discorsi e testimonianze sul nubilato

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21 Capitolo I Discorsi e testimonianze sul nubilato 1. Premessa ai discorsi La presente ricerca è l’inizio di un percorso che vorrebbe chiarire i tratti della condizione femminile a Roma nei secoli centrali del medioevo: programma ambizioso se non fosse corretto dalla consapevolezza dei limiti di chi scrive e dai confini oggettivi imposti dalla documentazione romana, cioè dalla scarsità delle fonti narrative, dalla discontinuità e frammentarietà dei nuclei archivistici, talvolta dalla loro inaccessibilità. Tali elementi condizionano il tentativo costringendoci a parlare della condizione delle donne esclusivamente riguardo alla gestione dei patrimoni familiari. Questo perché la fonte notarile è l’unica cui possiamo domandare, con la speranza di ricevere delucidazioni. Su questa documentazione, di cui ho descritto la mappatura nel capitolo sulle fonti, è stato fatto un lavoro di consistenza in prima battuta, e un lavoro di selezione paradigmatica, in seconda battuta. Tenendo a mente le valide indagini sulla condizione femminile in altri luoghi della penisola ma riflettendo sul fatto che i riferimenti legislativi romani fino alla redazione degli Statuti del 1363, restano poco chiari, si è cercato di capire cosa fosse consueto e cosa non lo fosse, cosa fosse lecito e cosa al di fuori della liceità, intrecciando a queste ipotesi una riflessione sulla percezione che del confine tra lecito e non lecito potevano avere le donne 1 . A un insieme di atti che si appiattiscono sulla consuetudine o sulla normativa, si affianca un insieme di documenti selezionati perché paradigmatici di comportamenti distanti dalla consuetudine, che creano luoghi di rivendicazione di desiderio, per parte di donne. Parleremo di donne che agiscono sui patrimoni, in termini di presenza, talvolta efficace, ma anche soppesandone l’assenza virtuale. Oltre alla divisione cronologica e per tipologia documentaria (atti riguardanti doti e matrimoni; testamenti; donazioni e oblazioni; compravendite, locazioni, pegni e altro; consensi e rinunce; arbitrati) la presenza femminile è stata ripartita secondo lo status vitae (nubili, religiose, sposate e vedove). Per la presente ricerca è fondamentale una panoramica di ampio respiro sulle strutture culturali cui le donne dei secoli centrali del medioevo, sono invitate a omologarsi, acquisendo un ruolo sociale. Cultura laica ed ecclesiastica, in parallelo, contribuiscono alla costruzione di un modello femminile ben individuato, ne discende un dispositivo d’indicazioni comportamentali pensato per ogni tipologia femminile: per le nubili, le religiose, le sposate e le vedove. Tali proposte indirizzate alle donne, sono il sostegno di una determinata struttura sociale gerarchizzata dei generi, che si vuole si realizzi e si desidera soprattutto difendere e perpetrare. Sono percorsi differenti che corrono paralleli: lo sguardo della chiesa sulle donne produce il suo modello traendo autorità dalla fonte biblica, elaborandolo nella riflessione teologica. Questo prototipo è poi utilizzato per modellare la legislazione canonica, e la serie di figure comportamentali femminili nei racconti agiografici. 1 Il diritto romano nell’Urbe era rimasto quasi indenne da contaminazioni longobarde e si era tramandato con opportuni aggiornamenti fino al secolo IX anche attraverso la Summa Perusina, testo di autore anonimo che riporta notazioni alla legislazione giustinianea. Esso meriterebbe maggiore attenzione in generale, per quel che concerne la presente ricerca, è possibile notare che le norme inerenti la vita delle donne (matrimonio, adozioni, divorzi, prostituzione, trattamento degli schiavi e delle schiave) trovano una eco nell’analisi della documentazione. Per quel che concerne le ipotesi, fondate, su formulazioni di statuti cittadini anteriori agli unici conservati del 1363, v. MAIRE VIGUEUR, Il comune romano, in Roma Medievale, p. 119; per una panoramica politico- istituzionale recente sulla penisola italiana v. MAIRE VIGUEUR, FAINI, Il sistema politico dei comuni italiani.

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Capitolo I

Discorsi e testimonianze sul nubilato

1. Premessa ai discorsi

La presente ricerca è l’inizio di un percorso che vorrebbe chiarire i tratti della condizione femminile a Roma nei secoli centrali del medioevo: programma ambizioso se non fosse corretto dalla consapevolezza dei limiti di chi scrive e dai confini oggettivi imposti dalla documentazione romana, cioè dalla scarsità delle fonti narrative, dalla discontinuità e frammentarietà dei nuclei archivistici, talvolta dalla loro inaccessibilità.

Tali elementi condizionano il tentativo costringendoci a parlare della condizione delle donne esclusivamente riguardo alla gestione dei patrimoni familiari. Questo perché la fonte notarile è l’unica cui possiamo domandare, con la speranza di ricevere delucidazioni.

Su questa documentazione, di cui ho descritto la mappatura nel capitolo sulle fonti, è stato fatto un lavoro di consistenza in prima battuta, e un lavoro di selezione paradigmatica, in seconda battuta.

Tenendo a mente le valide indagini sulla condizione femminile in altri luoghi della penisola ma riflettendo sul fatto che i riferimenti legislativi romani fino alla redazione degli Statuti del 1363, restano poco chiari, si è cercato di capire cosa fosse consueto e cosa non lo fosse, cosa fosse lecito e cosa al di fuori della liceità, intrecciando a queste ipotesi una riflessione sulla percezione che del confine tra lecito e non lecito potevano avere le donne1.

A un insieme di atti che si appiattiscono sulla consuetudine o sulla normativa, si affianca un insieme di documenti selezionati perché paradigmatici di comportamenti distanti dalla consuetudine, che creano luoghi di rivendicazione di desiderio, per parte di donne. Parleremo di donne che agiscono sui patrimoni, in termini di presenza, talvolta efficace, ma anche soppesandone l’assenza virtuale.

Oltre alla divisione cronologica e per tipologia documentaria (atti riguardanti doti e matrimoni; testamenti; donazioni e oblazioni; compravendite, locazioni, pegni e altro; consensi e rinunce; arbitrati) la presenza femminile è stata ripartita secondo lo status vitae (nubili, religiose, sposate e vedove).

Per la presente ricerca è fondamentale una panoramica di ampio respiro sulle strutture culturali cui le donne dei secoli centrali del medioevo, sono invitate a omologarsi, acquisendo un ruolo sociale.

Cultura laica ed ecclesiastica, in parallelo, contribuiscono alla costruzione di un modello femminile ben individuato, ne discende un dispositivo d’indicazioni comportamentali pensato per ogni tipologia femminile: per le nubili, le religiose, le sposate e le vedove. Tali proposte indirizzate alle donne, sono il sostegno di una determinata struttura sociale gerarchizzata dei generi, che si vuole si realizzi e si desidera soprattutto difendere e perpetrare. Sono percorsi differenti che corrono paralleli: lo sguardo della chiesa sulle donne produce il suo modello traendo autorità dalla fonte biblica, elaborandolo nella riflessione teologica. Questo prototipo è poi utilizzato per modellare la legislazione canonica, e la serie di figure comportamentali femminili nei racconti agiografici.

1 Il diritto romano nell’Urbe era rimasto quasi indenne da contaminazioni longobarde e si era tramandato con opportuni

aggiornamenti fino al secolo IX anche attraverso la Summa Perusina, testo di autore anonimo che riporta notazioni alla legislazione giustinianea. Esso meriterebbe maggiore attenzione in generale, per quel che concerne la presente ricerca, è possibile notare che le norme inerenti la vita delle donne (matrimonio, adozioni, divorzi, prostituzione, trattamento degli schiavi e delle schiave) trovano una eco nell’analisi della documentazione. Per quel che concerne le ipotesi, fondate, su formulazioni di statuti cittadini anteriori agli unici conservati del 1363, v. MAIRE V IGUEUR, Il comune romano, in Roma Medievale, p. 119; per una panoramica politico-istituzionale recente sulla penisola italiana v. MAIRE V IGUEUR, FAINI , Il sistema politico dei comuni italiani.

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Lo sguardo del mondo laico sulle donne elabora e prescrive comportamenti accettabili, per delimitare l’agire femminile attraverso un complesso di proposte comportamentali spendibili in società, da qui i modelli comportamentali sul ruolo delle donne in famiglia e nella società. Queste proposte diventano ammonimenti e poi avvisi vincolanti nella legislazione, che su di essi è modellata. Il complesso individuato di norme indirizzato alle donne nubili, quelle non ancora sposate e non ancora consacrate a Dio, è il frutto della convergenza consapevole di prototipi laici ed ecclesiastici.

Due sguardi s’incrociano sullo stesso oggetto che però è un soggetto, pensante e desiderante. Proprio accennando ai discorsi intorno allo stato nubilare e confrontando questi con le

testimonianze tratte dai documenti cercheremo di capire in che maniera le donne si omologassero a questi modelli, deducendo cosa fosse percepito come consueto, e quindi accettato, cosa fosse lecito e tollerato ma inaspettato, e cosa assolutamente impossibile ma, forse, desiderato.

La serie documentaria selezionata inizialmente in base alla sola presenza di donne, come già detto è ripartita secondo lo status vitae; poi in altre sottocategorie.

Nella prima abbiamo separato gli atti con cui si costituisce una dote, vendendo o acquistando beni per opera di attori diversi, dagli atti in cui troviamo veri e propri contratti matrimoniali che descrivono i tratti del sistema dotale e i suoi cambiamenti. Qui emerge il ruolo marginale che la giovane donna ricopre nella costituzione e nella gestione della dote, la passività del suo esserci e la condizione di perenne tutela cui è sottoposta.

Anche i testamenti sono separati in due categorie: quei pochi casi in cui donne nubili sono testatrici, e quelli in cui sono beneficiarie di lasciti testamentari. Sebbene la seconda serie superi notevolmente la prima, per motivi non solo legati all’età, le testatrici nubili sembrano condividere il desiderio di destinare i propri beni variando rispetto alla consuetudine, deviando dalla linea di trasmissione maschile, a differenza dei loro padri, delle loro madri, dei fratelli, che disponendo lasciti testamentari minimi alle nubili, modellano le proprie scelte sullo schema di trasmissione agnatizio.

Le donazioni inter vivos e quelle pro anima sono state separate, da un lato le donatrici, dall’altro le beneficiarie di donazioni, affinché emergesse la preponderanza delle prime, specialmente nelle donazioni pietose, evidenziando un rapporto privilegiato con il sacro, ma anche un’affiliazione agli enti ecclesiastici presenti sul territorio che la nubile era inevitabilmente incoraggiata a intrecciare, specialmente se rimasta priva di parenti maschi.

Un discorso a parte meritano le oblazioni delle nubili: poche invero ma ricche di spunti di riflessione perché strumento lecito e accettato, di cercare una condizione di vita alternativa al matrimonio, percepita come meno vincolante. Non escludendo che l’oblazione dei propri beni (e del proprio corpo) possa essere il preludio a una santa vita, più spesso probabilmente era un modo per proteggere il patrimonio e vivere una vita lecitamente alternativa.

Il numero maggiore di documenti patrimoniali dove siano presenti donne nubili riguarda compravendite, contratti di locazione, contratti ad laborandum, pegni, permute: fatto che deriva dalla natura delle fonti romane e non determina immediatamente un giudizio in merito ad una presunta predisposizione alle trasferte patrimoniali. In molti di questi atti - non mancheremo di segnalarli - le nubili sono solamente citate come confinanti dei beni immobili, spesso non ricoprono un ruolo attivo eppure talvolta appaiono in maniera efficace nei documenti.

Per misurare l’incisività della loro presenza, gli atti di compravendita sono stati divisi in due categorie: la prima in cui troviamo donne che alienano beni, vendendo o locando; e la seconda in cui troviamo donne che acquisiscono beni, comprandoli o prendendoli in locazione. Questo perché ipotizziamo - senza che questo divenga un assioma - che le donne annoverate nella seconda gamma siano connotate da un maggiore grado di autonomia decisionale. Sono distinzioni funzionali alla conferma di una casistica di comportamenti che faccia da sfondo all’emergere di situazioni eccezionali - quel non ancora agito, quel non ancora detto - di cui siamo alla ricerca.

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Nell’insieme delle compravendite la scarsità di nubili lavoratrici tradisce una marginalizzazione sociale ed economica, i pochi casi individuati affermano però una possibilità concreta: restare nubili, non consacrandosi né a un uomo né a Dio, e vivere del proprio lavoro.

Pochi sono i documenti in cui le nubili dichiarano il proprio consenso a compravendite o pronunciano la rinuncia ai propri diritti con altre donne, parenti e no. Questi atti descrivono un’intricata rete di rapporti parentali e di diritti sul patrimonio, in cui è difficile ritrovare segnali di autonomia così come negli arbitrati, potenziali luoghi di rivendicazione di diritti che palesano invece la stretta tutela cui le nubili sono sottoposte.

Le sottocategorie qui citate, interne a ogni tipologia documentaria, fungono da filtro per individuare atti situazioni in cui le donne sembrano meno vincolate, in cui emerge la loro volontà.

Con l’ausilio di questi documenti cercheremo di capire quale ruolo avessero nelle contrattazioni matrimoniali; la percezione della libertà di cui godevano nominalmente nel testare; il numero delle occasioni di donare i propri beni e dedicare la propria vita loro concesse e il grado di libertà percepito; il reale peso nelle compravendite e nelle trasferte patrimoniali; il significato, concreto e simbolico della pratica del consenso e della rinuncia; le potenzialità dell’arbitrato come luogo di rivendicazione di diritti. 1.1. Doppio sguardo: le oscillazioni della Chiesa e l’ambigua fermezza laica

Tentiamo un’operazione di raffronto tra modelli e comportamenti, per valutarne il grado di

sovrapposizione. Membri del clero e laici descrivono modelli femminili cui conformarsi, veri e propri exempla,

ideali comportamentali, che la storiografia ha tratteggiato incrociando cronache, diari, agiografie, letteratura precettistica, trattati teologici, letteratura, iconografia.

Come se per ricostruire i comportamenti di un determinato gruppo sociale in una determinata epoca, ci rivolgessimo esclusivamente alla legislazione avremmo un quadro parziale del tutto, così i modelli devono essere valutati, quanto ad efficacia e pervasività, sui comportamenti, non per giudicarli ma solo per capire quanto e come le persone, si omologassero, consapevolmente o no, a quelli.

L’ideale insieme delle prescrizioni comportamentali, deve affrontare la realtà che emerge dalla serie discontinua eppure saltuariamente significativa, dei nostri documenti.

La chiesa di Roma confezionando i propri modelli trae autorità dal testo sacro della Bibbia, dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, con accurate esegesi, ma anche attingendo secondo necessità, decontestualizzando.

Le due versioni della Genesi, in cui Dio padre procede alla creazione dei generi, plasmando l’uomo e la donna, motivano la discriminazione femminile: nella prima versione però la creazione descrive una situazione di parità, «Dio creò l’uomo e la donna» (Genesi 1, 26-31); nella seconda versione la donna è creata da una costola dell’uomo (Genesi 2, 18-24), elemento che ne giustifica la subordinazione fisica e morale. Nell’Antico Testamento, numerosi gli esempi a sostegno dell’inferiorità femminile: molte storiche ne hanno individuato entità e significati2.

Anche il Nuovo Testamento, prescrive le norme del comportamento femminile, attraverso richiami alla continenza sessuale, alla moderazione nel parlare, suggerimenti nella scelta del vestiario, limitazioni a una libertà femminile percepita come una minaccia. Gli ammonimenti partono dalla constatazione della debolezza naturale delle donne, da cui deriva la necessità di controllarle per evitare la perdita dell’integrità fisica e morale: il rimedio più efficace, in definitiva, è la segregazione. Nel concepire il modello femminile più influente sulla cultura occidentale,

2 Cfr. la bibliografia selettiva ma per un testo maneggevole e corredato da un’ottima bibliografia v. URSO, La donna e la

Chiesa, in part. pp. 67 e ss.

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ecclesiastica e laica, Paolo di Tarso ha avuto un ruolo eminente. Una esegesi oramai condivisa ne contestualizza i moniti misogini (1 Cor. 14, 36) considerandoli circostanziali o interpretandoli come interpolazioni di glossatori: per noi si tratta di individuare la volontà di trasmissione d’una certa immagine della donna, dimessa e silenziosa ai limiti dell’autismo, per una questione di controllo sociale. E’ vero, Paolo di Tarso non è sempre misogino, egli equipara i generi dicendo: «l’uomo che prega o profetizza e la donna che prega o profetizza» non dimostrando alcuna avversione o desiderio di sottomissione (1 Cor. 11, 4-5); poi però invita le donne all’afasia in pubblico e possibilmente anche in privato (1 Cor. 14, 33-35).

Le Sacre scritture sono la fonte autoritaria cui attingere, per installare e difendere una gerarchia sociale, ma è la riflessione teologica, il luogo di fermentazione di tali assunti, che diventano così ammonimenti prima solo letterari e poi vincolanti nella legislazione, prendendo in prestito dalla filosofia ragionamenti e dimostrazioni. Così si confezionano indicazioni efficaci, si forniscono direttive precise, si fondano strutture di pensiero a sostegno del modello più alto di femminilità - quello virginale - via d’accesso privilegiata verso l’espiazione dalla colpa di essere donna.

Questo è chiaro quando riflettiamo sulla percezione della violazione del corpo della nubile: esso è dolo peggiore di quello perpetrato ai danni della donna adulta, vedova o sposata; sebbene possa essere riparato attraverso il matrimonio, è un gesto scellerato perché la nubile è la donna indifesa per eccellenza.

I padri della Chiesa per arricchire la riserva di contributi giustificatori della subordinazione femminile, hanno attinto alla filosofia pagana. Aristotele sostiene la subordinazione fisica e morale delle donne3, il suo discorso di radicalizza nella riflessione dei padri della chiesa: la donna incarna il peccato, è quindi necessario vincolarla in modo da correggerne questa naturale inclinazione. Notevole l’influenza culturale delle teorie di Agostino, tramite fra cultura pagana e cristiana, e poi di Tommaso d’Aquino4.

Nei primi secoli dell’era cristiana a questi discorsi s’intrecciava una questione pratica, di gestione del potere, che rende la misoginia necessaria al discorso teologico: la gerarchia ecclesiastica in costruzione deve essere mondata dalla presenza femminile per problemi legati alla trasmissione dei patrimoni ecclesiastici.

Deve essere interdetta quella capacità di comunicazione con il sacro appannaggio femminile fin dalla protostoria5, questo si realizza nel secolo IV dell’era cristiana. Nei primi secoli del cristianesimo le donne condividevano ancora con gli uomini talune prerogative sacrali, rivestendo anche un ruolo nell’amministrazione vera e propria della religione, soprattutto in Oriente. La presenza femminile, simbolica e attiva nell’amministrazione delle prime comunità cristiane, il cosiddetto diaconato femminile, è stato smantellato grazie ad un imponente apparato culturale: per motivare, sostanziare e diffondere i motivi dell’esclusione femminile6.

La Chiesa e il mondo laico, condividono un interesse per i comportamenti delle donne nubili con diversa intensità, motivati da obiettivi differenti, nonostante ciò le pratiche sono convergenti.

La forza della pastorale ecclesiastica degrada quanto ad intensità a seconda che si tratti di donne sposate, vedove, nubili o già avviate a una vita religiosa, perché è più importante stringere d’assedio le prime due categorie: sono maggiormente soggette alla corruzione del corpo e dell’anima, entrando in contatto con il mondo, e sono potenziali testatrici. L’ammonimento loro rivolto si realizza additando un modello comportamentale altissimo, la figura della nubile illibata e della religiosa. La segregazione del chiostro protegge illibate le donne religiose, come le nubili modelli

3 Aristotele è convinto che una materia diversa implichi una forma diversa, quindi l’essere corporeo della donna deve

comportare una diversità anche nelle caratteristiche della sua anima, essendo l’anima forma del corpo. Sulla base della fisiologia del tempo, Aristotele pensa sia solo il seme maschile portatore di vita, quindi attivo, la donna sarebbe totalmente passiva nella generazione. La donna è diversa dall’uomo, è uomo inferiore, mas occasionatus, incompleto perché menomato nel corpo e nello spirito, per un approccio storico-filosofico all’evoluzione delle dottrine, cfr. PAGELS, Adamo, Eva e il serpente, in part. pp. 160-188.

4 Per comprendere appieno questa costruzione culturale fondamentale il testo della teologa BØRRESEN, Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso d’Aquino, v. in part. pp. 25-45; pp. 144-171.

5 Intorno al rapporto delle donne con il sacro v. CLÉMENT, KRISTEVA, The Feminine and the Sacred; e l’interessante punto di vista di IRIGARAY, Le donne il sacro e la moneta.

6 Sul diaconato femminile v. URSO, La donna e la Chiesa, p. 77, n. 28.

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per la produzione di exempla, che creano un ideale di donna inconsistente, un’immagine, inarrivabile quanto frustrante per le altre donne.

Nella realtà la Chiesa delega alla famiglia il compito di proteggere la giovane donna: per le nubili e le religiose la segregazione vale come indicazione di massima e chiave di volta della loro salvezza spirituale e corporea. La nubile appare agli occhi degli esponenti del clero una donna facilmente controllabile perché priva di un’individualità, sottoposta com’è al rigido controllo del padre, dei fratelli, delle madri, degli zii e di altri consanguinei o affiliati.

Del resto nell’immaginario condiviso la nubile non è ancora donna appieno, potrebbe presto sposarsi; potrebbe manifestare l’interesse per una vita religiosa: troppi condizionali per maturare un reale interesse nei suoi confronti.

Non è titolare di personalità né tantomeno di diritti perché tutti sanno che le sue scelte non sono sue, ma della famiglia, non riconoscendole autonomia di pensiero e azione non può diventare fonte di preoccupazioni. Del resto nubile lo sarà per poco tempo, il suo spazio di vita è scandito da tappe imprescindibili, non è necessario sprecare parole per Lei, la famiglia sa di doverla mantenere casta e basta.

Il mezzo più efficace e meno impegnativo per raggiungere questo scopo è l’isolamento che preserva la purezza del suo sguardo, e la mette al riparo dallo sguardo altrui, in una concezione del desiderio tutta maschile che passa attraverso, e si consuma, nella visione7.

Come le giovani donne conoscono i canoni da seguire? Nel medioevo, veicoli della propaganda ecclesiastica, sono la letteratura, la predicazione nelle

chiese e nelle piazze, la liturgia, l’apparato iconografico con i suoi codici simbolici. La letteratura comprende una varietà di generi didascalici: dall’agiografia alle opere precettistiche, dai penitenziari agli specchi, la Bibbia o le opere teologiche sono strumenti degli amministratori della religione. Certo accennando alla letteratura, bisogna sempre valutare la diffusione dei testi ma soprattutto il grado di alfabetizzazione, non ineluttabilmente connesso allo strato sociale di appartenenza; tra le donne sono le religiose quelle che imparavano per necessità a leggere e scrivere8.

La predicazione colpisce l’immaginazione di un numero maggiore di donne rispetto alla letteratura: la donna, la nubile, conosce i propri doveri perché in chiesa o in piazza ha introiettato certi ammonimenti, l’educazione che le è impartita in famiglia echeggia le direttive ecclesiastiche così giunte all’orecchio del laico9. Anche le immagini, in un mondo di analfabeti e analfabete, sono strumento di ammonimento semplice ed efficace, una gamma di figure che dà forma a gesti e pensieri10.

Qualunque sia il veicolo di propaganda dei modelli comportamentali femminili essi non prescindono mai dall’utilizzo della divisione in categorie misurata sul grado di purezza sessuale: prima le nubili, poi le vedove e infine le donne sposate, stabilendo una sorta di tariffario per l’accesso alla santità, agevolato per le prime rispetto alle altre.

La letteratura laica, rispetto a quella agiografica, ci consegna un’immagine dell’adolescente intrisa di una sensualità acerba e di una santità inviolabile, un essere scisso, dicotomico alla mercé dei pericoli, presunti o reali, che il mondo degli uomini rappresenta.

Clero e laici concordano sulla necessità della custodia del suo corpo prescrivendo un dispositivo che disciplina i rapporti con le nubili. Senza censurare il proprio desiderio, la cultura laica capisce l’importanza dello sforzo comune di custodia e controllo condiviso con la Chiesa, per disporre liberamente del capitale rappresentato dalla giovane donna, che sia futura sposa o consacri se stessa a Dio, resta titolare di un capitale - la dote - che la famiglia le fornisce, per estrometterla dall’asse ereditario ma anche con la speranza che il matrimonio o l’oblazione si rivelino dei buoni affari.

7 LETT, Le corps de la jeune fille, pp. 3 e ss. 8 Per una panoramica v. MIGLIO, Governare l’alfabeto, pp. 207-215. 9 Vedi CASAGRANDE, La donna custodita, pp. 120-122. 10 L’immagine individua il segno limite del proprio comportamento, per gli studi iconografici v. FRUGONI, La donna nelle

immagini, la donna immaginata, pp. 424-457.

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Corollario della sua gioventù è l’essere illibata, la donna avanti negli anni o la giovane violata, per “sua” colpa o dopo aver subito violenza, è priva di attrattiva sociale ed economica.

Gli storici sono concordi nel considerare il passaggio dal mondo antico all’alto medioevo connotato da una presenza variegata delle donne nella società, le loro prerogative restituiscono un ventaglio di possibilità di azione. Questa situazione muta dopo l’anno mille, quando degrada la presenza e degenera l’autorità femminile, fenomeno che ha un primo precipitato concreto nel cristallizzarsi della linea agnatizia e nella rarefazione del matronimico.

Ora è innegabile che le prescrizioni dei teologi e dei laici abbiano influito sui comportamenti femminili, irrigidendone i confini, se questo fenomeno culturale sia stato determinato da elementi di altra natura o no, è specioso indagare.

Non esistono solo le strutture culturali, così facendo si rischia di misconoscere il dinamismo della società, per esempio a Roma possiamo ipotizzare che la presenza fisica del papato abbia influenzato in maniera peculiare la condizione femminile?

A cavallo tra il secolo XI e il XII, la chiesa elabora una pastorale del matrimonio, in cui è fondamentale il principio di volontarietà dei coniugi, diretta conseguenza dell’elaborazione del principio di coscienza. Eppure dalla titolarità di quella sembrano restare escluse le nubili, incapaci di decidere per se stesse, non padrone del proprio corpo, a livello legislativo sono sottoposte completamente alla tutela paterna, o dei familiari maschi.

Tale perenne stato di minorità è causa e conseguenza del loro stato di soggezione. Il Decretum di Graziano (1141 ca.) rispecchia una concezione corrispondete a tale modello, le

giovani devono essere conservate perché funzionali all’ordine domestico e alla riproduzione. La costruzione del prototipo continua, rinnovandosi, a ogni concilio in cui si elaborano nuovi strumenti per il controllo sociale11.

Insistiamo ancora sul territorio con l’ipotesi poco sopra azzardata - se vivere nella città del pontefice significhi subire più da vicino la propaganda di certi modelli - che torna sotto altra forma. Roma si allinea nell’evoluzione delle strutture familiari al resto della penisola e all’Europa, eppure mantiene una propria peculiarità culturale. Tra il secolo XI e il XII, la chiesa rinnova i suoi modelli agiografici prima collegati esclusivamente al mantenimento della verginità, ma nell’Urbe persiste una tendenza alla religiosità arcaica, il culto dei protomartiri è predominante fino al secolo XV12.

Qui le nubili, più a lungo che altrove, giocano un ruolo fondamentale giacché prototipi del più alto comportamento femminile, sono un modello proposto anche se irraggiungibile, e comunque paradigmatico.

Tutte le altre donne devono praticare questa imitatio delle nubili: il culto mariano diffusosi nel secolo XII è solo un altro aspetto di questa idealizzazione endemica che non ha avuto altrettanto impatto sulla condizione reale delle donne. Il confronto tra i discorsi e le testimonianze porta a una prima considerazione generale.

La nubile è idealizzata come modello ma è in realtà uno spettro a livello sociale. Solo quando i parametri dell’interdizione alla santità si smussano, nel corso del Duecento e nel

secolo successivo, con la santificazione del matrimonio, si giunge a una parziale apertura alla santità femminile, non più appannaggio delle nubili, estendibile alle altre categorie femminili. I modelli si fanno meno rigidi eppure la condizione femminile continua a degradarsi, nel lungo periodo.

L’agiografia integra tale proposta, e con esempi reali fornisce una serie più ampia di modelli cui potersi adeguare nella difesa e nel mantenimento della verginità, poi nel tardo medioevo inizia a contemplare la possibilità di condurre una vita santa nonostante il peccato del matrimonio. Questo fenomeno è poco evidente a Roma, dove permane la memoria delle protomartiri della Chiesa,

11 Cfr. URSO, La donna e la Chiesa, p. 69, n. 6. 12 L’arcaismo della religiosità cittadina è dimostrato dall’assenza di sante cittadine fino a Francesca Bussa de’ Ponziani,

(1440†).

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mentre nell’Italia centrale prolifera il fenomeno delle sante cittadine, espressione di religiosità civica13.

Quest’arcaismo potrebbe derivare dalla presenza della sede pontificia, elemento frenante del cambiamento nella concezione della santità femminile?

Abbiamo già detto che l’integrità fisica, e, per estensione, spirituale, ha un grande valore per gli ecclesiastici, che vedono nella donna che ha saputo mantenersi casta, un successo propagandistico.

L’integrità fisica assume un valore culturale e sociale altrettanto grande per il laico perché significa aver preservato l’onore della famiglia che nella giovane vede un bene di scambio: sia se deciderà di sposarsi sia qualora scelga per una vita religiosa.

Nel primo caso la giovane è trampolino per un miglioramento delle condizioni economiche della famiglia; nel secondo caso è elemento dello scambio simbolico tra beni materiali e beni spirituali.

L’illibatezza della giovane ha una ricaduta socialmente positiva su tutto il gruppo parentale: il compiacimento che ne deriva è espressione dello spirito di comunità familiare nel medioevo, gerarchizzata su base maschile.

Laici ed ecclesiastici condividono la medesima preoccupazione nei confronti delle nubili, esseri indifesi, fisicamente e spiritualmente. Isidoro di Siviglia (560-636) nelle Etymologiae nomina la loro debolezza, «Mulier vero a mollitie, tamquam mollier, detracta littera vel mutata, appellata est mulier», incontrando il gusto enciclopedico medievale. La parola mulier deriva da mollitia o mollities, mollezza o lascivia, come fosse mollier con sottrazione o modificazione di una lettera: concezione che vale soprattutto per le donne nubili quelle che gli uomini percepiscono come le più deboli perché ignoranti delle cose del mondo, seguite dalle vedove, deboli momentaneamente perché hanno perso la protezione maritale.

L’interesse della chiesa oscilla seguendo delle fasi, dal secolo XI al secolo XIV, mentre l’interesse dei laici permane stabile: la nubile in attesa del matrimonio o della vocazione, non smette mai di valere tanto oro quanto pesa.

Una simile considerazione si sostanzia chiaramente nelle classi sociali alte o quando la famiglia anela a mutare le proprie fortune economiche, attraverso il matrimonio della nubile, per accelerarne la ripresa o favorirne l’ascesa: il comportamento degli appartenenti ai ceti eminenti romani conferma questa tendenza14.

La legislazione come affronta e definisce la situazione delle nubili? Un discorso specifico sui caratteri della legislazione romana nei confronti delle nubili, non è

stato reperito se non per un periodo successivo15. Generalmente la legislazione laica punisce le offese alle vergini con pene maggiori rispetto alle

violenze su donne sposate, vedove o religiose: le giovani erano prede nei momenti di caos sociale. Rappresentando un investimento familiare, se danneggiate fisicamente e assimilate a beni danneggiati, il danno aumenta, e il fatto che non siano soggetti di diritto fa sì che di loro si parli come delle merci; anche negli Statuti romani del 1363 aumentano le pene se la donna violata è ohnesta16. Anche se in generale, fino alla Reformationes del 1450 circa, non vi erano particolari norme che limitassero l’agire femminile, come il mundio o la procura perenne che equipara la donna al minore, nella documentazione è consuetudine l’istituto della tutela per tutte le donne ma per le nubili con maggiore forza17.

Quantificare il livello della conoscenza dei propri diritti non pare possibile: pochissimi documenti riportano la viva parola delle richiedenti, in generale la documentazione romana

13 Basti pensare solo per citare alcune sante vicine nel tempo: Filippa Mareri (1236†); Rosa da Viterbo (1251†); Chiara d’Assisi

(1253†); Margherita da Cortona (1274†). 14 Cfr. CAROCCI, Nobiltà romana e nobiltà italiana, pp.15-42. 15 Per un ottimo studio v. FECI, Pesci fuor d’acqua, pp. 25-39. 16 RE, Statuti della città di Roma, II, 28, p.102. 17 FECI, Pesci fuor d’acqua, pp. 83-95.

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conferma che la condizione giuridica delle nubili ha angusti confini. Anche se un paio di casi in cui sono citate nubili emancipate dai padri viventi dice di una possibilità18.

La cernita di documenti, condotta secondo le regole già illustrate, rivela innanzitutto che le nubili sono presenti in numero minore rispetto alle altre donne, donne sposate, vedove e religiose.

Per le nubili, l’autorità parentale nel momento della scelta di sposarsi - o di non farlo - è fondamentale: tutti gli appelli alla consensualità svaniscono davanti agli interessi familiari nella scelta e nella stipulazione del matrimonio e tale atteggiamento si fa più evidente nelle classi sociali alte.

