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Le iscrizioni semitiche criptate nell’arte italiana gotica e del primo Rinascimento Abstract In quest studio ho analizzato l’impiego delle ornamentazioni epigrafiche nella pittura italiana gotica e del primo Rinascimento, introducendomi, così, un dibattito affrontato per la prima volta nella metà dell’ottocento. In particolare Gustave Soulier nel suo Les influences orientales dans la peinture toscane , pone l’attenzione sul tipo di ornamentazione visibile in queste opere, e sulla giusta definizione di tali ornati epigrafici fino ad allora definiti generalmente pseudo cufici o pseudo arabi. Nel corso degli anni questi temi non sono stati quasi mai affrontati, se non in maniera marginale, lasciando così sospeso il dibattito sulla corretta definizione di queste testimonianze epigrafiche. Soltanto le iscrizioni presenti in alcune opere di Giotto sono state oggetto di recenti studi, che affrontavano però, soprattutto un genere di iscrizioni riconducibili ai caratteri dell’alfabeto mongolo, del tutto avulse dal contesto semitico a cui facciamo riferimento. Ho constato l’impiego di questo genere di ornamentazioni epigrafiche già a partire dalle opere del Cimabue e di Duccio di Buoninsegna, riconducibili alla metà del XIII secolo, precedenti ai dipinti di Giotto. Analizzando questi ornati, che campeggiano lungo le bordure dei troni, nei nimbi e sui tessuti dei personaggi rappresentati, ho riscontrato una grande diversificazione nella riproduzione di queste decorazioni che ci hanno indotto a fare alcune riflessioni riguardo all’utilizzo del termine pseudoiscrizione. Se è vero che nel periodo gotico queste iscrizioni risultano essere copie di iscrizioni originali presenti sui tessuti e sugli oggetti preziosi di manifattura islamica, tanto da renderci possibile anche alcune letture di testi originali, nel periodo rinascimentale, invece, sarà proprio la ricerca umanistica ad

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Le iscrizioni semitiche criptate nell’arte italiana gotica e del primo Rinascimento

Abstract

In quest studio ho analizzato l’impiego delle ornamentazioni epigrafiche nella pittura italiana gotica e del primo Rinascimento, introducendomi, così, un dibattito affrontato per la prima volta nella metà dell’ottocento. In particolare Gustave Soulier nel suo Les influences orientales dans la peinture toscane, pone l’attenzione sul tipo di ornamentazione visibile in queste opere, e sulla giusta definizione di tali ornati epigrafici fino ad allora definiti generalmente pseudo cufici o pseudo arabi. Nel corso degli anni questi temi non sono stati quasi mai affrontati, se non in maniera marginale, lasciando così sospeso il dibattito sulla corretta definizione di queste testimonianze epigrafiche.Soltanto le iscrizioni presenti in alcune opere di Giotto sono state oggetto di recenti studi, che affrontavano però, soprattutto un genere di iscrizioni riconducibili ai caratteri dell’alfabeto mongolo, del tutto avulse dal contesto semitico a cui facciamo riferimento.Ho constato l’impiego di questo genere di ornamentazioni epigrafiche già a partire dalle opere del Cimabue e di Duccio di Buoninsegna, riconducibili alla metà del XIII secolo, precedenti ai dipinti di Giotto. Analizzando questi ornati, che campeggiano lungo le bordure dei troni, nei nimbi e sui tessuti dei personaggi rappresentati, ho riscontrato una grande diversificazione nella riproduzione di queste decorazioni che ci hanno indotto a fare alcune riflessioni riguardo all’utilizzo del termine pseudoiscrizione. Se è vero che nel periodo gotico queste iscrizioni risultano essere copie di iscrizioni originali presenti sui tessuti e sugli oggetti preziosi di manifattura islamica, tanto da renderci possibile anche alcune letture di testi originali, nel periodo rinascimentale, invece, sarà proprio la ricerca umanistica ad attribuire l’affermazione di questo genere di decorazione, come riferimento colto al Cristianesimo ed alla sua storia.Da qui anche una certa diffusione nell’uso delle iscrizioni latine criptate, ovvero nell’uso di quelle iscrizioni apparentemente identificabili come “pseudoiscrizioni” arabe o ebraiche, ma che celano invece caratteri latini camuffati e criptati.Questo tipo di iscrizioni contengono testi religiosi, per lo più ripropongono il nome della Vergine o il saluto dell’angelo alla Madonna: Ave Maria. E’ chiaro che un particolare gioco enigmistico atto a conferire, finalmente, un significato “sicuro” ai particolari segni grafici e al contempo creare una sorta di divertissement destinato ai fruitori dotti e a coloro i quali fossero in grado di decriptarne il testo, è significativamente emblematico di un nuovo contesto culturale che trova nell’umanesimo il riferimento principale. Il concetto di trasposizione di testi, da parte di non arabofoni, risulta essere in contrasto con questo tipo di ornamentazione epigrafica che sottende un’elaborazione fantastica dei segni alfabetici.E’ da qui che si sviluppa e nasce la ricerca di un prototipo. L'iscrizione esiste ed è tale ma è la funzione che cambia rispetto al contesto islamico perché in questi caso è espressa in chiave cristiana, mutuata dal contesto culturale che l'ha piegata ad una funzione propria.Questa fase imitativa risponde ad un gusto per l'esotismo che è dovuto all'interpretazione di ciò che rappresentava l'Oriente per l'Occidente.

