tesi definitiva

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ALMA MATER STUDIORUM-UNIVERSITA DI BOLOGNA _____________________________________________________

FACOLTA di SCIENZE MATEMICHE FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea Specialistica in Conservazione e Gestione del Patrimonio Naturale

EFFETTO DELLAGGIUNTA DI BIOCHAR SULLA RESPIRAZIONE DEL SUOLO, SULLA DINAMICA DELLE RADICI E SULLA LISCIVIAZIONE DELLAZOTO

Relatore: Prof. Paolo Trost laborato finale di: Marco Tinti Correlatori: Prof. Giustino Tonon, Dr. Maurizio VenturaSessione I Anno Accademico 2010- 2011

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Indice

PARTE GENERALE

1 Introduzione

1.1 Dinamica e variabilit naturale del climaCon il termine clima si intende linsieme delle condizioni meteorologiche e ambientali che caratterizzano una regione geografica, mediate su un tempo sufficientemente lungo. Il clima un sistema dinamico, attivo e complesso il cui stato determinato sia da cause esterne, le cosiddette forzanti, come i cambiamenti dellirraggiamento solare, che da cause interne, dovute alla variabilit intrinseca del sistema climatico stesso. Il motore del sistema climatico il Sole (forzante esogena) che riscalda la superficie terrestre con intensit variabile (decrescente) con la latitudine causando un gradiente termico tra i poli e l'equatore laddove l'insolazione rispettivamente minima e massima. In conseguenza di ci e della rotazione terrestre, il ripristino dell'equilibrio termico planetario latitudinale affidato alla circolazione generale dell'atmosfera la quale pu essere suddivisa in tre grosse macrocelle per emisfero: la cella di Hadley che va dalla fascia equatoriale fino a quella tropicale, la cella di Ferrel che copre le medie latitudini e la cella polare che staziona sui poli fino al circolo polare. Ognuna di queste celle comunica con la confinante scambiandosi masse d'aria a temperatura e umidit diverse.

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La superficie del nostro pianeta si scalda a causa dellenergia ricevuta dal Sole sotto forma di radiazione luminosa. Non tutta lenergia incidente viene, per, assorbita: una parte di essa viene riflessa, sia dalla superficie terrestre che dall'atmosfera, senza contribuire a modificare la temperatura della Terra. La frazione di energia incidente che viene riflessa misurata dallalbedo. Se non vi fossero latmosfera e loceano, la temperatura di equilibrio della superficie del nostro pianeta sarebbe regolata semplicemente dalla distanza della Terra dal Sole e dall'albedo terrestre. La temperatura media della superficie terrestre sarebbe di circa -18 C, molto minore di quella effettivamente osservata. La presenza del sottile strato di atmosfera attorno alla Terra introduce una significativa ridistribuzione del calore fra la superficie terrestre, la bassa atmosfera e gli strati atmosferici alti. I raggi solari incidenti attraversano latmosfera e vengono in parte riflessi e in parte assorbiti dalla superficie terrestre e dalloceano, che si scaldano e riemettono, a loro volta, parte dellenergia assorbita in forma di radiazione infrarossa. Una frazione di questa assorbita da alcuni gas presenti in atmosfera: innanzitutto il vapor dacqua, a cui si aggiungono, in ordine di concentrazione, il biossido di carbonio (anidride carbonica, CO2), il metano (CH4) e lozono (O3). Insieme, queste sostanze costituiscono i pricipali "gas serra" (GHG, "GreenHouse Gases"). Lenergia assorbita dai gas serra viene riemessa in tutte le direzioni, contribuendo a riscaldare la superficie terrestre. La temperatura della superficie terrestre, quindi, raggiunge in media i +15 C, ben 33 C in pi rispetto ai -18 C della temperatura di equilibrio radiativo in assenza di atmosfera. Questo fenomeno, del tutto naturale, chiamato "effetto serra" (Fourier, Tyndall, Arrhenius, 1824). In prima approssimazione esso tanto maggiore quanto pi grande la quantit di gas serra presenti in atmosfera. La presenza dellatmosfera e delloceano permette anche un efficiente trasporto di calore dallequatore verso i poli. I tropici e le regioni equatoriali ricevono, infatti, pi radiazione solare di quanta radiazione infrarossa

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riemettano, mentre il contrario avviene alle medie ed alte latitudini. Il sistema climatico trasporta calore dalle regioni tropicali verso i poli grazie alle correnti oceaniche, ne un esempio la Corrente del Golfo nelloceano Atlantico, che sposta acqua calda dai tropici verso nord e al sistema della circolazione generale dellatmosfera. La corrente profonda che si genera nel Nord dellAtlantico e quella circumantartica, infatti, costituiscono le due fonti principali della circolazione globale (Broecker, 1997); funzionando da nastri trasportatori di calore, il disegno delle loro geometrie in grado di influenzare il clima sullintero globo. Grazie a questo trasporto di calore, la differenza di temperatura fra equatore e poli minore di quella che si avrebbe in assenza di oceano ed atmosfera. Non consideriamo, quindi, il sistema climatico come statico ed invariabile, ma come un sistema complesso in continua evoluzione e cambiamento. I dati paleoclimatici lo confermano, indicando che negli ultimi tre milioni di anni il clima della Terra ha subito pesanti variazioni, caratterizzate dallalternanza fra periodi glaciali e interglaciali che hanno portato a cambiamenti nella temperatura media globale di alcuni gradi centigradi. Recenti studi condotti da Benjamin P. Flower, nell'ambito del Progetto Europeo EPICA svoltosi nella base antartica franco-italiana di DomeC evidenziano una diretta correlazione tra la concentrazione di CO2 e laumento di temperatura. Come mostrato in figura 1, dove evidenziata la variazione, negli ultimi 800 mila anni, della temperatura stimata dalla misura della concentrazione di deuterio (isotopo dell'idrogeno) nel ghiaccio (curva superiore) e della concentrazione di CO2 nelle bolle d'aria intrappolate nel ghiaccio stesso (curva inferiore), ricavate dall'analisi delle carote di ghiaccio antartico.

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Figura 1: Curva superiore: anomalia di temperatura ricostruita dalle misure di concentrazione di deuterio nella carota di ghiaccio EPICA Dome C (lanomalia calcolata rispetto alla temperatura media dellultimo millennio). La curva in basso riporta i dati di concentrazione di CO2, ottenuti dallanalisi delle bolle daria intrappolate nel ghiaccio. I simboli riportati vicino alle curve indicano specifici momenti nellalternanza fra periodi glaciali e interglaciali. Come duso nella rappresentazione dei dati paleoclimatici, la scala del tempo, in migliaia di anni, indica la data di formazione/deposizione del ghiaccio rispetto al presente (BF: Before Present, ovvero prima del presente), e quindi aumenta andando verso il passato. In altre parole, il tempo reale scorre da destra verso sinistra.

Gli stessi studi confermano come la crescita della temperatura in fase di deglaciazione sia innescata da fattori diversi rispetto alla concentrazione di CO2 atmosferica, che inizia effettivamente a crescere in seguito all'aumento di temperatura. Dopo tale periodo iniziale, le maggiori concentrazioni di CO2 atmosferica aumentano l'effetto serra e dunque amplificano e accelerano il riscaldamento (Benjamin Flower et al.,2009). Questi fattori diversi sono inquadrabili nelle forzanti naturali del sistema climatico. Tali variazioni sono principalmente legate a cambiamenti nei flussi di energia; in prima istanza, alla quantit di energia solare che incide sulla Terra. Questa, pu variare, sia a causa di cambiamenti nella quantit di energia emessa dal Sole, che per la variazione dell'orbita della Terra (eccentricit, obliquit, posizione degli equinozi), con i conseguenti cambiamenti nella quantit e distribuzione stagionale dell'energia solare

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incidente alle varie latitudini. Quindi in questa visione semplicistica del sistema climatico, possiamo confermare che in assenza di forzanti antropiche il sistema ha un suo ciclo, contraddistinto da una regolarit e da unalternanza fra periodi glaciali e interglaciali, associata, almeno in parte, alle variazioni dei parametri dell'orbita terrestre (ISAC-CNR, 2009). Sulle scale di tempo pi recenti, invece, la crescita della concentrazione di CO2 atmosferica di gran lunga pi rapida di quella osservata al termine di un periodo glaciale. Essa risulta coincidere, indipendentemente dallo stato climatico, con lavvento dellera industriale. Si stima che la concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera, sia passata da un valore di 280 ppm dellera pre-industriale alle circa 367 ppm di oggi. Nella stazione meteorologica di Mauna Loa, nelle isole Hawaii, dove misurata regolarmente la concentrazione della CO2 dal 1957, si registrato un aumento da 315 ppm (parti per milione) nel 1958 a 385 ppm nel 2008. Il tasso annuo di crescita negli ultimi dieci anni, 1,9 ppm allanno, stato il pi alto da quando sono iniziate le misure dirette in continuo dellatmosfera (Keeling and Whorf, 2004). In Europa, la serie di misure pi lunga quella disponibile per il sito di Monte Cimone, mostrata in figura 2, che conferma il trend di crescita costante gi rilevato alle Hawaii.

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Figura 2: Aumento delle concentrazioni di CO2 misurate presso lOsservatorio Meteorologico dellAeronautica a Monte Cimone (2165 m s.l.m.). Il ciclo legato ai processi di fotosintesi e respirazione degli organismi viventi, induce un'oscillazione annuale nella quantit di biossido di carbonio in atmosfera, in fase con il ciclo stagionale dell'emisfero nord. (Fonte: Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare.)

I flussi dovuti ad attivit umana, sebbene possano essere anche molto inferiori rispetto alle emissioni naturali, hanno caratterizzato in modo inequivocabile levoluzione della concentrazione di gas serra in atmosfera negli ultimi due secoli. Lentit delleffetto serra determinata dal bilancio tra attivit antropiche e la variabilit naturale. Leffetto dovuto alle emissioni antropiche in atmosfera, figura 3, stimato, con buon margine di sicurezza, in 1,66 W m-2 (IPCC, 2007).

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Figura 3: Forzanti radiative medie sul bilancio energetico dellatmosfera dovute ad attivit antropiche (prime otto righe) e variabilit naturale (nona riga). Il bilancio netto riportato nellultima riga. Leffetto radiativo diretto degli aerosol la somma tra una forzatura positiva dovuta al black carbon ed una forzatura negativa dovuta agli aerosol riflettenti la radiazione luminosa. (IPCC, 2007)

Le cause di queste anomalie sindividuano principalmente nell'utilizzo di combustibili fossili; anche alcune pratiche forestali e agricole hanno un ruolo importante in tal senso; ricordiamo la deforestazione, che porta all'ossidazione dell'humus del suolo forestale; l'agricoltura taglia e brucia, praticata nelle zone tropicali; il prosciugamento di zone umide, che accelera la decomposizione della sostanza organica, e l'utilizzo di torba per scopi agricoli. Anche il metano (CH4) e lossido di diazoto (N2O) prodotti dalle attivit antropiche sono in grado di generare effetto serra ed hanno, inoltre, un lungo tempo di vita in atmosfera. Cos come, alcuni prodotti chimici di sintesi, quali gli idrocarburi alogenati e lesafluoruro di zolfo, immessi nel corso del XX secolo, e che hanno potenziale di effetto serra anche 29000 volte superiore a quello della CO2.

