nuove testimonianze su tullio crispoldi

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Atti del Convegno di Studi Gian Matteo Giberti (1495-1543)

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Atti del Convegno di Studi

Gian Matteo Giberti(1495-1543)

Atti del Convegno di Studi

Gian Matteo Giberti(1495-1543)

a cura di Marco Agostini

Giovanna Baldissin Molli

Realizzazione e stampa a cura diBiBlos Edizioni - Cittadella (PD)www.biblos.it - info @biblos.it

©2012 Biblos S.r.l. - Diocesi di Verona

iSBn 978-88-6448-031-2

Tutti i diritti riservati. nessuna parte di questa pubblicazione può essere usatain qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo grafico, elettronico o meccanico, inclusa la fotocopiatura, la registrazione su nastro delle immagini e dei testi, o con qualsiasi altro processo di archiviazione, senza il permesso dell’Editore.

All rights reserved. No part of this publication may be reproduced or utilized in any form or by any electronic, graphic or mechanical means,including photocopying and recording of images and texts, or with any other storage system, without permission from the publisher.

Convegno di Studi

Gian Matteo Giberti (1495-1543)2-3 dicembre 2009

Salone dei Vescovi, Vescovado di Verona

Programma

Mercoledì 2 dicembreOre 15,00

Saluto delle Autorità

Raffaelle FARINA, Cardinale e Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana

I SeSSIone Gian Matteo Giberti sacerdote e vescovo tra diplomazia e impegno spirituale e promozione culturale

Adriano PROSPERI, Scuola normale di PisaGian Matteo Giberti segretario di Giuliano de’ Medici, diplomatico di Leone X e Adriano VI, datario di Clemente VII: uomo di fiducia a fianco dei pontefici in difesa della libertà della Chiesa

Gabriella ZARRI, Università di Firenze I circoli spirituali femminili della riforma

Dario CERVATO, Studio Teologico “S. Zeno” di VeronaIl circolo spirituale di Gian Pietro Carafa e San Gaetano Thiene e gli altri circoli italiani

Danilo ZARDIN, Università Cattolica di MilanoGian Matteo Giberti nel contesto europeo: i contatti con il mondo della Riforma e i suoi risvolti italiani

Roberto PASQUALI, Diocesi di Verona Le Constitutiones per il clero: la riforma della diocesi veronese per la riforma della Chiesa universale

Antonio FILIPAZZI, Segreteria di Stato vaticanaIl caso di Ormaneto: riforma ecclesiale e diplomazia pontificia

Nota dei curatori

Gli Atti a stampa differiscono dal programma in quanto a Paola Marini non fu possibile partecipare al convegno; le relazioni di Agostino Contò e Alessandro Serafini non sono mai pervenute.i curatori esprimono profonda gratitudine all’editore per la sua disponibilità e professionalità.

Le opere di Giberti sono così citate:GiBErti Opera, 1733 = Jo. Matthaei Giberti episcopi Veronensis ecclesiasticae Disciplinae ante Triden-tinam Synodum instauratoris solertissimi Opera nunc primum collecta, et ineditis eiusdem opuscolis aucta, celeberrimi Auctoris vita, dissertatione, variisque monumentis illustrata et sub auspiciis illu-strissimi ac reverendissimi Joannis Bragadeni Veronae episcopi edita, Veronae, Ex typographia Petri Antonii Berni Bibliopolae in Regione Leonum, Superiorum permissu, 1733.

GiBErti Opera, 1740 = Jo. Matthaei Giberti episcopi Veronensis ecclesiasticae Disciplinae ante Triden-tinam Synodum instauratoris solertissimi Opera nunc primum collecta, et ineditis eiusdem opuscolis aucta, celeberrimi Auctoris vita, dissertatione, variisque monumentis illustrata et sub auspiciis illustris-simi ac reverendissimi Joannis Bragadeni Veronae episcopi edita, editio altera auctior et emendatior, Hostiliae apud Augustinum Carattonium, Typographum Seminarii Veronensis, Superiorum permis-su, 1740.

nel saggio di Roberto Pasquali per la trattazione specifica dell’argomento si sono mantenuti i riferi-menti bibliografici dati dall’autore.

Ore 21.00Concerto in Cattedrale M° Alberto TURCO

Musica liturgica al tempo del vescovo Giberti

Giovedì 3 dicembreOre 9,30

Giuseppe ZENTI, Vescovo di Verona

II SeSSIone «Messer Giovanmatteo Giberti (...) cortese e liberale assai a nobili gentilhuomini, che andavano e venivano allui, onorandogli in casa sua» (Della Casa, Galateo)

Gian Paolo MARCHI, Università di VeronaUmanesimo e Rinascimento nell’episcopio veronese al tempo di Giberti

Agostino CONTÓ, Biblioteca Civica di VeronaL’Accademia Gibertina e la tipografia dei Niccolini da Sabbio

Marzia GIULIANI, Università Cattolica di MilanoTullio Crispoldi e i suoi scritti: un “riformatore”al servizio degli ideali della Chiesa del Cinquecento

Alberto TURCO, Pontificio istituto di Musica Sacra di RomaLa riforma musicale e liturgica del vescovo Giberti

Lara SABBADIN, Università di PadovaGiberti e la malalingua di Pietro Aretino

Enrico Maria GUZZO, Museo Canonicale di Verona Iconografia gibertiana

Fabrizio PIETROPOLI, Sovrintendenza dei Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici di VeronaVisita alla cappella grande della Cattedrale

Ore 14,30

Ugo SORAGNI, Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto

III SeSSIone «Con magnificenza non sovrabbondante, ma mezzana, quale si conviene a chie-rico» (Della Casa, Galateo)

Christoph Luitpold FROMMEL, Bibliotheca Hertziana di RomaL’appartamento vaticano e la committenza romana

Loredana OLIVATO, Università di VeronaMichele Sanmicheli e il riassetto architettonico della cappella grande del Duomo di Verona

Alessandro SERAFINI, Liceo Artistico “B. Munari” di CremaGli affreschi di Francesco Torbido nella cappella grande del Duomo di Verona

Marco AGOSTINI, Segreteria di Stato vaticanaGiovanna BALDISSIN MOLLI, Università di Padova L’altare e il tabernacolo del vescovo Giberti

Alessandra ZAMPERINI, Università di VeronaGli interventi riformatori di Giberti sull’architettura religiosa a Verona

Paola MARINI, Museo di CastelvecchioIl contesto artistico veronese al tempo di Giberti: consonanze e dissonanze

Danilo ZARDIN, Università Cattolica di MilanoConclusioni

il Saluto di 11GiusEppE zEnti, Vescovo di Verona

Apertura dei lavori di 13raffaElE farina, Cardinale e Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana

introduzione 15danilo zardin

Gian Matteo Giberti e la politica della «libertà d’italia» 19adriano prospEri

i circoli spirituali femminili della riforma.Gian Matteo Giberti e le Constitutioni per le monache 29GaBriElla zarri

Funiculus triplex difficile rumpitur.Giberti, il circolo spirituale di Gian Pietro Carafa (Paolo iV)e san Gaetano Thiene e altri circoli italiani 39dario CErvato

Gian Matteo Giberti nel contesto europeo: i contatti con il mondo della Riforma e con i suoi risvolti italiani 47danilo zardin

nelle Costituzioni per il clero la riforma della Chiesa veroneseper la riforma della Chiesa universale 61roBErto pasquali

L’influsso di Gian Matteo Giberti attraverso l’azione di nicolò Ormaneto 73antonio filipazzi

Umanisti a Verona al tempo del vescovo Giberti 89Gian paolo MarChi

nuove testimonianze su Tullio Crispoldi 99Marzia Giuliani

soMMario

Ringraziamenti

i curatori esprimono particolare gratitudine a don Tiziano Brusco, mons. Giancarlo Grandis, Marco Molon, noemi Poffe, Emanuele Pressacco,Elena Svalduz, don Gino Zampieri.