Troppo scarsi gli esempi di testamenti di nubili per trarre conclusioni generali mentre nelle donationes e nelle oblationes emerge il rapporto privilegiato che le nubili intrattengono con gli enti ecclesiastici, da questi incoraggiato e coltivato.

Nelle compravendite, e nei pochi contratti ad laborandum, notiamo la marginalità sociale delle nubili, rispetto alle più dinamiche moniales, alle donne sposate accanto ai propri mariti, e in confronto alle vedove.

Anche nei consensi le nubili sono presenti in numero minore perché i loro diritti sul patrimonio di famiglia seguono un percorso di depotenziamento, il legame di sangue è debole e non esistono altri diritti e questo processo si cristallizza nelle rigide disposizioni degli Statuti che non lasciano loro alcun desiderio oltre la dote.

Purtroppo neanche gli arbitrati illuminano sufficientemente la condizione delle nubili a livello legislativo.

18 Vedi paragrafo 7.5, le donazioni del 24 ottobre 1248 e del 7 novembre 1254.

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2. Le Vitae di Margherita Colonna 2.1. La nubile nella «Vita Prima»

È possibile dedurre la pervasività dei modelli di cui abbiamo detto, osservando la letteratura

agiografica e poi tornando a osservare i nostri documenti? Intanto proviamo a dedurre informazioni dalla Vita di Margherita Colonna per farci domande

intorno alle aspettative nei confronti di una nubile appartenente al ceto baronale nella Roma della seconda metà del Duecento.

Anticipiamo: questo racconto testimonia della convergenza dei modelli ecclesiastici e laici per quel che concerne il comportamento delle nubili.

Per prima cosa è importante condurre un’analisi parallela perché esistono due versioni della Vita di Margherita Colonna: la Vita prima è opera di Giovanni Colonna, fratello di Margherita e di Giacomo cardinale19.

La Vita secunda è stata scritta da Erminia - Stefania - monaca e poi badessa del monastero di San Silvestro in Capite, probabilmente parente carnale e senza dubbio compagna di Margherita.

A identificare l’autore della Vita prima si è giunti con difficoltà20; per collocare i fatti della vita di Margherita sono stati utilizzati altri documenti21.

Giovanni è erudito ma non è un teologo, egli è devoto come tutta la sua famiglia al culto mariano, lettore di Tommaso da Celano arricchisce il suo testo di citazioni liturgiche e scritturali, in uno stile semplice ed essenziale22; scrive la Vita prima tra il 1282 e il 1283, prima della bolla pontificia Ascendit fumus (24 settembre 1285) quando le Clarisse si trasferiscono a San Silvestro in Capite portando il corpo di Margherita, morta nel 1280.

La data di nascita della donna è dedotta dal fatto che nel primo capitolo della Vita prima si dice sia rimasta orfana «adhuc iuvencula», cioè verso i dieci o i dodici anni, quindi possiamo pensare fosse nata verso il 1254 ed essendo rimasta a Castel San Pietro sette o otto anni, avrebbe avuto

19 Giovanni fu due volte senatore (1279-1280 e 1290-1291) poi Rettore pontificio della Marca d’Ancona (1288-1290) nominato

da Niccolò IV (1288-1292), il 27 giugno del 1288 (cfr. LANGLOIS, Registres de Nicolas IV, n. 1789-90). 20 L’opera da cui traiamo le nostre informazioni e spesso citeremo è di OLIGER L., B. Margherita Colonna. Le due vite scritte

dal fratello Giovanni Colonna senatore di Roma e da Stefania monaca di S. Silvestro in Capite, Lateranum, Nova Series, An. I N.2, Romae, MCMXXXV. Prima di questa edizione era avvalorata l’ipotesi che l’autore fosse un frate francescano anonimo. L’ipotesi poi confermata che il testo potesse essere opera di un esponente dei Colonna prende le mosse dall’utilizzo frequente del termine frater, per indicare un fratello carnale e un fratello nella fede: nella Vita I, il cardinale Giacomo Colonna è il frater dignior mentre frater senior, alter frater o frater alius è il senatore Giovanni, detto anche frater alter, qui virgo diligebat come in Giovanni (13,23), a conferma di questa ipotesi nella Vita II Erminia cita proprio Giovanni come autore della Vita I.

21 Il Codice Casanatense 104 (A. IV 36) conservato nell’omonima biblioteca romana, raccoglie la Vita I e la Vita II, in copie della metà del quattordicesimo secolo, in gotico corale il primo, più breve, e in gotico notarile il secondo codice.

Le bolle sono quelle per la traslazione; le bolle pontificie fino al 1322 che parlano di Giacomo Colonna perché a lui M. aveva affidato il suo monastero: la bolla Ascendit fumus aromatum da Onorio IV (1285-1287) a Erminia badessa, 24 settembre 1285; 9 ottobre 1285; Nuper dilectae filiae Herminia, 2 novembre 1285, cfr. FEDERICI (Regesto).

Bonifacio VIII cita Iohanna nipote di M. a capo del monastero, esautorando Giacomo, 11 dicembre 1297; abolisce la Regola delle Sororum Minorum e istituisce quella delle clarisse Urbaniste, 5 aprile 1298, in Bull. Franc. IV, 468 (WADDING, Annal. Min., Reg., V³, 665).

Benedetto XI (1303-1304) rivolgendosi a Iohanna badessa di S. Silvestro in Capite abolisce le decisioni di Bonifacio VIII, ritira la scomunica alle monache che non hanno accettato le sue decisioni e abolisce l’interdetto alla Chiesa, 23 dicembre 1303, in EUBEL, Bull. Franc., V, 8; (WADDING, Annal. Min. Reg., VI ³, 492); restituisce i beni al monastero, 23 dicembre 1303 (cfr. Bull. Franc.,V, 8); (WADDING, Annal. Min. ad an. 1304, n. 45 (VI ³, 65).

Giovanni XXII (1328-1330) nomina Pietro Colonna card. di S. Angelo nipote di Giacomo protettore di S. Silvestro, Avignone, 13 agosto 1318, in Bull. Franc., V, 156, (WADDING, Annal. Min. Reg., VI³, 562); su richiesta delle monache chiede sia ripristinato Fra Deodato di Palestrina O.F.M. posto nell’incarico da Giacomo Colonna, Avignone, 22 gennaio 1322, in Bull. Franc. V, 218, (WADDING, Annal. Min. Reg. VI³, 652).

22 Testimonianza della loro devozione alla Madonna un frammento al palazzo Colonna ai Santissimi Apostoli che rappresenta Giovanni sotto la scritta: «Sancte Dei genitricis servus dominus Johannes de Columpna», OLIGER, B. Margherita Colonna, p. 16-18.

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venticinque o ventisei anni al momento della morte23. Altre notizie sono tratte dai dati sulla famiglia Colonna, discendenti dai conti di Tusculum, all’epoca di Margherita già divisi in un ramo principale di Palestrina e in altri due rami di Gallicano e Genazzano24.

Margherita è figlia di Oddo Colonna e della sorella di Matteo Rosso Orsini25, la donna dimostra piena coscienza di appartenere alla classe baronale romana ma le ambizioni che i suoi natali esigerebbero sono temperate dalla profonda religiosità impartita in famiglia. Lo zio materno, Matteo Rosso Orsini, aveva conosciuto e ospitato Francesco d’Assisi, e suo figlio, Giovanni Gaetano Orsini, divenne Cardinale protettore dell’Ordine dei Frati Minori e poi papa Niccolò III (1277-1280), come predetto da Francesco26. Niccolò III, cugino di Margherita, nella Decretale Exiit qui seminat (1279) parla di un francescanesimo vissuto fin dall’infanzia27: probabilmente è la madre di Margherita - vissuta fino almeno fino al 1265 o al 1266 - a rappresentare il più importante tramite per la sua devozione, questa incontrò l’assisiate durante il suo soggiorno romano e trasmette volontariamente ai figli il suo fervore.

Forse, contrariamente alle usanze diffuse nelle classi superiori, dove si preferiva separare maschi e femmine verso i sette anni per affidarli a istitutori esterni, la madre di Margherita, Giacomo e Giovanni, deve aver avuto familiarità a lungo con i figli. La religiosità francescana, eredità materna, è il motore di tutta la vicenda spirituale di Margherita: dalla scelta dell’abito delle Clarisse (Vita prima, cap. VI) alla richiesta di poter entrare in Santa Chiara diretta al Generale Francescano (ibidem, cap. IX); nella visione di Francesco (ibidem, cap. VI); nella cura degli infermi nel convento francescano di Zagarolo (ibidem, cap. VIII), dove usa la propria dote per fare elemosine con le compagne; quando accetta l’aiuto del fratello Giacomo non in nome della consanguineità che li unisce ma come sorella spirituale (ibidem, cap. VII), oppure quando dalla Mentorella, non volendo più tornare a Monte San Pietro, i fratelli le negano vettovagliamento e Lei chiede l’elemosina ai poveri del luogo (ibidem, cap. IX).

Margherita imita Francesco ed è «hilaris in paupartatis aggressibus […] hilaris ad Christi paupertatem evolavit», a dispetto della sua origine familiare (ibidem, cap. VI).

Margherita arriva addirittura a non possedere più nulla e a trovarsi nell’incresciosa situazione di non poter fare testamento (ibidem, cap. XIV). Anche la devozione di Giovanni e la vocazione del fratello Giacomo, portano incisa la cifra del francescanesimo: per i tre fratelli è una sorta di eredità materna immateriale28.

23 La data della morte, il 30 settembre 1280, è ottenuta incrociando la nomina a cardinale del fratello, avvenuta nel 1278, i dati

presenti nella Vita II , e il terminus ante quem della Bolla di Onorio IV del 1285, sopra citata. 24 KEHR, Italia Pontificia, I, p. 186, (10 dicembre 1151 e 1159-1191, atti che attestano la presenza dei Conti di Tusculum); Liber

Pontificalis, Pasquale II (1099-1118); DUCHESNE, Liber Pontificalis, II, 298 (cfr. KEHR, II, p. 49, 1); GREGOROVIUS, Geschicte der Stadt Rom, IV, 303.

25 L’identificazione del padre di Margherita in Oddo Colonna, non è stata automatica: una prima ipotesi oscillava tra i nomi di Oddo e Giordano, poi hanno chiarito il dubbio l’instrumentum divisionis del 1251 in cui Giordano è padre di Oddo Colonna (PETRINI, Memorie prenestine, p. 411); la bolla bonifaziana del 1297 in cui Oddo è padre di Giacomo, Giovanni, Margherita e poi di Matteo, Oddo e Landulfo: qui Matteo, Oddo e Landulfo tramite il pontefice protestano per la divisione dei beni affidata al cardinale poi passata al figlio di Giovanni defunto; il 28 aprile del 1292 in un atto per l’affidamento dei beni comuni dei fratelli Colonna a Giacomo Cardinale di S. Maria in Via Lata sono detti figli di Giordano Colonna ma è una versione diversa dalla Bolla di Bonifacio VIII secondo la quale il padre si chiamerebbe Oddo (OLIGER, B. Margherita Colonna, p. 70); nella Bolla In excelso throno (10 maggio del 1297) è confermato il nome Oddo come padre di Giovanni già deceduto, di Matteo, Oddo e Landulfo; un’iscrizione su Oddo anche in FORCELLA, Iscrizioni, p. 417, n. 1119 (cfr. OLIGER, B. Margherita Colonna, p. 71). I contrasti in famiglia iniziati alla morte del padre, si acuiscono dopo la morte di Giovanni (28 aprile del 1292), quando il cardinale Giacomo affida i suoi beni a Stefano figlio di Giovanni irritando Bonifacio VIII. Per identificare la madre di Margherita è stata utilizzata la bolla In Excelso Throno di Bonifacio, in cui Oddo è rimproverato per aver parteggiato per Federico II sotto il senatore Matteo Rosso Orsini, fratello della moglie di Oddo, notizia dedotta dalla presenza del termine sororius. Il nome della madre non è sicuro: Maddalena, Mabilia o Margherita Orsini.

26 Matteo Rosso Orsini, senatore di Roma, figlio di Giangaetano, signore di Vicovaro, e di Stefania Rubea; giudice dativo (1195), signore di Mugnano, Monterotondo, Galeria e S. Angelo, senatore di Roma (1241 e 1242) per nomina di Gregorio IX, difese valorosamente la città da Federico II, opponendosi ai suoi fautori, e rivali della sua famiglia, i Colonna, occupandone la fortezza, il mausoleo d’Augusto (Catalogo dei Ministri Generali, Annal. Franc., III, 702; MGH SS XXXII, 667).

27 Seraphicae legislationis, 185. 28 Il cardinale Giacomo dimostra la sua devozione nell’iconografia che lo ritrae davanti la Vergine in Santa Maria Maggiore,

chiesa di cui era stato nominato arciprete da Niccolò IV (1288-1292). La devozione francescana della famiglia Colonna è manifesta nel già citato mosaico di Palazzo Colonna, dove il senatore è presentato da Francesco alla Vergine e nel contributo della famiglia

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E’ importante ricordare un elemento che differenzia Margherita dalle sante coeve: non ebbe vicino un confessore, quindi dalle Vitae emergono limiti formali e contenutistici ma trovano spazio elementi realistici e spontanei29. Probabilmente Margherita sapeva leggeva e scriveva ma solo l’aiuto del fratello cardinale Giacomo30, il suo direttore spirituale, studioso di diritto ma non di teologia, corregge il tono di alcune riflessioni.

I punti da focalizzare nella vita da nubile di Margherita riguardano i pochi cenni all’infanzia e l’impatto della decisione di consacrare la propria esistenza all’amore di Cristo che infrange la pianificazione matrimoniale concepita da Giovanni per la sorella. L’intento di restare vergine rifiutando il matrimonio sembra chiaro fin dalla più giovane età secondo un topos agiografico ricorrente - quello dell’infanzia santa - sebbene manchino i consueti segnali della santità, apparizioni o voci che vaticinano il suo santo futuro.

Margherita «ex nobili Romanorum progenie orta», venuti a mancare prima il padre (prima del 10 maggio 1257) e poi la madre, si trova, intorno ai dieci o dodici anni, «adhuc iuvencula», sola e «a materne reverencie [vinculo] soluta». L’assenza dei topoi agiografici riguardanti episodi infantili che annuncino la santità - visioni, miracoli o segnali di altra natura - lasciano nell’oscurità questo periodo della sua vita ma possiamo dedurre che Margherita incarni un modello femminile socialmente apprezzato fin dalla prima infanzia, perché: «Innate namque erat pudicitia menti sue, que ab infancia secum crevit», e pur avvicinandosi gli anni delle «labilibus puellaris aetatis» il suo comportamento era ineccepibile perché il suo «cor senile gerens in annis adhuc teneris, sicut non actus nec gestus dignum quid reprehensionis egit, ut non esset qui de ea malum diceret…»31.

Aderendo a un modello di morigeratezza, Margherita rimasta orfana chiede spontaneamente al fratello maggiore Giovanni, senior, di diventare il suo tutore, cioè passa sotto la sua custodia legale, e lo fa sua sponte, accettando la debolezza del suo genere si lascia custodire dal fratello. Tale pratica era un mezzo di protezione necessario per una nubile, di ogni classe sociale: il fratello senatore la tutelerà legalmente e la assisterà economicamente fino a quando il fratello cardinale non subentrerà come guida spirituale e sostegno nella sua scelta.

La giovane incarna uno stereotipo nubilare: «Virgo erat prudens, pudica et modesta» apprezzato in ogni famiglia ma particolarmente gradito in una famiglia come quella dei Colonna, in cui è importante che parenti, vicini e membri delle altre famiglie baronali, non abbiano occasione di commento. Il comportamento di Margherita è ineccepibile: la giovane sembra conosciuta, infatti, oltre che per la dote di cui sarebbe stata titolare, anche per le doti d’animo sopra descritte, per questo molti nobiles aspirano a contrarre connubia con Lei.

Giovanni è felice sia contesa tra i nobiles ed è ansioso di maritarla: così potrà dotarla modestamente e aspirare a un ottimo matrimonio in termini economici - dai nostri documenti la dote dell’epoca si aggira intorno ai sessanta e gli ottanta fiorini - egli appronta le imminenti nozze con entusiasmo e non comprende la reazione della sorella, considera presunzione il fatto che derida la preciositate vestium e non sia contentam di nessun marito scelto per Lei. Il fratello pensa che un simile comportamento sia cagionato dal desiderio di trovare un marito più facoltoso, «quia alterius condicionis hominem querele»32.

Giovanni è sicuro di aver scelto con criterio perché ha selezionato un marito all’interno della classe baronale - testimoniando un’autocoscienza di classe e la tendenza all’endogamia in ambiente romano - invece Margherita risponde con l’afasia, comportamento prescritto dal contegno nubilare che qui diventa una strategia di resistenza.

all’edificazione del monastero di Santa Maria in Aracoeli. SALIMBENE testimonia della sua amicizia con i Francescani (Cronica, 169). Giacomo protesse i Francescani zelanti di tendenza gioachimita, era amico del B. Giovanni da Parma, Ministro Generale dell’Ordine francescano, fu in relazione con le mistiche Chiara da Montefalco (1308†), forse con Margherita da Cortona (1297†), e con la Beata Angela da Foligno (1309†) della quale approvò le Rivelazioni.

29 Le visioni scritte da Giovanni, ispirate da Giacomo, sono goffe come la visione del 24 giugno 1280 a Castel San Pietro, Vita I, cap. XII cfr. Vita II, n. 20.

30 Vedi EHRLE, I più antichi Statuti della Facoltà Teologica dell’Università di Bologna. 31 OLIGER, B. Margherita Colonna, p. 111-112; 112. 32 Ibidem, p. 117.

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Le reticenze inspiegabili della giovane, che Giovanni interpreta appunto come desiderio di ottenere un matrimonio economicamente più vantaggioso, s’interrompono quando confessa il suo desiderio. Il suo silenzio era motivato dal timore per la reazione del fratello causata del danno economico che deriverà dalle mancate nozze: il padre aveva lasciato dei debiti che Giovanni sperava di poter rimborsare con il matrimonio di Margherita. La giovane grazie all’appoggio del fratello cardinale Giacomo, confessa a Giovanni la sua decisione, dicendogli che sarebbe il solo a essere felice perché lei ha già deciso il suo sposo: «quod si ad virum aliquem applicasset animum, sola fratris eleccione contenta fuisset, sed corpus et animam a Christo voverat in ossequio castitatis»33. Giacomo, allora studente a Bologna, tornato a Roma sostiene la scelta di verginità della sorella, e si fa mediatore tra il fratello e Margherita in uno status virginis intencione.

Da qui in poi Margherita ancora nubile, ma non ancora consacrata a Dio ufficialmente, inanella azioni che ne indicano il grado di autonomia decisionale e l’eccezionalità rispetto ai comportamenti ritenuti consoni a una giovane donna appartenente alla compagine baronale.

Nel 1271 abbandona la casa paterna, il palazzo di Palestrina, e si reca sopra il monte San Pietro, sul Monte Prenestino, in montana, dove c’è una rocca feudale e altri palazzi dei Colonna34. Vi giunge accompagnata da due donne, probabilmente di origine aristocratica, seguite da altre tra le quali sicuramente anche l’autrice della Vita secunda, Stefania o Erminia.

È importante la spontaneità dell’arrivo di queste richiamate dal carisma di Margherita perché sono alla ricerca di un’esperienza di vita e di un percorso religioso che né il matrimonio né l’entrata in un convento possono fornire loro. All’inizio vivono come anacoreti, non sono recluse, sebbene il cardinale Giacomo avesse dato loro le leggi delle vita eremitica, anachoreseos instituta, scelgono di uscire spesso per opere di carità, Margherita già indossa l’abito delle clarisse pur non essendo consacrata.

In entrambe le versioni della Vita, le prime compagne di Margherita, probabilmente nubili o vedove, sono chiamate sorores mentre Margherita è detta mater familias: modello della spontanea comunità di donne religiose ancora attive nel secolo è quello degli affetti familiari. Rifiutando la clausura imposta alla spiritualità femminile riassorbita nella gerarchia maschile, dicono di volere agire nel mondo, come la religiosità francescana impone. Non è inutile ricordare che durante la costituzione degli ordini femminili in effetti, per molte donne fu difficile accettare una simile discriminazione rispetto agli ordini maschili. Le compagne di Margherita solo alcuni anni dopo la sua morte ricevettero la regola delle Sorores Minores, ispirata dalla beata Isabella di Francia e confermata da Onorio IV (1285-1287), il 24 settembre del 128535.

Margherita è dunque una nobildonna fondatrice di monasteri, esempio che riecheggia nell’esperienza di molte nobildonne dell’altomedioevo europeo ma anche più prossime nel tempo e nello spazio come Filippa Mareri (†1236), forse conosciuta da Margherita36.

2.2. La nubile nella «Vita Secunda»

Anche nella «Vita secunda et miracula B. Margaritae Columnae a Stephania Moniali S. Silvestri in Capite scripta» sono rintracciabili informazioni sulla condizione delle nubili.

Il titolo restituisce immediatamente due informazioni: argomento della seconda versione sono i miracoli di Margherita; la narratrice è una religiosa di San Silvestro in Capite.

33 Ibidem. 34 Vita I, cap. IV. La rocca e la chiesa dei Colonna con Palestrina e Castel San Pietro sono state distrutte per ordine di Bonifacio

VIII nel 1298. Ai tempi di Margherita qui c’era anche un oratorio privato in cui Lei si recava in preghiera (Vita I, cap. XII). 35 Per la Regola della Beata Isabella di Francia, cfr. Bolla Religionis augmentum, 27 luglio 1263 (Bull. Franc., II, 485). 36 Per le sante nobildonne dell’altomedioevo europeo, v. THIELLET, Femme, Reines, Santes; LA ROCCA, Donne al potere.

Evinciamo la notizia su Filippa Mareri dalla Vita II, n. 17.

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Si tratta probabilmente di Stefania o Erminia, confidente di Margherita a Castel San Pietro, monaca di San Silvestro in Capite e forse «presidente», vicaria o badessa, durante il periodo della scrittura della Vita prima (1288-1292), se l’attribuzione del testo è certa, una questione sorge quando si costata che il nome di Stefania non risulta nelle carte del monastero: una simile omissione sembrerebbe incomprensibile se non ipotizzassimo un cambiamento di nome ricevendo l’incarico nel convento. Probabilmente Stefania è Erminia, la prima badessa dopo Margherita, fatto corroborato da altri documenti37.

La Vita secunda ha uno stile evocativo ma grammaticalmente sgraziato rispetto alla Vita prima dallo stile regolare e asciutto, Stefania consapevole di ciò in una sorta di captatio benevolentiae dichiara che lei, vestram devotulam, vuole integrare il testo di Giovanni lodando il «senioris fratris preclara ingenia»; dice di essere vice della badessa, sororum cenobio presidentem, secondo la regola delle sorores minores di San Silvestro - quella della beata Isabella di Francia - e quindi fa le veci della badessa in sua assenza38. Afferma di aver scritto immeritam ma è un topos, probabilmente si tratta di una donna di nobile origine perché possiede una discreta cultura letteraria che una popolana non avrebbe potuto avere, probabilmente è imparentata con i Colonna e conosce Margherita da molto tempo perché si recava a Castel San Pietro per le feste natalizie.

La Vita secunda è databile tra il 1288 e il 1292 grazie ad alcuni termini post quem39; le due Vitae sono scritte entro dieci o dodici anni dalla data della morte della beata, elemento che gioca a favore della loro attendibilità, la Vita secunda è però più frammentaria ed eterogenea.

A un breve prologo segue il racconto della gioventù di Margherita poi la visione delle tre vie - la medesima della Vita prima - l’epistola a un crociato, precede un’interruzione nel racconto cui segue la narrazione dei miracoli post mortem di Margherita dove sono citate alcune devote, il testo termina con la descrizione degli ultimi giorni di vita della donna.

Le citazioni della Vita secunda come quelle della Vita prima sono liturgiche e scritturali, ma il testo somiglia più a un insieme di appunti che a un racconto agiografico pronto per la divulgazione: è come se Stefania sentisse impellente la necessità di raccontare la vita esemplare di Margarita superando con coraggio la consapevolezza della propria ignoranza connessa al suo essere donna: «Et ut sencio, quod cum reverentia vestra dimeri, privatus amor claudit oculum mentis, plusque vobis placet unius muliercule rusticitas, quam ceterorum urbanitas falerata»40.

Stefania ammira la scelta di povertà praticata da Margherita, destinata invece in virtù della sua nobile origine a ben altro tenore di vita, «Margarita, que ex Columpnensium illustri prosapia genita, illustrioribus miracoli insignita, non solum penatibus, sed patrie indidit claritatem», ha preferito la compagnia dei poveri a quella dei propri illustri familiari, tralasciando ogni cura del proprio corpo e ogni impegno tipicamente femminile, «Et deducto mundo muliebri continue in contemptu, corpus delicatum et tenerum redditi assidue parsimonie studio laceratum, tanto sibi meriti quanti tate proficiens, quanto quod sponte geritur, maioris gratie premio remuneratur»41.

Stefania restituisce un’immagine di Margherita più intima rispetto al fratello senatore, anche descrivendo il suo intento di mantenersi vergine rifiutando il matrimonio con un esponente di spicco dell’ambiente romano - cosa non esplicitata dal fratello - che è interessato alla sua dote ma anche sinceramente affascinato dalle sue doti: «Hec dum puellarum annorum flore viresceret, per quemdam iuvenem Romanorum proconsulem a seniore fratre in matrimoni opostulatur, et dum inter eos sponsalitia tractarentur, dum illi sibi de humano coniugio amicitiarum federa compromittunt, congrata pro venture oboli pignora comtemplantur et humane quidem cogitationes ad humanos libere disponuntur affectus (…) dum enim ille proconsul nuptialem thalamum et coniugalis puelle maritales concupiscit amplexus, quam nobilitas, quam forme gratia, quam denique virginitas

37 Sono alcune bolle pontificie e documenti nell’Archivio di Stato di Roma datati tra il 1285-1288 e fino al 1293; sicuramente

fu monaca dal 1294 al 1296; non conosciamo il nome della badessa però tra il 1289 e il 1292. 38 OLIGER, B. Margherita Colonna, p. 189. 39 E’già avvenuta la traslazione del 1285; Pietro figlio di Giovanni Colonna era già cardinale quindi siamo dopo il 1288;

Giovanni morì forse nel 1292 data dell’ultimo documento in vita risalente sicuramente a prima del 1294. 40 Ibidem, p. 191. 41 Ibidem, p. 192, Vita II, n. 2; ibidem, p. 193.

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commendabat, divina celibatum radianti Margarite dispositivo preparabat, ut florem iuventutis conservaret in gloriam pulcritudinis et virtutis»42.

Margherita rifiuta le nozze terrene ma desidera le nozze spirituali, consapevole di poter essere felix solo restando vergine e intessendo un mistico legame con il Cristo dice: «Non ergo sibi sublata fuere, sed mutata sponsalia, ut iam non homini sed Deo spirituali copula coniugatur, cuius desiderabilis eam foret et astringit amplexus, ut si leva eius sub capite suo et eam illius dextera amplexetur», una metafora sessuale che descrive il desiderio di santità della giovane. Spesso ricorre il topos delle nozze spirituali con il Cristo, chiamato suo sponsus, oppure si parla di servitù scelta, negando il destino familiare, e Margherita diventa sua ancilla e famula.

Stefania conferma che fu Giacomo, il fratello cardinale, ad aiutare Margherita a trasferirsi a San Pietro al Monte, luogo che diventa una terra promessa, dove abitare con altre donne, «congruam et onesta comitivam dominarum Deum pura mente timentium secum temens»43.

La visuale della Vita secunda è diversa anche perché Stefania cita episodi quotidiani, descrive sentimenti e desideri di Margherita, rivolgendosi a lei la chiama felix mulier oppure dulcis Margarita, testimoniando una sorellanza spirituale. Quando racconta una festa natalizia trascorsa insieme, osservando le privazioni alimentari cui si sottopone Margherita, «meridiane refeccionis hora, pane arcto et aqua brevi tantum refici expetebat, dicens: Arcta ieiunia esse fortissima tela ad versus demonum temptamenta», riferisce che la donna non imponeva i suoi digiuni alle consorelle, comprendendo che non tutte erano in grado di sopportarli e consigliava loro di dedicarsi a opere di carità, quest’atteggiamento equilibrato allontana Margherita da comportamenti eccessivi, sconvenienti per un’esponente del ceto baronale?44

Altra peculiarità del racconto di Stefania è l’utilizzo di efficaci metafore, in un passo il suo carisma è paragonato alla foga di un guerriero armato di tutto punto, assimilando forza femminile a virilità: «O inclita virgo, virtutum fecunda sobole, que studens ex gratiarum virtutibus consequi tante fortitudinis potestatem, ut diros hostes anime per scutum fidei, loricam iustitie, gladium spiritus, salutis galeam et hastam perseverantie debellaret»45.

Stefania descrive l’eccezionalità della scelta di Margherita meravigliandosi della sua capacità di sopportare tali sofferenze fisiche e mantenere un comportamento dimesso, pacifico, rassegnato: «Que dum carnis clausa carcere teneretur, pauper spiritu, mitis mente, propria, vel potius aliena, peccata deplorans, iustitiam sitiens, misericordie dedita, munda corde, vere pacifica, accepta persecutoribus si persecutionum gladius affisse, et lividi femoris, causa ulceris iugi cruciamine sauciata, sicut agna patiens os suum non paeruit ad lamentum»46.

La Vita secunda sebbene densa di termini del tardo latino, dal costrutto pesante, è ricca d’immagini, di metafore fantasiose e di una partecipazione meravigliata - elementi assenti nel racconto del senatore, fedele al topos agiografico - come nelle Vita prima il livello della riflessione teologica non è elevato, e raro è il richiamo ad autori coevi. 2.3. Le nubili di Margherita

L’ultima parte del testo di Stefania è interessante perché descrivendo i miracoli post mortem di

Margherita, cita alcune nubili e disegna la geografia della devozione tributata alla beata di casa Colonna.

42 Ibidem. 43 Ibidem, p. 194. 44 La datazione oscilla tra il 1275 e il 1280 (Vita I cap. XIV); (Vita II, n. 3); ibidem, p. 195; ibidem; per queste e altre riflessioni

cfr. BARONE, Roma anno 1300, pp. 799-805. 45 Vita II, n. 6; ibidem, p. 196. 46 Cita Matteo (5, 3; 5,6,7,8,9,10); ibidem, p. 202.

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Il primo accenno al culto in vita è testimoniato da un uomo, un atleta di Cristo, forse un nobile cavaliere romano in partenza per l’Oriente in aiuto del regno latino - Acri e Cipro in quel momento - che invoca la protezione di Margherita.

Il culto diffusosi immediatamente dopo la morte, tra il 1281 e il 1285, è geograficamente limitato al territorio del Monte Prenestino, nel feudo colonnese che da Palestrina arriva a Subiaco e Anagni, il cui fulcro si trova nella chiesa di San Pietro al Monte Prenestino, dove fu inizialmente seppellita. Nonostante la presenza attestata di tale devozione la famiglia Colonna non riuscì a far canonizzare Margherita e l’episodio miracoloso delle campane che risuonano festose all’arrivo della salma di Margherita a Roma resta isolato (Vita II, n.18; n.25), questo a causa della scomunica indirizzata ai maschi della famiglia Colonna e alla confisca dei loro beni decisa da Bonifacio VIII47. La persecuzione investe anche le donne discendenti della badessa: Giovanna nipote di Margherita fu scomunicata insieme alle monache di San Silvestro in Capite per non essersi sottomessa agli ordini pontifici e la loro chiesa interdetta; riabilitate da Benedetto XI (1303-1304) e da Clemente V (1305-1314), sopraggiunto il periodo avignonese, la comunità femminile del monastero non ottenne il riconoscimento ufficiale del culto, per questi motivi il percorso di beatificazione di Margherita è stato così tortuoso e non possediamo testimonianze iconografiche coeve48.

I racconti dei miracoli sono interessanti perché citano devote provenienti dalla zona d’influenza della famiglia Colonna, testimoni del carisma di Margherita, testimonianze viventi del suo rappresentare un modello comportamentale.

C’è un elemento da considerare: le deposizioni riportate nella Vita secunda non sono autenticate da un notaio, elemento inconsueto per quelle che dovrebbero poter essere utilizzabili in un processo di beatificazione, per quale motivo ciò avvenne? Forse a causa della scarsa consapevolezza della sua scrittrice?

Andiamo nello specifico. Le patologie che queste donne lamentano sono tipicamente femminili e dobbiamo ricordare che all’epoca la medicina conviveva con pratiche religiose e magiche, la medicalizzazione dei disagi fisici femminili non è ancora iniziata. Il primo miracolo operato per intercessione di Margherita è richiesto da Risa de Castro, ventenne nubile del castrum di Affile presso Subiaco, di nobile origine, afflitta da perdite di sangue eccessive che le provocano dolori: la giovane guarisce ex contactu, utilizzando come reliquia i ricci di Margherita, miracolo che Erminia descrive con estremo realismo49.

Nel secondo racconto Flosdeliso, sorella di Risa, è guarita da un tumore nella stessa maniera, utilizzando i capelli di Margherita, ma a differenza del procedente miracolo qui è citata la presenza di molti testimoni abitanti del territorio del castrum di Affile: citare testimoni provenienti dal medesimo luogo sottintende una solidarietà territoriale che esclude ogni menzogna, il racconto è vero perché lo confermano gli abitanti che insistono sul medesimo castrum, luogo fisico e simbolico di condivisione50. Stefania prosegue raccontando altri miracoli con protagonisti uomini e donne, di diversa estrazione sociale ma tutti abitanti nei luoghi d’influenza dei Colonna: la guarigione della giovane figlia di una certa Teodora de Preneste, ferita alla mano per errore dalla madre e parzialmente paralizzata, avviene presso la sepoltura della beata51.