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Il fasto che si attribuisce poi in senso devozionale ai personaggi sacri come atto di omaggio devozionale, nel gioco colto dell'umanesimo, è una sorta di rivolta anti-gotica.Questo è visibile anche nell'uso della scrittura, nella ricerca di nuovi segni grafici, che partendo proprio dallo studio delle scritture antiche, e quindi anche semitiche, esprime un interesse antiquario e colto.Mi sembra importante poi sottolineare una distinzione, che il generico riferimento ad iscrizione islamica, omette.Fino a questo momento, infatti, col termine arabo-islamico sono state ignorate, invece, le iscrizioni che riproducono caratteri ispirati all’alfabeto ebraico.Per questa motivazione ho deciso di riferirmi, nel titolo dello studio, alle iscrizioni semitiche, ampliando in questo modo l’analisi dei caratteri presentati anche ai segni pseudo ebraici.Riguardo alla definizione delle ornamentazioni impiegate, ho riscontrato un utilizzo assai vario di stili di scrittura pseudo araba. E’ bene quindi inquadrare anche il particolare contesto storico che ripropone e diffonde un certo tipo di decorazioni epigrafiche in caratteri semitici apparentemente appartenenti ad un ambito religioso diverso da quello cristiano. Durante tutto il Medioevo con l’intensificarsi degli scambi commerciali nei bacini nord e sud-est del Mediterraneo, l’intera Penisola ammira per la prima volta la straordinaria ricchezza dei tiraz di provenienza islamica e di alcuni oggetti preziosi, destinati ad arricchire le già fastose corti e palazzi nobiliari dell’aristocrazia italica. Nella pittura italiana ancora molto influenzata da una certa preziosità bizantina, caratterizzata da sfondi dorati e rappresentazioni bidimensionali, questo tipo di decorazioni risultano particolarmente apprezzate. Nei vari passaggi di riproduzione le iscrizioni, ricopiate da non arabofoni, perdono così gradualmente la loro leggibilità mentre riusciamo a riconoscerne, nella maggioranza dei casi, i ducti delle lettere rappresentate e gli stili di scrittura. Possiamo così verificare una varietà di iscrizioni distinguibili in iscrizioni corsive ed iscrizioni cufiche. Il tipo di cufico utilizzato nelle iscrizioni è generalmente un cufico semplice, caratterizzato da lettere angolari con terminazioni apicate o ad uncino. In un caso, però, vediamo anche riprodotto un tipo di cufico cosidetto “quadrato” ovvero organizzato in compartimenti quadrati i cui ducti riproducono forme geometriche. Nel caso delle iscrizioni corsive, invece, ritroviamo numerosi riferimenti al thuluth, stile impiegato soprattutto in contesto mamelucco che presenta curve a forma di “calice”, naskhi classico e a forma allungata come osservabile in alcune iscrizioni fatimidi. E’ evidente che, dall’attenta analisi di queste iscrizioni, traiamo delle informazioni così articolate che ci inducono ad una distinzione ben più amplia da quella finora presentataci negli studio di settore. Un altro aspetto interessante è invece legato proprio all’utilizzo dei caratteri arabi. Ho riscontrato diverse posizioni di scettici che consideravano impropri i riferimenti islamici riportati nella pittura quasi esclusivamente religiosa del Gotico e del Rinascimento.Credo, invece, che la riproposizione di questi caratteri fosse strettamente connessa ad un significato religioso che evocasse, nell’immaginario collettivo, la lingua delle Sacre Scritture e della Terra Santa. Lo stesso discorso vale per le iscrizioni ebraiche laddove i segni non sarebbero stati veicolati dagli scambi commerciali quanto dalla diffusione dei manoscritti e dell’epigrafia funeraria, appartenenti alle comunità ebraiche stanziate in Italia durante tutto il Medioevo.

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Anche in questo caso ho dimostrato che non si riscontrano esclusivamente semplici copie di caratteri ebraici, quanto una diversificata forma di riproduzioni.E’ questo il caso della ceramica rinascimentale da me analizzata. Vediamo infatti che i segni sembrano essere ispirati esclusivamente dalla fantasia dell’artista sottendono invece un significato diverso. Il riferimento è agli angeli Aladiah e Sealiah che nella tradizione ebraica sono spesso riportati negli amuleti e quindi testimoniano un utilizzo beneaugurale e scaramantico. Con questo studio ho cercato di colmare i vuoti perpetrati negli anni e relativi alle definizioni approssimative di questi ornati epigrafici che testimoniano l’introduzione di elementi emblematici dell’arte islamica, rappresentati dall’epigrafia islamica, nella tradizione pittorica italiana del Gotico e del Rinascimento.

Di seguito riporto alcuni parti del mio studio relative all’analisi delle seguenti sezioni.- Iscrizioni islamiche- Pseudoiscrizioni islamiche- Iscrizioni latine criptate- Iscrizioni ebraiche

Le iscrizioni islamiche

L’individuazione dei testi “ricorrenti”1 nell’epigrafia araba, rappresenta talvolta la sola base certa nell’identificazione delle iscrizioni di complessa decifrazione. Questa riflessione, però, non può essere estesa a tutti i settori in cui essa si sviluppa nella sua vasta propagazione nei diversi media; si tratta di un aspetto riconducibile ai soli casi in cui le iscrizioni svolgono un ruolo comunicativo. È il caso dell’epigrafia funeraria, di quella monumentale e della numismatica. Riguardo, invece, alle iscrizioni mobiliari riprodotte su ceramiche, metalli, manufatti lignei e tessuti, ci si ritrova di fronte a testi di svariata provenienza.Fatta eccezione per alcuni sporadici tentativi di letture di professione di fede islamica, le decorazioni epigrafiche riprodotte nella pittura italiana gotica e del primo Rinascimento, non sono mai state considerate delle vere e proprie iscrizioni islamiche, perché ritenute prive di ogni possibile leggibilità. Questo è il primo “assunto” che proveremo a controbattere, cercando di dimostrare che la leggibilità dell’iscrizione non è legata soltanto ad una riproduzione colta e consapevole delle maestranze arabofone, quanto alla capacità dell’artista di riprodurre in maniera attenta i decori a sua disposizione, e al grado di alterazione dei caratteri, a loro volta, presenti sui modelli disponibili. A questo proposito siamo riusciti ad individuare una vera e propria iscrizione islamica contenente versi coranici, nel dipinto della Maestà della Madonna del Louvre, di Cimabue. L’iscrizione (fig. 1) è inserita alle spalle della Madonna, nel drappeggio del trono sui cui la Vergine è seduta. La composizione epigrafica sembra essere suddivisa in quattro diversi compartimenti 2. La porzione cui facciamo riferimento è quella riportata nel secondo rigo, in corrispondenza della spalla destra della Madonna. Il testo è delimitato da due linee orizzontali di colore rosso. I caratteri sono, invece, realizzati in blu, ed occupano interamente il campo scritto. Non sono presenti punti diacritici. La lunghezza dell'alif e delle lettere con aste lunghe tende ad essere corrispondente all’altezza della fascia epigrafica. L’alif costituisce così il modulo che regola, sostanzialmente,