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Un convegno sul vescovo Gian Matteo Giberti, tenuto nella diocesi di Verona di cui fu per un decennio pastore vigilante e sapiente, era da tempo atteso da quanti amano investigare

il senso e la portata dei grandi snodi della storia civile ed ecclesiastica. E proprio il decennio che precede la celebrazione del concilio di Trento e che sussegue l’evento del Luteranesimo merita una perspicace attenzione. Giberti è figura eminente di tale periodo. Sicché incontrarlo, sotto il profilo storico, e riscoprirne la portata culturale e pastorale, significa anche aprire una finestra sulla com-prensione di tale decennio.

in ogni caso va riconosciuta a Giberti una singolare aderenza alla storia, ma anche una forte carica di profezia. Va sicuramente annoverato tra i vescovi che emergono per genialità, allenato alle grandi vedute, edotto e forgiato in ciò anche dalla sua singolare esperienza accanto a papa Clemente Vii, abituato a scrutare l’orizzonte. Uomo di carattere, concreto e lungimirante, colto e pio, tra i primi ha incarnato l’ideale del vescovo residenziale che sente il dovere di essere vicino anzitutto al suo Presbiterio, per precederlo sulla via della riforma, urgente e da lungo tempo proclamata, pur dovendone pagare il costo elevato richiesto dal travaglio di resistenze d’ogni genere.

il suo decennio di episcopato a Verona ha lasciato il segno. E non solo a Verona. La sua fama e il peso della sua personalità ne hanno oltrepassato i confini. Si può ben affermare che Giberti è uno di quei personaggi che fanno da pietra miliare nella storia di una Chiesa. E chiunque desidera ripercorrerne le tappe più significative non può non farvi adeguato riferimento.

Verona ricorda questo suo insigne vescovo anche con la titolazione della Scuola del Seminario Minore “Gian Matteo Giberti”.

Come attuale vescovo di Verona e successore di Giberti a distanza di cinque secoli, sento il dovere di ringraziare chi ha ideato il convegno e quanti hanno contribuito alla sua efficace realizzazione. Con l’auspicio che quanto è stato egregiamente espresso dalla molteplicità degli interventi, tutti di alto livello, giovi alla ricomprensione del passato e contribuisca a ridisegnare la mappa per una pastorale evangelizzante all’altezza dell’oggi e del domani che ci attende come sfida audace. Sull’e-sempio e sul modello di Giberti.

† Giuseppe Zenti Vescovo di Verona

La riforma musicale e liturgica di Giberti 107alBErto turCo

Giberti e la malalingua di Pietro Aretino 113lara saBBadin

iconografia gibertiana 121EnriCo Maria Guzzo

Lo stemma Giberti 127roBErto Borio di tiGliolE

Gian Matteo Giberti e Giulio Romano 131Christoph luitpold froMMEl

Michele Sanmicheli e il riassetto architettonicodella cappella grande del duomo di Verona 141lorEdana olivato

L’altare e il tabernacolo del vescovo Gibertinella cappella grande del duomo di Verona 147MarCo aGostini

ipotesi per un tabernacolo 155Giovanna Baldissin Molli

Lo specchio della riforma: gli interventi sull’architetturareligiosa di Giberti attraverso i verbali delle visite pastorali 163alEssandra zaMpErini

iMMaGini 177

Elenco delle immagini 205Referenze fotografiche 206

indiCE dEi noMi 207

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nell’accostarmi alla complessa figura del cano-nico Tullio Crispoldi, procederò singolarmente a ritroso, partendo dall’ultimo e più oscuro periodo della sua biografia, quello trascorso quasi certamen-te a Roma, dopo aver lasciato, alla morte di Giberti, la diocesi veronese1. Risalgono proprio a quest’epo-ca due singolari ritratti di Crispoldi, dai quali mi sembra utile partire, in quanto capaci di illuminare retrospettivamente l’intero suo percorso di fede e di vita. Questi ritratti, diversamente dagli altri po-chi documenti di cui si dispone per ricostruire tout court la biografia del reatino, non derivano dagli in-cartamenti di atti processuali dell’inquisizione, non sono testimonianze fornite da presunti eretici, ma si raccolgono dalle biografie di due figure a pieno titolo inserite nei ranghi dell’ortodossia cattolica: la mistica francescana suor Antonia e il sacerdote mar-chigiano Pensabene De Turchetti, legati entrambi all’esperienza spirituale romana dell’oratorio di Fi-lippo neri. Padre Pensabene fu tra i primi compa-gni di neri e visse a Roma fino al 1571, quando, per volere di Sisto V, si trasferì presso i padri oratoriani di Fermo2. La seconda, che dalla morte del mari-to aveva vestito l’abito francescano e si era data a una intensa vita spirituale, nutrita di una costante orazione interiore, suscitò l’interesse di neri, che le fece visita per verificare di persona la veridicità della sua fama di mistica, tornandosene a casa con-solato: «il padre restò satisfattissimo di sor Antonia, et si raccomandò alle sue orationi et, in assentia di

1 «La povertà della documentazione superstite», annota Paolo Salvetto, autore della prima monografia dedicata al reatino, «rende assai difficile ricostruire gli spostamenti, le attività e i contatti del Crispoldi dopo il suo trasferimento a Roma»: p. salvEtto, Tullio Crispoldi nella crisi religiosa del Cinquecento. Le difficili «pratiche del viver christiano», Bre-scia 2009, p. 243.

2 G.B. CastiGlionE, Delle scuole della dottrina cristiana fondate in Milano e da Milano nell’Italia ed altrove propagate, Milano 1800, p. 218; a. taMBurini, La compagnia e le scuole della dottrina cristiana, Milano 1939, p. 157-160, 298-299.

lei, la lodò per bona serva di iddio»3. non abbiamo indicazioni cronologiche sicure entro le quali inscri-vere la biografia di suor Antonia, ma sappiamo con certezza che visse a Roma almeno sino al 1572: morì infatti, l’anno di Gregorio Xiii, non specificando però il suo anonimo biografo se si tratti dell’anno di assunzione alla cattedra di Pietro o non piuttosto di quello della morte del pontefice4.

Santità di vita, gran dottrina e amore della po-vertà sono i tratti salienti della personalità umana e cristiana di Tullio Crispoldi, che i ritratti offerti dai biografi di padre Pensabene e di suor Antonia ci restituiscono. La donna, che «giva visitando i servi di Dio per sua edificatione», andò «una volta a vi-sitare» Crispoldi, «prete secolar», si legge, «ma di singolar dottrina e santità di vita e amator grande della povertà»5. Padre Pensabene aveva intrecciato con il reatino un rapporto di più stretta familiarità, cementato dall’ammirazione che egli provava verso questo «uomo di gran santità e dottrina», che «sem-pre volle vivere con somma povertà»6.

