testimonianze epigrafiche dai mari della sicilia

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167 Due aspetti contrastanti, la contiguità di scali sicuri e di pericoli a fior d’ac- qua, hanno reso i fondali marini siciliani uno scrigno di ricchezze archeologiche. Il Mediterraneo infatti ha favorito sin dalla preistoria la navigazione militare e com- merciale con un’attività che ha lasciato un notevole accumulo di resti sul fondali, che spaziano tra varie tipologie ed epoche. Il presente lavoro vuole rappresentare una rassegna dei rinvenimenti subacquei effettuati durante i primi dieci anni di attività della Soprintendenza del Mare della Sicilia riguardanti materiali iscritti di diverse classi, editi ed inediti, per fornire un utile aggiornamento sull’instrumentum inscriptum provenienti dai fondali siciliani, sia come oggetto di scavo sistematico, che ritrovamento fortuito consegnato alle autorità da consapevoli dilettanti. I reperti esaminati sono in maggioranza bolli presenti su anfore da trasporto, ma non mancano evidenze epigrafiche su lucerne, lingotti plumbei, ancore e rostri navali; di tali rinvenimenti si cercherà di offrire un quadro cronologico di rapporti di scambio commerciale nel Mediterraneo, nonché uno spaccato particolare su ben noti episodi di guerra. IL CANALE DI SICILIA Come spesso accade, la maggior parte dei rinvenimenti subacquei non proviene da ricerche e scavi programmati, bensì da recuperi fortuiti e segnalazioni di pescato- ri e subacquei sportivi. Appunto questo è il caso dei reperti provenienti da recuperi casuali effettuati dei motopescherecci di Mazara del Vallo (TP), durante battute di pesca che li hanno condotti presso il Banco Skerki, nel Canale di Sicilia (tav. 1, 1). Infatti, con fatica, tempo e mezzi sottratti al lavoro della pesca essi hanno recupe- rato numerosi reperti, consegnandoli spontaneamente insieme alle coordinate dei rinvenimenti, permettendoci così di avviare una riflessione sulle rotte e sui luoghi di naufragio. Al centro del Mediterraneo, sulla rotta tra Roma e Cartagine, si estende per nume- rose miglia una lunga dorsale subacquea, localizzata a 60 miglia SW da Marettimo, tra la Sicilia e la Tunisia. Il Canale di Sicilia raggiunge notevoli profondità, ma il Banco Skerki presenta vaste zone le cui sommità non superano i 10/15 metri. Una delle som- mità, lo scoglio Keith, raggiunge appena i 30 cm di profondità. Tale situazione riguardo i fondali ha certamente tratto in inganno nelle epoche più antiche non pochi naviganti, provocando naufragi e perdite di vite umane. Francesca Oliveri TESTIMONIANZE EPIGRAFICHE DAI MARI DELLA SICILIA 11 II BOZZA 20 gennaio 2016

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Due aspetti contrastanti, la contiguità di scali sicuri e di pericoli a fior d’ac-qua, hanno reso i fondali marini siciliani uno scrigno di ricchezze archeologiche. Il Mediterraneo infatti ha favorito sin dalla preistoria la navigazione militare e com-merciale con un’attività che ha lasciato un notevole accumulo di resti sul fondali, che spaziano tra varie tipologie ed epoche.

Il presente lavoro vuole rappresentare una rassegna dei rinvenimenti subacquei effettuati durante i primi dieci anni di attività della Soprintendenza del Mare della Sicilia riguardanti materiali iscritti di diverse classi, editi ed inediti, per fornire un utile aggiornamento sull’instrumentum inscriptum provenienti dai fondali siciliani, sia come oggetto di scavo sistematico, che ritrovamento fortuito consegnato alle autorità da consapevoli dilettanti.

I reperti esaminati sono in maggioranza bolli presenti su anfore da trasporto, ma non mancano evidenze epigrafiche su lucerne, lingotti plumbei, ancore e rostri navali; di tali rinvenimenti si cercherà di offrire un quadro cronologico di rapporti di scambio commerciale nel Mediterraneo, nonché uno spaccato particolare su ben noti episodi di guerra.

Il Canale dI SICIlIa

Come spesso accade, la maggior parte dei rinvenimenti subacquei non proviene da ricerche e scavi programmati, bensì da recuperi fortuiti e segnalazioni di pescato-ri e subacquei sportivi. Appunto questo è il caso dei reperti provenienti da recuperi casuali effettuati dei motopescherecci di Mazara del Vallo (TP), durante battute di pesca che li hanno condotti presso il Banco Skerki, nel Canale di Sicilia (tav. 1, 1). Infatti, con fatica, tempo e mezzi sottratti al lavoro della pesca essi hanno recupe-rato numerosi reperti, consegnandoli spontaneamente insieme alle coordinate dei rinvenimenti, permettendoci così di avviare una riflessione sulle rotte e sui luoghi di naufragio.

Al centro del Mediterraneo, sulla rotta tra Roma e Cartagine, si estende per nume-rose miglia una lunga dorsale subacquea, localizzata a 60 miglia SW da Marettimo, tra la Sicilia e la Tunisia. Il Canale di Sicilia raggiunge notevoli profondità, ma il Banco Skerki presenta vaste zone le cui sommità non superano i 10/15 metri. Una delle som-mità, lo scoglio Keith, raggiunge appena i 30 cm di profondità. Tale situazione riguardo i fondali ha certamente tratto in inganno nelle epoche più antiche non pochi naviganti, provocando naufragi e perdite di vite umane.