47 Per Bonifacio VIII, v. DUPRÉ-THESEIDER E., Bonifacio VIII, in Dizionario Biografico degli Italiani, 12, Roma 1970, pp. 146-

170. 48 OLIGER, B. Margherita Colonna, pp. 85-88; l’iconografia è posteriore al 1591, ibidem, pp. 88-93. 49 «Quedam nobilis et devota mulier nomine Risa de Castro, quod Afile dicitur, viginti annis et amplius profluvio sanguinis et

aliis doloribus veementissime depressa, quosdam capylloros cincinno qui fuerunt in Capite domine Margarite, cum summe devotionis reverentia suo corpori et utero allisiti, et dolores et fluxus, quibus afficiebatur, continuo cessaverunt, et fuit sanitati pristine reddita et adhuc ipsa vivens cum pluriuso fidedignis de eadem terra perhibent testimonium veritati», ibidem, p. 202.

50«Flosdeliso de eodem castro, ipsius Rise germana, dum ydropico tumore diu languida extitisset, membratim per turgidum corpus capillos dicte domine fecit devotissime circumduci, et sicut distinte ducebantur per membra, sic tumor distincte recedebat a membris, ita quod recepit perfectam sanitatem. Testis ipsa et plures alii de eadem terra», ibidem, pp. 202-203, Vita II, n. 10, 11.

51 «Theodora mulier de Preneste, dum archam plaudere, filie sue puellule (manum) inter operculum et (Archam inclusit incaute et manu puelle dirupta, arrida facta est, et etiam totum illud latus puelle stupefactum renasit. Que Theodora ad sepulchrum domine Margarite filiam suam portans, ipsam cum lacrimis posuit super eum. Tunc puella quasi per horam sopori dedita, mox ut evigilavit, sana redita est matri sue. Testit ipsa Thedora», ibidem, p. 205, Vita II, n. 15.

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Come nella Vita prima, anche qui è citata una sorella più anziana di Margherita, Giacomo e Giovanni, una certa Barbara, della quale non abbiamo altre notizie genealogiche: sappiamo solo che la donna imparentatasi con un casato a noi sconosciuto, ha avuto sei figlie di cui quattro pronunciarono i voti entrando nel monastero di San Silvestro in Capite, seguendo l’esempio della zia. Nella Vita secunda è riportata la decisione di pronunciare i voti di due figlie di Barbara, l’omonima Barbara e Precincta, davanti alla tomba di Margherita, viva testimonianza della spiritualità contagiosa della donna52.

Raccontando degli ultimi giorni di vita di Margherita, Stefania, parla della sua capacità di prescienza in un episodio quotidiano e tipicamente femminile - il bucato della famula della comunità - in cui interviene il miracoloso53.

Margherita concependo la sua vocazione come servitium eppure conscia degli obblighi connessi al suo nome, morendo ha cura di ricordare di aver posto sullo stesso piano la famiglia spirituale, le sue consorelle e tutti i suoi devoti, e la famiglia carnale: perciò vicini al suo letto di morte ci sono i fratelli Giacomo e Giovanni con i figli Pietro, futuro cardinale ancora giovinetto, e Matheleo, la nipote della quale conosciamo l’intento di intraprendere una vita religiosa54. 2.4. Altre nubili

Il matrimonio è l’evento catalizzatore della vita delle nubili, sia quando decidono di rifiutarlo,

sia quando lo desiderano, contro il volere dei familiari. Il matrimonio raccontato nella letteratura è il risultato di un sentire comune che riflette la realtà,

perché il matrimonio determina il ruolo sociale della donna. Nella scarsità di fonti narrative romane, prenderei in considerazione un racconto tardo ma significativo quanto a diffusione ed esemplarità: la testimonianza di Boccaccio nella quinta giornata del Decameron, ovvero il racconto della fuga di Agnolella Sauzzo e Pietro Boccamazza a causa dell’opposizione delle famiglie alla loro unione, per motivi economici e di rango55.

52 «Margarita inter suas conosocias post eius felicem migrationem ad Christum dua nobiles virgines absque religionis proposito

dereliquid, que sic eius meritis divino sunt irradiate fulgore, quod diebus ac noctibus vigiliis et orationibus insistentes nichil aliud meditari poterant nisi Christum. Interea dum talia misteria circa Dei famulas agerentur, domina Margarita cuidam nomine, fratrum et sororum communium originarium baiulanti primatum, in compnis in Urbe affuit dicens ei: Surge et ad locum in quo mei gleba corporis requiescit et ex sex filiabus tuis duas assumas, quas eidem indicans nominatim, propera festinanter. Mirabatur enim cor tuum et dilatabitur, cum vide bis electam a Deo Barbaram (…) caducis omnibus vilipendis, solum Christum fervore ardentissimo peramare. Surrexit itaque dicta nobilis soror eius et sepulchrum tuum cum puellis adivit, sicut ei in sompnis extitit imperatum, sicque circa ipsas iuvenculas fuit divina disposizione peractum, quod subito in earum mentibus facta mutatione ad celestia de terrenis, in eodem loco religionis brevium militie seraphice secuta est Barbara et Precincta, que sic integritatem sui corporis custodivit quod oculorum concupiscientias evitavit; tam enim centenarium numerum, qui primus est pro virginitatis corona, sibi a Domino vendicavi», ibidem, p. 209-210, Vita II, n. 18. L’autrice citando dalla Messa di Pentecoste e dall’Orazione dell’Offizio dei defunti dimostra di conoscere l’Offizio di S. Francesco, unendo alla vocazione letteraria una discreta conoscenza liturgica, ibidem, p. 210, Vita II, n. 19, 20.

53 «In vigilia nativitatis Domini, quasi hora vespertina, quedam famula curie, Penestrina nomine, liscivium facere volens, ut pannos lavaret, mandavit ipsa, ut desisteret ab opere, sicque dum ipsa famula, me quasi conscia, mandatum fingere evoluisse, proiecit de aqua non dum tepida, supe pannos. Tunc ego referens eidem domine, quod liscivium iam effundere ceperat famula super pannos, ridere cepit et dicere: Et tu etiam! Scio, Soror, scio non dum aquam esse calidam de qua lascivium fieri debet, Precipias igitur Penestrine penitus it desistat», ibidem, p. 212-213, Vita II, n. 23.

54 Neppure di questa nipote si hanno menzioni genealogiche, «Congregatis omnibus, cum videret deesse dominu Petrum cardinalem, qui tunc puellulus satis erat, et sororem eius Mataleonem, que iam vovit Domino celibatum, mandavit ut venirent, licet ipsa Matheleo febribus laboraret», ibidem, p. 213.

55 Alcuni passi sono particolarmente efficaci, sebbene stretti nei topoi dell’invenzione letteraria, perché lasciano trapelare modelli culturali rivolti alle donne e sullo sfondo una città in balia delle lotte tra famiglie eminenti, circondata da castelli e sotto la minaccia continua di bande criminali. La storia si svolge nell’Urbe: «Roma, la quale, come è oggi coda, così già fu capo del mondo» ed è Emilia a narrarla, rivolgendosi alle vezzose donne perché il racconto toccherà prima la sensibilità femminile. Pietro Boccamazza di famiglia «tra le romane assai onorevole» vorrebbe sposare Agnolella, «figliuola d’uno ch’ebbe nome Gigliuozzo Saullo, uomo plebeio ma assai caro a’romani», il matrimonio non è accettabile proprio per la differenza sociale. Il giovane innamorato «la domandò per moglie. La qual cosa come i suoi parenti seppero, tutti furono a lui e biasimarongli forte ciò che egli voleva fare; e

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3. Brevi considerazioni spazio-temporali sul nubilato La cultura laica attraverso la legislazione e la letteratura propone dei modelli, così la Chiesa

nella legislazione canonica e nell’agiografia. Si confezionano schemi comportamentali finalizzati al controllo di donne potenzialmente libere sessualmente, dunque pericolose per l’ordine della successione dei beni, tali modelli trovano corrispondenza nell’analisi dei documenti.

Le nubili introiettano la propaganda laica ed ecclesiastica con facilità: a causa dall’età e dall’inesperienza, ma anche perché le giovani sono vincolate giuridicamente e perennemente sotto la tutela delle famiglie, dei padri, dei fratelli, degli zii o anche delle madri, in mancanza di questi.

d’altra parte fecero dire a Gigliuozzo Saullo che a niun partito attendesse alle parole di Pietro, per ciò che, se ‘l facesse, mai per amico né per parente l’avrebbero». L’iniziativa parte dal giovane, la fanciulla accorda il suo tacito consenso ma sono i rispettivi padri gli unici a poter approvare il matrimonio, approvazione perentoriamente negata. Contravvenendo al monito paterno i giovani sono costretti alla fuga da una città dove le convenzioni sociali sono molto rigide, cercano quindi protezione nel contado, e s’incamminano verso Anagni, «Alagna, là dove Pietro aveva certi amici de’quali esso molto si confidava; e così cavalcando, non avendo spazio di far nozze, per ciò che temevano d’esser seguitati, del loro amore andando insieme ragionando, alcuna volta l’un l’altro baciava».

Un legame orizzontale, di amicizia, li salva dal soffocante legame verticale del lignaggio che impone regole e struttura i rapporti di parentela. L’immagine dei due giovani che approfittano di ogni minuto di libertà per amoreggiare rende la forza di una passione che sfida le regole del mercato matrimoniale.

Le peripezie sono appena iniziate: perduto l’orientamento, Pietro e Agnolella sono aggrediti e si perdono di vista, la giovane fugge mentre il giovane accerchiato è costretto a fermarsi con la minaccia di essere ucciso «per dispetto degli Orsini», il che indica un contrasto esistente con la famiglia che nei dintorni aveva numerosi possedimenti. Pietro si trova nel mezzo di uno scontro tra la banda di aggressori e altri uomini sopraggiunti all’improvviso, una situazione paradossale che doveva essere consueta per chi, senza conoscere la mappatura dei poteri sul territorio romano, si avvicinavano all’Urbe. Pietro riesce a fuggire approfittando dello scontro tra le due bande ma si rende conto di aver perso la sua amata e dispera immaginandola aggredita da un orso o da un lupo; si nasconde su un albero per sfuggire alle fiere. Intanto la giovane vagando trova ospitalità presso un’anziana coppia, simbolo dell’amore realizzato cui i giovani anelano. I due subito stupiti dal fatto che una donna cavalchi sola, la rassicurano dicendole che si trovano a dodici miglia ad Anagni, quindi Agnolella chiede se ci siano abitanze vicine dove poter albergare e alla riposta negativa chiede loro ospitalità nonostante i pericoli, «giovane, che tu con noi ti rimanga per questa sera n’è caro; ma tuttavia ti vogliam ricordare che per queste contrade e di dì e di notte e d’amici e di nemici vanno di male brigate assai, le quali molte volte ne fanno di gran dispiaceri e di gran danni; e se per isciagura, essendoci tu, ce ne venisse alcuna, e veggendoti bella e giovane come tu sé, è ti farebbono dispiacere e vergogna, e noi non te ne potremmo aiutare. Vogliantelo aver detto, acciò che tu poi, a se questo avvenisse, non ti possi di noi ramaricare».

La giovane accetta il rischio con un certo fatalismo, «Se a Dio piacerà, egli ci guarderà e voi e me di questa noia, la quale, se pur m’avvenisse, è molto men male essere dagli uomini straziata, che sbranata per li boschi dalle fiere». Consumata la cena, con i vestiti indosso, Agnolella si mette a dormire «su un lor letticello con loro insieme» quando sul far del mattino un rumore annuncia l’arrivo di una «gran brigata di malvagi uomini» Agnolella si nasconde nel fieno e dimostrando un coraggio inusitato per una giovinetta, sfiorata «allato alla sinistra poppa, tanto che col ferro le stracciò de’ vestimenti» da uno di queli uomini armato di lancia ma «…ricordandosi là dove era, tutta riscossasi, stette cheta».

La mala brigata depreda i coniugi dei loro animali, e se ne vanno dalla loro casa dei coniugi abituati alle razzie ma stupiti dal coraggio della giovane, questi si offrono di accompagnarla ad un castello distante cinque miglia considerandolo l’unico luogo sicuro, dove probabilmente ritroverà il suo ronzino portato via da quelle brigata: quello era il castello di Niello di Campo di Fiore membro della famiglia Orsini. Qui li accoglie la castellana, moglie di Liello, la quale incarna le migliori virtù femminili e come deus ex machina risolve l’intricata vicenda, «e per ventura v’era una sua donna, la qual bonissima e santa donna era; e veggendo la giovane, prestamente la riconobbe e con festa la ricevette, e ordinatamente volle sapere come quivi arrivata fosse. La giovane gliele contò tutto», Agnolella racconta dettagliatamente solo alla nobildonna quello che invece aveva descritto sommariamente ai due anziani coniugi, dimostrando una certa solidarietà femminile ma anche una fiducia maggiore verso un’esponente della nobiltà. In effetti, la castellana conosce Pietro, amico di suo marito ed è consapevole dei pericoli che nel contado come a Roma minacciano la giovane, quindi le offre ospitalità. Poco dopo sopraggiunge Pietro al castello di Liello incontrati dei conoscenti e grazie all’intervento della castellana, riabbraccia Agnolella.

La questione non è del tutto risolta perché manca l’approvazione sociale alla loro unione, la castellana è ancora dubbiosa ma riflette sulla forza dell’amore dei giovani considerando non più necessario il consenso dei genitori, come se i pericoli scampati avessero il valore di un’ordalia, «la gentil donna, raccoltolo e fattogli festa, e avendo da lui ciò che intervenuto gli era udito, il riprese molto di ciò che contro al piacer de’ parenti suoi far voleva. Ma, veggendo che egli era pure a questo disposto e che alla giovane aggradiva, disse: - In che m’affatico io? Costor s’amano, costor si conoscono, ciascuno è parimente amico del mio marito, e il lor desiderio è onesto; e credo che egli piaccia a Dio, poi che l’uno dalle forche ha campato, e l’altro dalla lancia, e amenduni dalle fiere selvatiche; e però facciasi». Così i due Orsini decidono di aiutare i giovani a sposarsi, «Se pure questo v’è all’animo di volere essere moglie e marito insieme, e a me; facciasi, e qui le nozze s’ordinino alle spese di Liello; la pace poi tra voi e’ vostri parenti farò io ben fare», purtroppo si organizza un matrimonio non consono allo status di un Boccamazza, «e come in montagna si potè, la gentil donna fè loro onorevoli nozze». Tornati a Roma protetti dall’autorità della donna della famiglia Orsini, riescono a far accettare alla famiglia di Pietro la situazione. Il racconto della fuga come unica soluzione per sfuggire l’ira dei parenti, spiega bene l’importanza che l’assenso della famiglia rivestiva nelle classi sociali elevate, BOCCACCIO, Decamerone, V giornata; v. ALLEGREZZA, I legami di parentela, pp. 187-197; molto interessante il parallelo istituito da BROWNLEE (Il Decameron di Boccaccio e la Cité des Dames di Christine de Pizan).

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A sostegno di una simile affermazione contribuisce una breve a riflessione riguardo la collocazione spazio - temporale di queste nel contesto cittadino.

Lo spazio loro assegnato è quello conchiuso della casa, le uscite sono regolate dai familiari, scandite dagli appuntamenti religiosi e dalle mansioni che competono loro. Anche le giornate sono cadenzate, spetta loro un tempo pianificato, strutturato secondo il ruolo che in famiglia si costruisce intorno alle nubili: strani esseri egualmente bisognosi di cure, di ammonimenti e di controllo.

Le categorie femminili individuate - nubili, religiose, sposate e vedove - intrattengono un rapporto simile con lo spazio circostante: per tutte esso è limitato, quello domestico, quello delle funzioni religiose, pochi altri i luoghi frequentati per necessità pratiche56.

Se pensiamo al rapporto tra le diverse categorie femminili e il tempo, intervengono cambiamenti legati all’età: il trascorrere degli anni è collegato al ciclo biologico della riproduzione, ai tempi delle attese, dilatati per le giovani, serrati per le più anziane.

La brevità del periodo in cui si è nubili è un dato importante: se non scelgono una vita religiosa, le donne vivono lo status di nubili per una breve stagione, fino al momento del matrimonio che può avvenire presto, appena entrate nella pubertà. Dall’infanzia fino a quel momento sanno di dover vivere segregate per evitare che la loro reputazione sia intaccata e che questo precluda loro il matrimonio, sono quindi educate in maniera diversa rispetto ai maschi, la prima segregazione tra i generi avviene presto, verso i sette anni, in modo che possa sembrare il più naturale possibile e rimanere per tutto il resto della loro esistenza. La breve stagione del nubilato comprende quindi un momento pedagogico differenziato per femmine e maschi57.

Le nubili, donne non ancora sposate, restano oggetto di una sorta di sospetto causato dalla loro difficile posizione: in attesa di un matrimonio che potrebbe non esserci, potenzialmente libere di scegliere una vita religiosa, sempre sospettate d’incontinenza sessuale.

La condizione di nubile è preparatoria e precaria, il lungo tempo dell’attesa, percepito come tale, è in realtà breve e scorre sotto l’occhio vigile dei parenti, nello spazio vissuto della casa paterna, da dove ci si sposterà per passare in un’altra casa, quella del marito, o nel chiostro.

I passaggi di status cui sono sottoposte le donne sono simboleggiati da rituali visibili: da nubile a moglie, nel matrimonio; da vedova a religiosa con la pronuncia dei voti. Si tratta comunque di fasi difficili, metabolizzate con un rituale cui bisogna attenersi, attraverso rigide regole che rendano più facile ricollocarsi e mettano al riparo dall’errore perché le donne sono il metro del giudizio sociale.

Quei rituali si svolgono in pubblico - violando paradossalmente uno spazio riservato agli uomini - perché sono questi a dover vedere e avere le coordinate per ri-collocare quella donna.

Tradizionalmente lo spazio domestico, quello della casa o quello del convento, con i suoi problemi e le sue soddisfazioni compete alle donne - lo abbiamo detto - certo è che qui devono sempre tenersi attive per evitare le tentazioni che proliferano nell’ozio, specialmente le nubili, donne in attesa.

Aspettano la conclusione delle trattative maschili per un matrimonio sperando di non dover sposare un anziano o essere vendute al miglior offerente; attendono il momento giusto per dichiarare una vocazione religiosa alla famiglia, consapevoli dello scompiglio che una simile decisione, a volte, provoca.

La vocazione religiosa nel medioevo deve essere valutata sotto molti aspetti, economici e sociali e non si può escludere fosse una decisione volontaria e personale. È lecito ipotizzare sia un tentativo di conquistare una presunta maggiore libertà, sperando il proprio intento sia accettato dalla famiglia?

Il tempo del nubilato può essere anche il tempo e lo spazio in cui si maturano sentimenti d’indipendenza nascosti dietro la maschera del desiderio di santità? Si sogna realmente di essere le spose di Cristo o si sogna semplicemente di non essere la sposa di nessuno?

56 HUBERT, Rome au XIVe siècle, pp. 43-52. 57 Commovente il manuale che Dhuoda scrive nel nono secolo al figlio lontano; esatti i precetti comportamentali del Ménagier

de Paris rivolti alla giovane e inesperta moglie; poi le riflessioni di Christine de Pizan sulla necessità di educare le fanciulle nella Cité des Dames, per questi riferimenti v. la bibliografia selettiva.

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Dissertare intorno alle coscienze sarebbe presunzione e proiezione di sentimenti e mentalità contemporanee nel passato ma è lecito ipotizzare vi fossero diverse motivazioni alla base della scelta di una vita religiosa. Essa in ogni caso essa è un rifiuto del matrimonio.

Immaginiamo mille dubbi attanagliarsi nella mente di queste donne, avvolte dal silenzio delle ampie e fredde camere delle case romane.

Nella Vita di Margherita Colonna è indicativo il comportamento del fratello Giovanni: sordo ai segnali che la sorella lancia, sintomatici dell’imminente scelta, continua a ordire trattative matrimoniali, valutando il partito migliore, restringe la scelta alla classe baronale, cui Margherita è consapevole di appartenere. Chiari segnali di una consuetudine assodata, la gestione delle trattative matrimoniali interdetta alle dirette interessate, e l’endogamia romana, cristallizzatasi sullo sfondo del dinamismo economico del Duecento. A Roma era consueto cercare un marito nel proprio entourage e non altrove.

Certo anche le nubili potevano non sposarsi e non pronunciare regolari voti ma intrattenere una relazione con un ente ecclesiastico, come accade per alcune vedove, ma non sembra un fenomeno diffuso.

Un’ultima questione prima di analizzare i documenti, concerne il fenomeno della prostituzione. Le nubili erano in pericolo nella città: il furto causato dall’indigenza e la prostituzione, erano in agguato in mancanza di un matrimonio o di una scelta religiosa. A Roma, per il periodo preso in considerazione, non sembra possibile collegare un mancato matrimonio con questa pratica. Gli studi sulla prostituzione in area francese hanno conosciuto notevole sviluppo, in Italia è difficile rintracciare una costellazione di riflessioni a riguardo58.

A Roma alcuni lasciti testamentari a donne nubili non parenti dei testatori, inducono a pensare esistessero luoghi in cui le orfane senza mezzi si riunivano, aspettando donazioni che salvassero la loro reputazione ma nulla di più59.

58 Le prostitute sono donne che servono da modello negativo. Sebbene recentemente l’analisi di ROUSSIAUD (La prostituzione

nel medioevo), sia stata criticata, resta valida per quel che concerne il significato sociale della prostituzione in rapporto alle strutture demografiche e matrimoniali, alla norma e alla devianza sessuale, alla mentalità collettiva e ai valori culturali, di volta in volta, tolleranti o repressivi. L’immaginario influenza il reale e le relazioni reciproche tra uomini e donne ed emergono aspetti della mentalità che si convertono in attitudini reali della società. La meretrix, figura consueta delle strade e delle taverne, sovente presente nella letteratura, esercita un ministerium, una funzione, ha una responsabilità sociale cioè difendere l’ordine collettivo salvaguardando l’onore delle donne di rango superiore di fronte alla turbolenza maschile, moderando l’aggressività dei giovani forestieri tenendoli lontani da reati più gravi. E’ interessante ricordare che sulla prostituzione nel medioevo circolavano leggende che fomentano un immaginario collettivo nutrito anche da un’iconografia specifica: ad esempio le vetrate di Chartres realizzate all’inizio del tredicesimo secolo, sono interessanti perché affrontano il tema della prostituzione raccontando l’episodio del figliol prodigo non sorvolando, come avviene nel racconto di Luca, sul modo in cui ha dissipato i beni familiari: in un lupanare dove le donne esercitano un potere con gesti violenti e autoritari sugli uomini, un intollerabile rovesciamento della realtà. Probabilmente l’inconsueto realismo della rappresentazione dimostra che i lupanari erano tollerati e istituzionalizzati perché considerati funzionali al mantenimento della calma sessuale in città.

59 Le orfane a Colixeo, nel testamento di Pietro Landulfi di Anagni, del 25 agosto 1285.

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4. Sulle testimonianze

Abbiamo detto dei discorsi intorno al nubilato, ora si tratta di confrontarli con le testimonianze. Nelle due versioni della Vita di Margherita Colonna sono chiare le qualità che non di cui una nubile non deve essere sprovvista: pudicizia, attitudine al silenzio, sottomissione incondizionata. Questo perché la giovane donna è un essere in fieri, sospesa in un limbo sociologico, presto si deciderà il suo futuro, intanto deve evitare ogni rischio. Laici ed ecclesiastici producono modelli idealizzati secondo norme individuate, ora è tempo di confrontarli con la realtà che emerge, sì frazionata e parziale, dalla documentazione.

È possibile ritrovare nei negozi notarili queste donne malleabili, ritrose, timide e sottomesse o emergono, in taluni frangenti e per esigenze personali, deviazioni da questi modelli comportamentali, azioni che si discostano dalle consuetudini legislative e dai comportamenti socialmente apprezzati? Esiste aderenza tra modelli comportamentali e atteggiamenti concreti?

Prima di cercare di rispondere a queste domande sarà opportuno fare alcune precisazioni sulla procedura adottata.

Tra le nubili sono state annoverate tutte le donne nel cui nome non sia presente un riferimento al marito, considerando che per l’importanza sociale e giuridica del matrimonio, qualora un marito vi sia, o anche vi sia stato, sarebbe stato menzionato.

Una simile ipotesi perde consistenza per quel che concerne la menzione delle donne confinanti nelle compravendite, e nelle donazioni di beni immobili, perché qui in maggioranza sono designate con il nome proprio. In effetti la proporzione in cui si trovano rispetto alle donne sposate e alle vedove, ci spinge a pensare che vi siano ragioni di brevità e semplificazione dietro alla menzione abbreviata con il solo nome proprio: certamente si tratta di un’ipotesi ma è doveroso chiarirla.

Da un punto di vista più generale le nubili sono presenti nella documentazione, nel totale, in maniera dimessa rispetto alle altre donne, a livello quantitativo e qualitativo.

Considerando di aver preso in esame circa trecentottanta documenti con nubili presenti, dal secolo XI e fino alla fine del Duecento, (lasciando da parte i riferimenti al secolo successivo utilizzati solo per un raffronto), di questo totale meno di un terzo dei documenti mostra nubili soggetti con una certa autonomia, attrici attive dei negozi giuridici; nella restante parte, la maggior parte dei documenti, le nubili sono presenze prive d’incisività, se non persino fisicamente assenti.

Situazione squilibrata e del resto prevedibile: le nubili sono strettamente vincolate all’autorità dei parenti maschi, del padre, dello zio, del fratello e quanto più il sistema agnatizio si assesta, tanto meno possono disporre dei propri beni.

Poco autonome, scarsamente attive, perennemente custodite, numericamente inferiori, restano completamente nell’ombra?

Vincolati come siamo dalla tipologia delle fonti disponibili, osservando le donne partendo dal loro rapporto con i patrimoni, questo sembra ancora più difficile per soggetti che ai patrimoni hanno difficile accesso.

L’unico diritto che sembrano possedere è sposarsi, ma questo può realizzarsi solo possedendo una dote quindi non averla significa sciagura e solitudine. Si tratta della coscienza di un diritto che è anche socialmente irrinunciabile sebbene si tratti pur sempre di un possesso momentaneo, formale, quasi aleatorio. Difatti breve è l’intervallo tra la predisposizione della dote e le trattative matrimoniali, in cui la giovane donna non ha alcun ruolo se non in casi eccezionali, la dote, sommandosi alla donazione e ai vari pegni contratti, diventa immediatamente appannaggio della nuova coppia, in realtà sarà il marito che ne disporrà senza dover rendere conto alla moglie.

La donna nubile per eccellenza nella famiglia è la figlia, alla quale bisogna fornire una dote, possibilmente adeguata al rango sociale. Nell’eventualità che rimangano orfane bisogna predisporre una tutela, essa può essere esercitata da zii paterni o materni, se non ci sono fratelli, più di rado dalle madri vedove, in rari casi dalle nonne.

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In famiglia nubile può anche essere una sorella, e in questo ruolo spesso - cosa che non accade mai per la figlia - può esserle richiesto il consenso nell’alienazione di beni. Anche in questo caso non pensiamo possibile un suo diniego; le sorelle nubili agiscono sovente con i fratelli maschi, una volta orfani del padre, condividendo i vantaggi di un’emancipazione tacita.

Gli atti di emancipazione con genitori ancora in vita riguardanti ragazze sono il segnale dell’esistenza di una deviazione dalla consuetudine60.

La presente lettura del materiale preso in considerazione mira proprio a valutare le consuetudini e le somiglianze, valorizzando quel che di dissonante emerge, la possibilità di comportamenti altri.

Come già detto gli atti sono stati selezionati registrando la presenza di donne nubili, protagoniste e non degli stessi, poi secondo la tipologia documentaria e il periodo.

Si è cercato di registrare l’aumento o la diminuzione del numero degli atti per tipologia, tenendo a mente che si tratta di un’indagine a tappeto sì ma su un numero limitato di archivi.

Le donne nubili, o presunte tali, semplicemente citate come confinanti o proprietarie defunte, i cui problemi d’identificazione abbiamo sopra chiarito, sono segnalate in nota, per valutare la consistenza numerica di queste nei negozi giuridici e perché non riteniamo possibile, allo stato attuale della ricerca, trarre nessun’altra informazione da questo insieme di dati.

I documenti dove le donne nubili siano protagoniste o ricoprano un ruolo sono oggetto di un’analisi più approfondita.

La prima serie di atti raccoglie informazioni sul sistema dotale, si tratta di poco più di quaranta documenti riguardanti contrattazioni matrimoniali vere e proprie; atti in cui si parla di costituire una dote o sono citate doti per altre ragioni. Emerge qui la scarsa importanza della giovane donna nella fase di contrattazione economica tra le due parti, gestita dai parenti maschi.

Il secondo insieme di atti comprende una sequela di testamenti di donne e di uomini e atti in cui si citano testamenti, trentuno complessivamente. Pochissime donne nubili sono testatrici, poche donne testano in favore di altre donne - solo tre atti - in cui intravediamo comportamenti di omologazione ma anche devianze dalla successione agnatizia; le giovani lasciano sempre beni agli enti ecclesiastici e talvolta a persone esterne alla famiglia.

Nella maggior parte degli atti, le nubili sono nominate come eredi di doti, ma abbastanza numerosi sono i casi in cui sono nominate eredi universali.

Le nubili sono al centro delle preoccupazioni dei padri testatori, dei parenti maschi e delle madri: lasciare una nubile senza una dote, per un matrimonio o per la monacazione, equivale a segnarne il destino.

Il terzo insieme comprende le donazioni inter vivos, quelle pro anima e le oblazioni, per le nubili, o compiute dalle nubili: fondamentali per valutarne il grado di libertà. Donando disinteressatamente la giovane realizzare il proprio desiderio, sia devolvendo i propri beni a chiese e monasteri sia nei confronti di terze persone, dimostra una capacità di intrecciare relazioni al di fuori della cerchia familiare senza utilizzare il linguaggio economico dello scambio, appannaggio delle relazioni maschili, ma dialogando con l’alfabeto degli affetti.

Le oblazioni in particolare aprono uno spiraglio su forme altre di religiosità vissuta per parte di donne. Tra le donazioni abbiamo registrato poco più di quaranta documenti; qui si segnalano alcune iscrizioni tombali interessanti.

Questa è l’unica tipologia documentaria che diminuisce invece di aumentare nell’arco temporale considerato: sintomo di un peggioramento della condizione delle nubili?

L’insieme delle compravendite, delle locazioni e dei contratti ad laborandum in cui agiscono donne nubili, è indicativo del loro grado di marginalizzazione economica, e quindi sociale; si tratta di un insieme di atti, circa centosessanta, in forte aumento nel Duecento.

Divido per convenzione questi documenti in due grandi nuclei: quelli in cui le nubili alienano beni e quelli in cui incamerano beni, ipotizzando che i secondi siano indicativi di un maggiore grado di libertà, anche se con le titubanze già esposte. Da questi atti deduciamo informazioni sulla

60 Vedi il paragrafo 7.5, atti del 24 ottobre 1248 e del 7 novembre 1254.

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presenza nel mondo del lavoro delle nubili, minoritaria rispetto a quello delle vedove e delle sposate: esiguo il numero di contratti agricoli, scarse le notazioni di nubili lavoratrici.

Negli atti di consenso e di rinuncia ai propri diritti, in tutto quarantadue atti, in cui donne nubili dimostrano sì di vantare diritti sui patrimoni ma di dover cedere il passo agli interessi maschili su di essi, sono citate soprattutto le sorelle, non le figlie.

Infine gli arbitrati dove sono citate o sono presenti nubili, sempre tutelate e quasi mai coinvolte direttamente nella gestione delle controversie, in tutto ventotto atti. In generale sono possibili osservazioni sul numero degli atti61.

Il territorio è quello della città di Roma, nella cerchia delle sue mura con sparuti riferimenti al territorio che la circonda, ripercorrendo la complessa mappatura dei possedimenti laici ed ecclesiastici extra urbani.

I limiti costituitivi della presente ricerca ci riportano all’antica domanda: se sia possibile ponendo in parallelo le strutture culturali e una realtà documentaria giunta a noi in maniera discontinua, trarre delle conclusioni generali sulla condizione delle nubili a Roma.

Siamo partiti da considerazione di carattere generale, per passare alla storia di una nubile eminente, Margherita Colonna, ora l’intento è recuperare le storie di vita delle donne non eminenti, intuendo dai documenti i confini del loro agire e le ragioni dei loro comportamenti.

Finora le ho immaginate: meste e gioiose, innamorate o irascibili, spose rassegnate o entusiaste adolescenti illuminate, sempre in precario equilibrio, tra essere e dover essere.

61 In tutte le tipologie documentarie gli atti aumentano nel Duecento, in tutte e quattro la categorie femminili considerate.

Quando possibile abbiamo segnalato vuoti documentari o sensibili incrementi di determinati atti. Abbiamo considerato a parte gli atti incompleti, quelli chiaramente non riferibili al territorio dell’Urbe, quelli in cui le donne sono solo nominate e quelli del secolo XIV utilizzati per un raffronto.

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5. Trattative e matrimoni 5.1. Una trattativa e un matrimonio nel secolo XI

Questi documenti illustrano la fase di passaggio dal nubilato allo status di donna sposata,

momento in cui la nubile diviene - più di prima - formalmente soggetto ma in realtà oggetto di trattative a lei interdette.