1 Spesso rappresentati da frasi strettamente legate alla tradizione islamica, tra cui le più note sono la basmala ( frase con cui si aprono le sure del

Corano), la šahda (professione di fede islamica), la tasliya (invocazione di Grazia o Benedizione, il tamid (Lode a Dio), oppure a espressioni relative alle datazioni, ai luoghi di produzione, alle edificazioni ecc.

2 Non ci è stato possibile verificare le iscrizioni riportate sui tre righi restanti, a causa della limitata definizione dell’immagine adoperata.

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l’altezza delle lettere alte. Nel testo sembrano essere presenti, inoltre, alcuni elementi decorativi con funzione riempitiva, tra cui elementi a forma di palmette bilobate. Il tipo di scrittura è corsivo e presenta lettere apicate. Alcune parole sono disposte in maniera ortogonale rispetto all’intera iscrizione. Non si rilevano ornamenti aggiunti al tracciato ordinario delle lettere, che presentano una forma tendenzialmente arrotondata e allungata. Le code delle mīm, in posizione isolata, risalgono sempre verso l’alto a riempire il rigo di scrittura. In due casi anche la parti terminanti delle wāw, hanno una forma analoga. La sīn iniziale è costituita da un tratto unico, senza dentini, come in uso nel naskhī mamelucco. Il nesso lām-alif è reso in forma incrociata. Nella parola لحما sono presenti i nessi lām-mīm e ḥā’-mīm, così come resi nella scrittura corsiva. La lettera kāf finale, è riprodotta nella sua forma classica con il trattino centrale.

Figura 1

Il testo è composto da due distinti versetti coranici. L’iscrizione è sostanzialmente leggibile; si rilevano difficoltà nell’identificazione dei ductus della parola لكذ , e nella parte finale del secondo versetto, ma in entrambi i casi, il testo ci sembra comunque corrispondente all’originale. La lettura che proponiamo dell’iscrizione è la seguente.  ( ُه� �َن َل َّي َب َت َّم�ا ( ْح�َّم�ا َفل وَها َل �ُس� ْك �َّم� َن َها ُث ُز� ��ِش �ْن �َف َن َّي و�ُم� َك �كٰذ ( َي �ُسالُم) َل �وَها ٍِب ل اْد�ُخ�Riportiamo la traduzione3.“Entratevi in pace! Questo è il Giorno[…]4” “[…]come Noi le richiamiamo alla vita e le rivestiamo di carne. E quando tutto questo gli fu chiaramente mostrato[…]5”

3 Per la traduzione dei versi coranici cfr, A. Bausani, Il Corano, Milano 20014 Cor. L, 34 parziale. L’intero versetto è: “Entratevi in pace! Questo è il Giorno Eterno!”5 Cor. II, 259 parziale. L’intero versetto è: “E guarda anche le ossa come Noi le richiamiamo alla vita e le rivestiamo di carne. E quando tutto questo gli fu chiaramente mostrato disse: “Riconosco ora che Dio è sovra tutte le cose potente!”

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Il testo si riferisce a due versetti coranici appartenenti rispettivamente alla Sura del Qaf e alla Sura della Vacca. In particolare, di quest’ultima sura, il versetto citato è il 259 che, come ci segnala Bausani6, si riferisce ad un racconto assai diffuso nelle leggende orientali giudaico-cristiane. Riguardo, invece, al versetto Cor. L, 34, non siamo in grado di attribuire significati specifici. Non dovrebbe, però, trattarsi di un testo raramente impiegato, poiché, siamo risusciti ad individuarne la presenza, anche in una iscrizione successiva. Il Beato Angelico, infatti, nel 1428, riproduce lo stesso testo, ai bordi della veste del Bambino, nel Trittico di San Pietro Martire, (fig. 2).

Figura 2

Le due iscrizioni presentano forti analogie. In entrambi i casi si tratta di scrittura corsiva, tra loro assai simile. Il testo è composto da quattro parole, invece che dalle cinque costitutive del verso originale, proprio come nel caso dell’iscrizione duecentesca; un’ulteriore analogia è caratterizzata dalla parola لكذ che risulta essere, in entrambi le iscrizioni, parzialmente riprodotta. Nonostante le relazioni tra le due iscrizioni risultino essere rilevanti, non pensiamo sia, quella dell’Angelico, una copia diretta della composizione epigrafica del Cimabue. Questo perché, alcuni ductus, non corrispondenti a quelli dell’iscrizione duecentesca, risultano comunque essere trascritti in maniera corretta. Escludendo, quindi, che l’Angelico, potesse conoscere le regole della scrittura araba, tanto da variarne i ductus senza commettere errori, il riferimento ad un diverso modello, sembra quasi conseguente. Nel testo non sembrano essere presenti, particolari elementi decorativi. Il tipo di scrittura è naskhī. Tutte le lettere, fatta eccezione per la yā’ iniziale, sono disposte in maniera parallela rispetto al rigo. Non si rilevano ornamenti aggiunti al tracciato ordinario delle lettere, che presentano una forma tendenzialmente allungata. La coda della mīm, nella parola الُمُس� ٍِب , risale verso l’alto a riempire il rigo di scrittura. Il nesso lām-alif è reso in forma incrociata. Il testo identificato rappresenta soltanto una porzione dell’iscrizione della quale non siano riusciti a fornirne, ancora, una lettura completa. Nello studio sulle pseudoiscrizioni islamiche del Gentile da Fabriano7, viene individuata l’iscrizione recante il protocollo reale mamelucco, nella Madonna dell’Umiltà, del 1420-25 circa (fig. 3).

