tesi - la musica congelata di un elemento

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Questa è la mia personale ricerca sull'architettura ed in particolare su di un imprescindibile elemento che ne segna il limite fisico e percettivo. Lo Spigolo fa parte di ogni manufatto e con esso l'architettura deve dialogare. Il testo è scaricabile come Creative Commons, e quindi liberamente utilizzabile previa citazione dell'autore.

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LA MUSICA CONGELATA

DI UN ELEMENTO

TESI DI LAUREA DI

MASPERI ALESSANDRO 761568

RELATORE: DORIGATI REMO

CORRELATORE: CORSO RENATO JUAREZ

POLITECNICO DI MILANO AA 2013-2014

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio particolarmente il relatore Dorigati Remo e il correlatore Corso

Renato Juarez per il loro aiuto alla ricerca svolta, ma soprattutto per avermi

dato la possibilità di confrontarmi con loro. Questo credo che mi abbia fatto

maturare sia in campo architettonico che umano.

Ringrazio Mariagiusi Troisi, mio fratello Francesco Masperi e Marta Cataldi

per l’auto alla stesura e alla revisione del testo.

Ringrazio inoltre De Magistris Alessandro e Scotti Aurora per il consulto bi-

bliografico datomi all’inizio, che mi ha indirizzato il cammino.

Ringrazio specialmente e con riconoscenza tutte le persone che direttamente

o indirettamente hanno contribuito alla mia formazione e quindi sono state

coinvolte alla formulazione della tesi, in particolar modo a tutte quelle che in

maniera non accademica mi hanno ispirato, informandomi, quindi forman-

domi.

In ultimo, non ringrazio, ma dedico con amore questo lavoro alle due perso-

ne a me più care, che hanno praticamente permesso tutto questo, suppor-

tandomi senza mai dubitare di questa esperienza. Nel corso di questi quattro

anni sono state essenziali, senza di loro non potrei essere felice.

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INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE: La percezione, ovvero come si riconosce un elemento

LA SCATOLA: Le caratteristiche di un solido

IDEA DELLO SPAZIO: Un punto di vista

SENSAZIONI NELLO SPAZIO: Un diverso punto di vista

L’ELEMENTO: Lo spigolo nell’Architettura

IMMAGINI AGGIUNTIVE

CITAZIONI

BIBLIOGRAFIA

INDICE DELLE IMMAGINI

3

13

23

33

41

57

79

81

83

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PREFAZIONE

Questa tesi non è stata concepita con il fine di proporre una visione ogget-

tiva di un fatto e per quanto la stesura mi abbia coinvolto, non può essere

ritenuta esauriente. La musica congelata di un elemento parla di architettura,

in particolare di un elemento di essa: lo Spigolo, imprescindibile limite fisico

e percettivo con il quale nella storia l’architetto ha dovuto dialogare produ-

cendo, a volte, risultati magistrali.

Le parole che seguono potrebbero essere considerate come il risultato di

un’esperienza, ma in realtà credo che siano l’inizio di una ricerca persona-

le e per questo non ho la pretesa di dichiarare una verità. Esse sono state

precedute da uno studio bibliografico che ha messo le basi sulle quali ho

strutturato il testo, che spiega dal mio punto di vista la genesi e l’evolversi e

le possibili suggestioni di questo personale ‘fundamental‘.

Più che un trattato quello che leggerete è un “flusso di coscienza”, come tale

va letto, è inoltre un tentativo di sviluppare un ragionamento, il più possibile

chiaro e coerente che è anche stato la base sulla quale ho voluto progettare

una cappella laica, simbolo di un legame che ho con luogo per me sacro. Il

progetto ho scelto di escluderlo dalla tesi scritta perché ritengo siano due

ricerche differenti anche se consequenziali.

Sebbene tutto il contenuto sia stato revisionato più volte, potrà presentare

degli errori o inesattezze, per questo mi scuso in anticipo.

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INTRODUZIONE

La percezione, ovvero come si riconosce un elemento

CAPITOLO I

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Ogni architettura ha un limite, sia che lo si intenda come limite fisico, cioè

dove termina, sia come limite percettivo. La possibilità di vedere un ma-

nufatto architettonico nella sua interezza dà la sensazione di poter cogliere

appieno la struttura, la forma, la composizione.

In prima analisi tutto ciò che vediamo basta per una elaborazione critica del

gusto dell’autore. I particolari possono far perdere il senso generale del pro-

getto e quindi la sostanza.

Se da una parte questo è giusto nel senso che è imprescindibile guardare l’ar-

chitettura ad una scala generale (piccola), dove addirittura il contesto è parte

di essa, dall’altra è una pratica oramai troppo comune e sopravvalutata. Con

l’immediatezza dei motori di ricerca si hanno quantità d’immagini che ai no-

stri occhi paiono sufficienti per la comprensione/analisi architettonica. Dico

“paiono“ perché alla quantità d’informazioni che si trovano non corrisponde

una varietà, ne tantomeno una qualità, di fatto le fotografie in rete sono per

la maggior parte uguali e mostrano un solo lato di un oggetto il quale solita-

mente è ben più complesso.

Per esempio vengono raramente visualizzati i dettagli o gli elementi che sem-

brano di contorno ma che a mio parere sono necessari per <<parlare archi-

tettura>>1.

Tali elementi possono appartenere a varie scale come quella urbana, di det-

taglio o più comunemente architettonica, ma per tutte c’è un termine in

comune, lo Spigolo, che le conclude, ma soprattutto che funge da giuntura.

Esso unisce e crea le relazioni con gli elementi circostanti.

Come si riconosce questo elemento? Parlando dello spigolo di un edificio

si può semplicemente dire che coincide con il punto dove si interrompe la

facciata, il materiale cambia forma e l’ombra ne accentua la consistenza. Con

la mancanza di visuale può anche creare una tensione con il contesto origi-

nando curiosità, paura, incertezza, sorpresa.

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La composizione della facciata può cambiare secondo l’importanza dell’af-

faccio, e questo elemento fungere da colla tra le due parti.

Non è solo questa la caratteristica però, nella storia dai greci fino a Mies van

der Rohe è stato interpretato e progettato molte volte. Per primi, i greci, si

sono interrogati su come dovesse terminare il triglifo d’angolo nei templi.

Questo problema chiamato “conflitto angolare nell’ordine dorico“ ha assillato

tra il VII e il VI secolo a.C. gli architetti, i quali modificarono continuamente

la soluzione, prova del fatto che era rilevante per la disposizione della faccia-

ta e l’armonia dell’intero tempio.

<<A corner is a corner is a corner, avrebbe detto Gertrude Stein scrivendo di

quell’elemento architettonico che materializza alla lettura il più astratto e

allo stesso tempo semplice dei sistemi, quello cartesiano>>2.

