rotazione,
rispetto ad altre articolazioni può sembrare limitata, ma al contrario, è
l’articolazione più complessa dell’uomo.
La biomeccanica, dimostra che il gesto di flessione ed estensione non può essere
paragonato ad una rotazione intorno all’asse di un ideale perno, ma è qualcosa di
molto più fine e delicato, è il risultato di una combinazione tra un movimento di
scivolamento e rotolamento del femore sulla tibia.
Nell’atleta, dunque, il ginocchio rappresenta un’articolazione fondamentale; è il
fulcro del movimento e il segmento più sollecitato in alcuni sport, in particolare in
quelli in cui il gesto agonistico, prevede l’intervento ripetuto e repentino
dell’apparato estensore.
La pratica degli sport come pallavolo, pallacanestro, l’atletica del salto, il rugby, il
calcio, l’hockey... sollecitano a dismisura il ginocchio, con i frequenti cambi di
direzione, gli arresti, i movimenti di difesa, i salti e il mantenimento d’alcune
posizioni, ad esempio quella del cestista o del pallavolista (ginocchio in semi-
flessione), che col procedere procurano un danno da stress all’apparato estensore
del ginocchio.
Nella fase propulsiva del movimento, la giuntura della gamba è messa a
repentaglio da spostamenti laterali, da insidie di un terreno di gioco imperfetto, da
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possibili contrasti e dagli sforzi necessari per una buona prestazione di gioco o per
un ottimo risultato.
Statistiche hanno dimostrato, che il ginocchio è l’articolazione più bersagliata da
infortuni, infatti, il ginocchio nello sport è la regione anatomica più colpita da
traumi; le lesioni possono essere sia violente (traumi acuti), come accade negli
sport di contatto, sia da eccesso d’usura, a causa del sovraccarico funzionale cui
il ginocchio è esposto, specie nella corsa.
Le lesioni sportive coinvolgono soprattutto i legamenti, i tendini e i menischi,
infatti, la causa di ciò, è data di solito da un infortunio spesso complesso.
Esempi d’infortuni possono ricercarsi in diversi fattori come nei contrasti fra
atleti, nel bloccaggio della scarpa da parte dell’avversario, da campi fangosi o
accidentati, cambi di direzione violenti... tutto ciò, genera sollecitazioni torsionali
concentrate in modo particolare sul ginocchio, con una successiva aggravante, ad
esempio una rottura dei legamenti, mentre le forze di decelerazione o di rotazione
sul ginocchio sottocarico, come può accadere nella corsa, nel SALTO o nello sci,
possono causare lesioni dei menischi oppure del legamento crociato anteriore o
infine una patologia conosciuta come: “Condropatia femoro- tibiale”.
La condropatia femoro- tibiale sarà argomento portante della tesi, analizzandola
nello specifico nei saltatori in lungo.
Questa patologia è causata da un carico recidivo allo stacco, elemento che precede
la fase di volo, tuttavia, gli enormi progressi registrati nella medicina sportiva e
nella fisioterapia dello sport consentono oggi, fortunatamente, la guarigione delle
lesioni più severe e un rapido ritorno alla piena attività sportiva, dopo un adeguato
periodo di riabilitazione.
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BIBLIOGRAFIA DEL SECONDO CAPITOLO
-FIDAL( federazione italiana atletica leggera), Il manuale dell’istruttore,
ed. centro studi e ricerche.
-fisica dello sport, Krzysztof Ernest, ed. Gnocchi, Napoli 1995.
-The biomechanics of sports techniques (James G. Hay) ed. 1978
-appunti del professor PREATONI
Siti internet
-www.atleticaleggera.it
-www.saltoinlungo.it
-www.salti.it
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TERZO CAPITOLO
CONDROPATIA FEMORO- TIBIALE:
Introduzione:
La condropatia è una degenerazione del tessuto cartilagineo attorno all’osso,
chiamata "condromalacia". Ci sono tre gradi di gravità:
- Rammollimento della cartilagine senza fissurazione;
- Fissurazioni localizzate o diffuse;
- Perdita di sostanza cartilaginea con esposizione dell’osso.
Per lo sportivo ( per il saltatore in particolar modo) si parla di condropatia femoro-
tibiale, definita anche come sindrome del saltatore. Essa è data da un sovraccarico
e da una costante ripetizione del gesto tecnico.
La causa è da ricercarsi nei ripetuti microtraumi del gesto sportivo, aggravati da
una situazione anatomica sfavorevole ( come: ginocchio valgo, rotula alta, lassità
legamentoso ecc…). La patologia può essere asintomatica, ma, in genere compare
dolore intorno alla rotula, se si tratta di condropatia femoro- rotulea; al contrario
se si parla di condropatia femoro- tibiale si accusa dolore tra tibia e femore.
Questo dolore è presente sia a riposo che durante uno sforzo, un esempio può
essere durante una contrazione quadricipitale, salendo o scendendo le scale ecc…e
in ultimo durante una semplice pressione.
Le cure dipendono dalla gravità della patologia, ma l’elemento indispensabile a
qualsiasi grado, è il riposo anche assoluto nei casi più delicati, inoltre abbiamo la
crioterapia e la fisioterapia.
Particolarmente indicato è il potenziamento muscolare poiché il movimento della
rotula o della tibia dipendono dalla massa muscolare come il quadricipite.
La condropatia come accennato si differenzia in due tipi diversi di patologia:
- Condropatia femoro- rotulea
- Condropatia femoro- tibiale
La prima, è una patologia che colpisce una persona su quattro nel corso della vita,
sia gli sportivi che le persone sedentarie, con una misura maggiore le ragazze in
età adolescenziale, e che riveste spesso un problema per i fisioterapisti perché la
sua eziologia è complessa. Questo problema, è dato da una varietà di fattori che
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comprendono: meccanica anormale dell’arto inferiore, sovratensioni delle
strutture laterali e attività fisiche inappropriate.