6 A. Bausani, op. cit., p. 516 “Questo racconto, i cui elementi sono diffusi in molte leggende giudeo-cristiane orientali, ma le cui origini immediate sono difficili ad identificare, è stato avvicinato da alcuni a I Re XIX, 4-8 (Elia addormentato nel deserto), da altri a Neemia II, II segg. (ricostruzione della mura di Gerusalemme). Il racconto a questo più vicino sembra essere quello della versione etiopica del Libro di Baruch dove si narra che Abed Malek dormì sessantasei anni e al risveglio trovò riedificata Gerusalemme, e il suo pane e i suoi fichi ancora freschi miracolosamente […]”.7 V. Grassi, op. cit.

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Figura 3

Questa lettura è, a nostro avviso, particolarmente importante perché apre la strada ad una nuova serie di individuazioni analoghe, che di seguito proponiamo. E’ bene, comunque ricordare che, di questa iscrizione, non è stato ancora possibile individuarne, il modello di riferimento. Infatti, l’iscrizione completa e leggibile del protocollo reale, riportata nel disegno del Pisanello Giovanni VIII Paleologo a cavallo, personaggi del seguito e frammento di iscrizione mamelucca (fig. 4), risulta essere successiva, datata intorno al 1438.

Figura 4

Già nell’articolo della Grassi è stato posto l'accento su una certa discrepanza, tra le diverse datazioni e lo stile dell’iscrizione riproposta, nelle due opere, in scrittura totalmente dissimile8. La nostra analisi sembra confermare questa tendenza. Abbiamo riscontrato, infatti, altre tre iscrizioni riferibili al testo citato. Due, fra queste iscrizioni, recano, soltanto, parte della parola al-sulṭān. Tutte le iscrizioni risultano essere successive a quelle del Gentile ma, anche in questo caso, non sembrano affatto essere copiate l’una dall’altra, e soprattutto, non sembra seguire nessun ordine cronologico. Difatti, l’iscrizione del Beato Angelico (fig. 5), databile intorno al 1450, presente nella Vergine delle Ombre, sull’abito di San Tommaso d’Aquino, è più complessa rispetto alle altre due, quella precedente del Masaccio nella Madonna Casini (fig. 6), 1426-27 e quella successiva del Lippi nella Madonna con Bambino di Monaco, 1460 circa (fig. 7). Molto probabilmente, il testo recante il protocollo reale mamelucco, deve essere stato oggetto di svariate riproduzioni, dal momento che lo si ritrova riproposto in diverse forme su altrettante numerose iscrizioni. E’ bene notare però, che in alcuni casi, l’iscrizione sembra essere una rielaborazione di quelle precedentemente riportante in altri dipinti.

8 V. Grassi, op. cit. p. 41: “Un secondo problema è costituito dalla differente datazione del dipinto di Gentile e del disegno di Pisanello: il primo è generalmente attribuito all’inizio del quinquennio fiorentino (1420-1425), o addirittura alla fase immediatamente precedente, e riporta l’iscrizione incompleta, mentre il disegno del Pisanello dovrebbe essere datato, secondo Vickers, intorno al 1438.”

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Figura 5

Nel caso del Beato Angelico, l’iscrizione è resa in scrittura corsiva, e vi si legge distintamente il testo parzialmente riprodotto “-ṭān al-malik“. Mentre, la prima parte dell’iscrizione che, dovrebbe recare la parte iniziale della parola al-sulṭān, non risulta essere corrispondente. Anche negli altri due casi è possibile individuare la parte iniziale della parola riprodotta allo stesso modo, ovvero, con dei segni che compongono una sorta di forma a “V”.

Figura 6

Figura 7

Nei casi del Masaccio e del Lippi, le lettere appaiono essere copiate nell’ottica della “prossimità” alle lettere latine. Vediamo, quindi, la nun prendere le sembianze di una E in caratteri maiuscoli, la alif somigliare ad una I, la ta assumere la forma caratteristica della B minuscola. Se questa due iscrizioni sembrano essere particolarmente simili, lo stesso tipo di corrispondenza lo ritroviamo,

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ugualmente, con l’iscrizione dell’Angelico, come dimostriamo nell’esempio grafico riportato nella figura 8.

Figura 8

Altro artista, appartenente al periodo tardogotico, ad aver riportato in maniera fedele le iscrizioni presenti sui tessuti è il Pisanello. Nella sua opera, infatti, oltre al disegno precedentemente citato, tutte le iscrizioni riportate risultano essere leggibili o parzialmente tali. Nell’Annunciazione di Verona, la Vergine è raffigurata assisa su un tappeto decorato da elementi epigrafici in stile cufico quadrato.

Figura 9

Gli ornati epigrafici compongono l’intera decorazione del tappeto. Nella parte centrale sono visibili determinati segni grafici riconducibili ai ductus del nesso lām-alif (fig. 9). Lungo tutta la cornice campeggia, in maniera ripetuta, una decorazione epigrafica inserita in un modulo quadrangolare (fig. 10). Ci sembra di riconoscere il nome del Profeta Muḥammad, riportato nei segni caratteristici

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della scrittura cufica quadrata. Le quattro lettere, in forma angolare, che costituiscono il nome del Profeta dell’Islam, sono organizzate all’interno di un tracciato quadrato. L’iscrizione è organizzata in compartimenti composti da sottounità rettangolari. Scomponendo, ipoteticamente, il quadrato in quattro sezioni uguali, ciascuna lettera occuperebbe lo spazio di un nuovo quadrato generato. Così, alla sezione superiore, appartengono le due lettere iniziali, mīm e ḥā’, ed a quella inferiore mīm e dal. Le lettere sono legate tra loro da un tratto continuo, adagiato sul rigo, che corrisponde alla cornice dei quadrati stessi. Il tipo di iscrizione quadrata, recante il nome del Profeta, risulta essere somigliante alle decorazioni epigrafiche appartenenti al complesso della Madrasa Nimavard di Iṣfahān (Iran), come risulta dalle riproduzioni grafiche presentate nel sito Kufic.info9.