Questi tratti umani e spirituali si inserivano in un contesto biografico siglato dalla cifra del nascondi-mento. «Visse in Roma in mezzo alle corti come in una solitudine d’anacoreti» e scelse la povertà «con tutto che fosse assai nobile e servisse in corte ad un

3 La testimonianza su neri si legge in: Il primo processo per san Filippo Neri nel Codice vaticano latino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, a cura di n. vian - G. inCisa dElla roCChEtta, 4 vol., Roma 1957-1963, i, p. 135-136. La biografia di suor Antonia, che si legge nel manoscritto O 20, f. 9-17 della Biblioteca romana della Val-licella, è stata pubblicata in Il primo processo, iV, p. 207-215.

4 G. inCisa dElla roCChEtta, Suor Antonia Cieca, “Strenna dei romanisti”, 1964, p. 307-312, p. 308.

5 Il primo processo, i, p. 208.6 G. MaranGoni, Vita del servo di Dio il p. Buonsignore

Cacciaguerra compagno di san Filippo Neri nella casa di San Girolamo della Carità di Roma. Con l’aggiunta delle Vite di alcuni suoi penitenti e di altri suoi compagni convissuti nella medesima casa, Roma 1712, p. 65-67. Le citazioni sono ripre-se in salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 234.

nuove testimonianze su Tullio Crispoldi

Marzia Giuliani

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veva da anacoreta, praticando l’umiltà e rifuggendo gli onori effimeri che potevano derivare dalla prati-ca delle lettere, soprattutto se conseguita, come nel suo caso, con successo. Filippo neri non consegnò mai il suo pensiero alla stampa, ma si contentò che circolasse provvisoriamente in forma manoscritta e soprattutto lasciò che si esprimesse nella forma “effimera” della comunicazione orale, nella quale si consumava la sua opera importante di direzione spirituale.

Similmente Crispoldi esordì come scrittore nel-l’anonimato e altro non fece poi che fissare sulla carta una parola sempre intimamente connessa alla dimensione dell’oralità. i suoi testi, per lo più di ta-glio meditativo o di impostazione oratoria, rifuggi-vano dalla sistematizzazione del trattato teologico, in quanto tenevano fede alla caratteristiche perfor-mative di una parola che veniva offerta alla medita-zione o all’ascolto e che in entrambi i casi cercava il suo compimento ultimo non nella chiarezza formale della definizione logica, ma nell’accoglimento devo-to del lettore uditore, che, accogliendola, la trasfor-mava in sostanza di vita.

Padre Pensabene «si imbevè di tutte le sue vir-tù», sue di Crispoldi, «con aver le sue opere ma-noscritte continuamente nelle sue mani (...) queste continuamente leggea e, nel lasciarle, con gran di-votione solea baciare il libro»19. E «con la prattica stretta di questo santo uomo»20 approdò anch’egli al nascondimento dell’anacoreta: «gli ritornò il de-siderio della solitudine, onde lasciata Roma si ritirò di nuovo nel suo caro Monte D’Ancona e si seque-strò per più e più anni in una grotticella»21.

Se nei decenni spesi nella scuola veronese di Giberti, le esigenze della riforma in membris della diocesi forzarono quasi l’autore perché fissasse sulla

il 3 giugno 1547: «mi mandò il Signore una gocciola della sua gratia, con la quale riscaldato bombardai tutti quelli tre giorni la rocca delli cuori e tutti meco con pianto gridava-no misericordia» (Litterae quadrimestres ex universis praeter Indiam et Brasiliam locis in quibus aliqui de Societate Jesu versabuntur Romam missae, i (1546-1552), Madrid 1894, p. 43-44, p. 43). E parlando della sua predicazione in Sicilia, padre Polanco scriveva a Francesco Saverio il primo febbra-io 1552: «y tiene tanto concurso ordinariamente, que no caben en la iglesia, y muchos á la causa hão de boluerse; y tiene él tan movida la gente á confessarse y comunicarse que, sin las fiestas grandes, cada semana aurá 400 ou 500 communiones en la iglesia según los sacristanes» (s. iGnazio di loyola, Epistolae et instructiones. Monumenta ignatiana, iV, Madrid 1906, p. 130-131). E su questi stessi temi si concentrava nel-lo stesso torno di anni a cavallo della metà del Cinquecento la riflessione teologica di Crispoldi.

19 salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 234.20 ivi.21 ivi.

carta, in funzione di una più vasta ricaduta pasto-rale, le parole che egli andava performando a uso dei fedeli, i primi anni romani furono segnati da un silenzio insistito: Crispoldi si astenne dal pubblicare alcunché, seppure suoi testi continuarono con ogni probabilità a circolare in forma manoscritta. Penso alle carte venerate da Pensabene22, e per suo diretto interessamento edite postume.

È questo il caso dei commentari agli Atti degli apostoli23, che avrebbero dovuto includere anche un commento ai quattro Vangeli, rimasto però ine-dito24, al pari di quei Commentarios in Mattheum scritti in volgare che il vescovo Egidio Foscarari avrebbe fatto conoscere a Sisto da Siena durante l’ultima sessione del concilio25. numerose edizio-ni degli anni cinquanta e sessanta, che non videro l’intervento diretto dell’autore, spettando piutto-sto l’iniziativa a suoi vari estimatori, testimoniano di questa circolazione in forma manoscritta di testi crispoldini. nonostante la monografia di Salvetto dia conto con ampiezza di queste edizioni, si ha l’impressione che molto resti ancora da fare per ri-costruire le forme di tale circolazione manoscritta, nascosta e per così dire sotterranea, più per esigen-ze di pietas, lo ribadisco, che non di prudente oc-cultamento rispetto a eventuali, indiscreti sguardi inquisitori.

nella primavera del 1554 si recava in visita alla «stanza»26, ove Crispoldi viveva nascosto, Camillo Capilupi, corrispondente da Roma della famiglia Gonzaga. Per conto della marchesa Maria Paleolo-go, moglie di quel Federico ii, per il quale già dieci

22 A lui il 13 gennaio 1563 Crispoldi dedicava una raccol-ta manoscritta di prediche: Sommario de messer Tullio Cri-spoldo de le prediche fatte ne la visita di Verona del MDXXX, Biblioteca arcivescovile di Bologna, ms G. Viii, 33, c. 1r. Cfr salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 192-193, con bibliografia precedente.

23 in Acta Apostolorum pii admodum ac eruditi commen-tarii Tullio Crispoldo reatino autore, Fermo 1590. L’opera fu edita dai padri oratoriani di Fermo che avevano ottenuto il manoscritto dal padre Pensabene: salvEtto, Tullio Crispol-di, p. 263.

24 L’intenzione di pubblicare anche il commento si legge in In Acta apostolorum, p. 4-5.

25 sisto da siEna, Biblioteca sancta, Lugano 1575, iV, p. 331, citata in salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 276. La sola notizia dell’esistenza di quest’opera è importante in quan-to segna una rilevante comunanza di interessi con i circoli spirituali, che alimentavano la loro devozione attraverso la lettura dei commentari a Matteo, quali quelli di Flaminio o di Valdés. Per una fine analisi di questo tipo di testi si veda: J. dE valdEs, Lo evangelio di San Matteo, a cura di C. osso-la, Roma 1985.