Corner significa angolo, cantone, è la parte di piano compresa tra due semi-

rette uscenti da uno stesso punto. Estensivamente può assumere significato

di luogo appartato o nascosto, parte remota3.

Nonostante riferimenti allo spazio nell’architettura credo si debba far riferi-

mento più precisamente allo spigolo, perché essendo definito (dal dizionario

etimologico Devoto-Oli) linea di intersezione di due superfici considerata

dalla parte in cui si presenta acuta e sporgente; in esso sono presenti le

caratteristiche di base di un OGGETTO TRIDIMENSIONALE, e quindi ha un

VALORE SPAZIALE più forte (fig. 1).

Al contrario degli angoli gli spigoli sono l’esterno di un oggetto. Interagis-

cono con il contesto quasi intromettendosi in uno spazio. Hanno la peculi-

arità di crearlo lo spazio e non di esserlo come invece l’angolo è, se visto in

planimetria.

L’angolo, vissuto in prima persona, dà controllo visivo a chi lo possiede,

dà sensazioni di potere. Da ciò ne deriva sicurezza mentale e data la con-

formazione chiusa (introversa) rassicura anche fisicamente.

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Fig. 1

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Mi sono brevemente dilungato a spiegare il mio parere riguardo la termino-

logia perché ho sentito la necessità di chiarire delle sfaccettature, forse un

po’ tediose, con le quali progettando si può dialogare.

Di fatto <<senza una lingua, non si parla. Anzi, com’è noto, la lingua ci parla

nel senso che offre strumenti comunicativi in mancanza dei quali l’elabora-

zione stessa dei pensieri sarebbe preclusa>>4.

Precisamente la descrizione è indicata a ricreare sensazioni, che altrimenti

non potrebbero essere espresse, o meglio, la descrizione scritta aumenta l’ef-

ficacia del disegno (fotografia o immagine), benché rimane, a mio avviso, il

mezzo di comunicazione principale, più diretto ed efficace.

Scrive J. N. L. Durand in Lezioni di architettura nel paragrafo intitolato Seguito

dell’introduzione, di come studiarla l’architettura. In una parte parla specifi-

catamente di quali disegni sono necessari per apprenderla: <<per presen-

tare l’idea completa di un edifico, bisogna fare tre disegni, che si chiamano

pianta, sezione, alzato: il primo rappresenta l’edificio secondo la direzione

orizzontale, il secondo la sua disposizione verticale o la sua costruzione, il

terzo infine, che non può essere che il risultato dei primi due, rappresenta il

suo aspetto esterno>>5 (fig. 2). La peculiarità di questa rappresentazione sta

nel fatto che la parte considerata è la zona terminale. Durand ha scelto di

disegnare la porzione estrema di questi fantomatici edifici, perché è il nodo

attorno al quale ruota la geometria della pianta, la composizione della fac-

ciata e la statica strutturale, che qui assume più coerentemente significato di

tettonica.

L’architettura ha attribuito allo spigolo funzione portante, per secoli la pre-

senza era necessaria e ha prodotto notevoli risultati. <<Si osservi il convento

dei Filippini ideato da Borromini; il blocco enorme, smembrato in settori

funzionali rispetto agli spazi interni e alla città. Fronte concavo, che risucchia

il mondo esterno; a sinistra, un angolo supremo, il più straordinario della

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Fig. 2

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storia dell’architettura, adesca nella stradina laterale; lunga parete opaca,

con bucature quasi episodiche, dissonanti; giunti a piazza dell’orologio, lo

slargo urbano stimola l’edificio ad elevarsi in una torre, sollecitando il cielo

con arabeschi lineari di ferro battuto>>6.

Quando questo elemento non viene più percepito come necessario e nuo-

vi materiali vengono sperimentati, la sua presenza statica ed estetica vie-

ne messa in discussione, elaborando nuovi codici, portatori di nuovi valori

<<nella formulazione del nuovo linguaggio architettonico, in cui si evidenzia

il tema della discontinuità [...]. Ad esempio, la rottura della scatola muraria di

Wright parte dall’idea dell’architettura come volume chiuso che viene aperto

e lacerato: si contrapponga la Winslow House a scatola chiusa alla Thomas

Gale o alla Ingalls House.

Infrangere la scatola, è questa la ricerca sistematica e la vittoria di Wright:

evento catastrofico determinante all’interno del nuovo linguaggio architet-

tonico.

Liberarsi della schiavitù delle mura attaccate ad angolo retto.

Egli stesso descrive il processo di disgregazione, di annullamento dell’involu-

cro scatolare per giungere all’interpretazione spaziale tra interno ed esterno;

Wright risolve i quesiti che la poetica neoplastica andava enunciando.

<<Penso di aver inizialmente pensato ‘consciamente‘ di cercare di abbattere

la scatola nel Larkin Building. Trovai uno sfogo naturale alla liberazione che

cercavo quando dopo una lunga battaglia finalmente spostai la torre con le

scale fuori dagli angoli dell’edificio principale e la resi indipendente con ca-

ratteristiche individuali -scrive Wright...- Questo bisogno di ‘caratteristiche‘,

l’avevo sentito molto presto nella mia vita di architetto [...]. Ora cercherò

di mostrarvi perché l’architettura organica è l’architettura della libertà de-

mocratica. Diciamo che questa è la vostra scatola, ciò che voi vedete è il

quadrato imballaggio del contenimento. Non ho mai avuto l’ambizione di

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essere un ingegnere, ma ne sapevo abbastanza di ingegneria per sapere che

gli angoli esterni di una scatola non erano dove i suoi più economici supporti

dovevano essere se intendi fare un edificio. Il supporto economico deve es-

sere invariabilmente trovato ad una certa distanza da ogni lato. Mettendo dei

supporti a questi punti si crea una breve travatura agli angoli che diminuisce

la luce effettiva e lascia l’angolo libero e aperto per qualsiasi distanza si scel-

ga. Ad ogni modo gli angoli spariscono sia che si scelga di lasciar entrare lo

spazio sia che si scelga di lasciarlo uscire. Invece di una costruzione di travi e

pilastri, il solito edificio a scatola, si ha ora per mezzo della travatura e della

continuità un nuovo senso di costruzione. In questo semplice cambiamento

di pensiero sta l’essenza del cambio architettonico dalla scatola al piano libe-

ro e la nuova realtà che è spazio invece di oggetto. Da questo momento in

poi bisogna parlare di architettura organica, invece che di architettura classi-

ca [...].>> (An American Architecture, New York, pp. 76)>>7.

Altre esperienze vengono compiute più tardi prima nel progetto per una Casa

di campagna in mattoni (1924) o poi nel padiglione di Barcellona (1928-29)

da Mies van der Roheche in questi due casi, <<ripercorrendo la strada del

razionalismo, impone un ulteriore rottura alla scatola di Wright>>8.

<<Il linguaggio architettonico di Mies si forma sui modelli della poetica De

Stijl>>9 e sulla “poetica De Stjil” circolano pensieri molto significativi riguar-

do la visione e il disegno della scatola e dei suoi estremi.