Francesca Oliveri

TeSTIMonIAnze ePIgRAfIChe DAI MARI DellA SICIlIA

11 II BozzA 20 gennaio 2016

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le esplorazioni dei fondali del Mediterraneo intraprese, sia pure in maniera opi-nabile, in un passato recente (1988-1997) dall’esploratore oceanico Ballard 1 con il sommergibile nucleare della marina statunitense NR-1, dotato delle più sofisticate tec-nologie di rilevamento in alto fondale, proprio nel Banco Skerki hanno rappresentato il primo sforzo interdisciplinare di esplorazione in alto fondale, per determinare l’im-portanza del mare profondo nel campo dell’archeologia, che ha portato alla scoperta di una grande concentrazione di navi antiche: otto navi che si trovavano in un’area di 210 km2, di cui cinque di epoca romana che abbracciano un periodo di tempo dal 100 a.C. al 400 d.C., che documentano l’esistenza di un’importante rotta commerciale nel centro del Mediterraneo tra Cartagine, Roma, la Sicilia e la Sardegna 2.

Tra le anfore prese in considerazione per questo studio, un’anfora Africana 2d ha restituito un bollo impresso tra il collo e la spalla a lettere ben incise: An. leP (h. lett. 1, 5; An e Lep sono separati da un piccolo punto quadrato) (tav. 1, 2). Una possibile lettura può essere AnneVS lePTIMInVS, cioè della città di Leptiminus in Tunisia, testimonianza del fenomeno dell’immigrazione di gentes italiche nell’importante pro-vincia romana d’Africa.

Il gentilizio Anneius è attestato in Italia a firenze, Spoleto, Vetulonia e Chiusi 3; nella penisola italica è particolarmente documentato in Campania.

Ad Uchi Maius in un epitaffio dedicato ad Anneia, databile con ogni probabilità al II sec. d.C., la defunta porta un nomen variamente presente in Africa attraverso numerosi documenti epigrafici ed è da considerare una delle varianti del nomen latino Annaeus. Una ricerca sugli Anneii, Annaeii, del periodo repubblicano condotta da M. Bonello lai ha portato ai seguenti risultati: un P. Annaeus Q. l. Epicadus è noto a Narona (CIL I, 2291; ILLRP 206) ; C. Anneius C. l. Pal. Quinctio è menzionato in un documento (ILLRP 952, Roma) in cui si ricorda anche M. Annius M. l. Hilarus: il nomen Annius è ben documentato in età repubblicana; il primo personaggio noto con tale nomen è di Setia e fu pretore della lega latina nel 340 a.C. 4; un T. Annaeus Sex. F. Trhaso IIvir quinquennalis della colonia civium Romanorum dedotta nel 194 5, come risulta da un documento rinvenuto non lontano da Crotone (ILLRP 575) datato dal Degrassi nell’ultimo secolo della repubblica. Varianti del nomen possono essere considerati due nomina, Annaius ed Annaus, relativi rispettivamente a Q. Annaius Q. l. Torravius, di nauporto (ILLRP 34) attribuito alla fine dell’età repubblicana e M. Annaus Q. f. IIIvir i.d. quinquennalis, in un’iscrizione di Aquileia (ILLRP 538), databile nell’ultimo perio-do repubblicano. Sempre per l’epoca repubblicana conosciamo C. Annaeus C. f. Cru (stumina tribu) Brocchus, edile nel 73 a.C. ca. 6, che emilio gabba riteneva siciliano. Il nomen si diffuse un po’ dappertutto, anche nelle province; nella penisola italica è

1 Ballard 2006.2 MC Cann 1994.3 laSSère 1977, p. 134.4 Cfr. liv. VIII, 3, 4-6, 7.5 liv. XXXIV, 45, 3.6 Cic. Ver., II, 3, 40, 93, etc.

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Tav. 1. 1. Canale di Sicilia: il Banco Skerki; 2. Anfora Africana 2D con bollo An leP; 3. Anfora Africana 2D con bollo lePMI/DoMf; 4. Anfora Africana 2D con bollo foRTI/lePTI; 5. Anfora Africana 2D con bollo ClCV.

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particolarmente documentato in Campania 7. In Africa si può annoverare tra i genti-lizi apportati con l’immigrazione campana presso gli etruschi della Catada (vallata dell’odierno oued Miliane) e, più tardi, nella confederazione Cirtense.

Un’altra possibilità interpretativa è data dal gentilizio Aninius che si ritrova in un bollo proveniente dall’area della Sicilia occidentale 8. Il cognomen LEP offre la possi-bilità di scioglimento come Lep (idus) oppure, in qualità di cognomen di origine etnico-geografica (ed è questa la lettura adottata), potrebbe fare direttamente riferimento alla città di Leptiminus in Tunisia.

l’importanza dell’immigrazione di gentes italiche in Africa, testimoniata dai gentilizi di origine italica, che costituiscono la quasi totalità del patrimonio onomasti-co delle città africane, sono segno della ben salda presenza di Roma in una delle più importanti province dell’impero.

Il supporto epigrafico è una Africana II, un tipo di anfora prodotta in Byzacena (odierna Tunisia Centrale) dal II al IV secolo d.C.; la diffusione di questo tipo di anfora fu molto ampia in tutto il Mediterraneo occidentale 9, anche perché si tratta di forme particolarmente economiche: le dimensioni erano slanciate e capienti e la sottigliezza delle pareti rendeva il peso a vuoto modesto rispetto alla capienza.

Sullo stesso tipo di contenitore si è trovato anche il bollo su due registri lePMI / DoMf (tav. 1, 3): anch’esso riferibile alla colonia Lep (ti)mi (nus), con il cognomen del fabbricante e il verbo fecit: dom (esticus) f (ecit).

Il terzo bollo foRT / lePTI (tav. 1, 4) offre come lettura possibile il riferimen-to al produttore Fort (unatus), sempre della colonia Lepti (minus). È noto un altro Fortunatus (Fanius Fortunatus) da Hadrumetum attraverso diversi bolli su anfore africane 10, diffuse nei centri urbani e costieri della Sardegna.

