giovani del nuovo secolo. quinto rapporto iard sulla condizione giovanile in italia

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Page 1: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia
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Giovani del nuovo secolo

Dal 1984 IARD promuove ogni quattro anni l'indagine nazionale sulla condizione giovanile. Si tratta di un caso pressoché unico nella ricerca sociale in Italia e in Europa, in quanto consente l'osservazio­ne della dinamica degli atteggiamenti, delle opinioni e dei compor­tamenti dei giovani lungo un arco di tempo ormai quasi ventennale. La quinta edizione dell'indagine è stata realizzata intervistando un campione rappresentativo di 3000 giovani tra i 15 e i 34 anni di età, al fine di cogliere con maggiore precisione la transizione- dalla fase giovanile a quella adulta del corso di vita. Pur mantenendo costanti una serie di indicatori delle indagini precedenti, nella quinta indagi­ne ne sono stati aggiunti altri relativi ai ruoli maschili e femminili e alla Vita di coppia, agli atteggiamenti verso la scienza e le nuove tec­nologie, ai consumi musicali, alle opinioni sulla pena di morte, alle dimensioni psicologiche dell'immagine e della percezione di sé. I destinatari dell'indagine sono tutti quegli adulti (come genitori, edu­catori, insegnanti, operatori) che quotidianamente devono confron­tarsi cori i giovani e spesso hanno difficoltà a cogliere i segnali che vengono dai lo'ro modi di comportarsi e dai loro stili di vita.

Indice del volume: Prefazione, di F. Brllmbilla. - Parte prima: Sistemi di valo­re e percorsi verso i ruoli adulti (saggi di: C. Buzzi, A. de Lillo, S. Gilardi). -Parte seconda: Scelte scolastiche e strategie occupazionali (saggi di: G. Gasperoni, M. Vinante, A. Chiesi). -Parte terza: La famiglia e le rappresenta­zioni familiari (saggi di: C. F acchini, F. Sartori, C. Leccardi). -Parte quarta: Partecipazione, identità collettiva e rappresentazioni sociali (saggi di: L. Ricolfi, D. La Valle, L. Altieri e P. F accioli, l. Diamanti, P. Peri, M. Rostan, M. Bucchi). -Parte quinta: Cultura giovanile e divertimento (saggi di: G. Gros­si., M.R. Rampazi, R. Albano, M.T. Torti, F. Neresini, R. Grassi). -Conclusioni: Giovani italiani e giovani europei, di A. Cavalli. -Appendice statistico-meto­dologica, di A. Volino. -Riferimenti bibliografici.

Carlo Buzzi insegna Sociologia nell'Università di 'lì'ento. Alessandro Cavalli insegna Sociologia nell'Università di Pavia. Antonio de Lillo insegna Sociologia nell'Università di Milano-Bicocca. Hanno svolto e coordinato tutti i precedenti rapporti lARD sulla condizione giovanile (Il Mulino, 1984, 1988, 1993, 1997).

Cover design: Miguel Sal & C. ISBN 88-15-08446-0

Società editrice il Mulino l 11111 9 788815 084460

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STUDI E RICERCHE

CDXC.

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lARD

IARD è un istituto specializzato attivo dal 1961 nel campo della ricerca sui processi culturali, educativi e for­mativi con approcci che integrano le prospettive delle di­verse scienze sociali.

Opera su tutto il territorio nazionale awalendosi della sua struttura interna e di un nutrito gruppo di collabora­tori esterni, scelti fra i più noti esperti dei vari settori di­sciplinari. Dispone di una propria, qualificata e collauda­ta rete di intervistatori estesa capillarmente in tutte le province italiane e di un autonomo centro di calcolo per la trattazione dei dati.

È inoltre inserito in reti e consorzi internazionali in grado di fornire consulenza e supporto tecnico alla realiz­zazione di ricerche-intervento per conto dell'Unione Eu­ropea.

Le attività dello IARD sono riconducibili a tre filoni prin­cipali di studio: la condizione giovanile; le politiche socio­culturali; le politiche scolastico-formative.

All'interno di ciascuna tematica, IARD conduce ricer­che in ambiti diversificati e attraverso molteplici metodo­logie: dalle indagini campionarie su popolazioni estese di soggetti, alle indagini qualitative di tipo motivazionale su target specifici, ai case-studi es finalizzati all'analisi delle dinamiche organizzative e di mercato, agli studi su dati se­condari.

IARD ha inoltre messo a punto una metodologia fina­lizzata alla verifica dei risultati, in termini di efficienza ed· efficacia, di progetti e sperimentazioni su target diversifi­cati.

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GIOVANI DEL NUOVO SECOLO

Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia

a cura di Carlo Buzzi, Alessandro Cavalli

e Antonio de Lilla

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

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I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it

ISBN 88-15-0.8446-0

Copyright © 2002 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo- elettronico, meccanico, reprografico, digitale- se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizionilfotocopie

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INDICE

Prefazione, di Franco Brambilla p. 13

PARTE PRIMA: SISTEMI DI VALORE E PERCORSI VER­SO I RUOLI ADULTI

I.

II.

Transizione all'età adulta e 1mmagm1 del futuro, di Carlo Buzzi 19

l. L'ambito problematico 19 2. Diventare adulti in Italia 22 3. Una tipologia della condizione giovanile 28 4. I giovani di fronte al futuro 34 5. Alcune considerazioni sul permanere dei

giovani in famiglia 3 8

Il sistema dei valori, di Antonio de Lilla 41

l. L'irresistibile ascesa della socialità ristretta 41 2. Una mappa dei valori giovanili 44

III. Percezione di sé e soddisfazione personale, di Silvia Gilardi 49

l. Premessa 49 2. Livelli di soddisfazione per la propria vita

e per le risorse personali 50 3. Idee di sé e sul proprio rapporto con l'e-

sterno 56 4. Note conclusive: giovani responsabili, ma

s� �

5

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PARTE SECONDA: SCELTE SCOLASTICHE E STRATE­GIE OCCUPAZIONALI

I. I processi formativi fra vecchie disugua­. glianze e nuove trasformazioni, di Giancar-

II.

lo Gasperoni p. 73

l. Istruzione e disuguaglianze sociali 7 4 2. I percorsi formativi accidentati 81 3. Le finalità della scuola 84 4. L'importanza dello studio 87 5. I rapporti con gli insegnanti 89 6. Le lingue straniere 91 7. Computer e tecnologie multimediali 92 8. n finanziamento pubblico dell'istruzione non

statale 94 9. Osservazioni conclusive 95

La condizione dei giovani tra processi for­mativi e lavoro: orientamento e ricerca di occupazione, di Marco Vinante

l. L'orientamento scolastico e la formazione

97

professionale 97 2. I giovani in transizione: loro carattensu­

che, gli aspetti importanti del lavoro e gli ideali di giustizia distributiva 102

3. Le strade verso il mercato del lavoro: stra­tegie di ricerca d'occupazione per i giovani in transizione 113

III. La trasformazione del lavoro giovanile, di Antonio Chiesi 121

l. L'esperienza del lavoro 2. L'immagine del lavoro 3. Strategie di offerta del lavoro 4. Le preferenze lavorative 5. La qualità del lavoro

6

121 130 137 146 150

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PARTE TERZA: LA FAMIGLIA E LE RAPPRESENTA­ZIONI FAMILIARI

I. La permanenza dei giovani nella famiglia

II.

di origine, di Carla Facchini p. 159

l. Premessa 159 2. Tipologia familiare: tra radicamento del

modello di famiglia lunga e fattori di mu-tamento 162

3. Le basi dell'accordo: tra alti margini di li-bertà e bassi livelli di partecipazione 173

La giovane coppia, di Francesca Sartori 187

l. Nuove famiglie, nuzialità, fecondità: alcune tendenze 187

2. Le caratteristiche socio-anagrafiche e rela-zionali delle nuove coppie 194

3. Ambiti di accordo e disaccordo tra i partner 206 4. La divisione del lavoro domestico 210 5. Le scelte relative ai figli e il lavoro di cura 219 6. Note conclusive 225

III. Ruoli di genere ed immagm1 della vita di coppia, di Carmen Leccardi 229

l. Perché studiare le relazioni di genere 229 2. I ruoli di genere 230 3. La convivenza 247 4. L'età ideale per la prima maternità/paternità 249 5. Le rappresentazioni della vita di coppia 252 6. Osservazioni conclusive 255

PARTE QUARTA: PARTECIPAZIONE, IDENTITÀ COL­LETTIVA E RAPPRESENTAZIONI SOCIALI

I. L'eclisse della politica, di Luca Ricolfi

l. Tendenze passate 2. Tendenze recenti

7

259

259 259

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II.

3. La percezione dei partiti 4. Spiegare il comportamento elettorale? 5. Le basi etiche dei poli elettorali 6. I due modi della non politica 7. L'eclisse della politica e la geometria dello

spazio etico

La fiducia nelle istituzioni e gli ideali di giustizia sociale, di Davide La Valle

p. 267 271 274 277

279

283

l. Introduzione 283 2 . L a distribuzione della fiducia tra le diverse

istituzioni 285 3. Variazioni della fiducia nel tempo 287 4 . Da che cosa dipende la fiducia? 288 5. Gli ideali di giustizia sociale 293

III. Percezione delle norme sociali, trasgressio­ne e devianza, di Leonardo Altieri e Patri-zia Facciali 297

l. Premessa: le tendenze emerse nell'indagine precedente 297

2. Alcune innovazioni introdotte nell'ultima indagine 298

3. La percezione delle norme sociali 300 4. Le norme individuali 304 5. La propensione alla trasgressione 312 6. Le norme del gruppo di riferimento 320 7. Di fronte alla trasgressione tra repressione

e prevenzione 327 8. Dalla trasgressione a nuove regole di con-

dotta individuale 3 31

IV. L'appartenenza territoriale: la generazione indifferente, di Ilvo Diamanti 335

l. Un'identità aperta 2. L'Europa: più fortezza che patria 3. Cinque modelli di identità territoriale 4. La generazione indifferente

8

338 343 345 348

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V. Giovani, immigrazione e pregiudizio etni-co, di Pierangelo Peri p. 351

l. L'ambito problematico 35 1 2. Le opinioni verso l'immigrazione 356 3. Note conclusive 366

VI. La religiosità giovanile, di Michele Rostan 367

l. Credenze e appartenenze 367 2. La pratica e l'impegno 371 3. Il quadro della religiosità giovanile e la sua

stabilità 373 4. I giovani cattolici 377 5. Religione e cultura 377

VII. Scienza e nuove tecnologie, di Massimiano Bucchi 385

l. I giovani e la scienza 385 2. Innovazione tecnologica e nuovi media 391 3. Alcune considerazioni conclusive 395

PARTE QUINTA: CULTURA GIOVANILE E DIVERTI­MENTO

I. I consumi culturali, di Giorgio Grossi

l. La galassia dei consumi culturali giovanili:

401

tra pervasività e differenziazione 401 2. I giovani consumatori assidui: gusti e pre-

ferenze 412 3. Come è cambiato il menù del consumo

culturale giovanile: un confronto '87 -'00 416 4. Consumi culturali e condizione giovanile:

problemi e ipotesi interpretative 419

9

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II. Sport, vacanze e svago nel tempo libero, di Maria Rita Rampazi p. 425

l. Premessa 425 2. Disponibilità di tempo libero nel quotidia-

no 427 3. Lo sport: praticanti e spettatori 428 4. Week-end e viaggi di pochi giorni: il pro-

blema di dormire fuori casa 430 5. Le vacanze: dalla regione al mondo 432 6. Girovagare per passatempo. I centri com-

merciali come luoghi emergenti delloisir 433 7. Attività del tempo libero: la centralità della

dimensione relazionale-conviviale 436

III. L'associazionismo e la partecipazione, di Roberto Albano 439

l. Livelli di partecipazione dei giovani alle as-sociazioni volontarie 439

2 . Ambiti dell'associazionismo giovanile 441 3 . Profilo dei giovani che partecipano all'atti-

vità delle associazioni 444 4. Modalità di partecipazione 447 5. Associazionismo e partecipazione a manife-

stazioni pubbliche 451 6. I gwvam associati: protagonisti che non

fanno notizia 454

IV. Musica e notte, di Maria Teresa Torti 457

V.

l. La centralità della musica 2. I giovani e la notte

La salute, di Federico Neresini

l. Giovani e salute 2. Medici, medicine e istituzioni 3. Dilemmi bioetici 4. In prospettiva

1 0

457 463

475

477 480 484 488

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VI. Tra presenza e fuga: il consumo di stupe-facenti, di Riccardo Grassi p. 491

l. Un trend in costante crescita 493 2. Quali droghe? 496 3. Per una tipologia della contiguità alle so-

�m� 4� 4. I fattori di rischio 500 5. Conclusioni 504

Conclusioni: Giovani italiani e giovani europei, di Alessandro Cavalli 511

Appendice statistico-metodologica, di Antonella Volino 525

l. Il metodo di campionamento 525 2. Lo strumento di rilevazione 527 3. La somministrazione del questionario 529 4. La raccolta dei questionari e i l trattamento

dei dati 530 5. Le distribuzioni di frequenza dell'indagine

2000 531 6. Le mancate interviste: rifiuti ed irreperibi­

lità dei soggetti campionati (di Gianluca Argentin) 588

7. Confronto tra le distribuzioni di frequenza delle cinque indagini IARD sulla condizione giovanile in Italia 592

Riferimenti bibliografici 659

1 1

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PREFAZIONE

E cos1 s1amo arrivati alla Quinta indagine lARD sulla condizione giovanile! Sono passati quasi vent'anni dalla prima tornata e, ogni volta, si rafforza in noi la convin­zione di aver imbroccato allora la strada giusta. Fa un certo effetto pensare che i giovani che abbiamo intervi­stato nel 198 1 abbiano ormai più o meno quarant'anni. Noi seguiamo la dinamica della società italiana nel mo­mento in cui si riproduce e si rinnova nel succedersi del­le generazioni. Studiare i giovani vuol dire studiare la so­cietà nel suo complesso tenendo conto delle esigenze di coloro che abiteranno il suo futuro, vuol dire anche capi­re quali sono i loro problemi e quali sono le nostre re­sponsabilità nei loro confronti. Una società si giudica an­che, e forse soprattutto, dalla cura che dedica a coloro che saranno i suoi cittadini di domani. Non ci sembra che i responsabili della società adulta siano sempre stati all'altezza del loro compito. Aver accumulato una mole immensa di debito pubblico, aver abbandonato a se stes­se le istituzioni educative, aver tutelato coloro che un la­voro ce l'hanno piuttosto che coloro che lo cercano, aver compromesso l'ambiente e sperperato risorse non rinno­vabili, in sostanza, aver pensato al presente piuttosto che al futuro, tutto questo non depone a favore di una socie­tà che si «prende cura» dei giovani.

E, tuttavia, noi restiamo ostinatamente ottimisti e non condividiamo i pregiudizi correnti di chi vede dei giovani solo i lati negativi, il disagio, l'immaturità, l'incertezza, il ripiegamento sul «particolare». Se un merito le nostre ri­cerche hanno avuto, questo è proprio l'aver dimostrato che non si possono dare dei giovani giudizi sommari. L'arcipelago giovanile è variegato e composito, accanto ai giovani che sprecano le loro energie migliori, ve ne sono

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molti di più che si preparano attivamente, seriamente e responsabilmente ad affrontare le sfide del futuro.

Queste indagini, comunque, non sono rivolte ai gio­vani, il loro «pubblico» non è il pubblico giovanile. Sono rivolte in prima istanza a coloro che hanno delle respon­sabilità nei confronti dei giovani: genitori, educatori, ope­ratori, politici. I consensi che le precedenti indagini han­no ricevuto da queste categorie ci hanno spronato a con­tinuare quello che ormai è diventato l'Osservatorio «uffi­ciale» permanente della condizione giovanile in Italia.

Se gli intenti sono rimasti gli stessi delle precedenti tornate, l'équipe alla quale abbiamo affidato la conduzio­ne dell'indagine si è in parte rinnovata. Abbiamo cercato infatti di coinvolgere una fetta consistente degli studiosi che in questi anni hanno accumulato competenze in que­sto tipo di ricerche. Accanto ai collaboratori «storici» che hanno partecipato a tutte le precedenti indagini (Carlo Buzzi, Alessandro Cavalli, Antonio de Lilla, Luca Ri­colfi) , vi sono coloro che già in passato avevano contribu­ito al buon esito dell'iniziativa (Roberto Albano, Massi­miano Bucchi, Antonio Chiesi, Ilvo Diamanti, Giancarlo Gasperoni, Michele Rostan, Francesca Sartori) ed altri che compaiono per la prima volta tra gli estensori dei vari capitoli (Leonardo Altieri, Silvia Gilardi, Carla Fac­chini, Patrizia Facciali, Riccardo Grassi, Giorgio Grossi, Carmen Leccardi, Davide La Valle, Federico Neresini, Pierangelo Peri, Marita Rampazi, Maria Teresa Torti, Marco V inante). Antonella Volino ha curato anche per questo volume la pubblicazione dei questionari e delle distribuzioni di frequenza. Nell'équipe di ricerca hanno inoltre collaborato Francesca Bastianelli per il coordina­mento delle rilevazioni e Eliana Colombo e Lucia Matta­relli per la redazione dei testi.

Un ricordo commosso va a Maria Teresa Torti, una giovane e valente collaboratrice che nel frattempo ci ha dolorosamente e prematuramente lasciati.

Un'indagine come la nostra richiede l'impiego di con­sistenti risorse. Una parte cospicua è stata coperta dall' au­tofinanziamento interno IARD. Dove non è arrivato l'auto-

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finanziamento, abbiamo ancora una volta potuto approfit­tare del sostegno consistente di «mecenati» esterni (Fon­dazione CARIPLO e Pirelli S.p.A.) ai quali esprimiamo la nostra riconoscenza e il più caldo ringraziamento.

Ci stiamo già preparando per la prossima scadenza. L'appuntamento è per il 2004 . . . voltato l'angolo.

Franco Brambilla Presidente IARD

Il 7 dicembre 2001 , poche settimane dopo aver scrit­to questa Prefazione, Franco Brambilla, fondatore dello IARD, ci ha lasciati per sempre. Lo ricordiamo con affet­to, consapevoli che l'unico modo per onorare la sua me­moria sarà di continuare la sua opera e di mantenere fede al suo impegno civile.

I curatori

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PARTE PRIMA

SISTEMI DI VALORE E PERCORSI VERSO I RUOLI ADULTI

di Carlo Buzzi, Antonio de Lilla e Silvia Gilardi

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CAPITOLO PRIMO

TRANSIZIONE ALL'ETÀ ADULTA E IMMAGINI DEL FUTURO

l. L'ambito problematico

La storia ci mostra numerosi esempi di società che perdono la loro identità, che collassano, che scompaiono a causa di guerre, di acculturazioni coatte, di agenti eco­nomici sfavorevoli. Accade però per la prima volta che un insieme di società - quelle dell'Occidente avanzato -metta a repentaglio la sua stabilità futura e le condizioni del suo sviluppo non per minacce esterne ma per una sua debolezza intrinseca. La flessione dei tassi di natalità, oramai da parecchi anni al di sotto dell'indice del rim­piazzo fisico dei suoi membri, rivela il declino della capa­cità delle società europee di autoriprodursi biologicamen­te. Vi sono delle differenze tra paese e paese, una serie di cause di diversa origine concorre a determinare l'intensità del fenomeno, ma gli effetti sono indiscutibili: le società occidentali invecchiano e nascono sempre meno figli dal­le coppie che si formano all'interno delle nuove genera­zioni. L'Italia, come è noto, ha una posizione di primo piano, con le altre nazioni mediterranee, nella graduatoria del decremento demografico1 . Nel nostro paese è infatti assai più visibile che altrove il processo di rallentamento con il quale i giovani realizzano il passaggio alla condizio­ne adulta, assumendone i ruoli e le responsabilità.

Parlare di giovani «che diventano adulti» ha anche il senso di discutere del futuro della nostra società, e in questo primo capitolo cercheremo di analizzare le dimen­sioni e le caratteristiche del fenomeno. Una consolidata tradizione nell'analisi delle problematiche giovanili pone

I Cfr. De Sandre et al. [1997; 1999] .

19

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una particolare attenzione sulla transizione. L'età giovani­le può infatti essere considerata una condizione transito­ria che segna progressivamente l'abbandono dei ruoli ti­pici dell'adolescenza e la contemporanea assunzione delle funzioni e delle competenze dell'età adulta.

I tempi e i modi con i quali questo passaggio si rea­lizza appaiono fortemente influenzati da contingenze sto­riche, ecònomiche e culturali. La transizione nelle società contemporanee è scandita dal superamento di soglie, ov­vero da tappe di passaggio, indispensabili per poter rico­prire stabilmente quelle posizioni sociali che contraddi­stinguono l'individuo adulto e lo differenziano dall'adole­scente. Il percorso fa riferimento a due assi principali -quello scolastico-professionale e quello familiare-matri­moniale - sui quali è possibile individuare cinque tappe emblematiche che introducono progressivamente il giova­ne a nuovi ruoli e a nuove responsabilità sociali; il supe­ramento di tutte e cinque le soglie, pur non essendo rigi­damente prescrittivo dal punto di vista della maturazione psicologica di un individuo, appare socialmente necessa­rio per la riproduzione fisica e culturale di una società.

La prima tappa si supera quando il giovane esce defi­nitivamente dal circuito formativo, la seconda quando en­tra in modo continuativo nel mondo del lavoro, la terza quando - affrancandosi dalla famiglia di origine - rag­giunge, con l'indipendenza economica conseguita col la­voro, anche un'autonomia di tipo esistenziale liberandosi dalla tutela quotidiana esercitata dai propri genitori. Queste sono le tappe che ogni individuo deve superare per essere socialmente riconosciuto adulto a tutti gli ef­fetti. La quarta e la quinta non sono indispensabili per il raggiungimento dello status di adulto, ma lo sono dal punto di vista delle necessità di sopravvivenza di una so­cietà; ci riferiamo alla formazione di una nuova famiglia (non importa se sancita istituzionalmente attraverso il matrimonio o realizzata in modo informale attraverso l'inizio di una convivenza) e all'assunzione di un ruolo genitoriale con la nascita dei figli.

Da molto tempo nelle società occidentali si è consoli-

20

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data una duplice tendenza che da un lato ha avuto l'ef­fetto di restringere il periodo dell'infanzia e dall'altro ha determinato il prolungamento progressivo dei tempi ne­cessari per transitare verso l'età adulta. Nel nostro paese il fenomeno del rinvio delle tappe di passaggio si è confi­gurato in modo molto più intenso che altrove e si è an­data via via diffondendo quella nuova forma di famiglia caratterizzata dalla abnorme permanenza dei figli nella casa dei propri genitorF.

Le indagini IARD hanno analizzato in modo sistemati­co e diacronico' - dalla prima rilevazione del 1983 all'ulti­ma del 2000 - il superamento delle cinque soglie d'in­gresso nella vita adulta da parte della popolazione giova­nile italiana. È da queste osservazioni che nel corso del tempo l'indagine ha dovuto adattare il campione alle mu­tate condizioni indotte dalla crescente difficoltà dei gio­vani ad assumere ruoli definitivamente autonomi dalla fa­miglia d'origine. Negli anni Ottanta le prime due rileva­zioni IARD si erano basate su campioni rappresentativi di giovani in età compresa tra i 15 e i 24 anni; negli anni Novanta il limite superiore era stato portato ai 29 anni di età; nell'ultima edizione del 2000, per poter osservare in quote statisticamente significative del campione il supera­mento delle ultime tappe della transizione - ovvero l'uscita definitiva dalle mura domestiche, la creazione di una nuova famiglia, la nascita del primo figlio - si è do­vuto estenderlo ai trentaquattrenni. Anche da questa an­notazione metodologica si dimostra la necessità di una profonda ridefinizione della condizione giovanile e dei fe­nomeni ad essa collegati3•

2 Per un confronto transnazionale cfr. Cavalli e Galland [ 1996]; Eurobarometer [ 1997] ; W alla ce e Kovatcheva [ 1998] .

3 Si vedano le note metodologiche dei quattro rapporti IARD editi da Il Mulino.

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2 . Diventare adulti in Italia

Facendo riferimento all'intero campione dei 15-34enni, il dato risulta piuttosto impreciso dal momento che riguarda coorti di età assai disomogenee, caratterizza­te da probabilità di superamento delle tappe di transizio­ne molto diverse. Per analizzare in modo più rigoroso il fenomeno è opportuno articolarlo per classi di età, osser­vando il tasso di superamento di ciascuna tappa di pas­saggio e confrontandolo con quello analogo riscontrabile nelle indagini precedenti (cfr. tab. 1 . 1 ) .

a) L'uscita dal circuito formativo

Fino ai vent'anni i giovani italiani che escono dalla scuola sono una minoranza che tende a diminuire nel tempo. Ciò prefigura una tendenza più accentuata al con­seguimento di un diploma di maturità e una minore di­spersione scolastica. Nella classe di età successiva, quella dei 2 1 -24enni, i tassi di permanenza all'interno dell'iter formativo universitario o parauniversitario appaiono sta­bili. Una non irrilevante differenziazione si ripresenta in­vece tra i 25-29enni, dove - nel 2000 - il 29% di essi è studente contro il 24% di quattro anni prima. Oltre i 30 anni s i ha ancora il 12,5 % d i studenti. Se un tempo il ci­clo formativo si sviluppava all'interno di confini tempora­li ben precisi, oggi questi confini si sono allargati e non sembrano porsi rigidi problemi di termine: la formazione spesso prosegue anche in corrispondenza del superamen­to di altre tappe ed inoltre l 'uscita dalla scuola ha perso la caratteristica dell'irreversibilità4•

4 Cfr. Gasperoni [ 1997]; si veda anche il capitolo dello stesso Gasperoni più avanti nel testo.

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b) L'entrata in modo continuativo nel mercato del lavoro

La maggiore propensione a continuare gli studi che caratterizza le nuove generazioni produce necessariamen­te una entrata nel mondo del lavoro sempre più tardiva. La contingenza economica che nel 1996 aveva prodotto un restringimento dei tassi di occupazione in molte regio­ni italiane sembra aver invertito la sua tendenza: nel 2000 la situazione appare più favorevole. I giovani lavoratori tra i 18 e i 20 anni raddoppiano (2 1 %) ed aumentano anche le presenze nel mercato del lavoro dei 2 1 -24enni (39%) e dei 25 -29enni (57 % ) . Altro segnale positivo è dato dal divario in evidente diminuzione tra le incidenze relative all'uscita dalla scuola e l'entrata nel lavoro, il che vuol dire che un numero crescente di giovani, conseguito un titolo di studio, riesce a trovare un lavoro in tempi più rapidi rispetto a quanto succedeva in passato. Sempre più frequenti appaiono diffuse forme di lavoro flessibile, alternato, e non garantito. Ciò nonostante un quarto ab­bondante di giovani con più di trent'anni - perché anco­ra studente, oppure per difficoltà strutturali, oppure per scelta - risulta non inserito nel mondo del lavoro5.

c) L'uscita dalla casa dei genitori

La maggiore facilità con la quale le nuove generazioni acquisiscono un ruolo professionale raggiungendo una in­dipendenza economica non influenza in modo significativo la tensione dei giovani a rendersi totalmente autonomi dai loro genitori. Al contrario, la permanenza nella famiglia di origine appare in aumento. È dopo i 25 anni che si inizia­no a registrare le prime uscite da casa e la realizzazione di una definitiva indipendenza abitativa; tuttavia, il fenomeno riguarda solamente il 30% dei 25-29enni, percentuale con-

5 Cfr. Chiesi [1 997b]; si veda anche il capitolo di Chiesi in que­sto testo.

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sistentemente inferiore a quella del 1996. Un terzo dei 30-34enni vive ancora con i propri genitori. All'interno di questo fenomeno possiamo annotare la diminuzione delle esperienze di parziale autonomia dalla famiglia indotte da­gli studi universitari in città diverse da quelle di residenza: oggi la capillare diffusione degli Atenei sull'intero territo­rio nazionale rende possibile la frequenza delle lezioni nel­l'Università «sotto casa» o, al più, adattandosi ad un pen­dolarismo giornaliero verso la città più vicina6•

d) La creazione di una nuova famiglia

Se si confrontano le incidenze dei giovani italiani che hanno superato la tappa precedente (uscire di casa) con quelle relative alla creazione di una nuova famiglia, si nota una forte convergenza. Il raggiungimento della pie­na indipendenza dai genitori avviene evidentemente in concomitanza con l'avvio di una convivenza che, nella grande maggioranza dei casi, appare essere conseguente al matrimonio. Questo fenomeno è tipicamente italiano, mancando nel nostro paese quelle forme intermedie nelle fasi della vita di un giovane che facilitano il passaggio dal nucleo familiare originario a quello nuovo: relativamente scarse sono infatti le opportunità di vita di comunità (sul­l'esempio dei college anglosassoni), oppure le esperienze autonome da single o insieme ad altri giovani o, ancora, è altrettanto inusuale (anche se in crescita) la convivenza affettiva che può preludere o meno al matrimonio. Dalla ricerca del 2000 emerge un ulteriore abbassamento dei tassi di nuzialità che passano in quattro anni - nella coor­te dei 25-29enni - dal 32 al 24%. Fino ai 24 anni di età la creazione di una nuova famiglia è diventata un feno­meno ormai raro, basti pensare che nel 1983 un giovane ogni cinque tra i 2 1 e i 24 anni aveva già contratto matri-

6 Si veda il capitolo di Facchini più avanti nel testo; cfr. anche Cavalli e Galland [1996] ; Donati e Colozzi [ 1 997]; Scabini e Donati [1988].

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monio, nell'ultima rilevazione ciò è avvenuto per meno di un giovane ogni venti. Nella classe di età dei 30-34enni si concentra la gran parte dei matrimoni, ed è in questa co­orte che si realizza il pieno passaggio ai ruoli adulti; tut­tavia quasi i due quinti dei giovani di questa fascia non ha ancora avviato una convivenza7 •

e) La nascita di un figlio

Dato il quadro generale fin qui delineato, appare del tutto scontato come il superamento dell'ultima tappa di passaggio, ovvero quella che definisce l'acquisizione di un ruolo genitoriale con la contemporanea assunzione di una specifica responsabilità nei confronti delle generazioni fu­ture, sia assai poco diffuso. In Italia la nascita di un figlio tra i 25-29enni (nelle classi di età precedenti il fenomeno appare statisticamente trascurabile) coinvolge solo il 12% dei giovani, una incidenza di poco superiore alla metà di quella registrata quattro anni prima. Diventa quindi sem­pre più generalizzata la tendenza a spostare oltre i trent'anni il momento della messa al mondo di un figlio, fenomeno che non potrà altro che peggiorare l 'attuale già basso tasso di fecondità nazionale, ben al di sotto del li­mite di riproducibilità naturale di una società. Nella co­orte di età 30-34 anni solo il 45 % dei giovani ha genera­to un figlio8.

Tutti gli indicatori analizzati convergono verso il raf­forzamento dell'ipotesi che i giovani italiani stiano ulte­riormente procrastinando il superamento delle soglie di passaggio ai ruoli adulti. Un indice generale, semplice ma significativo dei fenomeni in atto, è costituito dal numero

7 Cfr. Sartori [1997 ] ; De Sancire et al. [1997] ; Zanatta [1997 ] ; Scabini e Rossi [ 1997] ; De Sancire et al. [1 999] ; inoltre il contributo di Sartori in questo stesso testo.

8 Cfr. il capitolo di Sartori più avanti nel testo; si veda anche De Sancire et al. [1997 ; 1999] .

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T AB. l. l. Il superamento delle tappe di transizione all'età adulta per classi di età nelle cinque edizioni delle indagini lARD (incidenze %)

Tappe di transizione Anno indagine lARD 15-17

anni

Uscita dal circuito formativo 1983 16,7 1987 1 1 ,0 1992 5,6 1996 7,2 2000 6,8

Inserimento nel mondo lavoro 1983 5,4 1987 4,6 1992 4,6 1996 1 ,5 2000 2,3

Indipendenza abitativa 1983 1987 1992 1996 2000

Matrimonio/ convivenza 1983 1987 1992 1996 2000

Nascita di un figlio 1983 1987 1992 1996 2000

0,1 0,3 0,0 0,0 0,3

0,0 0, 1 0,0 0,0 0,3

0,0 0,4 0,0 2,0 0,0

18-20 anni

39,4 3 0,8 25,8 32 ,1 29,8

18 ,1 15 ,6 15 , 1 1 0,7 2 1 ,2

2,3 2,5 3 ,0 2,4 2,4

3,7 3 ,2 1 ,8 2,2 1 ,6

2,3 1,8 1 ,0 2,4 0,8

Età 21-24 an m

46,1 44,6 38,0 49,7 49,2

29,7 32,7 35,0 26,6 39,2

13,5 12,5 10,2 8,5 6,1

20,2 15,3 1 1 ,4 6,8 4,8

12,2 10,4 5 ,0 5 ,0 3 ,0

25-29 anni

53 , 1 75,6 70,9

49,7 43,9 57,4

39,0 36,2 30,3

35,5 3 1 ,9 23 ,7

20,6 2 1 ,6 12,2

30-34 an m

87,5

74,1

67,7

61 ,9

45,2

Basi: 1983 : N = 4.000; 1987: N = 2.000; 1992: N = 2.500; 1996: N = 2.500; 2000: N = 3 .000.

di tappe di trans1z10ne superate; diventa così possibile «misurare» il grado di avvicinamento all'età adulta all'in­terno delle varie coorti di età. I dati mostrano come il

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100 90 80 70 60 50 40 30 20 1� l-��==�=������=3����

o 2 3 4 5 � 15 - 17 � 18 - 20 � 21 - 24 � 25 - 29 � 30 - 34

FIG. 1 . 1 . Numero tappe di transizione ai ruoli adulti superate per coorte di età (N = 3 .000).

93 % dei 15 - 17 enni non abbia, come era lecito prevedere, superato alcuna tappa, percentuale che si abbassa nelle età successive ma in modo assai lento: il 67 % tra i 18-20enni e il 44 % tra i 2 1 -24enni. Alla fine della nostra osservazio­ne ben il 19% dei 25-29enni rimane ancora al palo nel processo di adultizzazione mantenendosi di fatto in una condizione prettamente adolescenziale (studenti, senza un lavoro, residenti con i genitori) ; tra i 30-35enni questa condizione contraddistingue ancora il 5 % degli individui. Chi, al contrario, mostra di aver raggiunto qualche soglia di passaggio si ferma in genere alla prima o alla seconda, cosicché se stabilissimo in modo grezzo, ma con tutta pro­babilità efficace, il superamento di tre tappe come segnale di acquisizione di uno status adulto, dovremmo considera­re non ancora adulti il 98% dei giovani italiani in età com­presa tra i 1 8 e i 20 anni, il 94 % di quelli di 2 1 -24, il 73 % dei 25 -29enni ed il 35% dei 30-34enni .

. Per comprendere le motivazioni sottostanti a questo evidente progressivo prolungamento della giovinezza non basta sostenere che il ritardo all'accesso ai ruoli adulti sia semplicemente una conseguenza dell'allungamento dei percorsi scolastici o della difficoltà di trovare un lavoro: se così fosse si sarebbe verificato un naturale slittamento delle tappe fondamentali senza che la loro organizzazione

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subisse delle modifiche rilevanti. Invece non è così: ac­canto ad una evidente traslazione delle soglie di passag­gio si assiste anche ad una dilatazione ·del tempo che in­tercorre dal superamento delle tappe iniziali al supera­mento di quelle successive. Il dato del 2000 confrontato con quello del 1996 mostra ad esempio l'allungamento temporale tra l'entrata nel mondo del lavoro e la creazio­ne di una nuova famiglia nonostante si sia ridotto il pe­riodo che occorre per trovare un lavoro ad un giovane che sia uscito definitivamente da scuola.

3 . Una tipologia della condizione giovanile

I risultati finora esposti, pur mostrando inequivocabil­mente l'accentuarsi del procrastinamento della transizio­ne, non riescono tuttavia a tener conto ·della complessità del fenomeno. Non è ad esempio scontato che l'entrata nel mondo del lavoro avvenga dopo l'uscita dal circuito scolastico, oppure che la creazione di una nuova famiglia sia strettamente vincolata all'aver terminato gli studi, al­l' aver trovato un lavoro e all'essersi accasati altrove. In realtà è la combinazione dei tempi di raggiungimento del­le diverse soglie che viene profondamente alterata. Una tendenza in atto segnala infatti il ridimensionamento del valore prescrittivo dell'ordine di superamento delle soglie ed ipotizza l'affermarsi di stili di avvicinamento all'età adulta qualitativamente diversi. Inoltre agiscono le diffe­renze determinate dal genere, dall'estrazione sociale del giovane, dalla sua provenienza territoriale. Tutto ciò com­porta che da una parte il vecchio schema della crescita li­neare ordinato per fasi tradizionali venga messo in discus­sione, dall'altra che l'ulteriore rallentamento dei processi crei sia a livello familiare sia a livello professionale una se­rie di situazioni intermedie, socialmente ambigue e di frontiera, a metà strada tra i ruoli adolescenziali e quelli adulti, che possono prolungarsi per parecchi anni.

Per meglio chiarificare la distribuzione delle condizio­ni giovanili in rapporto al processo di avvicinamento ai

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ruoli adulti è dunque necessario osservare in una logica complessiva i fenomeni di passaggio. A tal fine è stata co­struita una tipologia9 che individua sette diversi tipi di condizioni rispetto alla transizione (cfr. tab. 1 .2) .

a) Gli studenti che vivono con i genitori

Sono il 35,0% dei giovani 15-34enni distribuiti in modo assai disomogeneo decrescendo visibilmente all'au­mentare dell'età: la consistenza degli studenti conviventi in famiglia è correlata con classe sociale e, soprattutto, con livello di istruzione familiare (ad esempio il 59,2 % dei figli 15-34enni di genitori con titolo di studio elevato è studente; al contrario tra i figli di pari età di genitori privi di titolo dell'obbligo l'incidenza degli studenti è di solo il 9,1 %) .

b) I giovani già usciti dalla scuola che non lavorano stabil­mente e che vivono con i genitori

Sono 1' 1 1 ,3 % del campione e sono presenti soprattut­to tra le fasce di età comprese tra i 18 e i 29 anni; è que­sta una condizione che appare spesso associata a situazio­ni deprivilegiate massimizzandosi tra giovani con genitori di bassa o media scolarità, ma non mancano anche esem­pi di giovani laureati provenienti da famiglie con un alto livello di istruzione; la variabile territoriale - e con essa la diversa strutturazione del mercato del lavoro - ha una grande influenza: nelle regioni settentrionali questo tipo è composto dal 4,4 % dei casi, nelle regioni centrali l 'inci­denza sale al 9, l % , nel Mezzogiorno coinvolge il 19,6% dei giovani.

9 Complessivamente le possibili combinazioni relative al supera­mento/non superamento delle cinque soglie sono 32; la tipologia pre· sentata è il risultato di alcuni accorpamenti che hanno portato al· l'identificazione di sette tipi principali.

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c) I giovani lavoratori che continuano a vivere con i geni­tori

Sono nel complesso il 26,3 % ; è un tipo spiccatamen­te maschile (32 ,7 % tra i maschi, 19,7 % tra le femmine) che si presenta diffuso in particolare tra i 2 1 e i 29 anni di età, nelle regioni settentrionali, tra famiglie operaie e della piccola borghesia autonoma di istruzione medio­bassa; tra essi molti sono i giovani che hanno iniziato a lavorare da diversi anni stabilizzandosi in una condizione che accomuna l'indipendenza extra-domestica con la di­pendenza domestica.

d) I giovani che pur essendosi sposati oppure avendo mes­so al mondo un figlio continuano a convivere con i ge­nitori

Sono un gruppo esiguo (1' 1 ,0%) che ha incidenze un po' superiori tra gli ultraventicinquenni, meridionali di bassa estrazione sociale; la sua composizione è eteroge­nea, troviamo infatti giovani che ospitano il partner nella casa dei genitori, nubili con un figlio , separate che sono ritornate in famiglia con prole.

e) I giovani single: lavoratori indipendenti dalla famiglia d'origine anche dal punto di vista abitativo che non hanno però dato origine ad una nuova famiglia

È questa una condizione non particolarmente diffusa (il 4,3 % %) , presente in modo significativo (intorno al 7 %) tra i 25-34enni, di classe sociale e background cultu­rale superiore, residenti nel centro-nord, prevalentemente maschi.

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/) I giovani che pur non lavorando sono usciti di casa ren­dendosi autonomi dal punto di vista abitativo dai geni­tori formando una nuova famiglia con o senza figli

Se nel complesso sono il 6,2 % , tra le ragazze non giovanissime l'incidenza è nettamente superiore (il 15,7 % nelle 25-29enni e 25 ,7 % nelle 30-34enni) ; questo tipo è infatti legato al ruolo di casalinga e si trova diffuso so­prattutto nel sud e tra le giovani di background culturale modesto; nella stragrande maggioranza dei casi questa condizione, che prevede la centralità della nuova famiglia e l'abbandono del mercato del lavoro, riguarda donne che hanno avuto un figlio.

g) I giovani lavoratori del tutto indipendenti dai genitori che si sono formati una nuova famiglia con o senza figli

La consistenza di questo tipo è del 15,9% ed è com­posto da giovani indifferentemente maschi o femmine (anche se queste ultime prevalgono in virtù della tenden­za delle donne di anticipare di un paio d'anni l'età media al matrimonio) , di famiglia di bassa istruzione, più fre­quenti tra i residenti nel settentrione; fino ai 24 anni il tipo ha un'incidenza del tutto trascurabile, coinvolge il 15,2 % dei 25-29enni e diventa particolarmente significa­tivo tra i 30-34enni con il 45 ,8% ribadendo che è pro­prio dopo i trent'anni che si realizza il definitivo passag­gio al mondo adulto.

Da un punto di vista diacronico possiamo comparare la composizione della tipologia della condizione giovani­le rispetto alla transizione risultante dall'ultima indagine lARD con quella precedente, owiamente facendo riferi­mento alla popolazione in età 15 -29 anni (cfr. tab. 1 .3 ) . Tra il 1996 e il 2000 agiscono due fenomeni strutturali di cui abbiamo già fatto cenno e che saranno più diffu­samente approfonditi nei prossimi capitoli: la tendenza all'aumento della permanenza nel circuito scolastico e

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T AB. 1 .2 . La tipologia giovanile sulla base del superamento delle tappe di transi­zione all'età adulta per alcune variabili socio-anagrafiche. Percentuali di composizione (N= 3.000)

Tipi Sesso Età Maschi Femmine 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

anni anni anni an m an m

Studenti che vivono con i genitori 35,1 34,9 92,3 65,8 43,1 17,9 3 , 1 Inattivi che vivono con i genitori 10,6 12,0 4,8 1 1 ,8 15,0 14,6 6,3 Lavoratori che vivono con i genitori 32,7 19,7 2,3 19,9 35,0 36,2 20,9 Coniugati e/o con figli che vivono con i genitori 1 ,0 1 ,0 0,3 - 0,8 1,0 2,0 Single che vivono indi-pendenti 5,7 2 ,8 0,3 0,8 1 ,7 7,0 7,3 Non lavoratori che vivo-no con una nuova fami· glia 1 ,0 1 1 ,5 - 0,5 1 ,6 8,1 14,7 Lavoratori che VIVOnO con una nuova famiglia 13 ,8 18 ,1 - 1 , 1 2,8 15,2 45,8

Tipi Livello di scolarità familiare Area geografica Alto Medio- Medio· Basso Nord Centro Sud

alto basso

Studenti che vivono con i genitori 52,2 50,8 3 1 ,1 9,1 33,3 35,3 36,7 Inattivi che vivono con i genitori 8,3 7,6 13 , 1 13,6 4,4 9,1 19,6 Lavoratori che vivono con i genitori 16,7 22,8 29,6 32,2 32,2 29,3 18,7 Coniugati e/o con figli che vivono con i genitori - 0,6 0,9 2,2 0,8 0,4 1 ,5 Single che vivono indi-pendenti 6,2 4,6 3 ,6 3,5 5 ,5 4,7 2,8 Non lavoratori che vivo-no con una nuova fami-glia 1 ,6 2 ,7 6,6 12,4 3 , 1 4,7 10,2 Lavoratori che VIVOnO con una nuova famiglia 8,0 10 ,9 15,2 27,1 20,8 16,5 10,5

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T AB. 1.3. La tipologia giovanile sulla base del superamento delle tappe di transi­zione all'età adulta. Confronto 1996-2000. Percentuali di composizione (15-29 anni)

Tipi 1996

Studenti che vivono con i genitori 47,3 Inattivi che vivono con i genitori 19,3 Lavoratori che vivono con i genitori 17,2 Coniugati e/o con figli che vivono con i genitori l ,4 Single che vivono indipendenti l ,8 Non lavoratori che vivono con una nuova famiglia 6,9 Lavoratori che vivono con una nuova famiglia 6,1

Basi: 1996: N = 2 .500; 2000: N = 2.297.

2000 Scostamento

44,8 -2,5 12,8 -6,5 28,0 + 10,8 0,7 -0,7 3 ,4 + 1 ,6 3 ,6 -3,3 6,8 +0,7

una più favorevole apertura del mercato del lavoro verso le nuove generazioni. Tuttavia solo il secondo effetto in­duce significativi spostamenti all'interno della tipologia: diminuiscono gli inattivi che vivono con i genitori (-6,5 punti percentuali) mentre aumentano i lavoratori che vi­vono con i genitori (+ 10,8) ; diminuiscono coloro che formano una nuova famiglia senza occupare una posizio­ne professionale (-3 ,3 ) mentre aumentano i lavoratori che formano una nuova famiglia (+0,7 ) . Questi dati però mostrano anche che un maggior ingresso dei giovani nel mercato non abbia implicato una maggiore tendenza a rendersi indipendenti dalla famiglia di origine. Tutt'al­tro. In termini complessivi i giovani in età 15-29 anni che vivono con i genitori tra il 1996 e il 2000 aumenta­no ulteriormente.

Il maggior investimento in capitale scolastico non produce invece un aumento di studenti «esclusivi», ovve­ro di giovani che studiano solamente; anzi tra i 15-29enni questa categoria sembra diminuire costantemente (48,8% nel 1992, 47,3 % nel 1996, 44,8% nel 2000). Ciò ci induce ad ipotizzare che questa soglia di passaggio -l'uscita definitiva dal circuito scolastico - si stia lenta­mente affrancando dal tradizionale ruolo di prima tappa del processo di transizione, il cui superamento era neces­sario per passare alle altre. Oggi il 14,8% dei lavoratori

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che vivono con i genitori si definiscono «anche» studen­ti, così come coloro che hanno creato una nuova famiglia non avendo una posizione lavorativa (2 1 ,0%) oppure avendola ( 9,4%) .

Altre indicazioni che provengono dal confronto tra le due ultime indagini lARD si riferiscono alla diminuzione ulteriore del già esiguo gruppo di giovani coniugati e/o con figli che continuavano a vivere con i propri genitori e all'aumento significativo dei singles che, pur essendo an­cora una piccola minoranza di giovani, in quattro anni quasi raddoppiano la loro consistenza.

4 . I giovani di fronte al futuro

La Quinta indagine lARD offre interessanti spunti non solo in riferimento al superamento delle tappe di passag­gio, ma anche in relazione alla previsione _che i giovani hanno di raggiungerle nei prossimi anni. E questa una prospettiva che richiama l'idea di futuro posseduta dai giovani. Dall'indagine, a prima vista, emerge una certa consapevolezza del proprio futuro personale; ad esempio il 59% del campione è convinto di avere le idee piuttosto chiare sui propri destini, con una punta minima - 48% -tra i più giovani e una punta massima - 67 % - tra i meno giovani. In realtà la relatività di tale convinzione è dimostrata dal fatto che ben oltre la metà dei giovani ita­liani (58%, senza grosse distinzioni per coorti di età) si dice altrettanto convinta che fare delle esperienze interes­santi nel presente sia più importante che pianificare il fu­turo. Pur non sminuendo la rilevanza delle cose che po­tranno accadere, la maggioranza dei giovani italiani espri­me una chiara ed evidente tensione verso la dimensione presentistica dell'esistenza e una certa difficoltà a prefigu­rare i propri percorsi futuri. Ciò lo si nota soprattutto os­servando l'indeterminatezza delle scelte fino ai 24 anni, che probabilmente prospetta il prevalere di un orienta­mento pragmatico al proprio futuro. V al e dunque la pena soffermarci sulle ultime due colonne della tabella 1 .4 , che

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T AB. 1 .4. Previsione che l'evento accada nei prossimi 5 anni per classi di età (N = 3000)

N e i prossimi 5 anni: Età 15·17 18-20 2 1 -24 25-29 30-34 an m an m an m anm an m

frevisione di finire la scuola E già successo 5,7 28,5 47,9 69,9 84, 1 Sì certamente 19,9 20,7 28,2 16,0 3 ,4 Credo di sì 16,8 27,7 12,0 3,6 2 ,1 No/non so 57,6 23 , 1 1 1 ,9 10,5 10,4

Previsione di lavorare continuativamente È già successo 2,3 2 1 ,2 38,5 56,6 72,8 Sì certamente 1 1 ,4 14,5 15,7 12,3 5 ,5 Credo di sì 20,2 27,7 26,3 16,4 8 ,1 No/non so 66, 1 36,6 19,5 14,7 13 ,6

Previsione di uscire da casa È già successo 0,3 2,2 6,1 29,7 64,9 Sì certamente 6,8 1 1 ,6 20,0 23,5 9,8 Credo di sì 13 ,7 23 , 1 30,0 23,7 9,1 No/non so 79,2 63 , 1 43,9 23,1 16,2

Previsione di sposarsi/ convivere È già successo 0,3 0,5 4,8 23,4 59,3 Sì certamente 2,0 1 ,6 10,6 16,0 7 ,0 Credo di sì 4 ,8 5,9 23,7 2 1 ,7 10,1 No/non so 92,9 92,0 60,9 38,9 23,6

frevisione di avere un figlio E già successo 0,0 0,8 3,0 12,2 44,4 Sì certamente 0,9 2,4 4,1 12,4 8,5 Credo di sì 2,0 6,2 14,7 20,2 17 ,l No/non so 97,1 90,6 78,2 55,2 30,0

riguardano le previsioni espresse dalle fasce di età 25-29 e 30-34 anni, nelle quali dovrebbe massimizzarsi la transi­zione definitiva nel mondo adulto.

Un giovane ogni dieci si dice incerto oppure esclude di terminare gli studi, un giovane ogni sette esprime le stesse perplessità relativamente alla possibilità di entrare nel mondo del lavoro, un giovane ogni quattro tra i 25-29enni e uno ogni sei tra i 30-34enni pensa sia irrealistico

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prevedere di uscire definitivamente dalla casa dei genito­ri, rispettivamente il 3 9% e il 24 % esclude di potersi sposare o di formare una nuova famiglia, il 55 % e il 30% di mettere al mondo un figlio. Poiché le previsioni coprono l'arco temporale del quinquennio successivo al momento dell'intervista, nella percezione di questi giova­ni gli eventi ora elencati hanno scarsa probabilità di veri­ficarsi neppure, nel caso dell'ultima fascia di età conside­rata, entro i 35-40 anni. Se a queste percentuali si aggiun­ge la quota di coloro (per le ultime tre tappe, intorno al 20% per i 25-29enni e oscillante tra il 9% e il 17 % per i 30-35enni) che sostengono probabile ma non certo, il ve­rificarsi dei suddetti eventi, si ha un quadro sufficiente­mente articolato della difficoltà con la quale molti giovani italiani si accingono a diventare adulti.

In una società caratterizzata da ritmi di trasformazio­ne rapidissimi l'idea di prefigurare il proprio futuro, e con essa la capacità di costruire dei propri percorsi di crescita, diventa enormemente più complicata ed incerta. Alcune tendenze evolutive che informano le motivazioni e gli orientamenti giovanili ben si adattano a queste diffi­coltà e costituiscono il sostrato culturale col quale le nuo­ve generazioni tentano di spiegare rallentamenti ed inde­cisioni. Accanto a consistenti minoranze che esprimono un vero e proprio timore verso ciò che potrà accadere («vedo il mio futuro pieno di rischi ed incognite»: 29,8%) o addirittura una esplicita rinuncia a farsi carico del proprio destino («è inutile fare tanti progetti perché succede sempre qualcosa che ti impedisce di realizzarli»: 16,7 % ), troviamo cospicue maggioranze che sostengono la rischiosità di anticipare scelte rigide e precise («nella vita è meglio tenersi sempre aperte molte possibilità e molte strade»: 70,4%) quando non il principio della re­versibilità di ogni scelta («anche le scelte più importanti della vita non sono mai per sempre, possono essere rivi­ste»: 56,8%) . Sotto questa luce si comprende come per molti giovani i passi decisivi di uscire dall'ala protettiva della propria famiglia e di accollarsi le responsabilità di una convivenza di coppia, di una nuova famiglia, della

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nascita di un figlio vengano visti come una limitazione delle proprie possibilità di scelta e retroazione10.

Sulla base delle previsioni che gli eventi collegati alla transizione si possano o meno realizzare nei cinque' anni successivi, è stato ricavato un indice sincretico che potrem­mo chiamare «indice di determinazione all'acquisizione di ruoli adulti» e che è costituito dalla media complessiva delle previsioni sulla realizzabilità di ciascuna delle tappe di pas­saggio. Tale indice, di tipo metrico, ha un range di variazio­ne oscillante tra O e l dove l esprime l'awenuto supera­mento della soglia di passaggio o la certezza che questa so­glia verrà raggiunta nei prossimi cinque anni, mentre O indi­ca la certezza contraria, owero che, sempre nello stesso pe­riodo di tempo, il traguardo non verrà conseguito.

Owiamente questo indice risente in modo massiccio dell'influenza dell'età: se il suo valore medio è di 0,39 tra i 15- 17enni, esso sale progressivamente a 0,54 tra i 18-20enni, a 0,67 tra i 2 1 -24enni, a 0,78 tra i 25 -29enni, fino ad arrivare a 0,86 tra i 30-34enni. È però più interessante uno sguardo sui valori medi ottenuti all'interno dei vari caratteri socio-anagrafici. Risulta così che:

- le femmine (0,7 1 ) appaiono un po' più determinate a diventare adulte rispetto ai maschi (0,68) ;

- i giovani delle regioni settentrionali (0,7 1 ) si dimo­strerebbero nel complesso maggiormente inclini all'assun­zione dei nuovi ruoli dei coetanei residenti nelle regioni centrali (0,69) e nelle regioni meridionali (0,68) , questi ultimi penalizzati da una maggiore difficoltà oggettiva ad entrare nel mercato del lavoro;

- le classi superiori (0,65) e quelle impiegatizie (0,66) appaiono in tendenza più lente nei processi di passaggio rispetto alle classi operaie (0,72) e al ceto medio autono­mo (0,73 ) ;

- il background culturale della famiglia di origine è la variabile che influenza maggiormente i ritmi di transizio­ne: i più procrastinatori sono i giovani con i genitori lau-

IO Cfr. Buzzi [1 997b] .

3 7

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reati (0,61 ) , seguiti da quelli con un livello di istruzione medio-alta (0,64) ; la scolarità medio-bassa dei genitori eleva invece la determinazione all'assunzione dei ruoli adulti (0,7 1 ) , che trova però la sua massima espressione tra i giovani di famiglia con bassa istruzione (0,79).

I dati sulla classe e sulle credenziali formative dimo­strano un fenomeno che era già conosciuto, ovvero che la prolungata permanenza in famiglia sia soprattutto un pri­vilegio degli strati sociali e culturali medio-superiori.

5 . Alcune considerazioni sul permanere dei giovani in /a­miglia

Sarebbe piuttosto semplicistico limitarsi a sottolineare le difficoltà strutturali legate al processo di affrancamento dalla famiglia di origine; evidentemente agiscono determi­nanti di tipo culturale che inibiscono la scelta anche quan­do questa risultasse possibile. Ne è una prova una analisi di controllo che abbiamo effettuato. Ai giovani lavoratori che continuavano a risiedere con i genitori è stato chiesto se ri­tenessero il loro stipendio sufficiente per vivere in modo autonomo al di fuori della famiglia: i due quinti di loro ri­conosce questa possibilità; alla domanda se avessero cercato concretamente di rendersi indipendenti dal punto di vista abitativo dalla propria famiglia di origine (ad esempio cer­cando una casa) solo il 23 % risponde affermativamente. Ci troviamo dunque di fronte a dei giovani che non si attivano certamente per velocizzare i processi di transizione; la ten­denza in atto sembrerebbe quella di «scegliere» piuttosto che «subire» la permanenza in famiglia.

Del resto, la vita in famiglia non sembra caratterizzarsi da troppi vincoli e limitazioni; ad esempio, per far riferi­mento ad una sfera un tempo sottoposta ad un rigido con­trollo, l'indagine ha messo in luce che quasi il 90% di ra­gazzi e ragazze oltre i 22 anni ha avuto rapporti sessuali1 1 •

1 1 Il confronto con l'indagine speciale sull'affettività e la sessuali-

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La casa dei genitori non costituisce neppure un serio osta­colo né per la propria vita sociale (solo il 6% dei giovani lavoratori afferma di non poter ospitare gli amici) né per quella affettiva (solo un terzo dei giovani sostiene di non poter avere momenti di intimità con la/il partner) . In alcu­ni capitoli che seguiranno, l'ampia libertà concessa ai gio­vani è ulteriormente dimostrata; sotto una tale luce la per­manenza in famiglia sembra prospettare più vantaggi ri­spetto agli oneri connessi con l'assunzione delle responsa­bilità tipiche della condizione adulta.

La ricerca non lo dice espressamente, ma alcuni indi­catori indiretti, come il primato della famiglia nella scala gerarchica dei valori giovanili, l 'ampio accordo nei rap­porti familiari, la stretta relazione affettiva e strumentale con i propri genitori, rivelano una profonda trasformazio­ne dei legami e dei significati della «famiglia lunga» che da una parte, offrendo aiuto e protezione in cambio di una dipendenza relativa, più formale che sostanziale, sod­disfa pienamente i bisogni economici, culturali e psicolo­gici del giovane, dall'altra incontra la complicità dei geni­tori, sempre più restii ad incoraggiare i figli a rendersi in­dipendenti.

tà giovanile del 1998, cfr. Buzzi [ 1998] , registra alcuni significativi cambiamenti nell'incidenza dei rapporti sessuali completi che tende ad aumentare all'interno delle fasce di età per le quali è possibile la com­parazione ( 18-30 anni).

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CAPITOLO SECONDO

IL SISTEMA DEI VALORI

l . L'irresistibile ascesa della socialità ristretta

Nel presentare i risultati della precedente indagine sulla condizione giovanile avevamo sintetizzato gli orien­tamenti valoriali con l'espressione «la famiglia innanzitut­to». Se volessimo condensare quanto emerge da quest'ul­tima rilevazione potremmo dire che ci troviamo di fronte alla «irresistibile ascesa della socialità ristretta». La fami­glia non ha certo perso la sua centralità, anzi la percen­tuale di coloro che continuano a ritenerla «molto impor­tante» è sempre molto elevata, dal momento che si aggira intorno all'86% dell'intero campione. A conferma di ciò si può aggiungere che solo un intervistato su cento la giu­dica «poco» o «per nulla» importante. Ma i dati del 2000 confermano e rafforzano una tendenza che avevamo già rilevato nelle passate edizioni: il crescente peso dato dai giovani alle relazioni interpersonali, in particolare a quel­le amicali ed affettive accanto a quelle familiari. È come se intorno alla famiglia si andasse progressivamente strut­turando un nucleo forte di valori tutti riferiti all'intorno sociale immediato della persona. Nucleo che pervade di sé e qualifica l' intero sistema valoriale delle giovani gene­razioni. T orneremo tra poco su questo punto. Prima di tentare una ricostruzione della mappa delle mete e dei principi che guidano i comportamenti giovanili, conviene ricostruire la gerarchia delle cose importanti della vita (fig. 2 . 1 ) .

A qualcuno potrebbe sembrare strano che un'indagi­ne sulla condizione giovanile venga condotta su un cam­pione di persone che arriva fino ai 34 anni. Molti dei ri­sultati di questa ricerca confortano questa scelta, mo­strando come spesso i trentenni siano poco diversi dai

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Attività politica Impegno religioso

Patria Impegno sociale Attività sportive

Studio e interessi culturali Successo e carriera

Vita confortevole e agiata Eguaglianza sociale

Svago nel tempo libero Solidarietà

Divertimento Autorealizzazione

Libertà e democrazia Lavoro

Amicizia Amore

Famiglia

p 2,5 i==J 10,5

16,8 17 ,2

28,7 '" 3 1 ,7

32,7 34

47,3 " " 47,4

48,5 49,1

.. 60,6 63,2

.. ,,, 63,6 70,3

77,6 85,9

o 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

FIG. 2 . 1 . Le cose importanti della vita (% di «molto importante» 15-34 anni. Base = 3 .000).

loro fratelli minori. La maggior conferma della omogenei­tà della nostra popolazione di riferimento l 'abbiamo pro­prio dall'analisi del sistema dei valori. Da questo punto di vista il campione mostra una sostanziale indifferenzia­zione, che resiste anche ai diversi test statistici utilizzati per cogliere differenze significativamente rilevanti. Certo le diverse classi di età hanno modi diversi di concepire la carriera lavorativa, di impiegare il tempo libero, di prati­care sport o di divertirsi. Ma per il resto le varie coorti non mostrano di valutare in modo sostanzialmente dissi­fl}ile i diversi aspetti della vita e, quel che più conta, le gerarchie che ne emergono sono fondamentalmente simi­li. Se una frattura esiste all'interno dell'universo giovanile questa passa attraverso le differenze di genere. Se si ec­cettuano la famiglia, le amicizie ed il lavoro, ragazzi e ra-

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gazze valutano in modo significativamente differente tutti gli altri aspetti della vita. Qualche diversità si può riscon­trare anche a seconda della zona di residenza: i giovani del Sud danno maggior peso a valori quali la patria, l'im­pegno sociale ed alla stessa famiglia, mentre quelli del N or d appaiono maggiormente interessati all'auto realizza­zione, all'amore, all'amicizia. Ma anche in questo caso si tratta di differenze interne ad una strutturazione di fondo che rimane pressoché identica.

· Questo insieme di considerazioni ci autorizza a con­durre l'analisi sui valori giovanili in forma unitaria trascu­rando, almeno in questa prima fase, di condurla per sot­togruppi distinti per età, genere o altre variabili definito­rie dell'intervistato.

Occorre a questo punto chiedersi se qualcosa sia cambiato rispetto alle coorti che sono state intervistate nelle quattro precedenti indagini IARD. Per ragioni di omogeneità e di correttezza metodologica tale confronto può essere fatto solo per il gruppo tra i 15 ed i 24 anni, dal momento che erano queste le classi di età intervistate nelle indagini del 1983 e del 1987 . La tabella 2 . l riporta questo confronto, limitatamente al sottogruppo di valori presenti in tutti e cinque i questionari.

Dall'esame della tabella 2 . l emerge chiaramente l'evolvere del sistema di valori verso la sfera della sociali­tà ristretta e della vita privata, a scapito soprattutto del­l'impegno collettivo. La diminuzione dell'impegno sociale e religioso, la flessione dell'interesse per l'attività politica· si accompagnano alla crescita dell'area delle relazioni amicali ed affettive e della importanza che i giovani attri­buiscono allo svago nel tempo libero. Un discorso a parte merita la collocazione del lavoro nella gerarchia che stia­mo analizzando. Se nelle prime due rilevazioni questo aspetto della vita si trovava al secondo posto, subito dopo la famiglia, nel 2000 il lavoro è sceso al quarto P.Q­sto della graduatoria generale, superato anche dall'ambre e dall'amicizia (fig. 2 . 1 ) . Certamente le profonde trasfor­mazioni del mercato del lavoro intervenute in questi ulti­mi anni e le crescenti incertezze connesse al proprio futu-

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TAB. 2 . 1 . Le cose importanti nella vita. Confronto tra le 5 indagini lARD. Sotto­gruppo dei 15-24 enni. Percentuale di coloro che indicano come «Mol­to importante» ciascun valore

1983 1987 1992 1996 2000

Famiglia 81 ,9 82,9 85,6 85,5 85,7 Lavoro 67,7 66,6 60,2 62,5 61 ,0 Ragazzo/a amici/amiche 58,4 60,9 70,6 73,1 75, 1 ,, Svago nel tempo libero 43,6 44,2 54,4 53,6 52,3 Studio e interessi culturali 34,1 32,2 36,4 39,5 33,9 Attività sportive 32,1 3 1 ,9 36,1 34,3 32,9 Impegno sociale 2 1 ,9 17,9 23 ,5 22,2 17,8 Impegno religioso 12,2 12,4 13 ,2 13 ,6 1 1 , 1 Attività politica 4,0 2,9 3 ,7 4,7 3 ,7

Basi 4.000 2 .000 1 .718 1 .686 1 .429

,., La percentuale si riferisce alla sola domanda sull'amicizia.

ro professionale possono aver influito su questo risultato. Sul punto specifico del lavoro conviene, comunque, ri­mandare per analisi più dettagliate al capitolo ad esso de­dicato.

2 . Una mappa dei valori giovanili

Per avere una visione più sintetica dell'articolazione del sistema di valori nel nostro campione abbiamo prov­veduto a raggrupparli secondo aree omogenee, ricorren­do alle quattro dimensioni già utilizzate nella ricerca del 1996 per classificare le mete e gli obiettivi del mondo giovanile. Possiamo quindi riunire i 18 item introdotti nel questionario in quattro grandi categorie:

l . valori connessi alla vita individuale, coincidenti con la famiglia, il lavoro, l 'amicizia, l'amore, la carriera, l' autorealizzazione, la vita confortevole e agiata;

2. valori di tipo evasivo, collegati alle attività sportive, allo svago nel tempo libero, al divertirsi e godersi la vita;

3 _ valori della vita collettiva, associati alla solidarietà, all'eguaglianza sociale, alla libertà e democrazia, alla patria;

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TAB. 2.2. Punteggi medi delle quattro aree valoriali per genere e per area geogra­fica (% 15-34 anni. Base = 3000)

Totale Maschi Femmine Nord Centro Sud

Vita individuale 86,9 86,9 86,8 86,7 86,7 87,0 Evasione 78,1 80,7 75,5 79,1 79,1 76,6 Vita collettiva 76,2 74,8 77,7 75,2 76,7 77,1 Impegno personale 5 1 , 1 48,2 54,0 49,9 50,5 52,6

4. valori legati all'impegno personale, identificati dal­l'attività politica, l'impegno religioso, l'impegno sociale, lo studio e gli interessi culturali.

Per ciascun gruppo di valori abbiamo costruito un in­dice variabile in un intervallo da zero a cento, dove lo zero, ovviamente, è assegnato a chi rifiuta tutti gli item di quell'area, mentre il punteggio di cento è raggiunto da chi li giudica tutti al massimo dell'importanza. In questo modo possiamo raffrontare tra loro più agevolmente le diverse aree valoriali. La tabella 2 .2 presenta i valori medi di ciascuna area, sia sul totale dell'intero campione, sia separatamente per maschi e femmine, nonché per area geografica. Come abbiamo già detto, infatti, la suddivisio­ne per genere e quella territoriale appaiono avere qualche interesse nei raffronti.

Tranne che per l'area della vita individuale, tutte le differenze rispetto al genere ed all'area geografica sono statisticamente significative. Come è facile vedere dalla tabella 2 .2 i valori legati all'impegno personale hanno medie consistentemente più basse delle altre, tanto in ge­nerale per l'intero campione, quanto nei sottogruppi. Le medie piuttosto elevate raggiunte dall'insieme di valori classificati sotto l'etichetta di «vita collettiva» inducono a pensare che seppure familisti, legati agli affetti ed all'eva­sione, i giovani del 2000 non sono alieni dall'occuparsi anche dei temi della società civile (l'eguaglianza, la soli­darietà, la democrazia, la patria) e dunque sono dotati di un certo grado di cultura civica.

Per verificare questa ipotesi abbiamo provato a rico­struire lo spazio entro il quale tali valori si strutturano e

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--

Impegno religioso e

i Interiorità

S[Udio e cuhura l Impegno sociale e • l

l e Eguaglianza

l e Solidarietà l Libcrtà_e

Attività politica democraZia e Amore _ _ fl.. _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ � _A.!!}icE;i'!_ .... �fa�ig!!_a ...._____... l Tempo • ��� Autorealizzazi ne l libero Lavoro § l e Divertimento �

t • ·C Patria l Vira agiata

e Successo e carriera l

Sport •

� Esteriorità

FIG. 2.2. La mappa dei valori giovanili.

a vedere se emerga un quadro un poco più chiaro di come si connettano tra loro i vari aspetti della vita sonda­ti con il nostro questionario. A tale scopo abbiamo fatto ricorso ad una particolare procedura di analisi denomina­ta «scaling multidimensionale». Questa procedura per­mette di ricostruire lo spazio concettuale e semantico en­tro il quale si collocano le risposte degli intervistati. Dal momento che essa si basa sulle distanze delle risposte date dai soggetti all'insieme delle domande, la collocazio­ne dei diversi item nello spazio così ricostruito permette di analizzare meglio il modo in cui i diversi valori si strutturano reciprocamente e dunque di ottenere una mappa complessiva. Tale mappa può agevolmente essere interpretata in termini di dimensioni sottostanti allo spa­zio semantico entro il quale gli intervistati collocano i va­lori e, di conseguenza, la mappa stessa consente di verifi­care se essi possono considerarsi parti di un sistema com­plessivo. La mappa ottenuta con questa procedura è rap­presentata nella figura 2.2.

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I valori si dispongono su due assi, il primo espressivo del rapporto tra socialità ristretta e collettività, il secondo indicativo della dimensione che si muove dal mondo del­l' esteriorità a quello della vita personale e interiore. La collocazione dei singoli valori in questo spazio ci consen­te di mettere a fuoco come i valori si rapportino gli uni agli altri e dunque quali nuclei forti e nuclei deboli gli stessi valori vadano a comporre. Lungo l 'asse orizzontale, che esprime come si è detto la socialità, troviamo ad un estremo la famiglia, massima espressione di una socialità ristretta, ed all'altro l'attività politica, vale a dire l' espres­sione più forte di una concezione della socialità rivolta verso la collettività. I due estremi della dimensione verti­cale (esteriorità/interiorità) vedono invece l 'attività sporti­va da un lato e l'impegno religioso dal lato opposto.

Tuttavia l'interesse di questa rappresentazione sta nel­la collocazione contemporanea dei valori sulle due dimen­sioni. Possiamo subito notare che vi è un nucleo forte di valori (famiglia, amore, amicizia, autorealizzazione e lavo­ro) che rappresentano il punto focale di attenzione dei giovani. Il fatto che i cinque valori si trovino nell'area del­la socialità ristretta ed a cavallo tra spazio interno ed esterno dimostra la loro centralità nella costruzione del si­stema di vita. Raggiunta la sicurezza su questo nucleo centrale ci si può dedicare al mondo dell'esteriorità (lo sport, il successo e la carriera, la vita agiata, il divertimen­to) o al mondo dell'impegno che arricchisce la nostra vita interiore (religione, impegno sociale, studio e cultura) .

L'elemento di maggior interesse sta però nella collo­cazione di gran parte di quei valori che abbiamo prima classificato come appartenenti all'area della vita collettiva: l'eguaglianza, la solidarietà, la libertà e la democrazia. Abbiamo visto prima come essi siano comunque giudicati importanti dai nostri intervistati. Ma quale significato vie­ne attribuito a tali aspetti della vita collettiva? Il fatto che si trovino entro l 'area della socialità ristretta e molto vici­ni ai valori della vita individuale porta a concludere che tali temi non vengano tanto visti come esercizio di virtù civiche o riconoscimento di diritti generalizzati, quanto

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piuttosto come elementi costitutivi della propria identità personale. In altre parole la libertà e la democrazia sono intese più come diritti personali da far valere, che come conquiste collettive. L'eguaglianza e la solidarietà, collo­cate nel quadrante definito dall'interiorità e dalla socialità ristretta, appaiono semanticamente vicine all'amicizia, al­l' amore ed alla famiglia, cioè alla sfera più strettamente individuale, piuttosto che a valori come la patria e la po­litica che, in via di principio si riferiscono alla collettività. Anche i valori della vita collettiva, dunque, appaiono come definitori del proprio intorno sociale: si vive con i propri amici, si fa riferimento agli affetti più cari, nel bozzolo di relazioni primarie che ci si è costruiti ; ed per la difesa di tale bozzolo che si chiede solidarietà e libertà. I valori conquistati in nome di tutti vengono così piegati alle richieste di sicurezza e rassicurazione che solo l'intor­no sociale più vicino e tranquillizzante può garantire.

Anche in questo caso le stesse mappe costruite a se­conda dei diversi gruppi di età, del genere o dell 'area di residenza, seppur differenti per qualche aspetto, non mo­dificano il quadro di fondo qui delineato. I valori, lo si è detto più volte, mutano molto lentamente, ma proprio per questo la comparazione di tale evoluzione nell'arco di circa venti anni dice molte cose intorno alla trasformazio­ne della società italiana. Vi è un sempre maggior rilievo dato alla vita di relazione ed ai rapporti interpersonali, ma tali rapporti vengono vissuti ed agiti nel proprio in­torno immediato; le dimensioni del collettivo, dell'impe­gno pubblico, delle cosiddette «virtù civiche» si spostano sempre più sullo sfondo degli schemi valoriali che guida­no i comportamenti giovanili. Ne consegue un insieme di atteggiamenti e di orientamenti all'azione che sembra sempre più rinserrarsi nella ristretta cerchia degli affetti sicuri, delle certezze che derivano solo dallo stare insieme e dal sostenersi a vicenda tra chi condivide i nostri stessi criteri di giudizio, i medesimi modi di vita, lo stesso am­biente sociale. L'altro appare sempre più lontano, la so­cietà viene relegata nel retroscena.

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CAPITOLO TERZO

PERCEZIONE DI SÉ E SODDISFAZIONE PERSONALE

l. Premessa

Gli adolescenti del 2000 stanno crescendo in una re­altà socio-economica in cui molta enfasi è posta sulla fles­sibilità e sul cambiamento: la richiesta che proviene dal mondo degli adulti è quella di essere disponibili a modi­ficarsi, a ridefinire le proprie competenze e le proprie ap­partenenze, a spostarsi da un lavoro all'altro, da un luogo all'altro. Non vi è più alcuna garanzia che il titolo scola­stico apra porte sicure, che un certo ciclo di studi signifi­chi l'ingresso in specifici percorsi professionali, che il la­voro iniziato duri per tutta la vita: tale situazione di insi­curezza riguarda tutte le classi sociali e tutte le gerarchie professionali e i dati sull'aumento dei lavori transitori e interinali testimoniano come la vita dei giovani sia già al­l'insegna della precarietà. Vivere in un mondo che esalta l'instabilità e la discontinuità (non solo lavorativa, ma an­che relazionale e affettiva) chiede all'individuo lo sforzo di ripensarsi e di attrezzare se stesso per poter gestire una situazione in cui il rischio è dimensione del quotidia­no, in cui non è chiaro quale scelta sia garantita, quali percorsi di vita siano più · opportuni.

Le precedenti indagini IARD [Cavalli 1997] hanno evi­denziato come i giovani abbiano imparato a muoversi in una condizione di incertezza, mostrando un orientamento al presente non rinunciatario, desiderosi di esplorare op­portunità e mantenere il futuro aperto a più possibilità.

Ma in questa situazione di incertezza, cosa pensano di sé e delle relazioni che li circondano? Come valutano l'adeguatezza delle risorse di cui dispongono al proprio interno e all'esterno?

Poiché le idee che ciascuno elabo�a su di sé nel corso

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della propria vita hanno una forte componente relaziona­le e nascono entro le relazioni sociali e culturali con cui l'individuo interagisce, quale profilo di sé tratteggiano i giovani che stanno crescendo nel mondo della flessibilità?

Per esplorare questi interrogativi, la quinta indagine IARD ha ampliato la sezione relativa al tema della soddi­sfazione personale cercando di evidenziare sentimenti, idee, convinzioni circa se stessi e il proprio contesto rela­zionale che accompagnano i diversi passaggi di crescita e provando a comprendere quali aspetti vengano percepiti come maggiormente inadeguati e perciò possibili fonte di sofferenza e disagio.

Fa da sfondo a questa indagine l'ipotesi che le idee su di sé influenzino i comportamenti e gli stili di scelta dell'individuo. Forti sensi di inadeguatezza, idee di essere privi di valore e poco desiderabili possono infatti blocca­re l'azione, portare ad abbandonare obiettivi di realizza­zione personale e professionale, impedire l'esplorazione di nuove relazioni1 .

Nel nostro studio riprendiamo l'indicatore già utiliz­zato nelle ricerche precedenti relativo alle aree di soddi­sfazione/insoddisfazione, integrandolo con alcuni item re­lativi all'immagine di sé che fanno parzialmente riferi­mento agli studi di Offer2 .

2. Livelli di soddisfazione per la propria vita e per le ri­sorse personali

Un primo indice circa le idee che i giovani hanno su di sé e sul proprio contesto di riferimento può essere in-

1 Ricerche recenti [Bandura 1996; Caprara et al. 1998] hanno mostrato, ad esempio, che un aspetto di sé, definito senso di autoeffi­cacia, influisce sui comportamenti volti alla tutela della propria salute, sul successo scolastico e professionale, sulle condotte antisociali e sul ritiro depressivo.

2 Offer Self - Image Questionnaire (OSIQ) [Offer 1 969] , utilizzato per la prima volta in Italia da De Vito et al. [1989] .

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dividuato nei giudizi che questi esprimono circa l'adegua­tezza del proprio mondo vitale e delle risorse di cui di­spongono3 .

A tutto il campione (3000) è stato chiesto il grado ge­nerale di soddisfazione per la propria vita: la gran parte dei giovani (82 , 1 %) danno un giudizio positivo. Il livello di soddisfazione sta crescendo negli anni: confrontando l'andamento negli anni 1983 -2000 per la fascia di età 15-24, osserviamo che diminuiscono i giovani che si dichia­rano decisamente insoddisfatti (dal 5 ,5 % del 1983 al 1 ,2% del 2000) , mentre la percentuale dei molto soddi­sfatti continua a crescere, passando dal 15,6 al 19%.

Se la soddisfazione generale cresce, confermando l'impressione di un mondo giovanile più adattato e sinto­nico con ciò che lo circonda, l 'articolazione di tale giudi­zio consente di evidenziare come una proporzione non trascurabile di giovani sia però piuttosto critica rispetto a dimensioni che riguardano se stessi e proprie caratteristi­che personali.

Gli item presi in considerazione dalla nostra indagine rimandano a diversi ambiti di risorse, interne ed esterne, di cui il soggetto dispone per crescere: risorse che posso­no essere percepite come più o meno idonee a sostenerlo nel gestire i compiti della vita, i cambiamenti, le difficoltà.

Abbiamo organizzato i diversi item per aree omoge­nee, applicando alla batteria di domande un'analisi fatto­riale che ci ha consentito di estrarre 4 fattori4 :

- le risorse psichiche: include le capacità di memoria e concentrazione, connesse al processo di apprendimento e perciò importanti in un periodo della vita in cui forte è

3 L'elaborazione statistica dei dati è stata realizzata in collabora­zione con Gianluca Argentin.

4 La variabilità spiegata da questi fattori è 57 ,2 %, eliminando al­cuni item. Per quanto bassa, riteniamo che sia sufficiente per consen­tirci l'analisi.

Per il calcolo dei punteggi medi abbiamo utilizzato una scala da l a 4 (4 = molto contento; 3 = abbastanza contento; 2 = poco; l = per niente; 2,5 = non so) .

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l'impegno per l 'acquisizione di nuove competenze; la ca­pacità di presa di decisione, che entra in gioco di fronte alle molteplici scelte che ogni giovane si trova a sostenere per individuarsi; la tranquillità psicologica, ovvero la qua­lità del tono emotivo che accompagna ogni processo de­cisionale, facilitando o inibendo l'azione;

- le risorse fisiche: comprende i giudizi circa l'aspet­to fisico e la dotazione corporea in termini di salute;

- le risorse ambientali: comprende gli indicatori di status, quali il tenore di vita, la zona in cui vive, la casa in cui abita;

- le relazioni interpersonali, ovvero le amicizie, il rapporto con i giovani, i rapporti con la famiglia5 , il modo di gestire il tempo libero.

2 . 1 . Il rapporto con le risorse interne: capacità, emozzonz, corpo

Circa un quarto dei giovani non si dichiara particolar­mente soddisfatto del «bagaglio di attrezzi interni» con cui affronta i passaggi che la crescita richiede e con cui gestisce il turbamento emotivo che i nuovi compiti inevi­tabilmente comportano.

Chi sono questi giovani? Le percezioni di inadeguatezza riguardano soprattutto

le ragazze (tab. 3 . 1 ) : il 28% vorrebbe esser dotata di maggiori capacità decisionali (contro il 17% dei maschi) , il 3 1 ,5 % si sente eccessivamente travolta da emozioni che lasciano inquiete (contro il 20,8% dei maschi) .

La scontentezza per la capacità di prendere decisioni fa supporre che l'area critica sia quella dell'affermazione della propria autonomia, affermazione che, rispetto ai de­sideri, viene percepita come ancora troppo limitata e,

5 È interessante notare che questo item è correlato (se pur con un peso inferiore) anche con il fattore «risorse ambientali» e il fattore «risorse psichiche».

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TAB. 3 . 1 . Livelli di insoddisfazione per l'aspetto fisico e le risorse psichiche in funzione all'età e al genere (% poco + per niente contento)

Età 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34 Totale

Aspetto fisico Maschi 15,3 10,4 12,2 10,4 12,8 1 1 ,9 Femmine 32,2 28,2 20,5 23,6 26,7 25,2

Capacità, memorù1 e concentrazione Maschi 22,6 29,2 24,5 2 1 ,3 23,3 23,8 femmine 26,4 30,6 25,8 25,7 25, 1 26,2

Capacità di prendere decisioni Maschi 20,9 22,2 2 1 ,5 15,1 10,1 17 ,l Femmine 30,4 35,6 32,9 27,0 20,2 28,2

Tranquillità psicologica Maschi 18,7 22,7 22,3 20,9 19, 1 20,8 Femmine 34,5 40,5 33 ,1 28,7 27,7 3 1 ,5

come vedremo nel paragrafo successivo, accompagnata da ansia e confusione.

Le ragazze sono molto più autocritiche dei loro coe­tanei anche rispetto all'aspetto corporeo: il 25 ,2 % non si piace fisicamente (contro 1 '1 1 ,9% dei maschi) . Le giovani donne esprimono un'idea di inadeguatezza circa il pro­prio corpo in misura significativamente superiore ai loro coetanei, indipendentemente dall'età. Questo dato è in li­nea con altre ricerche sia italiane [De Vito 1989] sia di paesi anglosassoni [Wichstrom 1998] . Sembra che le ra­gazze continuino ad essere molto più preoccupate del proprio aspetto fisico rispetto ai maschi, forse per il per­sistere di uno stereotipo, ancora interiorizzato da molte, che fa dipendere il loro valore sulla scena sociale dall' ap­peal fisico.

Oltre al genere, anche l'età incide in modo significati­vo6 sulle percezioni di adeguatezza delle risorse psichiche.

6 Consideriamo differenze statisticamente significative quelle con p < 0.05 .

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Sono meno contenti di sé i giovani sotto i 20, ma, di­versamente da quanto potevamo aspettarci, l'età critica è quella tra i 18 e i 20 anni: in quel periodo il 40,5 % delle ragazze e il 23 % dei ragazzi si dichiarano insoddisfatti della propria tranquillità psicologica; il 35,6% delle ra­gazze e il 22 % dei ragazzi insoddisfatti della capacità di prendere decisione; il 30,6% delle ragazze e il 29% dei ragazzi insoddisfatti della propria capacità di memoria e concentrazione.

È l 'età in cui, forse per la prima volta, ragazzi e .ra­gazze si trovano a fare scelte che più impegnano il loro futuro: sta finendo la scuola e per alcuni si tratta di deci­dere cosa fare, uscendo da uno stato certamente più in­definito, ma forse più rassicurante. Questi giovani vor­rebbero sentirsi più tranquilli, più capaci di decidere e il senso di indecisione li lascia frastornati.

Crescendo, aumenta la soddisfa�ione per le proprie competenze: aumenta, in particolare, il senso di soddisfa­zione per le proprie capacità decisionali (dal 73 % a 15-17 anni al 83 ,8% a 30-34 anni) .

Il confronto tra i risultati del 2000 con quelli ottenuti nel 1996 evidenzia un dato: la soddisfazione per la capa­cità di presa di decisione sta diminuendo (4 punti per la fascia, di età 15-29; 5 punti se consideriamo la fascia 15-24). E un fenomeno che, per quanto ridotto, va tenuto sotto osservazione perché può testimoniare l'avanzare, so­prattutto tra i più giovani, di una situazione di conflittua­lità tra l' aspirazione ad affermare la propria autonomia e la percezione di una realtà (interna, più che esterna) che rallenta o inibisce rispetto all'ideale.

2 .2 . Il rapporto con le risorse esterne

I livelli di soddisfazione per le relazioni e l'ambiente circostante sono in generale elevati. Ampio gradimento (tab. 3 .2) viene assegnato alle relazioni affettivamente più vicine (amicizia, 89,2 % ; rapporti con famiglia, 89,7 % ; rapporti con i giovani, 90, 1 %) .

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TAB. 3 .2 . Insoddisfazione per l'ambito re/azionale in funzione di età e genere (% poco + per niente contento)

Età 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34 Totale

Rapporti con la famiglia Maschi 9,0 7 ,4 1 1 ,5 8,9 8,5 9,2 Femmine 8,1 1 1 , 1 10,3 5 ,9 7,4 8,2

Rapporto con i giovani Maschi 6,7 6,9 7,5 8,8 8,5 7,9 Femmine 3 ,5 8,0 7,2 7,9 13,4 8,5

Modo di gestire il tempo libero Maschi 22,1 18,7 15,4 19,5 19,4 18,8 Femmine 22,3 27,6 2 1 ,2 22,6 26,9 23 ,8

Amore Maschi 27,1 22,6 25,2 22,5 16,8 22,4 Femmine 34,1 . 29,6 22,2 19,2 15,2 2 1 ,9

Amicizie Maschi 4,0 9,4 8,9 8,1 9,0 8,1 Femmine 10,6 14 ,l 10,0 1 1 ,6 1 1 ,4 1 1 ,4

Considerando il fattore nel suo complesso, notiamo che la percezione di adeguatezza tende a diminuire, in modo significativo, con l'età: è intorno ai 25 anni che i giovani sembrano iniziare a percepire una maggior fatica nelle relazioni, soprattutto con i coetanei, forse a testimo­nianza di un processo di rinegoziazione dei rapporti af­fettivi che appare ancora in corso.

L'analisi fattoriale non ha consentito di includere in questo fattore due item, l 'amore e i rapporti con gli inse­gnanti, che mostrano un andamento diverso. Il rapporto con gli insegnanti appare più critico e viene giudicato molto o abbastanza adeguato solo dal 53 ,6% dei giovani: più soddisfatti i giovanissimi che per lo più stanno fre­quentando le scuole superiori (65,2 %) , più critici gli ul­tra ventenni dove la quota di insoddisfatti sfiora il 50%. Altrettanto cnuco l'amore, ritenuto accettabile dal 7 4 ,4 % , ma che lascia per niente contenti il 7 ,3 % dei gio-

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vani e poco contenti il 14 ,6%, a conferma che il passag­gio verso le relazioni intime è quello più complesso da realizzare: permane dunque una voglia di coppia che non viene certo placata da buone relazioni amicali, ma sem­bra che la realizzabilità del desiderio si scontri con diffi­coltà che hanno forse anche a che fare con la fatica a tro­vare modelli di coppia con cui identificarsi.

Per quanto riguarda le risorse ambientali, i giovani trovano adeguata la loro casa (86,8%) , con più elevati li­velli di soddisfazione tra coloro che hanno una camera per sé, e il tenore di vita (82 ,3 %) , di cui sono più soddi­sfatti gli appartenenti alla classe sociale superiore (89% contro il 78,9% degli appartenenti alla classe operaia) .

La zona in cui si vive lascia invece scontento l giova­ne su 4 : i più soddisfatti sono gli ultratrentenni (79% contro il 68,7 % tra i 15 - 17 anni) , i giovani del Nord (82,9% contro il 65 ,6% del Sud e delle Isole), coloro che vivono in città di 100-250.000 mila abitanti (84 , 1% con­tro il 70,4% di chi abita in comuni di 50- 100.000 abitan­ti). Questo item è quello che mostra il maggior segnale di caduta rispetto al 1996, con una diminuzione di 6 punti.

Man mano che la valutazione riguarda aspetti lontani dalla quotidianità di vita i giovani si fanno più critici: così il punteggio più basso di gradimento è raggiunto dall' item «vivere in Italia», che soddisfa poco più della metà del campione (5 1 , 1 %) , gradimento influenzato dal­l' area geografica di provenienza con una maggior soddi­sfazione al Nord (56,7 % contro il 3 7 ,4 % nelle Isole e il 43 ,4% al Sud) .

Se confrontiamo i giovani del 2000 con quelli degli anni Ottanta notiamo però che vivere in Italia sta inizian­do a piacere di più (8 punti di differenza tra la prima ri­levazione del 1983 e quest'ultima) .

3 . Idee di sé e sul proprio rapporto con l'esterno

La letteratura sull'adolescenza è da tempo impegnata a riflettere sul concetto di sé, concetto di non facile defi-

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nizione su cui l 'accordo tra gli studiosi è ancora lontano7• Nell'ambito della ricerca empirica, sta prevalendo

l'idea che il concetto di sé sia multidimensionale8 e forte­mente influenzato dai contesti socio-culturali in cui l 'indi­viduo si trova ad appartenere per cui «al mutare di tali contesti variano anche i contenuti del sé perché l'individuo è esposto a messaggi diversi» [Antonelli e Rubini 1999] .

In senso lato, il concetto di sé fa riferimento a quel­l'insieme di conoscenze che il soggetto, a livello consape­vole, elabora su s� stesso relativamente all'aspetto fisico, alle sue attitudini, alle sue relazioni interpersonali, al modo con cui pensa di esser visto dagli altri, a quello che si aspetta e ai sentimenti che ritiene di provare [cfr. Pal­monari 1993 ] .

Nella nostra indagine abbiamo soprattutto cercato di introdurre item che dessero spunti di riflessione sulle idee che i giovani dichiarano relativamente ad alcuni aspetti del proprio funzionamento psico-sociale: la perce­zione del proprio mondo emotivo interno (sentimenti prevalenti e autocontrollo) ; la percezione di essere auto­nomo e responsabile (sentire di saper assumere responsa­bilità, di impegnarsi e di decidere per la propria vita), la percezione di essere in relazione con un ambiente esterno

7 Non abbiamo qui lo spazio per approfondire l'ampio dibattito che sta impegnando gli studiosi sul concetto di sé, concetto molto complesso e usato in una molteplicità di accezioni all'interno di diver­si orientamenti. Per un approfondimento delle ricerche in ambito co­gnitivista si veda Arcuri e Castelli [2000] ; in ambito psicoanalitico si veda Gatti Pertegato [1994] ; secondo l'approccio della psicologia cul­turale, Bruner [ 1991 ] .

8 Tale idea s i riflette negli strumenti di misurazione messi a pun­to in ambito psicologico. Si vedano ad esempio le tre scale di valuta­zione dell'immagine di sé più utilizzate: 0/fer Self - Image Question­naire (OSIQ); Marsh's Self Description Questionnaires (SQD); Harter's Self Perception Pro/ile /or Adolescents (SPPA). Il questionario di Offer indaga 5 aspetti del Sé: Sé psicologico (controllo degli impulsi, tono emotivo, immagine del corpo) , Sé sociale (relazioni sociali, coscienza morale, aspirazioni), Sé sessuale (atteggiamenti sessuali) , Sé familiare (relazioni familiari) , Sé coping (padronanza del mondo, psicopatologia, livello superiore di adattamento) .

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affidabile, a cui è possibile far riferimento perché sostie­ne nei momenti di difficoltà e perché offre uno sguardo valorizzante e benevolo (poter contare sull'aiuto di qual­cuno, essere apprezzati) . Agli intervistati è stato chiesto di esprimere per ciascuno degli item relativi a questi aspetti quanto si riconoscono.

Osservando le distribuzioni delle risposte, notiamo che in quasi tutti gli item da noi considerati la maggior parte dei giovani dichiarano:

- di essere in grado di gestire le emozioni e le situa­zioni che incontrano (74,7 % ) ; negano di essere attraver­sati in modo invasivo da emozioni che possono risultare frastornanti e di sentirsi frequentemente in ansia o confu­si (70,9%) ;

- di poter contare sull'aiuto di qualcuno (85 , 1 %) e di vivere in un ambiente relazionale che sa apprezzarli (84 %) ;

- di sapersi impegnare molto in ciò in cui credono (90,9%) , di assumersi, quando occorre, responsabilità personali (73 ,2%) , di sentire che sono loro a decidere della propria vita ( 83 %) .

Come già evidenziato da molte ricerche empiriche re­alizzate sulla popolazione giovanile, la gran parte dei gio­vani sembra attraversare queste fasi dello sviluppo con un profilo emotivo bilanciato, senza reazioni massive ver­so polarità percepite negativamente, con una discreta sen­sazione di poter incidere sulla propria vita anche grazie a un'idea di affidabilità della propria rete relazionale.

Se non è più possibile parlare di un'età giovanile se­gnata in modo omogeneo dalla turbolenza e dal senso di inadeguatezza, diviene interessante provare ad articolare la descrizione dei diversi modi di essere giovani. Abbia­mo applicato alla batteria di item un'analisi fattoriale9 che ha consentito di estrarre tre fattori:

9 La variabilità spiegata da questi fattori è 51 ,8%, eliminando l' item «sono capace di ridere di me stesso». Per il calcolo dei punteggi medi abbiamo utilizzato una scala da l a 4 (4 = mi riconosco molto; 3 = mi riconosco abbastanza; 2 = poco; l = per niente; 2,5 = non so) .

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- l'inquietudine emotiva: raggruppa gli item che se­gnalano una vita emotiva attraversata in modo insistente e pervasivo da un senso di turbamento sul versante della tri­stezza, della paura, della confusione, della noia. Di fronte a pressioni interne o esterne vi è la sensazione di perdere la testa, di non avere quindi un sufficiente controllo delle proprie emozioni. Il confronto con gli altri è doloroso per­ché compare la paura di essere criticati. In questo fattore è presente anche la tendenza a evitare le responsabilità;

- il senso di connessione con il proprio contesto rela­zionale: comprende gli item che fanno riferimento all'idea di sentirsi apprezzato e all'idea di poter contare sull'aiuto altrui in situazioni di difficoltà. Il primo item indaga un aspetto importante in adolescenza: lo sguardo dell'altro è infatti costantemente tenuto sotto controllo perché è la misura del proprio valore e consente di verificare quanto spazio è possibile conquistare all'interno della scena so­ciale. Il secondo item indaga la percezione di affidabilità dell'ambiente circostante, l'idea di avere a disposizione ri­sorse esterne per far fronte a momenti di incertezza, a cambiamenti che possono richiedere l 'esperienza e il so­stegno della propria rete relazionale. Queste idee appaio­no connesse con la tonalità emotiva della felicità;

- il senso di padronanza rispetto alle scelte della pro­pria vita: indica la convinzione di poter influire sulla pro­pria vita in quanto decisore autonomo, capace di assu­mersi responsabilità e di impegnarsi per ciò in cui si cre­de. In altre parole, di sentirsi registi della propria vita.

Chi sono i giovani inquieti? Come potevamo prevedere sono soprattutto gli adole­

scenti e in particolare di genere femminile. Nel descriversi, le ragazze dichiarano in misura mag­

giore dei coetanei di sentirsi preda di un senso di confu­sione e di ansia (35 ,4 % delle ragazze contro 18,2% dei ragazzi) , di sentimenti di tristezza (32 ,4 % delle ragazze contro il 14,7 % dei ragazzi) e di paura ( 19,3 % contro 6,2 % ) .

Capiamo qui il giudizio di inadeguatezza che le ragaz-

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ze esprimevano nei confronti della loro tranquillità psico­logica: l ragazza su 3 si sente spesso attraversata da con­fusione, ansia, tristezza; anche il confronto con gli altri è percepito con disagio e la paura delle critiche assale il 30% delle giovani (contro il 18,2 % dei coetanei di sesso maschile) .

L'adolescenza si conferma come il periodo di passag­gio verso l'età adulta più attraversato da un mondo emo­tivo in movimento, un po' frastornante e così imponente da dare la sensazione, in alcune situazioni, di sfuggire al controllo (tab. 3 .3 ) : l su 3 tra i 15-17 provano spesso la sensazione di perdere la testa. I sentimenti prevalenti in questa età sono la noia (35 ,5 %) e la paura delle critiche (35 ,7 %) '0·

Incide in modo significativo anche la condizione oc­cupazionale: rispetto ai lavoratori o anche a coloro che né studiano né lavorano, gli studenti mostrano una più elevata inquietudine emotiva.

Queste sfumature emotive non aiutano a sentirsi al centro della propria vita: questi ragazzi preferiscono per­ciò evitare di assumersi responsabilità, rimandando nel tempo la verifica della propria autonomia.

Crescendo, i giovani dichiarano di sentirsi maggior­mente capaci di autocontrollo e meno invasi da sfumatu­re emotive sul versante della paura e della noia. Il senso di inquietudine diminuisce in modo graduale, ma costan­te, testimoniando come l'età sia il fattore critico fonda­mentale.

Un sentimento però appare ancora in misura consi­stente anche nei giovani adulti tra i 30-34 anni: a questa età l su 5 «spesso si sente triste» e ha paura delle critiche.

Questo fattore appare significativamente correlato con il grado di insoddisfazione sia per le risorse psichiche e corporee, sia per le relazioni interpersonali: il giovane

10 Per un'analisi approfondita e molto suggestiva delle emozioni e degli affetti sperimentati dagli adolescenti in relazione ai compiti di sviluppo specifici di questa età si veda Charmet [2000].

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T AB. 3 .3 . Percezione di funzionamento psicologico in relazione all'età (% molto + abbastanza d'accordo)

Età 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

Spesso mi sento annoiato 35,5 30,2 24,9 22,3 17,4 Spesso mi sento triste 3 3 ,3 23 ,9 24,0 2 1 ,7 20,5 In alcune situazioni perdo la testa 35,1 27,1 26,1 19,2 15,1 Provo spesso paura 17,9 13 ,4 14,4 12,4 8,8 Frequentemente mi sento confuso, in ansia 33,3 34,2 28,7 23,2 22,0 Spesso evito di assumermi responsabilità 41 ,0 36,0 25,7 19,8 14,3 Ho sempre paura che gli altri mi critichino 35,7 24,5 23 ,3 23,0 20,4

Base = 1 .500

inquieto non si piace né per l'aspetto fisico, né per le ca­pacità di svolgere compiti o prendere decisioni; inoltre valuta poco adeguata la rete di relazioni in cui è inserito.

Chi sono i giovani che hanno un basso senso di con­nessione con il proprio ambiente circostante?

Se i giovani, crescendo, si percepiscono più stabili emotivamente, non altrettanto accade per il senso di con­nessione che tende a diminuire con l'avanzare dell'età (fig. 3 . l ) . Il punto critico sono i 25 anni, soprattutto per i giovani maschi. Dopo questa età aumenta il numero di coloro che sentono di non poter contare sull'aiuto di qualcuno, di non essere apprezzati e, con queste sensa­zioni, diminuisce anche il sentimento della felicità: po­tremmo dire che crescendo sembra comparire una sensa­zione di solitudine, meno presente nelle fasi precedenti.

È un sentirsi soli che può assumere la sfumatura del bisogno di far da sé, ma questa affermazione di totale in­dipendenza (se c'è) non si associa né a sentimenti di feli­cità, né di soddisfazione. Il senso di connessione risulta infatti significativamente correlato con tutti e 4 i fattori di soddisfazione, con particolare enfasi sulle relazioni in­terpersonali: chi percepisce un basso senso di connessio­ne con il mondo esterno valuta inadeguati e insoddisfa­centi le risorse di cui dispone, sia interne sia esterne.

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0,4

0,3

0,2

0,1

0,0

-0,1

-0,2 M

-0,3

FIG. 3 . l . Senso di connessione in funzione di età e genere. Punteggi medi.

Base = 1 .500

Influisce su questa idea anche il livello socio-culturale della famiglia di origine (è più debole per i livelli medi e medio-bassi) , l'area geografica di provenienza, la condi­zione occupazionale: i giovani del Sud, indipendentemen­te dalla classe sociale di appartenenza, dichiarano un bas­so senso di connessione, mentre al Nord solo chi provie­ne da famiglie operaie sente di poter contare poco sul­l' aiuto altrui e di sentirsi poco apprezzato.

Influisce in modo significativo la posizione lavorativa: dopo i 25 anni l'essere studente o l'essere inserito a pie­no titolo nel mondo del lavoro conta. La condizione di studente sembra offrire una sorta di contenitore che fa­vorisce un più elevato senso di connessione in tutte le fa­sce di età. L'ingresso nel mondo del lavoro sembra al contrario produrre una profonda revisione delle idee cir­ca la propria relazione con gli altri: il giovane lavoratore sembra convinto di poter contare solo sulle proprie forze per affrontare un mondo produttivo in cui i rischi di cambiamento e di fallimento sono continui, un mondo percepito come poco umanizzante e incapace di valoriz­zare e nconoscere.

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Chi sono i giovani che mostrano un basso senso di padronanza rispetto alle scelte della propria vita?

L'andamento del senso di essere registi della propria vita cresce con l'età.

È interessante notare che, anche in questo caso, com­pare un momento del percorso di crescita, intorno ai 25 anni, che sembra rappresentare un punto di svolta: dopo quell'età infatti i giovani che hanno realizzato alcuni pas­saggi verso l'età adulta si sentono, in misura maggiore, responsabili della propria vita rispetto a chi invece è «ri­masto indietro». In particolare troviamo un netto salto tra chi vive fuori casa e chi ha un lavoro e chi invece non ha ancora conseguito queste tappe.

In questa fase, soprattutto, le differenze tra uomini e donne si fanno sentire: tra i 25 e i 29 anni le giovani donne\appaiono più determinate, con l'idea di disporre di maggiori possibilità di autoregolazione, diversamente dai maschi che si percepiscono ancora scarsamente capa­ci di orientare la propria vita. Dopo i 30 anni, il senso di esser registi cresce decisamente negli uomini, mentre si attenua tra le donne pur mantenendo un segno positivo.

L'area geografica e lo status socio-economico non ri­sultano invece correlati a questo fattore che sembra più influenzato dalle esperienze in cui il giovane si è coinvolto direttamente, in cui si è messo in gioco in modo attivo.

Dunque, fino ai 24 anni, le esperienze di indipenden­za non sembrano influire sull'idea di sé come regista del­la propria vita: superata la soglia dei 25 anni, però, chi non ha ancora imboccato la strada dell'autonomia fatica a sentirsi pienamente responsabile della propria vita, qua­si vi fosse un età critica oltre la quale la nascita sociale non può più essere rimandata, pena la perdita del rispet­to per sé come protagonisti delle proprie scelte.

Come potevamo aspettarci, l'idea di essere registi del­la propria vita è correlata in modo significativo con l'orientamento alla progettualità e il locus o/ contro!: chi non sente questa responsabilità tende a dare poco peso alla progettualità («è inutile fare progetti perché succede sempre qualcosa che ci impedisce di realizzarli») , non ha

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idee chiare sul suo futuro, attribuisce alla fortuna e non a sé la responsabilità di ciò che gli accade o comunque è incerto su queste questioni.

La relazione non è invece così lineare per ciò che con­cerne l'orientamento al futuro: non è connessa con il sen­so di padronanza l'idea che «fare esperienze nel presente è più importante che pianificare il futuro». Sentirsi registi della propria vita non implica una maggior attenzione al futuro. Il nostro fattore risulta invece correlato con l'idea che «ciò che mi potrà accadere nel futuro mi lascia piutto­sto indifferente»: troviamo però un alto senso di padro­nanza sia tra chi si dichiara molto d'accordo sia tra chi si dichiara per niente d'accordo con questa affermazione.

Sembra quindi che la tendenza alla «presentificazio­ne» [Cavalli 1997 ] , il preoccuparsi poco di ciò che potrà accadere nel futuro, non implichi la rinuncia a mettersi al centro della propria vita. Permane in questi giovani il senso di poter decidere, di potersi impegnare e di non volere delegare ad altri ciò che li riguarda. Quello che forse i giovani sentono ormai impossibile è il valore della pianificazione razionale a lungo termine: sembrano aver interiorizzato lo stile comportamentale sempre più enfa­tizzato all'interno dei contesti produttivi aziendali dove è premiata la capacità di «navigare a vista» a fronte di obiettivi a brevissimo termine.

Rinunciare a pianificare non significa però rinunciare a porsi in una logica di finalizzazione: per i giovani rima­ne importante continuare a darsi obiettivi, sapendo che possono modificarsi nel tempo. Quando i giovani devono prevedere comportamenti futuri sono influenzati dall'idea di essere o meno responsabili della propria vita. Il fattore è infatti correlato con le previsioni circa il superamento di alcune soglie verso la vita adulta: in particolare coloro che dichiarano di «non sapere» cosa succederà loro fra 5 anni in relazione al vivere fuori casa e iniziare a lavorare continuativamente hanno i valori più bassi di padronan­za; ugualmente hanno valori negativi coloro che comun­que sono incerti o escludono nettamente non solo di uscire di casa, ma anche di avviare una relazione di cop-

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pia stabile sposandosi o scegliendo di convivere. Un bas­so senso di padronanza incide dunque sulla disponibilità a prefigurarsi un futuro di ampliamento delle proprie po­tenzialità e della propria autonomia.

Rinunciare a pianificare, dunque, non significa cam­minare a tentoni, ma per piccoli passi, badando agli indi­zi che man mano emergono per orientarsi con una busso­la interna che indica obiettivi personali, sapendo che tut­to può cambiare da un momento all'altro. Questa proba­bilmente è la strategia con cui i giovani, a partire dai 20 anni, hanno imparato a gestire l'incertezza senza farsi tra­volgere dal senso di precarietà.

Chi non ce la fa, chi rinuncia non solo a pianificare, ma anche a desiderare di mettersi al centro della propria vita, si sente poco potente, a disagio e inadeguato. Questo fattore è infatti correlato con il livello di soddisfazione per le proprie risorse psichiche e per le relazioni interper­sonali. Coloro che si sentono scarsamente dotati di potere rispetto alla propria vita e alle proprie scelte si piacciono anche poco: sentono di poter fare poco affidamento su capacità e forze in�erne e, in ugual modo, sentono inade­guate e perciò poco affidabili le persone che hanno intor­no, sia tra i coetanei sia nella cerchia familiare.

4 . Note conclusive: giovani responsabilz; ma soli

L'analisi descrittiva fin qui condotta ha permesso di evidenziare che le visioni coscienti di sé vengono costrui­te in modo diverso dai ragazzi e dalle ragazze e si modifi­cano nell'arco della giovinezza, attraverso alcune fasi che appaiono critiche.

Innanzitutto, le ragazze tendono, in misura maggiore dei loro coetanei, a rivolgere lo sguardo al proprio inter­no, si pongono in ascolto delle proprie emozioni e guar­dano l'immagine riflessa dallo specchio. E molte non si piacciono. Il proprio aspetto fisico viene percepito come poco adeguato rispetto a un ideale da cui si sentono, do­lorosamente, lontane. Si potrebbe ipotizzare che le giova-

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ni donne, soprattutto durante l'adolescenza ma non solo, facciano fatica a prendere le distanze da un modello di sé come «oggetto da guardare», ancora proposto dai mass media [Burr 2000] : le rappresentazioni visive più diffuse chiedono al corpo maschile di essere prestante, pronto per l'azione, mentre al corpo femminile di essere «bello», fatto per essere guardato. Lo sguardo altrui diviene quin­di cruciale e la paura del giudizio è in agguato.

Le ragazze inoltre appaiono più inquiete, più insoddi­sfatte della propria capacità di gestire le emozioni, di cal­marsi nei momenti difficili. Si mostrano più dubbiose e incerte circa la capacità di affermare la propria autono­mia, più insicure anche perché devono fare frequente­mente i conti con la confusione e la tristezza che le lascia frastornate.

La presenza di questi sentimenti sembra confermare che il senso di perdita connesso al processo di separazio­ne affettiva dalla nicchia genitoriale e dal corpo infantile sia più complesso e doloroso per la ragazza: secondo al­cuni autori di matrice psicoanalitica [Blaine e Farnsworth 1997] ciò è dovuto al diverso legame che questa instaura con la propria madre, legame che «deve in certa misura venire abbandonato affinché si costituisca un attaccamen­to più profondo e complesso di tipo eterosessuale specifi­co della tarda adolescenza, e questo fa sì che venga ac­centuato il suo senso di perdita in questa fase» [Blaine e Farnsworth 1997 , 5 10] .

Da un'altra prospettiva [Burr 2000] possiamo ipotiz­zare che il maggior senso di confusione che le ragazze di­chiarano sia anche legato alla maggiore incertezza circa i modelli di femminilità con cui identificarsi, avendo l' one­re di costruire il proprio sentirsi donna integrando in modo personale spinte ancora conflittuali: affermarsi come soggetti intellettuali a pieno titolo, andando anche a ricoprire ruoli professionali impegnativi, e realizzarsi sul piano dei legami affettivi intimi come moglie e madre.

Qualunque sia l'origine della maggior inquietudine femminile, le ragazze, diversamente dai coetanei, mostra­no di affrontare i cambiamenti e la complessità del cresce-

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re prestando attenzione a ciò che succede dentro di sé: di fronte al turbamento non si rifugiano nell'azione, nella sfida al rischio, ma si mettono in ascolto, danno spazio alle emozioni e sono più disposte ad ammetterle a se stes­se e agli altri. Possono giocare un ruolo, anche in questo caso, le diverse aspettative sociali che consentono alla donna una più libera espressione della propria emotività.

Questo modo di trattare il proprio turbamento per­mette, comunque, alle ragazze di essere più disponibili a ricercare un aiuto psicologico, come mostrano le espe­rienze degli sportelli di ascolto nelle scuole e presso i con­sultori. T al e comportamento appare collegabile anche al maggior senso di connessione che abbiamo evidenziato: le ragazze hanno l'idea di poter contare sull'aiuto di qualcu­no e accettano questa posizione di dipendenza parziale dagli adulti come una risorsa possibile per crescere.

I ragazzi, forse anche legati da aspettative sociali che chiedono capacità di contenimento emotivo e autocon­trollo, possono avere più difficoltà a dichiarare ad esterni situazioni di disagio: contemporaneamente, la loro mag­gior centratura sul fare può , portare a spostare sul regi­stro del comportamento le eventuali difficoltà che speri­mentano, bloccando la possibilità di pensare le emozioni.

Soprattutto nel parlare dei propri sentimenti i ragazzi sembrano molto attenti a non esporsi troppo: traspare la noia, ma le emozioni di tristezza e paura vengono ritenu­te poco frequenti e poco invasive. Possiamo forse qui ri­conoscere anche lo sforzo di differenziarsi da tratti perce­piti come eccessivamente infantili e che possono rischiare di farli sentire troppo contaminati con aspetti femminili.

Nell'arco di sviluppo da noi considerato è possibile evidenziare alcuni snodi nei modi di guardare a se stessi e alle proprie relazioni. In sintesi, questi snodi sono i 18-20 e i 25 anni.

La fase 1 8-20 è da alcuni [Greenspan 1997] conside­rata il primo vero «ponte verso l'età adulta», una fase di transizione in cui le acquisizioni conquistate durante l'adolescenza vengono messe alla prova: alcune scelte vanno fatte e non possono essere rimandate (proseguire

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gli studi o andare a lavorare, decidere quali studi, quali lavori) ; le relazioni intime iniziano ad acquisire un nuovo spessore e il giovane si interroga sullo spazio da concede­re alla coppia, sul nuovo modo di vivere l'esperienza del gruppo, confrontandosi con i coetanei per verificare se i suoi passi sono in linea con quanto accade agli altri.

Come abbiamo visto, è in questa fase, più che nel pe­riodo precedente, che troviamo i segni di maggior insod­disfazione. Il primo confronto effettivo con le scelte di vita e con la responsabilità di decidere come usare la nuova libertà, facendo i conti con i perduranti vincoli esterni, sembra lasciare sconcertati anche coloro che era­no passati attraverso le fasi precedenti senza particolari segni di disequilibrio. Il disagio sembra relativo alla sen­sazione di essere ancora troppo incerti di fronte alle scel­te che occorre fare. È come se, proprio nel momento del primo lancio, cominciassero a comparire dei dubbi sulle energie a disposizione per l'emancipazione.

Forse perché scegliere implica un lutto, attiva forti sensi di perdita con i sentimenti di tristezza ad essi corre­lati: perché scegliere significa rinunciare a qualcosa a sca­pito d'altro, e, significa, anche, iniziare a fare i conti con l'idea di essere soli a decidere cosa è meglio per sé.

La percezione di inadeguatezza rilevata sembra dun­que indizio di una vulnerabilità tra i ventenni che chiede al mondo adulto una particolare attenzione.

Con il passare del tempo e con l'esperienza queste percezioni di vulnerabilità del proprio bagaglio di attrezzi si attenuano. Ciò che i nostri dati evidenziano è uno spo­stamento di attenzione: fino ai 20 anni prevale un orien­tamento al mondo interno, all' autoriflessione anche per scoprire «come si è fatti dentro»; tra i giovani adulti si afferma un orientamento al mondo esternou. Un esterno che però inizia ad esser guardato con una certa disillusio-

11 Questo dato è in linea con recenti ricerche che utilizzano un approccio narrativo, basato sul racconto di storie di vita: si veda To­misich e Ardino [2000] .

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ne e sembra esser percepito come dotato di pochi anco­raggi, poche leve su cui il giovane possa contare per di­mostrare a sé e agli altri il proprio valore.

Considerando soprattutto il modo in cui i giovani percepiscono il rapporto tra sé e l'esterno, sembra che un punto di svolta sia collocabile intorno ai 25 anni.

È in questa fase, e soprattutto tra i giovani maschi, che si osserva una netta diminuzione del senso di connes­sione con l'esterno: troviamo l giovane su 7 che crede di non poter contare sull'aiuto di nessuno. Giovani con la percezione di essere soli, quindi.

Se, come sosteneva Bowlby [1978, 445 ] , «una perso­na sanamente fiduciosa in sé è capace di contare fiducio­samente sugli altri quando le circostanze lo esigono e di sapere su chi è giusto contare», possiamo ipotizzare che la scarsa fiducia in sé e la paura della solitudine possano rappresentare dei freni rispetto a ulteriori sforzi di eman­cipazione.

In conclusione quali indicazioni sembrano fornire i nostri dati rispetto alle idee di sé che accompagnano i no­stri giovani nel mondo dell'incertezza e della precarietà?

Certamente con il crescere dell'età si afferma per i più l'idea che è possibile influire sulla propria vita, che ha senso continuare a fare progetti, mantenere viva una logica di finalizzazione, anche se la realtà circostante ha i segni della precarietà, della discontinuità, della frammen­tazione, dell'impossibilità di elaborare obiettivi a lungo termine.

Per percepirsi attori a pieno titolo è importante però sentire di aver compiuto alcuni passi verso la nascita so­ciale, e i passi che sembrano segnare la definizione di sé sono l'inserirsi nel mondo del lavoro e l'uscire di casa: il lavoro è un'esperienza di coinvolgimento e messa in gio­co personale ove, oltre ad ampliare la propria rete rela­zionale, si verifica sul campo la capacità di prendere l'ini­ziativa, assumersi impegni, produrre il risultato atteso. Per Hauser e Greene [ 1997] l'avvio al lavoro è uno dei compiti evolutivi principali dèi giovani adulti.

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È dunque possibile, soprattutto se ci si è sperimentati in compiti produttivi, sviluppare un senso di padronanza sulla propria vita: bisogna però fare i conti con una altra sensazione, quella di sentirsi soli. Può cioè contempora­neamente emergere la sensazione di muoversi senza pro­tezioni in una realtà che restituisce uno sguardo poco be­nevolo e ove manca qualcosa, o meglio qualcuno su cui poter contare: possiamo ipotizzare che manchino non tanto le figure genitoriali affettive dell'adolescenza, ma adulti - guida, mentori che possano indicare la strada per trovare strategie idonee a sostenere l'instabilità che ormai · caratterizza anche le fasi successive della vita.

Il richiamo, come abbiamo detto, proviene soprattut­to dai giovani-adulti, da chi, dopo i 25 anni, fa i conti con la propria capacità di realizzare il compito evolutivo della nascita sociale. Se il bilancio è negativo, aumenta la sensazione di esser poco capace, poco potente e i senti­menti di inadeguatezza si ripresentano con intensità.

Se in questi anni sono stati creati molti servizi di sup­porto e accompagnamento per gli adolescenti, sia nel­l' area della socializzazione sia della consultazione e del­l' aiuto psicologico, non altrettanto si è fatto per i giovani adulti: questa fase della vita, che nella mente dei giovani è forse quella in cui non è più possibile porsi in una po­sizione di attesa, merita di essere messa al centro delle nuove riflessioni di operatori e ricercatori per evidenziare strategie e condizioni che possano facilitare un passaggio positivo attraverso questa soglia.

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P ARTE SECONDA

SCELTE SCOLASTICHE E STRATEGIE OCCUPAZIONALI

di Giancarlo Gasperonz; Marco Vinante e Antonio Chiesi

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CAPITOLO PRIMO

I PROCESSI FORMATIVI FRA VECCHIE DISUGUAGLIANZE E NUOVE TRASFORMAZIONI

Gli ultimi anni del XX secolo sono stati contrassegna­ti, in Italia, da una grande effervescenza nel mondo della scuola e dell'università. Si pensi alle seguenti vicende del sistema formativo: introduzione del nuovo esame di Stato conclusivo degli studi secondari superiori; riordino dei ci­cli dell'istruzione (approvato dal parlamento nel febbraio 2000, ma poi bloccato dal governo insediatosi nel giugno 2001 ) ; prefigurazione di un sistema pubblico integrato di formazione, con aperture verso la «parità» fra scuole pri­vate e pubbliche; definizione dei «nuovi saperi» e dei re­lativi contenuti curricolari; innalzamento dell'obbligo sco­lastico e introduzione di un più generale «obbligo forma­tivo»; istituzione di un servizio nazionale per la qualità dell'istruzione; valutazione dell'opportunità di introdurre forme di accertamento della qualità dell'insegnamento; sviluppo del ruolo delle tecnologie informatiche e multi­mediali per la didattica; conferimento di personalità giu­ridica e di autonomia finanziaria, organizzativo-didattica e di ricerca agli istituti scolastici; riforma dei corsi di stu­dio a livello universitario (il cosiddetto «3+2») .

Nonostante questo dinamismo riformista, il contesto formativo continua a presentare alcuni elementi struttura­li di forte vischiosità, relativi, ad esempio, alle disegua­glianze sociali che influenzano le scelte scolastiche (che verranno prese in esame nel par. l ) e alla perdurante e diffusa irregolarità dei percorsi scolastici (par. 2 ) . Le fina­lità attribuite all'istruzione (e specie la loro dimensione professionalizzante), l'evoluzione nel tempo dell'interesse dei giovani per lo studio e i loro rapporti con gli inse­gnanti costituiscono gli oggetti, rispettivamente, dei parr. 3 , 4 e 5 . I parr. 6 e 7 trattano di ambiti particolarmente mutevoli: la conoscenza delle lingue straniere e l'ingresso

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delle tecnologie informatiche nelle scuole. Infine, il par. 8 indaga gli atteggiamenti dei giovani nei confronti del fi­nanziamento pubblico dell'istruzione non statale.

l . Istruzione e disuguaglianze sociali

In virtù della diffusione dei processi di scolarizzazione di massa nel corso degli ultimi decenni, la popolazione ita­liana, nel suo complesso, non è mai stata così istruita. Cio­nonostante, rispetto ad altre società postindustriali, l'Italia ha una delle popolazioni meno istruite. Soltanto il 4 1 % dei 25-64enni ha completato la scuola secondaria superio­re; nell'Unione europea soltanto la Spagna e il Portogallo esprimono tassi di istruzione più bassi (l'incidenza media di diplomati, nella stessa fascia d'età, nell'insieme dei pae­si appartenenti all'OCSE è pari al 6 1 % : OECD 2000, 35) . Questa situazione è senz'altro dovuta anche a una peculia­re dinamica demografica, contraddistinta da una natalità insolitamente bassa e da un' aspettativa di vita particolar­mente alta, tali per cui gli individui più anziani - che da giovani non hanno avuto l'opportunità di studiare - dan­no conto di una quota cospicua della popolazione.

Nell'immaginario collettivo la condizione giovanile e quella studentesca tendono ormai a coincidere: almeno fino a quando non ha raggiunto la maggiore età, si dà per scontato che un giovane sia impegnato in una qual­che attività formativa, di norma la scuola secondaria su­periore, al punto che si ritiene che l'essere studenti costi­tuisca un elemento strutturale dell'identità dei giovani. Questo assunto, purtroppo, non è del tutto fondato, spe­cie se si confronta la realtà italiana con quella di altri paesi economicamente avanzati. Anche fra i giovani italia­ni la partecipazione scolastica, pur essendo in costante sviluppo, continua ad essere relativamente contenuta: il 69,8% dei 15-19enni italiani può definirsi «studente», contro una media OCSE del 76,3 % [OECD 2000, 135] .

Le ricerche IARD rispecchiano l'evoluzione della sco­larizzazione dei giovani e il fatto che questi ultimi non

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siano mai stati tanto istruiti come lo sono oggi. Nell'inda­gine del 2000 il 60,9% dei 15-29enni ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 49,5 % nel 1996 e il 42,2 % nel 1992. Peraltro, il livello di scola­rizzazione dei giovani è destinato a spostarsi verso l'alto, in quanto poco meno della metà dei 15 -29enni intervista­ti sono tuttora impegnati in un ciclo di studi: uno su cin­que frequenta la scuola secondaria superiore (e quindi probabilmente conseguirà un diploma), e uno su quattro frequenta l'università (e quindi ha qualche probabilità di conseguire un titolo postsecondario).

L'innalzamento dei livelli di scolarizzazione non signi­fica, però, che siano venute meno le diseguaglianze socia­li che fanno sì che alcuni giovani abbiano maggiori op­portunità di ottenere una buona istruzione rispetto ad al­tri. Il titolo di studio conseguito da un giovane continua a dipendere in misura tutt'altro che trascurabile dalle sue origini sociali.

Un individuo trae dalla sua famiglia d'origine risorse di tipo sia materiale che culturale. Se dispone di cospicue risorse materiali, procurate ad esempio per mezzo di un ruolo occupazionale vantaggioso svolto da uno o entram­bi i genitori, una famiglia può permettersi di finanziare un lungo periodo di studio e di fare proseguire gli studi dei figli fino a livello universitario; e analogamente può agevolmente sostenere i costi rappresentati dai mancati guadagni derivanti da un ingresso rinviato sul mercato del lavoro. E, infatti, i figli di genitori con uno status oc­cupazionale elevato hanno maggiori probabilità di rag­giungere i più avanzati livelli del sistema formativo (tab . 1 . 1 ) . Ad esempio, fra i giovani che provengono da una famiglia di status occupazionale «superiore» (almeno un genitore che è libero professionista, imprenditore o diri­gente) o impiegatizio, quasi la metà completa gli studi universitari (o quanto meno frequenta ancora l 'universi­tà) , contro il 26% fra i figli di genitori che svolgono lavo­ri autonomi (artigiani , commercianti, coltivatori diretti, soci di cooperative, coadiuvanti in attività familiari) e ap­pena il 17% fra i figli di lavoratori manuali ed esecutivi.

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TAB. 1 . 1 . Livello di istruzione dei giovani (15-34ennz) per status occupazionale e livello culturale della famiglia d'origine (%)

Status occupazionale dei genitori Operaio Autonomo Impiegatizio Superiore e assim.

Non è andato oltre alla scuola media 30,4 25,9 5,7 4,7 Frequenta/ha concluso la secondaria superiore 52,4 47,8 45,7 46,2 Frequenta/ha concluso l'università 17,2 26,2 48,5 49,1

N 1.057 686 680 5 1 1

Livello culturale della famiglia Basso Medio Medio- Alto

alto

Non è andato oltre alla scuola media 44,6 18,3 6,2 2,4 Frequenta/ha concluso la secondaria superiore 43,3 55,5 50,3 38,2 Frequenta/ha concluso l'università 12,1 26,2 43,5 59,4

N 691 1 .014 697 503

Di converso, i figli di operai o di lavoratori autonomi corrono un rischio piuttosto consistente (26-3 0%) di fer­marsi alla licenza media, mentre questa eventualità è del tutto marginale (5-6%) per i giovani i cui genitori sono impiegati o ricoprono posizioni «superiori» nella struttu­ra occupazionale.

Altrettanto (o forse addirittura più) importanti sono le risorse culturali che una famiglia può trasmettere ai fi­gli. Se i suoi genitori sono relativamente ben istruiti, un giovane ne trae diversi vantaggi ai fini del successo scola­stico: è probabile che cresca in un ambiente familiare in cui vi sono una maggiore dimestichezza con la lingua scritta, una maggiore consapevolezza dei benefici che de-

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rivano da una buona istruzione, una maggiore volontà di investire nell'istruzione e così via. Al di là delle risorse propriamente culturali che i genitori possono conferire ai figli, la presenza di genitori molto istruiti in famiglia ve­rosimilmente innesca anche un meccanismo di difesa del prestigio sociale, tale per cui i genitori esercitano una for­te pressione psicologica sui figli affinché conseguano un titolo di studio superiore, o quanto meno non inferiore, a quello del genitore più istruito.

Com'era dunque prevedibile, fra i giovani che pro­vengono da una famiglia con un alto livello culturale quasi il 60% giunge agli studi universitari, e solo un'esi­gua quota (2 ,4 %) si ferma alla scuola media inferiore (t ab. 1 . 1 ) 1 . Se si passa a famiglie a più basso tenore cultu­rale, il livello di istruzione dei figli si abbassa conseguen­temente; fra i giovani i cui genitori non sono andati oltre alla licenza elementare, solo il 12% arriva all'università, e il 45 % non va oltre la licenza media.

La presenza di una minore o maggiore dotazione di ri­sorse materiali non è indipendente dalla consistenza delle risorse culturali: i genitori che hanno occupazioni più am­bite tendono anche ad essere più istruiti dei genitori con lavori meno vantaggiosi, e viceversa. Tuttavia, lo status oc­cupazionale e il livello culturale dei genitori esercitano ef­fetti autonomi sul livello di istruzione dei figli, come mo­stra la tabella 1 .2 . A prescindere dal titolo di studio dei ge­nitori, si osserva un più elevato tasso di diplomati (effettivi o potenziali) mano a mano che si passa dalla classe opera­ria a quella superiore. Analogamente, a prescindere dallo status occupazionale dei genitori, il tasso di diplomati cre­sce mano a mano che si passa da un basso a un elevato li-

l Per «livello culturale alto» si intende almeno un genitore dotato di titolo universitario o para universitario; «livello culturale medio­alto» significa che almeno un genitore è diplomato, ma nessuno dei due è laureato; «livello culturale medio» significa che il genitore più istruito ha conseguito al massimo un diploma di qualifica professiona­le; infine, nelle famiglie a «livello culturale basso» nessun genitore è andato oltre alla licenza elementare.

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TAB. 1 .2 . Incidenza percentuale di diplomati e studenti che frequentano una scuola secondaria superiore per livello culturale della famiglia d'origine

Livello culturale della famiglia Status occupazionale della famiglia Basso Medio Medio- Alto Totale

alto

Operaio e assimilati 54 78 88 88 7 1 Autonomo 54 82 88 97 74 Impiegatizio 65 90 96 97 94 Superiore 78 88 98 99 95

Totale 56 82 94 98 81

vello culturale dei genitori. La combinazione dei due mec­canismi dà luogo a differenze anche piuttosto marcate: i fi­gli di genitori che esercitano lavori manuali e hanno conse­guito al massimo la licenza elementare portano a termine (o quanto meno frequentano) la scuola secondaria superio­re nella misura del 54 %, contro il 99% fra i figli di cui al­meno un genitore esercita un lavoro superiore ed è laurea­to. Lo stesso andamento emerge da un'analisi del tasso di laureati (o di studenti attualmente iscritti a corsi universita­ri) : si va dall'8% fra i giovani provenienti dalle famiglie più svantaggiate in termini sia culturali che materiali al 62 % fra i giovani privilegiati lungo entrambe le dimensio­ni. In ogni caso, rispetto allo status occupazionale, il livello culturale della famiglia d'origine sembra eserci�are un ef­fetto più forte sul livello di istruzione dei giovani.

L'influenza delle origini sociali sui percorsi formativi dei giovani si coglie in maniera netta quando si prendono in esame alcuni altri aspetti dei loro atteggiamenti e dei loro comportamenti nei confronti dell 'istruzione (tab. 1 .3 ) . Ad esempio, i giovani attribuiscono un'importanza allo studio e agli interessi culturali (vedi anche il capitolo di A da Lillo) che varia sensibilmente in funzione del li­vello di istruzione dei genitori: gli intervistati che vi asse­gnano una rilevanza medio-alta incidono, fra i figli di ge­nitori poco istruiti, per meno dei due terzi, ma superano il 94% fra i figli di genitori molto istruiti.

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T AB. 1 .3 . Interesse per lo studio, giudizio di licenza media e tipo di scuola secon-daria superiore frequentato per livello culturale della famiglia d'origine (%)

Livello culturale della famiglia Basso Medio Medio- Alto Totale

alto

Ritiene studio e interessi culturali «molto» o <<abbastanza>> importanti 63,8 75,8 88,3 94,2 78,5

Giudizio di licenza media inferiore: Sufficiente 38,5 28,3 17,6 10,4 25,2 Buono 29,9 3 1 ,2 26,9 20,2 27,9 Distinto 13 ,9 20,7 25,9 27,7 2 1 ,5 Ottimo 9,3 14,2 22,5 36,5 18,8 Non ricorda 8,4 5,6 7 , 1 5,2 6,8

N 646 996 688 499 2 .918

Tipo di scuola secondaria superiore: Professionale 33,6 23,7 9 , 1 3 ,6 17,7 Tecnico 45,5 46,3 39,2 17,4 38,7 Liceo classico o scientifico 9,9 18,5 40,0 7 1 , 1 32,8 Istituto magistrale, altro liceo, accademia o conservatorio 1 1 ,0 1 1 ,5 1 1 ,7 7,9 10,8

N 4460 898 669 495 2.576

Ancora, i ragazzi provenienti da famiglie dotate di maggiori risorse culturali conseguono giudizi migliori al­l' esame per il conseguimento della licenza media inferio­re. Quasi i due terzi dei figli provenienti da famiglie con un elevato livello culturale si licenziano con il giudizio «distinto» o «ottimo»; l'incidenza di studenti così bravi scende fino al 23 % fra i figli di genitori poco istruiti (tab. 1 .3 ) . Il profitto scolastico varia, naturalmente, anche in funzione dell'importanza che i giovani conferiscono allo studio: chi è più interessato allo studio consegue ri­sultati migliori, o - detto altrimenti - chi va meglio a scuola trova maggiori motivi di soddisfazione nello studio e di conseguenza gli assegna una posizione più centrale nella propria vita.

Alla fine della scuola dell'obbligo, entro certi limiti, i destini scolastici dei giovani finiscono per conformarsi a

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profili abbastanza caratterizzanti: i figli delle famiglie più svantaggiate «scelgono» di intraprendere gli studi tecnici e soprattutto professionali, mentre i più avvantaggiati vanno ai licei e di solito proseguono gli studi a livello universitario (tab . 1 .3 ) . Le differenze sono estremamente marcate: fra i giovani con genitori poco istruiti, solo il 10% finisce per frequentare un liceo classico o scientifi­co, comunemente ritenuti (anche dal corpo docente: vedi Gasperoni [2000, 1 10- 1 17] ) gli ordini più qualificanti dell'istruzione secondaria superiore; la quota di liceali cresce sistematicamente mano a mano che aumenta il li­vello culturale della famiglia d'origine, fino a superare la soglia del 70% fra i giovani con genitori molto istruiti.

Dunque l'estrazione sociale influisce non solo sull'in­teresse per lo studio, sul profitto scolastico e sul grado complessivo di scolarizzazione, ma anche sul tipo di per­corso formativo intrapreso dai giovani. Naturalmente, an­che altri fattori contribuiscono a determinare differenze nei livelli di istruzione dei giovani. In questa sede ci sof­fermiamo su due di questi fattori: il genere e il territorio.