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LA SCATOLA

Le caratteristiche di un solido

CAPITOLO II

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<<Ci sono due concezioni del mondo: una antica e una nuova>>10

Così il gruppo De Stijl aprì nel novembre 1918 l’omonimo manifesto che

aveva come obiettivo la combinazione organica dell’architettura, della scultura

e della pittura in un modo costruttivo, lucido, non sentimentale, fatto per

elementi. I firmatari (Theo van Doesburg, Robt van’t Hoff, Vilmas Huszor,

Antony Kok, Piter Mondrian, G. Vantangerboo, Jon Wils) erano convinti che

la tradizione, così come la si interpretava, era da disfare, bisognava lottare

contro l’individualismo e ogni forma di accademismo che limitasse la ca-

pacità creativa. Di simili vedute era anche il Bauhaus di Gropius, che nel

1919 veniva fondato a Weimar grazie all’unione della Scuola d’arte applicata

(Kunstgewerbeschule) e l’Istituto superiore di Belle Arti (Kunstakademie). Le

due esperienze non erano distanti, anzi sempre nel 1919 Bruno Taut e Theo

van Doesburg si incontrarono a Berlino per un confronto, dal quale nacque

l’intento di creare un corso attorno al De Stijl, che tuttavia si concretizzò solo

nel 1922.

Intanto anche gli Stati Uniti d’America, specialmente New York e Chicago,

sviluppano una loro forma architettonica, che però stenta a diventare un

linguaggio codificato. Esempio di notevole importanza è il concorso bandito

nel 1922 dal quotidiano Chicago Tribune perché fu la prima occasione di

confronto per gli architetti europei ed americani ai quali si offrì <<una pos-

sibilità di concentrare l’attenzione su aspetti formali e di creare un prototipo

per la “rivalutazione estetica“ delle città americane>>11. Si conclude con la

costruzione di un grattacielo che anche se di concezione strutturale moderna

presenta una facciata neogotica con guglie e archi rampanti.

Passato il periodo di crisi postbellico, van Doesburg sette anni dopo il mani-

festo scrisse i principi fondamentali dell’architettura neoplastica, con i quali

tende a strutturare un metodo per una migliore elaborazione dell’architet-

tura. Con quest’ultimo postulato egli afferma nuovamente la necessità di

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un’identità propria, scissa dalla storia e come <<convergenza di tutte le arti

plastiche>>12. Questo in ambito europeo si differenziava dalla dialettica di Le

Corbusier che alla progettazione offre soluzioni derivate in parte dallo studio

delle proporzioni umane. A tal proposito Bruno Zevi afferma che van Does-

burg esprime un processo e Le Corbusier offre degli elementi. <<Ne deriva che

il manierismo purista lecorbuseriano è assai più diffuso di quello neoplastico

[...].

In breve, Le Corbusier dice il CHE, Wright il PERCHE’, van Doesburg il COME

dell’architettura>>13.

Parlando del COME in architettura ci si riferisce all’idea di oggetto architetto-

nico (per l’appunto oggetto perché come tale è creato, quindi pensato) che

van Doesburg con i 17 principi regola, dà una serie di risposte a dei problemi

della <<nuova concezione del mondo>>14 dal punto di vista progettuale e

compositivo.

Un passaggio molto interessante si trova nell’undicesimo principio: l’aspetto

plastico: quarta dimensione dello spazio-tempo (fig.3).

Il De Stijl, dice Zevi, è stato l’<<unico tentativo di elaborare un codice per

l’architettura moderna, propugnò un’operazione rigorosa, generalizzabile. Se

il problema consiste nel disfare il blocco prospettico, dobbiamo anzitutto

sopprimere la terza dimensione, decomponendo la scatola, scindendola in

lastre. Non più volumi. Una stanza? No, sei piani: il soffitto, quattro pareti, il

pavimento. Scollando le giunture, emancipiamo i setti, la luce penetra negli

angoli già bui, lo spazio si anima. E’ l’uovo di Colombo, un decisivo avvio

alla libertà architettonica. La cavità rimane cubica ma, così illuminata, appare

completamente diversa.

Prolunghiamo il ragionamento. I setti sono oramai indipendenti, possono

sconfinare dal perimetro della vecchia scatola, estendersi, alzarsi o abbas-

sarsi, valicare i limiti che separavano fin qui l’interno dall’esterno. La casa, la

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17

Fig. 3

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città può trasformarsi in un panorama di lastre blu, gialle, rosse, bianche e

nere, come sognava Mondrian. Smembrata la scatola, i piani non ricompor-

ranno più i volumi finiti, contenitori di spazi finiti; anzi, fluidificheranno gli

ambienti agganciandoli e incastrandoli in un discorso continuo. Alla staticità

del classicismo subentra una visione dinamica, temporalizzata o, se si vuole,

quadridimensionale>>15.

Nell’arte c’è però un precedente: l’avanguardia cubista è la prima corrente

artistica che rompe la convenzione rinascimentale della prospettiva e dà la

possibilità al pittore di vedere un oggetto da varie angolazioni (spazio) e in

diversi momenti (tempo). Trasponendo ciò in architettura, significa che uno

spigolo, o più in generale ogni elemento (un fundamental) può assumere

diverse accezioni. Se il punto di vista cambia l’elemento si può rivelare cavo

all’interno e quindi apparire come una nicchia, oppure, se posto in una giusta

posizione può creare due ambienti e di conseguenza essere percepito come

una parete. Le possibili implicazioni sarebbero molte e varie. Per parlare di

questo approfonditamente bisognerebbe scrivere un libro, l’argomento è

troppo complesso e variegato, però nel capitolo successivo proverò a dare

una breve interpretazione.

Ora faccio un passo indietro. Per spiegare la ‘nascita’ di questo elemento è

necessario astrarre lo spigolo e incominciare a ragionare sul foglio di carta. La

bidimensionalità serve a comprendere meglio il processo di transizione che

porta dalla linea retta alla linea spezzata o angolo (vedi spiegazione differenza

angolo-spigolo di pag. 6), passaggio necessario per la dimensione spaziale.

<<Poiché le linee spezzate sono costituite da linee rette, esse appartengono

alla categoria I [NdA categoria della linea] e vengono collocate nella seconda

sezione di questa categoria B. La linea spezzata nasce dalla pressione di due

forze, nel modo seguente (fig 4).