Figura 10

Le pseudo iscrizioni arabe

Abbiamo visto come, diversi artisti, abbiano riprodotto vere e proprie iscrizioni, in maniera tanto attenta da consentirci una lettura dei testi arabi costitutivi. Spesso, però, questi testi non conservano, già dai modelli originali, i tracciati propri della scrittura araba. In questi casi l’analisi paleografica è stata spesso trascurata, perché considerata inefficace e marginale. Le pseudoiscrizioni che analizzeremo, ci presentano un’ampia visione dei generi di scrittura impiegati sui modelli e sui prototipi circolanti per le botteghe d’arte. Esse coprono un arco temporale che, partendo dal Duecento, si protrae fino alla fine del XV secolo.Già il Cimabue, infatti, ci trasmette, oltre all'iscrizione coranica precedentemente presentata, anche un’interessante pseudoiscrizione corsiva, in caratteri arabi. Nella Madonna con Bambino e Angeli di Bologna, è adagiato sul trono, un tessuto decorato da due fasce epigrafiche. Gli ornati epigrafici campeggiano nella parte superiore del dipinto, in corrispondenza delle spalle della Vergine, ed ai piedi del trono. I caratteri, di colore marrone scuro, sono disegnati su un fondo marrone tenue. Ancora una volta, la lettura a specchio ci ha consentito l’individuazione di alcuni particolari segni grafici. Prendiamo in analisi le due porzioni dell’iscrizione appartenente alla parte superiore del dipinto. Nella fascia, posta in corrispondenza

9 http://www.kufic.info/architecture/nimavard/nimavard.htm

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della spalla destra della Vergine (fig. 14), sono visibili una serie di nessi lam-alif , riproposti in sequenza alternata.

Figura 11

Questo genere di composizione potrebbe ricordare, come già accennato, la professione di fede islamica. A nostro avviso, però, si tratta di una copia di iscrizione ricavata da un modello già probabilmente illeggibile, di cui il relativo originale, avrebbe potuto contenere il testo della šahādah. Ulteriori esempi di pseudoiscrizioni e di riutilizzo di modelli precostituiti, del periodo gotico, ci vengono tramandati dall’opera di Giotto. Già lungo la cornice dorata di quella che, da molti studiosi, viene considerata come la tavola più antica del Maestro toscano, la Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa, sono riconoscibili le forme di alcune lettere arabe (fig. 16).

Figura 12

Si tratta, anche in questo caso, di scrittura corsiva ma, a differenza delle pseudoiscrizioni del Cimabue, lo stile risulta più elaborato. Infatti, vediamo sugli apici delle lettere alte alcune terminazioni a mezza punta di freccia e ad uncino. Le lettere in posizione finale presentano un occhiello lasciato aperto tipico della forma corsiva della lettera hā’; inoltre è visibile, nella forma iniziale/isolata una lettera del gruppo dāl/dhāl. Una scrittura corsiva a trama fitta e intricata è rappresentata, invece, negli ornati epigrafici del Mantegna. Nella pala di San Zeno, i nimbi dei santi sono decorati da particolari pseudoiscrizioni arabe. Come visibile nella figura 30, lo stile corsivo delle iscrizioni risulta essere particolarmente elaborato.

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Figura 13

Le terminazioni delle lettere sono ornate da palmette bilobate, l’ alif è inscritta nel rigo di cui determina l’altezza. Le nun riportano l’intera forma di mezzaluna occupando tutto il rigo. Nella parte centrale dell’iscrizione è leggibile la parola Allah mentre, appena dopo la nun, crediamo di riconoscere la parte iniziale della basmalah: “Bi-smi”, due volte ripetuta. Quest’ultima sarebbe orientata in maniera ortogonale rispetto al rigo. Nello stesso dipinto, sul nimbo della Vergine (fig. 31), compare nuovamente questo elemento grafico ed ancora una volta ruotato rispetto al testo e ripetuto due volte.

Figura 14

Lungo il bordo che orna il colletto del sontuoso abito della Madonna, è presente un’iscrizione corsiva che riporta, la più volte rappresentata nun a forma di ´ayn (fig. 32), preceduta da sagome che potrebbero essere riferibili ad una evoluzione della parola sulṭān, come illustrato nel paragrafo precedente.

Figura 15

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Il Mantegna riproduce, la stessa forma, nell’iscrizione corsiva, ma in maniera meno ornamentale, sul carro trionfale di Cesare, appartenente al ciclo degli otto dipinti dedicato ai trionfi dell’Imperatore romano (fig. 33).

Figura 16

Nella parte finale dell’iscrizione è, infatti, visibile la caratteristica nun, preceduta dalla solita composizione di lettere alte. Tutti i riferimenti citati fanno pensare a pseudoiscrizioni, o meglio a trascrizione di testi contraffatti, più che a copie di iscrizioni originali, dal momento che soltanto pochi elementi risultano essere realmente riconducibili a lettere arabe riprodotte nella loro forma corretta. Artisti come il Ghirlandaio, il Lotto 10 e il Carpaccio, copiano nei propri dipinti un definito modello di ornamentazione epigrafica, pensando di riprodurvi semplici e astratti elementi decorativi, dei tappeti persiani ed ottomani. Il riferimento alla scrittura araba, ormai, è completamente trascurato, per lasciare spazio a nuovi linguaggi visivi, espressione di una cultura pittorica già orientata verso il manierismo.Concludiamo questa parte, proponendo ulteriori esempi di applicazione della tabella ideata da Erdmann per catalogare le ornamentazioni epigrafiche che derivano dalle diverse riproduzioni della parola Allah, nelle decorazioni presenti nei dipinti: Madonna col Bambino in trono, angeli e santi, (fig. 42) e San Girolamo nel suo studio, (fig. 43) del Ghirlandaio e nelle Scene della via di Sant’Orsola , (fig, 44) del Vittore Carpaccio.