26 Archivio di Stato di Mantova (ASMn), Archivio Gonzaga, b. 889, c. 151r, lettera del 10 marzo 1554, citata in salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 248.

gran cardinale», standosene tutto «ritirato tanto che passavano molti mesi con a pena farsi vedere fuori della sua povera camera»7, proprio come suor An-tonia cieca, che umilmente trascorreva la sua vita entro le quattro mura della sua camera e come lei praticava l’orazione, insieme «allo studio della sacre lettere»8: «uomo di gran sapere e bontà (...) fu tanto umile con tutto fosse uomo dottissimo»9.

il nascondimento poteva arrivare a celarsi dietro la dismisura del paradosso. Ebbe a stupirsi suor Antonia e a scandalizzarsi vedendo Crispoldi «non usar nei cibi molto rigore»10 e fu ammonita dalla voce del Signore a vedere oltre le mere apparenze: «quando tu andavi per Roma, scorrendo come una cavalla, questo mio servo faceva gran penitenza; perché dunque ti meravigli che hora, che ha este-nuato le forze nel mio servitio, pigli quello che gli è necessario de cibi corporali per conservarsi?»11. E il paradosso era acuito dalla condizione di suor An-tonia, che quando scorreva come una cavalla aveva il bene della vista, mentre ora, cieca, era chiamata ad affinare un altro diverso sguardo sulle cose del mondo.

Questo nascondimento, spinto fino al parados-so, non pare tanto imputabile a calcolate pratiche nicodemitiche, quali quelle evocate per esempio da Caravale per spiegare la scelta dell’anonimato per le prime opere ascetiche date alle stampe da Cri-spoldi a Verona12. Esso pare piuttosto, prendendo l’espressione in prestito da Linda Bisello, «segno di pietas per la devozione post tridentina»13, che la stessa Bisello riconduce alla corrente di pensiero del «socratismo cristiano»14, nella quale la «nescientia», cui perveniva la ricerca socratica della cognitio sui, si trasfigurava in una «virtù di umiltà»15, da cui sa-rebbero procedute nel tempo «la formazione delle

7 Tutte le citazioni in ivi.8 ivi.9 ivi.10 Il primo processo, iV, p. 208.11 ivi.12 Crispoldi avrebbe adottato, «a scopo cautelativo, lo

stratagemma dell’anonimia» per le seguenti opere: le Medi-tationi sopra il Pater noster (sett. 1534), le Meditationi de-chiarative del Paternostro (dic. 1534), De la Ave Maria et del Credo (1535), e l’Oratione sopra il Pater Noster (1540): cfr G. CaravalE, L’orazione proibita. Censura ecclesiastica e let-teratura devozionale nella prima età moderna, Firenze 2003, p. 32-33, p. 32. Prima di lui: a. prospEri, Les commentaires du Pater Noster entre XV° et XVI° siècles, in Aux origines du catéchisme en France, Paris 1989, p. 87-105, p. 99-101.

13 l. BisEllo, Sotto il “manto” del silenzio. Storia e forme del tacere (secoli XVI-XVII), Firenze 2003, p. 28.

14 ivi, p. 29.15 ivi, p. 30.

coppie dicotomiche umiltà e superbia e taciturnità loquacità»16. Era ufficialmente iscritto nel novero dei filosofi cristiani Filippo neri, nel quale l’amico cardinale Agostino Valier, membro della congre-gazione dell’indice, riconosceva un «ecclesiasticus Socrates»17. E a quel novero idealmente credo si ispirasse Crispoldi18, se è vero che, come neri, vi-

16 ivi.17 La citazione deriva da un libello manoscritto, edito

solo nell’Ottocento: a. valiEr, Quatenus fugiendi sint ho-noris ad Federicum Borromaeum S.R.E. cardinalem, in Spi-cilegium Romanum, Viii, a cura di A. Mai, Roma 1842, p. 118-171, p. 157. Fino a questa edizione ottocentesca, il te-sto, al pari della maggior parte degli scritti valeriani, aveva conosciuto una circolazione solo manoscritta per la quale cfr M. Giuliani, “Cum eruditis viris”. Gian Vincenzo Pinelli, Federico Borromeo e gli scritti di Agostino Valier presso la Biblioteca Ambrosiana, “Studia Borromaica”, 21 (2007), p. 229-268. Anche Borromeo, cui era indirizzata l’opera vale-riana, usava per neri, di cui era stato discepolo negli anni del suo soggiorno romano, il medesimo appellativo: «dir si poteva ch’egli fosse un Socrate cristiano, per rispetto del vo-lersi sempre occultare e darsi a conoscere non quale egli era in effetto, ma più tosto quale esso non era»: f. BorroMEo, Philagios, sive de amore virtutis, Biblioteca Ambrosiana di Milano (BAMi), F 12 inf., p. 1-983, p. 555. Su questo tema mi permetto il rinvio a M. Giuliani, Il vescovo filosofo. Fede-rico Borromeo e i sacri ragionamenti, Firenze 2007, p. Xii-Xiii. Per un approfondimento relativo alla figura del neri si veda G. Cassiani, Il socrate cristiano. Saggio su Filippo Neri (1515-1595), Pisa 2010.

18 Può essere significativo, in tal senso, che sempre Va-lier assegni il medesimo titolo di Socrate ecclesiastico a un predicatore gesuita, assai vicino alla corte episcopale del vescovo Giberti, frequentata dal Crispoldi. nella prospet-tiva di elaborare quella Rethorica ecclesiastica richiestagli da Carlo Borromeo, Valier, discutendo con il gesuita Francesco Adorno «numquid episcopis sit concionandum et quatenus» (BAMi, Id., Numquid episcopis sit concionandum et quatenus ad p. Francescum Adornum Societatis Iesu libellus, quo eius iudicium ea de re exquiritus, D 439 inf.), esaltava le buone pratiche introdotte da Giberti nella diocesi veronese quanto alla predicazione al popolo e citava come esempi meritevoli di attenzione due personaggi: il primo era Adamo Fumano, «Adamus noster, quem Giberti episcopi familiare fuisse», definito, «homo multiplici doctrina et singolari bonitate in-signis», ritratto quasi consumato, a ormai settant’anni, «in legendi sacris libris» (ivi, f. 8r); il secondo, che «cum illo [il Fumano] consentiebat», era un «Pater noster Otellus, quem Socratem ecclesiasticum libet appellare» (ivi). Si tratta con ogni probabilità di quel padre Gerolamo Otello, di origini venete, aggregato alla Compagnia di Gesù di cui si hanno lettere nei Monumenta ignatiana. il suo nome non è ancora mai stato legato alla corte di Giberti né si hanno studi sulla sua figura. Quel poco che si evince dalla testimonianza va-leriana e dagli stralci delle sue lettere è in consonanza con il profilo spirituale del “Socrate ecclesiastico”: «ab omni fuco alienissimus homo rara sobrietate et plane apostolicis moris» (valiEr, Numquid episcopis, f. 8r), Otello era dedito a una predicazione al popolo tutta giocata sui temi, delicatissimi per quegli anni, della misericordia divina e della comunio-ne frequente. Raccontava a ignazio di Loyola da Firenze

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È significativo che due delle tre opere edite dopo la metà degli anni cinquanta, quando si «perdono quasi definitivamente le tracce della figura di Tullio Crispoldi», si possono senz’altro ascrivere al genere dell’orazione mentale38. nel 1558 usciva, per i tipi veneziani di Rampazetto, un Trattato contempla-tivo con alcuni avvertimenti spirituali, che, stando alla sua ristampa secentesca a Roma, l’unica a es-sere sopravvissuta oggi, si incentrava sui temi della contemplazione orante attraverso, cito da Salvetto, «una metodica speculativa che, muovendo dalla visione interiore della creazione divina, si spingeva ai singoli momenti della Passione»39. E intorno a questi momenti verteva l’altra opera uscita l’anno seguente dai torchi della stamperia modenese dei Gadaldino e intitolata Considerationi et avertimenti spirituali (...) sopra la Passione di nostro Signore Gie-sù Christo non più vedute.