Le forme più semplici delle linee spezzate sono costituite da due parti e

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19

sono il risultato di due forze che hanno arrestato la propria azione solo dopo

un urto. Ma questo semplice processo crea una differenza importante tra

le linee rette e le linee spezzate: in queste ultime si ha un contatto molto

più intenso con la superficie, la linea spezzata porta già in sé qualcosa che

appartiene alla natura della superficie. La superficie sta nascendo, e la linea

spezzata diventa un ponte. Le differenze fra le innumerevoli linee spezzate

dipendono esclusivamente dall’ampiezza degli angoli, perciò esse possono

essere divise in tre tipi schematici:

- ad angolo acuto 45°

- ad angolo retto 90°

- ad angolo ottuso 135°

Gli altri sono angoli acuti o ottusi atipici e differiscono dai tipici per la mag-

giore o minore ampiezza di gradi. Così, alle tre prime linee spezzate può

essere aggiunta una quarta -una linea spezzata aschematica:

- ad angolo libero

e così questa linea spezzata dovrà essere designata come linea spezzata li-

bera.

L’angolo retto si erge solitario nella sua grandezza e varia solo la sua dire-

zione. Gli angoli retti in contatto tra loro non possono essere più di quattro:

o si toccano con i vertici, e in questo caso si forma una croce, o attraverso

il contatto dei lati divergenti si creano superfici rettangolari -nel caso più

regolare il quadrato.

La croce orizzontale-verticale è costituita da una linea calda e una fredda

-non è altro che la posizione centrata dell’orizzontale e della verticale. Da ciò

deriva la temperatura freddocalda o caldofredda dell’angolo retto- a secon-

da della sua direzione; su questo parlerò più lungamente nel capitolo sulla

superficie di fondo.

L’ulteriore differenza nelle linee spezzate semplici è data dalla lunghezza dei

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20

singoli segmenti -che modificano molto il suono fondamentale di queste for-

me.

Il suono assoluto delle forme date dipende da tre condizioni e varia nel modo

seguente:

- suono delle rette con le variazioni suddette (fig. 5)

- suono dell’inclinazione verso una tensione più o meno acuta (fig. 6)

- suono dell’inclinazione verso una minore o maggiore conquista della su-

perficie (fig. 7)

Questi tre suoni possono formare una pura triade. Ma si può anche usare un

solo suono, o due suoni. Ciò dipende dalla costruzione generale: i tre suoni

non possono essere eliminati completamente, ma uno qualunque di essi può

sovrapporsi agli altri in modo tale che questi possono a stento essere ancora

uditi. Dei tre angoli tipici il più oggettivo, e perciò anche il più freddo, è l’an-

golo retto. Esso divide la superficie quadrata in 4 parti.

L’angolo che ha la massima tensione, e perciò anche il più caldo, è l’angolo

acuto. Esso scompone la superficie quadrata in 8 parti esatte.

Superato l’angolo retto, si indebolisce la tensione in avanti, e la voglia di con-

quista della superficie aumenta in conseguenza. Ma questo desiderio viene

ostacolato dal fatto che l’angolo ottuso non è in grado di dividere esattamen-

te tutta quanta la superficie: esso vi è compreso 2 volte e ne lascia una parte

di 90° non conquistata>>16.

La classificazione di Kandinskij serve a comprendere come sulla superficie di

fondo si possano ottenere diverse sensazioni attraverso l’uso accurato del

colore e delle forme. Ad esso va però inteso che se l’angolo acuto è il più

caldo deriva dal fatto che questi sono gesti realizzati su una superficie ben

definita (la tela) e che oltre ad avere due dimensioni è anche statica, cioè

non può essere ruotata variandone il punto di vista e nemmeno può avere le

caratteristiche di un solido, che nello spazio “vive” e si trasforma, quindi può

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21

Fig. 4

Fig. 7

Fig. 6

Fig. 5

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22

assumere, come ho già detto, accezioni diverse.

Ora vorrei analizzare attraverso le parole di Le Corbusier quello che, secondo

la mia modesta opinione, è tra i tanti l’Angolo per antonomasia: l’ango-

lo retto, attorno al quale gran parte dell’architettura moderna ha costruito

teorie e progetti. Mies van der Rhoe, il movimento De Stijl sia in arte sia in

architettura, la scuola del Bauhaus e Le Corbusier stesso, ne hanno dichiarato

la purezza esaltandone le caratteristiche nelle molte teorie e progetti della

prima metà del 900.

<<L’angolo retto è lo strumento necessario e sufficiente per agire, dato che

serve per delimitare lo spazio con un rigore perfetto>>17, ma non solo, perché

esso ha anche delle caratteristiche peculiari che sin dalla “nascita” lo costrui-

scono, <<la perfezione dell’angolo retto risiede, così, innanzitutto nell’essere

il risultato geometrico dell’incontro, tra la verticale e l’orizzontale, di due

leggi fondamentali: è la legge della gravità quella che produce la verticale,

mentre l’orizzontale è il piano del suolo terrestre o del livello in cui final-

mente le acque trovano stabilità, la linea orizzontale. [...] Il livello orizzontale

delle acque, punto di equilibrio in mezzo alla mutevolezza e instabilità della

natura. E’ questo incontro tra l’appiombo verticale della gravità e quell’oriz-

zontalità ‘livellata’ ciò che conferisce all’angolo retto la sua perfezione:<<...

dell’infinità di angoli possibili, l’angolo retto è l’angolo tipo; l’angolo retto è

uno dei simboli della perfezione>>. Di lì l’esistenza di uno spirito ortogonale,

simbolo del persistente, del terreno fermo su cui poggia la creazione umana,

mentre l’obliquo è sempre l’espressione di ciò che è instabile>>18.

A ciò non si può aggiungere altro, sottolineo solo due aspetti chiave nella

lettura dell’angolo. Il primo è strumento necessario il secondo rigore perfetto,

sono questi che danno alle caratteristiche di un solido la potenza per far di-

ventare maestosa l’Architettura.

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IDEA DELLO SPAZIO

Un punto di vista

CAPITOLO III

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Cambiato il punto di vista la percezione dello spazio, fino a poco prima chia-

ramente avvertito, cambia; nella fattispecie ci muoviamo in tre direzioni e le

variazioni sono continue. Quest’utilizzo dello spazio “totale” dà la possibilità

di vivere un ambiente in diverse situazioni. Da ognuna di esse si ha un punto

di osservazione che permette differenti letture del luogo abitato, di ciò che ci

circonda ma soprattutto ci orienta permettendoci di riconoscere ed associare

gli elementi che compongono il paesaggio ad una immagine conosciuta.

<<Perspectiva è una parola latina, significa vedere attraverso>>19.

La riflessione in questo senso può cominciare già dal disegno su carta, o

meglio, da <<una finestra, attraverso la quale noi cerchiamo di guardare lo

spazio>>20, perché dopo aver geometricamente codificato la prospettiva nel

rinascimento oggi siamo decisamente istruiti a capire un disegno con la 3°

dimensione, la profondità. Con questo intendo dire che avendo acquisito le

conoscenze tecniche per rappresentare ciò che vogliamo possiamo anche

capire meglio come lo spazio si articola.