Una caratteristica di particolare rilievo che presenta un forte legame con la scolarizzazione è il genere: le don­ne hanno successo in campo formativo in misura maggio­re degli uomini, e ciò a prescindere dalle risorse culturali e materiali messe a disposizione dalla famiglia d'origine. Rispetto ai loro coetanei maschi, le ragazze assegnano maggiore importanza allo studio, esprimono prestazioni migliori in sede di istruzione media inferiore, evitano le scuole meno qualificanti e raggiungono più elevati livelli di istruzione (tab . 1 .4) .

Il contesto socio-economico, nella misura in cui varia nelle diverse aree geografiche del paese, costituisce un'al­tra apprezzabile influenza ambientale sulle opportunità scolastiche dei giovani. La quota di giovani relativamente poco istruiti, ossia che non sono andati oltre al consegui­mento della licenza di scuola media inferiore, aumenta mano a mano che ci si sposta verso il Mezzogiorno: 14 ,2 % nel Nord-Ovest; 18 ,0% nel Nord-Est; 18 ,7% nel Centro; 23 , 1 % nel Sud; 24,6% nelle Isole. Queste cifre

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TAB. 1.4. Interesse per lo studio, giudizio di licenza media, tipo di scuola secon­daria superiore frequentato e livello di istruzione per genere (%)

Maschi Femmine

Ritiene studio e interessi culturali «molto>> o <<abbastanza>> importanti 72,3 83,8 Ha conseguito <<distinto>> o <<ottimo>> ali' esame di licenza media 34,2 46,4 F requentalha frequentato un istituto tecnico o professionale 64,6 48,2 Ha conseguito il diploma/frequenta una scuola secondaria su peri ore 79,1 82,2 Ha conseguito la laurea/frequenta un corso universitario 29,2 35,0

sono diminuite significativamente rispetto alla precedente indagine del 1996, ma le differenze Nord-Sud rimangono egualmente consistenti.

2 . I percorsi formativi accidentati

Il livello di istruzione relativamente basso osservato nella popolazione italiana e in particolare fra le sue fasce giovanili è, in parte, frutto di scelte più o meno consape­voli, per quanto possano essere influenzate da fattori am­bientali come quelli presi in esame nel par. l . Dopo aver valutato le proprie aspirazioni e il relativo contesto di op­portunità e vincoli, molti giovani semplicemente decido­no di non impegnarsi in un'ulteriore attività formativa, di non intraprendere un nuovo ciclo di studi.

Per certi versi, dunque, la rinuncia ad iscriversi a un istituto secondario superiore dopo aver adempiuto l' ob­bligo scolastico, oppure ad immatricolarsi all'università dopo aver conseguito il diploma di maturità, non va ne­cessariamente considerata come un fallimento. Altri com­portamenti, invece, si prestano ad essere interpretati in maniera meno equivoca come manifestazioni di disagio o addirittura esiti negativi. In particolare, possono essere

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TAB. 1.5. Incidenza percentuale di episodi di disagio formativo

Abbandono della scuola media inferiore o superiore 7,2 Interruzione degli studi scolastici per almeno un anno 7,2 Trasferimento da un tipo di scuola secondaria superiore a un altro 5,6 Ripetenza di un anno scolastico 29,2

Almeno un tipo di insuccesso scolastico 3 7 ,O Almeno due tipi di insuccesso scolastico 10,8

Abbandono di un corso universitario (solo 2 1 -34enni) 10,0 Trasferimento da un corso universitario a un altro (solo 21-34enni) 6,1

Almeno un tipo di insuccesso formativo 44,7

considerati come «insuccessi» i seguenti episodi: l'abban­dono di un ciclo di studi già avviato, l'interruzione più o meno prolungata degli studi, la ripetenza in seguito a una bocciatura e il trasferimento da un corso a un altro.

Gli insuccessi scolastici (riferiti cioè alla sola istruzio­ne scolastica) sono molto diffusi, come testimoniano i ri­sultati riportati nella tabella 1 .5 . Oltre il 7% dei giovani intervistati ha abbandonato la scuola media inferiore pri­ma di conseguire la licenza finale ( l , l % ) o la scuola se­condaria superiore dopo avervi intrapreso un corso di studio (6,2%) . La maggiore parte dei giovani che hanno abbandonato la scuola l'hanno fatto dopo aver ripetuto un anno di corso (ed è ragionevole inferire che gran par­te degli altri abbiano abbandonato immediatamente dopo essere stati respinti, rinunciando a ripetere l'anno). Inol­tre, il 7 ,2% dei giovani ha interrotto la frequenza scola­stica per almeno un anno; fra questi, di nuovo, la mag­gior parte è stata costretta alla ripetenza. Ancora, oltre il 5% dei giovani ha cambiato indirizzo scolastico nel corso dell'istruzione secondaria superiore. Anche in questo caso la maggior parte dei trasferimenti è attribuibile a studenti che sono incorsi almeno una volta in una boccia­tura e nella conseguente ripetenza dell'anno scolastico.

La ripetenza, di gran lunga la più diffusa forma di in­successo, ha interessato quasi il 30% degli intervistati. Occorre sottolineare che questa percentuale (come anche quelle riferite agli abbandoni, alle interruzioni e ai trasfe-

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rimenti) potrà ancora crescere, in quanto al momento della rilevazione il 15 % degli intervistati era ancora im­pegnato in un ciclo di istruzione secondaria. N el 3 7 % dei percorsi scolastici si riscontra almeno uno dei quattro tipi di insuccesso appena descritti, e quasi 1' 1 1 % dei per­corsi è affetto da almeno due tipi di insuccesso (tab. 1 .5 ) .

Se s i allarga lo sguardo fino a comprendere anche gli insuccessi formativi in senso lato (quindi riferiti sia alla scuola, sia all'eventuale esperienza universitaria o parau­niversitaria), l'incidenza dei percorsi accidentati aumenta ulteriormente. Il 10% degli ultra20enni (i più giovani sono stati esclusi dall'analisi, in quanto non hanno ancora avuto modo di iscriversi all'università o di maturare «in­successi» postsecondari) ha abbandonato gli studi intra­presi, e il 6% ha cambiato facoltà o corso di studi.

Se si considerano anche le esperienze universitarie, l'incidenza di percorsi formativi accidentati riguarda il 44 ,7 % dei giovani intervistati. Per poter effettuare un confronto con i risultati dell'indagine del 1996, quando l'incidenza di percorsi accidentati era pari al 44,9% , oc­corre riportare i risultati del 2000 ai soli 15 -29enni, fra i quali l'incidenza è pari al 42,5 % . Dunque, i percorsi rego­lari sono diventati un po' più comuni rispetto a quattro anni fa; tuttavia, il fatto che essi interessino appena la maggioranza dei giovani non può non suscitare preoccu­pazione.

I comportamenti dei giovani nell'ambito dell'istruzio­ne, come si è visto nel par. l, sono influenzati dalla loro estrazione sociale. Questa influenza si può osservare an­che in relazione alla regolarità dei percorsi formativi (tab. 1 .6) : rispetto ai loro coetanei meno avvantaggiati, i giova­ni provenienti da un ambiente culturale «ricco» corrono rischi molto più contenuti di abbandonare gli studi, di dover ripetere un anno e in genere di percorrere un iti­nerario formativo accidentato. Un andamento simile, ma con differenze meno marcate, emerge se si articolano i ri­sultati relativi agli episodi di disagio formativo secondo lo status occupazionale dei genitori.

Ancora, le differenze di genere cui si è accennato nel

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T AB. 1 .6. Incidenza percentuale di giovani che hanno abbandonato gli studi, ri· petuto almeno un anno di scuola e, nel complesso, conosciuto un per­corso formativo accidentato, per livello culturale della famiglia d' origi­ne e per genere (%)

Abbandoni Ripetenze Percorsi accidentati

Nel complesso 15,0 29,2 44,7

Livello culturale della famiglia d'origine: Basso 2 1 ,9 36,0 54,7 Medio 14 ,8 3 1 ,9 46,2 Medio-alto 13 , 1 26,6 43,2 Alto 7,8 17 ,l 29,8

Sesso: Maschi 15,8 36,1 50,4 Femmine 14 ,1 22,1 38,9

par. l si ripresentano anche nei risultati relativi ai percor­si accidentati. Ad esempio, il 36, 1 % dei maschi ha ripe­tuto un anno di scuola, contro il 22 , 1 % delle femmine; solo il 38,9% delle femmine è incorso in un percorso ac­cidentato, contro il 50,4 % dei maschi.

3 . Le finalità della scuola

Le attività formative si prefiggono una molteplicità di obiettivi educativi, i quali non sono sempre compatibili fra loro, o quanto meno non sono egualmente importanti agli occhi dei diversi attori coinvolti nel sistema scolasti­co. Si presenta dunque l'esigenza di stabilire una gerar­chia di priorità fra le finalità auspicabili dell'istruzione. Agli intervistati sono state illustrate quattro finalità cen­trali dell'istruzione scolastica: la funzione conoscitiva, ba­sata sull'insegnamento di conoscenze basilari e di tecni­che per l'apprendimento; quella professionale, basata sulla trasmissione di competenze specifiche utili per la futura attività lavorativa; quella socializzante, basata sullo svilup­po di capacità relazionali; e la funzione politico-culturale,

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Page 87: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 1 .7 . Finalità principali dell'istruzione secondaria superiore secondo i giovani e gli insegnanti statali dello stesso grado scolastico (%)

Giovani italiani Insegnanti delle {15-34enni) scuole su peri ori statali

Al primo Al 1 o o 2° Al primo Al 1 o o 2° posto'' posto posto'' posto

Conoscitiva 40,3 72,4 5 1 ,2 77,7 Professionale 33 ,4 60,0 26,2 53 , 1 Socializzante 20,6 49,4 8 , 1 30,4 Politico-culturale 6,2 19,4 16,0 41 ,0

,., La somma di colonna non fa 100 perché alcuni intervistati hanno asse­gnato lo stesso rango a due o più finalità.

basata sulla trasmissione dei valori della collettività e del­le forme organizzative della convivenza. Agli intervistati si è chiesto di ordinare le quattro funzioni, dalla più im­portante alla meno importante2•

Anche se il quadro complessivo è contraddistinto da una notevole eterogeneità di orientamenti, la finalità co­noscitiva è quella più importante (tab. 1 .7 ) : il 40% dei giovani la colloca al primo posto, e quasi tre quarti la pone fra i primi due posti. Un certo rilievo viene accor­dato anche alla finalità professionalizzante, ritenuta la più

2 Le finalità sottoposte agli intervistati tengono conto di alcune funzioni abitualmente attribuite alle istituzioni scolastiche, come la tra­smissione di sa peri teorici e abilità pratiche, l'educazione a valori e norme rilevanti per la sfera pubblico-istituzionale e lo sviluppo di competenze relazionali a livello interpersonale [Bottani 1986]; tuttavia, altre funzioni ricorrenti nella letteratura sociologica - attinenti, ad esempio, al ruolo dell'istruzione scolastica nella stratificazione e nella mobilità sociale e nella riproduzione e legittimazione delle disegua­glianze sociali [Schizzerotto 1997a; Brint 1998] - sono state trascurate.

Il quesito qui preso in esame assume un rilievo particolare, in quanto è stato posto anche a un ampio campione di docenti della scuola secondaria superiore nell'ambito della Seconda indagine IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, condotta nel­l'inverno 1998-99 [Cavalli 2000] .

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importante da oltre un terzo dei giovani e posta fra le due più importanti dal 60% . Alla finalità socializzante è riconosciuta un'importanza intermedia: quasi la metà dei giovani la inserisce fra le due finalità più importanti. Infi­ne, la finalità politico-culturale, imperniata sulla trasmis­sione di valori, è di gran lunga la più marginale agli occhi degli utenti, attuali o recenti, del sistema scolastico.

Sulla base dei risultati esposti nel par. l , non sorpren­de che i giovani provenienti da famiglie materialmente e culturalmente dotate diano maggiore importanza agli sco­pi conoscitivi dei loro coetanei meno avvantaggiati. Ana­logamente, rispetto alle femmine, i maschi conferiscono maggiore rilievo alla funzione professionalizzante.

Si registrano differenze piuttosto accentuate fra gli orientamenti dei giovani e quelli del corpo docente (così come emergono dalla Seconda indagine IARD sulle condi­zioni di vita e di lavoro nella scuola italiana [Gasperoni 2000, 104-1 10] : anche se la funzione conoscitiva prevale in entrambe le categorie, la dimensione professionalizzan­te e quella socializzante dell'istruzione sono valorizzate in misura maggiore dai giovani.

Le recenti riforme del sistema formativo italiano sono in parte motivate dall'esigenza di irrobustire i nessi, rite­nuti !abili, fra scuola e mondo del lavoro. Da questo pun­to di vista è interessante esplorare in maggiore dettaglio la funzione professionalizzante dell'istruzione. Com'era pre­vedibile, tale funzione viene indicata con particolare im­peto da parte di coloro che frequentano o hanno frequen­tato un istituto tecnico o professionale, mentre la funzio­ne conoscitiva occupa una posizione preminente fra i !ice­ali. Particolarmente rivelatore è il fatto che mano a mano al crescere dell'età degli intervistati, aumenta anche la convinzione che la scuola debba prefiggersi di preparare i giovani all'inserimento professionale (fig. 1 . 1 ) : con il pas­sare degli anni (e, presumibilmente, con il maturarsi di esperienze e di contatti con il mondo del lavoro) i giovani si rammaricano sempre più della natura poco «pratica» dell'istruzione formale che hanno ricevuto.

La volontà di privilegiare la dimensione professiona-

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50 45 40 35 30 25 +-------.-------.-------.-------.-------.

15 - 17 18 - 20 2 1 - 24 25 - 29 30 - 34 Favore per introduzione obbligo formativo Favore per finalità professionalizzanti

FIG. 1 . 1 . Incidenza percentuale di giovani che ritengono che la finalità profes­sionalizzante della scuola sia la più importante e che rirengono <<mol­to positivo» l'obbligo formativo fino all'età di 18 anni, per fascia di età.

lizzante delle attività formative dà conto anche degli orientamenti espressi dai giovani in merito alla recente approvazione (legge n . 144/1999, art. 68) dell'obbligo formativo fino al 18° anno di età: il provvedimento, che stabilisce che tutti i giovani dovranno impegnarsi in un'attività di studio o di formazione professionale fino alla maggiore età, è giudicato «molto» o «abbastanza» positivo da oltre i tre quarti del campione. Peraltro, il so­stegno per questo provvedimento, analogamente al favore per le finalità professionalizzanti dell'istruzione, cresce al­l' aumentare dell'età degli intervistati (fig. 1 . 1 ) .

4 . L'importanza dello studio

Nella già citata Seconda indagine IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, uno degli interro­gativi di ricerca atteneva alla percezione della trasforma­zione della realtà scolastica da parte dei docenti. Secondo gli insegnanti, uno degli aspetti più negativi del loro con­testo lavorativo attiene al deterioramento dell'interesse dei giovani per una buona istruzione scolastica, cui si associa­no anche una minore disciplina in classe, la mancata con­divisione dei valori che vengono impartiti a scuola e un minore impegno nello studio [Gasperoni 2000, 93 -94] .

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T AB. 1 .8 . Incidenza percentuale di giovani che ritengono «molto» o «abbastanza» importanti lo studio e gli interessi culturali nelle cinque indagini lARD (%)

15-24enni (tutti) 15-24enni (studenti) N ati nel 1965-69

1983

79,8 94, 1

1987

75,8 93 ,6 75,7

1992

77,7 93,5 73,7

1996

80, 1 92,6 76,9

2000

79,5 90,4 74,4

Quel quadro empirico trova una conferma solamente parziale presso i giovani. Il 3 1 ,7 % degli intervistati di­chiara che lo studio e gli interessi culturali hanno «mol­ta» importanza nella loro vita, e un ulteriore 46,3 % ne dà loro «abbastanza». Rispetto agli altri valori sottoposti a giudizio (vedi il capitolo di A. de Lillo) , lo studio supe­ra, in termini di importanza, soltanto l'attività politica, l'impegno religioso, l'impegno sociale, la patria e la prati­ca di attività sportive. D'altra parte, tuttavia, i tassi di partecipazione dei giovani ai processi scolastici non ob­bligatori sono aumentati nel tempo, a testimonianza di un maggiore interesse per le attività formative.

Anche nelle precedenti indagini IARD sui giovani lo studio e gli interessi culturali rivestivano un'importanza relativamente marginale. Peraltro, il grado di importanza dell'istruzione sembra essere rimasto stabile nel tempo: nel corso degli ultimi vent'anni i 15 -24enni che dichiara­no che lo studio sia «molto» o «abbastanza» importante si è sempre aggirato intorno all'SO% (tab. 1 .8) . Tuttavia, se si focalizza l'analisi sui soli studenti, escludendo quindi i giovani non impegnati in un'attività formativa, di fatto si registra un lieve deterioramento dell'interesse per lo studio (tab. 1 .8) , il quale tuttavia rimane a livelli molto elevati. Peraltro, pare che l'importanza dello studio e de­gli interessi culturali rimanga costante anche una volta che i giovani escono dal sistema formativo: ad esempio, la coorte dei nati nel quinquennio 1965 - 1969, che ha fat­to parte dei campioni IARD a partire dalla rilevazione del 1987, nel corso degli anni ha sempre espresso lo stesso li­vello di interesse per lo studio (tab. 1 .8) .

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Page 91: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

5 . I rapporti con gli insegnanti

L'esperienza scolastica si basa in maniera preponde­rante sui rapporti intrattenuti con gli insegnanti e con i compagni di classe. Gli insegnanti, dunque, rappresenta­no l'istituzione-scuola nei confronti dei giovani, e a quan­to pare lo fanno in maniera sempre meno soddisfacente. Il 60,9% degli intervistati dichiara di avere «molta» o «abbastanza» fiducia negli insegnanti. Per certi versi si tratta di una percentuale apprezzabile, in quanto i docen­ti risultano, nel complesso, più degni di fiducia di quasi tutte le altre istituzioni e categorie di attori sottoposte a giudizio (vedi il capitolo di D. La Valle) . Tuttavia, la ten­denza di lungo termine, rilevabile fra i giovani di 15-24 anni (tab . 1 .9) , è' di segno negativo: agli insegnanti viene accordata sempre minore stima. È significativo, peraltro, che la fiducia negli insegnanti cresce all'aumentare del­l' età dei giovani: più ci si allontana dalla propria espe­rienza scolastica, più ci si rende conto del valore del con­tributo dei docenti alla propria maturazione.

Nella rilevazione IARD del 2000 la domanda sulla fi­ducia nelle istituzioni ha dato spazio a una nuova catego­ria - «la scuola» - per controllare se vi siano, fra i giova­ni, percezioni diverse della scuola in quanto tale rispetto agli insegnanti che vi lavorano. Oltre il 70% degli intervi­stati accorda esattamente lo stesso grado di fiducia ad en­trambi gli oggetti, a testimonianza di una loro sostanziale identificazione nell'immaginario giovanile. Fra gli intervi­stati che esprimono giudizi divergenti, coloro che nutro­no più fiducia nella scuola e coloro che invece si fidano di più dei docenti sono quasi egualmente numerosi, con una leggera prevalenza dei secondi.

Questa convergenza fra scuola e docenti non traspare affatto dalle risposte a un'altra domanda, in cui i giovani sono stati invitati ad indicare quanto sono contenti di al­cuni aspetti della loro vita, fra cui l'istruzione ricevuta e i rapporti con gli insegnanti. Se si limita l'analisi ai soli in­tervistati che hanno fornito una risposta valida per en­trambi gli aspetti (sostanzialmente coloro che vanno an-

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TAB. 1 .9. Grado di fiducia nei confronti degli insegnanti da parte dei 15-24enni nelle cinque indagini IARD (%)

Molto o abbastanza Poco o per niente Non so

1983

69,6 29,2

1 ,2

1987

66,6 32,7

0,7

1992

63,1 35,7

1,2

1996

61 ,9 36,5

1 ,6

2000

57,8 40,6

1 ,3

cora a scuola) , 1'89,3 % è relativamente contento del­l 'istruzione ricevuta, ma soltanto il 6 1 ,6% lo è dei rap­porti con gli insegnanti. Solo il 40% degli intervistati esprime lo stesso livello di soddisfazione nei confronti dei due aspetti, e oltre il 52 % dichiara di essere più soddi­sfatto dell'istruzione che dei rapporti con i docenti.

Per quale motivo i rapporti con gli insegnanti sono fonte di insoddisfazione? Analogamente a quanto rilevato nelle precedenti indagini IARD, i maggiori difetti attribuiti agli insegnanti riguardano la tendenza a non considerare le esigenze e il punto di vista degli studenti (denunciata dal 67,3 % degli intervistati)_ Le altre manchevolezze sono state indicate da minoranze: influenza politica e ideologica sugli allievi (38 ,0%) , incompetenza e imprepa­razione (37 ,7 %) , eccessiva arrendevolezza (24,7 %) , ec­cessiva severità (2 1 ,6%) .

Un quesito mai posto nelle precedenti ricerche IARD, ma diventato di attualità nel dibattito sulla qualità del­l'istruzione, indaga gli atteggiamenti dei giovani nei con­fronti della valutazione del lavoro degli insegnanti. Dalle risposte emergono un orientamento favorevole alla valu­tazione esterna, da affidare cioè ad enti estranei agli isti­tuti in cui insegnano i docenti (tab . 1 . 10) , e lo scarso cre­dito accordato all'opzione dell'autovalutazione (individua­le o collettiva) da parte degli insegnanti stessi. I consensi riscossi dalla proposta di avvalersi di forme di valutazio­ne esterna sono sorprendenti, data la presenza di un'al­ternativa di risposta che conferisce agli studenti stessi un ruolo centrale nell'opera di valutazione. L'apporto degli alunni (e dei loro genitori) è assecondato soprattutto da-

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T AB. 1 . 10. Orientamenti dei giovani in merito alle modalità di valutazione del lavoro degli insegnanti (%)

Gli insegnanti conoscono il loro lavoro, è inutile valutario Il lavoro degli insegnanti dovrebbe essere valutato: dai colleghi della stessa scuola dagli studenti e le loro famiglie da un ente esterno

Non so

N

6,3 72,6

5,8 23,0 43, 8 21 , 1

2.919

gli intervistati più giovani, nonché da quelli più insoddi­sfatti dei loro rapporti con i docenti.

6. Le lingue straniere

La conoscenza delle lingue straniere ha un'importan­za cruciale per i giovani in vista dei processi di integra­zione europea, della globalizzazione dei fenomeni socio­economici e, in particolare, dell'inserimento nel mercato del lavoro. Rispetto alle precedenti indagini lARD il qua­dro delle competenze linguistiche dei giovani è decisa­mente migliorato: oggi solo il 30,7 % dei 15-29enni non è in grado di sostenere una conversazione in una lingua straniera, contro il 37 ,6% nel 1996 e il 42 ,6% nel 1 992 . L'espansione del poliglottismo è quasi interamente dovu­ta all'apprendimento dell'inglese, padroneggiato dal 57,9% dei 15-29enni (contro il 45 ,7 % nel 1996) , mentre le altre lingue non hanno conosciuto alcuno sviluppo de­gno di nota. Il francese è l'unica altra lingua conosciuta da una quota non trascurabile (27 ,9%) di giovani; lo spa­gnolo e il tedesco non superano la soglia del 7% .

Com'era prevedibile, poiché le competenze linguisti­che sembrano attenersi a una marcata dinamica tempora­le, la conoscenza delle lingue straniere è molto più diffu­sa fra i più giovani: il 76,9% dei 15- 17enni dichiara di conoscere una lingua, contro il 72,8% dei 18-20enni, il 70,0% dei 2 1 -24enni, il 64,2 % dei 25 -29enni e il 52,5 % dei 30-34enni. Le differenze sono ancora più pronunciate

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se si considera la sola lingua inglese (conosciuta da quasi il 70% dei 15-17enni, contro il 40% dei 30-34enni).

Naturalmente, l'apprendimento delle lingue straniere può avere luogo anche in contesti extra-scolastici, specie se si ha l'opportunità di iscriversi ad appositi corsi, effet­tuare soggiorni all'estero e via dicendo. In effetti, la pa­dronanza delle lingue straniere varia in maniera molto marcata in funzione dell'estrazione sociale dei giovani. Solo il 22% dei figli di genitori con status occupazionale superiore o impiegatizio ignora le lingue, contro il 39% dei figli di lavoratori autonomi e il 45 % dei figli di lavo­ratori manuali ed esecutivi. Analogamente, ad esempio, sa comunicare soltanto in italiano il 16% dei giovani pro­venienti da famiglie dal livello culturale alto, contro il 57% dei giovani di famiglie culturalmente svantaggiate.

La conoscenza delle lingue straniere presenta una di­stribuzione fortemente caratterizzata dal punto di vista territoriale. Nel Mezzogiorno (e in particolare modo in Sicilia e Sardegna) , una quota cospicua di giovani soffre di un forte svantaggio dal punto di vista delle competen­ze linguistiche.

I giovani che non conoscono alcuna lingua straniera sono all'incirca il 28-29% al Centro-Nord, ma salgono al 40,8% al Sud e addirittura al 48,7 % nelle Isole. Vicever­sa, coloro che conoscono ben due lingue straniere sono all'incirca il 27-29% al Centro-Nord, contro il 18,9% al Sud e il 14,4% nelle Isole.

7 . Computer e tecnologie multimediali

Nel corso degli ultimi anni una delle innovazioni più pervasi ve dell'attività didattica attiene all'introduzione di tecnologie multimediali, incentrata soprattutto sull'uso di personal computer. L'ingresso nella didattica scolastica dell'informatica e della telematica costituisce una novità non solo sul piano degli strumenti comunicativi, ma per certi aspetti implica anche una d-organizzazione struttu­rale della conoscenza, che viene interpretata da studiosi

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TAB. 1 . 1 1 . Presenza ed esperienza del personal computer nelle scuole medie su-periori, per fascia d'età e zona di residenza (%)

15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34 anni anni anni anni anni

Pc assenti 10,3 13 ,5 28,3 47,4 74,5 Mai o quasi mai usati 18,5 22,5 2 1 ,4 17 , l 9,6 Usati solo saltuariamente 32,1 3 1 ,2 3 1 , 1 2 1 ,8 9,6 Usati regolarmente 39,1 32,9 19,2 13 ,7 6,4

N 340 356 672 818 628

Nord- Nord- Centro Sud Isole Ovest Est

Pc assenti 35,2 3 1 ,8 40,1 45,4 5 1 ,0 Mai o quasi mai usati 20,5 16,6 15,7 15 ,8 17,7 Usati solo saltuariamente 24,8 24,9 27,4 2 1 ,8 18,2 Usati regolarmente 19,6 26,8 16,8 16,9 13 ,1

N 694 507 529 733 351

qualificati in termini sia entusiasti [Parisi 200 l ] , sia pro­blematici [Simone 2000] .

I giovani non nutrono molti dubbi circa il valore del­la multimedialità nelle attività formative. Il 47,2% degli intervistati giudica «indispensabili» le tecnologie e le at­trezzature multimediali, cui si aggiunge un ulteriore 40,8% che le ritiene «importanti, anche se non indispen­sabili». Estremamente minoritaria, dunque, la quota di giovani che crede che l'informatizzazione della didattica sia, se non inutile ( 1 ,5 % ) , quanto meno adatta solo per alcuni tipi di scuola (7 ,0%) . La percezione dell'indispen­sabilità della multimedialità è più accentuata fra i giovani più scolarizzati e fra quelli più anziani, i quali (come ve­dremo fra breve) hanno avuto minori opportunità di spe­rimentarla in contesti scolastici.

La diffusione del personal computer è un fenomeno relativamente recente, che ha interessato le diverse fasce di giovani in misura piuttosto difforme. Solo un quarto dei 30-34enni dichiara di avere frequentato una scuola in

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cui si usavano Pc, contro quasi il 90% dei 15- 17enni (tab. 1 . 1 1 ) . Peraltro, anche se si limita l'analisi ai soli in­tervistati che hanno frequentato scuole medie superiori provviste di personal computer, l'effettiva fruizione di questi ultimi è molto più diffusa fra le coorti più giovani: i ragazzi più giovani non solo hanno maggiori probabilità di frequentare una scuola informatizzata, ma - una volta che si tiene conto della diversa dotazione tecnologica de­gli istituti - hanno anche maggiori probabilità di aver as­sistito a un loro uso regolare a fini didattici ( tab. 1 . 1 1 ) .

Oltre alle inevitabili difformità generazionali, la diffu­sione dell'informatica a scuola presenta anche differenzia­zioni, meno giustificabili, di tipo territoriale. Rispetto ai loro coetanei del Sud, i giovani residenti al Nord (e in particolare nel Nord-Est) hanno infatti una maggiore probabilità di essere stati esposti a queste tecnologie (tab . 1 . 1 1 ) . Le disparità territoriali sono presenti in ciascuna fascia d'età, ma tendono ad attenuarsi sensibilmente nelle fasce più giovani, il che induce a pensare che il divario Nord-Sud, almeno in questo ambito, possa essere presto colmato.

8 . Il finanziamento pubblico dell'istruzione non statale

Oltre all'introduzione dell'obbligo formativo, all' op­portunità di accertare la qualità del lavoro degli inse­gnanti e all'utilizzo delle tecnologie multimediali nelle scuole, ai giovani è stato chiesto di esprimere un giudizio anche su un altro tema di attualità: l'ipotesi che lo stato contribuisca al costo dell'istruzione delle famiglie che de­cidono di fare studiare i propri figli in scuole non statali. Il favore per il finanziamento pubblico dell'istruzione pri­vata è relativamente contenuto fra i giovani: il 28,0% si dichiara favorevole, contro un 53 ,4% di contrari e un 18,6% che non ha maturato un'opinione in merito. La proposta è più osteggiata fra gli intervistati provenienti da famiglie ben dotate di risorse culturali e fra coloro che ritengono importanti lo studio e gli interessi culturali.

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I fattori che più sembrano influire sugli orientamenti in fatto di «parità» scolastica sono due: gli orientamenti politici e il successo scolastico. In primo luogo, fra i gio­vani che si ritengono di centro-destra o che voterebbero, ad esempio, per Forza Italia, si registra un sostegno più accentuato per il finanziamento pubblico delle scuole non statali che non fra i giovani di centro-sinistra o che simpatizzano, ad esempio, per i Democratici di Sinistra. In secondo luogo, fra coloro che hanno conseguito il giu­dizio «ottimo» i favorevoli e i contrari alla proposta di stanziare denaro pubblico per gli istituti non statali sono, rispettivamente, il 20,5 e il 65 ,0% ; il divario si attenua mano a mano che si passa ai giudizi inferiori, fino a ribal­tarsi fra i «sufficienti»: 36,0% di favorevoli e 42,0% di contrari. Analogamente, tende ad essere più favorevole chi è incorso in una ripetenza e chi non è andato oltre alla scuola media inferiore. Peraltro le due caratteristiche appena menzionate non sono fra loro indipendenti: i gio­vani che hanno accumulato insuccessi scolastici (ripeten­ze o abbandoni) , o anche solo conseguito un giudizio di licenza media poco lusinghiero, sono più conservatori in termini politici rispetto ai loro coetanei con carriere for­mative più appaganti.

9. Osservazioni conclusive

A dispetto della stagione riformistica che il sistema formativo italiano sta attraversando, i risultati qui presen­tati confermano, analogamente a quanto evidenziato nelle precedenti indagini IARD sulla condizione giovanile, la persistenza di alcune forti diseguaglianze nell 'accesso dei giovani alle opportunità educative. T ali diseguaglianze concernono innanzitutto le origini familiari, e in partico­lare modo le risorse materiali e culturali che i genitori sono in grado di mettere a disposizione dei figli, le quali influiscono su diversi aspetti delle scelte scolastiche com­piute dai giovani e sulla loro capacità di raggiungere gli obiettivi formativi. Inoltre, come si è visto, sussistono an-

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che importanti sperequazioni territoriali, relative, fra l'al­tro, al livello complessivo di istruzione dei giovani, alla diffusione delle tecnologie didattiche nelle scuole e alla capacità di comunicare usando lingue straniere. Un'ulte­riore disparità attiene alla superiorità femminile in diversi ambiti dell'istruzione - una disparità per certi versi di se­gno positivo, anche se rispecchia la penuria di risorse di­verse dalle credenziali educative cui le donne possono at­tingere per farsi strada nel mercato del lavoro.

I risultati pongono in risalto anche alcune trasforma­zioni, alcune rapide e altre no, che hanno investito il si­stema scolastico e i suoi immediati dintorni. Innanzitutto, si è visto come le più giovani coorti siano state esposte, in un contesto formativo, alle tecnologie informatiche e multimediali in una misura significativamente più estesa rispetto ai loro predecessori, anche se solo di poco più anziani. Si tratta di un riflesso del tentativo, da parte del­la scuola, di adeguarsi, seppure con ritardo, alla realtà «esterna» e di colmare il profondo divario fra cultura dei giovani e cultura dell'istruzione. Si è osservato un feno­meno analogo riguardo all'acquisizione di competenze linguistiche, e in particolare alla capacità di comunicare in inglese. Altre tendenze sono connotate da un più lento ritmo di mutamento e sono più inequivocabilmente inter­pretabili in termini negativi: si tratta della graduale ero­sione della fiducia nutrita dai giovani nei confronti degli insegnanti e della lenta marginalizzazione del ruolo dello studio nella vita di coloro che si trovano impegnati in at­tività di formazione.

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Page 99: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

CAPITOLO SECONDO

LA CONDIZIONE DEI GIOVANI TRA PROCESSI FORMATIVI E LAVORO:

ORIENTAMENTO E RICERCA DI OCCUPAZIONE

l. L'orientamento scolastico e la formazione professionale

I percorsi di transizione tra la scuola e la prima occu­pazione costituiscono in Italia una fase della condizione giovanile particolarmente delicata per la costruzione del­l'identità sociale e per la definizione dei percorsi di citta­dinanza attraverso l'inclusione socio-lavorativa: ciò innan­zitutto perché la prima occupazione rappresenta tuttora la tappa più importante della transizione verso la condi­zione adulta, secondariamente perché in Italia il passag­gio dalla condizione di studente a quella di lavoratore è stato storicamente carente di adeguati meccanismi istitu­zionali e strumenti di accompagnamento e supporto.

Solo recentemente, sull'esempio di analoghi dispositi­vi adottati con relativo successo in altri paesi dell'Unione Europea e sulla spinta di estesi processi di integrazione socio-economica a livello Comunitario, anche l'Italia ha adottato strumenti di orientamento formativo e professio­nale per facilitare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: ricordiamo qui gli strumenti di più recente ado­zione quali i tirocini formativi e di orientamento, gli stage di studio e formazione, le borse di studio.

Seppur tardivamente rispetto al resto dei paesi europei, si sta affermando anche in Italia una cultura istituzionale che considera l'alternanza scuola-lavoro e il tutoraggio in azienda dei giovani lavoratori uno strumento indispensabi­le per assicurare il miglior grado di compatibilità tra capa­cità acquisite attraverso il sistema di istruzione/formazione e i profili professionali richiesti dal sistema delle imprese, valorizzando, allo stesso tempo, le competenze individuali e minimizzando la perdita o il sotto-utilizzo delle risorse umane necessarie allo sviluppo socio-economico del paese.

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Lo strumento di base per ott1m1zzare l'incontro tra competenze professionali acquisite dai giovani e profili professionali richiesti delle imprese è rappresentato, come noto, dall'orientamento scolastico-formativo, attraverso il quale i giovani che hanno concluso il ciclo dell'obbligo possono essere indirizzati verso percorsi di istruzione; formazione professionale o apprendistato in sintonia con le loro inclinazioni e che, allo stesso tempo, possano for­nire loro ragionevoli opportunità di inserimento lavorati­vo e crescita professionale.

La Quinta indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia consente di valutare l'utilizzo degli strumenti di supporto per la scelta dei cicli di studio alla fine tanto dell'obbligo scolastico quanto delle scuole superiori. L'utilizzo dell'orientamento scolastico al termine dell'ob­bligo scolastico risulta particolarmente basso: infatti, solo il 15 ,6% dei giovani intervistati ricorda con certezza di aver usufruito di tale supporto nella scelta degli studi su­periori. Un risultato anche più modesto si rileva nell'ana­lisi della quota di giovani che hanno utilizzato servizi di orientamento al termine degli studi superiori: in partico­lare, il 13 ,7 % degli intervistati si è rivolto ai servizi forni­ti dalle Università, 1' 1 1 ,8% si è rivolto al docente delega­to all'orientamento dell'istituto superiore che stava fre­quentando, il 6,6% a strutture pubbliche e solo 1' 1 ,6% a strutture private. Se da un lato l'utilizzo dei servizi di orientamento post-superiore risulta ristretto ad una mino­ranza della popolazione studentesca - nel caso più favo­revole solo poco più di un giovane su dieci ne ha usufru­ito - dall'altro lato assai interessante e determinante risul­ta essere il giudizio che i giovani stessi danno dell'utilità del servizio ai fini di una scelta consapevole dei percorsi di istruzione e formazione: oggi, in misura crescente, la valutazione dell'utenza è incorporata nella fase di proget­tazione e gestione dei servizi, in modo da assicurare la massima congruenza possibile con i bisogni espressi dal­l'utenza e per migliorare costantemente la qualità delle prestazioni erogate.

Il giudizio dato dai giovani del campione sull'utilità

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delle informazioni ottenute dai servizi di orientamento è abbastanza netto: solo il 4 ,5 % degli intervistati for­mula un giudizio decisamente positivo, il 28 , 1 % , al contrario, si colloca sul polo negativo della valutazione, mentre il 3 7 ,8% occupa una posizione che può essere considerata intermedia, reputando abbastanza utili le informazioni ricevute. In termini di customer satis/ac­tion, il risultato è ben lontano dall'essere positivo: in primo luogo, perché assai elevato risulta essere il nume­ro degli intervistati che non rispondono alla domanda (più di un giovane su quattro) , in secondo luogo per­ché ptù di una risposta su tre si concentra sulla modali­tà «abbastanza» che nel tipo di scale in oggetto viene considerato il punto mediano della scala stessa e corri­sponde, in pratica, ad una valutazione neutra - né di utilità né di inutilità - circa le informazioni acquisite at­traverso i servizi di orientamento.

Al di là di queste considerazioni, la quota di intervi­stati pienamente soddisfatti dei servizi ricevuti è troppo esigua per non sollevare dubbi sull'adeguatezza e l'effi­cienza dei servizi di orientamento post-superiore in ltalia1 .

Come ricordato in precedenza, gli strumenti dispo­nibili per sostenere i giovani nel passaggio dai cicli di istruzione/formazione professionale all'attività lavorativa vera e propria sono molteplici. L'Italia ha accumulato non solo un considerevole ritardo rispetto agli altri pae­si dell'Unione Europea nell'introduzione di tali stru­menti ma tuttora le opportunità di collegamento tra scuola e impresa vengono utilizzate da una minoranza

1 Una recente ricerca condotta da ISFOL e Fondazione Corazzin sulla transizione al mercato del lavoro per i giovani nel Veneto confer­ma, su scala locale, il basso livello di soddisfazione per i servizi erogati dai centri di orientamento scolastico e professionale: il 57,3 % degli intervistati dà un giudizio negativo sull'orientamento scolastico e pro­fessionale, il 61 ,7% considera inadeguate le attività di orientamento organizzate dalle scuole, il 6 1 ,3 % dichiara che non è facile trovare in­formazioni adeguate sul mondo del lavoro. G. Allulli e D. Marini [2000] , http:/ /www.fondazionecorazzin.it.

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di giovani: solo il 12, 1 % ha usufruito di tirocini forma­tivi e di orientamento, il 9,5 % di stage svolti in Italia, il 6,3 % di borse di studio e soltanto il 2 ,9% ha svolto stage all'estero.

Il quadro complessivo della rilevazione denota uno scarso impiego degli strumenti disponibili per migliorare il grado di compatibilità tra le competenze professionali dei giovani in cerca di occupazione e le possibili imprese di destinazione, in particolare degli stage all'estero, che consentirebbero una migliore integrazione dei giovani cit­tadini italiani nello spazio socio-economico europeo e fa­ciliterebbero la libera circolazione dei lavoratori.

Fino ad oggi, la strategia maggiormente utilizzata dai giovani per aumentare le possibilità di trovare occupazio­ne è stata l'acquisizione di credenziali educative elevate attraverso la prosecuzione dei cicli formativi. T al e strate­gia può essere considerata connessa tanto allo sviluppo delle professioni nel settore terziario, che sovente richie­dono l'acquisizione di articolate competenze specialisti­che attraverso lunghi cicli di formazione, quanto alla ne­cessità per quote sempre più ampie della popolazione -in particolare appartenenti al ceto medio impiegatizio -di mantenere le posizioni e lo status acquisiti all'interno del sistema di stratificazione socio-occupazionale e di non subire processi di mobilità discendente2 .

I giovani hanno oggi a disposizione una pluralità di strumenti che vanno dai corsi di specializzazione e perfe­zionamento, ai corsi di formazione professionale del Fon­do Sociale Europeo fino ai master post-laurea. In partico­lare, si può osservare che il 22,3 % dei giovani intervistati frequentava, o ha frequentato in passato, un ciclo di for­mazione professionale extra-scolastico e la rilevazione ha confermato un uso abbastanza esteso della formazione

2 Per un più approfondito esame del rapporto tra crescita della domanda di scolarizzazione e struttura dei sistemi educativi cfr. S . Brint [1999] in particolare il capitolo II , L'istruzione scolastica nel mondo industrializzato.

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extra-scolastica per migliorare le competenze da utilizzare sul mercato del lavoro e aumentare le possibilità di trova­re occupaz10ne.

Ma quali sono i percorsi maggiormente frequentati dai giovani italiani? Tra quanti hanno seguito corsi di formazione professionale il 1 3 ,2 % lo ha fatto al termine del ciclo dell'obbligo scegliendo un corso organizzato da un CFP, identica scelta ha compiuto il 20,2 % dei giovani al termine del ciclo di studi superiori.

La formazione professionale superiore in Italia assu­me contorni assai interessanti rivelando alcune caratteri­stiche peculiari del sistema nazionale di formazione-lavo­ro: ben il 23 ,6% dei giovani che hanno usufruito di for­mazione professionale extra-scolastica lo ha fatto attraver­so corsi organizzati e finanziati direttamente dalle azien­de, il 19 ,5 % attraverso corsi finanziati dal Fondo Sociale Europeo, il 14,0% ha seguito corsi brevi di perfeziona­mento, il 6,0% ha frequentato corsi universitari di spe­cializzazione e solo il 3 ,8% ha seguito un m aster post­laurea. La struttura del sistema di formazione professio­nale superiore in Italia si caratterizza, quindi, per un con­sistente impegno organizzativo e finanziario diretto delle imprese per formare i propri dipendenti, un uso rilevante delle formazione professionale promossa dal Fondo So­ciale Europeo per migliorare i legami con il mercato del lavoro, un utilizzo relativamente esteso dei corsi brevi di perfezionamento e la scarsa rilevanza sotto il profilo quantitativo tanto delle specializzazioni universitarie quanto dei tradizionali master post-laurea.

Il sistema di formazione-lavoro si connota, quindi, per un pesante sbilanciamento sul lato aziendale a fronte di una mancanza di percorsi istituzionali o di dispositivi istituzionalmente regolati per la formazione professionale: tale articolazione ha portato alla creazione, soprattutto nel settore dei master post-laurea, di un'offerta talora ri­dondante non sempre in grado di garantire un buon rap­porto tra costo richiesto e qualità erogata e di migliorare le reali opportunità di inserimento dei giovani nel merca­to del lavoro.

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Parallelamente è necessario ricordare che il sistema italiano di formazione professionale si connota storica­mente come residuale rispetto al sistema scolastico di istruzione formale: il sotto-sistema della formazione pro­fessionale ha strutturato, di conseguenza, un'offerta for­mativa soprattutto per giovani espulsi precocemente dai tradizionali circuiti scolastici e per qualifiche professiona­li di basso livello. L'articolazione del sistema di formazio­ne italiano su base mista attraverso l'attivazione dei Cen­tri per la Formazione Professionale a livello regionale e il regime di convenzionamento con centri di eccellenza sul territorio non sembra aver portato ad un reale migliora­mento della qualità della formazione e una connessione più diretta con la struttura dei bisogni professionali delle aziende: nel campione in esame quasi un giovane su quattro ha, infatti, usufruito di una formazione professio­nale gestita dalle aziende che, di conseguenza, hanno as­sunto direttamente gli oneri organizzativi ed economici dei percorsi di formazione dei propri dipendenti.

Più recentemente alcune esperienze di formazione fi­nanziate direttamente dal Fondo Sociale Europeo - in particolare l'Istruzione Formazione Tecnico Superiore (IFTs) - ha consentito, attraverso l'attivazione di cicli di formazione professionale post-diploma di durata bienna­le, di migliorare la connessione tra enti di istruzione/for­mazione (Istituti superiori e Università) , imprese e parti sociali, di sviluppar:e nei partecipanti competenze tecnico­professionali spendibili immediatamente sul mercato del lavoro, di introdurre un sistema di crediti formativi in modo da consentire l'accesso al terzo anno delle lauree brevi e ora, dopo la riforma universitaria, al terzo anno del primo ciclo di istruzione accademica.

2. I giovani in transzzzone: loro caratteristiche, gli aspetti importanti del lavoro e gli ideali di giustizia distributiva

In questo paragrafo, l'analisi sarà centrata su una par­tizione del campione generale della Quinta indagine IARD

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D Non studia né lavora D Studia e cerca lavoro

FIG. 2 .1 . Composizione del sotto-campione di giovani in transizione (N = 485).

- i giovani intervistati che pur essendo alla ricerca di occu­pazione non risultano essere inseriti nel mercato del lavo­ro: tale sotto-campione comprende, in primo luogo, i gio­vani che hanno dichiarato di non essere né studenti né la­voratori (329 unità) e, secondariamente, i giovani che, pur dichiarandosi studenti, hanno avuto, antecedentemente alla rilevazione, comportamenti attivi di ricerca del lavoro ( 156 unità) : tali due categorie rendono la consistenza nu­merica del sottocampione pari a 485 unità (fig. 2 . l ) .

Quali sono le variabili che, oggi, massimizzano per i giovani del sotto-campione in esame la possibilità di tro­varsi in transizione tra la scuola e il mercato del lavoro? In ordine decrescente, l'appartenere al genere femminile (59,4 %) , vivere nelle regioni del Sud (43 ,9%) , l'apparte­nere a famiglia di classe 9peraia (38,2 %) , l'appartenere a famiglia con livello culturale medio (36,5 %) , avere un'età compresa tra i 25-29 anni (33 ,4%) : la condizione di tran­sizione si connota soprattutto come fenomeno femminile e meridionale, influenzato, inoltre, dalle tradizionali varia­bili strutturali e socio-culturali. Anche l'età manifesta una specifica influenza, essendo circa un soggetto su tre con­centrato nella fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni: fortunatamente, nella fascia di età successiva, compresa tra i 30 e i 34 anni, la percentuale di soggetti in condizio­ne di transizione dimezza fino a scendere al 16 ,3 %.

Il sotto-campione considerato, costruito sulla base della dichiarazione di essere in cerca di occupazione, evi-

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TAB. 2 . 1 . Condizione di transizione per genere (%)

Maschi Femmine

N = 485

Non studia né lavora

37,1 62,9

Studia e cerca occupazione

48,1 5 1 ,9

Totale

40,6 59,4

denzia al suo interno un certo grado di variabilità: infatti, prendendo in esame solamente il genere, possiamo osser­vare che le femmine che non studiano né lavorano e che allo stesso tempo cercano occupazione, sono ben il 62 ,9% contro solamente il 5 1 ,9% di femmine che allo stesso tempo studiano e sono in cerca di occupazione (tab. 2 . 1 ) . In effetti, possiamo notare che, da un lato, la variabile di genere non ha una specifica influenza sui gio­vani tuttora impegnati in cicli di istruzione o formazione professionale, mentre ben più rilevante è l'influenza sui giovani che non studiano né lavorano: infatti, per ogni maschio in tale condizione troviamo quasi due femmine, a testimonianza della maggiore probabilità per le donne di incorrere in questa situazione e dello svantaggio relativo che il genere femminile ancora subisce nei percorsi che portano dall'istruzione/formazione al mercato del lavoro.

Un'altra tradizionale variabile strutturale - la classe sociale di appartenenza - manifesta uno specifico effetto sui percorsi di transizione dagli studi al lavoro: se la con­dizione di transizione, infatti, è quella di chi non studia né lavora i giovani provenienti da famiglie di classe ope­raia risultano sovra-rappresentati, se al contrario la condi­zione di transizione è quella di chi allo stesso tempo stu­dia e cerca lavoro risultano sovra-rappresentati i giovani provenienti da famiglie di classe impiegatizia (tab. 2.2) . In questo caso, si evidenzia con chiarezza l'effetto diffe­renziale della stratificazione di classe sulla definizione dei percorsi che dai cicli di istruzione portano al primo im­piego: quasi la metà dei giovani che sono in cerca di oc-

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TAB. 2.2. Condizione di transizione per classe sociale della famiglia di origine (%)

Non studia Studia e cerca Totale né lavora occupazione

Superiore 12,3 17,5 14,0 Impiegatizia 20,2 36,4 25,5 Autonoma 24,0 18,8 22,3 Operaia 43 ,5 27,3 38,2 N = 471

cupazione e allo stesso tempo hanno terminato la propria formazione provengono da famiglie di classe operaia, mo­strando con ciò da un lato il minor investimento in cre­denziali educative che le famiglie operaie fanno sui pro­pri figli, dall'altro le maggiori difficoltà che i giovani pro­venienti da tale classe sociale incontrano nel trovare la . . pnma occupaz10ne.

Ben diversa risulta la situazione per chi pur cercando lavoro è ancora inserito in cicli di istruzione e formazio­ne: più di un giovane su tre proviene dal ceto medio im­piegatizio a dimostrazione del fatto che i giovani di que­sta estrazione sociale differenziano in maggior misura i percorsi di studio e lavoro cercando di massimizzare le opportunità in entrambi i settori. Questo processo è pie­namente comprensibile nell'ambito delle attuali dinami­che di classe in cui, a fronte di una riduzione generalizza­ta della consistenza numerica della classe operaia in tutti i paesi avanzati, si assiste - a causa essenzialmente di mu­tamenti tecnologici e di variazioni nel livello di garanzie dei lavoratori sul mercato del lavoro - ad un progressivo indebolimento del ceto medio impiegatizio e a dinamiche di mobilità discendente (tab. 2 .2) .

Evidenziate le principali caratteristiche degli intervi­stati in condizione di transizione, analizzeremo ora i valo­ri e gli orientamenti al lavoro, gli aspetti ritenuti rilevanti nello svolgimento della professione, le aspettative di gio­vani che si apprestano ad entrare nel mercato del lavoro

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TA!l. 2.3 . Gli aspetti importanti del lavoro per condizione di transizione (aspetti collocati al primo posto) (%)

Non studia né lavora

Lo stipendio, il reddito 32,5 La sicurezza del posto di lavoro 22,2 La possibilità di imparare cose nuove 9,1 La possibilità di migliorare 8,8 La condizioni di lavoro 8,5 Buoni rapporti con i superiori 4,6 Buoni rapporti con i colleghi 4,9 La possibilità di viaggiare molto 0,9 L'orario di lavoro l ,5 Non risponde 7 ,O

N = 485

Studia e cerca occupazione

29,5 17,3 19,9 8,3 9,0 2,6 7 , 1 3 ,2 0,6 2,6

Totale

3 1 ,5 20,6 12,6 8,7 8,7 3 ,9 5,6 1 ,6 1,2 5,6

ma che non hanno ancora avuto espenenze lavorative continuative3 •

Vediamo, in dettaglio, come si articolano i criteri di rilevanza dei giovani in condizione di transizione: al pri­mo posto troviamo il reddito (3 1 ,5 %) , al secondo posto la sicurezza del posto di lavoro (20,6%) , seguono, quindi, la possibilità di imparare cose nuove ( 12 ,6%) e via via tutti gli altri aspetti che raccolgono consensi sempre mi­nori arrivando a percentuali del tutto marginali, inferiori al lO% (tab. 2 .3 ) .

Alcune interessanti differenze possono essere indivi­duate tra le due categorie di giovani presenti nel sotto­campione: infatti, la possibilità di imparare cose nuove attraverso il lavoro risulta molto più importante per i gio­vani che, pur cercando lavoro, sono tuttora inseriti nei circuiti di istruzione/formazione professionale rispetto ai giovani che, al contrario, hanno già concluso il loro per-

3 Come sottolineato nel capitolo Le trasformazioni del lavoro gio­vanile di A. Chiesi contenuto in questo volume, l'esperienza del lavoro è oggi molto diffusa tra i giovani: la maggior parte riesce abbastanza facilmente a fare esperienze lavorative che tuttavia risultano frammen­tate, stagionali o occasionali, spesso svolte in orari non convenzionali.

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corso di acquisizione delle credenziali educative. Un'ulte­riore differenza di rilievo è costituita dall'importanza at­tribuita alla sicurezza del posto di lavoro: più considerata dai giovani che non studiano né lavorano e meno dai gio­vani ancora impegnati nello studio. Ugualmente apprez­zato risulta lo stipendio, con una differenza minima tra giovani che non studiano né lavorano e giovani che anco­ra studiano come pure differenze minime si riscontrano per tutti gli altri aspetti importanti del lavoro.

T ali risultati vanno visti alla luce degli orientamenti di valore manifestati dal campione di giovani della Quinta indagine IARD: se da un lato gli aspetti retributivi restano prioritari anche per i giovani in condizione di transizione, dall'altro la sicurezza del posto di lavoro viene maggior­mente considerata da chi ancora non ha occupazione, mentre la gerarchia degli altri aspetti importanti mostra differenze assai ridotte tanto nelle posizioni quanto nelle percentuali di adesione tra il campione complessivo e il sotto-campione in esame4.

I giovani in condizione di transizione si differenziano al loro interno secondo alcune variabili strutturali: gene­re, età e area geografica di residenza mostrano effetti spe­cifici nel ridefinire la scala delle preferenze. Infatti, se consideriamo solamente i primi due aspetti reputati im­portanti e collocati dai giovani intervistati al primo posto - lo stipendio e la sicurezza del posto di lavoro - osser­viamo che i maschi attribuiscono maggiore importanza allo stipendio (3 5 ,5 %) rispetto alle femmine (28,8%) mentre quest'ultime danno maggior valore alla sicurezza del posto di lavoro (23 ,6% ) rispetto ai colleghi maschi ( 16,2 % ) . L'età manifesta, a sua volta, effetti prevedibili sulla selezione e gerarchizzazione degli aspetti importanti del lavoro: osserviamo, infatti, che lo stipendio viene con­siderato l'demente più importante da ben il 42 ,5 % dei

4 Il confronto è stato effettuato con i dati relativi agli aspetti im­portanti del lavoro contenuti nella tabella 3 .3 del capitolo di A. Chie­si, Le trasformazioni del lavoro giovanile.

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TAB. 2.4. I primi due aspetti importanti de/ lavoro tra i giovani in condizione di transizione per genere, età, area geografica di residenza (%)

Stipendio Sicurezza del posto di lavoro

Maschi 35,5 16,2 Femmine 28,8 23,6

15-17 anni 42,5 15 ,0 18-20 anni 26,9 23,9 21 -24 anni 30,7 23,4 25-29 anni 30,9 19,8 30-34 anni 32,9 17 ,7

Nord 20,2 12,8 Centro 29,9 19,5 Sud e Isole 35,4 23,2

N = 485

15 - 17enni, mentre solamente il 30,9% dei 25 -29enni e il 32,9% dei 30-34enni lo colloca al primo posto. Al con­trario la sicurezza del posto di lavoro viene considerata poco rilevante dai più giovani ( 15 ,0%) mentre viene maggiormente considerata al crescere dell'età, anche se nella fascia più adulta decresce leggermente fino a rag­giungere il 17 ,7 %. Infine, la variabile che maggiormente incide sulla scala di priorità in ambito lavorativo è rap­presentata dall'area geografica di residenza: l'importanza dello stipendio assume il valore massimo al Sud e nelle Isole dove il 3 5 ,4% lo colloca al primo posto mentre al Nord solo il 20,2 % lo ritiene essere l'aspetto più impor­tante, anche la sicurezza viene messa in cima alle priorità dal 23 ,2 % dei giovani in transizione cha abitano al Sud e nelle Isole contro solo il 12 ,8% di giovani del Nord (tab. 2 .4 ) . Tale variabilità è sicuramente interpretabile sulla base delle differenti configurazioni macra-regionali dei mercati del lavoro in Italia: infatti, passiamo da una con­dizione di quasi piena occupazione al Nord - con punte particolarmente ridotte di disoccupazione in Lombardia e Veneto - a situazioni di elevati tassi di disoccupazione giovanile al Sud e nelle Isole, dove la scarsa dinamicità del mercato regolare delle . occupazioni è in parte com-

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pensata dall'estensione dell'economia sommersa e dalle opportunità lavorative fornite.

Particolarmente interessanti gli orientamenti dei gio­vani in transizione in tema di giustizia distributiva, in ter­mini, cioè, dei criteri ritenuti accettabili e legittimi per determinare il livello retributivo dei lavoratori. Il criterio che suscita maggiore adesione nei giovani del sotto-cam­p ione è il rendimento sul lavoro (24 ,5 %) , seguito dal­l'esperienza e dalla preparazione tecnica ( 19,8%) , dalla responsabilità ( 17 ,4 % ) , dalla fatica esercitata nell' esecu­zione del lavoro ( 16,6%) e dal bisogno ( 1 1 ,9%) all'ulti­mo posto troviamo le credenziali educative, cioè chi ha investito maggiormente risorse personali ed economiche in cicli di istruzione/formazione professionale ( l ,6%) . Colpisce il fatto che le credenziali educative acquisite sia­no considerate da una netta minoranza di giovani un cri­terio adeguato di retribuzione, inoltre, la percentuale di giovani che non sa rispondere alla domanda risulta consi­stente, testimoniando una diffusa incertezza su quali deb­bano essere i migliori criteri di giustizia distributiva. Ri­spetto ai criteri prevalenti utilizzati nella determinazione della retribuzione - il livello di responsabilità, l' esperien­za capitalizzata e il rendimento specifico nel lavoro - re­siste ancora una quota di giovani che ritiene il bisogno misura del livello retributivo: poco più di un giovane su dieci all'interno del sotto-campione condivide un orienta­mento non direttamente legato a criteri professionali ben­sì a una concezione del lavoratore come portatore di bi­sogni umani indipendenti dalle abilità e competenze scambiabili sul mercato. Accanto a quest'ultimi, troviamo una quota non marginale di giovani - più di un giovane su sei - che ritiene un valido criterio di retribuzione la fatica esercitata - richiamandosi in ciò a una concezione del lavoro di stampo prevalentemente fordista, in cui la componente della fatica fisica era consistente e molti la­vori dovevano essere condotti con una prolungata appli­cazione di energie umane.

Le due categorie di giovani del sotto-campione con­cordano sostanzialmente sui criteri di giustizia distributi-

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va applicata al lavoro, anche se lievi differenze possono essere riscontrate in alcune dimensioni: infatti, chi è tut­tora inserito in cicli di studio tende ad enfatizzare l'im­portanza della responsabilità e dell'esperienza quali crite­ri per la definizione dei livelli retributivi, mentre chi non studia né lavora è maggiormente propenso ad attribuire più importanza al bisogno. Tali differenze sono, almeno parzialmente, spiegabili attraverso l'effetto delle differenti condizioni sociali di partenza.

Il confronto con i dati relativi al campione complessi­vo dell'indagine consente di mettere in luce alcune simi­larità e differenze: rendimento, responsabilità, esperienza e preparazione tecnica rimangono i criteri più importanti sui quali dovrebbe essere definita la retribuzione del la­voratore, tuttavia altri due criteri - la fatica esercitata nel­lo svolgimento della propria occupazione e il bisogno -sono considerati maggiormente importanti dai giovani in transizione quali criteri validi per la definizione del livello retributivo, probabilmente per il prevalere all'interno del sotto-campione di giovani con basse credenziali educative e di estrazione operaia5.

Nell'ultima parte di questo paragrafo affronteremo un altro tema assai delicato del rapporto tra giovani, istru­zione/formazione e mercato del lavoro: la percezione del­le cause della disoccupazione. L'argomento è particolar­mente importante in questa fase di sviluppo del mercato del lavoro, in cui assistiamo ad un incremento dei rap­porti di lavoro atipici - all'interno dei quali vengono in­clusi i contratti di lavoro a tempo determinato, i contratti part-time, le collaborazioni coordinate e continuative, i contratti di lavoro interinale - con conseguente maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro.

Se da un lato l'utilizzo di contratti di lavoro «flessibi­li» porta ad un espandersi quantitativo delle opportunità di lavoro per i giovani, dall'altro lato conduce, almeno

5 Il confronto è stato effettuato con i dati riportati nella tabella 3 .4 del capitolo

,di A. Chiesi, Le trasformazioni del lavoro giovanile.

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parzialmente, ad una precarizzazione dei rapporti di lavo­ro e al rischio di oscillazione più o meno permanente at­torno alla linea di povertà. Infatti, l'incidenza dei contrat­ti di lavoro atipici risulta maggiore tra i laureati rispetto ai giovani con titoli e qualifiche più basse: ma se, da un lato, per i giovani con elevate credenziali educative que­sto fenomeno può essere considerato anche una scelta in­dividuale orientata al conseguimento delle migliori op­portunità professionali, dall'altro, per i giovani con i titoli di studio più bassi ciò significa spesso il subire una per­manenza prolungata nella fascia della precarietà6•

Fatta questa premessa per meglio definire i rapporti tra occupazione, disoccupazione e lavoro atipico, di parti­colare interesse risulta analizzare quali siano le percezioni dei giovani - in particolare di giovani che stanno tentando di entrare nel mercato del lavoro - circa le cause della di­soccupazione: è evidente che in questo caso le percezioni riguardano la disoccupazione tout court, una condizione in cui a fronte di comportamenti attivi di ricerca di occupa­zione e di un'effettiva disponibilità a ricoprire ruoli lavo­rativi mancano opportunità concrete di inserimento nel mercato stabile e/o regolare delle occupazioni.

Ma quali elementi vengono percepiti dai giovani in transizione come determinanti nello spiegare l'attuale li­vello di disoccupazione giovanile presente nel nostro pae­se? In primo luogo, l 'attenzione viene puntata sul gover­no che non affronta seriamente il problema disoccupazio­ne (80,2 %) , immediatamente dopo viene la struttura del­l'economia italiana non in grado di offrire un posto di la­voro a tutte le persone che ne sono in cerca (75 , 1 %) , se­guono, quindi, l'azione dei sindacati che tutela solamente gli occupati (54,2 %) , la preparazione professionale inade-

6 ISTAT stima che - all'intero della quota di giovani di età compre· sa tra i 15 e i 25 anni - la fascia di precarietà e di marginalità rispetto al mercato del lavoro sia del 16,2 %: tale stima è effettuata sulla base della percentuale di giovani che dopo una prima esperienza lavorativa restano sul mercato del lavoro con ulteriori contratti atipici, cioè a tempo deter­minato o di formazione lavoro. ISTAT [ 1999, 74-79].

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Economia italiana

Azione del governo +====;====;====:::;===:=;��� 0%

D

FIG. 2.2. La percezione delle cause della disoccupazione giovanile da parte dei giovani in transizione (%) .

guata (53 ,4 %) , il progresso tecnologico che riduce i posti di lavoro (53 ,0%)7 (fig. 2 .2 )

Come si vede a livello delle percezioni collettive pre­valgono le cause di carattere politico - l'insufficiente azio­ne del governo per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro - e di tipo strutturale - il sistema economico che non è in grado di garantire adeguati livelli di crescita complessiva e di job creation; le altre cause - l'eccessiva tutela sindacale per gli occupati, l'insufficiente prepara­zione professionale che il sistema scolastico-formativo for­nisce ai giovani, la riduzione dei posti di lavoro indotta dall'innovazione tecnologica vengono considerati fattori meno rilevanti nello spiegare l'attuale livello di disoccupa­zione giovanile e oscillano attorno al 50% di consensi.

Emerge un quadro in cui la disoccupazione giovanile viene percepita essenzialmente come un problema di po­litica economica in cui le istituzioni di governo hanno mancato nelle funzioni regolative tanto del sistema pro­duttivo quanto del mercato del lavoro, generando una si­tuazione di scarsa compatibilità tra necessità del sistema

7 Il numero complessivo di giovani che hanno risposto alle do­mande relative alle possibili cause della disoccupazione sono 253 ; la numerosità dei rispondenti è troppo esigua per essere rappresentativa e consente di individuare solo alcune linee di tendenza.

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delle imprese, percorsi di preparazione professionale for­niti e aspettative dei giovani lavoratori.

3 . Le strade verso il mercato del lavoro: strategie di ricer­ca d'occupazione per i giovani in transizione

In questo paragrafo finale verranno analizzati tanto i singoli strumenti utilizzati per trovare lavoro quanto le strategie complessive messe in atto dai giovani in transizione: tale analisi risulta particolarmente rilevante per capire non solo quali sono i singoli strumenti mag­giormente utilizzati per trovare lavoro ma anche gli ef­fetti di composizione e sinergia tra differenti strumenti di ricerca. In particolare, la fase attuale di riorganizza­zione del sistema di collocamento italiano che sta pas­sando da un assetto totalmente pubblico e a gestione centralizzata ad un assetto misto pubblico-privato, con una consistente delega alle province e agli enti locali rende ancora più complesse e articolate le traiettorie che i giovani possono percorrere per entrare nel merca­to del lavoro. Per alcuni giovani i meccanismi regolativi del mercato del lavoro rimangono tuttora opachi e le opportunità di lavoro risultano complessivamente poco accessibili, contribuendo da un lato ad allungare il peri­odo che intercorre tra la fine dei cicli formativi e l'inse­rimento nel mercato del lavoro e dall'altro a sviluppare una sfiducia generalizzata circa la possibilità di definire carriere non contrassegnate da una considerevole insta­bilità e dal costante rischio di scivolamento al di sotto della soglia di povertà. Una prima analisi sarà, quindi, basata sull'individuazione dei singoli strumenti maggior­mente utilizzati e consentirà di definire una graduatoria che verrà integrata da una tipologia di strategie adotta­te per trovare lavoro.

Lo strumento più utilizzato di ricerca di lavoro risulta essere l'Ufficio di collocamento, la struttura che attual­mente, in base alle Leggi Bassanini, è stata sostituita dai Centri per l'impiego, seguono le reti di amici, l'aiuto dei

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TAB. 2.5. Gli strumenti di ricerca di lavoro per i giovani in transizione (%)

Attraverso l'iscrizione all'ufficio di collocamento Chiedendo aiuto ad amici e/o conoscenti Chiedendo aiuto a genitori e/o parenti Scrivendo direttamente alle aziende Partecipando ad un concorso Rispondendo ad annunci sui giornali Rivolgendosi a un centro di informazione e orientamento Chiedendo aiuto ad una persona influente Visitando personalmente le aziende Attraverso un'agenzia privata di collocamento Mettendo annunci sui giornali Attraverso la scuola/Università frequentata

N = 485

78,4 68,9 57,5 36,1 33,2 29,5 23 ,3 22,1 22, 1 12,4 9,9 8,7

genitori e via via tutti gli altri strumenti fino a trovare agli ultimi due posti la ricerca attraverso gli annunci pub­blicati sui quotidiani e la ricerca attraverso la scuola e l'università (tab. 2 .5 ) .

Emerge un quadro di riferimento connotato da un considerevole livello di tradizionalismo: infatti, ai primi tre posti troviamo gli strumenti «classici» per i giovani che vogliono entrare nel mercato del lavoro e che ripro­ducono una combinazione tra meccanismi istituzionali di transizione al mercato del lavoro, reti parentali a legame forte e reti amicali a legame debolé.

s La comparazione con i dati relativi ai tutti i giovani in cerca di occupazione (cfr. tabella 3.10 del capitolo di A. Chiesi, Le trasforma­zioni del lavoro giovanile) consente di evidenziare alcune differenze: in particolare, i giovani in transizione utilizzano maggiormente l'iscrizio­ne all'Ufficio di collocamento, la richiesta di aiuto a genitori/parenti e ad amici/conoscenti che totalizzano percentuali costantemente supe­riori rispetto agli altri giovani, mentre sfruttano in misura minore mo­dalità di ricerca a carattere individuale, quali la visita diretta alle aziende o l'invio di un curriculum. La ragione di tali differenze vanno ricercate probabilmente nella sovra-rappresentazione della componen­te femminile all'interno del sotto-campione preso in considerazione e nella concentrazione dei soggetti nel Meridione, dove le caratteristiche del mercato del lavoro rendono più rilevante - e a volte determinante - il peso delle reti familiari e amicali.

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Tuttavia si manifestano anche segnali di novtta m questo settore: infatti, più di un giovane su dieci si è ri­volto ad agenzie private di collocamento e quasi un gio­vane su quattro ha utilizzato i servizi di un centro di in­formazione e orientamento testimoniando con ciò, da un lato, il progressivo strutturarsi del sistema italiano di col­locamento su base mista e, dall'altro, l'emergere della ne­cessità di servizi specifici di informazione, orientamento professionale e matching tra domanda e offerta per ridur­re l'opacità dei meccanismi di funzionamento del merca­to del lavoro e rendere disponibili al maggior numero possibile di giovani le opportunità lavorative effettiva­mente presenti sul territorio.

L'elemento negativo che emerge dalla lettura dei dati è costituito dalla scarsa rilevanza che assumono scuola e Università nel fare da collegamento tra i giovani che han­no formato e il mercato del lavoro: infatti, solo 1 '8,7 % degli intervistati vi ha fatto ricorso. Sebbene in costante aumento nel tempo, l'utilizzo di questo dispositivo di transizione al mercato del lavoro rimane marginale e si pone come del tutto residuale rispetto alla gamma degli strumenti disponibili. È probabile che gli attuali processi di progressiva autonomia didattica e finanziaria tanto de­gli istituti superiori quanto dell'Università metteranno tali istituzioni nella necessità di prestare una crescente atten­zione verso quegli aspetti dell'offerta formativa che mag­giormente sono legati alle dinamiche del mercato del la­voro e al cambiamento dei profili professionali richiesti dalle imprese.

I giovani che non studiano né lavorano utilizzano tut­ti gli strumenti a disposizione in percentuale maggiore ri­spetto ai loro colleghi che ancora studiano: solamente la risposta ad annunci sui giornali ottiene valori percentuali simili mentre chi ancora studia è propenso a utilizzare scuola e Università quale possibile canale per trovare oc­cupazione.

Come prevedibile non vi sono esclusivamente stru­menti singoli o isolati ma vi sono soprattutto strategie complessive che possono essere identificate per interpre-

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tare la logica che orienta i giovani nel cercare lavoro e, di conseguenza, i criteri pratici utilizzati dai giovani per investire tempo e risorse nelle attività di ricerca. Attra­verso la cluster analysis è possibile identificare gruppi omogenei quanto a comportamenti di ricerca, definendo, così, una specifica mappa di soggetti attivi sul mercato del lavoro. Il sotto-campione di giovani in oggetto può essere suddiviso in tre segmenti: i disoccupati a rischio di cronicizzazione, i cercatori di lavoro a tutto campo, i tradizionalisti:

- il primo gruppo comprende i giovani che si affida­no quasi esclusivamente - e potremmo dire anche in modo rituale - al collocamento pubblico per cercare la­voro, utilizzando scarsamente tutti gli altri strumenti a di­sposizione: poiché tale strumento, nonostante le trasfor­mazioni istituzionali e gestionali che attualmente sta vi­vendo, garantisce ridotte probabilità di trovare occupa­zione possiamo considerare questa strategia connotata da un atteggiamento essenzialmente passivo e rinunciatario. L'utilizzo prevalente di tale strumento può, inoltre, por­tare all'ingresso precoce in percorsi di disoccupazione o sotto-occupazione cronica con scarse possibilità di rientro nel mercato del lavoro regolare;

- il secondo gruppo è formato da giovani che, al contrario, sono propensi a utilizzare in modo più o meno esteso tutti gli strumenti a loro disposizione pur di entra­re nel mercato del lavoro;

- nel terzo gruppo troviamo, infine, giovani che ten­dono ad utilizzare selettivamente gli strumenti a disposi­zione, focalizzandosi in particolare sulle reti amicali a le­game debole, sulle reti parentali a legame forte e sul col­locamento pubblico.

Sotto il profilo numerico il primo gruppo - i disoccu­pati a rischio di cronicizzazione - comprende poco meno di un giovane su tre, il secondo gruppo - i cercatori di lavoro a tutto campo - costituisce il gruppo meno nume­roso - poco più di un giovane su quattro ricade in questa categoria, il terzo gruppo - i tradizionalisti - è costituito da più di quattro giovani su dieci (fig. 2 .3 ) .

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30%

• Cercatori a tutto campo D Tradizionalisti D Disoccupati a rischio cronicizzazione

FIG. 2.3. Una tipologia di giovani in cerca di lavoro (%) .

È possibile notare che le variabili socio-demografiche - genere, classe sociale e livello culturale della famiglia di origine - incidono in maniera trascurabile sulla segmenta-

. zione di giovani in condizione di transizione. Al contrario le due categorie di giovani che compongono il sotto-cam­pione - i giovani in cerca di occupazione che hanno ter­minato il ciclo di formazione e i giovani che pur essendo ancora inseriti in cicli di formazione si dichiarano in cer­ca di occupazione - hanno una specifica influenza sulla segmentazione proposta: infatti, se prendiamo in esame le due categorie vediamo che chi non studia né lavora è maggiormente rappresentato nel segmento dei «cercatori di lavoro a tutto campo» (33 , 1 %) rispetto a chi studia e sta cercando lavoro ( 14 ,5 %) ; all'opposto i giovani che studiano e cercano occupazione sono maggiormente rap­presentati nel segmento definito «disoccupati a rischio di cronicizzazione» (37 ,7 %) (tab. 2 .6).

In questo caso particolare, entrano in gioco alcuni elementi aggiuntivi che possono servire a comprendere le motivazioni retrostanti l'utilizzo prevalente dell'Ufficio di collocamento: in primo luogo, per i giovani tuttora inseri­ti in cicli di studio e formazione la condizione di transi­zione al mercato del lavoro non si è ancora stabilizzata e vi è ancora la possibilità di investire ulteriore tempo e ri­sorse nell'acquisizione di credenziali educative più eleva­te, secondariamente perché soprattutto al Sud era, e in

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T AB. 2.6. Tipologia di giovani in cerca di lavoro per condizione di transizione, classi di età e macro-area di residenza (% per riga)

Cercatori a Disoccupati a rischio T radizionalisti tutto campo CfOn!CIZZaZIOne

Non studia né lavora 33 ,1 25,9 4 1 ,0 Studia e cerca occupazione 14,5 37 ,7 47,8

15-17 anni 5,6 94,4 18-20 anni 16,1 25,8 58,1 21 -24 anni 33,3 30,0 36,7 25-29 anni 32,2 33,6 34,3 30-34 anni 30,0 37,1 32,9

Nord 3 1,3 3 1,3 37 ,5 Centro 30,9 26,5 42,6 Sud e Isole 25,1 30,0 44,9

N = 43 1

parte lo è tuttora, prassi consolidata iscriversi già alla fine del ciclo dell'obbligo all'Ufficio di collocamento per po­ter usufruire di eventuali benefici di legge, infine per una quota di giovani potrebbe avere una specifica influenza l'effetto scoraggiamento - presente in particolare tra i gio­vani di età compresa tra i 3 0 e i 34 anni - che determina l'abbandono di strategie attive di ricerca di occupazione a favore di un impegno con componenti di tipo ritualisti­co e formale e possibilità di successo soprattutto per po­sizioni professionali di basso profilo.

Accanto ai tradizionalisti e ai cercatori di lavoro a tutto campo emerge una categoria di giovani che preferi­sce o, con maggiore probabilità, è vincolata ad utilizzare prevalentemente gli strumenti di ricerca disponibili a li­vello istituzionale ed è contraddistinta da strategie passive di ricerca e dalla carenza di reti familiari e/ o amicali che consentano di affrontare il mercato del lavoro in maniera non atomizzata e individualistica ma valorizzando il capi­tale sociale familiare e le credenziali educative acquisite. Esiste anche in Italia - come in altri paesi d'Europa e ne­gli Stati Uniti - il rischio che si creino fasce di giovani marginali rispetto al mercato del lavoro o perché compie-

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tamente escluse fin dall'inizio dal mercato regolare del la­voro o perché inserite nel mercato del lavoro ai livelli in­feriori della scala delle professioni, scarsamente tutelate e con bassi redditi e la possibilità di rimanere per tutta la vita soltanto working poor.

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CAPITOLO TERZO

LA TRASFORMAZIONE DEL LAVORO GIOVANILE

l . L'esperienza del lavoro

In un recente passato la crescita continua del livello di istruzione e le difficoltà di trovare un'occupazione sono stati interpretati come fattori in grado di provocare un progressivo distacco dei giovani dal mondo del lavo­ro. La permanenza nel sistema di istruzione è stata spie­gata con la necessità di conseguire titoli di studio sempre più elevati per poter accedere ad un mercato del lavoro iper garantito, in cui i posti sono sicuri, ma non sufficien­ti a soddisfare l'offerta. A cominciare dagli anni Ottanta, fino all'inizio degli anni Novanta, questa scarsità di posti disponibili ha mostrato ai giovani il mondo delle occupa­zioni sicure come un fortino assediato da un numero cre­scente di coetanei in attesa di lavoro e ha provocato il fe­nomeno congiunto dell'inflazione del titolo di studio e della disoccupazione giovanile di .lunga durata, prorogan­do l'età di entrata definitiva nel mondo del lavoro.

All'inizio del nuovo secolo l'esperienza del lavoro ap­pare invece molto diffusa tra i giovani, pur essendo molto eterogenea, diseguale e parziale. Le barriere all'entrata si sono quasi del tutto annullate e il lavoro non è più una tappa finale e irreversibile dei giovani che hanno finito la scuola, ma rappresenta frequentemente un'esperienza pre­coce, intermittente, che viene condivisa insieme alla con­dizione di studente, che può essere sospesa temporanea­mente e ripresa in seguito, che può· essere ripetuta ad in­tervalli stagionali con orari di lavoro anche molto ridotti.

Il notevole coinvolgimento dei giovani nel mondo del lavoro non è la semplice conseguenza del fatto che il campione di questa edizione dell'indagine include per la prima volta anche coloro che hanno fino a 34 anni. Se

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consideriamo i soggetti che condividono lo stesso inter­vallo di età, ci accorgiamo che la proporzione di coloro che sono attualmente occupati o che hanno svolto in pas­sato un'attività lavorativa vera e propria - cioè costante nel tempo - è in progressiva diminuzione fin dagli anni Ottanta. La differenza con il passato consiste nella diffu­sione di periodi di lavoro brevi, in attività ad orario limi­tato, in incarichi di lavoro occasionale. Questo importan­te mutamento nasce, come è noto, dalle conseguenze prodotte dal declino dell'organizzazione fordista del lavo­ro, in tutti i paesi industrializzati già a cominciare dagli anni Ottanta. In Italia una maggiore flessibilità del mer­cato del lavoro - meglio compatibile con la produzione snella e con lo sviluppo dell'economia dei servizi - è sta­ta introdotta soltanto durante gli · anni Novanta e ha ri­guardato essenzialmente le nuove modalità di assunzione per i giovani, senza scalfire nella sostanza le garanzie di stabilità d'impiego delle coorti di lavoratori più anziani.

In complesso, nell'estate del 2000 i giovani occupati sono il 52 ,9%. Anche tra gli studenti a tempo pieno, che rappresentano il 32 ,2 % del campione, oltre la metà ha avuto almeno un'esperienza di lavoro retribuito, anche se solo occasionale. Quindi soltanto il 23 ,O% degli intervista­ti non ha mai maturato esperienze di lavoro. La probabili­tà di avere esperienze lavorative attuali o passate cresce ovviamente con l'età, è minore tra gli intervistati di origine sociale elevata, al Sud e nelle Isole1 . In particolare, la cur­va di figura 3 . 1 mostra come l'esperienza del lavoro retri­buito, in genere marginale e saltuario, sia presente già tra i minorenni e si impenni fino a superare 1'80% dei casi ol-

l A dimostrazione di quanto la diffusione di esperienze lavorative dipenda da fattori geografici, basti citare che nelle aree del Nord-Est sol­tanto il 13 , l % dei giovani è privo di esperienza lavorativa, mentre nelle Isole, la stessa percentuale sale al 34,3 %. Anche se statisticamente signi­ficative, le differenze di genere sono invece molto più modeste e sosten­gono l'ipotesi che le ragazze non incontrino più difficoltà dei maschi a fare esperienze di lavoro. Invece le possibilità di accesso ad occupazioni stabili rimangono ancora tradizionalmente a svantaggio delle donne.

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100 90 80 70 60 50 40 30 20 10

/ - ./ /

- - - - ........ /

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o+--r�-.--.-.-.--.-.-.--.-.-.--.-.-.--.-.--.-.-.-. 15 16 17 18 19 20 2 1 22 23 24 25 26 27 28 29 30 3 1 32 33 34 35

-- Esperienza di lavoro - - - Occupazione

FIG. 3 . 1 . Andamento percentuale dell'esperienza di lavoro e dell'occupazione attuale secondo l'età.

tre i 22 anni. La curva del tasso di occupazione comincia invece a crescere dopo i 19 anni, si ferma intorno al 50% tra i 21 e i 27 anni, che corrispondono per molti agli studi universitari, e sfiora 1'80% solo tra i trentenni.

Analogamente, se confrontiamo le due ultime edizioni dell'indagine sulla base di sotto-campioni omogenei, la quota di giovani che non lavora e non studia diminuisce considerevolmente ( 13 ,8% nel 2000 contro 19,2 nel 1996) , a causa della riduzione sia dei giovani in cerca di lavoro, sia delle giovani casalinghe. Il mondo del lavoro appare in sostanza meno impenetrabile di dieci anni pri­ma, quando i giovani subivano tassi di disoccupazione più elevati, era più difficile trovare un posto, ma quelli disponibili erano più stabili e sicuri.

In un mercato del lavoro giovanile molto più fluido che in passato2 un intervistato su tre (3 1 ,4%) si dichiara in

2 Affermare che il segmento giovanile del mercato del lavoro è flessibile, non significa sostenere owiamente che il mercato del lavoro italiano in generale sia flessibile. Come mostrano recenti dati [ISTAT 2000a] , è in via di formazione infatti una segmentazione che passa at­traverso una contrapposizione generazionale molto marcata. La flessi­bilità complessiva è in realtà l'esito di una notevole fluidità e mobilità delle nuove generazioni che si affacciano per la prima volta sul merca­to del lavoro o che trovano occupazioni precarie ricorrenti, combinata

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cerca di un lavoro, anche se già ne possiede uno. I giovani sono da tempo abituati a perseguire strategie adattive, che partono dal presupposto che la carriera lavorativa non è più assicurata dagli avanzamenti previsti dall'anzianità e dal merito in un'organizzazione di tipo fordista, ma si svi­luppa invece sfruttando le occasioni di passaggio da un posto di lavoro all'altro sul mercato del lavoro locale. Per questo, non solo il 46,7 % degli occupati a termine cerca attualmente un altro lavoro, ma anche il 2 1 ,5 % degli oc­cupati stabili alle dipendenze, il 15 ,2% dei lavoratori indi­pendenti e il 16,8% degli studenti che già non lavorano.

Date le più sfavorevoli condizioni dell'offerta al Sud e nelle Isole, la ricerca del lavoro è concentrata soprattutto in queste regioni (rispettivamente il 40,5 % e il 46,5 % de­gli intervistati dichiara di essere in cerca di un lavoro) mentre nel Nord-Est la proporzione di giovani che cerca scende al 20,8% (22 ,3 % nel Nord-Ovest) , e al Centro as­sume un valore intermedio3 .

La propensione a cercare lavoro dipende complessi­vamente anche dal livello sociale della famiglia di origine, rilevata attraverso l'occupazione paterna e il titolo di stu­dio dei genitori. Tuttavia emerge che le differenze di classe sociale operano significativamente soltanto al Sud e nelle Isole, mentre al Centro e soprattutto al Nord spari­scono del tutto, poiché la ricerca del lavoro si abbassa al 20% circa degli intervistati, senza distinzione di classe. Al Sud invece la ricerca del lavoro da parte dei giovani di estrazione operaia4 sale ad oltre la metà degli intervistati.

con la persistenza di rigidità tradizionali che riguardano la generazio­ne che ha ottenuto un lavoro fino alla fine degli anni Ottanta, soprat­tutto nel settore pubblico. Complessivamente il processo di flessibiliz­zazione del mercato del lavoro nazionale non sembra così sviluppato da indurre effetti rilevanti sulla mobilità. occupazionale complessiva [ISTAT 2000a, 269] .

3 Salvo esplicita menzione diversa, tutte le differenze tra sotto­gruppi citate nel capitolo sono statisticamente significative almeno al 99 % , sulla base del calcolo della probabilità dell'ipotesi nulla.

4 Per condizione operaia si intende l'occupazione manuale, svolta in qualsiasi settore, non solo nell'industria.

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Quella giovanile è soprattutto un'esperienza di lavoro non manuale. Il 65 ,3 % degli occupati svolge un lavoro nel terziario, specificamente il 23 ,3 % nel commercio e il 7 ,6% nella Pubblica Amministrazione - che offre posti di lavoro relativamente più numerosi nelle regioni autono­me, sia del Sud che del Nord, dove evidentemente sono ancora aperte opportunità di espansione delle burocrazie pubbliche locali. L'industria impiega soltanto il 20 , 1 % degli occupati, con forti variazioni regionali, poiché al Sud e nelle Isole scende al di sotto del 10% e si avvicina invece al 30% nel Nord-Ovest. Gli occupati nei soli ser­vizi finanziari superano quelli nell'agricoltura.

Le risposte mostrano tuttavia una novità rispetto alle precedenti edizioni, che consiste nella difficoltà per gli intervistati di definire il proprio settore di impiego. Ben il 35,6% degli occupati non riesce a rispondere alla do­manda diretta e a questi si può in parte aggiungere un ulteriore 7 ,9% di coloro che rispondono di lavorare nel settore dell'artigianato. Come è noto, le attività artigianali sono presenti in tutti i settori e hanno in comune la pic­cola scala produttiva, che è tipica dell'economia del no­stro paese. Sono soprattutto i lavoratori parasubordinati a non essere in grado di definire il settore di appartenen­za, seguiti da coloro che svolgono lavori occasionali. Indi­cano invece di lavorare nel settore artigianale soprattutto i lavoratori in proprio, che più spesso non sono in grado di collocarsi con precisione tra industria, commercio e serv1z1.

Questa diffusa incapacità di definire l'ambito del pro­prio lavoro sembra essere un tratto saliente dell' esperien­za giovanile, in un'economia sempre più fluida e integra­ta, in cui i confini tra settori - tipici dell'epoca industria­le e sanzionati da una diffusa sindacalizzazione settoriale - non sono chiari, perché ciascuno può lavorare indiffe­rentemente per settori diversi e può migrare da un setto­re all'altro nel corso della carriera lavorativa. Un'altra prova della scarsa rilevanza dei tradizionali settori pro­duttivi nella strutturazione delle esperienze lavorative consiste nel fatto che più del 40% degli intervistati at-

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TAB. 3 . 1 . L'orario di lavoro medio settimanale degli occupati nel mese preceden­te l'intervista (%)

Durante: 1996 2000

Meno di 10 ore 4,9 5,4 Da 10 a 34 18,7 17,9 Da 35 a 39 1 3 ,3 1 1 ,6 Da 40 a 44 33 ,5 35,1 45 e oltre 29,6 29,9

N 994 965

tualmente occupati dichiarano di avere cambiato settore nel corso della loro pur breve carriera.

Anche l'orario di lavoro appare coinvolto da un'im­portante trasformazione. La durata dell'orario di lavoro settimanale è mediamente di 36 ore e 5 1 minuti, poco sotto il valore della popolazione adulta, ma è caratterizza­ta da un'enorme dispersione intorno al valore medio, a causa della diffusione di varie forme di orario di lavoro ridotto, ma anche di orari prolungati. La tabella 3 . 1 illu­stra questa dispersione, ulteriormente amplificata rispetto a quattro anni prima. Soltanto 1' 1 1 ,6% pratica un orario di lavoro corrispondente alle normative dei contratti col­lettivi più diffusi (tra 35 e 3 9 ore settimanali) , mentre au­menta la fascia di coloro che lavorano meno di 10 ore e di coloro che lavorano più di 40 ore.

L'orario medio di lavoro delle giovani donne occupa­te è di 32h 8' contro 40h 36' dei maschi. L'età non inci­de molto sulla durata del lavoro, anche se la correlazione rimane significativa e di segno positivo, mentre un effetto leggermente più forte nello stesso senso è esercitato dal­l'anzianità lavorativa. Questo risultato conferma l'ipotesi che i giovani riescano con il tempo a integrarsi nel mon­do del lavoro, partendo da occupazioni ad orario ridotto, e passando progressivamente a quelle ad orario pieno. Chi ha un'origine sociale modesta ha anche un orario di lavoro più lungo.

I tempi di lavoro subiscono inoltre variazioni medie

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significative a seconda dell'area geografica. Al Nord sono mediamente più lunghi ma meno dispersi, al Sud sono più brevi ma molto disegualP, un sintomo della debolez­za dell'offerta giovanile sul mercato del lavoro, già evi­denziato nella precedente edizione [Buzzi, Cavalli, de Lil­la 1997 ] . Oltre alle durate, anche i tipi di orario di lavo­ro appaiono molto diversificati, con una diffusa presenza del lavoro notturno tra le 23 ,00 e le 6,00 ( 14 , 1 % ) , del la­voro domenicale (24,2 %) e al sabato (58,1 %) . Diffusa è anche la pratica del lavoro serale dopo le 19,00 (39,8%) e al mattino prima delle 7 ,30 (2 1 , 1 %) . Le ragioni della diffusione di regimi atipici di orario deve essere ricondot­ta alle modalità delle attività terziarie, dove i giovani tro­vano prevalentemente lavoro. In questo settore il lavora­tore deve adeguarsi alla domanda dei servizi alla persona, che vengono principalmente attivati alla sera e nei fine settimana (industria del tempo libero e della cultura, ri­storanti, commercio, pubblici esercizi) . Nel caso dei ser­vizi alle imprese, i giovani occupati devono adeguarsi sempre più spesso alle esigenze della globalizzazione, che impone sincronismi con clienti, fornitori e partner che a loro volta operano secondo modalità temporali sempre più diversificate.

Anche per quanto riguarda le retribuzioni, l'aumento delle diseguaglianze, già evidenziato nell'edizione prece­dente, subisce un'accelerazione. Rispetto all'indagine del 1996 le retribuzioni nominali aumentano mediamente del 20,5 %6, mentre la dispersione intorno al valore medio, misurata con la deviazione standard, subisce un aumento

5 L'orario medio settimanale nelle regioni del Nord-Ovest è di 38h 10' con una deviazione standard di 17 ,09. Nelle regioni del Nord­Est l'orario si abbassa a 3 7h 26' con una deviazione standard ridotta a 15, 10. Nelle Isole l'orario medio si abbassa a 33h 27' e la deviazione standard sale a 20,17 (Test F 2,605 , sig. 0,03 ) .

6 Poiché a questo aumento nominale ha corrisposto un tasso di inflazione quadriennale del 9% circa, si può affermare che, a differen­za della prima metà degli anni Novanta, negli ultimi anni del secolo i giovani hanno mediamente migliorato le loro condizioni retributive, guadagnando in termini reali 1' 1 1 ,5 % nel periodo considerato.

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TAB. 3.2. Numero indice delle retribuzioni medie nel mese precedente l'intervi­sta per area, sesso e titolo di studio

Area: 1996 2000

Nord-Ovest 1 1 1 107 Nord-Est 1 14 1 13 Centro 95 95 Sud 82 83 Isole 84 81

Maschi 1 13 1 10 Femmine 84 88

Media inferiore 96 93 Media su peri ore 107 99 Frequenta l'Università 106 1 15

T o tale nazionale 100 100 In lire 1 .481 .752'' 1.534 .992 In euro 765,26 792, 76 Deviazione standard: in lire 756.732'' 1 . 172.899 in euro 390,82 605, 75

,., In lire 2000.

del 76,2 % . Le differenze territoriali nei livelli di reddito si modificano invece in modo più complesso e non seguono un unico andamento. Come emerge dalla tabella 3 .2 , le due aree del Nord diminuiscono il loro vantaggio, soprat­tutto quella occidentale, mentre al Sud si accentua il diva­rio tra regioni continentali, che migliorano lievemente, e Isole, che subiscono un'ulteriore peggioramento. Questo risultato è in linea con la diversificazione territoriale dello sviluppo economico nazionale, che vede il Meridione come un'area internamente sempre meno omogenea.

La tabella mostra anche che le differenze di reddito tra maschi e femmine tendono invece a diminuire, a ri­prova di una acquisita maggiore eguaglianza di opportu­nità sul mercato del lavoro. Crescono invece le disegua­glianze retributive legate al titolo di studio. Soprattutto coloro che possono giovarsi di studi a livello universitario - non necessariamente la laurea - aumentano il divario

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retributivo nei confronti dei diplomati, mentre i giovani che hanno terminato soltanto le medie inferiori o non hanno neppure completato il ciclo dell'istruzione obbli­gatoria peggiorano la loro posizione retributiva rispetto alle altre categorie.

Un aspetto importante delle nuove forme di rapporto di lavoro è rappresentato dal grado di autonomia in cui viene svolta la prestazione. Secondo una letteratura che ha incontrato anche in Italia un certo successo dall'inizio degli anni Novanta, i giovani dotati di crescenti livelli di istruzione si incontrano con una domanda che richiede autonomia, senso di responsabilità e capacità di appren­dere continuamente. Lo sviluppo di nuove figure profes­sionali sarebbe quindi congeniale con le trasformazioni del mercato del lavoro in cui il lavoratore è più simile ad un professionista, o addirittura ad un imprenditore, che ad un dipendente. I risultati dell'indagine mostrano che per quanto riguarda il mondo giovanile, questo è vero soltanto per una minoranza di casi. Il 76,8% di coloro che lavorano sulla base di rapporti di tipo professionale o con prestazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione dichiara di avere un superiore a cui deve rendere conto. Anche tra i lavoratori autonomi veri e propri, cioè escludendo i coadiuvanti, la percentuale di lavoro subordinato di fatto raggiunge il 49,1 % . In sostan­za emerge chiaramente come le nuove forme di lavoro siano percepite dai giovani soprattutto come una forma mascherata del tradizionale lavoro dipendente, privo però delle garanzie di cui la generazione precedente poteva giovarsi. Anche nelle attività lavorative dove la centralità del rapporto di committenza sul mercato sostituisce il rapporto di subordinazione gerarchica del lavoro dipen­dente, come dimostrato in recenti ricerche qualitative [A.A. Ster 2000] , le esigenze del cliente o del committen­te, in grado di imporre modalità , tempi e standard lavo­rativi ferrei, gravati da penali, prendono il posto degli or­dini del capufficio o del caporeparto.

Anche l 'idea che i giovani abbiano la possibilità du­rante la carriera lavorativa di acquisire maggiore respon-

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sabilità e autonomia è fortemente ridimensionata dalla persistenza in tutte le coorti di un'elevata percentuale di intervistati che dichiarano di dipendere di fatto da un su­periore a cui devono rendere conto7 •

2 . L'immagine de/ lavoro

Il Novecento è stato autorevolmente definito come un secolo basato sul lavoro, non solo nel senso che attra­verso l'attività retribuita offerta sul mercato il mondo oc­cidentale ha ottenuto risultati prima impensabili nel cam­po della tecnologia e del livello di vita materiale, ma an­che nel senso che i rapporti sociali originati dall'attività cooperativa hanno definito la struttura sociale nel suo complesso [Accornero 1997 ] . Alla centralità del lavoro ha corrisposto anche una cultura specifica, che attribui­sce al lavoro un valore fondame nei rapporti sociali tra gli individui e nella definizione di una moralità basata sul sacrificio, la dedizione, la costanza, la professionalità e la dignità riconosciuta a chi è portatore di un saper fare professionale [Bottiglieri e Ceri 1987 ] .

Negli anni Novanta s i sono moltiplicate le interpreta­zioni che attribuiscono al lavoro un ruolo declinante nella società dei servizi e del tempo libero. La diffusione di va­lori post-materialistici [lnglehart 1990] , la crescita del reddito disponibile, la riduzione dell'orario di lavoro, in­dotta dalle scelte dei singoli e da certe politiche volte a combattere la disoccupazione, sono state interpretate come fattori che ridimensionano la rilevanza del lavoro nella gerarchia delle cose importanti della vita. La globa­lizzazione sottrae potere ai lavoratori, sempre più condi­zionati dalle esigenze della competizione planetaria, e as-

7 Questa percentuale, che è del 77,8% nelle classi di età inferio­re, scende leggermente al 72,8% e al 70,2 % nelle due classi di età su­periore (rispettivamente tra 25 e 29 anni e tra 3 0 e 34 ) , ma non supe­ra i livelli minimi di significatività statistica necessari a rigettare l'ipo­tesi nulla.

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segna al consumatore una centralità inedita. Queste intèr­pretazioni suggeriscono quindi che oggi per l'individuo è più facile realizzarsi come consumatore piuttosto che come lavoratore. Alcuni autori hanno portato alle estre­me conseguenze questa visione, profetizzando addirittura la fine del lavoro come perno su cui poggia l'identità so­ciale degli individui [Rifkin 1 995] .

In questa prospettiva può essere interessante doman­darsi cosa pensino del lavoro coloro che sono destinati ad essere protagonisti della società nei prossimi decenni. Il 63 ,0% dei giovani intervistati considera il lavoro una cosa molto importante della vita. Si tratta di una percentuale inferiore a quella di coloro che attribuiscono molta impor­tanza alla famiglia, all'amore, all'amicizia e più o meno allo stesso livello della libertà e della democrazia, ma su­periore a quella attribuita alla solidarietà e all'eguaglianza sociale. A differenza di quanto previsto dalle interpreta­zioni sopra richiamate, questa percentuale non è diminui­ta, anzi, è cresciuta lievemente negli ultimi otto anni, da un minimo del 60,2% registrato nell'edizione del 1992.

Il lavoro viene considerato relativamente più impor­tante tra gli occupati piuttosto che tra gli studenti che non hanno esperienze lavorative in corso. Tra i primi il giudizio di importanza cresce quanto più instabile e pre­cario è il rapporto di lavoro e in generale nelle regioni dove esso è meno disponibile, cioè al Sud e nelle Isole. L'importanza cresce inoltre con l'età e con il livello di istruzioné. Non sono invece rilevanti le differenze per sesso, a riprova che le femmine attribuiscono ormai al la­voro la stessa importanza accordata dai maschi.

Se il lavoro, tutto sommato, continua ad essere consi­derato una delle cose più importanti della vita, soprattut­to per chi non riesce ad attenerlo, ci si può domandare quale visione del lavoro è più diffusa tra i giovani, a cui è

8 Il lavoro viene considerato molto importante dal 5 1 ,6 % dei ra­gazzi tra 15 e 17 anni, e dal 66,6% dei trentenni, dal 59,2% dei gio­vani che hanno terminato soltanto la scuola dell'obbligo, e dal 72,2 % di coloro che hanno frequentato studi universitari.

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T AB. 3 .3 . Gli aspetti più importanti del lavoro (%)

Primo Primi posto due posti

Lo stipendio, il reddito 32,1 54,5 La possibilità di imparare ed esprimere le proprie capacità 15,5 27,3 La sicurezza del posto di lavoro 12,8 22,3 Le condizioni di lavoro (ambiente, tempi di trasporto, ecc.) 1 1 ,5 23 ,8 La possibilità di migliorare il reddito e il tipo di lavoro 1 1 ,4 22,6 Buoni rapporti con i compagni di lavoro 6,0 17,8 Buoni rapporti con i superiori, i capi 2,9 8,0 La possibilità di viaggiare molto 1,8 4,2 L'orario di lavoro 1,6 6,8

stato chiesto di esprimere un parere su vari aspetti del la­varo in generale. Tra i nove aspetti riportati in tabella 3 .3 , quello giudicato più importante è la retribuzione, in­dicata al primo posto da un intervistato su tre e nei primi due posti da oltre la metà dei giovani. La priorità data a questo aspetto segnala la prevalenza di una concezione strumentale del lavoro. L'occupazione viene vista quindi anzitutto come un mezzo di sostentamento per ottenere risorse spendibili nelle sfere affettive della vita: la fami­glia, l'amore, le amicizie. A una notevole distanza nelle preferenze (la proporzione dei rispondenti si dimezza sia nella prima che nella seconda scelta) viene indicata «la possibilità di imparare ed esprimere le proprie capacità». Questo aspetto rappresenta un tipico indicatore della concezione alternativa alla prima: chi preferisce le poten­zialità espressive e di crescita professionale è interessato al contenuto intrinseco del lavoro, non alla sua remunera­zione estrinseca. Possiamo collegare questa preferenza ad una concezione realizzativa, tipica di coloro che guardano al lavoro non semplicemente come un mezzo per vivere e per migliorare il proprio benessere materiale, ma come un ambito di espressione della propria personalità [Chie­si 1997a] . La sicurezza del posto ottiene un apprezza­mento non dissimile, ma appartiene di nuovo alla conce­zione strumentale del lavoro, rispondendo a bisogni di ordine primario [Maslow 1954] . Allo stesso modo possia-

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m o interpretare l'attenzione rivolta alle condizioni di la­voro, che raccoglie percentuali di preferenza abbastanza simili. Gli aspetti relazionali del lavoro, cioè la qualità dei rapporti con i colleghi e con i superiori vengono conside­rati meno importanti.

L'immagine complessiva del lavoro che emerge dai mo­delli di risposta presenta significative differenze territoriali. Il reddito e la sicurezza del posto vengono apprezzati so­prattutto al Sud, particolarmente nelle Isole, meno al Nord, segnatamente nel Triveneto e in Emilia Romagna, dove sono relativamente più apprezzati gli aspetti riguar­danti la qualità del lavoro, i buoni rapporti con i colleghi, la possibilità di crescita professionale, le opportunità di realizzazione personale. In sostanza, mentre al Sud l'imma­gine del lavoro è coerente con bisogni di sicurezza ancora in gran parte insoddisfatti, al Nord le migliori condizioni del mercato del lavoro giovanile alimentano aspettative di ordine superiore legate ai bisogni di autorealizzazione.

Anche l'appartenenza di classe torna ad essere rilevan­te nel definire l'immagine del lavoro e le aspettative ad esso legate. I giovani istruiti, che appartengono a famiglie di origine sociale elevata esprimono più spesso bisogni di ordine superiore, mentre i figli della classe operaia e i gio­vani senza titolo di studio coltivano il desiderio di una buona retribuzione e di un posto di lavoro sicuro.

Un altro importante aspetto dell'immagine del lavoro è legato al rapporto tra attività retribuita e sentimento di equità distributiva. È stato chiesto ai giovani intervistati di indicare tra sette diversi criteri, quello a cui dovrebbe essere prioritariamente legata la retribuzione (tab. 3 .4) . Il criterio del rendimento ottiene il maggiore consenso con oltre una quarto del totale delle indicazioni. Al secondo posto si colloca il criterio della responsabilità, seguito dal riconoscimento dell'esperienza e della preparazione tecni­ca. Questi tre criteri, che assorbono quasi il 70% del to­tale delle risposte, esprimono quindi una concezione ab­bastanza unitaria, che privilegia la produttività, l' efficien­za, la professionalità e la condivisione degli obiettivi aziendali, cioè la capacità del lavoratore di rispondere

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TAB. 3 .4. Opinioni sui criteri retributivi (%)

Dovrebbe essere pagato maggiormente chi:

Rende di più Ha più responsabilità Ha più esperienza e preparazione tecnica Fa un lavoro più faticoso Ha più bisogno, una famiglia più numerosa Ha studiato di più Ha più anzianità Non so

N = 1 .476

26,4 2 1 ,3 20,3 1 1 ,8 9,6 3 ,1 0,5 7,0

alle esigenze produttive dell 'impresa o ai bisogni del con­sumatore. Gli altri criteri, tutti slegati dal risultato, come la fatica, il bisogno, il titolo di studio e l'anzianità, ricevo­no minore adesione, anche se in passato hanno rappre­sentato le linee fondamentali di una concezione diffusa nelle grandi fabbriche e tipica di una cultura operaistica ormai estranea al mondo giovanile.

Benché la graduatoria esposta in tabella 3 .4 rimanga abbastanza stabile tra gruppi di rispondenti con caratteri­stiche sociali diverse, e non mostri, ancora una volta, dif­ferenze significative di genere, la concezione legata alla produttività è relativamente più apprezzata tra i giovani di origine sociale elevata, dotati di più alto livello di istruzione, residenti nel Nord-Est. Al contrario chi vive nelle Isole, ha un basso titolo di studio e un'origine so­ciale modesta attribuisce maggiore rilevanza ai bisogni, alla fatica e al titolo di studio9.

Questi atteggiamenti sono abbastanza in linea con una visione tendenzialmente individualista che vede la so­lidarietà soltanto all'ottavo posto nella scala dei valori im-

9 Ad esempio, la responsabilità è indicata dal 54 , 1 % dei giovani con alto livello di istruzione nel Nord-Est, contro 1' 1 1 ,4 % dei giovani con basso livello di istruzione nelle Isole. La fatica è indicata dal 3 7 , l % dei giovani con bassa istruzione nelle Isole, contro il 5,4% dei giovani con alta istruzione nel Nord-Est.

·

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T AB. 3 .5 . Opinioni sulle cause della disoccupazione giovanile (%)

La disoccupazione giovanile è considerata D'accordo Non so Non un problema importante nella società ita- d'accordo li an a. Lei è d'accordo o non con le affer-mazioni elencate di seguito?

Il governo non affronta seriamente il pro-blema 70,1 17,3 12,6 L'economia italiana non offre un posto di lavoro a tutti coloro che vogliono lavorare 63,5 9,9 26,6 La preparazione professionale dei giovani è inadeguata 56,4 14,5 29,1 Il progresso tecnologico riduce i posti di lavoro 47,9 9,5 42,6 I sindacati tutelano soltanto coloro che sono già occupati 45,4 36,0 18,6

portanti, dopo il divertimento, mentre l'eguaglianza so­ciale è indicata al decimo posto, dopo il tempo libero. Coerentemente con questa visione la difesa degli interessi in ambito lavorativo, attraverso la partecipazione a forme di azione collettiva, viene praticata soltanto dall'8,2 % dei lavoratori indipendenti, dal 5 , 1 % dei dipendenti stabili, dal 4,0% di coloro che svolgono lavori occasionali e dall' l ,5 % di chi cerca un primo lavoro.

In Italia la cultura del lavoro è tradizionalmente colle­gata alla visione della disoccupazione, alle sue cause e ai suoi rimedi. Poiché i giovani sono stati particolarmente esposti ad essa a cominciare dalla fine degli anni Settanta, può essere interessante analizzare cosa essi ne pensino. Nel campione complessivo i giovani disoccupati o in cer­ca di un primo lavoro sono il 10,6% del totale, in sensibi­le diminuzione rispetto alla precedente edizione dell'inda­gine ( 14 ,0%) . Questa proporzione presenta ampie varia­zioni territoriali, che vanno da un minimo del 3 ,2 % nelle aree del Nord-Est a un massimo del 2 1 ,2% nelle Isole. Il giudizio sulla disoccupazione, le relative cause e responsa­bilità, rappresentano quindi un importante aspetto del­l'immagine giovanile del lavoro. In tabella 3 .5 vengono ri­portate le opinioni relative ad alcune cause della disoccu­pazione giovanile. La convinzione più diffusa, con oltre il

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70% di risposte, riguarda le responsabilità del governo. Per la maggior parte dei giovani intervistati il governo non affronta seriamente il problema della disoccupazione giovanile. Se confrontata con le altre risposte, questa con­vinzione implica l'idea di una mancata volontà politica, che ha come presupposto implicito l'opinione che il go­verno abbia realmente il potere di intervenire efficace­mente. La seconda convinzione più diffusa ha invece un carattere fatalista, poiché ritiene che l'economia italiana non sia comunque in grado di raggiungere condizioni di pieno impiego, a differenza di quella di altri paesi. Le al­tre cause, attribuite alla inadeguata preparazione profes­sionale offerta ai giovani e al progresso tecnologico che distrugge posti di lavoro, incontrano minore consenso, come pure l'idea che la responsabilità della disoccupazio­ne giovanile debba essere attribuita ai sindacati.

L'idea che il governo non affronti seriamente il pro­blema è più diffusa al Sud (80,2%) che al Nord-Est (57 , l % ) , dove rimane però maggioritaria 10. La posizione fatalistica dell'incapacità dell'economia nazionale di crea­re posti di lavoro è ancora più differenziata per zona geo­grafica (44,0% nel Nord-Est e 82,5 % nelle Isole) . L'opi­nione che la disoccupazione dipenda anche da una inade­guata preparazione professionale è relativamente più dif­fusa proprio tra i giovani con elevato livello di istruzione, al Sud e tra gli intervistati di origine sociale elevata. L'immagine negativa del progresso tecnologico è invece più diffusa tra i giovani con basso livello di istruzione. Infine, l'idea che i sindacati tutelino soltanto coloro che sono già occupati è relativamente più diffusa tra i giovani istruiti, di origine sociale elevata1 1 e, anche in questo caso, tra gli intervistati che vivono al Sud.

IO Una corretta valutazione delle risposte deve tenere conto del fatto che la domanda rivolta agli intervistati riguarda la disoccupazio­ne a livello nazionale, non quella specifica dell'area in cui essi vivono e lavorano.

I l Inoltre, questa convinzione diviene maggioritaria oltre i 25 anni di età.

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3 . Strategie di offerta del lavoro

La dinamica del lavoro giovanile è soggetta a due tipi di fattori, uno strutturale e l'altro congiunturale. Il primo esercita effetti di lungo periodo, da un lato influenza la propensione all'offerta attraverso la crescita progressiva del titolo di studio, sia maschile che femminile, e la ten­denza a rimandare l'entrata stabile nel mercato del lavo­ro, dall'altro induce una domanda sempre più orientata al settore dei servizi, sia alle imprese che alle famiglie, in­ducendo una crescente flessibilità degli impieghi e inco­raggiando forme di lavoro atipico12• Il secondo esercita effetti di breve periodo e può influenzare la possibilità immediata di trovare lavoro. La fine degli anni Novanta ha visto una ripresa della congiuntura economica e una diminuzione dei tassi ufficiali di disoccupazione. Anche questo andamento, registrato fedelmente nel campione lARD del 2000, contribuisce a incoraggiare in modo cicli­co una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, gon­fiando la proporzione dei rapporti di lavoro atipico sul totale dell'occupazione nei periodi di espansione e con­traendola nei periodi di recessione.

Poiché la flessibilità è concentrata essenzialmente sul segmento giovanile della forza lavoro, i giovani intervista­ti si sono giovati di una situazione più favorevole di quel­la degli anni precedenti, ma sono ora più esposti alle flut­tuazioni dell'economia. Come mostrano i più recenti dati lSTAT (tab. 3 .6), le nuove forme di lavoro atipico rappre­sentano il 14,7 % dell'occupazione totale e negli ultimi sei

12 Le forme di lavoro atipico vengono di solito definite in con­trapposizione con il lavoro subordinato standard, che comporta con· tratti a tempo indeterminato e a tempo pieno. Si tratta quindi di for· me molto eterogenee che vanno dal part·time ai contratti a tempo de· terminato, come quelli stagionali, per la sostituzione di lavoratori tem­poraneamente assenti, i contratti formativi, i lavori sussidiari dallo Sta­to, il lavoro interinale. A queste forme di lavoro dipendente vengono assimilati i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e le diverse forme di lavoro autonomo parasubordinato.

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TAB. 3 .6. Indicatori di flessibilità del mercato per classi di età degli occupati (%)

Classi di età: Lavora tori a tipici Variazione Tasso Variazione su totale occupati assoluta di turnover assoluta

nel 1999 1 999-1993 " 1999-1993

15-24 anni 30,6 12,2 101,6 14,1 25-34 anni 17,5 7,0 36,7 6,4 35 anni e più 1 1 ,4 3 ,7 12,0 -0,9

N 14,7 5 ,3 26,6 1 ,0

Nota: •'; Numero di persone entrate nell'occupazione e uscite dall'occupa­zione per l 00 occupati.

Fonte: Adattato da IsTAT, Rapporto annuale 1999, pp. 257 e 272 .

anni (dal 1993 al 1999) sono cresciute di 5,3 punti per­centuali assoluti. Questa dinamica non appare veloce quanto quella degli altri principali paesi europei, che hanno anche iniziato la trasformazione molto prima. Inol­tre essa non è generata dalla conversione di preesistenti rapporti di lavoro standard in rapporti atipici, ma piutto­sto dal processo di turnover occupazionale, per cui i nuo­vi posti di lavoro vengono regolati in gran parte mediante forme contrattuali atipiche, mentre vengono progressiva­mente distrutti i posti di lavoro originariamente regolati da rapporti standard. Questo processo è ben evidenziato nelle prime tre righe della tabella.

Tra i più giovani ( 15 -24 anni) il peso dei rapporti ati­pici supera il 30% e la dinamica espansiva degli ultimi sei anni è stata quasi quattro volte superiore a quella de­gli adulti (35 anni e più) . Il tasso di turnover13 dei più giovani è oltre otto volte quello delle classi di età più ele­vata, mentre la classe dei giovani tra 25 e 34 anni si trova in una situazione intermedia. La variazione di questo tas­so negli ultimi sei anrii vede inoltre una progressiva diva-

13 Il tasso di turnover è calcolato dall'ISTAT come la percentuale di persone che nell'arco dell'anno sono entrate nell'occupazione o sono uscite dall'occupazione sul totale degli occupati.

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TAB. 3 .7 . Condizione professionale dei rispondenti (15·29 anni, %)

1996 2000

Dipendenti a tempo determinato 20,9 16,1 Dipendenti non stabili 9,0 1 1 ,9 Indipendenti 8,5 13 ,0 Disoccupati 8,6 6,2 In cerca di prima occupazione 5 ,4 5,3 T o tale senza lavoro 14,0 1 1 ,5 T o tale attivi 52,4 52,5 Studenti con impieghi occasionali 6,9 4,0 Studenti a tempo pieno 37,6 4 1 ,3 Casalinghe 3,2 2,2

N 2.500 2.297

ricazione tra giovani e «adulti», che invece riducono il tasso di turnover, sia pure in misura modesta.

Le trasformazioni del mercato del lavoro rilevate dal­l'ISTAT sono rispecchiare nelle variazioni dei campioni IARD del 1996 e del 2000, resi omogenei per gruppi di età. Dalla tabella 3 .7 emerge una riduzione della propor­zione di occupati con rapporti di lavoro subordinato standard e un aumento dei dipendenti non stabili e degli indipendenti. Di contro, come già accennato, si riduce il numero dei disoccupati che hanno perso un precedente lavoro e, in modo frazionale, di coloro che cercano un la­voro per la prima volta. Complessivamente il peso degli attivi sul totale non muta, mentre continua a crescere il numero dei giovani che prosegue gli studi e diminuisce il numero delle giovani donne non disponibili a lavorare sul mercato (le casalinghe) .

Nel paragrafo introduttivo abbiamo visto come l'esperienza del lavoro sia diffusa tra i giovani e come, spesso attraverso nuove forme contrattuali e modalità oc­cupazionali inedite, i giovani affrontino un mercato del lavoro più flessibile e adottino strategie di maggiore mo­bilità rispetto al passato. Questa condizione emergente vale non solo dal lato dell'offerta di lavoro, ma anche dal lato della domanda. I risultati dell'indagine mostrano in-

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TAB. 3 .8. Motivi del rifiuto di offerte di lavoro ricevute negli ultimi sei mesi (ri­sposte % multiple)

Motivi:

Il lavoro offerto era peggiore di quello che già svolgo Il lavoro offerto non dava garanzie di continuità Il lavoro offerto era pagato troppo poco Il lavoro offerto era incompatibile con i miei impegni familiari Il luogo di lavoro era troppo distante dalla mia abitazione Il lavoro offerto era noioso e/o ripetitivo Il lavoro era in nero La mia preparazione era inadeguata ai compiti richiesti Il lavoro offerto era troppo pesante

N

26,9 26,6 24,0 18,1 14,6 12,2 10,5 6,4 5,9

591

fatti una crescente richiesta di prestazioni rivolte ai giova­ni da parte delle aziende, tanto che questi sono spesso in grado di selezionare le occasioni che ritengono migliori o più convenienti, in termini di qualità del lavoro, remune­razwne e sicurezza.

Il 18,7 % degli intervistati dichiara di avere rifiutato offerte di lavoro ricevute durante gli ultimi sei mesi. Questa percentuale appare piuttosto elevata, se si tiene conto che si riferisce ad una durata di tempo relativa­mente breve. I motivi del rifiuto, riportati in tabella 3 .8, sono numerosi, ma possono essere ricondotti a due fatto­ri principali: i giovani non accettano perché il posto di lavoro offerto non è comparativamente migliore di quello che già ricoprono oppure si tratta di occasioni insoddi­sfacenti sotto il profilo della qualità, della retribuzione o della sicurezza e stabilità. Anche nelle regioni a più eleva­to tasso di disoccupazione, una proporzione non trascu­rabile di giovani si mostra poco propensa ad accettare la­vori mal pagati, troppo distanti dall'abitazione o giudicati pesanti o noiosi. .

In particolare al Nord, oltre il 24% degli intervistati si è trovato in posizione di poter rifiutare un'offerta di la­voro durante gli ultimi sei mesi. Questa percentuale si di­mezza al Sud e nelle Isole, ma rimane comunque presen­te. I motivi del rifiuto al Sud sono principalmente dovuti

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all'offerta di lavori in nero (37 ,8%) . La scarsa qualità del lavoro non incontra invece particolare contrarietà tra i giovani di origine sociale elevata. La condizione sociale dei giovani di origine modesta, che lasciano presto la scuola, è infatti determinata fin dall'inizio dalla loro col­locazione sul mercato del lavoro e l'accettazione di occu­pazioni di bassa qualità, mal pagati e precari comporta spesso per loro l'attribuzione di uno scarso riconoscimen­to sociale nella cerchia di appartenenza. Al contrario i giovani di origine sociale elevata, che proseguono gli stu­di, sanno che la loro futura collocazione sociale non di­pende dalla disponibilità attuale a svolgere un lavoro pre­cario. Essi non mettono quindi in gioco la loro immagine sociale quando accettano lavoretti provvisori, che posso­no anzi testimoniare il loro spirito di iniziativa e autono­mia presso amici e conoscenti.

Se ora concentriamo l'attenzione sui giovani occupati, possiamo riassumere la situazione sottolineando come su quattro lavoratori, soltanto due abbiano un rapporto di lavoro subordinato stabile, uno ricopra una posizione in­dipendente e un altro sia titolare di un contratto di lavo­ro a termine o instabile. Questa instabilità non deve esse­re interpretata necessariamente come un sintomo di de­bolezza dell'offerta di lavoro giovanile sul mercato. È sta­to chiesto agli intervistati se troverebbero un altro lavoro in zona, in caso di perdita dell'attuale occupazione. Sol­tanto il 18,9% dichiara che avrebbe serie difficoltà a tro­vare un altro lavoro, mentre il 3 7 ,4 % ritiene di poterlo trovare abbastanza facilmente. Il restante 43 ,7 % ne tro­verebbe comunque un altro, anche se con qualche diffi­coltà. Naturalmente le opinioni su questo aspetto variano molto a seconda dell'area geografica di residenza (tab. 3 .9) . Nelle regioni del Nord-Est oltre la metà degli inter­vistati troverebbe facilmente un altro posto, mentre nelle Isole la proporzione si riduce drasticamente al 17 ,4% . All'opposto, chi ritiene che andrebbe incontro a serie dif­ficoltà nel trovare un'occupazione alternativa scende all'8,9% nel Nord-Est e quadruplica nelle Isole (36,1 %) .

Il successo nel reperimento di un posto di lavoro di-

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TAB. 3 .9. Se lei perdesse l'attuale lavoro, pensa che ne troverebbe un altro in zona? (%)

Nord- Nord- Centro Sud Isole Totale Ovest Est

Sì, abbastanza facilmente 40,9 52,8 37,9 24,2 17,4 37,4 Sì, con qualche difficoltà 46,6 38,3 43,9 43 ,8 46,5 43,7 È molto difficile 12,5 8,9 18,3 32,0 36,1 18,9

N 455 337 301 306 144 1.543

pende quindi principalmente dalla regione di residenza. Riemerge quindi la crucialità delle differenze territoriali della penisola, che originano diversi mercati del lavoro, tra loro scarsamente comunicanti. Nonostante le fortissi­me diseguaglianze territoriali, la propensione dei giovani a spostarsi in altre regioni per trovare lavoro rimane mo­derata, soprattutto al Sud. L 'edizione 2000 dell'indagine mostra infatti che la proporzione di giovani disposti a trasferirsi in un altro comune, per accettare un lavoro in grado di migliorare la propria situazione, è complessiva­mente inferiore a quella del 1996 (54,9% contro 57,9%) . Inoltre ad un aumento della propensione alla mobilità dei giovani del Nord-Est (+8,5 %) , corrisponde un calo particolarmente accentuato da parte dei giovani del Cen­tro (-1 1 ,8 % ) e delle Isole (-1 1 ,6%) . Questo calo della propensione a trasferirsi deve essere interpretato in fun­zione del miglioramento della condizione occupazionale dei giovani anche al Sud, in un contesto in cui la disoc­cupazione non è grave, cioè non comporta diffusi pro­blemi di sussistenza materiale, anche grazie alla maggiore presenza di occupazioni saltuarie e parziali, come è stato sottolineato in precedenza.

L 'accesso ad un mercato del lavoro più flessibile, ma caratterizzato da una persistente segmentazione territoria­le avviene soprattutto attraverso l'utilizzo di relazioni per­sonali (amici, conoscenti, genitori e parenti) , in analogia del resto con gran parte dei paesi industrializzati (tab. 3 . 10) . Benché molti continuino ad iscriversi all'Ufficio di

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TAB. J.lO. Le modalità di ricerca di un lavoro (% relative a coloro che stanno cercando un lavoro)

Modalità: 2000 1996 1992

Ho chiesto aiuto ad amici e conoscenti 64,2 Mi sono iscritto all'Ufficio di Collocamento 63,3 61 ,2 57,6 Ho chiesto aiuto a genitori e parenti 5 1 , l Ho scritto alle aziende 40,1 38,3 33 ,5 Ho partecipato ad un concorso 29,6 39,8 38,6 Ho risposto ad un annuncio 28,3 4 1 ,6 30,8 Ho fatto visita personalmente alle aziende 26,3 2 1 ,5 23,8 Mi sono rivolto ad un centro di orientamento 2 1 ,9 10,2 8,8 Ho chiesto aiuto ad una persona influente 20,1 19,7 17,5 Mi sono rivolto ad una agenzia privata di collocamento 1 1 ,9 4,5 Ho messo un annuncio sui giornali 9,1 9,1 6,0 Ho chiesto aiuto alla scuola/Università frequentata 7,8 2 1 ,5 23 ,8

collocamento, come vedremo, questa modalità non ha ef­ficacia nel trovare un posto di lavoro. Acquistano invece importanza le modalità che implicano spirito di iniziativa individuale, come scrivere o fare visita alle aziende, men­tre perde importanza la partecipazione a concorsi pubbli­ci, anche a causa del rallentamento delle assunzioni nel settore pubblico. L'utilizzo di agenzie di collocamento o di orientamento al lavoro (pubbliche o private) è ancora minoritario nel contesto italiano, ma mostra una forte crescita negli anni Novanta.

Nonostante il grado di attivismo espresso dai giovani intervistati e la varietà dei modi di ricerca di un posto di lavoro, i risultati dell'indagine confermano che i legami familiari, di amicizia e conoscenza rimangono la modalità più efficace per trovare lavoro, a prescindere dall'età del giovane, dal tipo di professionalità offerta, dal genere e dall'area geografica di appartenenza (tab. 3 . 1 1 ) .

Questa situazione, simile del resto a quella degli altri maggiori paesi industrializzati, è spiegabile con la natura altamente fiduciaria che il rapporto di lavoro assume nel­le economie post fordiste. Al lavoratore si richiedono non solo competenze astratte e un bagaglio professionale spe­cifico, ma anche affidabilità, predisposizione a collabora­re, spirito di iniziativa, volontà di apprendere, consenso e

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T AB. 3 . 1 1 . Modalità di reperimento dell'attuale lavoro

Modalità:

L'aiuto di amici o conoscenti L'aiuto di genitori e parenti Rispondendo ad un annuncio o visitando l'azienda Il lavoro mi è stato offerto Partecipando ad un concorso Ho avviato un'attività in proprio Mettendo un annuncio su un giornale Tramite l'aiuto della scuola/Università Attraverso l'Ufficio di Collocamento Rivolgendomi ad un agenzia privata

Totale occupati

N. casi

276 181 163 100 83 68 59 30 23 10

993

%

26,5 17,4 15,6 9,6 8,0 6,5 5,7 2,9 2,2 1 ,0

100,0

condivisione dei problemi. È difficile per un'azienda assi­curarsi che il giovane aspirante possieda almeno in parte le caratteristiche motivazionali e relazionali sopra citate, perché non sono certificabili in modo formale. Da qui la necessità di certificazioni informali, basate sulla cono­scenza comune di persone di fiducia che garantiscano per entrambe le parti. Queste certificazioni informali funzio­nano ovviamente in un mercato del lavoro locale in cui «tutti si conoscono direttamente o attraverso comuni amici e conoscenti» e rappresentano invece un serio osta­colo per coloro che provengono da altre regioni. I giova­ni che vogliono trasferirsi dal Sud al Nord rischiano quindi di perdere il patrimonio locale di legami persona­li, necessario ad ottenere segnalazioni di lavoro e a garan­tire la loro serietà e competenza, e rischiano di diventare anomm1 cercatori, senza credenziali, una volta trasferiti lontano dal luogo delle relazioni di conoscenza in cui sono cresciuti.

Le diverse modalità di ricerca e segnalazione che han­no avuto successo nel trovare un'�ccupazione permetto­no di chiarificare meglio il funzionamento del mercato del lavoro giovanile a livello territoriale. Al Nord le carat­teristiche di un mercato del lavoro più flessibile e aperto, che offre maggiori opportunità per i giovani, incoraggia­no strategie di ricerca individuale (mettere annunci su

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giornali, contatti diretti con le aziende) e rendono meno rilevante l'intervento di parenti, amici e conoscenti. Que­sto intervento riguarda comunque il 3 7 ,5% del totale nel­le aree settentrionali, contro il 50,2 % nelle regioni meri­dionali. Al Nord perfino l'ufficio di collocamento, le scuole e le Università sono relativamente più efficaci nel­l' assicurare un lavoro, mentre funzionano molto meno al Sud, dove l'intervento pubblico sarebbe più necessario.

Le modalità di ricerca del lavoro sono significativa­mente differenti anche a seconda della classe sociale di appartenenza. I giovani che provengono da famiglie con attività in proprio trovano nella famiglia e nei parenti la principale occasione di lavoro. Tra i giovani di classe so­ciale elevata sono anche relativamente più frequenti i casi in cui l'intervistato si mette in proprio, grazie alla dispo­nibilità di un capitale iniziale. In generale, i giovani di origine sociale modesta e con livello di istruzione basso si mostrano meno attivi nella ricerca del lavoro e fanno principalmente affidamento sulle conoscenze, le amicizie e l 'aiuto di genitori e parenti.

Questi risultati rimangono abbastanza stabili nel tem­po, poiché non mostrano sostanziali cambiamenti rispetto all'indagine di quattro anni prima, a parte alcune diffe­renze minori che possono essere attribuite alla parziale ti­formulazione delle risposte nel testo dell'intervista.

Per completare l'analisi dell'offerta di lavoro bisogna tenere conto anche dei giovani non occupati e che hanno deciso di non cercare lavoro, il 32 ,2 % del totale degli in­tervistati. Si tratta ovviamente in grandissima parte di studenti che hanno deciso di impegnarsi a tempo pieno nello studio (24,0%) . Solo una minoranza trascurabile, più concentrata nelle regioni meridionali e tra le famiglie di modesta origine sociale, adotta strategie di rinuncia che in parte rispondono al cosiddetto fenomeno dello scoraggiamento, cioè la posizione di chi non cerca nep­pure, nella convinzione di non riuscire a trovare lavoro (3 ,2 % ) .

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4 . Le preferenze lavorative

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto che i giovani sono ormai abituati a muoversi in un mercato del lavoro molto più flessibile di una volta, che induce frequenti cambiamenti di posto di lavoro e tipo di contratto. Le loro possibilità di carriera non sono più legate alla pro­gressione gerarchica in un'organizzazione di tipo buro­cratico, come fino agli anni Ottanta potevano essere le fabbriche fordiste, i grandi centri direzionali e le sedi im­piegatizie, pubbliche e private, le sedi di banche, assicu­razioni e ministeri. Oggi le possibilità di carriera devono essere cercate sul mercato, passando da un rapporto di lavoro all'altro, in cerca di una progressiva stabilità e di una crescita professionale basata sull'esperienza acquisita in vari ambienti. Se è vero che i due aspetti più impor­tanti del lavoro sono il reddito e le opportunità di cresci­ta professionale, mentre la sicurezza viene soltanto al ter­zo posto, è anche vero che questa situazione, che si è ge­neralizzata durante l'ultimo decennio, ha significativa­mente modificato le preferenze dei giovani, i quali mo­strano chiaramente di percepire la loro posizione di rela­tiva marginalità sul mercato, ma non la vivono con parti­colare preoccupazione ·o pessimismo.

Questa nuova condizione viene gestita in modo attivo con una serie di strategie basate sull'adattabilità. Gran parte degli intervistati è cosciente della prowisorietà del­l'attuale occupazione: meno del 20% considera sicura­mente definitivo il posto di lavoro, un altro 3 3 ,8% ha qualche dubbio in proposito, mentre il rimanente 44 ,4% è incerto e considera prowisoria l'attuale situazione. Tut­tavia, con l'aumento dell'anzianità lavorativa l' occupazio­ne svolta viene considerata definitiva da una proporzione progressivamente crescente di intervistati.

Nei primi tre anni di esperienza lavorativa quasi la metà dei giovani ritiene prowisorio l'attuale rapporto di lavoro. Tra quelli che hanno maturato un'anzianità supe­riore a 13 anni questa percentuale scende al di sotto del 20% . La figura 3 .2 mostra tuttavia significative differenze

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50 45 40 35 30 25 20 15 10

Fino a 3 Da 4 a 5 Da 6 a 9 Da 10 a 13 14 e più Nord -- Sud

FIG. 3 .2 . Proporzione di giovani occupati che considera prowisoria l'attuale occupazione, per anni di anzianità di lavoro e area geografica (%) .

tra regioni settentrionali e meridionali. Mentre i primi anni di lavoro corrispondono a occupazioni più provviso­rie al Nord, oltre i tre anni di anzianità la situazione si inverte: al Sud i giudizi di provvisorietà scendono più lentamente; al Nord i giovani che esprimono un giudizio di persistente provvisorietà del posto di lavoro diminui­scono con una progressione molto più veloce. Oltre i 13 anni di anzianità i giovani in condizione di provvisorietà sono oltre il doppio al Sud rispetto al Nord.

La sicurezza del posto non viene più perseguita ricer­cando fin dall 'inizio un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, come avveniva una volta, soprattut­to nelle regioni meridionali. È interessante notare che il lavoro autonomo viene più frequentemente considerato definitivo rispetto al lavoro dipendente, ma anche le varie forme di lavoro parasubordinato non vengono considera­te sempre e comunque provvisorie, poiché spesso rappre­sentano una scelta giudicata migliore di altre per coloro che hanno spirito di iniziativa e sono in grado di offrire competenze richieste sul mercato14•

Nelle diverse edizioni dell'indagine è emersa in modo

14 Il 30,3 % degli intervistati che lavorano in base ad un rapporto di lavoro di questo tipo considera definitiva la propria situazione.