Un campione scelto di atti cronologicamente separati, fornisce indizi sulla loro condizione, su quello che potevano fare e su quello che in realtà fanno. La dote è materialmente l’unico possesso di valore che la donna possiede insieme al suo corredo, di valore più simbolico che reale, a Roma la scarsità di descrizioni di corredi non permette di produrre riflessioni, altrove possibili, sul rapporto delle donne con gli oggetti personali che potevano trasmettersi di madre in figlia62.

Il rapporto con la gestione della dote varia di poco in funzione della classe sociale di appartenenza perché è sempre connotato da una certa precarietà: la nubile non ne è titolare appieno, a maggior ragione se appartenente a classi sociali superiori, la amministra il padre o i parenti prossimi preferibilmente maschi, più di rado la madre rimasta vedova.

Una medesima dissonanza tra titolarità formale della dote e reale mancanza di possibilità di utilizzo della stessa, accomuna nubili e sposate. Solo una volta vedova, nel caso riesca a recuperarla, la donna può sperare di disporre liberamente della dote (vedremo più avanti le difficoltà connesse a quest’azione).

La nubile ha bisogno di una dote anche se destinata al convento, la dos monastica, di norma inferiore a quella consueta: nei casi in cui sia la nubile a versarla in prima persona non è automatico dedurre si tratti di una scelta libera, probabilmente la pressione dei parenti anche qui è determinante.

Le donne intrattengono con la dote, patrimonio reale, un legame aleatorio. Quando la nubile compie il suo rituale di passaggio, diventa la «moglie di», non sembra possibile parlare di un’emancipazione sociale come accadere per gli uomini, il matrimonio per la giovane non corrisponde a un aumento di autonomia patrimoniale.

Ci sono due tipi di atti in questa prima serie: quelli in cui si costituisce in modi diversi, e da parte di attori diversi, una dote; i veri e propri atti di matrimonio.

I primi due atti risalgono al secolo XI, si tratta nel primo caso di un documento che descrive la possibilità per una nubile di gestire la propria dote con una donazione pia che potrebbe essere parte di una pratica di affiliazione a un monastero, senza la pronuncia dei voti: quando nel febbraio dell’anno 1041, Anna de Aprile dona al monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea una vigna che si trova vicino Porta Portese, in località Finilia , motivando la donazione «pro amore et remedio delictorum», e riservando per se stessa l’usufrutto del bene, sta proteggendo dalle mire dei parenti la propria dote? La donna domanda al notaio, consapevole del proprio ruolo di richiedente, di specificare che si tratta di un terreno di sua proprietà, «ex propria mia substantia», dimostrando di voler disporre coscientemente dei propri beni. Il gesto di questa donna oltre ad esprimere devozione quindi potrebbe indicare la consapevole scelta di evitare il matrimonio ed eventualmente decidere di vivere in stretta relazione con l’istituzione monastica senza però pronunciare formali voti63.

Il secondo documento è utile per annotare le caratteristiche delle contrattazioni matrimoniali romane, che permarranno quasi identiche nel lungo periodo, fino al secolo XIV: a una formulazione semplice e breve, priva di rituali accessori e formule cristiane in cui a una contrattazione, per verba presenti, che annoti il versamento della dos da parte della famiglia della giovane a fronte di una donatio propter nuptias da parte della famiglia del marito che ammonta di norma a metà della dote,

62 Le casse contenenti il corredo a Firenze, le zane, o le bambole sante trasmesse di madre in figlia, cfr. KLAPISCH-ZUBER, La

famiglia e le donne, pp. 193-211. 63 ASR, SCD, cass. 13, perg. 45, 27 febbraio 1041.

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segue un pegno sui restanti beni del marito, clausole sulla restituzione delle quote del patrimonio della coppia in caso di morte prematura dei coniugi - di norma lievemente sfavorevoli alle donne che non recuperano totalmente la dote - e una pena pecuniaria per chi non rispetti il contratto.

Nel contratto matrimoniale qui citato, alla consueta aridità della procedura, si aggiungono, inaspettate, tenerezze tra coniugi: Maria non è coadiuvata né dal padre né da altri parenti ma sta per diventare la moglie di Giovanni de Petro e quindi riceve la donazione propter nuptias del marito, una libbra d’argento, con altri beni. Il matrimonio inizia sotto i migliori auspici stando all’affettuoso elogio tessuto dal futuro marito, il quale apostrofa la giovane «onhesta puella dulcissima atque amantissima, karissima persona», le melliflue parole s’insinuano nel rigorismo notarile e fungono da cornice beneaugurante per la stipulazione del contratto. Qui le caratteristiche del modello femminile socialmente accettato sono tutte presenti: l’onesta, la dolcezza, la devozione64.

5.2. Costituire la dote nel secolo XII, alcune madri Nel secolo XII è possibile recuperare informazioni interessanti in ben quindici atti in cui si

procede ad alienazioni di beni o ad altri negozi per costituire la dote (otto); a occuparsi delle contrattazioni sono un tutore non chiaramente parente (1144); delle madri (1145;1182;1189); alcune nubili (1166; 1183; 1195) e infine una coppia di genitori (1199).

Nei sette casi di vere e proprie contrattazioni matrimoniali, vediamo agire principalmente i coniugi da soli (1133; 1155; 1190), in due atti i coniugi agiscono da soli ma le suocere intervengono rinunciando ai propri diritti (1160;1180), nei restanti due casi sono i genitori a gestire le trattative matrimoniali (1195; 1198).

Nel 1144, Pietro figlio di Stefano, fratello del defunto Giovanni, a fronte di un mutuum di tre libbre di provisini impegna una terra e dei buoi a garanzia del prestito ricevuto da Raniero prete e tutore dei figli del defunto Giovanni de Stefano, tra i minori tutelati c’è Teodora: probabilmente questo movimento di denari è motivato dalla necessità di costituire una dote per la nubile orfana. Non è consueto che tutore dei figli non sia Stefano, fratello del defunto, ma piuttosto il prete Raniero, solitamente se è il padre a scomparire i primi a essere chiamati in causa per la tutela di eventuali minori sono i suoi parenti maschi, poi i fratelli della giovane, poi la moglie la quale può ricevere la tutela dei figli, ma senza che questo sia un automatismo. Si sceglie tendenzialmente lo zio paterno ma anche quello materno, in generale i parenti del padre ma non in via esclusiva, rari invece i casi in cui il tutore sia estraneo alla famiglia, come qui accade65.

Dell’anno successivo un pegno gestito da Costanza madre e tutrice dei figli minori maschi e femmine, «una cum filiis meis… Stephania, Mabilia e Iohannes», in favore della badessa e delle monache di Santa Maria in Campo Marzio, su uno scopertum con terreno da semina che si trova ad criptam Rubeam, con una condizione che implica l’annullamento del pegno in caso risulti già venduta al monastero parte del terreno detto Asinum frictum. La donna, presumibilmente vedova firma e agisce da sola con i figli e probabilmente contrae il pegno anche in vista del matrimonio di una o di entrambe le figlie nubili, l’atto è firmato da tutti, «Signa manuum Constantia, Iohannis, Stephanie, Mabilia»66.

Particolare il caso di una nubile che coadiuvata dal padre e da un curatore deposita una cifra per costituire la propria dote, manifestando un’inaspettata capacità d’iniziativa? Benencasa figlia di Iacozzolus Orlandi, tutelata sia dal padre sia da Romanuccio Grisotti, «curatores meus» nominato da Paolo bibliotecario e giudice, insieme «pater et filia» ma con il consenso della badessa Agnese di Santa Maria in Campo Marzio e con le monache, Suavis e Sofia, cedono una casa ad Antonio di

64 Qui la firma del futuro marito di Maria, non la sua, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. VII, 25 novembre 1056. 65 SCHIAPARELLI, Le carte, doc. XXXIX, 18 luglio 1144. 66 CARUSI, Cartario, doc. 43, 12 gennaio 1145.

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Romanuccio Muti e ai suoi eredi in perpetuo, il cui ricavato è ripartito come segue: quaranta soldi a Benencasa; la stessa cifra al padre e al curatore. I soldi che la giovane riceve sono depositati presso il padre, «quos aput Iacozzolum patrem meum ad salvitatem meam depono et periculo eius quousque futuro viro meo in dotem dentur» in modo da poterne disporre al momento del matrimonio67.

Un’altra madre si adopera per assicurare un futuro matrimonio alla figlia: Bonella madre di Prasina dona inter vivos una somma alla figlia e ai suoi successori per costituire la sua dote, tramite lo iudex dativus le dona una casa appartenuta al fratello «Galganis fratris mei», lo zio materno, conseguenza di un legato testamentario, «pro magno amore et dilectione» specificando la possibilità di usarla come dote - impiego in alcuni contratti invece interdetto - «si eam dote viro tribuere valueris, tribuas, sin autem vendatur, et tibi pro minori etate non noceat».

Probabilmente la nubile è orfana del padre e non essendo stato possibile trovare parenti maschi prossimi e disponibili a occuparsi della sua dote è subentrata Bonella, dopo la richiesta di tutela al giudice competente per questi affari: dotare le figlie è un dovere che non può essere eluso all’interno di una famiglia perché lascerebbe la giovane in una condizione di completa insicurezza.

È interessante che a distanza di un anno e mezzo, la stessa Prasina, ancora nubile ma non più coadiuvata dalla madre, insieme al suo curatore Guidone, in presenza dello iudex dativus e del causidicus, venda a Todino la casa che la madre le aveva donato, «evenit ex donatione mee matris», per sei libbre di provisini, ora la giovane dichiara di eseguire la vendita per costituire una somma che sarà custodita dal suo curatore, «meus curator tenere ad meum opus pro mea dote» e dispone una clausola riguardante l’intromissione di futuri eredi, il notaio che attende alla stipulazione dell’atto è il medesimo ma stavolta a simboleggiare la conquista di una certa autonomia della giovane donna troviamo la sua firma al posto di quella della madre68.

Un’altra madre bada alla figlia orfana disponendo una vendita: Tutta madre di Ocilenda, «tutrix filie mee», e uxor olim del defunto Blasius de Mabilia, con il curatore della figlia e il giudice, vende a Guidone de Maximo e ai suoi eredi una «petia vinee cum quarta parte de vasca et vascario» e le restanti pertinenze fuori porta Pinciana, nella valle sancti Cyriaci; Tutta dichiara di eseguire la vendita, «pro parte dotis sue, quia in bonis dicte minoris non sunt alie res mobiles nec inmobiles minus utiles, ex quibus predicta dos solvi possit»69.

La nubile Lavinia Carleonis, contrae, in nome dei suoi eredi e successori, un pignus in conseguenza di un mutuum su una «terra sementaricia cum pascuis et limitibus» con le relative pertinenze da Giovanni di Stefano protoscriniarius; la terra che si trova fuori il ponte Salario, in sacco Carleonis, dovrà essere riconsegnata, entro una data per non incorrere in una pena pecuniaria: il fatto che la nubile agisca sola, senza parenti o procuratore, dimostra che ciò, in via del tutto eccezionale fosse possibile?70

Le disposizioni approntate dai coniugi Achille e Teodora per la figlia rendono la misura di un dovere percepito nei confronti delle nubili: questi offrendosi al servizio di Dio e del monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea, rivolgendosi all’abate Niccolò, donano inter vivos tutto quello che possiedono a Roma, Campagnano e altrove ma riservano venti libbre di provisini per la dote della figlia Placida, ancora nubile, dimostrando che è un dovere ineludibile nei confronti di una figlia nonostante si stia affrontando una scelta di vita radicale e condivisa71.

Come cambiano gli attori, genitori, madri, terze persone o le stesse nubili in prima persona, così i modi di costituire una dote mutano: vendite, pegni e donazioni sono tutti validi negozi per un importante e doveroso gesto.

67 La badessa riceve trenta denari per la vendita, la pensione della casa ammonta a quattro denari papiensi da dare al monastero,

una clausola difende il bene dalle interferenze possibili di futuri eredi, CARUSI, Cartario, doc. 53, 29 settembre 1166. 68 Firma il documento la madre: «signum manus Bone huius chartule rogatricis», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in

Via Lata tabularium, doc. CCXVII, 20 febbraio 1182; nel secondo atto il notaio è lo stesso ma a firmare il documento è Prasina: «signum manus Prasina e Guidonis», doc. CCXXI, 8 agosto 1183.

69 Per diciassette soldi di provisini, la vedova versa per il consenso cinque soldi di provisini alla badessa, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCXXXIIII, 19 gennaio 1189.

70 HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCLIII, 9 novembre 1195. 71 ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 163, gennaio 1191.

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5.3. Matrimoni senza genitori nel secolo XII Tra i quindici atti del secolo XII, i già citati otto documenti che servono a costituire doti e sette

contratti matrimoniali (1133; 1155; 1160; 1180; 1190;1195;1198). Nel primo degli atti matrimoniali datato al 1133, i protagonisti sono i futuri sposi senza la

mediazione dei genitori: Roberto copellarius, sposa Bonella «future uxore mea e ohnesta femina», spontaneamente, bona et spontanea voluntate, versando la donazione propter nuptias e impegnando metà dei suoi beni «mobilius vel immobilius… habeo vel abebo… dum vixero» per un valore di trenta soldi di denari, somma pari a quella ricevuta dalla futura moglie «pro nomine dotis», discostandosi dalla consuetudine secondo cui la donatio è metà della dote.

Qui è pronunciata una formula cristiana dal marito: «… quam si Dominus placuerit in legitimo matrimonium consociari visum sum, divina favente gratia»; nelle clausole sulla premorienza dei coniugi incontriamo condizioni favorevoli alla donna: se lei sopravvivrà al marito con o senza figli, senza specificare se maschi o femmine, avrà l’usufrutto dei suoi beni pleno iure e potrà trasmettere i beni in usufrutto ai suoi eredi; consuete sono le pene pecuniarie in caso di mancato rispetto del contratto. La definizione di chartula donationis per questa contrattazione è il segnale che nel secolo XII, l’atto matrimoniale a Roma è assimilabile giuridicamente a una semplice donazione tra coniugi, la malleabilità delle clausole dimostra poi la versatilità delle consuetudini in materia matrimoniale72.

Vent’anni dopo, altri due coniugi stipulano accordi dotali autonomamente: Romano de Paulo, futuro marito di Maria Bona versa una donazione propter nuptias del valore di venti soldi affortiatos, aggiungendo un pignus dotale a tutela della futura moglie e dei suoi eredi su un casarinum, un terreno edificabile, del valore complessivo di sessanta soldi affortiatos, somma equivalente alla quota versata dalla moglie «nomine dotis». Qui le clausole sulla premorienza dei coniugi contemplano la restituzione della dote nel caso non ci siano figli, sine filiis, e lasciano l’usufrutto della casa alla moglie in ogni caso, e con figli, l’usufrutto di beni immobili; altre clausole prevedono la restituzione dei reciproci apporti73.

Nel 1160 Beneincasa figlia di Baroncello de Babillonia, futura moglie di Gozo de Todero, «sponsa et futura uxor mea», riceve la donazione propter nuptias di venti libris affortiatis corrispondenti al valore di una terra sementaricia che la suocera Berizza ha acconsentito a vendere con il consenso e la rinuncia ai propri diritti (il suddetto terreno era stato locato in terza generazione a Todero scriniario fratello di Gozo). In caso di morte di un coniuge il terreno diventerà usufrutto dei discendenti della coppia, «filio vel filia». Beneincasa ha versato una dote di venticinque soldi, che comprende una pedica di terreno del valore di quindici affortiatis a Columpne e una «domus terrineam teguliaciam… iuxta turrim et camminatam» a Roma, del valore di dieci libras affortiatas, beni donati da Baroncellus. Eredi dei beni della coppia saranno i figli, ma in caso di morte del coniuge senza figli la donna potrà comunque disporne. Neanche qui è confermata la consuetudine di stabilire la donazione a metà della dote; ci sono clausole eque per i coniugi ed è interessante la presenza della suocera, probabilmente vedova, perché i terreni cui rinuncia sembra siano di sua proprietà a titolo personale, forse ereditati dal marito?74

A distanza di venti anni dal precedente atto, nel 1180, Prostandata, futura sposa di Pietro di Raniero, riceve la donazione propter nuptias e un pignus dotale su una casa a fronte del versamento della sua dote, anche qui come nel precedente atto è presente la suocera - del marito - Cecilia, come testimone dell’atto, probabilmente perché la giovane è orfana del padre; qui le clausole sulla destinazione dei beni della coppia in caso di decesso sono eque: i beni sono dei figli e l’usufrutto resterebbe al coniuge superstite75.

72 CARUSI, Cartario, doc. 32, 20 luglio 1133. 73 Due matronimici nelle sottoscrizioni, Pietro di Romano de Berta e Berardo di Romano de Roccia, HARTMANN , MERORES,

Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CLXXXVI, 15 settembre 1155. 74 CARBONETTI, Le più antiche, doc. 5, 18 novembre 1160. 75 Un matronimico tra i testimoni, Raniero de Giulia, FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. CXIV, 9 gennaio 1180.

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Al 1190 risale un altro instrumentum dotale con donazione e pegno stipulato tra i coniugi senza la mediazione dei genitori o di altri parenti: Sergia future di Nicola Colobrini, riceve metà dei beni mobili ed immobili del marito, quindi i due dispongono clausole eque in caso di premorienza del coniuge, lasciando ai figli l’usufrutto di tutti i beni, e la possibilità di disporne al coniuge superstite anche in assenza di figli, con la restituzione della dote entro sei mesi dal decesso76.

Solo gli ultimi due atti sono stipulati dai genitori della coppia e presentano caratteristiche peculiari.

Nel 1195 a gestire le trattative sono i genitori dei futuri coniugi e troviamo la rara menzione di una dote stimata, cioè il resoconto minuzioso e ufficiale della sua composizione, forse perché si tratta di un matrimonio tra figli di iudices, il che spiegherebbe la meticolosità della descrizione e attesta una volontà endogamica delle emergenti classi medie: qui il contratto matrimoniale prende la forma di un pignus dotale a favore di Maria figlia di «Johannes Stefani dei gratia Lateranensis palatii protoscriniarius iudex», futura moglie di Romano di Giovanni Romani scriniarii, e tramite un procuratore il padre di Romano, pone in pegno «in dotem estimatam» vari beni immobili come donazione del figlio, «pro Romano filio tuo», beni immobili, terreni, pascoli, un mulino e le relative pertinenze acquatiche, che valgono «triginta quinque libris bonorum prov(ininsum) senatus»77.

Nell’ultimo documento è Durans padre di Panfilia futura sponsa di Benedetto, a versare per lei tre libbre di provisini di dote, e ricevere la donazione: «Duranti, recipienti pro Panfilia, filia eius, sponsa sua et futura uxore, tantum in omnibus bonis suis quod bene valeat tres libras provisinorum senatus», il padre disporrebbe la spartizione della somma in caso di morte prematura della donna; a questa sarebbe permesso, qualora morisse il marito, destinare la dote in mancanza di figli a chiunque voglia; si stabilisce che il padre potrà riprendere un terzo dei beni versati come dote, «eo tenore ut si dicta filia eius sine comunibus liberis obierit, relinquat ipsa cui voluerit ex hac donatione, patre nunc consentiente, tertiam in pecuniam partem et reliquum huius donationis ad se revertatur». Qualora dovesse morire Benedetto prima della moglie, senza figli, la donna riceverà metà della dote e il residuo andrà ai suoi eredi, «Si ipse Benedictus ante eam sine comunibus liberis decesserit, habeat ipsa huius donationis in pecuniam medietatem, et residuum ad suos heredes revertatur», accordi non del tutto equi78. 5.4. Trattative matrimoniali nel Duecento

Nel Duecento aumentano i documenti interessanti, una trentina, nove casi di costituzione di

doti; sedici matrimoni. In alcuni atti dell’inizio del secolo sono citati i diritti dotali di alcune donne, tra cui delle nubili; citiamo un atto con Carlo II d’Angiò del 129379.

76 FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. CXXXIII, 8 aprile 1190. 77 HARTMANN , MERORES, Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CCLIIII, 4 dicembre 1195. 78 L’ammenda per il mancato rispetto del contratto matrimoniale ammonta al doppio della donazione, «duplum dicte

donationis», ASR, SSC, cass. 38, perg. 45, (FEDERICI, Regesto, doc. XLVIII), 29 gennaio 1198. 79 Viviano dona dei beni al monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata tramite la badessa Costanza e il procuratore,

citando la nubile Cecilia e sua moglie Martella, le quali riceveranno un pagamento come dote, forse per la prima si tratta di una dote monastica e per la seconda di un’integrazione di dote, poi in un atto collegato al precedente, è confermata questa donazione, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 21, 7 febbraio 1202; Giovanni vende tramite procuratore un terreno a Nicola Tederici e garantendo le perdite cita gli accordi dotali della figlia di Nicola de Sico, doc. 35, 19 febbraio 1204; nell’instrumentum divisionis dell’anno successivo sono citate Agnese moglie di Iaquintus figlio di Raino [Octaviani Henrici]; Aldruda moglie di Giovanni Stefani; Agnese probabilmente moglie di Bartolomeo e i diritti dotali di Angnocia Capocie, probabilmente nubile, doc. 42, 12 settembre 1205.

Carlo II d’Angiò, dona ad Anastasia di Monforte, in occasione delle imminenti nozze con Romanello de filiis Ursi, alcune terre e beni feudali appartenuti al padre, sottratti a causa di alcuni delitti, le clausole prevedono che se Romanello morrà prima della moglie i beni torneranno alla curia, se invece lei morrà un redditus di duecento once d’oro andrà al marito, Arch. Ors. II. A. XLII pag. 45. tergo 95. 104 t.°, 8 marzo 1293 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 82), vedi G. CONIGLIO, Carlo II d’Angiò, in Dizionario Biografico degli Italiani, 20, Roma 1977, pp. 233-234.

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Nei dieci casi di alienazioni di beni per costituire doti di giovani agiscono padri (1200-1209; 1209); uno zio (1239); dei monaci (1243); una madre vedova (1249); due sorelle, una sposata e una nubile (1281, 1282).

Nei primi due atti incontriamo padri che dispongono della dote delle figlie: Pietro Bonifilii nel suo testamento nomina eredi i figli maschi e cita la figlia nubile Todisca perché il prezzo di acquisto di un bene è raggiunto con parte della sua dote, che ammonta a dieci libbre di provisini80; nell’affare del 1209 Oddo di Romano de Turre con la figlia nubile Palmeria, previo consenso del prete di San Andrea de Aquariciariis, cede ad un laico la conduzione perpetua di una casa, parte della dote della figlia: ciò significa che il padre poteva disporne liberamente senza il consenso della giovane che prima del matrimonio non era titolare di diritti, infatti «que domus nobis pertinet et concessa fuit nobis pro dote mei Palmerie et donatione vel quocumque alio modo nobis pertinet»81.

Trascorsi tre decenni, vediamo agire un parente maschio: Gregorio di Benedetto Berardi zio (probabilmente materno) di Golata orfana di Matteo Rubli, vendendo con il consenso dei monaci di San Silvestro in Capite, a Bonuccio di Benedetto Sinibaldi, metà di una casa del valore di sei libbre di provisini gravata da un pegno dotale del valore di otto libbre, dispone con pieno diritto della dote della nipote; i monaci di San Silvestro in Capite provvedono alla costituzione della dote di Petra Ciolfi, tramite la locazione di una casa per la quale dovrà pagare una pensione annua di undici libbre di provisini?82

In un solo caso una madre utilizza la dote della figlia: Oddolina vedova di Paolo Sassone madre e tutrice di Tommaso Sassone vende a Leonardo orfano di Pietro Copazano, una vigna per nove libbre di provisini, somma prelevata dal totale di quaranta lire dovute per la dote di Teodora, sua figlia, futura sposa di Leonardo Angelo di Giovanni notaio. Simili trattative e la citazione della destinazione del bene sono un obbligo per la madre della giovane, una vedova che sta ricoprendo un ruolo tradizionalmente maschile?83

In due atti successivi, in quella che non esitiamo a definire una genealogia femminile di locatarie, le nubili Stefania e Boniza sorelle e figlie di Agnese, nipoti della defunta Alfania, ottengono il rinnovo della locazione concessa alla madre e alla nonna con una pensione di tre rubla di grano e due denari pavesi dal monastero di Sant’Alessio, dove le donne devote, dispongono la propria sepoltura. L’anno successivo dopo aver ereditato la locazione entrano in pieno possesso del bene Stefania che intanto si è sposata con Andrea di Oddo, e Boniza, l’altra sorella in attesa di sposarsi, la quale prende la sua parte della casa proprio come dote84.

Le possibili figure di attori che intervengono per assicurare alle nubili una dote sono varie: padri, zii, monaci, una madre, le nubili in prima persona o terze persone, eppure tutti di buon grado, assumono quest’onere percepito come un dovere sociale.

5.5. Matrimoni e genitori

I sedici matrimoni qui citati presentano elementi simili: alla notazione della donatio, fa fronte quella della dos ed è sempre presente un pegno sui beni del marito. L’ammontare delle doti aumenta progressivamente e quando segnalate, donazione e dote, sono in proporzione stabile, l’una la metà dell’altra85.

80 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 64, 2 febbraio 1200-20 maggio 1209. 81 LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 6, 4 marzo 1209. 82 ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 91, (FEDERICI, Regesto, doc. XCV), 25 settembre 1239; i monaci proprietari del terreno

ricevono dodici libbre, perg. 96, (FEDERICI, Regesto, doc. CI), 28 luglio 1243. 83 ASR, SCD, cass. 17 bis, perg. 270, 20 novembre 1249. 84 MONACI, Regesto, doc. LXI, 6 febbraio 1281; doc. LXI, (3° documento), 20 marzo 1282. 85 Una donazione di quaranta e un pegno maritale di venti libbre (1207); una donazione di cento libbre equivalente a metà

valore della dote (1212); dote di sedici e donazione di otto libbre (1215); dote di quarantacinque e donazione di novanta (1225);

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Ad agire sono un fratello per la sorella (1207; 1290); padri in nome dei figli (1232, 1237; 1248; 1276; 1284), un padre della sposa, con il consenso della madre dello sposo (1225); nubili e futuri mariti senza parenti (1215; 1241; 1299); nubili e futuri mariti con procuratore (1238; 1251); una nubile con il consenso della suocera (1212); un marito in un atto incompleto (1234); in un caso terze persone (1289).

Egidio Tedelgarii de Pezengaris fratello di domina Rosa si occupa per lei delle trattative con Romano di Giovanni de Bulgaminis, suo futuro marito, ricevendo la donazione propter nuptias di quaranta libbre di provisini, somma che corrisponde al pagamento parziale di un terreno, per cui Romano impegna una casa e una torre a Santa Maria in Aquiro. In un atto separato - ma con la stessa data, lo stesso notaio rogatore e i medesimi testimoni - Romano impegna un terreno per venti libbre di provisini a favore di Egidio, descrivendone i confini e stabilendo un’ammenda del doppio del valore in caso di rescissione del contratto: qui Rosa ha un ruolo marginale, e agisce il fratello, anche se il padre non risulta deceduto86.

Nell’ instrumentum dotale stipulato tra Tadea orfana di Angelo de Villis e Alberto, sebbene i futuri sposi agiscano autonomamente compare il consenso di Aymelle madre di Alberto; qui la futura sposa orfana, agisce sola senza parenti né procuratore portando come dote una casa e ricevendo la donazione propter nuptias di cento libbre di provisini, equivalente a metà del valore stimato della casa - come consuetudine - nel contratto è prevista la restituzione della dote e l’usufrutto dei beni in caso di morte del coniuge87.

Nel 1225 incontriamo di nuovo Egidio di Romano Pezengari – il fratello di Rosa nell’atto del 4 gennaio 1207 - alle prese con il suo matrimonio con Contissa figlia di Pietro di Lorenzo Musca in Punga: dispone un’obligatio e un pignus su dei terreni tramite un procuratore e versa la donazione propter nuptias, di quarantacinque libbre, a fronte di una dote del valore di novanta libbre - secondo un rapporto consuetudinario - che consiste in una casa terrinea con giardino nella regio Vinee Tedemarii. Qui Sassa madre di Egidio, interviene nelle trattative matrimoniali del figlio rinunciando ai propri diritti nei confronti del patrimonio, una nota assente nelle contrattazioni della figlia. Incontreremo di nuovo Egidio in un arbitrato una quindicina di anni dopo88.

Esistono anche clausole che limitano la cessione di beni come dote: come quando Giovanni Gaetano abate del monastero di San Paolo de Urbe e Stefano cardinale di Santa Maria in Trastevere, cedono gli iura sulla metà del castrum Marcellini ai fratelli Romano e Archion, ricevendo in cambio delle terre e quei diritti non cedibili, che sono però utilizzabili come dote, «pro dotibus filiarum vestrarum»89.

Le fasi della stipulazione del contratto matrimoniale possono abbracciare alcuni anni, prima dell’effettivo esito, a causa dell’età dei coniugi o per motivi di disaccordo economico come supponiamo sia accaduto nel caso di Stefania, figlia di Nicola di Giovanni Bonifacii che nel 1232 sembra stia per sposare Egidio, nipote del defunto Nicola di Giovanni Ricii, portando una dote di novanta libbre di provisini a fronte di una donazione di quarantacinque libbre di provisini e un’obligatio del marito su un casale cui si aggiunge il superfluum di un terreno considerato una garanzia di sicurezza, ma passano cinque anni e si contratta ancora per il matrimonio di Stefania ed Egidio Nerus (ora figlio del defunto Nicola di Giovanni Ricii?) che promette di versare sedici libbre di provisini a Nicola per la figlia, «promissio guarnimenta», garantendo il pagamento della somma con altri beni impegnati. Incontreremo la donna diventata vedova in un arbitrato90.

donazione di quarantacinque e dote di novanta, guarnimenta che ammontano a sedici libbre (1232, 1237); cento fiorini di donazione e dote sconosciuta in un atto incompleto (1234); dote di centosessanta e donazione di ottanta (1238); dote di sessanta e donazione di trenta, con un pegno di duecento libbre, (1241,1248); dote di cento libbre, 1251; dote di duecento libbre (1276); una dote di novanta fiorini e una donazione di quaranta fiorini (1284); un pegno dotale di valore ignoto, (1289); una dote di sessanta libbre (1290); una dote di mille fiorini (1299).

86 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 50, 4 gennaio 1207. 87 ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 65, (FEDERICI, Regesto, doc. LXVII), 2 novembre 1212. 88 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 132, 3 febbraio 1225. Cfr. par. 8.4., capitolo II. 89 Qui la formula «vestris heredibus» è ripetuta due volte anche per il castrum Longuezae locato a Romano, le mogli dei

protagonisti non acconsentono ma sono citate come uxor Archion figlio del defunto Gregorio Marcellini e uxor Romanus figlio del defunto Gregorio Marcellini, Arch. Ors. II. A. I. N. ri 18-19, 25 gennaio 1229 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 34).

90 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 145, 1° febbraio 1232; doc. 170, 31 dicembre 1237. Cfr. capitolo IV, par. 11.3.

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Nel 1238 incontriamo Domina Benvenuta - protagonista di un lungo arbitrato con il marito per rientrare in possesso della propria dote - nel contratto matrimoniale che la donna autonomamente stipula con il futuro marito.

Benvenuta orfana di Gregorio Laurentii, tramite un procuratore si accinge a diventare la moglie di Romano figlio di Giovanni Rainaldi, in nome del quale agisce il padre obbligando dei terreni a fronte di una dote di centosessanta libbre e mezzo, con una donazione di ottanta libbre. Qui è citata domina Onitosa sorella di Alichus nubile proprietaria di un terreno confinante, e la madre di Romano, domina Bona, moglie di Giovanni, la quale rinuncia ai suoi diritti sul bene sottoposto a pegno nel contratto stipulato per il matrimonio del figlio91.

Gli accordi matrimoniali tra Enrico Gualferami e Scotta, non presentano particolarità: l’uomo pone un pignus dotale su un edificio a Roma e sui tenimenta tiburtini; alla dote di sessanta libbre di provisini corrisponde una donazione di trenta libbre di provisini; le clausole sulla premorienza dei coniugi stabiliscono la restituzione della dote alla donna da parte dei parenti del marito, se sarà lei a mancare, ma il marito potrà rendere la dote anche a una figlia, se lui dovesse morire e la moglie sopravvivere con i figli a questi andrebbe la donazione del padre, senza disporre differenti spartizioni in caso di figli, maschi o femmine92.

Nel 1248 il pegno dotale, del valore di duecento libbre di provisini, è gestito dai genitori dei futuri sposi, Mattia orfano di Annibaldo padre di Golitia e Fortebraccio di Iacopo Neapoleonis, il padre dello sposo, che impegna un tenimentum situato in territorio Palombarolo93.

Agiscono autonomamente ma tramite procuratore, Thomao di Giovanni Tiverii impegnando i propri beni immobili e donando due pastini ad Ameldriga figlia di Ottaviano e ai suoi eredi e successori, lei ha versato cento libbre di provisini come dote ereditata dal padre nella prima fase delle contrattazioni, «olim tempore sponsalia», notazione che rivela essere passato del tempo tra le fasi contrattuali (come nel caso del 1232). Nello stesso giorno, ma in un atto diverso, quella che oramai è la moglie di Thomao, con il consenso del marito, dona il terreno che aveva ricevuto da lui come pegno dotale al monastero di San Sisto Vecchio: il fatto che la donna doni immediatamente parte dei beni che dovrebbero costituire il patrimonio della coppia appena formata è singolare. Potrebbe essere il segnale di una raggiunta indipendenza economica ma potrebbe anche celare la restituzione di un debito, atti di questo tipo ci spingono a pensare che per le donne, se un mutamento avviene - senza considerare esso di per sé un miglioramento o un peggioramento - quello coincide con il matrimonio piuttosto che con la dipartita del paterfamilias, evento foriero di conseguenze più per gli uomini che per queste94.