La conoscenza, intesa come consapevolezza e comprensione dei fatti, dà la

possibilità di ottenere, attraverso l’esperienza, le informazioni necessarie per

interpretare un fenomeno (dal greco phainomenon -ciò che è manifesto, vi-

sibile).

Questa interpretazione però non è rigida, univocamente riconoscibile. Lo

esemplifico con un fatto: guardando il Cubo di Necker (fig. in copertina del

capitolo) ci si rende conto che i nostri sensi possono essere illusi. In realtà

secondo gli studi della Gestalt (die gestalt significa figura, forma, configura-

zione), la figura può essere vista secondo tre diversi punti di vista: il primo

e meno comune suggerisce una lettura bidimensionale; quindi noi vediamo

serie di linee che formano figure geometriche semplici come triangoli, rombi

e trapezi. La seconda e la terza sono molto simili e indicano la presenza di un

cubo ma in due posizioni diverse. L’interpretazione è soggettiva, ma in ogni

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26

modo giusta sia che lo si veda con la faccia superiore rivolta verso di noi sia

che la si veda nascosta.

Analogamente lo spazio tridimensionale può essere avvertito in maniere di-

verse, <<l’ambiente fisico, sociale, produttivo, è un principio attivo che in-

fluenza la persona, costruisce la sua coscienza; e siccome vi è diversità da

persona a persona, l’ambiente e la persona determinano un comportamen-

to>>21.

Così lo spettatore interpreta Giulio Paolini che compone <<delle tele giu-

stapposte a segnare l’angolo di un ambiente, inteso come elementare pun-

to di origine di uno spazio – sviluppa le più diverse configurazioni ottiche,

mettendo in gioco lo scarto tra il presupposto logico – il dato elementare e

razionale – e la complessità illogica e mutevole della percezione>>22 (fig. 8).

Interpretabile in questo senso è anche la Casa de retiro spiritual di Emilio Am-

basz. Dalla vallata può apparire come un cubo, ma in realtà è composto da

due pareti dove sono poste altrettante scale che a loro volta portano a due

altri spazi ben definiti. Questo insieme di cose lo percepiamo come unitario,

e nonostante la mancanza di un confine materiale, vengono definiti due am-

bienti: uno interno ed uno estero (fig. 9).

La costruzione di questi due volumi non è neutrale rispetto al tempo, con

esso dialogano dando la possibilità di esistere in più forme e con più signifi-

cati (davanti-dietro, sotto-sopra, destra-sinistra). Nelle tele bianche di Pao-

lini questa possibilità viene amplificata, a tal punto che l’assenza di punti di

riferimento suggerisce uno spazio infinito dove virtualmente tutto può essere

astrattamente contenuto, in antitesi con La prospettiva come <<forma simbo-

lica>> scritto da Erwin Panofsky dove viene affermato che <<la percezione

ignora il concetto d’infinito>>23.

In riferimento all’argomento Rosalind Krauss nel dopoguerra scrive a prop-

osito dell’opera di Giacometti:<< [...] non esiste oggetto che ci sia dato in

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27

Fig. 8

Fig. 10

Fig. 9

Fig. 11

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28

maniera neutra, per essere poi modificato dalla distanza da cui lo vediamo o

dall’angolatura che adottiamo. Distanza e punto di vista non si aggiungono

all’oggetto, ma sono inerenti al suo stesso significato, come i suoni che sot-

tendono il nostro linguaggio con un senso già dato da sempre, distinguendoli

così dal puro rumore o dal caos.

<<Un uomo a duecento passi non è forse più piccolo che uno a cinque pas-

si?>> chiede Merleau-Ponty al suo lettore. <<Egli lo diviene solo se lo isolo

dal contesto percepito e se misuro la grandezza apparente. Altrimenti, non è

né più piccolo né del resto eguale in grandezza: è al di qua dell’eguaglianza, è

lo stesso uomo visto da più lontano>>. I “dati” percettivi sono così ricaratter-

izzati come significati che le cose presentano da un certo punto di vista>>24.

Detto ciò, nella Gipsoteca canoviana di Scarpa (fig. 10 e 11), a mio avviso,

si può leggere un’opposta maniera di trattare lo spazio, invece che crearne

uno la stanza è svuotata di quattro elementi: gli spigoli superiori. Da essi si

ricava <<lo spigolo vetrato>>25 che <<diventa un blocco azzurro spinto verso

l’alto, e quando si è all’interno la luce illumina perfettamente tutte le quat-

tro pareti>>26. La funzionalità di questi è ottima e la fattura tanto raffinata da

rendere il progetto uno dei migliori esempi museali di sempre.

La composizione di questi spazi può essere riassunta così:

- vuoto, il volume è sgombro di ogni oggetto, ma è idealmente abitabile

(fig. 8)

- pieno, il volume è definito e può contenere altri luoghi (fig. 9)

- vuoto nel pieno, in un volume ben definito tolgo della massa e creo un

nuovo elemento (fig. 10)

-pieno nel pieno, in un volume ben definito aggiungo un elemento modifican-

done la massa (fig. 11)

Nonostante la “semplicità“ di questi tre progetti si può intendere bene come

la varietà delle interpretazioni è notevole. Molto dipende dal punto di vista

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29

e dal tempo.

In un cuntinuum spazio-tempo gli oggetti prendono la forma che natural-

mente hanno, questo concetto sta alla base della percezione che noi ab-

biamo del mondo.

Preso per assunto questo, <<l’illusionismo che avvolge la bottiglia di Boccioni

è dovuto a un’illusione del movimento che rimanda a sua volta a un modello

di integrazione concettuale. Perché l’illusione funzioni, si deve vedere nella

bottiglia un elemento che trascende lo spazio reale. Al contrario, la radicalità

dei rilievi d’angolo di Tatlin proviene dal rifiuto che si esprime di qualsiasi

spazio trascendentale [...]. Ogni rilievo d’angolo si organizza apertamente in

funzione della giunzione delle due pareti piane che Tatlin usa come supporti

fisici della sua opera.

All’opposto del piedistallo dello Sviluppo di una bottiglia, questo elemento

architettonico -l’angolo- fa pienamente parte dello spazio reale della stanza

in cui sono esposti i Controrilievi. Là dove il piedistallo, in Boccioni, mette

l’oggetto scultorio tra parentesi e lo strappa dallo spazio naturale, dichiaran-

do che il vero contesto dell’opera differisce in un modo o nell’altro, l’angolo

investito da Tatlin invece permette di insistere sull’interpretazione del rilievo

e dello spazio del mondo, continuum da cui il suo significato dipende. A dif-

ferenza della spina dorsale della bottiglia che organizza l’opera intorno a un

nocciolo fittizio, l’elemento centrale e verticale del Rilievo d’angolo rimanda

dunque esplicitamente alla piega verticale formata dall’incontro tra le pareti

reali. Il rilievo si legge come una proiezione in avanti di questo elemento

architettonico specifico. E, come la prua di una nave che fende una massa

d’acqua va compresa nel suo doppio rapporto con il volume in movimento

di cui costituisce il più importante punto fermo [...]>>27.