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costante la predilezione dei giovani per il lavoro autono­mo, inteso come lavoro ideale che offre maggiore autono­mia, migliori opportunità di realizzazione per chi ha spi­rito di iniziativa, o addirittura possibilità di promozione sociale per i giovani di origini modeste. Esso può assicu­rare buoni guadagni, rispetto al lavoro dipendente, consi­derato più monotono, anche se tradizionalmente più sicu­ro. In sostanza gli intervistati tendono a condividere un'immagine in qualche modo idealizzata del lavoro au­tonomo e ne sottovalutano le difficoltà di avviamento e l'incertezza dei risultati. Il lavoro in proprio è infatti maggiormente apprezzato tra gli studenti che non hanno ancora maturato un'esperienza lavorativa e tra i giovani meno istruiti. Inoltre l'apprezzamento diminuisce signifi­cativamente al crescere dell'età15•

Tuttavia, come emerge dai dati della tabella 3 . 12 , l'edizione 2000 dell'indagine mostra un notevole calo del­la preferenza per il lavoro autonomo e una modesta ri­presa di interesse per il lavoro dipendente, proprio quan­do esso ha perso buona parte della sua tradizionale sicu­rezza. Aumenta invece la proporzione degli indecisi e di coloro che subordinano la scelta ad una serie di condizio­ni concrete che dovrebbero essere esplicitate per poter prendere posizione. In sostanza, la situazione del mercato del lavoro che si è sviluppata negli ultimi anni rende meno netta l'alternativa tra lavoro autonomo e lavoro di­pendente, a causa deJla diffusione di rapporti di lavoro intermedi o misti16 . E opportuno sottolineare però che sono proprio i lavoratori parasubordinati a desiderare maggiormente di mettersi in proprio. Ciò significa che il

15 Tra i minorenni la preferenza per il lavoro in proprio è più che doppia rispetto al lavoro dipendente, mentre tra i trentenni le due opzioni si avvicinano molto (39,7 % a favore del lavoro autonomo e 36,6% a favore del lavoro dipendente).

16 Oltre alla diffusione di prestazioni coordinate e continuative, senza vincolo di subordinazione e forme di lavoro parasubordinato, abbiamo visto nel primo paragrafo del capitolo che molte forme di la­voro autonomo nascondono di fatto rapporti subordinati.

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T AB. 3 . 12 . Preferenza per un lavoro autonomo o alle dipendenze (%, 15-29 annz)

2000 1996

Lavoro in proprio 47,5 53,3 Lavoro dipendente 30,6 28,7 Non so, dipende 2 1 ,9 1 8,0

N 2.297 2.500

loro modello ideale non risponde al bisogno di sicurezza tipico del lavoro dipendente, ma comprende invece il pieno sviluppo dell'autonomia e dello spirito di iniziativa da essi sperimentati con il lavoro atipico.

Le risposte adattive dei giovani possono darci un'idea precisa della loro disponibilità ad essere flessibili . Una domanda dell'intervista riguarda in particolare la disponi­bilità ad accettare di lavorare per uno o due anni con uno stipendio ridotto anche del 30% rispetto alle condizioni standard, per fare esperienza pratica e imparare bene un nuovo lavoro o per migliorare la preparazione e l' espe­rienza già possedute. Le risposte affermative superano la maggioranza assoluta e si concentrano maggiormente nel­le regioni a più elevata disoccupazione giovanile. In gene­rale i più giovani e i più istruiti sono più disponibili. Le ragazze accetterebbero volentieri una riduzione della re­tribuzione in cambio di una crescita professionale, ma sono meno disposte a trasferirsi lontano da casa per rea­lizzare questa possibilità. Ancora una volta, atteggiamenti particolarmente disponibili vengono espressi dai giovani occupati con contratti di lavoro parasubordinato.

In sostanza gli atteggiamenti degli intervistati riguar­do alle preferenze lavorative ripropongono quella centra­lità del lavoro, che la letteratura degli anni Ottanta aveva negato. In particolare si era supposto erroneamente che la cultura giovanile esprimesse un rifiuto del lavoro, asso­lutizzato come tipico di una società post-industriale, do­minata da valori post-materialistici, che pongono i com­portamenti di consumo e la qualità del tempo libero al centro degli interessi delle nuove generazioni.

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Come evidenziato in precedenza, i giovani mostrano invece di riscoprire l'importanza del lavoro come princi­pale mezzo per perseguire adeguatamente i progetti im­portanti della vita, legati alla famiglia, alla vita di coppia e all'amicizia. Conseguentemente essi cercano di integrar­si progressivamente in un mondo del lavoro meno imper­meabile che in passato. Questa integrazione awiene attra­verso il perseguimento di una maggiore sicurezza, conti­nuità e durata della prestazione. Per questa ragione, alla domanda se preferiscano guadagnare meno lavorando meno o lavorare di più per guadagnare di più, la maggio­ranza preferirebbe lavorare di più (44,5%) , mentre sol­tanto il 17 ,4 % preferirebbe lavorare meno. I giovani che vorrebbero lavorare più a lungo per aumentare il guada­gno sono ovviamente quelli che occupano posizioni mar­ginali e si sentono meno integrati nel mondo del lavoro: i giovani con minore anzianità lavorativa, quelli occupati con contratti di lavoro atipico, quelli che vivono in regio­ni a più elevato tasso di disoccupazione, quelli meno istruiti, quelli che guadagnano meno e lavorano ad orario ridotto. Per la stessa ragione gran parte dei giovani a part-time17 , preferirebbe lavorare ad orario pieno per gua­dagnare di più, comprese le femmine.

5 . La qualità del lavoro

Una caratteristica emergente della quinta indagine IARD è costituita dallo spostamento della problematica del lavoro giovanile dalla disoccupazione alla precarietà. I giovani entrano più facilmente nel mondo del lavoro, ma si devono spesso accontentare di occupazioni marginali e meno sicure di una volta. Il ruolo giocato dalle politiche del lavoro in questa trasformazione è riconosciuto da

17 I giovani che nel mese precedente l'intervista hanno lavorato mediamente meno di 26 ore settimanali rappresentano il 17,2 % del totale, più specificamente il 26,9% delle femmine e il 9,7 % dei ma· schi.

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molti osservatori e studiosi, i quali però si dividono sul giudizio dato agli esiti. Alcuni riconoscono che i provve­dimenti tendenti a rendere flessibili i rapporti di lavoro e a differenziare i contratti hanno permesso di contrastare efficacemente la disoccupazione giovanile, riducendo le barriere all'entrata erette da un sistema troppo rigido che disincentivava gli imprenditori ad assumere, esponendoli poi al rischio di non poter licenziare. Per i favorevoli, le nuove opportunità di occupazione giovanile rispondono non solo ad un'esigenza tipica della società dei servizi, che moltiplica le opportunità di lavoro non standard, temporaneo, parziale, da svolgersi in orari atipici e di­scontinui, ma anche dei giovani, sempre meno propensi a rimanere legati a vita allo stesso posto di lavoro. Per gli sfavorevoli la riduzione della disoccupazione è stata dura­mente pagata con un peggioramento della qualità del la­voro. Secondo costoro, i vantaggi occupazionali sono effi­meri, mentre il peggioramento delle condizioni contrat­tuali è destinato ad allargarsi dai giovani agli adulti.

I risultati dell'indagine IARD permettono di chiarifica­re alcuni aspetti della questione. Come abbiamo visto, i tassi di disoccupazione sono diminuiti rispetto a quattro anni prima, mentre il problema della qualità del lavoro può essere affrontata sulla base di due indicatori, uno soggettivo, rappresentato dal grado di soddisfazione degli intervistati per il lavoro svolto, l'altro relativo al grado di stabilità del lavoro e soprattutto alla possibilità di stabi­lizzare il rapporto di lavoro con il tempo.

La tabella 3 . 13 mostra che negli ultimi quattro anni il livello di soddisfazione nei confronti dell'attuale lavoro ha subito significative modifiche. In particolare si assiste ad un calo dei giudizi estremi, sia positivi che negativi, a favore delle valutazioni più sfumate. Tutto sommato i soddisfatti aumentano di due punti, ma sono molto più tiepidi nel loro giudizio, mentre gli insoddisfatti si ridu­cono di oltre cinque punti, soprattutto quelli che espri­mono un giudizio radicalmente negativo.

Naturalmente la soddisfazione per il lavoro è maggio­re nelle regioni settentrionali, rispetto a quelle meridiana-

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T AB. 3 .13 . Livello di soddisfazione nei confronti dell'attuale lavoro (%)

2000 1996

Molto soddisfatto 24,4 3 1 ,3 Abbastanza soddisfatto 52,8 43 ,8 Non sa, non indica 5,3 1 ,8 Poco soddisfatto 15,0 15,2 Per nulla soddisfatto 2,5 7,9

N 1 .049 495

li18. I lavoratori autonomi sono più soddisfatti (34 ,0%) dei lavoratori dipendenti (25 ,4 %) e i meno soddisfatti sono i lavoratori atipici ( 17 ,2 %) .

La sicurezza del lavoro non dipende più dalle norme a garanzia del rapporto, come accadeva fino all'inizio de­gli anni Novanta, ma da un più libero incontro tra do­manda e offerta sul mercato del lavoro. Il giovane poco qualificato, che offre le proprie prestazioni in un'area ca­ratterizzata da alta disoccupazione, è destinato a subire condizioni contrattuali sfavorevoli, che lo condannano per lungo tempo alla precarietà. Il giovane con un baga­glio professionale richiesto in un'area a bassa disoccupa­zione può invece giovarsi di una vera e propria concor­renza che le aziende devono farsi per assicurarsi le sue prestazioni. In queste condizioni favorevoli diventa molto probabile per il giovane ottenere una stabilità del posto, dopo un periodo di prova favorevole, perché le imprese hanno bisogno di assicurarsene la fedeltà.

Questi meccanismi sono evidenti dai dati a disposi­zione, come mostra la tabella 3 . 14, dove sono illustrati i passaggi dalla condizione contrattuale del primo lavoro svolto a quella del lavoro attuale per tutti i giovani occu­pati del campione. Dalla tabella, che evidenzia la distri-

18 Riemerge la contrapposizione tra Nord-Est dove il 29,9% di intervistati dichiara di essere molto soddisfatto e Isole, dove la percen­tuale scende al 17,9%. Le altre aree si collocano su posizioni interme­die, a scalare man mano che dal Nord si passa al Sud.

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T AB. 3 . 14 . Rapporto di lavoro attuale per tipo di rapporto della prima occupazio­ne (%)

Prima occupazione: Rapporto di lavoro attuale: Stabile Instabile Autonomo

Stabile 43,5 10,8 5,8 Instabile 9,3 13 ,8 4,6 Autonomo 1 ,5 2,0 8,7

N = 1 .382 750 369 263

Nota: Valori percentuali calcolati sulle singole celle.

Totale

83 1 382 169

100

buzione percentuale di ogni casella sul totale, emerge che a livello nazionale ormai soltanto il 43 ,5 % dei giovani oc­cupati inizia la propria carriera e la prosegue con un rap­porto di lavoro dipendente stabile e soltanto il 13 ,8% non riesce ad uscire dalla precarietà, anche se cambia la­voro. Oltre il 9% riesce invece a passare dal precariato alla stabilità, ma quasi l' 1 1 % perde la stabilità originaria. Chi inizia con un lavoro in proprio è invece destinato ad una maggiore stabilità di posizione, poiché oltre 1'80% di chi inizia come autonomo rimane nella stessa condizione. La tabella mostra anche che sono più frequenti le oppor­tunità di mettersi in proprio dopo una prima esperienza lavorativa alle dipendenze, mentre chi inizia come auto­nomo difficilmente ha occasione di essere successivamen­te assunto alle dipendenze. Questo andamento è verosi­milmente collegato con le preferenze giovanili per il lavo­ro in proprio.

Nonostante i limiti di un'analisi di questo tipo, che non è in grado di ricostruire l'intera carriera lavorativa degli intervistati, ma si limita a confrontare soltanto le prima esperienza con quella attuale, appare evidente che i giovani che rimangono intrappolati nel lavoro instabile e coloro che peggiorano la loro situazione iniziale - per­ché perdono stabilità passando dal lavoro dipendente o autonomo al precariato - rappresentano meno di un quarto del totale. La situazione lavorativa dei giovani non sarebbe quindi preoccupante se non fosse fortemente dif-

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T AB. 3 . 15 . Rapporto di lavoro attuale per tipo di rapporto della prima occupazio­ne (%)

Prima occupazione: Rapporto di lavoro attuale Stabile Instabile Autonomo Totale

Regioni settentrionali Stabile 52,2 8,8 8,4 504 Instabile 10,9 6,9 3 ,4 154 Autonomo 1 ,8 0,4 7,2 68

N = 726 47 1 1 17 138 100

Regioni meridionali Stabile 30,3 10,6 5 ,7 189 Instabile 6,7 19,7 10,8 151 Autonomo 1 ,0 1 ,2 14,0 66

N = 406 154 128 124 100

Nota: Valori percentuali calcolati sulle singole celle.

ferenziata tra regioni settentrionali e meridionali, come appare dalla disaggregazione dello stesso tipo di dati in tabella 3 . 15. Riemerge quindi la tradizionale contrapposi­zione tra due mercati del lavoro assolutamente diversi.

Al Nord, tra gli occupati quasi il 65 % ha un lavoro dipendente stabile e oltre la metà si è giovato fin dalla prima occupazione di un contratto di lavoro regolare. Ol­tre la metà dei giovani che iniziano la prima esperienza lavorativa con contratti di lavoro instabile (parasubordi­nato, partita IVA, contratti a termine, ecc. che rappresen­tano il 2 1 % del totale) riesce successivamente a stabiliz­zare il rapporto di lavoro. Il 19, l % di coloro che inizia­no a lavorare come autonomi, diventano in seguito di­pendenti stabili e meno del 5 % ricade nel precariato. Sul totale degli occupati, coloro che rimangono prigionieri del lavoro instabile sono soltanto il 6,9%. Si può affer­mare in sostanza che l'abolizione delle barriere all'entrata nel mondo del lavoro, ottenuta grazie all'introduzione di rapporti di lavoro atipici e flessibili, ha rappresentato al Nord un'occasione per i giovani, che riescono a stabiliz­zare il rapporto dopo un periodo iniziale di precariato.

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Al Sud il lavoro dipendente stabile è molto meno dif­fuso (3 7 ,9% del totale delle posizioni) mentre è più alta la quota sia di autonomi che di instabili. Il peso di questi ultimi è quasi doppio che al Nord. Anche la proporzione di coloro che stabilizzano la loro posizione occupazionale nell'arco della carriera lavorativa è molto più basso, men­tre la trappola della precarietà coinvolge quasi il 20% del totale dei giovani intervistati.

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PARTE TERZA

LA FAMIGLIA E LE RAPPRESENTAZIONI FAMILIARI

di Carla Facchinz; Francesca Sartori e Carmen Leccardi

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CAPITOLO PRIMO

LA PERMANENZA DEI GIOVANI NELLA FAMIGLIA DI ORIGINE

l . Premessa

Come molte ricerche hanno evidenziato, il passaggio verso la condizione adulta appare sempre più caratteriz­zato da una posticipazione di quasi tutti gli eventi lzfe­markers e dalla diffusione di un modello che prevede per i giovani un periodo di «moratoria» e, più in generale, una sostanziale reversibilità delle proprie scelte di vita [Garelli 1984; Cavalli e de Lillo 1993 ; Galland 1986; Ca­valli e Galland 1996; Donati e Colozzi 1 997 ; Scabini e Rossi 1997; Palomba 1999] ; in particolare si assiste ad un consistente aumento dell'età a cui avvengono matrimonio e nascita del primo figlio [De Sandre et al. 1997; 1999] .

In Italia, come noto, tale modello ha assunto caratteri del tutto peculiari in quanto la posticipazione del matri­monio non si è tradotta, come nei paesi nord-europei, in un aumento delle convivenze more-uxorio e delle single­ness, ma in un protrarsi della permanenza dei giovani nella famiglia d'origine.

Questo fenomeno, rilevato fin dalle prime ricerche IARD [Cavalli e de Lilla 1988; 1993 ] è quindi diventato, proprio per la sua consistenza demografica e per il rilievo sociologico assunto, uno .dei temi principali nello studio delle giovani generazioni.

Diversi i fattori ai quali si è fatto riferimento per spie­gare l'affermazione di tale modello. Alcuni di essi atten­gono a mutamenti di tipo economico-strutturale, altri pongono invece l'accento sui mutamenti di tipo culturale, sia per quanto riguarda i modelli dell'identità individuale, sia per quanto riguarda le relazioni tra generi e genera­zioni all'interno delle famiglie.

Per quanto riguarda i mutamenti degli scenari econo-

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miei, è appena il caso di ricordare che gli ultimi decenni hanno visto una crescente scolarizzazione e una conse­guente posticipazione dell'età a cui si accede al mercato del lavoro; a questi mutamenti, che rimandano sia alle trasformazioni del sistema socio-economico, sia all' affer­mazione di specifiche strategie familiari [Gambetta 1990; Ires 1996; Cavalli e Fa echini 200 l ] , si è aggiunta, negli ultimi anni, una crescente precarizzazione del mercato del lavoro, specie per le giovani generazioni . Come noto, infatti, la maggior parte degli inserimenti lavorativi avvie­ne attualmente mediante contratti a tempo determinato, o comunque in forme che rendono il lavoro assai meno «garantito» e sicuro rispetto a quanto non fosse prece­dentemente.

Certo, né i processi di scolarizzazione superiore, né le trasformazioni del sistema occupazionale risultano in Ita­lia più consistenti rispetto ai paesi nord-europei nei quali i giovani escono da casa per costituire nuclei autonomi; tuttavia, mentre in questi ultimi paesi la posticipazione e la «precarizzazione» dell'inserimento lavorativo hanno trovato forme di compensazione in specifiche politiche pubbliche che hanno introdotto nuovi elementi di «sicu­rezza» e quindi forme di autonomia economica dai geni­tori, in Italia questo non si è verificato e l 'unica struttura che funzioni da «barriera» rispetto ai rischi di povertà e di marginalità sociale per i giovani continua ad essere la famiglia [Saraceno 1998] . Da questo punto di vista la specificità del caso italiano appare l'effetto più che delle trasformazioni del sistema occupazionale, del fatto che tali trasformazioni non si sono accompagnate ad un mu­tamento delle politiche pubbliche in grado di compensa­re, o almeno di attutire, i nuovi elementi di precarietà [Rossi 1994; Buti et al. 1 999; Cordon 1997; Ferrera 1999] .

Tuttavia, nonostante esista un'indubbia relazione tra i processi di precarizzazione sociale ed occupazionale in atto e la posticipazione del matrimonio e delle scelte pro­creative, un modello centrato solo su variabili socio-eco­nomiche appare inadeguato a dar conto delle trasforma-

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zioni demografiche in corso: basti considerare che, alme­no per quanto riguarda l'Italia, la posticipazione e la stes­sa minor propensione al matrimonio sono più consistenti proprio nelle regioni in cui minore è la disoccupazione, sia in generale, sia quella specificamente giovanile1 .

Più convincente appare un modello esplicativo che legga la scansione degli eventi istituzionali formalmente rilevanti intrecciandola da un lato coi mutamenti verifica­tisi nella vita quotidiana e in particolare nei modelli cul­turali relativi all'età a cui è ritenuto «opportuno» che tali eventi si verifichino, dall'altro con le aspettative che i soggetti nutrono verso tali passaggi non solo in termini di condizioni concrete di vita, ma anche in termini di defi­nizione della propria identità. Come ricordano Neugarten e Moore, «i punti lungo la linea della vita in cui l'indivi­duo procede da "bambino" ad "adolescente" , a adulto sono definiti socialmente, benché vengano programmati in stretta connessione con lo sviluppo biologico. . . L'età sociale continua ad essere segnata da eventi biologici o sociali nel ciclo di vita familiare relativamente ben defini­ti» [ 1 986, 100] . Il passaggio verso la condizione adulta non è quindi dato solo dalle modalità e dal timing dei principali eventi li/e-markers, ma è anche l'effetto di un processo graduale e continuo le cui coordinate principali possono essere individuate negli spazi di libertà a disposi­zione e nell'assunzione di responsabilità. Il passaggio ver­so la condizione adulta è quindi dato anche dal rapporto, oggetto di continue modificazioni, negoziazioni e riasse­stamenti, tra i vincoli e i margini di libertà che i soggetti

l A riguardo, è appena il caso di ricordare che i tassi di nuzialità e ancor più quelli di fecondità sono particolarmente bassi in regioni come la Lombardia o l'Emilia-Romagna, che presentano livelli di di­soccupazione giovanile decisamente inferiori alla media, e sono mag­giori in regioni come la Calabria, la Sicilia o la Campania che hanno elevati tassi di disoccupazione, specificamente giovanili. Anche se, come noto, molti giovani formalmente disoccupati sono in realtà occu­pati, si tratta comunque di lavori che sono spesso poco pagati oltre che, per loro natura, fortemente precari.

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hanno sia nella gestione della vita quotidiana, sia nella possibilità di decidere strategie e comportamenti futuri.

2 . Tipologia familiare: tra radicamento del modello di fa­miglia lunga e fattori di mutamento

Rispetto a questo quadro, diversi sono gli obiettivi di questo lavoro. Il primo è quello di verificare quale sia, at­tualmente, nelle diverse classi sociali e nei diversi contesti territoriali, la diffusione del modello di «famiglia lunga»2, il secondo è quello di cogliere eventuali mutamenti in atto nelle strutture familiari in cui i giovani sono inseriti; il terzo, infine, è quello di delineare alcuni «modi» di funzionamento delle famiglie sia per quanto riguarda i li­velli di libertà lasciati ai giovani e livelli di compartecipa­zione loro richiesti, che per quanto riguarda il vissuto delle relazioni, evidenziando in particolare il ruolo svolto dai modelli di identità di genere.

Il punto di partenza è la diffusione del modello di permanenza protratta nella famiglia di origine: vive infatti stabilmente con i propri genitori il 68, 1 % degli intervi­stati, a cui bisogna aggiungere un 5,6% che vive in fami­glia in modo non continuativo; vive quindi sistematica­mente fuori dalla famiglia di origine solo il 25 ,6% degli intervistati.

Ad una prima lettura, questi dati non si discostano da quelli rilevati nella precedente indagine IARD, condotta nel 1996; in realtà, poiché quest'ultima indagine ha co in­volto anche soggetti di 30-34 anhi, e poiché la propensio­ne ad abitare nella famiglia di origine diminuisce al cre­scere dell'età, risulta che il modello di «famiglia lunga» si è ulteriormente radicato.

Profonde sono le differenze a seconda dello stato ci­vile, della classe di età, del sesso, e della collocazione professionale.

2 Secondo la felice, e ormai classica espressione coniata da Scabi­ni e Donati [ 1988] .

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In primo luogo, come già rilevato nelle altre ricerche precedenti, l'uscita dalla casa dei genitori continua ad av­venire soprattutto a seguito del matrimonio, come testi­monia il dato che tra i celibi e le nubili solo il 7 ,4% vive stabilmente al di fuori della famiglia di origine; in effetti si registra anche un 6,9% di celibi o nubili che vive nella famiglia di origine in modo non sistematico3 , ma, dato che si tratta in gran parte di studenti di 20-24 anni, si può ipotizzare che tali situazioni siano spesso determinate dal­la lontananza della propria abitazione dalla sede degli stu­di e che quindi siano più attribuibili ad una «necessità», che ad una precisa scelta di autonomia abitativa4 •

Quello che preme sottolineare è che la crescente dif­fusione del modello di «famiglia lunga» appare stretta­mente connessa alla minor propensione al matrimonio dei giovani e all'innalzamento dell'età a cui esso avviene5. In primo luogo, si osserva che, mentre nell'indagine del 1996 risultava coniugato il 6% dei 20-24enni e il 29,4% dei 25 -29enni, attualmente i valori sono scesi rispettiva­mente al 3 ,7% e al 20,9%; in secondo luogo, si può rile­vare che, a parità di età e di stato civile, la tipologia fami­liare risulta del tutto simile a quella registrata nell'indagi­ne precedente: in particolare, tra i celibi con meno di 30 anni, la quota di chi vive «fuori» dalla famiglia di origine è rimasta pari al 5 % . Almeno in Italia, quindi, aumento dei giovani che vivono in famiglia e aumento di celibi e nubili sono fenomeni strettamente connessi tra loro.

3 Modalità di risposta, questa, che non era prevista nelle prece­denti indagini.

4 Del resto, che si tratti prevalentemente di una situazione di fatto, con forti tratti di «occasionalità», e non di una scelta definitiva sembra confermato anche dal dato che meno del 10% di chi rientra in questa situazione dichiara, nella domanda sulle prospettive future, di essere già andato a vivere «definitivamente» fuori dalla famiglia di origine.

5 A riguard_o, basti ricordare che l'età mediana al matrimonio è passata da 25 anni per le donne nate prima del 1955, a 27 per quelle nate tra il 1961 e il 1965 [De Sandre et al. 1 997, 120] e che, negli ul· timi cinque anni, si è assistito ad un'ulteriore posticipazione sia del­l'età al primo matrimonio, che dell'età alla nascita del primo figlio.

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Il modello italiano continua insomma ad essere carat­terizzato per un mix di elementi di innovazione e dì ele­menti di continuità. I primi, che lo rendono analogo a quello degli altri paesi europei, rimandano alla minor propensione al matrimonio ed all'innalzamento dell'età allo stesso, i secondi, che invece lo differenziano, riguar­dano il fatto che, almeno per quanti hanno meno di 25 -30 anni, l'uscita dalla famiglia di origine continua ad es­sere strettamente associata al matrimonio.

In questo quadro, consistente è il ruolo giocato dalla classe di età: vive più o meno continuativamente «in fa­miglia» la quasi totalità di quanti hanno meno di 24 anni, il 70% di quanti ne hanno 25-29 e il 33 ,2 % di quanti ne hanno più di 30. Se la minor diffusione di convivenze nella famiglia di origine che si registra nelle classi di età più elevate è determinata anzitutto dalla maggior presen­za in tali classi di soggetti coniugati6, occorre però rimar­care che in tali classi di età aumenta la quota di celibi e nubili che vivono autonomamente: tale quota è infatti pari al 2 ,7 % per i 20-24enni, al' 1 1 ,2% per i 25-29enni e al 26, 1 % per i 30-34enni. Una parte, pari a circa un quarto, di questi casi dà luogo a convivenze di fatto, ma la maggior parte si traduce in singleness.

Se quindi, a partire dai 25 anni e ancor più dopo i 30 anni, la sovrapposizione tra celibato e permanenza nella famiglia di origine si stempera, si deve comunque regi­strare che, anche per le prime classi di età adulte, il mo­dello dominante risulta quello della «famiglia lunga».

Per quanto riguarda invece le differenze a seconda del genere, si può notare che mentre fino ai 24 anni esse sono minime, nelle classi di età successive diventano pari a circa venti punti percentuali: tra quanti hanno 25-29 anni vive, più o meno stabilmente, nella famiglia di origi­ne 1'81 ,2 % dei ragazzi e il 59,2 % delle ragazze, tra quan­ti hanno 30-34 anni si passa rispettivamente al 4 1 ,5 % e al 24,8 % .

6 Cfr. il saggio di Francesca Sartori contenuto in questo volume.

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In realtà, le differenze tra i dati maschili e quelli fem­minili rimandano al fatto che il modello di costituzione delle nuove coppie continua a vedere un'asimmetria tra le età dei partner: dato che l'età al matrimonio risulta maggiore per i ragazzi che per le ragazzel , anche l'uscita dalla famiglia di origine tende a verificarsi successivamen­te per i primi che per le seconde. In effetti, se si conside­rano solo i celibi e le nubili, la permanenza nella famiglia di origine risulta molto simile, pari complessivamente al 92 ,4% dei ragazzi e al 92 ,9% delle ragazze. Anche se per le ragazze questo comporta meno frequentemente una condizione di singleness, in quanto più frequentemente esse convivono con il partner, d sembra però opportuno segnalare tale dato, dal momento che esso sembra prefi­gurare importanti elementi di innovazione nell'identità femminile [Caccamo 1994] , e confermare le tendenze in atto di omogeneizzazione tra ragazze e ragazzi nei model­li di uscita dalla famiglia di origine [Billari e Ongaro 1999] .

.

Infine, un qualche ruolo è giocato dal contesto terri­toriale e dalla collocazione sociale.

Per quanto riguarda il contesto territoriale, si può no­tare che, al contrario di quanto registrato nelle preceden­ti rilevazioni, sono soprattutto i giovani meridionali e in generale quanti vivono nei piccoli centri a rimanere più a lungo nella famiglia di origine; non solo, mentre per i giovani del Sud vivere fuori dalla famiglia di origine è ri­conducibile quasi sempre al matrimonio, tra i giovani del Nord e delle grandi città aumenta la quota di quanti, pur non essendo sposati, . hanno costituito un autonomo nu­cleo familiare: vivono «fuori» dalla famiglia di origine l' 1 1 % di celibi e nubili dei giovani settentrionali contro il 3 % di quelli che vivono nelle regioni meridionali8, poco

7 Anche nel nostro campione, l'età media dei coniugati è pari a 32,1 anni per gli uomini, a 3 0,8 anni per le donne.

8 Nelle regioni meridionali, e nei piccoli centri, aumenta inoltre la quota di celibi e nubili che vivono in famiglia in modo non conti· nuativo - il 9,2 % contro il 6,9% medio -; si può ipotizzare che tale

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più del 5 % di quelli che vivono nei centri di minori di­mensioni, oltre il 10% di chi vive in contesti urbani.

Per quanto riguarda invece la condizione sociale, si può osservare che mentre nell'indagine precedente gli occupati costituivano circa il 20% di quanti vivevano nella famiglia di origine, attualmente essi ne costituisco­no quasi il 40% . Vale a dire che mentre precedentemen­te il modello di «famiglia lunga» risultava strettamente connesso ad un mancato inserimento professionale e ad una conseguente non-disponibilità di un reddito persona­le, attualmente, dato che tale modello coinvolge sempre più anche giovani occupati, tale relazione risulta essersi decisamente attenuata. Questo non vuol dire, ovviamen­te, che le variabili socio-economiche non giochino un ruolo rilevante, ma che si è assistito ad un'attenuazione del ruolo svolto dall'inserimento lavorativo «in sé» e ad un 'accentuazione del ruolo giocato dall'importo del red­dito guadagnato: considerando solamente celibi e nubili con almeno 24 anni9, vive «fuori» dalla famiglia di origi­ne il 16% circa di chi dispone di meno di L. 1 .500.000 mensili, ma il 35 % circa di chi ha un reddito superiore a L. 2.000.000.

Infine, per quanto riguarda la collocazione sociale della famiglia di origine, se ad una prima lettura sono i ragazzi di condizione sociale più modesta coloro che vi­vono più spesso in un autonomo nucleo familiare, una lettura più accurata, che consideri di nuovo solo i celibi e le nubili, evidenzia come tale situazione sia decisamente più frequente tra i giovani che hanno background familia­ri elevati: vive «fuori» dalla famiglia di origine il 13 ,7 % di quanti hanno famiglie con livelli socio-culturali bassi,

fenomeno sia riconducibile in parte alla minore diffusione delle diver­se facoltà universitarie in tali regioni, e in parte a forme di emigrazio­ne motivate dalla ricerca di lavori stabili e qualificati.

9 Abbiamo preso in considerazione solo queste classi di età per rendere più precisa l'analisi, dato che, come scritto sopra, nelle classi di età più giovani sono pochissimi i soggetti che vivono al di fuori del­la famiglia di origine.

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ma il 20, 1 % dei giovani che provengono da famiglie con livelli socio-culturali elevati.

Se nel loro complesso i dati sulla convivenza eviden­ziano un radicamento del modello di «famiglia lunga»10 è importante sottolineare che emergono anche alcuni im­portanti elementi di innovazione.

Con questo ci riferiamo al fatto che se si considerano le risposte relative alle prospettive future date da celibi e nubili da un lato aumenta, rispetto ai dati del 1996, la percentuale di quanti ritengono che tra cinque anni non vivranno più nella famiglia di origine (la quota di chi ne è più o meno sicuro passa dal •45 ,3 % al 52, l % per i 2 1 -24enni, dal 50,9% al 59,4% per i 25-29enni) , dall'altro si accentuano le differenze a seconda del contesto sociale e territoriale. Infatti, mentre la magg·ior parte dei giovani di condizione sociale modesta o che vivono nelle regioni meridionali ritiene che anche tra cinque anni continuerà a vivere «in famiglia», una quota consistente di giovani di condizioni sociali elevate, o che vivono nei contesti terri­toriali più aperti all'innovazione, prevede di costituire un'autonoma unità abitativa. È importante sottolineare che tale quota è decisamente più consistente rispetto a quella di chi ritiene che entro cinque anni si sposerà, o andrà a convivere con il partner: ne consegue che al mo­dello dominante di «famiglia lunga», centrato sul protrar-

lO È importante sottolineare che i dati evidenziano come il mo­dello italiano si caratterizzi oltre che per una «lunga» permanenza nel­la famiglia di origine, per il fatto che anche quando i giovani escono di casa e costituiscono un'autonoma famiglia, i rapporti tra generazio­ni e più in generale all'interno della parentela continuano ad essere as­sai frequenti. Sempre considerando solo quelli che abitano stabilmente «fuori» dalla famiglia di origine, il 34 ,7 % , vede tutti i giorni la madre, il 30,3 % il padre, il 14- 1 1 % i fratelli e le sorelle. Ancora più numero­si quelli che vedono i genitori almeno una volta alla settimana: il 42 , 1 % la madre, il 39 ,4 % il padre, il 30% circa i fratelli e le sorelle. Elevata è anche la frequenza con cui ci si vede sia con gli altri parenti: circa il 15% vede zii e cugini almeno settimanalmente; il 10% vede quotidianamente i nonni, quasi il 20% li vede almeno una volta alla settimana.

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si della permanenza nella famiglia dei genitori fino al mo­mento del matrimonio, sembra affiancarsi, pur se in una posizione ancora decisamente minoritaria, un modello in­novativo, che prevede l'uscita di casa anche senza che si sia costituita una propria famiglia.

Riconsiderando nel loro insieme questi dati, si posso­no dunque individuare, pur se in posizione defilata ri­spetto al modello di «famiglia lunga», altri due modelli di passaggio all'età adulta.

Il primo, definibile come «tradizionale» prevede un'età al matrimonio sostanzialmente bassa e, contestual­mente, un' autonomizzazione anticipata dalla famiglia di origine. T al e modello risulta presente soprattutto tra i giovani appartenenti alle classi sociali più modeste, che vivono nei piccoli centri e che, proprio per le caratteristi­che della loro famiglia di origine, hanno una bassa scola­rità e quindi un ingresso «precoce» nel mercato del lavo­ro. Questo modello, di gran lunga dominante fino a venti anni fa [Cam 1984 ; Facchini 1988; Rettaroli 1992 ] , è at­tualmente in forte regresso, sia in quanto diminuisce la popolazione che ha le caratteristiche di base ad esso lega­te, sia in quanto esso è entrato in crisi anche tra i giovani che tuttora hanno tali caratteristiche.

Il secondo modello, per ora assai minoritario, ma in­teressl).nte per gli elementi di innovazione che lo contrad­distinguono, è invece presente nei giovani di collocazione sociale medio-alta, che vivono nei contesti urbani e, spe­cificamente, nelle regioni centro-settentrionali; tale mo­dello appare caratterizzato, come il modello di «famiglia lunga», da una consistente posticipazione del matrimo­nio, ma se ne differenzia in quanto prevede un'uscita da celibi o nubili dalla famiglia di origine ed una conseguen­te autonomia abitativa o in convivenze di fatto, o come single: in entrambi i casi ciò può costituire sia una «tap­pa» provvisoria rispetto ad un'unione coniugale istituzio­nalizzata, sia una radicale alternativa alla stessa. Si tratta dunque di un modello che ricalca, almeno in parte, quel­lo tipico dei paesi del nord Europa e che appare contrad­distinto dall'appannamento degli elementi tradizionali

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presenti nel modello di «famiglia lunga» e da un'accen­tuazione di quelli innovativi: non a caso esso è maggior­mente presente tra i giovani che hanno modelli culturali e stili di vita più modernizzanti1 1 •

Rispetto a questa tipologia, si può ipotizzare che lo stesso modello di «famiglia lunga» possa costituire una sorta di modello di transizione dal modello più tradizio­nale a quello più innovativo: da questo punto di vista, appare significativo che esso si stia diffondendo nei ceti sociali e nei contesti territoriali nei quali fino a pochi anni fa era poco presente, e che si stia invece ridimensio­nando nei ceti sociali più elevati, o nei contesti territoriali più coinvolti dai processi di modernizzazione nei quali si era diffuso inizialmente.

Se sono in atto delle trasformazioni, pur modeste, per quello che riguarda la diffusione del modello di famiglia lunga, si può notare che appaiono in via di mutamento anche alcune caratteristiche «strutturali» delle famiglie di origine, che riguardano sia la loro composizione interna, sia le caratteristiche sociali dei genitori.

Per quanto concerne il primo aspetto, si può rilevare che nelle classi di età più giovani da un lato diminuisce la presenza di fratelli o sorelle, dall'altro aumenta la quota di quanti, pur avendo entrambi i genitorii n vita, vivono solo con la madre. Più correttamente, mentre nelle classi di età più elevate la convivenza con la sola madre appare di norma legata alla perdita del padre, ciò non si verifica nelle classi di età più giovani, nelle quali gli orfani sono una piccola minoranza: non vive col padre, pur avendo il padre in vita, il 6% di quanti hanno meno di vent'anni, il 4% di chi ne ha tra venti e trenta, il 2 % di coloro che ne hanno più di 30. Per quanto concerne invece la presenza di fratelli e sorelle, ne ha solo uno il 39% di coloro che hanno più di 30 anni, ma il 54,5 % dei più giovani; ne ha almeno tre il 17 ,5 dei primi contro il 8,8% dei secondi.

11 Cfr. , a riguardo, il saggio di Antonio de Lillo contenuto in questo volume.

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Modeste le differenze a seconda delle caratteristiche so­ciali familiari 12 , consistenti quelle territoriali: non ha nes­sun fratello o sorella circa il 20% dei ragazzi del Centro­Nord, il 10% di quelli del Sud; ne ha almeno tre il 10%, contro il 20%.

Poiché instabilità coniugale e diminuzione della natali­tà e conseguente diminuzione, nel medio periodo, delle dimensioni della fratria sono fenomeni che hanno assunto un peso crescente a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si può ritenere che si stia assistendo da un lato ad un processo di pluralizzazione delle tipologie familiari, dall'altro ad un processo di assottigliamento delle stesse. Pluralizzazione in quanto accanto alla famiglia «classica» composta, oltre che dai figli, dai due genitori, diventano sempre più diffuse altre forme familiari, in cui o è presen­te un unico genitore - di norma la madre - o in cui è pre­sente, in qualità di genitore sociale, il nuovo partner del genitore «affidatario»13 ; assottigliamento in quanto il mi­nor numero di fratelli e sorelle comporta una diminuzio­ne del numero complessivo dei componenti del nucleo 1�.

Anche per quanto riguarda le caratteristiche dei genito­ri, due sono i tratti rilevanti del mutamento: il primo è co­stituito dalla progressiva diminuzione di madri casalinghe, il secondo dall'innalzamento della scolarità dei genitori.

12 Si deve però notare che il numero di fratelli tende a diminuire passando dai ceti sociali più modesti a quelli più elevati.

13 A questo riguardo si può segnalare che l'ultima indagine Mul­tiscopo dell'ISTAT rileva un aumento, anche se su valori comunque modesti, di tipologie familiari atipiche, quali ad esempio quelle costi­tuite da adulti separati, con o senza figli, che <<tornano» a vivere nella famiglia di origine. Del resto, anche nel nostro campione, la fine di un matrimonio comporta talvolta tale tipologia familiare; certo, il 3 % di giovani che rientrano in questa situazione è un valore assai modesto, tuttavia, se lo si parametra sulla popolazione di riferimento, il ritorno in famiglia riguarda il 15 % di separati e divorziati.

14 Rispetto all'indagine precedente, la quota di chi vive in fami­glia e con almeno cinque componenti è scesa dal 3 5 ,4 % al 26,7%, quella d i chi vive in un nucleo composto a l massimo da tre persone è salita dal 24,2 % al 28,2 % .

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T AB. 1 . 1 . Numero complessivo di fratelli o sorelle nelle diverse indagini IARD -giovani fino a 24 anni (%)

1987 1992 1996 2000

Nessuno 1 1 ,3 10,9 13 ,2 15,7 l 40,7 43,0 46,2 48,8 2 25,8 26,9 25,1 23,4 3 10,2 10,0 9,2 7 ,3 4 o più 9,3 9,2 6,3 4,7

Per quanto concerne il primo aspetto, ha la madre casalinga oltre la metà di quanti hanno più di 30 anni, ma meno di un terzo dei più giovani. Per quantò riguar­da invece il secondo aspetto, si può notare che mentre tra i padri di quanti hanno più di 30 anni sono più nu­merosi quelli che hanno frequentato solo la scuola ele­mentare di quelli che hanno un diploma o una laurea -44,2% contro 27,9% -, tra i padri dei ragazzi più giovani la quota di chi ha al massimo la licenza elementare dimi­nuisce notevolmente e diventa maggioritaria quella di di­plomati e laureati - 8,3 % contro 58,6% 15•

Vale a dire che gli attuali venti-trentenni costituisco­no una generazione che ha avuto condizioni familiari del tutto peculiari, in quanto ha «usufruito» da un lato di tutti gli aspetti «positivi» connessi alla modernità - forte benessere diffuso16, possibilità di proseguire gli studi ben oltre la scuola dell'obbligo, e conseguente possibilità di dar corso a processi di mobilità sociale [Cobalti e Schiz-

15 Il mutamento è ancor più vistoso per le madri dato che, come noto, i processi di scolarizzazione hanno coinvolto dapprima la popo­lazione maschile e solo successivamente quella femminile.

16 Può essere considerato un ottimo indicatore di tale benessere la diffusa disponibilità di uno spazio personale: è infatti pari al 69,2% la quota di chi ha uno spazio personale, al 28,5 % quella di chi la con­divide con fratelli o sorelle; rispetto a questo dato le differenze a se­conda della classe sociale appaiono decisamente contenute, specie se si considera che i ragazzi dei ceti più modesti sono meno frequente­mente figli unici.

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TAB. 1 .2. Collocazione professionale delle madri in rapporto all'età del figlio o della figlia (%)

Età intervistato Totale 15-17 18-20 2 1 -24 25-29 30-34

Lavoratrice 68,5 59,6 61 ,6 52,9 48,4 56,5 Casalinga 3 1 ,5 40,4 38,4 47,1 5 1 ,6 43,5

TA!l. 1 .3 . Titolo di Jtudio del padre in rapporto all'età del figlio o della figlia (%)

Età intervistato Totale 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

Nessuno 0,3 1 ,3 1 ,7 2,8 5 ,1 2,6 Elementare 8,0 16,9 2 1 ,8 28,3 39,1 25,5 Media 28,8 28,5 28,9 28,3 23 ,2 27,3 Superiore (2 o 3 anni) 6,6 5,4 7,8 4,8 3,6 5,5 Superiore (4 o 5 anni) 3 1 , 1 28,8 2 1 ,8 19,5 15,1 2 1 ,5 Para-universitario 1 ,7 1 ,6 0,6 0,9 0,4 0,9 Laurea 19,1 13 ,4 13 ,0 10,9 8,8 12,2 Non so/non risponde 4,5 4,1 4,4 4,4 4,7 4,4

zerotto 1994J ; dall'altro di modelli familiari contrassegna­ti sia da una sostanziale stabilità, sia dalla presenza di una figura materna «presente» e, soprattutto, «titolare» delle incombenze domestiche e familiari.

Non solo, questa è forse una delle generazioni che più frequentemente ha visto un consistente gap culturale, o almeno di scolarità, a favore dei figli_ Certo, non esiste una sovrapposizione tra titolo di studio e livello di cono­scenze: genitori con un titolo di studio modesto possono avere elevati livelli di professionalità e livelli di conoscen­za maggiori di quelle che possono avere i figli che pure hanno livelli scolari più elevati, così come giovani con modesta scolarità possono comunque avere, e spesso hanno, competenze specifiche, ad esempio nella cono­scenza delle lingue straniere o nelle capacità di utilizzare strumenti informatici, che genitori con titoli di studio

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più elevati non hanno. Tuttavia, sembra ragionevole rite­nere che scarti di «saperi» e di scolarità formale, specie se notevoli, abbiano ripercussioni rilevanti sulle dinami­che familiari e sulle relazioni che intercorrono tra genito­ri e figli.

3 . Le basi dell'accordo: tra alti margini di libertà e bassi livelli di partecipazione

Consideriamo ora quali siano gli elementi che caratte­rizzano la convivenza dei giovani nella famiglia di origine, quali i livelli di libertà di cui i giovani usufruiscono, quali i compiti che viene loro richiesto di svolgere.

Anzitutto si può notare che, come notato in diverse ricerche [Donati e Colozzi 1 997 ; Facchini 1 999] , decisa­mente frequenti risultano le situazioni caratterizzate da notevoli livelli di libertà sia per quanto riguarda la possi­bilità di vedere amici, che per quanto riguarda la possi­bilità di ricevere in casa e di uscire la sera: così, è del tutto libero di ospitare amici in casa 1'81 % , nella scelta degli amici 1'82 ,2 % , nella scelta dei luoghi che si fre­quentano il 77 , l % , per gli orari di rientro per le uscite serali il 6 1 , 1 %.

In tutti questi ambiti, ridottissime sono le differenze di genere - di norma sono le ragazze ad avere più vincoli - relativamente consistenti quelle a seconda della classe di età - sono i più giovani ad essere sottoposti ad un maggior controllo.

Meno diffuse appaiono invece situazioni caratterizzate da ampi livelli di liberà per quanto riguarda i comporta­menti che mettono in discussione l'utilizzo degli spazi do­mestici comuni, come l'organizzare feste, e soprattutto per quelli che attengono più specificatamente ai rapporti ses­suali, quali il poter dormire fuori casa o, ancor più, poter utilizzare la propria casa per momenti di intimità con il partner. Ad esempio, il 53,9<Yo non ha alcun problema per quanto riguarda la possibilità di dormire fuori, il 54,7% per quanto riguarda l'organizzare feste, il 34,4% per quan-

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TAB. 1 .4 . Percentuale di soggetti che vivono stabilmente in famiglia e che non hanno nessun vincolo posto dai genitorz� per genere e classe di età (%)

Sesso Classe di età Totale

Maschi Femmine 15-17 18-20 21-24 25-29 30-34

Ospitare amici 81 ,9 79,9 78,7 85,7 79,8 80,8 81,3 81,0 Organizzare feste 55,0 54,2 39,9 50,7 56,4 60,6 65,0 54,7 Intimità partner 43,6 23,3 20,1 31 ,9 38,6 35,8 46,8 34,4 Scelta amici 85,1 78,6 63,2 79,4 83,3 90,5 93,1 82,2 Rientrare tardi la sera 70,9 49,2 21,8 51,0 65,1 77,4 88,2 61,1 Frequentare luoghi 81,8 7 1 ,4 4 1 ,7 74,9 81,4 90,0 93,1 77,1 Dormire fuori 62,8 43,2 23,3 43,9 54,3 69,2 79,8 53,9

to riguarda la possibilità di utilizzare la casa per momenti di intimità17 •

In questi casi diventano decisamente più rilevanti sia le differenze a seconda della classe di età, sia quelle tra ragazzi e ragazze: mentre per i ragazzi i vincoli sono strettamente connessi alla giovane età, per le ragazze si registra sia una forte accentuazione di tali vincoli nelle classi più giovani, sia una loro permanenza nelle classi di età adulte. Ad esempio, a partire dai 25 anni è del tutto libero relativamente agli orari di rientro notturni 1'85 % dei ragazzi, il 50% delle ragazze, al dormire fuori casa il 90% contro il 70%,' alla possibilità di avere momenti di intimità con il partner il 50% contro il 25 % .

Su questi specifici aspetti emergono anche differenze significative a seconda della classe sociale familiare e del contesto territoriale di appartenenza: la presenza di vin­coli è maggiore tra i ceti sociali più modesti, nei piccoli centri, nelle regioni del Sud, l'allentamento degli stessi nei ceti più elevati, nelle grandi città, e nelle regioni cen­tro-settentrionali. Si deve inoltre segnalare che, anche in questo caso, le differenze per genere aumentano nei con­testi in cui tali libertà sono minori.

17 Specie per tali aspetti, si può inoltre notare che i vincoli au­mentano, anche a parità di genere o di classe di età, per chi ha fratelli o sorelle conviventi, specie se si condivide la stessa camera.

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Page 177: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 1 .5 . Livelli di libertà dei soggetti che vivono stabilmente in famiglia, per sesso (%)

Livelli di libertà

Molto elevati Elevati Medi Medio-bassi Bassi

Maschi

25,4 29,4 22,6 12,9 9,7

Sesso Femmine

12,0 20,7 27,6 19,8 19,9

Totale

19,3 25,5 24,9 16,0 14,3

T AB. 1 .6. Livelli di libertà dei soggetti che vivono stabilmente in famiglia, per classe di età (%)

Livelli di libertà Età intervistato Totale 15-17 18-20 2 1-24 25-29 30-34

Molto elevati 2,6 12,2 19,6 26,0 40,9 19,3 Elevati 13 ,5 22,7 27,3 32,6 25,6 25,5 Medi 23,6 32,5 25,1 22,8 19,7 24,9 Medio-bassi 25,9 18,5 15,2 1 1 ,8 8,9 16,0 Bassi 34,5 14,0 12,9 6,8 4,9 14,3

Per meglio cogliere le differenze complessive c1 e sembrato opportuno costruire un indicatore in grado di sintetizzare i diversi livelli di libertà di cui i giovani pos­sono usufruire; cinque le modalità previste: livelli di li­bertà «molto elevati», «mediamente elevati», «medi», «medio bassi» e «limitati»18.

Come risulta dalle tabelle sovrariportate, le differenze per genere e per classi di età sono decisamente consistenti: ha livelli di libertà molto ampi il 25 ,4% dei ragazzi contro il 12% delle ragazze, il 2 ,6% dei più giovani contro il

1 8 Nella prima modalità rientrano coloro che, rispetto a tutti i di­versi item, hanno sempre risposto di non aver alcun vincolo, nell'ulti­ma coloro che hanno vincoli, più o meno consistenti, in tutti gli ambi­ti sondati.

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40,9% dei trentenni; ha invece livelli modesti rispettiva­mente il 9,7 % contro il 19,9% e il 34,5 % contro il 4 ,9%.

Tale divario è presente in tutte le classi di età, ma ten­de ad accentuarsi nelle classi di età più elevate. Ad esem­pio, ha livelli di libertà «molto elevati» il . 17 ,8% dei ragaz­zi e il 14,8% delle ragazze di 17-18 anni, il 57,2% e il 38,3 % dei 2 1 -24enni, il 77,7 % e il 56,4% dei 30-34enni.

Altrettanto consistenti i divari se si considera il conte­sto territoriale o la collocazione sociale: se ha livelli di li­bertà «elevati» o molto elevati» il 57,3 % dei ragazzi delle regioni settentrionali e il 53 % di quelli delle regioni me­ridionali, tra le ragazze si passa rispettivamente al 44% e al 24,5 (Yo ; se ha livelli di libertà «elevati» o «molto eleva­ti» il 59,8% dei ragazzi di estrazione sociale elevata con­tro il 59,6% di quelli di estrazione sociale modesta, tra le ragazze si scende al 38% e al 34 ,6% .

A fronte di questi ampi livelli di libertà, modesto ap­pare il coinvolgimento nell'organizzazione domestica quo­tidiana, sia per quanto riguarda le incombenze domesti­che, sia per quanto riguarda il bilancio familiare: tra chi vive stabilmente «in famiglia», non collabora per nulla o collabora solo saltuariamente a fare la spesa il 70,6%, a cucinare il 76,8%, a stirare 1'86,4%, nelle pulizie il 70,8(Yc> , nelle piccole riparazioni il 78,4 % , nel disbrigo di pratiche burocratiChe il 72 , 1 % .

Solo per quanto riguarda il tenere in ordine la pro­pria camera il livello di «partecipazione» diventa più con­sistente: il 48,2 % se ne occupa direttamente, il 20,5 % collabora abitualmente; se però si considera che si tratta di un compito che riguarda specificatamente la gestione degli spazi personali, il dato deve essere letto come indi­catore del fatto che ai giovani non solo non viene richie­sta una collaborazione nella gestione domestica comples­siva, ma nemmeno una presa in carico della gestione del­le loro personali necessità.

Consistenti le differenze a seconda del genere: ad ec­cezione delle piccole riparazioni e dell'espletamento delle attività burocratiche, le ragazze sono chiamate a contri­buire alle attività domestiche in misura decisamente supe-

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TAB. 1 .7. Percentuale di giovani che vivono stabilmente in famiglia e che non collaborano mai a determinate incombenze familiari (%)

Fare la spesa Cucinare Stirare Pulizie Piccole riparazioni Burocrazia OrJine camera

Sesso T o tale Maschi Femmine

37,4 58,4 89,5 60,7 29,0 57,8 24,2

20,2 3 1 ,2 44,4 18,0 78,4 70,2 4,1

29,6 46,1 69,0 4 1 ,3 5 1 ,4 63,4 15 , 1

riore a quella dei loro coetanei; particolarmente rilevante è poi lo scarto per quel che riguarda le messa in ordine della propria camera: mentre tra le ragazze non collabora per nulla a questo compito il 4 , 1% e collabora saltuaria­mente 1'8,3 % , tra i ragazzi si sale rispettivamente al 24,2 % e al 2 1 ,3 % .

Non solo: mentre per le ragazze il ridotto coinvolgi­mento riguarda soprattutto le più giovani, per i ragazzi ciò non si verifica e, anche nelle classi di età maggiori, il coinvolgimento appare minimo.

Limitato, e ancor minore che nella precedente indagi­ne, appare del resto anche il contributo al bilancio fami­liare: considerando solo i giovani che vivono stabilmente in famiglia, il 48,4% trattiene per sé tutto il proprio red­dito, il 19,4% devolve meno del 20%, il 15,6% una quo­ta compresa tra il 20 e il 40 % , il 6% una quota compre­sa tra il 40 e il 60%, il 6,8% più del 60% . Ridotte ap­paiono le differenze a seconda della classe sociale e del genere: si può però notare che, in questo caso, sono le ragazze ad essere maggiormente esonerate: a non contri­buire per nulla è il 53 ,6% , contro il 42 ,7 % dei ragazzi.

Sia per quanto riguarda le diverse attività di gestione della casa, sia per quanto riguarda lo stesso contributo al reddito familiare, estremamente limitate sono le differen­ze a seconda della classe sociale dei genitori: se per alcu­ni aspetti il coinvolgimento è un po' più consistente per i

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T AB. 1 .8. Parte del proprio guadagno versato in famiglia da parte dei giovani che vivono stabilmente coi genitori (confronto 1996-2000; % 15-29 annzY

1996 2000

Nulla 43 ,3 48,4 < 20% 17,7 19,4 20-39% 18,9 15,6 40-59% 6,9 6,0 60-79% 2,2 1 ,5 79-99% 1 ,5 1 ,2 100% 6,0 4 , 1 m.L 3 ,5 3 ,8

'' Il confronto è stato effettuato solo sui giovani che hanno meno di 30 anni.

giovani di condizione sociale modesta, come nel caso del reddito, per altre voci, quali ad esempio il tener in ordine la propria camera, il coinvolgimento è maggiore tra i ra­gazzi di condizione sociale più elevata.

Su quest'ultimo dato gioca presumibilmente la mag­gior presenza in queste famiglie di madri che lavorano e che sono quindi meno disponibili ad addossarsi l'intera gestione delle incombenze quotidiane. In effetti, per tutte le incombenze, tra quanti hanno la madre casalinga au­menta la quota di coloro che non collaborano «per nul­la»: se per alcuni compiti - stirare, fare le pulizie - sono soprattutto le ragazze a veder crescere la loro partecipa­zione, per altri ambiti aumenta anche il coinvolgimento dei figli maschi; in particolare, diminuisce la quota di quanti non sono tenuti nemmeno a rassettare la propria camera - dal 29,9% al 19,4% .

Anche in questo caso ci è sembrato opportuno co­struire un indicatore sintetico che, analogamente a quello realizzato per i livelli di libertà, prevede cinque modalità di «partecipazione»: elevato, medio-elevato, medio, me­dio-basso, molto basso19•

19 Nell'indice si sono considerate solo le attività domestiche, e non il reddito, per meglio rendere confrontabili le distribuzioni dei di­versi sottocampioni.

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TAB. 1 .9. Livelli di partecipazione ai lavori domestici dei soggetti che vivono sta­bilmente in famiglia per serro (%)

Livelli di partecipazione

Elevati Medio-elevati Medi Medio-bassi Molto bassi

Maschi

4,5 9,8

25,0 3 1 ,7 29,0

Sesso Femmine

12,3 2 1 ,4 3 1 ,3 23,7 1 1 ,3

Totale

8,0 15,0 27,9 28,1 2 1 ,0

TAB. 1 . 10. Livelli di partecipazione ai lavori domestici dei soggetti che vivono stabilmente in famiglia, per clarre di età (%)

Livelli di partecipazione Età intervistato Totale

15-1 7 18-20 21 -24 25-29 30-34

Elevati 2,0 3 ,9 9,2 9,5 17,7 8,0 Medio-elevati 10,1 1 1 ,6 18,1 16,5 16,3 15,0 Medi 24,7 30,4 27,8 3 1 ,2 20,2 27,9 Medio-bassi 38,2 3 1 ,9 27,4 2 1 ,7 23,6 28,1 Molto bassi 25,0 22,1 17 ,6 2 1 , 1 22,2 2 1 ,0

Come mostra la tabella 1 .8, circa il 20% di coloro che vivono sistematicamente in famiglia, si colloca nella fascia più bassa, corrispondente a «nessuna» collabora­zione, il 30% circa nella fascia immediatamente successi­va, corrispondente a livelli di collaborazione assai mode­sta, il 27 % nella fascia media, meno di un quarto nelle fasce contrassegnate da un maggior livello di impegno20_

Consistenti le differenze a seconda del genere e della classe di età: rientra nei due livelli più bassi quasi il 60% dei ragazzi, poco più di un terzo delle ragazze, oltre il 60% dei più giovani, il 45 % dei più grandi; rientra inve­ce nei due livelli più alti rispettivamente il 15% contro il 34%, il 12% contro il 36%.

20 Anche in questo caso, i dati sono relativi ai giovani che vivono _sistematicamente in famiglia.

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Di nuovo, le differenze a seconda del genere si ampli­ficano al crescere dell'età e nelle famiglie di condizione sociale modesta. Infatti, passando dalle classi più giovani a quelle adulte, il livello di coinvolgimento muta ben poco per i ragazzi, muta invece molto per le ragazze: così, mentre tra quanti hanno 15-17 anni collabora «mol­to» il 2,2 % dei ragazzi e il 2 ,4% delle ragazze e non col­labora per nulla il 3 3 ,9% e il 15,4% , nella classe di età compresa tra i 30 e i 34 anni collabora molto l' l i % dei ragazzi e il 34% delle ragazze, non collabora per nulla ri­spettivamente il 30, 1 % e il 10 ,6%.

Per quanto riguarda invece le caratteristiche socio­culturali della famiglia, si può notare che mentre l'impe­gno femminile vede un consistente aggravio nei ceti più modesti - nei due livelli di impegno più consistenti rien­tra un quarto delle ragazze di ceto elevato, la metà di quelle di ceto modesto -, l'impegno maschile fa registrare una ulteriore diminuzione proprio in questi ceti: ad esempio, contribuisce poco o nulla il 52 % dei ragazzi contro il 4 1 , 1 % delle ragazze dei ceti più elevati, ma il 60,5 % e il 25 ,9% di quelli appartenenti alle famiglie più svantaggiate. Vale a dire che mentre nei contesti social­mente più avanzati è in atto un processo di attenuazione della divisione dei compiti familiari a seconda del gene­re21 , nei contesti più svantaggiati le differenze rimangono consistenti: questo comporta da un lato una forte accen­tuazione della titolarità delle incombenze domestiche del­le mogli22, dall'altro una maggiore partecipazione delle fi­glie femmine, chiamate a sopportare le madri non solo ri­spetto alle necessità della famiglia nel suo complesso, ma in parte, come sembrano indicare i dati, anche rispetto alle esigenze di cura degli stessi figli maschi23 .

21 Processo su cui, del resto, influisce positivamente la maggior possibilità di ricorrere ad aiuti esterni retribuiti.

22 Cfr. i saggi di Carmen Leccardi e di Francesca Sartori conte· nuti in questo volume.

23 Si può infatti notare che, specie nelle famiglie più modeste, si assiste ad una diminuzione della partecipazione familiare per i ragazzi

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Page 183: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Sopra si è scritto che il passaggio all'identità adulta è dato anche dall'intreccio con cui si strutturano, nella fa­miglia e nella società, assunzioni di responsabilità e ac­quisizione di diritti. Vogliamo ora verificare quali siano le modalità con cui tali elementi si intrecciano nel nostro campione, mettendo in relazione i due indici sintetici so-pra utilizzati.

·

Sulla base dei risultati dell'incrocio, è possibile indivi­duare quattro tipologie rilevanti: nella prima, definibile come «accudimento e controllo» rientrano coloro che as­sociano bassi livelli di libertà e bassi livelli di collaborazio­ne familiare; nella seconda, definibile come «controllo e partecipazione», rientrano coloro che hanno livelli bassi di libertà, ma livelli elevati di collaborazione; nella terza, de­finibile come «accudimento non vincolato» rientrano inve­ce quanti associano alti livelli di libertà con bassi livelli di partecipazione; infine, nella quarta tipologia, definibile come «libertà e collaborazione» rientrano coloro che han­no sia alti livelli di libertà che alti livelli di partecipazio­ne24 . In complesso, rientra nel primo gruppo circa il 16%, nel secondo il 6%, nel terzo il 20%, nel quarto 1' 1 1 %.

In realtà, questa distribuzione complessiva è l'effetto di andamenti assai difformi a seconda della classe di età e, secondariamente, del genere.

Anzitutto, il passaggio dalle età più giovani all'età adulta vede uno slittamento dalla tipologia «accudimento e controllo», alla tipologia «libertà e collaborazione»: rien­tra nella prima il 30% circa di chi ha meno di vent'anni, il 10% dei ventenni, il 5 % dei trentenni; rientra invece nella seconda rispettivamente il 4 % , il lO% e il 20% .

In secondo luogo, tale processo assume coloriture di­verse a seconda del genere: per i ragazzi il modello più diffuso è infatti quello dell' «accudimento non vincolato»

che hanno sorelle, e, specularmente, ad un aumento di tale partecipa­zione per le ragazze che hanno fratelli.

24 La tipologia considera solo quanti hanno livelli «elevati», «me­dio-elevati», «bassi», o «medio-bassi», e non considera quindi coloro che haimo livelli «medi»: per tale motivo il totale è inferiore a 100.

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- il 32% contro il 9% -, per le ragazze diventa invece ri­levante il modello «controllo e partecipazione», - 12% contro il 2 %25 -; simili risultano invece, anche in quanto fortemente connessi all'appartenenza di età, i dati per gli altri due modelli: rientra nel modello «libertà e collabora­zione» il 9% degli uni e il 12% delle altre, n�l modello «accudimento e controllo» il 16% di entrambi.

Se quindi, in generale, il passaggio alla condizione adulta appare attualmente molto più segnato, almeno per quanto riguarda l'ambito familiare, dalla acquisizione di li­bertà e di autonomia che da una acquisizione di responsa­bilità, si assiste anche ad un'accentuazione di questo mo­dello per i ragazzi, ad una sua attenuazione per le ragazze.

Vale a dire che i se dati confermano la diffusione per cerchi concentrici, dall'alto verso il basso, dalla città ver­so la campagna, attraverso quello che Stone chiama un processo di «contaminazione» [Stone 1983 ] , di un mo­dello educativo improntato, rispetto al passato [D'Amelia 1988] , sia ad una maggiore affettività, che ad un aumento delle libertà e ad una diminuzione delle richieste, essi te­stimoniano anche che questo modello si struttura in modo ben difforme nei diversi contesti territoriali e per ragazzi e ragazze, dando luogo a due diverse «versioni», una centrata sull'indipendenza e sull' autoespressività, l'al­tra sull'accettazione di vincoli e sulla conformità a ruoli sessuali. Il primo modello di «socializzazione allentata» [Arnett 1995 ] , è maggiormente presente nelle famiglie di classe elevata, il secondo, di «socializzazione restrittiva», è invece maggiormente diffuso nelle classi sociali più mo­deste, nei contesti rurali, e, soprattutto, per le ragazze, che continuano ad avere modelli di transizione verso l'età adulta segnate oltre che dall'acquisizione di margini cre­scenti di libertà, anche dall'acquisizione di responsabilità familiari [Piccone Stella 1997 ] .

D'altro canto, si può affermare che proprio la diffu-

25 Di nuovo, tali differenze si accentuano nelle classi più mode­ste, nelle regioni meridionali e nei piccoli centri.

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T AB. 1 . 1 1 . Soddisfazione per i rapporti in famiglia per il livello di libertà dei sog-getti che vivono stabilmente in famiglia (%)

Livelli di libertà Totale Molto Elevati Medi Medio- Bassi elevati bassi

Molto contento 47,3 46,5 40,9 32,4 26,4 40,2 Abbastanza contento 44,3 45,6 48,2 53 ,8 55,8 48,8 Poco contento 5,3 5,8 9,1 1 1 ,0 13 ,0 8,4 Per niente contento 0,8 0,8 0,6 0,9 3 ,4 1 , 1 Non so/non risponde 2,4 2,4 1 ,2 1 ,8 1 ,4 2,6

sione di questi nuovi modelli sia alla base della comples­siva «sintonia» tra genitori e figli [Rampazi 1991 ; 1993 ; Scabini e Cigoli 2000] e, in particolare dell'elevata soddi­sfazione che i giovani dichiarano per la vita «in famiglia». In effetti, tra quanti vivono nella famiglia di origine, il 40,2% è «molto contento», il 40,8% «abbastanza conten­to» e solo pochi sono gli insoddisfatti - è abbastanza scontento 1'8,4% , del tutto scontento l ' l ,8 % ; tuttavia, se si rapporta il livello di soddisfazione con i livelli di liber­tà e con quelli di partecipazione, si può notare che al crescere della «collaborazione» e, ancor più, al crescere dei vincoli, il livello di soddisfazione diminuisce: ad esempio i «molto soddisfatti» passano dal 47 ,3 % tra quanti hanno livelli di libertà molto ampi al 26,5 % tra quanti sono invece sottoposti a consistenti vincoli, i poco o nulla soddisfatti passano invece, rispettivamente, dal 6, 1 % al 16,4 %.

Nel paragrafo precedente, si è scritto che gli attuali venti-trentenni costituiscono una generazione che da un lato ha usufruito del «nuovo» diffuso benessere sociale, dall'altro è vissuta in famiglie strutturate e sostanzialmen­te «tradizionali»; qui possiamo aggiungere che essi costi­tuiscono anche una generazione che si rapporta con geni­tori che da un lato hanno fatto proprio un «nuovo» mo­dello di relazione coi figli - modello non più centrato su rapporti gerarchici e autoritari, ma sul dialogo e la com-

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prensione [Golini e Menniti 1994]26 -, ma che, dall'altro, hanno mantenuto modelli «solidaristici» [Negri 1994] e di accudimento assai elevati, e una conseguente disponi­bilità ad offrire ai figli tutta una serie di opportunità, sia in termini di «qualità» della vita, sia in termini di possibi­lità per il futuro27 •

Il risultato di questa «felice» congiuntura è che se l'abitare in famiglia costituisce per molti ragazzi una «ne­cessità» collegata alla incertezza lavorativa o alla scarsissi­ma presenza di politiche pubbliche di sostegno all'auto­nomia dei giovani, per molti, o almeno per quanti sono ormai in un'età adulta e lavorano, si tratta invece di una «scelta», sulla quale giocano sì considerazioni di carattere affettivo, e in particolare il complessivo «gradimento» del «clima familiare» [Scabini e Cigoli 1 997 ] , ma · anche le caratteristiche del modello sopradelineato, che da un punto di vista strettamente «razionale», rendono decisa­mente vantaggiosa la permanenza nella famiglia di origi­ne. A riguardo, si deve infatti sottolineare il rapporto esi­stente tra la «lunga» permanenza in famiglia e l'adozione di modelli di consumo molto «dispendiosi», specie per quanto concerne il tempo libero28.

In effetti, le modalità e il timi n g dell'assunzione di li­velli di libertà e di responsabilità oltre a comportare, nel

26 Diverse ricerche mostrano in effetti come figli e genitori fac­ciano proprio lo stesso modello culturale improntato a valori quali l' autorcalizzazione e il riconoscimento delle libertà individuali [Mion 1997; Palomba 1999; Scabini e Cigoli 2000] . D'altro canto, si deve ri­cordare che gli «attuali» genitori appartengono a generazioni che, a suo tempo, avevano fortemente fatto proprio tale modello, mobilitan­dosi proprio per un aumento degli spazi di libertà nella/ dalla famiglia.

27 E, forse, su questo modello hanno pesato, specie per i genitori di condizione sociale modesta, valutazioni assai critiche del proprio passato giovanile, segnato dalla mancanza di risorse e di possibilità.

28 Ad esempio, colpisce che considerando solo celibi e nubili con almeno 24 anni, la convivenza in famiglia si traduca molto in modelli di consumo «costoso» - in termini di vacanze, di uscite serali, di fre­quenza a pub e a pizzerie, ecc. - e assai poco in consumi culturali o in frequenza a corsi di qualunque tipo. Cfr. a riguardo il saggio di Mari­ta Rampazi, contenuto in questo volume.

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continuum della vita quotidiana, una specifica str_uttura­zione dei passaggi verso la condizione adulta, costituisco­no anche elementi centrali nella determinazione delle proprie strategie e del proprio percorso di vita: sono quindi elementi che assumono un ruolo centrale nella stessa maturazione delle decisioni relative agli eventi lz/e­markers. Si può dunque ipotizzare che la minore propen­sione e la posticipazione del matrimonio e delle scelte procreative non siano solo riconducibili alla diversa defi­nizione dell'identità individuale, o alle diverse modalità dell'inserimento lavorativo [De Sandre et al. 1997] , ma che rimandino anche ai «micro-eventi» che avvengono nella sfera della quotidianità e delle relazioni familiari, e, specificamente, al fatto che tali scelte comportino spesso, in termini oggettivi, un peggioramento, almeno parziale, delle proprie condizioni materiali di vita.

Si può insomma ritenere che la vischiosità della situa­zione attuale sia il prodotto non tanto di un radicale muta­mento, quanto piuttosto del fatto che tale mutamento è stato solo parziale, incompleto: il prodotto insomma di una situazione nella quale è entrato in crisi il modello cul­turale tradizionale, basato su binomi quali sostegno/con­trollo familiare, ridotte libertà individuali/forti responsabi­lità familiari, centralità maschile nella produzione econo­mica/ centralità femminile nella riproduzione sociale, senza che però se ne sia affermato un altro in grado di coniuga­re, in forme nuove e socialmente condivise, responsabilità e libertà individuali e familiari, pubbliche e private.

Ma una impostazione che evidenzi la relazione tra si­stemi di valori, condizioni materiali di vita e strategie di una generazione familiare con sistemi di valori, condizioni materiali di vita e strategie delle altre generazioni presenti nella famiglia [Donati 1998] , suggerisce che nei prossimi anni si possa assistere ad un mutamento del modello so­vradelineato. Anzitutto, come scritto precedentemente, sono in aumento le madri professionalmente «attive»29: se

29 Con questo ci riferiamo al fatto che non solo diminuiscono le madri casalinghe, ma che anche a seguito delle trasformazioni in atto

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le madri casalinghe sono disponibili, oggettivamente e for­se ancor più soggettivamente, a farsi carico di tutta una se­rie di esigenze dei figli, madri inserite nel mondo del lavo­ro saranno presumibilmente meno disponibili a riguardo e tenderanno a richiedere un coinvolgimento non solo dei partner, ma anche dei figli. Analogo può essere l'effetto della diffusione di famiglie monogenitoriali e della dimi­nuzione del gap culturale tra genitori e figli, per i comples­sivi mutamenti che disegnano nelle relazioni familiari.

Vale a dire che si può ipotizzare che tenderanno a ri­chiedere sia i livelli di libertà, sia i livelli di responsabiliz­zazione e che il passaggio alla condizione adulta assume­rà, forse, almeno in parte, i tratti del modello continenta­le europeo con ripercussioni anche sulle stesse scelte complessive di vita da parte dei giovani.

del sistema previdenziale, il pensionamento dei genitori «attivi» avver­rà più tardi rispetto ad ora.

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CAPITOLO SECONDO

LA GIOVANE COPPIA

l. Nuove famiglie, nuzialità, fecondità: alcune tendenze

I cambiamenti della famiglia, istituzione in continua trasformazione, riflettono l'evoluzione della società all'in­terno della quale si colloca. Oggi sono strettamente con­nessi alle scelte della coppia di procrastinare e ridurre nuzialità e natalità, all'instabilità coniugale in forte incre­mento, ma anche alle diverse modalità d'interpretare i ruoli maschili e femminili, all'instaurarsi di nuove relazio­ni tra i generi e ai mutati rapporti tra le generazioni. Tali fenomeni, legati reciprocamente in termini di causa ed ef­fetto, influiscono sulla struttura della famiglia, ovvero sul­le sue dimensioni e sulle caratteristiche in termini di età e di ruoli assunti dai suoi membri.

Il nucleo familiare si va contraendo a causa della de­natalità: è noto come l 'Italia sia uno dei paesi in cui è più basso il numero di figli per donna (nell'ultimo decennio, tra il 1990 e il 1998, è ulteriormente diminuito il tasso di fecondità essendo passato dall' 1 ,4 all' 1 ,2 nati per donna) ; tale fenomeno si manifesta con l'aumento complessivo delle coppie con un figlio e la diminuzione di quelle con tre figli o più' . In conseguenza alla riduzione delle nasci­te già si avverte - ed il fenomeno si accentuerà nel futuro se si confermeranno gli attuali andamenti demografici -la contrazione del numero dei parenti, in particolare di congiunti quali zii e zie e soprattutto cugini. Ciò incide sulla varietà e sull'intensità delle esperienze relazionali dei bambini e dei giovani all'interno della famiglia e della parentela, traducendosi in limitati rapporti dei minori

l Vedi Sabbadini [1999] (elaborazione dati ISTAT).

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con soggetti di pari età ed in generale in una riduzione di relazioni. Le famiglie tradizionali di tipo «orizzontale» stanno cedendo il posto alle famiglie «verticali» composte da un solo figlio e attorno a lui molti adulti, soprattutto anziani, nonni e bisnonni, se�pre più numerosi in una società, come quella italiana, in continuo e rapido invec­chiamento.

Molte sono le variabili che hanno prodotto la denata­lità tra le quali, ad esempio, il controllo delle nascite, la sempre più forte e significativa presenza della donna nel mondo del lavoro, i tempi e i ritmi della società moderna soprattutto nella realtà urbana, il diverso significato attri­buito ai figli che ha perso qualsiasi valenza strumentale (ad esempio non sono più considerati forza lavoro per il sostentamento della famiglia e per il sostegno dei genitori nell'età anziana) per assumere esclusivamente una valenza affettiva (i figli diventano soggetti da accudire, da mante­nere durante un percorso educativo e formativo sempre più lungo, a cui offrire le migliori chance per il futuro) . Maggiori rispetto al passato sono, inoltre, i bisogni di li­bertà individuale e di autonomia, più pressante è la spin­ta all' autorealizzazione, più forte è il desiderio di avere tempo per sé soprattutto da parte dei giovani adulti. Tut­te queste tendenze portano all'abbassamento del tasso di nuzialità e all'aumento dell'età al momento del matrimo­nio (sempre più lungo diventa il periodo di fidanzamen­to2) che, assieme all'incremento del numero dei single e delle convivenze more uxorio, provocano un sempre più ritardato concepimento della prole.

Ma perché i giovani oggi si sposano sempre più tar­di? Sul progressivo slittamento in avanti nel tempo della formazione delle nuove famiglie incide certamente l'al­lungamento degli studi, la carenza di sbocchi occupazio­nali, la rigidità del mercato edilizio e il valore elevato de­gli affitti ma anche il desiderio di arrivare al matrimonio con la sicurezza di una casa confortevole, possibilmente

2 Vedi lSTAT, Indagine sulle famiglie [2000b].

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di proprietà, di un lavoro sicuro e di un doppio reddito in famiglia. I giovani sono sempre più esigenti, richiedo­no maggiori garanzie prima di intraprendere una vita di coppia: il modello «due cuori e una capanna» risulta as­sai poco perseguito ed apprezzato3 . Da non sottovalutare però è il fenomeno della «famiglia lunga»4• La scelta di uscire tardi dalla casa paterna, che caratterizza in modo peculiare la realtà italiana, fa molto discutere anche per gli effetti che produce, direttamente o indirettamente, sull'organizzazione della famiglia oltre che sulla struttura della popolazione. I giovani arrivano tardi ad acquisire i compiti degli adulti, non vanno a vivere da soli anche quando hanno un lavoro e sono economicamente auto­sufficienti. Sicuramente tali comportamenti, più comuni tra i giovani maschi italiani, sono spiegati dal mutamento dei rapporti in seno alla famiglia: si è ridotta la distanza e la conflittualità tra genitori e figli, l' allentarsi dei confini tra i ruoli ha reso l 'ambiente familiare più ospitale ed ac­cogliente; all'interno delle mura domestiche i giovani tro­vano lo spazio ed il clima favorevoli a costruire una pro­pria personalità autonoma, a sviluppare e a manifestare liberamente i propri punti di vista, a fare scelte consape­voli ed indipendenti. Si è creata nel complesso una mag­gior parità e complicità tra le generazioni5. Meno forte è pertanto la spinta ad uscire di casa e a sostenere i disagi

3 Mion [ 1 997] . 4 Vedi Buzzi e Facchini nel presente volume; confronta anche De

Sandre [1 988; 1997 ] ; Piccone Stella [1997] ; Cavalli, Galland (a cura di) [ 1 996] ; Biliari e Ongaro [1999] .

5 In parte diverse sembrano tuttavia essere le motivazioni sotto­stanti la scelta di continuare a vivere in famiglia per coloro che risie­dono nelle regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali. In queste ultime emerge maggiore conflittualità, in particolare tra ge­nitori e figlie, e più contenuta appare la libertà goduta dai giovani e quindi ineno allettante dal punto di vista relazionale la convivenza, ma nello stesso tempo maggiori appaiono i problemi materiali da risolvere per i giovani del Sud e quindi la difficoltà a conquistare l'indipenden­za dalla famiglia d'origine dato soprattutto l'elevato tasso di disoccu­pazione giovanile. Menniti e Palomba [ 1998] .

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e le difficoltà, oltre che i costi, che comporta la gestione di una vita indipendente.

La famiglia viene ad assumere un duplice ruolo pro­tettivo: da una parte supplisce alle carenze dello Stato e del mercato del lavoro sostenendo i figli nei periodi di ri­cerca dell'occupazione o di disoccupazione, dall'altra for­nisce appoggio affettivo e psicologico incondizionato che si traduce spesso in disponib'ilità a soddisfare, in relazio­ne alle possibilità economiche, tutte le richieste dei figli e a concedere loro ampia libertà e autonomia senza neppu­re chiedere in cambio collaborazione domesticé. Da non sottovalutare a tal proposito la tendenza dei genitori stes­si a «trattenere» i figli in casa derivata dal timore che non siano in grado di affrontare le difficoltà della vita, dalla paura della solitudine e del «nido vuoto», dal desi­derio di continuare a svolgere il proprio ruolo genitoriale mantenendo così una posizione centrale e attiva nella fa­miglia. Risulta così più lenta ed incerta la transizione ver­so la maturità, verso l'indipendenza economica e abitativa da parte dei giovani che rimangono molto a lungo in una condizione di deresponsabilizzazione, di «moratoria» che non li aiuta a rendersi autonomi e consapevoli fautori del proprio destino7•

C'è da aggiungere, infine, che la morale corrente ri­sulta sempre più tollerante verso la possibilità di vivere pienamente il rapporto di coppia, anche dal punto di vi­sta sessuale, senza l'impegno e il vincolo della convivenza e del matrimonio. La sessualità è sempre più sganciata dal riferimento riproduttivo e dal contesto coniugale, si è creata rispetto ad essa «un'area eticamente neutrale dove il singolo rivendica la esclusiva capacità di giudizio» e i giovani affermano stili di vita orientati alla ,libertà sessua-

6 A. Golini indica come motivi della prolungata convivenza solo fattori culturali: il persistere del «familismo» italiano, la presenza della matrice cattolica che produce un ruolo fortemente protettivo della fa­miglia nei confronti dei figli e i maggiori spazi di libertà che questi ul­timi godono in casa. Golini e Menniti [ 1994] .

7 Cavalli [ 1997] .

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le che contrastano con i valori etici tradizionali, con i principi religiosi più diffusi che collocano l'amore fisico nell'ambito di un rapporto affettivo stabile, necessaria­mente sancito dal matrimonio8.

Tornando ad analizzare il ruolo della famiglia d'origi­ne si evidenzia come essa non intervenga nell'appoggiare i figli solo finché vivono in casa ma anche quando sono sposati, tanto che si può dire che stiamo passando «dalla famiglia lunga del giovane adulto ad una lunga famiglia estesa»9. La giovane coppia non è sola ma vive nella tra­ma di più generazioni con una continuità di relazioni che le consente di chiedere e ricevere aiuto, supporto affetti­vo ma anche sostegno concreto al momento del bisogno. La famiglia d'origine diventa dunque una vera e propria risorsa informale che supplisce alla carenza di politiche sociali adeguate e di servizi per l'infanzia10. I genitori, tuttavia, sono spesso considerati gli interlocutori privile­giati non soltanto per ricevere aiuti materiali ma anche per avere validi consigli su come affrontare le difficoltà quotidiane1 1 • L'importanza della parentela rimane ma cambiano i compiti che nella società industriale «sono di­ventati gli aiuti economici, i servizi prestati alla fami­glia, alle attività sociali svolte in comune e suo scopo è la realizzazione di un sostegno reciproco in termini materia­li, di prestigio, di integrazione individuale e collettiva>F Chi è privo di una rete parentale è più esposto a rischi: eventi quali la vedovanza, il divorzio, la disoccupazione, la malattia, i problemi di salute legati all'età, possono es­sere causa di povertà per chi è sprovvisto di un sostegno di una parentela 13 .

La vicinanza o la lontananza dell'abitazione della gio­vane coppia rispetto a quella d'origine diventa un indica-

8 Buzzi [ 1998] . 9 Scabini [1999] . I O Barbero Avanzini [1999]. Vedi anche Saraceno [ 1 997 ] . I l La Mendola [1997a] . 12 Vedi Bugarini e Vicarelli [ 1979] . 13 Saraceno [ 1988] .

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tore dell'intensità del rapporto tra le due generazionil4 , e le analisi della distanza . geografica tra le abitazioni di ascendenti e discendenti hanno evidenziato che i confini della famiglia sono altri rispetto a quelli della stretta con­vivenza15.

Un altro fattore · che ha determinato trasformazioni nella struttura e nell' organiz;zazione familiare è l'aumento di separazioni e di divorzi, una delle espressioni tipiche di una società, come quella in cui viviamo; tale fenomeno è da collegarsi all'indebolimento dei riferimenti normativi tradizionali che assegnavano un rilievo primario al legarne coniugale e contemporaneamente al rafforzamento di un nuovo sistema valoriale che prevede l'autodeterminazione della coppia ed enfatizza la discrezionalità delle scelte dei suoi singoli componenti16 . Anche la sempre maggiore au­tonomia economica della donna, che le consente di poter rompere il legame matrimoniale senza rimanere priva di mezzi di sostentamento, come del resto il fatto che il ruo­lo familiare non sia più l'unico ruolo femminile social­mente riconosciuto e accettato, hanno senz' altro favorito l'incremento di separazioni e divorzi. La rottura delle unioni provoca un incremento delle famiglie monogenito­riali di cui il membro adulto è normalmente la madre che vive con figli piccoli ma anche favorisce la diffusione del­le convivenze prematrimoniali derivata dall'insicurezza dei giovani relativamente al matrimonio17 . Le famiglie «ri­costituite» sono un altro aspetto dell'instabilità coniugale; questo fenomeno - presente anche nel passato per effetto dell'alta mortalità della popolazione - oggi è diversamen­te caratterizzato, nel caso di divorzio, dal «moltiplicarsi»

14 L'ISTAT utilizza tale indicatore nelle indagini annuali sulla fa­miglia. M. Barbagli ha usato per primo la distanza tra le abitazioni unitamente alla frequenza delle visite per analizzare i rapporti tra i di­scendenti; vedi: Barbagli [ 1 991 ] ; cfr. inoltre La Mendola [ 1 997a] ; Oppo [1990] ; Scabini [ 1 999] .

15 Rossi e Rossi [ 1 990] . 16 Maggioni [ 1997 ] . 1 7 V e di Barbagli [ 1990] .

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dei genitori: quelli naturali vengono posti accanto ai geni­tori «sociali»; si dà vita così a relazioni per le quali non esiste né una tradizione, né una normativa corrisponden­te alla complessità dei ruoli e delle responsabilità assunti dai componenti adulti all'interno della famiglia.

Un ultimo elemento fondamentale per individuare i tratti innovativi della coppia coniugata o convivente è la diminuzione delle disuguaglianze di potere al suo interno: la relazione tra marito e moglie è diventata più paritaria anche per le trasformazioni del modo di vivere ed inter­pretare l'intimità awenute nelle società moderne dal pun­to di vista sessuale, sentimentale ed emozionale18• La ge­stione familiare è maggiormente condivisa principalmente in relazione al fatto che il ruolo femminile ha assunto con­torni diversi allargandosi dall'ambito domestico a quello lavorativo. Le donne, socializzate secondo modelli via via più simili ai maschi e sempre più istruite - lo sono in mi­sura superiore ai coetanei - accrescono le proprie aspira­zioni di autorealizzazione nel lavoro, ritengono owia e ir­rinunciabile la propria autonomia economica e rivendica­no parità di diritti e di doveri richiedendo al partner par­tecipazione alla cura dei figli e alle attività domestiche.

Dobbiamo tuttavia rilevare come ancora, in Italia maggiormente che in altri paesi occidentali, persiste, an­che nelle famiglie giovani, una netta prevalenza nell'attri­buzione dei compiti familiari alle donne anche se pochi, tradizionalisti ad oltranza, oserebbero asserire che è un loro specifico dovere19• Non appare dunque modificarsi sostanzialmente la quantità di tempo dedicato dalla don­na alla casa e ai figli, sia essa casalinga o lavoratrice; il loro ruolo all'interno della famiglia continua a prevedere, nella maggioranza dei casi, lo svolgimento del lavoro do­mestico, la gestione economica, la responsabilità dei figli, soprattutto per quanto concerne l'organizzazione delle at­tività e dei bisogni quotidiani oltre a comprendere anche

18 Giddens [1995 ] . 1 9 Vedi Leccardi, in questo libro e d anche Sartori [1997 ] .

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l'accudimento degli anziani; sempre alla donna, infine, si chiede di occuparsi prioritariamente delle relazioni con la scuola, con la sanità e con le altre istituzionF0• Le scelte particolari relativamente alla divisione del lavoro domesti­co, che ogni coppia fa nella r�cerca di un equilibrio inter­no, producono un movimento complessivo che conferisce un orientamento dominantt'l · all'evoluzione: essa appare chiara, nel senso di maggiore condivisione, ma molto len­ta, sovrastimata in quanto associata al principio general­mente condiviso di uguaglianza e al contempo incerta in quanto la riflessione sull'identità di genere potrebbe far scattare effetti di disuguaglianza a catena21 .

Le trasformazioni dell'istituzione familiare fin qui analizzate, già consolidatesi nelle famiglie a cui apparten­gono i giovani di oggi , ne hanno inevitabilmente influen­zato i modelli di comportamento ed i valori, hanno inciso sulle loro aspettative e sugli ideali creando nuovi modi di intendere ed interpretare la vita familiare; esse portano le nuove generazioni a prospettarsi e a sperimentare rappor­ti più o meno innovativi, più o meno egualitari, più con­flittuali ma certo maggiormente basati sullo scambio ed il confronto, con la propria compagna o compagno e a in­staurare rapporti più diretti e comunicativi con la prole. È intèressante dunque rilevare, con l'aiuto dei dati IARD, le ulteriori tendenze evolutive che caratterizzano le rela­zioni di genere all'interno delle giovani coppie italiane.

2 . Le caratteristiche socio-anagrafiche e relazionali delle nuove coppie

2 . 1 . Lo stato civile

Dall'analisi del campione rileviamo che soltanto circa la metà dei giovani italiani (49,6%) vive un rapporto di

20 Carrà Mittini e Rosnati [ 1999] .

2 1 Kaufmann [ 1996] .

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coppia stabile; tra questi quasi i due quinti sono coniugati e circa il 5 % convive. Sono le femmine a dichiarare in mi­sura maggiore di avere una relazione fissa; tale condizione, inoltre, risulta più diffusa al crescere dell'età e, in partico­lare nelle coorti più anziane, è sancita dal matrimonio.

Nel complesso poco più di un quinto (2 1 ,8%) degli intervistati abita sotto lo stesso tetto con un/una partner: di questi il 90,6% è coniugato, 1'8,3 % è invece costituito da convivenze tra celibi e nubili, separati o divorziati; tro­viamo infine un 1 , 1 % di soggetti che, dopo la fine di una prima unione, ha ricostruito un nuovo nucleo familiare unendosi in matrimonio con altro compagno o compagna.

Oltre a crescere in relazione all'età (come specifiche­remo di seguito) il tasso di nuzialità tra i giovani è più elevato nei centri piccoli rispetto alle città medio-grandi mentre non appare influenzato dall'area geografica di provenienza; la classe sociale e il livello culturale della fa­miglia d'origine, oltre che il titolo di studio degli intervi­stati stessi, incidono fortemente su tale variabile: i figli di operai e lavoratori autonomi sono coniugati in misura doppia rispetto a coloro che hanno genitori impiegati, imprenditori o liberi professionisti; la percentuale di ma­trimoni tra coloro che provengono da famiglie con basso livello d'istruzione è quattro volte superiore di quanto è riscontrabile tra i figli di genitori con credenziali educati­ve di livello superiore.

Nel sottocampione di coloro che hanno contratto il vincolo matrimoniale (N = 623 ) il 5 ,7 % ha alle spalle un matrimonio fallito e tra questi 23 sono separati legalmen­te, 5 divorziati e 8 sono separati di fatto. Dobbiamo sot­tolineare come l'instabilità coniugale sia destinata a cre­scere con l'aumentare dell'età e del numero di anni di matrimonio; tale affermazione è confermata dal fatto pre­vedibile che nella fascia d'età più elevata è maggiore il numero delle separazioni e dei divorzi rispetto a quelle più giovani ma anche in quanto l'età in cui avviene la se­parazione, ma soprattutto il divorzio22, in Italia è media-

22 In Italia il divorzio awiene in un'età molto più avanzata rispet-

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mente più elevata rispetto a quella del campione in anali­si: le donne mediamente si separano a 37 anni e a 39 anni divorziano mentre gli uomini lo fanno rispettiva­mente a 40 e a 43 anni23 • L'età alla separazione tende, inoltre, ad alzarsi congiunta,mente al crescere di quella del matrimonio e c'è da sottolineare anche come siano le coppie più giovani a ricorre"re maggiormente al divorzio per il più forte desiderio di risposarsi e per le maggiori possibilità di trovare marito o moglie24•

2.2. L'età

La presenza di coniugati e conviventi cresce all 'au­mentare dell'età: nella fascia dei 30-34enni troviamo circa i tre quinti di giovani sposati o conviventi rispetto a poco più di un quinto nella fascia d'età precedente. In comples­so, escludendo la fascia più giovane, rileviamo che tra i 25 e i 34 anni circa un terzo dei giovani sono sposati e il 4,3 % convive.

Se andiamo ad analizzare la differenza tra i generi ri­spetto alle classi d'età in cui si forma la nuova famiglia essa risulta consistente: nella fascia tra i 25 e i 29 anni un maschio su dieci contro un terzo delle femmine è sposato o convive, l'incidenza dei coniugi o conviventi maschi cre­sce fino a raggiungere più della metà dei soggetti 30-34enni, ma si eleva per le femmine fino a oltre i due terzi del sottogruppo più anziano (tab. 2 . 1 ) . Valutando l'inci­denza dell'istruzione sull'età al matrimonio si evidenzia come quest'ultima cresca in rapporto alla lunghezza del percorso scolastico: ad esempio tra i 30-34enni con il solo titolo dell'obbligo troviamo il 70,6% di coniugati, l'inci-

to gli altri paesi industrializzati in quanto esso costituisce la seconda tappa dopo la separazione legale dalla quale, fino al 1987, dovevano passare almeno cinque anni, oggi almeno tre anni per l' ottenimento dello scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale.

23 Maggioni [ 1997]. 24 Ibidem.

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TAB. 2 . 1 . Incidenza di coniugati e conviventi per età in relazione al sesso e al ti­tolo di studio (%, 15-34 annz)

Sesso Livello d'istruzione Maschi Femmine Basso Medio Alto

18-20 anni 1 ,0 3,0 2,6 1 ,4 2 1 -24 anni 1,4 7,6 14,7 2,5 8,3 25-29 anni 1 1 ,9 33 ,6 34,9 29,5 1 1 ,2 30-34 anni 47,6 69,5 70,6 61 ,5 45,8

Base = 3 .000

d enza scende al 61 ,5 % tra i diplomati appartenenti alla stessa fascia d'età e al 45 ,8% tra i laureati, la maggioranza dei quali non ha ancora formato una nuova famiglia.

I dati della presente ricerca ci forniscono elementi uti­li per sostenere che in effetti la vita in coppia comporta delle rinunce e delle limitazioni di cui i giovani parrebbe­ro consapevoli, tanto da procrastinare tale scelta. Secondo le affermazioni degli intervistati, infatti, sposati e convi­venti escono pochissimo alla sera e chi esce lo fa in ma­niera sporadica; complessivamente le uscite serali sono molto più contenute rispetto a quelle dei single delle stes­se fasce d'età (25 -34anni); le motivazioni addotte a tale scelta casalinga sono legate agli impegni familiari. Ma non solo: ammogliati e conviventi partecipano a meno attività associative, praticano meno sport, leggono meno libri e giornali e si riducono per loro le occasioni di ascoltare musica e di andare al cinema o a ballare; la vita dal punto di vista culturale e ricreativo sembra impoverirsi anche perché scemano le possibilità di fare viaggi per divertirsi o per assecondare propri interessi. Solo il tempo dedicato alla televisione rimane costante prima e dopo il matrimo­nio. Con la vita a due cambiano inoltre le prospettive da un punto di vista del lavoro: si è portati a pensarlo più in termini di stabilità, sicurezza (lavoro dipendente, stabile e a tempo indeterminato) e di guadagno escludendo in li­nea di massima trasferimenti soprattutto a lungo raggio che allontanerebbero dalla famiglia. Tali differenze sem­brano ulteriormente acuirsi .pel momento in cui nasce un

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figlio che sembra assorbire i già ridotti spazi di libertà, autonomia e svago, soprattutto per le donne.

Per offrire un quadro più completo dei cambiamenti giovanili al momento della creazione di una nuova fami­glia possiamo aggiungere che mutano anche i valori che tendono a orientarsi in senso più tradizionale: viene attri­buita più importanza alla famiglia, alla religione e all'amo­re soprattutto in contrasto con l'amicizia che perde rile­vanza; si dà meno spazio all' autorealizzazione e alla carrie­ra, c'è una perdita d'interesse per la dimensione culturale e soprattutto per quella ricreativa. Si modificano le opi­nioni nel senso di minor trasgressività e maggior chiusura verso scelte quali la convivenza al di fuori del matrimonio, l'aborto, la relazione con una persona sposata e la porno­grafia; i coniugati e conviventi ritengono che tali esperien­ze potrebbero capitare a loro stessi in misura molto più contenuta rispetto a quanto affermano coloro che vivono da soli o nella famiglia d'origine. L'immagine della donna assume, per entrambi i generi, contorni più tradizionali valutando più importante che debba sacrificarsi per la fa­miglia e stare a casa a curare i figli; la maternità appare, inoltre, maggiormente come l 'esperienza fondamentale per la realizzazione femminile. La progettualità per coniugati e conviventi si fa più concreta ma non per questo si tendo­no ad accorciare i tempi della procreazione e a incremen­tare il numero di figli preventivato.

Ritornando alla variabile in analisi, ovvero all'età, emerge che, dalla sua distribuzione all'interno della cop­pia, le ragazze mantengono la consuetudine di sposare uomini più anziani: in media hanno 3 , l anni in meno dei loro partner. Più dei due terzi sono, infatti, più giovani dei propri compagni mentre solo meno di un'intervistata su dieci · è più vecchia del partner; si evidenzia, inoltre, che quasi un quarto delle coppie sono formate da coeta­nei, considerando che la differenza tra i partner in tali casi è al massimo di un anno.

Nell'analizzare tale dato in base alla zona di prove­nienza emerge che una differenza di età elevata tra i co­niugi/conviventi è più comune al Sud e nelle Isole rispet-

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to al resto d'Italia, che le giovani che appartengono a fa­miglie d'origine di classe superiore sposano con maggiore frequenza uomini molto più vecchi ciò si verifica ugual­mente alle laureate rispetto a coloro che sono in possesso della sola licenza media.

2 .3 . La provenienza territoriale

Rilevando la provenienza geografica dei due membri della coppia è possibile studiare il grado di endogamia ovvero verificare se il matrimonio o la convivenza ha basi di similarità o dissimilarità dal punto di vista territoriale e al contempo se sono avvenuti o meno processi di mobilità geografica attraverso il matrimonio. V ari studi hanno uti­lizzato per rilevare tale fenomeno il luogo di nascita, ed in particolare la regione di appartenenza dei due partner della coppia: si è così evidenziato un'elevata tendenza del­le persone a sposarsi tra conterranei25• Anche l'endogamia per residenza prematrimoniale presenta in Italia valori elevati, superiori a quelli osservati per zona di nascita; tale dato suggerisce che la vicinanza è una variabile che favo­risce l'incontro piuttosto che un fattore di selezione26. Nell'indagine IARD viene confermata la tendenza a coniu­garsi «tra vicini»: la grande maggioranza dei giovani spo­sati o conviventi proviene infatti dalla stessa zona di resi­denza prematrimoniale del proprio partner; tre su cinque dallo stesso comune mentre più di uno su quattro dalla stessa provincia anche se in diverso comune (tab. 2 .2 ) . Solo poco più del 10% abitava prima del matrimonio in una provincia o in una regione diversa da quella del com­pagno/ compagna o all'estero.

25 Tra i lavori più recenti vedi: De Rose e Rufo [ 1 993] ; Schizze­rotto [ 1 997b - anno di ultima ondata] . File dati su supporto magneti­co. Responsabile scientifico: A. Schizzerotto.

26 L'omogamia per residenza prematrimoniale a livello provincia­le è dell'83 ,7% e a livello comunale del 60,5 % , maggiore rispetto a quella per luogo di nascita che è rispettivamente del 66,7 % e del 42 ,4 % (Indagine longitudinale sulle famiglie italiane, ibzdem).

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TAB. 2 .2 . La residenza prematrimoniale o prima della convivenza del/della part­ner in relazione alla area geografica (%, 15-34 anni)

Area geografica Totale Nord- Nord- Centro Sud Isole Ovest Est

Nello stesso comune Nella stessa provincia ma in

50,0 55,5 62,4 65,2 73;6 59,9

diverso comune Nella stessa regione ma in al-

35,4 37,3 22,9 23,6 16,7 28,2

tra provincia 4 ,3 2 ,7 4 ,6 6,8 6,9 5,0 In un'altra regione 9, 1 2,7 6,4 3 , 1 1 ,4 5 , 1 In uno stato estero 1 ,2 1 ,8 3 ,7 1 ,2 1 ,4 1 ,8

Base = 648

Il matrimonio tra compaesani e tra concittadini è più frequente al Centro-Sud, ma soprattutto nelle Isole, ri­spetto al Nord e nelle grandi città rispetto ai piccoli co­muni dove il mercato matrimoniale è evidentemente più ristretto. Coloro che invece svolgono occupazioni di livel­lo più elevato trovano il compagno/la compagna più fre­quentemente al di fuori del territorio comunale ed in particolare ciò accade più ai maschi che alle femmine.

2 .4 . La distanza dalla /amiglz"a d'origine

È interessante osservare che i giovani oltre a scegliere il partner «in zona», sono andati a vivere per più dèi due quinti poco distante dai genitori o dai suoceri: o nello stesso caseggiato o nel raggio di un chilometro; un altro terzo circa risiede entro 10 chilometri dalla casa paterna e i restanti oltre i 10 chilometri (tab. 2 .3 ) .

·

Appare dunque notevole la vicinanza tra la giovane coppia è le famiglie di origine. La rilevanza che viene at­tribuita a tale fenomeno riguarda il suo rapporto con la qualità e l'intensità delle relazioni con la rete parentale che, come abbiamo già evidenziato, è una risorsa impor­tante in termini di aiuti e di sostegno per le giovani fami­glie. Attraverso la costruzione di due variabili che misu-

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TAB. 2.3. Dzrtam.a dell'abitazione degli intervistati da quella dei genitori del ma· rito/convivente e della moglie/convivente (%, 15·34 anm)

Stesso caseggiato < di un km Da l a 5 km Da 6 a IO km > di IO km

Base = 612

Genitori del marito/ convivente

19,8 25,7 20,0 1 1 ,6 2 1 ,9

Genitori della moglie/ convivente

13 ,0 27,8 22,9 9,2

26,1

rano la vrcmanza dalla casa dei genitori della moglie o del marito abbiamo constatato che nel complesso poco meno dei due terzi (62 ,8%) delle coppie formate dagli intervistati e dai loro partner vivono nel raggio di un chi­lometro dall'abitazione dei genitori dell'uno, dell'altro o di entrambi. Tenendo conto della soggettività nell'inter­pretazione delle distanze, tale dato non risulta molto dis­simile da quello emerso in una ricerca condotta dal­l'lSTAT a livello nazionale27 •

Altri studi evidenziano, inoltre, come in Emilia Ro­magna28 e altresì nel V eneto29, in contrasto con quanto awiene negli altri paesi occidentali dove prevale la matri­località, il modello più diffuso dal punto di vista della li­nea di ascendenza sia quello patrilocale; in altre parole le coppie vivono in misura superiore vicino ai genitori del marito piuttosto che della moglie. I dati lARD portano ad affermare che, a livello complessivo, non vi sia una so­stanziale differenza tra i due modelli nella scelta abitativa delle giovani coppie italiane, pur in presenza di una forte variabilità nei sub-campioni regionali30.

27 Da una rielaborazione di dati ISTAT relativi all'Indagine Multi-scopo del 1996.

28 Barbagli [199 1 ] . 29 La Mendola [1997a] . 30 Tuttavia un confronto tra dati regionali non è significativo non

essendo l'indagine IARD rappresentativa su scala regionale.

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19,7%

22,5%

D Lontani da entrambi D Patriolocale

38,1%

19,7%

Rl Vicini ad entrambi � Matriolocale

FIG. 2 . 1 . Tipologia relativa alla distanza tra le abitazioni delle giovani coppie e quelle Jella famiglia d'origine (%) .

Analizzando in modo più completo la tipologia emer­sa in relazione alla distanza dalla casa parentale si evince che poco più di un quinto delle coppie vive nelle vici­nanze della famiglia dell'uomo e in percentuale di poco inferiore nelle vicinanze della famiglia della donna; in mi­sura simile i due membri della coppia hanno la residenza nei pressi di quella dei genitori di tutti e due e infine quasi i due quinti abitano distanti da entrambe le fami­glie d'origine (fig. 2 . 1 ) .

La distanza dalla famiglia d'origine della moglie o del marito è correlata con la loro età: più del doppio dei 30-34enni vive distante da entrambe le famiglie rispetto ai più giovani che sembrano non volersene allontanare. An­che la variabile territoriale incide; incontriamo infatti più coppie che vivono nelle strette vicinanze di genitori e suoceri al Sud, ma non nelle isole, soprattutto rispetto al Nord-Est, come del resto la dimensione del comune in cui si vive nel senso che più è piccolo più l'abitazione della giovane coppia è prossima a quella dei genitori ed in particolare il modello di riferimento risulta patrilocale. L'origine familiare, come la classe d'appartenenza della nuova famiglia, hanno rilievo rispetto alle scelte abitative dato che la distanza «da casa» è più ampia per gli intervi­stati. che provengono da livelli sociali più elevati rispetto agli appartenenti alla classe operaia ma soprattutto per i

202

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figli di lavoratori autonomi; si può probabilmente spiega­re quest'ultimo dato con la trasmissione ereditaria, so­prattutto al maschile, della professione paterna.

2 .5 . L'occupazione

Considerando l'occupazione degli intervistati e dei loro partner rileviamo prima di tutto che il 25,6% vive al­l'interno di una coppia la cui componente femminile non ha un'attività extradomestica; in altre parole circa un in­tervistato su otto, se donna, è o, se uomo, ha la moglie o compagna occupata principalmente nelle attività familiari.

Possiamo aggiungere che la condizione di casalinga è strettamente connessa allo stato coniugale in quanto la quasi totalità delle giovani che non studiano e non hanno un lavoro extradomestico sono sposate a differenza di quelle conviventi senza vincolo giuridico; nelle coppie più consolidate, ovvero coniugate da oltre dieci anni, la componente femminile fa la casalinga in misura doppia rispetto a quanto si verifica nelle unioni recenti. Si può pensare che la decisione della donna di uscire dal merca­to del lavoro sia presa dalla donna stessa o dalla coppia o ancora sia una risposta alle crescenti necessità familiari connesse principalmente alla nascita dei figli: le casalin­ghe sono quasi tre volte più presenti infatti nelle coppie con bambini rispetto a quelle senza prole. La loro pre­senza è inoltre maggiore nei piccoli centri rispetto agli agglomerati urbani medio-grandi; al Sud e nelle Isole la percentuale di donne non inserite nel mercato del lavoro è quasi quattro volte superiore rispetto al Nord (fig. 2 .2 ) .

Il confronto tra le professioni dei due partner porta a definire il grado di omogamia o eterogamia sociale della coppia e rileva la eventuale mobilità matrimoniale, ovvero il mutamento della condizione socio-economia avvenuto per i due membri attraverso l 'unione coniugale o la scelta di convivenza. L'attenzione alla somiglianza tra i due membri in termini di status è stata posta sia per l'eviden­za nella realtà dei fatti: la scelta del/della compagno/a

203

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FIG. 2 .2. Incidenza della presenza di casalinghe nelle coppie intervistate, se­condo la zona di residenza, la dimensione del comune di residenza, la condizione occupazionale, la presenza di figli (%) .

non è casuale, ci si sposa normalmente tra simili, sia per­ché l'appartenenza a ambienti sociali e culturali diversi incide sulle possibilità d'intesa e di confronto tra i due partner anche se non si è riscontrata un'effettiva associa­zione tra omogamia e stabilità coniugale3 1 • Per circa la metà delle coppie, i cui membri sono presenti sul merca­to del lavoro, lo status occupazionale è simile, vale a dire che essi svolgono entrambi lavori all'interno di una delle quattro classi considerate nell'analisi: superiore, media impiegatizia, media autonoma e operaia (tab. 2 .4 ) . Consi­dereremo pertanto queste unioni come omogame o omo­genee in termini di ambiente sociale di appartenenza e al contempo «immobili» sulla scala della stratificazione dal punto di vista matrimoniale. T al e raggruppamento diven­ta maggioritario (pari al 6 1 % ) se si considerano apparte-

3 1 Kaufmann [ 1996] .

204

Page 207: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 2.4. Mobilità matrimoniale degli intervistati coniugati o conviventi in rela­zione al sesso (%, 15-34 annz)

Sesso Totale

Mobilità ascendente Immobilità Mobilità orizzontale intra-dasse media Mobilità discendente

40 35 30 25 20 15 l O 5

Base = 357

30,7%

9,4%

Maschi

15,6 55,4 9,7

19,3

39,2%

Femmine

19,7 50,4 9,6

20,3

20,7%

19,5 5 1 ,5 9,5

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Mobilità Mobilità orizzontale Immobilità ascendente in tra classe media

Mobilità discendente

FIG. 2.3 . Mobilità intergenerazionale delle nuove coppie rispetto alla famiglia d'origine degli intervistati (% , 15-34 anni. Base = 442).

nenti alla stessa classe media coloro che svolgono attività impiegatizie e occupazioni di tipo autonomo; possiamo in tal caso considerare che circa il 10% dei giovani intervi­stati ha sposato o convive con un compagno o compagna che ha un'occupazione diversa rispetto alla propria ma pur sempre all'interno della classe media (ad esempio un artigiano ha sposato una impiegata)'_ I restanti due quinti delle coppie hanno occupazioni di status diverso e per­tanto risultano eterogame ovvero appartenenti ad ambiti socio-occupazionali diversi: la metà degli intervistati si colloca ad un livello superiore · rispetto al partner, per cui il mutamento di posizione sociale tramite il matrimonio o la convivenza è di tipo discendente, mentre l'altra metà ha uno status inferiore e in tal caso la mobilità è ascen­dente. Non appaiono sostanziali differenze in base al ge-

205

Page 208: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

nere: il matrimonio, dunque, non sembra oggi rappresen­tare, contrariamente al passato, uno strumento di ascesa sociale per le donne, anche se si evidenzia una seppur minima differenza a loro favore32•

Andando ad analizzare la mobilità intergenerazionale della giovane coppia - che si misura mettendo a confron­to il suo status familiare con quello della famiglia d'origi­ne dell'intervistato, sia esso maschio o femmina - osser­viamo che i movimenti in ascesa sono molto più rilevanti di quanto si riscontra per la mobilità matrimoniale (cfr. fig. 2 .3 ) . Ciò dipende dallo scarto generazionale relativo all'istruzione ma anche dal miglioramento della posizione lavorativa dei giovani rispetto ai genitori connesso ai cambiamenti della struttura occupazionale. Percentual­mente simile a quella matrimoniale appare invece l'entità dei movimenti discendenti che si può supporre tenderan­no però a contrarsi nel tempo (come del resto quelli ascendenti ad aumentare) dato che la misurazione del li­vello occupazionale di genitori e figli/figlie è fatta in mo­menti diversi della carriera lavorativa: all'inizio della vita lavorativa per questi ultimi e ad un momento conclusivo o quasi per i padri e le madri.

3 . Ambiti di accordo e disaccordo tra i partner

Nella nostra società l'orientamento culturale prevalen­te va verso la riduzione delle differenze in termini di mo­delli socializzativi tra i due sessi; da ciò ne consegue l'in­terpretazione sociale dei ruoli maschile e femminile in sen­so paritario. Dall'indagine emerge inoltre che nelle giovani coppie le differenze di età e di provenienza territoriale non sono elevate e si ritrova anche un consistente grado di omogeneità socio-culturale. Eppure le divergenze di opi-

32 Tali valori tuttavia sono destinati a variare, a sfavore della donna al crescere dell'età dei membri della coppia, in quanto sappiamo che il tasso di mobilità intragenerazionale o di carriera è inferiore per le don­ne rispetto agli uomini. Vedi Cobalti e Schizzerotto [1994].

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Page 209: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

nione, le diversità nei modi di cogliere la realtà e di fare le scelte quotidiane rimangono elevate all'interno della cop­pia. Esse fanno parte del normale confronto e scambio tra due persone giovani che vivono insieme, essendo le opi­nioni il prodotto del carattere e del vissuto esperienziale filtrato dai valori individuali oltre che il riflesso delle dif­formità nei modi d'interpretare le relazione di genere trai i giovani di sesso opposto33 . È importante, in tale contesto, analizzare i punti di accordo e di discussione per cogliere il grado di conflittualità e di fragilità della coppia, per ipo­tizzarne i comportamenti e le scelte future oltre che i ri­schi derivati dall'incomprensione reciproca.

Nelle coppie analizzate troviamo complessivamente un buon livello di accordo su alcuni aspetti di vita comu­ne ma anche notevoli disaccordi su altri campi considera­ti: mentre quasi i due terzi dei giovani dichiarano di avere identità di punti di vista con il partner sulle strategie pro­creative e i tre quinti sulla sessualità, il grado elevato d'in­tesa si riduce alla metà degli intervistati se si valuta l' edu­cazione dei figli; esso diminuisce ulteriormente, fino a comprenderne poco più dei due quinti, per quanto con­cerne l'ambito relazionale ed in particolare le amicizie in­dividuali e la famiglia d'origine (tab. 2 .5 ) . È da sottolinea­re, infine, che gli impegni lavorativi e la divisione del la­voro in casa sono agli ultimi posti della scala che misura il grado di accordo ma che l'ambito sui cui si riscontra mi­nor sintonia in assoluto è quello degli interessi culturali .

Si può dedurre, dunque, che gli scontri e le incom­prensioni all'interno della giovane coppia riguardino lo scarso coinvolgimento deV della partner nei confronti della propria professione e del tempo ad essa dedicato ma an­che la sua partecipazione alle faccende domestiche che, evidentemente, molti intervistati non ritengono adeguata. T ali problemi agiscono senz' altro negativamente sulla quo­tidianità; da più di un quinto degli intervistati vengono tuttavia esplicitate come causa di conflitto anche questioni

33 Vedi il capitolo di Leccardi contenuto in questo volume.

207

Page 210: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 2.5. Grado di accordo raggiunto con il partner rispetto a vari ambiti della vita di coppia in relazione al sesso (modalità «molto d'accordo>>) (%, 15-34 anni)

La scelta di avere (o non avere) figli La sessualità Le amicizie comuni Le vacanze L'educazione dei figli'' Spese ed investimenti economici L'organizzazione del tempo libero Il rapporto con la famiglia d'origine Le amicizie individuali Gli impegni lavorativi La divisione del lavoro in casa Gli interessi culturali

Base = 615/624

Sesso Maschi

60,0 65,8 59,2 58,4 53 ,3 48,6 53 ,3 47,4 4 1 ,6 34,0 42,6 25,5

Femmine

65,6 57,6 56,6 55,3 48,5 44,2 4 1 ,3 42,6 44,2 36,0 30,1 28,6

,., Per quanto riguarda questo item il numero dei casi è 362.

Totale

64,2 60,8 57,6 56,5 50,2 45,7 45,4 44,4 43,3 35,3 34,5 27,5

di fondo quali la scarsa condivisione di interessi culturali. Ciò può nel tempo enfatizzare le difficoltà reciproche e rendere più difficile il superamento dei conflitti interni: le basi comuni su cui costruire il dialogo e l'intendimento re­ciproco diventeranno pertanto più fragili. Nel complesso il disaccordo viene maggiormente verbalizzato dalle femmine rispetto ai maschi; in particolare esse denunciano, oltre ad un basso livello di aiuto delle faccende domestiche, anche modalità contrastanti di vedere il mondo, una scarsa con­divisione di passioni, curiosità ed interessi34 •

Costruendo un indice sintetico, trasformato in una variabile categoriale a tre livelli, che rileva il diverso gra­do di accordo complessivo presente nelle coppie formate dagli intervistati e dai loro partner, è possibile individua-

34 Emerge una certa discrepanza nel grado di accordo tra maschi e femmine; esso risulta minore per queste ultime in tutti gli ambiti ma soprattutto in relazione alle faccende domestiche. Al riguardo vedi: Fabbris e Martini [ 1999] .

208

Page 211: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB

. 2.6

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Base

= 5

20/5

44

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re tre gruppi, di dimensione quasi equivalente, di cui il primo è composto da coloro che, secondo l'opinione di uno dei due membri, hanno raggiunto un forte accordo (prevalenza della modalità «molto d'accordo» relativa­mente agli ambiti indagati) , il secondo un accordo medio (prevalenza della modalità «abbastanza d'accordo») e il terzo un basso livello d'accordo (prevalenza del «poco» e «per niente d'accordo») (tab. 2 .6) .

Oltre a esplicitarsi un maggiore malcontento al fem­minile emerge chiaramente che con il passare del tempo aumentano gli elementi di contrasto; l'aggravio degli im­pegni familiari e la complessità sempre maggiore dell 'or­ganizzazione della casa derivata dalla nascita di figli non aiutano il dialogo e la comprensione reciproca bensì por­tano ad accrescere il livello di conflittualità che si alimen­ta attraverso le disillusioni reciproche nonché con l 'accu­mularsi delle insoddisfazioni e dei rimpianti. Troviamo, infine, un incremento della litigiosità passando dalle clas­si superiori a quelle meno elevate: riducendosi la capacità di mediazione culturale e di verbalizzazione dei conflitti in relazione al minor livello culturale o accrescendosi le difficoltà economiche, e quindi i disagi e i possibili punti di attrito, tendono forse ad aumentare i contrasti.

4 . La divisione del lavoro domestico

Per approfondire la questione della divisione del lavo­ro domestico, centrale nell'intento di ridefinire in senso paritario i ruoli di genere e per consentire alla donna di avere pari opportunità nella realizzazione tramite la profes­sione, analizziamo come avviene all'interno delle giovani coppie la distribuzione del carico domestico familiare:

- dalla metà ai tre quarti delle donne si occupano in prevalenza delle attività domestiche rilevate tranne compie­re piccole riparazioni e adempiere ai compiti burocratici;

- solo una parte minima di uomini è impegnata rego­larmente nei lavori di casa se escludiamo gli interventi di aggiustatura di guasti e rotture, che vengono svolti dai tre

210

Page 213: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 2.7. Chi svolge le attività domestiche all'interno della famiglia (%, 15-34 anni)

Fare la spesa Cucinare Fare le pulizie Stirare Compiere piccole riparazioni Adempiere a compiti burocratici

Base = 618/621

Marito/ Moglie/ Madre/suocera Persona a convivente convivente in modo pagamento

42,6 83,3 19,1 88,7 18,5 86,9 4,6 84,1

77,9 13,9 66,7 49,5

prevalente in modo prevalente

1 , 1 2 ,7 0,2 1,1 5,9 6,6 4,4 5,4 4,9 2,7 1,0

quarti di loro, e il pagamento delle bollette, 1 rapporti con la banca o i problemi fiscali seguiti da meno della metà dei mariti/ conviventi;

- l'attività più condivisa dai coniugi o conviventi è la spesa: circa un terzo la fanno insieme o l'uno e l'altro in modo alternato, seguita dall'adempimento dei compiti burocratici che vengono svolti per circa un quarto da en­trambi i componenti delle giovani coppie.

Volendo rilevare qual è l'effettivo apporto maschile e femminile ai lavori domestici, indipendentemente dunque dal fatto che questi vengano svolti in prevalenza da uno dei due o da entrambi, emerge molto chiaramente la disu­guaglianza del carico tra i generi (tab. 2 .7 )35 . Sono pochis­simi i mariti! conviventi che stirano i panni a fronte della grande maggioranza delle mogli/ conviventi che lo fa; tali necessità familiari tuttavia vengono soddisfatte per un 10% da madri o dalle suocere o da persona a pagamento. Questa attività è quella svolta maggiormente (dopo le pic­cole riparazioni) da soggetti esterni alla famiglia e soprat-

35 Le percentuali di riga danno una somma maggiore di 1 00 in quanto la percentuale relativa alla modalità «entrambi» è stata somma­ta sia a quella della modalità «moglie/convivente» che «marito/convi· vente».

211

Page 214: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

tutto dalle madri o suocere. Nella gran parte dei casi puli­re la casa è di competenza femminile: solo un uomo su cinque contribuisce a tale necessità domestica come del resto risulta ridotto l'apporto maschile in cucina. Anche l'attività più condivisa tra i due membri della coppia, ov­vero la spesa, è svolta dal doppio delle donne rispetto agli uomini; non si può non sottolineare tuttavia la rilevanza della partecipazione maschile a questo compito in quanto non riscontrabile fino alla generazione attuale. Per spiega­re tale cambiamento è importante fare riferimento alle modalità odierne di svolgimento della «spesa» e al signifi­cato che sta via via assumendo: la scadenza non è più quotidiana, ma prevalentemente settimanale; ciò compor­ta l'aumento del volume e del peso dei prodotti acquistati tanto da rendere spesso necessario l'aiuto del coniuge/ convivente. Tale attività, che coinvolge spesso tutta la fa­miglia, può rappresentare, inoltre, un'occasione di stare insieme in luoghi, quali ad esempio i centri commerciali, che offrono anche attrattive per il tempo libero .

Come già rilevato c'è una sorta di specializzazione maschile per quanto riguarda le piccole riparazioni: se­condo la tradizione le attività manuali con qualche conte­nuto tecnico, e oggi possiamo pensare tecnologico, sono da considerarsi di competenza dell'uomo. Anche quelle amministrative e burocratiche avevano una simile attribu­zione di genere, oggi tuttavia vedono coinvolte metà delle giovani donne seppure il loro apporto risulti ancora infe­riore a quello del loro partner. Nel complesso si rileva la caratteristica di saltuarietà e comunque di non quotidia­nità dell'impegno maschile: non tutti i giorni si ottura il lavandino o c'è da aggiustare una presa dell'elettricità o da appendere un quadro; o ancora non è così frequente la necessità di andare in banca o alle poste. Far da man­giare, lavare i piatti o caricare la lavastoviglie o la lavatri­ce, spazzare, pulire e spolverare risultano, invece, partico­larmente gravosi ed impegnativi proprio perché necessari e inevitabili nelle loro scadenze giornaliere. T ali attività esigono, inoltre, un'organizzazione complessiva che ri­chiede non solo un impegno fisico ma anche mentale,

212

Page 215: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

normalmente assunto dalla donna che è consapevole di quanto essa incida sulla qualità del clima familiare.

Prendendo in considerazione soltanto i lavori stretta­mente necessari alla sopravvivenza del nucleo familiare (ovviamente tra quelli inclusi nel set delle attività domesti­che proposte nel questionario) si evidenzia, tramite un in­dice additivo, come circa i due terzi (67 ,7 % ) delle donne li svolgano tutti e quattro (fanno la spesa e le pulizie, cuci­nano e stirano) a differenza di pochissimi dei loro compa­gni (l ,4%) ; altrettanto minima risulta la percentuale delle prime che non si occupano della casa (4,8%) mentre pari a quasi la metà sono i maschi che non lo fanno (46,8%).

Utilizzando l'indice di «attivismo domestico» possia­mo constatare che certamente nella coppia in cui la don­na è lavoratrice l'uomo si dà maggiormente da fare in casa anche se non in misura particolarmente consistente, tanto da evidenziare una forte presenza della donna che è attiva sul mercato del lavoro e al contempo gestisce casa e famiglia: due donne con attività extradomestica su cin­que infatti non ricevono alcun aiuto dal marito/conviven­te nelle faccende casalinghe. Rileviamo, inoltre, che persi­ste al Sud il modello dell'uomo tradizionale che non ritie­ne confacente al suo ruolo pulire, lavare e cucinare; esso è più comune nelle classi superiori e nel ceto autonomo mentre è molto meno presente tra le famiglie della classe media impiegatizia e tra i maschi con titolo di studio me­dio-alto che risultano infatti disponibili a una maggiore collaborazione con la moglie/ convivente.

In base alla occupazione, domestica o extradomestica, della donna e al grado di partecipazione dell'uomo alle attività quotidiane di casa abbiamo costruito una tipolo­gia che individua quattro tipi di coppia36 (fig. 2 .4) :

- il primo, comune a circa un quarto del campione, lo possiamo definire «tradizionale» in quanto la componente femminile fa la casalinga e il marito/convivente nella gran-

36 Per una tipologia relativa alla coppia basata sul tipo di attività femminile, sulla partecipazione al lavoro domestico maschile e sulla ge­stione economica in famiglia vedi: Bimbi e La Mendola [1999] .

213

Page 216: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

• Paritaria • Doppia presenza

6,4%

30,2%

Q Tradizionale D Collaborativa

FIG. 2 .4. La tipologia basata sull'occupazione, domestica o extradomestic.a, della donna e sul grado di partecipazione dell'uomo alle attività quo­tidiane di casa (%) .

de maggioranza non partecipa alle attività domestiche. La divisione dei compiti è dunque molto precisa e gli ambiti d'intervento stabiliti secondo la tradizionale collocazione della donna nel privato, di cui si occupa totalmente e ge­stisce autonomamente, e dell'uomo, unico percettore di reddito della famiglia, nel sociale. In questo gruppo tro­viamo tuttavia una minima percentuale di uomini che col­laborano in una delle attività considerate: si affaccia un sottotipo di transizione che prevede la riduzione della to­tale responsabilità femminile nel lavoro familiare37 ;

- il secondo possiamo definirlo un tipo «puro», ri­guardante poco meno di un terzo del campione in quan­to è caratterizzato dalla «doppia presenza» della donna che pur lavorando fuori casa non riceve alcun aiuto dal partner38. Si può pensarlo come una modalità rappresen­tativa della transizione dal modello femminile economica­mente dipendente, ormai minoritario nelle giovani gene­razioni, indirizzato alla realizzazione nell'ambito familiare a quello in cui la donna ricerca autonomia e un'impor­tante fonte d'identità nella professione, a condizione però

37 Vedi ibidem. 38 Per quanto riguarda la categoria della «doppia presenza» vedi:

Balbo [ 1 978] ; Bimbi e Pristinger [1985] ; Bimbi [1989].

214

Page 217: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

di sobbarcarsi anche l'onere totale del lavoro domestico. Al contempo può essere un modo per la donna di non ri­nunciare, pur lavorando, all'espletazione del ruolo di «padrona di casa» che nulla vuole delegare, oppure una situazione non voluta da chi è costretta a lavorare quan­do il suo interesse è centrato sulla casa e sulla famiglia. Il costo che la donna paga nel combinare il lavoro familiare con quello per il mercato appare in ogni modo elevato e causa di conflitti d'identità ma anche di contrasti all'in­terno della coppia: l'accordo tra i coniugi/ conviventi ap­pare infatti in questo sottogruppo minore rispetto al re­sto del campione soprattutto per quanto riguarda la divi­sione dei compiti domestici;

- definiamo «collaborativa» la coppia più diffusa (una quota compresa tra un terzo e i due quinti degli in­tervistati ne fa parte) in cui la donna lavora ed è aiutata dal marito/ convivente per una o due delle attività dome­stiche proposte. Tale tipo di unione ha superato i più ri­gidi stereotipi di genere e la fissità dei ruoli maschili e femminili anche se permangono al suo interno delle resi­stenze, soprattutto da parte maschile, nel condividere pienamente le attività domestiche;

- la coppia «paritaria», decisamente minoritaria, ri­chiede la condivisione degli impegni domestici tra i due partner che hanno entrambi un'occupazione extradome­stica. T al e modello di convivenza prevede il rispetto da parte dei partner dei reciproci impegni ed interessi defi­nendo un «contratto di genere» in cui non prevalgono retaggi di stampo patriarcale bensì un accordo, non ne­cessariamente naturale, basato su contrattazioni e scambi sulle modalità di gestione della casa.

L'appartenenza ai diversi tipi di coppia è influenzata da vari fattori quali innanzitutto la zona geografica: la coppia tradizionale è quasi quattro volte più diffusa al Sud rispetto al Nord e poi dallo stato civile, nel senso che quella paritaria caratterizza la quasi totalità delle unioni libere da vincoli formali ed è basata unicamente dalla scelta di convivenza (tab . 2 .8) . Troviamo ancora che più la coppia è consolidata dagli anni di convivenza mag-

215

Page 218: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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45

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giormente assume un'impostazione tradizionale: non solo per la scelta da parte della donna di lasciare il lavoro ma anche presumibilmente per una sorta di riequilibrio inter­no che si viene a formare tra i partner, basato sulla fun­zionalità e sull'opportunità delle scelte, sul riconoscimen­to e accettazione dei propri interessi, bisogni ed orienta­menti che può portare ad una stabilizzazione di equilibri precari ma, almeno apparentemente, a svantaggio della condizione femminile. Rileviamo, infine, che la coppia tradizionale si trova maggiormente nella classe operaia mentre il tipo collaborativo ed anche quello paritario sono più diffusi tra le famiglie di ceto impiegatizio; la coppia caratterizzata dalla doppia presenza è più comune nelle classi superiori.

Ritornando alla tabella 2 .7 si può notare che l'inter­vento prevalente dei genitori è abbastanza contenuto, come del resto quello di personale a pagamento, entram­bi soddisfano circa il 10% del bisogno familiare per quanto riguarda le piccole riparazioni, le pulizie e lo sti­rare. Tale dato è tuttavia sicuramente sottostimato rispet­to alla realtà degli aiuti offerti dalla famiglia d'origine in quanto la domanda rivolta agli intervistati intendeva rile­vare la gestione prevalente delle singole attività da parte dei soggetti indicati. Troviamo infatti che molte giovani coppie usufruiscono dell 'apporto occasionale o abituale, ancorché non prevalente, di aiuto domestico da parte dei genitori (tab. 2.9). Bisogna premettere che tale dato non è oggettivo, non riflette necessariamente l'effettivo contri­buto di genitori o suoceri alle faccende domestiche in quanto è influenzato dal tipo di rapporto e dalle caratte­ristiche della relazionalità con i parenti del partner. L' aiu­to appare decisamente più consistente da parte delle ma­dri delle figlie femmine; prevedibilmente ciò è derivato da una maggiore affinità e confidenza presente tra donne della stessa famiglia di quanto accada tra suocere e nuo­re. I maschi sono disposti a riconoscere il ruolo più signi­ficativo delle suocere, rispetto alla propria madre, nelle faccende di casa così che il dato concorda, almeno in parte, con la percezione delle femmine.

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TAB. 2.9. Offerta di aiuto (abituale e occasionate) da parte di genitori e suoceri per le attività domestiche (%, 15-34 annz)

Genitrice Genitore Suocera Suocero

Base = 585/607

Maschi

36,6 2 1 ,9 45,2 29,6

Sesso Femmine

52,7 27,1 35,9 19,7

Le madri e le suocere sono più disponibili se sono ca­salinghe e aiutano di più la figlia o la nuora quando que­sta lavora fuori casa; la differenza tuttavia non è così si­gnificativa come ci si poteva aspettare. La partecipazione allo svolgimento delle attività domestiche in casa della giovane coppia sembra non essere dunque strettamente correlata con le necessità derivate dalla lunga assenza da casa, dovuta al lavoro extradomestico, della componente femminile ma può essere interpretato come un modo per esprimere affetto o un indicatore dell'esistenza di un rap­porto positivo di scambio tra le generazioni.

Costruendo un indice additivo che misura l'aiuto complessivo da parte dei genitori o dei suoceri degli in­tervistati troviamo che più della metà lo riceve da almeno uno dei componenti delle coppie parentale (circa uno su otto viene aiutato da tutti e quattro). Si evidenzia, inoltre, che le giovani coppie del Sud sono maggiormente sup­portate dalla famiglia d'origine mentre minore è l'aiuto da parte di genitori di elevato livello sociale e culturale. Una variabile particolarmente significativa rispetto all' aiu­to offerto è prevedibilmente la distanza tra le abitazioni: chi vive entro un chilometro dai genitori ne riceve in mi­sura maggiore rispetto a chi abita più lontano (una di­stanza contenuta entro i dieci chilometri non appare tut­tavia un ostacolo serio all'intervento di sostegno dei geni­tori) . Le coppie novelle, infine, sono maggiormente aiuta­te di quelle consolidate.

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Si può certamente concludere che col matrimonio o l'inizio di una convivenza non awiene una frattura con la famiglia d'origine in termini affettivi e di frequentazione bensì il rapporto sembra rinsaldarsi attraverso aiuti con­creti per il funzionamento del menage domestico che tut­tavia sembra richiedere minori supporti man mano che si stabilizza.

5 . Le scelte relative ai figli e il lavoro di cura

Dato che la quasi totalità dei figli nasce all'interno del matrimonio il basso tasso di nuzialità rilevato tra i giova­ni italiani porta inevitabilmente ad un basso tasso di fe­condità. Poco meno dei due terzi (62 ,7 % ) degli intervi­stati che vivono in coppia hanno almeno un figlio; tra i coniugati tale percentuale cresce al 67 ,2 % mentre si ridu­ce al 28,2% tra coloro che convivono senza un vincolo matrimoniale. Troviamo, infine, un numero esiguo di in­tervistati non conviventi con il partner ma aventi uno o due figli (si tratta per la maggior parte separati e divor­ziati) . Se prendiamo come riferimento i giovani che speri­mentano una qualche forma di convivenza, con o senza vincoli giuridici, possiamo affermare che hanno in media 0,97 figli per coppia; considerando invece gli intervistati con figli circa i due terzi (59,4 %) ne hanno uno, poco più di un quarto (34,2 %) ne ha due, il 5 ,5 % ne ha tre e il restante 0,9% ne ha 4 o più. Non si può dimenticare tuttavia che data l'età giovanile del campione e la presen­za di coppie appena istituzionalizzate o ancora «in pro­va» tali valori sono destinati a crescere nel tempo anche se, soprattutto per certe categorie, risulta evidente il dila­zionamento e la contrazione delle scelte relative alla fe­condità. La grande maggioranza dei figli degli intervistati (70,3 %) è in età prescolare, poco più di un quarto ha dai 7 ai 13 anni e solo il 2 ,9% ha più di 14 anni d'età. Pre­vedibilmente troviamo che i giovani della fascia d'età più elevata hanno i figli di età maggiore, più di un terzo tut­tavia ne ha al disotto dei tre anni.