Nel successivo atto i genitori mediano per i figli: Agnese Gavelluti figlia di Pietro Gavelluti e futura moglie di Giovenale orfano di Giovenale Monetti, è titolare di una dote che ammonta a duecento libbre di provisini versata dal padre; il marito ipoteca la quarta parte della torre pertundata col palatium annesso a un bene ancora indiviso, a metà con un altro proprietario, poi alla donazione aggiunge una casa nella regione caccabariorum, beni notevoli che probabilmente superano il valore consueto di metà della dote95.

Anche la contrattazione che segue è gestita dai genitori della coppia: Loffreda «filius olim domini Pauli Petri de Iaquinto de Loffredinis», futuro marito di Teodora figlia di Bartolomeo orfano di Thome Clitonis, versa al suocero una donazione di quaranta fiorini aurei e pone un pignus su metà di un «accasamentum in regio campimartis» cioè un insieme di edifici coerentemente riferibili a un capo famiglia (nell’altra metà del bene, proprietà di Egidio di Paolo Loffrede, abita una donna di nome Rixa, probabilmente nubile, di professione tabernaria). Lo sposo impegna molti beni: la quarta parte di una torre in regio scorteclariorum, divisa con quell’Egidio sopra citato e un altro

91 Segue un arbitrato in cui Pietro di Angelo Seniorilis media tra Romano e sua madre contro Giuliano procuratore del

monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata per un terreno, ipotecato da Romano, l’arbitro dispone affinché madre e figlio riparino al danno, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 173, 22 marzo 1238. Cfr. capitolo III, par. 8.3.

92 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 92, 12 agosto 1241. 93 Arch. Ors. II. A. I. N. 30², 26 gennaio 1248 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 56). 94 BARTOLONI, Codice Diplomatico, doc. XCVI, 25 gennaio 1251; cfr. CARBONETTI, Le più antiche carte, docc. 109, 110, 25

gennaio 1251. 95 Arch. Ors. II. A. II. N. 6, 24 gennaio 1276 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 34).

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proprietario; la quarta parte di altre case abitate e di un casarinum cum orto; un terreno edificabile con un terreno seminativo; il suocero versa novanta «florenos boni auri» come dote. In caso di morte prematura di Teodora si promette la restituzione della dote ai contraenti entro sei mesi dal decesso, in assenza di figli; se invece a morire sarà il marito, la somma andrà ai suoi successori non alla moglie, perché «renuntians illi capitulo loquenti quod non possit consilium possit consilium alimentorum mulieres constante matrimonio, volens quod ipsium consilium possit commicti ad peticionem ipsius dom. Theodore si contingerit necessarium esse»96.

Come nel primo documento della serie anche alla fine del secolo un fratello gestisce le contrattazioni matrimoniali per la sorella: Andrea fratello di Margherita futura moglie di Francesco orfano di Angelo di Romano di Giovanni Pauli macellarius de regio Ripe, tratta per gli sponsalia della nubile, «consanguinea domino Iohannis Calisti militi, Caliste nepos domini Iohannis, Andrea filius quondam Nicolai Iohannis Stephani», ricevendo la donazione del futuro marito e un pignus dotale che comprende metà di una «domus cum cervinaria e apothecis», per metà del fratello; metà di due petias vinee situate sul monte San Saba; un’altra vigna e tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri. Andrea versa sessanta libbre di provisini «nomine dotis», seguono gli accordi in caso di morte prematura (se lei morrà prima di lui senza figli in sei mesi, la dote tornerà ai costituenti, salvo volere differente della donna alla quale sarebbe permesso comunque destinare solo quindici libbre di provisini diversamente); la madre dello sposo, Giovanna, sorella di Giovanni prete della Chiesa di Santa Maria de Gradellis, zio dello sposo, con i medesimi diritti patrimoniali acconsentono, rinunciando ai beni pignorati dal figlio a garanzia della dote della futura moglie97.

Il pignus dotale stipulato da Orso orfano di Francesco di Iacopo Napoleonis de filiis Ursi a garanzia dei diritti matrimoniali della futura moglie, Francesca figlia di Bonaventura de Cardinalis, avviene con la garanzia del castrum Vicovaro a fronte del versamento di mille fiorini di dote98.

A parte due documenti tiburtini non dissimili dai precedenti, e un atto incompleto99.

5.6. Due casi del secolo XIV

Del secolo XIV ho selezionato due atti inconsueti, il primo del 1300 tratta di uno scioglimento di matrimonio in nome di una nubile minore, gestito dal nonno paterno: Domenico Raynerii è avus e tutore di Sofia, orfana di Nicola Dominici Raynerii, promessa sposa un tempo, olim sponsa, di Lucarello orfano di Loffredus Luce Lombardi della regione Sant’Eustachio, tutelato dal fratello Iannucius e dallo zio Obicio orfano di Luce Lombardi. Il tutore della giovane ha deciso di sciogliere la promessa di matrimonio, fidantie, e questo deve avvenire necessariamente tramite la mediazione

96 SAJEVA, I più antichi documenti, doc. 10, 19 dicembre 1284. 97 Parte del testo mancante, SAJEVA, I più antichi documenti, doc. 14, 27 ottobre 1290. 98 Arch. Ors. II. A. II. N. 49, 9 maggio 1298 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 92); in un documento di Alatri, troviamo le interrogazioni

testimoniali circa la forma di un matrimonio contratto con la minaccia delle armi, «per vim», da parte della famiglia di una certa Bartolomea, con un certo Giovanni di Benedetto Raonis, qui testimoniano uomini e donne, Maria Pinnataria e Maria dompna, MAZZON, Le più antiche carte, doc. 32, post 8 aprile 1299.

99 Nel 1215 in un contratto matrimoniale gli sposi agiscono in autonomia: Sergia futura moglie di Pietro de Moseo, versando una dote di sedici libbre di provisini, riceve come donazione propter nuptias un tenimentum al monte San Nicola del valore di otto libbre di provisini, in rapporto consuetudinario, anche qui la dote è stimata - la seconda attestazione trovata - il notaio tiburtino elenca una vigna del valore di quattro libbre di provisini nel tenimentum di Castrum Longeczi, (Lunghezza oggi vicino Tivoli sull’Aniene), tre libbre di provisini in contanti e nove libbre di provisini in beni mobili, in tutto sedici libbre, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 95, 26 febbraio 1215.

Leonardo Casciano dona a una donna, per le nozze, cento florenos di provisini del senato, ponendo un pegno sui propri beni e dichiarando di avere avuto in dote una certa somma, ASR, SCD, cass. 17, perg. 238, 26 febbraio 1234; anche terze persone possono aiutare con donazioni una coppia a sposarsi come nel 1289 con un pignus dotale: Francesco di Iacopo Napoleonis de filiis Ursi signore del castrum Saccobono a Tivoli, concede dei terreni a Egidio Todini per trattare le nozze con Pace, orfana di Giovanni di Oddone. Il versamento non è di certo disinteressato perché trattasi di terre sulle quali grava l’obbligo di una corrisposta annua all’Orsini, quindi concedendo a Egidio i soldi per sposarsi acquisisce un nuovo reddito, Arch. Ors. II. A. II. N. 24, 19 maggio 1289

(DE CUPIS, Regesto, I, p. 38).

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dei parenti perché Sofia e Loffredus sono minorenni, allora le parti si accordano per una «sententia divorsii» che implica la restitutio della dote (centocinquanta fiorini). A quest’operazione segue la vendita di un terreno che avviene per raggiungere la somma da restituire corredata dal consenso e dalla rinuncia ai propri diritti dotali della giovinetta100.

Anomalo il fatto che Sofia madre di Pietro, Iacopo, Alessio e Riccardo di Bonaventura acconsenta alla promessa di fornitura di una dote alla sorella Bartolomea, sua figlia, approvando il loro impegno a dotare la consanguinea con millecinquecento fiorini: la necessità di esplicitare una promissio contrasta con la considerazione della fornitura di una dote come automatica e ineludibile, sia in seno alla famiglia ma anche a livello comunitario. A spiegazione di queste cautele l’ipotesi che si tratti di figli di primo e secondo letto o semplicemente il mezzo per obbligare chi ha eluso un dovere troppo oneroso101.

100 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 205, 23; 25 maggio 1300. 101 Arch. Ors. II, A. III, N. 7, 12 febbraio 1303 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 96).

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6. Testamenti per le nubili, testamenti delle nubili Al fine di individuare meglio i comportamenti delle nubili separo gli atti in cui sono le nubili a

testare dagli atti in cui queste sono citate come beneficiarie di legati testamentari, vale a dire in testamenti di uomini, padri e altri parenti, e in alcuni, interessanti, testamenti di vedove.

Per motivi anagrafici, le nubili non sono sovente testatrici, ma sono più spesso, figlie e sorelle che ricevono donazioni testamentarie a protezione del loro futuro, reso sicuro solo dal possesso di una dote, per un matrimonio o per il monastero.

Se di norma gli uomini dispongono lasciti come dote alle figlie e alle sorelle per estrometterle dall’asse ereditario non mancano esempi di nubili inserite appieno nella linea successoria e nominate eredi universali. La tutela delle minori spetta in automatico al padre ma diversi attori possono subentrare con una certa elasticità: gli zii materni e paterni, le madri o terze persone degne della fiducia del capofamiglia.

Da rilevare che le beneficiarie dei lasciti dei testatori per costituire una dote, non sono solo parenti, figlie o sorelle, ma anche donne indigenti non facenti parte della schiera familiare: la fattispecie delle dotazioni caritatevoli è chiara espressione di una diffusa preoccupazione comunitaria?

Altro dato importante che emerge nei testamenti riguarda le differenze nella distribuzione dei patrimoni secondo il sesso dei nascituri: in molti dei casi trattati, le consorti sono in stato interessante al momento della redazione del testamento del marito, (a causa della differenza di età tra coniugi che supera i dieci anni) e i mariti cambiano la parcellizzazione dei propri averi secondo il sesso del nascituro.

È possibile inserire anche clausole testamentarie che interdicono l’utilizzo dei beni lasciati in eredità come dote, espressione di una mentalità che considera la dote sinonimo di dispersione del patrimonio familiare.

Negli sparuti casi in cui le nubili testano, preferiscono lasciare i propri beni a enti ecclesiastici e a terze persone, non necessariamente ai facenti parti la cerchia familiare, deviando dal principio agnatizio.

6.1. Due casi del secolo XI

Risalgono al secolo XI due atti, il testamento di una nubile - che segnaliamo anche se

proveniente da Sutri - e il testamento di un uomo che lascia alla madre e alla sorella nubile, dicendo che la sua eredità proviene da entrambi i genitori, testimoniando il permanere di un doppio binario di trasmissione, agnatizia e cognatizia, a quest’altezza cronologica.

A Sutri nel 1077 Costanza novilissima femina, orfana di Brittus bonae memoriae e della madre defunta - ma non citata - decide di donare pro remedio animae alla chiesa dei Santi Iacopo e Filippo tutta l’eredità immobiliare paterna a suffragio dell’anima dei genitori, al «signum manus Constantia», segue l’elenco dei sette testimoni, quest’atto dimostra che la donazione nel secolo XI poteva fungere da testamento102.

A distanza di dieci anni, a Roma, Pietro Sassonis de fra(…) Duranti filius, disponendo lasciti pii alla chiesa di Santa Maria in via Lata con il consenso della madre Teodora, non dimentica di provvedere a quest’ultima e a Stephula sua sorella, germana, ancora nubile, anche se con una limitazione: le donne avranno l’usufrutto dei beni donati alla chiesa solo se non avranno figli, «si

102 Notaio è «Rodolfo iudex et notarius de civitate Sutrina», ASR, SCD, cass. 15, perg. 82, (FEDELE, Carte, doc. LXXXII),

settembre 1077.

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sine filiis»; ci interessa notare che l’eredità che Pietro lascia alla chiesa è «ex parte patris vel etiam predicte matris» confermando che il sistema di trasmissione dei beni non era ancora esclusivamente in linea maschile103.

6.2. Il secolo XII Dei quattro atti registrati per il secolo XII solamente nel primo è citata, indirettamente, una

nubile testatrice, confermando la tendenza ai lasciti pii: nel 1107, Pietro prete di San Biagio e Pietro figlio domni Raineri, in quanto fidecommissari ed esecutori testamentari della defunta domna Adelascia, eseguono a suo nome una donazione pro anima104.

Gli altri tre atti hanno per protagonisti dei testatori: il primo in parte incompleto, riporta le disposizioni di Tebaldo figlio di Tebaldo a favore di Gayta sua moglie, le lascia l’usufrutto dell’abitazione e al figlio Giovanni Brachinto, lascia quindici denari e alcuni usufrutti, poi cita le due figlie, presumibilmente nubili, dimostrando scarso interesse per loro105.

Più ricchi d’informazioni i due atti successivi: nel 1154 domnus Giacinto dichiara eredi nel suo testamento, la figlia nubile Stefania, soror di Giovanni e Pietro, equiparandola ai fratelli maschi e ordina una vendita di beni per il valore di venti libbre di denari papiensi alla chiesa di Santa Maria in Via Lata, dimostrando possibile disporre dei propri beni liberamente106; con la stessa elasticità dispone dei suoi beni anche Loterius civis [...] Romani, lasciando alla figlia nubile Santese, dieci libbre di provisini e alla figlia Contadina, come al fratello maschio, la terza parte dei suoi beni, assimila figli e figlie, disponendo un lascito alla chiesa di San Pietro in Vaticano107.

6.3. Varietà dei testamenti femminili nel Duecento Aumentano gli atti nel Duecento, undici testamenti maschili a fronte di tre testamenti

femminili: due vedove che manifestano comportamenti opposti, l’una aderisce alla preminenza agnatizia (1203) l’altra se ne discostata (1297); infine una nubile (1295).

Bona vedova di Buonfiglio di Giovanni [Rachisci], madre di Pietro, Teodora e Iacopa, lascia in eredità la terra che ha in Marcelli, un macello, tre denari e un lascito pro memoria, a Pietro nominandolo erede universale, mentre alle figlie nubili lascia rispettivamente dieci e quaranta denari come dote (forse monastica la prima), comportandosi come la maggior parte degli uomini108.

Nel 1295, Mabilia figlia di Leonardo di Pietro Borlengui, è al centro di una fitta rete femminile di relazioni di parentela e di amicizia. Sebbene nomini erede universale Angelo chierico di San Nicola in carcere tulliano e disponga lasciti a Sant’Andrea de Aquariciariis per celebrare messe - disposizione che decadrebbe in caso d’inadempienza - e ad altre chiese, Mabilia pensa a parenti e amici, uomini e donne: dispone per alcuni uomini diversi lasciti, in beni liquidi (dodici denari), stoffe ma non vestiti, una cassam pisanam e un anello auri cum zaffino, e strumenti per un molino.

103 Firmano lui e la madre ma non la sorella, «Signum manus Petrus e Teodora, (…) de Duranti», HARTMANN , MERORES,

Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CXVII, 28 luglio 1087. 104 HARTMANN , MERORES, Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CXXXV, 29 luglio 1107. 105 Atto incompleto, qui i matronimici Wicionus di Giovanni de la Blanca e Bonomolus di Raniero de Sassa, ASR, SCD, cass.

16, perg. 120, 22 gennaio 1132. 106 HARTMANN , MERORES, Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CLXXXII, 31 gennaio 1154. 107 Segue una conferma del testamento, qui i canonici di San Pietro ricevono da Martino de Filippo tre soldi lucchesi di

pensione per l’eredità di Loterio, SCHIAPARELLI, Le carte, doc. LXXIV, 28 novembre 1188. 108 ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 188, 23 aprile 1203.

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Elenca una serie di lasciti a donne, interessante da analizzare: ben cento soldi di provisini a «Mabilia filia domina Hermene Catherine abuncole mee», figlia della sorella della madre; a «Romanella filia domina Ia (…) Zackeo» (forse un’amica); a sua sorella Cristiana, assieme a un matello e una tunika de cammelllina, «duos soprigectos pannos de lino», «dua peczectas vel unum pannum de lino». Dieci libbre di provisini a Se(…) e Mariola sorelle dei suoi consobrini, come aveva lasciato ai loro fratelli ma con la condizione che se entro un anno dovessero litigare il lascito sarà devoluto pro anima della testatrice; tre libbre di provisini insieme ad un «soprigectum panni de lino» e una bavam a «Petrutia filia olim Sisti dicti Kuci»; tre libbre di provisini a «Egidiotia filia dicte Bartholomee», con «unam tunikam meam scuram de cilestro». Mabilia predispone anche il suo funerale lasciando disposizioni alla «commare Theodora filia Nicolaus Egidii», e donandole venti soldi di provisini con dieci «brachia de panni de lino».

Da notare il senso della praticità espresso dalla tipologia dei lasciti, oggetti utili, e il fatto che probabilmente i lasciti liquidi quando indirizzati a donne, fossero utilizzati per costituire doti. Mabilia assume il ruolo di una benefattrice per familiari e non109.

La sventurata Altigrima, vedova di Giovanni Ruberti, madre di Benvenuta e Oddo e dei defunti Emilia e Andrea, nomina eredi i figli superstiti lasciando al primo gli iura su una casa a Tivoli (a saldo di un debitum di cinque fiorini che gli doveva) e alla figlia un terreno a Manitola come dote. Lascia dodici soldi di provisini sia a Rosa figlia della defunta Andrea, sia ad Angelo, Oddo e Nicola, figli della defunta Emilia. La vedova la cui vita è stata afflitta dalla perdita del marito e di due figli, tratta equamente maschi e femmine, un comportamento raro all’interno della cerchia degli Orsini110.

6.4. «Il mondo (maschile) è bello perché è vario»

Nella serie più numerosa comprendente i testamenti scritti da uomini, campeggia la perenne

preoccupazione per il destino delle figlie, delle sorelle e delle mogli. In undici casi figlie e sorelle sono estromesse dalla linea ereditaria con il versamento della dote (1200-1209; 1232; 1243; 1247; 1255; 1256; 1279; 1284; 1285; 1295; 1298). In cinque casi, un numero notevole invero, figlie e sorelle sono eredi alla pari con altri figli e parenti (1205; 1259; 1274; 1283; 1290). Qui non sono stai separati gli atti romani da quelli non romani.

Tale varietà testamentaria per parte maschile, smentisce una presunta rigidità di comportamenti: le ultime volontà sono uno di quei frangenti in cui i sentimenti, il fattore umano per dirla con un termine obsoleto, scardina le logiche economiche.

Iniziamo l’analisi citando il già nominato testamento di Pietro Bonifilii, il quale lasciando i suoi beni ai figli maschi, nomina la dote della figlia Todisca utilizzata per un acquisto111.

Nel 1205 Giovanni Benonis, nomina suoi eredi i figli Pietro e Scotta, lascia una casa in Marmorata metà alla nipote, Guerreria, e metà ad Andrea suo figlio naturale, senza distinzione tra generi e figli legittimi e non legittimi, il mancato rispetto delle sue volontà comporta la pena di una libbra d’oro; in un atto è citata la proprietà di una donna nubile112.

Interessante il comportamento di Giangaetano figlio del defunto Orso di Bobone di Pietro, il quale nominando eredi universali i discendenti maschi, dispone lasciti alle figlie, nubili e sposate, a parenti e alla moglie, preoccupandosi soprattutto della loro abitazione: luogo simbolo del potere familiare sul territorio e spazio della custodia femminile per antonomasia. L’uomo lascia alla figlia

109 LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 25, 21 luglio 1295. 110 Arch. Ors. II, A, II, N. 47, 17 dicembre 1297 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 91). 111 Vedi il paragrafo 5.4; BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 64, 2 febbraio 1200-20 maggio 1209. 112 MONACI, Regesto, doc. XVIII, 25 agosto 1205; nel suo testamento un laico di cognome Cafaro, dona al monastero una salina

situata in Trullum, sulla proprietà di domina Oddolina, figlia di Giovanni Cinthii, presumibilmente nubile, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 107, 5 dicembre 1218.

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nubile Iacopa le terre acquisiste a Palomarolo, in caso di sua morte prematura predispone una donazione pro anima di cento libbre mentre a Margherita, altra figlia sposata con Oddo figlio di Giordano de Columna, lascia trecento libbre di provisini «pro dote guarnimentis».

A entrambe le figlie assicura un’abitazione con i fratelli, ma a Margherita qualora restasse vedova, assegna una «habitationem in palatio»; una volta occupatosi delle figlie cita la nuora, Gemma figlia del defunto Oddo de Monticello, sposata con Matteo suo figlio, per l’eventuale restituzione della dote. La madre del testatore, Oddolina vedova di Oddo è citata giacché erede dei beni del marito a Neptunum, infine s’impone il ricordo di un’altra figlia defunta, Teodora, per la quale si dispone una donazione pro anima di trecento libbre di provisini, (anche lei in vita vantava diritti di proprietà sul castrum Neptunum come la madre).

Accade spesso che il marito citi la moglie alla fine del proprio testamento e anche qui Giovanni cita la moglie Stefania lasciandole una «habitationem in palatio», una stanza e il vitto ma solo «dum honeste sederit», fino a nuove nozze. Cita la sua dote - settecentoventicinque libbre di provisini - per un’eventuale restituzione, poi per lei dispone una donazione pro anima sua. Dopo aver elencato alcuni lasciti che sono probabilmente debiti da saldare, elenca donazioni a laici, domini dei suoi castra e a chiese, motivato dalle ingiustizie e dai danni di guerra. Giovanni nomina eredi universali i figli laici e il figlio chierico, il quale riceverà un castrum in caso confermi i voti, nel caso contrario riceverà come gli altri due maschi con la clausola «vestris successoribus ex legittimo matrimonio» ma pone loro delle limitazioni contemplando l’ipotesi di eredi femmine, dispone che «si aliquis eorum unam filiam foemina…» riceveranno mille libbre di provisini del totale di tremila libbre, sui suoi beni stimati. Lascia alla nuora Giovanna figlia di Ruggero de Aquila cento libbre sulla sua dote (di seicentoventi provisini), forse è stata la prima moglie di Matteo o è la moglie di un altro figlio, importa relativamente rispetto al fatto che si tratta ancora di una disposizione a tutela dei figli maschi, sintomo della percezione maschile della richiesta di restituzione della dote come evento nefasto113.

Anche Tebaldo de Viculo nomina eredi universali un nipote maschio e un altro laico disponendo alcuni lasciti «pro anima et missis cantandis» alla chiesa di Santo Stefano e al prete Milianus, conformandosi alla tendenza generale, trasmette solo in linea maschile i propri beni, disponendo lasciti esigui a parenti donne: a due nipoti nubili, Viatrice e Salomee, una «atram meliorem e vegeticulam deteriorem»; alla congnata Clara, parte di una casa che dopo la sua morte tornerà agli eredi maschi114.

Si omologa alla tendenza agnatizia anche Tommaso orfano di Stefano Galgani, trattando in maniera diversa i maschi e le femmine e nominando eredi universali in equali portione i tre figli maschi ma lasciando alle due figlie femmine nubili, Costanza e Giovanna, solo cento libbre di provisini115; simile il comportamento di Andrea Rufavelia il quale, tramite un avvocato, nomina erede universale il figlio maschio lasciandogli dei terreni a Pilus Rottus mentre a quattro delle cinque figlie, Alfacia, Stefania, Henninia e Andreozza ancora nubili, lascia trenta libbre di provisini per dote e guarnimenta; a un’altra figlia Maria, lascia venti soldi per la dote e i guarnimenta, dispone che se le figlie dovessero morire senza figli, la dote tornerebbe alla famiglia, disponendo un’obligatio sui terreni del figlio come assicurazione per il prezzo delle doti, infine ricorda la moglie Costanza, lasciandole una donazione pro anima116.

La medesima mentalità dà forma alle decisioni di Raniero orfano di Bobone signore di Arsoli, quando lascia a Ottaviano e al nipote Andrea, figlio di Abaiamonte, una rocca e il castello di Arsoli.

A Bobone canonico di San Pietro, lascia l’usufrutto di ben quindici castelli, di un molino, di un casale, di un orto e una vigna mentre alle figlie, Passabruna nubile e Oddolina sposata con Pietro

113 Alla moglie di Ludovico e ai suis propinquioribus lascia una donazione di dieci libbre di provisini, alla moglie di Giovanni

Cannarut e ai suoi eredi tredici libbre di provisini, alla moglie di Giovanni di Pietro Iordani de Tibure dodici libbre di provisini per una cessio di jura sul castrum Neptuni, Arch. Ors. II. A. I N. 20, 13 aprile 1232 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 44).

114 PANELLA , Le carte, doc. 14, 29 dicembre 1243. 115 Arch. Ors. II. A. I. N. 27, 13 dicembre 1247 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 56). 116 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 265, 1° novembre 1255.

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Paparoni, lascia del denaro, escludendole dalla linea ereditaria. Notiamo che non nomina la moglie, più probabilmente perché giovane e sicuramente presto sposa piuttosto che defunta?117

Talune eccezioni confermano la regola, e dimostrano una certa libertà testamentaria: Paolo di Giovanni Mazzocchi allontanandosi dalla consuetudine, nomina eredi equamente il figlio maschio e le figlie Giulia e Bentevenga, insieme al figlio che porta in grembo (ventrem), sua moglie Mabilia, nominata amministratrice dei suoi beni e tutrice dei figli; poi in un atto successivo, a distanza di un anno, il notaio Giustino figlio di Giustino scriniarius, nomina tutore della figlia Bentevenga, lo zio Boncambio Pellizzaro, esautorando la madre Mabilia: perché in procinto di risposarsi?118

Interessante il codicillum al testamento di Giacomo de Saxo: dopo aver disposto che siano versati sessanta soldi a Santa Maria in Parvi e venti soldi a una certa Petruccia, lascia sessanta soldi a «Medele filia Thomai spadarii… quod dentur et solvantur ei tempore contracti sui matrimoni», interessandosi del matrimonio di una donna con la quale non sembra intrattenere alcuna parentela.

Possiamo ipotizzare questi lasciti fossero dettati da una sensibilità condivisa dalla comunità, che deriva dalla percezione del nubilato femminile come un’emergenza sociale? Oppure più probabilmente si stratta di azioni a riparazione di figliolanze illegittime o rapporti al di fuori del matrimonio? Giacomo lascia tre libbre di provisini a sua sorella Costanza, probabilmente ancora nubile, e alla uxor di Bonainçengia119.

Seguendo la consuetudine vigente in casa Orsini, Matteo Orso nato da Napoleone di Giangaetano, nel suo testamento nomina eredi universali i figli maschi e appronta una serie di lasciti vincolati per le donne: ricorda la figlia Giovanna avuta del primo matrimonio con la defunta Oddolina e il figlio o la figlia nascituri, ventrem, di Tederanda, sua seconda moglie, alla quale lascia un assegno e una casa in Arpacaca ma solo finché non convolerà a seconde nozze, quest’importante possedimento cittadino dovrà restare alla famiglia, seguendo l’eredità in linea maschile, «filiis mei masculis et nepotes»120.

E’ possibile discostarsi dalla consuetudine come fa Arduino di Gerardo habitator castri Cerveteris, lasciando alla figlia Gemma tutti i suoi averi e nominandola con Berardo, suo marito, esecutori testamentari, quindi dispone lasciti a sette donne probabilmente a saldo di alcuni debiti: a «Ugolinucia nepoti domne Novelle» e a Bona Antonii lascia «unam saumam grani pro anima mea». Ai filiis dompne Flore, alla soror Aldrude e a Benvenuta de Cortinea lascia «tria staria (o staris) grani»; a Viatrici lavandarie, lascia «unam saumam grani»; a Thedore uxor olim Magalocti, lascia «duas saumas grani». Questo elenco individua una fitta rete di relazioni orizzontali con donne nubili e sposate al cui centro troviamo Arduino121.

Prolisso quanto complesso il testamento, proveniente da Tivoli, di Gerardo di Pietro Iordani, perché egli dispone una differente spartizione del patrimonio secondo il sesso del figlio che la moglie porta in grembo: nel caso il figlio di Iacopa sia maschio, sarà erede universale, in caso contrario si procederà a una diversa distribuzione dei beni immobili e mobili.

Questo conferma che il genere del nascituro spesso è uno spartiacque della trasmissione patrimoniale. Partendo da quest’assunto Gerardo dispone siano versati alla figlia Montanea, trecento libbre di provisini o un casale in Paterno con alimenti e rendite, se il nascituro sarà un maschio, in caso la nascitura sarà femmina a entrambe le figlie, saranno versate quattrocento libbre di provisini come dote e cento libbre di provisini per guarnimenta e corredo. Se una delle due figlie dovesse morire in età pupillare metà del patrimonio andrebbe all’altra sorella e metà ai poveri, se a morire fossero entrambe tutto il patrimonio sarebbe consegnato ai poveri. Gerardo lascia a Montanea e a sua sorella Petruccia, un’abitazione per l’eventuale vedovanza, un dovere percepito

117 Arch. Ors. II. A. I. N. 37, 30 aprile 1256 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 59). 118 Arch. Ors. II. A. I. N. 40, 31 marzo 1259 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 60); Arch. Ors. II. A. I. N. 41, 10 dicembre 1260 (ibidem);

nel suo testamento Berardo di Pietro de Landone tra i confinanti di un terreno cita domina Gayta, probabilmente nubile, FERRI, Le carte, doc. LXV, 28 novembre 1267.

119 MAZZON, Le più antiche carte, doc. 15, 19 settembre 1274. 120 Dispone lasciti a chiese di Vicovaro e Roma, dalla prima moglie Matteo ha avuto cinque figli, una sola femmina, dalle sue

seconde nozze con Tederanda, ha avuto Giovanni, il notaio è Rainerio di Matteo Oddone di Foligno, Arch. Ors. II. A. II. N. 12, 12 gennaio 1279 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 71).

121 Dispone numerosi lasciti a chiese romane e di Cerveteri, MAZZON, Le più antiche, doc. 18, 10 febbraio 1283.

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da tutti gli uomini. Petruccia sposata con Matteo de Alperinis riceverà nel caso Iacopa partorisca una femmina, metà dei suoi beni immobili a Tybure, insieme a cento libbre di provisini e altri soldi per donazioni pietose. A Iacopa consegna trecento libbre della dote e cento libbre di provisini date da suo padre, le assicura una casa e gli alimenta fino a quando resterà senza risposarsi, «quamdiu honeste et sine viro vixerit». Alla tia della moglie, Emilia, lascia cinquanta libbre di provisini per un legato, delle suppellettili «duas culcitras suas, duo mataratia et duo capitalia sua et pellem et vestimenta sua et alia suppellectila a domus mea et vasa». Confermando la diffusa preoccupazione per il destino delle donne prive di un’adeguata dote lascia due libbre a Marita figlia di Oddo Goçolini; dodici libbre alle recluse di Tivoli (probabilmente delle religiose).

Qualora il figlio nascituro non sopravvivesse, dispone un lascito di cento soldi di provisini, ordinando agli esecutori di vendere inoltre le sue proprietà e devolvere i proventi in beneficienza, ancora per fornire doti a ragazze orfane, lascia dei soldi anche alla sua famula Margherita, confermando una pratica diffusa. Elenca una serie di lasciti a uomini che probabilmente sono dei piccoli debiti da saldare. Solo nel caso il figlio nascituro fosse una femmina - e qui si sente nella percezione dell’uomo come i due casi, la mortalità infantile o la nascita in un corpo di donna, presentino delle analogie - lascia a una certa Altruda, «amica mea» una vigna. Esecutori testamentari sono un frate, la sorella Petruccia con il marito e la moglie Iacopa. Ricorda infine Benvenuta, sua tia, lasciandole venticinque libbre di provisini, nell’ipotesi che il figlio maschio muoia in età pupillare e dispone lasciti a chiese e ospedali a Tivoli e a Roma122.

Giovanni di Pietro Romani de Cardinali nominando erede il figlio Iacobello e lasciando alla figlia un assegno, apre alla discendenza femminile il castrum di Cerveteri e l’isola Licaonia indicando, qualora mancassero discendenti maschi, la possibilità a queste di subentrare; in alternativa alla trasmissione alle donne della famiglia, propone l’edificazione di monasteri per i cistercensi sotto Sant’Anastasio a Roma, dispone infine un lascito in caso di mancati eredi maschi diretti ai Papareschi, suoi parenti123.

Un altro uomo, originario di Anagni, si comporta in maniera diversa: Pietro Landulfi, nomina eredi universali il figlio nascituro della moglie Leonarda de Castro Sancti Sergi, senza specificare disposizioni differenti se sarà maschio o femmina, ipotizza solo il caso che non nasca affatto (perché la moglie non è incinta o il figlio muoia subito) e dispone in questi casi che i beni passino direttamente a suo fratello. La sua gerarchia ereditaria quindi contempla una prima serie di familiari: un figlio o una figlia senza differenze, suo fratello nel caso il figlio non sopravviva, la moglie vincolata però a non contrarre seconde nozze e infine nipoti maschi e nipoti femmine. Numerosi sono i lasciti testamentari a uomini e a donne, sposate ma soprattutto nubili, parenti e non: una rete di relazioni dislocata su vari livelli. La serie di lasciti a uomini e donne indica una rete familiare e clientelare intorno a Pietro: al nipote maschio Paolello una vigna; all’ospedale Sancti Iuliani, a chiese non romane e pauperibus; alle nipoti, orfane di Rinaldo Almurii, venti e dieci fiorini per una; al nipote maschio cinquanta fiorini; a Sofia sua nipote e alle sue figlie venti fiorini; come alle figlie di Randiscus; alla nipote, figlia di Angelo di Gualtiero Transaricii dieci fiorini; alla nipote Iacopa sposata con Giacomo de Vico lascia cinque fiorini; a Maria e Matteo, lascia cinque fiorini; la stessa somma a Gemma. Molti di questi lasciti permettono ai destinatari di sposarsi, come quando Bonella figlia di Giovanni de Rubeo riceve cinquanta fiorini ed è affidata al fratello del testatore Stefano, «quos teneat dictus Stefanus pro ea maritanda…volo quod dictus Stefanus...teneat dictam Bonellam quousque maritetur». In caso Bonella muoia la somma andrà a Giovanni de Pileo, (con la moglie aveva ricevuto cinque fiorini), il quale provvederà a sua volta a permettere che si sposino due orfane a Colixeo. Alla figlia di Giovanni, Jacobella de Pileo, lascia cinque fiorini.