Il dolore è spesso localizzato a livello anteriore del ginocchio e si manifesta in
condizioni particolari.
Il soggetto come secondo sintomo manifesta l’instabilità del ginocchio ( si ha
l’impressione che il ginocchio ceda o sia debole); questa, sintomatologia può
essere congenita, può dipendere da un trauma, o da un’ipersollecitazione
funzionale.
La seconda, che sarà analizzata in seguito nello specifico, si presenta nei saltatori
in lungo, nei pallavolisti nei giocatori di pallacanestro…
Codesta patologia, è un meccanismo complesso di lesione cartilaginea tra condili
del femore e piatto tibiale.
La lesione comporta un’usura anormalmente accelerata dello strato di cartilagine
del ginocchio. Tutto questo può essere la conseguenza di un precedente trauma
violento, o dall’obesità, o da prolungati sforzi sotto carico su superfici dure, può
presentarsi dopo una perdita della fibrocartilagine (menisco), deputata ad
ammortizzare gli urti del comparto laterale del ginocchio.
Il soggetto denuncia vari sintomi, ad esempio il dolore durante un’attività
sottocarico alleviato dal riposo.
Il dolore è spesso localizzato dalla parte lesionata e presenta un leggero gonfiore e
una successiva debolezza; in alcuni casi si è rilevata uno pseudoblocco del
ginocchio.
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IL GINOCCHIO DEL SALTATORE: “La sindrome femoro rotulea e lo
jumper’s knee”
Il ginocchio del saltatore o “jumper’s knee” è una tipica tendinopatia da
sovraccarico funzionale che interessa nel 65% dei casi l’inserzione del tendine
rotuleo al polo inferiore della rotula, nel 25% dei casi l’inserzione del tendine
quadricipitale al polo superiore della rotula e nel 10% dei casi l’inserzione del
tendine rotuleo distalmente alla tuberosità tibiale (* Ferretti A, sports med, 1986).
Questa patologia interessa soprattutto gli atleti che sottopongono il loro apparato
estensore del ginocchio ad intensi e ripetuti stress. Gli sport che più registrano
l’insorgenza di questa tendinopatia da sovraccarico, sono notoriamente il volley, il
basket, il calcio ma in particolare i saltatori in lungo.
Caratteristicamente la patologia si manifesta con un dolore ben localizzato
all’inserzione prossimale del tendine rotuleo e procede attraverso tre stadi clinici
(*Puddu G, J Sports Traumatol Rel Res, 1999).
L’esame obiettivo, un’accurata anamnesi e l’ausilio d’esami strumentali quali
l’ecografia e l’esame RMN, sono importanti per risolvere ogni problema
diagnostico, come ad esempio una meniscopatia, una borsite o una condropatia.
I fattori che predispongono l’atleta all’insorgenza di questa patologia, possono
essere distinti in estrinseci ( lo sport praticato, metodologie d’allenamento) ed
intrinseci (alterazione delle proprietà meccaniche del tendine come estensibilità,
elasticità, resistenza, ed alterazioni biomeccaniche della catena cinetica dell’arto
inferiore). Le indagini strumentali elencate mostrano le classiche alterazioni di
segnale a carico del tendine rotuleo, alla sua inserzione alla rotula, con
ispessimento del tendine stesso che si traduce a livello ultrastrutturale in
degenerazione mucoide, iperplasia dei tenociti, e perdita della normale architettura
longitudinale delle fibre collagene (*Yu JS, AJR Am J Roentgenol, 1995).
Alcuni studiosi( Cook ed altri ) hanno evidenziato aree ipoecogene a carico del
tendine rotuleo in atleti asintomatici in una percentuale del 22% rispetto al 4% di
un gruppo di soggetti sedentari; questo fattore può essere interpretato come
degenerazione tendinea patologica.
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Pare che il sovraccarico ripetuto sia la principale causa patogenetica del
ginocchio del saltatore; infatti, la struttura tendinea subisce un continuo
rimodellamento causato dal sovraccarico, sia a livello cellulare che a livello della
matrice extra cellulare.
Attraverso questo progressivo rimodellamento il tessuto tendineo si adatta a
carichi crescenti cui è sottoposto durante l’esercizio. Se tale adattamento è
sufficiente a mantenere l’integrità strutturale, il tendine risulta pronto a ricevere il
progressivo aumento del carico.
Se al contrario, l’adattamento ed il tempo di recupero sono insufficienti a
mantenerne l’integrità, il tendine rimane in una situazione temporanea di
debolezza che, in caso d’improvvise sollecitazioni, predispone lo stesso tessuto
tendineo alla lesione.
Esiste quindi una sottile linea di demarcazione tra il corretto quantitativo di carico
favorevole all’adattamento fisiologico del tendine e l’eccessivo carico applicato
che stressa il tessuto connettivo oltre i normali limiti di mantenimento e
riparazione cellulare.
Intervento terapeutico: il trattamento del ginocchio del saltatore è tuttora
argomento di dibattito, ma il trattamento conservativo è quello apprezzato e usato
da tutti, infatti, è considerato la prima scelta terapeutica e risolutiva per la
maggioranza dei casi. La fase iniziale prevede il controllo del dolore e
dell’infiammazione con l’assunzione di farmaci antinfiammatori e di riposo
attivo. Questi presidi terapeutici sono molto utili ma non sufficienti per il
completo recupero funzionale che deve passare attraverso la fase di ripristino delle
qualità di forza e resistenza muscolo- tendinee. Il recupero funzionale della forza
eccentrica mediante impiego d’esercizi specifici rappresenta la chiave per il
rimodellamento del tendine ed il conseguente ripristino delle condizioni
fisiologiche della struttura tendinea alterata dai processi degenerativi.
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Figura 13 illustrazione del ginocchio che evidenzia il fenomeno del jumper's knee
Lo jumper’s knee colpisce quasi esclusivamente soggetti sportivi, particolarmente
se impegnati in attività di salto e dotati di spiccate performance di potenza. Si
tratta di una patologia molto difficile da trattare e vengono proposte svariate
forme di terapia, in molti casi basate sull’esperienza del singolo medico.