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T AB. 2.10. Incidenza della presenza di figli sull'età in relazione al serro e al li­vello d'istruzione (%, 15-34 annz)

Età dell'intervistato 18-20 21 -24 25-29 30-34

Sesso Maschio 0,3 4,8 3 1 ,5 Femmina 1 ,8 5,6 19,0 55,1

Livello d'istruzione Basso 1 ,3 7,8 20,9 58,9 Medio 0,5 1 , 1 14,2 46,4 Alto 2,4 18,3

Base = 3 .000

Risulta evidente dalla tabella 2 . 1039 che le donne con­tinuano ad essere precoci rispetto ai maschi nel superare le tappe tipiche dell'età adulta: entro i 29 anni un quarto ha raggiunto l'ultimo traguardo facendo un figlio mentre ciò accade a una percentuale minima dei maschi; meno di un terzo di questi ultimi ha assunto il ruolo genitoriale entro i 34 anni mentre ciò è accaduto a più della metà delle femmine. Anche l'istruzione influenza notevolmente l'età in cui si fanno figli: nella fascia più elevata meno di un quinto dei laureati è diventato padre o madre a con­fronto di quasi i due quinti di coloro che hanno un livel­lo basso d'istruzione.

Anche la classe sociale della nuova famiglia influenza l'età al primo figlio: essa risulta più alta nelle classi me­dio-alte rispetto alle altre ed in particolare è circa quattro volte maggiore la percentuale di giovani con un lavoro di livello superiore che diventano genitori tra i 30 e i 34 anni rispetto a coloro che svolgono un'attività di tipo operaio. Ed infine i figli si fanno in età più giovane nei piccoli centri rispetto ai grandi.

La trasformazione dei rapporti tra i generi e tra le ge-

39 Vedi il capitolo di Buzzi contenuto in questo volume.

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nerazioni awenuta all'interno della famiglia ha indotto un'attenzione crescente alla dimensione relazionale ed in particolare ai significati simbolici sottesi alle attività che vengono svolte in seno alla famiglia stessa. Nel concetto di lavoro domestico trova spazio oltre al lavoro familiare e al lavoro burocratico anche il lavoro di cura proprio per la necessità di differenziare la diversa implicazione in ter­mini affettivi che assume una attività rispondente a biso­gni primari ma che al contempo ha valore di gratuità; essa implica infatti «il dono del tempo» speso nelle atten­zioni soprattutto verso i figli ma anche verso il partner e i componenti anziani della famiglia e influisce significativa­mente sulla qualità del rapporto tra i membri e sul clima familiare40. Abbiamo visto come la distribuzione tra i partner delle faccende domestiche disegnino una mappa del carico di lavoro ancora alquanto sfavorevole alle don­ne, andremo ora a verificare se l'impegno dei giovani ge­nitori nello svolgimento del lavoro di cura della prole tende o meno a modificare l'asimmetria delle prestazioni dei due generi. Dato che la partecipazione a tali compiti porta a ridefinire i confini deH'identità femminile e ma­schile potremo cogliere in particolare il cambiamento e la ridefinizione del ruolo paterno che sembra esprimersi an­che attraverso la crescente richiesta da parte dei padri di un tempo legittimato per la cura dei figli41 .

Sul questionario è stato inserito un set di attività di cura dei figli. Gli intervistati dovevano segnalare per cia­scuna attività se era svolta prevalentemente dalla madre, prevalentemente dal padre, con la partecipazione parita­ria di entrambi i genitori o in prevalenza da altre persone (nonni o baby-sitter) .

Analizzando i risultati emerge che: - sono le madri, dai tre quinti ai due terzi, ad occu­

parsi in prevalenza dei figli piccoli (sotto i dieci anni) soddisfacendone i bisogni primari, seguendoli nei compi-

40 Vedi Bimbi [199 1 ] . 4 1 Vedi La Mendola [1997a] ; La Mendola [ 1 997b] .

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ti, accudendoli se ammalati, acquistando per loro abiti e biancheria e portandoli a scuola; circa la metà li segue re­golarmente quando vanno a letto, li accompagna al nido, alla scuola materna o elementare e alle visite mediche;

- solo una minoranza di padri si responsabilizza in misura preponderante della cura dei bambini: superano il 10% solo in relazione all'accompagnamento a scuola e al g10co;

- più dei tre quinti dei genitori però condividono il gioco con i figli mentre quasi la metà di madri e padri gestisce in modo paritario l'impegno di accudirli durante le vacanze scolastiche e di organizzare loro il tempo libe­ro; la condivisione si riduce via via per le altre attività fino a risultare pari a circa un quarto per quanto riguar­da il dar loro da mangiare, aiutarli nei compiti scolastici e acquistare le cose necessarie per loro.

Se andiamo a rilevare la presenza nelle attività di cura, comunque esercitate in parti uguali o in prevalenza, di madre e padre troviamo ancora una netta prevalenza della prima sul secondo, tuttavia l'impegno di quest'ulti­mo risulta significativo per tutte le attività proposte; da sottolineare in particolare la disponibilità a giocare con i bambini da parte dei tre quarti dei padri e da più della metà ad organizzare il tempo libero e ad accudirli duran­te le vacanze (tab. 2 . 1 1 ) . Più di due quinti, inoltre, li ac­compagna a letto, li porta a scuola e alle visite mediche; il compito a cui il padre partecipa meno è forse quello più gravoso: dare da mangiare a i figli e accudirli nei loro bisogni primari. Altre attività nelle quali emerge la spe­cializzazione femminile sono gli acquisti di biancheria, vestiario o altro e l'aiuto nei compiti, incarico anch'esso impegnativo e continuativo che comprende il mantenere i rapporti con la scuola lungo tutto il percorso scolastico. Concludiamo osservando che l'attività più condivisa risul­ta quella Iudica che peraltro è quella più gratificante e si­gnificativa nel creare e mantenere un rapporto positivo con i figli piccoli.

Nel complesso, tuttavia, si conferma come continui a sussistere un coinvolgimento materno molto maggiore ri-

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TAB. 2 . 1 1 . Chi svolge (ha svolto) le attività di cura dei figli (%, 15-34 annz)

Padre Madre Nonna Persona a

Dar da mangiare o altri bisogni primari Mettere a letto Accompagnare a nido, scuola ma- 30,9 tema o elementare 44,9 Organizzare il tempo libero Giocare 45,1 Seguire nei compiti'' 55,4 Visite mediche 76,2 Acquisto biancheria, abiti, giochi 36, 1 Accudire figli ammalati 47,6 Accudire figli durante le vacanze 32,3 scolastiche 37,9

52,0

Base = 389/4 13

96,3 92,2

77,5 90,6 86,6 9 1 ,3 94,7 94,8 95, 1

86,4

materna o pagamento paterna

2,7 0,5

4,2 0,9 1 , 1 1 ,7 1 , 1 0,5 1 ,2 2 , 1

8,3 1 ,0

,., Per tale dimensione la base risulta pari a 188, in generale il numero delle risposte varia in relazione all'età dei figli che determina la presenza o l 'importanza delle diverse attività di cura.

spetto a quello paterno, anche se l'intensità dell'impegno varia in base all'età dei figli: decresce infatti l'impegno del padre con l'aumentare dell'età, che ritorna però a ri­salire in corrispondenza dell'adolescenza; per la madre invece' il periodo della scuola elementare e media risulta il più impegnativo: in questo arco di tempo si somma la necessità di rispondere ai bisogni primari di soggetti sol­tanto parzialmente autonomi, con l'incremento degli im­pegni scolastici e relazionali che, come abbiamo visto, tendono poi a ridursi con l'adolescenza. Le figure paren­tali appaiono dunque complementari: dalla presenza di entrambe, seppur in misura differente, con i figli nel pri­mo anno d'età, si passa a una riduzione della partecipa­zione paterna contemporaneamente al crescere di quella materna fino all'adolescenza quando di nuovo il padre sembra aumentare l'impegno con i figli e la madre invece ridurre il suo impegno di cura.

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TAB. 2 . 12. Il grado elevato di partecipazione alla cura dei figli di madre e padre in relazione alla tipologia della coppia di appartenenza (%, 15-34 an m)

Tipologia di coppia Totale Tradizionale Doppia Collaborativa Paritaria

presenza

Madre 78,5 74,3 64,7 55,0 7 1 ,5 Padre 9,3 12,0 23,4 46,0 16,7

Base = 353/400

TAB. 2 . 13 . Offerta di aiuto (abituale e occa.rzònale) da parte di genitori e suoceri per le attività di cura ('!\,, 15·34 anni)

Genitrice Genitore Suocera Suocero

Base = 385/401

Maschi

62,5 46,5 68,3 5 1 ,8

Sesso Femmine

67,6 47,2 48,1 35,2

La partecipazione del padre si riduce sig.t?-ificativa­mente nelle famiglie dove la donna è casalinga. E interes­sante, infine, rilevare l'influenza della tipologia di coppia individuata in rapporto agli alti livelli di cura (tab. 2 . 12 ) . In effetti si evidenzia come cambia l'apporto e quindi il coinvolgimento delle due figure parentali passando da una impostazione tradizionale della struttura di genere che vede una netta separazione dei ruoli ad una paritaria dove effettivamente la distanza tra i due partner nell'im­pegno con i figli si riduce consistentemente, pur rimanen­do superiore quello femminile.

Abbiamo visto dalla tabella 2 . 1 1 che solo pochi nonni hanno la responsabilità prevalente nella cura dei nipoti, ma, come per l'aiuto nelle attività domestiche, l'interven­to dei genitori degli intervistati è frequente anche se non sostitutivo della funzione genitoriale. Dalla tabella 2 . 13 si

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può infatti cogliere la consistenza dell'aiuto, occasionale o abituale, da parte delle famiglie d'origine: anche i non­ni oltre che le nonne partecipano in misura rilevante al­l' accudimento dei nipoti, portandoli a passeggio o gio­c.ando con loro, sicuramente di più o diversamente di

quanto non abbiano fatto con i loro figli. Si può cogliere, infine, una tendenza da parte dei ma­

schi a riconoscere il ruolo della propria madre nella cura dei nipoti e contemporaneamente la tendenza delle nuore a sottovalutare la partecipazione delle suocere a tale atti­vità. In generale l'impegno della famiglia d'origine risulta più significativo nelle cure rivolte ai bambini rispetto alle attività domestiche.

6. Note conclusive

Le tendenze in atto tra i giovani rispetto alla scelta di formare una nuova famiglia e all'impostazione dei rap­porti al suo interno possono esser così riassunte:

- si riscontra una forte resistenza a instaurare relazio­ni stabili, sancite o meno da vincolo matrimoniale; anche a molti di coloro che hanno superato i trent'anni sposar­si, come del resto convivere, appare una decisione diffici­le e troppo impegnativa, ancora prematura per gli oneri e le rinunce che comporta: in termini di libertà individuale, di opportunità di soddisfare i propri interessi e di perse­guire prospettive di realizzazione personale. I giovani sembrano temere gli impegni legati al «metter su fami­glia» forse consapevoli degli effetti che tale decisione comporta sulla qualità e la quantità del loro tempo libero ma anche sulle scelte lavorative che dovranno diventare necessariamente più prudenti, vincolate alla presenza in casa e finalizzate alla sicurezza e stabilità del reddito. Si rendono probabilmente conto della doverosità, in quanto membri di un nucleo familiare, di interpretare i ruoli di genere in modo più responsabile e rispettoso nei con­fronti del partner e quelli ancor più vincolanti nei con­fronti dei figli la cui presenza inevitabilmente riduce la

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discrezionalità delle scelte e l'autonomia individuale. Ciò che ne consegue è appunto l'orientamento ad evitare o a protrarre nel tempo il matrimonio e la nascita di figli.

- Il procrastinare le scelte fondamentali per l' assun­zione delle responsabilità della vita adulta portano inevi­tabilmente ad una riduzione della nuzialità e della natali­tà; tali fenomeni· creano la rottura del patto tra le genera­zioni e comportano oneri sempre più elevati per i giovani che si troveranno in difficoltà per mantenere l'equilibrio nel sistema previdenziale e per garantire la riproduzione sociale e culturale. Possiamo senz' altro individuare tra le cause di trasformazioni di così notevole portata l'allunga­mento del percorso formativo, legato alle esigenze dello sviluppo sociale e alla maggiore disponibilità delle fami­glie di investire nell'istruzione dei figli; non sono da sot­tovalutare tuttavia i cambiamenti culturali connessi in ge­nerale al sistema valoriale, orientato sempre di più alla soddisfazione dei bisogni individuali, ma anche a quelli relativi ai rapporti tra genitori e figli e al ruolo familiare e sociale della donna.

- Il mutamento dei rapporti tra le generazioni ha in­dubbiamente comportato una perdita di rilevanza della dimensione gerarchica all'interno della famiglia dove esi­ste oggi un rapporto più confidenziale e diretto tra geni­tori e figli, basato sull'affettività e caratterizzato general­mente dalla libertà di scelta e di movimento di questi ul­timi, soprattutto nel periodo post-adolescenziale. Con la disponibilità e l'apertura di padri e madri si riduce la conflittualità e i contrasti con i figli che non sembrano trovare motivazioni concrete, e quindi la spinta necessa­ria, a uscire di casa, a rendersi indipendenti in termini abitativi e autonomi economicamente; si allontana di con­seguenza da parte loro il momento di formare una nuova famiglia.

- La famiglia d'origine, che abbiamo visto accrescere la sua centralità nei valori giovanili e mantenere la sua forte influenza in termini di posizione socio-economica e culturale nelle opportunità dei figli, allarga il suo campo d'intervento anche sulla nuova famiglia: offrendo aiuto

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alla giovane coppia nello svolgimento del lavoro domesti­co e nella cura dei bambini. La maggioranza dei giovani italiani va ad abitare con il matrimonio o la convivenza molto vicino ai genitori o ai suoceri. T al e scelta riflette la rilevanza attribuita dalle nuove famiglie alla rete parenta­le come risorsa per soddisfare i bisogni di sostegno affet-tivo, relazionale, di supporto domestico e di cura. \

- Il ruolo della donna non si espleta più soltanto al­l'interno della famiglia: solo una minoranza delle giovani, soprattutto nelle coppie appena formate, fa la casalinga. La decisione femminile di sposarsi, presa mediamente in età più giovane rispetto ai maschi, si può pensare non sia più condizionata dalla scelta drastica di dover lasciare il lavoro e di rinunciare all'autonomia economica; essa sarà però senz' altro influenzata, oltre che dai fattori culturali che abbiamo evidenziato e dall'istruzione, dalla consape­volezza dei gravosi impegni relativi al lavoro domestico che comporta. I compiti all'interno della casa non appa­iono infatti ridistribuiti equamente in termini di genere, neanche nel caso in cui i membri della coppia lavorino entrambi. Appare in assoluta minoranza la coppia che condivide in modo paritario le attività domestiche mentre è molto più frequente la condizione femminile di «dop­pia presenza» che implica il sobbarcarsi completo da par­te della donna dell'impegno familiare oltre che di quello extrafamiliare. Si verifica nel complesso una maggiore partecipazione dell'uomo alle faccende domestiche anche se riguarda per ora prevalentemente ambiti che non coin­volgono la quotidianità e mansioni che mantengono una connotazione culturale maschile, quali compiere piccole riparazioni e adempiere ai compiti burocratici. Certamen­te l'evoluzione dei rapporti tra maschi e femmine va ver­so una riduzione delle disuguaglianze e la collaborazione tra i sessi ma il percorso non appare così rapido e conti­nuo anche perché incide sull'identità di genere.

- La responsabilizzazione nei compiti genitoriali ri­sulta più elevata per le madri rispetto ai padri; è da sot­tolineare tuttavia che la partecipazione al lavoro di cura da parte di questi ultimi va aumentando rispetto alle ge-

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nerazioni passate; essa riguarda soprattutto le attività più gratificanti, quali il gioco, mentre appaiono ancora in maggioranza latitanti relativamente a quelle più impegna­tive dal punto di vista della continuità nel tempo. Il coin­volgimento paritario all'interno della coppia nelle attività di cura è strettamente connesso con la condivisione di quelle domestiche.

- La distanza in termini di età tra coniugi e convi­venti risulta contenuta, è molto diffusa la coppia endo­gamica, nella quale entrambi i membri provengono dalla stessa realtà territoriale, esiste inoltre una consistente omogamia in termini socio-occupazionali tra i partner; nonostante una consistente omogeneità e vicinanza di modelli socializzativi e di riferimento permangono tutta­via molti motivi di contrasto e disaccordo, comprendenti soprattutto fattori essenziali quali gli interessi culturali e la divisione del lavoro in casa. Tutti gli ambiti sottoposti a giudizio vedono maggiormente critiche le donne che sembrano richiedere una grado superiore di sintonia e unità nella coppia; esse sembrano, inoltre determinate a contrastare un'impostazione tradizionale del rapporto sti­molando o pretendendo una maggiore partecipazione maschile ai compiti casalinghi e alla cura dei figli ma pro­babilmente anche cercando di contenere la propria ten­denza a sentirsi responsabili uniche del buon andamento della casa e della famiglia.

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CAPITOLO TERZO

RUOLI DI GENERE ED IMMAGINI DELLA VITA DI COPPIA

l. Perché studiare le relazioni di genere

Versione italiana del termine anglo-americano gender, il genere rinvia, com'è ormai ben noto, alla costruzione culturale, storicamente mutevole, delle diversità biologi­che tra uomini e donne - ai «significati molteplici e con­traddittori attribuiti alla differenza sessuale», per usare le parole di J o an Scott1 . In accordo a questa definizione, rife­rirsi alla dimensione di genere implica due operazioni in­terconnesse: mentre si prende distanza dall'astoricità del­l' aspetto biologico, l'attenzione si concentra sulle asimme­trie che, lungo i secoli, segnano le relazioni tra uomini e donne, prestando attenzione alla loro articolazione discor­siva. In chiave più strettamente sociologica, confrontarsi con una prospettiva di genere implica mettere a fuoco i modi e le forme in cui le relazioni di potere tra i due sessi si definiscono e si trasformano nel corso del tempo all'in­terno delle istituzioni e nella vita quotidiana. Insieme, ri­chiede un'analisi del rapporto tra tali trasformazioni e i «discorsi sociali» sulle differenze di sesso.

Le riflessioni che seguono guardano a quest'ultimo aspetto e, sulla base dei risultati della Quinta indagine IARD (là dove possibile anche confrontandoli con gli esiti della precedente ricerca del 19962) , offrono alcuni ele­menti sostantivi per misurare la forza sia di alcuni tra gli stereotipi più tradizionali in tema di ruoli di genere sia di visioni più aperte e in sintonia con i mutamenti che, nei

l Scott [1988, 2] . Per una ricostruzione del dibattito sul tema cfr., in particolare, Piccone Stella e Saraceno [1996] ; di Cori [2000] . Vedi anche Nadotti [ 1996] .

2 Cfr. Sartori [ 1997 ] .

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decenni più recenti, hanno investito i legami tra gli uomi­ni e le donne producendo nuove aspettative culturali e nuove codificazioni della differenza sessuale.

Soggetti del «discorso sociale» sul maschile e sul fem­minile sono, qui, ragazzi e ragazze, giovani uomini e gio­vani donne: un osservatorio privilegiato per fotografare persistenze e discontinuità nelle rappresentazioni sociali in tema di differenze tra i sessi e, anche, diversità e somi­glianze tra le visioni proposte dagli uni e dalle altre. Al­meno a grandi linee, inoltre, attraverso i risultati dell'in­dagine è possibile mettere a fuoco le dinamiche relazio­nali giovanili all'inizio del nuovo millennio. Le riflessioni sui modi in cui i giovani dei due sessi vedono la vita di coppia approfondisce questo specifico aspetto.

E poi opportuno segnalare, in sede introduttiva, come alcuni dei dati che verranno presi in considerazione (ad esempio l'età ritenuta ideale per diventare madri e padri per la prima volta) contribuiscano a gettare ulteriore luce sull'aspetto senz' altro più significativo della condizione giovanile oggi in Europa: l'allungamento nei tempi e la parallela trasformazione nei significati della transizione al­l' età adulta. Rendendoci consapevoli, anche per questa via, delle strette interdipendenze tra dimensioni di genere, fattori culturali e aspetti strutturali del mutamento con­temporaneo (emblematico, sotto questo profilo, è il caso delle trasformazioni dei comportamenti riproduttivi, di cui l'item considerato può essere considerato indicatore).

2 . I ruoli di genere

Possiamo sinteticamente definire i ruoli di genere come «l'insieme di comportamenti, doveri e aspettative connesso alla condizione maschile e femminile»3 . Si trat­ta, detto altrimenti, di quel variegato arcipelago di di-

3 Cfr. Burr [ 1 998, trad. it. 2000, 1 65 ] , vedi anche Nedelman [1997] .

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mensioni, socialmente normate e tra loro interconnesse, attraverso le quali si articola l'organizzazione sociale delle appartenenze di sesso. Prendendo in considerazione i ruoli di genere, così come vengono fissati nei diversi con­testi discorsivi epocali, siamo in grado di risalire ai signi­ficati culturalmente costruiti delle differenze sessuali.

Per esplorare tali significati, l'indagine IARD ha propo­sto ai giovani una serie di affermazioni in merito a questi ruoli, la maggioranza delle quali esplicitamente stereotipa­ta (tab. 3 . 1 )4 . L'adesione o meno alle affermazioni propo­ste (e il grado di consenso o di dissenso: si va dal «molto d'accordo» al «per niente d'accordo» passando attraverso quattro livelli) viene considerata indicatore di una visione più o meno conservatrice delle relazioni di genere.

Il quadro che emerge è a più colori. Mentre alcuni tra gli stereotipi più esplicitamente datati (ad esempio la primazia maschile nel «comando» familiare) raccolgono consensi minimi o bassi, altri (ad esempio l'identificazio­ne tra maternità e completa realizzazione femminile) continuano ad esercitare una non sottovalutabile forza di attrazione. In linea generale, si può comunque affer­mare che, nei quattro anni intercorsi tra la quarta e la quinta indagine IARD5, la capacità di attrazione di alcuni degli stereotipi più tradizionali si riduce, soprattutto grazie alle giovani donne. Come risultato, gli orienta­menti a carattere innovativo appaiono, seppure di misu­ra, prevalenti. Ma permangono, come si vedrà, ampie aree di tradizionalismo.

- Resiste, ad esempio, l'assenso intorno al luogo comu­ne che identifica l'uomo come procacciatore di reddito. Un terzo degli intervistati continua a dichiararsi d' accor­do con questa affermazione, addirittura con un lieve in-

4 L'elaborazione dei dati è stata condotta con la collaborazione di Emanuela Sala (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Uni­versità di Milano-Bicocca) .

5 Domande riferite ai ruoli di genere e alle immagini della coppia sono state inserite per la prima volta nel questionario IARD sulla con­dizione giovanile in Italia nella rilevazione del 1996.

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TAB. 3 . 1 . Grado di accordo su alcune affermazioni relative ai ruoli di genere per. sesso (%, 15-29 annz)

1996 2000 Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

È soprattutto l'uomo che deve mantenere la fami-glia Sono d'accordo 40,4 23,8 32,2 42,6 22,1 32,9 Di cui: Molto d'accordo 1 1 ,5 7 ,2 9,4 10,5 5,0 7,9 Abbastanza d'accordo 28,9 16,6 22,8 32, 1 17 , 1 25,0 Per una donna è molto importante essere attraen-te Sono d'accordo 69,1 57,1 63,1 75,3 63,7 69,8 Di cui: Molto d'accordo 21 , 1 13,0 17,1 23,8 13 ,6 19,0 Abbastanza d'accordo 47,9 44,1 46,0 5 1 ,5 50,1 50,8 È giusto che in casa Sia l'uomo a comandare Sono d'accordo 20,7 6,1 13 ,4 18,7 3 ,7 1 1 ,6 Di cui: Molto d'accordo 6,4 2,0 4,2 5,1 1 , 1 3,2 Abbastanza d'accordo 14 ,3 4 ,1 9,2 13 ,6 2,6 8,4 Sarebbe giusto che anche gli uomini aiutassero a fare le faccende domesti-che Sono d'accordo 81 ,3 92,7 86,9 79,4 91,4 85,1 Di cui: Molto d'accordo 34,4 59,8 47,0 29,7 54,9 4 1 ,7 Abbastanza d'accordo 46,9 32,9 39,9 49,7 36,5 43,4 Per l'uomo, più che per le donne, è molto impor-tante avere successo nel lavoro Sono d'accordo 5 1 ,5 43,3 47,4 50,5 39,7 45,4 Di cui: Molto d'accordo 2 1 ,6 19 , 1 20,4 19,3 1 1 ,0 15 ,4 Abbastanza d 'accordo 29,9 24,2 27,0 3 1 ,2 28,7 30,0 Una donna è capace di sacrificarsi per la famiglia molto di più di un uomo Sono d'accordo 7 1 , 1 78,2 74,7 63,4 69,8 66,4 Di cui: Molto d'accordo 38,7 51 , 1 44,9 27,4 35,9 3 1 ,4 Abbastanza d'accordo 32,4 27,1 29,8 36,0 33,9 35,0

(segue)

232

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T AB. 3 . l . (segue)

1996 2000 Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

In presenza di figli picco-tz; è sempre meglio che il marito lavori e la moglie resti a casa a curare i figli Sono d'accordo 66,6 63,4 69,6 67,0 54,7 61 , 1 Di cui: Molto d'accordo 38,1 28,5 33 ,3 28,6 14,9 22,1 Abbastanza d'accordo 28,5 34,9 36,3 38,4 39,8 39,0 La maternità è l'unica esperienza che consente la completa realizzazione del-la donna Sono d'accordo 47,4 46,0 46,7 Di cui: Molto d'accordo 15,8 17 ,3 16,5 Abbastanza d'accordo 3 1 ,6 28,7 30,2 Dato che la donna ha la responsabilità maggiore dei figli è giusto che debba poter decidere da sola se averli o non averli Sono d'accordo 14,3 17 ,1 15,6 Di cui: Molto d'accordo 6,5 5,9 6,2 Abbastanza d'accordo 7,8 1 1 ,2 9,4 Il ruolo della madre è per-fettamente interscambiabi-le con quello del padre Sono d'accordo 36,1 43 , 1 39,4 Di cui: Molto d'accodo 12,3 15,3 13 ,7 Abbastanza d'accordo 23 ,8 27,8 25,7

Base 2.500 2.297

cremento rispetto alla precedente indagine. Va tuttavia segnalato che l 'aumento si deve esclusivamente alla parte maschile del campione, mentre diminuisce di quasi 2 punti percentuali, tra le due ricerche, la quota di giovani donne che si riconosce in questa affermazione. Comples­sivamente, un numero quasi doppio di giovani uomini

233

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(oltre il 42 % contro il 22 % di giovani donne) fa propria tale visione.

Cresce in misura più consistente (oltre 6 punti) , e con un'equa distribuzione tra i due sessi, il numero di giovani - il 70% del campione - che si dichiara d'accordo con l'item «Per una donna è molto importante essere attraen­te». Se l'influenza dei media e dell'industria della moda nel diffondere un'immagine femminile quotidiana la cui avvenenza si misura per lo più sull'accentuazione, spesso provocatoria, dei suoi tratti sessuati gioca certamente un ruolo rilevante a questo riguardo, è soprattutto su un al­tro elemento che, a nostro avviso, va attirata l'attenzione. Ci riferiamo alla crescente consapevolezza, propria di questa fase della modernità, dell'importanza della dimen­sione corporea nella vita collettiva. E all'aspirazione che l 'accompagna, comune tanto agli uomini quanto alle don­ne, di poter esibire sulla scena sociale un corpo attraente. Per le giovani donne questo significa che l'avvenenza vie­ne ad aggiungersi ai pre-requisiti considerati necessari, ad esempio, per il successo in campo professionale. Per i giovani dell'altro sesso, d'altra parte, la bellezza fisica si riconferma attributo centrale del femminile. Sottolineare questo attributo, con l'aumento di legittimità sociale del modello di donna che lo incorpora, non solo è sempre meno disdicevole ma, in un certo senso, permette anche di minimizzare la nuova visibilità guadagnata dall' experti­se delle donne nel campo delle professioni tradizional­mente maschili. È comunque opportuno non perdere di vista la distanza in termini percentuali ( 12 punti) tra il grado di consenso intorno a questa affermazione espresso dai giovani uomini e quello segnalato dalle giovani donne - una distanza, tra l'altro, rimasta invariata tra le due ri­levazioni.

Per quel che riguarda la condivisione del lavoro do­mestico, non si può non prendere nota della diminuzione, anche se lieve, del numero di intervistati (e intervistate) che, per lo meno in linea di principio, la ritengono «giu­sta». Benché nel complesso i consensi restino senz' altro consistenti (oltre i quattro quinti del campione prendono

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pos1Zlone a favore della condivisione) , il segnale - sia pure solo simbolico - non appare incoraggiante per il fu­turo delle relazioni tra donne e uomini all'interno della famiglia. Ci si può chiedere quale parte giochi, in questa costruzione dei ruoli di genere, lo «stato delle cose» per quel che riguarda la divisione del lavoro domestico oggi in Italia. Sotto questo profilo, la sperequazione tra i due sessi è infatti patenté. I modelli con cui i giovani concre­tamente si confrontano, nella propria come nelle altrui realtà familiari, non incoraggiano certamente la convin­zione che la collaborazione maschile nei lavori domestici - giusta in linea di principio - sia giusta anche di fatto7• Anche in questo caso, ad ogni modo, le visioni maschili e femminili si differenziano: nuovamente con un divario di 12 punti, e per evidenti motivi, sono soprattutto le giova­ni donne a considerare «giusto» il contributo degli uomi­ni in quest'area.

Metà del campione maschile (ma solo due quinti di quello femminile) si dice poi convinto che il successo nel lavoro abbia rilevanza soprattutto per gli uomini. Questa visione tradizionalista dei ruoli di genere risulta in lieve calo (2 punti percentuali in meno) rispetto al 1996. È im­portante notare come la diminuzione degli assensi sia più marcata tra le giovani donne: quasi il 4 % di consensi in meno negli ultimi quattro anni rispetto all' l % in meno dei giovani uomini. Un segno ulteriore non solo dell'esi­stenza di un divario esplicito nell'adesione a modelli con­servatori in tema di ruoli di genere da parte dei giovani

6 Mentre per le donne il matrimonio comporta un aumento con­sistente (circa tre ore al giorno in più) del tempo dedicato al lavoro domestico, per gli uomini la struttura del tempo quotidiano non si modifica. La nascita dei figli accresce ulteriormente questo divario. Cfr. Palomba [1997 , 165-66] . Sul basso grado di condivisione del la­voro domestico e di cura anche tra le giovani coppie, vedi i risultati di questa stessa indagine sintetizzati nel contributo di Francesca Sartori.

7 Sul divario tra opinioni e comportamenti in tema di ruoli di ge­nere fra i giovani uomini cfr. gli esiti della ricerca, condotta negli Stati Uniti, da Hood [1993 ] .

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dei due sessi, ma anche della maggiore velocità di diffu­sione, tra le ragazze, di modelli orientati alla simmetria -conseguenza, tra l'altro, dei livelli di istruzione sempre più elevati raggiunti da queste ultime. Il dato è in sinto­nia con il grado di accordo espresso poi sulla visione del­la maternità come «unica esperienza che consente la completa realizzazione della donna» (quasi la metà del campione, più uomini che donne, si riconosce nell' affer­mazione) . Ma, per questo item, la distanza tra i due sot­to-campioni si riduce a poco meno di un punto e mezzo: ciò significa che, pur nell'interiorizzazione del modello della doppia presenza (da cui la legittimità del successo nel lavoro) , per un numero consistente di giovani donne la maternità continua a rivestire uno spazio privilegiato nelle traiettorie di costruzione dell'identità.

Conferma questa tendenza il consenso espresso da una quota ragguardevole di ragazze (55 %) ad una divi­sione dei compiti in famiglia, in presenza di figli piccoli, decisamente tradizionale: il marito al lavoro, la moglie a casa, a prendersi cura della prole. Sebbene il numero del­le giovani donne che si riconoscono in questo tipo di di­visione sia sensibilmente diminuito tra le due rilevazioni (9 punti in meno, contro la sostanziale stabilità delle ade­sioni maschili) , esso non passa certo inosservato. Solo prendendo in considerazione il potenziale auto-realizzati­va del maternage, la sua dimensione identitaria, il dato acquista senso. Rivelando le persistenti ambivalenze di una parte delle giovani donne nei confronti di quell'uni­verso della cura con cui il femminile è stato tradizional­mente fatto coincidere.

Elevato - sebbene in consistente diminuzione rispetto alla precedente indagine - anche il consenso attribuito al­l'item «Una donna è capace di sacrificarsi per la famiglia molto più di un uomo» (due terzi del campione si rico­nosce nell'affermazione, più le giovani donne dei coetanei dell'altro sesso) . In calo sono soprattutto i favori femmi­nili - ad indicare, anche in questo caso, una presa di di­stanza delle ragazze da un modello di genere centrato sul binomio donne/oblatività.

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I risultati relativi ai due ultimi item, quello riferito alla possibilità delle donne di decidere da sole se mettere al mondo dei figli e quello che sottolinea l'interscambia­bilità dei ruoli tra padre e madre - entrambi espressione, sia pure con accentuazioni diverse, di una visione non tradizionale dei ruoli di genere - forniscono interessanti elementi di riflessione. Mentre meno di un quinto del campione esprime il proprio consenso al primo, una per­centuale più che doppia, due quinti, si dice d'accordo con il secondo (in entrambi i casi il consenso femminile supera comunque quello maschile). Ciò significa che l' as­senso ad una visione dei ruoli di genere che potremmo definire «liberata», che sottolinea la completa autonomia delle donne anche nel campo più strategico, quello delle decisioni procreative, svincolandole da ogni tipo di su­bordinazione. alla figura maschile, resta periferica - anche tra le ragazze (solo il 17 % si dichiara d'accordo) . È plau­sibile che, in un periodo di rinnovata centralità della vita di coppia, l'affermazione suoni stonata. Anche per un certo suo tono ideologico, che mal si concilia con il prag­matismo giovanile dominante. Diverso è il caso del­l' orientamento aperto ma simmetrico che il secondo item bene esemplifica. I consensi che esso riscuote, soprattutto tra le giovani donne, sono di poco inferiori, ad esempio, a quelli ottenuti dal richiamo, più che tradizionale, al successo professionale come prerogativa solo maschile. Una quota consistente di ragazze, dunque, sembra oggi identificarsi in relazioni di genere costruite su una base di condivisione delle responsabilità per quel che riguarda il ruolo di genitore e, in generale, in forme di rapporto con il partner che danno per scontato il riconoscimento reciproco sia di diversità sia di comuni capacità e compe­tenze. I 7 punti percentuali che separano i consensi fem­minili da quelle maschili indicano, tuttavia, la distanza che ancora divide le donne dagli uomini rispetto a questa visione «moderna»: di fronte a una costruzione aperta­mente non gerarchica dei ruoli di genere molti ragazzi sembrano ancora arrancare.

Per quel che riguarda le fasce di età, e a conferma di

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quanto era emerso nell'indagine precedente, i teenager -specie la coorte in assoluto più giovane, quella dei 15-17 enni - tendono a manifestare visioni in parte più tra di­zionaliste rispetto alle coorti più anziane (ma non in modo omogeneo: i 18-20enni, ad esempio, esprimono con maggiore forza tanto l'idea che i ruoli familiari siano interscambiabili, quanto la convinzione che la decisione se avere o non avere figli possa spettare unicamente alle donne) . Se si esclude qualche item - è il caso ad esempio dell'alto consenso manifestato dai 30-34enni, una coorte in misura maggiore di altre alle prese con un'effettiva vita a due, verso un'equa spartizione tra i partner dei compiti domestici - in linea di massima colpisce la relativa omo­geneità di vedute in tema di ruoli di genere anche tra gruppi di età tra loro decisamente distanti.

Si conferma poi il divario, già segnalato nella quarta indagine, tra gli orientamenti più conservatori espressi dai giovani che vivono nel Mezzogiorno e quelli meno tradizionalisti manifestati dai giovani abitanti al Nord e al Centro. Non mancano anche qui, tuttavia, le eccezioni. I giovani del Mezzogiorno risultano, ad esempio, in assolu­to i più convinti che i ruoli parentali siano perfettamente interscambiabili - probabile portato della forza della me­moria familiare nel conservare, e trasmettere ai più giova­ni, il ricordo dell'esperienza migra t oria familiare, quando le figure femminili rimaste nei luoghi di origine con i figli ancora piccoli assumevano, di necessità, i ruoli materno e paterno insieme.

Sotto il profilo del livello di istruzione, e prendendo in considerazione il grado più alto di accordo della scala («molto d'accordo») , emerge soprattutto una correlazione tra basso livello di istruzione (licenza media) e adesione ad alcuni tra gli stereotipi più patenti - ad esempio, il «comando» maschile in famiglia o l'identificazione della figura maschile con il breadwinner. A conferma del dato, un background culturale familiare basso risulta consonan­te con questa stessa visione stereotipica.

Sulla base dell'adesione espressa alle affermazioni in precedenza analizzate è stata poi elaborata una costruzio-

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E;:':) Tradizione assoluta D Innovazione e eguaglianza

25%

D Innovazione e differenza • Tradizione temperata

FIG. 3 . 1 . Tipologia degli orientamenti relativi ai ruoli di genere (Base = 1 .435).

TAB. 3 .2 . Tipologia relativa ai ruoli di genere per le variabili che l'hanno deter­minata (% relativa al «molto d'accordo»)

È soprattutto l'uomo che deve mantenere la famiglia Per una donna è molto im­l?ortante essere attraente E giusto che in casa sia l'uo­mo a comandare Sarebbe giusto che anche gli uomm1 aiutassero a fare le faccende domestiche Per l'uomo, più che per le donne, è molto importante avere successo nel lavoro Una donna è capace di sacri­ficarsi per la famiglia molto di più di un uomo In presenza di figli piccoli, è sempre meglio che il marito lavori e la moglie resti a casa a curare i figli La maternità è l'unica espe­rienza che consente la com­pleta realizzazione della don­na Dato che la donna ha la re­sponsabilità maggiore dei fi­gli è giusto che debba poter decidere da sola se averli o non averli Il ruolo della madre è perfet­tamente interscambiabile con quello del padre

Innova- Innova- Tradi-ZIOne e zione ed zione

differenza eguaglianza temperata

0,6

1 1 ,9

o

65,9

4,0

38,4

9,4

12,2

13 , 1

36,9

0,9

12,8

0,2

46,0

1 ,3

7,6

5 ,4

6,1

7 ,2

3 ,8

8,4

20,2

o

39,9

28,6

60,8

32,9

24,0

l , l

3 , 1

Tradi­ziOne

assoluta

36,7

47,5

20,8

9,5

43,4

32 ,1

64,7

34,8

5,0

18,6

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ne tipologica8, con l'obiettivo di offrire un quadro sinotti­co dei modi in cui i giovani si rappresentano le relazioni di genere (fig. 3 . 1 e tab. 3 .2 ) .

Dei quattro tipi emersi, i primi due delineano orien­tamenti che possiamo definire aperti di relazione tra i ge­neri poiché esprimono, con intensità diverse, una visione di tipo simmetrico; gli ultimi due esprimono invece orientamenti chiusz; indice del permanere di una rappre­sentazione gerarchica nella costruzione culturale delle ap­partenenze di sesso. Consideriamoli più da vicino, pren­dendo rapidamente in esame anche il loro profilo anagra­fico, sociale e politico ( tab. 3 .3 ) .

2 . 1 . Innovazione e dz//erenza

Caratteristico di questo gruppo, che raccoglie circa un quarto del campione - è terzo per estensione - un ap­proccio marcatamente innovativo nei confronti delle rela­zioni di genere, caratterizzato, al contempo, da una sotto­lineatura della specz/icità di alcuni ruoli femminili. Chi appartiene a questa tipologia prende apertamente le di­stanze dalle asimmetrie di genere nella vita familiare mentre enfatizza la dimensione di autonomia delle donne. È ad esempio in netto disaccordo con le affermazioni re­lative all'identificazione del breadwinner con la figura ma­schile o alla posizione di «comando» di quest'ultima in famiglia; esprime, per contro, il grado più elevato di con­sensi alla condivisione del lavoro domestico tra i due partner. È anche esplicitamente a favore della possibilità, per le donne, di decidere in completa indipendenza se avere o no dei figli, oltre che dell'interscambiabilità dei ruoli tra i due genitori. Manifesta poi, in assoluto, il gra-

B È stata a questo scopo effettuata una cluster analysis, che ha utilizzato come variabili attive i dieci item considerati. Questa proce­dura ha messo in luce l'esistenza di quattro gruppi distinti che presen­tano, al proprio interno, omogeneità ben individuabili in rapporto alle affermazioni proposte.

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do minore di consensi alla centralità dell'avvenenza fem­minile.

Ciò che caratterizza questa tipologia rispetto all'altro gruppo innovatore - costituendo anche un suo tratto pe­culiare - è una sorta di maggiore consapevolezza di spe­cifiche differenze tra i generi. Viene ad esempio sottoline­ata la più intensa disponibilità delle donne a sacrificarsi per la famiglia e, pur con livelli di apprezzamento decisa­mente ridotti (intorno al 10%) , traspare al suo interno una relativa maggiore sensibilità, se paragonata alla se­conda tipologia innovatrice, nei confronti dell'idea che la maternità possa costituire un'esperienza ineguagliabile nella vita per le donne o che, con i figli piccoli, queste ultime debbano dedicarsi alla loro cura.

In questa tipologia, in cui prevalgono in modesta mi­sura i giovani del Nord e del Centro Italia, le ragazze sono rappresentate in percentuale pressoché doppia ri­spetto ai coetanei dell'altro sesso ( 66% contro 34%: si tratta del gruppo in cui la presenza femminile è più ele­vata) . Per quel che riguarda le fasce d'età, non emergono differenze significative (se si esclude una tenue, maggiore presenza delle due coorti estreme, dei 15-17enni e dei 30-34enni) . Al suo interno si addensa poi la percentuale più elevata di giovani che non vivono in famiglia (abitano da soli o con il partner, come coniugati o conviventi). L'appartenenza di classe appare omogenea, con un peso lievemente più consistente di quella impiegatizia e supe­riore. Analogamente tende a prevalere, ma con uno scar­to percentuale ridotto, un livello culturale familiare di tipo medio-alto. Sotto il profilo dell' autocollocazione po­litica, dominano qui, in modo netto, le aree di estrema si­nistra e di sinistra.

2.2. Innovazione ed eguaglianza

È il gruppo relativamente più numeroso: quasi un giovane su tre rientra in questa tipologia. Coloro che vi sono rappresentati espnmono un orientamento aperto e

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palesemente innovativo, con una v1s1one che . enfatizza la complementarità tra i due generi, fondata sull'eguaglianza. Se si esclude il basso consenso riservato all'interscambia­bilità dei ruoli materno e paterno, conseguenza di un'idea forte di complementarità fra uomini e donne - o, per analoghe ragioni, quello assai ridotto assegnato alla possibilità che le donne decidano per conto proprio se avere dei figli - tutti gli item che rimandano a forme di asimmetria di genere nella vita familiare raccolgono con­sensi minimi (sia pure, in linea generale, lievemente più consistenti rispetto alla tipologia innovazione e dzf/eren­za) . Chi si riconosce in questo gruppo, tuttavia, tende a enfatizzare maggiormente, rispetto al precedente, il fatto che le donne non devono forzatamente restare a casa per accudire i figli piccoli, non trovano la propria massima realizzazione nella maternità, non si sacrificano più degli uomini per la famiglia. Proponendo, in breve, una visione dei ruoli di genere fondata su una sostanziale simmetria di posizioni tra i partner.

I giovani dei due sessi sono rappresentati in misura identica in questa tipologia mentre, per quel che riguarda l'età, prevalgono le due coorti centrali, dei 2 1 -29enni. Sotto il profilo dell'appartenenza geografica si conferma, con uno scarto maggiore rispetto al gruppo precedente, il peso di chi vive nel Centro e nel Nord. La classe di ap­partenenza è per lo più quella impiegatizia, seguita da quella superiore. Il background culturale che tende in modo netto a prevalere è di tipo alto ( 15 punti percen­tuali in più rispetto al retroterra culturale basso) . L'auto­collocazione politica è, anche in questo caso, prevalente­mente nell'area della sinistra (egualmente nella sinistra e nell'estrema sinistra) , in misura ancora più accentuata ri­spetto alla tipologia innovazione e dz//erenza. È tuttavia interessante notare che, separata da soli 5 punti percen­tuali, si delinea qui anche una collocazione politica mo­derata, al centro dell'asse sinistra-destra.

242

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2.3 . Tradizione assoluta

Mentre le prime due tipologie raccolgono i giovani che fanno propria una visione «moderna» delle relazioni di genere, campo aperto alle trasformazioni, le due re­stanti tipologie esprimono il punto di vista di quella par­te del mondo giovanile che, di fronte ai processi di muta­mento, si arrocca su posizioni difensive. La prima, che abbiamo denominato tradizione assoluta, identifica coloro che persistono nell'interpretare i ruoli di genere in chiave apertamente gerarchica e di rigida separazione tra sfera maschile, pubblica, e sfera femminile, privata. Poco meno di un giovane su sei rientra in questa tipologia, che per estensione si colloca all'ultimo posto9• Qui il genere non è un costrutto culturale ma, inteso come sesso, costituisce piuttosto una dimensione immutabile, che divide in due il mondo. In tal senso gli uomini «comandano» in fami­glia, possono essere considerati i soli breadwinner, non collaborano nei lavori domestici; le donne devono soprat­tutto essere attraenti, dedicarsi alla cura della prole, con­siderarsi realizzate solo se madri (è in questa tipologia il maggior numero di consensi a questo item), essere consa­pevoli che in campo professionale il successo è per defi­nizione maschile.

Il profilo anagrafico e socio-politico di questo gruppo è nitido. Si tratta in prevalenza di giovanissimi, tra i 15 e i 20 anni, all'80% di sesso maschile. Vivono prevalente­mente al Sud e nelle isole, hanno un basso livello di istruzione, provengono per lo più dalla classe media au­tonoma e da quella operaia; il livello culturale familiare è basso o medio. L' autocollocazione politica si addensa nell'area di destra (nell'estrema destra in particolare) .

9 Nella quarta indagine IARD i l gruppo tipologico denominato «supremazia maschile», a sua volta costruito in base ad una cluster analysis che considerava come variabili attive una parte degli item uti­lizzati in questa sede, raccoglieva il 18 ,5 % del campione. In accordo anche a quanto è stato in precedenza segnalato, la forza di questa vi­sione altamente stereotipica è dunque in regresso.

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2 .4 . Tradizione temperata

Questa tipologia, seconda per estensione subito dopo quella innovazione ed eguaglianza (raccoglie poco meno di un terzo dei giovani) , costituisce la versione «moder­nizzata» del gruppo precedente. Confluiscono al suo in­terno coloro che esprimono una visione dei ruoli di gene­re definibile come moderatamente tradizionale. Capaci di contemperare continuità e discontinuità, senso della tra­dizione e tendenze modernizzanti, questi giovani sono in­clini a far venir meno (tipico il caso dell'assenso negato alla primazia maschile nei ruoli decisionali) o, più spesso, a contenere il consenso agli stereotipi più datati. Così, ad esempio, la centralità del successo maschile nel lavoro, o la doverosità delle donne di dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli piccoli, raccolgono favori fino a un terzo maggiori di quelli espressi dai due gruppi di innovazione, ma notevolmente inferiori, fino alla metà, rispetto all'al­tro gruppo tradizionalista. Pur mantenendo, in linea ge­nerale, una visione conservatrice dei ruoli di genere, chi appartiene a questo gruppo sembra tuttavia in grado di sintonizzarsi senza eccessivo sforzo sulle dinamiche più egualitarie di relazione - due quinti esprimono, ad esem­pio, pieno accordo sulla condivisione dei compiti dome­stici tra partner.

Quasi del tutto paritaria, all'interno di questo rag­gruppamento, risulta la presenza sia dei due sessi sia del­le diverse coorti (in lieve maggioranza gli uomini e le fa­sce d'età meno giovani, dai 25 ai 34 anni) . Fondamental­mente omogenea, se si eccettua una modesta prevalenza di chi vive nelle isole, è anche l'appartenenza territoriale. Lo stesso accade per l'estrazione di classe - ad accezione di un peso relativamente più consistente della classe me­dia autonoma, le differenze appaiono ridotte - e per il background culturale familiare (con una modesta preva­lenza del livello basso) . Si conferma, in tal modo, la so­stanziale trasversalità sociale di questa tipologia. Per quel che riguarda il profilo politico, prevale qui un orienta­mento di centro-destra.

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TAB. 3 .3 . Tipologia degli orientamenti relativa ai ruoli di genere per caratteri anagra/ia; sociali, e orientamenti politici (%)

Tipologia Sesso Età Area geografica di residenza

Ma- Fem- 15- 18- 21- 25- 30- Nord Centro Sud Isole schi m me 17 20 24 29 34

Innovazione e differenza 16,1 33,5 28,1 22,0 24,4 22,1 27,1 26,7 24,2 22,3 22,2 Innovazione ed eguaglianza 30,2 32,0 24,6 28,9 35,8 33,9 27,1 32,2 35,4 27,0 29,4 Tradizione temperata 29,1 28,9 23,4 29,6 27,3 31,3 30,3 30,6 27,7 25,5 32,8 Tradizione assoluta 24,6 5,6 24,0 19,5 12,5 12,7 15,6 10,4 12,7 25,2 15,6

Autocollocazione sull'asse Classe sociale Livello culturale destra-sinistra di appartenenza della famiglia

Estre- Sini- Cen- De- Estre- Supe- lmpie- Auto- Ope- Alto Me- Me- Bas-ma stra tro stra ma riore gatizia noma raia dio- dio so

sinistra destra alto

Innovazione e differenza 35,5 28,5 18,2 24,4 20,3 25,3 25,5 22,9 24,7 20,2 26,2 24,6 24,7 Innovazione ed eguaglianza 37,6 37,4 32,3 27,5 19,0 32,5 35,3 24,5 3 1 ,8 39,5 31 ,8 3 1,5 24,0 Tradizione temperata 215,1 26,4 34,3 30,1 26,6 29,3 25,8 34,0 27,6 27,7 28,6 28,6 31,4 Tradizione assoluta 11,8 7,7 15,2 18,1 34,2 12,9 13,5 18,6 16,0 12,6 13,4 15,3 19,9

Base = 1 .435

In sintesi, sulla base dell'analisi tipologica proposta due soprattutto appaiono gli aspetti da sottolineare:

- le visioni dei ruoli di genere emerse dalla tipologia disegnano in modo nitido due gruppi, divisi dall' apparte­nenza di sesso (fig. 3 .2 ) . Mentre prevale fra i giovani uo­mini un orientamento tradizionalista - poco oltre la metà del campione maschile si colloca nelle due tipologie iden­tificate dal riferimento alla tradizione e, in particolare, un quarto è rappresentato dal gruppo tradizione assoluta -fra le giovani donne è un orientamento innovativo

245

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Maschi Femmine

� Tradizione assoluta D Innovazione e eguaglianza

D Innovazione e differenza • Tradizione temperata

FIG. 3 .2 . Tipologia degli orientamenti relativi ai ruoli di genere in rapporto al sesso (Base maschi = 739. Base femmine = 696).

Innovatori Tradizionalisti

• Estrema destra O Estrema sinistra O Sinistra • Centro � Destra

FIG. 3 .3 . Tipologia degli orientamenti relativi ai ruoli di genere in rapporto al­l'autocollocazione politica (Base innovatori = 461. Base tradizionalisti = 348).

( 65,5 %) a risultare maggioritario. Inoltre, se si considera la presenza femminile nelle due tipologie caratterizzate dal riferimento alla tradizione, si nota come solo un'esi­gua minoranza (poco più di una ragazza ogni venti) com­paia in quella denominata tradizione assoluta;

- un secondo quadro bipolare emerge considerando il rapporto tra visione dei ruoli di genere e orientamenti politici (fig. 3 .3 ) . Da un lato si delinea - in un certo sen­so scontata - una stretta correlazione tra appartenenza alle due tipologie innovative e autocollocazione a sinistra (praticamente la metà degli innovatori si colloca in que­st'area politica) . Meno scontata è la prevalenza, tra chi si

246

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riconosce nell'area dell'innovazione e non si pos1z10na a sinistra, di un' autocollocazione a destra piuttosto che al centro. Questo significa che un orientamento di destra preclude meno la possibilità di esprimere una visione aperta delle relazioni di genere rispetto a un orientamen­to di centro. Dall'altro emerge, a sua volta prevedibile, un legame tra adesione a una visione tradizionale dei ruo­li di genere e prevalente posizione politica di destra ( 4 1 %) . L'area di centro, in accordo a quanto detto in precedenza, risulta maggiormente rappresentata fra i tra­dizionalisti (28%) piuttosto che fra gli innovatori (22 %) . Non sottovalutabile, sempre fra i tradizionalisti, è comun­que anche la presenza di chi si colloca a sinistra (3 1 %) .

3 . La convivenza

Consideriamo ora la scelta della convivenza. Com'è ben noto, solo un'esigua minoranza di giovani (e meno giovani) convive in Italia more uxorio. Nei quattro anni in­tercorsi tra le due indagini IARD la percentuale dei giovani 15/29enni conviventi è comunque lievemente aumentata, passando da meno dell' l % circa del 1996 al 2 % circa del 2000. Se prendiamo in considerazione anche la coorte dai 29 ai 34 anni, la percentuale complessiva sale a poco meno del 3 % , con una prevalenza di giovani donne. Tra i 30-34enni in particolare la ricerca registra oltre il 5% di con­vivenze, mentre il doppio di giovani di questa fascia d'età ha avuto esperienze di convivenza senza matrimonio in passato. Tenendo conto che circa il 40% del campione si dichiara sempre favorevole alla convivenza, esiste dunque una notevole discrepanza tra i comportamenti dei giovani e i loro orientamenti in tema di convivenza.

Tra le due rilevazioni, tra l'altro, la percentuale di non favorevoli alla convivenza è diminuita di 10 punti percentuali. All'interno del gruppo che si dichiara incon­dizionatamente favorevole alla convivenza senza matrimo­nio - quasi il 42% se si considerano anche i trentenni -continuano comunque a prevalere i giovani di sesso ma-

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schile, a conferma del fatto che, di fronte a un'unione, le giovani donne si sentono più garantite dalla presenza di vincoli di tipo formale. Dai giovanissimi e dagli ultratren­tenni, soprattutto coloro che vivono al Nord e al Centro e hanno un background culturale familiare elevato, pro­vengono oggi i maggiori consensi a questa idea.

Ma l'aspetto che più colpisce, confrontando gli esiti delle due indagini (tab. 3 .4 ) , è soprattutto l'aumentato consenso nei confronti della convivenza prematrimoniale: un periodo di vita in comune prima del matrimonio è considerato oggi con favore da un terzo del campione. Se ne può dedurre che i giovani la vedano come un utile strumento di auto-esplorazione, un modo pragmatico per conoscere meglio se stessi/e e il/la partner, per capire se la relazione può passare incolume anche attraverso le ma­glie strette del tempo «ordinario» della vita quotidiana. Va segnalata, in particolare, la notevole crescita (superio­re a quella maschile) dell'adesione ideale delle giovani donne a questo tipo di convivenza «sperimentale», di transizione verso un futuro matrimonio10• È interessante ad ogni modo notare come, con il crescere dell'età, i con­sensi femminili si riducano. Così, ad esempio, nella coor­te in assoluto più giovane, quella dei 15-17enni, il nume­ro delle ragazze favorevoli è consistentemente maggiore di quello dei ragazzi (37 % contro 26%) . Il divario inizia a ridursi nella coorte successiva e, dopo i 20 anni, il rap­porto si rovescia: i giovani uomini esprimono opinioni più favorevoli delle coetanee. È probabile che, in quanto teenager ancora lontane dal confronto concreto con un'eventuale scelta di convivenza, le ragazze siano nella condizione di esprimere orientamenti culturali più liberi.

Per quel che riguarda le fasce di età, appaiono spe­cialmente favorevoli alla sperimentazione prematrimonia­le i 2 1 -24enni; meno favorevoli i 30-34enni: per questa coorte, per evidenti motivi anagrafici, la prospettiva per-

10 In Italia, del resto, è questo il tipo di convivenza più diffuso. Cfr. Sabbadini [1997 , 87] .

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TAB. 3 .4 . Posizione di fronte alla convivenza (%, 15-29 anm)

1996 2000 Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

Favorevole alla conviven-za prima del matrimonio 26,7 23 ,3 25,0 35,5 33 ,8 34,6 Sempre favorevole alla convtvenza 43,7 36,5 40,1 44,8 37,3 4 1 , 1 Non favorevole alla convtvenza 22,2 34,0 28,1 13 , 1 22,4 17,6 Non so 7,4 6,3 6,8 6,6 6,6 6,6

Base 2 .500 2.286

de di significato. Né l'area geografica di residenza né il li­vello culturale familiare condizionano in modo significati­vo il grado di consenso. A dimostrazione della trasversali­tà di questo orientamento esplorativo nei confronti della vita di coppia, anche i giovani che possono essere consi­derati cattolici praticanti (frequentano la messa regolar­mente tutte le settimane) accolgono l'idea con il medesi­mo livello di gradimento: più di un terzo si esprime in questo senso. Se si guarda poi al gruppo dei giovani che frequenta la messa una volta al mese, la percentuale dei favorevoli sale oltre il 40% .

4 . L'età ideale per la prima maternità/paternità

Per diventare madri per la prima volta, un po' meno dei due terzi del campione (oltre il 60%, con una lieve prevalenza dei giovani uomini sulle giovani donne) segna­la come ideale la fascia di età 26-30, mentre poco meno del 20% indica i 20-25 anni. Non arriva all' l % la per­centuale di chi fa riferimento a un età anteriore ai 20 anni. In accordo poi alle trasformazioni dei modelli fami­liari nell'Italia degli ultimi decenni1 1 (caratterizzate, tra

1 1 Cfr. Barbagli e Saraceno [1997 ] .

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l'altro, dalla crescita dell'età dell'abbandono della fami­glia di origine, del primo matrimonio e del primo figlio) 16 ragazze e 13 ragazzi su cento condensano le proprie preferenze intorno alla fascia 30-35 anni. Va sottolineato che la percentuale dei consensi per una prima maternità tardiva sale al 20% per coloro che, al momento dell'in­tervista, avevano un'età compresa tra i 30 e i 34 anni, la coorte «meno giovane» del campione. In particolare, ben una 30-34enne su 4 (contro una 15-17enne su 12) consi­dera ideale questo periodo della vita per diventare madri per la prima volta. Questa preferenza è chiaramente con­sonante con la realtà di una consistente quota di donne ultratrentenni che ancora non hanno costituito un pro­prio nucleo familiare (il 30% circa delle 30-34enni inter­vistate convive con la famiglia di origine) né generato fi­gli. La possiamo perciò considerare come un indicatore sia dell'attuale ridefinizione delle tappe centrali del corso di vita, conseguenza dei mutamenti nei modi e nelle for­me della transizione all'età adulta, sia delle trasformazioni che, in parallelo, hanno investito il processo di costruzio­ne dell'identità delle donne - e, in specifico, il ruolo del­la maternità al suo interno.

Mentre l'essere uomo o donna incide in misura mini­ma sull'indicazione dell'età ideale per la prima maternità (i giovani dei due sessi indicano in eguale misura i 20-25 anni; i 26-3 O ricevono una consenso del 3 % superiore da parte dei giovani uomini e viceversa, per la stessa percen­tuale, i 30-35 da parte delle giovani donne) , è soprattutto l'area geografica di residenza a costruire uno spartiac­que12 . Infatti, mentre l'indicazione dell' «età centrale» (26-3 O) tende a unificare le diverse zone di residenza, chi ri­tiene ideale una maternità precoce (prima dei 25 anni) tende a concentrarsi nel Sud e nelle isole; e chi, al con­trario, giudica conveniente una maternità dopo i 30 anni nel Nord e nel Centro.

12 Il dato conferma i risultati della ricerca di Buzzi [ 1998, 44-46] , anche se non relativamente agli effetti della diversità di genere.

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Sotto il profilo del background culturale familiare, i giovani che provengono da una famiglia con un basso li­vello culturale tendono a considerare ottimale una mater­nità precoce (il 25 % dei giovani con questo retroterra fa­miliare considera ideale la maternità tra i 20 e i 25 anni, contro una media inferiore al 20%) . Chi invece ha alle spalle una famiglia con un livello culturale alto condensa le proprie preferenze in modo lievemente maggiore su un'età ideale compresa tra i 30 e i 34 anni.

La diffusione di un orientamento «dilazionatore» nei confronti dell'ingresso nella vita adulta emerge prenden­do in considerazione anche le indicazioni circa l'età idea­le per diventare padri. Ma, in questo caso, le differenze di genere ricompaiono. Se le preferenze di poco meno la metà del campione (ma più della parte maschile che di quella femminile) si concentrano, anche qui, intorno alla fascia d'età 26-30 anni, una percentuale consistente di giovani donne (oltre il 4 3 % , contro il 3 3 % di giovani uo­mini) , considera ideale per la prima paternità un'età com­presa tra i 30 e i 35 anni. Il 4% del campione, poi, ritie­ne ottimale, per un uomo, avere il primo figlio dopo i 35 anni. Oltre la metà di coloro che hanno tra i 25 e i 35 anni (quasi il 60% se si focalizza l'attenzione esclusiva­mente sulle giovani donne) privilegia una prospettiva di paternità ideale dai 30 anni in su. La posticipazione del­l' assunzione dei ruoli adulti è divenuta ormai un compor­tamento così diffuso da avere creato nuove attese cultura­li e avere disegnato, per gli uomini come per le donne, nuovi orizzonti esistenziali.

A differenza di quanto accadeva per l'età ideale per una prima maternità, non emergono, in questo caso, dif­ferenze significative in base all'area di residenza. Si deli­nea invece un'evidente correlazione tra un background culturale familiare elevato (e l 'appartenenza a una fami­glia di classe superiore) e la predilezione per una prima paternità dilazionata, dopo i 30 anni. La medesima ten­denza vale per il livello di istruzione: più esso sale, più si alza l'età ideale per la paternità. Così, ad esempio, ben il 60% dei laureati identifica come ideale per la

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prima paternità la fascia dai 30 anni in su, mentre i gio­vani con il solo titolo dell'obbligo che esprimono il me­desimo punto di vista sono meno del 30%. Non solo, dunque, un livello culturale personale elevato rafforza la condivisione di modelli di transizione centrati sulla po­sticipazione delle responsabilità adulte. La dilatazione dei tempi della conclusione degli studi costituisce, sul piano pratico, un'ulteriore, forte spinta ad abbracciare questa visione.

5 . Le rappresentazioni della vita di coppia

Quanto si è detto ha già ampiamente messo in luce l'esistenza di vedute difformi tra i giovani dei due sessi in merito ad alcuni, essenziali aspetti delle relazioni di gene­re. Per completare il quadro delle differenze può risultare interessante prendere ora in considerazione gli orienta­menti dei giovani uomini e delle giovani donne riguardo l'importanza da attribuire ad alcuni fattori in vista della buona riuscita del rapporto di coppia (tab. 3 .5 ) .

Sebbene tanto gli uni quanto le altre disegnino una rappresentazione della vita a due in cui un ruolo sempre più centrale è assolto da dimensioni come il rispetto e la comprensione reciproci, la fedeltà e la capacità di comu­nicare, sono le giovani donne - a conferma di quanto emerso, in linea generale, anche nella quarta rilevazione IARD - a costituire il polo trainante di una visione del rapporto di coppia che richiama direttamente alla mente la cosiddetta «relazione pura» analizzata da Giddens13 . Secondo questa prospettiva, la forza del legame a due sa­rebbe oggi sempre meno misurata da criteri esterni/socia­li di rilevanza, sostituiti da criteri interni, legati alla capa­cità intrinseca del rapporto di garantire a ciascuno dei partner sufficienti gratificazioni emotive e identità, per lo meno nel breve periodo. Dimensioni come la comunica-

13 Giddens [ 1991 , 6-7; 1992 ] .

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T AB. 3 .5 . Fattori che contribuiscono maggiormente alla buona riuscita di un rap­porto di coppia in relazione al sesso (% relative alla risposta «/onda­mentale» - 15-34 annz)

Fattori Maschi Femmine Totale

Rispetto dell'altro 75,0 80,9 77,9 Comprensione reciproca 56,5 60,6 58,5 Fedeltà reciproca 62,2 70,3 66,1 Capacità di comunicare 42, 1 54,5 48, 1 Intesa sessuale 40,3 28,6 34,7 Valori ideali e aspirazioni comuni 30,1 33,5 3 1 ,7

Base = 3 .000

zione, l'impegno reciproco, la condivisione, la fiducia di­ventano così la base per un vero e proprio patto a due, per un'intimità nutrita dalla ricerca comune di una «qua­lità assoluta», per un investimento sulla relazione in quanto tale - aspetti che, nel loro insieme, tendono d'al­tra parte a rendere la relazione anche inevitabilmente più fragile. In accordo a questa visione, nella relazione amo­rosa i giovani (e, in particolare, le giovani donne) appaio­no privilegiare la partecipazione emotiva, la ricerca del­l'intimità psicologica, il piacere del vincolo alla fedeltà, il rispetto per l'altro.

Diversamente che nelle teorizzazioni sulla «relazione pura», tuttavia, neppure un terzo delle ragazze afferma di considerare «fondamentale» nella vita di coppia il fattore «intesa sessuale»14 (esattamente il 29% contro il 40% dei giovani uomini; ma va considerato che la metà lo vede comunque come «molto importante») . Al tempo stesso -con sano realismo - le giovani donne tendono a mettere in rilievo in misura maggiore dei coetanei dell'altro sesso la centralità dell'indipendenza economica nella buona riuscita del rapporto a due.

Sotto il profilo della coorte di appartenenza, i giova-

14 Vanno nella medesima direzione i risultati della ricerca con­dotta da Garelli [2000, cap. VII].

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mss1m1 appaiono più sensibili alla dimensione della «fe­deltà reciproca», gli ultratrentenni all'importanza del «ri­spetto per l 'altro», i 25-29enni alla centralità dell'«intesa sessuale». Quest'ultima è considerata «fondamentale» so­prattutto dai giovani che vivono nel Mezzogiorno e nelle isole: il 40% contro poco più del 30% chi abita nel Cen­tro-Nord. Una differenza significativa tra i giovani resi­denti nelle diverse aree d'Italia traspare anche dal grado di adesione al fattore «stesso livello di istruzione e di cul­tura». I giovani del Sud e delle isole che lo considerano fondamentale per una buona intesa di coppia sono infatti in percentuale praticamente doppia rispetto ai giovani del Centro-Nord - lasciando trasparire, da questo punto di vista, un orientamento più «materialista» (à la lnglehart) rispetto ai coetanei di altre parti d'Italia.

Il background culturale familiare condiziona solo in modo lieve le valutazioni dei giovani circa la rilevanza da assegnare a questo o quel fattore per il buon esito della relazione amorosa. In particolare, l'indipendenza econo­mica, la fedeltà, l'esistenza di valori e aspirazioni comuni sono indicati come aspetti «fondamentali» con relativa maggiore frequenza da chi proviene da famiglie con bas­so livello culturale rispetto a chi ha un background cultu­rale più elevato. I giovani con un retroterra familiare di quest'ultimo tipo, a loro volta, tendono a privilegiare aspetti che rinviano alla centralità dell'intimità psicologi­ca (come la «comprensione reciproca» e la «capacità di comunicare») . Non va tuttavia dimenticato che i giovani che provengono da famiglie di classe sociale superiore considerano il fattore istruzione e cultura «poco impor­tante» nell'intesa di coppia in misura decisamente mino­re rispetto a chi appartiene alla classe operaia (il 36% dei primi lo considera tale contro il 52 % dei secondi) 15 .

15 Al di là del rilievo delle affinità culturali sul piano della comuni­cazione, non si può fare a meno di richiamare alla mente, a questo ri­guardo, le «strategie di riproduzione» di classe analizzate da Bourdieu [1979] , attraverso le quali gli agenti, in modo più o meno consapevole, mirano a mantenere/migliorare nel tempo la propria posizione sociale.

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6. Osservazioni conclusive

Dall'analisi della rilevazione del 2000 in tema di ruoli di genere e di immagini della vita di coppia si delineano in particolare due tendenze:

- la prima, messa in luce dalla comparazione con i dati della precedente indagine IARD del 1996, sottolinea, in linea di principio, la presenza di orientamenti via via più aperti, meno gerarchici e stereotipici in tema di ruoli di genere e, più in generale, la crescita di interesse per forme di relazione di coppia poco vincolanti e più speri­mentali (significativa, sotto questo profilo, la maggiore di­sponibilità nei riguardi della convivenza) . Questa tenden­za, tuttavia, continua a convivere con visioni più tradizio­naliste circa i compiti sociali degli uomini e delle donne, delineando uno scenario ricco di contraddizioni;

- la seconda rinvia alla permanenza (e, non di rado, all'accentuazione) di un divario nei modi di guardare alle relazioni tra uomini e donne da parte dei giovani dei due sessi - in riferimento, ad esempio, alle priorità da asse­gnare a questo o quel fattore in vista della costruzione di un soddisfacente rapporto a due; o, ancora, per quel che riguarda i modi di considerare i ruoli che donne e uomi­ni assolvono sulla scena sociale.

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PARTE QUARTA

PARTECIPAZIONE, IDENTITÀ COLLETTIVA E RAPPRESENTAZIONI SOCIALI ·

di Luca Ricoljz; Davide La Valle, Patrizia Facciolz; Leonardo Altieri, Ilvo Diamantz;

Pierangelo Perz; Michele Rostan e Massimiano Bucchi

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CAPITOLO PRIMO

L'ECLISSE DELLA POLITICA

l. Tendenze passate

Il quarto rapporto IARD, relativo al 1996, segnalava quattro tendenze principali. lnnanzitutto la rilegittimazio­ne della politica, probabilmente connessa al ricambio del personale politico messo in moto da T angentopoli. In se­condo luogo l'ulteriore spostamento verso destra delle preferenze elettorali dei giovani . In terzo luogo l'estremi­smo delle preferenze elettorali dei giovani (preferenza per i partiti di estrema destra ed estrema sinistra) , che pren­deva il posto del radicalismo (preferenza per i partiti radi­cali di cehtro: Verdi, Rete, Lega) dì quattro anni prima [ 1992 ] . Infine la crescente divaricazione fra la dimensione puramente verbale della politica (interesse e posiziona­mento) e la sua dimensione pratica (impegno politico concreto) .

Quest'ultimo aspetto aveva suggerito di intitolare «La politica immaginaria» il capitolo sulla politica del rappor­to del 1996.

Il quadro che emerge dall'indagine del 2000 appare alquanto mutato, e pone alcuni interrogativi nuovi.

2 . Tendenze recenti

Cominciamo con il tracciare un breve quadro delle principali tendenze emerse negli ultimi quattro anni nei campi della partecipazione, degli atteggiamenti verso la politica, dei valori postmaterialisti, dell' autocollocazione sull'asse destra-sinistra, delle preferenze elettorali.

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2 . 1 . Partecipazione

È difficile stabilire con certezza se l'associazionismo giovanile sia cresciuto o diminuito negli ultimi quattro anni, dal momento che la formulazione della relativa do­manda è cambiata leggermente nell'ultima indagine IARD. Rimandando al capitolo sull'associazionismo un'analisi dettagliata del problema, quel che qui possiamo dire con sufficiente certezza è che una quota non trascurabile dei giovani (intorno al 10%) ha prestato lavoro volontario in una associazione nei tre mesi immediatamente precedenti la rilevazione, e che l'investimento soggettivo nei confron­ti dei vari tipi di associazioni è aumentato per quanto ri­guarda le associazioni di impegno, mentre è diminuito per le associazioni religiose e di fruizione1 .

Ma il dato più importante è quello della partecipazio­ne effettiva ad attività di impegno pubblico. Su questo l'indagine IARD rileva un vero e proprio crollo dell'impe­gno pubblico, che coinvolge tutti i settori - scuola, lavo­ro, ambiente, pace, problemi della donna, campagne elet­torali - eccetto quello dei problemi locali.

È possibile che tale crollo sia soprattutto la manifesta­zione più chiara di quell'eclisse della politica che - come vedremo - interessa l'insieme dei comportamenti e degli atteggiamenti giovanili degli ultimi anni. Va osservato, tut­tavia, che a tale crollo hanno probabilmente contribuito non poco sia l'esaurimento della stagione di Tangentopoli (che aveva riavvicinato alla politica molte persone, e aveva fortemente rilegittimato l'impegno a destra) , sia la vittoria dell'Ulivo alle elezioni politiche del 1996, con il conse­guente venir meno di molte attività di impegno pubblico tradizionalmente gestite dall'opposizione di sinistra.

2 .2 . Atteggiamenti verso la politica

La classica domanda SHELL-IARD, ripetuta in tutte le

l Anche su questa tipologia vedi il capitolo sull'associazionismo.

260

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TAB. 1 . 1 . Atteggiamento verso la polzàca (15-24 annz)

Mi considero politicamente impegnato Mi tengo al corrente della politica ma senza partecipar­vi personalmente Penso che si debba lasciare la politica a persone che han­no più competenza di me La politica mi disgusta Non indica

50

40

27,3 30 23 ,1 20

10

1983 1987

1983

3 ,2

44,2

40,0 12,0 0,6

35,9

1 992

1987

2 ,3

39,3

42, 1 15 ,8 0,6

1992

3,3

39,4

36,4 20,4 0,4

43 , 1

1996

1996 2000

3 ,0

50,5

26,3 19,9 0,3

44,6

2000

3 , 1

37,2

32,3 26,5

1 ,0

FIG. 1 . 1 . Quota % dei disgustati sul totale dei giovani disinteressati alla politica.

indagini, fornisce questa volta un risultato davvero estre­mo (tab. L l) _

Mai negli ultimi decenni la risposta più severa - «la politica mi disgusta» - aveva raggiunto un'adesione così massiccia. Mai le prime due risposte, le più disponibili verso la politica, avevano toccato un livello così basso (40% di consensi, contro il massimo storico del 1996: 53 ,5 % di consensi) . È vero che l'interesse per la politica manifestato nel 1996 era in qualche modo eccezionale, e comunque appariva in netto contrasto con la debolezza dell'impegno politico effettivo. Ma il punto è che, nel lungo periodo, il disinteresse dei giovani per la politica è in costante ascesa. La quota dei giovani lontani dalla po-

261

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litica è passata dal 52,0 % del 1983 al 58% circa di tutte le rilevazioni successive eccetto quella del 1 996 (in cui era scesa al 46%) , e all'interno di tale quota la compo­nente dei disgustati è cresciuta ininterrottamente, persino nell'unico anno - il 1996 - in cui la politica sembrava aver ricuperato qualche appeal.

Questo distacco nei confronti della politica non appa­re solo dalla domanda diretta ma è confermato da altri indicatori, quali il rifiuto di autocollocarsi sull'asse sini­stra-destra, il rifiuto di indicare una preferenza elettorale, le pagelle estremamente sfavorevoli assegnate ai partiti politici. E tuttavia bisogna ricordare che in questo i gio­vani non appaiono particolarmente diversi dagli adulti. Anche gli adulti, sottoposti al medesimo tipo di doman­de, tendono sempre di più a reagire rifiutando di rispon­dere, dando pagelle bassissime ai partiti, manifestando l'intenzione di non votare alle prossime elezioni. Quanto al disgusto per la politica è il caso di ricordare il seguen­te risultato di un recente sondaggio nazionale su tutte le fasce d'età condotto dall'ISPO: alla domanda «Quando pensa alla politica, cosa le viene in mente?» il 47 % ri­sponde «disgusto, diffidenza, rabbia», il 25 % «indifferen­za, noia» e solo il 15% «interesse, impegno, passione» (il restante 13 % risponde «non so» )2 .

2 .3 . Valori postmaterialisti

Qualche cambiamento si registra anche alla classica domanda di Inglehart sulle politiche, tradizionalmente uti­lizzata per rilevare il trend dei cosiddetti valori post-mate­rialisti (libertà e partecipazione) rispetto a quelli materiali­sti (benessere e sicurezza) . Ecco il quadro delle risposte alla domanda («Se dovesse scegliere tra questi obiettivi, quale le sembra personalmente il più importante?»).

2 Per un breve resoconto vedi l'articolo di R. Mannheimer, Rab­bia e disgusto per la politica urlata, pubblicato su «Il Corriere della Sera» del 2 gennaio 200 1 .

262

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TAB. 1 .2 . Importanza relativa di alcune misure politico-sociali (primo posto, 15-24 annz)

Politica indicata al primo posto

Mantenere l'ordine nella nazione Dare alla gente maggiore potere nelle decisioni politiche Combattere l'aumento dei prezzi Proteggere la libertà di parola

1996 2000

26,5 27,6 27,0 2 1 ,9 14,8 12,4 3 1 ,7 36,5

Il confronto con il 1996 mostra un aumento della do­manda di sicurezza e della domanda di protezione della libertà di parola, mentre calano la domanda di partecipa­zione e di contenimento dell'inflazione. L'aumento della domanda di libertà di espressione continua un trend già presente nei primi anni Novanta, e non fa che accentuare la forbice - messa in luce nel rapporto IARD del 1996 -fra la politica come rivendicazione di diritti individuali e la politica come impegno concreto. L'aumento della ri­chiesta di sicurezza rappresenta invece una novità, in quanto inverte il trend precedente [ 1992-1996] che se­gnalava una marcata diminuzione della richiesta di sicu­rezza. Anche in questo, a quanto pare, i giovani non dif­feriscono troppo dagli adulti, fra i quali è crescente negli ultimi anni la percezione di insicurezza.

2 .4. Autocollocazione sull'asse sinistra-destra

I dati relativi all' autocollocazione sull'asse sinistra-de­stra, oltre al già segnalato aumento dei rifiuti a usare la scala, mostrano un ulteriore spostamento del baricentro dell'elettorato giovanile verso destra.

Questo spostamento non colpisce la sinistra ma il cen­tro moderato3 , soprattutto nelle sue componenti cattoliche.

3 Nel valutare l'andamento del consenso verso la sinistra occorre­rebbe tenere conto del recente ingresso fra i «giovani» ( 15 -34 anni) della coorte dei figli della generazione del '68, i cui orientamenti -come quelli dei genitori - sono sensibilmente più spostati a sinistra ri-

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TAB. 1 .3 . Autocollocazione sull'asse sinistra-destra (15-29 annz)

Sinistra ( 1-4) Centro (5-6) Destra (7 - 10)

1992

40,0 4 1 ,2 18,8

1996

38,6 29,3 32,1

2000

39,2 26,1 34,8

Si potrebbe, da questa tabella, ricavare l'impressione che fra i giovani il centro sia debolissimo e la sinistra prevalga ancora sulla destra. Entrambe le impressioni sono fuorvianti . Le autocollocazioni riguardano solo il 60% dei giovani (contro il 70% di quattro anni prima), e inoltre le risposte centrali non necessariamente si tradu­cono in consensi simmetrici alle due coalizioni di centro­sinistra e centro-destra. Come vedremo più avanti un'a­nalisi per partiti mostra che la destra è più forte della si­nistra (vedi paragrafo 2 .5 ) , mentre un'analisi delle prefe­renze morali dei giovani che non esprimono una prefe­renza elettorale mostra che il · più consistente di questi segmenti (i «non so») è più affine al centro che alle ali estreme (vedi paragrafo 7 ) .

Le autocollocazioni permettono anche di farsi un'idea delle posizioni dei vari partiti sull'asse sinistra -destra. As­sumendo come posizione del partito l' autocollocazione media dei suoi simpatizzanti otteniamo questa scala:

1 SN

Sdi Rad Re Ci Ds Ver Dem Nv Ppi Ns Cdu Ccd Udeur Fi Ln An

2,2 2,9 3 ,4 3,9 4,3 4,5 4,9 5,1 5,3 6, 1 6,3 7 , 1 7,3 8

(Nv = non voto - Ns = non so)

FIG. 1 .2. Autocollocazioni medie dei simpatizzanti dei principali partiti.

10 DX

spetto a quelli delle coorti contigue; l'effetto di tale spostamento verso sinistra è di creare l 'impressione (a mio parere erronea) di una inver­sione di tendenza negli orientamenti politici delle nuove generazioni.

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In linea generale l'ordinamento è conforme alle aspet­tative e a quanto si sa da precedenti ricerche. Sono da notare, tuttavia, alcune anomalie rispetto all'ordinamento standard: lo scambio di posizioni fra UDEUR e Cou (che può anche essere dovuto all'esiguo numero dei casi), la posizione della Lega più a destra di Forza Italia, la posi­zione a sinistra dei Radicali (Lista Bonino), la collocazio­ne tendenzialmente a sinistra del Non voto (Nv = asten­sione + bianche o nulle) e quella quasi perfettamente centrale dei «non so» (Ns) .

2 .5 . Preferenze elettorali

Su 100 giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni (omettiamo la fascia 30-34 per consentire il confronto con il 1996) solo il 49,9% esprime una preferenza eletto­rale (4 anni prima erano il 57 %) .

Fatto 100 il totale dei giovani che sceglie un partito le preferenze si distribuiscono sui principali partiti come se­gue (tab. 1 .4 ) .

Il confronto con il 1 996, ovviamente limitato ai giova­ni che hanno espresso una preferenza partitica, mostra tre tendenze principali:

- un consistente, ulteriore, rafforzamento dei due

TAB. 1 .4. Preferenze elettorali dei giovani (%, 15-29 anm)

PPI+Democratici Cco+Cou AN Forza Italia Rifondazione+Comunisti italiani PDs+Ds Verdi Leghe Radicali/Pannella/Bonino Altri

265

1996 2000

3,2 4,7 3 ,2 1,9

25,2 27,1 15,8 18,8 12,1 1 1 ,6 20,5 2 1 , 1 5,5 5,3 5,5 3 , 1 2,8 3 ,8 6,2 2,6

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partiti maggiori della destra (AN e Fr) , che guadagnano circa 5 punti;

- un consistente, ulteriore, indebolimento della Lega, che dimezza i suoi consensi;

- la stagnazione, su livelli bassissimi, del consenso ai partiti di ispirazione cattolica (e questo nonostante il con­teggio dei Democratici in quest'area) .

In buona sostanza questo significa che i partiti di centro-destra hanno circa 8 punti di vantaggio su quelli di centro-sinistra (50,9% contro 42,7 ) , un distacco che ancora una volta appare molto simile a quello che forni­scono i sondaggi sull'intero corpo elettorale. Tale distac­co si riduce leggermente (di l o 2 punti) se teniamo con­to del fatto che, fra i giovani, la posizione dei Radicali sull'asse sinistra-destra è sensibilmente più a sinistra che fra gli adulti (vedi fig. 1 .2 ) .

Con i dati analitici (non riportati completamente nella tabella) siamo anche in grado di calcolare il consenso po­tenziale delle due nuove formazioni di cui, nel centro si­nistra, si è parlato nella seconda metà del 2000. La Mar­gherita (PPI, Democratici, UDEUR e Rinnovamento, for­mazione effettivamente costituitasi) intercetta il 5 , 1 % dei consensi giovanili. Il Girasole (Verdi, Sm e Radicali, for­mazione decollata senza i radicali) intercetta il 9,8% dei consensi giovanili. Come si vede i rapporti di forza fra queste due cosiddette gambe del centro-sinistra appaiono - fra i giovani - rovesciati rispetto quel che accade nel mondo adulto.

Il dato generale che caratterizza le preferenze eletto­rali dei giovani continua ad essere, come nel 1996, il peso dei partiti estremi. Mentre i partiti radicali di centro -soprattutto la Lega e i Radicali - sembrano aver perso definitivamente il loro smalto, si consolida la capacità di attrarre consensi dei due partiti più estremi e ideologici del nostro sistema politico: Rifondazione comunista, che mantiene sostanzialmente le posizioni del 1996, e Allean­za Nazionale che aumenta ancora i suoi consensi rispetto al 1996 (dal 25,2 al 27,1 %) , e resta abbondantemente al di sopra del livello di Forza Italia ( 18 ,8%) .

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Nella sezione sulla politica abbiamo aggiunto, in que­sta quinta indagine, una domanda sulla opportunità o meno di introdurre la pena di morte per i reati più gravi. Circa l giovane su 3 è favorevole alla pena di morte. La percentuale di favorevoli è leggermente superiore fra co­loro che esprimono una preferenza partitica (32 ,8%) che fra coloro che non esprimono una preferenza partitica (3 1 ,4 %) . Le percentuali più alte di favorevoli alla pena di morte si riscontrano fra i sostenitori di Alleanza Naziona­le (50,7 %) e della Lega Nord (50,0%) , le percentuali più basse fra i sostenitori di PPI (6,7 %) , Rinnovamento ( 16,7 % ) , Democratici ( 17 ,4%) , Rifondazione comunista ( 1 8,8%) . Fra tutti gli altri partiti, compresi Forza Italia, i Ds, il CcD, i Radicali e i Verdi, la percentuale dei favore­voli alla pena di morte si mantiene relativamente alta, e va da un minimo del 20,9 % (Ds) a un massimo del 36,7 % (Forza Italia) .

In generale la pena di morte è invocata più a destra che a sinistra, e più fra i giovani cattolici che fra i giovani non cattolici4 •

3 . La percezione dei partiti

Passiamo ora alla percezione dei partiti5 . Il voto me­dio assegnato ai partiti (su una scala da l a 10) è incredi­bilmente basso. La media generale è circa 3 ,4 , un po' al di sotto del punteggio medio che - con la stessa doman­da - i partiti sono soliti ricevere dagli adulti (vedi i son­daggi ISPO degli ultimi anni).

Come si vede dalla figura i due partiti meno impopo­lari (voto medio al di sopra del 4) sono AN e i Verdi, i più impopolari (voto medio al di sotto del 3 ) sono CDU, Sm, Rinnovamento, UDEUR e Lega.

4 Vedi il capitolo sull'appartenenza religiosa. 5 L'analisi condotta in questo paragrafo è a cura di Silvia Testa,

che da anni tiene con me la rubrica La geometria dello spazio elettorale nella rivista «Politica! Trend» (ora «Politica! and Economie Trends»).

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o 0,5 1,0 1 ,5 2,0 2,5 3,0 3 ,5 4,0 4,5

Lega 12,15

Udeur 2,21

Rinnovamento " 2,55

Sdi 2,58

Cdu 2,7

Ppi ' �� ' 1 3 ,03

Comunisti italiani .,., '1 3 ,09

Cc d 3 ,2 1

Radicali 3 ,2 1

Rifondazione 3 ,4 1

Democratici 3,54

Fi 3 ,74

Ds 1 3 ,84

Verdi •, i 1 4 , 1 6

An 1 4 , 27

FIG. 1 .3 . Pagelle ai partiti (15-34 anni) .

Oltre a rilevare le pagelle che gli intervistati danno ai partiti, abbiamo costruito una mappa dello spazio percetti­vo dei giovani italiani (fig. 1 .4 ) e l'abbiamo confrontata con l'analoga mappa costruita per gli adulti (fig. 1 .5) , già pub­blicata su «Politica} and Economie Trends» [Testa 2000] .

Per leggere e confrontare le due mappe bisogna tenere presente che, per il tipo di tecnica utilizzata per costruirlé,

6 Le coordinate dei punti sono state ottenute stimando, mediante Lisrel, i parametri di un modello di unfolding. La procedura da noi adottata si ispira alle considerazioni sulla dimensionalità sviluppate da Coombs nel capitolo 8 della sua teoria dei dati [Coombs, 1964] . Sul nesso fra analisi fattoriale e unfolding vedi Ricolfi [ 1999a] .

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1 ,0

Ds Sdi e Ppi

o 0,8 - • • Cdu E • "' • De m • Ced a • Ver .... 0,6 Q.) Re -o • Pan o E 0,4 o E .!!) 0,2 '" u

'O ., o p,; An•• Fi • Leg

-0,2 -1 ,0 -0,8 -0,6 -0,4 -0,2 o 0,2 0,4 0,6 0,8 1 ,0 1 ,2

Sinistra - destra

FIG. 1 .4 . Mappa dello spazio elettorale dei giovani (indagine IARD 2000).

o E "'

·a .... Q.) -o

o E o E . !!l -;;; u

'O ., p,;

1 ,0

0,8 Ppi •. Dini

0,6 De m • •

0,4 Ds • • Ver

• 0,2 Re

o

Udcur

P an • M si

Cdu • • ced

• Leg

An• • Fi -0,2 -l--..,---.--.-----,r---t-----,--........-----.--,---.------,

-1 ,0 -0,8 -0,6 -0,4 -0,2 o 0,2 0,4 0,6 0,8 1 ,0 1 ,2 Sinistra - destra

FIG. 1 . 5 . Mappa dello spazio elettorale della popolazione (ottobre 2000).

l'origine del sistema di riferimento rappresenta l'elettore medio (e quindi non è traslabile) , mentre l'orientamento degli assi è del tutto convenzionale. La convenzione da noi adottata è stata quella di far passare l'asse che presumibil­mente rappresenta la destra vicino al punto che rappresen­ta AN, ma il lettore è libero di adottare convenzioni diver-

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se, ruotando il sistema di riferimento come in un'analisi fattoriale standard.

Alcuni elementi sono comuni alle due mappe. In en­trambe l'asse orizzontale rappresenta, grosso modo, il continuum sinistra-destra, o, meglio ancora, l'opposizione Ulivo-Casa delle Libertà, mentre quello verticale rappre­senta l'opposizione fra moderatismo e radicalismo. Anche nella mappa dei giovani le distanze che separano Allean­za Nazionale da Forza Italia, e Rifondazione comunista dai Democratici di sinistra, sono decisamente contenute. Infine sia nella mappa dei giovani sia nella mappa degli adulti sono chiaramente distinguibili solo due «gambe» della sinistra: i due partiti eredi del Per più i Verdi verso Nord-Ovest, Partito popolare, Democratici, Rinnovamen­to e Socialisti verso nord.

A queste somiglianze fra le due mappe si accompa­gnano anche, tuttavia, alcune significative differenze. ln­nanzitutto i due poli appaiono, nella mappa dei giovani, meno compatti che in quella degli adulti. Ciò si deve so­prattutto alle posizioni dei partiti di centro di entrambi gli schieramenti: gli alleati dei Ds sono nettamente sepa­rati dai tre partiti di sinistra, così come - sull'altro ver­sante - CcD e CDU sono nettamente separati dai tre par­titi di destra. Tutto sommato i partiti moderati, di destra e di sinistra, considerati insieme formano una nube più compatta di quelle che sono in grado di formare separa­tamente, unendosi con i rispettivi alleati.

Una seconda differenza concerne i radicali, che nella mappa dei giovani appaiono più vicini al polo di centro­sinistra, e in quella degli adulti appaiono più vicini al polo di centro-destra. Ma forse la differenza più significa­tiva riguarda il confinamento a Sud-Est del trio Lega-AN­Forza Italia e, simmetricamente, la collocazione molto a Nord, in direzione moderata, dei tre partiti di sinistra (Rifondazione, Ds e Verdi). Mentre quest'ultimo aspetto può essere influenzato dall'orientamento del sistema di ri­ferimento, che forse accentua un po' troppo la colloca­zione moderata della sinistra (ma ricordiamo che al mo­mento della rilevazione la sinistra era al governo con

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Giuliano Amato come presidente del Consiglio) , il confi­namento dei tre partiti forti della Casa delle Libertà è una proprietà strutturale della mappa, invariante per ro­tazione. Essa indica che i giovani percepiscono questi tre partiti come essenzialmente diversi da tutti gli altri (pre­sumibilmente nel senso di un maggiore radicalismo) , e come i più vicini all'elettore medio, rappresentato dal­l' origine del sistema di riferimento7 •

4 . Spiegare il comportamento elettorale?

La teoria del comportamento elettorale sconta pesan­temente, come si sa, le profonde trasformazioni dei pro­cessi di socializzazione intervenute negli ultimi decenni. T ali trasformazioni hanno intaccato tutti i meccanismi centrali della formazione delle opinioni politiche, vanifi­cando la maggior parte delle spiegazioni del comporta­mento elettorale prodotte da sociologi e politologi8. Né la classe sociale, né la religione, né l'istruzione, né il reddi­to, né tantomeno sesso e razza sembrano ormai capaci di spiegare se non una minima parte della variabilità dei comportamenti elettorali. Tanto più in un paese come il nostro, in cui i partiti di dimensioni non trascurabili sono sempre rimasti vicini alla decina, e in cui alcune fonti di variazione tradizionali - come la confessione religiosa e la

7 È il caso di ricordare che, anche se si adotta la teoria spaziale del voto [Downs 1957; Enelow e Hinich 1990] , in un contesto bidi­mensionale il consenso a una forza politica non dipende dalla sua vici­nanza all'elettore medio ma dalla distribuzione spaziale degli elettori. Per quel che si sa, in Italia il centro dello spazio elettorale è sostan­zialmente vuoto, e il massimo di densità elettorale viene raggiunto nel­la regione al cui centro si trovano Fr e AN [Ricolfi 1999b] .

8 Ciò vale, in particolare, per le spiegazioni che si rifanno ai clas­sici studi della scuola sociologica della Columbia University (Lazar­sfeld, Berelson, Gaudet, McPhee). Sul caso italiano a mia conoscenza l'ultimo tentativo riuscito di spiegare il voto con categorie sociologi­che standard è quello di Sani [ 1979] . Sui limiti di capacità esplicativa del «modello di classe» vedi, ad esempio, le applicazioni del modello di Goodman effettuate da Schadee, Corbetta [1984] .

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T AB. 1 .5 . Capacità esplicativa delle varzabzli strutturali (%)

Variabile esplicativa

Classe sociale (modello di Sylos Labini) Cultura familiare (capitale culturale) Reddito dell'intervistato Confessione religiosa

Coeff. Theil

0,8 0 ,4 1 ,0 1 ,8

V di Cramér

9,1 6,2 9,9

13 ,4

razza - sono praticamente inservibili perché prive di va­riabilità.

In questa situazione non stupisce che, anche riducen­do le scelte elettorali a pochissime alternative (destra, si­nistra, altri, non so, non voto) , la capacità esplicativa del­le variabili tradizionali risulti prossima a zero. La tabella 1 .5 mostra il potere esplicativo di alcune di tali variabili, ciascuna costruita in modo da avere quattro categorie re­lativamente bilanciate9•

Il coefficiente di incertezza di Theil si può interpreta­re come un R2, ossia come una quota di varianza spiega­ta, mentre il V di Cramér è un coefficiente di associazio­ne comparabile a una correlazione10•

Di fronte a questi risultati negativi, che mostrano l'esaurimento del ruolo delle antiche fratture sociali come fonti di differenziazione del comportamento elettorale, al­cuni autori hanno tentato di affrontare il problema co­struendo indici di status più sofisticati11 oppure introdu-

9 Le quattro variabili prevedono sempre quattro categorie. La clas­se sociale utilizza il modello di Sylos Labini (Borghesia, Piccola borghe­sia relativamente autonoma, Piccola borghesia impiegatizia, Classe ope­raia); la cultura familiare e il reddito si limitano a costruire quattro clas­si di istruzione (dei genitori) e di reddito (dell'intervistato). La confes­sione religiosa si limita a riaggregare le modalità di risposta al questio­nario nelle seguenti classi: cattolico cristiano, altra religione monotesita, religioni orientali o new age, nessuna religione o filosofia trascendentale.

lO Se la tabella è 2 X 2 e le variabili sono quindi due dicotomie, il V di Cramér coincide con il modulo del coefficiente di correlazione lineare fra le due variabili.

l i Mi riferisco, in particolare, al tentativo di rendere conto delle

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cendo simultaneamente una molteplicità di variabili indi­pendenti, fra cui alcune variabili trascurate nelle analisi tradizionali, come l'esposizione ai media [Ricolfi 1994; 1997] e la personalità [Caprara, Barbaranelli e Zimbardo 1999] . I risultati di queste analisi, tuttavia, a parte i limiti di potere esplicativo12 e le difficoltà interpretative (legate alla proliferazione delle variabili black box nei modelli causali multivariati13 ) , appaiono sovente affetti da grande instabilità, e difficili da riprodurre al di fuori dei partico­lari campioni da cui sono stati generati.

Una possibile alternativa, seguita soprattutto dai poli­tologi e dagli psicologi sociali, è di accontentarsi di spie­gazioni in termini di «variabili prossime», ossia di varia­bili che - pur essendo logicamente indipendenti dall'ex­planandum (il comportamento elettorale) - presentano con esso un grado di contiguità semantica più elevato di quello delle variabili ascrittive o strutturali. Rientrano in questa categoria, tipicamente, gli studi che analizzano le scelte elettorali come il risultato del posizionamento reci­proco di elettori e partiti nello spazio delle issues di una campagna elettorale [Himmelweit et al. 198 1 ] , ma rien­trano anche - più in generale - gli studi di sociologia po­litica o di psicologia sociale che tentano di ricondurre il comportamento agli atteggiamenti che lo guidano e lo so­stengono [Allport 193 5; Heath et al. 1993 ; Fishbein e Aj­zen 1975 ; Ajzen 199 1 ] . È a quest'ultima possibilità di let­tura che rivolgeremo ora la nostra attenzione.

scelte elettorali in base a indici basati sulla forza e la struttura dello squilibrio di status. Per alcuni esempi vedi Giampaglia e Ragone [198 1 ] , Bourdieu [ 1 979], Ricolfi [1994] .

1 2 La capacità della personalità di spiegare l a scelta Polo-Ulivo nel modello di Caprara, Barbaranelli e Zimbardo [1999] è pari al 3 ,6% in termini di varianza spiegata (nostra ricostruzione sulla match table associata alla regressione logistica, p. 186). Sempre con riferi­mento al caso italiano un nostro recente tentativo (su dati ABACUS) di spiegare un indice di progressismo-conservatorismo mediante un mo­dello di regressione multipla ha ottenuto, nonostante l'abbondanza di regressori, appena il 9,4 % di varianza spiegata [Ricolfi 1998] .

13 Sul concetto di «variabile black box» vedi Ricolfi [1999c, 59-60].

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5 . Le basi etiche dei poli elettorali

Posto che le scelte (o le non scelte) elettorali non sono riconducibili a nessuna delle variabili sociologiche classiche, possiamo chiederci se - dietro le preferenze elettorali - non sia possibile rintracciare quantomeno al­cuni atteggiamenti generali che fanno da sfondo alle scel­te stesse. Venute meno le condizioni del calcolo utilitari­stico - perché nessuno è in grado di prevedere con suffi­ciente accuratezza le conseguenze individuali della vitto­ria di uno schieramento piuttosto che dell'altro - possia­mo cambiare decisamente strada14, e provare a scoprire se esistono, e quali sono, le identificazioni che fanno scat­tare la scelta per un partito, per uno schieramento, o semplicemente per un particolare comportamento di voto (comprese le varie forme del non voto) .

Un modo di procedere lungo questa via è di control­lare se dietro le principali opzioni disponibili siano pre­senti complessi di scelte morali, o etiche, che differenzia­no fra loro i giovani italiani. È anche per sondare questa possibilità che nel questionario lARD, accanto alla batteria sui giudizi di ammissibilità relativi a ventotto comporta­menti controversi (vedi capitolo sulla devianza) , nell'ulti­ma rilevazione è stata introdotta la domanda sulla pena di morte, chiedendo agli intervistati il loro grado di ac­cordo con l'affermazione «Nel caso di delitti di particola­re gravità bisognerebbe introdurre la pena di morte». Eb­bene, questa sola variabile, con i suoi quattro gradi di ac­cordo (molto, abbastanza, poco, per niente) ha una capa­cità di spiegare le scelte elettorali quasi doppia (3 ,0%

14 Negli ultimi cinquant'anni la teoria standard del comportamen­to di voto è stata largamente dominata dal cosiddetto instrumental ac­count, che vede la scelta elettorale come il risultato di un calcolo utili­tarista delle conseguenze. Recentemente Brennan e Hamlin, in un bril­lante articolo su «Public Choice», hanno mostrato i paradossi cui tale approccio conduce, e convincentemente difeso l'approccio alternativo, basato sull'idea che il voto sia innanzitutto un atto di natura espressi­va. Sul punto vedi anche Hirschman [ 1982 ] .

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TAB. 1 .6. Grado di accordo con l'affermazione: «Nel caso di delitti di particolare gravità bisognerebbe introdurre la pena di morte»

Scelta elettorale Molto Abbastanza Poco Per niente

Sinistra 13 ,8 18,5 19,4 36,4 Destra 52,4 39,2 36,8 19,7 Radicali e altri 3 ,4 1 ,7 2,9 3 ,6 Non voto 14,5 15,9 12,0 16,0 Non so 15,9 24,6 28,9 24,3

contro l ,8%) rispetto alla migliore delle variabili di back­ground, ossia la confessione religiosa.

Come si vede esiste un gradiente ben definito che al crescere dell'ostilità verso la pena di morte sposta i con­sensi da destra verso sinistra. Ma la corrispondenza fra etica e politica non si ferma qui. Per capire in modo più preciso quali sono le matrici etiche delle scelte elettorali si può provare a identificare il cocktail di giudizi di am­missibilità che sta dietro il principale predittore del com­portamento elettorale, e cioè l' autocollocazione sull'asse sinistra-destra. Ebbene, se proviamo a regredire quest'ul­tima sull'intera batteria dei ventotto comportamenti giu­dicati troviamo the ben dieci di essi risultano dotati di un considerevole potere di discriminazione fra destra e sinistra. Più esattamente esistono quattro comportamenti la cui accettazione (giudizio di ammissibilità) spinge l' au­tocollocazione verso destra e il cui rifiuto (giudizio di inammissibilità) spinge l' autocollocazione verso sinistra. E ne esistono sei che funzionano esattamente a rovescio, nel senso che la loro accettazione spinge l' autocollocazio­ne verso sinistra, e il loro rifiuto spinge l' autocollocazione verso destra 15 .

15 Ovviamente il fatto che un comportamento sposti l' autocollo­cazione verso destra significa solo che, fermi restando gli altri giudizi di ammissibilità, il ritenere ammissibile quel particolare comportamen­to sposta l'autocollocazione verso destra; non è detto, in altre parole, che coloro che ammettono quel comportamento siano più di destra che di sinistra, e tantomeno che la maggioranza di essi sia di destra.

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Ecco i due gruppi di comportamenti:

Giudizi di Ammissibilità di alcuni comportamenti e autocollocazione politica

Comportamenti «di destra»

Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Avere rapporti sessuali occasionali senza profilattico Assumere farmaci per migliorare la proprie prestazioni (lavorative, spor­tive, . . . ) Migliorare il proprio aspetto fisico attraverso la chirurgia estetica

Comportamenti «di sinistra»

Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente malati · Produrre danni a beni pubblici (tele­foni pubblici, panchine, treni) Utilizzare materiale pirata (video CD, programmi software)

Prendere droghe pesanti (eroina, ec­cetera) Avere esperienze omosessuali Fumare occasionalmente marzjuana Autorizzare l'utilizzo degli organi di un paziente deceduto per trapianti

Nel riflettere sul significato delle due liste precedenti è bene tenere a mente che quel che sospinge a destra non è solo l'accettazione dei comportamenti del primo gruppo ma è anche il rifiuto dei comportamenti del secondo. E, simmetricamente, quel che sospinge a sinistra non è solo l'accettazione dei comportamenti del secondo gruppo ma è anche il rifiuto dei comportamenti del primo.

Qual è la base della contrapposizione fra i due gruppi? A prima vista si direbbe che i comportamenti affini

alla destra hanno in comune un elemento di inganno o di mancato rispetto nei confronti dell'altro, sia esso lo Stato (evasione fiscale) , il partner sessuale (rapporti a rischio) , o un generico interlocutore (farmaci e chirurgia estetica) . Ma si potrebbe anche osservare che si tratta di comporta­menti fortemente autoa//ermativi, una sorta di espansione dell'io a danno degli altri, al limite della prevaricazione.

Più difficile definire ciò che accomuna i comporta­menti affini alla sinistra, che sono più numerosi e appaio­no più eterogenei. Un primo aspetto che salta agli occhi è la componente di rischio e di trasgressione implicita nella maggior parte di essi. Ma non è tutto. Nella mag-

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gior parte di essi è possibile cogliere anche un elemento aggressivo, talora rivolto verso l 'esterno (danni a beni pubblici) ma più sovente rivolto verso l'interno (droghe pesanti) . Una specie di sindrome nichilistica o autodi­struttiva, una sorta di dispersione dell'io, o indifferenza all'integrità del corpo.

Per cercare di capire meglio che cosa unisce questi comportamenti cerchiamo di immaginare che cosa guida coloro che li giudicano inammissibili. Chi si oppone a questi comportamenti presumibilmente lo fa anche in nome di un qualche principio di rispetto per ciò che con­sidera l'ordine naturale delle cose, al punto da accomuna­re nel rifiuto un comportamento distruttivo come l'assun­zione di droghe pesanti e un comportamento altruistico come l'autorizzazione ai trapianti.

6. I due modi della non politica

Se sono queste le basi etiche dei poli elettorali, se que­sto è lo sfondo di atteggiamenti e di opzioni morali su cui giovani di destra e giovani di sinistra si contrappongono fra loro, non è difficile capire né perché il conflitto si pre­senti così aspro - i valori degli uni tendono ad essere i di­svalori degli altri - né perché quasi un giovane su due resti sostanzialmente in disparte, rifiutando di prendere parte al gioco politico. Su 100 giovani, solo 57 scelgono un par­tito di centro-sinistra o di centro-destra. Gli altri 43 si di­vidono fra tre opzioni: il «non so», il non voto (astensione, scheda bianca, scheda nulla) , e la preferenza per l'unico partito extra-sistema rimasto (i Radicali) . Questo non si­gnifica, beninteso, che i giovani che non prendono parte al gioco bipolare siano tutti motivati dai medesimi atteg­giamenti morali, e tantomeno che siano caratterizzati da una più alta moralità dei giovani politicizzati. Ma sempli­cemente che la contrapposizione fra sinistra e destra sta loro stretta, in quanto incapace di «rappresentare» l'intero spazio delle possibili scelte etiche giovanili.

Per rendere il più intuitivo possibile questo punto,

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abbiamo selezionato i due giudizi morali più capaci di prevedere il comportamento elettorale (ivi comprese ov­viamente le opzioni del non voto e del non so) , e li ab­biamo incrociati in modo da formare una tipologia. T ali giudizi sono quello relativo alle relazioni omosessuali e quello relativo all'evasione fiscale. I tipi risultanti sono ovviamente quattro, e si ottengono considerando tutte le combinazioni di risposta (no-no, no-sì, sì-no, sì-sì) . Ad ognuno dei nostri cinque segmenti elettorali fondamentali - destra, sinistra, radicali, non voto, non so - abbiamo associato il «tipo etico» che ha le maggiori probabilità di sceglierlo.

Tipologia etica e autocollocazione politica

Omosessualità inammissibile

Evasione fiscale inammissibile

Non so

Evasione fiscale ammissibile

Destra

Om�s�lità � - - - - -

Sinist;:;;- - l Radicali No�oto ammissibile

Come si vede i giovani che ammettono l'omosessuali­tà ma criticano l'evasione fiscale tendono a scegliere la si­nistra. Li chiameremo, per brevità, i civici, per la loro adesione ad alcune istanze della cultura civica 16• I giovani che criticano l'omosessualità ma accettano l'evasione fi­scale tendono a scegliere la destra. Li chiameremo gli in­tegristi, per la loro adesione al principio dell'integrità del corpo individuale e sociale. I giovani che rifiutano en­trambi i comportamenti tendono a scegliere il «non so». Li chiameremo i rigoristi. I giovani che accettano entram-

16 È il caso di precisare che la domanda sull'evasione fiscale co· glie solo un aspetto della cultura civica. Per un'analisi più ampia del nesso fra cultura civica e autocollocazione sull'asse destra -sinistra vedi Ricolfi [2 00 1 ] .

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bi i comportamenti propendono per il «non voto» o le li­ste radicali. Li chiameremo i permissivi.

Pur nella sua estrema semplificazione lo schema pre­cedente è utile perché ci mostra quanto diverse possono essere le basi della «non politica» dei giovani. L'eclisse della politica è una realtà, ma il suo senso è almeno bi­fronte: per i giovani rigoristi, che sembrano essere la maggioranza relativa dei giovanil7, entrambi i poli sono portatori di una moralità parziale, perché basata o sulla rinuncia alla cultura civica (è il caso della destra) o sulla rinuncia all'integrita (è il caso della sinistra) . Per i giovani permissivi, che costituiscono un segmento minoritario ma non trascurabile, entrambi i poli pongono eccessivi limiti alla domanda di libertà (o di arbitrio) dell'individuo.

7 . L'eclisse della politica e la geometria dello spazio etico

Possiamo capire meglio il nesso fra i quattro tipi e le principali forze politiche costruendo, mediante un'analisi delle corrispondenze18, la mappa che rappresenta con­giuntamente gli uni e le altre .

La mappa fornisce i dettagli della tipologia precedente, e conferma che lo spazio etico dei giovani è attraversato da due opposizioni fondamentali. Da una parte, in diagonale secondaria, la contrapposizione tutta politica fra destra e sinistra, che oppone il civismo dei giovani di sinistra (Ds, Comunisti) all'integrismo dei giovani di destra (AN, Forza Italia e Lega). Dall'altra, in diagonale principale, l'opposi­zione tutta etica fra rigoristi e permissivi, dove i rigoristi appaiono contigui ai «non so» e alle liste cattoliche (PPI,

17 n rigorismo sembra diffuso soprattutto fra i ceti più bassi e fra le ragazze, ossia in gruppi sociali tendenzialmente soggetti a maggiori vincoli. Sul punto vedi il capitolo di Altieri e Faccioli, La percezione del· le norme socialz; trasgressione e devianza, contenuto in questo volume.

18 L'inerzia spiegata dai primi due assi è pari al 93 ,6%. La map­pa riportata nella figura 1.8 è stata ottenuta con la normalizzazione ca­nomea.

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o Cat Ns o

• Rigoristi

N v o

L n o

Fi o •

lntegristi • Permissivi

-0,5 o Canonica! normalization o Voto 10 • Tipo

(Nv = non voto - Ns = non so).

FIG. 1 .6. Spazio etico e spazio elettorale dei giovani.

0,5

0 Ver

1 ,0

DEM, CcD, CDU) , mentre i permissivi sono in compagnia del «non voto» e delle liste laiche dei Radicali e dei Verdi.

Questa doppia geometria dello spazio morale dei gio­vani illustra nel modo più chiaro i problemi di rappresen­tanza del nostro sistema dei partiti, e forse fornisce qual­che indizio per capire l'eclisse della politica nel mondo giovanile. I due grandi bacini elettorali della non politica -i non so e il non voto - stentano a trovare ascolto e visibi­lità nel sistema politico perché si trovano nelle regioni di frontiera dello spazio etico. I non so occupano la regione che separa la sinistra dalla regione del rigorismo cattolico. Il non voto occupa la regione che separa la destra dal per­missivismo laico. I primi potrebbero forse trovar casa ver­so destra, se tutto il Polo seguisse AN nella sua marcia di awicinamento al mondo cattolico. I secondi potrebbero forse trovare casa verso sinistra, se l'Ulivo accentuasse i suoi tratti più individualisti e libertari, muovendo il pro­prio baricentro verso l'area del radicalismo laico.

Al momento quel che si può osservare è soltanto che, dal punto di vista dei giovani, l 'opposizione fra rigoristi e

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permissivi è probabilmente più pregnante di quella fra destra e sinistra. Forse ha ragione Marcello Veneziani quando sostiene che la dicotomia destra-sinistra è un po' consunta, ed è destinata ad essere soppiantata da un'altra dicotomia, quella fra comunitari e liberal. E in effetti l'opposizione fra rigoristi e permissivi ricorda per molti versi quella fra comunitari e libera l [Veneziani 1999] .

Un'analisi delle scelte morali dei giovani rigoristi mo­stra che il fulcro della loro posizione è l'accettazione dei limiti che le istituzioni sociali e la natura possono impor­re agli individui, non solo in ambito civico ma innanzitut­to in materia di gestione del corpo e di lealtà al patto fa­miliare. Tutto al contrario il fulcro delle posizioni per­missive è la spinta al superamento di quei medesimi limi­ti, l'emancipazione dai vincoli che civismo ed integrismo pongono al pieno dispiegamento del self interest e della libertà individuale. Il rigorismo è una forma di etica co­munitaria alta, sensibile ad alcune istanze della cultura ci­vica. Il suo nucleo è profondamente durkheimiano, nel senso che accetta fino in fondo il primato della società sull'individuo, del noi sull'io. Il permissivismo è una va­riante estrema della cultura liberal, non insensibile al ri­chiamo del self interest19. Il suo nucleo è radicalmente in­dividualista, nel senso che afferma il primato dell'indivi­duo sulla società, la subordinazione degli assetti collettivi alle scelte individuali.

Ma la politica è ancora là, ferma a destra e sinistra, e quindi intrinsecamente incapace di catturare la non poli­tica. Permissivisti e non votanti non sono alla portata di questa destra, perché la loro ispirazione è non solo indi­vidualista ma anche profondamente libertaria e anticomu­nitaria. Rigoristi e incerti («non so») non sono alla porta­ta di questa sinistra perché per quest'ultima l'integrismo è essenzialmente intolleranza, e chi lo professa è visto come qualcuno che non ha ancora compiuto fino in fon-

19 Sul nesso fra cultura libera!, permissivismo e individualismo vedi Veneziani [ 1999] .

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do il suo percorso di emancipazione dai pregiudizi2°. Né valgono le affinità speculari: la destra è ancora troppo di­sinvolta (sulla cultura civica) per attirare i rigoristi, e la sinistra non è ancora abbastanza utilitarista per attirare i permissivi.

Così stando le cose quel che possiamo attenderci è che destra e sinistra proseguano ancora un po' il loro gioco, inseguendo vanamente la non politica. E che i gio­vani di destra e di sinistra continuino a sentire come im­morali le scelte etiche della parte avversa, nonché a resta­re muti e ciechi di fronte a «l'altra metà del gioco», quel­la fatta dei giovani cui le parole della politica non arriva­no più.

20 Sul punto vorrei rimandare ancora a Veneziani: «C'è il fondato dubbio che per combattere il razzismo etnico sorga un razzismo etico, anch'esso intollerante ed esclusivo, imperniato sull'idea di superiorità etica, al punto da retrocedere il proprio awersario al rango di un'umanità inferiore, da educare, reprimere o eliminare. Il razzismo poggia sovente su un pregiudizio evoluzionista e progressista degli «emancipati» verso gli arretrati, i moderni contro i primitivi» [Vene· ziani 1 999, 16] .

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CAPITOLO SECONDO

LA FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI E GLI IDEALI DI GIUSTIZIA SOCIALE

l . Introduzione

I sociologi distinguono tra la fiducia di tipo persona­le, che nasce dalla conoscenza diretta dell'altro, e la fidu­cia impersonale, rivolta non a singoli individui ma ad isti­tuzioni, gruppi, categorie sociali; di quest'ultima si occu­pa il capitolo. In entrambe le configurazioni, la fiducia oggi è considerata dagli studiosi una forma di «capitale sociale»: una risorsa incorporata nelle relazioni tra gli in­dividui, diversa da quelle di natura economica, ma im­portante per il funzionamento della società. L'esistenza di fiducia rende possibili forme di collaborazione che altri­menti non potrebbero realizzarsi e che accrescono l'effi­cienza dei meccanismi economici, delle istituzioni politi­che, degli attori della società civile.

La letteratura ha mostrato come la disponibilità di questo tipo di risorsa negli ultimi decenni sia in diminu­zione in diversi paesi. Gli studi con più continuità nel tempo sono quelli statunitensi [cfr. in particolare Lipset e Schneider 1983 ] , che hanno rilevato una tendenza alla di­minuzione della fiducia in molte istituzioni in atto nella società americana sin dalla metà degli anni Sessanta. In particolare i dati della Genera! Social Survey, questi rac­colti a partire dai primi anni Settanta, mostrano la caduta della fiducia degli americani soprattutto nelle istituzioni della politica - una caduta che si accelera nel decennio Novanta - nelle istituzioni finanziarie e nella stampa; ma anche nei sindacati, nella scuola e nelle organizzazioni re­ligiose (mentre rimane consistente la fiducia nell'esercito, così come quella nella corte suprema, nelle grandi impre­se e nella comunità scientifica) .

Interessanti sono anche i risultati delle indagini Euro-

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barometro, perché permettono di valutare la situazione italiana rispetto a quella degli altri paesi dell'Unione Eu­ropea. Da questo confronto l'Italia emerge come una del­le nazioni europee nelle quali più alto è il livello di sfidu­cia nelle istituzioni. Questo vale in primo luogo per le istituzioni della politica nazionale (la fiducia nel governo in Italia nel 19991 risulta al 28% contro il 40% medio dei quindici paesi dell'Unione Europea; per il parlamento il raffronto indica 30% e 4 1 %; per l'amministrazione pubblica 27 % contro 42 %) ma, sia pure in misura mino­re, anche per gli organismi pubblici preposti al controllo e alla sicurezza (la polizia, l 'esercito, il sistema giudizia­rio; le percentuali sono rispettivamente 59, 57 e 36 per l'Italia, 62, 63 e 45 per la media dei quindici), per i mez­zi di comunicazione di massa (la stampa, la radio, la tele­visione; 45 %, 53 % e 59% contro 49%, 66% e 67 %) e per i sindacati (28% contro 35%) . Gli italiani mostrano invece di avere più fiducia degli altri europei in alcuni organismi extra nazionali (l'ONU e l'Unione Europea; 5 1 % e 53 % per l'Italia contro 48 % e 35 %) e in certi settori della società civile (la chiesa, da un lato, le grandi imprese, dall'altro; 58% e 4 1 % contro 50% e 35%) .

Questo è il quadro al cui interno va collocata la ricer­ca IARD 2000: i cui risultati indicano un'ulteriore caduta della fiducia nelle istituzioni in atto negli ultimi anni tra i giovani italiani. Come detto, il fenomeno riflette una ten­denza in corso da tempo, che non interessa solo i giovani e neppure solo l'Italia. Le novità che emergono da que­st'ultima indagine sono però rappresentate da un lato dall'approfondimento di questa tendenza dall'altro dalla sua estensione: se sino ad alcuni anni fa tra i giovani ita­liani la crisi di fiducia aveva riguardato soprattutto le isti­tuzioni della politica, oggi si aggrava e si allarga ad altre aree del sociale, coinvolgendo in particolare il mondo dell'informazione (i giornali ma più ancora la televisione,

l Eurobarometer. Public Opinion in the European Union, n. 5 1 , 1999.

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pubblica e privata) e gli apparati di controllo-sicurezza (polizia, carabinieri, militari e magistrati) .

2 . La distribuzione della fiducia tra le diverse istituzioni

C'è un solo gruppo nei cui confronti i giovani 15-24enni mostrano una fiducia ampiamente diffusa (85 ,2% di risposte «Molta» o «Abbastanza» fiducia) : quello degli scienziati. All'estremo opposto della scala proposta dalla tabella 2 . 1 c'è invece il gruppo nei cui confronti i giovani dichiarano una sfiducia generalizzata (92,4% di risposte «Poca o per niente fiducia») : quello degli uomini politici.

In posizione intermedia tra questi due poli si colloca­no le altre categorie. Appartengono all'area della fiducia ancora sufficientemente diffusa (oltre la metà dei giovani risponde «Molta» o «Abbastanza») :

- le principali istituzioni internazionali: l'ONU, l'Unione Europea e la NATO (va notato il giudizio meno positivo attribuito all'Unione Europea rispetto all'ONU; in altre ricerche, non ristrette all'universo giovanile, le due posizioni risultano invertite: la fiducia nella prima è più frequente di quella nella seconda)2 ;

- gli apparati pubblici di controllo: in testa la polizia, poi i carabinieri, infine i magistrati;

- gli insegnanti e la scuola. Si collocano invece nell'area della fiducia solo relati­

vamente diffusa (meno del 50% di risposte «Molta o ab­bastanza») :

- i sacerdoti; - gli industriali e le banche; - il settore dell'informazione: nell'ordine i giornali, la

Tv pubblica e la Tv privata. Nell'area della sfiducia (caratterizzata da ridotte per­

centuali di «Molta o abbastanza» fiducia e contemporanea­mente elevate frequenze di «Per niente fiducia») troviamo:

- i militari di carriera;

2 Cfr. ad esempio Gubert [2000a] .

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T AB. 2 . 1 . Le nominerò alcune istituzioni o gruppi. Per ciascuno di essi Lei do­vrebbe dirmi se ha fiducia e in che misura (% di risposte «Molto» + «Abbastanza»)*

2000 Differenza Differenza Differenza Differenza 2000-1996 1996-1992 1992-1987 1987 -1983

( 15-29 anni) (15-24 anni)

Gli scienziati 85,2 -1 ,6 L'ONU 65,9 La polizia 63,2 -7,2 -1 ,0 -2,7 1 ,9 Gli insegnanti 60,8 -3 ,1 -1 ,4 -3,5 -2,9 L'Unione Europea 59,3 La scuola 58,8 I carabinieri 58,6 -7,4 -2,4 -0,4 0,6 La NATO 52,1 I magistrati 5 1 ,8 -4,7 8,7 -5,9 -1 ,4 I sacerdoti 46,1 -3,2 -1 ,8 1 ,3 6,6 Gli industriali 45,4 -4,1 3 ,9 Le banche 45,0 0,4 -9,2 -2,8 -0,8 I giornali 4 1 ,5 -5,4 La televisione pubblica 4 1 ,3 -7,5 La televisione privata 36,6 -7,5 I militari di carriera 30,9 -7,5 4,5 -2,7 -1 ,7 Gli amministratori del Comune in cui abito 29,7 I funzionari di stato 22,0 2,5 0,2 -8,2 1 ,5 I sindacalisti 20,4 -3,2 0,3 -0,2 -6,5 Il governo 18,6 2,1 -3,2 -18,2 12,6 I partiti 10,2 -2,8 Gli uomini politici 7,6 -1 ,4 -2,6 -8,3 3,3

N 2 .966/ 2.985

.. TI dato 2000 si riferisce alle classi di età 15-34 anni; il confronto tra i dati delle diverse indagini si riferisce invece alle classi di età comuni alle rileva-zioni comparate. Vale a dire, in relazione al variare del campione utilizzato nel-le diverse indagini, il confronto 2000-1996 si riferisce alle classi di età 15·29 anni mentre quelli 1996-1992, 1992-1987 e 1987-1983 alle classi di età 15-24 anm.

- gli amministratori comunali (che all'interno della politica risultano comunque la categoria che ottiene la valutazione migliore) e i funzionari dello stato;

- infine i sindacalisti, il governo, i partiti e ultimi, come già notato, gli uomini politici.

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3 . Variazioni della fiducia nel tempo

Il dato che più risalta dal confronto tra i risultati del­la ricerca 2000 e quelli delle ricerche precedenti è, come accennato nell'Introduzione, il carattere pressoché gene­rale della caduta della fiducia. Delle diciassette categorie per le quali è possibile il confronto con l'indagine 1996, quattordici mostrano una diminuzione delle risposte po­sitive (spesso con differenze percentuali rilevanti) e solo tre un aumento: le banche (l'aumento però in questo caso è minimo: lo 0,4 indica sostanzialmente stabilità e segue peraltro la pesante caduta registrata nel decennio precedente) , i funzionari dello stato e il governo. Questi due ultimi casi, pur non avendo un rilievo quantitativo straordinario, vanno comunque sottolineati: segnalano in­fatti l'inversione di una tendenza negativa in atto tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta. Come vanno inter­pretati?

Probabilmente con il passare del tempo stanno arte­nuandosi gli effetti prodotti dalle vicende di Tangentopo­li (la fiducia nei funzionari dello stato, che oscillava attor­no al 27 % negli anni Ottanta, era bruscamente calata sotto il 20% negli anni Novanta; la fiducia nel governo aveva registrato -18,2 nel periodo 1987 - 1992, scendendo ancora negli anni successivi) . Oggi la fiducia in queste istituzioni risale un poco, registrando un piccolo rimbal­zo, un contraccolpo provocato forse anche dalla profon­dità della caduta precedente3 •

Comunque sia, a questo non si accompagna una ri­presa di fiducia nella politica in generale; qui non trovia­mo alcun rimbalzo. Anzi, il consenso espresso nei con­fronti dei partiti e degli uomini politici (oltre che dei sin­dacalisti) scende ulteriormente. Il risultato conferma come la crisi di fiducia in partiti e uomini politici non sia

3 È possibile comunque che la maggiore frequenza di fiducia nel governo sia legata ad aspetti più squisitamente politici: vale a dire ad una preferenza per il governo in carica al momento della rilevazione 2000 rispetto a quello in carica al momento della precedente indagine.

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stata semplicemente un effetto congiunturale di Tangen­topoli, ma un fenomeno di più lungo periodo (di cui la stessa Tangentopoli è risultato, più che causa), che del resto investe anche altri paesi.

Oltre a questa, sono due le aree sociali nei cui con­fronti si registra la caduta più pesante della fiducia dei giovani. La prima è quella dell'informazione e al suo in­terno soprattutto della televisione, pubblica e privata. La seconda è quella degli apparati di protezione e controllo: polizia, carabinieri, magistrati e militari; un risultato, que­st'ultimo, che segnala la crescita dei sentimenti di insicu­rezza, alimentati dal diffuso timore della criminalità.

La diminuzione della fiducia anche negli industriali, nei sacerdoti, negli insegnanti e negli scienziati contribui­sce a delineare un quadro di caduta complessiva. In que­sti casi il calo però è meno marcato; in fondo questi sono i settori del sociale che, in un periodo difficile, patono reggere meglio degli altri il giudizio dei giovani.

4 . Da che cosa dipende la fiducia?

La fiducia nelle istituzioni riflette un orientamento generale, che ripercorre cioè l'insieme delle categorie proposte agli intervistati, oppure una valutazione che dif­ferenzia istituzione da istituzione?

L'esistenza di un trend comune che, come abbiamo visto, nel periodo 1996-2000 coinvolge quasi tutte le isti­tuzioni, sembra orientare la risposta verso il primo lato dell'alternativa. Un trend che accomuna diversi indicatori non dimostra però che il fenomeno misurato sia lo stesso; fenomeni diversi possono muoversi in una stessa direzio­ne per effetto di cause differenti. Per testare l'ipotesi di un fattore comune, è necessario valutare anche l 'esistenza di correlazione tra le diverse categorie. In effetti la matri­ce dei coefficienti di correlazione mostra come la fiducia in ognuna delle diverse istituzioni sia associata con la fi­ducia in ciascuna delle altre ; nella tabella che si ottiene incrociando tra loro i diversi item che valutano la fiducia

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delle istituzioni, si riscontrano 23 1 coefficienti a segno positivo e nessuno a segno negativo.

Ciò detto, va però anche rilevato che solo in pochi casi questo coefficiente di correlazione è elevato: sono strette le correlazioni tra a) la fiducia nei carabinieri e quella nella polizia; b) quella nel governo, nei funzionari dello stato, nei partiti e negli uomini politici; c) quella nei diversi organismi internazionali; d) quella nei diversi mez­zi di comunicazione di massa. Ma negli altri casi, molto più numerosi, la correlazione è debole (la media generale dei coefficienti si colloca attorno allo 0,25 ) . Questo, se da un lato conferma la tendenza da parte degli intervistati che esprimono fiducia/sfiducia in una istituzione ad esprimerla anche nei confronti delle altre, dall'altro mo­stra anche come questa tendenza spieghi solo una piccola parte delle variazioni riscontrate; la parte più rilevante di queste ultime essendo specifica per ogni singolo item.

Perché esiste questa tendenza a dare risposte simili per l'insieme delle categorie testate? A che cosa può esse­re collegata?

In primo luogo alla percezione del sé e alla soddisfa­zione personale. Chi è contento di sé e della propria vita, più frequentemente formula un giudizio positivo anche nei confronti dell'insieme delle istituzioni. Come appare nella tabella 2 .2 particolarmente importanti sono, oltre alla soddisfazione per il proprio tenore di vita:

- gli aspetti più legati appunto alla soddisfazione di sé: in particolare la soddisfazione per la propria capacità di prendere decisioni, per la propria capacità di memoria e di concentrazione e soprattutto per la propria tranquil­lità psicologica (persino la soddisfazione per il proprio aspetto fisico e la propria salute è positivamente associata alla fiducia nelle istituzioni) ;

- la soddisfazione nei confronti della propria vita di relazione: il rapporto con gli insegnanti, con la propria famiglia e gli altri giovani.

La fiducia nelle istituzioni è poi collegata, oltre che a quella in sé stessi, alla fiducia negli altri (la fiducia nelle altre persone, misurata attraverso una domanda che chie-

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TAB. 2.2. Percentuale di soggetti che dichiarano di avere «Molto» o «Abbastan­za» fiducia in almeno metà delle istituzioni e gruppi elencati nella ta­bella 2 .1 per il livello di soddisfazione di alcuni aspetti della propria vita (%)

Livello di soddisfazione Molto Abbastanza Poco Per niente

a) della loro tranquillità psicologica 40,2 34,7 25,7 17,2 N = 973

b) della loro capacità di memoria e concentrazione 39,0 35,2 24,5 23,7

N = 979

c) dei rapporti nella famiglia 38,6 3 1 ,3 18,8 9,1 N = 980

d) dei rapporti con gli insegnanti 42,4 46,4 28,6 7,3 N = 315

e) dei rapporti con gli altri giovani 37,6 32,6 25,7 5 ,6 N = 983

/! del loro tenore di vita 37,8 34,6 22,5 22,8 N = 980

deva all'intervistato di valutare l' affermazione: «Gran par­te della gente è degna di fiducia») . Questo risultato è una conferma di quanto già notato dalla: letteratura [Mutti 1994 , 86] e mostra come la fiducia nelle istituzioni possa riflettere in parte quella che Erikson [ 1968] ha definito «fiducia di base»: vale a dire un orientamento collegato a caratteri della personalità individuale che sono acquisiti nel corso della socializzazione e in particolare durante i processi di socializzazione primaria.

Esistono anche altre variabili associate alla fiducia/sfi­ducia nelle istituzioni. Tra queste la più significativa ri­guarda la collocazione geografica: i giovani delle Isole mostrano in maniera sistematica frequenze di sfiducia più elevate degli altri. Questo vale per pressoché tutti gli item presi in considerazione, con rare eccezioni (la più impor­tante essendo rappresentata dai magistrati, verso i quali la fiducia in queste regioni è significativamente superiore a quella registrata nel resto dell'Italia) . All'interno di que-

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T AB. 2.3 . Dichiarano di avere «Molto» o «Abbastanza>> fiducia in almeno metà delle istituzioni e gruppi elencati nella tabella 2. 1 (%)

N elle regioni del

Nord-Ovest Nord Est

N = 996 29,7 3 1 , 1

Centro Sud Isole

37,0 39,2 24,9

sto panorama negativo, particolarmente rilevante nelle Isole è comunque la sfiducia denunciata nei confronti de­gli amministratori del proprio comune (che godono inve­ce di una fiducia superiore alla media nelle regioni del Nord).

Al contrario i giovani del Sud - una volta scorporato il territorio delle Isole - mostrano una propensione alla fi­ducia superiore a quella delle altre zone, Nord e Centro compresi (le eccezioni sono in questo caso rappresentate in primo luogo dagli amministratori locali e poi dalla scuola, nei cui confronti la sfiducia al Sud è più frequente che nel resto dell'Italia) . Il risultato è interessante perché sfata un luogo comune: presso le nuove generazioni in queste regioni non prevale un atteggiamento di sfiducia generalizzata. Anzi oggi è vero esattamente il contrario.

Diversamente da quanto hanno riscontrato altre ricer­che, anche l'età nell'insieme è un fattore che tra i giovani italiani del 2000 genera scetticismo: all'aumentare del­l'età, per la maggior parte degli item proposti, diminui­scono le frequenze di fiducia. Questo però non vale per tutte le categorie considerate: con l'età cresce infatti la fi­ducia negli scienziati, nella scuola e negli insegnanti, oltre che nella polizia, nei carabinieri e nei magistrati.

Un ulteriore fattore che in alcuni casi favorisce la sfi­ducia nelle istituzioni è la crescita nelle dimensioni del comune di appartenenza: mentre nei piccoli centri (sotto i diecimila abitanti) è più frequente la fiducia negli ammi­nistratori comunali e nei carabinieri, nelle città (oltre i centomila abitanti) aumenta la sfiducia nella polizia, nelle banche e negli industriali, come pure nei sacerdoti.