Il quarto bollo ClCV (tav. 1, 5) non trova confronti diretti al momento: la prima parte del bollo: Cl si riferisce alla C (olonia) L (eptiminus), mentre appare possibile che CV sia riferibile al nome dell’ officina. l’unico confronto possibile al momento è per analogia con il bollo ClST, che presenta la medesima struttura: C (olonia) L (epti-minus) S(… ) T(… ), già noto a Volubilis 11, su anfore del tipo Keay V 12.

Il relItto dI MarauSa

nei pressi della costa meridionale trapanese, vicino Birgi è stato rinvenuto nel 2000 e successivamente scavato il relitto di una nave databile tra il II e il IV secolo d.C., che probabilmente proveniva dalla Bizacena, con un carico di anfore di produ-

7 laSSere 1977, p. 170.8 deSy 1989, p. 214, n. 1252.9 torreS CoSta 2007, pp. 306-307; BonIfay 2004, pp. 467-468, fig. 264.10 ZuCCa 1995, pp. 91-92.11 Bernal CaSaSola 1997, p. 1200.12 tChernIa, ZevI 1969, pp. 173-214.

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zione romana dell’Africa settentrionale e in particolare dell’odierna Tunisia centrale (Byzacena) (Africane IId, Keay tipi 3/6/7 e 25; ostia III-IV; ostia IV) 13. l’apparato epigrafico del relitto è rappresentato da bolli e graffiti riproducenti il segno di Tanit, il caduceo, il crescente lunare, il sole, le rosette, che ci riportano appunto all’ambiente nordafricano di forte tradizione punico-cartaginese.

Si distingue tra essi un bollo su anfora gauloise 4 (tav. 2, 1): QCe, di cui al momento sono noti solo due confronti. Come altri della sua serie, il bollo compare sulla parte inferiore del corpo, vicino al fondo dell’anfora; i due confronti noti provengono il primo da Roma, in via Baccina 14, su un supporto di identificazione incerta, forse una Dressel; l’altro è stato rinvenuto nel corso dello scavo della villa gallo-romana di Pardigon 3 (Cavalaire, francia) 15. Il marchio può essere messo in relazione con il bollo QCA, che presenta evidenti analogie formali. entrambi i bolli potrebbero riferirsi a membri della stessa famiglia (forse padre e figlio, che condividono prae-nomen e nomen) e che forse hanno prodotto anfore in una proprietà vitivinicola della narbonense. I confronti per QCA sono sei, anch’essi su anfora gauloise, di cui quattro provenienti dal golfo di fos, francia 16, e due da frejus 17. la presenza dell’anfora gallica a Marausa, con materiali più tardi, porterebbe la datazione non oltre il III secolo d.C., ma non si possono escludere una contaminazione del sito con reperti di un altro relitto, perito nella stessa zona, né ulteriori considerazioni sulla datazione stessa del tipo di anfora.

PantellerIa (tP), relItto dI SCaurI

Quasi al centro dell’imboccatura del porto di Scauri, a Pantelleria, su un fondale sabbioso compreso tra m 6 e 10 di profondità è stato rinvenuto il relitto di una nave affondata intorno alla metà del V secolo d.C. I reperti recuperati consistono nella quasi totalità in contenitori della ben nota produzione detta “Pantellerian Ware”, anfore del tipo “late Roman” 2 ed Africane grandi.

In epoca tardoantica l’isola predilige il sistema di fattorie di piccole e medie dimensioni 18; tra il IV e VII sec. il centro di maggiore rilevanza diventa l’approdo di Scauri, importante centro di produzione e circolazione della particolarissima cera-mica nota come “Pantellerian Ware”. È in questo contesto che si inserisce il reperto in esame, una lucerna recante il bollo su due registri PVllA/enoRV (tav. 2, 2), Pullaenoru(m), relativo alla fabbrica africana della nota famiglia dei Pullaeni, che aveva sede in Uchi Maius e fu attiva dalla tarda età antonina fino all’età Severiana 19.

13 tuSa 2005; tuSa 2010.14 CIL XV, 3415; Callender 1965, n.1429a.15 Brun et alii 1988, p. 55, n. 1616 aMar, lIou 1984, 101 a, tav. 7.17 BrenChaloff 1978, n. 19, p. 98, figg. 24-26.18 GreCo 2007, p. 220.19 BaIley 1988, p. 99.

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Tav. 2. 1. Palermo, Soprintendenza del Mare, Relitto di Marausa (TP): Anfora gauloise 4 con bollo QCe; 2. Palermo, Soprintendenza del Mare, Relitto di Scauri, Pantelleria (TP): fr. di lucerna con bollo PVllA/enoRV; 3. levanzo, Relitto di Cala Minnola. Anfora Dressel 1B con bollo PAPIA.

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l’“atelier” dei Pullaeni è il solo della Tunisia settentrionale di cui conosciamo il nome dei proprietari, che appare su un considerevole numero di lucerne africane diffuse in tutto il Mediterraneo occidentale. localizzato nella regione di Thugga, a 3 km da Uchi Maius, se ne conobbe l’esistenza per merito della scoperta di un’iscrizione da parte di louis Carton alla fine del XIX secolo 20. Qualche studioso avanza l’ipotesi che la famiglia potrebbe trovare il suo capostipite in un Pullaenus, artigiano dell’officina degli Aelii 21, che trasferitosi in Africa avrebbe intrapreso in proprio la produzione di lucerne.

le terre d’Africa assegnate alla gens Pullaena erano adatte alla coltivazione dell’ulivo e quindi alla produzione dell’olio 22; i Pulliaeni, con ogni probabilità, erano produttori ed esportatori, a spiegazione della presenza della gens in zone interessate da attività commerciali. Infatti i Pulliaeni di Uchi Maius possono essere ritenuti gli stessi menzionati su numerose lucerne rinvenute in diverse province d’Africa e Sardegna Il bollo infatti, ampiamente attestato in nord Africa attraverso diverse varianti 23, risul-ta poco diffuso in Sicilia 24, mentre attestato a olbia in questa forma o in quella di Pullaeni risulta ampiamente diffuso anche nel resto della Sardegna 25. Resta comunque comprovata l’influenza africana, anche attraverso il sistema di relazioni commerciali di cui fanno parte i Pullaeni, sui mercati della Sicilia e il continuo crocevia marino che il flusso di merci alimenta 26.