Metodi: parliamo d’atleti o meglio saltatori di lungo, il saltatore deve essere
prima valutato con un esame clinico e diagnostico ( ecografia, Risonanza
Magnetica, ed esame Rx nelle proiezioni standard) al fine di valutare la presenza,
la localizzazione e l’entità della tendinopatia associata o meno ad aree di
metaplasma calcificate nel tendine o in sede inserzionale.
La sintomatologia dolorosa è stata qualificata utilizzando la VAS (Visual
Analogical Scale) e una scala di valutazione clinica soggettiva suddivisa in 5
gradi.
Il trattamento è eseguito con apparecchiature specifiche, dotate di un generatore
elettromagnetico con bobina cilindrica, provviste di puntamento ecografico in-
line. Il protocollo di trattamento, sovrapponibile per i generatori utilizzati, ha
determinato un numero di quattro sedute circa, eseguite ad un intervallo di tempo
compreso tra due e sette giorni.
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Il risultato: è soddisfacente per circa il 73% dei pazienti, il tempo di recupero
oscilla tra le5/6 settimane.
La conclusione è che le onde d’urto sembrano rappresentare una valida possibilità
terapeutica di tipo conservativo, precedute e susseguite da un ottimo lavoro di
riabilitazione.
La riabilitazione è necessaria, infatti, in seguito si evidenzia un possibile
protocollo di lavoro in caso di tendinopatia del rotuleo:
- Stretching statico 20” per 5 volte pre e post esercizio.
- Esercizio eccentrico (mezzo squat)
3 step per 5 ripetizioni
- Progressione: 1° -2° giorno = esecuzione lenta- tronco inclinato 30°
- Terzo giorno = esecuzione a velocità moderata.
- Sesto e settimo giorno = esecuzione veloce.
- L’uso del ghiaccio e la pratica di un buon massaggio 3-5’ dopo ogni
seduta d’allenamento sono indispensabili per un buon trattamento.
Seconda settimana = ripetere il ciclo, aggiungendo il carico ( 10% del
peso corporeo con bilanciere o uno zaino carico) passando a 3 per 8
ripetizioni.
Terza settimana- sesta settimana = tre sedute settimanali.
Ripetere il ciclo ogni sette giorni, aumentando il carico (aggiungo
progressivamente 5 kg fino a 15-20 kg con bilanciere o zaino carico) e
passo a 3 per 10 ripetizioni
Quinta settimana- sesta settimana = faccio due sedute d’isocinetica
eccentrica e una seduta eccentrica descritta in precedenza.
Parallelamente al recupero strutturale del tendine il programma rieducativi
prevede il recupero delle capacità coordinative neuromuscolari mediante esercizi
propriocettivi progressivi, che agiscono a livello corticale.
Il trattamento comprende un lavoro di rinforzo eccentrico per il quadricipite e i
muscoli ischio- peroneo- tibiali, come lo stretching. L’attività aerobica, per il
mantenimento di un adeguato funzionamento del sistema cardiocircolatorio, è alla
base per il percorso riabilitativo.
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La sindrome femoro- tibiale:
Cos’è tale sindrome? Codesta è un meccanismo di lesione cartilaginea tra condili
del femore e piatto tibiale, è tipica dei saltatori in lungo.
Questa patologia, si presenta a causa del ripetuto trauma da sovraccarico
funzionale nel gesto tecnico, infatti, se noi analizziamo le fasi del salto in lungo
noteremo che nella fase di stacco avviene un sovraccarico funzionale che se
recidivo nel tempo può comportare all’insorgenza di un danno alla cartilagine
articolare in zona di carico, quindi tra tibia e femore.
Analizzando, la fase di stacco può determinare le cause, infatti, questo danno ha
origini meccaniche, è legato a microtraumi ripetuti e alle ipersollecitazione
funzionali dovute all’eccesso di carico improvviso o ciclico esercitato sulla
giunzione tra tibia e femore.
Le cause meccaniche sono da ricercare proprio nel gesto tecnico. L’atleta, infatti,
imprime al centro di gravità la velocità verticale massima per garantire una
corretta fase di volo successiva; il soggetto una volta raggiunta la massima
velocità non accelererà più negli ultimi passi speciali perché lo sforzo massimo
deve essere prodotto prima dei passi speciali.
L’accelerazione cessa prima dello stacco per garantire un avanzamento della
gamba di stacco il più lontano possibile e, sul penultimo passo, si raccoglie su se
stesso abbassando le anche.
Proprio l’appoggio del piede sulla pedana di stacco sollecita l’articolazione del
ginocchio, questo succede perché la gamba che compie lo stacco è una, l’atra
gamba, al contrario si prepara alla fase di volo successiva, infatti, dopo lo stacco
si determina, un'azione eccentrica su tre piani: orizzontale, sagittale e frontale.
Questo sovraccarico funzionale esercitato sul ginocchio o meglio dire tra condili
femorali e piatto tibiale, implica un danno cartilagineo con cause piuttosto gravi.
Il protocollo di lavoro che vedremo più avanti è molto lungo e necessità di un
impegno costante e una forte forza di volontà, proprio per questo guarire e
correggere questo problema risulta difficile e mostra percentuale di riuscita
relativa.
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La condropatia femoro- tibiale può dunque assumere un grosso freno per un
atleta specialmente se svolge un’attività agonistica, ci sono però quattro gradi
prima della degenerazione vera e propria:
- Il primo grado comprende solo un’infiammazione della cartilagine.
- Il secondo grado racchiude una fissurazione di essa.
- Il terzo grado presenta una bucatura della cartilagine.
- Il quarto grado è degenerativo e terminale perché manca la cartilagine
e quindi l’osso si consuma.