Poi come aveva fatto con Giovanni, anche alla moglie Leonarda ordina di utilizzare cento fiorini per maritare dieci orfane a Colixeo (in caso non dovesse trovarle però potrà distribuire tale somma ai poveri). Dispone un lascito «pro anima…patris et matris mee» alla chiesa di Santo

122 CARBONETTI, Le più antiche, doc. 186, 15 febbraio 1284. 123 Sua moglie è Adelasia, figlia di Alberto de Normanni, Arch. Ors. II. A. II. N. 15, 23 dicembre 1285 (Arch. Basil. Vat.

LXXXIII fasc. CLXIIII) (D E CUPIS, Regesto, I, p. 74).

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Stefano de Antena e continua la serie di lasciti a donne: cinque fiorini a Massaria commatri mee, la sua madrina (dimostrando un attaccamento profondo alla donna); tre fiorini per domina Bona e lasciti per sepoltura e funerali a chiese e ospedali romani, direttamente ai loro adepti, a Roma e fuori. Lascia alle donne di Sant’Andrea de Fractis un fiorino; lascia a una donna definita soror, quattro fiorini come a Lorenza, anche lei chiamata commatri mee; due fiorini a domina Ymilga e alla filia Massaronis; tre fiorini a domina Petruccia, a domina Dana e a Erminia; dieci fiorini a «nata in Gloria»; due fiorini ad Aldruda soror Magister Bartholomeus; a Lucia cinque fiorini; a Jage «servienti mee», (probabilmente una straniera che ha prestato servizio nella sua casa), lascia un fiorino. Ad Andrea moglie di Matteo de Roma dieci fiorini come al marito; ad Angela figlia di Paolo de Mando, dopo aver lasciato al padre e al fratello dieci fiorini, lascia cinque fiorini. Elenca infine i crediti verso chiese e privati: una certa Iacopa figlia di Giovanni Iacobi, al quale deve cinquantaquattro soldi che saranno dati ai suoi eredi ed executoribus124.

Gli uomini tutti manifestano preoccupazione per la sorte delle giovani senza appoggio familiare come nel caso precedente anche Pietro de Columpna, che suggerisce pronunciare i voti, alle nipoti e dispone numerosi lasciti a queste parenti e ad altre nubili per la monacazione. Lascia prima al nipote maschio Giovanni, poi a Perseta figlia di «cuisdam paupercule de Gallicano» in nome di Clara, centocinquanta (o cinquanta?) libbre di provisini e una casa da dividere del valore di dieci libbre di provisini. Alle monache di San Silvestro in Capite lascia parte del casale Pantano e a queste affida le nipoti che vorranno oblarsi. Lascia quattrocento fiorini alla nipote Bartolomea figlia di suo fratello Fortisbrachie come dote per il matrimonio o per il convento, poi altri cinquanta e cento fiorini eredità del padre defunto, suo fratello. Ad Angelella filia naturale del fratello lascia dieci libbre di provisini perché non legittima, ad Andrea «cuisdam paupercule de Gallicano», in nome di Gemma nepte sua, consiglia la monacazione125.

Nel 1295 Pietro Saxonis mercante della regione di San Marco, nomina erede universale il figlio di primo letto, Edoardo, e dispone lasciti testamentari differenti secondo il sesso del nascituro figlio della moglie Simonetta, vincolandola ripetutamente al mantenimento dello stato vedovile.

La medesima somma lasciata al figlio di primo letto sarà destinata al figlio della moglie se maschio; se a nascere sarà una figlia, otterrà solo la dote e i guarnimenta. Dispone lasciti a numerose chiese e a qualche debitore, se i figli al momento della morte non avranno eredi, tutto il patrimonio sarà devoluto a istituzioni ecclesiastiche, anche il terzo Pietro come i due precedenti, lascia alla sua servitrice Caradompna, «servienti Petri», ben sessanta soldi di provisini 126.

124 Pietro è scrupoloso, ora deve decidere cosa e a quali condizioni lasciare alla moglie Leonarda: intanto l’usufrutto di tutte le

sue vigne al monte de Norro e l’usufrutto delle vigne fuori porta lateranense come donazioni vitalizie. Alla sua morte tutto andrà alla cappella di Sant’Angelo nella basilica Lateranense. La clausola che vincola la moglie a non contrarre seconde nozze per non perdere l’usufrutto dei beni del marito è espressa con la formula: «Et si dicta uxor mea interim transige ad secunda vota similiter statim dicte vinee ad dictam capella…con divina officia pro anima mea, filii mei et uxoris meis, vivat et sua necessaria de ipsisi fructibus habeat». Alla moglie qualora decidesse di non risposarsi, restando con i figli, destina l’usufrutto delle varie domus de Sancto Sergio e della domus vicino il magistrum Rogerii, alla sua morte tutto andrà al figlio o alla figlia, e in caso non nascesse, a suo fratello.

Il testatore fa annotare al notaio per la seconda volta una clausola su eventuali seconde nozze, nella formulazione: «Et si dicta uxor mea interim transige ad secunda vota similiter finiatur ususfructus dictarum domorum et orti».

Alla fine del testamento ricorda un lascito personale alla moglie, supra dotem suam, di duecento fiorini aurei e tutto quello che ha nelle casse e tra gli argenti. In caso di decesso prematuro le stesse vigne siano date all’ospedale del Santo Spirito in Sassia. Al fratello Stefano lascia l’usufrutto di una vigna ad Anagni, e altre terre, disponendo donazioni al Laterano chiede, quando morirà, che i suoi terreni siano donati a Santa Maria de cripta ferrata, elenca poi altri lasciti immobiliari al fratello e cinquanta fiorini.

Nomina esecutori testamentari Giovanni priore lateranense e la moglie Leonarda, ma con una formula inedita vincola l’operato dei due, « tamen volo et precipio quod ipsam executionem non possint ddividere sed simul eam facere» e poi «tamen uxore mea cum uno ipsorum executorem eam libere exequii possint sine dicta uxore mea». Inedita l’annotazione della somma che lascia, venti fiorini, per il lavoro degli esecutori. Comanda alcune vendite agricole mantenendo parte di esse per la moglie, arriva a vincolare la sepoltura della moglie nei pressi della sua, in dicto pilo, solo se non contrarrà seconde nozze, in caso la chiesa lateranense dovesse seppellirgli vicino estranei svincola il legato a loro indirizzato destinandolo all’ospedale del Santo Spirito in Sassia. Se ci saranno residui in denaro ordina alla moglie di distribuirli ai poveri, PANELLA , Le carte, doc. 24, 25 agosto 1285.

125 «Actum in castro Gallicani in palatio dicti d. Petri de Colupna testatoris», ASR, SSC, cass. 39 bis, perg. 171, (FEDERICI, Regesto, doc. CLXXXIII), 18 luglio 1290.

126 Pietro fa scrivere due volte la clausola delle seconde nozze: qualora la donna decidesse di sposarsi decadrebbe ogni donativo. Lascia cento libbre di provisini sul totale della dote, il corredo, oggetti e altri beni. Se non si risposerà la nomina anche esecutrice testamentaria MAZZON, Le più antiche carte, doc. 29, 9 maggio 1295.

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Discostandosi dalla tendenza generale, Gualferamus Ciceronis favorisce le donne, le sposate più che le nubili, rispetto agli uomini, e devolve i suoi beni a istituzioni pie e ospedali.

Lascia alla figlia Maria, sposata con Giovanni di Oddo Malabranca, il castrum Stimiliani, e le impone la donazione vitalizia dei proventi del castrum a Luciana sua moglie, madre della stessa.

Al genero lascia disposizioni per l’eventuale restitutio dotis; poi nomina la moglie Luciana con un de Aniballensis e le lascia l’usufrutto del casale Tusculanis con annessi altri immobili, permettendole di venderlo al monastero di San Sisto Vecchio per cinquecento fiorini auri. Consegnadole trecento fiorini sul totale della sua dote, le affida l’usufrutto di alcune case, animali, prodotti agricoli e arnesi; alla sorella Costanza lascia metà di una casa e altri beni immobili ma essendo nubile dispone che alla sua morte il tutto sia ereditato da un uomo. Simile trattamento riserva a un’altra sorella Lorenza: le lascia l’usufrutto di un terreno ma dispone che alla sua morte passi alla chiesa di San Sebastiano. Ad Alkerutia o ai suoi figli lascia un fiorino aureo, forse per un debitum, infine anche Gualferamus come tre testatori prima di lui, cita una donna che lavora nella sua casa, Iacobella, «servienti mea», alla quale come generosità affida una vigna127. 6.5. Il secolo XIV

Un campione di sei documenti conferma la cristallizzazione della linea agnatizia nei testamenti

degli uomini (1305, due atti del 1308; 1309; 1309) ma anche delle donne (1316) e un generale irrigidimento della distribuzione dei propri beni in funzione del sesso dei nascituri.

L’unico testamento femminile preso in considerazione si omologa al comportamento maschile128.

127 Gualferamus dispone numerosi lasciti pii, da segnalare quello all’ospedale «Sancti Mathei de Merulana», CARBONETTI, Le

più antiche carte, doc. 202, 16 luglio 1298. 128 Matteo domini Raynaldus de filiis Ursi tutela le nubili e la moglie ma non permette loro di ereditare beni immobili e dispone

un comportamento diverso secondo il sesso del figlio che la moglie porta in grembo. Alle figlie nubili, Mariola e Ocelenda, concede mille fiorini e «guarnimenta decentia ipsi doti», un apparato commisurato all’entità della dote, impedendo loro di avanzare ulteriori richieste. Lascia duemila fiorini da dividere tra la moglie Mathaleo incinta, la madre Ocelenda (avia di Mariola e Ocilenda, e dei suoi figli maschi, Poncello, Giovanni e Ursello) e il fratello Napoleone, lo zio. Ocelenda la nonna e il fratello Napoleone sono i suoi esecutori testamentari, eredi universali sono i figli maschi. A Napoleone affida la distribuzione di duecento fiorini alla madre e alla moglie incinta (ventrem): se partorirà un maschio erediterà come i figli maschi, se partorirà una femmina avrà solo la dote e i guarnimenta. Mathaleo è vincolata alla castità e comunque il tutore dei figli sarebbe lo zio, inoltre in caso di morte prematura delle eredi femmine tutto passerebbe ai maschi.

Interessante notare che dopo tre anni dalla stesura del testamento di Matteo, deceduto, le sue sorelle nubili, Giovanna, Maria e Alessandra, definite nobilis mulier, vendono per diecimila fiorini i diritti sull’eredità paterna e materna a Napoleone Orsini, tutore dei figli del defunto Matteo, forse approfittando della vulnerabilità della condizione di alcune nubili della sua famiglia lo zio accorpa il patrimonio familiare acquistando poi da Maria, nobilis mulier domina, figlia del Comes Urso de filiis Ursi, i diritti e i beni dell’eredità paterna e della nonna, la defunta Calenda avia, «ratione institutione falcidie», per altri diecimila fiorini, rogato «in camera Mathei», CAETANI, Regesta, doc. C-1305. VIII. 23 (2837), I, 23 agosto 1305; nel secondo atto interessante la menzione «consuetudinuibus statutis civitatis», doc. C-1308. XII. 8. (2826), I, 8 dicembre 1308; doc. C-1308. XII. 17 (950), I, 17 dicembre 1308.

Nel suo testamento il giudice Candulfus figlio del defunto Giovanni di Bartolomeo Candulfi dimostra sensibilità per le necessità materiali ma allo stesso tempo consapevolezza dell’importanza della concordia familiare. Nominando eredi i figli maschi Filippo, Pietro e Bartolomeo, decide di affidare al primo l’amministrazione di questi beni e di vigilare affinché in famiglia vi sia concordia, soprattutto inter masculos; provvede quindi alle necessità materiali delle donne della famiglia e al futuro delle figlie femmine: Perna (poi Vittoria pronunciati i voti), Sabina e Andrea.

Candulfus stabilisce il divieto di alienare la domus paterna, simbolo della coesione familiare, imponendo l’ereditarietà in linea maschile ed escludendo le donne con il pagamento della dote: ad Andrea per dote e guarnimenta lascia sessanta libbre di provisini soldi che qualora non dovesse sposarsi saranno investiti «in re stabili» dai figli maschi a suo nome; a Perna, poi Vittoria pronunciati i voti, lascia tre libbre di provisini per la veste, chiedendo con forza alla moglie e ai figli di provvedere a lei, lascia altre venti libbre di provisini alla figlia e altre centocinquanta libbre di provisini da consegnare al monastero che la accoglierà; a Sabina la figlia sposata, non citando il marito, lascia cento soldi di provisini secondo quanto le ha donato Pietro Bastardella «socero suo». A Sabina e Andrea lascia la sua abitazione se diventeranno vedove, saranno espulse dai mariti o se maltrattate, «si vidue fuerint vel ab eorum viris expulse fuerient vel ab eis male tractarentur» formula che palesa la frequenza di casi simili. Alla moglie Petruccia, incinta al momento della stesura del testamento come sovente accade per la differenza di età tra coniugi, lascia in cambio della dote ricevuta

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7. Donare e donarsi Come le donazioni, le iscrizioni tombali sono gesti disinteressati di affetto, gratitudine e

devozione: qui per motivi anagrafici le nubili sono una tipologia di donne scarsamente rappresentate129, mentre nelle donazioni, inter vivos o pro anima, le nubili sono numerose e i loro comportamenti indicativi dei loro desideri.

L’insieme dei documenti è ripartito tra donatrici e beneficiarie di donazioni, pensiamo di trovare nel primo elenco più spesso donne che manifestano comportamenti meno vincolati.

dal suocero, sei «rubla boni grani»; nessuna vigna perché ne possiede già; una delle abitazioni che preferisce e dieci libbre di provisini omni anno, per il suo sostentamento. Solo se resterà con i figli, sarà «domina et usufructuaria» di tutti i suoi beni e tutrice di Petrutius fino al compimento dei venti anni.

Il testatore raccomanda ai figli di onorare la madre e non permettere che subisca molestie da parte delle nuore. A sua sorella Cecilia monaca in Sant’Andrea de Biveratica lascia venti libbre di provisini «pro suis necessitatibus», segno che i rapporti tra le donne entrate in un’istituzione ecclesiastica e la famiglia di origine non necessariamente si estinguano. Con ogni probabilità la figlia Perna sarà seguirà le orme della zia entrando nel medesimo chiostro. A una delle sue nipoti, unicuique filiarum, le figlie di Corrado Candulfi, lascia quindici libbre di provisini da prelevare dalle centocinquanta libbre di provisini donati al monastero della figlia e devoluti secondo il volere della moglie e del figlio pro anima sua. L’uomo continua a manifestare preoccupazione per la concordia familiare, un equilibrio tenuto in piedi dal paterfamilias, che rischia il collasso una volta assente: con questo intento ricorda al figlio Bartolomeo, che parrebbe il più turbolento, di tenere a bada la seconda moglie che potrebbe nuocere alla sua vedova, ai suoi figli e alla famiglia tutta, pena l’esclusione parziale da un prezioso lascito di libri. Dispone un lascito pio e un lascito a terzi, definisce i beni da assegnare a suo figlio Bartolomeo, facenti parte della dote della defunta Caterina prime uxor del figlio da cui detrarre le spese sostenute nella causa contro Giacomino de Camera con la moglie, ASR, Archivio Santissima Annunziata, cass. 321, perg. 6, (inventario settecentesco 1.6 a p. 912), 13 marzo 1306.

Nicola orfano di Tomassio Malacenii della contrada Colosseo, favorisce i discendenti maschi lasciando alle figlie nubili la somma necessaria a costituire la dote; prima dispone per i figli Giovanni e Pietro e il nipote Iannucius poi in successione alle due figlie, Tomassia e Iacopa, alle tre nipoti femmine Romanella, Filippuccia, Agnesuccia, a un nipote maschio e a un eventuale figlio nascituro. Alla moglie Romana, incinta al momento della stesura del testamento, riserva l’usufrutto dei suoi beni immobili e la restituzione della donazione vincolandola al mantenimento dello stato vedovile. Se partorirà una femmina, riceverà trecento fiorini aurei di dote ma non il patrimonio immobiliare riservato a un nascituro maschio, ASR, Archivio Ospedale Santa Maria della Consolazione, cass. 49, perg. 1, 7 gennaio 1309.

Nell’ultimo atto di questa serie anche una donna conferma l’affermazione della linea agnatizia nella trasmissione dei beni: Andrea figlia del defunto Egidio Orlandi, sposata in seconde nozze Pietro di Biagio della regione Scorteclariorum, vedova di Giovanni Engeseri «mariti mei secundum», nel suo testamento nomina eredi universali il marito e il nipote maschio «equali portione» e dispone lasciti alla madre del nipote «Iohannucius filius In(…)czi privigni mei et filius Andreotia neptis mee», una domus confinante con il marito che lei potrà vendere in caso restasse vedova, e alcuni preziosi, «scaciale cum sprancis argenteis, cum centurali de syrico rubeo, unum samitum meum rubeum, duos anulos aureos cum lapidibus, caffino in uno et iacinthio in alio et omens supragectos meos». Ad Andreotia lascia altri soldi sulla dote provenienti da una cervinaria impegnata dal marito del valore di cento libbre di provisini, liberandola dalla restituzione del prezzo della dote alla zia con un’apposita clausola, (la zia aveva partecipato alla costituzione della dote?) e le lascia poi altre cento libbre di provisini «pro sua dote sibi vel alii pro ea, tempore sui contracti matrimonii». Commissiona al secondo marito una donazione pia conseguenza di una vendita per il primo marito, «pro anima sua». Elargisce dieci fiorini aurei alla nubile Paulella figlia del defunto Paolo Mar(…) Notari per permetterle di sposarsi, «pro adiutorio suo maritagii», in caso dovesse morire i soldi saranno devoluti in beneficienza per l’anima dei mariti. Lascia a sua madre Paulella e alla vedova Francesca, cinque soldi, quest’ultima possiede una proprietà confinante con una sua vigna, la testatrice dispone che questa sia venduta e il ricavato donato pro anima dei mariti. Nomina esecutore il marito erede universale «equali portione» con il nipote maschio. Il comportamento della donna qui non presenta differenze peculiari di genere, ipotizziamo che non abbia avuto figli suoi e quindi abbia designato il marito e il nipote maschio. La stessa testatrice in un successivo codicillum,datato lo stesso giorno, annulla la donazione a favore di Giovanna vedova di Matteo Rubei de filiis Ursi, definito magnifico in quanto appartenente al ceto baronale, esplicitamente disposta per salvaguardare i suoi beni, «solum quod ipsa domina mihi defenderet ipsa bona mea», palesando che talune vendite effettuate dalle donne sono fatte per proteggere i beni da parenti e mariti, qui presupponiamo la donna l’avesse fatto per una certa solidarietà femminile, libera da un pegno un tribulum argenti della chiesa di San Simeone del valore di cento soldi provisini, e dispone qui la sua sepoltura. Termina con lasciti pii a Sant’Andrea e altre chiese, LORI

SANFILIPPO, Documenti, doc. 28, 5 maggio 1316. 129 Per le iscrizioni v. GIOVÈ MARCHIOLI, L’epigrafia nobiliare romana, pp. 345-365. La loro scarsa presenza ha solo motivi

anagrafici? Un’iscrizione del 1034 nella chiesa dei Santi Bonifacio e Alessio una certa Mizina dona al monastero dei beni e sceglie di farsi seppellire qui, decidendo la destinazione dei propri beni e la propria sepoltura, FORCELLA, Iscrizioni, VII, p. 358, 1034.

Nella chiesa di San Gregorio al Monte Celio un’iscrizione dedicata a due fratelli, Boniza e Beno sepolti insieme: «HIC SOROR ET

FRATER DORMIAT UNA LOCO NOMINA SUNT QUEM VOCATA BONIZA BENOQUE QUI PRIOR EX DIGNIS DICAR ERAT MERITIS LECTOR TOTA SI

QUERAS VISCERA MENTE VOS SOROR ET FRATER REGNI TENENTE POLI KAL MAR BONIZA OBIIT INDICT. III KAL NOVEMBR . OBIIT BENUTIUS

IND V ANNO DNI M XXX V II », FORCELLA, Iscrizioni, II, p. 97, 1037. In Santo Spirito in Sassia una nubile è sepolta con i fratelli: «HIC REQUIESCAT BENEDICTUS SUBDIACONUS S. ROMANE ECCLESIE

CUM DUOBUS GERMANIS FRATRIBUS THEOPHILACTO ET MARTA OBIIT M DECEBRI XI INDICTIONE XI AN M C REQUIESCAT IN PACE», FORCELLA, Iscrizioni, VI, p. 381, 1100.

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Le donatrici elargiscono beni liquidi ma anche oggetti personali, beni immobili ereditati dai genitori o la propria dote, se decidono di non utilizzandola per il matrimonio o per una vita monastica.

In questo secondo caso fare oblazione di sé e dei propri beni oltre a manifestare la propria devozione potrebbe essere un modo - quando si dispone la riserva dell’usufrutto degli stessi beni - di proteggere il proprio patrimonio, piccolo o grande che sia.

Da alcune oblazioni con riserva dell’usufrutto sembra possibile immaginare che esista la possibilità di restare nel secolo senza sposarsi né pronunciare i voti, con una certa dose di libertà; in due donazioni sono citate anche delle nubili emancipate (1248;1254).

Nella seconda schiera prevalgono numericamente le donazioni ricevute dai genitori e dai fratelli ma non mancano quelle provenienti da parenti donne, più rare le donazioni tra non consanguinei. Le nubili sono figlie e sorelle, protette e amate, dai fratelli e dalle madri, specialmente quando diventano orfane. 7.1. Generose nubili nel secolo XI

Nei diciotto atti del secolo XI, nella serie delle donanti sono annoverabili quattordici casi in cui

le nubili donano: da sole (1049-1054; 1050-1051); con fratelli e sorelle (1030;1039), con il padre (1076), con la madre vedova (1085), con la nonna paterna (1087), con altre persone (1027); in due casi sono chiamate diaconae (1053; 1086). Quando le donne sono sole o agiscono come diaconae è costante la presenza di enti ecclesiastici. In quattro casi non romani agiscono con un prete (1011), e con fratelli e sorelle (1011-1012; 1023; 1032)130.

Per primo l’interessante caso di Itta che dona inter vivos con riserva dell’usufrutto all’arciprete Stefano di San Pietro in Vaticano una casa insieme a mobili, biancheria e oggetti casalinghi, con il consenso di Sergia sua fidelis (sua servitrice o devota?), beni che la donna dichiara «ex substantia propria et expontaneaque mea volumtatem» ma citando il consenso di un’altra donna con la quale non ci sono evidenti legami di consanguineità: convivono perché devote affiliate a un ente religioso senza aver pronunciato voti, o come recluse volontarie o questo è solo un modo per proteggere un patrimonio minacciato?131

Nelle donazioni pietose le sorelle nubili agiscono sovente insieme ai fratelli, laici o appartenenti al clero, segnale del mantenimento dei diritti e della solidarietà familiare specialmente quando non vi siano stati matrimoni: sono probabilmente fratelli Giovanni e Bona, inlustrissima femina, i quali donano al monastero di Santa Prassede dei beni per devozione e per le anime dei parenti, materni e paterni132; Bona con i fratelli Leo e Berardo, figli del defunto Pietro Bone, donano inter vivos un terreno a Paolo arciprete di Santa Maria Nova133.

130 La prima donazione congiunta (e ingente) è gestita da un prete e da «Ofizia filia bone memorie Lunperge […] habitator in

castellu ture de corgnitus», verso la chiesa di Santa Maria in Corneto, ciò induce a pensare a una relazione tra i due, Giovanni e Ofizia sottoscrivono l’atto, a Corneto, CALISSE, Documenti, doc. XLVIII, aprile 1011; una donazione collettiva «pro remediu anime nostre», stipulata nel castrum Ologano a Toscanella a favore del monastero di Santa Maria in Margarita, da Stefano, Silvo, Eldivrandu figli di Liuzo, di Berta germana Anna, Teuza sposata, iugale, Marozia figlia del defunto Orso e sorella di Quiga non presenta differenze di genere, ibidem, aprile 1011-1012; medesima parità di diritti nella donazione di Benedetta, Anselmo, Guido, Guaccus suddiacono, orfani di Rutherius bone memorie, donando all’abate Giovanni III della chiesa della beata Fortunata di Sutri, un orto avuto «per succesionem parentum nostrorum», con la motivazione «pro salute et remedio animee nostri genitoris», qui sottoscrivono: «Anselmo manu propria, Vuido, Guaco, Benedictus(?), Crescentius, Crescentius dativus iudex, Sergius idem, Balerinus f. Leonis», BARTOLA, Il Regesto, doc. 88, 9 giugno 1023; le sorelle nubili di Bonizone, Letus, Giovanni, Tuscus e Teuzone di Velletri, donano terre e orti a Santa Lucia del Prato, in onore della santa e dei Santi Liberio e Nazario, STEVENSON, Documenti, doc. II, 23 gennaio [1032].

131 Un matronimico nelle sottoscrizioni, Crescenzio «vir honestus qui vocatur serbus de Franco de Diacona», SCHIAPARELLI, Le carte, doc. IX, 1027 ottobre 23.

132 Qui le sottoscrizioni: «Signum manus suprascripto Iohannes inlustris de urbis Romen seu donna Bona inlustrissima femina Godtifredus magnificus vocatur Roculino, Litolfus magnificus vocatur de Sabini, Nedto vir magnificus vocatur de Mazano,

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Alcune donazioni non sono chiaramente collegate né a dimostrazioni di gratitudine, affetto o devozione, come nei due casi di Bena che dona inter vivos con usufrutto; e di Miccina magnifica femina, la quale dona a due laici, Gregorio e Giovanni figli di Giorgio Domini, «pro amore» una vigna: in entrambi i casi pensiamo si tratti di restituzioni di debiti134.

Chiara invece la motivazione che spinge la diacona Costanza, figlia di Bellizonus e Roccia a donare i suoi averi al monastero di San Martino riservandosi l’usufrutto del bene: probabilmente conduce una vita consacrata perché è detta diacona, dichiara che la sua eredità è paterna e materna, a conferma del fatto che la discendenza non era ancora rigidamente agnatizia135.

Segue la donazione come sopra, «ex successione quondam mea genitrice et qualicumque modum», di una proprietà sita a San Lorenzo in Lucina, da parte dalla giovane Bona figlia di Romano Cerrotano con il consenso del padre, «pro magno amore et dilectione», di una cripta antiqua con torre, costruita da Romano stesso, ai fratelli Romana, Oddolina e Giovanni e ai loro eredi: il fatto che sia sottolineata la spontaneità della donazione probabilmente maschera una transazione a restituzione di un debito136

In un solo caso una vedova, Stefania, coniux Franconis bone memorie, con le figlie nubili, Theophistis e Maria, dona terreni ricevuti «ex parte patris vel matris» e ventiquattro soldi papienses, consenziente lo zio, suo fratello, tutore dei minori, alla diaconia di Santa Maria in Via Lata, «pro remissione peccatorum» del marito e dei parenti. Qui la clausola a difesa della transazione da future intromissioni di parenti, caratteristica comune ai contratti di uomini e donne, evidenzia una situazione ricorrente: quella delle impugnazioni degli atti137.

Lavinia diacona - la seconda nubile che si fregia di quest’appellativo - donando «pro Dei amore» alla badessa Marozza e alle monache del monastero di Santa Maria in Campo Marzio, una vigna, divisa in due appezzamenti, confinante con la terra sementaricia dei suoi fratelli maschi, a Fontanella, eredità «ex parte meorum parentum», rinuncia alla sua parte di eredità e facendolo ammonisce i successores a rispettare questa donazione: il fatto che una diacona doni a delle religiose regolari, spiega i rapporti che tra queste potevano intercorrere, probabilmente una sorta di benefattrice e volontaria laica?138

In un atto incompleto, la vedova, quondam mulier del defunto Raniero e Adelascia filia di Pietro Raniero, forse sua nipote, donano pro anima del marito e del nonno, una vigna alla chiesa di Santa Maria in Via Lata, con la consueta clausola a difesa dei successori139.

Gisibuldus vir magnificus qui vocatur de urbis Romen, Guido filius [Mai]nardus», FEDELE, Tabularium Sancti Praxedis, doc. V, 15 ottobre 1030.

133 FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XI, 11 ottobre 1039. 134 Qui le sottoscrizioni: «Signum manus suprascripta Bena que anc chartula fieri rogavi. [Cresc]entius qui vocatur de Beno de

Maria ceka. [ ]s ohnesto viro. [ ]um de Ferruccio», qui è citata Maria ceka, SCHIAPARELLI, Le carte, doc. IX, aprile 1049-1054; qui è citata Giulia, madre di Stefano scriniario, tra i fines, qui le sottoscrizioni: «Signum manus suprascriptae Miccinae quae hanc] chartula fieri rogavit, testis, testis, (...) Rusca Polonga, testis, [Petr]us Albanise», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XIV, 25 dicembre 1050-30 agosto 1051.

135 Qui le sottoscrizioni: «Signum manus suprascriptae C]onstantiae diaconae rogatricis, [...]ata; Falcone filius eius; Sasso mansionario Sancte Crucis», SCHIAPARELLI, Le carte, doc. IX, 7 gennaio 1053.

136 Qui presente la clausola che protegge la transazione da futuri oppositori, e tra le sottoscrizioni: «signum manus Bona donatrix, Cencius Crivaro, Iohannes de Netto, Benedictus testaasino, Berardo calzolarius, Savinio Boccalopo», CARUSI, Cartario, doc. 17, 10 novembre 1076.

137 Un matronimico nelle sottoscrizioni, Nicola de Diacone, HARTMANN , MERORES, Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CXIII, 29 maggio 1085.

138 Qui il notaio: «Castorius dei gratia S.R.E. scriniarius sicut invenit… per Petrum S.R.E. scriniarius… ita scripsi fideliter», tra le sottoscrizioni: «signum manus Lavinie rogatricis, Ricus Berardi, Romanus de Nucio, Durus Iohannis de Ursa, Gregorius, Saracenus, Berardus Germanus filius cuiusdam», CARUSI, Cartario, doc. 23, 1086.

139 Atto incompleto, HARTMANN , MERORES, Tabularium Ecclesiae S. Mariae in Via Lata, doc. CXVI, 4 marzo 1087.

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7.2. Poche beneficiarie nel secolo XI Al secolo XI sono ascrivibili solo quattro donazioni di beni in cui donne nubili siano

beneficiarie, queste ricevono: dai genitori e dal fratello (1012); dai fratelli (1065); da un prete e da uno zio, anch’egli prete (1027; 1078).

Guido con la moglie Stefania e il figlio dispongono una donazione di terreni pro anima della defunta figlia Marozza, alla badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata «pro dei omnipotentis amore mercedeque animae Marozza vone memoriae filia nostre»140.

Interessante la donationis charta di Teodoro, prete di Santa Maria in Via Lata, che cede a Benedetta - apostrofata come honesta femina e honesta fidele mea - e ai suoi eredi «pro amore et dilectione» ma anche per un effettivo aiuto prestato, «et pro servitiis pro multiplicibus et innumerabili bus servitiis tuis quas circa me die noctuque in me exercuistis atque fecistis», metà di una casa a due piani, confinante con Adria anche questa chiamata honesta femina ma «spirituali filia mea»: la donazione rende vicine di casa Adria figlia spirituale del prete, e Benedetta, fidele del prete. Se la relazione tra Teodoro e Adria è di parentela spirituale, quella con la beneficiante della donazione, Benedetta, è meno chiara: potrebbe trattarsi di un caso di donazione per gratitudine in seguito al prestato servizio ma anche di un concubinato141.

Nel 1065 Tita, nobilissima femina, figlia di Giovanni de Paparone e sorella di Giovanni figlio di Giovanni de Paparone riceve in dono dal fratello numerosi terreni, come dote o per proteggere il proprio patrimonio da ingerenze familiari?142

Il prete Ruppus di Cesano, dona al monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea, tutti i terreni che furono del fratello defunto Pietro padre di Stefania sua nipote, prete come lui, alla chiesa del San Salvatore, con dei libri, ornamenti e oblazioni: la nubile figlia di un prete quindi non ne eredita i beni? Di questi dispone lo zio?143

Nel secolo XI, alcune nubili sono citate come confinanti di terreni donati; da segnalare una formula sui limiti dell’eredità di un bene locato144. 7.3. Crollano le donazioni nel secolo XII

Nei sei atti del secolo XII, solo in due casi incontriamo nubili donatrici (1113; 1199); in quattro casi quelle sono beneficiarie di una donazione (1100; 1136; 1180; due del 1199).

140 HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. XXXI, 4 aprile 1012. 141 Anche qui è presente la consueta clausola contro future possibili impugnazioni dell’atto, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S.