ISole eGadI (tP)

Il Relitto di Cala Minnola

Il sito di Cala Minnola, sul versante orientale dell’isola di levanzo, nelle isole egadi, ha restituito un relitto romano ad una profondità di 30 metri con un carico di anfore vinarie del tipo Dressel 1B, di cui un centinaio ancora sul fondale e muse-alizzate in situ e monitorate dal 2006 mediante un sistema di telecontrollo 27 (tav. 3, 1).

Su un’anfora compare un bollo in cui è possibile leggere il nome PAPIA (tav. 2, 3). Appare molto probabile che tale bollo si riferisca ad un’influente famiglia romana di produttori agricoli, esportatori di vino nel Mediterraneo, originari del Sannio setten-trionale, nella zona che poi sarebbe stata attribuita al municipio di Aufidena 28.

20 CIL VIII, 26.415; Carton 1895, pp. 177-191.21 GuarduCCI 1982, p. 130.22 Bonello laI 1997, pp. 246-247.23 CIL VIII, 2240, 22.644, 281.24 CIL X, 8035, 168; 8053, 168b.25 taMPonI 1886, p.78.26 WIlSon 1990, pp. 237-259; WIlSon 1977-81, p. 107 (60-123).27 tuSa 2005; tuSa 2010.28 ManaCorda 1994, pp. 3-59.

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Interessante è la possibilità che il bollo sia pertinente ad un’esponente femminile di tale famiglia di imprenditori: Papia Tertia, vissuta proprio intorno alla metà del I secolo a.C. e di cui è noto il monumento sepolcrale con l’iscrizione che riporta il suo nome e quelli incompleti del marito e del figlio 29.

Isole Egadi: contesto della Battaglia delle Egadi

Dal 2006 la Soprintendenza del Mare in collaborazione con la statunitense RPM nautical foundation e con l’ausilio della nave oceanografica R/V hercules ha intra-preso una annuale e sistematica ricerca nelle acque prospicienti le isole di levanzo, favignana e Marettimo (tav. 3, 2), nell’arcipelago delle egadi. Il progetto, che ha come scopo principale quello di effettuare ricognizioni dei fondali dell’arcipelago trapanese alla ricerca delle testimonianze archeologiche riconducibili alla battaglia delle egadi del 10 marzo del 241 a.C., fra la flotta cartaginese guidata da Annone e quella romana guidata da lutazio Catulo, con l’ausilio delle telecamere e dei bracci meccanici del RoV, ma anche con l’intervento dei sommozzatori altofondalisti e delle forze dell’or-dine che operano in mare. l’obiettivo della ricerca è stato ormai confermato dalla concentrazione nel sito, a 80 m di profondità, di rostri navali bronzei.

Su un totale di 308 anfore rilevate e mappate in seguito al “survey” aggiornato al 2013 (con qualche anfora recuperata per campionature ed analisi), 278 sono greco-ita-liche del tipo MgS V-VI e soltanto 33 puniche del tipo cosiddetto “ovoide maltese”.

Tra le greco italiche, due anfore hanno restituito un bollo ed un graffito con lettere puniche, elementi che permettono di ipotizzare un uso indiscriminato di tali contenitori per il trasporto delle derrate da Cartagine alla base trapanese. Si tratta delle poche, forse uniche, testimonianze di lettere fenicio-puniche su anfore greco-italiche. Infatti i confronti possibili per la lettura sono stati rinvenuti nell’ambito dei materiali fenicio-punici.

Delle anfore greco italiche del tipo MgS VI, recuperate nel corso della campagna egadi 2011, una presenta due lettere puniche realizzate a graffito conservato integro sulla superficie della spalla (tav. 3, 3a): la lettura risulta incerta, potrebbe trattarsi di una dalet o di una resh, insieme ad un segno cruciforme. Il motivo cruciforme risulta attestato come bollo a Cartagine; ad Ampurias su di un’anfora del tipo Ramon 5.2.3.1 30; inoltre è presente su un bollo del Museo Pepoli di Trapani 31; tutti esemplari databili dalla fine del IV al II secolo a.C.

Su di un’altra anfora dello stesso tipo compare in cartiglio rettangolare sull’ansa il grafema bet (tav. 3, 3b), che è possibile riscontrare su altri bolli, benché non come lettera singola. Ramon considera i bolli con cui è possibile accostarlo caratteristici di

29 CIL IX, 2771.30 raMón torreS 1995, pp. 123, 250, fig. 594.31 PoMa 2009.

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Tav. 3. 1. levanzo, Isole egadi (TP), Relitto di Cala Minnola; 2. Isole egadi (TP), area dei rinvenimenti effettuati dall’egadi Survey Project; 3a.-b. Palermo, Soprintendenza del Mare: sito della Battaglia delle egadi: Anfore greco italica con graffito punico e bollo punico.

1.

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2.

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officine nordafricane 32, ma naturalmente il suo riferimento è inteso solo per conteni-tori di tipologia punica. Dunque, possiamo dire che al momento i nostri due esemplari non trovano confronti.

Recenti studi su graffiti punici da Cartagine hanno voluto sottolineare l’importan-za di queste testimonianze “ermetiche” su anfore, non solo come parte di un processo di produzione e commercializzazione di prodotti, ma come indice del tasso di alfabe-tizzazione diffuso nel mondo punico 33, che sembra attestarsi sul 5% per la popolazione maschile e ad un livello inferiore per quella femminile 34.