La lesione è dunque una condizione di sofferenza della cartilagine articolare che
nasce con un’infiammazione e progressivamente passa a determinare profonde
fissurazioni che arrivano allo stato sub condrale fino all’esposizione dell’osso
stesso; questa condizione può rappresentare l’anticamera dell’artrosi in molti
pazienti. Analizziamo brevemente che cos’è l’artrosi, per far capire il perché si
può arrivare a tale processo. L’artrosi è una patologia che insorge quando la
lesione della cartilagine è tale da non poter intervenire in artroscopia. Un bilancio
radiografico può essere utile per considerare meglio l’articolazione sotto carico;
esistono 5 stadi di classificazione:
Stadio primo: sclerosi del piatto tibiale
Stadio secondo: scomparsa dell’interlinea articolare.
Stadio terzo: usura ossea notevole
Stadio quarto: usura ossea di qualche cm con lassità associata.
Stadio quinto: grave distruzione ossea
In caso di deformità con la riduzione della rima articolare interna è fondamentale
riportare in asse l’arto. Questo intervanto prevede una ridistribuzione del carico
dell’articolazione, bilanciando il ginocchio con carichi distribuiti su tutti i
versanti. Questo si ottiene misurando l’angolo femoro- tibiale che darà il valore
fisiologico di 5° di valgismo.
Questo intervento presenta però controindicazioni come gravi deformazioni o
artrosi femoro- rotulea, contratture in flessione di ginocchio, gravi limitazioni
dell’articolarità… in seguito all’intervento è fondamentale attendere la guarigione
dell’osso che ha un intervallo di tempo di circa 35 giorni, e dopo si può iniziare il
programma di recupero.
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La causa più comune è un’usura anormale accelerata dello strato di cartilagine nel
ginocchio dell'atleta, essa può essere danno di un trauma violento dell’atleta
(perdita d’equilibrio durante lo stacco, posizione scorretta del piede d’appoggio,
colpo violento dato da un eccessivo carico allo stacco dalla pedana…) o da un
incremento di peso dell’atleta che comporta un carico maggiore all’articolazione
del ginocchio con conseguente sovraccarico e lesione cartilaginea o da sforzi
recidivi sotto carico effettuati su superfici d’allenamento troppo dure. Un’altra
concausa può essersi sviluppata in seguito ad un precedente trauma che si è acceso
dopo un periodo di lungo allenamento o da una spontanea perdita di
fibrocartilagine che con il tempo ha solamente peggiorato perché non curata.
Infatti, la fibrocartilagine è un elemento fondamentale per ammortizzare i colpi e
gli urti anche più violenti del compartimento laterale del ginocchio.
I sintomi tipici di questa patologia sono il dolore, correlato ad un’attività in
sovraccarico recidiva che dovrebbe essere interrotta, infatti, questo dolore si
allevia con il riposo.
Il dolore è spesso presente nella parte lesionata, si può anche vedere perché la
zona presenta gonfiori e debolezze continui con la sensazione di blocco del
ginocchio e di cedimento. Le posizioni che possono accrescere il dolore possono
essere ad esempio mantenere a lungo il ginocchio flesso come quando sono seduto
oppure se mi siedo sulle ginocchia a terra. Altri sintomi possono essere una
sensazione di scroscio e sfregamento durante varie attività anche semplici, che
comportano flessione e carico del ginocchio. I sintomi del saltatore peggiorano in
maniera proporzionale in relazione al carico e alla ripetizione del gesto tecnico.
Il trattamento comprende diversi accorgimenti importanti per contenere e
migliorare la patologia evitando un possibile altro danneggiamento.
Il trattamento comprende
* la perdita di peso eccessivo che è causa di un maggior carico funzionale
dell’atleta,
* correggere possibili anomalie di carico o di postura scorretta,
* usare in caso di bisogno tutori correttivi dell’asse di carico,
* è importante rendersi conto se si sta usando un carico eccessivo e quindi
eliminarlo o evitare qualsiasi mezzo o disciplina che possa comportare problemi,
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come la bicicletta (o regolare il sellino della bici secondo la problematica ed
evitare terreni in salita e accidentati) o nel secondo caso il nuoto con lo stile a rana
( perché il piede va in inversione),
* sono utili terapie anti-infiammatorie e/o anti-dolorifiche supportate da una
viscosupplementazione,
* importante è anche l’assunzione d’integratori alimentari quali la cartilagine di
squalo o condroitinsolfato e glucosamina che possono avere effetto benefico,
* la deambulazione su superfici morbide con calzature idonee,
* rieducazione e riabilitazione con esercizi che educano di nuovo l’arto inferiore
al recupero funzionale in caso estremo, s’interviene chirurgicamente per la
correzione in caso di ginocchio varo o valgo.
L’ultimo punto richiede di un approfondimento maggiore, infatti, ogni volta che si
parla di rieducazione posturale si deve far riferimento ad un protocollo di lavoro
atto a contenere, migliorare e limitare il danno cartilagineo.
Il protocollo di lavoro è un trattamento riabilitativo che cerca in un intervallo di
tempo più breve possibile di ridurre il dolore attraverso il riposo articolare, quindi
la prima cosa da fare è sospendere l’attività sportiva, perché nel gesto tecnico del
salto si attiva un movimento di compensazione non fisiologico che spesso è
l’origine del dolore. Ci sono tre punti chiave per la riabilitazione:
1)riduzione del dolore, 2) educazione del paziente, 3) ritorno all’attività.
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Protocollo di lavoro:
ESERCIZI ANALATICI
- Evitare lo squat a ginocchio flesso oltre i 150°
- evitare iperestensione in valgo ( a ginocchia chiuse, quindi anche,
ginocchia e spalle in asse)
- evitare l’uso della bicicletta in salita soprattutto su terreni non lisci
- posso utilizzare la bicicletta su terreni pianeggianti, senza carico e con
la sella alta
- evito lo stile a rana nel nuoto perché implica l’inversione del piede
quindi un maggior carico sul ginocchio
- controllo e limito la discesa delle scale.