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Figura 4: Variazione di deuterio nel ghiaccio antartico correlato alle variazioni di temperatura e alle concentrazioni di gas serra. I dati sono riferiti agli ultimi 650000 anni e le bande ombreggiate indicano i periodi interglaciali, Luthi et al. 2008.

Per meglio definire lapporto che ogni gas serra fornisce al riscaldamento globale, si introdotto il Potenziale di Riscaldamento Globale (Global Warming Potential, GWP). Questo valore, rappresenta il rapporto tra il riscaldamento in un determinato periodo di tempo, circa 100 anni, da parte di una data sostanza e il riscaldamento provocato dal biossido di carbonio. Cos definendo il GWP della CO2 , pari a 1; il metano a GWP pari a 21; i clorofluorocarburi pari a 5000 e lesafluoruro di zolfo, estremante potente, con un GWP pari a 29000. Anche per lozono (O3) troposferico, nonostante non possediamo sufficienti misure, dirette o indirette, che ci permettano di ricostruirne le variazioni secolari stato, tuttavia, possibile stabilire che le concentrazioni di O3 presso vari siti europei sono aumentate di un fattore compreso tra 1,5 e 2 fra gli anni '50 e gli anni '90, molto probabilmente a causa dellaumento dei precursori antropici (sostanze chimiche che portano alla formazione di ozono troposferico). Gli studi condotti presso siti alpini hanno evidenziato un trend positivo nel periodo 1991-2002 e hanno evidenziato un aumento delle concentrazioni di O3 presso lo Zugspitze (2962 m, Germania) pari al 12.6% per decade (1.3% per anno) (Scheel et al., 2002).

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Nel periodo dal 1940 al 1980 stata, per, registrata una lieve diminuzione della temperatura media dell'atmosfera rispetto ai valori degli anni precedenti, a dispetto della crescente concentrazione di CO2. E ben noto che le emissioni di biossido di zolfo (o anidride solforosa, SO2) siano gradualmente aumentate dal 1940 fino a dopo il 1980, sia in America settentrionale sia in Europa, per effetto di un crescente impiego di derivati del petrolio e del carbone. Su tali aumenti, stato valutato che la produzione globale di SO2 sia aumentata da 38,8 Tg S (Teragrammi di zolfo) per anno nel 1940 a 94,1 Tg S per anno nel 1975, segnando un aumento medio del 7% annuo, associato a un aumento pi marcato nellemisfero settentrionale che in quello meridionale. Poich il biossido di zolfo si converte in parte in solfati, attraverso processi di ossidazione che hanno tempi caratteristici piuttosto brevi, si avuto un aumento delle concentrazioni di materiale particolato (solfati dammonio, principalmente) nelle aree pi antropizzate del pianeta a vocazione industriale/rurale, come lEuropa e gli Stati Uniti dAmerica. Tale aumento ha fatto aumentare lalbedo del sistema superficie-atmosfera, dato che i solfati dammonio sono altamente riflettenti e scarsamente assorbenti, determinando un effetto di raffreddamento dellatmosfera nelle aree continentali. Nel periodo dal 1960 fino al 1990 si osservata una continua diminuzione della radiazione solare in arrivo al suolo in stazioni continentali, dellordine di 6 - 9 W m-2, corrispondente a una diminuzione del 4 - 6% sullarco di 30 anni, per effetto della diminuzione di trasparenza atmosferica dovuta allaumento dello spessore ottico di questi aerosol di origine antropica (in primis solfati, carbonio organico e inorganico, nitrati e polveri) Con il graduale calo delle emissioni di SO2 registratosi nei paesi Occidentali verso il 1990 (per esempio, lEPA registra una diminuzione complessiva del 71% nelle emissioni di SO2 dal 1980 al 2008 negli USA) e con il brusco calo delle emissioni in tutto il territorio dellex Unione Sovietica, cessato leffetto di diminuzione della radiazione solare ed invece iniziato il graduale aumento di luminosit dellatmosfera al suolo (brightening). Queste osservazioni sono state recentemente confermate dalle misure dello

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spessore ottico dellaerosol nelle aree remote dellArtico, che confermano come la diminuzione delle emissioni di SO2, iniziata massicciamente dopo gli anni '80, abbia portato a una diminuzione dello spessore ottico dell'aerosol di circa il 2% per anno in Alaska e nelle Isole Svalbard e di pi del 6% nelle aree remote della Siberia che si affacciano sulloceano Artico. Gli aerosol di origine antropica hanno quindi impedito che il pieno potenziale di riscaldamento planetario dei gas serra potesse manifestarsi. Leffetto degli aerosol sul clima tuttavia molteplice ed estremamente complesso: la forzante di -0.5 W/m2 dovuta all'azione diretta delle componenti antropiche dellaerosol atmosferico in realt la risultante di componenti con effetto di raffreddamento e di una componente, chiamata black carbon, che, assorbendo la radiazione solare, esercita un marcato effetto riscaldante. Il black carbon emesso da processi di combustione sia di combustibili fossili sia di combustibili tradizionali. Stime pi recenti effettuate presso il Nepal Climate Observatory, suggeriscono che leffetto di riscaldamento globale dovuto al black carbon sia di +0.9 W/m2, rendendolo cos la seconda forzante positiva in ordine dimportanza, inferiore solo all'effetto della CO2 (S.Marcq et al. 2010) Le misure delle diverse forzanti radiative ottenute finora, indicano dunque che quelle di origine antropica sono di gran lunga predominanti. La variabilit solare diretta responsabile solo in parte delle fluttuazioni climatiche osservate negli ultimi secoli. In particolare, l'analisi accurata dei dati mostra che non c' nessuna correlazione significativa fra la variabilit del ciclo solare e il forte riscaldamento globale degli ultimi quarant'anni: la misura diretta dell'emissione solare, disponibile dal 1978, mostra, infatti, che sono presenti fluttuazioni dintensit associate con il ciclo undecennale delle macchie solari, ma non riscontrabile nessuna tendenza di crescita o decrescita dell'intensit. Analogamente, lipotesi che unapparente

correlazione tra attivit magnetica del Sole, intensit dei raggi cosmici galattici e copertura nuvolosa potesse essere, una rilevante causa di variabilit climatica stata smentita da analisi recenti (ISAC-CNR, 2009). Queste hanno mostrato che tale correlazione stata in realt generata da un

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incorretto trattamento dei dati e che, alla prova dei dati raccolti negli ultimi dieci anni, non risulta confermata. Laumento di temperatura e le attivit antropiche innescano processi che possono portare a variazioni importanti di molti altri parametri climatici, quali la concentrazione di vapore acqueo, la nuvolosit, il livello di aerosol in atmosfera, la temperatura, la salinit e lacidit oceanica. Questi parametri, oltre a determinare le condizioni di sostenibilit della vita sulla Terra, hanno a loro volta un effetto sulla temperatura terrestre, modificando la quantit di radiazione disponibile e/o le concentrazioni dei gas ad effetto serra, inducendo di conseguenza ulteriori cambiamenti attraverso i meccanismi di retroazione climatica. In conclusione, l'analisi dei dati disponibili indica che laccumulo di gas serra di origine antropica ha un effetto di riscaldamento a scala globale e costituisce la maggiore forzante sul bilancio radiativo terrestre e quindi sulla temperatura. I fattori naturali (variazioni nellattivit solare, eruzioni vulcaniche) hanno plausibilmente contribuito alle variazioni della temperatura globale nellultimo millennio, compreso il trend osservato nella prima met del XX secolo. Tuttavia le conclusioni di buona parte della comunit scientifica internazionale, concordano sul fatto che il rapido aumento delle temperature medie globali durante gli ultimi decenni del secolo scorso sia da attribuire, principalmente allaumento di emissioni dovute allattivit umana e che altamente improbabile che linnalzamento osservato della temperatura sia dovuto esclusivamente a fattori naturali.

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1.2 Riscaldamento globale e impatto del cambiamento climaticoE ormai divenuto evidente che il clima del nostro pianeta sta cambiando con una velocit che sembra crescere di anno in anno. Laumento sempre costante dei principali forcings del sistema atmosfera-oceano,

essenzialmente le emissioni dei gas clima-alteranti, sembra essere il principale candidato di questo cambiamento. Su scala globale la temperatura (minima) media dellaria cresciuta di circa 1 C dal 1860 a oggi e il riscaldamento del XX secolo probabilmente il pi alto degli ultimi 10 secoli. Il gruppo di climatologia storica ISAC-CNR evidenzia che dieci anni pi caldi della storia in Italia sono tutti successivi al 1990. Lanomalia media di questi primi dieci anni del XXI secolo di 1,2 C in pi rispetto al periodo di riferimento. La primavera 2009 si situa al quarto posto tra le pi calde negli ultimi duecento anni con +1,76 C rispetto alla media 19611990, e lestate al quinto posto con + 1,87 gradi. Maggio 2009 si pone al terzo posto tra i mesi di maggio pi caldi degli ultimi due secoli con +2,9 C. Maggio 2009 stato anche il maggio pi secco degli ultimi 200 anni e anche agosto si collocato al quarto posto per scarsit di precipitazioni tra i dati di quel mese. Le proiezioni dei modelli climatici stimano un incremento medio globale della temperatura dellaria tra 1,5 a 6 C dal 1990 al 2100 (National Accademy of Science, Washington, 2006). Se questi scenari si verificassero, sarebbe un evento che non ha precedenti negli ultimi diecimila anni. Pur con differenze talvolta anche elevate, la maggior parte delle aree europee ha mostrato degli aumenti di temperatura sino a 0,8 C in media nel secolo scorso. Tale tendenza non stata omogenea su tutto il periodo ma, al contrario, sembra essersi verificato un netto aumento sino al 1940, poi una flessione sino al 1970 e infine un nuovo drastico aumento dagli anni 70 a oggi. In particolare, durante la decade 1980-1990, il riscaldamento stato molto elevato, con aumenti variabili tra 0,25 e 0,5 C rispetto alla media di lungo periodo. Queste caratteristiche sono maggiormente evidenti alle medie ed alte latitudini. (Schoenwiese et al., 1990).

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Il riscaldamento globale sta inducendo importanti effetti sull'atmosfera, sull'idrosfera, sulla criosfera, sulla biosfera e sulla complessa rete dinterazioni e di cicli biogeochimici che intercorrono fra loro. Le temperature globali pi alte sono associate a un maggior contenuto di calore delle acque oceaniche, sia in superficie sia in profondit. A causa della dilatazione termica dell'acqua e della fusione dei ghiacci terrestri, nell'ultimo secolo il livello del mare aumentato di circa 1.8 mm/anno, con notevoli differenze da un bacino allaltro e una forte tendenza all'accelerazione della crescita nelle ultime decadi. Nei prossimi decenni, l'aumento del livello dell'acqua potr portare alla scomparsa di numerosi territori abitati in prossimit di coste basse o dei grandi delta fluviali. Questaspetto preoccupante anche per quanto riguarda le coste del Mediterraneo, ove vi sono grandi concentrazioni di popolazione proprio nella zona passibile di sommersione marina o di danni da parte delle onde. Inoltre, l'analisi dei dati riguardanti il nord Atlantico ha indicato che la maggiore temperatura oceanica ha portato ad un aumento dell'intensit degli uragani, con ovvie conseguenze negative sulle regioni da essi colpite e possibili estensioni dei danni anche a regioni abitualmente immuni. La quantit di ghiaccio marino nella regione polare artica diminuita fortemente, sia in copertura totale sia in spessore. Dal 1975 al 2000, lo spessore medio del ghiaccio marino artico diminuito di circa il 33%, da 3,7 a 2,5 metri circa.