Figura 17

La porzione dell’iscrizione evidenziata nella figura 42 è da riferire al modello 1d della tabella di Erdmann 11.

10 Si veda Venis et l’Orient 828-1797. Catalogo della mostra, a cura di S. Carboni, Paris 2006, pp. 125-12611 K. Erdmann, op. cit., p. 39

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Figura 18

Nel caso della figura 43, la pseudoiscrizione potrebbe rientrare nell’ordine del modello 4 b.

Figura 19

Nel dipinto del Carpaccio, infine, la pseudoiscrizione ci sembra riconducibile al caso 4 a.

Le iscrizioni latine criptate

Riguardo all’utilizzo delle iscrizioni latine criptate, è ancora il Soulier a segnalarci, in maniera dettagliata, le diverse testimonianze nella pittura italiana gotica e del primo Rinascimento. Lo studioso francese inaugura un dibattito che, tuttavia, non produrrà grandi sviluppi nel corso dei secoli, sebbene, nelle pagine del suo testo dedicato all’influenze orientali nell’arte toscana, vi siano gettate le basi per un’analisi metodologica volta alla decifrazione e alla lettura delle iscrizioni criptate. Ma l’importanza dello studio di Soulier risiede, prima ancora che nel contributo alla decodificazione dei testi, nell’individuazione del ruolo svolto da questo genere di iscrizioni. E’, infatti, attraverso l’uso di queste decorazioni epigrafiche assimilate dai segni “gotici deformati ed avviluppati negli intrecci della scrittura araba, che l’imitazione dei caratteri cufici ha lasciato tracce nella pittura occidentale 12”. Questo genere di ornamentazione esordirebbe, nella pittura italiana, proprio alla fine del Duecento, in concomitanza, quindi, con l’arrivo dei ṭirāz, e degli oggetti preziosi di manifattura arabo-islamica, dal Mediterraneo. Analizziamo di seguito le iscrizioni riportate sulle aureole delle Madonne dipinte dal Gentile da Fabriano. Il tipo di scrittura riportata ci è subito parsa estranea alle pseudoiscrizioni arabe, nonostante quest’ultime presentino stili, talvolta, assai dissimili. Si tratta di caratteri isolati, con un ductus sempre ben definito, somiglianti

12 G. Soulier, op. cit., p. 190

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a lettere maiuscole. Abbiamo proceduto con una lettura a specchio dell’iscrizione delle Madonne di Pisa, di New York, di Washington e di Firenze, procedendo con una lettura a specchio e il capovolgimento del dipinto. Nella Madonna di Pisa (fig. 54), è leggibile l’iscrizione latina “ABE MARIA A”. La A finale potrebbe spiegare il modulo ricorrente dell’iscrizione laddove la parola AVE, viene inserita sempre dopo il nome della Vergine. Il termine ABE potrebbe essere preso in prestito, ancora una volta, dalle iscrizioni del Buoninsegna che, nella Madonna di Berna riporta il ductus della V in maniera facilmente associabile ad una B maiuscola.

Figura 54

Nella Madonna di New York (fig. 55), è ripetuto per due volte il nome della Vergine: “MARIA MARIA A”. Ancora una volta il testo riporta una A finale. Nell’iscrizione della Madonna di Washington (fig. 56), invece, il significato “ciclico” dell’iscrizione, è meglio espresso nella posizione intervallata delle parole, si legge: “RIA MARIA MA”, come accade per l’iscrizione centrale della Madonna Rucellai.

Figura 55

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Figura 56

Nel caso della Madonna di Firenze (fig.57), invece non sembra esserci alcun riferimento atto a conferire una percezione periodica dell’iscrizione.

Figura 57

C’è da notare, però, che parte dell’iscrizione risulta essere coperta dallo spazio occupato dal velo della Vergine. Il testo leggibile risulta essere: “MARIA MARIA”.Le lettere si presentano in maniera unita, come già abbiamo avuto modo di osservare in due esempi di iscrizioni presenti nella Madonna Rucellai del Duccio. Di seguito proponiamo, le tabelle esemplificative dei ductus relativi alle lettere M,R,I (fig 58) e alle lettere A (fig.59).

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Figura 58

Figura 59

Suddividiamo, adesso, le A nei sottogruppi, secondo i criteri stabiliti per l’identificazione dei ductus della lettera. Gruppo II: B2, A5, A6, B4, A3, B6, B8, B3Gruppo III: B1, Gruppo IV: A4, A7, A8, A9 (B1)La B1 può essere considerata appartenente al gruppo IV, perché composta da tre gambe, e al gruppo III perché aperta al vertice e composta da elementi paralleli.

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Le lettere del gruppo II hanno in comune, in questo caso, soltanto una struttura rettangolare, leggermente allungata verso l’alto, e generalmente ben riprodotte. Il Gentile interviene, come visto, in maniera attenta e metodica nella raffigurazione delle iscrizioni criptate, sottolineandone la particolarità “ciclica”. Il suo è sicuramente un approccio imitativo, riguardo a un certo tipo di ornamentazione epigrafica; ma egli non rinuncia, però, ad intervenire e a modificarne le specifiche forme strutturali, dimostrando così, di meritare uno posto, tra le grandi personalità ideatrici di questo genere di iscrizioni.Dopo l’importante contributo fornito dal Gentile, nell’impiego e nell’elaborazione delle iscrizioni criptate, gli artisti quattrocenteschi preferiscono decorare le proprie opere affidandosi alla riproduzione e alla copia delle pseudoiscrizioni semitiche, piuttosto che alla riproposizione di questo particolare gioco enigmistico.Alla fine del Quattrocento, però, il giovane Bergognone, trova un sistema, per riproporre in chiave a lui più contemporanea, il colto divertissement ideato dai grandi maestri del Gotico. Nella Madonna della National Gallery, corre lungo tutta la bordura dell’abito, una pseudoiscrizione composta da segni che non sembrano appartenere a nessun alfabeto in particolare. Dopo un’attenta analisi siamo riusciti ad individuare il nesso logico che disciplina queste iscrizioni. Si tratta di singole sovrapposizioni, alternate, di caratteri latini maiuscoli. Nella figura 60 è riportato il lembo con l’iscrizione, seguito dalle esemplificazioni grafiche che mostrano il testo.