L’editore, nel dedicare il volume a Ercole ii d’Este, che si era distinto nella difesa di esponenti modenesi del dissenso religioso, ricordava di aver ricevuto il manoscritto direttamente dal padre in-quisitore di Modena, quel fra Domenico da imola, anch’egli attestato su posizioni di dialogo rispetto ai temi della controversia religiosa e collaboratore del già ricordato vescovo Foscarari, come lui in posses-so di manoscritti crispoldini per vie che non ci è dato conoscere40.

La tempistica scelta per l’edizione del testo può non essere casuale: mentre il Libro dell’oración di Granada incorreva nelle maglie della censura spa-gnola e nel 1559 veniva inserito nel Catalogus libro-rum prohibitorum41, le Considerationi et avertimenti spirituali di Crispoldi, che fin nei termini del titolo, “considerazioni” e “avvertimenti” richiamavano il testo del granatense, venivano editate in una tipo-grafia che già anch’essa aveva subito una condan-na inquisitoriale. Mentre la commissione di teologi spagnoli, guidati dal dotto Melchior Cano, guar-dava con ostilità il metodo di orazione proposto dal frate domenicano, in quanto esposto al rischio di travalicare gli enunciati ortodossi della fede, a Modena si creavano le condizioni per pubblicare un’opera ispirata a quel metodo, che tanta attrattiva esercitava sui laici più esigenti.

Alla loro contemplazione orante le pagine cri-spoldine offrivano la ricostruzione “scenografica” dei momenti più salienti della Passione, in analogia

salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 21.38 ivi, p. 9.39 ivi, p. 256.40 ivi, p. 257.41 h. kaMEn, Inquisition and society in Spain in the sixte-

enth and seventeenth centuries, London 1985, p. 82.

tematica e stilistica con i trattati già editi sul finire degli anni trenta nel contesto della Verona giberti-na: Alcune cose sopra la Passione del Salvatore nostro Iesu Christo, che nel 1547 sarebbero state tradotte in latino da Pietro Francesco Zini, e l’Historia del-la Passione del Salvator Nostro Iesu Christo, ridutta di tutti quattro li evangelisti in uno ordine. Ma già Alcune pratiche del viver christiano, edite nel 1536, proponevano «esercizi interiori, immaginativi, scan-diti dai giorni della settimana» e ispirati alle «corri-spondenti fasi della creazione dell’universo e della Passione di Cristo»42. Si leggeva già in quest’opera il termine di «consideratione», che Crispoldi dichia-rava di aver appreso dall’insegnamento di una non precisata figura che a sua volta era stata istruita da un «maestro»43. non si vogliono trarre conclusioni affrettate, ma proprio in questi anni, allo scadere del quarto decennio del Cinquecento, Granada era andato elaborando in forma di sermone quelle ri-flessioni De modo orandi che avrebbero costituito il nucleo germinale del Libro dell’oración44. Circo-stanza singolare soprattutto alla luce degli scambi culturali e spirituali fra la Spagna e l’italia.

in questa direzione si è già incamminata la ricer-ca di Salvetto che, ripercorrendo la complessa ge-nesi del celeberrimo Trattato utilissimo del beneficio di Cristo e dei suoi rapporti con un nutrito gruppo di testi anonimi di pietà, fra cui si contano anche i primi scritti di Crispoldi45, sottolinea la precoce cir-colazione italiana delle opere del Valdés, nelle quali si delineava un percorso di perfezione del cristiano analogo a quello promosso dal reatino: «la rinascita interiore», che doveva partire «da una riaffermazio-ne dei basilari precetti evangelici dell’amore verso Dio e verso il prossimo, e da una nuova riflessione sulla pratica cristiana dell’orazione, dell’Eucaristia e in generale dei sacramenti della chiesa»46. Affer-mazione che trova nuovo spessore se, nell’ideale percorso che da Valdés, per il tramite di Crispoldi, porta al Trattato utilissimo del beneficio di Cristo, si inserisce anche la riflessione di Granada, che già nel De modo orandi, e poi con più ampiezza nel Libro de la oración, prospettava come oggetto di medita-zione devota una theologia crucis risolta nell’econo-mia dei beneficia Dei.

A riprova di questa possibile affinità di pensiero fra il reatino e il frate domenicano si consideri il ri-correre in entrambi gli autori di una medesima ima-

42 salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 117.43 ivi, p. 141.44 Granada, Libro dell’orazione, p. 16.45 salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 184.46 ivi, p. 181.

anni prima il Crispoldi aveva trascritto i Dialoghi di Bernardino Ochino27, richiedeva al reatino suoi libri, di cui la marchesa si mostrava assai desiderosa. Ella era interessata soprattutto a un testo spagno-lo, che aveva ricevuto «tradotto in nostra lingua» e di cui desiderava un’altra copia da donare ad altra donna illustre28. «Molto volentieri», spiegava Ca-pilupi il 20 aprile, il Crispoldi «glielo manderebbe ogn’hor che fosse sicuro di rihaverlo, percioché an-chor che sia stampato non di meno se ne truova»29.

non si trattava, diversamente da quanto interpre-ta Salvetto30, di quell’Arte di servire a Dio di Alonso da Madrid, che sarebbe apparsa a stampa per i tipi di Francesco Rampazzetto nella traduzione italia-na di Crispoldi solo nel 1558, dunque quattro anni dopo il carteggio, ma di un testo di Luis de Grana-da, che era apparso alle stampe in spagnolo proprio nel 1554 ed aveva avuto un immediato straordinario successo, otto edizioni in un anno: il Libro de la ora-ción y meditation, che nell’introduzione era presen-tato come diviso in tre parti – come è in tre parti l’opera che Crispoldi inviava a Maria Paleologa –, sebbene poi il testo si fermasse di fatto alla seconda parte, e la terza venisse poi pubblicata nel 1556 in-sieme alla prima sezione de La guida de peccatori31. nulla sopravvive di questa importante edizione cri-spoldina, che al pari dell’originale spagnolo dovette godere di tanto successo da andare subito esaurita. Se ne ha solo un fugace ma fondamentale accen-no all’interno dei Monumenta ignatiana. il primo febbraio 1556 ignazio di Loyola esprimeva a padre Guzman parere positivo – «pare saria bene» diceva – circa «il far voltar in italiano» un «libro di frate Luigi de Granata (...) se qualche uno si trovasse atto per tal effetto»32. il gesuita si riferiva alla Guida de peccatori, edita in quell’anno insieme alla terza parte del Libro de la oración y meditation, di cui Crispoldi aveva a sua tempo tradotta la prima parte: «è vero che un Mr. Tullio Crispoldo, che forse lo cognove in Roma V.R., ha tradotta la prima parte»33.