Cuntinuum vuol dire continuare. Mentre Boccioni intende staccarsi complet-

amente dallo spazio, appunto trascenderlo, Tatlin ne fa parte nel senso che si

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30

lega con le proprie radici culturali per portare avanti un pensiero in continua

crescita, in altre parole asseconda il tempo.

Naum Gabo, connazionale di Tatlin e portatore anch’esso dei valori costrut-

tivisti, aveva avuto a che fare con il concetto di cuntinuum e <<mirava piut-

tosto a rilevare una realtà trascendente che a manifestare la realtà fattuale.

[...] La chiarezza dell’opera con cui svelava la struttura dell’opera condusse a

qualificare i suoi oggetti e le sue teorie come “costruttiviste” . [...] La primis-

sima molla di questo dogma non era altro che il principio di costruzione da

Gabo battezzato “stereometria“.

Lo espone nella sua forma più semplice attraverso un piccolo diagramma

che accompagna un articolo sui fondamenti del metodo costruttivista. Il dia-

gramma mostra le immagini di due cubi uno accanto all’altro.

Il cubo I è un solido ordinario che, come gli oggetti che percepiamo nello

spazio reale, ci presenta una veduta spaziale di sé: essendo chiuso, ne vedia-

mo solo tre lati. Quanto al cubo II, è costruito diversamente: le sue quattro

facce verticali sono state soppresse e, al loro posto, due piani in diagonale

tagliano l’interno del cubo intersecandosi ad angolo retto al suo centro. I due

piani contribuiscono a strutturare un volume cubico - servendo da armatura

o da supporto ai piani inferiore e superiore della figura - e al tempo stesso di

vedere l’interno della forma.

Secondo Gabo, questo secondo cubo aperto non si accontenta di rivelare

uno spazio solitamente nascosto dalla chiusura dei volumi, rivela il nocciolo

dell’oggetto geometrico, diventato tanto esplicito quanto il principio di in-

tersezione stessa, e rende la figura comprensibile secondo un modo analogo

a quello dei teoremi geometrici che isolano e danno a vedere le caratteristi-

che essenziali dei solidi [...]>>28.

La stereometria fa parte della geometria che si occupa dello studio e della

misurazione dei solidi e dello studio delle caratteristiche delle figure immu-

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31

cubo I cubo II

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32

tabili per effetto di un gruppo di trasformazioni. Con essa l’architettura si

confronta.

«L’architettura come la musica si percepisce nella quarta dimensione, nella

dimensione del tempo e della memoria oltre che nelle tre dimensioni dello

spazio»29.

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33

SENSAZIONI NELLO SPAZIO

Un diverso punto di vista

CAPITOLO IV

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34

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35

Tutto quello che facciamo ha una rilevanza estetica. Il gusto estetico è una

coscienza critica che attiviamo continuamente: l’atto del vestirsi lo richiede,

il muoversi tra la gente e lo scegliere le parole giuste in una conversazione o

in un testo, come questo. Attiviamo tutti sensi per vivere, ma quello visivo e

tattile sono i sensi maggiormente usati quando si cerca di cogliere la forma

dell’architettura, la sua sostanza.

In fondo noi siamo attenti alla forma, molto spesso ne siamo più attratti

rispetto al contenuto, purtroppo è una questione di possibilità, nel senso

che oggi è molto più facile collezionare informazioni varie (e nella maggior

parte dei casi superficiali) con una velocità infinitamente maggiore rispetto ai

mezzi posseduti trent’anni fa. Di fatto molta della nostra conoscenza, come

ho già detto all’inizio, è direttamente influenzata dai motori di ricerca che

in breve tempo e dappertutto nel mondo ci mostrano le informazioni che

cerchiamo (già pronte e confezionate). Da questo si possono fare delle osser-

vazioni immediate e quindi trarre delle conclusioni utili ai propri fini, tutto

questo risparmiando fatica.

La forma è solitamente la prima “immagine“ che troviamo perché arriva

priva di filtri al nostro intelletto, ci fermiamo alla “cultura dell’immagine”

poiché banalmente non sono necessarie sovrastrutture per comprenderla,

è una questione di gusto; al contrario, il pensiero che arricchisce (e fa na-

scere) la forma è più difficile da cogliere poiché per capirlo è necessario un

background culturale che porti ad un ragionamento. Ai fini della ricerca ar-

chitettonica è quindi più semplice progettare un oggetto “di buon gusto” e

quindi “bello” che però spesso porta ad architetture “vuote” di contenuto e,

quindi, mediocri.

<<Nel dichiarare che la forma non è l’obbiettivo immediato del lavoro dell’ar-

chitetto, bensì soltanto il risultato, Mies sembra avvertirci che l’ansia di giun-

gere alla bellezza fa si che spesso ce ne allontaniamo>>30. Scrivendo della

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36

bellezza è immediato riferirsi al fatto che non si può trovare nulla di più in-

certo, non si ha mai un parametro inequivocabile sul quale fare affidamento.

Se la bellezza è sinonimo di piacere, allora si potrebbe dire che quello che

ci allieta è bello, ma naturalmente lo è solo ai nostri occhi. Un esempio po-

trebbe essere il nobile Don Chisciotte che in una semplice contadina vede la

più bella imperatrice della Castiglia -La Mancia affibiandole pure un nome,

simbolo della sua bellezza, Dulcinea del Toboso.

Senza alcuna pretesa cito pure Nino Costa; egli innamorato dei suoi paesaggi

scrive una poesia che nella malinconia per la recente scomparsa del figlio

partigiano, rende soave la bellezza del cielo di Torino. Trascritti a fianco ci

sono gli ultimi versi di Nivole esemplificativi di un sentimento così sano e

potente da non poter immaginare altro che delle bellissime nuvole.

Tutto questo si basa su una concezione di valori che possono essere definiti

come “canonici”, ma se per un attimo invertissimo questi valori -base del

mondo e della società- potremmo ottenere un giudizio inquietante ai più.

Come sarebbe la bellezza filtrata attraverso occhi di un folle?

Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della follia esprime un punto di vista a ri-

guardo: <<Felicità?

[...] Mettiamo che uno si nutra di salamoia di pesce marcio, di cui un altro

non potrebbe neanche sopportarne l’odore; per lui, però, sa di ambrosia: che

differenza c’è, ditemelo, dal punto di vista della felicità? E se a uno invece fa

schifo lo storione, che importa per vivere felici? Se uno ha una moglie straor-

dinariamente brutta, che però secondo il marito potrebbe gareggiare perfino

con Venere, non sarebbe lo stesso che se fosse bella davvero? Se uno ammira

e va in estasi per un quadro impiastricciato male di minio e di ocra, persuaso

che è un dipinto di Apelle o di Zeusi, non sarebbe anche più felice di chi ha

pagato un occhio della testa un’opera autentica di quegli artisti, ricevendo

forse meno piacere dal fatto di contemplarla?>>32.