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Vi è poi il livello culturale della famiglia di ongme: questa è una variabile importante, che spesso ha effetti consistenti sulla distribuzione della fiducia, effetti però la cui direzione varia a seconda della categoria o gruppo presi in considerazione. L'aumento del livello culturale è associato a più elevate frequenze di fiducia negli scienzia­ti, nell'Unione Europea, nei magistrati, nei giornali, nei funzionari dello stato, nei sindacalisti, nel governo (in questo caso la relazione è particolarmente forte) e nei partiti; è invece associato a più elevate frequenze di sfi­ducia nei confronti della polizia, dei carabinieri, dei mili­tari, degli industriali e della televisione privata.

Infine l' autocollocazione dell'intervistato nello spettro politico: l'atteggiamento di generale fiducia o sfiducia nelle istituzioni non è una caratteristica che divida netta­mente la destra dalla sinistra; semmai la fiducia è tipica dei giovani che si autodefiniscono di centro (mentre è particolarmente scarsa tra chi si colloca in posizioni di estrema sinistra e tra l'elettorato della Lega Nord) . De­stra e sinistra si differenziano però riguardo al tipo di istituzioni nei cui confronti i giovani nutrono fiducia. Tra chi è vicino a posizioni di sinistra è più diffusa, rispetto a chi è vicino a posizioni di destra, la fiducia nel governo4 e più in generale nella politica (nei funzionari dello stato, negli amministratori comunali, nei partiti, negli uomini politici e nei sindacalisti) così come nei magistrati, nella scuola e negli insegnanti, nell'Unione Europea e nella Tv pubblica. A destra invece è più diffusa la fiducia nelle banche, negli industriali, nella NATO, nei sacerdoti, nella Tv privata e, per quanto riguarda il settore pubblico, solo negli apparati di controllo e repressione (nella poli­zia, nei carabinieri e nei militari) .

4 Si noti comunque che la fiducia nel governo, pur essendo meno diffusa a destra, è minoritaria anche tra i giovani di sinistra: è inferio­re al 40% persino tra i giovani che dichiarano di votare per i Demo­cratici di Sinistra (la formazione politica cui apparteneva il leader del governo in carica al momento della rilevazione) .

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5 . Gli ideali di giustizia sociale

Il «sentimento di giustizia» - la percezione di essere trattati in modo giusto - è uno dei più importanti fattori di legittimazione dell'ordinamento di una collettività. Questo sentimento si sviluppa sulla base e della condizio­ne oggettiva in cui si trova l'individuo e dei criteri sog­gettivi con cui questa viene giudicata.

Tra i più importanti di questi criteri - possiamo defi­nirli anche ideali di giustizia sociale - vi sono: a) il valore dell'uguaglianza di opportunità: l'idea che la giustizia ri­chieda una società nella quale tutti possano godere di un'uguale base di partenza nella corsa al riconoscimento sociale; b) il valore della competenza e più in generale del merito: secondo questo principio è giusto che le per­sone più competenti ottengano riconoscimenti superiori a quelli delle persone meno competenti; c) infine quello che è stato definito [Nevola 2000, 89] il principio della «giustizia secondo il successo»: poiché i poveri - secondo chi propone questo criterio - lo sono per colpa loro, è giusto che siano ritenuti responsabili della condizione in cui si trovano. Se il primo criterio, richiamandosi al valo­re dell'uguaglianza, esprime una tensione al cambiamento sociale, il terzo rappresenta invece un principio di radica­le legittimazione dello status quo e in particolare delle di­seguaglianze sociali esistenti.

Come si può vedere nella tabella 2 .4 , pochi sono i giovani d'accordo con l'affermazione: «Al giorno d'oggi in Italia la maggior parte delle persone povere lo sono per colpa loro» (pochi e in diminuzione: dal 20,4 % del 1996 al 15,6% del 2000) . L'orientamento volto alla con­servazione sociale, che tende a legittimare lo stato di cose esistente, è dunque non solo scarsamente diffuso ma vede erodersi ulteriormente la porzione di consensi di cui go­deva.

Tra i giovani il criterio più ampiamente diffuso è in­vece il primo, l'ideale dell'uguaglianza nelle condizioni di partenza: vi aderisce il 95,6% degli intervistati; sono po­chissimi - il 3 ,9% - coloro che si dichiarano «Poco» o

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TAB. 2 .4a. Qual è il suo grado di accordo con le seguenti affermazioni? (%, 15-34 anni)

In una soc1eta giusta è ne­cessario che ci siano per tut­ti uguali opportunità di par­t enza

È giusto che le persone più competenti ottengano rico­noscimenti economici supe­riori a quelli delle persone meno competenti

Al giorno d'oggi in Italia la maggior parte delle persone povere lo sono per colpa loro

N = 1 .490

2000 Molto Abbastanza Poco Per niente Non

d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

72,9 22,7 3,2 0,7 0,5

43,5 41 ,3 9,7 3 ,7 1 ,9

4,2 1 1 ,4 43 ,2 36,3 4,8

TAB. 2.4b. Qual è il suo grado di accordo con le seguenti affermazioni? (%, 15-34 annz)

In una societa giusta è ne­cessario che ci siano per tut­ti uguali opportunità di par­tenza

È giusto che le persone più competenti ottengano rico­noscimenti economici supe­riori a quelli delle persone meno competenti

Al giorno d'oggi in Italia la maggior parte delle persone povere lo sono per colpa loro

N = 1 .490

Differenze 2000-1996 Molto Abbastanza Poco Per niente Non

d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

-6,5 4,9 1 ,6 0,1 -0,1

3 ,3 3 , 1 -2,9 -3 ,4 -0,1

-1 ,6 -3,0 0,3 2,8 1 ,4

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«Per niente» d'accordo con questo prine1p1o. Negli ulti­mi anni, però, pur continuando a registrare una quota di risposte positive ampiamente maggioritaria, questo ideale ha perso consensi.

Ad aumentare d'importanza è invece il valore del me­rito; l 'adesione a questo principio è meno diffusa e con­vinta di quella mostrata nei confronti dell'uguaglianza di opportunità («Molto d'accordo» si dichiara il 43 ,5 % con­tro il 72 ,9%) ma in crescita. Si noti che uguaglianza d'opportunità e competenza individuano valori che non sono necessariamente in opposizione; così appare in ef­fetti alla maggioranza degli intervistati, secondo i quali è giusto che - una volta assicurate uguali opportunità di partenza - maggiori ricompense economiche premino le persone più competenti.

Quali sono i fattori che più influiscono sulle scelte dei giovani?

Soprattutto l'età e la condizione dell'intervistato: l'au­mento dell'età e l'ingresso nel mondo del lavoro coinci­dono con un accrescimento dell'importanza attribuita al merito, scelto invece meno frequentemente dai più giova­ni che ancora non lavorano.

Altre variabili hanno scarsa rilevanza; in particolare l 'area geografica di appartenenza (anche se l'adesione al­l 'ideale dell'uguaglianza di opportunità è più convinta nel Nord-Ovest e meno nel Sud e nelle Isole) , la classe socia­le (ma i giovani che provengono da famiglie di classe operaia sono un poco meno convinti di quelli che pro­vengono da famiglie di classe superiore del valore della competenza) e il capitale culturale della famiglia di origi­ne. Il principio dell'uguaglianza nelle condizioni di par­tenza, in particolare, è ampiamente condiviso, mostrando una distribuzione che prescinde dall' appartenza di classe e dal capitale culturale a disposizione.

L'adesione a determinati ideali di giustizia è infine as­sociata alla scelta politica dell'intervistato. La legittima­zione dello status quo - l'accordo con l'affermazione «la maggior parte delle persone povere lo sono per colpa loro» - è più diffusa tra coloro che si collocano su posi-

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zioni di destra (2 1 ,8% di risposte «Molto» o «Abbastan­za») e di centro ( 17 ,4%) che non di sinistra (solo il 7 ,7%) . Lo stesso vale per il valore della competenza (le percentuali di «Molto» d'accordo sono rispettivamente 54,7, 46,4 e 37 , 1 ) . Al contrario il valore dell'uguaglianza è più diffuso a sinistra (82,3 %) di quanto non lo sia al centro (72 ,6%) e soprattutto a destra (67 ,9%) .

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CAPITOLO TERZO

PERCEZIONE DELLE NORME SOCIALI, TRASGRESSIONE E DEVIANZA

l . Premessa: le tendenze emerse nell'indagine precedente

Le conclusioni della ricerca del 1996 erano in forte continuità con le tendenze emerse in quelle precedenti: «le regole di condotta individuale, ovvero la dimensione etica personale, si distanziano sempre di più dall'etica sociale così com'è percepita dai giovani: ciò provoca un'evidente maggior propensione trasgressiva» [Buzzi 1997a, 190] . La riduzione dello spazio della legittimità, connessa anche alle vicende istituzionali del nostro pae­se, avrebbe comportato un indebolimento della cogenza del rispetto delle regole sociali [Buzzi 1997 a, 1 7 1 ] . La propensione trasgressiva si è rivelata in primo luogo nell'ambito dell' addiction, ma soprattutto veniva rilevata la sua trasversalità : sempre di meno atteggiamenti e comportamenti non allineati con la morale comune pos­sono essere ricondotti a tratti socioanagrafici precisi, sempre di più riguardano anche gruppi elitari, di buona estrazione culturale, residenti in aree centrali del paese. Si sottolineava inoltre come queste tendenze coinvolges­sero in modo crescente anche i minorenni e le ragazze [Buzzi 1997 a, 190] .

Il presente capitolo è /rutto di un'analisi è di una riflessione comu­ne. Patrizia Facciali ha comunque steso i paragrafi 4 e 5, Leonardo Al­tieri i paragrafi l, 2, 3, 6, 7, 8.

Gli autori ringraziano vivamente il dottor Pino Losacco che si è fat­to carico di elaborazioni integrative dei dati per questo capitolo e in par­ticolare di una laboriosa analisi fattoriale.

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2. Alcune innovazioni introdotte nell'ultima indagine

Nella presente indagine IARD sono state apportate al­cune importanti innovazioni relativamente alla parte con­cernente i temi della percezione delle norme sociali, della trasgressione e della devianza.

La prima consiste nell'affiancare alla ormai consolida­ta tripartizione di item sul tema (la percezione delle nor­me sociali, le regole di condotta individuale, la tendenza soggettiva alla trasgressione) una quarta prospettiva attra­verso cui affrontare la lista dei comportamenti «trasgres­sivi», prospettiva che chiameremo percezione delle norme del proprio gruppo di rz/erimento. Così, accanto all'ormai abituale quesito: «Questa cosa è più spesso nella nostra società criticata o non criticata?», la nuova prospettiva è stata tradotta nel questionario con la domanda: «Questa cosa è più spesso nel suo gruppo di amici criticata o non criticata?».

L'ipotesi che sta alla base di questa innovazione è che tra la società e l'individuo si collochi una serie di aggre­gazioni intermedie e fra queste abbia un ruolo particolare l'insieme dei soggetti che costituiscono un riferimento importante per l'individuo. Nel caso degli adolescenti è particolarmente evidente la funzione del gruppo dei pari, come luogo di identificazione e di comunicazione, come fonte di identità, come equipaggio insieme a cui affronta­re la navigazione nel mare aperto della società extrafami­liare [Alti eri 1987 ; Amerio et al. 1990; Baraldi 1988] . Si ritiene che le norme dominanti in questa cerchia di riferi­mento (norme forse anche diverse da quelle prevalenti nella società più ampia) possano costituire un'importante bussola per le condotte degli individui. I dati sembrano confermare tale ipotesi perché spesso le regole attribuite al proprio gruppo di amici appaiono distanti, spesso an­che molto distanti, da quelle attribuite all'intera società. E sarà interessante vedere come il singolo giovane si col­locherà fra società e proprio gruppo di riferimento. È inoltre noto che, relativamente a comportamenti proble­matici per la società o di natura intima o di tipo trasgres-

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sivo, alla domanda diretta («Lei ha mai fatto la tal cosa?») , che spesso rischia risposte non attendibili, si preferisce sostituire un quesito riferito agli amici, su cui più facilmente l'intervistato proietta atteggiamenti che sono anche propri. Il gruppo di amici, dunque, anche come specchio di possibili condotte che si faticherebbe ad ammettere se riferite a se stessi.

La seconda innovazione consiste nell'introduzione di una quinta area tematica dopo quelle consolidate nelle in­dagini precedenti. Quindi, oltre alle aree dei rapporti eco­nomici (infrazioni ai doveri del «buon» cittadino: evadere le tasse, non pagare il biglietto, assentarsi dal lavoro, pic­coli reati contro la proprietà), dei rapporti familiari e ses­suali (rapporti prematrimoniali, convivenza senza matri­monio, divorzio, relazioni extramatrimoniali, omosessuali­tà) , dell' addiction (consumo di sostanze illegali o meno: droghe, fumo, alcool) , della violenza e del vandalismo, abbiamo quella che abbiamo definito come l 'area dei valo­ri della vita e della salute. Abbiamo spostato in quest'area l'argomento aborto (precedentemente collocato nell'area dei rapporti familiari e sessuali in modo alquanto forzato trattandosi di questione ben diversa sia dal punto di vista relazionale che etico) . E abbiamo introdotto i temi del­l' eutanasia, del trapianto di organi, delle tecniche di fe­condazione artificiale, della chirurgia estetica, dell'uso del profilattico in funzione preventiva anti-Ams. Si tratta di argomenti che possono portare a riformulare questioni etiche concernenti i valori della vita, la cui rilevanza nella società contemporanea è crescente e che negli ultimi tem­pi sono stati oggetto di ampi pubblici dibattiti.

La terza innovazione consiste nell'avere introdotto il giudizio su ulteriori nuove condotte, tipiche di settori gio­vanili (e non solo) , originate per es. dalle opportunità re­lazionali scaturite dall'informatica e dalle reti telematiche (utilizzazione di materiale pirata, come CD, video e so­prattutto software scaricato da Internet; visita di siti web pornografici). O comunque portati (o riportati) recente­mente di fronte all'attenzione pubblica, come: avere rap­porti sessuali a pagamento, assumere farmaci per miglio-

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rare le prestazioni sportive o lavorative, provare ecstasy, guidare dopo aver assunto alcool (temi questi ultimi - do­ping, ecstasy, guida in stato d'ebbrezza - molto vicini alla tematica dei valori della vita e della salute, che quindi ac­quista in questa indagine uno spazio davvero rilevante) .

Si tratta di innovazioni consistenti, che rischiano di appesantire fino al limite del sopportabile (per l'intervi­stato) questa parte del questionario, ma che ci sono parse estremamente utili per collocare in modo adeguato gli at­teggiamenti giovanili all'interno della complessità delle norme e dei valori della società attuale.

Su tutte queste innovazioni non saranno possibili, ov­viamente, confronti con le ricerche precedenti, ma abbia­mo ritenuto importante indagare comunque questi temi per avere un quadro più esauriente, più aggiornato e, presumibilmente, più complesso dei valori giovanili.

In particolare, per quanto riguarda le innovazioni in­formatiche e telematiche, esse comporterebbero una ri­formulazione e un ripensamento, nei questionari delle in­dagini future, di tutta una serie di argomenti: si pensi solo al cambiamento radicale nei consumi culturali e nel­le relazioni sociali prodotto da Internet, dalle reti virtuali, dai videogiochi, dai software per produrre musica, grafi­ca, design, ecc. D'altra parte le indagini IARD non posso­no non tener conto dell'esigenza della confrontabilità con le survey precedenti.

Sono confermate anche in quest'ultimo questionario le successive domande egoriferite: «Questa cosa secondo lei è ammissibile o non ammissibile?» e «A lei questa cosa potrebbe capitare?» concernenti gli stessi ipotetici comportamenti delle cinque aree menzionate.

3 . La percezione delle norme sociali

Anche nella rilevazione del 2000, come nelle prece­denti, la maggioranza dei giovani intervistati (talvolta grandi maggioranze) ritiene che quasi tutti i comporta­menti proposti siano criticati dalla società. Le azioni che

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sono maggiormente stigmatizzate (secondo la percezione di oltre il 90% degli intervistati) sono, nell'ordine: assu­mere droghe pesanti, guidare dopo aver bevuto sostanze alcoliche (non confrontabile con le indagini precedenti) , produrre danni a beni pubblici e prendere qualcosa in un negozio senza pagare. Seguono poi (con percentuali superiori all'BO%) : la violenza legata al tifo sportivo, pro­vare l'ecstasy in discoteca (non confrontabile) , fare sesso a pagamento (non confrontabile), fumare occasionalmen­te marijuana, avere rapporti omosessuali e fare a botte per affermare le proprie ragioni (tab. 3 . 1 ) .

Si tratta di una lista delle condotte maggiormente condannate dalla società che non si discosta dalle indagi­ni precedenti (a parte i nuovi comportamenti introdotti in quest'ultima) . Possiamo sottolineare comunque che ap­pare in crescita la condanna di azioni violente contro beni pubblici e soprattutto contro altre persone (ben 13 punti percentuali in più rispetto a solo quattro anni pri­ma) . Invece, pur mantenendosi molto alta la percezione della condanna sociale, sembra in leggera diminuzione la critica delle droghe leggere e in netto decremento quella dei comportamenti omosessuali.

All'opposto, è interessante vedere quali sono i com­portamenti tollerati dalla maggioranza della società, in un ordine di crescente accettazione: utilizzo di materiale pi­rata, chirurgia estetica, rapporti sessuali senza matrimo­nio, convivenza, fumare tabacco, trapianti di organi (sei comportamenti ammissibili su ventotto proposti) .

Se si analizza la tabella 3 . l , che mette a confronto la variazione nella percezione delle norme sociali dal 1983 ad oggi (confronto effettuato, per ragioni di confrontabi­lità, per la classe d 'età 15 -24 anni) , possiamo notare che gli andamenti sono piuttosto diversificati fra le differenti aree tematiche.

- Per l'area dei rapporti economici, la tendenza al calo del giudizio critico della società rispetto al viaggiare nei trasporti pubblici senza pagare nel 2000 si inverte piutto­sto decisamente, mentre di fronte agli altri comportamen­ti vi è un andamento oscillante, che comunque sembra

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TAB. 3 . 1 . Variazione nel tempo della percezione delle norme sociali. Percentuale di coloro che considerano criticati dalla società i diversi comportamenti per anno di rilevazione (15-24 anni)

1983 1987 1992 1996 2000

Area dei rapporti economici Viaggiare SUI trasporti pubblici senza pagare 79,5 74,6 64,6 62,7 68,6 Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati 77,6 72,8 67, 1 68,7 69,0 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 91 ,8 91 ,9 90,2 89,9 90,8 Dichiarare al fisco meno di quan ·

to si guadagna 74,3 72,3 70,8 7 1 ,7 7 1 ,5 Usare materiale pirata (CD, video, software) 48,3

Area dei rapporti familiari e ses-sua li Divorziare 65,0 66,0 62, 1 66,3 52,2 Avere rapporti sessuali senza es-sere sposati 52,4 50,0 40,9 4 1 ,9 34,8 Avere esperienze omosessuali 88,2 91 ,6 9 1 ,5 89,9 82,7 Convivere senza essere sposati 63,8 61 ,7 57,2 52,7 33 ,9 Avere una relazione con una per-sona sposata 82,4 82, 1 81 ,8 83,4 79,2 Sesso a pagamento 86,5 Pornografia 64,2

Area dell'addiction Fumare tabacco 3 1 , 1 26,8 Ubriacarsi 78,6 78,5 77,5 78,5 78,6 Fumare occasionalmente manjuana 90,1 91 , 1 88,7 85,7 84,6 Prendere droghe pesanti (eroina) 95,2 96,1 97,5 96,1 94,8 Farmaci per prestazioni 75,8 Ecstasy in discoteca 87,2 Guida dopo alcool 91 ,6

Area della violenza e del vandali-smo Fare a botte per far valere le pro-prie ragioni 66,6 70,4 67,2 69,0 8 1,9 Fare a botte con i tifosi di una squadra awersaria 90,7 88,7 89,9 Produrre danni a beni pubblici 90,1 88,8 87, 1 91 ,2

Area dei valori della vita e della salute Abortire 72,1 75,4 78,8 80,8 73,6 Eutanasia 74,6

(segue)

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TAB. 3 . 1 . (segue)

Trapianto lnseminazione artificiale Chirurgia estetica Sesso senza profi!attico

1983 1987 1992 1996 2000

26,0 50,3 44, 1 75,2

confermare che qui non prosegue il declino della condan­na sociale (come sembrava in precedenza).

- Per l'area dei rapporti familiari e sessuali, a diffe­renza dell'area precedente, in generale la percezione del giudizio critico da parte della società tende a calare, an­che decisamente. Questo decremento è nettissimo per quanto riguarda la convivenza senza matrimonio (ben 19 punti percentuali) e il divorzio (14 punti). Il calo è consi­stente per quanto riguarda il sesso fuori dal matrimonio, come pure per le esperienze omosessuali e le relazioni af­fettive con persone sposate.

- Per l'area dell'addiction, non ci sono grosse varia­zioni nel tempo. Si conferma la tendenza ad un leggero calo della percezione della critica sociale relativa al fuma­re occasionalmente marijuana. Nonostante le tante cam­pagne contro il tabacco, la sua condanna sociale pare in diminuzione.

- Per l'area della violenza e del vandalismo, abbiamo già rilevato l 'aumento consistente della critica sociale del «fare a botte per far valere le proprie ragioni» e un ritorno verso condanne più decise delle altre forme di violenza.

- Infine, per l'area dei valori della vita e della salute, il confronto temporale è possibile solo per quanto riguar­da l'aborto, che dal 1983 al 1996, viene percepito come sempre più criticato dalla società. Improvvisamente si in­verte con decisione questa tendenza, con una diminuzio­ne di 7 punti nel 2000.

I dati quindi in parte confermano quelli delle indagini precedenti, in parte evidenziano alcuni cambiamenti, a volte vere e proprie inversioni di tendenza. È il caso, ad

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esempio, dell'aborto e del divorzio che invertono la co­stante tendenza all'aumento della critica sociale rilevata negli anni precedenti. Se ad essi aggiungiamo il calo della condanna dell'omosessualità e di tutti gli altri comporta­menti relativi all'area dei rapporti sessuali e familiari, si può allora ipotizzare che ci sia una generale percezione di minor rigidità della società nel giudicare i comportamenti che riguardano le scelte personali nella sfera privata.

Rimane lo «Zoccolo duro» di alcuni comportamenti che continuano ad essere considerati devianti: oltre al consumo di droghe pesanti e al furto, l'intera area della violenza e del vandalismo è percepita come sempre più criticata dalla società.

4 . Le norme individuali

L'analisi delle variazioni nel tempo del giudizio per­sonale di ammissibilità dei comportamenti considerati conferma i dati delle precedenti indagini IARD: i giovani si mostrano tendenzialmente più tolleranti nei giudizi, ri­spetto a quelli che attribuiscono alla società (tab. 3 .2 ) .

- Nell'area dei rapporti economici, è da rilevare il net­to aumento dell'ammissibilità del viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare (ben 20 punti percentuali in più ri­spetto alla prima indagine del 1983 ) e dell'assenteismo sul lavoro. Un quarto dei giovani ritiene ammissibile eva­dere il fisco. Altissima è la quota (quasi tre giovani su quattro) di coloro che ritengono corretto utilizzare mate­riale pirata: le nuove tecnologie e soprattutto Internet hanno stravolto decisamente, almeno nelle nuove genera­zioni, la concezione dei diritti di proprietà e copyright per i prodotti coinvolti.

- Per quanto riguarda l'area della famiglia e della ses­sualità, va innanzitutto detto che è altissima l'ammissibili­tà di condotte quali i rapporti sessuali senza matrimonio, la convivenza, il divorzio. I giovani sono invece netta­mente divisi circa la pornografia (leggera maggioranza di tolleranti) , l 'omosessualità e le relazioni con persone spo-

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TAB. 3 .2. Variazione nel tempo delle regole di condotta individuale. Percentuale di coloro che considerano personalmente ammissibili i diversi compor-tamenti per anno di rilevazione (15-24 annt)

1983 1987 1992 1996 2000

Area dei rapporti economici Viaggiare SUl trasporti pubblici senza pagare 26,3 25,5 35,1 36,8 46,6 Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati 28,6 32,2 38,3 3 1 , 1 39,0 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 10,9 9,3 9,3 6,5 9,9 Dichiarare al fisco meno di quan-to si guadagna 24,9 28,7 28,3 25,3 24,8 Usare materiale pirata (CD, video, software) 72,8

Area dei rapporti familiari e ses-sua li Divorziare 73,8 74,1 78,6 77,0 76,1 Avere rapporti sessuali senza es-sere sposati 79,9 79,8 84,9 87,8 87,8 Avere esperienze omosessuali 36,7 30,9 40,8 49,5 47,3 Convivere senza essere sposati 76,2 79,0 77,9 84,1 87,5 Avere una relazione con una per-sona sposata 53,0 49,3 48,0 45,8 46,4 Sesso a pagamento . 17 ,6 Pornografia 56,5

Area dell' addiction Fumare tabacco 85,7 85,5 Ubriacarsi 49,8 49,6 49,2 56,0 67,4 Fumare occasionalmente manjuana 26,9 20,8 27,6 38,6 48,6 Prendere droghe pesanti (eroina) 8,8 6,7 7,7 8,2 7 ,3 Farmaci per prestazioni 25,2 Ecstasy in discoteca 17,6 Guida dopo alcool 15,6

Area della violenza e del vandali-smo Fare a botte per far valere le pro-prie ragioni 35,7 33 ,7 3 1 ,6 26,3 19, 1 Fare a botte con i tifosi di una squadra avversaria 7,0 7 ,6 6,8 Produrre danni a beni pubblici 6,2 3 ,6 4,9 5,9

Area dei valori della vita e della salute Abortire 57,6 5 1 ,8 47,5 5 1 ,0 48,1 Eutanasia 46,7 Trapianto 85,7

(segue)

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TAB. 3 .2 . (segue)

Inseminazione artificiale Chirurgia estetica Sesso senza profilattico

1983 1987 1992 1996 2000

69,3 72,3 32,7

sate (leggera maggioranza per chi è critico) . Schiacciante è la condanna del sesso a pagamento . Le variazioni nel tempo confermano la tendenza all' aumento dell'ammissi­bilità della convivenza e dei rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Più oscillante è l'atteggiamento dei giovani verso l'ammissibilità dei rapporti omosessuali (comunque sono molti più tollerati rispetto agli anni Ottanta) e delle relazioni con persone sposate.

- L'area dell' addiction presenta alcuni dati estrema­mente rilevanti: ben due terzi dei giovani giudica com­portamento ammissibile ubriacarsi e quasi la metà assu­mere droghe leggere. Ambedue gli atteggiamenti avevano avuto una forte impennata fra il 1992 e il 1996; tale ten­denza addirittura si accentua ! L'atteggiamento più nega­tivo verso l'alcool era stato rilevato nel 1992 : ora la sua ammissibilità è aumentata di oltre 18 punti. L'atteggia­mento più negativo verso spinelli e canne datava 1987 : ora l'ammissibilità è cresciuta di ben 28 punti. Solo verso il tabacco è leggermente aumentata la critica.

- Nell'area della violenza e del vandalismo la variazio­ne più significativa è il netto aumento della condanna della violenza come mezzo per far valere le proprie ragio­ni: si tratta di una tendenza costante, che comunque ha fatto balzi in avanti fra il 1992 e il 2000.

- Infine, nell'area dei valori della vita e della salute, dove l'unico dato confrontabile nel tempo è l'atteggia­mento verso l'aborto, si conferma che in proposito i gio­vani sono spaccati quasi a metà con una leggera prevalen­za oggi di chi lo condanna, invertendo la situazione della rilevazione precedente (ma in questo campo i dati sono

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molto oscillanti: infatti il commento appena formulato si riferisce alla fascia di età 15 -24, l'unica confrontabile in tutte e cinque le rilevazioni, mentre nel duemila nella fa­scia superiore c'è invece una leggera maggioranza che ri­tiene ammissibile l'aborto.

Queste tendenze confermano che sono soprattutto i comportamenti legati ai rapporti sessuali e familiari ad es­sere considerati «un fatto privato», soggetto alla libertà di scelta individuale. Ma, insieme a questi (e pure in tale aspetto si conferma il trend degli anni precedenti) , anche i comportamenti legati all'uso di alcool e droghe leggere vengono giudicati ammissibili da un numero sempre cre­scente di giovani, indipendentemente da ciò che pensa, o prescrive, la norma sociale.

I comportamenti sui quali invece la condanna dei gio­vani è decisamente in aumento riguardano l'uso della vio­lenza per affermare le pìoprie ragioni.

La lettura incrociata dei giudizi di ammissibilità con le variabili età, sesso, classe sociale e background culturale della famiglia evidenzia quanto segue:

- il giudizio di ammissibilità dei diversi comporta­menti aumenta con l'aumentare dell'età, fino a raggiunge­re la punta massima nella classe 25-29 anni, per poi de­crescere leggermente nella classe 30-34 anni, e questo in­dipendentemente dalle altre variabili considerate; le uni­che eccezioni sono i giudizi sul fare a botte con i tifosi avversari e procurare danni ai beni pubblici, dove l 'am­missibilità è più alta tra i più giovani ( 15 -17 anni) ;

- relativamente alla variabile sesso, le femmine ten­dono ad essere meno trasgressive dei maschi, in partico­lare modo le donne del Centro e del Sud; il giudizio di ammissibilità sull'inseminazione artificiale è più alto inve­ce fra le donne; in generale i giudizi di ammissibilità sono più diffusi al Nord, seguiti dal Centro e dal Sud;

- riguardo alla classe sociale della famiglia, la tenden­za è quella che vede in testa, nel giudizio di ammissibilità, gli appartenenti alla classe impiegatizia, seguiti da quelli di classe superiore, poi dai figli dei lavoratori autonomi e in­fine degli operai; la classe superiore toglie il primo posto

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all'impiegatizia nei giudizi di ammissibilità relativi al con­sumo di eroina e di ecstasy, al procurare danni a beni pub­blici, al fare a botte tra tifosi avversari e a convivere prima del matrimonio; sono invece al primo posto gli apparte­nenti alla classe operaia nel ritenere ammissibile fare a botte per far valere le proprie ragioni, consumare materia­le pornografico e usare farmaci per migliorare le proprie prestazioni;

- infine, se guardiamo al background culturale degli intervistati, possiamo osservare che più esso è alto, più è alto il giudizio di ammissibilità: solo in pochi casi coloro che hanno un alto background culturale si scambiano il primo e il secondo posto con coloro che appartengono ad un background culturale medio-alto.

Si può allora tracciare l'identikit del trasgressore (o tollerante, o innovatore) : è maschio, di età compresa tra i 25 e i 29 anni, residente al Nord, figlio di impiegati o di appartenenti alla classe sociale sup�riore e con un back­ground culturale alto o medio-alto. E, insomma, un classi­co ragazzo di buona famiglia, che conosce le regole ma sa anche che può trasgredirle, che è tollerante e aperto ver­so il nuovo e il diverso e che forse si compiace di mostra­re un'immagine di sé come trasgressivo.

Per approfondire ulteriormente il rapporto fra la per­cezione delle norme sociali e gli atteggiamenti individuali, abbiamo calcolato i rapporti percentuali di coincidenza e discrepanza tra i giudizi attribuiti dalla società ai com­portamenti in esame e i giudizi di ammissibilità personale (tab. 3 .3 ) .

La tabella si compone di quattro colonne: nelle prime due vengono riportate le percentuali che rappresentano una totale coincidenza di giudizio fra critica sociale e am­missibilità personale (sia in negativo che in positivo) , nel­le ultime due invece vengono riportati i casi di difformità di giudizio. Nell'indagine IARD del 1996 tali indicatori di convergenza/ divergenza avevano evidenziato quattro gruppi, che prenderemo come riferimento per la lettura dei dati del 2000.

Il primo gruppo vedeva prevalere l'uniformità di giu-

308

Page 311: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 3 .3 . Coincidenze e discrepanze tra norme sociali e regole di condotta indivi­duale. Percentuale di coloro che considerano personalmente ammissibi­li o non ammissibili i diversi comportamenti in rapporto alla loro per­cezione dell'etica sociale (15-34 anni)

Prendere droghe pesanti (e­roina) Fare a botte con i tifosi di una squadra awersaria Produrre danni a beni pub­blici Prendere qualcosa in un ne­gozio senza pagare Guida dopo alcool Ecstasy in discoteca Fare a botte per far valere le proprie ragioni Sesso a pagamento Farmaci per prestazioni Sesso senza profilattico Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati Avere esperienze omosessuali Fumare occasionalmente ma­rijuana Viaggiare sui trasporti pub­blici senza pagare Eutanasia Avere una relazione con una persona sposata Abortire Pornografia Ubriacarsi Inseminazione artificiale Usare materiale pirata (CD, video, software) Chirurgia estetica Divorziare Trapianto Convivere senza essere sposati

Coincidenza

Etica sociale e

etica individuale (entrambe restrittive)

89,3

87,6

87,2

84,3 79,8 74,4

70,9 69,9 62,7 55,8

55,3

49,9 44,7

44,0

43,6 4 1 ,7

4 1 ,1 37,5 3 1 ,7 30,4 18,9

17,9 14,8 13 ,6 7,3 6,4

Etica sociale e

etica individuale (entrambe permissive)

0,7

1 ,2

0,8

1 ,4 2,3 3 , 1

5,5 5,2 10,0 12,0

12,8

12,4 8 ,1

9,0

15,5 14,4

12,7 17 ,5 26,5 16,5 4 1 ,9

. 42,0 44,2 40,5 69,6 59,1

Discrepanza

Etica Etica sociale sociale

(restrittiva) (permissiva) e etica e etica

individuale individuale (permissiva) (restrittiva)

6,2

4 , 1

3 ,4

7 , 1 1 1 ,6 13 ,4

1 1 ,7 14,5 12,9 19,2

13 ,5

20,8 39,2

37,5

24,5 35,6

35,7 34,6 32,3 47,8 30,5

28,1 28,6 37,2 18,2 28,3

3 ,8

7, 1

8,6

7,2 6,4 9,0

1 1 ,9 10,3 14,3 13 ,0

1 8,4

16,9 8,0

9,5

16,4 8,3

10,5 10,4 9,6 5,3 8,7

12,1 12 ,4 8,7 4,9 6,2

(segue)

Page 312: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.3. (segue)

Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fumare tabacco

Coincidenza

Etica sociale e

etica individuale (entrambe restrittive)

6,1 5,6

Etica sociale e

etica individuale (entrambe permissive)

62,4 64,0

Discrepanza

Etica Etica sociale sociale

(restrittiva) (permissiva) e etica e etica

individuale individuale (permissiva) (restrittiva)

25,7 20,8

5,8 9,6

dizio tra sfera sociale e sfera personale nel considerare esplicitamente devianti alcuni comportamenti (prendere droghe pesanti, rubare, produrre danni a beni pubblici e fare a botte tra tifosi, tutti con percentuali di coincidenza superiori all'SO%) . Tale coincidenza è confermata anche nella rilevazione del 2000, così che lo «zoccolo duro» evi­denziato precedentemente in relazione alla condanna de­cisa di un certo tipo di devianza pesante viene conferma­to. A tali comportamenti se ne possono aggiungere alcuni altri, che presentano percentuali abbastanza alte (dal 70 all'SO% ) di coincidenza nel giudizio restrittivo: si tratta del fare a botte per far valere le proprie ragioni e di due comportamenti introdotti quest'anno, vale a dire guidare dopo aver assunto sostanze alcoliche (anche se le statisti­che sugli incidenti del dopo-discoteca parrebbero sugge­rire qualche dubbio sull'attendibilità delle risposte) e il provare l'ecstasy (ed anche in questo caso le ricerche re­centi sulle cosiddette nuove droghe evidenzierebbero un atteggiamento diverso) . Vicina al 70% è pure la stigma­tizzazione dei rapporti sessuali a pagamento, dato questo che sembra confermare anche nelle nuove generazioni un'ambiguità storica circa un comportamento (la mercifi­cazione del sesso) criticato dalla società e criticato dai giovani, ma in realtà da sempre accettato e informalmen­te tollerato in tutte le culture.

Il secondo gruppo individuato nell'indagine del 1996

310

Page 313: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

era costituito da giovani i cui giudizi coincidevano con la loro percezione delle norme sociali in circa la metà dei casi, mentre nell'altra metà i giudizi si mostravano discre­panti sia nel senso di una maggior permissività dei giova­ni, sia nel senso di una loro maggior restrittività rispetto alla società (i comportamenti in questione erano fare a botte per le proprie ragioni ed anche evadere il fisco, non pagare il biglietto e assentarsi dal lavoro senza motivi di salute). Anche nella rilevazione del 2000 è possibile in­dividuare un gruppo analogo (con percentuali di coinci­denza di giudizio che vanno dal 50 al 60% circa) . In esso ritroviamo l'evasione fiscale e l'assenteismo dal lavoro come quattro anni prima, per l'area dei rapporti econo­mici. Ma troviamo soprattutto alcune delle condotte che abbiamo introdotto per la prima volta nell'ultima ricerca: le pratiche sessuali senza pro filattico e l 'assunzione di far­maci per migliorare le proprie prestazioni, nell'area della salute e dei valori della vita.

Un terzo gruppo comprende, anche nella rilevazione di quest'anno, giovani che condividono solo con percen­tuali che stanno fra il 30 e il 50% il giudizio stigmatizzan­te della società su comportamenti quali l'omosessualità, il non pagare il biglietto sui trasporti pubblici (verso il qua­le aumenta il grado di tolleranza) , l'eutanasia, le relazioni extraconiugali, l'aborto, l'uso di materiale pornografico e l'ubriacarsi. Per gli stessi comportamenti troviamo una quota di giovani oscillante fra il 30 e il 40% che mostra un atteggiamento di tolleranza, giudicando invece la so­cietà troppo restrittiva (ma l'accettazione dell'alcool sfiora quasi il 50% in dissenso con la condanna generale) .

Infine, nel quarto gruppo troviamo, come nella rileva­zione del 1996, comportamenti che non solo vengono ampiamente tollerati dai giovani, ma anche percepiti come non stigmatizzati (con percentuali di coincidenza in senso permissivo che vanno dal 40 al 70%) . Si tratta in particolare dei comportamenti riferibili all'area della salu­te e dei valori della vita, che testimoniano quindi i cam­biamenti in corso nella cultura della nostra società, non­ché delle relazioni familiari e sessuali, come la conviven-

311

Page 314: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

za, i rapporti prematrimoniali e il divorzio (rispetto ai quali si conferma la progressiva perdita di significato tra­sgressivo) . Infine, l'atteggiamento relativo all'uso di ta­bacco non consente, per ora, di prefigurare, nel nostro paese, scenari di tipo statunitense, vale a dire di aperta criminalizzazione dei fumatori.

5 . La propensione alla trasgressione

La tabella 3 .4 mette a confronto la variazione tempo­rale della propensione ad assumere determinate condotte per lo più ritenute devianti dalla società, quelle cioè che il giovane non esclude, vale a dire il grado in cui egli ritiene che potrebbe capitargli di comportarsi in un certo modo. Coerentemente con le precedenti indagini IARD, non si è chiesto agli intervistati di dire se avessero o no compiuto una determinata azione (col rischio di risposte poco atten­dibili) , ma se ritenessero possibile tale eventualità. Occor­re precisare che, diversamente dalle altre domande di questa batteria, quella qui considerata ha tre possibili ri­sposte, prevedendo anche il «non so», ma occorre anche precisare che il «non so» implica che il comportamento preso in considerazione non viene nettamente escluso dal­l'intervistato, che in qualche modo non lo rifiuta a priori.

Possiamo dire innanzitutto che quattro aree tematiche hanno almeno un comportamento altamente suscettibile di essere praticato dai giovani (che, cioè, dichiarano di non escluderlo) : utilizzare materiale pirata nella prima area; ubriacarsi nella terza; fare trapianti di organi nella quinta; avere rapporti sessuali senza essere sposati, convi­vere, divorziare nella seconda.

All'opposto ci sono comportamenti esclusi da mag­gioranze molto rilevanti: rubare in un negozio senza pa­gare, avere rapporti omosessuali, fare sesso a pagamento, assumere droghe pesanti o ecstasy, fare a botte, danneg­giare beni pubblici.

Analizzando la tabella 3 .4 , si possono osservare alcu­ne costanti e alcune oscillazioni nel tempo.

312

Page 315: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.4. Variazione nel tempo degli atteggiamenti di «non esclusione» della possibilità di trasgredire alle norme sociali. Percentuale di coloro che ritengono possibili i diversi comportamenti o che comunque non esclu-dono la possibilità di compierli, per anno di rilevazione (15-24 anni)

1983 1987 1992 1996 2000

Area dei rapporti economici Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare 53,9 54,6 62, 1 65,7 66,6 Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati 49,1 50,5 55,9 54,0 57,6 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 14,9 12,8 12,7 14,1 17,8 Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 42,5 40,4 37,8 40,3 40,5 Usare materiale pirata (Co, video, software) 81 ,4

Area dei rapporti familiari e sessuali Divorziare 72,3 70,1 72,8 75,3 77,3 Avere rapporti sessuali senza essere sposati 79,6 79,6 84,3 88,1 88,9 Avere esperienze omosessuali 10,8 5,2 4,4 7,4 9,5 Convivere senza essere sposati 64,6 64,9 65,8 73,3 80,1 Avere una relazione con una persona sposata 56,1 49,6 49,8 48,6 52,4 Sesso a pagamento 10,8 Pornografia 49,5

Area dell' addiction Fumare tabacco 60,9 67,4 Ubriacarsi 5 1 ,0 49,3 48,7 60, 1 70,2 Fumare occasionalmente marijuana 1 8,4 14,6 19,1 3 1 ,0 40, 1 Prendere droghe pesanti (eroina) 5,7 3 ,8 3 ,3 6,6 7,7 Farmaci per prestazioni 23,4 Ecstasy in discoteca 16,1 Guida dopo alcool 29,9

Area della violenza e del vandalismo Fare a botte per far valere le proprie ragioni 44,6 43,7 40,1 38,0 32,4 Fare a botte con i tifosi di una squadra avversaria 1 1 ,6 13 ,7 1 3 , 1 Produrre danni a beni pubblici 10 , 1 7,7 9,2 1 1 ,0

Area dei valori della vita e della salute Abortire 42,9 42,0 40,4 45,7 45,9

(segue)

Page 316: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 3 .4. (segue)

Eutanasia Trapianto Inseminazione artificiale Chirurgia estetica Sesso senza profilattico

1983 1987 1992 1996 2000

53,6 83 ,8 62,6 46,8 37,4

- Nell'area dei rapporti economici, c'è in generale una tendenza all'aumento della propensione verso i compor­tamenti considerati. Ora due giovani su tre non escludo­no di poter viaggiare su trasporti pubblici senza pagare, più della metà è disposto ad assentarsi dal lavoro anche senza essere ammalato e il 40% a evadere il fisco; «solo» il 18% prenderebbe qualcosa in un negozio senza pagare, ma c'è un aumento di cinque punti sui dati corrispon­denti del 1987 e del 1992.

- Per quanto riguarda l'area della famiglia e della ses­sualità, tre comportamenti sono considerati assumibili, nella propria prospettiva di vita, dalla grande maggioran­za dei giovani: si tratta del divorzio, della convivenza e soprattutto dei rapporti sessuali senza essere sposati. E per tutti e tre si conferma la tendenza all'aumento; so­prattutto l'ipotesi della convivenza ha fatto un notevole balzo in avanti alla soglia del duemila. Le relazioni ses­suali con persone sposate dividono quasi a metà gli inter­vistati; fino all'indagine del 1 996 si profilava una diminu­zione della disponibilità in questa direzione, ma ora pare esserci un'inversione di tendenza. Qualcosa di simile av­viene per i comportamenti omosessuali: c'è stata una di­minuzione della disponibilità soggettiva fino al 1992 e ora sembra avvenire il contrario (ma parliamo comunque di una quota che sfiora appena il 10%) .

- L'area dell' addiction farà crollare dai loro scranni di sicurezze inossidabili tanti benpensanti: tutti i dati mo­strano una forte tendenza all'aumento. Ciò è particolar­mente vero per l'uso saltuario (sottolineiamo «saltuario») di droghe leggere: fra il 1992 e il 1996, poi fra il 1996 e

314

Page 317: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

il 2000 ci sono due veri e propri balzi in avanti. Il punto più basso della disponibilità verso gli spinelli si era tocca­to nel 1987, quando solo il 15 % era orientato in tal sen­so; ora siamo al 40% , con un incremento di ben 25 punti percentuali. Non andiamo certo meglio con le droghe «legali»: la possibilità di ubriacarsi non è esclusa oggi dal 70% dei giovani, mentre eravamo sotto di oltre venti punti solo dieci anni fa. Due giovani su tre sono disponi­bili verso il tabacco e anche qui c'è un netto incremento rispetto a quattro anni fa (un bel risultato delle campa­gne contro il fumo!) . «Solo» il 7 % non esclude le droghe pesanti, ma anche qui si conferma un aumento sul 1992. Infine non possiamo fare confronti temporali per altri comportamenti a rischio, ma non si può non notare che quasi un giovane su quattro potrebbe essere disponibile all 'uso di farmaci (doping) per migliorare le proprie pre­stazioni e il 30% a mettersi alla guida dopo aver assunto alcolici.

- Nell'area della violenza e del vandalismo la variazio­ne più significativa è il netto calo, confermato nel tempo, della non esclusione di fare a botte per far valere le pro-. . . pne ragwm.

- Infine, nell'area dei valori della vita e della salute, si conferma la tendenza all'aumento della non esclusione dell'aborto riscontrata nel 1996, fermo restando che colo­ro che sono orientati in tal senso rappresentano ancora una minoranza, che si sta però avvicinando al 50%.

Nella tabella 3 .5 abbiamo messo a confronto i giudizi sull'ammissibilità dei diversi comportamenti con la di­chiarata propensione (o la non esclusione) a compierli. È possibile quindi delineare se e dove ci sono incoerenze tra quello che si ritiene giusto o ingiusto fare a livello teo­rico e quello che si potrebbe fare sul piano dei compor­tamenti pratici. Vediamo, nella prima colonna una con­ferma dei dati precedentemente analizzati: permane una forte condanna, che coincide con un'esclusione della loro fattibilità, di comportamenti quali (in ordine decrescente) produrre danni a beni pubblici, prendere droghe pesanti, fare a botte fra tifosi, rubare in un negozio, provare l' ec-

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Page 318: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 3 .5. Coincidenze e discrepanze fra comportamenti non esclusi e regole di condotta individuale. Percentuale di coloro che considerano personal­mente ammissibili o non ammissibili i diversi comportamenti in rap­porto alla possibilità di poter/i compiere (età: 15-24 anm)

Produrre danni a beni pub­blici Prendere droghe pesanti (eroina) Fare a botte con i tifosi di una squadra avversaria Prendere qualcosa in un ne­gozio senza pagare Ecstasy in discoteca Sesso a pagamento Farmaci per prestazioni Guida dopo alcool Fare a botte per far valere le proprie ragioni Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Sesso senza profilattico Avere esperienze omosessuali Fumare occasionalmente ma­rijuana Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati Abortire Eutanasia Avere una relazione con una persona sposata Viaggiare sui trasporti pub­blici senza pagare Pornografia Ubriacarsi Chirurgia estetica lnseminazione artificiale Usare materiale pirata (CD, video, software) Divorziare Fumare tabacco Convivere senza essere sposati

Coincidenza Discrepanza

Etica Etica Etica Etica personale e personale e personale personale predispo- predispo- (restrittiva)(permissiva)

sizione sizione e predispo- e predispo-all' azione all'azione sizione sizione (entrambe (entrambe all'azione all'azione restrittive) permissive) (permissiva) (restrittiva)

90,7

89,7

88,5

83,2 78,8 76,2 70,9 69,7

67, 1

56,7 55,9 50,2

46,9

46,6 38,6 38,6

38,3

35 ,3 33 ,8 24,4 23 ,2 22,1

1 6,0 12,6 12 , 1 9,4

2,6

2,4

3 ,6

5,4 8,2 6,8

13 ,7 10,7

13 ,3

20,2 2 1 ,3

7 , 1

30,3

28,7 36,9 43,9

36,6

34,0 44,0 54,5 43 ,9 57,9

65,0 67,5 62,0 7 1 ,5

5,2

3 ,6

6,2

8,4 4,7 3 ,9 6,3

16,5

16,0

17,0 12,8 2,3

6,7

20,0 9,3

1 1 ,0

13 ,2

24,6 7,5

1 1 ,5 3 ,9 5 ,5

13 ,9 9,6 3,0 3,2

1 ,5

4,4

1,7

2,9 8,3

13 , 1 9,2 3,2

3,7

6,1 10,0 40,5

16,1

4,7 15 ,2

6,5

1 1 ,9

6,1 14,7 9,6

29,0 14,5

5 , 1 10,3 22,9 15,9

Page 319: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 3 .5. (segue)

Trapianto Avere rapporti sessuali senza essere sposati

Coincidenza Discrepanza

Etica Etica Etica Etica personale e personale e personale personale predispo- predispo- (restrittiva) (permissiva)

srzrone srzrone e predispo- e predispo-all' azione all'azione sizione srzwne (entrambe (entrambe all'azione all'azione restrittive) permissive) (permissiva) (restrittiva)

8,7

8,0

82,2

81 ,7

3 ,5

4,0

5,6

6,3

stasy in discoteca e avere rapporti sessuali a pagamento (tutti con percentuali di coincidenza superiori al 75 %) .

Gli altri dati della colonna confermano quelli prece­denti. Quello che ci sembra più interessante sottolineare sono i dati riferibili alla discrepanza tra etica personale e predisposizione all'azione. Se guardiamo la terza colonna della tabella, vediamo che il 16,5 % dei giovani ritiene condannabile guidare dopo aver assunto alcool, ma am­mette che potrebbe capitargli di farlo (questo dato, som­mato al 10,7 % che non ritiene sbagliato farlo e - forse -lo fa, è allora abbastanza preoccupante). Lo stesso si può dire per l'evasione fiscale, per il fare a botte a difesa delle proprie ragioni, per il sesso senza pro filattico e l' assentei­smo dal lavoro senza validi motivi. Un atteggiamento con­traddittorio è quello verso i viaggi sui mezzi pubblici sen­za pagare il biglietto: i giovani presentano valori simili nel­le coincidenze in negativo (tab. 3 .5 prima colonna) e in positivo (seconda colonna) e quasi il 25 % ammette che -anche se sa che è sbagliato - potrebbe capitargli di farlo .

Se invece guardiamo l'ultima colonna, spicca l'alto va­lore relativo all'omosessualità: il 40% dei giovani che si dichiarano indisponibili a rapporti omosessuali è comun­que tollerante verso tali comportamenti.

Similmente anche il 23 % dei non fumatori tollera il fumo altrui.

3 1 7

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Come già nelle indagini precedenti, abbiamo fatto ri­corso, per un approfondimento, all' analisi fattoriale1 . Di­versamente dal passato, a causa del numero di item note­volmente aumentato in questa rilevazione, abbiamo indi­viduato non più quattro, ma cinque modelli di atteggia­mento. Su ventotto item, abbiamo lavorato su ventiquat­tro perché sufficientemente significativi.

Il primo modello potremmo definirlo come quello del­la violenza contro se stessi e contro gli altri. Riguarda infatti atteggiamenti di maggior tolleranza verso condotte quali: fare a botte coi tifosi awersari, arrecare danni a beni pub­blici, fare a botte per difendere le proprie ragioni, assume­re droghe pesanti, guidare dopo aver bevuto alcolici, ru­bare in negozi, fare sesso senza profilattico, prendere far­maci per migliorare le proprie prestazioni. Sono partico­larmente interessanti questi dati che ci dicono come com­portamenti aggressivi verso gli altri vadano di pari passo, anzi siano accomunati con pratiche particolarmente ri­schiose, e quindi anche aggressive, verso se stessi.

Il secondo modello è di difficile definizione. I com­portamenti qui considerati sono: relazioni sessuali con persone sposate, aborto, sesso a pagamento, uso di mate­riale pornografico.

Ricordiamo come di fronte a tali temi i giovani siano molto divisi fra loro, quasi spaccati in due fra ammissibi­lità e critica. Si tratta cioè di temi forti per la coscienza

l Per permettere una migliore comparazione con le analisi fatto­riali precedenti a questa rilevazione sono stati espunti gli stessi quattro item (evasione fiscale, assenteismo, non pagare il biglietto sui mezzi pubblici, omosessualità) , esclusi dall'analisi di quattro anni fa in quan­to ritenuti poco significativi. Ciò nonostante non si è ritenuto oppor­tuno sacrificare sull'altare della comparabilità i nuovi item introdotti quest'anno poiché indicativi di nuovi modelli di comportamento legati ai cambiamenti sociali di questi ultimi anni. L'analisi fattoriale è stata eseguita con il metodo di rotazione Varimax con normalizzazione di Kaiser. Dopo vari tentativi, si è ritenuta soddisfacente la matrice dei componenti ruotata a cinque fattori (varianza spiegata del 45 %) che raccolgono coerentemente i diversi atteggiamenti che creano le cinque aree di comportamento delineate.

318

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individuale, su cui le idee forse non sono ancora chiare. Possiamo allora parlare di una problematica aperta sul ses­so e la vita .

Il terzo modello riguarda il senso della vita influenzato dalle nuove tecnologie. Si tratta di inseminazione artificia­le, chirurgia estetica, trapianti di organi, eutanasia; temi addirittura impensabili solo qualche decina di anni fa e che oggi chiamano in causa, anche in modo drammatico (pensiamo alla coscienza individuale interpellata dal pro­blema dell 'eutanasia di fronte alla sofferenza di una per­sona amata) , sicuramente in termini nuovi, il valore della vita e della salute.

Anche il quarto modello è molto omogeneo interna­mente. Riguarda condotte di trasgressione e addiction tipi­camente giovanili. Comprende infatti: fumare spinelli, uti­lizzare materiale pirata (CD, video, musica e software sca­ricati da Internet), assumere ecstasy in discoteca, nonché ubriacarsi. Prendere dosi eccessive di alcolici, in realtà, sarebbe un comportamento aggressivo verso se stessi e assimilabile perciò a quelli del primo modello. Ma l 'anali­si fattoriale sembra qui confermare che fra i giovani non c'è sufficiente consapevolezza del rischio connesso a tale comportamento, che è in crescita e ritenuto non grave alla pari di uno spinello o di un CD pirata.

Il quinto modello riguarda la libertà individuale negli affetti e nel sesso: la convivenza, il divorzio, le relazioni sessuali senza matrimonio. A differenza del secondo mo­dello, qui i giovani sembrano avere le idee piuttosto chia­re; la chiave di volta sui loro atteggiamenti è l'accento posto con forza sulla libertà individuale, che si pensa non leda la libertà altrui. Mentre invece nel secondo modello si avverte, anche se confusamente che è aperto un pro­blema di relazione con altri. Appiccicato un poco forzata­mente a queste condotte c'è pure il fumare tabacco, che l'analisi fattoriale conferma essere considerata dai giovani come condotta che riguarda esclusivamente la libertà in­dividuale e non un problema di droga e di trasgressione.

319

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6. Le norme del gruppo di rz/erimento

Vediamo qui i risultati scaturiti dalla prima delle in­novazioni introdotte in questa parte della ric�rca: la per­cezione delle norme prevalenti fra gli amici. E di grande interesse notare che gli orientamenti di valore attribuiti al proprio gruppo di riferimento sono molto spesso distanti (e anche molto distanti) da quelli attribuiti alla società. E però quasi altrettanto spesso non coincidono con le nor­me individuali dichiarate dall'intervistato.

Vediamo i dati divisi per area tematica (tab. 3 .6 se-conda colonna) .

·

Nell'area dei rapporti economici è molto consistente la distanza fra il gruppo di amici e la società più ampia. Se viaggiare sui mezzi pubblici senza pagare è considerato non accettabile dalla società secondo oltre i due terzi dei giovani, tale quota crolla di ben 22 punti se riferita al gruppo di amici: gli amici in maggioranza giudicherebbe­ro accettabile tale comportamento. Negli altri casi la di­stanza è inferiore, ma sempre il gruppo di amici è ritenu­to molto più tollerante della società su comportamenti come: assentarsi dal lavoro senza motivi di salute, evade­re il fisco, prendere merci in un negozio senza pagare. Addirittura, per quanto riguarda l'utilizzo di materiale pi­rata (come video, musica e software) già la maggioranza ritiene che la società non condanni questi comportamen­ti; per quasi tutti gli intervistati (almeno 4 su 5 ) il gruppo di amici non critica affatto questa condotta: non si può certo dire che la recente severa legge in proposito trovi un terreno favorevole alla sua applicazione.

E come si collocano le norme individuali in questo quadro? In genere a metà strada fra quelle sociali e quel­le amicali. Pare quasi che gli intervistati vogliano presen­tarsi come più responsabili e più «bravi cittadini» degli amici e meno distanti dalla morale corrente. Tranne che per l'evasione fiscale: qui la condanna individuale è più forte di quella amicale e di quella attribuita alla società.

C'è però talvolta un forte scarto fra ciò che viene criti­cato e la propensione soggettiva ad assumere nei fatti pro-

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T AB. 3 .6. Confronto fra giudizio critico della società, giudizio degli a mia; giudi­zio personale ed esclusione di poter aHumere dati comportamenti (anno 2000, 15-34 anni)

Area dei rapporti economici Viaggiare sm trasporti pubblici senza pagare Assentarsi dal lavoro quando non si è seriamente malati Prendere qualcosa in un negozio senza pagare Dichiarare al fisco meno di quan­to si guadagna Usare materiale pirata (CD, video, software)

Area dei rapporti familiari e ses­suali Sesso a pagamento Pornografia Divorziare Avere rapporti sessuali senza es­sere sposati Avere esperienze omosessuali Convivere senza essere sposati Avere una relazione con una per­sona sposata

Area dell' addiction Fumare occasionalmente marijuana Ubriacarsi Fumare tabacco Prendere droghe pesanti (eroina) Ecstasy in discoteca Guida dopo alcool Farmaci per prestazioni

Area della violenza e del vandali­smo Fare a botte per far valere le pro­prie ragioni Fare a botte con i tifosi di una squadra avversaria Produrre danni a beni pubblici

Area dei valori della vita e della salute Eutanasia

La società Gli amici Personal- Non mi critica crmcano mente capitereb-

67,7

70,8

90,7

68,1

45,5

82,7 62,8 50,5

3 1 ,7 82,8 34,3

75,9

8 1 ,2 77,3 26,1 94,5 86,3 89,6 74,9

8 1 ,7

90,4 89,8

75,3

45,6

60,7

81 ,8

58,3

18,9

77,0 40,9 3 1 ,7

13 ,6 62,0 16,8

56,8

46,4 42,7 15,7 88,9 72,7 75,3 72,7

74,6

83,2 85,6

55,3

inammissibile be

59,8

66,3

90,8

72,9

29,9

79,1 40,8 22, 1

1 1 ,9 52,2 12,5

50,9

53,4 35,4 15,1 92,7 82,5 85,2 76,5

82,4

93,8 95,0

48,8

42, 1

50,9

85,0

62,0

2 1 ,0

87,8 47,9 22,7

14 , 1 89,9 25,1

49,4

62,6 3 3 ,6 34,7 93 , 1 85,8 7 1 ,9 79,1

70,1

89,4 91 , 1

44,2

(segue)

Page 324: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.6. (segue)

Trapianto Inseminazione artificiale Chirurgia esrerica Abortire Sesso senza profilattico

La società Gli amici Personal- Non mi critica cnncano mente capitereb-

25,2 48,7 43,2 70,6 74,0

16,2 33,0 4 1 ,0 55,8 67,8

inammissibile be

12,1 27,3 27,0 47,1 67,9

14,0 36,2 5 1 ,9 52,7 65 ,1

prio il comportamento oggetto di cnt1ca: sia il viaggiare sui mezzi pubblici senza biglietto che l'assentarsi dal lavo­ro senza essere ammalato vedono uno scarto consistente di 16- 18 punti percentuali (se il 60% dei giovani condan­na moralmente il viaggiare senza biglietto, poi solo il 42 % esclude di poterlo fare e similmente avviene per l'altro comportamento) . Per quattro comportamenti su cinque la propensione soggettiva ad assumere un dato comporta­mento trasgressivo si avvicina molto all'atteggiamento mo­rale attribuito agli amici. Insomma, ci si è presentati come «cittadini più responsabili» in confronto agli amici, ma nei fatti si ammette che, in questo campo, ci si comporterà come loro. Una forte conferma del ruolo del gruppo di ri­ferimento nella costruzione delle norme comportamentali!

Nell'area dei rapporti familiari e sessuali gli amici sono giudicati enormemente più permissivi della società più ampia rispetto a condotte come divorziare, fare sesso sen­za essere sposati, guardare materiale pornografico, avere esperienze omosessuali, convivere senza essere sposati e persino avere relazioni con persone sposate (c'era più ri­gidità in proposito nelle precedenti ricerche) : la distanza fra amici e società oscilla sempre intorno ai 20 punti. Solo sul sesso a pagamento la distanza fra amici e società è più ridotta (ma gli amici sono sempre più tolleranti) .

E le norme individuali? In questo campo non si collo­cano mai a livello intermedio fra amici e società, ben di­versamente dall'area di comportamenti precedente. Anzi per lo più ci si mostra più tolleranti persino degli amici

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(tranne che per il sesso a pagamento) . In alcuni casi l'esse­re più tolleranti acquista dimensioni consistenti come nel caso del divorzio, dei comportamenti omosessuali, delle re­lazioni con persone sposate. Spesso c'è un abisso fra la morale personale dichiarata dai giovani e quella che essi percepiscono come propria dell'intera società: di fronte al­l'omosessualità la distanza è addirittura di 30 punti percen­tuali, al divorzio di 28 punti, alle relazioni sessuali con per­sone sposate di 25, alla convivenza di 23 , alla pornografia di 22, ai rapporti sessuali fuori dal matrimonio di 20. Solo nella condanna del sesso a pagamento non si è troppo di­stanti dal resto della società, quasi che tale questione fosse più vicina all'area precedente dei rapporti economici (e, in effetti, per la mercificazione che comporta lo è).

Quest'area di condotte dunque ha, nel vissuto sogget­tivo dei giovani, una collocazione del tutto diversa dalla precedente area dei rapporti economici. Ciò è conferma­to anche dalla propensione individuale ad assumere o meno questi comportamenti: se nell'area precedente la quota di coloro che escludono di poter viaggiare senza biglietto, evadere il fisco, ecc . , è sempre molto più bassa rispetto alla quota di chi critica queste condotte (cioè, pur ritendola cosa scorretta, la farebbero), nell'area dei comportamenti sessuali awiene il contrario: quasi tutti i comportamenti citati non sono criticati dalla maggioranza degli intervistati, ma la quota di coloro che escludono di potere personalmente assumere queste condotte è sempre più alta: un conto è ritenere ammissibile, per es . , l'omo­sessualità, un conto è la disponibilità soggettiva (quasi 38 punti di distanza) . Va comunque sottolineato che solo minoranze ristrette escludono dalla propria vita futura esperienze come il divorzio, i rapporti sessuali fuori dal matrimonio e la convivenza; quasi la metà dei giovani esclude di poter guardare materiale pornografico o di avere una relazione con una persona sposata.

Qui dunque le regole della condotta individuale sono molto più sganciate dall'influenza del gruppo di riferi­mento: sembra prevalere una forte affermazione della propria autonomia personale.

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Passando all'area dell'addiction, l 'atteggiamento di tol­leranza da parte dei gruppi giovanili è sempre molto più elevato rispetto a quello della società. In due casi c'è ad­dirittura un vero baratro fra le norme sociali e quelle amicali: rispetto all'assunzione di droghe leggere e al­l'ubriacarsi (la distanza è di quasi 35 punti percentuali in ambedue i casi) .

Le domande circa i nuovi comportamenti introdotti nell'ultimo questionario indicano che sia gli amici che la società condannano in grande maggioranza sia l'uso di farmaci per migliorare le prestazioni sportive e lavorative, sia l'assunzione saltuaria di ecstasy, sia la guida dopo aver bevuto alcolici. Gli ultimi due comportamenti sono con­dannati dagli amici secondo circa 3/4 dei giovani, ma co­munque si tratta di quote molto più basse rispetto alla condanna attribuita alla società (e non è poco che per un intervistato su quattro gli amici ritengano ammissibili tali comportamenti) .

In questo campo le norme individuali tornano a col­locarsi in una posizione intermedia fra il gruppo e la so­cietà. Fa eccezione l'atteggiamento verso l'assunzione di alcool e tabacco: qui gli individui si dichiarano ancor più tolleranti degli amici (e presumibilmente non a caso, trat­tandosi di droghe «legali») . La presa di distanza dagli amici, a favore di un atteggiamento più «responsabile» e «perbenista», è più accentuata per la guida dopo avere bevuto e soprattutto per l'assunzione di ecstasy.

Quanto alla propensione individuale, c'è una sorpre­sa: la quota di coloro che escludono di poter fumare ta­bacco supera, seppur di poco, quella di coloro che non escludono di potersi ubriacare: cioè si è più disponibili ad una notte di eccessi alcolici piuttosto che all'uso di si­garette ! Sorprendenti effetti di campagne contro il fumo ! ? Sembra che la condanna del tabacco da parte dei giovani (ma non, secondo loro, da parte della società, come abbiamo già visto) abbia fatto grandi passi; anzi, se solo il 15% ritiene il tabacco non ammissibile, c'è ben un 20% in più che lo esclude dalle proprie possibilità. Non altrettanto può dirsi per l'abuso di alcol: quasi i due terzi

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dei giovani ammettono la possibilità di ubriacarsi ed è tutt'altro che irrilevante quel 28% «a rischio» (oltre un giovane su quattro) perché ammette di potersi sedere al volante dopo aver bevuto alcolici. Così come quel 2 1 % (un giovane su cinque) che non esclude l'uso di farmaci per migliorare le proprie prestazioni sportive o lavorative.

Proviamo a tirare un poco le fila per quanto riguarda il rapporto con le droghe leggere. Il tema è stato oggetto recentemente di polemiche roventi, anche per dichiarazio­ni di fonte ministeriale1 che stimavano la quota di giovani che fumano spinelli attorno al 50%. Che dicono in pro­posito i nostri dati? L'esperienza dei ricercatori dimostra che la risposta ad una domanda diretta («lei fuma spinel­li?») è scarsamente attendibile. Dunque, dobbiamo fare stime per vie indirette. I nostri intervistati dicono (tab. 3 .6) che poco più della metà dei propri amici (il 54 % ) ri­tiene lo spinello ammissibile; aggiungono che essi, perso­nalmente, sono più «responsabili» per cui «solo» il 4 7 % lo ritiene ammissibile. Infine, il 3 7 % (ma è il 40% per la fascia 15-24 anni - tab. 3 .4 -) ammette di poterlo fumare (sapendo che qui occorre «tarare» il dato, che potrebbe essere sottostimato per la tipica tendenza a mostrare di sé un'immagine più socialmente «accettabile»). Possiamo quindi stimare che la quota di giovani dedita occasionai­mente alle droghe leggere possa oscillare fra il 3 7 e il 54% . Poiché, poi, il fumo viene privilegiato nelle occasio­ni di socializzazione e durante esperienze di gruppo cari­che emotivamente (concerti, gite, situazioni conviviali) , il dato riferito agli amici (54 % di ammissibilità) è presumi­bilmente non lontano dalla realtà dei comportamenti.

Un'ultima notazione per le cosiddette droghe pesanti: la condanna resta molto elevata, ma cresce ulteriormente (sfiorando il 7 % ) la quota di coloro che non escludono questa esperienza. Occorre però considerare sia che la domanda citava come esempio l'eroina ma poteva impli-

l Ci si riferisce, ovviamente, al ministro della Sanità dell'ultimo governo di Centro-sinistra.

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care anche la cocaina e altre sostanze, sia, soprattutto, che se un tempo l'assunzione di droghe pesanti portava quasi inevitabilmente all'emarginazione e alla stigmatizza­zione, ora si sono affermati anche modelli di rapporto con tali sostanze che le rendono «compatibili» con vite «normali» (assunzioni da week-end, senza la violenza del «buco», ecc . ) .

Di fronte all'area della violenza e del vandalismo, gli atteggiamenti cambiano in modo sostanziale: se gli amici vengono presentati come un po' più tolleranti della socie­tà verso comportamenti quali fare a botte per affermare le proprie ragioni, aggredire i tifosi avversari, danneggiare beni pubblici, gli intervistati si mostrano, su tutti e tre gli item, più intransigenti non solo degli amici, ma addirittu­ra della società.

Quanto all'evenienza di assumere questi comporta­menti, si opera una netta differenziazione: se fare a botte coi tifosi avversari e danneggiare beni pubblici sono con­dotte escluse dal 90% dei giovani, solo il 70% afferma che mai farà «a botte per far valere le proprie ragioni».

E veniamo all'area recentemente introdotta, quella . dei valori della vita e della salute. L'atteggiamento di condan­na da parte degli amici, riguardo ai comportamenti pro­posti, è sempre nettamente inferiore rispetto a quello del­la società. Nel caso dell'eutanasia la distanza è addirittura di 20 punti. Notevole la maggior ammissibilità da parte del gruppo anche dell'inseminazione artificiale (più 16 punti rispetto alla società), dell'aborto (più 15) , dei tra­pianti (più 9) . Dunque anche in questa materia il gruppo di riferimento viene ritenuto molto più tollerante rispetto all'intera società.

Qui le norme individuali appaiono sempre più per­missive sia di quelle amicali che di quelle sociali. Tutti i comportamenti elencati in quest'area sono considerati ac­cettabili dalla maggioranza dei giovani, anche se per euta­nasia e aborto si tratta di una maggioranza risicata. Fa eccezione il fare sesso occasionale senza la protezione del profilattico: «solo» per un terzo circa dei giovani, sia a li­vello individuale che di gruppo, tale condotta è accettabi-

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le (e il dato preoccupante) . Qui la distanza fra ciò che è ammissibile per la società e ciò che lo è per i giovani è spesso enorme: 27 punti percentuali per l'eutanasia, 23 per l'aborto, 2 1 per l'inseminazione artificiale, 16 per la chirurgia estetica, 13 per i trapianti di organi.

Se in precedenza, molto spesso, gli intervistati hanno ammesso uno scarto fra la propria condanna di certe con­dotte e la possibilità di assumere poi effettivamente tali condotte, nel senso che si ammette di poter deviare dalla propria morale, qui avviene per lo più il contrario: vari giovani dichiarano che non terranno comportamenti rite­nuti comunque ammissibili. Con due eccezioni: la chirur­gia estetica e l'eutanasia. In quest'ultimo caso è interessan­te notare la differenza rispetto al tema dell'aborto. Questi due temi vengono spesso abbinati, come se andassero af­frontati con la stessa impostazione etica. Ebbene, mentre un piccola quota di giovani ritiene che, pur considerando l'aborto ammissibile (cosa dichiarata dal 47 %) , non potrà mai prendere in considerazione una simile ipotesi nella propria vita (53 %) , per l'eutanasia avviene il contrario: il 49% non la ritiene ammissibile, ma solo il 44 % afferma che non gli capiterà mai una simile scelta (tab. 3 .6) .

Più in generale possiamo dire che le tematiche connes­se ai temi della vita e della salute appaiono, per i giovani di oggi, piuttosto vicine, e affrontate con un'impostazione etica simile, a quelle delle relazioni sessuali e familiari.

L'eterogeneità degli atteggiamenti attribuiti dagli in­tervistati alla società, agli amici e a se stessi indica sia che è stato opportuno introdurre il riferimento al gruppo di amici sia la fondatezza della distinzione fra le cinque aree tematiche, dato che gli atteggiamenti morali variano net­tamente da area ad area.

7 . Di fronte alla trasgressione tra repressione e prevenzione

Che può fare la società di fronte a condotte trasgres­sive o devianti? Che pensano i giovani in proposito? Si tratta di un tema ovviamente complesso, che in un que-

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TAB. 3 .7 . Atteggiamento verso la pena di morte per sesso (15-34 anni - 1 .500 casi)

Maschi Femmine Totale

Molto d'accordo 13 ,6 1 1 ,2 12,4 Abbastanza d'accordo 20,4 19,0 19,7 Poco d'accordo 22,2 20,1 2 1 , 1 Per niente d'accordo 43,8 49,7 46,8

stionario non può che essere notevolmente semplificato, magari con esemplificazioni estreme ma piene di valore simbolico. Così abbiamo chiesto una presa di posizione di fronte alla pena di morte e di scegliere fra orientamen­ti diversi finalizzati a ridurre il vandalismo, individuato come tipico comportamento deviante giovanile con alto tasso di condanna sociale.

Quasi la metà dei giovani è nettamente contraria alla pena di morte. Solo uno su otto prende una precisa posi­zione a favore. Più in generale possiamo dire che quasi un terzo ha un orientamento più o meno favorevole («molto» + «abbastanza») , mentre i due terzi propendo­no per la posizione opposta (tab. 3 .7 ) .

Può forse sorprendere che la differenza di genere in­fluenzi in modo ridotto l'atteggiamento verso la pena di morte. Si riteneva in passato che le femmine avessero at­titudini molto più tolleranti, aperte o «compassionevoli» (per usare una terminologia oggi arrivata persino alla Casa Bianca, ma non in riferimento alla pena di morte ! ) . Le ragazze, certo, sono più contrarie dei maschi, ma non in dimensioni particolarmente consistenti. Va detto co­munque che la posizione di preciso rifiuto della pena di morte («per niente d'accordo») vede una distanza di sei punti percentuali fra maschi e femmine (tab. 3 .7 ) .

L'incrocio con la variabile età non sembra dare risul­tati uniformi che esprimano una chiara tendenza. L'unico dato che si distacca è quello relativo agli adolescenti ( 15-17 anni) : questa è l'unica fascia di età in cui il rifiuto to­tale della pena di morte è assunto dalla maggioranza as-

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TAB. 3 .8. Proposte per limitare il vandalismo per sesso (15-34 anni - 1 .500 cast)

Maschi Femmine Totale

Aumentare la vigilanza 23,3 24,0 23 ,6 Inasprire le pene 25,8 27,6 26,7 Educazione dall'infanzia 37,6 37,2 37,4 Sensibilizzare l'opinione pubblica 13,3 1 1 ,2 12,3

soluta; infatti ben il 56% non è per niente d'accordo con la pena di morte !

È più significativa l'influenza della collocazione socia­le della famiglia. La maggioranza dei giovani ha, in tutti gli strati sociali, un orientamento contrario alla pena di morte. Ma i figli di famiglie appartenenti alla fascia pro­fessionale superiore hanno posizioni molto più decisa­mente contrarie: 3 su 4 sono poco o per nulla d'accordo. È noto che le statistiche sui condannati a morte mostrano come la loro collocazione sociale sia prevalentemente fra gli strati sociali più bassi. Ebbene, il rifiuto radicale della pena di morte («per niente d'accordo») è maggioritario solo fra i giovani di classe elevata, mentre fra quelli degli strati sociali più bassi tale posizione è inferiore di ben 16 punti percentuali.

La variabile che sembra avere maggiore influenza è costituita dal background culturale familiare. In tutte e quattro le fasce di livello culturale che abbiamo costruito sono in maggioranza i contrari alla pena di morte (som­mando cioè chi è poco o per niente d'accordo) . Ma ci sono comunque differenze rilevanti. L'andamento è so­stanzialmente univoco: scendendo dal livello culturale alto a quello basso aumenta (fino a triplicare) la percen­tuale di coloro che sono molto favorevoli alla pena di morte; i decisamente contrari sono il 63 % nelle famiglie di alto livello culturale e solo il 39% (dunque ben 24 punti percentuali di differenza) in quelle di basso livello.

Di fronte alle possibili proposte per contrastare il vandalismo (per es. quello contro telefoni, negozi, treni, discoteche) la metà dei giovani si orienta verso soluzioni

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di tipo repressivo: aumentare la vigilanza o inasprire le pene; una minoranza preferisce un aumento del controllo sociale («sensibilizzare l'opinione pubblica affinché cia­scuno vigili contro possibili infrazioni»). Poco più di un terzo vorrebbe un lavoro preventivo di lunga lena che parta da un'opera di educazione fin dall'infanzia (tab. 3 .8) . C'è una certa eterogeneità di posizioni.

Le differenze fra maschi e femmine appaiono minime. Le ragazze, sorprendentemente rispetto a opinioni diffu­se, sembrano leggermente più orientate dei maschi verso soluzioni repressive. Esattamente la stessa quota di ma­schi e di femmine opta per un lavoro educativo fin dal­l'infanzia.

Non sembra esserci una correlazione univoca fra età e posizioni circa le possibili soluzioni del problema vanda­lismo. Possiamo dire che più si è giovani più si ha fiducia nell'aumento della vigilanza e del controllo sociale trami­te sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Le fasce di età più elevate invece sembrano più decisamente orientate verso la prevenzione e l'educazione fin dalla prima infan­zia. L'ipotesi più decisamente repressiva («inasprire le pene») ha un andamento oscillante fra le età: ha un con­senso minimo fra i minorenni, ma poi è massimo nella fa­scia di età immediatamente superiore.

Fra i giovani di famiglia operaia è maggioritario l'orientamento favorevole alle soluzioni repressive (più vi­gilanza, maggiori pene) ; fra di essi è nettamente minore la quota di coloro che puntano su un'attività di preven­zione basata sull'educazione. Sembra che l'insicurezza e la conseguente ricerca di soluzioni di breve respiro siano più forti fra i giovani appartenenti a strati sociali più bas­si. V a però notato che la proposta più decisamente re­pressi va, consistente nell'inasprimento delle pene, è più condivisa fra i figli degli strati sociali economicamente più elevati. Pare quasi un «richiamo di classe»: non va dimenticato che stiamo parlando del vandalismo, che è appunto un reato contro la proprietà.

Più forte appare l'incidenza del background culturale. Scendendo dal livello culturale familiare più alto verso il

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basso, aumenta la preferenza per soluzioni repressive: fra i giovani provenienti da famiglie con basso background culturale le proposte repressive hanno la maggioranza dei consensi. L'ipotesi di inasprire le pene, sempre meno condivisa salendo verso livelli culturali più alti, vede una distanza di nove punti percentuali fra gradino più alto e gradino più basso. È esattamente la stessa distanza che si registra circa l'ipotesi più orientata alla prevenzione: il consenso ha un andamento inverso scendendo dal livello culturale più alto a quello più basso. Coerentemente, in­fatti, fra i giovani con titoli di studio inferiori ottiene mi­nor adesione l'ipotesi di un'attività di prevenzione che parta dall'infanzia. È significativo e quasi paradossale: chi proviene da livelli culturali bassi, per cui avrebbe più bi­sogno di un lavoro educativo, è meno sensibile verso tali proposte.

Possiamo trarre alcune indicazioni: i giovani del due­mila, all'interno di una loro specifica concezione del valo­re della vita, sono in grande maggioranza contrari alla pena di morte. Non ne consegue un più generale orienta­mento critico verso logiche repressive. Infatti in maggio­ranza ritengono che si debbano inasprire le pene, incre­mentare la vigilanza e il controllo sociale. Solo una mino­ranza, per lo più collocata ai livelli socioculturali più alti, privilegia la prevenzione e l'educazione.

8. Dalla trasgressione a nuove regole di condotta indivi­duale

Anche questa volta, come già nell'indagine preceden­te, potremmo concludere ribadendo quasi tutte le consi­derazioni avanzate già dal terzo rapporto IARD. Sarebbe, cioè, confermata «una evidente maggiore propensione trasgressiva» come conseguenza della sempre più ampia distanza fra la dimensione etica individuale e quella so­ciale [Buzzi 1 997a, 190] . È indubbio che questa distanza sembra aumentare, in alcuni ambiti anche in modo molto consistente. Ma ormai pare che limitarsi a parlare di di-

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stanza e trasgressione sia troppo riduttivo. Forse è tempo di ripensare un poco il rapporto fra norme di condotta giovanili e norme sociali, superando la categoria della tra­sgressione. Forse tale categoria può solo spiegare alcune distanze (per es. relativamente all'alcool o a comporta­menti violenti) , ma non pare più all'altezza del compito di spiegare tutta la distanza.

Cerchiano di riflettere un poco. Nella terza e quarta indagine si faceva spesso riferimento alla crisi di legittimi­tà del nostro sistema politico-istituzionale, la qualcosa avrebbe indebolito la cogenza delle norme sociali. Quel periodo di crisi è ormai lontano nel tempo e, comunque, non può spiegare tutto quanto sta avvenendo nelle tra­sformazioni dell'etica giovanile.

Gli atteggiamenti che chiamiamo «trasgressivi» spesso hanno la funzione, per gli attori giovani, di differenziazio­ne dalla società, quella delle istituzioni, quella degli adul­ti, ecc. Dobbiamo però considerare che gli orientamenti di valore qui analizzati si estendono a tutti i giovani, mi­norenni e trentenni (pur con qualche differenza), ai ma­schi e alle ragazze (anch'esse trasgressive, pur se talvolta, sorprendentemente, con un orientamento più repressivo dei maschi) , agli abitanti delle regioni del Sud, del Cen­tro e del Nord (con questi ultimi spesso più tolleranti o trasgressivi o innovativi) . Ma soprattutto deve far riflette­re il fatto che questo grande distanziamento etico riguar­da in primis i giovani provenienti dai livelli culturali più alti della società. Ciò non può essere privo di significato e di conseguenze !

L'ipotesi che avanziamo allora è che gli orientamenti che abbiamo qui rilevato non costituiscono semplicemen­te una trasgressione, ma in buona parte, piuttosto, un'in­novazione, un mutamento etico-culturale sostanziale. I giovani, cioè, stanno ponendo le basi per un cambiamen­to in alcuni ambiti dell'etica sociale.

Si tratta proprio di una trasformazione fondata innan­zitutto sul criterio centrale della libertà individuale. Essa riguarda innanzitutto il campo delle relazioni affettive, sessuali, familiarci e il senso attribuito alla salute e alla

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vita. In questi ambiti non saremmo più davanti a condot­te o orientamenti trasgressivi, ma alla trasformazione del­l' etica di una generazione, foriera di trasformazioni più estese. Nei riguardi di certe relazioni e di certi comporta­menti il cambiamento è molto avanti: le convivenze, il di­vorzio, i rapporti sessuali fuori dal matrimonio, i trapianti di organi, l 'inseminazione artificiale. Anche tematiche le­gate ad aree di comportamento molto diverse sembrano coinvolte in questa centralità della libertà individuale: fu­mare tabacco, bere talvolta fino all'eccesso, utilizzare ma­teriale pirata. Un grande ruolo, in campi anche lontanis­simi fra loro, hanno le nuove tecnologie nell'influenzare questo cambiamento etico: pensiamo, da un lato, alla nuova concezione di proprietà privata e di copyright che sottostà al fatto che la stragrande maggioranza dei giova­ni considera del tutto «normale» usare prodotti «pirata», duplicare CD e video, scaricare da Internet file di musica e software, ecc. ; dall'altro lato, pensiamo agli oltre due terzi di intervistati che non hanno dubbi nel giudicare ammissibile l'inseminazione artificiale.

In altri campi ancora questa trasformazione è avanza­ta, ma qui i giovani sono spaccati fra loro, non si è deli­neata ancora una maggioranza netta di posizioni. Si tratta di temi aperti, più sofferti, di temi spesso eticamente for­ti, come l'aborto, le droghe leggere, l'eutanasia, l' omoses­sualità, ecc. La divisione passa fra coloro che anche qui mettono al centro la libertà individuale e coloro che sono più legati a valori tradizionali della società.

Va poi considerato che la presunta distanza fra giova­ni e società più ampia è forte nella lettura soggettiva che i giovani stessi fanno. Noi cioè, fin qui, abbiamo parlato di «norme sociali» comparate con le «norme giovanili»; ma le prime vengono espresse così come le percepiscono i giovani intervistati, non come esse sono effettivamente. In realtà, forse i giovani interpellati, parlando di «società che critica o non critica», fanno riferimento non alle più ampie aggregazioni sociali in cui si muovono, ma piutto­sto pensano alla società delle istituzioni con cui essi han­no a che fare (la scuola, il mondo della politica istituzio-

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naie, la chiesa cattolica, ecc . ) , dove in effetti prevale for­malmente una certa etica, rispetto a cui parte di loro si sente distante; oppure intendono far riferimento alla so­cietà degli adulti che interloquiscono con loro (genitori, insegnanti, educatori, giornalisti, ecc. ) , adulti che, per il loro ruolo, in qualche modo «devono» sostenere certe norme, farsi paladini di regole, anche se in crisi. Forse gli intervistati fanno coincidere queste posizioni di alcuni at­tori con le posizioni dell'intera società. Forse gli stessi giovani non avvertono, in mezzo a questi messaggi istitu­zionali, formali, ufficiali, che anche nella società stessa il mutamento sta già avanzando più di quanto percepisca­no, dimenticando che essi stessi fanno parte della società. E che la stanno cambiando !

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CAPITOLO QUARTO

L'APPARTENENZA TERRITORIALE: LA GENERAZIONE INDIFFERENTE

Il territorio ha costituito, negli anni Novanta, un fat­tore di contrasto e, nel contempo, di identità. Dopo che, nel corso del dopoguerra, il tema era stato eluso, oppure riassunto nella frattura fra Nord e Sud, sulla base di spiegazioni economiciste, agli inizi degli anni Novanta il clima sociale cambia nettamente. In primo luogo, cambia la lettura della frattura: non più legata solo al grado di sviluppo, ma a motivi di opposizione politica e identita­ria. Minaccia alla stabilità e all'unità dello Stato. In se­condo luogo, cambia il contesto ritenuto fattore crisi. Non più il Mezzogiorno «arretrato», in perenne deficit di benessere e sviluppo, ma il Nord avanzato, dinamico, economicamente propulsivo. In altri termini, la nuova questione territoriale, in Italia, a partire dagli anni No­vanta coincide con la «questione settentrionale». E sfida lo stato nazionale a partire da problemi e rivendicazioni che coinvolgono le zone in cui più recente e forte risulta la crescita del sistema produttivo1 • Si tratta, cioè, delle province pedemontane; in primo luogo del Nord-Est. Ad agire come attore e amplificatore di queste tensioni è, soprattutto, la Lega Nord, che traduce le domande e il disagio espressi dai nuovi ceti produttivi, emersi nelle zone di piccola impresa, in una sfida di segno più ampio

l Sul nesso tra questione meridionale e affermarsi della «questio­ne settentrionale», rinviamo a Trigilia [1992] e il recente Cersosimo e Donzelli [2000] . Quanto alla «questione settentrionale», come si deli­nea negli anni Novanta in Italia, ci permettiamo di rinviare a Diaman­ti [ 1996] . Si veda Magatti [1998] . Inoltre, si veda il numero monogra­fico della rivista «Meridiana», dedicato alla Questione settentrionale, n. 16, 1993 , con saggi di S . Lanaro, M. lsnenghi, R. Cartocci, M. Ca­ciagli, I. Diamanti, F. Levi, G. Berta e P. Perulli.

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e generale. Perché mira a rappresentare l' intera soCleta del Nord, e non solo le aree più produttive, dove essa è insediata. Perché traduce rivendicazioni di segno diverso - di interesse economico, di rappresentanza sociale - in una protesta politica contro lo stato nazionale e il siste­ma partitico centrale2• È da allora che la dimensione ter­ritoriale diventa importante nel fondare gli atteggiamenti politici, le identità; nell'improntare il dibattito fra i parti­ti, nel rapporto fra i cittadini, le istituzioni, lo Stato. È, tuttavia, vero che questi contrasti sono, in parte, una co­struzione politica: il frutto dell'azione della Lega. La quale accentua ogni distinzione fra centro e periferia, fra Nord e Sud, fra province produttive del Nord e Stato centrale e ne fa motivo di antagonismo. Traduce diffe­renze di interesse in diversità culturali. Il malessere in rottura, fra il Nord e lo Stato nazionale. Le ricerche svolte in quegli anni, le stesse indagini dello IARD, tutta­via, dimostrano che questa frattura in effetti non c'è, al­meno nelle proporzioni descritte. E che se c'è non espri­me una domanda di divisione, né tanto meno di seces­sione, ma, semmai, una critica forte; una esplicita richie­sta di autonomia. In particolar modo, le indagini dello IARD mostrano come i giovani manifestino un'identità territoriale composita, articolata. Anzitutto, essi non op­pongono l'identità locale a quella nazionale o a quella cosmopolita. Al contrario: le associano. Dicono di appar­tenere anzitutto alla loro città, al loro paese. Poi al con­testo nazionale. Si definiscono, cioè, vicentini, napoleta­ni, palermitani, milanesi eccetera e - e dunque non o -italiani. Peraltro, i giovani dimostrano un elevato orgo­glio nazionale. Pari a quello dei coetanei degli altri paesi europei. Inoltre, l'appartenenza nazionale appare partico­larmente forte soprattutto verso la metà degli anni No­vanta, quando è più palese la minaccia secessionista. Ciò suggerisce che si tratti di una reazione alla mobilitazione

2 Segnaliamo, fra gli altri, Diamanti [ 1993] , Biorcio [1998] e Car­tocci [ 1994].

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leghista, che suscita un «sentimento italiano» in prece­denza meno esplicito. Probabilmente perché, come aveva osservato Gian Enrico Rusconi, per scoprire il valore e il significato di questa identità, occorreva vederla minaccia­ta; occorreva che diventasse plausibile chiedersi cosa av­verrebbe «se cessiamo di essere italiani»3 •

Peraltro, le indagini dello IARD sottolineavano come fra i giovani vi fosse una proiezione europeista ampia e convinta. Ma senza particolare entusiasmo. Anche se ri­sultava crescente la domanda che l'Europa diventasse non solo un mercato o una moneta, ma anche un conte­sto istituzionale, titolare di un esercito, in grado di espri­mere una politica estera comune.

Nel tempo trascorso fra le due ultime indagini dello IARD (dal 1996 al 2000) molto è cambiato, sotto questo profilo. L'emergenza secessionista è svaporata, la Lega Nord si è indebolita, l'Italia è stata ammessa nell'Unione Monetaria Europea, fin dall'avvio. Tre eventi che sono reciprocamente collegati, visto che la Lega Nord aveva forzato la frattura territoriale, minacciando la secessione, perché scommetteva sul mancato ingresso dell'Italia nel­l'Unione monetaria, e sulle conseguenze che ciò avrebbe prodotto nel paese: sfiducia politica, allargamento del fossato tra Nord e Sud; contrapposizione nei confronti del sistema politico nazionale e dello Stato. Una scom­messa perduta, che ha lasciato la Lega senza più una «missione», ridimensionandone i consensi e soprattutto alienandole il sostegno dei ceti produttivi e dei gruppi sociali più moderati, che l'avevano «utilizzata» come stru­mento di pressione, di protesta; come un mezzo per acce­lerare la riforma federalista e fiscale dello Stato, non cer­to per dividere il paese e allontanarlo dall'Europa. Da ciò l'idea che anche l 'importanza della dimensione territoria­le, sul piano dell'identità e degli orientamenti politici del­le persone si stia ridimensionando4• La conseguente ipo-

3 Rusconi [1993a] . 4 Biorcio [2000] .

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tesi è che gli atteggiamenti dei giovani, a questo proposi­to, ne abbiano risentito e siano cambiati. Questa è la pro­spettiva che abbiamo adottato per leggere e valutare i dati dell'indagine IARD del 2000, in rapporto al decennio passato. Una prospettiva che l'analisi dei dati non sembra convalidare. L'impressione generale che se ne ricava, in­fatti, è che, nonostante siano cambiate le condizioni poli­tiche e sociali dello scenario, non sia cambiato molto, ne­gli ultimi anni, il senso di appartenenza territoriale dei giovani. Sotto questo profilo essi sembrano ricalcare, piuttosto fedelmente, gli orientamenti emersi dalla prece­denti indagini IARD e in particolare da quella condotta nel 1 996.

Di conseguenza, essi appaiono, anzitutto, attaccati alla loro città, ma anche alla nazione. Si dichiarano orgogliosi di essere italiani, ma senza esprimere identità esclusive. Essi, cioè, non appaiono né localisti né nazionalisti. Piut­tosto, in questi anni hanno allargato il loro sguardo oltre i confini nazionali. Si presentano, quindi, più cosmopoliti e più europei. Con una battuta: hanno molte patrie, molti orizzopti territoriali; e, dunque, nessun riferimento esclu­sivo. E, questa, una tendenza che sembra superare le ge­nerazioni. E rende i giovani difficili da distinguere al loro interno, tra coorte e coorte; ma anche all'esterno: rispetto alle generazioni adulte. Tanto da farne trapelare l'imma­gine di una generazione senza differenze specifiche. In­differente.

l . Un'identità aperta

Il senso di appartenenza territoriale espresso dai gio­vani tende, come in passato, a sottolinearne i caratteri di flessibilità e apertura. Essi, infatti, dividono le loro prefe­renze fra diversi riferimenti territoriali. T re, fra gli altri, suscitano particolare attrazione. Li possiamo considerare come i vertici di un triangolo, che racchiude il sentimen­to territoriale dei giovani: la città , la nazione, il mondo (tab. 4 . 1 ) .

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TAB. 4 . 1 . I riferimenti dell'appartenenza territoriale: prima e seconda unità geo­grafica in ordine di importanza e indicazioni complessive (%, 15-34 anni)

Città Regione Italia Europa Mondo in generale

N = 2 .645

Appartenenza territoriale

Più Seconda per T o tale importante importanza

43,4 8,8

28,0 4,5

15,3

16,1 2 1 ,6 34,1 14,8 13 ,6

59,5 30,4 62,1 19,3 28,9

Se guardiamo al contesto cui essi si riferiscono «in prima istanza» (e quindi il più importante) , prevale deci­samente la dimensione locale, rappresentata dalla città o dal comune in cui essi vivono; ambito indicato da oltre il 43 % degli intervistati. Assai più ridotta, invece, è la ca­pacità di attrazione espressa dalla dimensione regionale, che interessa meno del 9% dei giovani. Un orientamento che, probabilmente, l'elezione diretta dei Presidenti e i nuovi poteri trasferiti alle Regioni contribuiranno, nel prossimo futuro, a modificare. Nell'assieme, quindi, il 52 % dei giovani si identificano nelle realtà territoriali a loro più vicine.

Il contesto nazionale assume valore di riferimento prioritario per una quota di giovani ampia, ma comunque più limitata: il 28%. Mentre il 15% degli intervistati scel­gono come patria il mondo. L'Europa, infine, continua a restare sullo sfondo. Nonostante il cammino percorso ne­gli ultimi anni dal processo di integrazione monetaria e istituzionale, infatti, solo il 4 ,5 % dei giovani considera l'Europa il principale contesto in cui riconoscersi. I gio­vani delineano quindi un'identità territoriale priva di un vero centro, di un vero polo di attrazione. Ne registrano diversi, fra i quali prevale quello maggiormente collegato al loro ambiente di vita: la città, la località in cui risiedo­no. La dimensione nazionale conta, ma assume importan-

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T AB. 4.2. I riferimenti dell'appartenenza territoriale: seconda unità geografica in base a quella indicata come prioritaria (% per colonna; 15-34 anni)

Seconda per importanza:

Città Regione Italia Europa Mondo in generale

N = 3 .000

Appartenenza territoriale più importante:

Città Regione Italia Europa Mondo in generale

17,0 34,1 16,5 29,2 3 1 ,9 2 1 ,5 1 1 ,6 7,9 49,5 59,6 40,5 37 ,3

5,6 12,3 25,7 25,6 13 , 1 1 1 , 1 18,7 3 1 ,4

za soprattutto in quanto cornice. Come emerge quando si passa a considerare il contesto territoriale in cui essi si ri­conoscono in «seconda istanza». Allora l'Italia assume un'importanza evidente. La indicano, in questo caso, il 34% dei giovani. Oltre il doppio di quanti scelgono il contesto urbano. Ampia, invece, risulta la quota di coloro che privilegiano quale riferimento «complementare» la re­gione (22 %) , come, peraltro, l'Europa ( 15%) . Si tratta di patrie di secondo livello, dunque, nelle quali i giovani si riconoscono senza, peraltro, provare forte attaccamento5 . L'importanza dell'Italia appare, a tale proposito, eviden­te, tanto più se incrociamo le due unità territoriali indica­te dai cittadini, per vedere in che modo si combinano gli orientamenti degli intervistati (tab. 4 .2) .

Indipendentemente dal contesto territoriale scelto per primo, infatti, vediamo che l 'ambito nazionale risulta, tra i riferimenti «complementari», il più importante. Lo consi­derano secondo, tra i riferimenti territoriali privilegiati, il 50% dei «municipalisti» (coloro che si identificano nella loro città) , il 60% dei regionalisti, il 4 1 % degli europeisti e il 37% dei cosmopoliti. Come si era osservato in altre in-

5 Riprendendo la definizione di Rusconi [2000].

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dagini6, quindi, l'Italia offre al senso di identità territoriale dei cittadini una cornice, uno sfondo, che permette agli al­tri contesti territoriali di coesistere, di legare assieme. Sen­za strappi. Ciò v�le soprattutto per i giovani - la maggio­ranza - il cui senso di appartenenza si rivolge principal­mente all'ambito locale. Per coloro che si identificano con la loro città o regione, l'Italia non costituisce un polo con­flittuale, ma un collante, un denominatore comune, che i giovani condividono, senza che ciò comporti loro un costo emotivo eccedente, un investimento sentimentale e identi­taria troppo oneroso. Si delinea, cioè, una generazione di giovani che si dicono «e italiani». Vicentini, bolognesi, na­poletani; e ancora: veneti, siciliani, piemontesi, marchigia­ni e italiani. Senza contraddizioni.

Questa caratterizzazione di «complemento» e cornice per le varie identità territoriali dei giovani, peraltro, non va intesa come segno di svalutazione dell'identità italiana. Non a caso 1'83 % dei giovani si dicono molto o abba­stanza «orgogliosi di essere italiani». Senza grandi distin­zioni di genere, classi d'età, area di residenza. Ma neppu­re di posizione politica, nonostante che il riferimento ter­ritoriale e nazionale abbia costituito, nell'ultimo decen­nio, un motivo di conflitto e di frattura. Invece, tutti gli elettorati di partito esprimono un vivo orgoglio naziona­le. Lo dichiarano circa il 90 % dei giovani che si dicono elettori di AN, Ds o Forza Italia. Ma anche il 73 % di quelli che si dicono elettori di Rifondazione Comunista e persino della Lega Nord. Il più basso livello di orgoglio nazionale, invece, si registra fra gli astensionisti. Dunque, fra i più disincantati. Fra coloro, cioè, che percepiscono la politica con distacco e che coinvolgono nella loro delu­sione le istituzioni (fig. 4 . 1 ) .

Nell'assieme questi orientamenti, come abbiamo detto, si incanalano lungo i solchi tracciati dalle precedenti inda­gini IARD, che avevano già messo in luce la pluralità e la

6 Rinvio, tra gli altri, al contributo pubblicato sul precedente rap­porto IARD: Diamanti [ 1997] . Inoltre, Sciolla [ 1997] , Segatti [1995] .

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Re -:Ji .,;·,j " "" , ;, .J':'�r::Jir J�U � ' • l 72,6

Ds �irnr. ,;," T , ",,jj, :r;; "'' lh:t.;:',ii � .�! ' l 89,5

Fi � "'·""' ]� ,, t = " � ' l 87,7

An "' '··'"" ·� " ,.,r, ··;; "' "' l 90,6

Lega Nord l" '' d;,,rr '" '4: rr· l 73,9

Astensionisti 'l 63,8

o 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

FIG. 4 . 1 . Orgoglio nazionale tra gli elettori di alcuni partiti (% 15-34 anni).

TAB. 4.3 . Appartenenza territoriale prioritaria (15-24 annz)

1987 1992 1996 2000

Città 50,6 35,0 42,6 43,9 Regione 9,7 12 ,5 9,9 8,5 Italia 26,1 36,6 32,4 28,3 Europa 2,8 3 ,9 2,9 4,5 Mondo in generale 10,6 12,0 12,2 14,9

N 2.000 1 .718 1 .686 3 .000

flessibilità del rapporto fra giovani e territorio e la funzio­ne di «cornice» dell'ambito nazionale. Tuttavia, non tutto, sotto questo profilo, si riproduce in modo uguale. Alcuni segni di cambiamento o comunque di evoluzione emergo­no chiari. In particolare, rispetto al 1 992 e al 1996 si assi­ste a un certo ripiegamento del senso di appartenenza nazio­nale in quanto riferimento primario (tab. 4.3 ) .

La stessa tendenza registra l'appartenenza regionale. Anche «l'orgoglio nazionale», pur restando su livelli mol­to elevati (83 ,7 % ) , registra un calo sensibile ed evidente, soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta (88,5 % nel 1996) .

Italia e regione, d'altronde, sono i contesti che nell'ul­timo decennio erano stati posti, dal dibattito politico, in

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conflitto e talora in contraddizione, spesso in modo fitti­zio. Un contrasto che negli ultimi anni si è stemperato, stemperando, parallelamente, anche il senso di apparte­nenza e di attrazione suscitato da questi ambiti. E come se la polarizzazione fra identità nazionale e regionale, fra Italia e Nord, accesa e amplificata dalla Lega negli anni Novanta, al passaggio di secolo si fosse ridotta, ridimen­sionando al contempo l'identità territoriale dei giovani. Venuta meno la minaccia alla nazione, in altri termini, pare essersi abbassata anche l'intensità del sentimento ita­liano. Ma non è solo il ridursi delle contrapposizioni ad avere ridimensionato le passioni verso l'Italia, le regioni, le città. C'è il parallelo crescere dell'attrazione esercitata dai contesti inter-nazionali e globali. I processi di apertu­ra economica, politica, comunicativa, cognitiva che si sono affermati in questa fase, hanno infatti valorizzato e imposto, come riferimenti sociali e soggettivi, l'Europa e il mondo. Anche sollevando atteggiamenti critici e di an­tagonismo soprattutto presso la realtà giovanile, da sem­pre più sensibile, per ragioni culturali, sociali e biologi­che, a questi mutamenti.

2 . L'Europa: più fortezza che patria

Anche se non riesce a imporsi come riferimento privi­legiato per l'identità territoriale dei giovani, l'Europa, co­munque, conta sempre di più come identità di secondo livello, come ambito complementare. Da associare ad al­tri, quello locale e nazionale, che continuano (e continue­ranno a lungo ancora) a costituire il maggiore motivo di appartenenza per i giovani. Invece, l'Europa interessa molto come contesto istituzionale, soggetto che garantisca tutela e difesa in ambito economico e monetario, ma an­cor più politico e militare (tab. 4.4) .

Il 70% degli intervistati ritengono importante per l'Europa dare più poteri al Parlamento, il 79% sviluppa­re una politica estera comune e il 56% disporre di un esercito comune. I giovani, cioè, vorrebbero un'Europa

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TAB. 4.4. Grado di accordo su alcuni aspetti dell'unificazione europea (% di co­loro che si sono detti molto o abbastanza d'accordo - 15-29 annz)

Esercito comune Politica estera comune Più poteri al parlamento europeo Allargamento ai paesi d eli 'Est

N

1996 2000

50,5 7 1 ,2 69,1

N.R. 1 .718

56,3 78,6 69,6 58,3

1 .500

più forte, come istituzione, in grado di acquisire sovrani­tà, dotandosi di strumenti di rappresentanza e di inter­vento all'esterno. Questo indirizzo esce sicuramente raf­forzato dagli avvenimenti degli ultimi anni: la guerra del Kosovo, l'instabilità dei paesi dell'Est europeo, le turbo­lenze economiche e politiche internazionali. Fenomeni che gli stati nazionali da soli controllano con difficoltà sempre maggiore. E l'Italia più di altri. Così si spiega come siano proprio la politica estera e l'esercito comune i temi che nelle opinioni dei giovani hanno registrato la crescita di consenso più elevata tra il 1996 e il 2000.

Si percepisce, in generale, una domanda forte di ac­centuare il contenuto politico e istituzionale dell'Unione Europea. Non più solo euro, moneta, spazio di mercato, ma attore in grado di garantire scelte comuni, all'interno, e comuni strategie di difesa, all'esterno7.

Più ridotto, ma comunque ampio e decisamente mag­gioritario, risulta, invece, il consenso attorno al processo di allargamento dell'Unione Europea ad altri paesi del­l'Est e alla Turchia, che dovrebbe realizzarsi a partire dai prossimi anni. Si tratta, com'è noto, di una decisione che

7 Tra i testi che sostengono questa posizione, segnaliamo Padoa­Schioppa [2001] . Ma è esplicita l'opzione per uno «Stato europeo» nel fascicolo di «liMes» dedicato a L'Europa dopo Haider, n. 3/2000. In particolare, si veda l'editoriale (pp. 7 - 12) . Una puntuale ricostruzio­ne del dibattito sul modello istituzionale sul modello politico europeo è proposta in Gozi [2001] .

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ha suscitato molta inquietudine, soprattutto nei paesi di­rettamente confinanti con l 'area interessata all'allarga­mento: Germania, Austria, la stessa Italia. Tuttavia, fra i giovani queste resistenze lasciano tracce, per ora, ancora poco profonde (almeno al momento in cui l'indagine è stata svolta) .

È difficile cogliere, anche a questo proposito, tenden­ze specifiche e lineari, in ambito sociale e anagrafico. Le differenze, ovviamente, esistono, talora evidenti. Emergo­no, soprattutto, in relazione al retroterra culturale e alla classe del contesto familiare. La centralità sociale favori­sce, com'è prevedibile, un atteggiamento più disponibile al potenziamento funzionale e all'allargamento dell'Unio­ne europea. Ma si tratta, perlopiù, di distanze deboli, che non segnano differenze di profilo decisive. Il che confer­ma come l'Europa sia entrata, stabilmente, nell'orizzonte dei giovani.

3 . Cinque modelli di identità territoriale

La trasversalità degli atteggiamenti giovanili rispetto al territorio suggerisce di riprendere la chiave di lettura che abbiamo adottato in questa e altre occasioni: il pluralismo delle identità e dei riferimenti. Abbiamo, per questo, sud­diviso i giovani in base alla combinazione fra i due conte­sti territoriali verso cui essi esprimono maggiore apparte­nenza. Per semplificare il quadro, abbiamo deciso, in pri­mo luogo, di non tener conto della gerarchia delle scelte, ponendo sullo stesso piano i contesti territoriali indicati, indipendentemente dall'ordine espresso dagli intervistati. In secondo luogo, abbiamo aggregato le preferenze che si orientano verso città e regione, considerando entrambi i contesti, per quanto diversi, espressione di un'apparte­nenza «locale»; e, per la stessa ragione, abbiamo associato le scelte che privilegiano l 'Europa e il mondo.

Emergono, così, cinque tipi, che confermano le idee espresse in precedenza.

In particolare appare chiaro che i giovani si caratte-

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19,9%

• Localisti • Globalisti

5,3 %

D Nazional-localisti � Cosmopoliti

15,4 %

42,4%

D Nazional-globalisti

FIG. 4.2. Appartenenza territorile: tipologia in base ai primi due contesti indi­cati ( % , 15-34 anni).

rizzano per un'identità territoriale mista, plurale, che combina diversi tratti di locale, nazionale e globale. Infat­ti, i tipi «puri», che comprendono i giovani orientati in modo omogeneo e coerente, sono una minoranza molto limitata: i «localisti» (che si riconoscono nella coppia cit­tà-regione) rappresentano il 15% del campione; i «co­smopoliti» (coloro che si identificano nell'Europa e nel mondo avendo riferimenti inter-nazionali) sono una quo­ta ancor più ridotta: il 5 % (fig. 4 .2) .

Per contro, i tipi prevalenti per numerosità contengo­no riferimenti distanti fra loro. I più importanti vertono, come si era già rilevato, sull'appartenenza nazionale, che viene associata all'identità locale dal 42 % dei giovani (i «nazional-localisti», anche se più corretta sarebbe la defi­nizione rovesciata, di «local-nazionalisti», che non ci pia­ce per il contenuto ideologico della formula «nazionali­sti»); o collegata alle identità internazionali dal 20% del campione (i «nazional-globalisti») . Resta un gruppo di giovani (pari al 17% del campione) che associano il rife­rimento locale con quello internazionale (li abbiamo defi­niti, per questo, «glocalisti», riecheggiando una formula nota e frequentata in questi anni, dalla letteratura econo­mica e sociologica)8.

B Robertson [ 1995 ] .

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Si tratta di una tipologia che presenta, all'interno, dif­ferenze più nette di quanto emergesse partendo dagli at­teggiamenti specifici. Per questo ne tracciamo un profilo sintetico, che isola, per ciascun tipo, gli aspetti sociali, culturali e politici salienti.

I «localisti». Comprendono, come si è detto, i giovani che fanno coincidere le due unità territoriali in cui si ri­conoscono maggiormente con la città e la regione. Hanno peso maggiore nel Nord Est e nelle Isole, nei comuni più piccoli, tra i giovani con un retroterra culturale familiare più basso, tra i lavoratori dipendenti. Esprimono orienta­menti di maggiore intolleranza verso gli immigrati e di minore apertura verso i diritti di cittadinanza. Politica­mente, mostrano una presenza decisamente più bassa del­la media fra gli elettori di sinistra, ma non per questo ap­paiono schierati a destra, rispetto al campione (salvo il caso della Lega) . Il loro peso, invece, cresce sensibilmen­te fra coloro che si «chiamano fuori»: gli astensionisti e i reticenti.

I «glocalisti». Si distinguono dai precedenti perché as­sociano all'identificazione locale l'attaccamento a un am­bito internazionale (Europa o mondo). Hanno un profilo sociale e territoriale molto poco connotato. Se non per una appartenenza sociale e un retroterra culturale supe­riore (quindi simmetrico, rispetto ai «localisti») e una maggiore presenza tra gli studenti e la borghesia profes­sionale e imprenditoriale. Dimostrano un buon grado di apertura verso i diritti di cittadinanza e una notevole tol­leranza verso l'immigrazione. Politicamente, appaiono più orientati a centro-sinistra, con una maggiore preferenza per i Verdi.

I «nazional-localisti» . Associano l'identità locale con quella nazionale. E, meno di frequente, viceversa. Sono più numerosi al Sud, ma non nelle Isole. Ma si tratta del­l'unico tratto caratterizzante del loro profilo sociale, an­che perché è il tipo più ampio e diffuso e, per questo, il

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più «trasversale». Rispetto ai diritti di cittadinanza e al­l'immigrazione, esprimono un atteggiamento più chiuso della media, ma senza arrivare a posizioni estreme. Politi­camente, sono orientati a centrodestra, ma la loro inci­denza è significativa anche nel centrosinistra (soprattutto fra i Ds) .

I «nazional-globalisti>>. Fanno coesistere l 'identità na­zionale con la propensione per l'Europa o il mondo. Sono particolarmente diffusi nel Nord Ovest, nelle città più grandi. Presentano un'appartenenza sociale e un re­troterra culturale decisamente superiori alla media. Sono particolarmente numerosi fra gli studenti. Appaiono tolle­ranti verso gli immigrati e aperti in merito ai diritti di cit­tadinanza, in misura analoga ai «nazional-localisti», ri­spetto ai quali, tuttavia, si distinguono perché spostati più chiaramente a sinistra.

I «cosmopoliti» . Si identificano nell'Europa e nel mon­do. Non accettano, quindi, il riferimento locale, ma si di­stanziano anche da quello nazionale. Costituiscono un tipo sociale definito, che presenta contorni tradizional­mente noti, caratterizzati, anzitutto, da una cultura politi­ca decisamente di sinistra (segnata dalla preferenza per Rifondazione Comunista e i Verdi) . I «cosmopoliti», co­m' era prevedibile, sono più diffusi della media nelle re­gioni di Centro (tradizionalmente «rosse») e nelle città maggiori. Pesano di più nelle coorti più «adulte» (oltre 25 anni) , fra gli uomini, nelle classi sociali «centrali», fra gli studenti, i professionisti, i dirigenti. Manifestano il massi­mo grado di apertura in merito ai diritti di .cittadinanza e il massimo grado di tolleranza verso gli immigrati.

4 . La generazione indzf/erente

I giovani intervistati nel corso di questa indagine IARD somigliano tanto a quelli studiati nelle precedenti occasioni e presentati nei precedenti rapporti, almeno per

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quel che riguarda il rapporto con il territorio. Essi, infat­ti, mostrano un'identità territoriale aperta e composita, imperniata sulla dimensione urbana e municipale, rias­sunta dalla cornice nazionale, proiettata _in senso cosmo­polita e, soprattutto, in chiave europea. E una generazio­ne che si muove fra diversi riferimenti territoriali, riu­scendo a farli coesistere e, in qualche misura, interagire. Una generazione che combina in diversi modi i diversi ri­ferimenti territoriali. Invece di opporre il locale, il nazio­nale e il globale, li intreccia. Esprime, cioè, un approccio compositivo, non oppositivo.

Il dubbio che sorge è se questo profilo sia specifica­mente loro. Se, cioè, riguardi i giovani in quanto tali. Il dubbio scaturisce, anzitutto, dalla persistenza di questi atteggiamenti, che ricorrono, come si è detto, in tutte le indagini degli anni novanta. Il che suggerisce che questi orientamenti riguardino non un segmento generazionale, ma un'area sociale più ampia. Il dubbio appare tanto più legittimo, in quanto la stessa indagine - il cui campione comprende persone di differenti coorti d'età: fra 15 e 34 anni - non fa emergere caratteri e variazioni particolari, al passaggio da una coorte all'altra (tab. 4 .5 ) . Gli ultra­trentenni, cioè, in merito alla nazione, al contesto locale, all'Europa, rivelano la stessa gerarchia di preferenze e di valori dei quindicenni. I quali più che i loro fratelli mino­ri, potrebbero essere - biologicamente - i loro figli. Il dubbio, infine, appare ulteriormente fondato alla luce di altre indagini dove erano presenti quesiti identici o analo­ghi9 . Tra anziani, adulti-giovani, giovani e adolescenti le distanze in merito al rapporto con il territorio non sem­brano davvero così grandi. Gli adulti appaiono, in qual­che misura, più regionalisti, più attaccati all' Italia e meno all'Europa e al mondo. Ma siamo lì, dentro il medesimo orizzonte di riferimento.

9 Diamanti [1999a] e la quarta Indagine su <<l cittadini e lo Stato», condotta da Poster-laPolis e pubblicata su «Il Sole-24 Ore» il 22 apri­le 2001 .

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TAB. 4.5. Appartenenza territoriale e orgoglio nazionale per coorte (%; 15-34 anni)

Età

Appartenenza territoriale: 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

Città 45,3 40,9 44,7 4 1 ,3 44,9 Regione 7,6 10,8 7,6 9,7 8,4 Italia 27,8 29,5 27,9 28,3 26,9 Europa 4,7 6,2 3 ,4 5,0 4,2 Mondo in generale 14,6 12,6 16,4 15 ,7 15,7

Orgoglio nazionale 85,7 80,4 82,5 84,8 86,9

Per questo, pm che uno specifico generazionale, il profilo degli orientamenti territoriali dei giovani pare ri­flettere tendenze che si stanno diffondendo in tutta la so­cietà italiana10• Oppure, essi stessi le riflettono. Mentre un tempo, trent'anni fa, se ne distaccavano. Erano, in particolare, più cosmopoliti, lontani dalle appartenenze locali e nazionali.

Oggi non più. Sono figli del loro tempo. Eredi dei loro padri. Senza rotture. Una generazione indifferente: senza differenze visibili dalle precedenti.

lO Questa tesi è stata argomentata in Diamanti [ 1999b] .

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CAPITOLO QUINTO

GIOVANI, IMMIGRAZIONE E PREGIUDIZIO ETNICO

l . L'ambito problematico

Il pregiudizio etnico e razziale rappresenta sicuramen­te una delle forme di intolleranza più evocate e preoccu­panti nelle società contemporanee. Sembrerebbe contrad­dittorio il fatto che aperte forme di intolleranza si svilup­pino e divengano sempre più virulente in società demo­cratiche e pluraliste che, almeno formalmente, sono por­tatrici e paladine di valori di libertà, eguaglianza, tolle­ranza e pacifica convivenza. Forse proprio perché pregiu­dizio e discriminazione sono ritenuti socialmente condan­nabili (e anche per questo spesso negati da chi li pratica) , anche le loro manifestazioni sono, a parte i casi di aperta violenza che trovano spazio sui mezzi di informazione, meno palesi e sempre più ricondotte ad una giustificazio­ne razionale. In Italia, il tema del pregiudizio etnico e razziale è venuto alla ribalta in conseguenza alla intensifi­cazione dei problemi connessi con i massicci flussi migra­tori che hanno interessato in tempi recenti tutto l'occi­dente industrializzato. Esso si inserisce in un clima di re­crudescenza dei fenomeni di intolleranza che sta inve­stendo anche nazioni, come la Gran Bretagna, che in vir­tù di una lunga tradizione multietnica sembravano aver metabolizzato la presenza di immigrati. Il nostro Paese, che ha conosciuto il dramma dell'emigrazione (massiccia fino agli inizi del 1900 e continuata fino al 1960) e che ha vissuto le difficoltà e i problemi di forti migrazioni in­terne (da sud verso nord alla fine degli anni Cinquanta) , si è trovato ad affrontare un problema nuovo: quello di divenire meta di immigrati extracomunitari e di profughi in cerca di lavoro o in fuga da aree in cui le situazioni politiche, sociali ed economiche erano divenute insosteni-

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bili. Le crisi politico-economiche dell'Europa orientale conseguenti al dissolvimento del blocco sovietico e le si­tuazioni belliche dell'area balcanica hanno aumentato in modo esponenziale i flussi migratori verso l'Europa occi­dentale già meta di costanti migrazioni provenienti dal­l'Africa del nord. Pur essendo la quota di immigrati pre­senti in Italia ancora ampiamente inferiore alla media eu­ropea, l'impatto del fenomeno sull'opinione pubblica è stato assai forte anche a causa di episodi drammatici, le­gati a sbarchi di massa sulle coste, ai quali i mass media hanno dato e continuano a dare largo spazio. Quello che indubbiamente rappresenta un problema ha assunto, for­se più nelle percezioni che nei fatti, i contorni di allarme sociale anche se, verso questo fenomeno, atteggiamenti di timore, ostilità, preoccupazione, insofferenza si mescola­no a solidarietà, compassione, accoglienza e impegno so­ciale. La costante richiesta di manodopera straniera che proviene da tutta Europa, alla quale si accompagna un invecchiamento della popolazione e un decremento de­mografico dovuto alla contrazione dei tassi di natalità (particolarmente vistoso in Italia), legano la sopravviven­za economica dell'occidente ad un destino multi etnico che sta già modificando la situazione sociale e culturale aprendo nuovi orizzonti ma anche creando problemi e si­tuazioni di conflitto sociale. Il tema dell'immigrazione non ha tardato a divenire un problema politico in tutta Europa che ha visto il rafforzamento di formazioni con­servatrici che hanno fatto dei sentimenti di ostilità verso gli extracomunitari, dei timori di «inquinamento» cultu­rale, delle paure verso i diversi, dell'enfatizzazione dei co­sti economici dell'accoglienza; dei pericoli di competizio­ne sul mercato del lavoro i cavalli di battaglia di una lot­ta politica serrata e violenta. Queste formazioni hanno raccolto consensi non solo fra i gruppi tradizionalmente conservatori ma hanno attratto anche un elettorato incer­to e disorientato, che non di rado politicamente si auto­definisce progressista, preoccupato delle non sempre chiare politiche con le quali il fenomeno viene governato.

Prima di riflettere sui dati relativi agli atteggiamenti e

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alle opinioni dei giovani italiani in tema di immigrazione e pregiudizio diviene però necessario chiarire la cornice concettuale entro la quale analizzeremo i risultati dati dando conto, sia pur brevemente, delle riflessioni che provengono dalla letteratura scientifica.

Le scienze sociali e politiche hanno rivolto da tempo la loro attenzione al tema del pregiudizio e le riflessioni soprattutto di psicologi sociali e sociologi sono ricche di intuizioni e suggestioni. In questa sede ci limiteremo quindi a focalizzare l'attenzione sui punti nodali che han­no caratterizzato e caratterizzano il dibattito scientifico intorno a questo tema.

Dobbiamo prima di tutto rilevare che lo stesso con­cetto di pregiudizio viene presentato con tante e tali sfu­mature e articolazioni da rendere necessario un tentativo di sistematizzazione, individuando i tratti più caratteriz­zanti presenti nelle definizioni presenti nella letteratura.

In primo luogo va chiarito verso chi è diretto il pre­giudizio. Gli studi sull'intolleranza evidenziano che il pre­giudizio è diretto verso gruppi, e non verso individui in quanto tali, come invece spesso avviene nella vita quoti­diana. O, meglio, è rivolto verso individui ma in quanto appartenenti ad un gruppo ed è proprio in virtù di questa appartenenza che divengono oggetto di intolleranza e di­scriminazione1 .

In secondo luogo viene rilevato che nelle interazioni quotidiane quelli che si possono definire pregiudizi ven­gono presentati come dati di fatto dove le generalizzazio­ni vengono presentate come descrittive, ma hanno in re­altà un forte contenuto valutativo. Le valutazioni, che possono anche essere positive, finiscono di fatto per favo­rire alcuni in quanto appartengono al medesimo gruppo o a punire altri sempre in virtù della loro appartenenza

1 In letteratura troviamo infatti espressioni come: « . . . attribuzione di . . . caratteristiche di un intero gruppo a tutti i membri che lo com· pongono» Milner [1975], o « . . . basato su . . . generalizzazioni . . . dirette verso un gruppo come tale, o verso un individuo in quanto membro di quel gruppo» Allport [ 1954] .

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ad un gruppo2 • Dovendo quindi definire il pregiudizio dobbiamo considerare il fatto che implichi una valutazio­ne negativa di persone sulla base della loro appartenenza ad un gruppo.

In terzo luogo viene evidenziato che le valutazioni ne­gative, per essere · considerate pregiudizi, devono essere provate. I pregiudizi si fondano quindi su supposte carat­terizzazioni negative, erronee o comunque non provate, frutto quindi di improprie generalizzazioni3 .

Un ultimo tratto che caratterizza il pregiudizio è la sua rigidità. Una volta che il giudizio negativo viene for­mulato anche sulla base di pure supposizioni e senza al­cuna verifica fattuale, esso pare stabilizzarsi e resistere anche di fronte all'evidenza. False caratterizzazioni di un gruppo, una volta accettate, divengono quasi inamovibili, refrattarie a qualsiasi disamina critica al punto che i fatti che contraddicono la convinzione sono interpretati come «eccezioni» che comunque non intaccano le basi delle va­lutazioni pregiudiziali4 •

Questi i tratti che caratterizzano le riflessioni sul pre­giudizio che, proprio su questa base, può essere sintetica­mente definito come «attribuzioni denigratorie e ostili, false o quantomeno non provate e rigidamente difese, ri­volte verso gruppi o a membri di un gruppo, in virtù del­la loro appartenenza al gruppo»5.

2 Allport [ 1954 l parla infatti di «pensare male degli altri», Buss [1961] di « . . . ostilità e aggressione verso individui sulla base della loro appartenenza ad un gruppo».

3 Per questo Milner [1975] parla di « . . . supposte caratteristiche» J ones [1986] di «erronee generalizzazioni», Kelman e Pettigrew [1959] di «disinformazione» e Allport [1954] di «pensar male degli altri senza sufficienti prove» e di «sbagliate e inflessibili generalizza­ziOni».

4 Simpson e Yinger [ 1985] parlano infatti di atteggiamento «rigi­do», Allport [1954] di «inflessibili generalizzazioni» e Krech, Cruth­field e Ballachey [1962] di atteggiamento che tende ad essere «alta­mente stereotipato, emotivo e non facilmente modificabile da informa­zioni contrarie».

5 Sniderman, Peri, R de Figueiredo, Piazza [2000].

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Ora che siamo giunti a chiarire le componenti del pregiudizio è necessario cercare di comprendere le radici dell'ostilità verso gli immigrati che facendo ricorso, anche in questo caso, a riflessioni stimolate dai contributi pre­senti dalla letteratura scientifica relative ai conflitti fra gruppi. Un approccio estremamente stimolante è quello che si rifà agli studi di Sherif [ 1953 ] e che è conosciuto come teoria del conflitto realistico. Con una serie di inte­ressanti esperimenti condotti osservando il comportamen­to di gruppi di giovani, Sherif ha dimostrato il ruolo che l'interesse comune gioca nella definizione di un gruppo e nel processo di identificazione con il gruppo stesso; allo stesso modo ha dimostrato il ruolo fondamentale che gli interessi giocano nel promuovere i conflitti fra gruppi. Da questi studi emerge che i conflitti fra gruppi non han­no bisogno di storie di inimicizia pregresse per sviluppar­si ma che il conflitto di interessi è motivo sufficiente per provocarlo. In questa prospettiva, la montante ostilità verso gli immigrati potrebbe essere letta come reazione alla convinzione che il miglioramento delle loro condizio­ni di vita passi attraverso l'erosione di vantaggi e benefici di cui godono i nativi peggiorando quindi le loro condi­zioni di vita. Il timore di veder sottratti posti di lavoro, di dover competere per le abitazioni, i servizi pubblici, l'istruzione, il welfare e di pensare di dover pagare più tasse porta su un terreno di conflitto di interessi l'intera questione. Visto così, il pregiudizio apparirebbe come un paradigma di irrazionalità fondato su un calcolo razionale dei vantaggi. Allo stesso modo, dire che il pregiudizio è una risposta razionale di tipo economico non significa giustificarlo, ma riconoscere che il conflitto fra gruppi ha le sue radici nel conflitto di interessi.

A ciò possiamo aggiungere che, come mostrato dagli studi di Solomon Ash6, il gruppo ha un così forte potere sul singolo individuo da portare i sui membri a negare anche l'evidenza pur di conformarsi ad esso. Ma un con-

6 Solomon [195 1 ] .

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tributo essenziale nello studio dei conflitti di gruppo vie­ne da TajfeF che ha dimostrato come esista una accen­tuata tendenza delle persone ad accettare la categorizza­zione di se stessi come appartenenti ad un gruppo piutto­sto che ad un altro. Se, come ha dimostrato Tajfel, basta­no elementi minimi per stimolare il processo di identifi­cazione, possiamo facilmente immaginare come gruppi di potere reale legati da forti vincoli come etnie, razze, na­zionalità, religioni, classi sociali ecc. , ognuno dei quali condivide precisi e forti legami di interesse e modalità di socializzazione, possano creare una identificazione pro­fonda con l'ingroup, a spese dell'outgroup . Il concetto di categorizzazione si rivela essenziale per interpretare i con­flitti fra i gruppi in quanto tutto ciò che porta ad aumen­tare la categorizzazione di altri come appartenenti ad un gruppo diverso dal proprio fa aumentare l'ostilità verso di essi. Allo stesso modo, più aumenta il timore che il proprio benessere economico, ma anche la propria tran­quillità e sicurezza, possa essere intaccato da individui appartenenti ad un altro gruppo (gli immigrati, nello spe­cifico), fa aumentare il sentimento di ostilità verso di essi.

Questo, in buona sostanza, il quadro concettuale con il quale ci apprestiamo ad analizzare i dati relativi ai gio­vani italiani rilevando le opinioni espresse sui singoli pro­blemi connessi con l'immigrazione extracomunitaria nel nostro paese.

2 . Le opinioni verso l'immigrazione

Poiché uno degli obiettivi dell'indagine era di capire quanto sia diffuso nel mondo giovanile italiano il timore che l'immigrazione e i problemi che porta con sé alterino gli equilibri sociali e produca elementi di conflitto con gli italiani, è stato primariamente chiesta una valutazione cir­ca la congruità delle presenza di stranieri in Italia. Quello

7 Tajfel [ 1981 ] .

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TAB. 5 . 1 . Livello di accordo con l'affermazione: «Nel nostro paese ci sono troppi immigrati>> per età degli intervistati (%)

Età

15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34 Totale

Molto d'accordo 38,0 4 1 ,9 4 1 ,3 35,0 4 1 ,2 39,1 Abbastanza d'accordo 38,9 35,1 37,2 34,4 36,3 36,3 Poco d'accordo 16,9 13 ,8 14,1 17 ,0 14,2 15,3 Per nulla d'accordo 2,9 6,5 6,0 9,7 7,5 7 , 1 Non so 3 ,4 2,7 1 ,4 1 ,9 2,7 2,2

Base = 2.982

del «numero» di immigrati presenti sul territorio e sul numero di ingressi legali da consentire è un dibattito che vede impegnate forze politiche, amministrazioni locali, organi di informazione, organizzazioni assistenziali. La contrapposizione, i cui toni sono spesso forti e aspri, pone in luce quanto il tema sia spinoso e quanto l' opinio­ne pubblica sia ad esso sensibile. Ma vediamo le valuta­zioni degli intervistati.

I dati sopra riportati mostrano come sia ampiamente diffusa fra i giovani la percezione che l'immigrazione in Italia abbia raggiunto livelli troppo elevati. Il livello di accordo rispetto all'affermazione, anche se con diversi li­velli di intensità raggiunge infatti il 75 ,4% dei giovani. Dai dati si evidenzia anche che si tratta di una percezione generalizzata che non appare particolarmente influenzata dalle caratteristiche degli intervistati. Non vi sono infatti differenze significative nei dati disaggregati per genere o per età dell'intervistato, mentre qualche differenza si rile­va in rapporto al background culturale. Più la famiglia di provenienza dell'intervistato ha elevati livelli di scolarità, meno forte appare la sensazione di accerchiamento, vissu­to come minaccia. Emerge dai dati una diffusa sensazio­ne, alla quale si legano paure e timori, che in Italia gli immigrati sono già ora in numero troppo elevato e ciò in­dubbiamente non contribuisce a costruire un atteggia­mento positivo verso il fenomeno e di apertura verso possibili nuovi ingressi. Appare quindi necessario cercare

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di comprendere i motivi che possono essere alla base de­gli atteggiamenti di ostilità più o meno aperta e manife­stata verso gli immigrati stranieri. Uno dei temi più larga­mente dibattuti e ai quali tutti i cittadini appaiono parti­colarmente sensibili è quello della sicurezza che sarebbe minacciata da una criminalità diffusa «importata» da im­migrati stranieri. L'immigrazione extracomunitaria in Ita­lia, per come è avvenuta (flussi consistenti e difficilmente controllabili che frequentemente transitavano attraverso il circuito dell'illegalità) e per le zone di provenienza (se­gnate da guerre, crudeltà, miseria e disperazione) ha fatto sì che insieme a persone in cerca di lavoro, di tranquillità e di un futuro migliore giungessero anche persone dedite ad attività illecite. Nella fascia dell'immigrazione clande­stina, in particolare, operano organizzazioni che svolgono attività criminose sia sfruttando e vessando altri immigra­ti, sia compiendo reati e violenze verso cittadini italiani. Il problema della sicurezza è un problema vero e ende­mico in tutte le società caratterizzate da squilibri sociali e che riguarda, come attori e come vittime, sia immigrati che non. Si è venuto tuttavia diffondendo l'idea che die­tro ogni immigrato si nasconda un criminale potenziale e ciò ha alimentato in molte persone una sensazione di al­larme sociale e ha contribuito non poco a creare una dif­fusa ostilità e timore verso lo straniero. Di certo, special­mente nella fascia dell'immigrazione clandestina, non mancano individui dediti ad attività illecite e a quella «microcriminalità» che proprio perché colpisce in modo diffuso i soggetti più deboli contribuisce ad accentuare quel senso di timore e di minaccia che è già una compo­nente del doversi confrontare con la diversità. Recenti fatti di cronaca hanno chiaramente mostrato come si sia ormai diffusa la tendenza ad attribuire la responsabilità di eventi o fatti criminali di grande impatto emotivo (ri­sultati poi commessi da devianti nostrani) agli immigrati stranieri chiamati a fare da capro espiatorio anche dei mali da sempre presenti nel nostro tessuto sociale.

I dati relativi ai giovani non appaiono molto confor­tanti.