Il protocollo di lavoro è simile a quello della rottura dei legamenti crociati e della
condropatia femoro- rotulea.
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TRATTAMENTO FISIOTERAPICO O CONSERVATIVO DEI
PROBLEMI FEMORO- TIBIALI:
I disturbi femoro- tibiali, si trattano efficacemente con metodi conservativi e
fisioterapici, i cui scopi generalmente, sono:
- ottimizzare la posizione tra piatto tibiale e condili femorali, in questo modo si
riduce in maniera efficace i sintomi del paziente;
- migliorare la meccanica dell’arto inferiore per ridurre la possibilità che il
disturbo si ripresenti;
- insegnare le modalità per eseguire un corretto autotrattamento;
- cercare di definire quali possano essere i motivi e i gesti che inducono l’inizio o
il maturamento di questa patologia.
I programmi di rieducazione comunemente utilizzati nel trattamento conservativo
di codesta patologia comprendono ad esempio, stretching, il taping ( o bendaggio
funzionale), l’utilizzo di ginocchiere specifiche per il posizionamento del
ginocchio, elettrostimolazioni, biofeedback elettromiografico, ultrasuoni, tens,
laser, ghiaccio…
Naturalmente il trattamento non può essere lo stesso per ogni paziente e sarà il
fisioterapista o l’educatore sportivo a prescrivere, in base alla diagnosi
dell’anomalia, quali delle procedure dovrà essere praticata.
Il protocollo di lavoro va suddiviso in passaggi: si svolge il potenziamento
muscolare in posizione supina, seduta ed eretta, in seguito, esercizi a catena
cinetica chiusa ed allungamenti, nel caso si applicano bendaggi funzionali per
potenziare il lavoro, e in ultimo si pratica l’educazione del paziente rispetto alla
patologia.
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1) Potenziamento muscolare:
Il potenziamento deve essere sempre preceduto da esercizi di stretching, che
approfondirò nella fase d’allungamento. Il potenziamento è necessario, per due
motivi: il primo, perché l’atleta ha sospeso l’attività sportiva per il dolore e quindi
presenta un’ipotonia marcata dell’arto. In secondo luogo, si deve potenziare in
modo selettivo il vasto mediale ( VMO ) per potenziare la rotula nella troclea e
l’inserzione tra il piatto tibiale e il femore.
Un esempio d’esercizio di potenziamento del vasto mediale obliquo in posizione
supina è:
1) Il paziente è supino, e flette l’arto inferiore a ginocchio esteso, l’anca va
tenuta in extrarotazione per ottenere una migliore e selettiva contrazione
del vasto mediale obliquo, anca, ginocchio e piede sono allineati sul piano
frontale e l’atleta estende il ginocchio; in questo modo la contrazione
muscolare, riduce l’angolo Q del quadricipite.
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2) Si possono proporre all’atleta infortunato esercizi d’estensione del
ginocchio ed esercizi di flessioni d’anca a ginocchio esteso in posizione
supina; l’esercizio consiste nello staccare l’arto inferiore dal lettino
mantenendo il ginocchio esteso.
Gli esercizi d’allineamento e potenziamento muscolare selettivo del VMO si
eseguono proprio perché comportano un cambio di modalità d’attivazione dei
Vasti laterale e mediale e dei muscoli glutei e tensore della fascia lata, in altre
parole, si modifica la sequenza d’attivazione del VMO nell’attività complessiva
dell’arto inferiore.
Un altro elemento importante, è la ripetizione dell’esercizio, infatti, il muscolo
si allena, e lavora in quella postura, così nel tempo, fissa la posizione della
rotula e quella tra il piatto tibiale e il femore.
Per facilitare l’attivazione del muscolo VMO bisogna ricordare:
- In carico, se attivo il grande adduttore, miglioro notevolmente la
contrazione del vasto mediale obliquo, proprio grazie all’obliquità
delle sue fibre;
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- Allungare le strutture anteriori dell’anca è fondamentale, perché
aumento la capacità di rotazione esterna ( la rotazione interna dell’anca
aumenta il vettore di forza in valgo a livello del ginocchio);
- Potenziando il medio gluteo sotto carico, si riduce l’attività del tensore
della fascia lata e, quindi, si ha una minor trazione sulla rotula.
In questi termini, posso proporre esercizi come la discesa da un gradino,
ricordando sempre di controllare la posizione del bacino e il rispetto della
simmetria dell’asse.
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A questo proposito si può proporre numerosi esercizi, in conformità ad una
progressione di difficoltà differenti, tra i quali,
- alzate a gamba tesa: il paziente è in decubito supino. Lo scopo è portare a 90°
l’angolo tra gamba e piede ed estendere con decisione il ginocchio, quindi
sollevare l’arto lentamente fino a toccare lentamente il suolo. Gli esercizi possono
essere eseguiti dapprima senza sovraccarico, poi con l’ausilio di leggere resistenze
come gli elastici o palloni posti sopra il ginocchio.
- abduzioni/ adduzioni a gamba tesa: il paziente si deve predisporre in decubito
laterale sull’arto sano o patologico se si eseguono le adduzioni, con il ginocchio
sottostante compie una flessione che crea un’instabilità. L’esercizio può essere
eseguito anche con una serie d’abduzioni e adduzioni, tornando nella posizione di
partenza; si può svolgere dapprima senza carico poi con l’uso di cavigliere o
elastici. In questo modo il paziente è in piedi.
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- estensioni ginocchio (ultimi 30°): il paziente si siede sul tavolino con le gambe
libere al di fuori di esso. Portare a 90° l’angolo tra gamba e piede. Quindi ad un
angolo di 30°, mantengo l’arto teso per 5 minuti, per poi ritornare nella posizione
di partenza. L’esercizio può essere eseguito anche con il paziente supino, con un
rotolo sotto il ginocchio mantenendo il ginocchio flesso e in seguito estendere
completamente l’arto mantenendo la posizione per circa 5-8 secondi, trascorso il
tempo deve ritornare nella posizione di partenza.