Il relItto dI Porto Palo dI MenfI (aG)

A poche decine di metri dalla costa, a ovest di Porto Palo di Menfi, piccolo comu-ne della provincia di Agrigento, su un fondale misto sabbioso e roccioso, sono state rin-venute a partire dal 1997 le tracce del relitto di un’imbarcazione operante nella Sicilia romana tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. (tav. 4, 1) per espletare commerci di piccolo cabotaggio lungo le coste dell’isola o al massimo tra Sicilia e Africa, con scalo a Pantelleria o lampedusa 35. l’eterogeneità del carico anforaceo (anfore del tipo Dressel 1A e puniche del tipo Ramon 7.5.1.1 e 7.5.2.2, delle quali una con un piccolo bollo sulla spalla costituito da un tralcio vegetale e tre appendici laterali) e il riutilizzo di anfore vinarie per altri scopi indicherebbero l’appartenenza dell’imbarcazione a un ambiente rivierasco siculo-nordafricano e a un armatore di limitate possibilità eco-nomiche. le anfore sono rimaste sul fondo protette da uno spesso strato di posidonia concrezionata nella loro posizione di giacitura primaria.

Alcune delle anfore Dressel contenevano resti di pesce (tonno, palomito), forse riconducibili al trasporto di allec, una salsa di pesce meno pregiata del garum; mentre in alcune anfore puniche sono state rinvenute tritumi di murice (sottoprodotto della lavorazione della porpora), utilizzati forse per la preparazione di intonaci.

Su tre anfore puniche compaiono dei bolli a cartiglio circolare purtroppo illeggi-bili, tranne uno nel quale si riesce a decifrare con qualche difficoltà un caduceo centrale affiancato da un’ain e una pe (tav. 4, 2). la lettura risulta comunque compromessa dallo stato di conservazione, ma il caduceo è documentato come bollo anche a S. Paolo Milqi 36 (III-II secolo a.C.) e su un bollo proveniente da erice conservato presso il Museo Pepoli di Trapani 37. Tutti i bolli con caduceo sono stati ricondotti a produzione cartaginese o più genericamente nordafricana 38.

32 raMón torreS 1995.33 SChMItZ 2009.34 harrIS 1989, p. 11435 tuSa 2005; tuSa 2010.36 GarBInI 1967, p. 117, tav. lXXIV, 3; raMón torreS 1995, pp. 123, 250, fig. 594.37 PoMa 2009, p. 423, 12.38 raMón torreS 1995, pp. 123, 250, fig. 627.

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Tav. 4. 1. Relitto di Porto Palo di Menfi (Ag); 2. Menfi (Ag), Biblioteca Comunale, Relitto di Porto Palo di Menfi: frammento di anfora punica bollata; 3a.-b. Isole eolie (Me): Relitto Panarea 3 e base di louterion con iscrizione.

1.

3a.

3b.

2.

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ISole eolIe (Me): relItto dI Panarea 3

nel mese di settembre 2014 è stata condotta dalla Soprintendenza del Mare una campagna di ricognizioni archeologiche in alto fondale nelle acque di delle isole eolie, con la collaborazione della global Underwater explorers effettuando operazioni di rilievo e recupero sul relitto Panarea 3 (tav. 4, 3a).

esplorando approfonditamente le aree circostanti il relitto vero e proprio, di cui ancora è ben conservata una porzione lignea della chiglia, che si trova a circa 120 metri di profondità, si è notato che la maggior parte del carico (al momento in corso di studio) è costituito da anfore del tipo greco-italico, databili al IV-III secolo a.C., insieme ad una consistente parte di anfore puniche, posizionate ad una estremità del carico, che si ipotizza essere la parte prodiera. In questa parte è stato rinvenuto anche un louterion in due frammenti contigui, con la base modanata recante un’iscrizione in greco costituita da tre lettere. Il resto dell’oggetto è costituito da una bassa colonna cilindrica liscia e da un bacino di grandi dimensioni, con orlo estroflesso decorato con banda di onde a rilievo 39 (tav. 5, 1).

Il bollo, costituito dalle lettere sigma, a segmenti ben allargati, tau ed epsilon, tutte ben incise (tav. 4, 3b), potrebbe essere l’abbreviazione di un nome o gentilizio osco.

Una versione simile con alfa finale compare su tegola di copertura di tomba della necropoli di San Montano, Ischia, datata al IV secolo a.C. 40; ipotizzando che l’abbreviazione sia da collegare al nome di una gens, essa potrebbe essere in relazione con gli Stenii 41, noti a Benevento nello stesso periodo, attraverso l’ampia messe di epigrafi che testimoniamo gentilizi di origine osca 42. Per non limitare le ipotesi di lettura, si nota che a Capua e in molte zone del Sud Italia sono documentati gli Statii, forse lucani, mentre la gens Staia è una delle più eminenti del Sannio agli inizi del III secolo a.C. Appare probabile dunque che il louterion di bordo fosse di proprietà di una famiglia di imprenditori di origine osca, che intrattenevano relazioni commerciali con la Sicilia e l’Africa.

l’aPParato ePIGrafICo Su SuPPorto MetallICo

Concludiamo questa rassegna epigrafica siciliana con una piccola sezione dedicata alle testimonianze che compaiono su supporti metallici, ulteriori esempi di “petite épi-graphie”, quell’epigrafia strumentale che esprime di frequente attraverso l’essenzialità informativa il suo diretto legame con le fasi produttive e il mondo socio-economico.

39 Per i louteria ritrovati a bordo di relitti, cfr. KaPItän 1979, pp. 114-115.40 olCeSe 2010, p. 147.41 torellI 2002, p. 77.42 ConWay 1897, I, pp. 175 e ss; lejeune 1976, pp. 107 e ss.