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TAB. 5.2. Livello di accordo con l'affermazione: «Gran parte degli immigrati svolge attività criminali o illecite» (%)

Totale intervistati

Sesso Maschi Femmine

Classi di età 15-17 anni 18-20 anni 21 -24 anni 25-29 anni 30-34 anni

Background culturale della famiglia Alto Medio-alto Medio Basso

Base = 2.984

D'accordo (molto + abbastanza)

54,1

56,8 5 1 ,2

58,3 54,9 5 1 ,4 52,5 56,1

42,5 52,7 55,5 60,6

Che gran parte degli immigrati sia dedito ad att1v1ta criminali o illecite ne sono convinti, anche se con diversa intensità (2 1 ,0% molto d'accordo; 33 , 1 % abbastanza d'accordo) poco più della metà degli intervistati; sono in­vece il '6,9% coloro che dichiarano di non avere informa­zioni a riguardo. La convinzione dello stretto legame im­migrazione-criminalità appare più accentuata nella popo­lazione maschile rispetto a quella femminile e la differen­za diviene vistosa se si considera il background culturale. Più questo è alto meno forte appare la convinzione che esista una relazione diretta fra immigrazione e criminalità. Questi dati, mentre mostrano un diffuso atteggiamento di preoccupazione verso il fenomeno dell'immigrazione rite­nuto largamente foriero di minaccia per la sicurezza dei cittadini, mostrano anche un preoccupante livello di di­sinformazione e di vulnerabilità rispetto a posizioni de­magogiche e strumentali che hanno diffuso l'idea che die­tro ogni immigrato via via più un criminale che una per-

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sona in cerca di lavoro e desiderosa di avere una vita più decorosa per sé e per la . propria famiglia. A fronte di questi risultati non ci possiamo attendere, neppure da parte dei giovani, · diffuse posizioni di apertura e di valu­tazione positiva verso gli immigrati.

Non stupisce quindi che siano meno della metà (più esattamente) il 44,6% coloro che ritiene che gli stranieri che vivono in Italia contribuiscono ad un arricchimento culturale del nostro paese. Un dato che per certi aspetti sorprendente visto che viene da una popolazione scolariz­zata o ancora inserita nel circuito scolastico e che appar­tiene ad una generazione che ha avuto e ha occasioni di mobilità territoriale, che non ha vissuto nell'isolamento culturale, che ha accesso ad opportunità informative più ampie rispetto alle generazioni precedenti. Nonostante ciò prevale la logica dell'arroccamento, della paura del diverso che porta a negare tutto ciò che di positivo esso porta e a porre l'accento solo sugli aspetti negativi.

Come abbiamo in precedenza evidenziato, negli studi sul pregiudizio etnico largo spazio è stato dato alla Reali­stic Con/lict Theory che polarizza l'attenzione sul fatto che la competizione socio-economica tra gruppi sociali (come ad esempio fra immigrati e italiani) per fruire di risorse scarse, produrrebbe un aumento di ostilità e at­teggiamenti negativi verso i membri del gruppo concor­rente. Il timore che gli italiani si trovino a competere con gli immigrati per i posti di lavoro, per l'assegnazione di un alloggio o per la distribuzione di risorse o servizi che lo Stato mette a disposizione produrrebbe quindi un con­creta situazione di conflitto così come a livello più astrat­to lo produrrebbe il timore di veder minacciata la pro­pria identità culturale, il potere o lo status. In particolare chi occupa una posizione vulnerabile sul mercato del la­voro o chi ha meno istruzione e abilità professionali si vedrebbe minacciato dalla competizione con i nuovi arri­vati, più disponibili ad accettare bassi salari e a non avan­zare rivendicazioni di sorta. Proprio per valutare se que­sta componente del conflitto realistico sia ritenuta valida dai giovani è stato chiesto loro di esprimersi circa la fon-

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TAB. 5.3 . Livello di accordo con l'affermazione: «Gli immigrati portano via posti di lavoro ai disoccupati del nostro paese» (%)

Totale intervistati

Classi di età 15-17 anni 18-20 anni 21 -24 anni 25-29 anni 30-34 anni

Area geografica Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole

Base = 2.978

D'accordo (molto + abbastanza)

29,9

40,9 32,0 32,0 24,1 28,3

26,6 24,2 34,0 35 ,3 26,8

datezza di una affermazione che gli immigrati sottrarreb­bero opportunità di lavoro ai disoccupati italiani.

Notiamo che circa tre giovani su dieci appaiono con­cordare con l'affermazione che gli immigrati sottraggono posti di lavoro ai disoccupati italiani e ciò potrebbe essere uno dei motivi che portano a non gradire la presenza di immigrati. Si noti come dai dati emerge chiaramente che questo timore derivante dalla competizione sul mercato del lavoro appare molto accentuato nei più giovani che hanno appena iniziato, o devono ancora iniziare la loro vita lavorativa mentre si riduce man mano che l'età au­menta e quindi anche i timori della competizione si affie­voliscono o si rivelano poco fondati. Si noti anche che i ti­mori sono maggiormente concentrati fra coloro che vivo­no in aree geografiche dove il livello di disoccupazione è più elevato e fra coloro che provengono da famiglie poco scolarizzate mentre si allenta notevolmente man mano che cresce il livello culturale del nucleo familiare di provenien­za a dimostrazione che la maggior scolarità, oltre a pro­durre sofisticazione cognitiva che rende meno esposti a

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pregiudizi, rende anche meno vulnerabili alla competizio­ne di persone che si collocano nei gradini più bassi della scala socio-professionale (l'accordo con l'affermazione va dal 20% di chi viene da famiglie fortemente scolarizzate al 39, 1 % di chi ha genitori con bassa scolarità) .

Identico andamento, anche se con dati diversi, si ha da un altro potenziale motivo di conflitto: il fatto che vi sia la sensazione che lo Stato sia più attento alle esigenze degli immigrati che a quelle degli italiani in situazione di disagio. Sono infatti il 34% coloro che aderiscono a que­sta affermazione. Anche questa convinzione si inserisce nell'ambito della competizione per le risorse che, come abbiamo prima rilevato, produce un atteggiamento di ostilità verso gli immigrati.

Quanto abbiamo fino ad ora riferito riguarda atteggia­menti, opinioni e valutazioni dei giovani relativamente a singoli problemi connessi alla presenza di immigrati nel nostro paese. Cerchiamo ora di arrivare ad una sintesi a t­traverso un indice che misuri l'intensità dell'ostilità verso gli immigrati in quanto gruppo, ostilità che, se fondata su generalizzazioni improprie o comunque non provate, si alimenta e identifica con il pregiudizio. Per costruire que­sto indice partiamo dal presupposto che più consistente­mente una persona attribuisce caratteristiche negative o, al­ternativamente, declina di attribuire caratteristiche positive a un gruppo, più il suo atteggiamento può essere ritenuto «pregiudizievole». Proprio partendo da questa considera­zione abbiamo operato attribuendo un peso alle modalità di risposta date alle domande precedentemente analizza­té. Il risultato è una scala di pregiudizio-ostilità con un

s L'indice, di tipo additivo, è stato costruito attribuendo alle ri­sposte delle domande gl05a, gl05b, gl05g, 105h un punteggio di 4 alla modalità molto d'accordo, 3 alla modalità abbastanza d'accordo, l alla modalità poco d'accordo e O alla modalità per nulla d'accordo. Alla domanda g105d, che riproduce un atteggiamento positivo verso gli immigrati, il punteggio attribuito è stato rispettimante di O a molto d'accordo, l ad abbastanza d'accordo, 3 a poco d'accordo, 4 a per nulla d'accordo. I «non so» sono stati considerati come valori man-

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TAB. 5.4. Indice di pregiudizio-ostilità misurato su una scala di 20 punti, per al­cune caratteristiche degli intervistati

Popolazione ponderata Punteggio medio Deviazione standard

Totale del campione 10,42 5,09

Sesso Maschi 10,55 5,09 Femmine 10,28 5,10

Classi di età 15-17 anni 1 1 ,09 4,82 18-20 anni 10,73 4,77 21 -24 anni 10,60 5 , 12 25-29 anni 9,83 5 ,2 1 30-34 anni 10,5 1 5 , 16

Area geografica Nord 10,38 5,03 Centro 10,82 5 , 12 Sud e Isole 10,30 5,14

Classe sociale della famiglia Superiore 9,44 5,04 Impiegatizia 9,15 5 , 16 Autonoma 1 1 ,25 5,06 Operaia e assimilata 1 1 ,05 4,87

Background culturale della famiglia Alto 8,33 5,13 Medio-alto 9,74 4,90 Medio 10,79 4,98 Basso 1 1 ,84 4,98

rango teorico che va da O (nessun pregiudizio-ostilità) a 20 (massimo pregiudizio-ostilità) che analizzeremo osservan­do la differenza fra le medie dei valori della scala per alcu­ne caratteristiche socio-culturali dei giovani intervistati.

I dati riportati nella tabella 5 .4 confermano e raffor­zano elementi che già si intuivano nell'analisi delle singo­le domande. L'essere maschi o femmine non pare incide-

canti e non vi è stato attribuito alcun peso. Il rango teorico dell'indice va da O (totale assenza di ostilità) a 20 (massima ostilità) .

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re in modo determinante sul livello di ostilità complessi­vo che pur appare più accentuato fra i maschi; differenze più significative si notano invece fra le diverse classi di età dove i più giovani appaiono essere maggiormente propensi a valutare negativamente gli immigrati. Per quanto riguarda la zona geografica di residenza, appare sorprendentemente un più diffuso livello di ostilità fra giovani del centro Italia, mentre nord e sud-isole hanno valori medi assai simili. Molto più significative appaiono variabili di carattere strettamente culturale, legate sia alla classe sociale di provenienza, sia al background culturale della famiglia di origine. Emerge chiaramente che i pro­venienti dai gruppi sociali medio alti e provenienti da fa­miglie con un livello di istruzione più elevato sono meno vulnerabili rispetto al pregiudizio verso gli immigrati. Ciò richiama sia il peso della sofisticazione cognitiva nella formazione di atteggiamenti, sia dell'influenza che può esercitare il timore di veder erosi vantaggi o benefici nel­la competizione con i nuovi venuti.

Da quanto fin qui emerso sembrerebbe delinearsi un quadro del mondo giovanile segnato da preoccupazione verso le conseguenze dell'immigrazione e prevale in essi un atteggiamento tendenzialmente negativo. Nonostante ciò, chiamati ad esprimersi sulla doverosità di fornire un aiuto oltre i 2/3 (68 , 1 % ) degli intervistati si esprimono in modo positivo dimostrando un atteggiamento di apertura solidaristico pur avendo molti di loro mostrato elementi di ostilità e pregiudizio.

Per concludere vale la pena verificare l'opinione degli intervistati su un punto molto importante al fine di com­prendere gli atteggiamenti delle giovani generazioni verso un problema che si affaccia alle porte di tutti i paesi di­venuti meta di immigrati: i diritti di cittadinanza. In altre parole quale futuro attende questi immigrati? Rimanere per sempre ospiti stranieri o poter acquisire la cittadinan­za con i diritti e doveri ad essa connessi? Il tema della cittadinanza è un dibattito che ha da sempre caratterizza­to la storia politica ed è strettamente legato al concetto di «nazione». Cosa legittima l'essere parte di una nazione e

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TAB. 5.5. Livello di accordo con le affermazioni (%)

Molto Abbastanza Poco Per niente Non so

La cittadinanza italiana spetta solo a chi ha al· meno un genitore ita· liano o radici etniche italiane Gli stranieri che da tempo lavorano legal­mente in Italia e paga­no le tasse dovrebbero poter ottenere la citta­dinanza italiana

Base = 2.991

d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo

9,6 18,2 32,6 3 1 ,1 8,5

39,9 40,5 10,7 4 , 1 4,8

acquisire la titolarità di cittadino? Un requisito «naturali­stièo», come definito da Herder, che richiama concetti come etnia, religione, «terra»? O un requisito «volontari­stico», che trova le sue radici in Rousseau e nello spirito della Rivoluzione Francese che richiama invece un desi­derio di condurre una vita in comune, di accomunare i propri destini?

Da questi dati emerge chiaramente come prevalga nei giovani una netta opzione a favore del legare la cittadi­nanza alla scelta volontaristica di far parte di una nazione e di condividerne i destini ottemperando ai doveri che sono imposti dall'organizzazione sociale. Notiamo infatti come gran parte dei giovani si esprimano in favore del fatto che una volta che l'immigrato rispetti le leggi e si integri nel mondo del lavoro contribuendo al benessere comune, gli va riconosciuto il diritto di far parte a pieno titolo della società che lo ha ospitato acquisendo la citta­dinanza e i diritti e doveri ad essa connessi. Legalità e in­tegrazione economica sembrano essere, per la maggior parte degli intervistati, le condizioni che legittimano l' ac­quisizione dei diritti di cittadinanza con piena titolarità. Queste affermazioni, che denotano grande apertura, ap­paiono contraddittorie rispetto a quell'atteggiamento di

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matrice assai conservatrice e con note di timore e ostilità espresse da molti in precedenza.

3 . Note conclusive

Alcune brevi riflessioni si impongono alla fine di que­sta disamina dei dati sul pregiudizio etnico. L'atteggia­mento mostrato dai giovani nei confronti dell'immigrazio­ne si è rivelato assai ambivalente. Da un lato larga parte degli intervistati sottolinea la eccessiva presenza di immi­grati, mostra una percezione fortemente dilatata della loro propensione a delinquere e ne nega il contributo di arricchimento culturale che la diversità porta con sé. Ab­bastanza marcate appaiono pure le preoccupazioni che la loro presenza sottragga posti di lavoro agli italiani e molti lamentano che lo Stato presti più attenzione alle esigenze dei nuovi venuti che ai compatrioti. Sull'altro versante emerge però una componente solidaristica, che si traduce nel non negare loro un aiuto e soprattutto la grande apertura verso il conferimento dei diritti di cittadinanza a quanti, legalmente e onestamente, vivono e lavorano da tempo nel nostro Paese. Un misto di rigidità e aperture sembra caratterizzare l'atteggiamento dei giovani italiani su questo tema controverso e dibattuto che è peraltro di­venuto centrale nel dibattito e nella contrapposizione fra partiti politici.

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CAPITOLO SESTO

LA RELIGIOSIT À GIOVANILE

Per sondare la religiosità giovanile, la Quinta indagine IARD propone alcune novità che, per la prima volta, per­mettono di farsi un'idea delle appartenenze religiose dei giovani italiani e di esplorare in modo più approfondito le loro credenze. Come nel passato, inoltre, l'indagine consente di tracciare il quadro sintetico della religiosità giovanile nel nostro Paese, di saggiarne la stabilità e di trarre qualche prima indicazione sulla relazione tra atteg­giamenti verso la religione e orientamenti culturali: etica sessuale e familiare, bioetica, etica pubblica, atteggiamen­to nei confronti del fenomeno dell'immigrazione, valori e orientamenti politici e preferenze elettorali.

l . Credenze e appartenenze

L'ultima edizione del questionario IARD contiene una nuova formulazione della domanda sulla credenza. Le ri­sposte previste a questa domanda, oltre a permettere la consueta distinzione tra giovani credenti e giovani non credenti, per la prima volta fanno esplicito riferimento non solo alla religione cattolica ma anche alle religioni cristiane non cattoliche, a quelle monoteiste non cristia­ne, a quelle orientali e alle filosofie new age.

Interpretando queste risposte come affermazioni rela­tive all'appartenenza o alla non appartenenza a una reli­gione (tab. 6. 1 ) , è possibile concludere che i giovani ita­liani «di fede cattolica» sono circa 1'80%, i giovani «di altre fedi» sono il 3 % e i giovani «senza fede» sono circa il 16%. Il profilo delle appartenenze religiose dei giovani è molto simile a quello della popolazione italiana nel suo insieme, tuttavia, mettendo a confronto i risultati della

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T AB. 6. 1 . Credenze e appartenenze a qualche tipo di religione o credo filosofico (%). Confronto tra giovani (15-34 an m) e insieme della popolazione (18-74 anni)

lARD Università (2000) Cattolica

( 1994 )

Religione cristiana cattolica 80,8 88,6 Religione cristiana non cattolica (ortodossa, protestante, ecc.) 1 ,0 1 ,4 Religioni non cristiane monoteiste (religione musulmana, ebraismo, ecc.) 0,2 0,6 Religioni orientali (buddismo, induismo, ecc.) l , l 0,3 Filosofie della new age 0,7 Altro 0,3 Nessuna religione o filosofia trascendentale 15,6 8,8 Non risponde 0,7 0,1

Base 3 .000 4.500

Nota: per i dati dell'Università Cattolica, vedi Cipriani [1995, 1 13 ] .

Quinta indagine IARD e quelli dell'indagine sulla religiosi­tà degli italiani realizzata qualche anno fa dall'Università Cattolica di Milano [Cesareo et al. 1995 ] , si possono no­tare due importanti differenze: coloro che si dichiarano cattolici sono sensibilmente di meno tra i giovani che tra gli italiani nel loro complesso e quelli che si dichiarano non credenti sono notevolmente di più.

Oltre i tre quarti dei giovani credenti considerano im­portanti nella loro vita la religione o il credo che seguo­no. Tuttavia, il grado di importanza attribuito alla religio­ne è assai variabile: solo il 3 5 , 7 % le assegna moltissima o molta importanza mentre il 42 ,4% la ritiene abbastanza importante. È da notare che nella vita del 20, 1 % dei gio­vani credenti, la religione a cui pure dichiarano di crede­re non riveste alcuna importanza o ne riveste poca.

Il quadro delle credenze giovanili è riassunto dalla ta­bella 6.2 che presenta alcune affermazioni teologiche or­dinate secondo il grado decrescente di accordo che rac­colgono. L'affermazione centrale delle religioni monotei-

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ste maggiormente presenti nel nostro Paese (cristianesi­mo, ebraismo e Islam) - unicità di Dio e sua presenza nella storia dell'umanità - è quella che raccoglie il mag­gior grado di accordo. Tale grado, però, risulta inferiore alla percentuale di giovani italiani - 1'82 % - che dichia­rano di appartenere a tali religioni. Le affermazioni sotto­poste al giudizio degli intervistati, inoltre, sono nettamen­te divise in due gruppi secondo il grado di consenso: la non credenza e le credenze più lontane dalla fede cattoli­ca sono sostenute da una minoranza di giovani. Va, tutta­via, sottolineato come la credenza che tutto ciò che ci cir­conda abbia un'anima si collochi nel gruppo delle cre­denze più accettate e come la credenza nella reincarna­zione sia più seguita che l'affermazione esplicita di atei­smo' .

È possibile saggiare il grado di coerenza delle creden­ze giovanili prendendo come punto di riferimento la cre­denza maggioritaria e come termini di confronto l'esplici­ta affermazione di ateismo e alcune credenze estranee o alternative alla tradizione religiosa del nostro Paese.

La percentuale di giovani italiani che hanno una posi­zione coerentemente monoteista, che dobbiamo presume­re sia radicata nella tradizione cattolica italiana, si riduce progressivamente nel confronto con altre opzioni2•

Il confronto tra fede monoteista in «un unico Dio» -presumibilmente, il Dio di Abramo e di Gesù Cristo - e ateismo produce risultati attesi: il 7 1 ,8% dei giovani in­tervistati è d'accordo con l'esistenza di un unico Dio e contemporaneamente in disaccordo con l'affermazione

l Ciò non deve stupire perché in Europa crede alla reincarnazio­ne circa una persona su quattro [Sciolla 1995, 494] .

2 Le variabili originali relative alle credenze sono state dicotomiz­zate escludendo le non risposte. Questa semplificazione produce una perdita di informazione annullando le differenze tra posizioni estreme (es. <<Sono molto d'accordo che esista un unico Dio») e posizioni in­termedie (es. «Sono abbastanza d'accordo che esista un unico Dio»). Le percentuali relative agli atteggiamenti complementari a quelli citati non sono riportate per motivi di spazio.

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TAB. 6.2. Giovani che sono d'accordo (molto o abbastanza) con le seguenti affer­mazioni (%)

Esiste un unico Dio che da sempre è presente nelle vicende umane Tutto ciò che ci circonda (persone, animali, piante) ha un'ani­ma L'esistenza eli Dio non si può dimostrare Dopo la morte la nostra anima si reincarnerà in un'altra forma di vita Tutte le religioni sono un'invenzione dell'uomo perché non esiste alcun dio Esiste un dio ma non si interessa delle vicende umane

Base

74,2

64,8 60,0

20,6

15,5 10,5

3 .000

che dio non esiste. Inoltre, la maggioranza degli intervi­stati, il 70,7 % , è al tempo stesso d'accordo con l'esisten­za di un unico Dio sempre presente nelle vicende umane e in disaccordo con l'affermazione che dio esiste ma non si interessa delle vicende umane.

La coerenza della credenza monoteista appare vacilla­re nel confronto con una credenza del tutto estranea alla tradizione religiosa del nostro Paese, quella nella reincar­nazione. Solo il 59,3 % dei giovani italiani è contempora­neamente in accordo con l' affermazione relativa al mono­teismo e in disaccordo con l'affermazione relativa alla reincarnazione. Per il 16,8% dei giovani italiani la cre­denza in un Dio unico e presente nelle nostre vicende può convivere con la credenza nella reincarnazione del­l' anima dopo la morte in un altro corpo.

Infine, la maggioranza dei giovani italiani, il 54,9%, ritiene che l'affermazione secondo la quale «tutto ciò che ci circonda (persone, animali, piante) ha un'anima» sia compatibile con la credenza in un unico Dio sempre pre­sente nelle vicende umane. Solo il 2 1 ,2 % degli intervista­ti aderisce a una posizione «ortodossa» secondo la quale queste due credenze non sono compatibili.

Insomma, pare proprio che accanto alla credenza fon­damentale delle religioni monoteiste, alle quali appartiene la stragrande maggioranza degli intervistati, i giovani ita-

3 70

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T AB. 6.3 . Giovani che credono in un unico Dio da sempre presente nelle vicende umane per numero di credenze parallele poste accanto a quella mono­teista (%)

Nessuna 23,7 Una 54,0 Due 20,2 Tre 2 ,1

Base 1 . 1 1 3

liani tendano ad affiancare un certo numero di credenze parallele non appartenenti alla tradizione religiosa del no­stro Paese. La tabella 6.3 conferma quest'impressione. Solo un quarto dei giovani che dichiarano di essere d'ac­cordo con l'affermazione sull'unicità di Dio e sulla sua presenza non pone accanto a questa credenza altre cre­denze più o meno estranee. La metà dei giovani ne pone una e un quinto addirittura due.

2 . La pratica e l'impegno

Credenza e appartenenza non sono le uniche dimen­sioni della religiosità e la ricerca IARD consente di inda­garne alcune altre legate al comportamento: l'importanza assegnata all'impegno religioso, la frequenza alle funzioni religiose e la partecipazione alle attività di gruppi o asso­ciazioni di tipo religioso.

Dall'indagine, risulta che il 10,5 % dei giovani italiani considera molto importante l'impegno religioso nella pro­pria vita e il 32% lo considera abbastanza importante (Base = 3 .000) .

Il 4 1 % dei giovani intervistati frequenta le funzioni religiose almeno una volta al mese. Si tratta di una per­centuale inferiore a quella registrata nell'insieme della po­polazione secondo l'indagine dell'Università Cattolica già citata che è pari a quasi il 50% (tab. 6.4) . Le differenze si accentuano se si considera la frequenza assidua alle funzioni religiose; infatti, solo il 27,4 % dei giovani assiste

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TAB. 6.4. Frequenza alla messa o a funzioni di altri culti (%). Confronto tra gio­vani (15-34 anni) e insieme della popolazione (18-74 anni)

Mai l o 2 volte l'anno Più volte l'anno l o 2 volte in 6 mesi Circa una volta al mese 2 o 3 volte al mese Tutte le settimane Ogni giorno o quasi o più volte la settimana

Base

lARD (2000)

33 ,3

25,6 13 ,7 12,3 14,6 0,5

1 .493

Università Cattolica

(1994)

13 ,0 17,6 19,7

6,8 1 1 ,7 25,6

5,5

4.461

Nota: le domande dei due questionari erano leggermente diverse. Il que­stionario lARD chiedeva, infatti: <<Negli ultimi 6 mesi con quale frequenza ha assistito alla Messa o a funzioni religiose di altri culti?>>, mentre quello del­l'Università Cattolica chiedeva: <<Esclusi i matrimoni e i funerali, con quale fre­quenza partecipa alla messa o, se non cattolico, ad altri riti religiosi?>>. Le per­centuali sono calcolate escludendo le non risposte e nella categoria <<Mai>> delle risposte al questionario lARD sono inclusi anche coloro che hanno dichiarato di non credere ad alcuna religione. Per i dati dell'Università Cattolica, vedi Cesa­reo et al. [ 1995, 340].

a tali funzioni almeno 2 o 3 volte al mese contro il 42,8% dell'intera popolazione. Infine, un terzo dei giova­ni intervistati non va mai a messa o ad altre funzioni reli­giose nel giro di 6 mesi.

La pratica religiosa, però, non si esaurisce nella fre­quenza ai riti ma comprende anche la partecipazione alla vita di organizzazioni religiose di vario tipo. La Quinta indagine IARD propone una gamma più ricca che in pas­sato di associazioni o gruppi di natura religiosa ai quali i giovani possono dichiarare di partecipare. L'offerta di as­sociazionismo religioso risulta, così, maggiormente artico­lata comprendendo associazioni e movimenti religiosi (come l 'Azione cattolica o Comunione e Liberazione) , i gruppi parrocchiali, i gruppi scout, i gruppi e le associa­zioni di volontariato sociale e assistenziale3 e i gruppi di

3 I gruppi e le associazioni del volontariato sociale e assistenziale

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TAB. 6.5. Partecipazioni alle attività dei seguenti gruppi e/o associazioni (%)

Partecipano (o hanno partecipato) al­le attività di: - gruppi parrocchiali - associazioni o movimenti religiosi - gruppi o associazioni di volontaria·

to sociale e assistenziale - gruppi scout - gruppi di meditazione, yoga, ecc.,

che si rifanno a filosofie orientali

Base = 1 .500

Attualmente

8,9 6,3

7,5 1 ,5

1 ,7

In passato

29,1 14 ,9

12,9 9,1

3 ,0

meditazione, di yoga e di altre pratiche che si rifanno alle filosofie orientali. Dall'indagine risulta che quote signifi­cative di giovani italiani - dal 38% dei gruppi parroc­chiali a quasi il 5 % dei gruppi di meditazione orientale ­sono o sono stati coinvolti nelle attività di organizzazioni e gruppi religiosi (tab. 6.5 ) .

Attualmente, il 17,9% dei giovani italiani partecipa alla vita di qualche gruppo o associazione di tipo religio­so: 1 ' 1 1 ,9% partecipa alle attività di un solo gruppo o di una sola associazione mentre il 6% partecipa alle attività di più di un'organizzazione.

3 . Il quadro della religiosità giovanile e la sua stabilità

I dati raccolti consentono di tracciare un quadro sin­tetico della religiosità giovanile in Italia alle soglie del nuovo millennio. Nonostante la quota di atei sia maggio­re tra i giovani che nell'insieme della popolazione, la stra­grande maggioranza dei giovani italiani dichiara di crede­re e si riconosce in una religione monoteista. La credenza

non sono necessanamente organizzazioni di tipo religioso. Tuttavia, esse sono state incluse in quest'analisi perché vedono la partecipazio­ne di molti giovani religiosi.

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in un unico Dio è quella più seguita. Essa, tuttavia non è fatta propria da tutti nella stessa misura: la piena adesio­ne alla credenza monoteista riguarda meno della metà de­gli intervistati (il 45,6% ) - quelli che si dicono molto d'accordo con l'affermazione che «Esiste un unico Dio che da sempre è presente nelle vicende umane» - mentre quasi un terzo (il 28,6%) vi aderisce in modo parziale. Inoltre, la maggior parte dei giovani tende ad affiancare a tale credenza una o più credenze parallele estranee alla tradizione religiosa del nostro Paese. La maggioranza dei giovani italiani ritiene che la religione occupi un posto importante nella sua vita: quasi un terzo (il 30,1 % ) la considera molto importante e poco più di un terzo (il 35 ,8% ) la considera abbastanza importante. I giovani re­ligiosamente impegnati sono, invece, meno della metà de­gli intervistati. Per alcuni (il 10,5 % ) l'impegno religioso è una cosa molto importante, per altri (il 32,0%) , esso lo è un po' meno. Di fatto, una minoranza di giovani, anche se consistente (il 4 1 %) , frequenta le funzioni religiose al­meno una volta al mese mentre, se si considera la fre­quenza assidua alle funzioni, i giovani praticanti sono di meno (il 27,4 % ) e ancora di meno (il 17 ,9%) sono colo­ro che partecipano attualmente alla vita di gruppi o asso­ciazioni di tipo religioso.

In conclusione, quasi tutti i giovani italiani mostrano di essere in grado di operare una scelta tra credenza e non credenza, di individuare le diverse tradizioni religio­se presenti, da molto o da poco tempo, sul territorio na­zionale e di riconoscersi in una di esse. Nonostante l 'of­ferta religiosa nel nostro Paese sia ormai piuttosto ampia [Pisati 1998] , però, il grado di «pluralismo delle fedi» a livello giovanile resta assai limitato. I giovani italiani orto­dossi, evangelici o di altra confessione cristiana sono solo l' l % ; i giovani ebrei o mussulmani sono pochissimi e i giovani che aderiscono a religioni orientali o a filosofie new age sono poco meno del 2 % .

Il pluralismo religioso, tuttavia, non si esaurisce nel «pluralismo delle fedi». L'esame delle credenze giovanili, mettendo in luce che la piena adesione alla credenza mo-

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noteista riguarda solo una minoranza degli intervistati e che la maggior parte dei giovani tende ad affiancare a tale credenza una o più credenze parallele estranee alla tradizione religiosa del nostro Paese, suggerisce che an­che a livello giovanile si stia affermando una tendenza a costruirsi un'identità religiosa personale caratterizzata dalla presenza di credenze eterogenee e talvolta formal­mente incompatibili. Una tendenza simile è già stata ri­scontrata tra gli adulti [Garelli 1995 , 57 -60] ed è stata in­terpretata come indizio di un processo di affermazione di un pluralismo religioso basato su scelte individuali e/ o del pluralismo interno al cattolicesimo romano [Marchi­sio 1998] .

I dati raccolti si prestano a conclusioni già proposte in occasione della precedente indagine. In primo luogo, la religiosità giovanile continua a mostrare la forma «a scalare» già osservata in passato. Se più dell'SO% dei gio­vani si dichiarano credenti e si riconoscono in una tradi­zione religiosa, la credenza nell'esistenza di un unico Dio raccoglie l'adesione di poco meno del 75 % degli intervi­stati mentre la religione è ritenuta un elemento importan­te nella vita di poco più del 65 % dei giovani. Infine, cir­ca il 40% degli intervistati ritengono importante l'impe­gno religioso e frequentano le funzioni religiose almeno una volta al mese.

In secondo luogo, la religiosità si presenta come un fenomeno non solo a molte dimensioni ma anche a molte intensità. Tra i giovani più religiosi e quelli non religiosi continua a esserci una zona intermedia di ampiezza varia­bile popolata da giovani che esprimono una religiosità a bassa intensità, un'adesione non pienamente convinta alle credenze, un coinvolgimento parziale nella pratica e nel­l'impegno religiosi.

Concentrando l 'attenzione sui giovani che esprimono l'atteggiamento maggiormente positivo nei confronti della religione e limitando l'analisi alle coorti di età sempre presenti nelle cinque indagini IARD sulla condizione gio­vanile in Italia, è possibile constatare la stabilità del qua­dro della religiosità giovanile nell'arco di quasi vent'anni

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T AB. 6.6. Il cambiamento degli atteggiamenti verso la religione nei giovani italia­ni più religiosi tra i 15 e i 24 anni: 1983-2000 (%)

La religione è importante nella mia vita (molto, moltissimo) Frequento le funzioni religiose tutte le settimane o 2-3 volte al mese L'impegno religioso è molto im­portante nella mia vita Ho partecipato più di 2 volte ne­gli ultimi tre mesi alle attività di un'organizzazione religiosa o par­rocchiale Partecipo attualmente alle attività di associazioni o movimenti reli­giosi o di gruppi parrocchiali Ritengo l'organizzazione religiosa o parrocchiale la più importante tra quelle a cui partecipo Le associazioni religiose o i grup­pi parrocchiali sono le organizza­zioni alle quali non vorrei mai ri­nunCiare Ho molta fiducia nei sacerdoti

1983 1987 1992 1996 2000

26,9 30,8

36,4 36,7

12,2 12,4

26,0 27,3

18,4 18,7

8,5 1 1 , 1

32,9 34,5

34,9 34,8

13 ,2 13 ,6

15,8 17,3

17,2 17,8

12,7 1 1 ,3

29,1

3 1 ,6

10,7

15,5

9,0 9,9

(tab . 6.6) . I valori dei sei indicatori in esame oscillano di poco. L'unica tendenza individuabile è quella di una lie­ve ma continua tendenza alla diminuzione della pratica religiosa regolare. In quasi vent'anni, la percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che partecipano a una funzio­ne religiosa almeno due o tre volte al mese è diminuita di circa 5 punti. Gli indicatori relativi alla partecipazione as­sociativa non sono direttamente comparabili, tuttavia sembra che i dati raccolti nel 2000 non segnino un'inver­sione di tendenza rispetto alla caduta nella partecipazione avvenuta tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta.

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4. I giovani cattolici

La possibilità di distinguere l'appartenenza religiosa dei giovani italiani, permette di approfondire l'analisi del gruppo di giovani credenti di gran lunga più consistente, quello dei giovani cattolici. Dai risultati dell'indagine, è possibile trarre alcune conclusioni.

- Se si considera la fiducia nei sacerdoti strettamente legata alla fiducia nella chiesa e quest'ultima una misura dell'intensità del senso di appartenenza a una confessione religiosa [Garelli e Offi 1996, 12] , risulta che poco più della metà dei giovani cattolici nutre un senso di apparte­nenza, più o meno forte, alla propria confessione religiosa.

- Considerando la frequenza alla messa come un indi­catore del grado di integrazione degli individui nel cattoli­cesimo [Michelat 1990, 629] , si può concludere che un terzo dei giovani cattolici italiani è pienamente integrato nella Chiesa cattolica romana, circa un sesto lo è parzial­mente mentre circa la metà lo è debolmente o per nulla.

- Attualmente, la rete associativa cattolica riesce a coinvolgere circa un quinto dei giovani cattolici e un po' meno della metà di quelli che vanno a messa almeno una volta al mese. È, però, degno di nota che poco meno del­la metà dei giovani cattolici partecipa nel corso della pro­pria vita alle attività di un gruppo parrocchiale e, soprat­tutto, che un quarto dei giovani cattolici partecipa a un'esperienza di associazionismo religioso e un quinto fa un'esperienza di impegno nel volontariato.

5 . Religione e cultura

È stato proposto di considerare la religione, «un'attivi­tà sociale regolare che implica una relazione con un potere carismatico» [Willaime 1996, 132 ] . Più specificamente, perché si possa parlare di religione sono necessari alcuni elementi: la presenza di un carisma fondatore; una comu­nicazione simbolica regolare mediante riti e credenze; la creazione di un legame sociale mediante la costituzione di

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organizzazioni e la sedimentazione di una cultura. La pre­senza di un carisma fondatore si riferisce all'esistenza di un maestro la cui autorità è legittimata dal carisma che gli viene riconosciuto. Nel tempo, in modi diversi, tale cari­sma viene trasmesso stabilendo una discendenza, cioè fon­dando una tradizione. La trasmissione del carisma, e l' au­torità esercitata richiamandosi a esso, generano una comu­nicazione simbolica che avviene tramite la partecipazione regolare a riti e l'adesione a credenze. T al e trasmissione, inoltre, porta alla creazione di gruppi più o meno organiz­zati e alla formazione di una cultura attraverso la quale si esprime e si vive una certa concezione del mondo e del­l'umanità. Si può, quindi, ritenere che, dal punto di vista individuale, essere religiosi significhi fare propria una tra­dizione di cui si riconosce il carisma fondatore, aderire a determinate credenze, eventualmente rielaborandole, par­tecipare regolarmente a riti, far parte di gruppi o organiz­zazioni, possedere una certa concezione del mondo e del­l'umanità e vivere di conseguenza. Tra religione e cultura esisterebbe, quindi, uno stretto legame.

I dati raccolti dalla Quinta indagine IARD permettono di procedere a una prima verifica dell'esistenza di tale le­game a livello giovanile. È, infatti, possibile individuare nel campione dei giovani intervistati due gruppi che esprimono atteggiamenti religiosi molto differenti - se non opposti - e verificare se i loro orientamenti valoriali siano o meno differenti4•

4 Recentemente, alcune delle principali tipologie della religiosità proposte in Italia sono state esaminate criticamente [Marchisio e Pisa­ti, 1999] . In particolare, ne sono stati messi in evidenza alcuni limiti metodologici relativi alla definizione delle dimensioni fondamentali del fenomeno in esame, alla scelta di appropriati indicatori empirici, all'utilizzo di appropriate tecniche di costruzione delle tipologie e di identificazione dei casi. Qui non si propone una tipologia completa della religiosità giovanile perché la domanda relativa all'appartenenza - che abbiamo utilizzato per determinare l'eventuale riferimento a una tradizione religiosa - non consente di discriminare tra diverse tradizio­ni cristiane non cattoliche e tra diverse tradizioni non cristiane. Inol­tre, come si è visto, i giovani di «altre fedi» rappresentano una quota

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Da un lato, seguendo la definizione di religione sopra citata, si possono raggruppare i giovani che si riconosco­no nella tradizione cattolica, aderiscono con convinzione alla credenza monoteista e vanno a messa almeno una volta al mese5. Dall'altro, come gruppo di controllo, si possono individuare i giovani che non fanno riferimento ad alcuna tradizione religiosa, ritengono che non esista un dio unico e sempre presente nelle vicende umane e non frequentano mai funzioni religiose.

La tabella 6.7 fornisce alcune informazioni su questi due gruppi. Essa ci dice, innanzitutto, quale sia l 'orienta­mento valoriale dei giovani cattolici e dei giovani non re­ligiosi di fronte a diversi temi etici e politici. Per esem­pio, la maggioranza dei giovani cattolici ritiene ammissi­bile il divorzio mentre solo una minoranza, anche se piut­tosto consistente, ritiene ammissibile l'aborto. La tabella, però, fornisce pure informazioni su ciò che interessa

piccolissima del campione. Tralasciando, perché poco numerosi, que­sti giovani, resta ovviamente la possibilità di indagare i diversi modi di essere «giovani cattolici» sulla base delle altre due dimensioni scelte: la credenza e la pratica. Rispetto alla credenza, abbiamo scelto di con­centrare l'attenzione su quella maggioritaria, la credenza in un unico Dio, a cui è possibile aderire pienamente («molto d'accordo»), par­zialmente («abbastanza d'accordo» e <<poco d'accordo») o non aderire affatto (<<per niente d'accordo»). Rispetto alla pratica, abbiamo preso in considerazione solo la frequenza alle funzioni religiose (ma si do­vrebbe includere anche la partecipazione ad attività associative o di gruppo) che può essere regolare (<<almeno una volta al mese»), saltua­ria (<<l o 2 volte in sei mesi») o assente (<<mai in 6 mesi»). Non siamo, però, convinti delle possibili interpretazioni da dare ai diversi tipi di religiosità che ricadono nell'ampia zona intermedia tra i due poli co­stituiti dai giovani <<religiosi cattolici» e dai giovani <<non religiosi». Abbiamo, perciò, preferito concentrare l'attenzione su questi due tipi polari e indagare i loro orientamenti valoriali tralasciando la costruzio­ne di una tipologia della religiosità giovanile. Il nostro modo di proce­dere non si sottrae a una delle critiche sopra ricordate, infatti l'asse­gnazione dei casi ai due gruppi di giovani è automatica e trascura i problemi relativi agli errori di misurazione e di campionamento.

5 Seguiamo qui l'indicazione di Willaime [1996, 53] , come di al­tri studiosi, di considerare praticanti regolari anche quei cattolici che vanno a messa con cadenza mensile.

3 79

Page 382: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 6.7. Orientamenti etici e politici dei giovani religiosi cattolici e dei giovani non religiosi (%)

Etica sersuale e familiare La famiglia è molto impor­tante è ammirsibile . . . Avere rapporti sessuali sen­za essere sposati Avere esperienze omoses­suali

è ammissibile . . .

Divorziare Convivere senza essere spo­sati Avere una relazione con una persona sposata

Bioetica è amminibile . . .

Abortire Autorizzare la morte di un parente gravemente amma­lato e senza speranze di guarigione Autorizzare l'utilizzo degli organi di un parente dece­duto per trapianti Utilizzare tecniche artificiali per avere figli

Etica pubblica è ammirsibile . . . Viaggiare sui trasporti pub­blici senza pagare Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Produrre danni a beni pub­blici

D'accordo con la pena di morte m caso di delitti molto gravi

Giovani religiosi cattolici

(%)

93 , 1

77,2

38,4

63,4

79,3

32,6

32,5

35,4

84,7

66,7

3 1 ,9

18,0

2 ,9

29,0

Giovani Relazione non statisticamente

religiosi significativa? (%)

70,0

94,2

68,8

88,8

96,3

63,0

74,2

69,0

90,3

84,0

54,5

26,6

8,5

20,4

380

No

No

No

No

Q di Yule OR (valore non

assoluto) religiosi! cattolici

0,70

0,65

0,56

0,64

0,74

0,56

0,71

0,61

0,45

0,44

0,17

4,77

3 ,53

4,59

6,78

3 ,51

5,98

4,06

2,63

2,56

(segue)

Page 383: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 6. 7. (segue)

L'immigrazione sono d'accordo che . . . Gli immigrati v1vono in condizioni difficili ed è compito nostro aiutarli come possiamo Gli immigrati che vivono in Italia contribuiscono a un arricchimento culturale del nostro Paese

Gli stranieri che da tempo lavorano legalmente in Ita­lia e pagano le tasse do­vrebbero poter ottenere la cittadinanza italiana

La politica: consenso per valori fondamentali Eguaglianza sociale Solidarietà Libertà e democrazia Patria

La politica: autocollocazione sull'asse sinistra-destra Punteggio medio

La politica: le preferenze elettorali Primo partito per consensi raccolti Secondo partito

Giovani religiosi cattolici

Giovani Relazione

(%)

non statisticamente religiosi significativa?

(%)

75,8

49,9

82,6

87,8 95,5 90,8 62,2

5,9

74,6

60,9

82,7

85,4 86,9 93,5 33 ,5

3 ,9

AN Ds (33,2%) (30,1 %)

FI PRC (22,1 %) (28,2%)

No

No

No

No Sì

No Sì

Q di Yule OR (valore non

assoluto) religiosi/ cattolici

0,53 0,35

0,46 0,28

Nota: i giovani religiosi cattolici rappresentano il 27% (N = 405) e i gio­vani non religiosi il 13 ,5% (N = 202) del campione di 1 .500 intervistati utiliz­zato per costruire questa tabella. La tabella si basa su tavole di contingenza <<2 per 2>> (escludendo le non risposte e i «non so>>). l valori del Chi quadro sono stati calcolati per (a = 0,001 . I valori degli odds-ratio (OR) segnalano quante volte i giovani non religiosi sono più propensi dei giovani cattolici a ritenere ammissibile un certo comportamento o a essere d'accordo con una certa affer­mazione. La scala dell'asse sinistra-destra varia dal punteggio l (estrema sini­stra) al punteggio 10 (estrema destra) .

381

Page 384: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

maggiormente in questa sede: l'esistenza e l'intensità della relazione tra religione e cultura.

Risulta, così, che la religione «conta» nei campi del­l'etica sessuale e familiare e in quello della bioetica men­tre non conta o conta di meno nel campo dell'etica pub­blica e di fronte al fenomeno dell'immigrazione.

A quest'ultimo proposito è interessante notare che i giovani cattolici e i giovani non religiosi esprimono una posizione molto simile, e favorevole, nei confronti degli immigrati. Essi dimostrano di essere entrambi d'accordo su questioni cruciali come la concessione della cittadinan­za agli immigrati, l'aiuto nei loro confronti e, se p pure in misura sensibilmente minore, sull'arricchimento culturale che essi possono offrire. Questo atteggiamento comune è tanto più significativo se si considera che, come si vedrà, la maggioranza dei giovani che esprimono una preferenza elettorale appartenenti a questi due gruppi ha una collo­cazione politica molto differente.

Laddove la relazione tra differenti atteggiamenti verso la religione e orientamenti etici esiste, essa appare più forte in alcuni casi che in altri. Nell'ambito dell'etica ses­suale, essere un giovane cattolico piuttosto che un giova­ne non religioso conta un po' di più di fronte al giudizio di ammissibilità dei rapporti sessuali al di fuori del matri­monio che non di fronte all'ammissibilità delle esperienze omosessuali. Nell'ambito dell'etica familiare, conta un po' di più nella valutazione dell'importanza della famiglia e di fronte al giudizio di ammissibilità della convivenza che non di fronte all'ammissibilità del divorzio o, ancor meno, di una relazione con una persona sposata. Nel­l' ambito della bioetica, essere cattolici piuttosto che esse­re non religiosi conta molto nel giudizio di ammissibilità dell 'aborto e dell'eutanasia, meno nel giudizio di ammis­sibilità dell'inseminazione artificiale, e non conta affatto nel caso dell'autorizzazione all'espianto.

È da notare che negli ambiti esaminati fin qui, la rela­zione tra religione e cultura appare più stretta in due casi: quello del giudizio di ammissibilità dell'aborto e quello del giudizio di ammissibilità della convivenza fuori del

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Page 385: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

matrimonio. Sul primo caso, c'è poco da dire: l' opposizio­ne della Chiesa cattolica all' aborto è molto ferma e ben conosciuta ed è tale da influenzare notevolmente gli orientamenti dei giovani a essa più vicini. Nel secondo caso, sebbene la convivenza sia largamente accettata tra i giovani, anche tra quelli cattolici, l'influenza della dottrina cattolica si fa evidentemente ancora sentire. Si potrebbe ipotizzare che tale influenza giochi un ruolo nella spiega­zione della minore quota di giovani italiani che convivono rispetto a quella dei giovani di altri paesi europei.

In ambito politico, infine, la religione conta nel valu­tare l'importanza di alcuni valori fondamentali come quelli della solidarietà e della patria ma non di altri come l'eguaglianza sociale, la libertà e la democrazia. L' adesio­ne dei giovani cattolici e dei giovani non religiosi a questi ultimi valori è altissima in entrambi i casi.

I giovani cattolici si collocano al centro dell'asse sini­stra-destra e preferiscono votare Alleanza Nazionale o Forza Italia mentre i giovani non religiosi si collocano un po' più a sinistra e preferiscono votare Democratici di Si­nistra o Rifondazione comunista. Queste ultime informa­zioni vanno accolte con prudenza perché solo il 60% dei giovani dei due tipi individuati sono propensi a collocarsi lungo l'asse sinistra-destra e poco meno del 50% espri­mono una preferenza elettorale per un partito. È, comun­que, degno di interesse che i partiti che più direttamente si richiamano al cattolicesimo politico e all'eredità della Dc - non importa se collocati nel centro-destra o nel centro-sinistra - raccolgono le preferenze di meno dell'8% dei giovani religiosi cattolici.

383

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Page 387: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

CAPITOLO SETTIMO

SCIENZA E NUOVE TECNOLOGIE

l . I giovani e la scienza

Gli anni intercorsi tra la precedente indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia e l'attuale sono stati ricchi di interesse dal punto di vista dell'esposizione pub­blica della scienza e della penetrazione della tecnologia nell'ambito della vita quotidiana. Da un lato, infatti, si è assistito a una moltiplicazione di temi collegati alla scien­za e alla medicina nell'arena pubblica italiana, con vicen­de quali la mucca pazza, il caso Di Bella e il dibattito sul­le biotecnologie. Dall'altro, strumenti quali Internet e i telefoni cellulari si sono ·diffusi in modo massiccio, so­prattutto tra le nuove generazioni. Assume particolare in­teresse, dunque, verificare se a queste dinamiche sia cor­risposto un diverso atteggiamento nei confronti della scienza e delle sue conseguenze tecnologiche.

Uno dei risultati di spicco dell'indagine compiuta nel 1996 era l'elevatissimo grado di fiducia che i giovani a t­tribuivano agli scienziati, risultati al primo posto nella graduatoria che comprende varie categorie professionali e istituzioni. Un dato che risulta oggi largamente conferma­to: la fiducia negli scienziati coinvolge quasi la generalità del campione tra i 15 e i 29 anni (84,2 %) , quello cioè confrontabile con la precedente rilevazione. Il dato non cambia se si prende in considerazione l'intero campione: nel complesso, 1'84 ,7 % ha una certa fiducia nei profes­sionisti della ricerca, il che mette questa categoria netta­mente in testa alla graduatoria. Le uniche differenze di qualche rilievo in relazione a questo giudizio si riscontra­no dal punto di vista del livello culturale familiare: tra i giovani di elevata estrazione culturale il giudizio di «mol­ta fiducia» nei confronti degli scienziati raggiunge il

385

Page 388: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

39,4 % , contro il 33% tra i giovani di più modesta estra­zione culturale. La fiducia negli scienziati è massima tra quei giovani che attribuiscono un'elevata importanza agli interessi culturali: tra chi dichiara di apprezzare partico­larmente questi valori il giudizio di fiducia negli scienziati coinvolge 1'89%, contro il 68,6% tra coloro che non at­tribuiscono alcun valore alla cultura.

Il quadro si complica nel momento in cui si vanno ad analizzare più in dettaglio i giudizi sull'impresa scientifica. I giovani italiani, infatti, sembrano nutrire grande fiducia, oltre che negli scienziati, nella possibilità che la scienza possa avere un impatto benefico sulla vita di tutti i giorni. Circa due giovani su tre (68,3 %) non concordano con l'affermazione, proposta nel questionario, secondo cui la scienza sarebbe ormai divenuta troppo specializzata per poter essere utile alla gente comune. Allo stesso tempo, però, il pubblico giovanile sembra in buona misura sensi­bile anche ai rischi connessi alla ricerca scientifica e alle sue applicazioni: il 57,6% ritiene ad esempio che lo svi­luppo scientifico e tecnologico comporti rischi difficili da controllare. I giudizi risultano divisi anche sulle nuove prospettive aperte dalle biotecnologie: quasi un giovane su due non ritiene che l'ingegneria genetica possa miglio­rare la qualità della vita e dell'ambiente. Più della metà, infine, non è d'accordo sull'opportunità di praticare qual­siasi tipo di sperimentazioni - quali quelle sugli animali -che non coinvolgano esseri umani.

Su questi giudizi sembrano pesare in misura poco si­gnificativa le caratteristiche degli intervistati; le rare ecce­zioni sembrano riguardare soprattutto le opinioni sull' ec­cessiva specializzazione della ricerca - gli ultratrentenni e i giovani di più modesta estrazione socioculturale consi­derano più spesso degli altri la scienza troppo lontana dalla vita quotidiana. In particolare, nella fascia di età più elevata (30-34 anni), quasi un terzo ritiene che la ricerca scientifica contemporanea sia divenuta troppo specializza­ta (tra i 15- 17enni la quota corrispondente è quasi la metà) . Interessante notare come un basso livello culturale familiare sia con maggior frequenza associato anche a un

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Page 389: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 7 . l . Grado di accordo con una serie di affermazioni sulla scienza (%)

La ricerca scientifica è ormai troppo specializzata per po­ter essere utile alla gente co­mune Lo sviluppo scientifico e tec­nologico comporta rischi che è difficile controllare Lo sviluppo dell'ingegneria genetica migliorerà la qualità della vita dell'uomo e la con­dizione dell'ambiente Deve essere consentita ogni tipo di sperimentazione pur­ché non coinvolga esseri umani

N = 1 .500

Molto Abbastanza Poco Per niente d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo

5,3 18,4 36,7 3 1 ,6

14,3 43,4 26,5 7,6

7,9 32,5 29,9 14,3

16,1 22,9 24,9 26,6

giudizio pos1t1vo sulle sperimentazioni che coinvolgono animali: il 19 , l % dei giovani di estrazione culturale più modesta (contro il 10% tra i giovani di più elevato back­ground culturale familiare) si dichiara «molto d'accordo» sulla possibilità di consentire qualunque sperimentazione che non coinvolga esseri umani.

Un altro indicatore utile per comprendere il rapporto tra giovani e scienza è dato dalla propensione degli inter­vistati a esporsi a contenuti sulla scienza nei mass media. Il 40,7 % , ad esempio, si sofferma con una certa frequen­za a leggere articoli sulla scienza nella stampa quotidiana. Questa propensione appare particolarmente diffusa nelle fasce di età centrali ( 18-24 anni) , dove una quota quasi doppia ( 15 % ) rispetto alla fascia adolescenziale (8% ) e a quella più adulta (8,9% ) dichiara di seguire molto spesso le notizie scientifiche nei quotidiani. Leggermente più diffusa, nel complesso (46,2 % ) l'abitudine a seguire pro­grammi televisivi dedicati alla scienza. Quest'ultima abi­tudine, a differenza della precedente, sembra crescere in modo lineare con l'età: se poco più di uno su tre tra i 15-17enni afferma di guardare molto o abbastanza frequen-

387

Page 390: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

temente programmi Tv su scienza e natura, gli stessi comportamenti coinvolgono oltre un intervistato su due tra i 30-34enni (52 ,9%) . Solo il primo dei due tipi di consumo mediale pare discriminare i giov_ani sulla base della loro provenienza sociale e culturale: i lettori assidui di rubriche e notizie scientifiche sui quotidiani sono in­fatti lievemente più numerosi tra i giovani di più elevato background culturale familiare. Anche il livello di istru­zione e il settore di studi influiscono sul grado di interes­se per l'informazione scientifica nella stampa quotidiana: la segue con una certa regolarità quasi un laureato su due (48,6%) contro meno di un giovane su tre tra coloro che possiedono la licenza media inferiore. Tra gli studenti di facoltà universitarie di tipo scientifico (medicina esclusa) i lettori abituali raggiungono il 77 ,2 % .

L'interesse per l'informazione scientifica nella stampa quotidiana - a differenza del consumo di scienza in Tv -si presenta collegato agli atteggiamenti nei confronti della scienza. Quasi un giovane su due tra coloro che dichiara­no di avere molta fiducia negli scienziati, ad esempio, è anche un lettore assiduo di notizie scientifiche nei giorna­li (47 ,3 %) ; tra i più sfiduciati è circa un giovane su dieci a manifestare un interesse significativo per questo tipo di notizie (10,7%) .

In altre parole, mentre il consumo di informazione scientifica sulla carta stampata appare in buona misura concentrato in una fascia selezionata della popolazione giovanile, di medio o elevato profilo culturale, spesso già interessata alle tematiche scientifiche e in generale già orientata favorevolmente nei confronti dell'impresa scien­tifica e dei suoi protagonisti, il consumo di programmi Tv su scienza e natura sembra seguire dinamiche netta­mente diverse. In questo senso, si confermano in riferi­mento al pubblico giovanile quelle ipotesi che vedono confluire sotto la comune - e probabilmente fuorviante -etichetta di «divulgazione scientifica», pratiche comunica­tive e generi mediali nettamente diversi tra di loro. Da un lato, l'informazione e l'aggiornarp.ento su temi scientifici, spesso molto specifica, che viene offerta dalla carta stam-

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pata; dall'altro, un'offerta di «scienza in TV» che viene probabilmente fruita perlopiù come intrattenimento. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, soprattutto alla luce dei dibattiti che si sono scatenati nel nostro paese sulla scia di vicende come il caso Di Bella o sul tema del­le biotecnologie - nel corso dei quali numerosi cammeo­tatori hanno puntato l'indice contro un presunto «analfa­betismo scientifico» della popolazione italiana, considera­to la causa di atteggiamenti e pregiudizi negativi nei con­fronti della scienza 1 •

Si è detto come, perlomeno in riferimento alla popo­lazione giovanile, i livelli di fiducia nella scienza appaiano in realtà piuttosto elevati. Nello stesso tempo, appare dif­ficile non tenere conto di una sorta di «comma 22» che anche tra i giovani pare caratterizzare la comunicazione pubblica della scienza. Le comunicazioni più «informati­ve» e che più paiono collegarsi ad atteggiamenti favore­voli nei confronti della scienza, raggiungono un pubblico selezionato e stabile nel tempo - quello che, con ogni probabilità, ne avrebbe meno «bisogno», dal punto di vi­sta di coloro che invocano più informazione come garan­zia di maggiore apertura nei confronti della scienza; d'al­tra parte, la comunicazione a più ampio spettro (come nel caso dei programmi Tv su scienza e natura) e dalla fruizione più diffusa non pare incidere in misura signifi­cativa sugli atteggiamenti e gli orientamenti. Per fare un esempio estremo: tra coloro che guardano più spesso tra­smissioni Tv sulla scienza la quota di quanti si dichiarano favorevoli alla sperimentazione sugli animali è inferiore (24 ,7 %) a quella di coloro che si dichiarano assolutamen­te contrari a tali sperimentazioni2 •

l Si veda ad esempio il documento redatto da giornalisti e scien­ziati in occasione della «vicenda Di Bella», pubblicato su «Il Sole-24 Ore» del 27 gennaio 1998, e l'intervento del segretario della CGIL Ser­gio Cofferati su «Il Sole-24 Ore» del lO gennaio 1 999 («È l'analfabeti­smo la vera emergenza»), p. 30. Per una panoramica più generale cfr. Lewenstein [1995] .

2 Il rapporto non lineare tra consumo di scienza nei media, di-

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40

30

20

10

o

12,1 12,5

Molto spesso

37,9 37,8

Abbastanza spesso Di rado Mai

D 1996 D 2000

FIG. 7 . 1 . Lettura di notizie scientifiche sulla stampa quotidiana - confronto 1996-2000 (%, N = 1 . 152).

50 43 ,4 40

39,3

30

20 15,2

lO

o Molto spesso Abbastanza spesso Di rado Mai

D 1996 D 2000

FIG. 7.2. Consumo di programmi Tv su scienza e natura - confronto 1996-2000 (%, N = 2.297) .

Limitato ai 15-29enni, il confronto con la rilevazione evidenzia un certo calo nell'interesse per la scienza in TV,

che nel 1996 coinvolgeva con una certa assiduità oltre sei giovani su dieci. Sostanzialmente invariati, invece, come si è accennato, i livelli di attenzione per le notizie scienti­fiche sulla stampa quotidiana.

sponibilità di informazioni scientifiche e atteggiamenti nei confronti della scienza emerge ad esempio molto chiaramente nell'ambito delle biotecnologie. Cfr. Bucchi e Neresini [2000b] .

390

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2 . Innovazione tecnologica e nuovi media

La figura 7.3 mostra invece i giudizi dei giovani italia­ni su una serie di innovazioni tecnologiche. Per ciascuna di queste si chiedeva di valutare se avesse portato più vantaggi, più svantaggi o una combinazione di vantaggi e svantaggi tali da bilanciarsi reciprocamente.

Come si vede, l'innovazione nel complesso ritenuta più positiva è senz'altro quella del computer.

Il 79,6% dei giovani italiani ritiene che questa abbia portato soprattutto benefici. Subito dopo viene un'altra innovazione nella stessa area, Internet, ritenuta benefica da circa due giovani su tre e svantaggiosa da un'esigua minoranza. Treni ad alta velocità, telefoni cellulari e pil­lola anticoncezionale condividono in linea di massima lo stesso mix di giudizi positivi e negativi: un po' meno del 50% le ritiene decisamente positive, il resto si colloca prevalentemente su giudizi di equilibrio tra vantaggi e svantaggi. L'unica innovazione di cui vengono maggior­mente evidenziati gli aspetti negativi è quella dei fertiliz­zanti chimici, ritenuti benefici solo dal 5,7 % contro un 53 ,5 % di giudizi che ne enfatizzano gli svantaggi.

In generale, il giudizio positivo su tutte le innovazioni appare più diffuso tra i giovani che esprimono maggiore fiducia nei confronti degli scienziati e giudizi più positivi nei confronti della scienza - ritenendola, ad esempio, vi­cina alle esigenze della gente comune oppure meno forie­ra di rischi. Computer, Internet e pillola anticoncezionale sono giudicati più positivamente dai giovani di più eleva­ta estrazione culturale; computer e Internet registrano an­che giudizi più favorevoli da parte dei soggetti di sesso maschile. Il computer - ma non Internet - risulta anche più frequentemente citato come innovazione tecnologica positiva da parte dei ragazzi più giovani, mentre i giudizi positivi su Internet, treni ad alta velocità e sullo stesso computer sono abbinati a livelli più elevati di esposizione mediale a contenuti di carattere scientifico. Il giudizio ne­gativo sui fertilizzanti chimici si attenua fortemente in coincidenza di atteggiamenti positivi nei confronti della

391

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100

80

60

40

20

0 +-�--���aL����-L��--�� Computer Internet Cellulari Treni ad Fertilizzanti Pillola

alta velocità anticoncezionale

D Vantaggi D Uguale • Svantaggi

Fie. 7 .3 . Giudizi su una serie di innovazioni tecnologiche (%, N = 1 .500).

scienza: in particolare, tra coloro che guardano con pm favore all'ingegneria genetica la quota di giudizi negativi sui fertilizzanti scende al 3 7 ,3 % contro il 7 1 % tra gli op­positori delle biotecnologie.

Interessante invece notare come le opinioni sulla tele­fonia cellulare siano assolutamente indiscriminate sotto tutti questi punti di vista, segno di uno strumento che or­mai non è più percepito come innovazione scientifico-tec­nologica ma pienamente assorbito nell'ambito della vita quotidiana.

L'affinità tra giovani e nuove tecnologie nell'area della comunicazione (i cosiddetti new media) pare dun­que uno dei temi più meritevoli di attenzione nella quinta indagine IARD. Quattro giovani su dieci, ad esempio, utilizzano il computer tutti i giorni (4 1 ,5 % ) mentre uno su tre non lo usa mai. Circa uno su cinque è anche navigatore assiduo su Internet (2 1 ,9%) , mentre un altro quarto (27 ,4 % ) la utilizza occasionalmente. Solo il 23,9%, in compenso, utilizza anche occasionai­mente la posta elettronica. Più diffuso, anche se non particolarmente assiduo, appare l 'uso del computer per giocare con i videogame (lo fa almeno occasionalmente il 4 3 ,4 % ) , mentre meno frequentemente i giovani utiliz­zano il PC per consultare Co-ROM. Sostanzialmente ge­neralizzati appaiono invece l 'uso del telefono cellulare e m particolare quello dei brevi messaggi di testo. Quasi

392

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100

80

60

40

20

o+-������_L����L_�_L������_L� Pc Internet E-mail Cd-Rom Videogames Cellulare Sms

D Maschi D Femmine

FIG. 7.4. Utilizzo regolare di new media - confronto maschi e femmine (%, N = 1 .428) .

tre giovani su quattro (7 1 , 9%) dichiarano di utilizzare quotidianamente il telefono cellulare - se si aggiungono gli utilizzatori meno assidui si arriva all'85 ,8% - mentre circa uno su due invia ogni giorno messaggi dal telefono e nel complesso utilizza questa possibilità il 75,7 % degli intervistati.

La figura 7.4 mette in evidenza le differenze che esi­stono sotto questo profilo tra maschi e femmine. Come si vede, tranne nell'uso del cellulare che accomuna abba­stanza indiscriminatamente ragazzi e ragazze, tutti gli altri nuovi media vedono una sovrarappresentazione degli utenti maschili. Ad esempio, la quota di quanti utilizzano quotidianamente il computer è del 49,6% tra i maschi e del 33 ,6% tra le femmine.

L'analisi per fasce di età mette in evidenza una cresci­ta nell'utilizzo regolare di computer e Internet che rag­giunge il culmine tra i 20-30 anni per poi assestarsi; nuo­vi media tipicamente connotati in senso adolescenziale sembrano soprattutto il CD-ROM e i videogiochi, che ri­ducono progressivamente il proprio appeal al crescere dell'età. Anche il cellulare e l'uso dei messaggi di testo da telefonino conoscono un picco - che in questo caso però coincide approssimativamente con i vent'anni, per poi di­minuire leggermente nel caso del cellulare, nettamente nel caso degli Sms.

Interessante notare come gli utilizzatori abituali di PC,

393

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TAB. 7.2. Utilizzo regolare di una serie di new media per fasce di età (% di uti­lizzo quotidiano)

Età

15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

Pc 33 ,9 30,2 4 1 ,3 49,6 42,8 Internet 17,5 19,6 22,5 26,4 19,6 E-mail 8,8 10,6 1 1 ,6 15 ,7 13 ,5 Co-RoM''' 38,0 26,2 25,9 29,9 19,8 Videogames''' 46,8 37,2 29,8 20,7 14,1 Cellulare 65,5 75,9 77,2 72,3 67,3 SMS 56,7 65,8 63,8 48,1 32,4

N = 1 .482

,., Almeno una volta a settimana.

Internet, e-mail e CD-ROM siano spesso anche piuttosto attenti alla comunicazione scientifica, sulla stampa quoti­diana in particolare. Tutti i new media, tranne i telefoni cellulari e l'utilizzo a questi collegato dei brevi messaggi di testo, appaiono inoltre più diffusi tra i giovani di pro­filo socioculturale più elevato: un intervistato su due, nel­le famiglie di alto livello culturale, utilizza quotidiana­mente il computer, contro uno su quattro tra i giovani di background culturale più basso. Sempre al livello cultura­le più alto, un giovane su tre afferma di utilizzare quoti­dianamente Internet, contro un giovane su dieci al livello più basso.

Differenze significative si riscontrano anche in rela­zione all'appartenenza geografica. Gli utilizzatori abituali di PC, Internet e e-mail sono infatti più numerosi al Nord e al Centro rispetto al Sud e alle Isole.

Più articolato il rapporto tra utilizzo di nuove media e consumo di media tradizionali quali la televisione. La supposta concorrenza tra new media e consumo televisi­vo - secondo cui la diffusione di PC e di strumenti quali Internet andrebbe a sottrarre tempo e risorse alla fruizio­ne televisiva - infatti, non appare così lineare. L'utilizzo quotidiano del computer è infatti relativamente contenu­to tra i non fruitori di Tv, raggiunge il culmine in com-

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cidenza con livelli molto moderati di esposizione al mez­zo televisivo (oltre un giovane su due tra coloro che guardano la Tv per meno di un'ora al giorno utilizza quotidianamente il computer) per poi declinare nuova­mente in presenza di livelli elevati di esposizione televisi­va: tra coloro che dedicano oltre cinque ore al giorno ai programmi televisivi solo uno su dieci utilizza regolar­mente un PC. Piuttosto simile l'andamento del rapporto tra uso di Internet e fruizione televisiva: la diffusione di Internet raggiunge il massimo in coincidenza con livelli di consumo televisivo medio-basso per poi declinare al­lorché l'esposizione televisiva si fa più massiccia. Un'ec­cezione appare in questo senso rappresentata dai video­game, il cui utilizzo si accompagna in molti casi a livelli di esposizione televisiva molto elevata: la quota di quanti giocano quotidianamente con i videogiochi si quadrupli­ca passando dai non telespettatori a coloro che seguono per oltre quattro ore al giorno i programmi della Tv (da 5 ,2% a 19,2%) . I new media basati sul computer (PC, Internet, e-mail, CD-ROM) non sono in rapporto concor­renziale neppure con la lettura di libri: tra i non lettori di libri, ad esempio, la quota di «navigatori» abituali in Internet è quasi un terzo rispetto a quella tra i lettori (5 ,5 % contro 1 3 ,5 % ) .

3 . Alcune considerazioni conclusive

La relativa novità di gran parte dei temi trattati m questa parte della Quinta Indagine IARD sulla condizione giovanile non consente confronti significativi con il passa­to né conclusioni di portata generale. Tuttavia, è possibi­le trarre dall'analisi dei dati sopra descritti una serie di indicazioni su tematiche di particolare attualità.

La prima è indubbiamente legata a quell'ambito noto in altri paesi come «comprensione pubblica della scien­za» (Public Understanding o/ Science) e relativa quindi alla percezione, agli atteggiamenti e in ultima analisi al rapporto che il grande pubblico ha con la scienza, i suoi

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esponenti e le sue istituzioni3 . La nuova indagine IARD conferma, come si è visto, alcuni elementi già emersi in passato dalla stessa e da altre indagini. Il pubblico giova­nile italiano appare infatti caratterizzato da una notevole fiducia negli scienziati, una fiducia che appare pervasiva e trasversale rispetto alle varie categorie e caratteristiche della popolazione giovanile. Tuttavia, tale fiducia nei ri­cercatori non esclude un'immagine della scienza ambiva­lente, capace di migliorare la vita della gente comune ma anche portatrice di rischi e alla quale è necessario porre dei limiti, soprattutto nel campo delle sperimentazioni che coinvolgono esseri viventi. Sembra in questo senso applicarsi alla scienza un meccanismo inverso rispetto a quello che riguarda la salute; mentre in ambito sanitario i giudizi sulla medicina in sé sono più positivi rispetto a quelli relativi alle strutture e al personale medico, in cam­po scientifico gli scienziati riscuotono maggiore fiducia ri­spetto alla scienza nel suo complesso4 • Vale la pena di sottolineare come la fruizione di contenuti scientifici nei mass media - che tra i giovani italiani è tutt'altro che tra­scurabile, soprattutto se si considera la televisione - non sembri in grado di incidere su questa rappresentazione largamente idealizzata dell'impresa scientifica, che suscita consensi fin tanto che si resta su un piano astratto (lo scienziato come «figura al di sopra delle parti») ma desta perplessità non appena si scende sul terreno della pratica della ricerca e delle sue applicazioni (la condanna della sperimentazione animale e quella, ancor più generalizza­ta, dei fertilizzanti chimici) .

Un ambito in cui l 'innovazione tecnologica è non solo giudicata positivamente, ma già largamente accolta e me­tabolizzata dai giovani italiani è senz' altro quello delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Se i telefoni cellulare e i loro accessori (i servizi di messaggi su tutti) rappresentano ormai oggetti familiari alla stra-

3 Per un inquadramento del problema cfr. Wynne [ 1995 ] . 4 Cfr. Buzzi [1994] .

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grande maggioranza dei giovani italiani, la presenza e l'utilizzo dei nuovi media legati al computer (il PC stesso, Internet, i CD-ROM, la posta elettronica) si prestano a considerazioni più articolate. In primo luogo, la disponi­bilità e l'utilizzo di questi nuovi mezzi appare ancora lar­gamente inferiore sia nei confronti dei media tradizionali (Tv, radio, cd musicali) , sia nei confronti di altre realtà nazionalP . In secondo luogo, l'utilizzo dei new media si presenta in modo marcatamente stratificato: il profilo del tipico fruitore di new media individua un giovane ma­schio tra i 20 e i 3 0 anni, residente al Centro-Nord, pro­veniente da una famiglia di buon livello culturale, mode­rato consumatore di media tradizionali. Naturalmente, per poter approfondire questo profilo accorrerebbero maggiori informazioni sul tipo di utilizzo che dei nuovi media viene fatto, tra le tante attività che questi strumen­ti consentono (studio, lavoro, svago, gioco) . Studi recenti dedicati ad esempio al rapporto tra adolescenti e nuove tecnologie della comunicazione hanno ad esempio messo in evidenza come un aspetto critico sia rappresentato non tanto dal possesso o dalla frequenza di utilizzo in quanto tali, ma dalle modalità con cui tale utilizzo avviene. Ad esempio, nelle famiglie dei ceti sociali più elevati, i ragaz­zi sono spesso introdotti all'uso del PC e degli strumenti collegati da un genitore o da un altro familiare; nelle fa­miglie di livello sociale più basso, invece, il PC e i suoi ac­cessori sono spesso acquistati dalla famiglia esplicitamen­te per l'adolescente e quindi collocati nella sua camera, dove il loro utilizzo avviene in form;:t non guidata e in larga misura sottratta al controllo dei genitori6•

Molto articolato - e senza dubbio suscettibile di ap­profondimento - si presenta anche il rapporto tra uso di nuovi media e fruizione di quelli tradizionali. Quello che è certo è che tale rapporto non è di tipo puramente con­correnziale, né di mera sovrapposizione, ma va a disegna-

5 Cfr. Livingstone [ 1998] . 6 Cfr. Pasquier et al. [1998]

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re una complessa integrazione tra strumenti tecnologici e pratiche di consumo senza precedenti nell'ambito della condizione giovanile. Al punto che alcuni studiosi sono giunti a coniare espressioni quali technzfied bedroom (ca­mera da letto tecnologica) per descrivere lo spazio che un tempo serviva al giovane solo per dormire o al massimo per giocare e ascoltare musica, in un ambiente ad alta dotazione tecnologica che è al tempo stesso rifugio e por­ta d'accesso sul mondo intero7 .

7 Cfr. Livingstone [1998] .

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PARTE QUINTA

CULTURA GIOVANILE E DIVERTIMENTO

di Giorgio Grossz; Maria Rita Rampazz; Roberto Albano, Maria Teresa Torti, Federico Neresini e Riccardo Grassi

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CAPITOLO PRIMO

I CONSUMI CULTURALI

l . La galassia dei consumi culturali giovanili: tra pervasi­vità e differenziazione

Le generazioni di ragazze e ragazzi che alle soglie del nuovo millennio attraversano quella parte del ciclo di vita che viene definito età o condizione giovanile costituisco­no - non solo per il continuo ampliamento dei confini temporali di questa condizione - i soggetti centrali, come è noto, di quel particolare ambito sociale - a metà tra mercato e stile di vita - che potremmo chiamare «galassia dei consumi culturali». Si tratta di un ambito molto vasto - e di una dimensione sociale e culturale - che non solo è diventato sempre più importante per la costruzione so­ciale dell'identità, della personalità e del bagaglio cogniti­vo dei giovani (e degli adolescenti) , ma che rappresenta, proprio per l'ambivalenza del concetto di consumo' , il luogo deputato per eccellenza in cui la società della tarda modernità celebra la massima concentrazione di merci immateriali e di possibilità espressive e culturali2 . In que­sto universo sempre più ampio e variegato i giovani - e le generazioni - cercano (e subiscono) dei riti di passag­gio che non solo segnano temporalmente la loro vita ma anche la società at large, perché sempre più il mix e i li-

l La nozione di «consumo» - e non solo nel contesto culturale -implica, come è noto, due pratiche: la prima, di tipo fruitivo, riguarda l'appropriazione dell'oggetto o del pacchetto culturale prescelto e quindi rimanda ad un comportamento di acquisto e d'uso; la seconda, di tipo espressivo, comporta l'utilizzazione del medesimo per esprime­re e comunicare qualcosa di sé agli altri e quindi rimanda ad un com­portamento simbolico.

2 Sul concetto di possibilità inteso come «eccedenza culturale» si veda quanto argomentato in Rositi [ 1982] .

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velli di intensità dei consumi culturali caratterizzano la condizione giovanile e nello stesso tempo anticipano -sotto questo profilo - i caratteri della società adulta di cui questi giovani saranno poi attori e protagonisti. Fino al punto di rendere possibile il paradosso del «giovanili­smo culturale» che sopravvive al ciclo di vita relativo per diventare valore collettivo transgenerazionale.

Questa centralità sociale del consumo culturale dei giovani - che qui mi limito ad enunciare senza ulteriori argomentazioni - presenta tuttavia una sempre maggiore complessità conoscitiva in seguito a due fenomeni che ne rendono piuttosto articolata l'analisi e l'interpretazione. Da un lato, la «galassia» risulta sempre più ampia e va­riegata - tanto che in questo Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia si sono suddivisi i dati rela­tivi all'area consumi culturali e tempo libero in almeno quattro capitoli -; dall'altro, lo stesso ulteriore prolunga­mento dell'età giovanile fino ai 34 anni ha reso ormai sempre meno percorribile un discorso unitario sul mondo giovanile stesso, tante e tali sono le distanze - come si ve­drà - tra le classi di età 15 - 17 o 18-20 anni e la classe dei giovani di 30-34 anni sul terreno dei consumi e delle pra­tiche culturali. Per questi motivi - in questo capitolo - si cercherà di limitare l'analisi ad un primo gruppo di con­sumi culturali (definiti convenzionalmente «principali» per la loro presenza in quasi tutte le indagini IARD e per la loro caratteristica di base in ogni «menù di consumo quotidiano») , e di interpretarli tenendo conto soprattutto della variabile «classe di età» per evidenziare le diverse tappe ed i diversi livelli di fruizione presenti all'interno del mondo giovanile stesso.

Come è noto, non solo l'immaginario giovanile ma an­che l'immagine che dei giovani cercano di fornire gli adulti contengono spesso delle rappresentazioni dicoto­miche, che tendono a tipizzare o a sintetizzare meglio il profilo socio-culturale delle giovani generazioni. Una di queste è senz'altro rappresentata dal binomio «uniformi­tà/diversità», con ciò intendendo sia il bisogno di appar­tenenza e di integrazione nei gruppi di riferimento (pecu-

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liare degli atteggiamenti e dei comportamenti giovanili) , sia la spinta al protagonismo, alla trasgressione, all'indivi­dualità, che ne connotano al tempo stesso l'esigenza di esplorazione e di affermazione personale. Sulla base di questa prospettiva cercheremo dunque di analizzare in primo luogo i consumi culturali dei giovani dal punto di vista meramente quantitativo, cioè in termini di percen­tuale di diffusione (o penetrazione) nell'universo giovani­le e nelle varie classi di età, distinguendo tra consumi pervasivi, consumi maggioritari, consumi minoritari e con­sumi di nicchia3 , e mettendo a confronto i tassi percen­tuali del consumo «generico» (o consumo-contatto) col consumo «assiduo», cioè con quello caratterizzato da una fruizione più intensa e continuativa4 •

In secondo luogo, per continuare a seguire questo ap­proccio dicotomico alla tematica dei consumi culturali, possiamo, più sociologicamente, guardare ai consumi cul­turali giovanili in termini di differenze o stratificazioni so­ciali, usando il binomio «omologazione/ distinzione», nel senso di Bourdieu [1979] , per vedere come si modificano i consumi in funzione della loro più o meno marcata di­pendenza da indicatori socio-demografici e culturali. Par­leremo perciò di consumi trasversali, di consumi caratteriz­zanti, di consumi selettivi e di consumi discriminantz5.

Cominciamo allora ad osservare i risultati della Quin-

3 I consumi culturali sono stati classificati in base al tasso di dif­fusione sul totale dell'universo giovanile: pertanto si hanno consumi «pervasivi» (oltre il 75 % di diffusione), «maggioritari» (dal 50 al 74%) , «minoritari» (dal 25 al 49%) e «di nicchia» (inferiori al 25%) .

4 La dimensione d i consumo assiduo è definita, per alcuni consu­mi culturali, a partire dalle risposte «molto spesso» e «abbastanza spesso», e per altri, in base a comportamenti di consumo superiori alla media (ore di ascolto di Tv, radio, musica; numero di libri letti) .

5 I consumi culturali sono stati suddivisi, in questa seconda pro­spettiva, in base alla presenza di correlazioni (scarti > 4 % ) tra il con­sumo relativo e le cinque variabili socio-demografiche prese in consi­derazione: consumi «trasversali» (nessuna variabile correlata) ; «carat­terizzanti» (l o 2 variabili) ; «selettivi» (3 o 4 variabili) ; «discriminanti» (tutte e 5 le variabili considerate sono correlate) .

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TAB. 1 . 1 . Consumi culturali principali per tasso di di/fusione e per classi di età (% di risposte positive sul totale - rz/erimento ultimi 3 mesi)

15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34 Totale an m anni an m an m anni

Pervasivi (> 75%) Guardare la Tv* 96,9 93 ,6 95,2 94,9 95,3 95,2 Ascoltare la radio* 80,9 80,9 84,8 84,5 79,4 82,6 Ascoltare la musica'' 93,2 95,2 91,9 88,5 80,3 88,7 Guardare TG nazionali 89,1 95,2 96,3 97,0 96,6 95,6 Guardare TG regionali 8 1 ,2 86,8 89,5 90,6 89,7 88,6 Andare al cinema 78,7 81,6 84,7 77,4 62,3 76,3

Maggioritari (da 50 a 74%) Leggere quotidiano d'informazione 50,4 66,9 70,4 76,4 75,1 70,5 Leggere libro0 7 1 ,7 7 1 ,0 69,3 69,9 60,9 68,0 Leggere mensile 50,4 57,0 55,6 59,3 52,7 55,6

Minoritari (da 25 a 49%) N avi gare in Internet 46,5 5 1 ,6 50,6 53,9 4 1 ,4 49,1 Leggere settimanale Tv 55,0 52,4 45,7 42,7 32,7 43 ,7 Leggere settimanale di opinione 30,0 34,7 39,1 44,9 43,8 40,3 Leggere settimanali femminili 35 ,6 36,8 39,1 40,9 40,4 39,3 Leggere fumetti 49,8 4 1 ,4 35,7 34,5 25,8 35,4 Frequentare una biblioteca 48,8 43,5 44,2 32 ,5 18,1 35,3 Visitare museo/mostra 48,8 38,2 3 1 ,5 35 ,8 27,6 34,7 Leggere quotidiano sportivo 4 1 ,8 39,0 33 ,6 28,8 27,0 32,3

Di nicchia (< 25%) Partecipare a convegno/ dibattito 15 ,0 23 ,6 25,5 27,8 22,7 24,0 Andare a teatro 28,7 18,3 16,2 20,7 18,6 19,8

(N = 3 .000 o N = 1 .500 a seconda delle domande)

'' Giornalmente. o Negli ultimi 6 mesi. In grassetto i valori percentuali con scarto > 4% rispetto al totale.

ta indagine IARD con riferimento alla dimensione quanti­tativa e diffusiva dei consumi culturali (tab. 1 . 1 ) Sul tota­le dei 19 consumi culturali principali selezionati per que­sta parte dell'analisi, la metà circa presenta una percen­tuale di diffusione superiore al 50%, e quindi caratterizza lo stile di consumo giovanile rispetto a quello degli adul­ti. Tra questi, ben 6 consumi hanno una diffusione per­vasiVa, che raggiunge cioè più di 3 giovani su 4 : guardare

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la Tv, guardare i TG nazionali e locali, ascoltare la radio, ascoltare la musica, andare al cinema6•

Dunque, i più diffusi in assoluto sono i consumi di tipo audiovisivo: Tv, radio, musica e cinema; mentre la fruizione dei prodotti culturali legati al linguaggio scritto - quotidiano, libro, periodico mensile - raggiunge per­centuali di penetrazione superiori alla metà dei giovani, ma inferiori ai 3/4. Il menù è perciò caratterizzato dalla fruizione prevalente dei linguaggi visivi e sonori rispetto a quelli scritti, a riconferma della maggiore accessibilità e del maggior appeal emotivo ed espressivo per le giovani generazioni di questi prodotti culturali della seconda mo­dernità rispetto a quelli più tradizionali della cultura scritta e stampata.

Tutti gli altri consumi culturali sono invece fruiti in genere da una minoranza, più o meno accentuata, di gio­vani. Alcuni, come Internet e i settimanali Tv, sono di fatto già consumi maggioritari in alcune classi di età, altri sono invece decisamente tipici di quote elitarie o ristrette del mondo giovanile - ad es . , la partecipazione a conve­gni/ dibattiti e la frequenza agli spettacoli teatrali è prati­cata da meno di l giovane su 4 .

Questa prima sistematizzazione dei livelli di diffusio­ne dei consumi culturali principali tra i giovani deve tut­tavia essere integrata da un indicatore ulteriore, per certi versi più significativo: l'intensità o la frequenza di fruizio­ne dei vari prodotti culturali (cfr. tab. 1 .2 ) . Se consideria­mo infatti i soli consumatori assidui, cioè coloro che con­sumano «molto spesso» o «abbastanza spesso», o comun­que con una intensità superiore alla media, rileviamo una diversa articolazione del menù di consumo culturale.

Innanzi tutto si registrano solo due consumi assidui con diffusione superiore al 50% - la visione dei TG nazionali e in parte quella dei TG regionali - a cui si aggiungono, ma

6 In un'analisi condotta sui consumi culturali degli italiani· nel 1996, solo tre consumi risultavano «pervasivi» sul totale della popola­zione: guardare la Tv, leggere i settimanali e leggere i mensili [Grossi 1998] .

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TAB. 1 .2 . Consumi culturali principali per tasso di diffusione (solo consumatori assidui A) e per classi di età (% di risposte positive sul totale - ri/eri· mento ultimi 3 mesz)

15-17 18-20 21-24 25-29 30-34 Totale anni anni anni anni anni

Pervasivi (> 75%) Guardare TG nazionali 6 1 ,8 77,9 82,6 87,5 89,2 82,5

Maggioritari (da 50 a 74%) Guardare TG regionali 40,8 47,3 50,7 57,5 61,7 53,6

Minoritari (da 25 a 49%) Leggere quotidiano d'informazione 28,2 4 1 ,7 48,7 56,6 55,9 49,4 Guardare la Tv'' (> 2 h) 63,2 47,6 45,5 42,4 4 1,9 46,1 Andare al cinema 48,3 43,0 50,0 48,2 3 1 ,6 44,0 Navigare in Internet 37,9 35,2 38,8 4},5 32,8 38,2 Ascoltare musica'·' (> 2 h) 48,4 48,6 40,3 34,4 28,1 37 ,7 Ascoltare la radio'"' (> 2 h) 32,5 35,4 33,7 34,3 29,5 33,0 Leggere settimanale Tv 40,7 38,4 32,5 30,7 24,1 3 1 ,7 Leggere libro0 (> 3 voi.) 27,8 25,7 25,1 32,5 27,2 28,0

Di nicchia (< 25%) Leggere settimanali femminili · 2 1 ,6 23 ,4 25,5 24,1 23 ,1 23 ,8 Leggere mensile 19 , 1 19,4 19,8 27,6 21 ,6 22,4 Frequentare una biblioteca 25,9 26,5 29,8 19,3 1 1 ,0 2 1 ,5 Leggere settimanale di opinione 10,8 15,3 16,3 22,4 18,9 17,9 Leggere quotidiano sportivo 21,1 18,0 16,1 15,0 13 ,8 16,1 Leggere fumetti 18,8 12,1 12,6 10,4 7 ,4 1 1 ,4 Partecipare a convegno/ dibattito 4,6 8,7 8,7 1 1 ,7 8,3 9,0 Visitare museo/ mostra 12,7 10,6 5,8 9,4 4,9 8,1 Andare a teatro 1 1,5 2,9 6,0 5,4 3 ,7 5,5

(N = 3 .000 o N = 1 .500 a seconda delle domande)

'' Giornalmente. o Negli ultimi 6 mesi. A Per consumatori as.ridui si intendono coloro che rispondono «molto

spesso>> o «abbastanza spesso». Nel caso specifico di Tv, radio, musica e libri, si sono considerati assidui coloro che presentano una fruizione superiore alla media.

In grassetto i valori percentuali con scarto > 4% rispetto al totale.

solo per alcune classi di età, la lettura dei quotidiani di in­formazione (25-29 anni, 30-34 anni) e la visione della Tv ( 15-17 anni) . Tutti gli altri consumi subiscono una contra­zione in termini di diffusione, e ben 9 di questi risultano fruiti assiduamente da meno del 25% dei giovani.

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60 40 20

0 +-�+-�.-�t==-.-���.-���------� -20 -40 -60 -80

-100 15-17 18-20 anm anm

D Consumatori

2 1 -24 25-29 30-34 anm anm anm D Consumatori assidui

FIG. 1 . 1 . Consumi culturali: scarti percentuali complessivi per classi di età (Totale giovani = 0). Base = 3 .000/1 .500.

Questa nuova serie di dati offre lo spunto per due considerazioni di segno opposto. Da un lato, viene in parte ridimensionato il quadro positivo circa il notevole numero di consumi culturali che hanno una diffusione di «massa» tra i giovani: tra i consumatori assidui non più di 2 o 3 consumi per classe di età superano la soglia del 50%, il che indica una fruizione onnivora ma incostante, variegata ma non continuativa da parte dei giovani in ge­nerale e delle varie classi di età in particolare. Dall'altro, il profilo del menù di consumo assiduo mette in luce una certa prevalenza della fruizione di informazione quotidia­na (televisiva o stampata) , rispetto ad un consumo più genericamente audiovisivo (Tv, cinema, musica e radio) , che sembra caratterizzare la parte più attenta e cultural­mente più impegnata del mondo giovanile rispetto al to­tale dei giovani. Il menù di «consumo assiduo» dunque si caratterizza non tanto sull 'asse audiovisivo/ scritto, quanto su quello informazione/divertimento, che è più trasversa­le rispetto ai formati comunicativi.

Questo quadro generale del consumo culturale giova­nile, abbastanza coerente e relativamente omogeneo, pre­senta tuttavia degli esiti piuttosto differenti se si conside­rano le diverse classi di età che compongono ormai la co­siddetta «giovinezza lunga». Nella figura 1 . 1 sono sinte­tizzati gli scarti percentuali complessivi dei vari consumi

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culturali per classi di età rispetto al totale dei giovani in­tervistati, distinguendo anche tra consumo «generico» (quindi anche saltuario) e consumo «assiduo» (cioè, con frequenza ed intensità più continuative) .

Da questa analisi emergono le seguenti indicazioni: - il consumo culturale giovanile è ormai molto diffe­

renziato al proprio interno: le classi di età più giovani (i teenagers, dai 15 ai 20 anni) presentano livelli di fruizione dei consumi culturali molto ampi ed articolati, anche se con un minor grado di intensità e continuità;

- al polo opposto troviamo l'ultima classe di età (30-34 anni), i cosiddetti «adulti-giovani», che rivelano invece una chiara contrazione dei consumi culturali, tanto da presentare un profilo di consumo più tipico già delle ge­nerazioni adulte che non delle altre classi di età giovanili;

- la categoria dei «giovani -adulti» (25 -29 anni) sem­bra costituire il nucleo trainante del mondo giovanile sul piano dei consumi: è in questa classe di età che la fruizio­ne di prodotti culturali raggiunge la sua maturità, soprat­tutto in termini di assiduità del consumo stesso e quindi di intensità di coinvolgimento nelle varie dimensioni del­l' esperienza comunicativa ed espressiva. Quasi che, ritar­dando l'ingresso nel mondo del lavoro, aumenti l'esigenza di incrementare il consumo culturale e quindi la propria autoformazione (per lo meno sul piano quantitativo) .

Ma non solo le diverse classi di età segmentano e dif­ferenziano significativamente l'universo giovanile in ter­mini di pratiche di consumo; anche la distribuzione terri­toriale dei giovani, la loro collocazione nelle varie macra aree regionali, può produrre sensibili scarti nei livelli di consumo culturale. Infatti, come si può rilevare dalla fi­gura 1 .2 , notiamo un marcato squilibrio dei consumi cul­turali tra Nord-Centro e Sud (con eccezione delle Isole che si discostano appena dal dato medio nazionale) .

Se dunque l'uniformità del mondo giovanile risulta ormai sensibilmente incrinata dal variare delle pratiche di consumo (al tempo stesso espressive e simboliche) nelle diverse tappe dell'età giovanile, questi ultimi dati relativi ai contesti socio-territoriali in cui vivono i giovani mo-

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40

20

o +-��--����--�-L������--� -20

-40

-60 Nord-ovest Nord-est Centro Sud Isole

D Consumatori

FIG. 1 .2 . Consumi culturali: scarti percentuali per area geografica (Totale gio­vani = 0). Base = 3.000/1 .500.

strano l'esistenza anche di differenze e squilibri di natura più strutturale, cioè legati a variabili socio-culturali con­nesse all'organizzazione della società ed alla sua articola­zione-stratificazione. Si tratta allora di verificare più ana­liticamente in che misura la dzf/erenza nei tassi di diffu­sione dei consumi culturali diventi anche distinzione, cioè disuguaglianza di status, in ragione del diverso accesso ed intensità di fruizione del mondo dei consumi culturali da parte delle giovani generazioni.

A questo proposito è stato riclassificato il menù dei principali consumi culturali sulla base di misure non di «diffusione» (tasso di penetrazione) ma di «distinzione» (tasso di discriminazione), per verificare appunto l'in­fluenza delle principali variabili socio-demografiche sulle pratiche di consumo stesse. La classificazione dei nostri 19 consumi culturali di base è stata così rielaborata se­condo l'incidenza o meno di 5 variabili socio-demografi­che: oltre all'età, il genere, il titolo di studio, la condizio­ne professionale, il background culturale della famiglia (connesso al titolo di studio dei genitori) . I risultati sono illustrati nello schema 1 . 1 , e mostrano come si differen­ziano i consumi culturali tra i giovani a seconda del nu­mero di variabili che esercitano un'influenza più o meno determinante nell'accesso ai consumi stessi.

Vediamo di riassumere i principali esiti di questo tipo di classificazione.

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SCHEMA 1 . 1 . Consumi culturali principali e dzf/erenziazione socio-demografica: una tipologia classificatoria secondo modalità prevalenti (con scarto percentuale > 4% rispetto al totale)

Genere Titolo di Condizione Background* Classi di studio professionale culturale età

Trasversali Tv Radio TG nazionali TG locali

Poco caratterizzanti Settimanali femminili donna né studia

né lavora

Selettivi Mensili laurea studio alto Convegni/ dibattiti laurea studio alto Musica studio alto 15-20 Quotidiani sportivi uomo obbligo 15-20 Settimanali di opinione laurea/ alto 25-29

diploma superiore

Libri donna laurea studio alto/medio alto

Musei/mostre laurea studio alto/medio 15-17 alto

Teatro laurea studio alto 15-17 Settimanali Tv donna obbligo né studia né 15-20

lavora/studia Fumetti uomo studio alto/medio 15-20

alto Biblioteche laurea studio alto/medio 15-24

alto Cinema laurea/ studio alto/medio 18-24

diploma alto superiore

DiJcriminanti Internet uomo laurea/ studio alto/medio 25-29

diploma superiore alto

Quotidiani d'informazione uomo laurea/ lavoro alto 25-34 diploma

superiore

-:: Per <<background culturale>> della famiglia si intende il livello relativo al titolo di studio dei genitori.

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- Solo quattro consumi si presentano come trasversa­li, cioè indifferenti alle variabili socio-demografiche prese in considerazione: guardare la Tv, seguire i telegiornali nazionali e locali, ascoltare la radio. Al contrario tutti gli altri presentano vari livelli di correlazione con le variabili considerate: da tre a cinque (come nel caso dei due con­sumi più apertamente discriminanti: navigare in Internet e leggere il quotidiano d'informazione)7.

- Nell'area dei consumi che abbiamo chiamati se/etti­vi o discriminanti il tasso di distinzione è determinato so­prattutto da tre indicatori: il titolo di studio (laurea so­prattutto) , la condizione professionale (essere studente) , il background familiare (alto o medioalto) . Dunque, più che dalle differenze di genere o dall'età, i consumi cultu­rali delle giovani generazioni risultano sensibilmente in­fluenzate dalle differenze sociali ascritte o acquisite. E tali differenze si caratterizzano chiaramente come distinzioni di status elevato: in 12 consumi su 19 la probabilità di ac­cesso alle pratiche culturali è connessa al background fa­miliare «alto» (o anche «medio-alto») ; in l O su 19 la maggiore diffusione dei comportamenti di consumo è collegata al possesso di una laurea (o anche di un diplo­ma di scuola superiore) . Al contrario solo due tipi di consumo presentano distinzioni di status modesto: la let­tura del quotidiano sportivo e del settimanale Tv, che ri­sultano sovrarappresentati tra chi ha un basso titolo di studio (obbligo) .

- Le differenze di genere - a questo livello di analisi dei consumi culturali - sembrano meno discriminanti, e paiono essersi ridotte rispetto al passato, anche se resta ancora confermata la minore propensione delle ragazze alla lettura dei quotidiani, ed all'uso di Internet, come pure il deficit dei ragazzi nella lettura di libri.

- Solo in un caso - la lettura del quotidiano di infor­mazione - la probabilità di accesso al consumo è connes-

7 Un caso a parte è costituito dalla lettura di «settimanali femmi­nili», che risulta «poco caratterizzante» nonostante la sua esplicita connotazione di genere.

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sa prevalentemente alla condizione lavorativa ed alla clas­se di età 30-34 anni, il che conferma quanto già sottoline­ato in precedenza, e cioè che l'allungamento temporale della condizione giovanile - prolungamento degli studi, difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, differimento della transizione verso l'età adulta con l'uscita dalla fami­glia di origine - favorisce l'accesso alle pratiche di consu­mo culturale ed è direttamente connesso alla disponibilità di tempo libero tipico soprattutto dei giovani di famiglia di status culturale (non necessariamente economico) più elevato. Al contrario, l'ingresso del mondo del lavoro e/o il raggiungimento dei trent'anni segna una evidente di­scontinuità nelle pratiche di consumo culturale, che con l'età adulta subiscono un sensibile ridimensionamento ed un parziale d-orientamento.

2 . I giovani consumatori assidui: gusti e preferenze

Nei comportamenti di consumo, un primo indicatore è costituito dalla frequenza o intensità di accesso ad un determinato prodotto culturale: si può essere, come ab­biamo visto, un consumatore generico o un consumatore assiduo, con ciò solo intendendo la quantità della fruizio­ne, non il suo oggetto o contenuto testuale. Un secondo importante indicatore riguarda invece proprio la qualità della fruizione: la scelta specifica di contenuti culturali e di generi comunicativi presenti in un determinato me­dium. Questa seconda dimensione di analisi del consumo culturale dei giovani è fondamentale per ricostruire la mappa dei gusti, delle preferenze e delle scelte specifiche che vengono compiute quando vannò al cinema, leggono un libro, ascoltano un brano musicale o guardano la tele­visioné. La Quinta indagine IARD ci offre solo una serie

8 Uno dei primi esempi di analisi dei consumi culturali secondo i due versanti della «quantità» (esposizione) e della «qualità» (generi e contenuti preferiti) è stato quello realizzato dall'Università di Trento nel 1 985. Per l'impostazione metodologica cfr. Porro [ 1988] .

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limitata di questi dati qualitativi, ma essi sono ugualmen­te significativi per integrare il profilo del consumo cultu­rale delle varie classi di età, rilevando appunto le scelte di genere operate dai giovani all'interno delle pratiche di consumo. A questo fine sono stati raccolti nella tabella 1 .3 i dati relativi alle scelte di alcuni generi culturali ope­rate dai consumatori assidui - cioè dalla parte più moti­vata ed interessata del mondo giovanile -, sottolineando nel contempo quali scelte di genere caratterizzano i gio­vani in base alla loro appartenenza ad una classificazione più «interpretativa» delle varie fasi del ciclo giovanile9.

Considerando solo i generi rilevati - e relativi al con­sumo di carta stampata, di libri e di televisione - il primo risultato da sottolineare è il mix «informazione-evasione» che caratterizza soprattutto le preferenze giovanili: tanto nella stampa che in Tv i generi preferiti dalla maggioran­za dei consumatori sono polarizzati su queste due aree espressive (cronaca, informazione locale, telegiornali da un lato, spettacolo, viaggi/turismo, film, telefilm e pro­grammi comico-satirici dall 'altro) . Al polo opposto, i ge­neri meno apprezzati sono, da una parte, la politica e l'economia (nei giornali) , e dall'altra, i programmi conte­nitore e di Tv-verità, ancora la politica e la musica classi­ca (in televisione) .

Una terza tendenza caratteristica dei gusti giovanili è rilevabile a partire dai generi librari: potremmo chiamarla «affabulazione», con ciò sottolineando la preferenza per le narrazioni che stimolano le pulsioni fantastiche, e che si manifesta nella scelta dei libri di letteratura, nei roman­zi di avventura, nelle storie «gialle» e di fantascienza.

La mappa dei gusti giovanili - per lo meno sulla base di questi indicatori - appare dunque strutturata in preva­lenza su questa triade (informazione, evasione, affabula­zione) che conferma le caratteristiche dei vissuti culturali giovanili, contemporaneamente aperti ed interessati tanto

9 L'accorpamento delle due classi di età 15-17 anni e 18-20 anni è legittimato dalla marcata analogia nei comportamenti di consumo di questi due sotto-gruppi di giovani.

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TAB. 1 .3 . Gusti e preferenze per alcuni generi culturali dei consumatori assidui" (% di risposte sul totale e scarti percentuali > 4 % per classi di età)

Teenagers Ventenni Giovani- Adulti- Totale (15-17/ (21 -24) adulti giovani assidui" 18-20) (25-29) (30-34)

Notizie della stampa Cronaca 4,3 73 ,3 Informazione locale 69,4 Spettacolo 5,1 4,9 64,5 Cultura 4,5 52,5 Viaggi/turismo 50,5 Salute/benessere 4,1 6,4 45,9 Sport 8,6 45,0 Scienza 40,7 Politica 5,9 7,5 3 1 ,3 Economia/finanza 9,0 27,5

Categorie di libri Letteratura 25,2 Avventura, gialli, fantascienza 4,3 22,8 Saggistica 5,0 15,7 Poesia 10,8 Manuali e guide 10,7 Romanzi rosa 3,0

Programmi televisivi Film 5,3 84,5 Telegiornale 5,0 6,7 82,5 Comico-satirici 6,3 62,4 Telefilm e sit-com 17 , l 57,3 Musica moderna 22,7 6,4 47,6 Scienza e natura 6,8 46,2 Sportivi 9,8 42,2 Giochi a quiz 5,5 38,9 Per giovani 25,8 4,8 35,9 Talk-show 4,7 32,4 Cartoni animati 10,6 27,8 Attualità 4,7 27,3 Salute e benessere 6,9 26,1 Seria! e telenovele 7 ,1 2 1 ,8 Vita vissuta 19,2 Contenitore 4,8 18,6 Politica 14,9 Musica classica/ opere 5,1

" Per consumatori assidui s i veda la nota della tabella 1.2.

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alla dimensione esteriore che interiore delle esperienze nel presente (attraverso l'informazione sulla realtà e il di­vertimento nel tempo libero) , quanto disposti a ripercor­rere le esperienze mediate narrativamente verso il passato e il futuro (i libri di letteratura piuttosto che di fanta­scienza) . Tuttavia questo quadro appare al tempo stesso troppo generico e troppo semplicistico, alla luce delle di­verse tappe della «condizione giovanile» che caratterizza­no - come si è già rilevato - le diverse classi di età. Se consideriamo infatti i gusti e le preferenze sulla base di questi sottogruppi di età (nella tabella 1 .3 sono stati ri­dotti a quattro ed «etichettati» secondo un profilo più in­terpretativo) , notiamo che la mappa dei gusti si articola con sensibili differenze secondo le diverse fasi giovanili:

- tra i teenagers, l 'area espressiva del divertimento è chiaramente prevalente ed include le preferenze per la musica, lo spettacolo, lo sport, la comicità, e l' affabula­zione (quest'ultima nella versione «televisiva» ed audiovi­siva più che scritta) ;

- nei ventenni, emergono, accanto ad alcune confer­me, soprattutto due preferenze significative - la cultura e la salute/benessere - che sono la spia di una personalità più attenta ad interessi meno ludici ed evasivi ma anche già intrisa di «post-modernità» (la qualità della vita e la cura del sé) ; e nel contempo indicano una fase di passag­gio e di incertezza tra gusti tardo-adolescenziali e preferen­ze giovanili più mature (tipiche dei sottogruppi successivi) ;

- i giovani-adulti (25-29 anni) confermano anche sul terreno dei gusti la loro leadership all'interno del mondo giovanile: è in questa fase che si evidenzia non solo l'inte­resse per l'informazione e il rapporto con la realtà sociale, ma anche per la politica - a fronte di contrazione o sta­gnazione delle preferenze verso le aree espressive più tipi­che dell'evasione e del divertimento -; nello stesso tempo, troviamo in questo sottogruppo la maggiore predilizione per i generi librari, equamente divisi tra narrazione-affa­bulazione e trattazione-interpretazione, a dimostrazione di un raggiunto equilibrio nella mappa delle preferenze tra pulsioni fantastiche e domande di razionalità;

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- negli adulti-giovani troviamo emblematicamente confluire due filoni di gusti e di preferenze: quello tipico della presa di coscienza dell'ingresso nel mondo degli adulti e del lavoro (la politica, l'economia/finanza) , già in parte presente nel sottogruppo precedente, e quello lega­to alla qualità della vita, all'ambiente, al progresso scien­tifico (salute e benessere, scienza e natura) , già segnalato in fieri tra i ventenni; a testimonianza del fatto che questa nuova «classe di età» assegnata al mondo giovanile dalla Quinta indagine IARD sembra rappresentare davvero l'in­terfaccia culturale tra condizione giovanile ed età adulta alle soglie del nuovo millennio, cioè lo spazio o la dimen­sione del ciclo di vita in cui il «passaggio» esemplifica bene ciò che si perde e ciò che si acquista, ciò che viene tramandato e ciò che viene dimenticato.

3 . Come è cambiato il menù del consumo culturale giova­nzle: un confronto '87-'00

Quali sono i cambiamenti intervenuti - se ci sono -nelle pratiche di consumo culturale da parte dei giovani nel corso degli anni e delle varie rilevazioni IARD? Per poter estendere il più possibile negli anni un confronto tra i dati 2000 e quelli delle rilevazioni precedenti si è deciso di selezionare solo una parte dei consumi culturali principali - quelli che sono effettivamente comparabili per criteri di rilevazione e per indicatori di frequenza di consumo - e di limitare il confronto alle classi di età 15-24 anni (che erano presenti fin dalle prime rilevazioni) .

Anche se occorre sottolineare preventivamente che i risultati di questo confronto devono essere letti con una certa cautela - la comparazione, come si è già detto, ri­guarda un numero piuttosto limitato di consumi culturali ed inoltre è ristretto solo ad una parte del mondo giova­nile, quella dei teenagers e dei ventenni - le indicazioni che emergono dai dati di trend sono comunque piuttosto interessanti.

Il menù di consumo culturale di una parte rilevante

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del mondo giovanile ha subito una sensibile trasformazio­ne nell 'arco di poco più di un decennio. Tendono a di­minuire alcuni dei consumi più pervasivi (Tv, radio, quo­tidiano di informazione), mentre si incrementano i consu­mi minoritari o di nicchia (frequentare la biblioteca, visi­tare musei/mostre, partecipare a dibattiti/convegno) uni­tamente ai tassi di fruizione del cinema, unica eccezione tra i consumi maggioritari a far registrare un progresso costante nell'arco del decennio.

Questo riequilibrio del menù di base dei consumi a favore di pratiche e prodotti culturali che implicano mag­giore fruizione attiva e partecipazione sociale, rispetto ai classici consumi «passivi» o individuali, è un segnale si­gnificativo non solo della crescente tendenza alla «socia­lizzazione culturale» dei giovani rispetto al modello più domestico e privatistico degli stili di consumo degli adul­ti, ma anche di una certa nuova «qualità culturale» del menù quotidiano (o settimanale) , che appare più ricco e variegato del passato, meno segnato dai classici media ge­neralisti (anche se alcuni di questi ultimi hanno raggiunto ormai una inevitabile saturazione) .

Questo riequilibrio, inoltre, è ben evidenziato dal confronto diretto tra 1987 e 2000, visualizzato negli scarti percentuali illustrati nella figura 1 .3 , e relativi sia al con­sumo generico che a quello assiduo.

Alla crescita sensibile dei consumi culturali meno per­vasivi (tra il 5 e il 15%) fa da riscontro non solo il calo di quelli più «massificati», ma soprattutto la diminuzione della loro intensità di consumo (stampa quotidiana e Tv fanno registrare infatti un saldo negativo maggiore nel consumo «assiduo» che in quello «generico»). Sembra es­serci dunque non solo la crescita di consumi culturali mi­noritari ed elitari che oggi sono fatti propri da settori più vasti del mondo giovanile (in particolare il boom della frequenza delle biblioteche e delle visite a musei/mostre) , ma anche una ridistribuzione dei time-budget di consumo da certi prodotti culturali più domestici o individuali (con diminuzione dell'intensità di esposizione) ad altri più «socializzanti» e partecipativi.

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Teatro

Convegno/ dibattito Museo/ mostra

Biblioteca

Quotidiano sportivo

Cinema

Quotidiano informazione

Radio

Tv

L:.J ___.l l__j

____]

l.;___

-25 -20 -15 -10 -5 o 5 10 15 20 25 D Consumatori assidui D Consumatori

FIG. 1 . 3 . Consumi culturali di base: differenza percentuale 2000/1987 (Totale giovani 15-24 anni = 0) . Base = 2.000/1 .429.

Tuttavia, il dato negativo della contrazione del consu­mo dei quotidiani (di informazione o sportivi) sembra gettare qualche ombra sul profilo globale di questo menù del consumo 2000, certamente positivo nel suo insieme. In questa nuova articolazione, il giornale appare sempre più soppiantato dalla Tv (e dai telegiornali nazionali e lo­cali) come fonte di informazione e strumento privilegiato per conoscere la realtà sociale da parte dei giovani. Qui la contrazione, tuttavia, non riguarda un consumo cultu­rale pervasivo e saturo (come nel caso di Tv e radio), ma al contrario un tipico consumo «discriminante», come si è già sottolineato, storicamente poco diffuso nel contesto italiano. L'abbandono, o la crisi, della lettura dei quoti­diani (d'informazione o sportivi) non sembra, d'altro can­to, legato ad una caduta di interesse per la realtà quoti­diana degli eventi collettivi (anche se, lo abbiamo sottoli­neato, esso tende a crescere soprattutto proprio dopo i 24-25 anni), né sembra semplicisticamente riconducibile

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alla solita contrapposizione tra cultura scritta ed audiovi­siva (che abbiamo visto essere poco fondata) .

Per cercare di analizzare questa tendenza negativa, ol­tre a ragioni di tipo prettamente economico già invocate per spiegare il calo della lettura dei quotidiani anche tra gli adulti10 - occorre forse fare riferimento piuttosto ad una certa inadeguatezza degli attuali formati comunicativi della carta stampata nei confronti delle aspettative dei giovani, o della loro scarsa capacità di competere e diffe­renziarsi rispetto al flusso informativo in tempo reale or­mai monopolizzato dalla Tv e dal nuovo giornalismo on­line veicolato da Internet. Nel mosaico dei flussi informa­tivi che caratterizzano la quotidianità del mondo giovani­le il giornale è forse il formato meno competitivo - in termini di linguaggio, struttura discorsiva, appeal espressi­vo - in grado di rispondere alle attese ed alle esigenze di «consumo culturale» delle giovani generazioni.

In ogni caso, questi dati sembrano rafforzare l'idea che il quotidiano a stampa continua a rappresentare (nel bene come nel male) uno degli spartiacque, non solo sim­bolici, del passaggio verso l 'età adulta sul terreno delle pratiche di consumo e delle preferenze culturali.

4. Consumi culturali e condizione giovanile: problemi e ipotesi interpretative

I dati della Quinta indagine IARD illustrati in questo capitolo si prestano non solo alla descrizione ed all'analisi dei comportamenti di consumo culturale dei giovani alle soglie del nuovo millennio ma contribuiscono anche -dalla loro specifica prospettiva - a problematizzare e ri­definire alcune questioni che riguardano più in generale la condizione giovanile oggi e il suo rapporto con il mon­do degli adulti e con la società at large.

lO Per alcune ipotesi interpretative relative alla contrazione del consumo di quotidiani tra il 1992 e il 1996 a livello nazionale si veda quanto esposto in Grossi [ 1998] .

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Anche se, come è noto, sulla società dei consumi esi­ste una tradizione consolidata di sociologia critica e di approcci consumeristici che denuncia il primato del marketing e della logica del «simulacro» come fondamen­to degli orientamenti di consumo, è altrettanto ormai condiviso l'assunto di base che «nelle società postindu­striali . . . l'identità è sempre più basata sullo stile di vita e sui modelli di consumo. Gli oggetti materiali acquistano una maggiore importanza in quanto segnali sottili di identificazione con codici simbolici» [Crane 1997 , 62] . In altri termini, anche i consumi culturali - soprattutto nel­l'età giovanile - sono al tempo stesso beni immateriali prodotti per il consumo (eterodiretti) , ma anche mezzi di socializzazione, di autoformazione, di espressione e quin­di di costruzione dell'identità e della personalità (autodi­retti).

In questa contraddizione o ambivalenza, tuttavia, si trova non solo la chiave interpretativa principale dei con­sumi culturali giovanili nelle società della tarda modernità come quella italiana, ma anche si annida, per così dire, il problema più generale della formazione e trasmissione della cultura generazionale e della innovazione culturale all'interno della società stessa [Moores 1998] .

Anche se una problematica così complessa non può certo essere affrontata e risolta solo a partire da dati di consumo culturale, è tuttavia possibile evidenziare alcuni interrogativi (e possibili ipotesi interpretative) che da questi emergono e che possono gettare luce sui problemi più macrosociali richiamati in precedenza.

4 . 1 . Giovinezza lunga o generazioni corte?

Se pensiamo all'allungamento dell'età giovanile ed al giovanilismo come ad una delle modificazioni più impor­tanti della nostra società e ad una delle peculiarità del nostro «spirito del tempo», i dati raccolti sui consumi culturali - ed altri che emergono da molte ricerche sulle microculture giovanili degli anni Novanta - mettono in

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evidenza piuttosto una elevata differenziazione e segmen­tazione dell'universo giovanile in classi di età molto ca­ratterizzate, sempre più «diverse» sul terreno degli inte­ressi, dei gusti, delle scelte di consumo anche se omoge­neizzate da alcuni orientamenti e valori trasversali, che sono poi interpretati e «situati» a livello di singola gene­razione (anche inconsapevolmente) o di ridotti gruppi di coorti. Le differenze tra i giovani di 18-20 anni e quelli di 25 -29 sono altrettanto significative delle loro analogie, il loro modo di usare il tempo libero e di accedere ai consumi culturali (per non parlare del resto dei compor­tamenti sociali) presenta tempi esteriori ed interiori che non solo sono diversamente articolati ma che evolvono rapidamente sotto la spinta dell'interazione sociale, della ricerca individuale, della sollecitazione degli input di esperienza. Ciò sembra produrre due conseguenze, appa­rentemente contraddittorie: la prima, che porta a suddi­videre sempre più l'età giovanile in sotto-età, in ambiti di vita temporalizzati, scanditi da continui riti di passag­gio, di consumo e di espressività, all'interno dei quali molte esperienze vengono anticipate o dilazionate, in funzione di un raggiungimento più rapido di una propria identità e di una propria autoaffermazione; la seconda, come si è già ricordato, che trasforma la «giovinezza lun­ga» in «giovanilismo» e cioè produce la valorizzazione culturale - anche se non biologica - di una condizione transitoria in condizione permanente, valida per l'intero ciclo di vita collettivo.

Di conseguenza, il concetto stesso di «condizione gio­vanile>>. diventa troppo generico ed indifferenziato per co­gliere le diversità generazionali (che si fanno più marcate anche dentro la «giovinezza lunga») , ma anche troppo definito e caratterizzato visto il suo continuo ampiamento euristico per includere nuove classi di età, nuove fasi del ciclo di vita.

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4.2. Il consumo culturale come «individualizzazione» o come «distinzione» ?

S e il consumo in generale, ed in particolare il consu­mo culturale giovanile, è una pratica che è finalizzata alla costruzione dell'identità ed alla manifestazione della per­sonalità, e che si basa soprattutto sullo stile di vita e sul­l'uso simbolico del tempo libero, esso sembra apparire oggi più il portato dei processi di «individualizzazione» di cui parla Beck [2000a] , come costitutivi dell'attuale fase di sviluppo sociale - e che rimanda sia ad un dato di necessità (affrontare il rischio, superare l'incertezza come sfide tipiche soprattutto della condizione giovanile) , ma anche ad un bisogno implicito di valorizzazione e respon­sabilizzazione della «persona» rispetto agli apparati, le istituzioni, le organizzazioni sovraindividuali - che non la conseguenza di condizionamenti socioculturali legati alla «distinzione» di status e di «capitale culturale» di cui ha parlato Bourdieu [ 1979] . E tuttavia, dai risultati raccolti e discussi in questo capitolo, è emerso ancora come deci­sivo il peso delle disuguaglianze educative e culturali, del­la condizione di studio (rispetto a quella di lavoro) nel favorire livelli di intensità e di qualità del consumo cultu­rale che diventano quindi più o meno selettivi e discrimi­nanti.

Se dunque la segmentazione del mondo giovanile, le più marcate differenze intergenerazionali sono senza dub­bio anche la conseguenza di una tendenza - dentro i pro­cessi di omologazione e di generalizzazione delle mode giovanili - verso la ricerca di un consumo più «individua­lizzato» perché espressivo di una identità e di una perso­nalità in via di definizione, bisogna rilevare che questi processi autoformativi risentono comunque di disugua­glianze di ceto - più di tipo educativo e culturale che economico - che sono ancora operanti e significative al­meno nel contesto della società italiana. E se l'ideologia della «democrazia dei consumi» sembra aver raggiunto i suoi obiettivi in gran parte dei consumi «materiali» (auto, telefonino, Coca Cola, surgelati, McDonald, Marlboro,

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ecc.) , ben diversa appare la situazione relativa ai consumi «immateriali», ancora sensibilmente differenziati in termi­ni di possibilità di accesso e di scelte di gusto.

4.3 . Il consumo culturale giovanile: luogo dell'innovazione culturale o spazio dell'integrazione sociale?

Alla fine del suo famoso ed anticipatorio lavoro sulla società post-industriale Touraine conclude la sua analisi con la seguente affermazione: «La sociologia dei diverti­menti è lo studio dei conflitti tra l'integrazione sociale e la creazione culturale» [1970, 248] . A ben vedere oggi questo ambito sociale - il divertimento, il tempo libero, il turismo e i viaggi, lo show business, il consumo culturale stesso - è in gran parte caratterizzato proprio dalle prati­che del mondo giovanile, sia intendendolo come target o «segmento di mercato» (capacità di spesa e di consumo di beni) sia sul piano dei comportamenti collettivi e delle filosofie esistenziali tipici di questa fase del ciclo e degli stili di vita. Il programma scientifico di T ouraine potreb­be dunque essere riformulato in questa chiave: una socio­logia del consumo culturale, nella attuale società, deve es­sere connessa all'analisi della condizione giovanile, e do­vrebbe focalizzarsi in particolare sul confronto e l'intera­zione tra processi di integrazione sociale e pratiche di in­novazione culturale quali si manifestano nelle nuove ge­nerazioni prima del passaggio all'età adulta.

Tuttavia, questo obiettivo non è così facile da rag­giungere, per lo meno sulla base dei dati e delle tendenze che qui sono state presentate e discusse: non solo perché il consumo culturale è per sua natura socialmente ambiva­lente, ma anche perché l'innovazione culturale - ove sia presente - sembra essere il portato di una condizione di attesa, di passaggio, il prodotto di un tempo di vita come zona franca, che tuttavia rischia di essere l'unico disponi­bile nell'intero arco esistenziale per costruire i livelli cul­turali personali. In questo senso si potrebbe avanzare l'ipotesi - azzardata ma suggestiva - che l'età giovanile

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sia destinata a diventare sempre più l'unica fase del tem­po sociale in cui si riproduce ma anche si rinnova la cul­tura collettiva, destinata poi a cristallizzarsi e stabilizzarsi nell'età adulta, fino alla terza e magari quarta età.

Detto in altri termini, bisognerebbe forse guardare alle pratiche culturali delle giovani generazioni - certo, non solo ai consumi in senso stretto - meno in termini di sola «sregolatezza» o «conformismo», e più come proces­si di riproduzione (e, se possibile, di innovazione) della cultura collettiva della società di domani, di cui queste generazioni - soprattutto dal punto di vista culturale -saranno poi inevitabili protagoniste. Se così fosse, conti­nuare a parlare di generazione x o y equivale ad ammette­re, un po' masochisticamente, che non vogliamo sapere «chi diventeremo» e «dove andremo».

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CAPITOLO SECONDO

SPORT, VACANZE E SVAGO NEL TEMPO LIBERO

l . Premessa

Il tempo libero sta cambiando natura1 , al punto che molti ormai mettono in discussione l'opportunità stessa di continuare ad utilizzare questa espressione per indica­re una dimensione non più definibile in termini residuali, o comunque legati ad una strutturazione temporale domi­nata da un tempo «occupato» - tipicamente, dal lavoro per il mercato - forte e pervasivo. Oggi, da segmento po­vero di significati per l'esperienza individuale, esso si sta trasformando in un tempo «emergente»: sempre più este­so, polisemico2, vissuto come «risorsa» da sfruttare/spen­dere al meglio. In questo senso, il tempo libero si confi­gura come una dimensione centrale per l' identità e la so­cialità degli individui, come già notava Bucchi [1997] , nel precedente rapporto IARD sulla condizione giovanile in

l Il mutamento delle coordinate spazio-temporali ormai in atto da tempo nelle società occidentali è, da circa un ventennio, uno dei temi più dibattuti dalle scienze sociali. La tradizionale strutturazione e rigidità di taluni tempi, soprattutto di quelli vincolati al lavoro indu­striale, si è progressivamente attenuata, aprendo uno spazio nuovo per combinaziopi temporali inedite, nel comporre le quali i soggetti hanno una autonomia più elevata che in passato. Per indicare questo nuovo spazio, entro il quale trovano posto attività di tipo estremamente di­versificato e non necessariamente riconducibili al puro loisir, si ricorre spesso all'idea di «tempo liberato». È impossibile dare atto qui della ricchezza e complessità delle analisi contenute nella letteratura su que­sti temi. Ci limiteremo perciò a segnalare una rassegna delle posizioni più interessanti sulla riduzione del tempo di lavoro e le ambiguità del tempo libero, proposta da «Sociologia del Lavoro» in un numero de­dicato a questa problematica [1995] .

2 Sull'evoluzione del concetto di tempo libero, cfr. Belloni [1995].

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Italia; si connette ad un modo nuovo di vivere e disegna­re lo spazio; e produce inedite domande di beni3 molti dei quali hanno natura prevalentemente relazionale.

Entro questo «nuovo tempo libero», le attività del loi­sir acquisiscono una rilevanza particolare, come nota, ad esempio, Minardi [1 996] sottolineandone la progressiva «dilatazione», da intendersi «come dilatazione di qualità individuali, senza il controllo di vincoli programmati; si comprendono in tal senso nel loisir le attività volte al pia­cere estetico, al divertimento individuale e collettivo, alle attività creative e comunicative, all' otium creativo, al viag­gio come percorso di esplorazione di mondi reali ed im­maginari, alla rappresentazione della memoria e del so­gno»4 .

Non deve quindi stupire che lo svago nel tempo libe­ro - insieme al «divertirsi, godersi la vita» - occupi ormai stabilmente un posto di rilievo nella scala dei valori dei giovani, come si è visto nella prima parte di questo Rap­porto e come emerge dal confronto con i dati della pre­cedente edizione. Analogamente, non stupisce che le principali attività del tempo libero giovanile siano quelle ad alto contenuto relazionale, come vedremo nel presente capitolo.

Nelle pagine che seguono analizzeremo tre specifici ambiti di attività: a) lo sport, inteso come pratica e/o come spettacolo; b) i viaggi, nella duplice accezione di spostamenti di lungo e breve-medio raggio-durata; c) le altre forme di svago, che comportano la frequentazione di luoghi differenziabili sotto il profilo della diversa enfa­si che in essi si pone sullo stare con, oppure sullo stare in, facendo qualcosa di preciso.

Prima, però, occorre vedere di quanto tempo libero dispongono i soggetti, fino a che punto essi lo giudicano

3 Una interessante lettura del rapporto tra la temporalità sociale e la configurazione della domanda di beni, materiali e immateriali, è sta­ta proposta qualche anno fa da Sue [1994] , che ha stimolato una spe­cifica riflessione sui nuovi consumi del tempo «liberato».

4 Minardi, op. cit. , p. 15 .

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adeguato alle loro esigenze, se e in che misura questo tempo è distribuito in modo diseguale, soprattutto aven­do presenti le differenze di significato e di disponibilità che, tradizionalmente, hanno connotato il vissuto del tempo libero in componenti diverse della popolazione, con particolare riguardo alla differenze di genere5.

2 . Disponibilità di tempo libero nel quotidiano

Nell'edizione 2000 è stata inserita - anche se limitata­mente ad un sotto-campione - una domanda relativa alla quantità di tempo libero disponibile normalmente nei giorni feriali. Un dato prevedibile emerso dalle risposte è che il tempo libero decresce con l'aumentare dell'età. Un secondo elemento, altrettanto prevedibile, è che questa risorsa si distribuisce in modo diseguale secondo la con­dizione degli intervistati. Un po' meno scontata, comun­que, è l 'entità di tali diseguaglianze.

Le casalinghe rappresentano la categoria più sfavorita rispetto alla disponibilità di tempo libero: esse si staglia­no nettamente (fig. 2 . 1 ) sugli altri nella classe relativa a meno di l ora al giorno. Si conferma così una tradizione consolidata di pervasività degli impegni di cura nella temporalità delle donne sulla quale si è da sempre fonda­ta in Italia l'organizzazione del ménage familiare: una per­sistenza testimoniata, fra l'altro, dai dati più recenti sul carico di lavoro delle donne in Italia [Ingrao e Scoppa 2000] .

Un secondo elemento da segnalare riguarda i disoccu­pati: contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, essi non si concentrano affatto all'estremo superiore coin-

5 Sul significato del tempo libero per le giovani donne, alla luce sia di una rassegna critica della letteratura su questo tema, sia di una indagine empirica sulla temporalità femminile, cfr., fra i numerosi contributi, quello di Calabrò [1996] . Per il rapporto tra nuove tecno­logie, lavoro e vissuto temporale femminile, cfr. Barazzetti e Leccardi [ 1995] .

427

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70 60

50

40 30 20 10

59

o +-'---I....L-.L

Meno di 60 min. 60-180 min. Più di 1 80 min.

D Dipendente fLl Autonomo • Disoccupato � Casalinga D Studente

FIG. 2 . 1 . Tempo libero, in una giornata feriale, per posizione lavorativa (%) .

cidente con oltre 4 ore giornaliere di tempo libero. Se la giornata di chi, apparentemente, non studia, non lavora, non gestisce un ménage domestico, è comunque vissuta come «occupata», ci si deve incominciare ad interrogare sulla natura e il significato degli impegni temporali che concorrono a strutturarla.

Per il 48,6% degli intervistati, il tempo libero dispo­nibile è adeguato alle proprie esigenze, per il 46, l % è scarso. Si tratta di un giudizio estremamente soggettivo, come mostra il fatto che, se da un lato poco meno della metà dei giovani soddisfatti delle ore a disposizione ha effettivamente più di 3 ore al giorno disponibili, d'altro lato, il 20,6% degli insoddisfatti si colloca oltre questa stessa soglia. E vi è pure un 3 % che lamenta un eccesso di tempo libero. Inoltre, coerentemente con la distribu­zione per età delle ore disponibili, il vissuto di una scarsi­tà di tempo libero prevale fra i 30-34enni, seguiti dai 25-29enni.

3 . Lo sport: praticanti e spettatori

Oltre la metà degli intervistati (53 , l %) pratica uno sport. Il dato sale al 56,6%, qualora si considerino solo i giovani entro i 29 anni: una quota decisamente in aumen­to rispetto al 49, 1 % della rilevazione '96.

Lo sport, pur interessando prevalentemente i giova-

428

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42%

• Agonismo O Per divertimento O No

FIG. 2.2. Pratica sportiva negli ultimi 12 mesi in modo continuativo o abba­stanza continuativo ( % , N = 3 .000).

nissimi, viene praticato con regolarità da oltre la metà de­gli intervistati appartenenti a ciascuna classe d'età succes­siva, fino ai 29 anni, quando gli impegni familiari e di la­voro si intensificano, riducendo considerevolmente la quota giornaliera di tempo libero a disposizione. Anche nella classe d'età 30-34 anni, comunque, vi è un 42% di praticanti regolari.

L'incremento nella pratica sportiva interessa maschi ( +6% ) e femmine ( + 7 ,5 % ) . Il divario fra di essi, pur a t­tenuandosi leggermente rispetto alle precedenti rilevazio­ni, resta comunque elevato: oltre 13 punti. Le differenze legate all'area geografica si fanno meno nette fra ambiti di appartenenza contigui: Nord (62,9%) e Centro (60,7 % ) sembrano avviati a colmare il divario di circa 10 punti che li separava nel '96; Sud e Isole, invece, riman­gono lontane con un 4 1 ,7 % . Se si considera la condizio­ne attuale, la percentuale più alta di coloro che non pra­ticano sport si registra fra chi non studia e non lavora, mentre la più bassa riguarda gli studenti.

Come in passato, prevale la motivazione del «diverti­mento» su quella d eli' agonismo (fig. 2.2) .

Per quanto riguarda la fruizione dello sport come spettacolo, la quota di chi ha assistito almeno una volta ad una manifestazione sportiva negli ultimi tre mesi si mantiene attorno al 40% . Fra i frequentatori di manife­stazioni sportive, le ragazze rappresentano poco meno della metà dei loro coetanei.

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4. Week-end e viaggi di pochi giorni: il problema di dor­mire fuori casa

In tema di viaggi e vacanze, è difficile il confronto con il passato perché, nel questionario 2000, le domande sono state riformulate per tenere distinti i fine settimana fuori casa, i viaggi di breve durata e gli spostamenti per le vacanze.

In generale, si nota una limitata propensione a spo­starsi nei week-end o ad effettuare viaggi di qualche gior­no per ragioni di studio e lavoro. Poco più della metà degli intervistati non ha «mai» trascorso un fine settima­na fuori casa negli ultimi 3 mesi; il 36% lo ha fatto una o due volte. La percentuale più elevata di chi non lo ha fat­to mai nel periodo considerato si trova nella classe d'età più giovane: 60,9% , entro cui spiccano le ragazze con il 67 % di «mai», mentre, per i coetanei maschi, il dato si attesta sul 53 ,8%. Questo divario di oltre 13 punti fra i generi, si riduce notevolmente nelle classi d'età successi­ve, fino ai 29 anni, per poi riproporsi, nell'ordine di circa 10 punti, nella classe d'età 30-34 . La massima concentra­zione di chi ha trascorso una o due volte un fine settima­na fuori si trova tra le 2 1 -24enni: 42 , 1 % contro 38, 1 % dei coetanei maschi. Questo è l'unico caso in cui le ra­gazze sembrano spostarsi più frequentemente dei ragazzi e si potrebbe pensare che coincida con il momento di massima libertà ed autonomia per esse: non ancora vin­colate dai compiti di cura domestica connessi a matrimo­nio e figli, più autonome dai genitori, con un partner e/ o un gruppo di amici con cui condividere il piacere del v1agg10.

Le differenze di classe sociale si avvertono soprattutto fra le due estreme, con uno scarto di circa 10 punti fra giovani di classe sociale superiore e quelli di matrice ope­raia, nel caso di almeno un fine settimana fuori casa negli ultimi 3 mesi.

Quando si considerano gli spostamenti per motivi di studio o lavoro, la scarsa propensione a viaggi di qualche giorno si accentua: ben 1 '85 ,5 % non ne ha mai fatti negli

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100 86

80

60

40 36

20

o

Mai 1-2 volte Più di 2 volte

o Fine settimana fuori o 4 gg. per studio/lavoro

FIG. 2.3 . Brevi permanenze fuori casa negli ultimi tre mesi (%, N = 1 .500).

ultimi 3 mesi; il 10,3 % una o due volte; solo il 2 ,7 % più di due volte. Queste risposte si distribuiscono in modo ab­bastanza omogeneo in tutte le fasce d'età. Fra i più gio­vani, inoltre, non si registrano differenze di genere. Con molta probabilità, ciò è dovuto all'effetto omogeneizzante esercitato dalla scuola su atteggiamenti e comportamenti, ed agli stimoli/opportunità di compiere scambi o fare tu­rismo culturale che essa offre oggi a studenti e studentes­se, con maggiore intensità rispetto al passato. Non a caso, le differenze incominciano a profilarsi dopo i 20 anni, vale a dire ad un'età in cui si giunge alla fine degli studi. Nella classe 20-24 anni, in effetti, le giovani donne rag­giungono il 90% di «mai fatto in 3 mesi», contrariamente ai coetanei che restano stabili sull'BO%; e giungono al 93 , 1 % nella fascia d'età più elevata, quando, presumibil­mente, le responsabilità di cura rendono loro impossibile assumere impegni lavorativi o di studio comportanti as­senze prolungate da casa.

Anche per i viaggi di studio/lavoro, come per i week­end fuori casa, si avvertono le differenze di classe sociale: in quella superiore e impiegatizia i «mai» oscillano intor­no all'BO% , mentre aumentano, rispettivamente di B e 10 punti, quando s i passa a famiglie di lavoratori autonomi e operate.

Va comunque precisato che, sulla possibilità di effet­tuare viaggi di qualche giorno e trascorrere i fine settima­n a fuori, influisce senz' altro il fatto che, per i più giovani

43 1

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e soprattutto per le ragazze, si registrano difficoltà, quan­do non precisi divieti, da parte dei genitori in merito alla possibilità di dormire fuori casa. Come si è già notato nei capitoli precedenti, c'è differenza tra la generica libertà di movimento e quella di gestire le ore notturne, conces­sa dai genitori: mentre buona parte dei giovani non ha problemi a frequentare gli amici che preferisce e ad an­dare dove vuole, sul fare tardi la sera e, ancor di più, sul dormire fuori, l'a-problematicità si fa decisamente meno marcata. Questo ordine di problemi, pur attenuandosi con il progredire dell'età, non scompare del tutto: ne ri­sentono in particolare le ragazze, comprese quelle di oltre 25 anni.