L’esercizio può essere eseguito dapprima senza carico poi con l’uso d’elastici o
cavigliere. L’esercizio è simile all’adduzione dell’arto con la palla, che
incrementa l’azione del vasto mediale obliquo.
- isometrici da supino: il paziente si mette in posizione supina, con un cuscino
sotto il ginocchio, deve estendere con forza l’arto mantenendo la posizione per 5
secondi, in seguito alla tenuta ritorna al punto di partenza. L’esercizio come di
solito può essere eseguito inizialmente senza carico e in seguito con l’utilizzo di
cavigliere o altre resistenze.
- spinta al muro: ( esercizi per il medio gluteo sotto carico) il paziente è in piedi
di fianco ad una parete, con l’arto sano appoggiato al muro con il ginocchio flesso
a circa 45°. Il ginocchio affetto dalla patologia femoro- tibiale si deve presentare
esteso o lievemente flesso(20°). Il paziente mantiene l’equilibrio sul lato affetto, e
spinge, a sostegno del muro, contro la parete in modo tale da allontanarsi dal
muro. Il piede d’appoggio deve sempre rimanere a contatto a terra e in un corretto
allineamento.
- mezza accosciata ( squat ) “libera”: si tratta di abbassarsi flettendo le ginocchia
con il peso del corpo equamente ripartito su due arti e seguendo la linea dei piedi
devo mantenere la flessione sull’arto affetto cercando contemporaneamente di
sollevare l’arco interno del piede portando il peso sul bordo esterno, ripeto
l’esercizio con il ginocchio in arco di movimento tra i0° e i 45°. Mantengo la
posizione flessa per circa 10 secondi; si può usare in questa situazione un
apparecchio biofeed- back. Per diminuire il carico sulle articolazioni l’esercizio
può essere svolto con il tronco flesso in avanti.
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- squat al muro: il paziente rimane in piedi con la schiena in appoggio alla parete,
deve abbassarsi flettendo le ginocchia con il peso del corpo in equilibrio e in asse
d’allineamento. L’arco di movimento è tra 0°-45° di flessione mantenendo la
posizione per 10 secondi. Le anche devono essere in appoggio monopodalico.
Questo al contrario del precedente permette di variare l’incidenza a livello
dell’articolazione femoro- tibiale, perché cade dietro alla base d’appoggio, con
conseguente variazione delle linee di forza.
- squat + esercizio d’adduzione con palla: il paziente rimane in piedi, appoggiato
con la schiena alla parete con base d’appoggio più ristretta del normale, la palla o
il cuscino si trova all’altezza delle ginocchia, il paziente si deve abbassare
flettendo le ginocchia con il peso del corpo esercitato sugli arti e mantenendo un
corretto allineamento degli assi. Ci sono alcune varianti di squat, come quello
monopodalico in isometria ( in appoggio con l’arto leso sul bordo di uno step o
scalino), o il minisquat in isometria con elastico ( il paziente è in piedi di fronte ad
una spalliera, lego l’elastico ad un’asse facendolo passare dietro al ginocchio e
flettere le ginocchia fino a 30°).
- discesa e salita da uno step o scalino: assumere la posizione in piedi su uno step
o gradino alto circa 20 cm, eseguire una serie di salite e discese in ripetizione
mantenendo un allineamento corretto. L’intensità dell’esercizio può essere
aumentata dall’ausilio di cavigliere o da contrazioni in isometria; tal esercizio può
essere eseguito anche in posizione d’isometria.
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-esercizi in acqua: in acqua possono essere proposti sia esercizi di riscaldamento,
esempio le classiche pedalate in galleggiamento, sia esercizi di rinforzo con arto
teso, esempio la camminata con affondo, step, mini squat, e nuoto negli stili crawl
e dorso. L’uso degli esercizi in acqua è da preferire nelle prime fasi del
trattamento se possibile perché il paziente lavora in scarico.
- esercizi di biofeed- back: questo tripodi lavoro è molto utile per migliorare
quella che si chiama presa di coscienza del gruppo muscolare utilizzato, questi
dispositivi, in particolare quelli a doppio canale, sono utili per accelerare il
processo di coscienza come il corretto schema motorio, che dà al paziente un
immediato feedback di rinforzo.
Al termine della seduta, può essere utile eseguire una seduta d’elettrostimolazione
specifica del VMO, tra questi trattamenti possiamo ricordare:
- Cyclette: con sellino molto basso e carico relativo.
- Pendolo: paziente in piedi sulla gamba sana su uno sgabello o altro,
l’altra gamba completamente rilassata deve essere flessa e in dietro,
possibilmente con una cavigliera da 2kg, con la caviglia
completamente rilassata.
Abbiamo inoltre esercizi propriocettivi:
- Esercizio dello “yo-yo”, il paziente deve sedersi con le ginocchia
flesse lasciate libere fuori del lettino. Estendere l’arto affetto e
mantenere la contrazione per qualche secondo. Far passare sopra la
caviglia un elastico, alla quale deve essere collegato un peso all’altra
estremità, in questo modo potrà compiere movimenti oscillatori e
mantenere di base la contrazione. Si può eseguirlo prima ad occhi
aperti e poi chiusi.
- Minisquat su piattaforma mobile, descritto in precedenza.
- Esercizio della pallina, il paziente è in piedi con una pallina sotto la
pianta del piede dell’arto patologico. Bisogna cercare di mantenere
sempre un contatto, facendola però scivolare su tutta la pianta del
piede, prima si esegue ad occhi aperti e poi chiusi.
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- esercizio della traccia, il paziente è in piedi, l’esaminatore pone
davanti a lui un pannello sul quale, è disegnata una traccia, il paziente
dovrà seguirla con la punta del piede o con il tallone dell’arto leso.
Questo esercizio si può eseguire ad occhi chiusi prima e dopo ad occhi
aperti.