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37

Quando arriverà l’ora più grande: l’ultima,

e mi chiederanno che cosa ho fatto di bello

io risponderò che ho guardato le nuvole:

le nuvole che vanno... attraverso il cielo.31

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38

Condividere o meno tali parole è questione di “gusto” appunto. Io ne sono

affascinato poiché penso che la qualità delle cose è data in gran parte dal

valore che ad esse attribuiamo. Inoltre la follia è relativa tanto quanto la

bellezza: basti pensare alla capacità che un uomo ha di compiere dei gesti

“normali“. Mi spiego meglio, se per una persona agli inizi del novecento era

“normale” arrampicarsi senza protezioni ad un centinaio di metri di altezza

per costruire un grattacielo, oggi questo è considerato folle, proibitivo ai più

per la paura di cadere.

Come ho già detto per il gusto e la bellezza, anche la normalità è relativa,

ad essa ci si riferisce quando un carattere o condizione segue la norma, ne è

conforme, quindi consueta, ordinaria, regolare.

Al di fuori troviamo cose con le quali non abbiamo confidenza, che spesso

non ci piacciono, cose alle quali cerchiamo di trovare un rimedio, modi-

ficando o sostituendo il pezzo indesiderato. Per trovare questo equilibrio

possiamo ricorrere alla memoria visiva che si esprime attraverso la rappresen-

tazione, emblema e sintomo di una voglia di <<ritrovare la propria identità e

l’origine degli oggetti del proprio desiderio [...]. Goethe aveva l’abitudine di

dire ciò che non ho disegnato non l’ho visto. Il vedere è un fare per difendersi

dall’assenza>>33.

Se al fatto del vedere si aggiunge l’atto del guardare i nostri gusti vengono

influenzati. Infatti ci sono studi che hanno permesso di capire come collocare

cartelli, che dimensioni dargli e come e cosa scrivergli, solo per riuscire ad

attirare maggiore attenzione. Basta leggere alcune pagine di Learning from

Las Vegas di Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour per capir-

ne alcuni aspetti. L’attenzione ai particolari e lo studio dell’aspetto possono

influenzare le esigenze di una persona a tal punto che le formalità diventa-

no importanti per il giusto progetto di una stanza, per la quale <<un uomo

che abbia sensibilità estetica si torturerà su ogni particolare. Il telefono, per

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39

esempio: dove lo collocherò? Sotto la scala forse, o a un angolo buio del cor-

ridoio, dove non attiri l’attenzione. Intanto interro i cavi elettrici che attra-

versano il giardino, occulto gli interruttori dentro gli armadi a muro o sotto le

mensole, fa serpeggiare i fili là dove cade l’ombra dei pavimenti >>34.

Il gusto estetico è opinabile, naturalmente, ma se in un progetto il ragiona-

mento precede la conclusione formale, l’analisi critica che scaturisce acqui-

sisce un valore diverso. E’ come se si portasse il discorso su un piano “supe-

riore” , che non deve dare la sensazione di essere “in una posizione più alta“

o sovrastante.

Il semplice fatto di non seguire il “gusto ordinario“ crea una coscienza perso-

nale che quindi non è più opinabile sotto certi aspetti. Cos’è che ha valore in

un disegno o in un’opera d’arte? Il gesto, l’idea che sta dietro, non l’oggetto

in sé.

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L’ELEMENTO

Lo spigolo nell’Archiettura

CAPITOLO V

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“I judge an architect by how he handles the corner“

Mies

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freddo

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curvo

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caldo

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geometrico

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composto

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scavato

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percepibile

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infinito

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tettonico

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smaterializzato

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svuotato

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mancante

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IMMAGINI AGGIUNTIVE

CAPITOLO VI

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Immagini del capitolo I

varie scale

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ordine dorico

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spigoloangolo

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un angolo supremo

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scatola chiusa

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abbattere la scatola

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Immagini del capitolo II

De Stijl - Bauhaus - Chicago Tribune

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disfare il blocco prospettico

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diverse accezioni

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punto di equilibrio

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spirito ortogonale

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Immagini del capitolo III

perspectiva

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l’ambiente e la persona determinano un comportamento

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tempo

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illusionismo - cuntinuum

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Immagini del capitolo IV

rilevanza estetica

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la bellezza è sinonimo di piacere

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Come sarebbe la bellezza filtrata attra-verso occhi di un folle?

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La musica congelata di un elemento

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CAPITOLO I1 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Premessa, Milano, Einaudi, 19732 - Mariana Siracusa, Angoli, in “Inventario 07”, p. 38 , Milano, 20133 - Giacomo Devoto Gian Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Milano, Edumond Le Monnier, 20084 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Premessa, Milano, Einaudi, 19735 - J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, pp.29-30, Milano, Clup, 19866 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, p.41, Milano, Einaudi, 19737 - Benincasa Carmine, Architettura come dis-identità. Teoria delle catastrofi e architettura, cap III, Bari, Dedalo libri, 19788 - Ibid9 - Ibid

CAPITOLO II10 - Manifesto De stijl, novembre 191811 - William J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, p. 220, Phaidon, 200612 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, punto 17, 192513 - Bruno Zevi, Poetica dell’architettura moderna, p.114, Torino, Einaudi, 197414 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, 192515 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, pp.37-38, Milano, Einaudi, 197316 - Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, pp. 71-75, Miliano, Adelphi, 201017 - Le Corbusier, Urbanisme, Parigi, 192518 - Le Corbusier, Poème de l’angle droit, pp. 183, Milano, Mondadori, 2007

CAPITOLO III19 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, p. 11, Milano, Abscondita, 200720 - Ibid21 - Attilio Marcolli, Teoria del campo, p.146, Firenze, Sansoni Editore, 199122 - Maddalena Disch, Giulio Paolini. Catalogo ragionato 1960-1999, vol. 2, p. 892, cat. n. 94, Milano, Skira editore, 2008,23 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, p. 14, Milano, Abscondita, 200724 - Rosalind E. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, p. 270, Roma, Fazi Editore, 200725 - Passi tratti dalla registrazione di una lezione, Volevo ritagliare l’azzurro del sielo, Rassegna (Carlo Scarpa, Frammenti 1926/1978), Milano, 198126 - Ibid27 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, pp.63-66, Milano, Mondadori Editori, 1998

CITAZIONI

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28 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, pp.67-68, Milano, Mondadori Editori, 199829 - Josè A. Dols, intervista a Ignazio Gardella, in “L’architettura oggi”, pp. 9-10, Novara, 1977