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Figura 5 Trend di crescita del livello degli oceani 1870-2006. Church and White, 2006

La copertura dei ghiacciai terrestri nell'area polare dell'emisfero nord diminuisce di 160 miliardi di tonnellate lanno. Le osservazioni satellitari mostrano che tra il 1996 e il 2005 il deficit del bilancio di massa della calotta polare che ricopre la Groenlandia pi che raddoppiato, soprattutto a causa del grande aumento nella velocit di scorrimento dei ghiacciai verso il mare nella fascia latitudinale fino a 70 N. La ragione di questaumento non stata ancora del tutto chiarita, anche se esso appare connesso al riscaldamento globale. Se questaumento della velocit di scorrimento si sposter a latitudini pi alte, il contributo della calotta groenlandese all'innalzamento del livello del mare potrebbe aumentare significativamente. Le ricerche sulla dinamica della fusione dei ghiacciai continentali indicano, inoltre, la possibilit di fenomeni dinstabilit, che possono comportare inaspettati e rapidi collassi verso il mare delle masse ghiacciate. In seguito a ci, il livello del mare potrebbe iniziare a crescere a un ritmo molto maggiore rispetto a quello odierno.

Gli oceani svolgono un ruolo importane nel bilancio globale del carbonio, per via della capacit di cattura, da parte della biosfera marina, del biossido di carbonio disciolto nell'acqua. Laumento della pressione parziale di CO2 15

atmosferica porta a un maggiore assorbimento di biossido di carbonio nei mari e di conseguenza ad un graduale aumento dellacidit degli oceani, principalmente determinata dalla quantit di CO2 disciolta nell'acqua. La diminuzione del pH dell'acqua marina, che pu essere prevista in modo accurato, dunque legata all'aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera ed determinata dallattivit antropica. Lacidit dell'acqua un fattore importante per la dinamica degli organismi marini: sebbene alcuni organismi traggano beneficio da una maggiore acidit, la maggior parte delle specie marine, dai coralli alle aragoste ai molluschi, risente in modo fortemente negativo dell'aumentata acidit. Vi quindi un rischio significativo di degrado di molti ecosistemi marini. Laumento di acidit dell'oceano potrebbe quindi portare a una minore capacit di cattura della CO2 da parte della biosfera marina e, come conseguenza, potrebbe contribuire a un altro aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Nel giugno 2009, la necessit di adottare misure di mitigazione per limitare l'acidificazione dell'oceano stata oggetto di uno specifico documento prodotto dall'InterAcademy Panel on international issues (IAP), che raduna alcune delle pi importanti accademie scientifiche del mondo (inclusa l'Accademia dei Lincei italiana). Il riscaldamento, inoltre, induce una maggiore evaporazione sulla superficie terrestre e marina e una maggiore capacit della troposfera di mantenere vapore in condizioni sotto-sature. Questo comporta un aumento di vapor acqueo in atmosfera, con un effetto di amplificazione del riscaldamento, poich il vapore acqueo esso stesso un potente gas serra. Negli ultimi anni, questo meccanismo stato ampiamente dibattuto e la sua importanza stata messa in discussione, ipotizzando meccanismi di retroazione negativa che ne potrebbero annullare leffetto, ossia assumendo che il contenuto di vapore in troposfera non debba necessariamente aumentare al crescere della temperatura. Tuttavia, laumento della concentrazione di vapore acqueo in atmosfera stato recentemente confermato da osservazioni satellitari ed coerente con laumento di anidride carbonica e di temperatura a scala globale; questo ha confermato sia leffetto del riscaldamento globale

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sullaumento di vapore acqueo in atmosfera che l'importante ruolo di retroazione positiva giocato dal vapor d'acqua. Resta ancora di difficile quantificazione il ruolo della variazione della copertura nuvolosa indotta dall'aumento di vapor d'acqua. comunque, inopinabile che le precipitazioni siano aumentate tra lo 0,5 e l1% (per ogni periodo di 10 anni) durante il ventesimo secolo, soprattutto, alle medie e alte latitudini dei continenti dellEmisfero Nord, ed altrettanto evidente un aumento delle piogge nelle aree tropicali. Al contrario, nelle zone sub-tropicali (10-30N), le precipitazioni sembrano essere

drasticamente diminuite (-0.3% per decade). Unanalisi dettagliata della variabilit delle precipitazioni nellEmisfero Nord durante il periodo 19001988, ha evidenziato una tendenza negativa, a livello annuale e stagionale, a partire dal 1970 per tutte le latitudini a Sud di 60N (Dai et al., 1997). Lintensit dei fenomeni divenuta maggiore, soprattutto, alle medie e alte latitudini (aumento dal 2 al 4% della frequenza di piogge intense). In Europa la precipitazione annua molto aumentata fin dalla met del XIX secolo, con valori ben al di sopra della media dopo levento di siccit del 1940. Infatti, il maggior contributo al trend positivo si ha nella stagione invernale e in parte primaverile, sebbene in questa stagione laumento sia meno marcato. La stagione estiva mostra invece una lieve tendenza alla diminuzione nellarco degli ultimi 130 anni (Bradley et al., 1987). Dal punto di vista delle precipitazioni annuali, in questo secolo si osservato un generale aumento nel settore settentrionale europeo (dalle Alpi sino alle regioni scandinave), con aumenti variabili tra il 10% e il 50%. Anche in questo caso il contributo maggiore si evidenzia durante la stagione invernale. Nellarea geografica che si estende dal Mediterraneo attraverso lEuropa centrale sino alla Russia, le precipitazioni sono diminuite considerevolmente (sino al 20%, Piervitali et al., 1998). I cambiamenti globali del campo termico hanno unenorme influenza sulla struttura e sullevoluzione della circolazione atmosferica. A loro volta, le modifiche dei flussi di circolazione generale (ad esempio una diversa

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struttura della North Atlantic Oscillation, NAO) si riflettono sullevoluzione dei fenomeni a scala sinottica (3000-4000 km), sub-sinottica (500-2000 km), sino alla mesoscala (100-500 Km). Ad esempio, possibili cambiamenti climatici nella struttura della NAO inducono spostamenti nella dislocazione degli assi delle tracce dei cicloni (storm tracks) e delle correnti a getto polare e sub-tropicale, che tracciano le rotte preferenziali delle perturbazioni extra-tropicali (cicloni e anticicloni). Questi fenomeni interessano, ad esempio, il bacino del Mediterraneo caratterizzandone il tempo

meteorologico al suolo. L'aumento delle temperature ha, anche, avuto conseguenze rilevanti su molte specie animali e vegetali, sia terrestri sia acquatiche, che negli ultimi decenni hanno modificato i propri areali di distribuzione, spostandosi verso nord nell'emisfero boreale e/o verso altitudini maggiori nelle zone montane. Non tutte le specie rispondono allo stesso modo al riscaldamento globale, con il rischio di sfasamento (mismatch) fra le varie componenti delle comunit biologiche naturali con possibile perdita di biodiversit e cambiamento radicale, o eventualmente collasso, di alcuni ecosistemi. Questo problema amplificato dallattuale forte frammentazione degli habitat naturali dovuta a ostacoli di origine antropica (citt, autostrade e linee ferroviarie, alvei fluviali artificiali), che possono impedire gli spostamenti degli areali di piante e animali e indurre estinzioni locali o globali di molte specie.

1.3 Background della politica europea sul climaContinuare a emettere gas serra a un tasso uguale o superiore a quello attuale, causerebbe un ulteriore riscaldamento e provocherebbe molti cambiamenti nel sistema climatico globale durante il XXI secolo; questi cambiamenti molto probabilmente potrebbero essere maggiori di quelli osservati durante il XX secolo. Gli esperimenti modellistici mostrano infatti

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che, se anche tutte le cause del forzante radiativo fossero mantenute costanti ai livelli dellanno 2000, nei prossimi due decenni si verificherebbe un ulteriore trend di riscaldamento di circa 0,1 C per decennio, causato principalmente dalla lenta risposta degli oceani. Se le emissioni restassero entro il range degli scenari ipotizzati dallo Special Report on Emission Scenarios dellIPCC (2000), ci si dovrebbe aspettare un riscaldamento circa doppio di questo (0,2 C per decennio). Anche se le concentrazioni di gas serra si stabilizzassero, il riscaldamento antropogenico e linnalzamento del livello del mare continuerebbero per secoli a causa delle scale temporali associate ai processi climatici e ai feedback (IPCC, 2007). La drammaticit di tali previsioni ha imposto agli Stati e alle organizzazioni internazionali di intervenire per ridurre le emissioni di gas clima-alteranti. LUnited Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) un trattato ambientale internazionale prodotto dalla Conferenza

sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite nel 1992. Il trattato punta al raggiungimento della stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico. Secondo il Protocollo di Kyoto del 1997, uno dei pi importanti accordi raggiunti dallUNFCCC, i paesi industrializzati aderenti sono obbligati a ridurre le emissioni di gas clima-alteranti anche lUnione Europea rettifica il trattato con il cosiddetto 20-20-20 fissando per il 2020 di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Per raggiungere l'obiettivo senza rinunciare al modello di sviluppo attuale e in attesa di disporre di tecnologie e fonti di energia non inquinanti, non per ipotizzabile la sola diminuzione delle emissioni, ma necessario sequestrare il carbonio (C) gi presente in atmosfera ed immobilizzarlo in pozzi (sink), quali foreste e terreni agricoli, dove rimanga fissato per tempi pi lunghi.