Figura 60

L’iscrizione è inscritta nel rigo, delimitata da due linee orizzontali, che corrono per tutta la lunghezza della composizione e fungono da cornice per il testo.I caratteri sono dorati, riprodotti su fondo blu. L’iscrizione non presenta nessun segno accessorio. Le lettere latine si presentano in formato maiuscolo; tutte le lettere sono rese con la stessa altezza. I caratteri sono sovrapposti in modo da indurre ad una rilettura obbligata della la stessa porzione dell’iscrizione, prima di poter avanzare di posizione. Il testo completo dell’iscrizione è “Ave Maria Mater Dei Ora Pro Nobis [peccatoribus. Nunc et in] Hora Mortis Nostrae”.

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AVE MARIA

MATER DEI

ORA PRO

NOBIS HORA

MORTIS NOSTRAE

Per usare le parole del Soulier “ le peintre s’est certainement diverti à embrouiller l’écriture et à intriguer le spectateur, en donnant à son grimoire un aspect indéchiffrable”.

Le iscrizioni ebraiche

Se i riferimenti alle pseudoiscrizioni arabe nelle decorazioni pittoriche si sono dimostrati, nel corso dei secoli, approssimativi e generici, alle testimonianze della cultura ebraica non è stata riservata, certo, maggiore attenzione. Sono rari i casi in cui, nei trattati di storia dell’arte e di altri studi di settore, si trovino riferimenti espliciti a segni grafici di influenza ebraica. Ancora una volta è il Soulier che, dimostrando una certa sensibilità verso gli studi orientalistici, già agli inizi del secolo scorso, scrive esplicitamente di “lettere ebraiche”13.

13 G. Soulier, op. cit., p 191 “…et surtout dans l’Annonciation de l’église du Gesù, peint pour la même ville, vraisemblablement quelques années plus

tard, la robe de l’ange s’orne d’un large bandeau couvert de caractères orientaux qui semblent vouloir être des lettres hébraïques, ainsi qu’il en avait été, par exemple sur le bonnet du grand-prêtre dans la Présentation au Temple d’Ambrogio Lorenzetti (Uffizi).”

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Tra i primi artisti italiani ad attestare l’utilizzo di tali ornamentazioni epigrafiche vi è Simone Martini che dimostra, nella riproposizione dei segni in composizione decorativa, un’apprezzabile fedeltà ai ductus originali delle lettere. Abbiamo ritenuto particolarmente interessante analizzare le pseudoiscrizioni presenti nel polittico Orisini, nel San Martino ordinato Cavaliere e nella Sacra Famiglia . Le decorazioni del polittico Orsini risultano essere le più fedeli alle lettere originali ebraiche. Gli ornati epigrafici corrono lungo il bordo del manto della Vergine (figg. 61 e 62); i caratteri dorati campeggiano sul fondo blu, delimitato da due righe, che inscrivono l’intera composizione.

Figura 20

Figura 21

Nelle figure 61 e 62 sono evidenziati, con diverse intensità di grigio, le lettere riconoscibili dell’alfabeto ebraico. Di seguito proponiamo una ripartizione in sottogruppi.

- Nero: a cui appartengono le lettere tonde סמם- Grigio scuro: א i l segno più frequente nell’iscrizione- Grigio: lettere di forma quadrangolare del tipo חהת - Grigio chiaro: lettere aperte a sinistra כבפ- Bianco sporco: lettera a tre dentini ש

Anche in questo caso, le alef, sono di gran lunga le lettere più rappresentate nell’ornamentazione epigrafica. Nelle pseudoiscrizioni ebraiche appare sempre e, in determinate circostanze esclusivamente, la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Potremmo avanzare un´ipotesi di parallelismo con quanto accade per le pseudoiscrizioni arabe, riguardo al nesso lām-alif. Si tratta in entrambi i casi, infatti, di segni rappresentativi che esprimono, nella loro forma, l’intero sistema alfabetico di appartenenza.

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Inoltre, essi si presentano con profili già noti al contesto occidentale. Questo spiega il motivo di una certa sproporzione nell’impiego frequente di queste lettere rispetto alla gamma di segni grafici di cui gli alfabeti semitici dispongono. La alef ebraica viene frequentemente riportata, infatti, in una forma particolarmente somigliante alla croce uncinata o svastica. Quando l’artista, dovendosi ispirare ad una composizione epigrafica in caratteri ebraici, non dispone di un modello preciso a cui fare riferimento, affida l’organizzazione delle ornamentazioni alla sola immaginazione creativa ed è molto probabile che in tal caso egli faccia ricorso, tra i rari segni ancora riconoscibili, ad una grande predominanza di alef , riprodotte nella forma di croce uncinata. E’ il caso delle decorazioni che il Martini propone sui tessuti dei personaggi della Sacra Famiglia . Rispetto al polittico Orsini, infatti, i segni risultano essere qui dipinti in maniera più casuale ed approssimativa. Osservando i mantelli di San Giuseppe e di Gesù (fig. 63), ci si rende conto di quanto la decorazione epigrafica sia, di fatto, tanto imprecisa quanto indefinita.

Figura 22

Nella figura 64, abbiamo evidenziato i segni in qualche modo riconducibili a lettere pseudo ebraiche. Oltre alla due alef, di cui la prima è resa a forma di X e la seguente riprende la forma di croce uncinata, individuiamo il ductus di una lettera tonda (סמם), di una tzadi צ e di una lettera ad asta ון, riconducibili a lettere pseudo ebraiche.