Mariae in Via Lata tabularium, doc. LIII, 8 luglio 1027. 142 FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XXII, 11 novembre 1065. 143 ASR, SCD, cass. 15, perg. 85, (FEDELE, Carte, doc. LXXXV), 3 aprile 1078. 144 «Oddo qui vocor de Laratitia habitator castrum Formello» dona pro anima al prete Adriano, un orto a Nepi, in memoria

della moglie defunta Benedetta, tra i fines è citata «Pretiosa ohnesta femina», forse nubile, un matronimico, Pietro filio Amiza, ASR, SCD, cass. 13, perg. 43, (FEDELE, Carte, doc. XLII), 15 maggio 1037; Sergia «relicta Crescenti vone memoriae qui dicebatur de Ursa», dona per l’anima del marito e dei figli e mantiene l’usufrutto delle vigne nell’isola maggiore, iuxta flumicellum Tiberis, qui tra i fines è citata una certa Maroza de Pietro Nauclero, probabilmente nubile, nelle sottoscrizioni: «Signum manus Sergia donatrix», cass. 13, perg. 50, (FEDELE, Carte, doc. XLIX), 21 gennaio 1046; «Stephanus dativus iudex domini gratia omnium romanorum» dona a San Donato d’Arezzo «amore mercedeque... anime meae patris… matris et parentorum…» con il consenso di Tedoranda sua moglie, (dopo la firma del donante troviamo «Tederanda consensi»), cita la madre defunta e la germana Berta, confinante della casa donata. Assicura che nessuno degli «heredibus et consanguineis» impugnerà l’atto; sebbene sia un atto aretino rogato a Roma, il documento è interessante per la topografia dell’Urbe in fase di transizione dalle regioni antiche a quelle medievali, qui un matronimico de Ermenfrada, DE ROSSI, Donazione alla Chiesa di San Donato d’Arezzo, 1051; in una donazione pro anima fatta da un uomo è citata una formula sulla durata «si filium vel filiam relinquero, si unus vel plures fuerint vita eorum tantum modo non amplius», VATRI, Cartario, doc. 7, 13 novembre 1074.

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Il primo atto non è romano ma per noi interessante: Maria de Sandone habitatrix in castro Bassanello, quando in prima persona dispone la donazione di molte proprietà a favore di San Silvestro in Capite per la salvezza della propria anima e per quella dei propri familiari, probabilmente è una di quelle nubili, emarginata da una società che non riconosceva uno statuto alle donne non sposate ma neanche consacrate a Dio, che incontrando difficoltà ad avere rapporti interpersonali, ed è assorbita nella sfera delle organizzazioni religiose interessate, anche, ai loro lasciti145; come accade a Maria Theobaldi quando dona inter vivos alla chiesa di Santa Maria Nova i suoi beni mantenendone l’usufrutto, un terreno e un casarino a Cisterna, confinante con Mabilia de Mediana, Agnese, la moglie di Pietro Absalloni e Maxsimilla. La donatrice dichiara trattarsi di beni dotali «hec omnia fuerunt de iure mee dotis et pro mea dote dicta tenimenta habui» quindi avrebbe scelto di non sposarsi, affiliandosi, senza ufficialità, a una chiesa?146 7.4. Di nuovo poche beneficiarie

Nella seconda serie di documenti, in cui le nubili sono beneficiarie di donazioni, troviamo

genitori (1100; 1199) e zii (1136; 1180). Chiaro l’intento della manovra di Ratti madre della nubile Berta, la quale dona ob amorem una

casa alla figlia, probabilmente per proteggere il suo patrimonio e dotarla senza dichiarare il suo scopo147.

Interessante il vincolo che Giovanni quondam camerario del papa, donando alla nipote Scozia una mola, impone, essa avviene a patto che la lasci al fratello in caso di morte senza figli, ponendo l’accento sull’eccezionalità della donazione di un bene solitamente riservato agli uomini148.

Pietro de Conte zio di Cuideimundina, Deonadiola e il fratello, suoi nipoti, dona loro un casalino avuto dalla chiesa di San Pietro in Vaticano forse eseguendo il volere testamentario del fratello149; infine ricordiamo Achille e Teodora coniugi che compiendo oblazione di se stessi non dimenticano di fornire una dote alla figlia Placidia150.

145 «Ego Maria de sandone habitatrix in castro dicti bassanello pro redemptione amine mee y dominicis fratris meis y omnium

parentorum meorum dono y offero sub ususfructum dierum (…) in monasterio sancti Silvestri qui appellat cata pauli dimidia claussura qua habeo in loco qui dicitur cyppiniano supra via y supra una nec non indivisionis meam supra dictii fratris meis …de duabus petii terre, que sunt in loco quod dicitur Fornicara. Similiter et duas partes quas habet in loco qui dicitur Casanovula et in Casalini et quicquid habet in loco qui dicitur Clusina veccla, et in loco qui dicitur Plassic(...), et totum petium quod habet in loco qui dicitur Moricinu et duabus partibus de cerqueto et de terra quod est positum iuxta fontana Cyppiniana. Et alium petiolum qui reiacet iuxta terra de Rustico Gregorii et duabus petiç terre que, reiacet iuxta pratum Cyppiniano, et alie terre que reiacent in valle desuper dicto Cyppinianu et dimidiam clusuram quam habet in pantano». Potrebbe essere la minuta di un atto poi trascritto in mundum, le sottoscrizioni: «Crescentius presbiter de Duranti, Crescentius presbiter de Arnolfus, Rusticus de Gregorii, Rusticus Rainaldus, Iohannes de Marco», ASR, SSC, cass. 38, perg. 8, (FEDERICI, Regesto, doc. XII), 18 novembre 1112.

146 FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. CLXIII, 26 maggio 1199. 147 Tra i confinanti il matronimico Giovanni de Bona, qui le sottoscrizioni: «Signum manus predicta Ratti qui hec doni fieri

rogavi. Petrus aurifice, Iohanne Cerasia, Benedictus de Boso, Romanus de Diacono, Cara cosa», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XXXI, 20 luglio 1100.

148 STEVENSON, Documenti, doc. XII, 7 novembre 1136. 149 SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LXV, 8 febbraio 1180. 150 ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 163, 1191.

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7.5. Donatrici del Duecento Al Duecento risalgono sette atti di nubili donanti (1223; 1230; 1246 con oblazione; 1255, simile

a una oblazione; 1277 con oblazione; 1291; 1299); quattro atti di nubili beneficiarie di donazione (1202; 1227; 1248; 1254). Nella prima serie notiamo l’aumento generale delle oblazioni; a parte due atti non romani.

Nel 1223 Saracina figlia di Maria e del defunto di Raniero Coste, dona a Pietro di Raniero scriniarius metà di una casa e di un orto con casalino, senza mostrarne la motivazione, probabilmente per un debito151.

Seguono tre atti in cui donazioni inaugurano un rapporto privilegiato con enti ecclesiastici: Maria Cecigne diventa un’oblata dell’ospedale di San Lorenzo de Prima Porta, donando i suoi beni a Santa Maria in Via Lata152; Maria di Ianuario si affilia al monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea, presenti e consenzienti i frati Tommaso e Domenico, offrendo alla badessa Iacopa e alle monache, Amadio e Stefania, se stessa, la sua casa e sei lire di provisini riservando l’usufrutto alla nipote Chiara, nubile, se le sopravvivrà153; Marina de Eunclaustro Sancti Cyriaci con Erminia figlia del defunto Giovanni Cinthii Leoli, la prima monialis e la seconda nubile, donano una casa a A[rthemia] badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata154; così come Domna Bartolomea, figlia del quondam Gentile del quondam Gentile Pietro Leone, la quale dona se stessa, i suoi beni, «mobilia et immobilia et iura», alla badessa Iacopa e veste l’abito religioso155.

Due atti non romani rappresentano possibilità non consuete e un utile raffronto con il diritto longobardo156.

7.6. Poche beneficiarie, due emancipate Le quattro nubili beneficiarie di beni nel Duecento li ricevono da un laico (1202); da un

pontefice (1227); e in due casi particolari, emancipate dall’autorità paterna (1248;1254). Viviano dona alla badessa Costanza e al procuratore del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in

Via Lata, citando la nubile Cecilia e sua moglie Martella - le quali riceveranno un pagamento come dote, probabilmente la prima monastica e la seconda un’integrazione - poi in un atto successivo è confermata la donazione con i relativi consensi e Cecilia, ora monialis, nominata con la badessa e le altre, è obbligata al pagamento di una somma, forse a causa di un debito157.

Gregorio IX (1227-1241) dona inter vivos dei beni a Santa Maria de Gloria di Anagni, al monastero di San Martino e ai nipoti Nicola e Maria, sua soror e nepos Gregorii, architettando alcune soluzioni per ottemperare al principio agnatizio: in caso Nicola muoia senza eredi lascia ai figli maschi di Maria, «filios masculos susceptos ex hoc matr.» e in caso questi muoiano, al

151 FEDELE, Santa Maria in Pallara, 7 settembre 1223. 152 Atto incompleto, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 141, 16 ottobre 1230. 153 ASR, SCD, cass. 17 bis, perg. 260, 2 luglio 1246. 154 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 266, 3 novembre 1255. 155 Qui è citata una certa Martha (o Mathea), una monaca del monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea forse, ASR,

SCD, cass. 18, perg. 309, 9 ottobre 1277. 156 Nel 1291 «Tomassa di Palarea comitissa» di Manupello, figlia del defunto Gualtiero, assegna lo juspatronatus della chiesa

di San Martino di Palearea a Penne a Matteo abate di San Gregorio a Ornano in esecuzione delle volontà di suo padre, sembrerebbe una nubile, esecutrice testamentaria del padre, Arch. Ors. II. A. II. N. 31, 21 luglio 1291 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 80); poi in un atto interessante per un raffronto con consuetudini legislative differenti, Magalda filia del defunto Eustasius e moglie di Carangelus figlio del defunto Dardanus de Sordeo insieme a Solemena, filia quondam (…), originarie di Andria, civitate Andria, con i mundualdis non presenti donano inter vivos la quarta parte di una casa con usufrutto vita natural durante, poi donata al monastero, «pro animarum nostrorum parentumque» e chiedono un mundualdus a Mele de Balsamo, baiulo Andrie, come consuetudine locale, a Capua, PANELLA , Le carte, doc. 29, 24 marzo 1299. 157 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 21, 7 febbraio 1202.

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monastero, la discendenza possibile è solo quella maschile, da legittimo matrimonio, infine in deroga alle disposizioni precedenti, contempla l’ipotesi dei voti religiosi o delle seconde nozze per la donna158.

Due atti di donazione sono particolarmente interessanti perché citano delle nubili emancipate dall’autorità dei padri: nel primo Giovanni Gualferami con il consenso e la rinuncia della moglie Scocta e della figlia Balçama, definita emancipata, dona all’advocatus del monastero di San Sisto Vecchio, «utilitate monacharum ancillarum Dei», delle terre in territorio tusculano, «salute anime nostre et ob reverentia»159; nel secondo Andrea de Rufavelia esonera le figlie Alfacia, Erminia, Stefania e Andrea, dalla sua autorità e dona loro inter vivos un terreno a Pilus Rottus in occasione dell’emancipatio: un unicum che dice di una possibilità160.

Alcune nubili sono citate in atti di donazione per avere in deposito una somma (1242), da uomini laici (1263; 1275) e da una moglie (1272) come confinanti di terreni donati161. 7.7. Dopo il 1320?

Nei primi venti anni del secolo XIV non registro la presenza di donne nubili in atti di

donazione, queste ricompaiono solo dopo il 1320, lo stesso accade per le epigrafi. Significa qualcosa la mancanza di nubili donanti e beneficiarie di donazioni, è collegabile

all’andamento demografico, alla congiuntura economica o a una perdita di autonomia? 158 Qui è citata come confinante la uxor di Innocenzo, erede del padre, lascia parte della casa «pro habitatione sua et

familiaribus suis», due matronimico, Marie e de Bona, LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 16, 5 ottobre 1227. 159 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 104, 24 ottobre 1248. 160 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 262, 7 novembre 1254. Gli studi sulle strutture familiari medievali italiane fanno coincidere

l’emancipazione economica dei figli maschi con la morte del padre, i documenti lo confermano perché solo una volta diventati figli quondam gli uomini si emancipano e agiscono da soli. Osserviamo qui che delle nubili alla morte del padre iniziano ad agire insieme ai fratelli maschi: certo si tratta di un passaggio di tutela ma forse in alcuni casi, poteva rappresentare un aumento di autonomia reale. In due atti troviamo citate nubili emancipate, il che ci dice di un’altra possibilità, vedi paragrafo 7.6, 1242; 1248.

161 «Iohannes Capocie dictus Medepanis» dona a Santa Maria Maggiore e cita due donne nei fines di un terreno, Magança de Frangipane e Receveni (?) figlia di Florentius Longii, l’una affitta all’altra, FERRI, Le carte, doc. LXI, 29 ottobre 1263; i monaci di San Silvestro in Capite approvano la concessione di una casa fatta dalla moglie di Pietro figlio del defunto Giovanni Sancti Iohannis, alla sua matrigna, novercha, Merilia, qui tra i confinanti sono citati gli eredi di Theoderanda, forse una nubile. La matrigna promette una pensione annuale al monastero di tre provisini, ASR, SSC, cass. 39, perg. 145, (FEDERICI, Regesto, doc. CLIV), 3 agosto 1274; Pietro Ciarfus dona al monastero una domus ed elenca i confinanti della proprietà tra cui Maria, solo citata, forse nubile, perg. 149, (FEDERICI, Regesto, doc. CLVI), 18 gennaio 1275; Angelo di Egidio di Nicola de Castro Nasa dona all’ospedale un tenimentum, cita una somma in deposito da Berta di Pietro Stephani, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 209, 7 novembre 1242.

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8. «Sole o male accompagnate?» Prima di tutto una questione legata al riconoscimento delle nubili: nelle compravendite, nelle

locazioni, nei contratti agricoli, un numero cospicuo di donne è designato col solo nome proprio o col patronimico, il che farebbe ipotizzare si tratti di nubili ma senza certezza perché sono solo menzionate nella descrizione dei terreni, come fossero dei punti di riferimento per la delimitazione dei possessi.

Quasi in tutti i casi ignoriamo se fossero proprietarie o locatarie, l’abbreviazione del nome, potrebbe essere causata da una comodità, identificarle senza margine di dubbio con donne nubili farebbe crescere complessivamente il numero di queste rispetto alle sposate, alle religiose, alle vedove, e da qui nascerebbe una questione intorno alla preponderanza numerica di queste, causata da una deformazione di prospettiva. Questo dato non può essere analizzato meglio in questa sede, pertanto le donne presumibilmente nubili, citate nei documenti come confinanti o proprietarie, saranno segnalate in nota.

Complessivamente negli atti di compravendita, vendite, locazione e contratti attinenti, nei movimenti di denaro in generale, i più numerosi nella documentazione romana, le nubili sono comunque sottorappresentate rispetto alle sposate, alle vedove, alle religiose.

L’autonomia loro concessa sembra minore perché sono sempre tutelate del padre se vivo o da tutori o curatori: zii, fratelli, madri, nonni e nonne o persone esterne alla famiglia.

Gli atti divisi per secoli sono separati in due elenchi: quelli in cui la nubile aliena dei beni, a titolo definitivo o temporaneo, e quelli in cui riceve dei beni a titolo definitivo o temporaneo. Saranno evidenti alcuni frangenti in cui la nubile sembra agire in prima persona a differenza degli atti in cui compare in maniera meno incisiva, insieme con altri e altre.

Non credendo così semplicisticamente, di aver individuato i luoghi dell’efficacia delle nubili, valutiamo criticamente questi dati, considerando parziale la sovrapposizione tra dichiarazioni di soggettività, come affermazione di volontà, e una reale libertà personale.

Il notaio interpreta, traducendo nel gergo giuridico, le volontà dei rogatori negli atti interpretandone anche le esigenze di accomodamento, questa duttilità del mestiere notarile significa che si poteva anche desiderare che una transazione sembrasse compiuta per volere della donna ma che questo poi, in definitiva, non fosse vero.

La simmetria tra pensiero, realtà e parola scritta non è un’evidenza. Dobbiamo sempre tenere presente che a Roma il diritto romano si era mantenuto vivo proprio nel suo continuo ripensare se stesso, in maniera autonoma rispetto ad altri luoghi della penisola, dove il diritto longobardo era penetrato più a fondo, perpetrando istituti qui non riscontrabili, come il mundio. Non per questo entusiasticamente affermiamo che le nubili romane vivessero chissà quale condizione di libertà, la sessualità immediatamente diventa appartenenza di genere, portando con sé un fardello di doveri e limitazioni, ovunque. Essere donna era un dato naturale che diventava subito sociale, sovente un problema collettivo, come nel caso del destino delle nubili.

Nei documenti di trasferte patrimoniali qui presi in considerazione (locazioni, vendite, permute, mutui, debiti e prestiti, contratti di lavoro, etc.), la classe sociale di appartenenza non sembra un elemento che connota situazioni di maggiore libertà, alcuni esempi ci fanno pensare che non sia un elemento sufficiente a mutare la condizione di subordinazione riservato alle nubili.

I rari contratti ad laborandum sono i soli che potrebbero esser indicativi di una acquisto di libertà per le nubili ma non sono in numero insufficiente per trarre considerazioni generali. Sparuti casi di nubili che ricevono in gestione un terreno agricolo, badando a coltivarlo e mantenersi con i proventi di esso, potrebbero indicare la possibilità della scelta di non sposarsi e non pronunciare i voti, per vivere del proprio lavoro.

Una questione a parte è rappresentata dalle clausole di successione nelle vendite e nelle locazioni che prendono la forma d’interdetti limitativi, «filiis masculis»; di formule aperte come «heredibus et successoribus»; o indifferenziate come «filiis et filiabus».

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Esse nella maggior parte dei casi favoriscono la successione agnatizia, ma sono anche indicative, se valutate nella loro distribuzione e nel loro perdurare fino a tutto il Duecento, di una serie di possibilità di trasmissione dei beni che continua ad esistere, sebbene sia già avvenuta la cristallizzazione della linea di successione maschile e del sistema dotale come suo corollario.

Certo il fatto che il diritto partorisca sempre nuove formule per modellare i documenti sui desideri dei richiedenti, che possono volere il bene sia trasmissibile o meno alle eredi femmine, è indicativo della vitalità del diritto praticato nell’Urbe.

Seppure le formule aperte, si trovino nella maggior parte dei casi in contratti di locazione, dove si utilizza il bene per un periodo limitato di tempo, resta pur sempre un dato utile per valutare il ventaglio di possibilità che il diritto, manipolato dai notai, offriva e la volontà dei richiedenti, uomini e donne, che al notaio chiedevano appunto di interpretare e tradurre le proprie esigenze specifiche, in fondo, i propri desideri.

8.1. Nubili che alienano beni nel secolo XI

Al secolo XI risalgono vendite e acquisti, locazioni di differente tenore, contratti ad

laborandum, pegni o transazioni economiche di altro genere tra i quali la presenza delle nubili si differenzia nei ruoli di alienanti (otto casi), e di riceventi di beni (dieci casi). A parte undici casi in cui nubili sono solamente citate162.

Trasversalmente sono individuabili nubili agenti in maniera meno autonoma rispetto ad altre, nella prima serie di atti in cui compaiono nubili che alienano beni, troviamo due sorelle una nubile e l’altra sposata che agiscono con il consenso della madre, pur vivente il padre (1012); un fratello e una sorella orfani del padre (1017); una vendita tra due coppie di fratelli e sorelle (1018); quattro sorelle, due nubili e due sposate con i mariti (1041); un padre che agisce in nome della figlia non presente (1042); un padre che agisce con le figlie e con lo zio tutore delle stesse (1050); due nubili che agiscono da sole, la prima orfana dei genitori, vendendo un’eredità materna (1068), la seconda che vende di sua spontanea volontà (1078), questi due ultimi casi sembrerebbero indicare situazioni di maggiore indipendenza.

Berta nubile e Bona moglie del nobile Giovanni, con il consenso della madre Costanza moglie del nobile e omonimo Giovanni, vivente, vendono alla badessa Berta del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, parte del casale Cocumelli in territorio Albanense, avuto «per herieditarie et successionem quondam parentorum nostrum». Qui Giovanni, il padre, è nominato solo tra i testimoni, quindi le figlie agiscono sole, con l’approvazione della madre: quest’anomalia indica che l’uomo era assente momentaneamente, non era il padre naturale o è una semplice possibilità che devia dalla consuetudine? In effetti poi firmano le sorelle chiamate «rogatrices,

162 Sono soprattutto confinanti di terreni locati o venduti: Guido vocatur Sarraceno e Theodoranda nobilissima femina,

confinanti del casale Sant’Andrea, ASR, SCD, cass. 13, perg. 26, (FEDELE, Carte, doc. XXV), 18 giugno 1020; confinante di una vigna di proprietà di Santa Maria Nova, «Curtu nobilissima femina», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. VI, 12 luglio 1025; tra i confinanti di un terreno in Piscinula, vicino ai «fines ortuo de Atria» un certo Giovanni scrinario e Teodora Rusca, ASR, SCD, cass. 13, perg. 31, (FEDELE, Carte, doc. XXX), 8 giugno 1026-1027; terreni di proprietà del monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea confinanti con una certa (…) diaconesse e gli eredi di Maria de Silva, perg. 36, 4 luglio 1029; Berta sposata vende una casa confinante con la proprietà di Jaquinta, germana sua, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXVII, 21 novembre 1038; vendita di un terreno confinante con Maura de Grazzo, SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. XII, giugno 1041; in una vendita è citata una donna nei fines, (…)gerga honesta femina, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXXVI, 11 ottobre 1043; un terreno locato confina «a tertio latere orticello de Giovanni Dimidiam mazza, quem per libelli detinet da Bona filia Eminfredus», Bona è detta quindi livellaria, FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XV, luglio 1052; il terreno locato a Candida e Bona sopra citate, confina con una certa Anna, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXXXX, 6 aprile 1063; in una permuta sono citati i beni facenti parte del casale Molarupta e un molino in insula Licaonia, appartenuto in enfiteusi alla sorella di Giovanni de Cocilia, e al fratello, BARTOLA, Il Regesto, doc. 17, 5 marzo 1067; nella vendita incompleta di una casa è citata come confinante Adilascia filia de Temno, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CIIII, 23 aprile 1077.

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venditrices», la madre chiamata genitrice, e il padre come se desse il suo consenso, poi il marito di Bona, con la notazione finale, «Domna Berta in hac carta scripsi», a ribadire il ruolo della nubile, la quale forse sta costituendo la propria dote; in un atto coevo ma separato, il prezzo è fissato a due libbre di provisini con la clausola del rispetto del contratto da parte dei successori, la badessa precisa i termini dell’accordo, stabilendo la pena del doppio del prezzo in caso di inadempienza163.

Spesso le nubili agiscono con fratelli e sorelle, qui lo sono sia gli acquirenti sia i venditori: Palomba honesta puella, con Peruncus e Frosina moglie di Giovanni qui vocatur Grassus figli del defunto Franco tessitor, vendono a Giovanni, Cesarius, Benedetto e Stefania, orfani di Pietro diaconus, una cripta vicino il Colosseo, vicino al tempio di Romolo, ad acconsentire è Maria honesta femina moglie di Peruncus, l’elogio «honesta femina» è usato per le sposate come per le nubili164.

Le sorelle Stefania e Teodora - con il consenso dei mariti Azonus e Stefano - assieme a Maria e Romana - ancora nubili - vendono all’abate Raniero un terreno con quattro cripte per cinque once di denari pavesi, dimostrando che nubili e sposate possono agire sullo stesso piano di diritti165; l’anno dopo a dimostrazione del fatto che le situazioni per le nubili possono essere diametralmente opposte, un padre agisce senza che la figlia sia presente: il nobile Taudaldus padre di Benedetta, concede un terreno ad pastinandum, e stabilisce che dopo otto anni di coltura dovrà essere loro resa la quarta del raccolto, possedendo la piena capacità giuridica di agire a suo nome166.

Le nubili possono essere soggette a una doppia tutela, come quando Pietro negotiator dictus Tragececus con le figlie Polla, Diletta, Maria, ancora nubili, e con il consenso del loro tutor tio, Crescenzio de Seniorittu, vendono a Stefania, vedova del defunto Renuccius vone memorie, parte di un casalino dentro il castello di Capranica: qui nubili e sposate condividono l’appellativo ohneste feminae ma anche la mancanza di un ruolo attivo nella vendita167.

La varietà dei comportamenti s’impone e minaccia ogni tentativo di sintesi quando poi s’incontrano nubili che sembrano compiere autonomamente vendite: nel primo caso Maria magnifica femina, orfana di Fuscone pie memorie, vende all’arciprete di Santa Maria in Trastevere e ai suoi successori la parte che le compete del casale Frontinianus, fuori porta San Pancrazio, con annessi terreni, avuto «per successionem Lavenae genitrice mea»168; nel secondo caso una nubile di Sutri, Maria Iannitellus, vende «propria mea voluntate» al monastero un pezzo di vigna, presso l’Isola, nel luogo chiamato Franceto169.

163 Nel primo atto notaio è Stefano scriniario «S.R.E.», e sono interessanti le sottoscrizioni: «Signum manus Berta et Bona

rogatrices, venditrices, Signum Constantia nobilissima fem. genitrice, Johannes ho. vir eius, Iohannes qui vocatur de Rosa mansionarius S. Petri apostoli, Iohannes nob. vir, Sifredus, Benedictus qui voc. Primicerio, Bonizzo Gambalacia qui risiedet a Campo Martio, Romano qui vocatur de Rosa idem, Domna Berta in hac carta scripsi»; nel secondo tra le sottoscrizioni: «signum manus Demetrius not. et Berta ancilla dei, Johannes pristinarius, Atto, Benedictus palumbator, Gregorius», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. XXXII, 25 maggio 1012.

164 Qui le sottoscrizioni: «Signum manum suprascripto Peruncio viro honesto, signum manum suprascripta Palomba honesta puella…», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. IV, 30 giugno 1017; qui le sottoscrizioni: «Signum manuum Frosina seu Perunco nec non Palumba. Signum manuum Iohannes seu Maria ohnesta femina qui hanc charta consenserunt», doc. V, 4 marzo 1018.

165 Qui tra le sottoscrizioni: «signum manus Thaedora, Romana, Maria, Stephania», ASR, SCD, cass. 13, perg. 47, 12 maggio 1041.

166 Per triginta denarios, FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XIII, 13 ottobre 1042. 167 Per sei soldi d’argento, qui il notaio è «Iohannes iudex et tavellio civitate Sutrina», qui le sottoscrizioni: «Signum manus

Dilecta, Maria, Polla, Petrus e Crescentius; Iohannes Castrisano, Leo de Lucidu, Petrus f. Leo de Silbo, Guacco f. Iohannes de Petro», ASR, SCD, cass.14, perg. 54, (FEDELE, Carte, doc. LIII), febbraio 1050.

168 Con la formula del rispetto del contratto da parte dei futuri eredi, la penale del doppio in caso di rescissione, per ventiquattro soldi pavesi, tra le sottoscrizioni: «signum manus Mariae venditricis… Gregorius f. Agathe», VATRI, Cartario, doc. 6, 27 febbraio 1068, p. 27.

169 Per cinque soldi di denari di Pavia, qui una certa Maria de Pulchro è citata tra i confinanti, un matronimico nelle sottoscrizioni: «Signum manus Maria, Angelus de Fussca», ASR, SCD, cass. 15, perg. 87, (FEDELE, Carte, doc., LXXXIV), 17 febbraio 1078.

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8.2. Nubili che incamerano beni nel secolo XI Nei dieci atti del secolo XI tra le nubili che incamerano beni, in maniera definitiva o

temporanea, incontriamo: un prete e una donna che ricevono una vigna (1001); fratelli e sorella orfani che ricevono la locazione di una salina (1023); una sorella con i fratelli (1040); due sorelle nubili con i genitori viventi (1026); una nubile sola che riceve la locazione da due badesse (1035); un interessante atto dove sono citate nubili livellarie confinanti, definite socii, forse nubili, che lavorano la terra e fanno parte di una rete di relazioni lavorative (1042); una nubile che sembra agire autonomamente ricevendo una locazione da un abate (1050); una nubile e una moglie sullo stesso piano di diritti, che ricevono un terreno dalla badessa (1063); uno zio paterno che vende alla nipote orfana (1063); una nubile agente da sola nonostante il padre sia vivo e sottoscriva l’atto (1072).

Sovente alla presenza di attori ecclesiastici, abati o monache, le nubili compaiono in assenza di familiari.

Nel primo caso la badessa Sergia e la congregatione ancillarum del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, locano a livello una vigna e delle terre al prete Amato e a Pretia honesta femina persona e ai loro eredi, la vigna è ad laborandum e ad pastinandum, quindi è prevista la resa di parte del raccolto, vincolata a una coltivazione fruttuosa, la donna sottoscrive il documento ma non è chiaro quale tipo di relazione intrattenga con il prete, non è da escludere si tratti di una figlia illegittima o di una concubina170.

Romana orfana del defunto Boniçon con i fratelli Pietro e Gregorio riceve la locazione libelli nomine di un filo salinario, da parte dell’abate della chiesa dei Santi Andrea e Gregorio ad Clivum Scauri171; Stefania e Giorgia ancora puellae, figlie di Berniggerius, ricevono a livello per nove o dieci anni, al prezzo di un denaro annuo, un terreno fuori porta Numentana dalla badessa Hermiggarda e dalla congregatione ancillarum ma il padre sebbene vivente non interviene, ed è nominata solo la madre Costanza iugales di Berniggerius, come se fossero eredi dei genitori ancora vivi, come emancipate da questi - come accadeva nei due atti del secolo XI - infatti il bene è «de suprascripti nostris genitoris pariterque consequentis heredibus successoros»172.

Anche in un altro caso una nubile sembra agire con determinazione: Rosa honesta femina, riceve per sé e per gli eredi che designerà, da Ermingarda badessa e da Boniza iuniore abbatissa, per quindici anni, ad libellum una pedica di terra in un casale, al prezzo di una libbra d’argento, con la resa dei prodotti agricoli, con il divieto di alienare il bene senza consenso, la donna sottoscrivendo l’atto sembrerebbe agire in autonomia173; nel 1040 Stefania sorella di Crescenzio, Giovanni e Raniero, acquista con i fratelli dal nobile Giovanni de Maruttio, un terreno confinante con uomo, ereditato «ex parentorum», per venti libbre d’argento, con la clausola contro gli eredi futuri, agendo sullo stesso piano dei fratelli sebbene non sottoscriva l’atto174.

Gli atti in cui fratelli e sorelle orfani agiscono su uno stesso piano di diritti sono consueti fino al secolo XII poi sembrano diventare più rari.

Interessante un libellum della durata di diciannove anni tra la badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, Ermingarda, con il consenso delle consorelle, per alcuni terreni e Giovanni ortulano e i suoi eredi, perché questi confinano con tre donne definite livellarie: «Rosa qui vocatur de Stephano tofarolu honesta femina», e Maria e Bena chiamate «socii», unica menzione da noi reperita175.

170 Tra le sottoscrizioni: «signum manus Pretia rogatrice, Amato presbiter, Pretia», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae

in Via Lata tabularium, doc. XXV, [1°] giugno 1001. 171 Tra le sottoscrizioni: «signum manus Romane», BARTOLA, Il Regesto, doc. 51, ante 1° dicembre 1023. 172 Tra le sottoscrizioni: «signum manus Stephania e Georgia puellae, Iohannes de Berta», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S.

Mariae in Via Lata tabularium, doc. LI, 20 novembre 1026. 173 Tra le sottoscrizioni: «signum manus Rosa…», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc.

LXIII (b), [1°] maggio 1035. 174 HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXX, 12 novembre 1040. 175 HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXXIV, [1°] dicembre 1042.

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Nel 1050 l’abate Raniero concede a «Costantia dicta de Iohanne presbitero de Longo», a titolo vitalizio, due pezze di vigna, poste nel territorio di Selva Candida per dieci denari annui d’argento, la nubile sembrerebbe agire autonomamente sottoscrivendo l’atto176; nel 1063 sottoscrivono l’atto anche Candida nubile e Bona iugalis di Girardo, ricevendo ognuna, ma la seconda con il marito, a livello dalla badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, con il consenso delle sorores, metà di un terreno che confina con una certa Anna: queste donne dimostrano di agire su uno stesso piano di diritti ma non sappiamo se fossero parenti, locatarie o legate da altre ragioni177.

In un atto uno zio paterno si occupa di una giovane, sebbene sia figlia naturale del fratello (che non sappiamo se sia morto). Giorgio giudice dativo, figlio di Gregorio de Michele, concede alla nepte, Maria, figlia di Gregorio suo fratello, una vigna per sette denari d’argento, consenziente Zita sua moglie la quale firma, stabilendo che la concessione passerebbe in caso di morte prematura alla madre di Maria qui non nominata; anche qui la giovane sottoscrive l’atto ma non possiamo da questo dedurre automaticamente una maggiore importanza del suo ruolo178; nel caso successivo del 1072, la nubile Stefania figlia di Giovanni de Bezo a Transtyberim chiede il rinnovo di un livello per diciannove anni alla badessa Marozza rectrix del monastero di Santa Maria in Campo Marzio, per un orto al prezzo di quindici soldi e un censo annuo in natura - privilegio accordato forse proprio perché nubile con la formula di richiesta «a Vobis Peto» - agendo da sola nonostante il padre sia vivo come nel caso precedente, e come sopra sottoscrivendo, «Stephania rogatrix libelli»179. 8.3. Alienanti del secolo XII

Nel secolo XII, nei tredici atti che hanno per protagoniste nubili che alienano dei beni,

vendendoli o locandoli; incontriamo spesso giovani con i fratelli. Quando da sole sono sovente in relazione con enti ecclesiastici; in un minor numero di casi agiscono con altri parenti; in qualche caso con tutori; alcuni casi non riferibili dell’Urbe sono segnalati in nota.