5 . Le vacanze: dalla regione al mondo

La mobilità legata alle vacanze ha un andamento di­verso da quella appena vista. La differenza si può spiega­re con il diverso grado di strutturazione sociale dei tempi e delle modalità che caratterizzano i due tipi di sposta­menti. Dalla libertà dei singoli di decidere se e come fare un viaggio nel week-end, si passa ad una definizione so­ciale tuttora rigida di ciò che comunemente si intende per tempo di «vacanza»: un tempo normato dal calenda­rio sociale e vincolato dall'immaginario collettivo da una sorta di coazione ad «andarsene», lasciandosi alle spalle la quotidianità.

Il 73,8% degli intervistati ha fatto vacanze di almeno 4 giorni negli ultimi 12 mesi, contro il 9,3 % che dichiara di non averne fatte.

Oltre un quarto degli intervistati ha trascorso le va­canze nella sua regione, confermando una scelta che emergeva già dai dati del '96. Per regioni italiane diverse dalla propria, si ha una frequenza analoga per il Nord Italia e poco più del 20%, sia per Centro che per Sud. Poco meno di un quarto dei viaggi per vacanza ha per meta un altro paese europeo e si scende a circa il l O%, nel caso di paesi extra-europei. La scelta di mete interna-

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zionali è in forte aumento rispetto al '96: escludendo i 30-34enni, vediamo questo dato passare dal precedente 14,9% per i paesi europei all'attuale 24 ,5 % ; e, per quelli extra-europei, dal 6% al 9%.

Mentre non vi sono differenze molto nette fra ragazzi e ragazze, di qualche interesse è il rapporto tra classe di età e meta prescelta. In particolare, i più giovani, soprat­tutto se studenti, hanno una tendenza che potremmo de­finire glocalizzante, polarizzata cioè fra la dimensione re­gionale e quella internazionale, in modo molto più accen­tuato che nelle altre classi d'età. Inoltre, per mete di va­canza in paesi extra-europei, bisogna guardare soprattut­to ai soggetti dai 25 anni in su: 10- 1 1 % tra i 25 e i 34 anni contro 7-7,5 % delle classi d'età inferiori.

6. Girovagare per passatempo. I centri commerciali come luoghi emergenti del «loisir»

La propensione alla mobilità dei giovani aumenta quando si considerano gli spostamenti di medio raggio e breve durata, finalizzati ad una sera o giornata «diversa» e allo shopping.

Dalla frequenza (fig. 2 .4) con cui gli intervistati esco­no dal proprio comune per passare una sera/giornata di­versa, si direbbe che lo spostarsi, prima ancora che fun­zionale alla ricerca del divertimento, rappresenti la com­ponente essenziale del divertimento stesso: una sera o una giornata sono «diverse» non tanto per quello che si fa, quanto per il fatto di farlo in un «altrove», da definir­si secondo l'estro e l'occasione del momento. Questo modo di vivere lo svago comporta che, nello spazio, più eh-: «luoghi»6, si configurino punti di sosta plurimi; più che percorsi, si disegnino dei giri.

L'affermazione di non essere «mai» usciti dal comune

6 Da intendersi secondo l 'ormai classica definizione di Augé [ 1992] , come ambiti spaziali dotati di una precisa identità, intessuti di contenuti relazionali e di significati storicamente determinati.

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60 52

50

40

30

20

lO

o

43

Mai 1 - 2 volte Più di 2 volte

D 20 km per interessi D 20 km per divertimento

B 20 km per shopping

Ftc. 2 .4 . Mobilità Ji medio raggio negli ultimi tre mesi (% , N = 1 .500).

negli ultimi tre mesi per trascorrere una sera o una gior­nata diversa prevale, senza sostanziali differenze di gene­re, fra i giovanissimi; di fatto, fra chi non ha ancora la patente e un mezzo proprio. Nelle altre classi d 'età, que­sti spostamenti a puro scopo di svago sono, in generale, più frequenti fra i maschi.

Sono soprattutto i giovani di estrazione elevata a spo­starsi più frequentemente (46,6% ) per questo motivo, differenziandosi nettamente da quelli di classe operaia che fanno registrare, in proposito, la frequenza mm1ma (39,7 % ) .

.

Uscire dal comune per fare shopping è una prassi ab­bastanza frequente anche per le 25-29enni, il 4 1 , 1 % delle quali lo ha fatto almeno una volta negli ultimi 3 mesi. Le differenze di classe sociale si awertono in misura inversa rispetto ai casi precedenti: sono più frequenti i «mai» fra i giovani di classe sociale superiore che fra quelli apparte­nenti alle altre classi.

Un dato che merita attenzione è una forte propensio­ne a spostarsi per fare shopping emergente nelle risposte dei ragazzi di 18-20, il 3 1 ,2 % dei quali lo ha fatto più di due volte negli ultimi mesi. Per soggetti, come i maschi di questa età, sostanzialmente de-responsabilizzati rispet­to agli acquisti per il ménage e, in gran parte, non ancora autonomi finanziariamente, il dato appare a prima vista un po' strano. Se tuttavia si considerano le scelte relative

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9%

42%

1;:'3 Mai in tre mesi o non risponde D 1-2 volte in tre mesi D l o più volte al mese • l o più volte alla settimana

FIG . 2.5. Frequenza con cui i giovani hanno «girato» per negozi o centri com­merciali negli ultimi 3 mesi ( % , N = 1 .500).

ad una serie di attività del tempo libero proposte da una domanda successiva, si vede che il fare shopping o, co­munque, «girare per negozi e centri commerciali» sembra ormai diventata una diffusa modalità di svago, magari da condividere con amici, e relativamente indipendente dalla finalità di fare acquisti (fig. 2 .5 ) .

Spostarsi dal luogo di residenza per attività legate ai propri interessi è un costume molto meno diffuso. Le ra­gazze, in particolare, prevalgono fra chi non lo ha mai fatto negli ultimi 3 mesi e raggiungono, con questa rispo­sta, i punti di maggiore concentrazione nelle classi d'età estreme: 69, 1 % nella classe 15 -17 e 65,5 % in quella 30-34. Nel primo caso, si può trovare una spiegazione nella scarsa autonomia di spostamento delle giovanissime; nel secondo, si potrebbe pensare alle difficoltà di allontanarsi dai compiti familiari di cura. Oltre che da questi motivi, la differenza fra ragazzi e ragazze potrebbe giustificarsi anche con la diversa natura dei rispettivi interessi. Ad esempio, non è irrilevante che i ragazzi, in misura doppia rispetto alle coetanee, assistano a manifestazioni sportive, quindi, presumibilmente, anche a quelle coincidenti con trasferte dei propri beniamini.

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7 . Attività del tempo libero: la centralità della dimensione relazionale-conviviale

Dopo la pratica sportiva, i viaggi e gli spostamenti, in generale, vediamo ora quali altre modalità di svago si profilano nel tempo libero dei giovani, astraendo comun­que da un'analisi specifica dei consumi musicali e cultu­rali, trattati in altri capitoli di questa parte.

Di sera o nel fine settimana, la maggioranza opta per attività di svago la cui finalità principale è quella di stare con gli amici, in situazioni di tipo conviviale. Così, anche la casa di famiglia diventa un luogo di ritrovo assai co­mune, soprattutto se si considera che, come si è detto, buona parte dei genitori tende a non creare eccessive dif­ficoltà in questo senso.

Il 4 1 ,4 % invita amici o va da loro più volte la setti­mana; il 40,3 % lo fa almeno qualche volta al mese. An­cor più diffuso - il 62,7 % lo fa più volte la settimana - è quel generico andare in giro in compagnia che va dalle scorribande notturne nei locali, al bighellonare fra i nego­zi e i centri commerciali, al passare da una casa ad un ri­trovo pubblico, alla casa di qualche altro amico e così via. Bar/pub/birrerie, sono frequentati più volte nel corso della settimana dal 50,2 % dei giovani o qualche volta al mese dal 27,8 % . Ritrovi usuali sono anche i ristoranti e/ o le pizzerie: il 35,7 % è solito andarci durante la settimana, mentre il 45,9% lo fa qualche volta nell'arco di un mese. Almeno una volta al mese, oltre il 40% dei giovani va an­che al cinema e a ballare e più della metà ha assistito a manifestazioni locali. Anche quelle sportive rappresenta­no un'occasione usuale di svago, soprattutto, come si è visto, per i maschi, che, non di rado, vi trovano anche l'opportunità di stare con amici.

Meno frequentemente, si compiono attività più impe­gnative finanziariamente, o sotto il profilo dell'impegno culturale in senso stretto. Si tratta di attività che coinci­dono con una finalità in cui lo stare in prevale, o assume altrettanto rilievo dello «stare con», come i concerti rock, il teatro, le manifestazioni culturali, i dibattiti: oltre il

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70% non si è mai recato in alcuni di questi luoghi negli ultimi tre mesi. Ancor più disertati sono sia i corsi di ogni genere, in merito ai quali i «mai» si collocanO intor­no al 90% , sia i concerti di musica classica, ai quali il 92,7 % non ha mai assistito in tre mesi. Migliora la situa­zione con le visite a musei e mostre, dove i «mai» scen­dono a 63 ,4 % e con la frequentazione delle biblioteche, che sembrano essere, come si è visto nel capitolo prece­dente, il meno disertato fra i luoghi connessi ai consumi culturali strettamente intesi

Si tratta di dati che confermano, sostanzialmente, l 'orientamento dei giovani ad una socialità ristretta, se­gnalata da più parti nel presente Rapporto.

43 7

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CAPITOLO TERZO

L'ASSOCIAZIONISMO E LA PARTECIPAZIONE

l . Livelli di partecipazione dei giovani alle assoczazzonz volontarie

Nel corso degli ultimi decenni la vita associativa dei giovani in Italia si è dapprima intensificata e poi consoli­data su livelli piuttosto elevati, vicini a quelli dei giovani di altri Paesi europei che hanno più forti tradizioni in questo campo.

L'ultima rilevazione IARD, pur registrando una leggera inversione di tendenza, conferma la presenza di una con­sistente partecipazione associativa giovanile nel nostro Paese; come si può osservare dai dati riportati nella ta­bella 3 . l , quasi la metà dei giovani compresi nella fascia 15-29 anni ha dichiarato di partecipare attualmente ad al­meno una associazione.

La lettura della serie relativa al livello di partecipazio­ne, deve tenere conto del fatto che in quest'ultima rileva­zione il formato della domanda, per ragioni tecniche, è cambiato rispetto a quelle precedenti: le percentuali del 1992 e del 1996 sono quelle di coloro che negli ultimi tre mesi avevano partecipato (o non partecipato) almeno due volte all'attività di una associazione, mentre quelle del 2000 fanno riferimento a coloro che attualmente vi parte­cipano. Il lieve aumento del valore percentuale della cate­goria «non associati» potrebbe essere quindi imputabile alla maggiore restrittività del criterio di risposta più che a un calo effettivo del numero di associati negli ultimi quattro anni (oltre che, naturalmente, a una semplice fluttuazione campionaria) .

Se per esigenze comparative abbiamo fin qui conside­rato solo la fascia dei 15-29enni, è opportuno però ricor­dare che il campione dell'ultima rilevazione è rappresen-

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TAB. 3 . 1 . Livelli di associazionismo dei giovani (% 15-29enni)

Attualmente

Non associati Monoassociati Multiassociati

1992

48,8 28,7 22,5

1996

48,2 25,7 26,1

2000

53 , 1 24,6 22,2

tativo anche dei 30-34enni. Considerando il campione nel suo complesso comunque non si ottengono dati molto di­versi: i non associati sono il 54,2 % , i monoassociati il 24,8% e i multiassociati il 2 1 % ; diminuisce dunque leg­germente il numero di associati, essendo i 30-34enni in media meno attivi in questo campo (sulle differenze di età e le relative interpretazioni si dirà più avanti) .

Ma per tenere conto in modo più completo della capa­cità di attrattiva della vita associazionistica sui giovani, oc­corre considerare non solo la percentuale di coloro che vi partecipano attualmente, ma anche quella di chi dichiara di averlo fatto in passato. Emerge allora che solo il 18,2% non ha mai partecipato, né in passato né attualmente, a una delle associazioni o dei gruppi menzionati nel questio­nario. Non solo la stragrande maggioranza ha aderito, al­meno in passato, ad almeno una forma associativa, ma poco meno di due giovani su tre dichiara di aver frequen­tato due o più categorie di associazioni. È dunque fuori discussione l'importanza che le principali associazioni vo­lontarie, operanti in forma organizzata, rivestono attual­mente nella socializzazione di gran parte dei giovani, ac­canto alla famiglia, alla scuola e ai gruppi informali. Esse rivestono il ruolo di mezzo esplorativo, per avere cioè mol­teplici esperienze (sia a carattere strumentale che espressi­vo) prima di compiere scelte che segnino in modo vinco­lante, se non irreversibile, la propria biografia; ma come vedremo più avanti, rappresentano anche l'antidoto a una chiusura egoistica nel piccolo gruppo (famigliare o amica­le), in un momento storico in cui la politica, intesa come il luogo che dovrebbe produrre le solidarietà lunghe, non riesce a raccogliere i frutti del protagonismo giovanile.

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2 . Ambiti dell'associazionismo giovanile

Dopo aver considerato il dato aggregato, che ci infor­ma sull'andamento generale dell'associazionismo giovani­le, è utile ora passare a un esame dei tassi di partecipa­zione per ogni singola categoria delle associazioni o grup­pi considerati nel questionario.

Le associazioni sportive (di praticanti) , religiose, cul­turali e di volontariato sono quelle più frequentate dai giovani, attualmente e in passato; sono al contrario quasi ignorati dal pubblico giovanile italiano i gruppi di medi­tazione che si ispirano alle filosofie orientali, i fan club di personaggi famosi, e le associazioni per i problemi della donna.

La partecipazione dei giovani si distribuisce poi, sep­pur con percentuali modeste, tra ognuna delle numerose altre associazioni comprese nell'elenco.

La ricchezza dei dati contenuti nella tabella preceden­te induce a cercare una qualche forma di classificazione con un minor numero di categorie, per dare una lettura di sintesi del fenomeno associativo.

Seguendo uno schema già usato in passato, possiamo raggruppare le 1 8 associazioni nelle seguenti tre catego­ne:

- associazioni di impegno sociale, politico, sindacale o civico (prevalentemente eteroorientate, prioritariamente rivolte alla promozione dell'impegno e della partecipazio­ne degli affiliati alla vita sociale più ampia, mediante l'or­ganizzazione di azioni collettive con carattere politico, sindacale o civico, di manifestazioni pubbliche del pen­siero, di attività sociali rivolte a soggetti svantaggiati o in difficoltà ecc. ) ;

- associazioni di fruizione culturale, ricreativa o spor­tiva (le cui attività sono prevalentemente rivolte in modo diretto agli affiliati e alle loro necessità di autorealizzazio­ne, di .valorizzazione fisica e intellettuale, di socializzazio­ne e di impiego del tempo libero);

- associazioni religiose (in cui si ritrovano molti degli aspetti delle precedenti categorie, ma coniugati con pecu-

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T AB. 3 .2. Partecipazione alle diverse categorie di associazioni o gruppi (N 1 .500, le «non risposte» sono state escluse dall'analisi, %)

Associazioni sportive (praticanti) Gruppi parrocchiali Associazioni culturali Associazioni/movimenti religiosi Volontariato sociale e assistenziale Organizzazioni studentesche Organizzazioni tutela ambientale Partiti/movimenti politici Gruppi scout Club di tifosi Associazioni turistiche Organizzazioni soccorso umanitario Centri sociali/ collettivi politici Organizzazioni difesa diritti umani Sindacati/associazioni di categoria Gruppi di meditazione Fan club Altri gruppi o associazioni Per i problemi della donna'"'

Mai Solo partecipato in passato

45,7 61 ,4 76,2 78,5 79,3 85,4 86,7 88,3 89,2 89,6 9 1 , 1 92,2 92,8 93,6 93,7 95,3 96,5 97,0 98,0

35 ,9 29,6 15 ,4 15 ,1 13 ,1 1 1 ,6 9,5 7 ,8 9,2 7 , l 5,7 4,8 5,2 4,5 1 ,9 3 ,0 2,5 0,6 1 ,4

,., Percentuale calcolata su totale femmine.

Attualmente

18,4 9,0 8,4 6,4 7,6 3 ,0 3 ,8 3 ,9 1 ,6 3 ,3 3 ,2 3 ,0 2 ,0 1 ,9 4,4 1 ,7 1 ,0 2 ,4 0,6

liari elementi di valorizzazione della spiritualità e di colti­vazione della sfera del sacro) .

Seguendo questa classificazione1, risulta che le attività

l In pratica, come associazioni religiose sono state considerate le associazioni c i movimenti religiosi, nonché i gruppi parrocchiali; come associazioni di fruizione, le associazioni sportive (di praticanti e di tifosi), culturali, ricreative, turistiche, scoutistiche, i fan club e i gruppi di meditazione; come associazioni di impegno quelle politiche, sindacali c di categoria, ecologiste, di impegno sociale, studentesche, per la difesa dei diritti umani, per i problemi della donna e i centri sociali. Questi ultimi erano stati considerati nel rapporto precedente nella categoria delle associazioni prevalentemente autoorientate. Alcu­ne ricerche [tra le più recenti: Dines 1999; Berzano e Gallini 2000] hanno messo in luce che la realtà dei centri sociali occupati autogestiti è fortemente eterogenea: sia per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni, sia l'orientamento ideologico, sia infine, e soprattutto, per

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T AB. 3 .3 . Associazioni a cui viene data priorità (15-29enni, %)

Di fruizione Di impegno Religiose

1992

57,0 25,2 17,8

1996

58,4 23 ,9 17,7

2000

53,9 30,3 15,8

associazionistiche più diffuse, sono quelle di fruizione (29,2% di tutto il campione) , seguite a breve distanza da quelle che prevedono una qualche forma di impegno ver­so altre persone o verso la collettività nel suo complesso (20,9%) e infine da quelle che prevedono forme di impe­gno religioso ( 1 1 ,0%) .

Lo stesso ordinamento s i ricava considerando un al­tro indicatore: l'organizzazione che interessa di più a chi partecipa attualmente (per chi ne frequenta una sola, questa è stata codificata come quella più importante) . Il 5 1 ,3 % del campione totale considera irrinunciabile la partecipazione a una associazione di fruizione, mentre il 33 ,8% dà priorità a quelle di impegno e il 14,9% a quel­le religiose.

Per questo indicatore siamo in grado di effettuare un confronto con le due rilevazioni precedenti limitatamente ai giovani 15-29enni. Come si vede dalla tabella 3 .3 , nel tempo assistiamo a una crescita dell'importanza data alle associazioni di impegno, a scapito sia dell 'associazionismo di fruizione sia di quello religioso.

gli scopi perseguiti; questi ultimi restano in gran parte di tipo cultura­le (in particolare, sono luoghi privilegiati per l'ascolto di band musicali che non sono inserite nei circuiti convenzionali della musica pop), ma sempre più spesso anche sociali e politici (come si è visto per esempio nelle più recenti mobilitazioni, in cui spesso i centri sociali hanno avu­to il ruolo di primi protagonisti, contro la guerra, contro la produzio­ne e il commercio di prodotti transgenici, o a favore di minoranze come gli immigrati e i carcerati ecc. ) . Queste considerazioni portano a classificare questi gruppi come prevalentemente eteroorientati, anche se non tutti i centri occupati hanno obiettivi di tipo politico o sociale.

443

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3 . Profilo dei giovani che partecipano all'attività delle as-. . .

soczazzonz

Vediamo ora di tracciare un profilo dei giovani che partecipano, o che non partecipano, alla vita associativa. Nella tabella 3 .4 vengono messi a confronto maschi e femmine e soggetti appartenenti a diverse classi di età.

I maschi mostrano una maggiore propensione alla vita associativa, compresa una maggiore tendenza a fre­quentare più di una associazione contemporaneamente; la differenza peraltro, è più marcata rispetto a quella regi­strata nel 1996 e si riscontra al Nord come al Sud. In sin­tesi, nel campo dell'associazionismo il processo di gra­duale equiparazione delle scelte operate da maschi e fem­mine, e forse anche delle opportunità loro offerte, mostra nell'ultima rilevazione una battuta di arresto. In ogni caso siamo di fronte a segnali del permanere di differenti mo­delli di socializzazione tra i generi. Per quanto concerne l'età, l' indagine non rivela particolari novità rispetto al passato: il livello di partecipazione associativa, specie se plurima, declina infatti gradualmente con l'aumentare dell'età, assestandosi su valori comunque elevati nelle due fasce più alte. Come già avevamo sottolineato nel rappor­to relativo all'indagine del 1996, l'interpretazione più plausibile di questo dato va ricercata in effetti di corso di vita: con l'avanzare dell'età diminuisce progressivamente la propensione a esplorare nuove esperienze e nuovi lega­mi identitari, soprattutto mano a mano che vengono rag­giunte le tappe che contrassegnano l'ingresso definitivo nella vita adulta. Anche l'età dunque, come il genere, in­fluenza la partecipazione alle associazioni. A un'analisi più approfondita, emerge però tra le due variabili una differenza rilevante. Mentre la relazione con il genere vale solo per un particolare tipo di associazioni, segnata­mente quelle di fruizione, quella con l'età si presenta per tutti i tipi di associazioni, seppur con alcune differenze: infatti, se nel caso delle associazioni religiose e di quelle prevalentemente autoorientate la partecipazione diminui­sce progressivamente all'aumentare dell'età, nel caso delle

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TAB. 3 .4. Livelli di associazionismo per genere ed età (%)

M F 15-17 18-20 21 -24 25-29 30-34

N o n associati 48,8 60,1 35,6 49 ,7 55,6 59,5 57,9 Monoassociati 28,1 2 1 ,3 33,3 30,1 20,2 22,7 25,4 Multiassociati 23 , 1 18,6 3 1 , 1 20,2 24,2 17,8 16,7

associazioni prevalentemente eteroorientate il rapporto tra età e partecipazione non è di tipo lineare.

Essendo la partecipazione associativa legata alla di­sponibilità di tempo libero, è conseguente chiedersi se esista un legame con la condizione occupazionale. Emer­ge, come ci si poteva attendere, che il gruppo di chi lavo­ra a tempo pieno mostra in media una minore partecipa­zione alle varie forme di vita associativa rispetto a chi studia soltanto (4 1 ,7% di non associati) o a chi ha un la­voro occasionale (46,2 %) ; ma ancora una volta, come è già accaduto in precedenti rilevazioni, la quota maggiore di non associati la troviamo tra chi non studia e non la­vora (69,5%) . Stando ai nostri dati, un 10% circa di gio­vani (in gran parte concentrati nel Sud e nelle Isole) sem­brerebbe escluso dalle principali aree di socializzazione esterne alla famiglia e ai gruppi informali: lavoro, scuola/ università, associazioni volontarie.

Un'altra importante variabile di background mediante la quale tracciare il profilo dei giovani associati (e dei non associati) è l'area geografica di provenienza.

Le aree del Nord sono sempre in testa nella classifica del numero di associati; il Nord-Ovest è lievemente in vantaggio sul Nord-Est per quanto riguarda il numero complessivo degli associati, ma il Nord-Est in questa rile­vazione torna in testa se si considera il numero dei mul­tiassociati2.

2 Nel precedente rapporto segnalavamo un boom di multiassocia­ti nel Nord-Ovest; stando ai dati attuali quindi sembrerebbe essersi trattato di un fenomeno transitorio. Che ci sia stato quel boom è co­munque indirettamente confermato anche dall'attuale rilevazione; in-

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TAB. 3 .5 . Tipologia associativa per genere ed età (partecipa attualmente - %)

M F 15-17 18-20 2 1 -24 25-29 30-34

Autoorientate 34,6 23,3 45,2 28,2 30,9 25,6 24,0 Eteroorientate 22,7 19,0 21 ,5 28,2 16,9 20,4 22,2 Religiose 9,8 12,3 25,4 1 1 ,0 12,9 6,4 7,3

TAB. 3 .6. Livello associativo per area geografica (partecipa attualmente - %)

Non associati Monoassociati Multiassociati

Nord-Ovest Nord-Est

46,3 33,0 20,8

46,8 26,0 27,1

Centro

55,4 26,8 17,8

Sud

6 1 ,2 19,1 19,6

Isole

64,1 16,3 19,6

Anche per quanto riguarda la tipologia assoClatlva si rilevano alcune interessanti differenze territoriali. Le per­centuali di associazionismo di fruizione sono sostanzial­mente simili nel Nord-Ovest nel Sud e nelle Isole, legger­mente più elevate nelle regioni del Nord-Est e del Cen­tro. Nel rapporto precedente si osservava un divario piut­tosto consistente tra il livello molto elevato del Nord­Ovest e quelli bassi nelle altre regioni. Ora invece le altre regioni hanno guadagnato fortemente terreno per questo tipo di associazionismo, raggiungendo i livelli del Nord­Ovest (è il caso del Sud e delle Isole) o addirittura supe­randoli (Nord-Est e Centro) . Analogo discorso si può fare per le associazioni di impegno e quelle religiose: c'è un recupero sul Nord-Ovest delle altre Regioni, con il Sud e le Isole che vanno a guidare la classifica per quan­to riguarda, rispettivamente, le associazioni di impegno e quelle religiose.

Un altro importante condizionamento della propen-

fatti se consideriamo oltre a coloro che partecipano attualmente anche coloro che dichiarano di aver partecipato in passato, il Nord-Ovest ri­sulta in testa anche per quanto riguarda il numero di multiassociati.

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TAB. 3 .7 . Tipologia associativa per area geografica (partecipa attualmente - %)

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole

Autoorientate 61 ,9 67,8 68,3 59,2 62,1 Eteroorientate 47,9 40,6 44,2 50,7 42,4 Religiose 22,2 24,5 19,2 27,0 30,3

T AB. 3 .8. Background culturale e classe sociale della famiglia di origine e livello associativo dei giovani (%)

Non associati Monoassociati Multiassociati

Background culturale Classe sociale della famiglia della famiglia di origine di origine

Alto Medio Basso Superiore Impiegatizia Autonoma Operaia e assimil.

40,0 53,1 67 , l 26,9 26,8 19,0 33,1 20,1 13,9

47,7 28,3 24,0

46,4 26,8 26,8

61,6 22,2 16,2

58,3 23,5 18,2

si o ne all'associazionismo è individuabile nella famiglia di origine degli intervistati. L 'educazione avuta nella fami­glia di origine è molto importante nel determinare il gra­do di apertura del soggetto alle varie forme di vita socia­le. Gli stili educativi dipendono poi da molti fattori, psi­cologici, religiosi e sociali. Dai nostri dati emerge che sono ancora rilevanti il background culturale della fami­glia di origine e, fatto meno scontato, la classe sociale di provenienza (tab. 3 .8) . Per quanto riguarda quest'ultima si rileva in particolare un divario tra classe superiore e impiegatizia da un lato (maggior associazionismo) e auto­noma e operaia dall'altro (minor associazionismo) .

4 . Modalità di partecipazione

Sino a questo punto abbiamo parlato in termini mol­to generali di vita associativa, senza distinguere tra le va­rie forme mediante le quali si manifesta la partecipazione.

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Già nel precedente rapporto segnalavamo che i dati IARD sembrano sovrastimare la partecipazione associativa, per­lomeno rispetto ai valori indicati da testimoni qualificati (esperti e operatori impegnati nel mondo associazionisti­co) . Ciò è in buona parte dovuto al fatto che questi ulti­mi definiscono la partecipazione alle associazioni volonta­rie individuando alcune caratteristiche che la distinguono da una m era frequentazione: far parte dello staff o avere . qualche tipo di incarico (non remunerato) , frequentare in modo assiduo e per un periodo di tempo considerevole. Questa accezione più restrittiva del concetto di partecipa­zione è in linea di principio certamente più appropriata; tuttavia un problema rappresentato dalle ricerche basate sui testimoni qualificati è che di solito queste ultime co­prono delle aree limitate per territorio, tipo di associazio­ne ecc. e i risultati sono più difficilmente generalizzabili (rispetto a quelli prodotti da un'inchiesta camp10nana come la presente) .

Nell'ultima rilevazione IARD sono state poste anche alcune domande relative ai tempi e ai modi con cui si manifesta questa partecipazione: pertanto, per la prima volta, è possibile fornire una visione d'insieme del feno­meno associativo giovanile che comprende anche alcuni elementi utili per l'individuazione delle diverse forme di membership associativa diffuse tra i giovani italiani.

Per quanto riguarda il tempo dedicato all 'associazione a cui si dà maggiore importanza, scopriamo che tre inte­ressati su quattro frequentano con una certa assiduità, ov­vero più volte al mese, o anche più volte alla settimana; questa variabile è significativamente associata all'età: dall'88% circa di assidui tra i 15 - 17enni si scende gra­dualmente fino al 67% tra i 25 -29enni. Le associazioni i cui partecipanti dedicano una quota maggiore di tempo sono quelle di fruizione, seguite da quelle religiose e con un significativo distacco da quelle di impegno: si tenga comunque conto che il 58% dei partecipanti a queste ul­time è classificabile come «assiduo».

Un altro segnale di quanto la vita associativa venga presa sul serio dai giovani è fornito dalla risposte alla do-

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manda «da quanto tempo vi partecipa»: quasi due terzi del campione complessivo, che potremmo definire vetera­ni, dichiara infatti di parteciparvi da più di tre anni. Oc­corre peraltro considerare che il campione contiene una quota rilevante di giovanissimi: se si considerano gli over 20, la percentuale di chi frequenta da 3 anni o più l'asso­ciazione raggiunge pienamente i due terzi.

Come ci si attendeva, è comunque una minoranza che dichiara di svolgere attività organizzative per conto del­l' associazione: se si esclude un 2 ,3 % che lo fa in cambio di una remunerazione (il che di norma, anche se non ne­cessariamente, trascende l'azione volontaria), risulta che è il 20,8% dei giovani associati a offrire il proprio lavoro volontario all'associazione a cui tiene maggiormente. Tra­dotta in termini di percentuale sul totale dei giovani, la quota dei 15-34enni italiani che in questa indagine di­chiara di prestare lavoro volontario in una associazione è pari a poco meno del 10%3•

Il 79% dunque dei frequentanti non ricopre incarichi particolari e quindi si può presumere che gran parte di questi partecipi principalmente a titolo di utente/fruitore dell'organizzazione. Quanto ciò sia attribuibile, almeno in parte, a un atteggiamento di passività delle giovani gene­razioni è impossibile stabilirlo sulla base dei nostri dati. A parte l'ovvia considerazione che, se di passività si vuole parlare, di essa non sono responsabili solo i giovani ma anche gli adulti (soprattutto nei ruoli di genitori e di educatori) , vogliamo sottolineare anche che in parte sono

3 Poiché è la prima volta che si pone questa domanda, non pos­siamo indicare se il lavoro volontario dei giovani per conto delle asso­ciazioni sia aumentato o diminuito. Stando alle due ultime indagini sull'associazionismo svolte dall'IREF, la quota di giovani ( 1 8-29enni) che svolgono attività di volunteering sarebbe aumentata dal 1997 al 1999, passando dal 10,8% al 1 6,7 % ; il dato IARD/2000 per la stessa fascia di età fornisce un valore di poco inferiore al 10%, ma occorre tenere presente che la definizione operativa di volunteering data dal­l'IREF comprende anche azioni al di fuori dell'ambito associativo [cfr. lREF 1998; 2000] .

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TAB. 3 .9. Tipo di partecipazione e tipo di associazione (%)

Occasionali Habitué Membri attivi

Prevalentemente eteroorientate

20,9 62,5 16,6

Prevalentemente autoorientate

7,4 73,0 19,6

Religiose

4,8 60,7 34,5

le associazioni stesse ad essere poco coinvolgenti (stando almeno a quanto ci dicono indirettamente i nostri intervi­stati) : il 3 1 ,8% degli intervistati dichiara infatti che nel­l'associazione frequentata non sono previsti incarichi par­ticolari.

Come risulta dalla tabella 3 .9, sono le associazioni di tipo religioso a ottenere il maggior livello di attivismo de­gli associati: il 34 ,5 % di questi ultimi dichiara infatti di avere degli incarichi per conto dell'associazione. Per con­tro, curiosamente, sono le associazioni eteroorientate ad avere il maggior numero di quel tipo di associati che si vedono occasionalmente (20,9%) ; infine gli habitué, ter­mine con cui etichettiamo i frequentatori abituali e/ o di lunga data ma senza incarichi, prevalgono un po' dap­pertutto ma in special modo nelle associazioni prevalen­temente autoorientate.

La distinzione tra partecipanti occasionali, habitué e membri attivi non mostra alcuna relazione significativa con le variabili genere, istruzione e professione. Rilevanti invece sono le relazioni con le variabili età e area di resi­denza. Per quanto riguarda l'età, abbiamo che al crescere di questa aumenta il numero di attivisti e quello degli oc­casionali a scapito degli habitué: si può dire cioè che i frequentatori assidui tendono a diminuire nelle fasce più alte oppure a trasformarsi in attivisti.

Il fenomeno degli habitué sembra inoltre essere più caratteristica delle regioni del Nord-Ovest (76%) mentre è decisamente meno presente nel Sud e nelle Isole (58%) ma anche nel centro e nel Nord-Est (67 % circa).

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Page 453: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

5. Associazionismo e partecipazione a manifestazioni pub­bliche

A prescindere dalle funzioni manifeste, cioè dagli obiettivi dichiaratamente perseguiti per statuto, alle asso­ciazioni è riconosciuto lo svolgimento di alcune impor­tanti funzioni latenti.

Le associazioni volontarie sono considerate elementi essenziali per lo sviluppo psicologico, morale e l'integra­zione sociale dell'individuo. Ad esse è inoltre attribuita un'altra importante funzione comune, perlomeno nelle società democratiche, che si potrebbe definire di «media­zione» tra la società civile e lo stato: da un lato si ricono­sce loro la capacità di equilibrare il potere statale (centra­le e periferico) ; dall'altro quella di promuovere la parteci­pazione alla vita pubblica, nel senso di favorire la discus­sione e la diffusione di informazione tra i cittadini su particolari issues di interesse per la vita collettiva.

Ciò owiamente non significa che un individuo che partecipi alla vita associativa sia automaticamente un cit­tadino più attivo e informato nel campo della sfera pub­blica di un individuo non associato, né che tutte le asso­ciazioni svolgano in eguale misura questo tipo di funzio­ne ir:tegrativa.

E comunque plausibile ipotizzare che a livello aggre­gato l'associazionismo, soprattutto quello di impegno, mostri significative connessioni con la partecipazione po­litica, in particolare con quelle forme di espressione pub­blica delle proprie idee come i cortei, le manifestazioni pubbliche e la raccolta di firme, o più sinteticamente con la partecipazione politica non convenzionale [Inglehart 1990, trad. i t. 1993 ] . Conviene innanzi tutto dare un qua­dro dell'entità della partecipazione a tali attività.

L'esame della tabella 3 . l O permette di affermare che la partecipazione a manifestazioni pubbliche di vario tipo è attualmente poco diffusa tra i giovani. In effetti, rispet­to alla rilevazione del '96 assistiamo a un vero e proprio crollo della partecipazione per quasi tutte le forme di manifestazione, con l'eccezione di quelle per i problemi

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TAB. 3 . 10. Partecipazione negli ultimi 12 mesi a manz/estazioni pubbliche (%)

Attività relative a: Mai 1 -2 volte Più di 2 volte

Pace e disarmo 94,3 4,9 0,8 Scuola e studio 85,9 10,5 3 ,6 Lavoro e occupazione 92,7 6,1 1 ,2 Difesa ambiente 92,3 6,9 0,8 Donne, pari opportunità 98,6 1,2 0,2 Problemi locali (città, quartiere) 92,0 7 ,2 0,8 Campagne elettorali 92,3 6,2 1,5 Proposte di referendum 94,5 5 , 1 0,4 Altro 96,3 3 ,0 0,7

locali che al contrario risulta in leggera crescita. Il decre­mento più vistoso, in termini assoluti (cioè a prescindere dai valori di partenza del 1996) è quello che riguarda le manifestazioni per la scuola e lo studio: si passa dal 25,5 % nel 1996 al 16,7 % nel 2000 (cioè -8,8% ) di 15-29enni che hanno partecipato almeno una volta nell'ulti­mo anno a tale tipo di manifestazioni.

Se si considera un indicatore di sintesi, relativo alla partecipazione ad almeno una di quelle attività, nella pre­cedente rilevazione era il 48% di giovani ( 15 -29enni) a dichiarare di avervi partecipato una o più volte nell'ulti­mo anno; nel 2000 otteniamo un valore pari al 35% per i 15-29enni e del 33 % se consideriamo anche la fascia dei 30-34enni.

Alla base di questa drastica diminuzione della parteci­pazione ci sono certamente motivi di lungo periodo, ma anche contingenti: tra questi ultimi, certamente pesa il fatto che al momento della rilevazione la sinistra era al governo. Le manifestazioni pubbliche come quelle appe­na elencate, sono state infatti nel nostro Paese un baga­glio della cultura e dell'azione politica della sinistra, so­prattutto quando una cospicua parte di essa era all'oppo­sizione. Se incrociamo la partecipazione a tali manifesta­zioni con l' autocollocazione sull'asse destra-sinistra, pos­siamo vedere che nel complesso la sinistra (di governo ed estrema) mantiene la sua egemonia: ciò vale soprattutto per le manifestazioni sui temi della pace, della scuola, del

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TAB. 3 . 1 1 . Partecipazione politica non convenzionale e aucollocazione sull'asse sinistra-destra (%)

Sinistra Sinistra Centro Destra Destra

Ha partecipato T o tale autocollocazione

estrema

16,8 10,9

3 1 ,0 28,4

27,8 28,8

17 ,l 22,4

estrema

7,3 9,5

T AB. 3 . 12. Partecipazione politica non convenzionale, livelli di associazionismo e tipologia associativa (%)

Ha partecipato: Non Mono- Multi-

No Sì

associati associati associati

78,8 2 1 ,2

59,5 40,5

45,6 54,4

Dà priorità a associazione:

di impegno di fruizione religiosa

48,4 5 1 ,6

58,4 4 1 ,6

5 1 ,7 48,3

lavoro, della difesa dell'ambiente e dei problemi delle donne.

Incrociando poi l'indicatore sintetico di partecipazio­ne alle manifestazioni con le variabili «livello di associa­zionismo» e «tipologia associativa» (tab. 3 . 12 ) , otteniamo dei risultati che corroborano le ipotesi sopra espresse cir­ca la relazione tra associazionismo e partecipazione politi­ca non convenzionale.

Infine, occorre mettere in evidenza che per la parteci­pazione a associazioni, movimenti e partiti politici (dun­que una partecipazione più convenzionale) , per quanto bassa essa sia, sembra di poter individuare un percorso di associazionismo pre-politico. Ciò è suggerito dal fatto che gran parte degli attuali associati a un'organizzazione politica hanno fanno parte in passato (e in alcuni casi fanno parte tuttora) di altri tipi di associazioni: soprattut­to sportive, culturali, religiose, di volontariato e studente­sche.

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6. I giovani associati: protagonisti che non fanno notizia

Il calo della partecipazione giovanile alle manifesta­zioni di piazza, nelle assemblee e nei collettivi è stato piuttosto marcato negli ultimi anni, come rilevano la no­stra e altre indagini. Si tratta di una nuova stagione del riflusso, del ritiro dei giovani (e forse non solo loro) dal­l'impegno pubblico e di una chiusura nello spazio delle relazioni più intime, siano esse familiari, affettivo-sessuali o amicali? Non si pretende certo qui di dare una risposta a domande di tale portata, ma è utile proporre alcuni ele­menti di riflessione. Per prima cosa, occorre notare che le attività politiche non convenzionali prese in considera­zione nel paragrafo precedente sono forme di costruzione dell'opinione pubblica e di partecipazione politica con cui per decenni le forze politiche della sinistra avevano esercitato l'opposizione al di fuori delle sedi istituzionali del nostro sistema democratico. A partire dal 1996, con la vittoria dell'Ulivo nelle elezioni politiche, le cose sono in parte cambiate.

Nei quattro anni di «governi amici», le organizzazioni della sinistra che hanno una grande esperienza nelle mo­bilitazioni di massa (in testa la CGIL, il PDS-Ds e molte delle organizzazioni dei giovani di sinistra) si sono un po' defilate; quelle della destra istituzionale dal canto loro hanno perseguito questa strada per la mobilitazione a so­stegno della propria attività di opposizione solo raramen­te, destinandovi poche risorse organizzative e comunque mostrando bassa capacità di egemonia sulla società civile.

Lo spazio dei cortei e delle manifestazioni pubbliche è stato occupato da organizzazioni e gruppi di sinistra e destra estreme e/o radicali, che non mirano tanto a rac­cogliere attorno a loro delle masse, quanto piuttosto ad azioni anticonformiste e sensazionali, talvolta violente, operate da pochi.

Nel nostro Paese i mass-media sono particolarmente attenti a questo tipo di partecipazione alla vita pubblica; il risultato è l'impressione diffusa che l'azione politica dei giovani si risolva sempre più spesso in uno scontro tra

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gruppi di sinistra e di destra, o tra ciascuno di questi e le forze dell'ordine.

Minore attenzione viene prestata a una partecipazione meno rumorosa, che coinvolge grandi numeri di individui organizzati e coordinati, ma che sono diversi dalle folle o dalle masse. Ciò deriva forse dalla natura stessa delle no­tizie prodotte e diffuse dai mass-media, che si rivolgono a un individuo medio (presunto) favorendo una comunica­zione caratterizzata dalla spettacolarità, dalla grande quantità misurata istantaneamente, e dalla possibilità di sintetizzare la notizia per poi passare subito ad altro. La partecipazione associativa, a parte quella delle tifoserie sportive, soprattutto delle frange più esagitate, si presta poco a fare notizia: si sviluppa in tempi lunghi; è fatta di miriadi di piccole azioni quotidiane, magari un po' noio­se (come trasportare cose o persone, raccogliere fondi, fare lavori di ufficio ecc. ) ; a differenza di un corteo, non assomiglia neanche lontanamente a una piccola rivoluzio­ne, anche se spesso prepara silenziosamente il terreno per le grandi svolte.

Alla luce di queste considerazioni, sembra corretto af­fermare che il protagonismo giovanile non è oggi assente nello spazio pubblico; piuttosto si può dire che è sempre meno incanalato nella sfera della politica in senso tra di­zionale. Questa, come mostra il saggio di Ricolfi pubbli­cato nel presente rapporto, lascia sempre più indifferenti molti giovani, che preferiscono delegare la politica ad al­tri «più competenti» o comunque disposti a sporcarsi le mani (la politica è sempre più percepita come qualcosa di «disgustoso») .

Anche l'associazionismo giovanile, nonché i legami identitari, di appartenenza e di solidarietà che da esso de­rivano, sembrano dunque affetti da quell'isolamento dalla partecipazione politica convenzionale e fiducia nelle isti­tuzioni che caratterizza altri aspetti di uno spirito civico, non certo assenti, degli italiani [Sciolla e Negri, 1996; Sciolla 1997] .

I l senso di responsabilità e di impegno verso la collet­tività, trova ancora una realizzazione nell'associazionismo

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giovanile (soprattutto quello di impegno che, come ab­biamo visto cresce nella considerazione dei giovani, ri­spetto a quello di svago e quello religioso) : ciò da un lato contrasta con uno stereotipo diffuso del giovane comple­tamente centrato su se stesso, passivo, protetto dalla fa­miglia, un po' superficiale, dedito alla playstation, alla di­scoteca e all'ecstasy, quando non al lancio dei sassi dal cavalcavia. Tuttavia, resta vero che il protagonismo giova­nile, compreso quello più impegnato, presenta spesso dif­ficoltà a tradursi in azione politica di lungo periodo; que­sta cesura tra la componente giovanile della società civile e il mondo (perlopiù adulto) della politica, è ben tratteg­giata dalle parole di Fabio, giovane segretario di partito (quale, qui non ha importanza) all'Aquila: «Ci sono gene­razioni che hanno conosciuto la passione politica. E io? E quelli come me? Noi? Che razza di senso della politica ci stanno trasmettendo e rischiamo di trasmettere seden­doci ai tavoli delle duemila trattative sulle liste elettorali, sui candidati, decidendo chi mettere qua e là? . . . E n or diciamo che i giovani non sono interessati alla politica. E una bufala. Semmai non sopportano questa politica. Ma siamo sicuri che è l 'unica? Io no, non ne sono affatto si­curo» [intervista tratta da Majorino 2000] .

Interrogativi come questi dovrebbero stimolare una attenta riflessione circa il futuro della vita democratica nel nostro Paese: le risorse potenziali per la continuità e il ricambio generazionale nei centri di governo e gestione del sistema democratico, sono presenti nella società civile e in special modo nell'associazionismo; ma occorre uno sforzo per recuperare la fiducia dei giovani nelle solida­rietà lunghe e nelle progettualità di lungo termine. Senza questo sforzo l'associazionismo rischia di perdere la sua importante funzione di cerniera tra sfera privata e sfera pubblica.

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CAPITOLO QUARTO

MUSICA E NOTTE

l . La centralità della musica

Il dato più significativo che emerge dai risultati della ricerca riguarda la connotazione della musica e della not­te come beni/ consumi culturali, correlati positivamente con le variabili dell'origine e della condizione sociale e culturale. Contrariamente agli stereotipi correnti che lega­no il consumo di popular music, e per altri aspetti gli at­traversamenti notturni, a aree di mera evasione, di svago omologato riservato a giovani con poche risorse, le rispo­ste degli intervistati collocano la musica e la notte come dimensioni qualificanti del processo di valorizzazione esi­stenziale e del percorso di crescita e di socializzazione dei giovani.

La quinta indagine IARD conferma la centralità della musica nella vita quotidiana: accompagnamenti e attra­versamenti sonori costellano, in vari momenti, la giornata del 90% degli intervistati e tale quota sale al 95 % tra i giovani al di sotto dei 24 anni. L'ascolto della musica de­cresce con il procedere dell'età: i più forti consumatori di musica (oltre le tre ore al giorno) sono i ragazzi di 15-17 anni (3 1 ,3 %) e quelli di 18-20 anni (27,4%) . Sul versante opposto, il 17% degli intervistati di 3 0-34 anni non ascolta mai musica.

È infatti nell'adolescenza che la musica acquista una particolare rilevanza [Schutz 1975] sia sul piano del vis­suto sia nelle dinamiche costitutive e comunicative dei gruppi dei pari: territorio di incontro e aggregazione che, nel contempo, soddisfa bisogni di appartenenza e di riti comunitari e esigenze di autoriflessività, di giochi dell'io che si riflettono su specchi di note e videoclip, tra imma­gini oniriche e icone divistiche [D'Amato 1998] . Attra-

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verso incursioni, stratificazioni, segmentazioni di trame sonore si viene così a delineare una sorta di romanzo mu­sicale di formazione [D'Amato e Torti 2000] che si inter­seca e si implementa con le altre suggestioni provenienti dai molteplici spazi di fruizione e interazione offerti dai mercati dei media, dai videogiochi ai cartoons, dalle chat line ai messaggi SMS.

In merito alla differenza di genere si nota una più marcata inclinazione all'ascolto fra i giovani uomini men­tre fra le ragazze circa l' 1 1 % dichiara di non avere inte­resse per la musica. Secondo i risultati dell'indagine le giovani donne sembrano mostrare una minore attrazione nei confronti delle proposte musicali, ma tale dato richie­de una più precisa contestualizzazione sia per fasce d'età sia per condizione professionale in quanto, a titolo esem­plificativo, proprio recenti indagini locali sulla popolazio­ne scolastica della secondaria superiore [D'Amato e Torti 2000] mettono in luce un intenso legame fra l'universo femminile e la musica che assume accenti e valenze di si­gnificato differenti e peculiari rispetto agli stili maschili di fruizione. Riprendendo lo schema di Lull sugli usi so­ciali dei media [1980] , tra i ragazzi prevale un tipo di ascolto concentrato (come unica o principale attività) mentre fra le ragazze prevalgono sia un uso strutturale della musica (di compagnia, di sfondo ad altre pratiche di vita quotidiana) e l'uso partecipativo, accompagnato dal ballare e dal cantare.

In generale, sono gli studenti e i lavoratori dipendenti a immergersi con più facilità nelle bolle sonore di ritmi e melodie ed è comunque interessante rilevare che, fra i più voraci consumatori di musica, si colloca il 25,3 % dei giovani di classe superiore e il 22,8% di classe sociale im­piegatizia a conferma di come la musica sia ormai perce­pita e fruita come un bene culturale che entra nelle prati­che di distinzione delle nuove generazioni [Bourdieu 1983 ; Thornton 1998] .

Tra gli intervistati con basso background culturale i comportamenti verso la musica si polarizzano: da una parte si registra la percentuale più alta di non-ascolto (il

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14,3 % contro una media del 9,3 % ) e, dall'altra, la quota più alta (l' 1 1 %) di consumo smodato, oltre le cinque ore quotidiane. Le aree geografiche dove è più alto l'indice di ascolto musicale sono le aree del Nord-Ovest e del Centro che, infatti, registrano complessivamente un più ampio volume di consumi culturali.

Gli scaffali della musica degli intervistati sono riempi­ti soprattutto da audiocassette, in parte da CD e, in misu­ra molto minore, da dischi in vinile. Smentendo attese di senso comune, il vinile non è correlato con l'età ma con scelte di gusto: fra coloro che non possiedono dischi si rileva, rispettivamente, la presenza di un 44,4 % di giova­ni adulti di 30-34 anni e il 40,7 % dei ragazzi di 15-17 anm.

A conferma della musica intesa come oggetto culturale [Griswold 1997; Santoro 2000] è interessante sottolineare come il possesso di materiali sonori sia positivamente cor­relato con l'origine sociale e culturale: non possiede CD il 14% degli intervistati di estrazione operaia contro il 3 ,9% di ceto sociale alto e , per converso, ad avere disponibile una discoteca con più di 50 CD sono, rispettivamente, il 35,8% di classe sociale superiore e il 30,9% di classe im­piegatizia contro il 16,3 % della classe operaia. La correla­zione sembra tuttavia da attribuirsi più alle componenti culturali che a quelle economiche dell'origine sociale in quanto ad avere più di 50 CD è il 4 1 % dei giovani con background culturale alto rispetto al 15% di coloro che provengono da ambienti familiari deprivati.

Nell'insieme, dal confronto con le precedenti edizioni dell'indagine IARD, non emergono scostamenti significati­vi nei comportamenti legati alla musica: rispetto alle ulti­me rilevazioni, si osservano soltanto incrementi dei tassi di partecipazione ai concerti rock e di frequenza dei loca­li da ballo. Segnatamente, la frequenza ai concerti delle musiche popolari contemporanee (dal rock al rap, al reg­gae, alla techno, ai suoni latino-americani) sembra coin­volgere appena un giovane su quattro: questo dato va tuttavia considerato in termini orientativi in quanto non include tutte le occasioni di musica dal vivo di cui posso-

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no fruire i giovani nei vari tipi di locali, dai club agli spettacoli decentrati, ai pub.

I concerti di music attraggono, in particolare, i giova­ni di sesso maschile, di 18-20 anni, prevalentemente stu­denti e lavoratori occasionali. Anche per i concerti di musica classica si nota una predominanza della compo­nente maschile e di giovani della stessa fascia di età (però, in questo caso, studenti) mentre si osserva come, per entrambi i tipi di musica, la frequenza ai concerti tenda a ridursi con il crescere dell'età.

Non solo per la musica classica, ma anche per i gene­ri musicali contemporanei la frequenza ai concerti ·è cor­relata con l'origine sociale: il livello di partecipazione a questi eventi è del 33 % fra giovani di ceto alto contro il 27 % dei giovani di classe impiegatizia e il 18% di classe operaia. Il dato si conferma in base al background cultu­rale familiare: il tasso di partecipazione ai concerti rock diminuisce man mano che si scende nella scala della stra­tificazione socio-culturale (il 33 % fra i giovani di ceto alto contro il 15% di ceto basso) .

Sui luoghi, i tempi e gli usi della musica è importante porre in rilievo come attualmente, in analogia con alcuni importanti mutamenti che investono i mondi musicali, si stia affermando un uso ambientale della musica [Middle­ton 1994; Agostini 1998] che, a partire dagli innumerevoli accompagnamenti sonori che costellano la nostra vita quo­tidiana, dai mezzi di trasporto ai centri commerciali, porta a compimento quel processo di straniamento da e per mezzo della musica che Adorno [197 1 ] aveva colto ai suoi esordi, stigmatizzando la percezione distratta della compo­sizione musicale. In questo nuovo scenario, entro cui i gio­vani si muovono con più agilità e appropriatezza, la musi­ca - nell 'ascolto domestico così come nei concerti, nei lo­cali, in auto, nelle disco - diventa sempre più «un qualco­sa da "udire" , "sentire" , " abitare" , "vivere" , piuttosto che da "ascoltare" , "contemplare" e "capire" , e il progetto musicale risulta esplicitamente centrato sulla creazione di "ambientazioni" e di "stati d'animo" sonori» [Agostini 1998, 61 ] e contamina i diversi tipi di attività musicali.

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Sulla base delle evidenze empiriche rilevate, la pratica musicale attira più i ragazzi delle ragazze (il 25 % rispetto al 15 %) . Vi è una correlazione positiva con l'età: l'uso di uno strumento musicale è più frequente nell'età adole­scenziale, quando il rapporto con la musica è più denso e quando ancora permangono tracce dell'esile educazione musicale appresa durante la scuola dell'obbligo. Suona infatti il 32% degli intervistati di 15 -17 anni, il 28% di 18-20 anni, il 20% tra i 2 1 e i 29 anni e poco più dell'8% dopo i 30 anni. Predomina un tipo di pratica musicale abbastanza discontinua, sospesa tra gioco e mo­tivazione: soltanto il 16% dei giovani di 15 - 17 anni, pre­valentemente studenti, suona uno strumento con regolari­tà una o più volte la settimana. Anche la pratica musicale è correlata positivamente all'origine socio-culturale: suona il 32% di giovani di livello culturale alto contro 1' 1 1 % con basso background formativo; il 27 % dei giovani di ceto sociale superiore contro il 16% dei giovani di classe opera1a.

Rispetto all'area geografica i consumi musicali si mo­dellano in funzione delle offerte: la frequenza dei concerti rock è più elevata (26-27 %) nelle regioni del Nord e del Centro rispetto al Sud (2 1 % ) e alle isole ( 15%) . Pure la pratica costante di uno strumento musicale è più elevata nelle regioni del Nord che nel resto del Paese: il dato è in­teressante in quanto sfata alcuni stereotipi sulla musica, come le spontanee e «naturali» propensioni verso «chitar­re e mandolini», per mettere in risalto il peso che ancora rivestono le condizioni strutturali nel non garantire pari opportunità di accesso e fruizione dei beni culturali.

2 . I giovani e la notte

Come si ricava da alcune mirate indagini empiriche [Torti 1997 ] , l'interesse verso i locali da ballo si delinea come una inclinazione legata alla frequentazione del grup­po dei pari, un rito di passaggio [Van Gennep 1996] fra i vari ambiti comunicativi di socialità e di aggregazione. Gli

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studi e le ricerche condotte sul fenomeno mettono in evi­denza che le motivazioni prevalenti della frequenza delle discoteche sono essenzialmente di tre tipi: la passione per il ballo e la musica, le possibilità di incontri e di amicizie, l'adesione alle scelte del gruppo dei pari. All'interno dello spazio liminare del ballo è inoltre possibile costruire mon­di paralleli [Turner 1993 ] rispetto alla vita ordinaria, in­dossare maschere di gioco che rovesciano le fisionomie delle identità ascritte, aprire i territori della comunicazio­ne non verbale dove il corpo e le emozioni diventano i protagonisti del discorsq. N o n più l'ordine delle parole ma la grammatica dei percetti e degli affetti ispira e scan­disce gli scambi comunicativi che nella notte si avvicenda­no fra caleidoscopi di luci e tappeti sonori.

Anche la pratica del ballo è correlata con l'origine so­ciale e culturale: va a ballare il 75 % dei giovani di livello sociale superiore contro il 60 % dei giovani di classe ope­raia. Rispetto al background culturale familiare, gli amanti del ballo sono soprattutto i giovani di ceto medio-alto: il 17 ,2 % di questi va infatti nei locali una o più volte la settimana.

Forse a motivo di più rigidi divieti familiari, pure il ballo coinvolge di più i giovani maschi delle donne: va a ballare il 70% dei ragazzi contro il 60% delle ragazze. Lo «zoccolo duro» di chi frequenta i locali una o più volte la settimana incide per il 18,3 % nell'universo ma­schile e per l' 1 1 ,2 % in quello femminile. Rispetto all'età i picchi di presenza nei locali si registrano fra i 18 e i 24 anni: va a ballare oltre il 78% dei ragazzi di 18-20 anni e il 77,5 % dei ragazzi di 2 1 -24 anni e, in queste fasce ana­grafiche, circa un giovane su cinque va a ballare una o più volte la settimana.

Rispetto al ballo le regioni più «ballerine» sono quelle del Centro: qui, dove continua a rinnovarsi un'antica tra­dizione, va a ballare il 75 % dei giovani contro un valore medio del 65 % . Si balla invece meno nelle isole dove solo il 38% frequenta discoteche e locali.

Uno dei dati più salienti che emerge dalle attività di loisir dei giovani è la dilatazione dei tempi di vita dal

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giorno alla notte, considerato che il 50% degli intervistati esce di sera anche nei giorni feriali, aderendo al processo di «colonizzazione» della notte avviato dopo l'invenzione della luce artificiale [Melbin 1990] . Nell'iconografia tra­dizionale l'oscurità è sempre stata associata a ambienti e condotte, individuali e collettive, potenzialmente rischiose e devianti in antitesi con le attività lecite e socialmente accettate che si svolgono alla luce del sole. Attraverso una sovrapposizione di /ramework naturali e sociali [Dal Lago 1995] la cadenza tra veglia e riposo si è quindi tra­sformata in un codice di regolazione sociale di tempi e comportamenti.

Nell'immaginario collettivo la notte si identifica pre­valentemente come uno spazio fisico e mentale sottraibile alle cadenze e alle norme imposte dai modelli di organiz­zazione sociale, uno spazio di libertà dove gli individui possono temporaneamente svestirsi dei ruoli sociali per indossare gli abiti dell'evasione o le sembianze del gioco. La notte è una zona di confine tra visibilità e invisibilità, fra ribalta e retroscena [Goffman 1969] . Il passaggio tra giorno e notte è filtrato dal tempo della sera, un tempo di transito, di decantazione e di ri-conversione rispetto alle libere e differenti traiettorie delle scelte individuali. Per coloro che amano i territori della luna, la notte ha inizio soltanto quando si sono spenti gli ultimi echi della vita produttiva, verso le ventitre, intorno a mezzanotte, quando ormai sono state espletate tutte le operazioni, co­strette e necessarie, che servono al produrre e riprodurre e ci si è sufficientemente distanziati dai riverberi della vita sociale diurna.

Secondo i risultati della nostra indagine le uscite sera­li sono inversamente proporzionali al procedere dell'età: sono soprattutto i giovani adulti di 30-34 anni (il 48,9%) a privilegiare la pigra casalinghità dell'ambiente domesti­co mentre circa il 60% dei giovani tra i 18 e i 24 anni esce abitualmente dopo cena pure nei giorni feriali. Più della metà di questi ultimi si connota come una fascia di consumatore /orte della notte in quanto esce con regolari­tà da quattro a più volte la settimana.

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Sul polo opposto circa un quarto del campiOne (il 26,2 %) non esce mai e tale orientamento si correla alla differenza di genere in quanto coinvolge il 33 ,5 % della componente femminile contro il 19, 1 % della componente maschile. Anche sulla base di scale differenziate di per­messi e divieti familiari, le ragazze escono soprattutto i fine settimana (23 , l % rispetto al 17,3 % dei maschi) mentre i ragazzi escono di più nei giorni feriali (il 59,9% contro il 39,4%) .

Attualmente l'accostamento fra la notte e la musica si propone, per molti versi, come prodotto di una costru­zione mediatica della realtà sociale che, con fini di eti­chettatura e stigmatizzazione, associa le discoteche alle «stragi del sabato sera» così come alcuni tipi di musica al consumo di sostanze [Torti 1 997 ] . Il ritorno della centra­lità della festa nei riti di socialità giovanile [Maffesoli 1996] viene così prevalentemente analizzato attraverso la lente dei riti del fine settimana senza tener conto che, in ogni caso, la musica alimenta soltanto alcune tra le mol­teplici offerte dei cataloghi notturni di svago e consumo.

I dati della ricerca, pur sottolineando l'ampia diffusio­ne delle uscite serali, ci indicano tuttavia che per circa la metà del campione (il 45,2 % ) l'ora di rientro durante i fine settimana si colloca entro l'una di notte (orario peral­tro compatibile con vari tipi di spettacoli come cinema, teatro, concerti di musica classica, ecc.) , per un 38% si si­tua nella fascia tra le due e le tre, mentre il 17 % prosegue il cammino fino all'alba. Importante è rilevare come l'ora di rientro cambi in funzione dell'età dei soggetti, in parti­colare rispetto alla soglia della maggiore età. Ben il 62 % dei minorenni torna a casa entro mezzanotte, il 49% dei maggiorenni ritorna a casa tra l'una e le due e il 24% fra le tre e le quattro. Per i maggiorenni le uscite avvengono anche nei giorni feriali, per i minorenni invece tendono a essere limitate ai fine settimana. Da segnalare anche che, per 1' 1 1 % dei minorenni, le uscite serali sono esclusiva­mente circoscritte ai periodi di vacanza scolastica.

A uscire di più la sera sono i giovani di sesso maschi­le (1'8 1 % contro il 66,5 % delle donne) , studenti o perso-

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ne che prestano lavoro in modo più o meno occasionale, appartenenti a famiglie con elevato background culturale. Le uscite serali coinvolgono infatti 1'84 % dei giovani che provengono da famiglie di livello culturale elevato, 1'80% con livello medio alto, il 74% con livello medio e il 60% di livello basso. Anche la notte quindi si caratterizza come un'esperienza di socialità a forte valenza culturale e simbolica che, a seconda dei casi, può creare specifiche e differenti configurazioni nell'intreccio con la musica e con la danza.

Tuttavia non è solo la musica il fulcro attrattivo che può illuminare o sedurre le notti dei giovani. Fra le prati­che di tempo libero svolte con maggior assiduità durante la settimana e che possono comportare uscite serali, tro­viamo infatti nell'ordine: l 'andare in giro con gli amici (62 ,7%) ; frequentare bar, pub, birrerie (50,2%) ; vedere amici in casa propria o di altri ( 4 1 ,4%) ; frequentare pale­stre e praticare sport (3 6,4 % ) ; andare in pizzeria o al ri­storante (35 ,7%) ; frequentare locali da ballo (14,7 % ) ; an­dare al cinema ( 10,4%) . Abbiamo quindi voluto mettere in relazione l'orario di rientro nei fine settimana con la pratica di queste attività così da individuare la lunghezza dei differenti percorsi notturni.

Anche se l'ora di rientro che più lambisce l'alba sem­bra connotarsi come cifra distintiva dei locali da ballo, è tuttavia importante porre in rilievo come nella fascia di ritorno fra le due e le tre si collochino quote significative di giovani che sono stati in casa o in giro con amici (circa il 40%) , oppure hanno frequentato bar e pub (più del 42 %) , o si sono dedicati ad attività sportive in palestra (quasi il 40%) . Queste indicazioni sembrano convalidare l'ipotesi che la seduzione che la notte esercita nei con­fronti dei giovani risieda soprattutto nella liminarità del passaggio fra il tempo etero-strutturato e il tempo auto­strutturato, tra i tempi del dovere e i tempi del piacere, tra i vincoli che scandiscono le ore del giorno e la trama deregolata che 19are aprire le ore della notte agli spazi della libertà e del divertimento.

Ecco allora che la notte diventa il tempo/spazio del

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vagabondare dell 'io, indipendentemente dalla specificità dei contesti ambientali, tra le pareti domestiche così come in un pub, in una discoteca o in un concerto, per strada o in un autogrill. In questa prospettiva la notte si può configurare come avventura nell'accezione di Simmel [1985] : l'uscir fuori dall'insieme concatenato della vita. La dimensione notturna evidenzia proprio questo svincolarsi dalle concatenazioni degli obblighi e dei ruoli sociali, è il tempo entro cui almeno la mente può «scorniciare» gli schemi comportamentali predefiniti.

Certo, a differenza dell'esperienza dell'avventura inte­sa in senso proprio - l'isola, secondo Simmel, che nel corso della vita ha un inizio e una fine - la notte riveste un carattere processuale in bilico tra caso e intenzionali­tà, tra eventi e momenti unici e pratiche e fantasie ricor­renti, ma mantiene la sua peculiare caratteristica di extra­territorialità reversibile e aperta. Come per l 'avventura, il fascino della notte infatti non risiede «nel contenuto che ci viene offerto, e che anzi potremmo trascurare se ci ve­nisse offerto in un altro modo, ma nella forma del vissu­to, nella intensità e nella tensione con cui ci fa sentire la vita» [Simmel 1985 , 25] . Se l 'avventura, secondo la sua peculiare natura e lusinga, è una forma semplice che deve essere vissuta, la notte è una forma complessa che con­templa e l'essere vissuta e l'essere sfiorata, comprende sia l'attività che la passività, include la conquista e l'abban­dono, può produrre indifferentemente energia e svuota­mento. Non dimenticando poi che la notte, cartina di tornasole della vita diurna nella sfera privata e nella sfera pubblica, può far apparire le forme della «vita seria» molto più mascherate e provvisorie di quelle dell' espe­rienza Iudica, e portare alla luce i lati oscuri del chiaro.

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FIG. 4.2. Le uscite serali secondo l'età degli intervistati (%, 15-34 anni).

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CAPITOLO QUINTO

LA SALUTE

Non di rado, per giustificare l'interesse della ricerca sociologica nei confronti delle nuove generazioni, si è fat­to ricorso all'idea in base alla quale non solo i giovani co­stituiscono l'espressione più genuina della società in cui vivono, ma rappresentano anche l'anticipazione delle sue tendenze evolutive. Osservando l'universo giovanile, in sostanza, possiamo cercare di intuire i cambiamenti che ci attendono nel prossimo futuro, oltre che comprendere meglio noi stessi e la nostra attuale condizione.

Se una simile ipotesi risulta ancora condivisibile, allo­ra quanto emerge dalla quinta indagine IARD sulla condi­zione giovanile in Italia a proposito delle tematiche relati­ve alla salute merita particolare attenzione. Si disegna, in­fatti, uno spaccato di grande interesse sia per l'analisi di quanto sta accadendo nelle nuove generazioni, sia per immaginare plausibili scenari sul futuro della salute nella società italiana. Numerose e profonde trasformazioni sono in atto - come è noto - a questo proposito, al pun­to che proporne qui anche una breve rassegna risultereb­be comunque fuori luogo1; tuttavia, c'è un elemento che le accomuna e che conviene subito richiamare: ciascuna si presenta sotto forma di un connubio, spesso intricato, di vecchio e nuovo, di permanenza di elementi caratteri­stici della medicina scientifica e dei presupposti del co­siddetto «modello biomedico» insieme a elementi di no­vità che non di rado consistono nella riedizione aggiorna-

l Una buona sintesi si può trovare in Herzlich e Adam [1999] e in Ingrosso [2000] . Per una panoramica aggiornata dell'analisi sociolo· gica di tali trasformazioni è utile consultare Albrecht, Fitzpatrick e Scrimshaw [2000] .

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TAB. 5 .1 . Atteggiamenti nei confronti della salute (%)

Se bado a me stesso/ a posso evitare le malattie

La ricerca scientifica è uno dei più importanti fattori per il miglioramen­to della salute e della qua­lità della vita

I malati dovrebbero poter scegliere la cura che prefe­riscono anche se sconsi­gliata o non riconosciuta dai medici

Indipendentemente da quello che faccio, se sono destinato ad ammalarmi, mi ammalerò

Sui pericoli dell'AIDS si sta esagerando

Nel campo della salute la ncerca scientifica porta più spesso vantaggi che svantaggi

I farmaci naturali sono quasi sempre più efficaci di quelli prodotti dalle case farmaceutiche

Le capacità del medico di creare un clima di fiducia basato sul dialogo con il paziente è più importante delle sue competenze tec­niche

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ta di saperi e di pratiche antecedenti all'affermazione del­la tradizione moderna in ambito medico2 .

2 Sulle caratteristiche del «modello biomedico» e su quelle degli al-

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l . Giovani e salute

Possiamo iniziare considerando la tabella 5 . l , nella quale sono raccolti gli atteggiamenti nei confronti di una serie di comuni affermazioni a proposito della salute.

Il primo dato da mettere in evidenza riguarda la dif­fusione di orientamenti più o meno fatalistici riguardo alla salute, rappresentati dalle affermazioni «se bado a me stesso/ a posso evitare le malattie» e «indipendentemente da quello che faccio, se sono destinato ad ammalarmi, mi ammalerò». Sul piano generale, la convinzione di poter autodeterminare il proprio stato di salute risulta diffusa in poco più della metà dei giovani interpellati (56%) , mentre possiamo riscontrare un fatalismo più o meno ac­centuato nel 42,6% . È necessario, tuttavia, tenere presen­te che i due atteggiamenti non si escludono reciproca­mente, dal momento che solo un quinto circa del cam­pione assume una posizione nettamente fatalista e che poco meno di un terzo (29,6%) manifesta invece una chiara preferenza verso l'autodeterminazione. Infatti il re­stante 42,4% esprime, seppur con accenti differenziati, la convinzione che lo stato di salute sia l'esito dell'azione concomitante di comportamenti responsabili e di fattori che sfuggono al diretto controllo del soggetto3•

Ma l'aspetto forse più significativo emerge dal con­fronto con i risultati di un'analoga rilevazione condotta nel 1993 dallo IARD [Buzzi 1994] . Rispetto ad allora, in­fatti, la convinzione circa la possibilità di evitare le malat­tie attraverso l'assunzione di comportamenti finalizzati a

tri modelli a cui è possibile ricondurre la teoria e la pratica medica si ve­dano, fra gli altri, Laplantine [1988] , Ardigò [1997] e Ingrosso [2000].

3 La presenza di atteggiamenti compositi si manifesta incrociando le risposte ottenute dai due items; in modo particolare, il 23 ,7% so­stiene l'importanza sia dell'autodeterminazione, sia della casualità, mentre il 18,7 %, pur non dichiarandosi fatalista, sembra accordare poca fiducia alla effettiva possibilità di autodeterminare il corso della propria salute. Circa il 10% del campione, infine, si distribuisce fra la non risposta e il «non so».

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tale scopo diminuisce di quasi 30 punti percentuali (81 ,7 % del 1993 contro il 57 % del 2000), mentre la pro­pensione verso il fatalismo rimane pressoché invariata (45,3 % contro 42,3 % )4 • Più che un aumento dell'atteg­giamento fatalistico, osserviamo quindi una forte riduzio­ne della fiducia nella possibilità di orientare il proprio destino in termini di salute, una tendenza che sembra in­teressare soprattutto la componente femminile delle nuo­ve generazioni.

Parallelamente sembra prevalere una valutazione posi­tiva a proposito del ruolo della ricerca scientifica, con ol­tre 1'85 % del campione d'accordo nel sostenere che «la ricerca scientifica è uno dei più importanti fattori per il miglioramento della salute e della qualità della vita» e con il 62 % favorevole nel ritenere che «nel campo della salute la ricerca scientifica porta più spesso vantaggi che svantaggi». Poco più della metà, invece, pensa che i far­maci prodotti dalle case farmaceutiche siano in linea di massima più efficaci di quelli «naturali». Nel complesso, dunque, viene riconosciuta una funzione importante alla ricerca scientifica nell'ambito della salute, un dato che sembra coerente con la fiducia generalmente accordata agli scienziati e, come vedremo fra breve, alle stesse case farmaceutiche.

Non possiamo però trascurare che ben un quarto dei giovani esprime dubbi sui reali vantaggi derivanti dalla ri­cerca scientifica per la tutela della salute - a cui si po­trebbe aggiungere il 10% di indecisi - e che quasi un terzo ritiene i rimedi «naturali» quasi sempre più efficaci dei farmaci frutto della ricerca sviluppata dalle case far­maceutiche, affiancato per di più ancora una volta da un'elevata quota di indecisi (20%) . Così come non deve essere sottovalutato che, mentre solo poco più del 10%

4 Poiché il campione utilizzato per la ricerca del 1993 variava dai 16 ai 30 anni, i confronti con i dati della rilevazione 2000 sono stati condotti su un sottocampione con le stesse caratteristiche. Ciò spiega anche le leggere variazioni nelle percentuali utilizzate per la compara· zione.

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del campione ritiene che «sui pericoli dell'AIDS si sta esa­gerando», peraltro una quota comunque elevata, tale orientamento prevale nettamente fra coloro i quali sono maggiormente disposti ad assumere comportamenti ri­schiosi per la salute.

Con ogni probabilità, però, i dati di maggiore rilievo riguardano le tematiche relative alla libertà di cura e al rapporto medico-paziente.

Nel primo caso i giovani si dividono in modo equili­brato tra due fronti opposti: da un lato, circa il 44 % ri­tiene che i malati dovrebbero poter scegliere la cura che preferiscono anche se sconsigliata o non riconosciuta dai medici; dall'altro, poco più del 48% dichiara invece il proprio disaccordo rispetto a una simile prospettiva. T al e distribuzione sembra suggerire che il problema della li­bertà di cura è non solo di difficile soluzione, ma anche che è destinato a occupare la scena del dibattito futuro. Ma, come già era risultato chiaramente con l'esplosione del caso Di Bella, la discussione sulla legittimità di scelte terapeutiche al di fuori della medicina convenzionale na­sconde in realtà una questione più generale che riguarda la qualità del rapporto medico-paziente.

A questo proposito diventa quanto mai significativo il fatto che oltre la metà dei giovani intervistati sia propen­sa a sostenere che «le capacità del medico di creare un clima di fiducia basato sul dialogo con il paziente è più importante delle sue competenze tecniche». L'indicazione va infatti interpretata nel senso di una inequivocabile ri­chiesta di riequilibrio del rapporto medico-paziente a fa­vore della dimensione comunicativa e relazionale a scapi­to di quella prettamente tecnica, senza per questo disco­noscere la cruciale rilevanza di quest'ultima. Che non si tratti di una superficiale attribuzione di maggiore impor­tanza alla dimensione relazionale in alternativa alla com­petenza tecnica lo dimostra, del resto, il fatto che non esiste un nesso diretto fra atteggiamenti favorevoli alla li­bertà di cura e maggiore importanza attribuita alla capa­cità del medico di instaurare un clima di fiducia con i pa-

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zientP. Ciò che non deve accadere, secondo il parere dei giovani, è che la padronanza delle conoscenze e degli strumenti terapeutici finisca per oscurare il versante co­municativo del rapporto terapeutico.

2. Medicz; medicine e istituzioni

Il riconoscimento del valore della competenza tecnica traspare, d'altro canto, anche dalla tabella 5 .2, nella quale possiamo vedere che viene accordata maggiore fiducia ai medici specialisti rispetto a quelli di base (88,8% contro 70%) . In questa particolare classifica si collocano al terzo posto i farmacisti (68%) , seguiti però dagli esperti di me­dicine alternative quali omeopati ed erboristi (47 %) , per quanto con un certo distacco.

La tabella consente anche un immediato confronto con la situazione rilevata nel 1993 ; si evidenzia così una chiara diminuzione della fiducia verso i medici, tanto gli specialisti quanto quelli di base. La tendenza sembra in linea con il processo, oramai registrato da numerosi studi e osservatori, di lenta ma progressiva erosione del con­senso di cui gode la medicina convenzionale.

In misura ancor più inequivocabile - e in piena coe­renza con il trend appena delineato - la medicina alterna­tiva manifesta tutta la sua capacità di presa sulle nuove generazioni: quasi la metà del campione accorda fiducia a omeopati ed erboristi, circa un quarto riconosce credibi­lità ai pranoterapeuti. Non ci troviamo di fronte, ancora una volta, a una contrapposizione netta, se non per una quota ridotta di soggetti i quali, mentre non danno fidu­cia ai medici, la attribuiscono ai rappresentanti delle me­dicine non convenzionali6• Esiste piuttosto un'ampia area

5 Anche in questo caso abbiamo condotto la verifica attraverso l'incrocio dei due items in esame.

6 Solo 1' 1 1 ,4% del campione, per esempio, ripone fiducia negli omeopati e negli erboristi ma non nei medici di base; ciò vale solo per il 5% nel caso dei pranoterapeuti in opP.osizione ai medici di base. Le

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TAB. 5.2. Fiducia nei confronti di attori e istituzioni nell'ambito della salute (va­lori % su 15-29 anni)

Indagine 2000 Indagine 1993

Molta Molta + Molta Molta + fiducia abbastanza fiducia abbastanza

fiducia fiducia

Medici di base 13 ,5 70,0 16,3 74,0 Medici specialistici · 26,3 88,8 40,0 92,1 Pranoterapeuti 3 ,7 23,8 2,9 2 1 ,3 Maghi, cartomanti, sensitivi 0,1 2 ,4 0,4 1 ,7 Esperti di medicine alternative, omeopati ed erboristi 6,5 47,0 n.d. n.d. Farmacisti 6,0 68,0 4,1 55,3 Psicoanalisti 6,0 39,6 n.d. n.d. Ospedali pubblici 4,4 48,7 7,2 54,5 Cliniche private 9,3 67,2 12,3 66,7 Case farmaceutiche 3 , 1 44,8 3 ,2 37,7 AsL (UssL) 2,5 43,3 3 , 1 34,0

Base 1 . 14 1 1 . 141 1 .250 1 .250

NB: 1993 c'erano anche psichiatri, infermieri, laboratori di analisi medi-che, farmaci tradizionali e farmaci alternativi (erbe) .

di sovrapposizione dove i vari orientamenti terapeutlcl sembrano convivere7 e all'interno della quale i giovani sembrano collocarsi con il desiderio di prendere attiva­mente parte ai processi decisionali che riguardano la loro salute, scegliendo di volta in volta a quale opzione ricor­rere. Infatti, una quota oscillante fra il 20 e il 40% dei giovani che hanno espresso un atteggiamento di maggiore autodeterminazione riguardo alla propria salute, ovvero che si è dichiarata d'accordo rispetto al primo item della tabella 5 . l , attribuisce fiducia alle figure della medicina non convenzionale.

percentuali si riducono ulteriormente se nel confronto con le medicine non convenzionali sono i medici specialisti a rappresentare quella con­venzionale.

7 Mediamente tale area varia da circa un terzo del campione (me­dici di base o specialisti e omeopati ed erboristi) a circa il 20% (medi­ci di base o specialisti e pranotera p eu ti) .

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Si tratta, in realtà, di un fenomeno che era già stato messo in evidenza qualche anno fa [Losi 1990] , al punto che si era suggerito di utilizzare il termine «complemen­tari», in luogo di «alternative» o «non convenzionali», per denotare l'insieme delle pratiche mediche che in va­rio modo si discostano dal modello allopatico o biomedi­co. La novità consiste piuttosto nella crescita delle sue di­mensioni e nel fatto che la collocazione socio-culturale dei soggetti - qui definita mediante il livello d'istruzione della famiglia d'origine e il titolo di studio8 - non sembra più in grado di discriminare, se non debolmente, fra op­posizione e attrazione verso le medicine complementari. Da un lato, quindi, non trova sostegno l'ipotesi per cui la povertà di conoscenze condurrebbe più facilmente alla credenza nelle medicine non convenzionali, dall'altro non sarebbe nemmeno scontato né che un'estrazione socio­culturale più elevata generi il loro rigetto, né che il ricor­so ad esse derivi da un più pronunciato atteggiamento critico nei confronti della medicina ufficiale e dei suoi rappresentanti9•

Più significativo risulta, invece, il nesso che si viene a istituire fra lo stato di salute fisica, così come percepito dai giovani intervistati, e gli atteggiamenti nei confronti della medicina e, in generale, della salute stessa. Alla scarsa soddisfazione nei confronti della propria salute si associa infatti una minore fiducia nei medici, sia di base, sia specialisti, per quanto ciò non comporti necessaria­mente - di nuovo - una maggiore fiducia nelle figure delle medicine non convenzionali. Questa valutazione

8 Per l'analisi incrociata della fiducia accordata ai rappresentanti delle medicine non convenzionali rispetto al titolo di studio abbiamo utilizzato un sottocampione che comprende i soggetti con più di 24 anni in modo da considerare situazioni consolidate sia sotto il profilo del livello d'istruzione raggiunto, sia sotto quello delle valutazioni espresse.

9 Losi [1990], per esempio, aveva mostrato che tra i fruitori delle medicine complementari era più facile incontrare soggetti di elevata estrazione socio-culturale.

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sembra dovuta, tuttavia, più a un giudizio negativo ri­guardo alla capacità dei medici di creare una positiva re­lazione con i pazienti, piuttosto che al riconoscimento della loro incompetenza tecnica, unitamente al prevalere di un certo fatalismo.

Rispetto alle tendenze emergenti risulta poi di partico­lare interesse notare che, nonostante permanga proporzio­nalmente assai ridotta, è aumentata rispetto al 1993 la quota di giovani per i quali meritano fiducia maghi, carto­manti e sensitivi. Senza dubbio ciò può essere interpretato come un ulteriore sintomo della crisi di credibilità della medicina convenzionale, per quanto, è bene ribadirlo, un simile orientamento non possa essere semplicisticamente ricondotto a mancanza di razionalità. In un clima caratte­rizzato, da un lato, dalla scarsa fiducia nei confronti di una medicina giudicata eccessivamente tecnicistica e poco attenta alla componente comunicativa della relazione tera­peutica e, dall'altro, dalla difficoltà della medicina di man­tenere le promesse di una vittoria definitiva nei confronti del dolore e della malattia10, il ricorso ad altre figure che promettono la guarigione e che si dimostrano spesso mol­to attente all'interazione interpersonale sembra, al contra­rio, interpretabile come una scelta razionale, se non altro dal punto di vista di chi la compie.

Possiamo inoltre ipotizzare che la maggiore fiducia ri­scontrata dai farmacisti rispetto al 1993 sia da mettere in qualche modo in relazione con la crescente diffusione di comportamenti orientati all'autodiagnosi e all' autocura, da cui deriva la propensione a dilazionare il momento del ricorso al medico1 1 • Si tratta, owiamente, di una connes­sione che andrebbe analizzata più approfonditamente e avendo a disposizione altri dati in grado di fornire ulte­riori conferme.

10 Fra gli altri si vedano a questo proposito Melucci [ 1994] e Callahan [2000] .

1 1 Si tratta di una tendenza registrata sia sul piano generale sia su quello circoscritto alle giovani generazioni. Si vedano, per esempio, lSTAT [1996] e Buzzi [1994, 3 1 ] .

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Page 486: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Il quadro appare di ancora più difficile lettura quan­do passiamo a considerare le istituzioni che si occupano di salute.

Se, infatti, nel confronto fra ospedali pubblici e clini­che private è netto l'orientamento a favore delle seconde - nonostante l'attuale situazione sia frutto della perdita di fiducia degli ospedali pubblici piuttosto che dell'aumento di quella riconosciuta alle cliniche private - si registra, ri­spetto al 1993 , un aumento di fiducia verso AsL!UssL che appare in evidente controtendenza con il progressivo degrado di cui è oggetto la sanità pubblica12 • A questo proposito si potrebbe ipotizzare una sorta di effetto posi­tivo del processo di aziendalizzazione, nonostante esso sembri più facilmente ascrivibile a un'estensione del favo­re di cui gode il termine «azienda» piuttosto che a reali trasformazioni. Su questo orientamento sembra inoltre pesare l'effettiva esperienza diretta del contatto con le istituzioni sanitarie, come prova il fatto che all'autovalu­tazione meno soddisfacente del proprio stato di salute -a cui si associa probabilmente un ricorso più frequente e una conoscenza più approfondita della sanità pubblica -corrisponde un giudizio meno positivo.

3 . Dilemmi bioetici

La tabella 5 .3 , infine, presenta le valutazioni che i giovani hanno espresso su alcune problematiche bioeti­che attualmente oggetto di vivaci controversie nel dibatti­to pubblico.

Constatata una generale tendenza a considerare la so­cietà nel suo insieme molto più critica di quanto venga riconosciuto dagli intervistati alla cerchia delle loro amici­zie, vale innanzi tutto la pena di sottolineare come, a pro­posito dell'ammissibilità dell'eutanasia, i giovani si trovi-

12 È quanto emerge, per esempio, dall'ultima relazione del Tribu· naie per i Diritti del Malato [2000] .

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.819

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no sostanzialmente divisi a metà, per quanto molto cauti nel contemplare l'effettiva possibilità di farvi ricorso (20%) .

La diversificazione delle posizioni emerge anche te­nendo conto dell'età, del livello culturale della famiglia d'origine e della zona di residenza, dunque del contesto socio-culturale di appartenenza. Così, più sale l'età e più l'eutanasia risulta ammissibile e potenzialmente utilizza bi­le per un parente gravemente ammalato e senza speranze di guarigione, anche se oltre i 30 anni si registra un'inver­sione di tendenza che sembra preludere a una maggiore incertezza nelle valutazioni. E se la provenienza da una famiglia più istruita spinge verso un atteggiamento più fa­vorevole, la residenza nell'Italia meridionale fa prevalere invece una più accentuata opposizione sia sul piano gene­rale - i giovani meridionali interpellati ritengono più cri­ticato dalla società e dalla loro cerchia di amici il ricorso all'eutanasia rispetto a quanto accade nel resto del paese - sia su quello dei giudizi personali.

Senza dubbio più accettata la pratica della donazione d'organi, che risulta non solo scarsamente criticata, ma anche ammissibile per la grande maggioranza del campio­ne (86%) . Anche in questo caso, l'appartenenza al conte­sto socio-culturale del Mezzogiorno fa sì che i giovani ri­levino la presenza di una critica più marcata nei confron­ti della pratica dei trapianti da parte della società in ge­nere e dei loro amici, una valutazione a cui si accompa­gna un atteggiamento di minore ammissibilità e una più ridotta propensione a farvi eventualmente ricorso.

Una situazione analoga a quella rilevata a proposito dei trapianti emerge, almeno in termini generali, anche nei riguardi della riproduzione medicalmente assistita, nonostante i giovani attribuiscano una forte opposizione a tali pratiche da parte delle società nel suo insieme. È interessante, a questo proposito, il confronto diretto con le posizioni in materia di aborto. Possiamo infatti notare che l'ammissibilità di quest'ultimo e la possibilità di farvi effettivamente ricorso sono di gran lunga ridotte rispetto alla riproduzione assistita. In ambito riproduttivo i giova-

486

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ni appaiono dunque più favorevolmente orientati nel pri­mo caso piuttosto che nel secondo, per il quale ritrovia­mo posizioni di equilibrio fra pro e contro simili a quelle espresse per l'eutanasia. A maggiore conferma di questo orientamento possiamo inoltre constatare che mentre nei riguardi della riproduzione medicalmente assistita il gene­re, l'età, il livello d'istruzione della famiglia d'origine e la zona di residenza risultano scarsamente o affatto discri­minanti, il tema dell'aborto disarticola il campione al suo interno. Ciò avviene in modo evidente nel caso del gene­re, laddove i maschi appaiono più propensi all'ammissibi­lità e al possibile ricorso, il quale però - è bene ricordar­lo, per quanto ovvio - non comporterebbe il loro coin­volgimento diretto. Un giudizio di maggiore ammissibilità si manifesta, inoltre, m an mano che aumenta l'età, con una leggera inversione di tendenza nella classe compresa fra i 30 e i 34 anni; minore esposizione alla critica e mag­giore ammissibilità sono inoltre riscontrabili fra i giovani residenti nel Centro-Nord Italia e fra quelli provenienti da famiglie con un più elevato livello d'istruzione.

La chirurgia estetica risulta, infine, una pratica larga­mente accettata, anche se accompagnata da maggiori giu­dizi critici e da minori livelli di ammissibilità rispetto a quella dei trapianti. Si può immaginare, dietro questa ul­tima valutazione, l'azione di un criterio di utilità che pri­vilegia l'impiego di risorse mediche per soccorrere una vita in pericolo o gravemente deprivata nei confronti di miglioramenti puramente estetici 13 .

13 Recentemente, per esempio, una ricerca condotta su studenti compresi fra gli 1 1 e i 18 anni ha messo in evidenza che essi, nel valu­tare la possibilità di ricorrere il ricorso all'ingegneria genetica per in­tervenire su animali da impiegare nella sperimentazione scientifica, tendono a distinguere fra ricerca biomedica e ricerca per la cosmesi esprimendo nei confronti della prima un giudizio di accettabilità mol­to elevato rispetto alla seconda. Si veda Hill e Stanisstreet [1999] . A margine possiamo osservare che se un simile trend si affermasse po­trebbe costituire una valida premessa per contrastare l'aumento della richiesta di prestazioni favorito dalla diffusione della cosiddetta «me­dicina desiderio» temperandole secondo un criterio di sostenibilità.

487

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T�ttavia, mentre l 'attribuzione di ammissibilità/non ammissibilità nei confronti della società e degli amici non viene influenzata dalla soddisfazione dei soggetti intervi­stati rispetto alla loro salute e al loro aspetto fisico, il ri­corso alla chirurgia estetica viene giudicato più ammissi­bile da chi si era in precedenza dichiarato poco soddi­sfatto del proprio stato di salute generale e del proprio aspetto fisico. Gli stessi soggetti, inoltre, hanno coerente­mente manifestato una maggiore propensione a immagi­nare un possibile utilizzo della chirurgia estetica.

Allo stesso modo, risultano discriminanti il genere e il livello culturale della famiglia di origine: le giovani e chi proviene da una famiglia con un livello culturale più ele­vato tendono infatti a ritenere più ammissibile e, di con­seguenza, più probabile il ricorso alla chirurgia estetica. D'altro canto, sono proprio le ragazze ad essere meno soddisfatte della loro salute e del loro aspetto fisico.

4 . In prospettiva

Quali tendenze possiamo dunque immaginare sulla base di quanto abbiamo finora descritto e analizzato?

Non c'è dubbio che il rapporto medico/paziente rap­presenti oggi, e ancor più in futuro, una questione cru­ciale. In quest'ottica possiamo interpretare sia il declino della fiducia nei medici e il contemporaneo aumento di quella nelle figure che rappresentano le medicine non convenzionali, sia l'esplicita richiesta di restituire impor­tanza alla dimensione comunicativa e relazionale, al limite anche a scapito della competenza tecnica del medico e a rischio di intraprendere percorsi di cura senza il suo ap­poggio. Così mentre «grandi successi terapeutici vengono quotidianamente conseguiti su innumerevoli malati ( . . . ) vi è un'insoddisfazione crescente, tanto presso i medici quanto presso i malati» Uaspers 1991 , 45] .

Tenendo però presente che, nel contempo, stiamo re­gistrando la riduzione della convinzione circa la possibili­tà di controllare il destino del proprio stato di salute at-

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traverso comportamenti consapevoli e l'espansione del­l'area di sovrapposizione all'interno della quale il ricorso alla medicina convenzionale convive con la credibilità ac­cordata a quelle alternative, il quadro generale si dimo­stra molto più complesso e articolato di quanto possa ap­parire in prima istanza.

Sullo sfondo sembra prendere forma una tendenza pessimistica, quasi una sorta di disincanto, riguardo alla nostra effettiva capacità di conservare la salute e di con­trastare la malattia. Ad alimentarla hanno sicuramente contribuito - e, in parte, continuano tuttora a farlo - le eccessive pretese salvifiche della medicina scientifica, cer­to sostenute dai suoi innegabili trionfi conseguiti nel re­cente passato e di cui beneficiamo ancor oggi magari in­consapevolmente, a cui doveva fatalmente seguire la disil­lusione generata dalla mancata sconfitta definitiva della malattia e della sofferenza. Ma, in misura altrettanto indi­scutibile, sarebbe riduttivo attribuire alla sola medicina e ai suoi errori tutte le responsabilità; altri processi vanno indagati, altri fattori chiamati in causa, come per esempio la percezione di una crescente esposizione a rischi dagli effetti sulla salute per definizione non controllabili [Beck 2000b] o il senso di incertezza derivante dal venir meno di riferimenti generali socialmente condivisi [Bauman 1999] .

All'interno di questa cornice, la convivenza di atteg­giamenti apparentemente contraddittori - autodetermina­zione e fatalismo, fiducia nella scienza e parallelo utilizzo di rimedi scientificamente ripudiati, complementarietà fra medicina convenzionale e medicine non convenzionali -che contraddistingue il <<[Jattern post-moderno» [Ingrosso 2000] in cui si articola il nostro rapporto con la salute non dipende solo dalla progressiva affermazione del sog­getto «laico» nei confronti degli «esperti», ma assume an­che il significato della ricerca di risorse con cui fronteg­giare la sofferenza della malattia e con cui sorreggere una sicurezza malferma.

In questo senso possiamo leggere anche la costellazio­ne di posizioni emerse a proposito delle questioni bioeti-

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che prese in esame dalla ricerca. Una differenziazione che risulta ancora più marcata a proposito dell'eutanasia e dell'aborto, ovvero per le due tematiche rispetto alle qua­li i giovani assumono posizioni contrastanti, con una net­ta spaccatura a metà del campione intervistato. E forse non per caso si tratta di dilemmi che hanno a che fare con l'inizio e con la fine della vita e, dunque, con il pro­blema dei confini dell'identità personale.

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CAPITOLO SESTO

TRA PRESENZA E FUGA: IL CONSUMO DI STUPEFACENTI

Negli ultimi dieci anni il mondo della droga è cam­biato in misura significativa e con esso sono cambiati an­che i consumatori e i modi stessi del consumo. La stessa riorganizzazione dei servizi e degli interventi contro le di­pendenze, riflette oggi una logica e una progettualità molto diverse da quelle che avevano caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta.

Nonostante si siano moltiplicate le indagini e le pub­blicazioni su questi temi (e in particolare sul fenomeno delle cosiddette <<nuove droghe») , resta molto difficile sti­mare con precisione il livello di penetrazione delle sostan­ze stupefacenti negli universi giovanili, in quanto i dati uf­ficiali (prevalentemente riferiti ai soggetti che si rivolgono ai servizi o che vengono fermati dalle forze di polizia) rappresentano probabilmente solo la punta di un iceberg che nasconde un fenomeno articolato e complesso.

All'aumento della diffusione degli stupefacenti negli ultimi anni, infatti, si è accompagnata una notevole fram­mentazione e specializzazione non solo delle sostanze of­ferte, ma anche delle modalità di consumo, sempre più legate a situazioni e contesti contingenti e diversificate per area geografica e tipologia di consumatore.

Pur nella difficoltà di proporre letture univoche, un dato comune che emerge dalla maggior parte delle inda­gini mostra come si profilino delle vere e proprie scelte di consumo che fanno riferimento alla situazione, alla compagnia e agli effetti che si vogliono ottenere, e a que­sti vengono associate le sostanze disponibili in quel mo­mento. Così ecco che l'utilizzo di ecstasy e cocaina è più connesso agli ambiti del divertimento serale, mentre il consumo di cannabis risponde più spesso ad un bisogno di gruppalità soprattutto tra i ragazzi più giovani. Tutto

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questo sullo sfondo di un più ampio quadro di diffusione e crescita di attività (giovanili, ma non solo) fortemente centrate attorno alla massimizzazione delle emozioni adrenaliniche (si pensi ad esempio allo sviluppo degli sport estremi e alla crescita del volume delle scommesse e del gioco d'azzardo) , spesso a cavallo tra legalità ed il­legalità.

Di fronte ad un complessivo aumento della propen­sione alle attività rischiose e ad una esaltazione di tipo culturale di strategie di condotta che fanno proprio il cri­terio dell'azzardo, la crescita della contiguità con le dro­ghe della popolazione giovanile non appare un fenomeno a sé stante, ma una sorta di sottoprodotto o prodotto correlato di un mutato atteggiamento culturale che fa del vivere al presente e della ricerca dell'emozione fine a se stessa, due pilastri delle modalità di azione e consumo della società contemporanea. Tutto questo implica la ne­cessità non solo di un importante ripensamento su come i servizi debbano approcciarsi al problema del consumo e dell'abuso e di come fare prevenzione, ma anche su quali siano le cause e gli elementi sottostanti tutto quell'insie­me di attività legate alla massimizzazione della sensazione in cui il consumo di droghe si inserisce a pieno titolo.

Non a caso anche dal punto di vista politico-istituzio­nale, con l'accordo Stato-Regioni per quanto riguarda la «Riorganizzazione dei servizi di assistenza ai tossicodi­pendenti» del 1999 si è messo l'accento sulla necessità che «i servizi si occupino di tutte le sostanze d'abuso, in­eluse quelle legali!» e di come sia necessario, per fronteg­giare il fenomeno, slegarsi dalle categorie classiche della dipendenza «per poter rispondere anche ai più generali problemi connessi con l 'abuso di sostanze2».

Nel corso del presente capitolo si cercherà quindi in­nanzitutto di dare una risposta a quale sia la dimensione quantitativa di questi fenomeni tra i giovani del nostro

l Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipen­denze in Italia, anno 1999, p. 102.

2 Ibidem.

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Paese anche in una prospettiva diacronica; da qui si pro­cederà con la tipologizzazione dei giovani in base alla loro vicinanza-lontananza con il mondo della droga e con l'individuazione di quelli che appaiono essere i principali fattori di rischio connessi al consumo di stupefacenti, per arrivare ad alcune riflessioni conclusive anche in vista della progettazione di politiche e di interventi operativi di prevenzione e riduzione della domanda.

l . Un trend in costante crescita

I dati ufficiali sulle droghe sono soliti utilizzare come indicatori dell'ampiezza del fenomeno alcune informazio­ni relative al numero di utenti nei servizi tossicodipen­denze, al numero dei segnalati presso le Prefetture o alle quantità di sostanze sequestrate dalle forze dell'ordine. Si tratta sempre di dati utili, ma che non permettono di comprendere con precisione quale sia l'incidenza del fe­nomeno rispetto alla popolazione generale. Per avere a disposizione queste informazioni (quanti siano o possano essere i giovani a rischio all'interno di una determinata popolazione) , è necessario fare ricorso a fonti di tipo di­verso, per lo più campionario, che, intervistato un cam­pione di riferimento e misurata su questo la diffusione di un fenomeno, possano dedurre attraverso inferenze di tipo statistico, quanto esso sia diffuso all'interno di una intera popolazione. Anche questo modo di procedere, so­prattutto su argomenti così delicati, pone al ricercatore alcuni rilevanti problemi di tipo metodologico, ma, in li­nea di massima e adottate le necessarie cautele, si dimo­stra essere uno strumento efficace.

Il questionario IARD non misura il numero di giovani consumatori, ma, proprio per mantenersi su una posizio­ne più cauta e scientificamente fondata, sin dall'edizione del 1983 , ha proposto una scala che misura la presenza di comportamenti quotidiani che denotano differenti li­velli di «prossimità» al mondo della droga. Questo signi­fica che non si chiede quante volte l'intervistato ha con-

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sumato un certo tipo di sostanza ma se, nel corso della vita o in un lasso temporale più definito, il soggetto si è trovato in situazioni di potenziale vicinanza con sostanze stupefacenti. La batteria di domande propone a questo riguardo una progressione di situazioni che va dal parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga, al sentirsi offrire qualche tipo di droga, al prenderla in mano, al de­siderarla. Non siamo quindi di fronte ad una dimensione di consumo (una persona che si è sentita offrire della droga non è detto che l'abbia cercata direttamente, così come il conoscere consumatori di stupefacenti non vuol dire essere consumatori a propria volta) , ma abbiamo a disposizione un buon indicatore per misurare quanto le diverse sostanze siano presenti all'interno della quotidia­nità giovanile. Il problema non è dunque «quanti sono i ragazzi che fumano spinelli», ma «quanto è probabile che nel corso della propria vita un ragazzo entri in contatto con uno spinello». Certamente i due elementi sono corre­lati, ma è importante tenere distinte queste due dimensio­ni, soprattuttç in un'ottica di riflessione orientata alla prevenzione. E cosa assai diversa infatti proporre inter­venti di prevenzione orientati ad un certo numero di sog­getti consumatori di sostanze, o ragionare in termini di interventi verso giovani che vivono in un ambiente in cui la droga si manifesta all'interno delle relazioni e dei gesti quotidiani.

Ma veniamo ai dati. Già nella rilevazione del 1996 si era avuto modo di osservare come tutti gli item riferiti alla vicinanza con gli stupefacenti mostrassero segni con­sistenti di incremento rispetto alle rilevazioni precedenti; l 'indagine del 2000 conferma questa tendenza, testimo­niando la portata sempre maggiore del fenomeno.

Limitando il confronto alla fascia di età tra i 15 e i 24 anni, si osserva che a quasi la metà degli adolescenti in­tervistati è capitato, almeno una volta nella vita, di sentir­si offrire qualche tipo di droga e che più di uno su quat­tro ha avuto occasione di prenderne in mano personal­mente (tab. 6 . 1 ) .

Rispetto alla rilevazione del 1983 , l a probabilità che

494

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TAB. 6 .1 . Percentuale di giovani che hanno fatto le esperienze indicate per anno della rilevazione (%, 15-24 anni)

Parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga Conoscere persone che fanno uso di droghe Vedere qualcuno che stava usando droga Sentirsi offrire qualche tipo di droga Prendere m mano qualche tipo di droga Sentire il desiderio di prova­re una droga

Base

1983

Percentuale di ragazzi che hanno fatto l'esperienza

1987 1992 1996 2000

54,8 46,8 56,6 64 ,9 69,0

39,3 32,8 54,9 64,2 68,8

44,7 39,1 43,7 52,6 55,4

21 , 1 n.d. 24,9 36,8 46,1

n.d. n.d. n.d. 2 1 ,6 27,7

7,8 4,5 10,7 14,0 18,2

2.000 2.000 1.7 18 1 .686 1 .429

un giovane si senta offrire qualche tipo di droga è au­mentata dunque del 1 18%. Cautela impone che questo incremento vada interpretato non solo come un effettivo aumento della presenza di sostanze nella quotidianità gio­vanile, ma anche come una maggiore disponibilità degli intervistati ad ammettere l'esistenza del fenomeno. In al­tre parole se nel 1983 è probabile che la diffusione delle droghe tra i giovani misurata attraverso questo tipo di ri­levazioni fosse sottostimata per la reticenza degli intervi­stati ad ammettere comportamenti socialmente stigmatiz­zati, nel 2000 l'incremento registrato potrebbe essere le­gato in parte anche alla maggiore disponibilità dei giova­ni ad ammettere questo tipo di comportamenti.

Non è certo possibile risolvere qui la questione, certo è che un aumento è registrato e, qualsiasi ne sia la spie­gazione, ciò significa che oggi le droghe sono molto più visibili e «normali» tra i giovani di quanto awenisse meno di venti anni fa.

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2. Quali droghe?

Parlare in generale di «droga», soprattutto nel conte­sto attuale di progressiva diversificazione delle sostanze offerte e delle modalità di consumo, se è utile da un pun­to di vista di considerazioni generali sulle dimensioni del fenomeno, può però essere fuorviante. Quali sono infatti le sostanze stupefacenti presenti all'interno dell'universo giovanile e quale è la loro diffusione? Il questionario IARD prende in considerazione 4 tipologie: eroina, cocai­na, acidi/ecstasy e hashish/marijuana. Anche in questo caso, sarebbe necessario entrare più nel dettaglio (soprat­tutto differenziando all'interno della categoria degli acidi e dell'ecstasy) , ma già questo primo livello di analisi per­mette di fare qualche interessante considerazione.

L'hashish e la marzjuana sono infatti le sostanze larga­mente dominanti la scena. L'82 % di coloro che dichiara­no che è stata loro offerta una droga, dichiarano che si trattava di hashish o marijuana, il 26% ecstasy e il 24 % cocama.

Rapportando questi dati al totale del campione si ha che al 3 7 % dei giovani è capitato di sentirsi offrire hashish, al 12% acidi o ecstasy e all' l i % cocaina, mentre l'offerta di eroina ha riguardato meno di 4 giovani ogni cento (tab. 6.2 ) . \

Il confronto con le rilevazioni precedenti può essere svolto solo parzialmente s'ui dati del 1996 per quanto ri­guarda acidi/ ecstasy e hashish/ marijuna. Le differenze sono minime, ma piuttosto significative.

Per quanto riguarda acidi ed ecstasy, ad esempio, si osserva un incremento delle percentuali su tutte le situa­zioni proposte; particolarmente significativa è la crescita dell'offerta che in 4 anni passa dal 9 al 12% tra i 15-29enni. Hashish e marzjuana, invece mostrano una leggera flessione per quanto riguarda le forme di prossimità più generiche (parlare, conoscere o vedere consumare) e un aumento per le forme di contatto più diretto (sentirsi of­frire, prendere in mano) che crescono circa del 4 % .

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T AB. 6.2. Indicatori di contatto con il mondo della droga. Percentuale dei ragazzi che hanno vissuto le esperienze indicate per tipo di sostanza (%, 15-34 an n t)

Parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga Conoscere persone che fanno uso di droghe Vedere qualcuno che stava usando droga Avere un amico che fa uso di droga Sentirsi offrire qualche tipo di droga Prendere m mano qualche tipo di droga Sentire il desiderio di prova­re una droga

Base = 3 .000

Le è capitato di fare le seguenti esperienze?

Se sì, con quali sostanze?

Eroina Cocaina Acidi/ Hashish/ Non so Ecstasy Marijuana

20,2

15,8

13 ,4

6,1

3 ,6

1,2

0,9

22,4

19,6

1 1 ,2

10,2

10,7

4,7

3 ,9

2 1 , 1

18,7

9,5

9,5

1 1 ,8

3 ,9

2,5

46,3

46,8

39,4

34,9

36,7

24,6

14,5

9,6

9,5

5,8

2,6

2,1

0,4

1 ,0

3 . Per una tipologia della contiguità alle sostanze

Il questionario del 2000 permette però di andare a misurare un livello di contiguità ancora più preciso di quello osservato finora. Infatti, la domanda sulla conti­guità alla droga in termini assoluti (ti è mai capitato di . . . ) produce una forma di distorsione dovuta all'età degli in­tervistati (più l'intervistato è anziano più ha avuto nel corso della sua vita occasioni di contatto) e, associando potenzialmente periodi di tempo tra loro lontani e non direttamente confrontabili, può portare ad ulteriori di­storsioni. Per questo motivo è stato scelto di inserire an­che una domanda che riguarda le occasioni di contatto nei tre mesi precedenti l'intervista. In questo modo si perdono quelle interferenze dovute all'età degli intervista­ti e si può confrontare il tasso di pervasività delle sostan­ze stupefacenti in un periodo di tempo molto più circo-

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T AB. 6.3. Indicatori di contatto con il mondo della droga. Percentuale dei ragazzi che hanno vissuto le esperienze indicate in assoluto e nei tre mesi pre­cedenti la rilevazione (%, 15-34 annt)

Le è capitato di fare le seguenti esperienze?

In Negli ultimi assoluto 3 mesi

Parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga 66,9 Conoscere persone che fanno uso di droghe 65 ,O Vedere qualcuno che stava usando droga 53 ,2 Avere un amico che fa uso di droga 42,0 Sentirsi offrire qualche tipo di droga 43,1 Prendere in mano qualche tipo di droga 26,6 Sentire il desiderio di provare una droga 17,2

N 3.000

Risposte multiple

n.d. n.d. 3 1 ,3 3 1 ,7 19,9 12,3 n.d.

1 .500

scritto. In altre parole, se con la domanda precedente gli intervistati potevano fare riferimento a situazioni lontane nel tempo, ma di cui hanno conservato il ricordo, con quella presentata nella tabella 6.3 , si chiede a tutti di considerare lo stesso lasso temporale e si può misurare con più precisione la contiguità alle sostanze nel momen­to esatto dell'intervista.

In questo modo si può ad esempio osservare che se in termini assoluti è capitato di sentirsi offrire qualche tipo di droga al 43 % del campione, negli ultimi tre mesi prima dell'intervista la stessa cosa è capitata al 20% dei giovani tra i 15 e i 34 anni.

Proprio a partire da questo fattore, e tenendo conto anche del tipo di sostanza con cui esiste una vicinanza, è possibile costruire una tipologia descrittiva dei modelli di contiguità che caratterizzano la popolazione giovanile ita­liana. A questo riguardo, sono state individuate cinque ti­pologie fondamentali (fig. 6. 1 ) :

- soggetti a contiguità nulla (62 %): si tratta di quei giovani che negli ultimi tre mesi non hanno avuto nessun tipo di contatto con il mondo della droga. Costituiscono

498

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7 % 5 %

D Contiguità nulla � Alta contiguità all'hashish • Alta contiguità diffusa

D Bassa contiguità all'hashish • Bassa contiguità diffusa

FIG. 6. 1 . Livelli di contiguità con la droga negli ultimi tre mesi. % rispetto al totale del campione (N = 1 .500).

la maggioranza assoluta del campione e si caratterizzano per una maggiore presenza femminile (56%) e per l'au­mento della consistenza numerica al crescere dell'età. Raccolgono il 78% dei trenta-trentaquattrenni;

- soggetti con una bassa contiguità all'hashish (12 %): si tratta di giovani che negli ultimi tre mesi hanno dichia­rato di avere visto qualcuno usare hashish o di avere un amico che ne ha fatto uso . Sono maggiormente presenti tra i giovanissimi ( 15 - 17 anni) dove raggiungono il 18% del totale;

- soggetti con alta contiguità all'hashish (14%): sono giovani ai quali negli ultimi tre mesi è stata offerta hashish o a cui è capitato di prenderla in mano, ma che non hanno avuto nessun contatto con altre sostanze. Sono composti prevalentemente da maschi ( 63 % ) e rap­presentano più del 20% degli adolescenti fino a 20 anni. Particolarmente diffusi nelle città medie e grandi (con più di 100.000 abitanti) e tra gli studenti;

- soggetti con bassa contiguità diffusa (7%): le occa­sioni di contatto hanno riguardato più sostanze, ma senza che vi fosse un contatto diretto. In generale è meno pro­babile trovare in questa tipologia i giovanissimi, mentre oltre i 20 anni la quota rimane stabile, senza mostrare i segni di decremento al crescere dell'età osservati per le altre tipologie di contiguità;

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Page 502: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

- soggetti ad alta contiguità dzf/usa (5%): si tratta dei casi più a rischio in cui negli ultimi tre mesi si sono veri­ficate più occasioni di contatto e con più sostanze. In due casi su tre si tratta di maschi.

4. I /attori di rischio

Delineato il quadro complessivo della contiguità agli stupefacenti, è ora possibile prendere in esame quegli ele­menti correlati che possono essere interpretati come fat­tori di rischio, ovvero come elementi che comportano un aumento nelle probabilità individuali di vivere situazioni di contiguità con gli stupefacenti.

Al di là di un semplice impegno descrittivo, è infatti importante cercare di definire quali siano i fattori che in­crementano le possibilità di contatto e di assunzione delle diverse droghe tra i giovani, soprattutto nell'ottica di comprendere quali siano le radici di questi comporta­menti e quali siano le azioni che possono essere messe in atto per ridurre la diffusione della contiguità e del consu­mo di droghe all'interno della popolazione giovanile.

Come sempre in questi casi non è possibile individua­re un unico elemento esplicativo, poiché la contiguità è il risultato dell'intersezione di una pluralità di elementi am­bientali, relazionali e psicologici, nonché di un insieme di atteggiamenti verso le cose, di stili di vita e di diverti­mento che mutano e si differenziano non solo nel con­fronto tra i diversi gruppi, ma anche nel corso della vita del singolo soggetto.

Partendo da un primo ordine di fattori di tipo strut­turale, è stato costruito un indicatore sintetico di conti­guità3 che pone uguale a 100 la contiguità media dell'in­tero campione di soggetti intervistati e permette in que-

3 L'indice in questione è stato ottenuto attraverso la somma pon­derata delle risposte alle domande sulla contiguità alle sostanze nei tre mesi precedenti l 'intervista. L'indice grezzo ottenuto è stato poi risca· lato ponendo a 100 la contiguità media registrata sull'intero campione.

500

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200

100 - - - - - - - -

··-------···· ······························ ········

...

150

50

0 +--------,--------,--------,--------,--------, 15-17 18-20 2 1 -24 25-29 30-34

Maschi - - - Femmine ---- Totale campione

FIG. 6.2. Andamento dell'indice generale di contiguità agli stupefacenti riferito ai tre mesi antecedenti l'intervista per età e genere dell'intervistato (N � 1 .500).

sto modo di evidenziare anche intuitivamente il peso di una serie di specifiche caratteristiche nel determinare la probabilità di contiguità con la droga di un giovane. In questo modo, ad esempio, si può osservare come le occa­sioni di contatto mutino sensibilmente in base al genere e all 'età dei soggetti raggiungendo il picco più alto attorno ai 18 anni per poi declinare già a partire dai 20 anni e con una costante maggiore esposizione dei maschi rispet­to alle femmine (fig. 6.2) .

A questo primo elemento si affiancano altri fattori strutturali rappresentati dal fatto di abitare in città con più di 250.000 abitanti o in regioni del Centro o del Nord Ovest del Paese, oppure dal provenire da famiglie di status sociale più elevato, con un andamento fonda­mentalmente omogeneo tra le diverse sostanze. Il dato sull 'occupazione prevalente al momento dell'intervista, invece, mostra che se tra gli studenti è maggiore la conti­guità alla cannabis, tra i lavoratori autonomi si registrano i livelli più alti di esposizione alla cocaina (tab. 6.4 ) .

Un secondo ordine di fattori utile per spiegare la maggiore o minore contiguità alle sostanze è rappresenta­to da un insieme di stati psicologici. In generale (tab. 6.5) si osserva che a livelli di soddisfazione per la vita più bassi sono associati livelli di contiguità agli stupefacenti

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TAB. 6.4. Indice di contiguità con le droghe. Valori medi per tipologie di soggetti in base ad alcuni /attori strutturali

Indice di contiguità con le droghe

In generale Cocaina Acidi/ Hashish Ecstasy

Età tra i 1 8 e i 20 anni (N = 174) 150 130 167 157 Residenza in un comune con più di 250.000 abitanti (N = 242) 138 159 1 12 140 Genitori di classe sociale su-peri ore (N = 251 ) 133 178 130 134 Residenza in Centro Italia (N = 280) 124 141 160 124

Indice medio del campione 100 100 100 100

Residenza in un comune con meno di 10.000 abitanti (N = 482) 85 83 95 83 Femmina (N = 753) 74 61 76 73 Residenza nelle Isole (N = 194) 68 37 69 72 Età tra i 30 e i 34 anni (N = 348) 46 66 26 42

più alti con l'eccezione di ecstasy e cocaina che mostrano una contiguità particolarmente elevata anche tra quei soggetti che si dichiarano maggiormente soddisfatti. Allo stesso modo l'incertezza per il proprio futuro aumenta ulteriormente i fattori di rischio, così come l'eccesso di presentismo (una vita da vivere tutta subito) o l'indiffe­renza verso ciò che può accadere nel futuro.

In linea di massima, dunque gli elementi psicologici che sembrano essere maggiormente associati alla contigui­tà agli stupefacenti sono quelli relativi alla soddisfazione per le risorse ambientali e all'inquietudine emotiva (cfr. cap. 1 .3 ) , ma l'item che in assoluto crea la maggiore dispa­rità all'interno del campione è quello relativo alla soddi­sfazione per i rapporti in famiglia. Infatti laddove l'insod­disfazione si fa più marcata, l'indice di contiguità alle so-

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T AB. 6.5. Indice di contiguità con le droghe: valori medi per tipologie di soggetti in base ad alcuni /attori psicologici.

Indice di contiguità con le droghe

In generale Cocaina Acidi/ Hashish Ecstasy

Poco soddisfatto dei rapporti in famiglia (N = 108) 174 293 236 182 Sul mio futuro ho le idee ab-bastanza chiare (per niente d'accordo N = 69) 166 2 12 147 158 Quando penso al mio futuro la vedo pieno di rischi ed in-cognite (N = 413) 1 2 1 139 135 120 Ciò che mi potrà accadere in futuro mi lascia piuttosto in-differente (molto d'accordo N = 44) 1 1 8 272 208 1 12

Indice medio del campione 1 00 100 1 00 100

Molto contento dei rapporti in famiglia (N = 647) 88 83 77 87 Non è mai saggio rischiare, meglio essere prudenti e sa-per valutare le proprie forze (N = 520) 80 91 89 76 Sul mio futuro ho le idee ab-bastanza chiare (molto d'a c-corda N = 297) 72 87 96 70

stanza raggiunge valori doppi (e nel caso della cocaina an­che tripli) rispetto alla media generale del campione.

Un terzo elemento chiave riguarda le modalità di ge­stione del tempo libero. In questo caso i fattori di rischio sembrano essere correlati positivamente all'assiduità delle uscite serali e, soprattutto, agli orari di rientro notturno (tab. 6.6) . Infatti se coloro che dichiarano di rincasare entro mezzanotte hanno indici di contiguità decisamente inferiori alla media, tra coloro che fanno il loro rientro a casa dopo le 3 .00 di mattina, gli stessi indici raggiungono valori doppi rispetto alla media generale del campione.

Un ultimo insieme di fattori centrali nella spiegazione

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TAB. 6.6. Indice di contiguità con le droghe: valori medi per tipologie di soggetti in base ad alcuni comportamenti del tempo libero

Indice di contiguità con le droghe

In generale Cocaina Acidi/ Hashish Ecstasy

Orario di rientro delle uscite serali dopo le 3 .00 (N = 294) 152 193 2 18 164 Frequenza assidua di locali da ballo (almeno l volta alla settimana N = 22 1 ) 135 164 169 137 Frequenza assidua di sale giochi (almeno l volta alla settimana N = 92) 1 17 168 148 121

Indice medio del campione 1 00 100 100 100

Esce solo nei fine settimana (N = 304) 72 60 . 72 69 Rientra prima delle 24.00 (N = 254) 67 25 3 6 6 1

del rapporto tra giovani e sostanze stupefacenti riguarda il rapporto con il rischio. I giovani con i livelli di conti­guità più elevata si configurano come dei veri e propri sensation seeker, ovvero come soggetti che sono ferma­mente alla ricerca di sensazioni forti in modo apparente­mente fine a se stesso. Così, ad esempio, tra coloro che dichiarano di guidare l'auto abbastanza frequentemente dopo avere bevuto alcool, gli indici generali di contiguità alla droga negli ultimi 3 mesi sono circa 2,5 volte più alti di quelli medi, mentre quelli di contiguità ad ecstasy e cocaina sono rispettivamente 6 e 5 volte quello medio.

5 . Conclusioni

Il rapporto tra giovani e droga nella seconda metà de­gli anni Novanta ha subito importanti modificazioni nel nostro paese. Si tratta di un vero e proprio cambiamento culturale dell'approccio, al quale ha corrisposto una rile-

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vante modificazione quantitativa e qualitativa del mercato della produzione e dello spaccio di sostanze psicotrope.

La differenza più rilevante nell'approccio culturale dei giovani alla droga è che si è creata una sorta di diva­ricazione nella percezione di diversi tipi di droghe. L'ero­ina, ad esempio, sembra essere sempre meno accettata e riguarda essenzialmente individui non più giovani con alle spalle una lunga storia di abuso di stupefacenti. In questo senso è rimasta una droga legata al mondo del­l' emarginazione e fa paura anche per le possibili conse­guenze patologiche (in primo luogo Ams) ad essa asso­ciate. Altre sostanze classiche come cocaina e LSD hanno visto invece un netto aumento del numero di consumato­ri occasionali e abituali, tra i quali si collocano in larga parte giovani che non vivono situazioni di emarginazione o esclusione sociale, ma che sono socialmente ben inseriti sia nel mondo del lavoro che della scuola o dell'universi­tà. Hashish e marzjuana hanno assunto una connotazione prettamente gruppale, radicandosi fortemente in alcuni luoghi di aggregazione come le scuole e i centri sociali. Infine, le nuove droghe sintetiche, ecstasy e metamfetami­ne hanno sperimentato un vero e proprio boom in quan­to sono riuscite a definirsi culturalmente come agenti che migliorano la prestazione e in generale potenziano le ca­pacità dell'individuo, portandolo a superare i limiti della corporeità e della fisicità4 .

In questo senso questa tipologia di droghe si colloca a metà strada tra lecito e illecito, in nome del migliora­mento di se stessi. D'altronde questo non è solo un tema giovanile. Le generazioni in ecstasy sono il frutto del­l'ideologia della prestazione che esalta al massimo l'atleta o l'uomo di successo che ha saputo rischiare un po' di

4 A questo riguardo sarebbe interessante approfondire il discorso su piercing, tatuaggi e altre forme di intervento e manipolazione della propria corporeità (si pensi anche alla manipolazione genetica, al con­gelamento del seme o degli embrioni, ecc.) come strumenti che per­mettono di creare un super corpo virtuale (alla stregua dei videogio· chi) in grado di far superare le difficoltà e i limiti del quotidiano.

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TAB. 6.7. Posizione rispetto alla legalizzazione delle droghe leggere (%, 15-24 an m)

1992 1996 2000

Decisamente favorevole 9,3 1 1 ,7 12,2 Abbastanza favorevole 2 1 ,9 22,6 24,3 Abbastanza contrario 16,9 17,3 18,6 Decisamente contrario 41 ,7 40,5 32,0 Non sol non risponde 10,2 8,0 12 ,8

Base 1 .718 1 .686 1 .429

più, che è stato in grado di superare di quel tanto le bar­riere che fermavano gli altri. In una società in cui ciò che è super è bello, chi vive la normalità, chi si trova in una routine di vita, di studio o di lavoro caratterizzata dai li­miti della corporeità, delle capacità soggettive, dei vincoli sociali e relazionali, sente il bisogno di un aiuto, di stru­menti capaci di farlo andare oltre.

È questo che spiega la maggior propensione dei gio­vani (e ancor più dei giovanissimi) al rischio, soprattutto tra coloro che non hanno ancora chiaro il loro potenzia­le, che si sentono intrappolati in una quotidianità insod­disfacente, avendo in mente spazi di libertà non sempre compatibili con la realtà vissuta ogni giorno.

I giovani con i livelli di contiguità più elevati paiono dunque essere i più fragili dal punto di vista psicologico e progettuale, ragazzi che faticano a trovare qualcosa attorno a cui organizzare la propria identità e il proprio senso.

L'utilizzo di sostanze stupefacenti (alcool, cannabis, cocaina, anfetamine) sembra dunque essere sospeso tra un desiderio di presenza nel mondo (in un sistema che corre a velocità vertiginose, in cui si perdono i riferimen­ti, non si è in grado di progettare il proprio futuro, in cui la cultura dell'additivo, dell'aiuto per superare il proprio limite è particolarmente diffusa, le droghe rispondono ad un bisogno di identità che non viene soddisfatto altrove) e un desiderio di fuga da una realtà molto più triste e meno avventurosa di quella promessa.

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In questo contesto la contiguità agli stupefacenti da parte dei giovani intervistati si configura più come un fe­nomeno di consumo che come espressione di devianza e, non a caso, anche l'atteggiamento nei confronti della le­galizzazione delle droghe leggere, sta lentamente muoven­dosi verso una maggiore tolleranza, per quanto la metà dei giovani intervistati rispecchi ancora una pos1z1one proibizionista (cfr. tab. 6.7) .

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CONCLUSIONI

GIOVANI ITALIANI E GIOVANI EUROPEI

di Alessandro Cavalli

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CONCLUSIONI

GIOVANI ITALIANI E GIOVANI EUROPEI

Per concludere questo ampio resoconto della Quinta indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia vorrem­mo cercare di rispondere alle seguenti domande: come sono i giovani italiani rispetto ai loro coetanei degli altri paesi europei? I problemi che incontrano nel loro cam­mino di avvicinamento all'età adulta sono gli stessi di tut­ti gli altri giovani, oppure vi è una specificità tipicamente «italiana»? Quali sono, quindi, le analogie e le differen­ze? Le differenze all'interno del paese, che sappiamo as­sai marcate, sono maggiori o minori rispetto alle differen­ze coi i giovani di altri paesi? Diciamo subito che per ri­spandere in modo adeguato a queste domande bisogne­rebbe disporre di indagini comparative condotte in vari paesi usando rigorosamente lo stesso metodo e gli stessi strumenti di rilevazione. Un 'indagine di questo tipo era stata condotta all'inizio degli anni Novanta nel quadro delle rilevazioni del Eurobarometro ed è stata replicata quest'anno [2001 ] . Tuttavia, i dati non sono ancora di­sponibili e quindi dobbiamo !imitarci ad un'analisi im­pressionistica, vale a dire, in base alle conoscenze accu­mulate in anni di frequentazione della letteratura e della comunità di studiosi che in Europa si occupano di ricer­che sui giovani. Ripercorreremo a grandi passi alcuni temi più salienti e significativi della nostra indagine per cogliere dove i giovani italiani si collocano nello scenario europeo.

Incominciamo dalla scuola poiché la condizione gio­vanile coincide sempre più con la condizione studentesca. In tutta Europa i giovani studiano di più di quanto avve­niva per le generazioni più anziane. L'innalzamento del livello di istruzione della popolazione è una tendenza che fa parte del più generale processo di modernizzazione. Le

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società industriali avanzate, alle quali è stato applicato l'appellativo di «società della conoscenza» (knowledge so­cieties) , richiedono livelli di qualificazione sempre più elevati per la grande massa della popolazione, sia per esi­genze legate alle trasformazioni della sfera economica, sia per una dinamica interna alla domanda di istruzione. Nelle moderne società democratiche l'istruzione è un bene l'accesso al quale non può essere efficacemente li­mitato. Le posizioni sociali che possono adeguatamente essere ricoperte da persone poco scolarizzate si riducono e l'obiettivo di mantenere la quasi totalità dei giovani pri­ma dei 18 anni (e una quota consistente anche dopo) in qualche percorso formativo è stato raggiunto o avvicinato in molti paesi. Tuttavia, nel nostro paese questa «grande trasformazione» non si è ancora appieno compiuta. Pri­ma di tutto, è ancora cospicua (superiore agli altri paesi) la quota di giovani che abbandonano precocemente i per­corsi formativi. In secondo luogo, sono ancora molto marcate le disparità tra i vari ordini di scuole secondarie: tra un liceo classico e un istituto professionale esiste un vero e proprio baratro culturale che si riflette nella forte disomogeneità sociale delle rispettive popolazioni studen­tesche. Inoltre, gode di scarso prestigio la formazione professionale, un settore che costituisce nella maggior parte dei casi una scelta di ripiego per quei giovani che «non ce la fanno» a seguire con profitto e con sufficiente soddisfazione personale un corso di istruzione in uno de­gli istituti secondari superiori. Per questa quota, la scuola è stata un'esperienza di insuccessi e di fallimenti, un'esperienza che lascia dietro si sé un vissuto negativo e anche spesso una scarsa autostima di sé. Peraltro, il gran­de cambiamento è avvenuto in Italia e in tutti gli altri pa­esi europei con il massiccio ingresso delle donne a tutti i livelli di istruzione. Non solo ormai la popolazione stu­dentesca femminile supera percentualmente quella ma­schile, ma le ragazze mostrano percorsi più regolari e rendimenti scolastici migliori. Da questo punto di vista non si riscontrano differenze rispetto al modello domi­nante nel resto d'Europa.

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Nel campo dell'istruzione e della formazione, quindi, accanto a tendenze storiche comuni permangono forti differenze «nazionali». In particolare, in Italia si riscon­trano ancora tassi di scolarità inferiori a quelli di quasi tutti gli altri paesi (tranne quelli dell'area mediterranea) ed è scarsamente «curato», sia dal punto di vista qualita­tivo che quantitativo, il settore della formazione profes­sionale, sia di primo che di secondo livello. Sorprenden­te, in Italia, la scarsissima mobilità per ragioni di studio. In genere, la scelta del percorso formativo si limita all' of­ferta presente nel luogo di residenza o nelle sue immedia­te vicinanze. Per studiare normalmente non ci si allonta­na dalla casa dei genitori. Geograficamente mobili ap­paiono solo gli studenti universitari meridionali di classe elevata che spesso scelgono di continuare gli studi in un ateneo del Nord. Il divario con la tradizione nord-euro­pea di «studenti itineranti», anch'essa peraltro in declino, sembra comunque mantenersi consistente.

E veniamo così al secondo tema: il rapporto con la famiglia di origine. Come è noto, i giovani italiani vivono sempre più a lungo nella famiglia dei genitori. Da quan­do abbiamo iniziato le indagini IARD il fenomeno si è via via accentuato di rilevazione in rilevazione. Non si tratta di una caratteristica solo italiana, anche in altri paesi si nota un prolungamento della permanenza dei giovani in famiglia. Tuttavia, mentre nell'Europa del Nord l'entità del fenomeno è contenuta e può essere considerata fisio­logica in quanto segue grosso modo il prolungamento dei percorsi formativi, nell'Europa mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia e, soprattutto, Italia) restano in fami­glia anche una parte cospicua di coloro che hanno finito gli studi e iniziato un'attività lavorativa. Di conseguenza, la costituzione di una propria famiglia è rimandata sem­pre più tardi e così viene posticipata anche la nascita dei figli, che spesso restano figli unici. Anche la quota di figli unici cresce da una rilevazione all'altra. Il modello medi­terraneo prevede che si esca dalla famiglia dei genitori col matrimonio. Il fenomeno delle convivenze more uxo­rio, assai frequente nel Nord-Europa, resta assai limitato,

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anche se è probabilmente in crescita e sottostimato dai dati ufficiali e di ricerca. Un indicatore indiretto è la quota di bambini e bambine che nascono da genitori non legalmente sposati. Questa quota, ancorché in crescita è ancora di circa cinque volte inferiore rispetto ai paesi scandinavi e alla Gran Bretagna, meno di un terzo rispet­to alla Francia e meno della metà rispetto alla Germania. Cresce comunque tra i giovani l'accettazione culturale delle convivenze prima del matrimonio. I segnali vanno quindi nella direzione di un avvicinamento al modello nord-europeo, anche se la distanza è ancora grande.

Sociologi e demografi hanno approfonditamente di­scusso le cause di questo fenomeno e sono arrivati alla conclusione che i fattori di natura culturale giocano in proposito un ruolo decisivo. Nel caso italiano, ad alimen­tare il fenomeno contribuisce senza dubbio anche la struttura produttiva dove sono assai numerose le imprese famigliari di piccola-media dimensione. Quello che è cer­to è che le difficoltà di inserimento nel mercato del lavo­ro, di cui diremo in seguito, non sono un fattore determi­nante. Infatti, la permanenza in famiglia è meno frequen­te nelle regioni meridionali (dove è più elevata la disoc­cupazione giovanile) e invece più frequente proprio nelle regioni del Nord-Est dove la disoccupazione giovanile è praticamente inesistente.

Il terzo tema sul quale vale la pena soffermarsi è quello del lavoro. La transizione scuola-lavoro rappresen­ta in un ogni società una fase delicata del ciclo di vita. Ci si confronta con la realtà, si mettono alla prova le compe­tenze acquisite, si confrontano le opportunità con le pro­prie aspirazioni. La transizione può essere più o meno difficile a seconda di fattori soggettivi e oggettivi. Per quanto riguarda i fattori oggettivi, essi si collocano sia sul versante dell'offerta (connessa alla formazione) sia della domanda di lavoro. Abbiamo già accennato alle insuffi­cienze della formazione professionale, insufficienze alle quali sono ascrivibili una buona parte delle difficoltà che molti giovani incontrano quando si affacciano sul merca­to del lavoro. Ma i problemi non si pongono solo per

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quanto riguarda la formazione professionale. Non fa par­te della cultura scolastica (ma neanche di quella accade­mica) del nostro paese preoccuparsi di cosa succede una volta che gli alunni e le alunne hanno conseguito il diplo­ma. I servizi di orientamento , quando sono presenti, sono scarsamente utilizzati e, soprattutto, non sono ancora cre­sciuti al punto da interagire efficacemente con la defini­zione dei curricoli, in modo tale che l'offerta sia messa nelle condizioni di tenere conto della domanda.

Sul fronte della domanda di occupazione sono note le caratteristiche del mercato del lavoro in Italia: da un lato le grandi disparità tra le diverse aree geografiche, dall'al­tro lato i fattori di rigidità che normalmente ostacolano l'inserimento lavorativo. La flessibilità si realizza indiret­tamente per il fatto che al mercato del lavoro, per così dire, «ufficiale», se ne affianca un secondo dominato da forme di lavoro precario, temporaneo, privo di garanzie. È in questo secondo mercato che molti giovani fanno le loro prime esperienze di lavoro. Vi sono consistenti indizi che questo secondo mercato raggiunga in Italia propor­zioni maggiori che in altri paesi e che questa modalità di inserimento lavorativo sia tutt'altro che eccezionale per un numero notevole di giovani. Inoltre, sappiamo che il mercato del lavoro è fortemente segmentato territorial­mente (con scarsa mobilità territoriale interna) e che la disoccupazione giovanile è fortemente concentrata nelle aree del Mezzogiorno e riguarda in particolare modo la componente femminile. L'alta quota della disoccupazione giovanile è connessa ai fattori di rigidità del mercato del lavoro «protetto» dove ad essere protetti sono appunti i lavoratori maschi delle classi centrali di età (3 5 -60 anni) a scapito delle classi di età più giovani e delle donne. Diffi­cilmente si riscontrano in Italia situazioni famigliari in cui i genitori sono disoccupati mentre i loro figli sono inseriti nel mercato del lavoro, situazione che invece è più fre­quente nel resto d'Europa.