27 ivi, p. 159.28 ASMn, Archivio Gonzaga, b. 889, c. 153r, lettera del 20

aprile 1554, citata in ivi, p. 248.29 ivi.30 ivi, p. 249.31 luis dE Granada, Libro dell’orazione e della meditazio-

ne, a cura di n. lEpri palEsati, Milano 1997, p. 17.32 s. iGnazio di loyola, Epistolae et instructiones. Mo-

numenta ignatiana, X, Madrid 1910, p. 598-599.33 ivi, p. 599. non sappiamo se l’impresa editoriale andò

in porto, ma certamente Granada il 31 marzo del 1556 invia-va a un padre gesuita forse Francesco Borgia, un suo scritto, promettendo di spedirgli, non appena pubblicata, «la ter-cera parte del Libro de la oración»: «El libro envío a vuestra reverencia, que ha contentado mucho al dr Torres, y paréceme

Maestro spirituale, versato sui due territori conti-gui della meditazione e della predicazione, Granada offriva con la sua opera un metodo di preghiera, di origine monastica, concepito in termini di stretta complementarietà rispetto ai modi dell’eloquenza sacra. L’oratio interior, della parola meditata nella preghiera individuale, e l’oratio esterior, della paro-la proferita dai predicatori, contribuivano entrambe congiuntamente a «plasmare l’immaginario e la per-cezione di molti laici»34. il metodo, secondo la pre-sentazione esemplare di Marc Fumaroli, si basava sulla «considerazione», intesa quale «presentazione interiore, sotto sembianze visive e sensibili, di un atto della vita di Cristo»35, che veniva a presentarsi al fedele come un «quadro interiore, silenzioso»36. L’esercizio metodico della “considerazione” porta-va a comporre una intera galleria di visioni interiori, che l’orante doveva continuamente considerare e meditare giorno per giorno in un esercizio quoti-diano di imitatio Christi.

Che Crispoldi abbia tradotto quest’opera subi-to a ridosso della sua prima edizione portoghese, segno eloquente e direi sorprendente dell’aggiorna-mento culturale su scala europea cui si alimentava-no lo studio e l’orazione coltivati nel nascondimen-to della sua stanza romana, autorizza a una serie di riflessioni che per la loro portata e complessità pos-sono qui essere riferite solo nella forma schematica e insieme problematica di possibili ambiti di ricer-ca, in direzione dei quali muovere per una più piena comprensione del reatino con l’auspicio di potere, per queste nuove vie, nuovamente affrontare le «troppe questioni» che intorno al personaggio Cri-spoldi rimangano «insolute» – dai tempi dei Giochi di pazienza alla recente monografia di Salvetto – «a cominciare da quella del rapporto tra i suoi scritti e la sua attività pratica»37.

que con razón. Así pienso hará a vuestra reverencia. Agora imprimo aquí la tercera parte del Libro de la oración, que al principio prometí, con algunas otras cosas añadidas. Cuando estuviere impreso, lo enviaré a vuestra reverencia. Y todavía espero los dos sermones que vuestra reverencia me escribe»: cfr l. dE Granada, Epistolario, a cura di A. huErGa, Cordo-ba 1991 (i ed. 1989), p. 41.

34 M. fuMaroli, La scuola del silenzio, Milano 1995, p. 299 (i ed. Paris 1994).

35 ivi. 36 ivi.37 C. GinzBurG - a. prospEri, Giochi di pazienza. Un

seminario sul “Beneficio di Cristo”, Torino 1975, p. 22. «La necessità di tenere insieme un saldo agostinismo, non esente da venature mistiche e le ragioni di una disciplina etico mo-rale fortemente ancorata ai principi di una azione pastorale nutrita di prassi sacramentale, di antiche liturgie e di sal-da obbedienza all’autorità ecclesiastica» è per Salvetto «la questione» ultima che attraversa «tutta l’opera del reatino»:

104 105

PoSt ScrIPtum57

In forma schematica, la nota che segue intende dare notizia di un’inedita pista documentaria, che si è aperta, in modo fortuito, nel contesto di una diversa ricerca storica, sulla figura di Tullio Crispoldi. I nuovi ritrovamenti rappresentano un’importante conferma degli indirizzi interpretativi affidati agli atti e merita-no perciò di essere qui almeno annotati in un elenco sintetico, in attesa che possano poi essere ripresi in termini più discorsivi all’interno di un nuovo ritratto biografico del canonico reatino, senz’altro auspicabile.

Un manipolo di lettere sottoscritte da Lorenzo Pancaldi, figura ancora poco nota di mercante, vici-no all’ordine barnabita sin dai primi tempi della sua fondazione58, risulta indirizzato da Roma a Milano al padre Gerolamo Marta negli anni del suo gene-ralato59. Fra il 1556 e il 1560, con frequente solleci-tudine, in particolare nell’arco del primo biennio, il Pancaldi informava padre Marta degli sforzi che andava compiendo per trovare un luogo atto a di-venire la sede romana della comunità barnabitica, allora di stanza a Milano. Con le lettere il mercante recapitava anche, e a volte soprattutto, i saluti di alcuni «amici fedelissimi»60, fra i quali figuravano, sempre accostati, i reverendi Bonsignore Caccia-guerra61 e maestro Tullio. Che si tratti di Crispoldi non è da dubitare: il 19 dicembre 1556 Pancaldi inviava a padre Marta la «nova oratione» con la

lo, “Memorie storiche della diocesi di Milano”, 8 (1964), p. 209-590, p. 486). L’8 ottobre 1579 riceveva da Bernardino Tarugi l’Arte di servire a Dio, tradotta da Crispoldi ed alle-gata a una missiva tutta significativamente volta a esaltare l’operato dei padri oratoriani (C. MarCora, Corrispondenza tra san Carlo e Francesco Maria Tarugi, “Memorie storiche della diocesi di Milano”, 14 (1967), p. 231-283, p. 265-269). Commenta la lettera d. zardin, Carlo Borromeo e la cultura religiosa della Controriforma, in Id., Carlo Borromeo. Cultu-ra, santità, governo, Milano 2010, p. 3-27, p. 18.

57 Ringrazio i curatori, Giovanna Baldissin Molli e Marco Agostini, per la disponibilità dimostrata nell’accordarmi di posporre questa nota alla mia relazione, in uno stadio molto avanzato della pubblicazione degli atti.

58 o. prEMoli, Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1931, p. 146-147.

59 Le lettere sono custodite in: Archivio storico dei barnabiti di Milano (ASBMi), Cartella gialla XXXiX, lettere di diverse persone, cioè di Lorenzo Pancaldo dal 1556 al 1574.

60 prEMoli, Storia dei barnabiti, p. 146.61 Sulla sua figura e sulle occorrenze della sua presenza

nel carteggio di Pancaldi cfr: r. dE Maio, Bonsignore Cac-ciaguerra, un mistico senese nella Napoli del Cinquecento, napoli 1965, p. 41, 152, 158. Uno spoglio di questa corri-spondenza anche in M. firpo, Nel laboratorio del mondo. Lorenzo Davidico tra santi, eretici, inquisitori, Firenze 1992.

«esortation de pigliar il santo Giubileo fatta per il nostro caro amicho maestro Tullio», che dell’opera aveva avuto modo di ragionare con il Cacciaguerra e il Pancaldi stesso62. Teatro di questi colloqui spi-rituali, fra maestri di fede e discepoli, non può che essere stata la chiesa di San Gerolamo della Carità, cui faceva riferimento l’omonima Compagnia63. Qui Bonsignore andò a risiedere dopo il suo trasferi-mento definitivo a Roma64 e qui si può, lecitamente, immaginare presente, almeno per gli anni indicati dalle lettere di Pancaldi, il canonico Crispoldi, che con ogni probabilità fra le mura della casa e della chiesa di San Girolamo conobbe e Filippo neri65 e il padre Pensabene De Turchetti66.

in questi anni, nonostante la lontananza fisica da Verona, Crispoldi continuò a mantenere vivi rap-porti di collaborazione con quella che, per oltre un decennio, era stata la sua diocesi. il vescovo Luigi Lippomano ebbe a recapitare personalmente al ca-nonico un libro di prediche che egli aveva commis-sionato al prete veronese Giovanni Del Bene: non contento di aver personalmente annotato il testo, era desiderio precipuo del vescovo ricorrere all’autorità esperta di Crispoldi, «il quale, havendo usato molta diligenza in rivederlo et correggerlo, consigliò poi, che per beneficio universale, si dovesse mandarlo in luce». La morte improvvisa di Del Bene bloccò

62 ABMi, Cartella gialla XXXiX: 19 dicembre 1556. L’o-pera è identificabile con l’Oratione per la pace, con exhortar ciascun fedel cristiano a prendere il santissimo Giubileo. Per messer Tullio Crispoldo da Riete, Roma 1556.