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Figura 23

Le decorazioni epigrafiche in caratteri pseudo ebraici, trovano spazio anche nell'arte ceramica rinascimentale.Le comunità ebraiche presenti in Italia, durante tutto il Medioevo, apportano nell’iconografia occidentale, un bagaglio di segni e simboli che caratterizzeranno la conformazione e lo sviluppo di interi schemi decorativi. Il patrimonio ereditato dalla cultura ebraica, verrà riadattato e sviluppato in ambiti culturali diversi. Gli ornati epigrafici utilizzati nella decorazione di alcune ceramiche rinascimentali, non sembrano essere copie di modelli, più o meno contraffatti, di iscrizioni ebraiche. La fedeltà con la quale vengono riproposte le lettere e il tipo di composizione, induce ad ipotizzare una “conoscenza” dei segni ed un consapevole utilizzo. Rispondendo ad una richiesta del dott. Paolinelli 14, ho analizzato le “misteriose” ornamentazioni epigrafiche di un piatto del primo Cinquecento, proveniente dal ducato di Urbino (fig. 74).

Figura 24

La decorazione epigrafica è formata da ventiquattro lettere dell’alfabeto ebraico.

14 AA VV. Le maioliche rinascimentali nelle collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia II, Perugia, 2007 pp. 248-252

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Il testo è composto da otto א, otto ל, sei ד, e due ס (fig. 75).Trattandosi di una lettura di caratteri semitici, partiremo dalla prima in ס alto e procederemo verso sinistra, in senso antiorario. Formeremo dei raggruppamenti composti da tre lettere, ottenendo, così, una prima suddivisione in otto gruppi. Trattandosi di un insieme di tre lettere sulle ventiquattro complessive, il modulo sarà costituito dalle tre lettere, equidistanti tra loro otto posizioni.

Figura 25

Di ogni gruppo è possibile individuare, sul lato opposto, un “gruppo gemello” formato da tre medesimi segni in posizione speculare. Considerando, così, i gruppi gemelli, parte di un unico raggruppamento, otteniamo, quattro gruppi di sei lettere i cui ductus sono presentati e confrontati nella fig. 80.1. סאד סאד (fig. 76)

2. לאד דאל (fig. 77)

3. דאל לאד (fig. 78)

4. דאל לאד (fig. 79)

Poiché questo tipo di composizioni sono basate sull’utilizzo di una certa simbologia, spesso legata ad ambiti esoterici, e trovandoci a ragionare su un insieme composto da tre elementi speculari, apparentemente privo di significato, non ci è parso azzardato il riferimento alla stella a sei punte, quale chiave di lettura per la decodifica del testo.

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Figura 26

Figura 27

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Figura 28

Figura 29

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I vertici dei due triangoli che formano ciascuna stella, uniscono le tre lettere in un nome. Un triangolo segna la lettura in senso orario, l’altro in senso antiorario. Procedendo in questo modo si legge, sulla stella centrale, il nome Sealiah e sulle tre stelle laterali, il nome Aladiah.Secondo la tradizione biblica Aladiah è il nome del X angelo, mentre Sealiah, risulta essere il XLV. Il nome di Aladiah è così scritto ,אלד mentre Sealiah corrisponde a .סאלLa א è rappresentata nella tradizione ebraica da un volatile. La viene ל indicata con un braccio, oppure un’ala. La indica ד una mano. La ,ס ha come valore grafico il torchio, spesso rappresentato da un tondo.Va da sé il riferimento al disegno centrale 15:

- il volatile- il braccio e l’ala- la mano- il tondo

Figura 30

15 Cfr, immagine 74

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Il riferimento all’angelo Aladiah è molto frequentemente, nella tradizione ebraica, su amuleti, talismani ed altri oggetti portafortuna. La composizione criptata, sottende, dunque, un’evidente relazione con ambienti che avessero una conoscenza abbastanza approfondita della cultura ebraica. Riteniamo pertanto si possa trattare di una committenza colta o una produzione ad opera di maestranze ebraiche, per quanto tale ipotesi sia stata recentemente esclusa dagli storici dell’arte16. Tuttavia la questione che ci premeva sollevare, a nostro avviso, è stata focalizzata.Non sempre, una composizione epigrafica generata in un contesto occidentale è da definire, in maniera aprioristica, pseudoiscrizione o iscrizione fantastica ispirata a segni alfabetici, solo perché apparentemente indecifrabile. In particolare, nel contesto esoterico di ambito semitico, questo tipo di combinazioni “enigmistiche” tendono a sviluppare il lato occulto e segreto nelle iscrizioni, in quanto ne riservano la comprensione ad una ristretta cerchia di fruitori che sono a conoscenza del sistema di codifica del messaggio. È proprio per questa ragione che le decorazioni del piatto da noi studiato sono sempre state ritenute, da osservatori ignari delle problematiche insite nell’uso dei segni alfabetici delle lingue semitiche, delle pseudoiscrizioni fantastiche. Soltanto nel 2006 è stata proposta una nuova lettura, accolta con poco entusiasmo negli studi di settore, che indica il testo in caratteri latini “ Dux f m”, in riferimento al Duca Francesco Maria della Rovere17. Il nostro contributo, per quanto limitato, è volto al consolidamento di un approccio multidisciplinare che, supportato da uno studio sistemico e accurato delle iscrizioni, possa contribuire ad una corretta ricostruzione delle fondamentali dinamiche legate agli aspetti storico-culturali dell’arte e delle relazioni interetniche.

16 Cfr. L. Donati, P. Prato “Produzione ceramica ed ebrei a Faenza dal XV al XVII secolo” in Faenza Bollettino del Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza Faenza, 2005. Pag. 11517 Cfr F. Cioci, “Simbologie ermetiche su maioliche metaurensi della corte roveresca” in CeramicAntica, anno XVI, n. 11, 2006, p. 61