Sul versante dei fattori soggettivi, se da un lato, dove la disoccupazione è più elevata, l'aspirazione prevalente è ancora al «posto fisso», possibilmente nel settore pubbli-

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co, dal lato opposto, dove prevale la (quasi) piena occu­pazione e dove la mobilità lavorativa non è un rischio, molti giovani sono propensi ad accettare anche posti di lavoro precari in cui hanno però l'opportunità di impara­re meglio un mestiere e che non pregiudicano prospettive lavorative future. È questo il caso soprattutto di quei gio­vani che si rivolgono ai settori della new economy dove fioriscono forme assai dinamiche di imprenditorialità gio­vanile non solo nelle regioni avanzate, ma anche nel Mez­zogiorno. Anche questo fenomeno si riscontra in tutta Europa ed è ovunque caratterizzato dall'elevata precari e­tà dell'occupazione tipica di settori fortemente innovativi dove alla nascita di nuove imprese corrisponde una in­tensa mortalità di quelle già esistenti.

Le «culture del lavoro» trovano un loro corrispettivo negli stili di vita. Se si guarda agli stili di vita e ai modelli di consumo si tocca un campo dove vi è una forte ten­denza all'omogeneità sulla quale peraltro si innestano for­me di differenziazione e individualizzazione. L'omogenei­tà attraversa ampiamente i confini nazionali. Se si visitano le discoteche, le scuole, i campus delle università europee i giovani che frequentano questi luoghi appaiono molto simili l'uno all'altro, anche se ognuno risulta poi diverso; sono variazioni su uno stesso tema, le diversità individua­li si sovrappongono a un'uniformità di fondo.

Lo stesso vale anche per i gusti. Se c'è un linguaggio cosmopolitico che accomuna le giovani generazioni que­sto è quello della musica. Molti giovani suonano uno strumento musicale e tutti dispongono di qualche appa­recchiatura di riproduzione dei suoni. Ognuno ha la sua piccola o grande discoteca di compact per l'ascolto sia in­dividuale che collettivo. I riti del sabato sera non sono gli stessi, in ogni paese e in ogni città assumono probabil­mente delle coloriture particolari. Ma un giovane che il sabato sera non fosse in grado di assembrarsi coi suoi co­etanei in qualche piazza di Siviglia o di Berlino, o in qualche discoteca della riviera romagnola o della rive gauche si sentirebbe privato di quello che percepisce come un diritto di cittadinanza. Così, se fosse privato

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della possibilità di scambiare messaggi SMS sul cellulare vivrebbe la cosa come una vera ingiustizia.

Dalle nostre ricerche emerge chiaramente quello che anche altre ricerche in Europa e altrove hanno rilevato, e cioè che esiste un «pacchetto» di consumi piuttosto omo­geneo (fatto di alcuni capi di abbigliamento, di determi­nati gadget, di musica, di motociclette, di viaggi) la cui fruizione consente di sentirsi parte della cultura giovanile. Non tutti, ovviamente, possono accedere agli stessi con­sumi allo stesso livello. C'è chi può permettersi una Hon­da oppure un semplice Ciao, un raffinato impianto hz/i oppure solo un riproduttore di CD portatile, un capo fir­mato oppure una sua imitazione, una vacanza ai Caraibi oppure soltanto un week end a Rimini, un posto in tribu­na oppure sull'anello più alto della curva. L'omogeneità del «pacchetto» non vuol dire però omologazione, non è vero che la cultura di massa (di cui i giovani sono ovvia­mente dei «portatori») voglia dire uniformità e appiatti­mento. Essa rappresenta piuttosto la base comune sulla quale si sviluppano modi individuali e differenziati. Solo a uno sguardo distaccato e distratto i giovani possono ap­parire tutti uguali. Se li si osserva da vicino ci si accorge che ognuno di essi è un individuo che costruisce con le sue scelte (e anche con le scelte di consumo) un suo per­corso di vita.

Vediamo, per concludere, gli orientamenti valore, la partecipazione sociale e il rapporto con la politica. Che siamo di fronte a una generazione di giovani che non si lasciano trascinare da forti entusiasmi collettivi e da forti passioni politiche è una conclusione sulla quale convergo­no le ricerche condotte in questi anni in quasi tutti i pae­si della vecchia Europa. Non è appropriato, però, parlare di crisi dei valori. Questo è piuttosto il giudizio che dan­no dei giovani d'oggi i quaranta-sessantenni che implici­tamente fanno confronti con gli anni della loro gioventù, senza riflettere che coloro che hanno oggi vent'anni sono nati all'inizio degli anni Ottanta ed erano ancora bambini quando è caduto il muro di Berlino e, in Italia, la magi­stratura dava inizio alla stagione di Tangentopoli. Nel

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frattempo la costellazione è cambiata. I valori ai quali i giovani orientano la propria vita hanno tutta un'altra co­loritura, riguardano la qualità dei rapporti interpersonali, lo stare bene con gli altri, la sfera dell'intimità, lontani da ogni visione escatologica, da ogni idea di emancipazione collettiva, così come da ogni prospettiva che guarda, e lotta, per un futuro distante dal qui ed ora della propria concreta esistenza. I dati che abbiamo presentato sull'im­portanza attribuita alla «qualità» della vita di coppia (il rispetto e la comprensione reciproci) e che sono in sinto­nia con quanto emerge dalle indagini condotte negli altri paesi, ne sono una eloquente testimonianza.

Non si tratta però di un semplice ripiegamento sul privato; anche se per molti la sfera della socialità non va oltre i famigliari e il gruppo dei pari, per altri non sono venute meno le ragioni di una presenza attiva nella socie­tà al di là del perseguimento di mete individuali. Accanto alle tradizionali forme associative giovanili (legate preva­lentemente al tempo libero e alle attività sportive) , che mostrano una sostanziale tenuta, si intensifica la parteci­pazione di impegno sociale, in particolare nelle associa­zioni di volontariato. È un fenomeno che abbiamo osser­vato nella sua crescita costante nel corso degli ultimi vent'anni, crescita che ha ridotto di molto lo scarto che storicamente aveva collocato l'associazionismo giovanile in Italia in posizione arretrata rispetto a quello dei paesi dell'Europa del Nord.

La grande maggioranza dei giovani ha certamente, in tutta Europa, voltato le spalle alla politica, se per politica si intende la gestione quotidiana degli affari pubblici at­traverso le organizzazioni dei partiti. Sono pochi i giovani che nutrono fiducia nei partiti (e anche nei sindacati) . E non è semplice apatia o indifferenza, quanto piuttosto il rifiuto di una modalità di «fare politica» che appare ai loro occhi poco attraente e obsoleta. Cresce nei giovani il senso dell'inutilità e dell'inefficacia di un impegno nel­l' ambito dei canali tradizionali delle istituzioni della de­mocrazia rappresentativa. I grandi problemi del mondo contemporaneo sembrano collocarsi su un piano che

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sfugge alla portata dei partiti, dei parlamenti, dei governi. Di fronte a questo senso di impotenza, la vita politica ap­pare meschina, addirittura, futile, teatro esclusivamente dello scontro tra interessi di parte. Si dirà, nulla di nuo­vo. In Italia la fiducia in chi governa è sempre stata assai scarsa. E senz' altro vi è in questo atteggiamento (che non è solo dei giovani) una componente che fa parte della tradizionale cultura politica del nostro paese che tante ri­cerche hanno messo in luce e che i dati più recenti non fanno altro che confermare. Da noi è quasi dato per scontato che chi ha raggiunto il potere lo usi per fare gli interessi propri e della propria parte, al punto che quan­do ciò poi effettivamente accade non suscita più neppure scandalo. Ma l'attuale crisi di legittimazione dei partiti e delle istituzioni democratiche non dipende solo dalla per­sistenza di un tratto antico della cultura politica del no­stro paese. Non si spiegherebbe altrimenti come mai emerge anche in altri paesi di più radicata tradizione de­mocratica. Sembra proprio che quella parte di giovani che ha mantenuto un forte impegno sociale awerta l'esi­stenza di uno scarto tra la limitatezza di orizzonti della contesa politica all'interno dei loro paesi e l 'urgenza, eti­ca prima che politica, delle grandi questioni di portata mondiale (il terrorismo, la pace, l 'ambiente, la fame, la povertà) e che quindi sia alla ricerca di nuovi canali di partecipazione politica attraverso i quali esprimere la pro­pria presenza. Ci sembrano interpretabili in questa chiave i movimenti che da Seattle in poi hanno accompagnato tutte le riunioni al vertice di capi di stato e di governo e che, impropriamente, vengono indicati come movimenti anti-globalizzazione. Anche se non sono movimenti esclu­sivamente giovanili, essi vedono una presenza cospicua di giovani che per la prima volta si affacciano sulla scena politica e che in essi fanno le loro prime esperienze di partecipazione.

È ben noto che la ricerca sociale ha scarsa probabilità di prevedere fenomeni emergenti di mobilitazione collet­tiva. Letti tuttavia a posteriori, i dati della nostra ricerca (raccolti nella primavera del 2000) consentono di affer-

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mare che vi erano segni premonitori di un «vuoto di par­tecipazione» che in genere costituisce una precondizione per la nascita di movimenti collettivi. Questo «vuoto» è generato dalla presenza di una quota consistente di gio­vani impegnati nel sociale e però incapaci di trovare nelle forze politiche tradizionali un canale adeguato di espres­sione. Le mobilitazioni di massa che hanno accompagna­to il vertice del G8 di Genova (al di là dei problemi di ordine pubblico provocati dall'incapacità di isolare le frange violente) testimoniano che apatia e indifferenza non sono sufficienti per spiegare il rapporto con la politi­ca dell'attuale generazione di giovani. Di sostanzialmente nuovo vi è la base sociale (la quota più istruita della po­polazione giovanile) e il carattere reticolare e transnazio­nale di questi movimenti. Gli strumenti delle scienze so­ciali a nostra disposizione non ci permettono di dire se saranno di breve durata oppure se sono destinati ad inse­rirsi in modo ricorrente nello scenario dei decenni futuri.

Chi ha letto attentamente le pagine di questo libro dovrebbe essersi ormai convinto che non ha senso parla­re di «giovani» come di una categoria omogenea. Ci sono «tante» condizioni giovanili, tanti percorsi verso la vita adulta, tanti modi di vivere questa fase del ciclo di vita. Eppure c'è anche qualche elemento che accomuna i gio­vani, non solo in Italia, ma in tutt'Europa e forse anche in quella parte del mondo alla quale l'Europa appartiene. I giovani sono semplicemente coloro che hanno ancora davanti a sé gran parte della loro vita, mentre gli anziani sono coloro che la hanno alle spalle. Nella condizione giovanile assume quindi una rilevanza essenziale la di­mensione temporale e in particolare l'immagine del futu­ro. Qui regna una grande incertezza. C'è chi vive l'incer­tezza come opportunità («bisogna saper cogliere le occa­sioni se e quando si presenteranno») , c'è invece chi la vive con paura e sospetto («bisogna prepararsi al peggio, chi sa quali rischi si nascondono dietro l'angolo») . Per entrambe il futuro è comunque difficilmente prevedibile. La dimensione dell'incertezza è oggi quella che meglio definisce la condizione giovanile. Forse è questa anche la

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ragione che spiega la fortuna delle indagini sui giovani (compresa la nostra) : non essendo in grado di prevedere il futuro si guarda ai giovani per cogliere segni del futuro in coloro che sono destinati a viverlo in prima persona. Forse sarebbe meglio guardare ai giovani, studiarli e ascoltare la loro voce, per capire meglio quali sono le no­stre (degli adulti) responsabilità nei loro confronti.

52 1

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APPENDICE STATISTICO-METODOLOGICA

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APPENDICE STATISTICO-METODOLOGICA

l . Il metodo di campionamento

Il piano di campionamento costruito per ottenere la rappresentatività statistica dei giovani intervistati rispetto all'universo di riferimento, è stato messo a punto con il metodo del campione stratificato.

I dati di partenza utilizzati sono raccolti nel volume Popolazione e movimento anagrafico dei comuni - Anno 1997, Annuario n. 10 (Roma, ISTAT, 1998) . Le proporzio­ni dell'universo dei giovani italiani sono state poi applica­te al campione nazionale IARD di 3 .000 giovani tra i 15 ed i 34 anni.

Nel corso della prima fase del campionamento, le va­riabili di stratificazione prese in considerazione sono state:

a) la regione; b) l'ampiezza demografica del comune di residenza

(5 classi di ampiezza: al di sotto di 10.000 abitanti, tra i 10.000 e i 50.000 abitanti, da 50.000 a 100.000 abitanti, dai 100.000 ai 250.000 abitanti, al di sopra di 250.000 abitanti);

c) il sesso; d) l'anno di nascita (dal 1965 al 1984 compresi) . Nella seconda fase si è proceduto al campionamento

dei comuni dai quali estrarre i nominativi dei giovani da intervistare. I criteri per la scelta dei comuni sono stati: la classe di ampiezza, la dislocazione geografica (provin­cia) e il numero delle interviste da effettuare nel singolo comune (non più di dodici interviste in comuni con meno di 10.000 abitanti e non più di quindici in comuni fino a 250.000 abitanti) . Sono stati così selezionati 250 comuni situati nelle 103 provincie italiane.

Nel corso della terza fase sono stati estratti in modo

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TAB. l . Distrzbuzione delle interviste per sesso e regione di residenza ( v.a.)

Maschi Femmine Totale

Abruzzo 36 36 72 Basilicata 17 17 34 Calabria 58 5 1 109 Campania 192 170 362 Emilia Romagna 88 89 177 Friuli Venezia Giulia 3 1 29 60 Lazio 1 3 1 123 254 Liguria 23 25 48 Lombardia 235 234 469 Marche 42 39 81 Molise 12 1 1 23 Piemonte 104 104 208 Puglia 97 104 201 Sardegna 53 52 105 Sicilia 135 142 277 Toscana 88 80 168 Trentina Alto Adige 28 25 53 Umbria 25 24 49 Valle d'Aosta 3 3 6 Veneto 126 1 18 244

Base 1 .524 1 .476 3 .000

casuale dalle liste elettorali (che presentano il vantaggio di essere aggiornate, per legge, ogni sei mesi) i nominativi dei giovani maggiorenni da intervistare che, alla fine del 1999, avessero un'età compresa tra i 18 e i 34 anni. Per ogni singolo comune è stato estratto in modo casuale un numero di sezioni elettorali proporzionale al numero dei nominativi da intervistare e da ciascuna sezione sono stati estratti non più di 8 nominativi maschili e 8 femminili. Con procedimento analogo è stata effettuata l'estrazione dei nominativi di riserva.

Si è così pervenuti al completamento dell'elenco dei giovani maggiorenni e di quello dei loro eventuali sostitu­ti, suddivisi per sesso e comune di residenza. Questi i dati anagrafici a disposizione per ogni soggetto: nome e cognome, l'eventuale cognome da coniugata per le ragaz­ze, sesso, data di nascita, indirizzo completo e comune di residenza.

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TAB. 2. Distribuzione delle interviste per ampiezza del comune di residenza e classi di età ( v.a.)

15-17 18-20 2 1-24 25-29 30-34 Totale anni anni an m an m anni

Meno di 10.000 abitanti 1 12 139 248 267 204 970 Tra i 10 e i 50.000 abitanti 1 1 1 1 15 212 274 259 971 Tra i 50 e i 100.000 abitanti 45 49 79 102 91 366 Tra i 100 e i 250.000 abitanti 25 23 47 76 43 214 Più di 250.000 abitanti 58 46 120 149 106 479

Base 351 372 706 868 703 3 .000

Per quanto riguarda i minorenni, ovviamente non presenti negli elenchi delle sezioni elettorali, è stata adot­tata una procedura indiretta : gli intervistati maggiorenni hanno segnalato alcuni nomi di minorenni residenti nelle vicinanze (criterio della prossimità); tra i nominativi forni­ti dagli intervistati maggiorenni, sono stati così selezionati i giovani aventi i requisiti corrispondenti a quelli prefissa­ti dal campione (età, sesso e comune di residenza) _

Le tabelle l e 2 indicano la distribuzione dei giovani intervistati rispettivamente secondo il sesso e la regione e secondo l'età e l'ampiezza del comune di residenza.

2 . Lo strumento di rilevazione

L'indagine si è svolta utilizzando lo strumento tecnico del questionario strutturato composto da circa 150 doman­de appositamente predisposte per raccogliere in modo pre­ciso e puntuale informazioni di tipo quantitativo. Per la necessità di confronto dei dati con le edizioni passate e per gli indispensabili aggiornamenti, il questionario è stato arti­colato in due versioni che hanno circa il 75% delle do­mande in comune, mentre variano per il restante 25 %.

Il questionario è stato formulato con domande chiuse a risposta unica, domande chiuse a risposte multiple, do­mande aperte e domande classificatorie.

52 7

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Redatta la prima stesura del questionario, l'iter della sua standardizzazione ha avuto il seguente svolgimento:

- la revisione di ciascuna domanda da parte degli esperti dell'équipe di ricerca;

- la suddivisione delle domande in ciascuna versione del questionario (questo ha permesso di poter utilizzare un ampio numero di domande, ma di evitare tempi di somministrazione troppo lunghi) ;

- la somministrazione dei questionari ad un gruppo di soggetti-campione per individuare possibili difficoltà interpretative e per una taratura dello strumento;

- la revisione finale di entrambi le versioni del que­stionario.

Le aree tematiche affrontate dal questionario sono le seguenti:

ciale;

la transizione verso lo stato adulto; i valori, il rischio e la percezione del futuro; la percezione del sé e la soddisfazione personale; l'istruzione e la scuola; la transizione scuola -lavoro; l'occupazione; reti familiari e famiglia d'origine; la famiglia futura; ruoli di genere ed immagini della vita di coppia; l'atteggiamento verso la politica; la fiducia nelle istituzioni e gli ideali di giustizia so-

la percezione delle norme sociali e la devianza; l 'appartenenza territoriale; la percezione dell'altro e il pregiudizio etnico; l 'appartenenza religiosa; scienza e nuove tecnologie; i consumi culturali; sport, tempo libero e vacanze; l 'associazionismo; i consumi musicali; la salute e il rapporto con il corpo; l'uso delle droghe e il superamento dei limiti.

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3 . La somministrazione del questionario

I questionari sono stati somministrati tra marzo e maggio 2000 da circa 150 intervistatori facenti parte della rete nazionale di rilevazione IARD, selezionati tra studenti laureandi o giovani laureati in discipline economiche e sociali.

Gli intervistatori sono stati appositamente istruiti per il compito specifico in occasione di 8 brie/ing condotti a livello nazionale all'inizio della fase di campo con lo sco­po di: presentare la ricerca e descriverne il disegno, indi­care le modalità di contatto, di conduzione dell'intervista e illustrare nel dettaglio lo strumento di rilevazione. A ciascun rilevatore è stato fornito un dossier personalizza­to completo di tutto il materiale utile alla realizzazione delle interviste ed ognuno ha sempre potuto contare su di un coordinamento operativo costante condotto dallo IARD (attraverso le figure di due responsabili di /ield) , teso ad indicare le migliori soluzioni da adottare all'insor­gere di specifici problemi garandendo così linee d'azione comuni.

La dinamica dell'intervista (della durata di circa un'ora) prevedeva la somministrazione /ace to /ace del questionario da parte dell'intervistatore e l' autocompila­zione di un foglio separato da parte del giovane a garan­zia di una maggiore riservatezza delle risposte relative a tematiche più «personali». Ciascun intervistatore ha som­ministrato alternativamente le due versioni del questiona­rio; questo ha permesso di raccogliere lo stesso numero di interviste ( 1 .500) per ciascuna versione.

Le eventuali sostituzioni di nominativi della lista prin­cipale con nomi di riserva sono state effettuare solo qua­lora il soggetto indicato fosse irreperibile o rifiutasse in modo perentorio di fare l'intervista e, comunque, sempre dopo numerosi solleciti. Le sostituzioni sono state fatte con nominativi dello stesso comune, dello stesso sesso e possibilmente dello stesso anno di nascita; questo per ri­durre al minimo le differenze tra il campione ongmario estratto e quello effettivamente intervistato.

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I dati personali oggetto di trattamento sono custoditi e controllati nel rispetto delle normative vigenti e segna­tamente della L. 675/96 art. 15 e successive disposizioni (D.P.R. 3 18/99).

4. La raccolta dei questionari e il trattamento dei dati

L'affidabilità delle rilevazioni, come da tradizione, è stata garantita da accurati controlli di qualità e di veridicità sulle interviste svolte. Sui questionari compilati e raccolti sono stati infatti esercitati tre tipi differenti di controlli:

- in un primo momento si è verificato che i dati strutturali degli intervistati corrispondessero effettivamen­te a quelli prefissati in sede di campionatura;

- quindi è stato effettuato un controllo della qualità delle interviste, ovvero si è verificato che i questionari fossero stati compilati in modo corretto ed esauriente;

- in ultimo, è stato fatto un controllo di veridicità volto a confermare che le modalità prefissate dallo IARD per l'effettuazione delle interviste fossero state rispettate.

Per alcune domande aperte, si è resa necessaria un'ul­teriore fase di codifica delle risposte allo scopo di classifi­carle in categorie standardizzate e permettere un corretto inserimento delle informazioni nella matrice-dati. I codifi­catori, appositamente addestrati, hanno infatto avuto il compito di analizzare le risposte aperte e renderle sinteti­che e comparabili tra loro.

Il data entry è stato realizzato secondo tracciati e code-book strutturati ed è stato affidato ad un'agenzia esperta nella trascodifica in formato elettronico di dati cartacei (numerici ed alfanumerici) . Sono stati utilizzati sistemi di controllo che riducono sensibilmente la proba­bilità di errore.

Sul system /ile sono stati eseguiti (tramite il software dedicato SPSS - Statistica! Package /or the Social Sciences) controlli a più livelli:

- cleaning dei dati (controlli di plausibilità/fuori ran­ge, domande filtro) ;

530

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- trattamento delle «non risposte» e assegnazione dei valori mancanti (missing values);

- ricodifica delle variabili metriche; - controlli incrociati e controlli di coerenza. Il lettore potrà recuperare ulteriori documenti e m­

formazioni consultando il sito www.iard.it.

5 . Le distribuzioni di frequenza dell'indagine 2000

Presentiamo qui di seguito la serie pressoché comple­ta delle tabelle che riportano, in percentuale, la frequenza delle risposte a ciascuna domanda del questionario, allo scopo di offrire al lettore uno strumento valido per la ve­rifica diretta dei risultati emersi.

Le distribuzioni di frequenza seguono la scansione delle due versioni del questionario; il numero delle tabel­le, non sempre progressiva, corrisponde alla numerazione delle domande.

Nelle domande a risposta multipla il complemento a 100 delle percentuali è costituito dalle «non risposte».

Il dato «base» indica il numero assoluto di giovani coinvolti in ciascuna domanda. Il valore Base = 1 .500 in­dica che la domanda è inserita unicamente in una sola delle versioni del questionario (la versione è indicata nel­la nota del titolo della tabella).

È possibile rilevare qualche differenza tra le percen­tuali riportate qui in appendice - dove sono presenti le non risposte - e quelle contenute nei testi dei capitoli dove in alcuni casi si è preferito escluderle dall'analisi.

A. Sesso

Maschio Femmina

Base = 3 .000

53 1

50,8 49,2

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B. Età

15-17 anni 18-20 anni 21 -24 anni 25-29 anni 30-34 anni

Base = 3 .000

C. Ampiezza comune di residenza

Meno di 10.000 abitanti Tra i 10.000 e i 50.000 abitanti Tra i 50.000 e i 100.000 abitanti Tra i 100.000 e i 250.000 abitanti Più di 250.000 abitanti

Base = 3 .000

D. Area geografica di residenza

Nord Centro Sud e Isole

Base = 3 .000

3 . Quale titolo di studio ha?

Nessun titolo Licenza elementare Licenza media inferiore Diploma media superiore (abilitazione professionale 2 o 3 anni) Diploma media superiore (diploma di 4 o 5 anni) Diploma para-universitario o corsi professionali posi-secon­daria (2 o 3 anni) Diploma universitario (laurea breve) Laurea Non indica

Base = 3 .000

1 1 ,7 12,4 23 ,5 28,9 23,4

32,3 32,4 12,2 7 ,1

16,0

42,2 18,4 39,4

0,1 1 ,5

3 1 ,0 5,9

49,0

1 ,2 1 , 1

10,0 0,3

4. Ricorda con quale giudizio ha conseguito il titolo di licenza media inferiore?

Sufficiente Buono Distinto Ottimo Non ricordo Non indica

Base = 2 .953

532

24,9 27,5 2 1 ,2 18,6 6,7 1 ,2

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5. Alla fine della scuola media inferiore per avere informazioni sulle differenti opportunità di studio e formazione disponibili si è rivolto a servizi di orien­tamento?

Sì No, mai Non ricordo Non indica

Base = 2.953

15,6 75,5

6,7 2,2

6. Nel corso dei Suoi studi, esclusa l'Università se l'ha frequentata, ha dovuto ripetere qualche anno?

No, mai Sì, una volta Sì, due volte Sì, tre o più volte Non indica

Base = 3 .000

70,4 2 1 ,6

6,3 1 , 1 0,6

7. Nel corso dei Suoi studi, esclusa l'Università se l'ha frequentata, ha inter­rotto per almeno l anno la frequenza scolastica?

Sì, per un anno Sì, per più anni No, mai Non indica

Base = 3 .000

8. La Sua posizione attuale in relazione agli studi è:

Sta frequentando la scuola media inferiore Ha abbandonato durante la scuola media inferiore Ha concluso la scuola media inferiore e non si è iscritto alla secondaria superiore Sta frequentando la scuola media superiore Ha abbandonato durante la scuola secondaria superiore Ha concluso la scuola secondaria superiore e non si è iscritto all'università o a un corso parauniversitario Sta frequentando l'università o corso parauniversitario Ha abbandonato durante l'università o un corso parauni­versitario Ha concluso l'università o un corso parauniversitario Non indica

Base = 3 .000

533

5 , 1 2 , 1

91 ,5 1 ,3

0,4 1 , 1

1 1 ,7 14,6 6,2

26,1 20,3

7,7 1 1 ,7 0,1

Page 536: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

9. Può indicarmi a quale tipo di scuola media superiore si è iscritto subito dopo la scuola media inferiore?

Istituto Tecnico Istituto Professionale Liceo Non indica

Base = 2.603

38,3 17,6 43,1

1,0

10. Durante i Suoi studi alle scuole superiori, ha cambiato tipo di scuola?

No, ho sempre frequentato lo stesso tipo di scuola Sì Non indica

Base = 2.603

91 ,0 8,0 1 ,0

10a. Quale è l'ultimo tipo di scuola media superiore che ha frequentato?

Istituto Tecnico Istituto Professionale Liceo Non indica

Base = 234

33 ,8 27,8 22,2 16,2

1 1 . Alla fine della scuola media superiore a quale dei seguenti servizi di orien· tamento scolastico si è rivolto?

Al docente delegato all'orientamento dell'istituto scolastico che frequentavo Ai servizi di orientamento gestiti dall'Università A servizi di orientamento gestiti da Enti Pubblici (Regioni, Provincia, Comuni) A servizi di orientamento gestiti da Enti Privati

Base = 1 .979

12. Nel complesso le informazioni che ha avuto, Le sono state:

Molto utili Abbastanza utili Poco utili Per niente utili Non so Non indica

Base = 65 1

534

Sì No

1 1 ,8 13 ,7

6,6 1,6

82,6 80,4

86,8 91 ,6

4,5 37 ,8 22,0

6,1 2,9

26,7

Page 537: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

13. Si è iscritto all'Università o a un corso para-universitario?

Sì, a un Corso di laurea Sì, a un Diploma Universitario, Laurea breve Sì, a un Corso para-universitario No, non mi sono mai iscritto all'Università o a un corso para-universitario Non indica

Base = 1 . 979

53,5 4,3 2,4

35,5 4,4

14. Specifica del corso di laurea/diploma/corso parauniversitario a cu1 si è iscritto

Gruppo scientifico Gruppo geo·biologico Gruppo architettura Gruppo chimico-farmaceutico Gruppo medico Gruppo politico-sociale Gruppo ingegneria Gruppo agrario Gruppo giuridico Gruppo letterario Gruppo linguistico Gruppo economico-statistico Gruppo psicologico Gruppo insegnamento Gruppo artistico Educazione fisica Altro Non indica

Base = 1 .277

4,4 4,0 4,3 2,6 4,9 9,9

10,9 2,1

15,1 8,4 4,4

14,8 2,5 3 ,4 1 ,8 1 ,0

5,6

15. Nel corso degli studi universitari o para·universitari ha cambiato tipo di fa­coltà o diploma?

No Sì Non indica

Base = 1 .277

15a. A quale tipo di Università o corso para-universitario si è riscritto?

Corso di laurea Diploma universitario Altro corso para-universitario Non indica

Base = 230

535

82,0 1 1 ,4 6,6

48,7 6,5 3 ,0

4 1 ,7

Page 538: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

16. Per favorire l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro esistono alcuni strumenti di collegamento tra scuola e imprese. Durante i Suoi studi (scuo­la media superiore , università) ha usufruito di:

Tirocini formativi e di orientamento Stage di studio/formazione in Italia Stage di studio/formazione all'estero Borse di studio

Base = 2.601

12,1 9,5 2,9 6,3

No

75,4 77,7 83,7 80,5

17. Ha frequentato o frequenta corsi di formazione professionale, qualificazio­ne o specializzazione, master?

Sì, lo sto frequentando attualmente Sì, l'ho frequentato in passato No, mai Non indica

Base = 3.000

4,4 17 ,9 76,2

1,5

18. Che tipo di corsi di formazione professionale, qualificazione o specializza­zione, master?

Corso di formazione professionale dopo la scuola media inferiore presso Cl'P Corso di formazione professionale dopo la scuola media superiore presso CFP Corso di formazione professionale finan­ziato dal Fondo Sociale Europeo Corso di perfezionamento (durata max anno) Master post-laurea Scuola di specializzazione post-laurea or­ganizzata da Università/Consorzi interuni­versitari Corso di formazione professionale orga­nizzato direttamente da aziende

Base = 7 13

19. Negli ultimi sei mesi ha rifiutato offerte di lavoro?

Sì No Non indica

Base = 3.000

536

13 ,2

20,2

19,5

14,0 3,8

6,0

23 ,6

No

59,3

54,1

54,0

58,5 66,9

65,4

5 1 ,6

18,7 80,3

1 ,0

Page 539: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

19a. Per quale motivo ha rifiutato offerte di lavoro?

Il lavoro offerto non dava garanzie di continuità Il lavoro offerto era pagato troppo poco Il luogo di lavoro era troppo distante dalla mia abitazione La mia preparazione era inadeguata ai compiti richiesti Il lavoro offerto era troppo pesante Il lavoro offerto era troppo noioso/ripeti­tivo Il lavoro offerto era incompatibile con i miei impegni familiari Il lavoro offerto era peggiore di quello che già svolgo Il lavoro era in nero

Base = 591

20. Lei ha mai svolto un'attività lavorativa?

No, mai Sì, ho svolto lavori saltuari o occasionali per meno di 2 mesi Sì, ho svolto lavori a tempo determinato continuativamente per più di 2 mesi Sì, ho svolto un'attività lavorativa vera e propria Non indica

Base = 3.000

Sì No

26,6 24,0

14,6

6,4 5,9

12,2

18,1

26,9 10,5

53,3 56,0

64,6

7 1 ,4 7 1 ,9

66,0

62,8

53,8 68,0

22,0

18,1

16,9 42,0

1,0

2 1 . Età media di inizio della prima attività lavorativa vera e propria

19,9 anni

Base = 1 .751

23 . Tipo di rapporto di lavoro della prima attività lavorativa vera e propria

Lavoro dipendente (con contratto d'assunzione) Lavoro autonomo Lavoro parasubordinato (collaborazione coordinata e conti­nuativa) Lavoro occasionale o saltuario (prestazione lavorativa senza contributi e senza IVA) Senza contratto (lavoro in nero) Non indica

Base = 1 .797

537

55,3 10,4

6,3

8,5 16,6 2,9

Page 540: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

24. Settore prima attività lavorativa vera e propria

Agricoltura Industria Pubblica Amministrazione Commercio Servizi Finanziario/Bancario Artigianato Non indica

Base = 1 .797

25 . Attraverso quale modalità principale ha trovato questo primo lavoro?

Attraverso un annuncio che ho messo su un giornale Attraverso l'Ufficio di collocamento Attraverso l'aiuto di geniwri o parenti Attraverso l'aiuto di amici o conoscenti Attraverso l'aiuto di una persona influente Scrivendo all'azienda Facendo visita all'azienda Partecipando ad un concorso Rispondendo ad un annuncio su un giornale Rivolgendomi ad un Centro di informazione e orientamento (pubblico) Rivolgendomi ad un'agenzia privata di collocamento Tramite l'aiuto della scuola/Università Ho avvialO un'attività in proprio Mi sono inserito nell'azienda familiare Il lavoro mi è stato offerto Altro Non indica

Base = 1 .797

26. Per quanto tempo ha svolto questa prima attività lavorativa?

Da l a 6 mesi Da 7 mesi ad l anno Da l anno a 2 anni Da 2 anni e 3 anni Più di 3 anni La sto ancora svolgendo Non indica

Base = 1 .797

538

2,7 14,5 5,7

22,1 33 ,1

2,4 14,9 4,5

1,2 2,9

19,3 26,4

1 ,4 5,7 8,0 5,4 3,8

0,8 0,3 3 ,2 2,1 6,0 7,9 1 ,9 3 ,7

20,5 12,0 1 1 ,9 4,5

12,5 35,8 2,9

Page 541: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

27. Attualmente qual è la Sua principale occupazione?

Lavoro dipendente: Dirigente Quadro/funzionario direttivo Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Capo operaio Operaio specializzato o qualificato Operaio comune Apprendista

Lavoro autonomo: Imprenditore ( 15 o più dipendenti) Libero professionista (iscritto a un albo professionale) Lavoratore autonomo non iscritto a un albo professionale Artigiano Commerciante Coltivatore diretto Coadiuvante familiare Socio di cooperativa Altro

Lavoro parasubordinato: Prestazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione con iscrizione alla gestione INPS Prestazione professionale con partita Iv A

Lavoro occasiona/e o saltuario Prestazione lavorativa in ritenuta d'acconto senza contributi e senza partita I v A Non lavora Disoccupato In cerca di prima occupazione Invalido Casalinga Studente senza alcun tipo di occupazione Non indica

Base = 3 .000

539

0,3 1 ,5 2,0

10,0 5,4 0,3 6,5 7,3 3,2

0,5 2,8 2,0 2,0 2,5 0,4 1 , 1 0,6 0,3

1 ,1 0,4

2,2

6,1 4,4 0,1 4,1

3 1 ,8 1 ,3

Page 542: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

27 a. Specifica tipo di lavoro dipendente

Impiego con contratto d'assunzione a tempo pieno indeter­minato Impiego con contratto d'assunzione a tempo parziale inde­terminato Impiego con contratto d'assunzione a tempo pieno determi­nato Impiego con contratto d'assunzione a tempo parziale deter­minato Impiego senza contratto d'assunzione Non indica

Base = 1. 133

27b. Posizione attuale degli intervistati (riaggregata)

Inoccupato (non studia e non lavora) Studente Lavoratore occasionale Lavoratore parasubordinato Lavoratore dipendente Lavoratore autonomo Non indica

Base = 3 .000

29. Settore dell'attuale attività lavorativa

Agricoltura Industria Pubblica Amministrazione Commercio Servizi Finanziario/Bancario Artigianato Non indica

Base = 1.605

30. Età media di inizio dell'attuale attività lavorativa

23,5 anni

Base = 1 .802

540

56,0

5,1

10,6

3 ,4 1 1 ,2 13 ,6

14,7 3 1 ,8 2,2 1 ,5

36,4 12,1 1 ,3

1 ,5 1 3 ,0 4,9

15,0 19,8 2,4 7 ,9

35,6

Page 543: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

3 1 . Attraverso quale modalità principale ha trovato la Sua attuale attività lavo­rativa?

Attraverso un annuncio che ho messo su un giornale Attraverso l'Ufficio di collocamento Attraverso l'aiuto di genitori o parenti Attraverso l'aiuto di amici o conoscenti Attraverso l'aiuto di una persona influente Scrivendo all'azienda Facendo visita all'azienda Partecipando ad un concorso Rispondendo ad un annuncio su un giornale Rivolgendomi ad un Centro di informazione e orientamento (pubblico) Rivolgendomi ad un'agenzia privata di collocamento Tramite l'aiuto della scuola/ Università Ho avviato un'attività in proprio Mi sono inserito nell'azienda familiare Il lavoro mi è stato offerto Altro Non indica

Base = 1.605

0,4 1,4 8,6

15,9 1,3 5,5 4,7 5,2 3,2

0,2 0,4 1 ,9 4,2 2,7 6,2 3 ,1

35,0

32. Mediamente quante ore settimanali ha lavorato nell'ultimo mese?

Nessuna Fino a 19 ore la settimana 20-34 ore 35-39 ore 40-44 ore 45-49 ore 50-59 ore 60 ore opiù Non indica

Base = 1.605

33 . Nell'ultimo mese ha lavorato:

Alla domenica Al sabato Una o più notti in un qualsiasi orario compreso tra le 23 ,00 e le 6,00 Alla sera tra le 19,00 e le 23 ,00 Al mattino tre le 6,00 e le 7 ,30

Base = 1 .605

541

0,4 7,0

12,9 12,1 30,7 1 1 ,8 10,9 6,6 7,4

Sì No

24,2 58,1

14,1 39,8 2 1 , 1

68,5 36,2

77,8 53,3 70,8

Page 544: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

34. Quanto ha guadagnato nell'ultimo mese, press'a poco?

Meno di f. 1 .000.000 f. 1 .000.000- 1 .500.000 f. 1 .500.000-2.000.000 Più di f. 2.000.000 Nessun guadagno Non so Non indica

Base = 1 .605 Media = Lire 1 .645.057 - € 854,25

8,8 10,0 22,0 25,5

6,6 2 1 ,6

5,7

35. Parleremo ora delle condizioni nelle quali Lei svolge la sua attività lavora­tiva. Scelga la risposta che maggiormente si avvicina alle sue condizioni ef­fettive di lavoro

Ho un superiore a cui devo rendere conto dei risultati Non ho un superiore a cui rendere conto dei risultati Non indica

Base = 1 .605

7 1 ,3 25,7

3 ,0

36. La preparazione scolastica ricevuta SI è rivelata utile per lo svolgimento dell'attuale attività lavorativa?

Molto Abbastanza Poco Per niente Non so Non indica

Base = 1 .605

14 ,4 3 1 ,2 2 1 ,6 28,5

1 ,4 2,8

3 7. Rispetto al Suo lavoro attuale, se fosse costretto a scegliere, preferirebbe fare meno ore di lavoro guadagnando meno, oppure preferirebbe guada­gnare di più facendo più ore di lavoro?

Orario di lavoro più corto, guadagnando di meno Orario di lavoro più lungo, guadagnando di più Non so Non indica

Base = 1 .605

542

17,4 44,5 34,0

4 , 1

Page 545: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

38. Il tipo di lavoro che sta provvisorio?

È sicuramente definitivo Penso che sia definitivo Non so Penso che sia provvisorio È sicuramente provvisorio Non indica

Base = 1 .605

attualmente svolgendo lo considera definitivo o

19,5 33 ,8 1 1 ,7 19,3 13 ,4 2,4

39 . Se Lei perdesse l'attuale lavoro, pensa che ne troverebbe un altro in zona?

Sì, abbastanza facilmente Sì, con qualche difficoltà È molto difficile Non indica

Base = 1 .605

36,0 42,0 18,2 3 ,9

40. Se Lei potesse scegliere, preferirebbe lavorare in proprio (cioè fare un la­voro indipendente) o lavorare in un ente pubblico o in un'azienda privata (cioè fare un lavoro dipendente) ?

Lavoro dipendente Lavoro in proprio Non so, dipende Non indica

Base = 3 .000

32,0 45,7 22,0

0,4

4 1 . Lei accetterebbe di lavorare per 1 -2 anni con uno stipendio ridotto (ad esempio di un 30% in meno rispetto ai normali contratti di lavoro) per fare esperienza pratica e imparare bene un nuovo lavoro o per migliorare la preparazione o l'esperienza che ha già?

Sì No Non so, dipende Non indica

Base = 3 .000

5 1 ,9 22,3 25,2

0,6

42. Se Le offrissero un lavoro per migliorare la Sua situazione, Lei sarebbe di­sposto a trasferirsi, cioè ad andare a vivere in un altro comune?

Sì No Non so, dipende Non indica

Base = 3 .000

543

51 ,1 22,9 25,6 0,4

Page 546: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

43 . Lei sarebbe disposto a trasferirsi stabilmente nei seguenti luoghi, se Le of­frissero un lavoro per migliorare la Sua situazione lavorativa?

In questa regione In una regione del Nord Italia In una regione del Centro Italia In una regione del Sud Italia In un Paese europeo appartenente all'Unione Europea In un Paese europeo non appartenente all'Unione Europea In un Paese extra -europeo Non indica

Base = 2.313

44. Lei sta cercando un lavoro (anche se già lavora)?

Sì No Non indica

Base = 3 .000

83,4 68,4 66,1 45,6 56,2 35,8 39,3 30,9

No

13,8 27,9 30,1 49,6 39,6 59,5 56,1 67,6

30,9 67,6

1 ,5

45. Quali tra le cose di questo elenco sta facendo (ha fatto negli ultimi tempi) per trovare lavoro?

Ho messo un annuncio sui giornali Mi sono iscritto all'Ufficio di collocamento Ho chiesto aiuto a genitori e/o parenti Ho chiesto aiuto ad amici e/o conoscenti Ho chiesto aiuto ad una persona influente Ho scritto alle aziende Ho fatto visita personalmente alle aziende Ho partecipato ad un concorso Ho risposto ad un annuncio su un giornale Mi sono rivolto ad un Centro di informazione e orienta­mento (pubblico) Mi sono rivolto ad un'agenzia privata di collocamento Ho chiesto aiuto alla scuola/Università frequentata Altro

Base = 97 1

544

Sì No

8,2 60,6 48,1 62,4 20,2 39,6 25,8 30,2 28,9

2 1 ,0 1 1 ,7 7,5

25,7

79,1 30,0 40,8 28,1 67,6 49,3 62,3 58,4 59,8

67,3 76,3 77,9

0,6

Page 547: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

46. Come mai non cerca un lavoro? (per chi non lavora e non sta cercando la­voro)

È inutile perché non ci sono possibilità Inizierò un lavoro a breve Sono studente Attualmente non sono interessato a cercare lavoro Altro Non indica

Base = 966

0,8 2,5

74,5 8,9 1,9

1 1 ,4

47. Quali sono i due aspetti più importanti nel lavoro fra quelli di questo elen­co? E quali due considera invece meno importanti e metterebbe al penulti­mo e ultimo posto?

Lo stipendio, il reddito Le condizioni di lavoro Buoni rapporti con i compagni di lavoro Buoni rapporti con i superiori, i capi La possibilità di migliorare (reddito e tipo di lavoro) La possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità L'orario di lavoro La possibilità di viaggiare molto La sicurezza del posto di lavoro

Base = 3 .000

48. Chi dovrebbe essere pagato di più? (versione A)

Chi fa un lavoro più faticoso Chi ha più esperienza e preparazione tecnica Chi rende di più Chi ha studiato di più Chi ha più responsabilità Chi ha più anzianità Chi ha più bisogno, una famiglia più numerosa Non so Non indica

Base = 1 .500

545

1 o 2° Penul- Ulti-timo mo

posto posto posto posto

29,8 10,7 6,0 2,9

1 1 ,4

15,5 1,6 1 ,8

12,8

22,4 5,7 12,6 9,5 1 1 ,8 8,1 5,1 7,9

1 1 ,2 4,7

1 1 ,8 6,0 5,2 24,6 3 ,4 17,8 9,5 9,3

2,8 5,8 6,9 8,2 2,9

3 ,9 20,3 33 ,7 9,1

1 1 ,6 19,9 25,9

3,1 2 1 ,0

0,5 9,5 6,9 1,6

Page 548: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

49. Lei è d'accordo o no con le affermazioni elencate di seguito sulla disoccu­pazione giovanile? (uersione A)

D'accordo Non d'accordo Non so

La preparazione professionale dei gio-vani è inadeguata 55,8 28,8 l sindacati tutelano soltanto coloro che sono già occupati 44,9 18,3 Il progresso tecnologico riduce i posti di lavoro 47,3 42,1 L'economia italiana non offre un p o-sto di lavoro a tutti coloro che voglio-no lavorare 62,8 26,3 Il governo non affronta seriamente il problema 69,3 12,5

Base = 1 .500

50. Da quante persone è composto il nucleo familiare con cui vive?

l persona 2 persone 3 persone 4 persone 5 persone Più di 5 persone Non indica

Base = 3 .000

546

14,4

35,6

9,4

9,8

17 , l

3,3 1 1 ,2 26,9 37,9 15,0 5,0 0,6

Page 549: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

52. Con quale frequenza Lei vede i Suoi parenti che non abitano con Lei? (versione A)

Madre Padre Fratelli Sorelle Nonni materni Nonni paterni Zii materni Zii paterni Cugini Genitori del coniuge, partner, convivente Fratelli/sorelle del co· niuge, partner, convi-vente Altri parenti del co-niuge, partner, convi· v ente

Base = 1 .500

Tutti Più volte 1 giorni la

settimana

14,1 7,1 12,2 6,3 6,9 6,3 7,8 8,2 7,2 8,7 4,5 5,4 3,0 7,5 2,9 6,3 3,7 9,2

5,3 7,6

3,1 5,1

0,5 1,8

53. Qual è i l Suo stato civile?

Celibe/nubile Coniugato/a Separato/a Divorziato/ a Vedovo/a Non indica

Base = 3 .000

Almeno l volta alla settimana

4,7 4,8 6,1 4,8

12,0 8,9

13,1 10,7 13,5

8,9

8,1

3 ,5

Almeno Più Mai o Non l volta raramente quasi pertioente al mese mai (abita con Lei

o non c'è)

1,9 1,7 0,4 48,9 2,5 1,7 0,9 49,9 4,8 4,6 0,9 46,6 3 ,4 3,2 0,9 45,3

1 1 ,4 8,6 4,6 3 1 ,4 9,9 9,4 4,7 39,2

24,1 25,5 1 1 ,9 4,8 21,5 26,7 14,9 6,5 22,1 27,5 10,7 2,4

4,2 3,3 3,8 37,9

4,5 5,6 3,8 40,7

4,3 11 ,1 10,9 39,0

78,5 19,8 0,8 0,2

0,7

54. Attualmente Lei ha un rapporto fisso (anche se non convive) con un com­pagno/una compagna o partner?

Sì No Non indica

Base = 2.328

547

38,3 38,9 22,8

Page 550: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

56. Facendo riferimento a dove viveva Lei prima del matrimonio/convivenza, dove abitava il/la Suo/a partner?

Nello stesso comune Nella stessa provincia, ma in un altro comune Nella stessa regione, ma in un'altra' provincia In un'altra regione In uno Stato estero Non indica

Base = 672

57. Quale è attualmente la principale occupazione del Suo/a partner? Lavoro dipendente: Dirigente Quadro/funzionario direttivo Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Capo operaio Operaio specializzato o qualificato Operaio comune Apprendista

Lavoro autonomo: Imprenditore ( 15 o più dipendenti) Libero professionista (iscritto a un albo professionale) Lavoratore autonomo non iscritto ad un albo professionale Artigiano Commerciante Coltivatore diretto Coadiuvante familiare Socio di cooperativa Altro

Lavoro parasubordinato: Prestazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione con iscrizione alla gestione INPS Prestazione professionale con partita IVA

Lavoro occasiona/e o saltuario: Prestazione lavorativa senza contributi e senza partita IVA

Non lavora: Disoccupato In cerca di prima occupazione Invalido Casalinga Studente senza alcun tipo di occupazione Non indica

Base = 672

548

55,5 26,9

4,6 4,6 1 ,6 6,7

1,3 2,8 2,8

15,6 8,5 1,0

12,2 10,0 0,7

0,6 5 , 1 3 ,0 4,3 6,0 1 ,3 0,6 1,0 0,3

0,3 0,3

1,0

3 ,3 0,6

8,0 0,6

8,6

Page 551: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

57 a. Specifica del lavoro dipendente del partner Impiego con contratto d'assunzione a tempo indeterminato (tempo pieno) 59,3 Impiego con contratto d'assunzione a tempo indeterminato (tempo parziale) 4,0 Impiego con contratto d'assunzione a tempo determinato 6,3 Impiego con contratto d'assunzione a tempo determinato 0,7 Impiego senza contratto d'assunzione 3,5 Non indica 26,2

Base = 428

58. Rispetto ai seguenti ambiti, quale è il grado di accordo raggiunto con il/la Suo/a partner?

Molto Abbastanza Poco Per nulla d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo

La divisione del lavoro in casa 32,6 44,5 12,5 5,1 Le amicizie individuali 40,5 40,9 9,7 2,5 L'organizzazione del tempo libero 42,9 40,9 8,6 1,8 La sessualità 56,4 34,4 1,8 0,7 Le amicizie comuni 54,2 36,3 3,3 0,4 Gli impegni lavorativi 32,9 43,6 15,0 2,2 La scelta di avere/non avere figli o l tempi entro i quali averli 59,7 25,0 6,0 3,1 Le vacanze 52,7 30,1 9,5 1,2 Gli interessi culturali 26,0 46,3 17,0 3,9 Le spese/ gli investimenti economici 42,7 40,2 9,5 1,5 Il modo di educare i figli 43,2 36,3 5,5 1,3 Il rapporto con le famiglie d'origine 41 ,5 43,8 6,8 1,9

Base = 672

59. Lei riceve un aiuto di qualche tipo per quanto riguarda le attività domesti· che?

Madre Padre Madre del coniuge/partner/convivente Padre del coniuge/partner/convivente

Base = 672

Sì, abitualmente Sì, occasionalmente No, mai

549

12,5 5,4

10,0 4,9

30,7 16,8 25,6 15,5

48,8 66,4 55,4 68,2

Page 552: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

60. Per quanto riguarda le attività domestiche chi svolge prevalentemente i se-guenti compiti nella Sua famiglia?

lo Marito/moglie' Entrambi Madre o Altro partner in parti madre del parente

uguali partner

Fare la spesa 39,1 22,9 30,7 0,7 0,3 Cucinare 50,3 26,8 14,4 1,6 0,9 Stirare 52,4 28,0 3,3 5,2 1,0 Fare le pulizie 48,1 22,8 16,4 0,6 0,4 Compiere piccole ri-parazioni in casa 32,1 45,4 6,5 1,5 3,6 Pagare tasse, Ici, al-tri adempimenti bu-rocratici 31 ,7 35,6 23,2 1,5 1,0

Base = 672

6la. A che distanza è la Sua abitazione da quella dei Suoi genitori? Nello stesso caseggiato A meno di l Km A più di l Km Non indica

Base = 672

6lb. E quella dei genitori del/la Suo/a coniuge, partner? Nello stesso caseggiato A meno di l Km A più di l Km Non indica

Base = 672

Persona a pagamento

0,1 4,2 5,5

4,6

0,9

14,3 24,9 53,6

7,3

12,5 23,7 56,5

7,3

63 . Lei riceve un aiuto di qualche tipo per quanto riguarda la cura dei Suoi fi­gli?

Madre Padre Madre del coniuge/partner/convivente Padre del coniuge/partner/convivente

Base = 442

Sì, abitualmente Sì, raramente No, mai

550

40,5 21,9 28,1 15,8

22,4 20,8 22,6 19,9

31 ,7 47,1 43,4 53,2

Page 553: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

64. Per quanto riguarda le attività di cura dei figli chi svolge o ha svolto pre-valentemente i seguenti compiti nella Sua famiglia? (riferimento ai figli fino al compimento dei IO anni di età)

Io Marito/moglie Entrambi Madre o Altro Persona a partner in parti madre del parente pagamento

uguali partner

Dar da mangiare e altri bisogni primari 46,8 19,0 26,9 2,0 0,2 0,2 Mettere a letto 38,7 18,6 36,7 0,5 0,2 Accompagnare al ni-do, scuola materna o elementare 29,2 22,2 21,0 3 ,2 1,1 0,7 Organizzare il tem-po libero 30,5 14,0 38,5 0,9 0,2 Giocare 20,4 12,7 57,9 1,6 0,2 Seguire nei compiti 28,3 12,9 16,5 0,9 0,2 0,5 Visite mediche 38,0 17,2 38,9 0,5 Acquisto biancheria, abiti, giochi ecc. 44,3 21,7 26,0 0,9 0,2 Accudire i figli qua n-do sono ammalati 41,2 17,9 31,4 2,0 0,7 Accudire i figli du-rame le vacanze sco-lastiche 21,5 10,4 32,8 5,9 1 ,4 0,7

Base = 442

65. Lei personalmente è favorevole alla convivenza senza vincolo matrimo­niale?

Sono favorevole ad un periodo di convivenza prima del matrimonio 3 3 , 1 Sono favorevole comunque alla convivenza, anche senza matrimonio 4 1 ,6 Non sono favorevole alla convivenza 18,6 � w � Non indica 0,5

Base = 3 .000

66. Ha avuto esperienze di convivenza senza vincolo matrimoniale? Sì, in passato Sì, attualmente No, mai Non indica

Base = 3 .000

551

5,6 2,9

9 1 ,0 0,6

Page 554: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

6 7. Quali sono i fattori che contr�buiscono di più alla buona riuscita di un rapporto di coppia? (versione A)

Fondamentale Molto Abbastanza Poco importante importante importante

Valori, ideali e aspirazioni comuni 31,7 37,8 24,7 4,3 Comprensione reciproca 58,5 34,8 5,1 0,3 Rispetto dell'altro 77,9 18,5 2,4 Intesa sessuale 34,7 46,6 15,3 2,0 Indipendenza economica di ognuno dei due 1 1,0 23,0 37,8 26,5 Stesso livello di istruzione e cultura 5,8 15,3 31 ,7 45,7 Capacità di comunicare 48,1 40,3 9,1 1 , 1 Fedeltà reciproca 66,1 24,5 6,6 1,5

Base = 1 .500

68. A che età è meglio per una donna diventare madre per la prima volta? È meglio non avere figli Prima dei 20 anni Tra i 20 e i 25 anni Tra i 26 e i 30 anni Tra i 30 e i 35 anni Oltre i 35 anni Non indica

Base = 427

69. A che età è meglio per un uomo diventare padre per la prima volta?

1 ,3 0,5

19,6 62, 1 14,2

1 , 1 1 ,2

È meglio non avere figli l , l Prima dei 20 anni O, l Tra i 20 e i 25 anni 7 , 1 Tra i 26 e i 30 anni 48,7 Tra i 30 e i 35 anni 37,9 Oltre i 35 anni 3 ,9 Non indica 1 ,2

Base = 3 .000

552

Page 555: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

70. Qual è il Suo grado di accordo con le seguente affermazioni sulla parità uomo-donna? (versione A)

Molto Abbastanza Poco Per niente d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo

È soprattutto l'uomo che deve mantenere la famiglia Per una donna è molto importan­te essere attraente È giusto che in casa sia l'uomo a comandare Sarebbe giusto che anche gli uo­mini aiutassero a fare le faccende domestiche Per l'uomo, più che per le don­ne, è molto importante avere suc­cesso nel lavoro Una donna è capace di sacrificar­si per la famiglia molto più di un uomo In presenza di figli piccoli, è sempre meglio che il marito lavo­ri e la moglie resti a casa a curare digli La maternità è l'unica esperienza che consente la completa realiz­zazione della donna Dato che la donna ha la respon­sabilità maggiore dei figli è giusto che debba poter decidere da sola se averli o non averli Il ruolo della madre è perfetta­mente interscambiabile con quel­lo del padre

Base = 1 .500

8,5

19,5

3 ,3

42,6

16,0

33 ,7

22,9

16,5

5 ,9

13 ,9

23,9 40,7

49,8 23,5

8,2 27,3

42,9 10,1

30,6 33 ,4

34,9 2 1 ,4

37,7 28,3

30,3 34,6

10,5 34,3

25,8 34,9

7 1 . Attualmente Lei vive con i Suoi genitori (con la famiglia d'origine)?

Sì, abitualmente Sì, ma non in modo continuativo vivendo, per alcuni periodi dell'anno fuori dalla mia famiglia No Non indica

Base = 3 .000

553

25,5

5,5

59,9

2,9

18,4

8,3

9,4

16,0

47,6

23 ,8

68,1

5,6 25,6

0,7

Page 556: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

72. Lei ha una Sua camera? Sì Sì, ma la condivido con altri (fratelli, sorelle) No Non indica

Base = 2 .232

68,9 27,9

2,3 1 ,0

73/74. I Suoi genitori la lasciano libera/o di usufruire della casa in cui vivete per:

Sì senza alcun Sì con qualche No

Ospitare amici Organizzare feste Avere momenti di intimità con il/la mio/a ragazzo/a Frequentare le persone che vuole Rientrare tardi la sera Frequentare i luoghi che vuole Dormire fuori casa

Base = 2.232

problema problema

80,3 54,6 34,6 81,9 62,1 77,2 55,0

13 ,4 28,7 20,7 14,9 30,2 17,8 29,7

4,8 14,7 41 ,0

1 ,9 6,4 3,6

13,8

75. Quale è il grado di collaborazione da Lei prestato nella Sua famiglia d'ori-gine per quanto riguarda le attività domestiche?

Sono io che me Se ne occupano Se ne occupano Se ne ne occupo altri, ma io altri e io occupano

prevalentemente collaboro collaboro altri abitualmente saltuariamente

Fare la spesa 6,7 21,9 40,8 29,2 Cucinare 5,0 17,6 30,2 45,7 Stirare 4,5 8,1 17,0 68,8 Fare le pulizie 6,0 22,0 29,1 41,1 Compiere piccole ripa-razioni in casa 10,7 14,2 22,8 50,8 Pagare tasse, lei, altri adempimenti burocra-ti ci 7,3 10,0 18,2 62,9 Tenere in ordine la mia camera 47,9 20,3 15,1 15,0

Base = 2.232

554

Page 557: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

76. Lei dà dei soldi ai Suoi genitori per le spese di casa? Press'a poco quale parte di ciò che guadagna dà alla famiglia?

Nulla Meno del 20% 20-39% 40-59% 60-79% 80-99% Tutto (100%) Non indica

Base = 968

77. Con quanto guadagna, Lei potrebbe vivere per conto Suo? Sì No Non so Non indica

Base = 968

46,9 19,9 15,7 5,7 1 ,4 1 ,0 4 ,1 5,2

40,3 40,3 14,9 4,5

78. Lei andrebbe a vivere per conto Suo (da solo o con degli amici) indipen­dentemente dalla creazione di una nuova famiglia? (cioè prima del matri­monio o di una convivenza?)

Sì No Non so Non indica

Base = 968

56,2 25,3 14,3

4,2

79. Ha mai cercato concretamente di rendersi indipendente dalla propria fami­glia di origine dal punto di vista abitativo? (ad esempio cercando una casa)

Sì No Non indica

Base = 968

555

22,5 73,2

4,2

Page 558: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

80. Tra gli eventi che sono elencati ci può indicare quali Le sono già accaduti e quali prevede che Le possano accadere nei prossimi 5 anni?

Finire gli studi definitivamente Ho già finito definitivamente gli studi 55,4 Sono sicuro. che finirò definitivamen.te gli studi entro i prossimi 5 anni 17 ,O Credo che finirò definitivamente gli studi entro i prossimi 5 anni 9,8 t-/on credo che finirò definitivamente gli studi entro i prossimi 5 anni 4,5 E escluso che nei prossimi 5 anni finirò definitivamente gli studi 4,6 Non so, non posso prevedere 6,9 Non indica 1,8 Iniziare a lavorare continuativamente Ho già iniziato a lavorare continuativamente 45,4 Sono sicuro che inizierò a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni 11 ,7 Credo che inizierò a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni 18,6 t-Jon credo che inizierò a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni 5,7 E escluso che nei prossimi 5 anni inizierò a lavorare continuativamente 3,9 Non so, non posso prevedere 13,6 Non indica l ,O Andare a vivere in modo definitivo fuori dalla famiglia di origine Sono già andato a vivere definitivamente fuori dalla famiglia di origine 25,5 Sono sicuro che andrò definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni 16,0 Credo che andrà a vivere definitivamente fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni 20,5 Non credo che andrò a vivere definitivamente fuori dalla famiglia di Qrigine entro i prossimi 5 anni 11 ,5 E escluso che nei prossimi 5 anni andrò definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine 5,6 Non so, non posso prevedere 19,6 Non indica l ,2 Si sposerà o andrà a convivere Mi sono già sposato/andato a convivere 22,0 Sono sicuro che mi sposerò/ andrò a convivere entro i prossimi 5 anni 9,7 Credo che mi sposerò/andrò a convivere entro i prossimi 5 anni 16,4 t-Jon credo che mi sposerò/andrò a convivere entro i prossimi 5 anni 11 ,9 E escluso che nei prossimi 5 anni mi sposerò/andrò a convivere 9,2 Non so, non posso prevedere 29,9 Non indica 0,9 Avere dei figli Ho già avuto un figlio 14,7 Sono sicuro che avrò un figlio entro i prossimi 5 anni 7 ,O Credo che avrò un figlio entro i prossimi 5 anni 14,3 t-Jon credo che avrò un figlio entro i prossimi 5 anni 11 ,7 E escluso che nei prossimi 5 anni avrò un figlio 16,2 Non so, non posso prevedere 35,3 Non indica 0,8 In ogni caso quanti figli pensa che avrà complessivamente? Indica il numero dei figli 58,5 Non ci ha mai pensato 18,2 Non sa 21,4 Non indica 2,0

Base = 3 .000

Page 559: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

81 . Lei ha partecipato in passato o partecipa attualmente alle attività delle se­guenti associazioni e/o gruppi organizzati? Considerate tutte le attività fat­te in modo non occasionale ma anche senza essere iscritto ad una organiz­zazione (versione A)

Partiti o movimenti politici Sindacati/ associazioni di categoria Associazioni sportive (di prati­canti) Club di tifosi Fan club di personaggi dello spet­tacolo Associazioni culturali Organizzazione per la difesa dei diritti dell'uomo Organizzazioni internazionali di soccorso umanitario Associazioni/movimenti religiosi Gruppi parrocchiali Gruppi scout Gruppi/associazioni di volonta­riato sociale e assistenziali Centri sociali, collettivi politici Organizzazioni per la tutela del­l'ambiente Organizzazioni studentesche (con­sulte . . ) Associazioni turistiche Gruppi di meditazione, yoga, ecc. che si rifanno alle filosofie orientali Altri gruppi o associazioni (Solo per le donne - Base = 723) Organizzazioni che si occupano so­prattutto dei problemi delle donne

Base = 1 .500

Non ho mai Ho partecipato partecipato in passato ma

non attualmente

85,7 90,9

43,7 86,0

93,3 73,1

90,7

89, 1 75,4 58,9 85,8

76,2 89,2

83,7

82,1 87,8

9 1 ,9 72,5

90,9

557

7,7 1,9

35,3 7,0

2,5 15,1

4,4

4,7 14,9 29,1

9,1

12,9 5 , 1

9,3

1 1 ,5 5,6

3 ,0 0,5

1,4

Partecipo attualmente

3,8 4,3

18 , 1 3 ,3

1,0 8,3

1 ,9

2,9 6,3 8,9 1 ,5

7,5 1 ,9

3 ,7

2,9 3 ,1

1 ,7 2,4

0,6

Page 560: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

82. Quale organizzazione Le interessa di più, cioè a quale non vorrebbe mai rinunciare se potesse scegliere? (versione A)

Partiti o movimenti politici 2,0 Sindacati/ associazioni di categoria l ,8 Associazioni sportive (di praticanti) 16,2 Club di tifosi l ,O Fan club di personaggi dello spettacolo 0,1 Associazioni culturali 4,1 Organizzazione per la difesa dei diritti dell'uomo 1 ,2 Organizzazioni internazionali di soccorso umanitario l ,7 Associazioni/movimenti religiosi 2,6 Gruppi parrocchiali 3 ,8 Gruppi scout 0,9 Gruppi/associazioni di volontariato sociale e assistenziali 5,4 Centri sociali, collettivi politici 0,7 Organizzazioni per la tutela dell'ambiente 2,7 Organizzazioni studentesche (consulte) 0,5 Associazioni turistiche l ,2 Gruppi di meditazione, yoga, ecc. che si rifanno alle filosofie orientali 0,7 Altri gruppi o associazioni 0,4 (Solo per le donne) Organizzazioni che si occupano soprattutto dei problemi delle donne 0,1 Non indica 52,9

Base = 1 .367

83. Negli ultimi 3 mesi con quale frequenza ha partecipato alle attività dell'or­ganizzazione che Le interessa di più? (versione A)

Mai l o 2 volte l o più volte al mese l o più volte alla settimana Non indica

Base = 1 .376

9,4 7,8

12,2 22,7 47,8

84. Da quanto tempo partecipa alle attività dell'organizzazione che Le interes­sa di più? (versione A)

Meno di un anno Da uno o due anni Da tre a cinque anni Da più di 5 anni Non indica

Base = 1 .367

558

6,8 10,6 10,8 19,6 52,2

Page 561: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

85. Ricopre qualche incarico particolare all'interno dell'organizzazione che Le interessa di più? (versione A)

Sì, svolgo all'interno dell'organizzazione un'attività lavorativa remunerata 1 ,0 Sì, faccio parte dello staff organizzativo 9,5 N o, non svolgo nessun incarico particolare 22,2 Non sono previsti incarichi particolari 15,4 Non indica 5 1 ,9

Base = 1 .367

86. La prego di dirmi se Lei considera importanti per la Sua vita le cose di questo elenco

Molto Abbastanza Poco Per niente Non so impor- impor- impor- impor-tante tante tante tante

Famiglia 85,9 12,5 0,9 0,3 0,1 Lavoro 63,6 32,7 2,4 0,5 0,3 Amicizia 70,3 26,7 2,2 0,2 0,1 Attività politica 2,5 14,1 42,1 38,1 2,7 Impegno religioso 10,5 32,0 35,1 19,8 2,0 Impegno sociale 17,2 52,6 23,4 4,9 1 ,2 Studio e interessi culturali 3 1 ,7 46,3 15 ,8 4,5 1 , 1 Svago nel tempo libero 47,4 46,5 5,0 0,5 0,1 Attività sportive 28,7 4 1 ,9 22,7 5,7 0,5 Successo e carriera personale 32,7 44,7 16,0 4,6 1 , 1 Eguaglianza sociale 47,3 37,5 10,5 2,2 2,0 Solidarietà 48,5 42,2 6,5 1 ,5 0,8 Amore 77,6 20,4 1 ,3 0,1 0,1 Autorealizzazione 60,6 32,7 4,6 0,7 0,8 Libertà e democrazia 63,2 28,8 5 ,3 1 ,2 0,9 Vita confortevole e agiata 34,0 54,1 9,8 1 ,0 0,4 Patria 16,8 36,5 29,0 13 ,8 3 ,3 Divertirsi, godersi la vita 49,1 42,9 6,5 0,7 0,3

Base = 3 .000

559

Page 562: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

87. Per ciascuno delle seguenti istituzioni/gruppi, dovrebbe dirmi se ha fiducia e in che misura

Molta Abbastanza Poca Per niente Non so fiducia fiducia fiducia fiducia

I funzionari dello Stato 1 ,6 20,2 5 1 ,4 22,6 3 ,6 Gli insegnanti 7,0 53 ,6 3 1 ,1 6,4 1 ,5 La scuola 8,8 49,8 3 3 ,3 6,4 1 ,2 Le banche 5,7 39,0 36,6 1 3 , 1 4,9 La polizia 12,1 50,8 25,7 8,2 2,7 I sindacalisti 1,8 18,4 42,5 26,4 9,9 I sacerdoti 8,7 37,0 3 3 ,3 16,2 4,0 Il governo 1 ,6 16,9 49,3 27,0 4 ,6 I militari di carriera 5,0 25,7 36,4 22,8 9,4 Gli uomini politici 0,3 7,2 46,0 4 1 ,7 3,6 Gli amministratori del Comune in cui abito 2,2 27,2 39,7 22,8 7,3 I magistrati 8,3 43 , 1 29,6 1 1 , 1 7,0 Gli scienziati 34,9 49,8 8,9 2,2 3 ,6 I carabinieri 1 1 ,5 46,7 27,2 10,7 3 ,2 Gli industriali 7,4 37,6 34,0 10,5 9,5 I partiti 0,7 9,4 48,3 35,3 5 ,4 L'Unione Europea 13 ,4 45,5 24,8 8,4 7 , 1 L'ONU 17 , 1 48,4 19,4 6,7 7,8 La NATO 10,8 40,8 26,3 12 ,1 9 , 1 I giornali 5,0 36,2 43,0 12,6 2 ,6 La televisione pubblica 5,0 36,1 42,7 13 , 1 2,6 La televisione privata 4,6 3 1 ,7 44,2 15,4 3 ,4

Base = 3 .000

88. Lei crede a qualche tipo di religione o credo filosofico? · Sì, alla religione cristiana cattolica 80,8 Sì, ad una religione cristiana non cattolica (ortodossa, protestante, valdese .. . ) 1,0 Sì, a religioni non cristiane monoteiste (religione mussulmana, ebraismo .. . ) 0,2 Sì, a religioni orientali (buddismo, induismo . . . ) 1,1 Sì, alle filosofie della new age 0,7 No, non credo a nessuna religione o filosofia trascendente 15,6 Non indica 0,7

Base = 3 .000

89. Nella Sua vita quanto è importante la religione o il credo filosofico che se­gue?

Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per niente Non so Non indica

Base = 2.533

1 1 ,7 24,0 42,4 19,1

1 , 1 1 , 1 0,6

Page 563: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

90. Negli ultimi 6 mesi con quale frequenza ha assistito alla Messa o a funzioni religiose di altri culti? (versione B)

Mai in 6 mesi l o 2 volte in 6 mesi Circa l volta al mese 2 o 3 volte al mese Tutte le settimane Ogni giorno o quasi Non indica

Base = 1 .257

20,2 30,4 16,3 14,6 1 7 ,3

0,6 0,6

9 1 . Può indicarci il Suo grado d'accordo con le seguenti affermazioni? (versio­ne B)

Molto Abbastanza Poco Per niente d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo

Esiste un unico Dio che da sempre è presente nelle vicende umane 45,6 28,6 13,1 10,2 Tutto ciò che ci circonda (persone, ani-

mali , piante) ha un 'anima 32,1 32,7 20,7 1 1 ,7 L'esistenza di Dio non si può dimostrare 33,7 26,3 19,8 16,7 Tutte le religioni sono un'invenzione dell'uomo, perché non esiste alcun dio 5,9 9,6 21 ,7 59,5 Dopo la morte la nostra anima si rein· carnerà in un'altra forma di vita 7,9 12,7 3 1 ,2 44,7 Esiste un dio, ma non si interessa delle vicende umane 3 ,1 7,4 25,6 60,5

Base = 1.500

92. Si parla spesso della droga come uno dei problemi più diffusi tra i giovani. Quali di queste esperienze Le è capitato di fare? In caso affermativo di quale/i sostanza/e si trattava?

Mi è capitato Tipo di sostanza (% di risposte affermative)

di: Cocaina Eroina Acidi/ Hashish/ Non so Base (Base = 3.000) ecstasy marijuana

Parlare con qualche perso-na che ha fatto uso di droga 66,9 33,0 29,7 31,0 68,2 14,2 2.037 Conoscere persone che fan-no uso di droghe 65,0 29,7 24,0 28,4 70,9 14,5 1.979 Vedere qualcuno che stava usando droga 53,2 20,6 24,7 17,5 72,3 10,6 1.633 Sentirsi offrire qualche tipo di droga 43,1 24,0 8,0 26,3 82,1 4,8 1.340 Prendere in mano qualche tipo di droga 26,6 17,0 4,2 14,0 88,5 1,3 835 Sentire il desiderio di pro· vare una droga 17,2 21,0 4,7 13,3 78,1 5,2 556 Avere un amico che fa uso di droga 42,0 23,6 14,1 21 ,9 81 ,0 6,0 1.294

Page 564: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

93. Negli ultimi tre mesi, Le è capitato di fare queste eperienze e in caso affer-mativo di quale/i sostanza/e si trattava? (versione B)

Mi è capitato Tipo di sostanza (% di risposte affermative)

di: Cocaina Eroina Acidi/ Hashish/ Non so Base (Base = 1 .500) ecstasy marijuana

Ho visto qualcuno che sta· va usando droga 3 1 ,3 16,0 9,8 14,7 79,3 5,3 489 Si è sentito offrire qualche tipo di droga 19,9 17 ,2 2,8 15,3 84,1 1,9 320 Ha preso in mano qualche tipo di droga 12,3 15,2 2,5 8,3 84,8 1,0 204 Ha un amico che fa uso di droga 31 ,7 19,9 9,3 17,3 80,7 4,8 497

94. Nel nostro Paese è attualmente vivo il dibattito sulla possibilità di legaliz. zare il consumo delle droghe leggere (hashish e marijuana). Lei rispetto alla legalizzazione è: (versione B)

Decisamente favorevole Abbastanza favorevole Abbastanza contrario Decisamente contrario Non so, non ho un'opinione in proposito Non indica

Base = 1 .500

12,8 24,3 17 ,4 32,3 12,9

0,3

95. Negli ultimi tre mesi Le è mai capitato di ubriacarsi, anche solo legger­mente?

No, mai Sarà capitato una o due volte È capitato qualche volta Mi è capitato abbastanza spesso Non indica

Base = 3 .000

60,4 19,9 15,9 3 ,4 0,5

96. Quale iniziativa di questo elenco considera più efficace per limitare gli epi­sodi di vandalismo? (versione B)

Aumentare la vigilanza delle forze dell'ordine Inasprire le pene per chi commette atti vandalici Svolgere un'opera di educazione fin dalla prima infanzia Sensibilizzare l'opinione pubblica affinché ciascuno vigili con attenzione contro possibili infrazioni Non indica

Base = 1 .500

562

22,3 25,2 35,3

, 1 1 ,6 5,5

Page 565: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

97. Nel caso di delitti di particolare gravità bisognerebbe introdurre la pena di morte. Quale è il Suo grado di accordo con questa affermazione? (versione B)

Molto d'accordo Abbastanza d'accordo Poco d'accordo Per niente d'accordo Non indica

Base = 1 .500

12 ,3 19,6 2 1 ,0 46,5

0,5

98. Lei ha partecipato negli ultimi 12 mesi a qualcuna delle attività qui sotto elencate? (versione A)

Pace e disarmo Problemi della scuola e dello studio Problemi dei lavoratori e dell'occupazione Difesa dell'ambiente Problemi delle donne, pari opportunità Problemi locali (della città, del quartiere) Campagne elettorali Proposte di referendum Altro

Base = 1 .500

No

93,4 85,2 9 1 ,8 9 1 ,6 97,6 91 ,0 91,5 93,5 66,3

Sì, 1-2 volte

4,8 10,3 5,9 6,7 1 , 1 7 ,0 6,1 5,0 2,1

Sì, più di 2 volte

0,8 3 ,6 1 ,2 0,8 0,2 0,8 1 ,4 0,4 0,5

99. Se dovesse scegliere tra questi obiettivi politici, quale Le sembra personal­mente il più importante, quale metterebbe al secondo posto, al terzo e al quarto? (versione B)

1° posto 2° posto 3° posto 4° posto

Mantenere l'ordine nella nazione 27,3 24,5 23,4 15,5 Dare alla gente maggiore potere nelle decisioni politiche 23,7 25,5 26,8 15,2 Combattere l'aumento dei prezzi 13 ,3 20,0 29,8 23 ,6 Proteggere la libertà di parola 34 , 1 28,3 18,5 12,0

Base = 1 .500

563

Page 566: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

100. A quale di queste unità geografiche Lei si sente di appartenere, innanzi. tutto? E in secondo luogo?

La località o la città in cui vivo La regione o provincia in cui vivo L'Italia L'Unione Europea Il mondo in generale Non indica

Base = 3 .000

l o posto

39,4 8,0

25,4 4 , 1

1 3 ,9 9,2

2° posto

14,3 19,2 30,3 13 ,2 12,1 1 1 ,0

101 . Lei si sente orgoglioso di essere italiano, e in che misura? (versione A)

Molto Abbastanza Poco Per niente Non indica

Base = 1 .500

32,1 5 1 ,7 1 1 ,9 3 ,6 0,7

102. Nei Paesi dell'Unione Europea è attualmente vivo il dibattito .o;u quali debbano essere i prossimi passi verso una maggiore unificazione europea. Rispetto a queste proposte qual è il Suo grado di accordo? (versione A)

Un esercito comune Una politica estera comune Più poteri al parlamento europeo L'allargamento della UE ai paesi dell'Est

Base = 1 .500

Molto d'accordo

17,5 30,5 23,2 16,9

Abbastanza Poco Per niente d'accordo d'accordo d'accordo

38,8 48,4 47,2 40,8

29,0 14,6 21,1 28,7

12,2 4,1 5,7

10,3

103. Conosce abbastanza bene una delle seguenti lingue straniere per sostenere una conversazione?

Sì No

Francese 27,0 69,8 Inglese 53,5 45,2 Spagnolo 6,0 88,8 Tedesco 5,5 89,1 Al tre lingue 1 ,4 79,2

Base = 3 .000

564

Page 567: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

104. Qual è il Suo grado di accordo con le seguenti affermazioni sugli ideali di giustizia sociale? (versione B)

È giusto che le persone più competenti ottengano riconosci· menti economici superiori a quelli delle persone meno com· perenti In una società giusta è necessa· rio che ci siano per tutti uguali opportunità di partenza Al giorno d'oggi In Italia la maggior parte delle persone po· vere lo sono per colpa loro

Base = 1 .500

Molto Abbastanza Poco Per niente Non d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

43,2 41 , 1 9,6 3,7 1,9

72,5 22,5 3,2 0,7 0,5

4,2 1 1 ,3 42,9 36,1 4,8

105. Qual è il Suo grado di accordo con le seguenti affermazioni relative al­l'immigrazione straniera in Italia?

Nel nostro Paese ci sono troppi immigrati Gli immigrati portano via posti di lavoro ai disoccupati del no· stro Paese Gli immigrati vivono in condi­zioni difficili ed è compito no· stro aiutarli come possiamo G)i immigrati che vivono in Ita­lia contribuiscono ad un arric· chimento culturale del nostro Paese La cittadinanza italiana spetta solo a chi ha almeno un genitore italiano o radici etniche italiane Gli stranieri che da tempo lavo­rano legalmente in Italia e paga· no le tasse dovrebbero poter o t· tenere la cittadinanza italiana Lo Stato è più attento a dare benefici in termini di assistenza, assegnazione alloggi e sanità agli immigrati che agli italiani Gran pane degli immigrati svol­ge attività criminali

Base = 3 .000

Molto Abbastanza Poco Per niente Non d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

38,9 36,0

12,5 17,1

16,3 51,3

13 ,4 30,9

9,6 18,1

39,6 40,2

13,7 20,3

20,9 32,8

565

15,2

40,7

22,2

33,6

32,4

10,7

35,2

28,0

7,1

27,6

6,7

17,4

30,9

4,1

22,1

10,9

2,2

1,3

2,7

4,0

8,4

4,8

8,1

6,8

Page 568: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

106. Per ciascuna delle seguenti sette coppie di frasi dovrebbe dire a quale del­le due affermazioni si sente più vicino (o meno lontano)

Gran parte della gente è degna di fiducia 33 ,9 Gli altri, se gli si presentasse l'occasione, approfitterebbero della mia buona fede 50,1 Non so 14,7 Non indica l ,2 Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di possibilità e di sorprese 57,5 Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di rischi e di incognite 29,8 Non so 1 1 ,5 Non indica 1 ,3 Nella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete 77,8 È inutile fare tanti progetti perché succede sempre qualcosa che ci impedisce di realizzarli 16,7 Non so 4,2 Non indica 1 ,3 Se non si fanno presto delle scelte ben precise è difficile riuscire nella vita 20,7 Nella vita è meglio tenersi sempre aperte molte possibilità e molte strade 70,4 Non so 7,8 Non indica 1 , 1 I l successo dipende dal lavoro sodo e la fortuna conta poco 55,9 Non è saggio fare tanti programmi per il futuro perché molto dipende dalla fortuna 25,2 Non so 17,5 Non indica 1 ,4 Al giorno d'oggi per riuscire nella vita è necessario saper rischiare 52,7 Non è mai saggio rischiare, meglio esser prudenti e saper valutare sempre le proprie forze 36,5 Non so 9,6 Non indica 1 ,2 Anche le scelte più importanti della vita non sono mai <<per sempre», possono essere sempre riviste 56,8 Nella vita viene sempre il momento delle scelte decisive dalle quali non si può più <<tornare indietro>> 3 1 ,7 Non so 10,4 Non indica 1 , 1

Base = 3 .000

566

Page 569: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

107. Qui di seguito sono elencate una serie di frasi relative a differenti orienta­menti verso il passato e verso il futuro. Per ciascuna di essere dovrebbe per cortesia indicare se è d'accordo oppure no

Sul mio futuro ho le idee abbastanza chiare Ciò che mi potrà accadere in futuro mi lascia piuttosto indifferente Ciò che è stato è stato, per­ché mai dovrei continuare a pensarci su e preoccupar­mene? Fare delle esperienze inte· ressanti nel presente è per me più importante che pia­nificare il futuro

Base = 3 .000

Molto Abbastanza Né d'accordo Per niente Non d'accordo d'accordo ne in disaccordo d'accordo so

19,4 40,0 19,6 15,2 4,8

3,7 9,5 14,3 31 ,3 40,1

15,0 26,0 19,6 26,6 1 1 ,7

22,7 35,3 21,2 15,2 4,4

108. Nella quotidianità, cioè nella vita di tutti i giorni, Le capita di assumersi volontariamente dei rischi?

Dal punto di vista della mia salute Nel gioco, nelle scom­messe Guidando auto o moto ·in modo spericolato (o salendo su un'auto o moto guidata spericolata­mente) Guidando auto o moto dopo aver bevuto alcool (o salendo su un'auto o moto guidata da chi ha bevuto alcool) Nei rapporti sessuali Praticando sport o attivi­tà pericolose

Base = 3 .000

Sì, molto Sì, abbastanza Sì, ma solo No, frequentemente frequentemente qualche volta mai

8,3

1 ,2

2,8

0,7 1 ,2

2,6

567

14,1

3 ,0

6 ,1

1 ,6 2,3

6,0

3 1 ,1

14,2

22,5

12 ,9 1 1 ,8

18,3

45,5

80,7

67,6

83,7 83,4

72,0

Page 570: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

109. In che misura Lei è soddisfatto della vita che fa attualmente? Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Poco soddisfatto Per niente soddisfatto Non so Non indica

Base = 3 .000

18,1 64,0 14,4

1 ,5 1 ,6 0,4

1 10. Quale di queste frasi esprime meglio il Suo atteggiamento nei confronti della politica?

Mi considero politicamente impegnato Mi tengo al corrente della politica, ma senza parteciparvi personalmente Penso che bisogna lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me La politica mi disgusta Non indica

Base = 3 .000

2,9

4 1 ,5

28,3 26,3

1 ,0

1 1 1 . In accordo con le Sue opinioni politiche, in quale punto della scala politi­ca si collocherebbe? (scala formata da 10 caselle che rappresentano altret-tante posizioni dall'estrema sinistra all'estrema destra) '

3 , 1 3,7 8,7 8,2 7,2 5,7 6,6 7,7 2,8 3 ,2 Sinistra L__jl__j L__j L__j L__j L__jl__jl__jl__j L__j Destra

CD 0 0 0 0 @ 0 ® ® @ Centro esatto N o n voglio rispondere Non so/Non voglio collocarmi

Base = 3.000

568

3 ,3 1 1 , 1 28,7

Page 571: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 12 . Se in questo momento Lei dovesse votare, che cosa farebbe più probabil­mente? Lei voterebbe per un partito? Quale?

Alleanza Nazionale (AN) Centro Cristiano Democratico ( Ccn) Com unisti Italiani Cristiano Democratici Uniti (Cnu) Democratici di Sinistra (Ds) Forza Italia I Democratici Lega Nord Partito radicale - Lista Pannella Partito Popolare Italiano (Pri) Rifondazione Comunista Rinnovamento Italiano Socialisti Democratici Italiani (SDJ) Udeur Verdi Altri partiti

Scheda bianca o nulla Non andrei a votare Non ci ho ancora pensato Non voglio rispondere Non indica

Base = 3.000

12,5 0,7 0,5 0,3

10,4 9,1 1 ,5 1 ,5 1 ,8 1 , 1 4,9 O ,I 0,3 O ,I 2,9 0,8

5,8 6,0

20,0 18,0

1 ,6

l 13 . Punteggi medi attribuiti ai partiti elencati in base al «gradimento>> (il pun­teggio è stato calcolato su una scala nella quale l indica che il partito non piace per nulla, mentre IO significa che il partito piace moltissimo) (ver­sione B)

Alleanza Nazionale (AN) Centro Cristiano Democratico ( CCD) Comunisti Italiani Cristiano Democratici Uniti (CDU) Democratici di Sinistra (Ds) Forza Italia I Democratici Lega Nord Partito radicale - Lista Pannella!Bonino Partito Popolare Italiano (P!'!) Rifondazione Comunista Rinnovamento Italiano Socialisti Democratici Italiani (SDJ) Udeur Verdi

Base = 1 .500

Punteggio medio Non so Non indica calcolato sui rispondenti

4,27 3,21 3,09 2,70 3,84 3,74 3,54 2,15 3,21 3,03 3,41 2,55 2,58 2,21 4,16

24,5 30,9 27,1 33,3 26,5 23,2 3 1,1 23,4 26,8 32,0 26,3 39,1 36,1 40,7 28,5

7,8 8,2 8,1 8,5 8,7 8,2 9,1 8,3 8,2 8,6 8,4 8,9 8,4 8,9 8,3

Page 572: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 1 6. Quale lavoro fanno o facevano in passato Suo padre e Sua madre? (se de­ceduti, in pensione o in cassa integrazione fare riferimento all'ultima pro­fessione svolta)

Lavoro dipendente: Dirigente Quadro/funzionario direttivo Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Capo operaio Operaio specializzato o qualificato Operaio comune Lavoratore a domicilio

Lavoro autonomo: Imprenditore (15 o più dipendenti) Libero professionista Artigiano Commerciante Coltivatore diretto Coadiuvante familiare Socio di cooperativa

Non lavora Casalinga Invalido Disoccupato Altro Non indica

Base = 3 .000

Padre

6,1 6,3 3,6

1 1 ,7 8,6 3 ,5

15,3 12,5

0,2

2,2 7,5 8,0 8,0 3 ,3

0,2

0,2 0,4 0,3 2,2

1 17 . Quale titolo di studio hanno ottenuto Suo padre e Sua madre?

Nessun titolo Licenza elementare Licenza media o awiamento professionale Diploma di scuola media superiore o professionale (2 o 3 anni) Diploma di scuola media superiore (4 o 5 anni) Diploma parauniversitario o corso professionale post -secondaria (2 o 3 anni) Laurea Non so Non indica

Base = 3 .000

570

Padre

2,6 25,5 27,3

5,5 2 1 ,5

0,9 12 ,2 3 , 1 l ,3

Madre

0,7 0,8

1 1 ,5 7,7 5,6 0,4 3 ,0 8,3 2,5

0,2 1 ,9 2,2 5,5 1 ,4 0,9 0,3

42,5 1 ,9 0,3 0,4 1 ,8

Madre

3 , 1 29,8 28,6

4,8 1 8,8

2,6 8,0 3,2 1 ,1

Page 573: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 18. In che misura Lei è contento per ciò che riguarda ognuno di questi aspet-ti della Sua vita?

Molto Abbastanza Poco Per niente Non contento contento contento contento so

La Sua salute fisica in questo momento 33,8 53,3 9,7 1,7 0,7 Il Suo aspetto fisico 13 ,3 66,6 15,9 2,4 0,9 La Sua capacità di memona e concentrazione 19,2 54,3 2 1 ,5 3 ,2 0,9 La Sua capacità di prendere de-CIS!Olll 23 ,7 52,1 19,5 2,9 1 ,0 La Sua tranquillità psicologica 2 1 ,2 5Ù 20,6 5,2 0,9 Il Suo tenore di vita 20,2 61 ,3 15,1 1,9 0,5 La zona in cui vive 24,8 49,5 19,2 5,0 0,6 La casa in cui abita 36,3 50,5 9,7 2,2 0,3 Le amicizie 40,8 48,4 8,5 1 , 1 0,3 L'amore 43 ,8 30,6 14,6 7,3 2,7 Il modo di passare il tempo li-bero 22,8 54,3 18,9 2 , 1 0,9 l'istruzione che ha ricevuto (o riceve) 29,1 52,3 14,7 1 ,8 1 ,0 I rapporti con gli altri giovani 28,4 6 1 ,7 7,5 0,6 0,7 I rapporti nella famiglia 42,2 47,5 7,5 1 , 1 0,3 I rapporti con gli insegnanti (per chi va a scuola - Base = 954) 9,6 44,0 28,2 5,8 2,7 Il lavoro che fa (per chi lavora - Base = 1 .605) 25,3 54,0 13,6 2,2 0,4 Come si vive in Italia oggi 3 ,6 47,5 35,5 8,5 3 ,6

Base = 3.000

571

Page 574: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 19. Vorremmo capire come si sente e cosa pensa di se stesso. Indichi quanto si riconosce in ciascuna di queste frasi (versione B)

Molto Abbastanza Poco Per niente Non so

Spesso mi sento annoiato/ a Spesso mi sento triste In alcune situazioni mi sembra proprio di <<perdere la testa>> Provo spesso paura Sono capace di ridere di me stesso/a Frequentemente mi sento con­fuso/ a e in ansia Spesso mi sento felice Spesso evito di assumermi delle responsabilità So impegnarmi molto per ciò in cui credo Sento che sono io a decidere della mia vita Quando mi sento in difficoltà so che posso contare sull'aiuto di qualcuno Mi sento apprezzato dagli altri Ho sempre paura che gli altri mi critichino

Base = 1.500

5,0 4 , 1

5,5 2,3

20,5

5 ,1 19,7

5,3

46,8

35,3

44,2 17 ,7

5,7

1 8,7 18,9

16,5 10 ,1

50,0

20,9 63,5

18,5

44,1

47,7

40,9 66,3

1 7 ,5

47,7 52,3

36,6 40,2

17 ,5

40,7 1 3 , 1

40,9

5,7

1 1 ,9

9,9 9,5

40,6

25,9 22,3

38,1 44,5

8,5

30,2 1 , 1

32,3

0,5

1 ,7

2,5 1 ,5

32,5

1 ,7 1 ,4

2,2 1 ,6

2,5

1 ,7 1 ,4

2 , 1

1 ,7

2,3

1 ,4 4 ,1

2,7

120. Potrebbe dirmi in quale misura Lei è d'accordo con ciascuna delle se­guenti affermazioni a proposito della scienza e della ricerca scientifica? (versione A)

Molto Abbastanza Poco Per niente Non d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

La ricerca scientifica è ormai trop­po specializzata per essere utile alla gente comune 5,3 Lo sviluppo scientifico e tecnologi-co comporta rischi che è difficile controllare 14,2 Lo sviluppo dell'ingegneria gene-tica migliorerà la qualità di vita dell'uomo e la condizione dell' am-biente 7,9 Deve essere consentita ogni tipo di sperimentazione purché non coin-volga esseri umani 16,1

Base = 1 .500

572

18,4 36,7

43,4 26,5

32,5 29,914,3

22,9 24,9

31 ,6 6,5

7,6 6,7

13,7

26,6 8,0

Page 575: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

121 . Per ciascuna delle innovazioni indicate, sono maggiori i vantaggi o gli svantaggi? (versione A)

Maggiori Vantaggi e svantaggi Maggiori Non so vantaggi si equivalgono svantaggi

n computer 79,6 16,9 1 ,2 1 ,5 La rete internet 64,3 27,4 4,2 3 ,2 I telefoni cellulari 49,9 39,1 7,9 2,1 I treni ad alta velocità 50,5 35,1 7,1 6,5 I fertilizzanti chimici 5,7 29,3 53,5 10,4 La pillola anticoncezionale 45,9 33 , 1 9,0 1 1 ,2

Base = 1 .500

122. Può dirmi quale è il Suo grado di fiducia rispetto alle seguenti figure e organizzazioni che hanno a che fare con la salute? (versione A)

Molta Abbastanza Poca Per niente Non fiducia fiducia fiducia fiducia so

Medici di base 14,1 56,3 23,9 3 ,8 1 , 1 Medici specialisti 25,3 63,3 8,7 0,7 1 ,0 Pranoterapeuti 3,7 19,5 32,7 26,3 16,2 Maghi, cartomanti, sensitivi 0,3 2 ,1 1 1 ,4 82,5 2,5 Esperti di medicine alternative, omeopati e erboristi 6,3 40,0 32,8 12,4 7,4 Farmacisti 5,9 62,7 24,0 3,4 3,0 Ospedali pubblici 5,1 45,0 37,7 9,7 1 ,5 Cliniche private 9,3 57,5 20,4 4,7 7,2 Case farmaceutiche 3 ,5 4 1 , 1 32,4 10,3 1 1 ,3 ASL (USSL) 2,7 4 1 ,7 38,9 8,4 7 , 1 Psicanalisti 5,6 33,8 27,1 12,7 19,9

Base = 1 .500

573

Page 576: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

123. Potrebbe dirmi in quale misura è d'accordo con ciascuna delle seguenti affermazioni relative alla salute e alle malattie? (versione A)

Molto Abbastanza Poco Per niente Non d'accordo d'accordo d'accordo d'accordo so

Se bado a me stesso/ a posso evitare le malattie 15 ,1 La ricerca scientifica è uno dei più importanti fattori per il mi­glioramento della salute e della qualità della vita 30,2 I malati dovrebbero poter sce-gliere la cura che preferiscono anche se sconsigliata o non ri-conosciuta dai medici 18,1 Indipendentemente da quello che faccio, se sòno destinato/ a ad ammalarmi, mi ammalerò 14,5 Sui pericoli dell'AIDS si sta esa-gerando 2,9 Nel campo della salute la ricer-ca scientifica porta più spesso vantaggi che svantaggi 19,9 I farmaci naturali sono quasi sempre più efficaci di quelli pro-dotti dalle case farmaceutiche 6,4 Le capacità del medico di crea-re un clima di fiducia basato sul dialogo con il paziente è più importante della sue competen-ze tecniche 15,9

Base = 1 .500

4 1 ,3

54,9

25,7

28,1

9,5

42,1

2 1 ,9

35,7

124. Lei esce per conto Suo la sera dopo cena? No, mai o quasi mai Sì, ma solo quando sono in vacanza Sì, solo durante i fine settimana Sì, anche nei giorni feriali Non indica

Base = 3 .000

574

29,9 9,1

9,3 1 ,2

3 1 , 1 17,4

29,9 19,3

24,3 56,9

18,8 8,8

4 1 ,8 10,4

29,9 10,5

3,0

2,6

5,7

5,9

4,0

8,2

17,4

5,9

26,2 2,7

20, 1 49,8

1 , 1

Page 577: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

125. Se non esce di sera, prevalentemente perché? (versione B)

Non mi piace Ho paura Non mi lasciano i miei genitori Ho impegni familiari Ho vincoli di studio o di lavoro Vado a letto presto Altro Non indica

Base = 428

126. Con quale frequenza esce di sera? (versione B)

Meno di una volta la settimana Circa una volta la settimana 2·3 volte la settimana 4 · 5 volte la settimana Tutte le sere o quasi Non indica

Base = 768

15,2 1 ,4 6,3

38,1 12,9 8,6

10,7 6,8

1 ,6 6,0

44,7 22,4 25,0

0,4

127. Quando esce di sera durante i fine settimana, di solito a che ore rientra? (versione B)

Entro le ore 22 Alle ore 23 Alle ore 24 All'una Alle 2 Alle 3 Alle 4 Alle 5 Dalle 5 in poi Non indica

Base = 1 .072

2,2 7 ,1

14,4 2 1 ,4 24,9 13,2

9,3 3 ,4 2,4 1 ,7

128. In una giornata feriale, complessivamente quanto tempo ha a disposizione da dedicare liberamente ai Suoi interessi e al divertimento? (versione B)

Fino ad l ora Da l ora a 2 ore Da 2 ore a 3 ore Da 3 ore a 4 ore Da 4 ore a 6 ore Oltre 6 h Non indica

Base = 1 .500

575

14,9 25,8 20,2 15,0 12,7

6,5 5,0

Page 578: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

129. Le sembra che queste ore di tempo libero che ha a disposizione siano: Scarse rispetto alle mie esigenze Adeguate rispetto alle mie esigenze Eccessive rispetto alle mie esigenze Non indica

Base = 1 .500

46,1 48,6

3 ,5 1 ,9

130. Negli ultimi 12 mesi Lei ha praticato qualche sport in modo continuativo o <<abbastanza>> continuativo?

No Sì, ma solo per divertimento Sì, anche per agonismo Non indica

Base = 3 .000

46,1 4 1 ,6 1 1 ,5

0,8

1 3 1 . Con quale frequenza Lei legge o sfoglia:

Quotidiano d'informazione Quotidiano sportivo

Settimanali d'opinione Settimanali familiari Settimanali radiotelevisivi Settimanali femminili Settimanali scandalistici Altri settimanali

Periodici mensili Fumetti

Base = 3.000

Mai o l volta la quasi mai settimana

27,6 2 1 ,0 60,8 16,2

Mai o l volta al quasi mai mese

57,7 22,3 66,0 15,7 54,3 12,0 58,7 15,4 84,0 7,7 64,1 12,4

2-5 volte Tutti i gg. la settimana o quas1

2 1 ,5 27,9 8,3 7,8

2-3 volte Tutte le al mese sett. o quasi

10,5 7,4 8,8 7,5

10,5 2 1 ,2 12,7 1 1 , 1 3 ,7 2,2 9,7 6,8

Mai o quasi mai

Qualche volta

Spesso

4 1 ,6 61 ,4

576

33,2 24,0

22,4 1 1 ,4

Page 579: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

132. La prego di indicarmi con quale frequenza Le capita di leggere i seguenti generi di notizie che si trovano sui quotidiani e periodici (versione B)

Molto Abbastanza Di rado Mai spesso spesso

Politica 9,1 22,2 39,4 27,7 Cronaca 25,0 48,3 19,0 6 , 1 Informazioni locali 26,1 43,3 22,1 6,9 N o tizie sportive 23,1 2 1 ,9 26,9 26, 1 Pagine culturali 13 , 1 39,4 33 ,7 1 1 ,9 Informazioni su spettacolo, tv, cinema . . . 2 1 ,2 43,3 25,3 8,3 Notizie economiche e finanziarie 9 ,1 18,4 35,5 35,4 Rubriche su salute e benessere 1 3 ,0 32,9 34,0 1 8,2 Rubriche sulla scienza 1 1 ,7 29,0 38,9 18,9 Servizi su viaggi e turismo 1 3 ,7 36,8 33 ,4 14 ,1 Altre rubriche e servizi vari 18,7 44,6 25,2 9,9

Base = 1 .500

133. All'incirca quante ore al giorno Lei segue a casa o fuori casa, i programmi della televisione o della radio o ascolta della musica?

Televisione Radio Musica

Mai o quasi mai 5 ,3 15,4 9,3 Meno di l ora 1 3 , 1 28,0 25,4 Da l a 2 ore 34,2 2 1 ,6 25,6 Da 2 a 3 ore 27,8 12,2 14,7 Da 3 a 4 ore 1 1 , 1 6,2 8,0 Da 4 a 5 ore 4 ,3 4,7 5 , 1 Più di 5 ore 2 ,9 9,9 9,9 Non indica 1 ,3 2 ,1 2,0

Base = 3 .000

577

Page 580: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

134. Le prego di indicarmi la frequenza con cui guarda ciascuno dei seguenti generi di programmi televisivi

Molto Abbastanza Di rado Mai spesso spesso

Telegiornali nazionali 45,7 36,8 13 ,0 3 ,3 Telegiornali regionali e locali 18,8 34,8 34,9 9,9 Trasmissioni e dibattiti politici 3 ,1 1 1 ,8 4 1 ,6 4 1 ,9 Trasmissioni sportive 16,8 25,4 27,2 29,0 Trasmissioni di scienza e natura 1 1 ,4 34,8 38,3 14,0 Trasmissioni di salute e benessere 4,9 2 1 ,2 44,9 27,0 Film 44,6 39,9 1 1 ,8 1 ,9 Telefilm e sit-com 27,9 29,4 24,8 16,4 Seria! e telenovele 9,4 12 ,4 22,2 53 ,8 Trasmissioni <<contenitore>> 4,7 1 3 ,9 35,5 44,2 Trasmissioni di musica moderna (video, concerti, . . . ) 14,9 32,7 32,7 18 ,0 Trasmissioni di musica classica o opere 1 ,2 3 ,9 28,2 64,5 Talk-show 7,8 24,6 38,0 28,1 Giochi e quiz 1 1 ,9 27,0 32,2 27,4 Cartoni animati 7,8 20,0 37,9 32,5 Trasmissioni di attualità 6,4 20,9 35,4 35,9 Trasmissioni di vita vissuta 5 , 1 14 , 1 3 1 ,3 48,0 Trasmissioni per giovani 9,6 26,3 33 ,7 28,7 Trasmissioni comico-satiriche 22,4 40,0 25,8 10,5

Base = 3.000

135. Indicativamente quanti dischi, cd, cassette ci sono a casa Sua? Dischi

Nessuno 38,8 Fino a 10 22,7 Tra 10 e 50 22,2 Più di 50 12,9 Non indica 3,5

Base = 3 .000

136. Frequenza di lettura di libri (non di studio) Numero medi di libri letti negli ultimi 6 mesi Percentuale di giovani che non hanno letto alcun libro durante gli ultimi 6 mesi

Base = 3 .000

578

Cd Audiocassette

10,0 3 ,4 2 1 ,0 12,7 44,0 43,8 23 ,6 38,2

1 ,4 1 ,9

3,35 libri

3 1 ,4 % di non lettori

Page 581: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

137. Di che genere erano i libri che ha letto negli ultimi 6 mesi: (versione B)

Letteratura cla�sica o contemporanea Avventura, gialli, fantascienza Saggistica Poesia Libri rosa Manuali e guide

Base = 1 .019

Sì No

46,9 52,8 26,5 17 ,2 7,9

23,7

44,7 38,7 63,2 69,7 78,6 65,4

138. Sono qui di seguito indicati alcuni esempi di nuove tecnologie dell'infor­mazione e di new media che oggi si possono utilizzare. La prego di indi­care se si tratta di una cosa che Lei ha fatto negli ultimi 3 mesi e con quale frequenza (versione B)

Quasi ogni l o 2 volte l o più Quasi mai in giorno la settimana volte al mese 3 mesi

Uso del computer 4 1, 1 15,7 9,5 32,2 Uso di Internet 2 1 ,7 16,4 10,9 48,9 Consultazione di Co-Rom 12,4 14,4 12,5 57,8 Gioco con videogame (non in sala giochi) 10,7 15,8 16,6 54,5 Utilizzo di un telefono cellulare 7 1 ,7 10,5 3 ,5 12,8 Invio e ricezione di mes-saggi scritti SMS dal tele-fono cellulare 51 ,3 17,9 6,3 23,1

Base = 1 .500

139. Negli ultimi tre mesi, con che frequenza Le è capitato di? (versione B)

Mai

Trascorrere un fine settimana fuori casa per vacanza 5 1 ,7 Fare un viaggio di almeno 4 giorni per stu-dio o lavoro 85,5 Andare fuori dal Suo comune percorrendo almeno 20 km per fare shopping 37,6 Andare fuori dal Suo comune percorrendo almeno 20 km per passare una sera/giorna-ta diversa 15,1 Andare fuori dal Suo comune percorrendo almeno 20 km per assistere a una manife­stazione legata ai miei interessi del tempo lib�o 5 1 �

Base = 1 .500

l o 2 volte

36,0

10,3

35,9

40,2

26,6

Più di 2 volte

1 1 , 1

2,7

25,4

43,2

20,6

Page 582: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

140. Negli ultimi 12 mesi dove si è recato per trascorrere almeno 4 giorni di vacanza? (versione B)

Nella stessa regione di residenza In un'altra regione del Nord Italia In un'altra regione del Centro Italia In un'altra regione del Sud Italia In un Paese europeo In un Paese extra-europeo Non ho fatto vacanze

Base = 1.500

Sì No

27,2 28,5 22,5 20,7 22,7

9,5 9,3

62,7 6 1 ,0 66,5 68,6 66,9 79,0 73,8

141 . Le mostrerò adesso un elenco di attività. La prego di dirmi se si tratta di una cosa che Lei ha fatto negli ultimi 3 mesi e con quale frequenza: ( ver­sione B)

Sono andato al cinema Sono andato ad un concerto di musica leggera o rock Sono andato ad un concerto di musica classica o lirica Sono andato a teatro Ho visitato un museo, una mostra d'arte Sono andato in biblioteca (per consultare o prendere libri in prestito) Ho ascoltato cassette/ cd di musica leggera-rock Ho ascoltato cassette/ cd di musica classica Ho suonato uno strumento musicale Ho ballato in un locale pub­blico/ discoteca Sono andato a vedere una manifestazione sportiva Ho partecipato ad un conve­gno o ad un dibattito cultu­rale Ho visitato un parco, un'area protetta Ho praticato un'attività spor­tiva/sono andato in palestra Ho partecipato a manifesta­zioni locali

l o più volte l o più volte 1 -2 volte Mai in la settimana al mese in 3 mesi in 3 mesi

10,4

1 , 1

0,5 0,9

0,9

9,2

68, 1

12,2

9,2

14,7

8, 1

1,5

3 , 1

36,4

5 ,0

580

33 ,7

6,3

1 ,3 4,6

7,2

12,3

15 ,1

8,3

4,7

27,5

14,8

7,5

10,3

13,5

20,0

32,3

14 ,8

4,2 14,3

26,7

13,7

6,4

10,7

4,2

20,7

16,9

15,0

20,5

8,3

3 1 ,9

22,5

76,4

92,7 78,5

63,4

61 ,5

8,5

67,4

80,4

35,2

58,5

74,4

63,7

40,1

4 1 ,5

Page 583: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

141 . (segue)

l o più volte l o più volte 1 -2 volte Mai in la settimana al mese in 3 mesi in 3 mesi

Ho frequentato corsi di dan-za, canto, musica 5 ,1 2,2 1 ,3 89,3 Ho frequentato corsi per il tempo libero 1 ,7 1,5 2,6 92,3 Ho praticato un hobby 1 1 ,3 1 1 ,8 8,8 65,5 Ho girato per negozi o cen-tri commerciali 3 1 ,1 42,0 18,2 6,6 Sono andato a bar/pub/pa-ninoteche/birreria 50,2 27,8 10,5 9,7 Sono andato in sala giochi 6,1 8,7 9,4 73,2 Sono stato a casa di amici/ ho invitato amici a casa mia 4 1 ,4 40,3 10,1 6,1 Sono andato in giro con amici 62,7 23,7 6,4 5,3 Sono stato al ristorante/piz-zeria 35,7 45,9 12,2 4,8

Base = 1 .500

142. Quali dei seguenti modi di essere sono diffusi fra gli insegnanti di oggi, nelle scuole che frequenta o ha frequentato?

L'incompetenza e l'impreparazione nella propria materia L'influenza politica ed ideologica sugli allievi L'eccessiva severità La tendenza a non considerare le esigenze ed il punto di vista degli studenti L'eccessiva accondiscendenza ed arrendevolezza di fronte alle. richieste degli studenti

Base = 3 .000

36,9 37,2 2 1 , 1

66, 1

24,1

No

6 1 ,0 60,7 76,8

32, 1

73,5

143. Negli ultimi anni si parla molto della valutazione del lavoro degli inse­gnanti. Secondo Lei:

Gli insegnanti conoscono il loro lavoro ed è inutile valutarli 6,2 Il lavoro degli insegnanti dovrebbe essere valutato dai colleghi della stessa scuola 5,6 Il lavoro degli insegnanti dovrebbe essere valutato dagli studenti e dalle loro famiglie 22,4 Il lavoro degli insegnanti dovrebbe essere valutato da un ente esterno 42,6 Non so 20,5 Non indica 2,7

Base = 3 .000

581

Page 584: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

144. Nella scuola media superiore dove studia/studiava erano presenti dei per­sonal computer destinati alla didattica?

Non sono/erano presenti Pc Sono/erano presenti pc e vengono/venivano utilizzati Non indica

Base = 3 .000

37,6 55,9

6,5

144a. E, in generale, i personal computer a scuola destinati alla didattica sono/ erano utilizzati?

Regolarmente Saltuariamente Mai o quasi mai Non indica

Base = 1 .87 1

28,4 35,6 26,0

9,9

145. A Suo parere l'introduzione e l'utilizzo nella scuola delle tecnologie e del­le attrezzature multimediali è:

Indispensabile Importante, ma non indispensabile Importante solo per alcune scuole Inutile Non so Non indica

Base = 3 .000

46,8 40,4

6,9 1 ,5 3 ,5 0,9

146. Qual è il Suo giudizio sul prowedimento che prevede che fra qualche anno tutti i giovani dovranno impegnarsi in un'attività di studio o forma­zione fino all'età di 18 anni?

Molto positivo Abbastanza positivo Né positivo né negativo Abbastanza negativo Molto negativo Non so Non indica

Base = 3 .000

582

4 1 ,2 34,5 1 1 ,8 4,9 1 ,9 4,8 0,9

Page 585: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

147 . Qual è l'importanza delle seguenti funzioni svolte dalla Scuola Secondaria Superiore? Può ordinarie dalla più importante alla meno importante?

l o 20 30 40 posizione posizione posizione posizione

Trasmettere conoscenze cui-turali (funzione conoscitiva) 39,3 3 1 ,2 18,8 8,1 Trasmettere competenze pro-fessionali (funzione pro/essio-naie) 32,5 25,9 22,3 16,6 Trasmettere la capacità di rap-portarsi con gli altri (funzione socializzante) 20,0 28,0 35,0 14,1 Trasmettere i valori della col-lettività (funzione politico-cui-tura/e) 6,0 12,7 2 1 ,6 55,9

Base = 3 .000

148. Lo Stato dovrebbe contribuire al costo dell'istruzione delle famiglie che decidono di far studiare i propri figli in scuole non statali?

Sì No Non so Non indica

Base = 3 .000

27,8 53,0 18,5

0,7

149a. Nella nostra società, chi fa le cose indicate in questo elenco viene critica­to o non viene criticato dalla maggioranza delle persone?

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare Fumare occasionalmente marijuana Divorziare Ubriacarsi Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente am­malati Prendere qualcosa in un negozio senza pagare Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Fare a botte con i tifosi di un'altra squadra Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Fumare tabacco Avere esperienze omosessuali Vivere insieme (convivere) senza essere sposati Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) Abortire (proprio o per la partner)

583

Criticata Non criticata

67,7 81 ,2 50,5 77,3

70,2 90,7 3 1 ,7 81 ,7 90,4 68,1 26,1 82,8 34,3 94,5 70,6

3 1 ,7 18,3 48,9 2 1 ,2

28,9 8,5

67,4 17,2 8,2

30,8 72,6 1 6,0 64,6

4,4 27,5

(segue)

Page 586: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

149a. (segue)

Avere una relazione con una persona sposata Produrre danni a beni pubblici (cabine telefoniche, panchine . . . ) Avere rapporti sessuali occasionali senza profi!attico Provare una volta ecstasy in discoteca Utilizzare materiale pirata (video, CD, programmi software) Guidare dopo aver assunto alcool Assumere farmaci per migliorare le proprie presta­zioni (lavorative, sportive . . . ) Avere rapporti sessuali a pagamento Guardare materiale pornografico (riviste, film, siti . . . ) Autorizzare la morte di un parente gravemente am· malato e senza speranze di guarigione Autorizzare l'utilizzo degli organi di un parente de­ceduto per trapianti Utilizzare metodi di inseminazione artificiale per ave­re figli Migliorare il proprio aspetto fisico attraverso la chi­rurgia estetica

Base = 2.819

Criticata

75,9

89,8 74,0 86,3

45,5 89,6

74,9 82,7 62,8

75,3

25,2

48,7

43,2

Non criticata

23,0

9,3 24,6 12,1

53,2 8,5

24,0 15,3 35,3

22,2

73,0

49,5

55,6

149b. Tra i Suoi amici, chi fa le cose indicate in questo elenco viene criticato o non viene criticato?

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare Fumare occasionalmente marijuana Divorziare Ubriacarsi Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente am­malati Prendere qualcosa in un negozio senza pagare Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Fare a botte con i tifosi di un'altra squadra Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Fumare tabacco Avere esperienze omosessuali Vivere insieme (convivere) senza essere sposati Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) Abortire (proprio o per la partner) Avere una relazione con una persona sposata Produrre danni a beni pubblici (cabine telefoniche, panchine . . . ) Avere rapporti sessuali occasionali senza profilattico

Criticata Non criticata

45,6 46,4 3 1 ,7 42,7

60,7 81 ,8 13 ,6 74,6 83,2 58,3 15,7 62,0 16,8 88,9 55,8 56,8

85,6 67,8

52,5 52,2 67,0 55,3

37,7 16,5 85,1 23,7 14,7 39,7 82,8 35,9 8 1 ,8

9,2 4 1 ,3 4 1 , 1

12,5 30,0

Page 587: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

149b. (segue)

Provare una volta ecstasy in discoteca Utilizzare materiale pirata (video, CD, programmi software) Guidare dopo aver assunto alcool Assumere farmaci per migliorare le proprie presta­zioni (lavorative, sportive . . . ) Avere rapporti sessuali a pagamento Guardare materiale pornografico (riviste, film, siti . . . ) Autorizzare la morte di un parente gravemente am­malato e senza speranze di guarigione Autorizzare l'utilizzo degli organi di un parente de­ceduto per trapianti Utilizzare metodi di inseminazione artificiale per ave­re figli Migliorare il proprio aspetto fisico attraverso la chi­rurgia estetica

Base = 2.794

Criticata Non criticata

72,7 25,1

18,9 79,3 75,3 22,4

72,7 25,4 77,0 20,1 40,9 56,7

55,3 4 1 ,4

16,2 81 , 1

33,0 64,4

4 1 ,0 57,1

150. Le cose di questo elenco, secondo Lei, sono ammissibili o non ammissibili? Ammissibile Non ammissibile

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare 39,7 59,8 Fumare occasionalmente marijuana 46,2 53 ,4 Divorziare 77,3 22,1 Ubriacarsi 63,3 35,4 Assentarsi dal lavoro quando non si è rea!-mente ammalati 33 ,2 66,3 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 8,3 90,8 Avere rapporti sessuali senza essere sposati 87,3 1 1 ,9 Fare a botte per far valere le proprie ragioni 17 , 1 82,4 Fare a botte con i tifosi di una squadra avver-sana 5,3 93,8 Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 26,1 72,9 Fumare tabacco 84,0 15,1 Avere esperienze omosessuali 46,8 52,2 Vivere insieme (convivere) senza essere sposati 86,8 12,5 Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) 6,8 92,7 Abortire (proprio o per la partner) 5 1 ,0 47,1 Avere una relazione con una persona sposata 47,8 50,9 Produrre danni a beni pubblici (telefoni pub-blici, panchine, treni ... ) 4,2 95,0 Avere rapporti sessuali occasionali senza pro-filattico 30,9 67,9 Provare una volta ecstasy in discoteca 16,4 82,5 Utilizzare materiale pirata (video, CD, pro-grammi software) 69,3 29,9

(segue)

Page 588: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

150. (segue)

Guidare dopo aver assunto alcool Assumere farmaci per migliorare le proprie prestazioni (lavorative, sportive . . . ) Avere rapporti sessuali a pagamento Guardare materiale pornografico (riviste, film, siri . . . ) Autorizzare la morte di un parente gravemen­te ammalato e senza speranze di guarigione Autorizzare l'utilizzo degli organi di un pa­rente deceduto per trapianti Utilizzare tecniche artificiali per avere figli Migliorare il proprio aspetto fisico attraverso la chirurgia estetica

Base = 2.783

Ammissibile

13 ,6

22,6 19,5

57,8

49,2

86,0 7 1 ,3

72,2

Non ammissibile

85,2

76,5 79,1

40,8

48,8

12 , 1 27,3

27,0

1 5 1 . Pensa che le cose di questo elenco potrebbero capitare anche a Lei?

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare Fumare occasionalmente marijuana Divorziare Ubriacarsi Assentarsi dal lavoro quando non si è real­mente ammalati Prendere qualcosa in un negozio senza pa ·

gare Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Fare a botte con i tifosi di una squadra av­versaria Dichiarare al fisco meno di quanto si gua­dagna Fumare tabacco Avere esperienze omosessuali Vivere insieme (convivere) senza essere spo­sati Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) Abortire (proprio o per la partner) Avere una relazione con una persona spo­sata Produrre danni a beni pubblici (telefoni pubblici, panchine, treni . . . ) Avere rapporti sessuali occasionali senza profilattico Provare una volta ecstasy in discoteca Utilizzare materiale pirata (video, CD, pro­grammi software)

42,9 25,2 3 1 ,6 47,9

26,7

7,4 74,4 15,2

4,8

16,6 56,0

3 , 1

54,7 2,4

15,3

20,8

3,2

18,3 6,7

63 ,1

No

41 , 1 62,6 22,7 33,6

50,9

85,0 14,1 70,1

89,4

62,0 34,7 89,9

25,1 93, 1 52,7

49,4

91 , 1

65,1 85,8

2 1 ,0

Non so

15,5 1 1 ,6 44,8 17,0

2 1 ,7

6,4 10,1 13 ,8

5,0

20,5 8,3 6,2

19,4 3,6

30,3

28,6

4,5

15 ,4 6,3

14,9

Page 589: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

151 . (segue)

Guidare dopo aver assunto alcool 15,6 Assumere farmaci per migliorare le proprie prestazioni (lavorative, sportive . . . ) 7,9 Avere rapporti sessuali a pagamento 4 ,3 Guardare materiale pornografico (riviste, film, siti . . . ) 32,7 Autorizzare la morte di un parente gravemen-te ammalato e senza speranze di guarigione 20,2 Autorizzare l'utilizzo degli organi di un pa-rente deceduto per trapianti 54,4 Utilizzare tecniche artificiali per avere figli 26,4 Migliorare il proprio aspetto fisico attraver-so la chirurgia estetica 19,4

Base = 2.770

152. Ha avuto rapporti sessuali completi?

Sì No Non voglio rispondere Non indica

Base = 3.000

153 . Età media primo rapporto sessuale completo

18,2 anni

Base = 1 .632

587

No

7 1 ,9

79,1 87,8

47,9

44,2

14,0 36,2

5 1 ,9

Non so

1 1 ,2

1 1 ,9 6,4

18,1

34,5

30,1 36,2

28,0

58,8 1 1 ,9 20,0

9,3

Page 590: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

6. Le mancate interviste: rifiuti ed irreperibilità dei sog­getti campionati (di Gianluca Argentin)

Con questo breve paragrafo si vogliono analizzare le mancate interviste dei soggetti campionati, al fine di indi­viduare le possibili fonti di distorsione dei dati della Quinta indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia.

Le tabelle che seguono riguardano i dati dei maggio­renni campionati, ovvero quei soggetti per i quali esisteva una lista di nominativi da intervistare estratta dalle liste elettorali (campione teorico)1 • Ricordiamo che le istruzio­ni fornite ai rilevatori per la gestione delle interviste pre­vedevano che venissero effettuati almeno tre tentativi di contatto prima di sostituire il nominativo campionato con uno di riserva avente le stesse caratteristiche campionarie.

La tabella l presenta gli esiti dei tentativi di intervi­sta, distinguendo le mancate risposte tra situazioni di ir­reperibilità e rifiuti espliciti. Come si può osservare, circa un contatto su due ha avuto esito positivo2•

Nella tabella 2, si sono volute approfondire le situazio­ni di irreperibilità: in ben un caso su due queste sono do­vute alla mancata corrispondenza tra il domicilio effettivo del soggetto e la sua registrazione nelle liste elettorali. Ne­gli altri casi, invece, è risultato impossibile contattare i sog­getti, pur avendone individuato correttamente il domicilio.

Nella tabella 3 , si sono riportati i motivi alla base del rifiuto dell'intervista dichiarati dai rispondenti: sono la mancanza di tempo ed il disinteresse le due principali ra­gioni addotte nel motivare la mancata disponibilità ad es­sere intervistati.

Dopo aver visto a grandi linee l'entità del fenomeno delle mancate risposte ed i motivi alla base di queste, è utile impiegare le altre informazioni sui soggetti a noi

l . Si ricorda che per i minorenni il campione è stato costruito contattando soggetti indicati dai maggiorenni intervistati secondo il criterio della prossimità geografica.

2 I risultati dei contatti della precedente indagine sulla condizione giovanile in Italia, condotta da IARD nel 1996, sono sostanzialmente in linea con questi: intervistati 50,9%, irreperibili 25,2% e rifiuti 23,9%.

588

Page 591: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. l. Esito dei tentativi di intervista (%)

Nominativi contattati ed intervistati Nominativi irreperibili Nominativi contattati che hanno rifiutato l'intervista

Base = 5.347

TAB. 2 . Cause di irreperibilità (%)

Sconosciuti all'indirizzo Assenti per viaggio/ studio/lavoro/leva Non trovati in casa dopo almeno tre contatti Infermità, decesso Altro

Base = 1 .238

T AB. 3 . Motivi alla base dei rifiuti (%)

Dichiara di non avere tempo Dichiara di non essere interessato all'intervista Dichiara di non fidarsi Disdice l'appuntamento Jopo averlo fissato Dichiara di avere problemi personali

Base = 1 .460

49,5 23,2 27,3

55,0 22,5 16,6

3 ,3 2,6

47,8 43,0

4,4 3 ,5 1 ,3

note per capire quali individui sono stati più difficili da raggiungere e da convincere ad essere intervistati. Le ta­belle 4, 5 e 6 riportano i risultati di una serie di incroci bivariatP .

Una prima piccola differenza che si riscontra è relati­va al comportamento di genere (tab . 4 ) : le ragazze rifiuta­no l'intervista più spesso. Sostanzialmente, comunque, le discordanze che si riscontrano tra maschi e femmine non sono importanti.

Differenze più cospicue si riscontrano relativamente

3 Si è osservato, attraverso più regressioni logistiche binomiali, che la forza dei legami relativi a questi incroci non muta in un model­lo multivariato. In sostanza, quindi, l'ottica bivariata è sufficiente per descrivere il fenomeno.

589

Page 592: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 4. Esito dei tentativi di intervista per genere (% di riga)

Maschi Femmine

Intervista

50,2 48,8

Irreperibilità

24,6 2 1 ,7

Rifiuto

25,2 29,5

Base

2. 675 2.672

T AB. 5. Esito dei tentativi di intervista per area geografica di reszdenza (o/o di riga)

Intervista Irreperibilità Rifiuto Base

Nord Ovest 4 1 ,9 24,5 3 3 ,6 1 .558 Nord Est 47,9 20,2 3 1 ,9 1 .004 Centro 49,6 24,4 26,0 997 Sud 56,6 22,8 20,6 1 . 2 1 7 Isole 58,0 23,3 18,7 571

T AB. 6. Esito dei tentativi di intervista per ampiezza del comune di residenza (% di riga)

Intervista Irreperibilità Rifiuto Base

Meno di 10.000 abitanti 48,0 22,7 29,3 1 . 787 Tra i 10.000 e i 50.000 abitanti 52,2 22,0 25,8 1 .648 Tra i 50.000 e i 100.000 abitanti 57,9 23,5 18,6 554 Tra i 100.000 e i 250.000 abitanti 60,2 18,5 2 1 ,3 314 Maggiore di 250.000 abitanti 40,9 26,6 32,5 1 .029

all 'area geografica di residenza. La lettura della prima co­lonna della tabella 5 mostra che, scendendo lungo la pe­nisola, cresce il tasso di successo dei contatti. Gran parte di questa differenza si spiega con il variare, per area geo­grafica, dei tassi di rifiuto mentre l'irreperibilità è presso­ché costante in tutto il territorio nazionale.

Un altro fattore di carattere geografico utile nello spiegare i tassi di sostituzione dei nominativi è l'ampiezza del comune di residenza del soggetto da intervistare. Come mostra la tabella 6, le difficoltà maggiori si sono registrate nelle città di grandi dimensioni, e, a seguire, nelle città con meno di 50.000 abitanti. Le grandi città presentano problemi sia relativamente all� reperibilità dei

590

Page 593: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 7. Esito dei tentativi di intervista per /asce d'età dei rispondenti (% di rzga)

Intervista Irreperibilità Rifiuto Base

1 8-20 anni 56,2 1 9,2 24,6 406 2 1 -24 anni 55,8 2 1 ,3 22,9 1 . 190 25-29 anni 5 1 ,2 23 ,3 25,4 1 . 718 30-34 anni 43,1 24,9 32,0 2.033

soggetti che ai rifiuti, mentre nei piccoli centri i soggetti si raggiungono, ma sono meno spesso disponibili ad esse­re intervistati. Nei centri di media dimensione (50-250 mila abitanti) il tasso di sostituzioni è nettamente inferio­re che altrove.

Un ultimo dato (tab. 7 ) di cui disponiamo per analiz­zare le mancate risposte all'intervista è quello relativo al­l' età dei soggetti. Anche in questo caso, l'effetto è piutto­sto netto: al crescere dell'età del soggetto campionato di­viene più difficile portare a termine con successo il tenta­tivo di intervista. In particolare, al crescere dell'età au­menta la difficoltà a reperire gli intervistati e, oltre i 30 anni, diviene anche più difficile convincerli ad accettare la proposta di intervista. È facile immaginare le ragioni alla base di queste due relazioni: il passaggio al mondo del lavoro, l'uscita dalla casa dei genitori e l 'assunzione di nuovi impegni familiari rendono meno reperibili ed anche meno disponibili i soggetti campionati (probabil­mente perché hanno meno tempo libero) .

In conclusione, le sostituzioni si sono rese necessarie proprio in corrispondenza dei fattori che, alla luce dei ri­sultati dell'indagine, rendono più probabile l'avvenuta uscita dei giovani dalla casa dei genitori: più spesso, in­fatti, si sono dovute sostituire le ragazze, i residenti nel Nor? Italia e le fasce più «anziane» del nostro campione.

E quindi probabile che si siano verificate lievi distor­sioni relativamente alla stima del processo di uscita dal nucleo della famiglia di origine. Nello specifico, è possi­bile che i nostri dati sottostimino la frequenza di giovani che sono già usciti dalla casa dei genitori.

591

Page 594: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7 . Confronto tra le distribuzioni di frequenza delle cinque indagini IARD sulla condizione giovanile in Italia

La periodicità delle rilevazioni conferisce alle indagini IARD una specificità ed una valenza scientifica, in quanto consente lo studio dell'evoluzione dei fenomeni legati alla condizione giovanile mediante il confronto longitudinale dei dati nell'arco temporale di quasi vent'anni.

Le tabelle riportate nelle pagine successive permettono quindi di avere a disposizione un'ampia documentazione per la consultazione diretta dei dati delle cinque indagini IARD sulla condizione giovanile in Italia e consentono un'im­mediata comparazione dei trend dei fenomeni studiati.

Per permettere una corretta lettura delle tabelle ecco alcune precisioni:

- i dati, espressi in percentuale, sono suddivisi in due classi di età ( 15-24 anni e 15-29 anni) e le tabelle sono organizzate in 20 aree tematiche;

- le domande riportate sono quelle effettivamente com­parabili tra loro sia per omogeneità di formulazione dei te­sti, sia per la comparabilità degli item di risposta previsti;

- la numerazione delle tabelle, sempre continua, è unicamente in ordine progressivo e non si riferisce alle domande dei questionari, la cui formulazione è riportata integralmente per completezza di esposizione;

- il dato «Base» indica il numero assoluto di giovani coinvolti in ciascuna domanda.

Il campione intervistato varia, come indicato nella ta­bella sotto riportata, a seconda dell'anno di rilevazione:

Anno di rilevazione Numero di casi

Indagine lARD 15-24enni 15-29enni

1983 4.000 -(questionario versione A: 2.000 questionario versione B: 2.000)

1987 2.000 -1992 1.718 2.500 1996 1.686 2.500 2000 1.429 2.297

(questionario versione A: 702 (questionario versione A: 1 . 145 questionario versione B: 727) questionario versione B: 1 . 152)

Page 595: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Particolare attenzione deve essere posta nel confronto tra i dati, che andrà sempre realizzato unicamente per la stessa classe di età. Quindi:

- per la classe di età 15-24 anni il confronto è possi­bile per tutte e cinque le indagini;

- mentre per la classe di età 15-29 anni il confronto è possibile solo per le ultime 3 indagini: 1992, 1996 e 2000 (le colonne riferite a queste rilevazioni hanno sfon­do grigio) . Le rilevazioni degli anni 1983 e 1987 hanno infat,ti coinvolto solo giovani 15-24enni.

E possibile rilevare qualche differenza tra le percen­tuali riportate qui in appendice - dove sono presenti le non risposte - e quelle contenute nei testi dei capitoli dove in alcuni casi si è preferito escluderle dall'analisi.

Per una maggiore leggibilità dei risultati, le tabelle sono state organizzate in 20 aree tematiche corrisponden­ti ai seguenti paragrafi:

7 . 1 Dati di base 7 .2 La transizione verso lo stato adulto 7.3 I valori, il rischio e la percezione del fu-

turo 7.4 La soddisfazione personale 7.5 L'istruzione e la scuola 7 .6 La transizione scuola-lavoro 7 . 7 La ricerca e le opinioni sul lavoro 7 .8 L'occupazione 7 . 9 Reti familiari 7 . l O Ruoli di genere ed immagini della vita

di coppia 7 . 1 1 L'atteggiamento verso la politica 7 . 12 La fiducia nelle istituzioni e gli ideali

di giustizia sociale 7 . 13 La percezione delle norme sociali e la

devianza 7 . 14 L'appartenenza territoriale 7 . 15 Il pregiudizio etnico 7 . 16 L'appartenenza religiosa 7 . 17 I consumi culturali 7 . 18 Sport e tempo libero 7 . 19 L'associazionismo 7.20 L'uso delle droghe

p. 594 595

598 602 604 61 1 612 616 625

627 629

632

634 64 1 643 644 646 65 1 653 654

Page 596: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.1.

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7

Page 597: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.2.

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Page 599: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 600: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.3.

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297

Page 603: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

5. P

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Page 604: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 606: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7 .5.

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Page 609: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 610: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 613: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 614: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 615: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 616: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

23.

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Page 617: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

24. S

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Page 618: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.8.

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Page 620: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 621: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 622: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 623: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 624: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

34.

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Page 625: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

36.

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Page 626: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

38.

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Page 630: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 632: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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,9

44,1

l

43,9

1.35

3 2.

164

Page 638: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

50. L

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nco,

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19

83

1987

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92

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L -

l -

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Page 639: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

50.

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19

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2.

135'

Page 640: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

51.

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per f

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e pro

prie

ragion

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re a

botte

con

i tifo

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nto

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ghe p

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l -

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Page 641: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

51. A

Lei

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1983

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1992

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4 an

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di

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assu

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l As

sume

re fa

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migl

iorare

le p

ropr

ie pr

e­sta

zioni

(lavo

rative

, spo

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... )

Aver

e rap

porti

sessu

ali a

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ment

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mate

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torizz

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pare

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grav

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enza

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ione

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apian

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ilizza

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inazio

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iale

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vere

figli

M

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aspett

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332

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54,7

85,0

64,3

Page 642: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

52.

Qua

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83

1987

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15-2

4 an

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Page 643: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.1

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Page 644: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

54.

Lei

si s

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686

Page 645: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.15

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297

Page 646: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.16

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Page 647: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

58.

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Page 648: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7.17

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7

Page 649: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

60.

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297

Page 650: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

61. L

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Page 651: Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

62.

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