CAPITOLO IV30 - Carlos Marti aris, Silenzi eloquenti, p. 42, Milano, Christian Marinotti Edizioni, 200231 - Nino Costa, Tempesta, Nivole, Torino, Viglongo, 198332 - Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, p. 159, Milano, Rizzoli, 200933 - Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio a desiderio di paesaggio, p. 45, Firenze, Agenda Editrice, 200534 - Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (lett. Elogio dell’ombra), p. 4, Bologna, Tascabili Bom-piani, 2011

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- Attilio Marcolli, Teoria del campo, Firenze, Sansoni Editore, 1991 - Attilio Marcolli, Teoria del campo 2, Firenze, Sansoni Editore, 1991 - Benincasa Carmine, Architettura come dis-identità. Teoria delle catastrofi e architettura, Bari, Dedalo libri, 1978 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Milano, Einaudi, 1973 - Bruno Zevi, Poetica dell’architettura moderna, Torino, Einaudi, 1974 - Carlos Marti aris, Silenzi eloquenti, Milano, Christian Marinotti Edizioni, 2002 - Claire Zimmerman, Mies va der Rohe, Germania, Taschen, 2007 - Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio a desiderio di paesaggio, Firenze, Agenda Editrice, 2005 - Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Milano, Rizzoli, 2009 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, Milano, Abscondita, 2007 - Giacomo Devoto Gian Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Milano, Edumond Le Mon-nier, 2008 - J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, Milano, Clup, 1986 - Josè A. Dols, intervista a Ignazio Gardella, in “L’architettura oggi”, Novara, 1977 - Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (lett. Elogio dell’ombra), Bologna, Tascabili Bompiani, 2011 - Le Corbusier, New world of space, New York, 1948 - Le Corbusier, Poème de l’angle droit, Milano, Mondadori, 2007 - Le Corbusier, Urbanisme, Parigi, 1925 - Maddalena Disch, Giulio Paolini. Catalogo ragionato 1960-1999, vol. 2, cat. n. 94, Milano, Skira editore, 2008 - Manifesto De stijl, novembre 1918 - Mariana Siracusa, Angoli, in “Inventario 07”, Milano, 2013 - Nino Costa, Tempesta, Nivole, Torino, Viglongo, 1983 - Passi tratti dalla registrazione di una lezione, Volevo ritagliare l’azzurro del sielo, Rassegna (Carlo Scarpa, Frammenti 1926/1978), Milano, 1981 - Rosalind E. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Roma, Fazi Editore, 2007 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, Milano, Mondadori Editori, 1998 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, 1925 - Ulrich Conrads, Manifesti e programmi per l’architetura del XX secolo, Firenze, CentroDi, 1970 - Vittorio Pizzigoni, Ludwig Mies van der Rhoe gli sritti e le parole, Torino, Einaudi, 2010 - Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, Miliano, Adelphi, 2010 - William J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Phaidon, 2006 - Wolfgang Köhler, La psicologia della Gestalt, Milano, Feltrinelli, 1989

BIBLIOGRAFIA

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- pag. 03 - pag. 07 - pag. 09

- pag. 13

- pag. 17

- pag. 21

- pag. 21 - pag. 23 - pag. 27 - pag. 27 - pag. 27 - pag. 31 - pag. 33 - pag. 41 - pag. 44 - pag. 45 - pag. 46 - pag. 47 - pag. 48 - pag. 49 - pag. 50 - pag. 51 - pag. 52 - pag. 53 - pag. 54 - pag. 55 - pag. 59

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INDICE DELLE IMMAGINI

Michelangelo Buonarroti, studio di fortificazione, 1500(fig. 1) Monte Cervino, Parete Sud Est, Picco Muzio(fig. 2) J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, combinaison verticales d’Arcades, 1802-1805Zevi Bruno, Il linguaggio moderno dell’architettura, sintassi della scomposizione quadridimensionale (parziale), 1973(fig. 3) Hans Richter, Rhythmus 21, pellicola B/W, (sinistra) min. 0:57 e (destra) min. 1:27, 1921(fig. 4,5,6,7) Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, linee spezzate o ad angolo, 1968(in basso) Daniel Libeskind, torre dell’olocausto, 1999Louis Albert Necker, Cubo di Necker, illusione ottica, 1832(fig. 8) Giulio Paolini, Ut-op, 1966(fig. 9) Emilio Ambasz, Casa de retiro espiritual, 1975(fig. 10,11) Carlo Scarpa, Gipsoteca canoviana, grande sala con finestre a triedro, 1957Naum Gabo, diagramma che mostra un cubo volumetrico (Cubo I) e un cubo stereometrico (Cubo II), 1937Robert Boyle, contenitore che si autoriempie, metà 1600Senza titoloJosef Hoffmann, Stoclet house, 1905Erich Mendelsohn, centro commerciale, 1926Luigi Moretti, complesso di uffici ed abitazioni, 1950Riccardo da Lentini, Castel del monte, 1240Aldo Rossi, complesso fontivegge, 1982Aires Mateus, House in Fontinha, 2014Ludwig Mies van der Rohe, progetto di una casa di campagna in mattoni, 1924Carlo Scarpa, Tomba Brion, angolo esterno, 1978Archizoom, No stop city, 1969Biagio Rossetti, Palazzo dei Diamanti, 1493-1503Eduardo Chillida, Fuerteventura, 1994Ludwig Mies van der Rohe, Neue nationalgalerie, 1968(da sinistra a destra) Mura Spagnole, Porta Romana, Milano, 1171 circa. Ilde-fons Cerdà i Sunyer, Piano Cerdà, Barcellona, 1860 circa. Pierre Chareau, Maison de verre, 1932. Juliaan Lampens, vandenhaute kiebooms house, 1970Jacopo Barozzi da Vignola, Regola delli cinque ordini d’architettura, 1562Senza titoloFrancesco Borromini, Oratorio dei Filippini, 1637-1667Frank Lloyd Wright, (sinistra) Gale house, 1909. (destra) Winslow house, 1893Frank Lloyd Wright, Larkin building, 1904

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(da sinistra a destra) Theo van Doesburg, Maison particuliére, 1923. Bauhaus, Haus am Horn, 1923. Hood & Howells, Chicago Tribune, 1922Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, sintassi della scomposizione quadridimensionale (completo), 1973Comlongon castle, Scozia, XV sec.Città ideale di Berlino, 1477 circaLe Corbusier, Museo a crescita illimitata, 1939Wenzel Jamnitzer, Perspectiva Corporum Regularium, 1568Kurt Lewin, Formula della “Teoria del campo”, 1961Angelo Invernizzi & Ettore Fagiuoli, Villa girasole, 1935(dall’alto) Umberto Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1913. Vladimir Tatlin, rilievo d’angolo, 1915SconosciutoCarlo Mattioli, Paesaggio con albero verde, 1989Manoscritto Voynich, codice illustrato, tra 1404-1438Castagnurin, Parco del Ticino, Abbiategrasso

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GA

BRIELE BASILICO

, Milano, 1995 - stam

pa fotografica b/n ai sali d’argento

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