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1.4 Mitigazione e Ruolo dellAgricolturaLo stesso protocollo di Kyoto riconosce lagricoltura e la gestione forestale come le uniche attivit antropiche in grado di rimuovere CO2 dallatmosfera e mitigare leffetto serra. Nonostante siano responsabili del 25% delle emissioni totali annue di anidride carbonica, del 50% di quelle di metano e del 75% di quelle di protossido di azoto, (Tubiello et al. 2007), esse possono rappresentare uno strumento potenzialmente cruciale per la lotta al cambiamento climatico. Questo, perch, gli ecosistemi agrari, oltre alla conservazione della biodiversit, hanno unimportante funzione di carbon sink, grazie alla loro capacit di assorbire e immagazzinare carbonio atmosferico nel suolo e nella vegetazione. Rimuovendo anidride carbonica dallatmosfera, neutralizzano parte delle emissioni di CO2 legate alle attivit umane e contribuiscono, in modo indiretto, al contenimento dei gas serra. La gestione dei suoli agricoli permette quindi di agire su due fronti, quello della riduzione delle emissioni di gas serra come CO2, CH4, N2O e quello dell'assorbimento di CO2. Il Protocollo di Kyoto riconosce il contributo che pu essere fornito dallagricoltura e introduce la possibilit di contabilizzare l'incremento di carbonio nei terreni agricoli per il mantenimento degli impegni assunti dai vari paesi per la riduzione delle emissioni di gas-serra. L'ambito di azione per l'agricoltura comprende: adozione di pratiche che favoriscono il sequestro di carbonio nella biomassa e nei suoli; riduzione delle emissioni di CO2 e di altri gas serra; fornitura di biomassa per nalit energetiche in sostituzione di fonti fossili di energia. Nellambito degli accordi internazionali per la riduzione delle emissioni nette dei gas a effetto serra sono state incentivate alcune misure sia per aumentare il sequestro di carbonio atmosferico sia per diminuire le emissioni dirette ed indirette. Le possibili attivit possono essere cos sintetizzate: a) accumulo di carbonio sotto forma di sostanza organica nei suoli agricoli. La riduzione delle lavorazioni e la corretta gestione delle rotazioni colturali e dei residui possono contribuire ad aumentare il carbonio organico nel

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suolo rimovendolo dallatmosfera (Smith, 2007). Alcune pratiche come la non lavorazione del suolo possono accumulare fino ad 1 tonnellata di CO2 all anno. Ammettendo che possano essere applicate su tutta la superficie agricola italiana (circa 10 Mha) il sequestro potenziale potrebbe essere pari a 10 Mton CO2 per anno, circa il 2% delle emissioni nette italiane e circa il 40% del target di riduzione del protocollo di Kyoto in Italia. Tuttavia tali pratiche sono di difficile applicazione e verifica (ai fini di un eventuale indennizzo) e soprattutto hanno un carattere temporaneo e sono facilmente reversibili. comunque indubbio che laumento della sostanza organica dei suoli agricoli in genere correlata con la fertilit. b) afforestazione. La piantagione di colture con ciclo colturale poliennale e caratterizzate da grandi quantit di biomassa aumenta il tempo di residenza medio del carbonio nella biosfera e riduce quindi la concentrazione di CO2 atmosferica. La piantagione di colture arboree contribuisce pertanto a mitigare leffetto serra, anche se in conflitto con il deficit del bilancio agro-alimentare italiano. c) riduzione delle emissioni dirette e indirette. Le principali attivit si dovrebbero concentrare sulle emissioni di metano dal comparto zootecnico. Tutte le soluzioni indagate appaiono tuttavia di non facile applicazione, con eccezione per gli impianti di riciclo dei reflui zootecnici con recupero del biogas che hanno il duplice ruolo di ridurre lemissione netta e di produrre energia riducendo lutilizzo dei combustibili fossili. Unaltra tipologia di emissione, ancora poco studiata e conosciuta quella del protossido di azoto (N2O). Una molecola di N2O ha un potere riscaldante 300 volte superiori a quello di una molecola di CO2, pertanto lemissione di 1 kg di N2O dal suolo equivale allemissione di circa 300 kg di CO2. Nonostante la denitrificazione sia molto limitata nella maggior parte dei suoli agricoli italiani, eventi piovosi in prossimit delle fertilizzazioni soprattutto se localizzate possono provocare perdite di 2-3 kg di protossido per ettaro per anno e cio pari a 0,6-0,9 ton CO2 per ha anno. Lutilizzo in

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alternativa di fertilizzanti a lento rilascio di azoto, o la coltivazione di leguminose portano ad una significativa riduzione delle emissioni. d) biocombustibili e biocarburanti. La recente crisi energetica e laumento del prezzo del petrolio hanno portato molti governi (compreso quello italiano) a promuovere lo sviluppo di filiere per la produzione di biocombustibili e biocarburanti. Nonostante il loro sviluppo, importante fare una analisi basata sul bilancio dellintero ciclo di vita di questi prodotti valutando anche il bilancio di gas ad effetto serra (Rainer, 2007). Al fine di evitare uneccessiva competizione con le produzioni alimentari, sarebbe opportuno confinare la produzione di biocombustibili al solo utilizzo dei residui colturali e alla coltivazione dei terreni marginali e scarsamente produttivi ai fini alimentari.

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2 Il Sistema suolo-pianta-atmosfera

2.1 Il CarbonioIl carbonio il pi abbondante componente della materia vivente. Attraverso il ciclo biogeochimico esso scambiato tra la geosfera, all'interno della quale si considerano i sedimenti e i combustibili fossili; l'idrosfera (mari e oceani); la biosfera e l'atmosfera. Tutte questi comparti della Terra sono considerabili a tutti gli effetti riserve di carbonio (carbon sinks). Il ciclo , infatti, solitamente inteso come l'interscambio dinamico tra questi quattro sotto-sistemi. Gli oceani contengono la maggior riserva di carbonio presente sulla Terra, sebbene essa sia solo in piccola parte disponibile all'interscambio con l'atmosfera.

Figura 6 Ciclo del Carbonio

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Circa 1500 miliardi di tonnellate di carbonio sono presenti nella biosfera. Il carbonio parte essenziale della vita sulla Terra. Esso gioca un ruolo importante nella struttura, biochimica e nutrizione di tutte le cellule viventi. E la vita gioca un ruolo importante nel ciclo del carbonio. Gli organismi autotrofi producono i loro composti organici usando il biossido di carbonio tratto dall'aria o dall'acqua in cui vivono. Per fare ci necessitano di una fonte di energia esterna. Quasi tutti gli autotrofi usano la radiazione solare a questo scopo e il loro processo di produzione chiamata fotosintesi. Un piccolo numero di autotrofi sfrutta fonti di energia chimica (in questo caso si parla di chemiosintesi). Gli autotrofi pi importanti per il ciclo del carbonio sono gli alberi delle foreste sulla terraferma e il fitoplancton negli oceani. Parte dei composti carboniosi consumata direttamente dalle piante nella respirazione cellulare, parte viene utilizzata nelle catene alimentari degli animali, parte dopo la morte della pianta, in maniera pi o meno rapida, viene degradata dai microrganismi del terreno. Gran parte del carbonio lascia la biosfera attraverso la respirazione. Quando presente ossigeno, si ha respirazione aerobica, che rilascia biossido di carbonio nell'aria o nell'acqua circostante, seguendo la reazione C6H12O6 + 6O2 6CO2 + 6H2O. Altrimenti si ha respirazione anaerobica, con rilascio di metano nell'ambiente circostante, il quale giunge fino all'atmosfera o all'idrosfera (ad esempio con i gas di palude o la flatulenza). La combustione di biomassa (ad esempio incendi boschivi, o legna usata per il riscaldamento) pu trasferire anch'essa un sostanziale quantitativo di carbonio nell'atmosfera. L'immagazzinamento di carbonio nella biosfera influenzato da diversi processi che si attuano su varie scale temporali: mentre la produttivit primaria netta segue un ciclo diurno e stagionale, il carbonio pu essere immagazzinato per diverse centinaia di anni negli alberi e fino a migliaia di anni nel suolo.

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Il carbonio pu anche lasciare la biosfera, quando la materia organica morta (come la torba) sedimenta e viene ricoperta da altri depositi sedimentari, incorporandosi nella geosfera. Lanidride carbonica, presente in atmosfera, pu essere assorbita nelle acque degli oceani sotto forma di bicarbonato ed essere stoccata anche in profondit. Sul fondo degli oceani si accumulano sedimenti derivati dalla decomposizione di organismi marini, gusci di calcite e aragonite, che possono trasformarsi in calcare attraverso il processo di sedimentazione e il cui ricircolo avviene in tempi lunghissimi. Alcuni di questi sedimenti, in determinate condizioni e in milioni di anni, possono originare giacimenti di petrolio, di carbone e di gas naturale, i quali, una volta estratti e utilizzati come combustibili per le attivit umane, si trasformano nuovamente in CO2 che ritorna in atmosfera chiudendo anche questo circolo. I mari contengono circa 36.000 miliardi di tonnellate di carbonio, in gran parte sotto forma di ione bicarbonato. La presenza di carbonio inorganico importante per la sua reattivit in acqua. Il carbonio scambiato rapidamente tra atmosfera e oceano. Nelle regioni oceaniche di upwelling, il carbonio rilasciato verso l'atmosfera. Al contrario, nelle regioni di downwelling il trasferimento di carbonio (CO2) avviene tra atmosfera e oceano. Questo scambio di carbonio diventa importante nel controllare il pH degli oceani, che possono comportarsi sia come sorgente sia come assorbente di carbonio a seconda delle condizioni.

2.1.1 Il Ciclo terrestre del Carbonio

Le piante acquisiscono la CO2 tramite una diffusione attraverso piccoli pori, gli stomi, posti nelle foglie che conducono fino ai cloroplasti dove avviene la fotosintesi. La quantit di CO2 dellatmosfera che viene fissata dalle piante, cio convertita in carboidrati durante la fotosintesi, prende il nome di produzione primaria lorda (gross primary productivity, GPP). Questa anche approssimativamente la quantit necessaria a sostenere la crescita 25

osservata nelle piante, supponendo che met della GPP sia incorporata nei nuovi tessuti delle piante (come ad esempio foglie, radici e legno), e l'altra met sia riconvertita in CO2 atmosferica dalla respirazione autotrofa, cio la respirazione dei tessuti della pianta (Lloyd e Farquhar, 1996; Warning et al., 1998). La crescita annuale delle piante la differenza tra fotosintesi e respirazione autotrofa, ed valutata come produzione primaria netta (net primary productivity, NPP). Il carbonio fissato nella NPP pu ritornare in atmosfera attraverso due processi: respirazione eterotrofa di organismi decompositori (Rh) (batteri e funghi che si nutrono di tessuti morti ed essudati); erbivori e combustione naturale o antropica (incendi). La maggior parte della biomassa morta entra nei detriti del suolo come materia organica e qui viene in parte respirata, a seconda dalla composizione chimica dei tessuti morti e delle condizioni ambientali (per esempio temperature basse, condizioni asciutte e precipitazioni rare fanno diminuire la

decomposizione). Concettualmente, possiamo distinguere molti serbatoi di carbonio nel suolo. Detriti e biomassa microbica hanno un tempo di ricambio corto (< 10 anni). Suoli modificati con carbonio umificato hanno un tempo di ritorno centennale. Suoli inerti (stabili o recalcitranti) di carbonio organico sono composti da molecole pi o meno resistenti ad una decomposizione ulteriore. Solo una frazione molto piccola della materia organica dei suoli, e una piccola frazione di biomassa bruciata, convertita in forma inerte (Schlesinger, 1990; Kuhlbusch et al., 1996). I processi naturali e i regimi di gestione possono ridurre o aumentare la quantit di carbonio immagazzinato nei suoli con tempi di ricambio nell'ordine dalle decine alle centinaia di anni (legno vivente, prodotti di legno e suolo modificato con materiale organico) e quindi influenzare l'evoluzione nel tempo della CO2 atmosferica durante il secolo. La differenza tra NPP e Rh determina la quantit di carbonio persa o accumulata nell'ecosistema, in assenza di disturbi che tendono a rimuovere tale carbonio dall'ecosistema (come raccolti o incendi). Questo bilancio di carbonio, o produzione netta dellecosistema (NEP), pu essere valutata a

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partire dalla quantit di carbonio stoccata nei diversi comparti del suolo, o attraverso misure sul flusso della CO2 tra zone di terreno e atmosfera.