Figura 14 esercizio di potenziamento del vasto mediale obliquo in catena cinetica chiusa,quindi il vasto m. lavora in cocontrazione come stabilizzatore dinamico della rotula.
65
Procedure chirurgiche:
La riabilitazione, l’uso di tutori di posizionamento, lo stretching costituiscono il
trattamento iniziale, spesso però se la patologia si presenta grave, richiedono, di
un intervento superiore per la correzione, questo è l’intervento chirurgico.
Il chirurgo che opera questa patologia, deve scegliere di operare sulle forze
statiche o dinamiche. L’intervento chirurgico ha risultati immediatamente visibili
e possono essere valutati senza che il paziente contragga il muscolo. Inoltre, il
riallineamento statico si basa su modifiche meccaniche che non dipendono tanto
dalla riabilitazione o rieducazione delle procedure di riallineamento dinamico.
In seguito ad un intervento chirurgico devono essere presenti dei protocolli di
lavoro e d’adattamento posturale molto dettagliati che consentono il ritorno
all’attività senza paura d’eventuali infortuni o di ricadute. In questi termini gioca
un ruolo importante la psicologia dell’atleta, la volontà, la caparbietà e la voglia di
ritornare in vetta alla sua precedente prestazione.
L’infortunio quindi implica non solo un intervento terapeutico fisico ma anche
psicologico, infatti, è necessario che le persone care si facciano carico di aiutare
l’atleta e di sostenerlo, cercando dove possibile di rafforzare la volontà di
combattere e non rassegnarsi.
L’atleta inoltre dovrà rispettare tutte le precauzioni del caso, ed essere cosciente
che il recupero completo è raro. Il trattamento è finalizzato a migliorare il
funzionamento del ginocchio e a ritardare lo sviluppo dell’eventuale artrosi
data da infortunio. Nei casi trattati chirurgicamente mediante artroscopia, il
recupero è previsto in ¾ mesi, in relazione del danno, però il trattamento
riabilitativo va dai 6 mesi ai 2 anni, in relazione al danno. Il recupero è
difficile perché i protocolli di lavoro di tale sindrome sono molto lunghi,
necessitano di tempo, di volontà, di costanza, di lavoro anche individuale( a casa)
ma soprattutto di caparbietà.
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BIBLIOGRAFIA DEL TERZO CAPITOLO
-L. Coppola – S. Masiero, Riabilitazione in ortopedia, ed. Piccin
-Vincenzo Pirola, Il movimento umano applicato alla rieducazione e alle
attività sportive, ed. edi-ermes.
-Giorgi L., Pavesi F.C., Viola E.: Appunti di clinica ortopedica e
traumatologica, Medical Publisher International, Milano 1999.
-Andrews J.R. Harrelson G.L, Wilk K.E.: Riabilitazione nella
traumatologia dello sport, Verduci editore Roma, 2000.
-Brotzman S.B., Wilk K.E.: La riabilitazione in ortopedia, ed. it. a cura di
S. Boccardi, II ed., UTET Elsevier, Torino 2004.
-Einsinbach T.H., Klumper A., Biedermann L.: Fisioterapia e
riabilitazione sportiva, Marrapese, Roma 1991.
-Mangine R.E.: Terapia fisica del ginocchio, ed. it. a cura di M.M.
Formica e C. Bertolini, ed. or. 1995, UTET, Torino 1999.
-Gobbi A. et all.: Patologia femororotulea: trattamento chirurgico e
riabilitazione.
67
Siti internet
-www.cebm.utoronto.ca
-www.medicalmultimediagroup.com
-www.Ortopedialugo.it
-www.Oasiortopedia.it
-www.sportmedicina.com
-www.vh.org
-www.siriscuola.it
-www.patologiedelginocchio.it
-www.jumper’sknee.it
-www.ginocchio.it
-www.riabilitazione.com
-www.postural.it
-http://web.tiscali.it/traumaginocchio/artrosiDegenApprof.html
-www.sindromefemororotulea/tibiale.it
-www.fisiobrain.com
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CONCLUSIONI
Il percorso svolto è giunto al termine, spero che i contenuti abbiano soddisfatto
l’attenzione dei lettori, ma soprattutto chiarito e illustrato correttamente
l’argomento. Il tragitto non è stato semplice, posso paragonarlo ad un sentiero, a
volte tortuoso e insidioso e altre volte libero e scorrevole; esso potrebbe essere
paragonato al ciclo di vita vale a dire alle difficoltà che s’incontrano
quotidianamente.
Ogni difficoltà richiede, una buona volontà e caparbietà per andar avanti e
affrontare le difficoltà che si presentano. L’università mi ha dato la possibilità di
crescere sia moralmente che intellettualmente, ho conseguito il percorso con
educatori e docenti che mi hanno donato forza e competizione fondamenta per
svolgere questo percorso non solo culturale ma di vita. Gli insegnamenti
impartitimi sono presupposti per creare una buona formazione e per donare a mia
volta la stessa a chi mi susseguirà.
L’argomento da me scelto e affrontato non è una scelta comune anzi, però la
patologia è abbastanza notevole come infortunio nell’atleta.
Analizzando e studiando i rischi e la frequenza, sono giunta a denotare la
possibilità di non arrivare all’estremo di codest’infortunio. L’atleta “saltatore”
conoscendo i rischi e i fattori che possono portare ad una grave lacerazione
cartilaginea, riesce a raggiungere, la consapevolezza e l’incentivo per migliorarsi
e combattere. Gli infortuni sono molto alti e indirettamente non proporzionali
sono le guarigioni, indi perciò bisogna maturare una forza maggiore che ha lo
scopo di frenare la voglia di andar avanti nei momenti in cui sarebbe utile e
dilettevole fermarsi.
La voglia di combattere è consolidata da un’ottima educazione impartita da solidi
punti di riferimento come: la famiglia in primo luogo, gli educatori e tecnici che
seguono costantemente il percorso dell’atleta e tutte le figure che lo sostengono
sia direttamente che indirettamente eticamente e fisicamente.