63 l. fiorani, “Charitate et pietate”. Confraternite e grup-pi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Storia d’Italia. Annali 16. Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Woityla, a cura di L. fiorani - A. prospEri, Torino 2000, p. 431-478.

64 r. zappEri, Cacciaguerra, Bonsignore, in Dizionario Bio-grafico degli Italiani, 15, Roma 1972, p. 786-788.

65 a. CistEllini, San Filippo Neri. L’oratorio e la congre-gazione oratoriana. Storia e spiritualità, i, Brescia 1989, p. 29, 34.

66 Turchetti «cominciò a praticare nella ciesa e casa di San Girolamo, ove allora erano uomini eminenti nello spi-rito, tra quali il padre Buonsignore e san Filippo neri, che dava principio alli essercizi dell’oratorio» (Vita del servo di Dio il p. Buonsignore Cacciaguerra compagno di S. Filippo Neri nella casa di S. Girolamo della Carità di Roma. Con l’ag-giunta delle vite di alcuni suoi penitenti, e di altri suoi compa-gni convissuti nella medesima casa, dedicata al glorioso padre S. Filippo Neri da Giovanni Marangoni sacerdote vicentino, Roma 1712, p. 66). Di seguito Giovanni Marangoni nota che egli «ebbe stretta amicizia con il p. Buonsignore Cacciaguer-ra, ma più familiare fu a Tullio Crispoldi» (ivi). Per quanto il passaggio non sia esplicitato dall’autore, risulta evidente, a fronte dei nuovi dati documentari a disposizione, che San Gerolamo della Carità sia stato il luogo dell’incontro fra Cacciaguerra, Crispoldi e Turchetti.

go Christi offerta alla pietà dei fedeli. La versione latina dell’Historia della Passione presentava, nella sua veste tipografica del 1547, una sola immagine come corredo iconografico: una rappresentazione essenziale, quasi spoglia, di Cristo in croce accom-pagnata dalla didascalia: «ecce, inquam, dominum nostrum in cruce nudum»47.

E il testo della meditazione, comparando la nu-dità senza vergogna di Cristo, agnello immacolato che con il suo sacrificio toglie i peccati dal mondo, al vergognoso ricoprirsi di vesti del padre Adamo subito dopo il peccato originale, esortava i fedeli perché avessero a contentarsi – nella doppia acce-zione del gioire e del ritenere sufficiente – del corpo nudo del crocifisso: «nos, fratres carissimi, Christo nudo contenti sumus»48. E allo stesso modo il grana-tense avrebbe invitato i fedeli a rimirare il modo in cui l’innocentissimo agnello acconsentiva a lasciarsi spogliare «perché con quelle vesti potesse coprirsi meglio che con foglie di fico (cfr Gn 3, 7) la nudità di chi, per il peccato, aveva perduto la veste dell’in-nocenza e della grazia ricevuta»49. E la meditazione si scioglieva nell’esortazione rivolta all’anima fedele perchè desiderasse di incorporarsi in un quel cro-cifisso nudo: «Orsù dunque, anima mia, impara anche tu a seguire Cristo, povero e nudo; impara a disprezzare tutto ciò che il mondo può dare, per meritare di cingere, con braccia nude, quel Signore nudo e di essere unita a lui da un amore che sia anch’esso nudo, non contaminato da alcun altro ca-duco amore»50.

E seguendo il filo di una suggestione immagina-tiva, evocata da queste parole, mi piace accostare alla contemplazione della nudità di Cristo il di-svelamento di un’altra nudità, che in essa riposa e da essa trae il suo alimento e la sua legittimazione: «non ha da mostrare la vera virtù finto et fallace sembiante», argomentava Federico Borromeo nelle carte manoscritte del suo De fugienda ostentatione, «ma dee esser nuda, e pura, e castissima, et invio-labile», e, secondo la logica di quel nascondimento paradossale, caro a Crispoldi, a Filippo neri e al di lui discepolo, «dee essere splendida e formosa con quella bellezza, che ancora piace ad occhi chiusi»51. Fra gli inveramenti storici di questa virtù nuda il

47 t. Crispoldi, In Domini nostri Iesu Christi passionem et mortem commentarii, maxima tum eruditione, tum pietate insignes ex italica lingua communi in veterem latinam con-versi, Petro Francisco Zino interprete, Venezia 1547, p. 70r.

48 ivi, p. 69v.49 Granada, Libro dell’orazione, p. 280.50 ivi.51 f. BorroMEo, De fugienda ostentatione, BAMi, G 5

inf., nr 4, f. 1r.

cardinal Federico, ripercorrendo le «memorie d’al-cuni segnalati huomini»52, ricordava in Roma «una certa Academia formato da Gio. Matteo Giberti»53, cui partecipavano «Marco Antonio Flaminio, suo familiare, i Turriani ed altri veronesi»54.

Proprio tale accademia, di cui non ho trovato altra testimonianza all’infuori di questa federicia-na, può essere stata il luogo del primo incontrarsi e reciprocamente riconoscersi del giovanissimo Tul-lio, sicuramente a Roma intorno al 1527, quando abbracciò lo stato ecclesiastico, e l’allora potente datario di Clemente Vii.

Siamo giunti così, nel procedere a ritroso, agli inizi del percorso formativo di Crispoldi, che, stan-do alle tappe qui ricordate, sembra essersi snoda-to senza soluzioni di continuità, nella fedeltà a un modello di vita interiore coltivato sin da subito alla scuola di Giberti e mantenuto vivo, nel progressivo mutare del quadro storico di riferimento, attraverso un’ininterrotta produzione letteraria.

La riscoperta traduzione del libro di Granada non solo permette di identificare nella forma del-la oratio interior il principale motivo conduttore di questa produzione, ma assegna a Crispoldi un ruo-lo fondamentale nella diffusione, così importante, dell’orazione mentale nel cuore della Chiesa post-tridentina, fra i gesuiti, pur già allenati agli esercizi ignaziani, fra gli oratoriani di Filippo neri e nella Milano carolina, un’orazione mentale da intendersi, con Fumaroli, quale palestra di un metodo che cia-scuno può adattare al proprio carattere individuale: «più emotiva», quella adottata da Filippo neri, «più severa» quella di Carlo e della sua cerchia55, ma in ogni caso mediata, anche, dagli scritti di Crispoldi, cui proprio Borromeo ebbe a prestare attenzione56.

52 ivi, f. 64.53 ivi, f. 66.54 ivi, f. 67. La citazione completa è la seguente: «Pari-

mente in Roma vi fu una certa Academia formata da Gio. Matteo Giberti, della quale ho veduto una piccola inscrittio-ne sopra un muro di certe stanze d’una vigna nella quale io mi abbattè ad entrare insieme col Cardinale Aldobrandinio, che poi fu Clemente Ottavo, et insieme considerammo la inscrittione. Marco Antonio Flaminio fu suo familiare et i Turriani, et altri Veronesi et i libri che a lui furono dedicati lo dimostrano».