2.1.2 Il carbonio Organico nel Suolo

Il suolo il maggiore serbatoio terrestre di carbonio organico. Si stima che contenga circa il doppio di quello presente in atmosfera e il triplo di quella sequestrato dalla vegetazione.

Figura 6 Il Ciclo del Carbonio negli Agroecosistemi, (Peressotti, 2009)

Le ampie dimensioni e il tempo di residenza relativamente lungo fanno di questo comparto un sink potenzialmente importante per lo stoccaggio del carbonio atmosferico. Gran parte del carbonio arriva al suolo sotto forma di foglie, rami e spoglie di animali, feci, cellule microbiche. Qui, a causa della complessa natura dei residui organici, numerose specie di microrganismi sono coinvolte nel processo di degradazione. Parte del carbonio convertito

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in CO2, parte viene incorporato nei tessuti microbici e parte viene convertito in humus che viene lentamente mineralizzato. La quantit di carbonio che ogni anno viene immobilizzata nel suolo ammonta a circa 110 1012 kg (circa il 15% della CO2 contenuta nell'atmosfera), mentre una quantit equivalente viene annualmente rilasciata in atmosfera dai processi di decomposizione nel suolo (Stevenson, 1986). La stabilit del carbonio nel suolo dipende per da diversi fattori, tra cui le condizioni climatiche: secondo Post et al. (1982) la quantit stoccata aumenta con l'aumentare delle precipitazioni, ed inversamente proporzionale alla temperatura. Secondo Tiessen et al. (1994), per esempio, il tempo medio di residenza della sostanza organica in un suolo indisturbato nella foresta pluviale venezuelana ammonta a meno di quattro anni. Il riscaldamento globale provocherebbe quindi una pi rapida

mineralizzazione della sostanza organica (Jenkinson et al., 1991) determinando cos l'instaurarsi di un feedback positivo. Infatti, mentre l'effetto dell'aumento della CO2 sulla fotosintesi raggiunge un punto di saturazione (oltre il quale le piante non riescono a utilizzare l'eccesso di CO2), l'emissione di CO2 dal terreno continua a crescere all'aumentare della temperatura. Secondo Cox et al. (2000) questultimo processo diventer prevalente intorno al 2050 e il carbonio stoccato nel suolo subir un decremento di circa 170 Gt C tra il 2000 e il 2100, accelerando il tasso dincremento della CO2 atmosferica. Anche la deforestazione e le normali pratiche agricole quali l'aratura, causano lalterazione della struttura del suolo e la sua ossigenazione, accelerano la decomposizione della sostanza organica. Per limitare le emissioni di CO2 ed aumentare la capacit di trattenere il carbonio nel suolo, ma anche per migliorarne le caratteristiche fisiche, vengono incentivate pratiche agricole meno impattanti, quali le arature superficiali o le colture permanenti (Cerri et al., 2004).

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2.1.3 La respirazione del suolo

La respirazione aerobica in generale un processo esoergonico, nel quale lenergia presente nei legami chimici dei composti organici (CH2O), formati durante i processi di fotosintesi, resa disponibile per lo svolgimento dei processi fisiologici di piante, animali e microrganismi. Tramite la respirazione aerobica il carbonio presente nel substrato organico ossidato a CO2, mentre lossigeno viene ridotto a H2O, liberando, cos, lenergia contenuta nei legami chimici.

CH2O + H2O + O2 = CO2 + 2 H2O + energia Il flusso di CO2 dal suolo (respirazione del suolo), risulta essere una delle maggiori componenti che caratterizzano il ciclo del carbonio in ecosistemi terrestri e a livello globale stimato essere di circa 50 - 75 Gt C anno-1, contribuendo quindi per il 20 - 40% al flusso totale di CO2, che dagli ecosistemi terrestri passa allatmosfera (Raich e Schlesinger 1992; Schimel 1995). Il flusso di CO2 ha origini da fonti diverse e le due principali sono (1) la respirazione eterotrofa, a carico dei microrganismi, i quali decompongono la sostanza organica del suolo (SOM), che a sua volta pu essere scomposta in lettiera fresca e sostanza organica nativa del suolo e (2) la respirazione autotrofa, a carico delle radici (Figura 7). A queste si possono aggiungere le fonti di CO2 relative ai processi chimici di ossidazione e di dissoluzione dei carbonati (Burton e Beauchamp, 1994).

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(C recente) Allocazione alle radici Dipende da: Fotosintesi Apporto di nutrienti Umidit del suolo Et del sistema Specie Radici e Micorrize vive

Fotosintesi Dipende da: Apporto di nutrienti Temperatura Umidit del suolo Luce Et del sistema Orizzonti organici

(C recente e vecchio) CO2

Respirazione autotrofa Dipende da: Allocazione Temperatura Umidit del suolo Riserve

Essudati

Microbi

Respirazione eterotrofa Dipende da: Allocazione Temperatura Umidit del suolo Qualit della lettiera C labile del suolo

Radici e Micorrize morte

C recalcitrante del suolo

Figura 7: Modello concettuale che propone le componenti del flusso di CO2 dal suolo e i fattori che le influenzano. modificato da Ryan et al., 2005

Leterogeneit della struttura del suolo, della temperatura, dellumidit, della densit di colonie batteriche e funghi e della densit radicale, e della presenza di sostanza organica nel suolo, influenza notevolmente il flusso di CO2, con valori variabili sia spazialmente sia temporalmente. Inoltre la variabilit della diffusione della CO2 nel suolo influenzata sia da gradienti di concentrazione sia dal variare della pressione atmosferica. La misura del flusso di CO2 dal suolo effettuata a intervalli orari o giornalieri ha una buona correlazione con la temperatura del suolo e/o con il suo contenuto in umidit (Janssens et al. 2000), ad esclusione di valori di umidit troppo bassa o troppo elevata. Infatti, nel caso di disponibilit limitata di acqua sia la respirazione batterica che radicale, risulta fortemente inibita. Oltre alla carenza dacqua vengono a essere meno disponibili anche le forme disciolte di carbonio (DOC, dissolved organic carbon), che rappresentano un substrato importantissimo per la respirazione eterotrofa del suolo (Billings et al. 1998). In condizioni di saturazione idrica, invece, il fattore limitante la scarsa aerazione che viene a crearsi nel suolo (Freijer e Leffelaar 1996).

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I processi di respirazione da parte della componente eterotrofa del suolo vengono anche influenzati dalla qualit del substrato presente, (gren e Bosatta 1996).

2.2 Il ciclo dellazoto

Lazoto il pi importante dei macronutrienti: entra a far parte degli acidi nucleici, delle proteine e di una serie di composti di grande importanza biologica come i nuclei porfirinici. Il suo ciclo molto complesso in quanto comprende forme solide, solubili e insolubili, liquide e gassose. Lazoto soggetto a un grande dinamismo e, secondo le condizioni ambientali in cui si trova, una serie di reazioni, in cui spesso sono protagonisti i microrganismi, lo trasformano da una specie allaltra. Il processo che mette in relazione il pool dellazoto atmosferico (N2) con il suolo rappresentato dallazotofissazione, una serie di reazioni che convertono lazoto elementare in forma inorganica, principalmente in ammonio (NH4+) e nitrato (NO3 ), disponibile per le piante. La sostanza organica e gli ioni ammonio fissati costituiscono le principali riserve di azoto nel suolo (Petronici, 1991). Lazoto organico presente in gran parte degli apporti organici al suolo, nei prodotti umificati di resintesi e nelle biomasse degli organismi viventi (Sequi,1991). La componente organica quasi completamente non disponibile per le piante. Essa coinvolta in una serie di trasformazioni chimiche e meccaniche, disgregazioni fisiche e biochimiche (come idrolisi e ossidazioni) che rientrano sotto il nome di mineralizzazione. Le due forme inorganiche (NO3 e NH4+) rappresentano la frazione metabolicamente pi attiva, pur costituendo una frazione molto piccola (spesso minore del 2%) dellazoto totale; la nutrizione azotata delle colture dipende, infatti, dalla loro disponibilit e la velocit della maggior parte delle reazioni che compongono il ciclo dellazoto. La concentrazione di

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azoto inorganico nel suolo dipende dallandamento dei processi di mineralizzazione e dimmobilizzazione. Il primo definito come quella serie di reazioni che trasformano lazoto organico nella forma ammoniacale, reazioni operate generalmente dalla popolazione eterotrofa che utilizza i composti azotati organici come fonte di energia. Il secondo (il processo dimmobilizzazione dellazoto) invece definito come quella serie di reazioni che trasformano i composti inorganici (NH4+, NO3 , NO2 ) nelle forme organiche (Goldbeg e Nannipieri, 1991). Lammonio pu subire una serie di reazioni ossidative: la nitrosazione, che consiste nellossidazione dellammonio a nitrito (processo mediato da microrganismi come Nitrosomonas), e la nitrificazione, ultimo processo ossidativo che conduce alla formazione di nitrato (mediato da Nitrobacter) (Addiscott et al., 1990). Lo ione nitrato rappresenta il prodotto della completa ossidazione dellazoto organico e pu quindi accumularsi nel terreno; inoltre, essendo carico negativamente, non trattenuto dai colloidi del suolo, dotati a loro volta di cariche negative, ed mobile nella soluzione circolante (Addiscott et al., 1991). Infine gli output di azoto dal sistema avvengono tramite diversi processi. Lasportazione ad opera delle piante che utilizzano lazoto minerale, per costituire le proteine del protoplasma cellulare, la quale raggiunge valori sensibili al momento del raccolto. Si possono avere perdite per dilavamento e infiltrazione verso sistemi contigui quali le falde idriche quando la concentrazione di nitrati presente nel terreno superiore ai fabbisogni degli apparati radicali delle piante. I nitrati sono, infatti, idrosolubili e quindi facilmente vulnerabili a essere dilavati (Addiscott et al., 1991). La loro pericolosit ambientale deriva dal fatto che, una volta entrati nel sistema acquifero mediante un movimento verticale, essi possono poi essere dislocati per movimento orizzontale, andando ad accumularsi in bacini e riserve idriche poste anche a grande distanza dal luogo di originaria percolazione. La denitrificazione a causa della riduzione del nitrato a forme gassose come azoto elementare o ossidi dazoto procura delle perdite dellelemento in tutti

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i suoli ma si raggiungono valori quantitativamente significativi solo in suoli asfittici (Petronici, 1991). Altre vie di fuoriuscita dellazoto dal sistema suolo sono rappresentate dalla volatilizzazione, che comporta la perdita di azoto ammoniacale che passa in forma gassosa e dal ruscellamento, che pu trasportare per erosione particelle di argilla con adsorbito dellazoto ammoniacale.