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Tav. 5. 1. Relitto di Panarea 3, louterion fittile con base iscritta; 2. Antiquarium di favignana, Ancora plumbea iscrizione eYPloIA; 3. Soprintendenza del Mare, Palermo: lingotto con bollo con CnATellICnlBVIo da Capo Passero (SR); 4. Soprintendenza del Mare, Palermo: lingotto con bollo M. oCT.M.l.PAP Il da Capo Passero (SR); 5. Soprintendenza del Mare, Palermo: lingotto con bollo MPlAnII RV.SSIn da Capo Passero (SR).

1.

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Marettimo (TP), Cala Tonda: l’ancora eUPloIA

nell’ambito del servizio di monitoraggio dei siti marini finalizzato alla prevenzio-ne di reati riguardanti il depauperamento dei siti archeologici marini, i Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale, con l’ ausilio dei colleghi del nucleo Subacqueo di Messina, hanno recuperato nell’autunno 2004, a 150 m da Cala Tonda nell’ isola di favignana (Trapani), un’ancora di piombo a ceppo mobile con iscrizione in greco eUPloIA su una delle estremità 43 (tav. 5, 2). Cala Tonda, posta in direzione di Marettimo, è un approdo naturale, una delle cale più protette delle egadi. la presenza di iscrizioni e/o simboli dal valore apotropaico o decorativo sui ceppi in piombo è una consuetudine alquanto diffusa nel mondo antico 44. Tali elementi possono riferirsi al nome della nave, di fabbricanti o armatori oppure costituire un legame con la divinità cui si consacrava l’oggetto. Euploia identifica Afrodite nella sua connotazione marina benaugurante 45: infatti, come dea del mare e del cielo, che prestava soccorso durante la navigazione, Afrodite fu invocata con l’epiteto di Euploia (Signora della Buona navigazione), Epilimenia (Signora del Porto) e Pontia (Signora del Mare) e santuari a lei dedicati sorgevano presso le più importanti città portuali. Il più antico era quello di naukratis, grande emporio commerciale sul delta del nilo, fondato intorno al 600 a.C., frequentato da greci e fenici, disseminatori del culto a lei dedicato 46. Il santuario di Afrodite euploia a Knidos era famoso per la statua di culto opera di Prassitele, il primo scultore classico a mostrare le nudità della dea. Circondato da giardini rigogliosi, il tempio fu costruito a pianta circolare, per permettere ai visitatori di godere le delizie a tutto tondo dell’opera. “Custode della costa, io ti offro questi dolci, doni di un povero sacrificio; poichè domani io attraverserò l’onda larga dello Ionio mare, affrettandomi tra le braccia della nostra eidothea. Risplendi con favore sul mio amore come sul mio albero maestro, o Cipride, Signora dell’alcova e della spiaggia”: getulico nel I sec. d.C. faceva così richiesta di benevolenza ad Afrodite marina 47. nella stessa epoca iscrizioni con dediche ad Euploia per garantire buona sorte e buon viaggio sono presenti sui muri di Pompei 48. In Sicilia non si riscontrano al momento confronti con altre ancore recanti il termine Euploia, ma sono pervenute testimonianze con i nomi di altre divinità: un ceppo di ancora in piombo da Palermo con il nome Eracles 49 e un ceppo di ancora in piombo di tipo fisso da Isola delle femmine, si trovano al Museo Archeologico di Palermo con iscritti i nomi di due divinità Veneri/Iovi 50. Anche motivi decorativi quali

43 olIverI 2010: Inv: 86/07, lungh. 130; p. 90 kg44 GIanfrotta 1980, pp. 108-109; GIanfrotta, PoMey 1981.45 MuStI 2002, p. 34-40; cfr. MIranda 1989, part. pp. 128-137, sul culto di Afrodite Cnidia e i

suoi caratteri di Euploia, pp. 137 segg. sul culto di Iside Euploia a Delo alla fine del II secolo a.C. nonché sull’assimilazione con Afrodite euploia, dea che si muove tra le connotazioni del mare benaugurante, della buona navigazione e quelle che favoriscono la produttività e l’abbondanza.

46 larSon 2007, p.123.47 gaet. 25.48 varone 2002, pp. 23-24.49 GIanfrotta 1980.50 GIanfrotta 1980.

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delfini e conchiglie possono riferirsi al medesimo culto della dea. oltre che per la sua benevolenza salvifica verso navi e porti, i marinai si rivolgevano ad Afrodite Euploia mentre si effettuavano le manovre di ancoraggio.

Capo Passero di Siracusa: lingotti plumbei

nel 2006, è stato ritrovato un relitto, a poca profondità (ca. -7 m) e a 150 m di distanza dal porto di Capo Passero, grazie ad una segnalazione giunta ai Carabinieri di zona, ma al loro arrivo si presentava già parzialmente depredato; è legittimo dunque ipotizzare che il numero dei lingotti recuperati (tredici) non rispecchi la realtà del cari-co 51. Dovevano comunque far parte di un carico complementare e misto, come avvie-ne nel caso dei numerosi ritrovamenti di questo tipo di relitto nel Mediterraneo. Rari sono i casi di trasporto di solo lingotti: questi ultimi erano spesso in piccolo numero, stivati in carichi misti, su ogni genere di nave. I metalli venivano spesso fusi in lingotti, per facilitarne il trasporto e la commercializzazione. Il peso di ciascun lingotto è di 33 kg, corrispondenti alle classiche 100 libbre romane; il metallo è una lega di piombo e argento.