55 fuMaroli, La scuola del silenzio, p. 301. 56 Già l’8 luglio del 1564 Borromeo inviava a Ormaneto

ancora inediti «quei ricordi di monsignor Giovanni Matteo per l’offitio dei curati nelle loro chiese insieme con le ag-gionte del Crispoldo» e insieme inviava anche «quel libric-ciuolo del medesimo Crispoldo da confortare i condannati a morte», che voleva che il suo vicario valutasse «con qualche persona dotta e religiosa», mostrandolo «particularmente al padre inquisitore» prima di decidere di «adoperarlo a suo piacere» (C. MarCora, Niccolò Ormaneto, vicario di san Car-

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Uno dei temi fondamentali che contraddistin-sero l’operato del vescovo Gian Matteo Giberti (1495-1543) nella diocesi di Verona, agli inizi del secolo XVi, fu la “restaurazione” della liturgia, ben consapevole che la riforma del clero e della spiri-tualità popolare della diocesi di Verona non pote-vano ritenersi pienamente realizzate al di fuori del rinnovamento di essa, restituendo alle celebrazioni sacre “solennità”, “decoro”, svincolate da qualsiasi elemento profano.

nel breve excursus storico delle Scuole Accolita-li, Antonio Spagnolo, prefetto della Biblioteca Ca-pitolare, scrive: «Appena fu tra noi, anzi direi prima ancor di venire, egli rivolse il suo pensiero, le sue prime cure alla cattedrale e volle che questa chiesa e riguardo al materiale e riguardo al servizio divino e riguardo al clero che la officiava, fosse modello a tutte le altre della città e della diocesi»1.

nel contesto della restaurazione della liturgia, di cui l’attività musicale era considerata lo strumento privilegiato di elevazione spirituale e culturale dei fedeli, il vescovo Giberti prese particolarmente a cuore la formazione degli Accoliti, ossia di colo-ro «qui vitæ, scientiæ integritate suis essent ovibus profuturi»2.

Si prese cura personalmente della didattica e della nomina dei maestri nelle scuole degli Accoliti, affinché la direzione e, soprattutto, l’insegnamen-to delle discipline fosse affidato a persone compe-tenti: «optimos et doctissimos habeant litterarum et musicæ præceptores»3. La scuola degli Accoliti do-veva costituire il “seminario” per la formazione di compositori e cantori a servizio della cattedrale e delle chiese della diocesi, promovendo l’istituzione di scholæ di alto livello professionale, come veni-

1 Cfr a. spaGnolo, Le Scuole Accolitali in Verona, Vero-na 1905, p. 37.

2 Cfr ivi, Le Scuole Accolitali, p. 37.3 Cfr P.F. zini, Boni Pastoris exemplum ac specimen sin-

gulare (prima ed. Venetiis 1556), p. 33.

va auspicato dallo statuto papale Pro reformatione Cappellæ S.mi D. N. del 1487: «cantores debent esse (...) in musica experti, habentes voces idoneas (...) et practicam bonam».

Portavoce e promotore del pensiero di Giberti a riguardo della “musica ecclesiastica”4 fu sicuramen-te don Biagio Rossetti (Rossetto) (1473-1558), ma-estro di cappella e organista della cattedrale, uomo di lettere ed esperto teorico ed erede di una cultura musicale di sana tradizione. il suo trattato Libellus de rudimentis musices5, oltre a offrire ai giovani ac-coliti un compendio di teoria musicale, codifica una serie di norme riguardanti il coro e l’uso dell’orga-no, che formano un vero e proprio “direttorio” sul-la prassi musicale liturgica e che Giberti intendeva mettere a disposizione dei chierici.

Lo si evince dalla dedica del Libellus a Giberti: «Esortato a scrivere questo trattatello sui rudimenti della musica sottoposi le mie spalle, o eccellentissi-mo Vescovo, a questa fatica. non perché tali argo-menti non siano stati trattati con ricchezza di dati e con molta completezza dagli antichi maestri (...), ma per fornirmi l’occasione, sotto questo pretesto, di introdurre una formula attraverso la quale poter impartire ai ragazzi, nella maniera più semplice, i primi elementi della musica, e per mettere in luce alcuni abusi che quotidianamente maturano nella tua Cattedrale. Mi spinse ad affrontare questo inca-rico, anche se impari alle mie forze, il tuo Giovan-

4 La terminologia in vigore agli inizi del secolo XVi per denominare il canto nella liturgia è quella di cantus planus-ecclesiasticus, per il canto gregoriano, e di cantus figuratus o cantus musicus, per il canto a più voci. La terminologia di musica practica è adoperata per definire la scienza del com-porre. La denominazione di “musica sacra”, riferita al canto e alla musica nella liturgia, viene adottata per la prima volta nella legislazione ecclesiastica nell’Ordinatio de musica sacra di papa Leone Xiii nel 1894.

5 rossEtti Blasii, Libellus de rudimentis musices a cura di P. Minuz, Verona 1985 (Antiquæ Musicæ Italicæ Scriptores).

La riforma musicale e liturgica di Giberti

alBErto turCo

il progetto editoriale, che uscì postumo alle stampe nel 1562 per interessamento del fratello dell’autore, «essortato dal detto messer Tullio».

non è escluso che a questo lavoro di revisione del testo di Del Bene facesse riferimento il gesuita Giovanni Polanco, quando, in una lettera inviata da Roma il 26 novembre 1559, così rassicurava il padre Alfonso Salmeron: «m. Julio Crispoldo l’a finiti già quelli suoi concetti sopra li evangelii di tutto l’anno, et quando saranno stampati si mandarà un volume di quelli». Diversamente, occorre immaginare che i «concetti» rappresentassero quel commentario ai quattro Vangeli, di cui si ha notizia fra le opere at-tribuite a Crispoldi, ma di cui non si è rinvenuta ad oggi alcuna edizione67. in ogni caso lo scambio epistolare testimonia di per se stesso l’interesse co-stante nel tempo dei padri gesuiti verso gli scritti del canonico. Un interesse che risale indietro nel tempo fino a quei cruciali anni finali del terzo decennio del Cinquecento, quando il reatino richiese al gesuita Bobadilla un parere sulle sue “opere”, come di lì a poco avrebbe fatto Reginald Pole, a proposito, però, di scritti non suoi. Lo dichiara Bobadilla stes-so nel suo memoriale del 1583: «nos repartimos por el venetiano, y al p. Paschasio y á mí nos uino por suert la ciudad de Verona, donde stava Tullio Crispol-do, que mi dió á esaminar sus obras; y después mi dió el cardenal d’Ingilterra, ciertos libros sospechosos, no suyos, para que los examinasse»68.

Questi nuovi ritrovamenti chiariscono diversi aspetti dell’ultimo periodo dell’attività di Tullio Crispoldi e permettono di illuminare retrospettiva-mente anche il primo periodo della sua biografia. La scarna notizia del memoriale andrebbe certamente approfondita, in quanto si colloca in anni davvero cruciali per la storia della cristianità, così come sa-rebbe auspicabile verificare, consultando l’archivio della confraternita di San Gerolamo della Carità, se il giovane Tullio Crispoldi, nei suoi primi e davvero oscuri anni romani, non sia stato ascritto tra i sodali della Compagnia, fortemente voluta da Leone X e Clemente Vii, di cui Giberti fu il potente datario.

67 salvEtto, Tullio Crispoldi, p. 263.68 n.a. BoBadilla, Gesta et scripta, Madrid 1913, p. 560.