2.2.1 Il dilavamento di azoto dai suoli

Le perdite di azoto per dilavamento riguardano specialmente la forma nitrica: esse possono raggiungere il valore del 99% dei nitrati presenti, mentre per la forma ammoniacale le perdite sono inferiori all1% (Petronici, 1991). La perdita di nitrati dipendente da vari fattori: oltre agli input di azoto da fertilizzanti commerciali, letame, atmosfera, risultano importanti anche gli output di azoto, dovuti alla raccolta e asportazione dei prodotti vegetali e/o animali. Assume importanza determinante il tipo di suolo, in particolare la granulometria e la struttura, il tipo di coltura e il tipo di copertura del suolo durante le stagioni (Park et al., 2000). La lisciviazione dei nitrati un processo naturale e non pu esistere nessun agroecosistema efficiente al 100% nelluso dellazoto. La maggior parte dei sistemi possono per essere migliorati cercando di arrivare alla fine della stagione colturale con la minor concentrazione possibile di nitrato nel suolo, con il risultato di ottenere una diminuzione della perdita di nitrati ogni inverno (Addiscott et al., 1991). Unazione per favorire questo, potrebbe essere lapplicazione al suolo, come fertilizzante, di biochar. Secondo Leehman et al. (2003) il biochar in grado di assorbire e trattenere i nitrati per diverso tempo impendendone la lisciviazione. L'inquinamento idrico provocato dai nitrati stato favorito dai metodi di produzione agricola intensiva, che hanno portato a un maggiore impiego di

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fertilizzanti chimici e alla pi forte concentrazione di capi di bestiame in piccoli appezzamenti. Un alto tasso di nitrati nellacqua pu provocare problemi di salute pubblica. Il principale rischio per la salute umana si ha quando i batteri intestinali riducono i nitrati in nitriti. Questi sono in grado di trasformare lemoglobina in metaemoglobina causando la condizione conosciuta come metaemoglobinemia, per cui il sangue perde la capacit di trasportare unadeguata quantit di ossigeno alle cellule. I sintomi osservabili sono cianosi e asfissia (Santamaria, 2002). La fascia di popolazione ritenuta pi a rischio quella dei neonati fino a sei mesi di et nei quali il 100% dei nitrati ingeriti vengono trasformati in nitriti (Virtuose et al., 1997), mentre negli adulti questa percentuale di circa il 10%. Lazoto insieme al fosforo rappresenta il maggior nutriente che controlla la produzione primaria negli ecosistemi acquatici e se presenti in quantit elevate, possono provocare fenomeni di eutrofizzazione, che si evidenziano in uneccessiva crescita di alghe; aumenta cosi il consumo di ossigeno, e la mancanza di questultimo provoca alla lunga la morte dei pesci. Infine oltre ai danni economici diretti, dovuti alla diminuzione del potenziale di utilizzo della risorsa (riduzione della qualit e quantit del pescato, riduzione dellafflusso turistico in zone balneari con acque di scarsa qualit), un altro problema fondamentale risulta la depurazione di queste acque. Disinquinare molto costoso e richiede scelte coraggiose e a lungo termine da parte della pubblica amministrazione. La direttiva 91/676/CEE, nota come "direttiva Nitrati" stata adottata dalla CEE nel 1991 a protezione delle acque sotterranee minacciate da uno sfruttamento eccessivo del suolo agricolo, con accumulo di nitrati. Con essa gli stati membri individuano sul proprio territorio le acque, di superficie o sotterranee, inquinate o che potrebbero essere inquinate, sulla base della procedura e dei criteri di cui nella direttiva e le zone vulnerabili che concorrono all'inquinamento. Inoltre gli Stati membri elaborano e applicano programmi di azione per le zone vulnerabili intesi a limitare l'impiego in

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agricoltura di fertilizzanti che contengono azoto e fissare restrizioni per l'impiego in agricoltura di effluenti di allevamento.

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3 Il Biochar: il carbone di origine vegetale3.1 Le origini del Biochar: Terra Preta do Indios

Figura 8: Terra Preta do Indios, Manaus (http://philipcoppens.com/terrapreta.html)

Al contrario dei suoli fortemente alterati tipici della foresta amazzonica (soprattutto Ferrasol ed Acrisol), di colore rosso, poco fertili perch ricchi in caolinite, dal pH acido e ricchi in alluminio, i suoli denominati Terra Preta do Indios hanno un colore nero, un pH alcalino, ospitano microrganismi endemici (O'Neill, 2006) e sono particolarmente fertili.

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Fig 9: Profilo di sinistra rappresenta un oxisol poco fertile, confrontato con un profilo di destra denominato Terra Preta ricco di sostanze carboniose e altamente fertile, Manaus, Glaser 2007.

Essi sono inoltre caratterizzati da un alto contenuto in materiale carbonioso (oltre 70 volte pi dei suoli circostanti e fino a una profondit di 40-80 cm), prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali (probabilmente resti di fuochi per cucinare il cibo) e introdotto volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali in migliaia di anni (SombroekWG, 1966 AmazzonsSoils). CAPD, Wageningen, NL - Glaser et al. 2004, Falco et al. 2003, Erikson et al. 2003). In realt i residui carboniosi da combustione incompleta di biomasse o combustibili fossili (black carbon) sono ubiquitari nei suoli e nei sedimenti, a causa dincendi di origine naturale e da fonti antropiche, che producono dall1% al 5% di Carbonio pirogenetico. Anche nel clima umido e temperato della Galizia sono stati studiati terreni contenenti notevoli quantit di black carbon risalente a focolari di oltre 8000 anni fa, che hanno causato l'accumulo di sostanze aromatiche in suoli ricchi didrossido di alluminio (Kaal et al. 2008). Secondo studi svolti in varie localit della Germania, il black carbon contribuisce notevolmente al contenuto di humus dei terreni situati in aree industrializzate, ma anche in zone pi remote, con

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apporti tra il 2.7% e il 13.1% del Carbonio organico (Brodowski et al., 2007). Frammenti di piante carbonizzate costituiscono anche una componente importante della frazione umica di suoli vulcanici giapponesi (Shindo et al. 2004). Le terre nere dell'Amazzonia hanno un alto contenuto di nutrienti e di sostanza organica stabile, e presentano un'elevata capacit di scambio cationico (Glaser et al., 2001, Steiner et al., 2004, Liang et al., 2006). Secondo Glaser et al., 2001, la frazione carboniosa deve la sua stabilit chimica e microbiologica alla sua complessa struttura policiclica aromatica, ed in grado di persistere nell'ambiente per secoli. Durante questo periodo, la sua struttura aromatica viene lentamente ossidata producendo gruppi carbossilici, e questo aumenta la capacit delle particelle carboniose di trattenere i nutrienti. Anche secondo gli agricoltori locali le terre nere amazzoniche sono molto pi fertili dei terreni circostanti, e la ricchezza in carbonio che conferisce questa capacit persiste anche dopo molti secoli dall'abbandono da parte delle popolazioni indigene consentendo coltivazioni senza uso di fertilizzanti (Glaser et al., 2001; German, 2002). Il carbone interrato dagli indios amazzonici per incrementare la produzione delle proprie colture potrebbe diventare un fattore chiave per la sostenibilit e la fertilit del suolo delle aree umide tropicali, ma potrebbe anche rappresentare, per l'elevata recalcitanza della sua struttura aromatica, un sink ideale per immobilizzare il carbonio e diminuirne le emissioni in atmosfera (Kuhlbusch et al., 1996). Al contrario della tecnica del taglia e brucia largamente utilizzata nelle zone tropicali, che impone un continuo nomadismo a causa della rapida perdita di fertilit del terreno, la carbonificazione e l'interramento dei residui vegetali forniscono al suolo consistenti quantit di sostanza organica stabile, con una forte capacit di trattenere i nutrienti. In un'epoca in cui il riscaldamento globale, dovuto all'effetto serra rappresenta uno dei pi grossi problemi ecologici e per l'umanit, la tecnica del taglia e carbonifica (slash and char) potrebbe diventare, inoltre un importante mezzo per prevenire il rilascio di grosse

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quantit di CO2 in atmosfera. Lo slash and char inoltre non richiede di abbattere nuove porzioni di foresta vergine, perch le biomasse da carbonificare provengono dallo stesso appezzamento coltivato e gran parte del carbonio (mediamente pi del 50%, secondo diversi esperimenti in laboratorio) viene trattenuto nel sistema (Lehmann et al., 2002). L'agricoltura slash and char non rappresenta soltanto un'alternativa a tecniche meno efficienti per le colture tropicali, ma anche in altri contesti pu diventare un mezzo economico e rispettoso dell'ambiente per migliorare le rese agricole e allo stesso tempo, se applicato su larga scala, per contenere le emissioni di anidride carbonica in atmosfera. La carbonificazione di biomasse e l'interramento nei suoli agricoli del carbone vegetale cos ottenuto potrebbero quindi rappresentare una nuova tecnica per gestire i residui vegetali, alternativa alla combustione, all'abbandono in superficie o all'interramento e anche al compostaggio, da cui si origina humus stabile destinato per alla progressiva e veloce decomposizione. Anche il dissodamento del terreno, che causa la perdita di circa il 12% del carbonio organico totale, non incide significativamente sulla quantit di carbonio pirogenetico. In sostanza il black carbon rappresenta un sink per il carbonio, poich lo rimuove da un ciclo a breve termine, lo inserisce in un ciclo a lungo termine (Forbes et al., 2006, Preston e Schmidt, 2006, Brodowski et al., 2005, Brodowski et al., 2007).

3.1.1 Gestione, produzione e ricerca

Per immobilizzare rapidamente e permanentemente grosse quantit di anidride carbonica attraverso linterramento di carbone vegetale, necessario utilizzare processi controllati che consentano di trasformare le biomasse in biochar con un alto rendimento. Il carbone vegetale viene prodotto tradizionalmente nelle carbonaie, costituite da cumuli di legna coperti da terreno per isolarla dall'aria e permetterne la trasformazione in condizioni di carenza di ossigeno. Sullo stesso principio si basano i processi industriali di pirolisi: la decomposizione termochimica di materiali organici 39

viene ottenuta mediante lapplicazione di calore in assenza di agenti ossidanti (O2). Reazioni radicaliche di cracking, a temperature di 400-800, causano la scissione dei legami delle molecole di partenza, e il riassemblamento successivo e originano, in quantit variabili secondo le condizioni di reazione e della durata del trattamento, un residuo carbonioso solido (char), un liquido nero viscoso (tar) e una miscela gassosa composta sostanzialmente da CO e H2 (syngas). Il processo esotermico, cio dopo l'apporto di calore iniziale si autosostiene, e porta alla formazione di quantit minime anidride carbonica. Processi di pirolisi vengono utilizzati industrialmente per lo smaltimento dei rifiuti, per produrre combustibili solidi, liquidi e gassosi e per la formazione di carboni attivi e intermedi chimici. Se lo scopo del trattamento , per l'immobilizzazione del carbonio per il contenimento dell'effetto serra, dovranno essere utilizzate le condizioni di processo che massimizzino la formazione di char. Le tecniche pi comuni di fast e flash pirolisi utilizzano tempi di residenza inferiori ai due secondi e temperature comprese tra i 350 e i 500 C. Alte pressioni di vapor d'acqua all'interno del forno, inoltre, aumentano la resa in carbone, agendo da catalizzatore (Antal et al. 2003). Come messo in evidenza da Gundale e De Luca (2006), Harris et al. (2007a, 2007b) e da Gaskin et al. (2007), la temperatura di pirolisi e il tipo di materiale usato determinano la formazione di biochar con caratteristiche diverse, tra cui, fra quelle dinteresse agronomico, differenze nelle concentrazioni di nutrienti, nella capacit di scambio cationico (CSC) e nel pH. Il biochar pu essere ottenuto a partire da svariati tipi di residui: stocchi di mais, gusci di noce arachide o karit, lavorazione delle olive, pula di riso, scarti di potatura e di lavorazione del legno, letame e pollina. Con opportune condizioni di pirolisi, dalla biomassa si ottiene, oltre al biochar, syngas combustibile, in cui si ritrova circa il 50% del carbonio iniziale (Lehmann 2007).