I lingotti di piombo sono del tipo a sezione trapezoidale e parte superiore arro-tondata, riconducibile alle produzioni spagnole (dal II-I secolo a.C. al I secolo d.C.), come ampiamente dimostrato grazie ai ritrovamenti subacquei in tutto il Mediterraneo, sui relitti di Port-Vendres 2, nave di Comacchio, Isola di Mal di Ventre, Madrague de giens, Bagaud 2, ecc. 52. In Sicilia altri reperti simili (con iscrizione l. PlAnI. l.f.) si trovano esposti al Museo regionale Archeologico di Palermo, provenienti dal sito di Cianciana nell’immediato entroterra di Agrigento, attestanti l’attività di produzione e di commercio dei Planii in Sicilia già a partire dal I secolo. a.C.

ogni lingotto è decorato e marcato da cartigli e punzonature, a volte decorate da delfini – un simbolo frequenti sui lingotti, con i nomi di diversi produttori – e/o da un caduceo, segno apotropaico ma anche marchio di fabbrica 53. I lingotti possono essere distinti in tre gruppi e tipologie. Il primo tipo è rappresentato da un solo lingotto e presenta sulla parte superiore un cartiglio centrale allungato senza decorazioni con le seguenti lettere: CnATellICnlBVIo (tav. 5, 3), senza spazi, né punteggiatura, con lettura possibile: Cn. Atelli. Cn. L. Bulio.

la presenza del nome del liberto Bulio accanto a quello della gens Atellia, fami-glia di ricchi produttori della zona di Cartagena, trova riscontro nelle analisi isotopiche sulla provenienza del metallo 54. lo stesso produttore è stato segnalato su lingotti rin-venuti nel Relitto di Mal di Ventre A, in Sardegna 55.

51 tISSeyre 2008.52 doMerGue 1991, p. 659; BonInu 1985.53 doMerGue 1994; doMerGue et alii 2005.54 trIolo et alii 2008; tISSeyre et alii 2008.55 doMerGue 1991, p. 659.

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Il secondo gruppo è costituito da quattro lingotti trapezoidali, con la parte supe-riore arrotondata, sulla quale sono impressi tre cartigli rettangolari profondi ca. 1 cm., con l’iscrizione M.oCT.M.l.PAP Il (tav. 5, 4), tra un caduceo e un delfino, con let-tura possibile: M (arcus) Oct (avius) M (arci) l (ibertus) Pap (ilianus). Questo bollo costituisce ad oggi un unicum, non essendo stata ritrovata finora altra attestazione dello schiavo liberato Marcus Octavius tra i produttori di metalli. Tuttavia la gens Papia è nota attraverso bolli su anfore sia in Sicilia 56, nonché attraverso il relitto di Madrague de giens 57. la datazione proposta è la metà del I secolo a. C.

Il terzo gruppo si compone di otto lingotti con tre cartigli: a sinistra le lettere: MPlAnII, al centro una deorazione di delfino, a destra le lettere: RV.SSIn (tav. 5, 5) con lettura possibile: M (arcius) Plani (us) Russin (ius). grande famiglia di produttori con miniere nella Sierra Morena (Cartagena), l’attività della gens Plania conosce la sua massima fioritura grazie all’appoggio di Sesto Pompeo 58. Anche in questo caso le analisi isotopiche hanno confermato la provenienza del metallo delle miniere di Cartegena 59. I dati epigrafici permettono di datare il relitto e i suoi reperti tra la metà e la fine del I secolo a.C.

Rostri delle Egadi: i segni numerici

Dei 12 rostri navali rinvenuti in Sicilia nell’arco degli ultimi dieci anni, soltan-to due di essi riportano nella parte interna della guaina destinata a ricoprire la ruota di prua dei segni numerici profondamente incisi, di ca. 1,5 cm di altezza. Tali segni compaiono finora soltanto su una tipologia di rostro, quello che reca incisa la formula della probatio per esteso (QVAISToR PRoBAVeT) e riconducibile al questore L. Quinctius 60.

l’iscrizione è sormontata da una decorazione a rilievo che riproduce un elmo del tipo Montefortino piumato.

I rostri, denominati rispettivamente egadi 7 (tav. 6, 1) ed egadi 10 (tav. 6, 3), secondo l’ordine di ritrovamento, provengono dal medesimo contesto areale della Battaglia delle egadi, che dal 2005 la Soprintendenza del Mare indaga insieme alla statunitense RPM nautical foundation 61.

l’acquisizione di egadi 7 si deve al rinvenimento fortuito effettuato nel 2011 dal motopeschereccio trapanese dell’armatore Maltese: il rostro presenta un’ampia lacuna nello specchio epigrafico che non ci consente la lettura del nome del questore. nel 2013 la verifica di uno dei target segnalati nel corso dell’annuale “survey” condotto con la nave hercules ha permesso il recupero di egadi 10 e la lettura dell’intera epi-

56 Vedi supra; ManaCorda 1994, pp. 3-5957 PoMey 1982; lauBenheIMer 1990, p. 70.58 Poveda navarro 2000; doMerGue 2005.59 trIolo et alii 2008;tISSeyre 2008.60 olIverI 2012a; olIverI 2012b; PraG 2014.61 Per la bibliografia di riferimento si rimanda a GnolI 2011; tuSa, royal 2012.

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Tav. 6. 1. Soprintendenza del Mare, Palermo: rostro navale denominato egadi 7; 2. Soprintendenza del Mare, Palermo: numerali all’interno di egadi 7; 3. Soprintendenza del Mare, Palermo: rostro navale deno-minato egadi 10; 4. Soprintendenza del Mare, Palermo: numerali all’interno di egadi 10.

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grafe che conferma, insieme al precedente egadi 8, il collegamento tra L. Quinctius, la formula estesa della probatio e la decorazione con elmo montefortino. Il restauro ha permesso di ritrovare finora solo su egadi 7 e 10 i numerali, incisi sulla parete interna sinistra della guaina che ricopre la ruota di prua.

egadi 7 ha restituito su un solo registro: V segno cruciforme D (tav. 6, 2.); egadi 10: XXX simbolo di freccia con punta rivolta verso il basso IIII 62 (tav. 6, 4).