L’argomento è molto vicino a tutte quelle persone che hanno superato o si trovano
al centro di questa patologia non facile da superare, e spero che trovino la voglia
per farlo e ritornare presto alla normalità.
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La vita è un dono prezioso che ci appaga ma nello stesso tempo ci priva molto
spesso di cose a cui noi non riusciamo a rinunciare, ecco, questa è una prova per
verificare quanto noi teniamo davvero a quello che ci viene privato, ci sono
condizioni tali che sono irreversibili altre invece che possono essere curate con
forza e volontà di raggiungere l’obiettivo prefissato; quindi non è mai logico
subire delle conseguenze che si possono migliorare col tempo e con impegno.
La conclusione è dunque saper ascoltare, apprende e far tesoro dei consigli di
persone che hanno più esperienza e conoscenza di noi, perché solo in questo modo
diventeremo grandi uomini e notevoli atleti.
In ultimo, spero che la lettura abbia suscitato interesse e curiosità come lo ha
suscitato a me, e sia d’esempio per tutti quegli atleti che sostengono di aver finito
la propria carriera perché bloccati da un infortunio, la salute col tempo si riduce
ma la passione rimane in eterno!
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BIBLIOGRAFIA GENERALE
La bibliografia si suddivide in:
- testi d’interesse generale dedicati all’ortopedia;
- testi dedicati alla riabilitazione;
- testi legati alla singola articolazione;
- testi basati sulla meccanica del gesto tecnico “ salto in lungo”;
- testi che mostrano la tecnicità del salto in lungo.
Accanto alla bibliografia sono citati tutti i siti internet che mi hanno aiutato per la
ricerca e il conseguimento del risultato finale.
TESTI DI INTERESSE GENERALE
- Danowski R.G. Chanussot J.-C-: Traumatologia dello sport, II ed. a cura di S.
Ferrari, Masson, Milano 2004.
- Giorgi L., Pavesi F.C., Viola E.: Appunti di clinica ortopedica e traumatologica,
Medical Publisher International, Milano 1999.
- L. Coppola- S. Masiero, Riabilitazione in ortopedia, ed. Piccin
-Vincenzo Pirola, Il movimento umano applicato alla rieducazione e alle attività
sportive, ed. edi-ermes.
-FIDAL(Federazione italiana d’atletica leggera), Il manuale dell’istruttore
d’atletica leggera, Centro studi e ricerche.
-Mancini A., Morlacchi C.: Manuale di clinica Ortopedica, IV ed., Piccin Nuova
Libreria, Padova 2003.
71
-Andrews J.R., Harrelson G.L, Wilk K.E.: Riabilitazione nella traumatologia dello
sport, Verduci editore Roma, 2000.
-Brotzman S.B., Wilk K.E.: La riabilitazione in ortopedia, ed. it. a cura di S.
Boccardi, II ed., UTET Elsevier, Torino 2004.
-Einsinbach T.H., Klumper A., Biedermann L.: Fisioterapia e riabilitazione
sportiva, Marrapese, Roma 1991.
- Mangine R.E.: Terapia fisica del ginocchio, ed. it. a cura di M.M Formica e C.
Bertolini, ed. or. 1995, UTET, Torino 1999.
-Gobbi A. et all.: Patologia femoro-rotulea: trattamento chirurgico e riabilitativo.
-Vanti C., Ferrari S.: Allungamento della muscolatura posteriore nelle patologie
dell’apparato estensore del ginocchio- Atti del IV Congresso Internazionale di
Rieducazione Posturale Globale, 91-98 -1999.
- Sirtori V.: Il biofeedback elettromiografico nella rieducazione del ginocchio- Sci
Riabil- 4- 1997.
- Basaglia N.: Il biofeedback in clinica della riabilitazione, Idelson Liviana,
Napoli 1992.
- Fisica dello sport, Krzysztof Ernest, ed. Gnocchi Napoli 1995
- The biomechanics of sports Techniques ( James G. Hay), ed. Editions 1978.
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Siti internet:
- www.cebm.utoronto.ca
- www. Medicalmultimediagroup.com
- www.Ortopedia lugo.it dell’AUSL di Ravenna
- www.Oasiortopedia.it del gruppo OASI Orthopedic Arthroscopy
Surgery I nternetional diretto da A Gobbi.
- www.spotmedicina.com
- www.vh.org (Virtual Hospital- University of Iowa).
- www.aifi.net
- www.siriscuola.it.
- www.fisioline.org
- www.fisiobrain.com
- Http://web.tiscali.it/traumaginocchio/artrosiDegenApprof.html.
- www.sindromefemoro.rotulea/tibiale.it
- www.riabilitazionedelginocchio.it
- www.metodotradizionale.it
- www.sindomefemorotibiale.it
73
- www.sindromedelsaltatore.it
- www.ginocchiodelsaltatore.it
- www.jumper’sknee.it
- www.postural.it
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FOTOGRAFIE
Le immagini usate sono state raccolte da diversi testi, gia citati nella bibliografia
generale, esse sono state riformulate in grandezze diverse e adattate all’esigenza.
I testi sono:
-L. Coppola –S. Masiero, Riabilitazione in ortopedia, ed. Piccin.
-Vincenzo Pirola, Il movimento umano applicato alla rieducazione e alle attività
sportive, ed. edi-ermes.
-FIDAL(federazione italiana d’atletica leggera), Il manuale dell’istruttore
d’atletica leggera, ed. Centro studi e ricerche.
Siti internet
-www.ginocchio.it
-www.postural.it
-www.oasiortopedia.it
-www.sindromefemorotibiale.it
-www.fisiobrain.com
-APPUNTI E DISPENSE, che, mi sono stati forniti durante il percorso
universitario, dai docenti dei corsi a cui mi sono ispirata per seguire questo
percorso di tesi. I docenti in questione sono il professor Claudio Trachelio e il
professor Preatoni, che mi hanno garantito ottime basi per sostenere le tesi.
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