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Figura 10: Ciclo di produzione del biochar (Lehmann 2007)

Questo pu essere utilizzato, oltre che per ottenere gas tecnici come l'idrogeno, come fonte di energia per avviare una nuova pirolisi (il processo, una volta iniziato, esotermico), per essiccare le biomasse fresche da avviare a pirolisi o come combustibile per scopi diversi. In questo modo, la carbonificazione una tecnologia a bilancio negativo del carbonio (carbonnegative) in quanto solo met del carbonio assorbito dalla biomassa viene reimmesso in atmosfera, mentre la parte rimanente viene immobilizzata nel suolo ed ha un'altissima stabilit.

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Figura 11: Ciclo del carbonio in un sistema fotosintetico, carbone neutral (immagine di destra), confrontato con un ciclo del carbonio dove la biomassa vien sequestrata come

Con la combustione ossidante dei vegetali nelle centrali a biomassa, al contrario, quasi tutta la CO2 viene restituita all'atmosfera per la produzione di energia, determinando un bilancio pressoch in pareggio, se non viene prodotta CO2 durante la coltivazione della biomassa. Anche l'interramento dei residui colturali tal quali porta a una degradazione pressoch totale della sostanza, con liberazione del 100% del carbonio in atmosfera, ma in questo caso tutta l'energia contenuta nella biomassa viene persa. Per produrre la stessa quantit di energia persa si dovranno quindi utilizzare altre fonti, e nel caso si utilizzassero combustibili fossili, si avrebbe per unaltra liberazione di CO2. Altre fonti di energia rinnovabile, come il solare, l'eolico, il geotermico o l'idroelettrico, che non comportano emissioni di CO2, non consentono comunque di sequestrare anidride carbonica dall'atmosfera, rappresentando sistemi carbon-neutral. Solo la produzione di energia dalla pirolisi di biomasse e l'interramento del biochar prodotto, rappresenta una tecnica a bilancio negativo del carbonio; inoltre il riutilizzo dei residui anzich la coltivazione di piante a rapida crescita per la produzione di 42

biochar ed energia, eviterebbero la competizione con la produzione di derrate alimentari. Il biocarbone potrebbe conferire al terreno un notevole miglioramento delle qualit agronomiche, come sembrano indicare i suoli antropogenici ricchi di materiale carbonioso denominati terra preta. La capacit di scambio cationico (CSC) aumenta a causa dell'ossidazione della superficie del biochar, su cui, a differenza che sulle particelle di suolo, si pu evidenziare un alto rapporto O/C (Brodowski et al., 2005). Nonostante la recalcitanza e il lungo tempo di persistenza delle particelle carboniose nel suolo, le loro propriet non sono immutabili, ma si modificano nel tempo. Si assiste, infatti, alla formazione di gruppi funzionali fenolici e carbossilici, che conferiscono alle superfici delle cariche pH-dipendenti (Cheng et al., 2008). Allo stesso modo della sostanza organica, il biochar quindi in grado di trattenere notevoli quantit di cationi scambiabili, grazie anche alla sua elevata porosit e al conseguente altissimo rapporto superficie/volume. Secondo Lehmann et al. (2003) nei terreni antropogenici amazzonici, che contengono una gran quantit di nutrienti scambiabili, questi non subiscono lisciviazione, fornendo una spiegazione alla loro prolungata fertilit. Anche apportando azoto come fertilizzante, questo non viene dilavato ma rimane disponibile per le piante. Il pH del terreno subisce un incremento, a causa delle sostanze basiche contenute nel biochar; in suoli acidi viene quindi migliorata l'abitabilit da parte delle piante, che trovano maggior disponibilit di fosforo e minore di alluminio, fitotossico. Alcuni tra gli stessi cationi che conferiscono alcalinit al terreno, come calcio e potassio, sono anche dei nutrienti importanti, e si trovano in forma facilmente scambiabile (Chan et al., 2007; Yamato et al., 2006). Con l'ossidazione delle superfici, per, in breve tempo si formano numerosi gruppi funzionali acidi, che abbassano nuovamente il pH e possono incrementare la quantit di alluminio disponibile (Cheng et al., 2006). Il biochar conferisce inoltre struttura al terreno, e anche in terreni pesanti argillosi, che danno croste superficiali o che presentano problemi di eccessiva sodicit, ne migliora le propriet meccaniche diminuendone la

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forza di trazione (Chan et al., 2007), mentre solo aggiunte di quantit consistenti di biochar aumentano significativamente la capacit di campo e la capacit di ritenzione idrica (Chan et al., 2007; Gaskin et al. 2007). Grazie ai miglioramenti del suolo dovuti all'interramento di biochar, le rese agricole possono diventare molto maggiori (Nishio, 1996; Hoshi, 2001; Lehmann et al., 2003; Amata et al., 2006; Chan et al., 2007; Rondon et al., 2007). Una maggior fertilit si traduce inoltre in una maggior efficienza fotosintetica, in un maggior sviluppo della biomassa e quindi in un maggior sequestro di carbonio e, se la biomassa viene infine utilizzata per produrre biochar, il ciclo si autoalimenta. Un fattore limitante potrebbe essere per rappresentato dalla quantit di azoto disponibile (Chan et al., 2007). Il biochar ha, infatti, normalmente un rapporto C/N molto alto (intorno a 200), ma facendo opportune fertilizzazioni con azoto ammonico o ureico, questo potrebbe essere trattenuto e reso disponibile alle piante grazie all'elevata CSC. anche ipotizzabile una miscelazione alle biomasse in fase di pirolisi di ammoniaca (prodotta con l'idrogeno proveniente dalla pirolisi stessa, Day et al., 2004) o derivati (carbonato dammonio, idrazina, idrossilammina, urea) in modo da far depositare sali d'ammonio nei micropori del biochar (Bimer et al., 1998) oppure lutilizzo di sostanze organiche proteiche come materia prima della pirolisi. Dalla caseina, per esempio, possibile ottenere un biochar con oltre il 9% di azoto ed elevata porosit (Purevsuren et al., 2003). Peraltro, secondo Rondon et al. (2007) la capacit di fissazione biologica dell'azoto da parte di Rhizobium simbionti con leguminose (nel caso citato: Phaseolus vulgaris L.) viene incrementata dall'addizione di biochar nel suolo, costituendo un'ulteriore potenzialit di fertilizzazione dei terreni agrari. I cambiamenti nelle propriet chimico-fisiche del suolo ammendato con biochar determinano, infatti, mutamenti anche nell'ecosistema suolo; la disponibilit di nutrienti e l'elevata porosit creano degli habitat, dove i batteri terricoli e le ife fungine possono crescere al riparo dai predatori, consentendo lo sviluppo di efficienti simbiosi micorriziche (Nishio, 1996; Yamato et al., 2006; Warnock et al., 2007).

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In sostanza, a fronte di un aumento delle rese agricole, l'impiego del biochar comporta un apporto netto di nutrienti, una minore lisciviazione e il miglioramento della fertilit biologica, consentendo un minor impiego di concimi chimici, con minori spese per gli agricoltori e minor impatto sull'ambiente, minor consumo di risorse ed energia. La capacit di incrementare il pH del suolo, come altre propriet, dipende dalla temperatura cui stato ottenuto il biochar: pirolisi ad alta temperatura (800C) porta alla produzione di un biochar molto basico, in quanto vengono concentrati gli ossidi di Calcio, Potassio e Magnesio, poco volatili. Questo biochar risulta, tuttavia, povero in composti come NH4+ e PO43-, che volatilizzano a temperature inferiori (Gundale e De Luca, 2006). Attualmente le coltivazioni basate sulla sostenibilit ambientale e il rispetto dell'ambiente, si basano sull'utilizzo di compost, la cui produzione rilascia per una notevole quantit di CO2 in atmosfera (Harris e Hill, 2007). Finora stata considerata la mitigazione dell'effetto serra dovuto all'utilizzo del biochar soltanto in quanto sink in grado di immagazzinare carbonio. Come ricordato in precedenza, un altro importante gas sera lN2O, che ha un effetto 296 volte maggiore a quello della CO2 (IPCC, 2001) e viene originato principalmente dalla denitrificazione dei suoli in condizioni anaerobiche. Secondo Yanai et al. (2007), applicazioni di biochar riescono a ridurre lo sviluppo di N2O in terreni sottoposti a sommersione, dove normalmente si ha denitrificazione. Questo effetto non sarebbe dovuto a un'inibizione dei batteri denitrificanti causata dalla composizione del biocarbone, ma probabilmente alla sua struttura altamente porosa, in grado di equilibrare efficacemente aria e acqua tra macropori e micropori. Anche con elevate quantit d'acqua trattenuta, evidentemente c' ancora sufficiente aria nel terreno da contenere l'emissione di N2O. Un'ulteriore propriet del black carbon originato da combustioni di vario tipo e depositato nei sedimenti, e quindi anche del biochar, che ha una struttura analoga, consiste nella capacit di adsorbire e trattenere inquinanti persistenti e cancerogeni, in particolare quelli a struttura planare come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), proteggendo quindi gli organismi

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dalla bioaccumulazione (Koelmans, 2005). Secondo Chai et al. (2007), il desorbimento degli inquinanti dai sedimenti risulta rallentato anche da piccole quantit di black carbon, a causa della sua notevole capacit adsorbente e della sua ridotta velocit di diffusione. Questo fatto apre interessanti prospettive per l'utilizzo del biochar anche negli interventi di ripristino ambientale. A fronte del grande numero di studi che confermano l'efficacia del biochar, c da sottolineare come la fase di sperimentazione sia in una fase iniziale transitoria, dove i numerosi studi sono stati verificati in campo in climi tropicali e in condizioni controllate di laboratorio. Si presenta, quindi, la necessita di proseguire la sperimentazione in climi temperati valutando, come le molteplici condizioni dinamiche, influenzino lazione del biochar. Una spinta definitiva sia per lutilizzo che per la sperimentazione potrebbe venire dagli incentivi previsti dai trattati internazionali sulla riduzione dei gas serra in atmosfera, con l'inclusione di questa tecnica nel sistema di mercato delle quote di carbonio. Per fare ci necessaria per una quantificazione precisa del carbonio che pu essere sequestrato (Lehmann et al., 2006) e sono quindi necessari ulteriori studi sulla stabilit del biochar e sulle sue interazioni con gli altri componenti del suolo e con l'ambiente circostante.