Queste cifre sono profondamente incise, con lettere alte ca. 1,5 cm e posizionate in modo da non essere visibili dall’esterno. Una volta montato il rostro sulla prua della nave, esse scompaiono, avendo evidentemente portato a termine la loro funzione.

Sembra escluso che tali numerali possano indicare il peso dell’oggetto, poiché in genere il pondo viene preceduto dalla lettera P 63.

Dunque dovrebbe trattarsi di marchi il cui significato va trovato nell’attività dell’officina, come, ad esempio, una registrazione numerica che servisse nella fase di montaggio dell’elemento o comunque che desse indicazioni funzionali.

Al momento gli unici confronti possibili sono con elementi presenti su cippi miliari e colonne militari 64, forse un riferimento ad un’organizzazione del lavoro sotto controllo statale. Infatti, fin dall’età arcaica, nonostante il sistema di produzione più diffuso fosse all’epoca la bottega artigianale, Roma aveva manifestato interesse verso attività produttive che richiedessero una elevata specializzazione. l’intervento pubbli-co nei processi produttivi diventa man mano più incisivo, moltiplicandosi infatti gli impianti industriali di proprietà statale, che impiegavano sia schiavi che uomini liberi, ma vincolati al servizio 65.

nella Roma della prima età imperiale, come processo ormai ben avviato, Plinio menziona 1’esistenza di due fabbriche, entrambe destinate alla trasformazione di mate-rie prime di proprietà statale, di cui una è quella destinata alla lavorazione del metallo (aurifices, fabrii aerarii) 66.

Del resto i lavoratori di metalli praticavano uno dei mestieri più antichi di Roma: la tradizione attribuisce infatti a numa Pompilio la loro riunione in associazione, ben-ché il termine faber abbia un significato generico e non sempre ne sia specificata l’at-tività, che indubbiamente però richiedeva misurazioni e quantificazioni del valore del metallo lavorato. Dal 352 a.C. in poi furono istituiti funzionari pubblici che avevano di volta in volta il compito di controllare e convalidare l’idoneità di pesi e misure nelle contrattazioni pubbliche e private (quinqueviri mensarii, aedili, praefecti) 67.

Cicerone (de Officiis,72), accanto alla magna marcatura delle grandi imprese, (cui afferiscono le note iscrizioni dei rostri navali) distingue la più frequente parva

62 Questo segno viene adoperato per indicare il numerale cinquanta; cfr. CIL, VI, 8067; 9001.63 CortI 2001; cfr. l’indicazione pondo seguita da un numerale e dall’indicazione di once e scrupoli

riportata su alcuni piatti in argento del British Museum: de ruGGIero 1964 ( s.v. pondo); GIaCChero 1974, p. 304, pp. 285-286.

64 CortI 2001a; per es. si veda il miliario di Aurelius Cotta (ILLRP, 1277).65 CortI 2001b, p.198; CIL X, 806.66 Plin. H.N., XXXII, 7 e 108; ibidem, XIII, 12 e 75.67 CortI 2001a.

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marcatura, essenziale, eseguita forse da un funzionario sul supporto per fissare dati, come verifica o come promemoria, e che oggi risulta criptico messaggio.

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rIaSSunto

Il presente contributo vuole presentare una panoramica dei dati epigrafici provenienti dai più recenti ritrovamenti subacquei che la Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia ha effettuato nei primi dieci anni di attività dalla sua istituzione nel 2004.

Si tratta di reperti, editi ed inediti, che provengono sia da scavi ed indagini sistematici (Relitto di Porto Palo di Menfi, Relitto di Scauri di Pantelleria, Relitto di Panarea 3, Sito della Battaglia delle egadi), sia da ritrovamenti fortuiti e consegne spontanee da parte di subacquei e pescatori (Canale di Sicilia).

nella maggior parte dei casi sono oggetti di uso corrente (anfore, lucerne) che documentano taluni aspetti della vita quotidiana, attraverso elementi utili alla datazione e all’individuazione dei processi pro-duttivi e delle relazioni di scambio che intercorrono tra alcune località costiere ed isolane della Sicilia e il resto del Mediterraneo occidentale, soprattutto nord Africa ed Italia continentale, dall'età punica e greca alla tarda romanità.

Parole chiave: Mediterraneo; Sicilia; archeologia subacquea; epigrafia latina; antichità puniche; naviga-zione e commerci.

SuMMary: ePIGraPhIC evIdenCe froM the SeaS of SICIly

This paper aims to present an overview of the epigraphic data from the most recent underwater finds that the Soprintendenza del Mare (Underwater Cultural heritage Agency) of the Sicilian Region has made in the first ten years of its inception in 2004.

TESTIMONIANzE EPIgRAFICHE dAI MARI dELLA SICILIA

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These finds, published and unpublished, come both from systematic surveys and excavations (the Wreck of Porto Palo - Menfi, the Wreck of Scauri - Pantelleria, the Wreck of Panarea 3, the site of the Aegadian Battle), both from chance discoveries and spontaneous deliveries by divers and fishermen (Strait of Sicily).

In most cases, they are objects of common use (amphorae, oil lamps) documenting certain aspects of daily life, through elements for the dating and the identification of the production processes and the exchange relations that existed between some coastal towns and the island of Sicily and the rest of the western Mediterranean, especially north Africa and mainland Italy, from the Punic and greek period to the late Roman.

Keywords: Mediterranean; Sicily; underwater archeology; latin epigraphy; Punic Antiquities; ancient navigation and trade.

franCeSCa olIverISoprintendenza del Mare, Palermo - Assessorato Regionale Beni CulturaliVia lungarini 9, 90134 [email protected]

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