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3.2 Propriet fisiche del biochar

3.2.1 Struttura del Biochar

In termini di struttura chimica, il biochar pu essere considerato come un composto altamente aromatico, contenente pile di strati grafitici allinterno, disposte in maniera casuale. Le caratteristiche fisiche del biochar dipendono non solo dalla materia organica di partenza, ma anche dai sistemi di carbonizzazione o pirolisi, con cui il biochar viene prodotto, incluse tutte le operazioni pre e post trattamento della biomassa e del biochar. Gi nel 1951, Franklin aveva osservato che la struttura del biochar era dipendente dalla temperatura di carbonizzazione e dalla biomassa di partenza. Il grado di alterazione delle strutture originali della biomassa, attraverso riarrangiamenti microstrutturali, attriti e formazione di fratture, dipendono principalmente dalle condizioni dei processi a cui essa esposta. Dato che biochar un termine usato per indicare solidi ad alto contenuto di carbonio formatisi come risultato di un processo di pirolisi della materia organica, tale materiale pu essere originato da una vasta gamma di biomasse. La struttura originale di partenza di molti tipi di biomasse rimane anche nel biochar prodotto (Laine et al, 1991; Wildman e Derbyshire, 1991) e ha un influenza determinante sulle propriet fisiche e sulle caratteristiche strutturali. Durante i processi di pirolisi, vi una perdita di massa (principalmente composti organici volatili) e un restringimento

disomogeneo di volume. Quindi, durante le conversioni termiche, lo scheletro di carbonio e i minerali formatisi conservano una porosit rudimentale e la struttura originale del materiale. La struttura cellulare di origine, che pu essere identificata nel biochar prodotto, contribuisce alla maggior parte della macroporosit presente (Wildman e Derbyshire, 1991). Anche la composizione chimica della biomassa di partenza gioca un ruolo importante sulla natura fisica del biochar prodotto. Fino alla temperatura di

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circa 120 C la materia organica inizia a subire delle decomposizioni termiche che portano alla perdita di umidit chimica. Nellintervallo tra 200C e 260C viene degradata lemicellulosa, la cellulosa tra 240C e 350C e la lignina tra 280C e 500C (Sjstrrm 1993). Pertanto, la proporzione tra questi componenti, influenzer il grado di reattivit e quindi il grado con cui la struttura fisica verr modificata durante i processi termici. Inoltre, da ricordare che presente una frazione di componenti inorganiche (ceneri) che avr implicazioni sulla struttura finale del biochar. Alcune condizioni di processo possono generare fusione o sinterizzazione delle ceneri, che rappresentano il peggior cambiamento nella composizione fisica e strutturale del biochar. I principali parametri di processo da tenere in considerazione durante la pirolisi, a causa del loro stretto legame con le propriet finali del biochar sono: la velocit di riscaldamento, la pi alta temperatura di trattamento (High Temperature Treatment HTT), la pressione, il tempo di residenza delle reazioni, il recipiente di reazione (orientamento, dimensioni, regime di miscelazione, catalisi, ecc.), pre-trattamenti (essiccamento, comminuzione, attivazione chimica, ecc.), la portata delle componenti accessorie (azoto, CO2, aria, vapore ecc.) e post-trattamenti (frantumazione, setacciatura, attivazione, ecc.). Tra tutti questi parametri citati quello da tener in maggior considerazione la HTT in quanto proprio la temperatura ad influenzare maggiormente i cambiamenti fisici fondamentali che avvengono nella materia (rilascio di volatili, formazione di intermedi sciolti e rilascio di tali intermedi). Il range di temperatura cui avvengono questi fenomeni dipende dal tipo di biomassa. (Lua et al., 2004)

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3.2.2 Influenza della struttura molecolare di partenza sulla morfologia del Biochar

La struttura molecolare di partenza del biochar ne determina sia larea superficiale, che la porosit. I materiali solidi carboniosi contengono al loro interno particelle cristalline (cristalliti) con diametri dellordine dei nanometri, composte da strati simili a quelli della grafite, ma non allineati (Warren et al., 1942). Attraverso le diffrazione a raggi X stato possibile osservare che la struttura del biochar in generale amorfa, ma con allinterno alcune strutture cristalline (Quadeer et al., 1941) formate da componenti aromatici altamente coniugati. Le aree cristalline possono essere visualizzate come pile di fogli di composti aromatici con collegamenti incrociati di tipo casuale. Come la grafite tali strutture sono buoni conduttori nonostante le loro piccole dimensioni (Carmona e Delhaes, 1978). Perci le microcristalliti sono spesso chiamate fase conduttiva. Le altre parti non conduttive che completano la struttura del biochar sono composti organici alifatici e aromatici di struttura complessa (compresi residui volatili) e componenti inorganici (ceneri inorganiche) (Emmerich et al., 1987). Tale struttura completata da spazi vuoti presenti nei pori (macro, meso e micro pori) e da fratture e morfologie delle cellule della biomassa di origine. Il processo di pirolisi allarga le cristalliti e favorisce un loro ordinamento spaziale. Temperature di trattamento sempre pi elevate incrementano ulteriormente queste caratteristiche (Lua et al. nel 2004).

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3.2.3 Area superficiale dei suoli e biochar

La forma, le dimensioni e il numero delle particelle solide determinano la superficie specifica, che una caratteristica molto importante per un suolo, dato che influenza tutti gli aspetti legati alla fertilit dello stesso, come contenuto dacqua e daria, cicli dei nutrienti e attivit microbica. La definiamo come: = =

dove S la superficie del granulo, M la massa, V il volume e la densit. Ad esempio la bassa capacit dei suoli sabbiosi di trattenere acqua e nutrienti parzialmente collegata alla bassa superfice specifica di tali suoli (Throe e Thompson, 2005). Le sabbie grossolane hanno una superficie specifica molto bassa (circa 0,01 m2/g), mentre le sabbie fini hanno una superficie specifica pi alta (circa 0,1 m2/g). Le argille si aggirano su valori che vanno dai 5 m2/g della caolinite a 750 m2/g della Na-Montmorillonite. I suoli contenenti unampia frazione di argille potrebbero avere unampia capacit di trattenere lacqua, ma magari una bassa areazione (Throe e Thompson 2005). Alti contenuti di materiale organico si sono dimostrati risolutivi per problemi sia di bassa ritenzione idrica nelle sabbie che di eccessiva ritenzione nelle argille (Throe e Thompson 2005). Esistono indicazioni su come il biochar potrebbe migliorare la qualit dei suoli dando molti pi benefici di una semplice aggiunta di materiale organico (Chan et al., 2007). La superficie specifica del biochar risulta essere pi alta di quella della sabbia e comparabile o pi alta di quella delle argille, di conseguenza produrr, quando aggiunto come ammendante, un netto incremento nella superficie specifica dei suoli. E da sottolineare che secondo esperimenti svolti sia in campo che in laboratorio, la massa microbica del suolo incrementa con laumento del contenuto di argille (Amato and Ladd, 1992;

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Juma, 1993; Muller and Hoper, 2004), e questa risposta associata allaumento dellarea superficiale (Juma, 1993).

La vasta area superficiale aumenta, anche, le capacit adsorbenti in grado di assorbire molti tipi di sostanze, attraendo le molecole nella loro superficie interna. Chiaramente la distribuzione e la dimensione dei pori sono i fattori che influiscono e determinano questo meccanismo. I micropori (diametro < 2nm) influiscono molto sullarea superficiale del biochar e sono responsabili dellalta capacit di adsorbimento di molecole di piccole dimensioni come gas e comuni solventi (Rouquerol et al., 1999). Per quanto concerne questa trattazione chiameremo micropori i pori con diametro minori di 2 nm, mesopori i pori con diametri compresi tra 2 nm e 50 nm e macropori i pori con diametro superiore a 50 nm. stato dimostrato che alte temperature e alti tempi di ritenzione durante le produzione di biochar tendano a generare un alto numero di micropori. Ci stato provato da Zhang et al. nel 2004: considerando un biochar prodotto da gusci di granturco, si nota che la frazione di porosit dovuta ai micropori superiore se il carbone preparato a 800C piuttosto che a 700C. Larea superficiale aumenta in generale allaumentare della temperatura fino a quando non si raggiungono temperature tali da innescare reazioni di deformazione che creano un decremento dellarea superficiale (Brown et al., 2006). I macropori invece svolgono sia funzioni di aerazione e funzioni idrologiche (Throe e Thompson, 2005), ma anche un ruolo rilevante nel movimento delle radici delle piante nel suolo e sono lhabitat di uno svariato numero di microrganismi. I microrganismi che utilizzano pori del suolo come habitat hanno dimensioni variabili in genere tra 0.5 m a 5 m e consistono principalmente in batteri, funghi, actinomiceti e licheni (Lal, 2006). Le dimensioni dei macropori del Biochar risultano essere ideali per ospitare fauna microbica di queste dimensioni (Lal 2006).

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3.3 Propriet nutrienti del Biochar e i loro miglioramenti nel suolo3.3.1 Introduzione

Le propriet fisiche del biochar sono alla base del suo uso come strumento di controllo ambientale. Tali propriet possono essere direttamente o indirettamente correlate alle modifiche che il biochar induce nei suoli. I suoli hanno, in generale, delle loro propriet dipendenti principalmente dalla natura dei minerali e della frazione organica, oltre che dal loro rapporto e dal modo con cui esse sono associate. (Brady e Weil, 2008). Una volta addizionato il biochar a un suolo, esso influisce significativamente sulle propriet del sistema, influenzandone la profondit, la tessitura, la struttura, la porosit e la consistenza attraverso il cambiamento dell area superficiale apparente, la grandezza e la distribuzione dei pori e la densit. Laddizione di biochar al suolo potrebbe avere un impatto diretto sulla crescita delle piante, dato che la disponibilit di aria e acqua nella zona di crescita delle radici sono principalmente collegate alle propriet fisiche degli orizzonti del suolo. La presenza di biochar, influenzando le caratteristiche fisiche del suolo, potrebbe influenzare anche laffinit del suolo con lacqua, la sua aggregazione e la permeabilit, nonch la capacit di ritenzione dei cationi e la sua risposta ai cambiamenti di temperatura. Inoltre vari aspetti di natura biologica, circa la fertilit del suolo, possono essere collegati a tali propriet fisiche (Brady and Weil 2008). Nonostante il recente interesse circa limpiego del biochar in agricoltura, il suo utilizzo in realt ancora limitato. In termini di sviluppo del mercato, se il biochar potesse essere usato come additivo per aumentare la qualit del suolo e incrementare la produttivit, vi sarebbe sicuramente un crescente interesse verso il suo utilizzo (Day et al., 2004). A tal proposito uno dei punti di forza del biochar proprio il suo valore dal punto di vista dei nutrienti, forniti direttamente o indirettamente per via del miglioramento della qualit del suolo, che potrebbe diminuire luso di fertilizza