La varietà degli attori stupisce: incontriamo una nubile da sola che impegna dei beni a fronte di un prestito (1104); una nubile con lo zio (1104); i tutori di due fratelli e una sorella nubile, orfani del padre ma con la madre, agenti a loro nome (1108); dei fratelli e una sorella orfani che agiscono sullo stesso piano (1118); i tutori di una nubile assente (1127); un padre e una figlia insieme (1127); un fratello e una sorella citando la madre ma non il padre (1146); bislacco l’accostamento di nomi in un atto in cui si dispone per il funerale di una nubile ed è citata sua sorella (1156); una nubile vende da sola a dei coniugi (1158); in due casi una nubile vende da sola con un consenso ecclesiastico (1160; 1193); un fratello e una sorella orfani del padre, con il consenso della madre, agiscono insieme (1185); una vedova con il curatore vende per dotare la figlia nubile (1189).

Prima di tutto un’osservazione sull’emancipazione dopo la scomparsa del padre: essa sembra automatica per i figli ma non per le figlie perché dai documenti essere orfane appare una condizione mutevole, non significa né necessariamente subordinazione né automaticamente libertà, negli atti qui citati è evidente.

Nel primo Orefana, orfana di Guizone Muzo, sembra piuttosto indipendente perché impegna dei terreni a favore di Teofilatto de Maria de Berno e per i suoi eredi, a fronte di un prestito di sei soldi

176 Tra le sottoscrizioni un matronimico: «signum manus Libellaria Constantia… Iohannes de Maria de Cresco», ASR, SCD,

cass. 14, perg. 56, (FEDELE, Carte, doc., LV), dicembre 1050. 177 Stabiliscono ventotto denari come entratura, sei denari di pensio, una renovatio ogni diciannove anni, tra le sottoscrizioni:

«signum manus Candida, Girardo e Bona iugalis», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXXXX, 6 aprile 1063.

178 Tra le sottoscrizioni: «signum manuum suprascriptae Zitae», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XXI, 19 novembre 1063.

179 Un matronimico tra le sottoscrizioni: «signum manus Stephania rogatrix libelli… Cencius de Maria bona», CARUSI, Cartario, doc. 16, 12 agosto 1072.

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pavesi, con clausole sulla restituzione e sull’estinzione del debito, lasciando al conduttore la libertà di decidere i futuri eredi, «cuiuscumque sexus aetatis»180; nel secondo caso Romana figlia di Maria Bona - probabilmente orfana del padre - appare vincolata perché agisce con lo zio materno Giacinto de Rosa e vende alla badessa Lavinia «per consensum aliarum ancillarum Dei», una terra sementaria a Querceto, concessa a livello insieme «cum nostris consortibus», tutelando il contratto dai nostri eredi181; nell’atto successivo appare maggiore l’autonomia di Pietro, Romano e Costanza, orfani, quondam Incibaldi filios et filia, quando vendono un terreno in regio Scorteclari al prete di Sant’Andrea Apostoli ex Cyclaris e ai suoi successori182.

In un atto del 1127 la nubile in nome della quale si agisce non è neanche indicata con il proprio nome dai tutori, segnale della sua accessorietà, sebbene sia formalmente presente tra coloro che sottoscrivono l’atto come puella: così i tutori della figlia di Gregorio di Giovanni de Berardo, vendono a Gregorio e al figlio una casa, qui è interessante notare tra i confinanti gli «heredes Repleta» segnale che la successione può essere ancora materna o paterna183.

A riprova della varietà dei casi, padre e figlia possono anche agire insieme, in apparente armonia, sottoscrivendo l’atto: Filippo de Goio de Insula e la figlia Mobilia, vendono a due coppie sposate, Pietro dictus Lambarde e Migarda e Bernardo con la moglie non nominata, una casa con caminata nella città Leonina184.

Spesso, in circostanze diverse, abbiamo incontrato fratelli e sorelle, come se si formasse dopo la dipartita del capofamiglia, una solidarietà tra loro: qui Benedetto e Massara, fratello e sorella, si dicono figli di Maria de Silvano, e cedono con una locazione perpetua, una casa per due soldi di pensione a Nicola Cari Iohannis e ai suoi eredi, firmano l’atto, senza citare il padre185.

Quando il notaio Cacialupus cura la vendita di Costanza Caciapecoris, siamo in presenza di una bislacca coincidenza o davanti ad un atto fittizio?

Nello specifico la questione riguarda i fidecommissari della defunta sorella di Costanza, Carabona, il prete Rolando e Guido giudice, i quali vendono al monastero dei Santi Filippo e Iacopo una vigna, per ventiquattro solidos de priviscinis, utilizzati per il funerale di Carabona; qui Costanza che acconsente alla vendita è anche confinante della vigna venduta, la cui successione contempla solo i figli legittimi186.

Nei due successivi atti ci sono nubili apparentemente autonome con enti ecclesiastici: Siginitta figlia di Nicola de Foliano, con il consenso della chiesa di Santa Prassede vende una vigna per trenta soldi di provisini, con la resa della quarta187; Maria vende una vigna ai piedi del monte super avium, con il consenso dei canonici di Santa Maria Maggiore, al prezzo di trentasette denari188; già citato il caso di Ocilenda tutelata dalla madre Tutta vedova di Blasius de Mabilia189.

Anche i tre atti non romani, evidenziano situazioni diverse: fratelli e sorelle che agiscono insieme e una nubile sola190.

180 Due matronimici tra le sottoscrizioni: «Signum manus Orefata… Benedictus genero de Maria Berno, Proculo de la ruscia»,

HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CXXIX, 11 aprile 1104. 181 Per sessantacinque soldi di denari pavesi, un matronimico tra le sottoscrizioni: «signum Iacinthi et Romane… Crescentius de

Cylia», CARUSI, Cartario, doc. 24, 5 gennaio 1104. 182 Per trentasei denari pavesi, tra le sottoscrizioni un matronimico, Enrico de Susanna, LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 1, 6

gennaio 1115. 183 Tra le sottoscrizioni: «signum manus dicti Octaviani Ovicionis et puelle», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. XLV,

17 settembre 1127. 184 Per trenta soldi di provisini, qui un matronimico con professione femminile nelle sottoscrizioni: «signum manus Filippus una

cum Mobilia filia mea… Oddolus Maria fornaria», SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. XXXV, 31 maggio 1127. 185 Qui un matronimico nelle sottoscrizioni: «signum manuum suprascripti Benedicti et Massare… Donadeo de Petra

Albanensis», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. LVII, 17 agosto 1146. 186 Qui il notaio si chiama Cacialupus iudex… la donna Caciapecoris! ASR, SCD, cass. 16, perg. 130, 15 gennaio 1156. 187 Qui è citata Romana madre di Nicola buccapilusa, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. XXIX, 22 ottobre 1160. 188 Tra le sottoscrizioni: «Signum manus predicte Marie Petrus Rubeus», FERRI, Le carte, doc. XXIII, 16 gennaio 1193. 189 Vedi paragrafo 5.2. HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCXXXIIII, 19 gennaio 1189. 190 In una chartula venditionis agiscono i tutori di tre minorenni orfani di Amato di Gregorio presbiter, tra i quali Stefania, e di

Caramanna sua vedova, quando con il suo consenso, videlicet, non essendo tutrice, vendono a San Clemente di Velletri, STEVENSON, Documenti, doc. VIII, 23 novembre 1108; Marozia Angeli, vende terreni nel territorio di Sant’Angelo ai coniugi Giulia e Angelo per cinque soldi pavesi, il notaio è Oddo di Tivoli, Arch. Ors. II. A. I. N. 3, 1158 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 31); Fece e Maria, fratello e sorella, orfani di Berardo di Pietro de Geoço qui Baldaculgia dicebatur con il consenso di Berta sua vedova, congiuntamente «ambo

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8.4. Stesso numero di nubili che incamerano beni nel secolo XII Nel secolo XII, in quattordici casi incontriamo nubili che incamerano beni acquistandoli in via

definitiva o ricevendoli in locazione, queste nella prima metà dei casi sembrano agire più autonomamente.

Anche qui è notevole la varietà dei protagonisti: una nubile riceve una locazione da un abate, da sola, trasmissibile a figli e figlie (1131); una nubile acquista da sola da un suocero e una coppia con una vedova (1131-1132); una nubile acquista da una vedova con un consenso ecclesiastico (1154); in un libellum un diacono vende a un’orfana nubile e un orfano, poi la nubile prima locataria, è citata come confinante (1174; 1175); un monastero loca a una nubile con eventuali figli (1191); dei coniugi vendono a sorelle nubili ed eventuali figli (1191); una nubile da sola riceve una locazione dalla badessa (1198).

Molte nubili sono coadiuvate da parenti e nella maggior parte dei casi i locatari sono esponenti del clero: un padre agisce in nome della moglie e della figlia (1112); un padre, una madre e una figlia ricevono una locazione dalla badessa (1133); una nubile riceve la locazione di un filo salinario con il padre vivente, da un abate (1162); un abate loca a un fratello e alla sorella nubile ma solo in mancanza di maschi (1163); un marito vende con la moglie a un fratello e una sorella nubile (1174); un abate rinnova una locazione a una vedova con la figlia nubile (1184).

Ci sono nubili tutelate e nubili non tutelate: quando Adamo ortolanus promette a Romano cardinale di Santa Prassede, di rendere la quarta al monastero, lo fa in nome della moglie Doda e della figlia Romana, ancora nubile, dimostra di tutelare moglie e figlia191; diversamente da quanto sembra accadere a Stefania figlia di Giovanni figlio di Leo Rotario, quando riceve, da Giovanni abate del monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea, una vigna con vasca fuori porta San Pancrazio, e alla morte della locataria il tutto sarà ereditato «filiis et filiabus» senza differenze di genere192; da sola sembra agire anche Polla quando acquista un oliveto da Durans con la figlia Maria e suo marito Giovanni, assieme alla vedova Costanza193.

I genitori di Benedetta, Crescenzio de Deleita e Gemma, ricevono anche in nome della figlia, una vigna, vicino Tivoli in località Africano, in locazione fino alla seconda generazione, da Adelascia badessa del monastero di San Viviana «de urbis Rome», con il consenso della congregatione e di Giulia, una consorella, per un denaro di pensione194.

Bentura acquista da Giburga uxor olim Petri Rubei, per sé e i suoi eventuali eredi, un casarinum con annessi, l’acquirente non cita parenti o procuratori agenti a suo nome e tratta in prima persona. La vedova ha versato dodici denari per il consenso alla badessa Nympha, stabiliscono la possibilità di cedere il bene e una clausola sui futuri eredi, la vedova firma ma non la nubile195.

Nella maggior parte di questi atti a cedere beni sono enti ecclesiastici ma questo deriva dalla natura delle fonti e non sembra possa essere un dato significativo in sé, comunque continua a colpire la varietà dei comportamenti: ci sono donne come Benincasa figlia di Giovanni de Berta, che prende in locazione da Ugo priore di Santa Maria Nova per diciannove anni rinnovabili, un

insimul», vendono al rettore della chiesa Santa Maria di Colle Maccacio e di San Giovanni, un terreno a Narni, alla fine le due donne con il fratello, promettono solennemente che nessun successore si opporrà alla vendita (per sei denari lucchesi), il terreno confinante è di un certo Leutherius Stephani ed era parte della dote della moglie non nominata, il notaio è «Tebaldus dei gratia sabinus et nargiensis iudex et notarius», qui un matronimico nelle sottoscrizioni: «Baldus Adelasciae», PANELLA , Le carte, doc. 4, 11 ottobre 1185.

191 Con una pensione di tre soldi papiensi, la clausola sul ritrovamento di metalli preziosi nel terreno da consegnare in parte ai proprietari, qui un matronimico «Cencius de Theodora», FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. XII, 1° gennaio 1112.

192 Per sei soldi di denari pavesi e un canone di quattro denari più un denaro da pagarsi nella festa del monastero, ASR, SCD, cass. 16, perg. 119, 1131.

193 Per sette soldi con la penale del pagamento del doppio in caso di ritardo, qui un matronimico «Gentile de Benedictus de Bella», ASR, SSC, cass. 38, perg. 12, (FEDERICI, Regesto, doc. XVI), 27 dicembre 1131.

194 FERRI, Le carte, doc. XVI, 26 gennaio 1133. 195 Per trenta soldi afforziati e una pensione di tre denari da dare al monastero, qui è citata Berta di Pietro Leonis confinante, tra

le sottoscrizioni: «signum manus Gibburge rogatricis», CARUSI, Cartario, doc. 49, 8 ottobre 1154.

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anditum fili salinarum posto nel Campo Maggiore, firma con il priore e sebbene il padre sembri vivo non prende parte alle trattative196; altre come Bona sorella di Angelo de Maria citata nella locazione di una casa, concessa al fratello da Pietro abate della chiesa dei Santi Stefano, Dionisio e Silvestro, quale eventuale erede della stessa qualora il fratello dovesse morire senza figli, sembra ricopre un ruolo talmente marginale197.

La Chiesa tratta equamente uomini e donne orfani come dimostra Ovicius diacono di San Pietro quando concede a livello una terra per metà a Rogata orfana di Bulgarus di Raniero Romani de Baruncio, e per metà a Piscione orfano di Romano Piscionis; qui Rogata sottoscrive anche l’atto e l’anno successivo è citata come confinante della metà di un altro terreno concesso a livello, quindi vede migliorare la sua situazione economica?198

Ancora fratelli che agiscono insieme: Giovanni Mancino e Stefania, acquistano da Rufinellus figlio di Nicola de Ardino e dalla moglie consenziente, Rogata, con il consenso della chiesa di Santa Prassede, la moglie sottoscrive a differenza della sorella dell’acquirente199.

Nel 1184 l’abate Rustico del monastero di San Silvestro in Capite rinnova la locazione di un casarinus nella regione di San Lorenzo in Lucina a Teodora con la figlia Matilda, per un denaro di pensione annuo, evidentemente un canone ricognitivo; nel 1191 lo stesso monastero concede a Compangia, un terreno fuori Roma «nomine filiorum et filiarum eius»200.

Chiude la serie, un atto del 1198, in cui Mara de Tinto, dimostrando spirito imprenditoriale e autonomia, riceve in locazione ad libellum dalla badessa con il consenso delle consorelle del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, un terreno con orto pantana, un fossato a Porta Portuense, con la clausola ad meliorandum, con un rinnovo stabilito a quattro soldi e mezzo trascorsi diciannove anni, con la resa di zucchine e fagioli, «cocuzeis, fasioli», il divieto di vendere a meno di nove denari, e la promessa di rispetto del contratto201.

In ben ventitré atti del secolo XII sono citate nubili, come confinanti o in formule di locazione che permettono o impediscono che a ereditare siano donne; un atto tiburtino è interessante per l’autonomia espressa dal comportamento delle protagoniste202.

196 Tra le sottoscrizioni: «dompni Uvonis atque Beneincase», FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. LXXXV, 23

settembre 1162. 197 Per due denarios di pensione, ASR, SSC, cass. 38, perg. 23, (FEDERICI, Regesto, doc. XXVI), 3 novembre 1163. 198 Per ventinove anni, per cinque soldi pavesi a ogni rinnovo e tre denari di pensio annuale, qui è citata un’altra nubile che

possiede una vigna vicino la città leonina concessa dal monastero, Berta figlia di Stefano Paparoni, un matronimico nelle sottoscrizioni: «signum manus supradictorum domne Rogate et Piscionis… Benedictus Pauli de Beriza», SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LXXIV, 9 agosto 1174; qui un matronimico nelle sottoscrizioni: «Andreotta Iohannis Ancille Dei testis… Romanus Iohannis de Marozza», doc. LIX, 8 aprile 1175.

199 Tra le sottoscrizioni: «Signum manus dicti Rufinelli et Rogate», FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. XXXV, 28 dicembre 1174.

200 ASR, SSC, cass. 38, perg. 32, (FEDERICI, Regesto, doc. XXXV), 2 aprile 1184; perg. 35, (FEDERICI, Regesto, doc. XXXVIII), 27 agosto 1191.

201 Qui un matronimico nelle sottoscrizioni, Giovanni Sibilie, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, perg. CCLVIIII, 14 maggio 1198.

202 Locando una vigna confinante con un uomo e una vedova, la badessa con una clausola limita ai figli maschi la trasmissione del bene, interdetto alle nubili, «vite vestre et de uno filio de Salvo et de uno filio de Iacobo», due matronimico nei testimoni, Gregorio di Berardo de Cilenda e Giovanni de Anna de Roma, CARUSI, Cartario, doc. 25, 16 febbraio 1105; un’ingente locazione (turre con claustra, portica, argasterius nella civitate leoniana) non presenta differenze tra eredi maschi e femmine, essendo locata «legitimi filiis et filie vel quas nascituri sunt», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CLII, 30 marzo 1129; locazione di un aquimolum «vita tua et tuis legitimis filiis» confinante con una certa Abbadia, contrariamente alla consuetudine, doc. CLIII, 3 aprile 1129; Donabella, figlia di Pietro de Sancto Angelo è stata la proprietaria di alcuni beni donati citati in una locazione ad pastinandum, poi sono citate tra i confinanti dei possedimenti la soror Potenziana, Saffa de Valdo, Tederada figlia di Bonusfilius prefectus, la uxor di Tessitore, Bona moglie de Iohanne Gallina, atto incompleto senza testimoni e notaio, ASR, SCD, cass. 16, perg. 118, 1130; locazione di vigne ad Albano tra laici e la badessa di Santa Maria in Campo Marzio in cui è citata tra i confinanti dompna Tassia, accanto a un certo Anteri, con gli «heredes Azzoni de Rofrada», qui un matronimico «Albaulus de Alarada», CARUSI, Cartario, doc. 33, 13 ottobre 1133; in un atto è citata di nuovo Tarsia con Giovanni de Bonizzo, doc. 34, 4 gennaio 1134; citate due donne confinanti in una locazione tra la badessa e un laico: la moglie Guidonis Pettinarii e Damiana, due matronimico tra i testimoni, Pietro di Romano de Blanca e Nicola de Miccina, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CLXIII, 31 agosto 1139.

Manasa nipote di Stefano Stefani e sorella di Efraus è citata in una locazione ad pastinandum o pastinatione carta di Stefano, per una vigna locata a Raniero e Nuctio di Pietro Vectini, suo genero, in tenimento nepesino, dopo sette anni divideranno a metà con i loro eredi, in caso di rottura del contratto dieci denari di Pavia di multa, la ragazza non firma, un matronimico tra le sottoscrizioni, Crescenzio Rainerii abbatisa, doc. CLXIIII, settembre 1140; la locazione del castrum Ringianum fatta dall’economo di Santa Maria

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8.5. Aumento delle cessioni nel Duecento Nel Duecento aumentano gli atti, più di trenta, in cui compaiono nubili, ma diminuiscono in

proporzione le nubili sole, presenti solo laddove vi siano soggetti appartenenti alla Chiesa, sia come venditori sia come acquirenti. Possiamo dedurre quindi che queste siano sempre più spesso inserite nelle strategie familiari, sia come venditrici sia come acquirenti?

Nella serie di atti in cui alienano beni incontriamo nubili accompagnate da soggetti diversi: una nubile orfana con il tutore (1202); dei fratelli con una sorella orfani e la madre vedova che vendono per debiti a un abate, poi un anno dopo, il maggiore impegna dei beni a nome dei fratelli e della sorella dimostrando di aver ereditato il ruolo di paterfamilias (1203, 1204); una nonna tutrice della nipote orfana (1212); una vedova con il figlio e il figliastro, cede dei beni assieme al fratello e alla sorella nubile del defunto marito (1217); una vedova vende per le tre figlie orfane che tutela, promettendo che confermeranno l’atto (1219); una nubile con il padre e un prete (1229); una vedova con la figlia nubile con un procuratore e poi la nubile diventa moglie (1240, 1241); tre sorelle orfane nubili vendono con il consenso della zia (1242); la figlia (o la vedova?) di un uomo defunto, con il consenso della sorella nubile e delle monache (1242); una nubile orfana, zia di un nipote maschio, suo garante (1251); una vedova con figli e figlia, con un procuratore (1256); tre sorelle, due sposate e una nubile con il fratello, tutti orfani (due atti del 1258); uno zio (paterno?) vende per i nipoti e la nipote nubile (1262); un cognato con il consenso della sorella del defunto padre, rispetta un legato testamentario dotando le figlie nubili (1265); fratelli e sorella nubile, orfani agiscono insieme (1267); una vedova tutrice del figlio e della figlia (1268); la minore Andreoccia Paparonis con sei tutori (1273); una vedova tutrice vende con figli e figlie nubili e promette che

in Trastevere a Nicola con il consenso del cardinale a Pietro, Guido e Cencio, è «vestrisque heredibus legitimis masculis et femininis quocumque vero tempore sine legitimis filiis domum vestra vel vestrorumque heredum remanserit» e anche «si filias vestras extra castrum maritaveritis non sit vobis licitum de proprietate dicti castri dare...», ovvero dovranno sposare qualcuno del castrum ma in ogni caso la chiesa dovrà assicurarsi sia una persona adatta e non abbia intenzione di smembrare la proprietà, VATRI, Cartario, doc. 13, 10 maggio 1114; tra i confinanti di una vigna locata dalla badessa a dei laici è citata «domna Imilia Cencii de Henrico», FERRI, Le carte, doc. XVII, 14 marzo 1148; le monache di Santa Maria in tempulo locano «filiis et filiabus», alcuni orti a Nicola figlio di Nicola di Pietro de Gratiano per dieci soldi lucchesi, con una pensione di cinque denari pavesi annui, qui sono citate le confinanti, Melia e Sposa, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 2, 19 ottobre 1150; in una locazione in seconda generazione, «filiorum et filiarum…tantum», fatta dalla badessa a un laico, è citata Benebila nei confinanti con Pietro, qui la cifra di mezzo afforziato è versata alla festa di Santa Maria de assumptione insieme a «unum regulum grani nomine pensionis», atto incompleto, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CLXXX, 10 gennaio 1153; locazione di un molendinum, «tuis filiis et nepotibus legitimis», sottoscritto dalle monache e da una donna tra i testimoni, Guiducia Scoplastru, doc. CLXXXIII, 16 novembre 1154.

Berta di Pietro Leonis confinante con il terreno locato da una vedova una nubile, in un atto già citato, CARUSI, Cartario, doc. 49, 8 ottobre 1154; un terreno concesso dalla vedova Teodora tutrice dei figli, in un atto già citato, confina con una certa Francesca, ASR, SCD, cass. 16, perg. 135, 4 marzo 1162; locazione di un diacono a una nubile e un laico entrambi orfani, già citata, qui Berta figlia di Stefano Paparoni ha in concessione una vigna vicino la città leonina, SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LVIII, 9 agosto 1174; in un atto già citato, Romana figlia del defunto Bulgarus di Raniero di Romano de Baruncio prima locataria, è nominata, come confinate di un terreno concesso a livello, doc. LIX, 8 aprile 1175; una donna vende la metà di una casa situata in Trastiberim, presso la Sinagoga, e la metà di due casarini confinanti, a Pietro di Stefano Dreuzo per cento soldi di provisini, nell’elenco dei confini della casa una certa Sibilia de Martino, per una copia del documento il notaio riceve ben venti soldi e sei denari, notazione rara, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 3, 8 aprile 1179.

Un terreno fuori porta Portuense di cui si rinnova la locazione a un laico, confina con Teodora Monaldi, HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCXXVI, 18 gennaio 1186; privilegium di Urbano III (1185-1187) alla chiesa di San Pietro in Vaticano in cui è citata Bethelle Malvagnata figlia di Malvagni, che ha fatto erigere una cripta a San Michele in territorio Summari, vicino al fiume Truncto, tra innumerevoli possedimenti, documento rogato a Verona, SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LXX, 13 giugno 1186; obligatio in cui è citata una «terra sementaricia… quam olim tenuit dompna Sophia», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCXXVII, 5 febbraio 1186; i canonici della basilica Costantiniana locano un casale a quelli di Santa Prassede, nominando alcune confinanti: Oddolina mater, Cletiana e Nocentia, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. XLI, 20 marzo 1187.

In maniera indipendente sembrano agire le sorelle Tyburtina e Solia, acquistando da Senibaldus di Giovanni Folli con la moglie Maria, alcune terre trasmissibili «filiis et filiabus, nepotibus», stabilendo una pensione di due provisini e la pena del doppio del prezzo in caso d’infrazione del contratto, un matronimico nel nome del notaio tiburtino «Petrus de Luciana», CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 12, 7 dicembre 1191, p. 26; privilegium di Celestino III (1191-1198) alla chiesa di Santa Maria domine Rose e San Lorenzo che conferma le donazioni, qui Rosa e Imilla, forse nubili, sono citate come fondatrici della chiesa di Santa Rufina, SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LXXIX, 4 ottobre 1192; tra i confinanti di una casa locata a un laico è citata Romana de Girardo la quale «iuris S. Agnetis tenet», ASR, SSC, cass. 38, perg. 50, (FEDERICI, Regesto, doc. LIII), 23 settembre 1199.

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rispetteranno l’atto (1279); un prete con i fratelli orfani vendono per ricostituire la dote della madre vedova per risposarsi, poi le sorelle nubili vendono ai fratelli dei beni per la loro dote (1288; 1293); una madre è tutrice dei figli e di una figlia (1288); una comitissa nubile agisce con un procuratore (1294).

Tra i tutori delle nubili minori ci sono otto vedove, cinque tutori maschi, in due casi terze persone.

Poche le testimonianze in cui le nubili agiscono da sole, due provengono da Sutri, dove notiamo la presenza di membri del clero: un’orfana vende a un prete per costituire la propria dote, con il consenso della madre vedova (1215); una nubile sola, forse orfana, concede un casalino e si accorda per una vendita, a Sutri (1224); una vedova, delle nubili e una sposata, agiscono senza uomini (1254); una orfana vende a un laico, a Sutri (1283); Margherita comitissa palatina, è esautorata da Bonifacio VIII (1286; 1302). Qui come è chiaro, abbiamo inserito alcuni atti non romani.

Le prime tre vendite sono compiute da diversi attori ma accomunate dalla motivazione dell’indigenza: la prima a Sutri ci colpisce per la sincera motivazione addotta; la seconda, romana, è interessante perché vediamo un passaggio di competenze del paterfamilias a un figlio primogenito; la terza quasi muove a commozione.

A Sutri, Bellitia, orfana di Pietro Sendoli, vende con Benedetto de Criptis, nominato curator meus da Raniero iudice ordinario, la metà di un casalino con relative pertinenze, al preposto della chiesa di Santa Fortunata ma quel che è interessante è che si tratta di una «venditio pro substentamento mei corporis», dopo aver specificato trattarsi di un’eredità paterna, «quod pater meus habuit», la donna dichiara che il curatore ha speso dei soldi «in alimentiis et cibariis meis expendi», quindi mostra quale ruolo poteva svolgere un curatore per un’orfana203.

A causa dei debiti, Tebaldo con i fratelli Pietro, Giovanni e Romana, orfani di Leo Francolinus, con il consenso della sua vedova Scotta - loro madre - vendono delle vigne all’abate Ugolino; poi trascorso un anno Tebaldo, designato dal giudice Oddo de Maximo, agendo in nome dei fratelli e della sorella - Pietro, Giovanni e Romana - senza che sia più necessario il consenso di Scotta, tratta un pegno su un pezzo di terra con Oldrigo, economo del monastero dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea204.

La vedova del defunto Nicola Bobonis, nonna e tutrice, avia e tutrix, di Erminia orfana di Ascarius, vende una vigna che confina con un luogo detto Piniola, in nome della nipote, con il consenso della chiesa di Santa Prassede, a Nicola Bofus: la motivazione della vendita della vigna è l’impossibilità di occuparsene, «alios expendo pro utilitate dicte pupille. Et ideo dicta vinea vendita fuit quia in desertum ibat et eam laborare non volebamus propter onus paupertatis». Quindi la nonna tutrice è intenzionata ad assicurare una dote alla giovane, monetizzandone il valore di un terreno abbandonato a causa della povertà, e giustifica così l’abbandono. Evidentemente non era contemplata la possibilità di investire energie nella coltivazione di una vigna e mantenersi evitando il matrimonio?205

Tra i pochi esempi di donne che sembrano agire da sole, segnaliamo Romana, orfana di Rinaldo Adami, che vende al prete della chiesa di Sant’Andrea de Aquariciariis e ai suoi successori ma «tuo nomini, non nomini ipsius ecclesie», la terza parte pro indiviso di una casa e di un canale, ricevendo otto soldi e quattro provisini «pro meo nuptu», cioè per il suo matrimonio, con il consenso della madre vedova Agenzeria, che rinuncia ai propri diritti con la consueta formula206.

203 Qui è citata domina Guida figlia di Guiduccio de Faffo come confinante, qui un matronimico nelle sottoscrizioni: «Centius

domina Guide», BARTOLA, Il Regesto, doc. 96, 16 gennaio 1202. 204 Per sei libbre di provisini, ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 190, 12 marzo 1203; per trenta soldi, qui sono citate delle

confinanti la uxor Astonis, la figlia di Romano de Rufino e Teodora de Bonofilio, probabilmente nubili, perg. 194, 1° febbraio 1204. 205

FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LII, 12 agosto 1212. 206 Qui un matronimico nelle sottoscrizioni, Romano de Gemma, la formula utilizzata delle donne aventi diritti sui patrimoni qui

compare nella formulazione: «renuntiante, et refutante omne adiutorium ullius senatus consulti seu aliud adiutorium, et omne ius dotis, donationis, pignoris, ypothecarum, si quod expressim vel tacite in hac re posset», escluse da questo rituale, legato all’appartenenza al genere femminile sono le religiose, sradicate dalla rete di relazioni economiche della società laica non devono rinunciare a niente, avendo già rifiutato i legami laici, entrando nell’istituzione religiosa (anche se qualche religiosa agisce sui patrimoni e proprio nomine), LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 12, 18 settembre 1215.

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Nei due atti successivi, del 1217 e del 1219, ci sono vedove tutrici dei figli (complessivamente otto casi). Iohannucia vedova di Pietro Tineosis, madre di Conversano, filio meo, e matrigna di Leonardo, a loro nome, con il cognato Pietro e la cognata nubile Costanza - figli di Stefanello padre del marito defunto - cede a un laico e ai suoi eredi e successori, con il consenso del prete di Sant’Andrea de Aquariciariis, una vigna fuori porta San Pietro in Falcone, qui è chiaro che la vigna è considerata proprietà comune della vedova, dei figli, del figliastro, dello zio e della zia ma solo le donne devono dichiarare di rinunciare ai propri diritti sul bene ceduto207; poi «Appersata castri Corclani habitatri» vedova e «tutrix filiarum suarum Bonaventure Blance et Aloare, data eis a Petro qd. Martini Gallesano notario perlecto prius instrumento tutele a Falcone notario», vende alcuni beni delle figlie, in vista di un accorpamento delle proprietà delle stesse, per eliminare dei pegni, e promette che quelle confermeranno l’atto una volta maggiorenni, dimostrando di essere subentrata nelle competenze del paterfamilias208.

In un atto probabilmente rogato a Sutri, sembrerebbe agire in autonomia, Panfollia concedendo per diciannove anni ad Anastasio e ai suoi eredi un casalino con orto per otto soldi e un denaro, stabilendo il tetto di dodici denari per un’eventuale cessione dello stesso209.

Sovente quando i protagonisti degli atti sono nubili e presbiteri nascono sospetti sulla natura reale delle loro relazioni: è il caso di Maria, figlia di Giovanni Roçuti, quando insieme a Lorenzo prelato di Santa Margarita, vende una casa «in contrada Vallis» per diciotto libbre di provisini al procuratore del monastero di San Sisto Vecchio; qui la citazione della confinante Luciana e di Rinaldo «filius noster», farebbe pensare a una relazione tra i due210.

Costanza nel passaggio dal nubilato alla vita matrimoniale sembra cavarsela agevolmente: prima tutelata dalla madre Bona, vedova di Giovanni Damassi, vende una vigna tramite procuratore, a Pietro Abrunamontis, (per tre libbre di provisini); l’anno successivo, diventata la moglie di Pietro Abrunamontis, vende con questi una vigna, (probabilmente la medesima dell’atto precedente), a Pietro Berardi con il consenso del capitolo di Santa Prassede che riceve un comminus e la resa della quarta parte dei prodotti della vigna. Probabilmente la prima vendita faceva parte di un contratto matrimoniale, oppure ha fatto sì che i due si conoscessero, chiaramente nella seconda vendita non serve più il consenso della madre perché la donna ora agisce con il marito211.

Le nubili possono agire anche con il consenso di altre nubili, di zie per esempio o sorelle: come Hynea, Brunisenda e Iacopa, orfane di Pietro Giovanni Gerardi, che con il consenso della zia domina Teodora e del monastero di San Silvestro in Capite, vendono una vigna, tramite il procuratore Bartolomeo de Bona, ad Alessio giudice212; o come quando, trattando ancora con un ente ecclesiastico, incontriamo Rosa, imparentata con il defunto Giovanni Bobulci (sua figlia o sua vedova?), la quale tramite un procuratore loca a livello una casa a Giovanni Pacifica con il benestare della sorella nubile Neffa e delle monache del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata213.

Il caso di un nipote maschio, Giovanni Franconis che fa da garante per sua zia Imilla, orfana di Andrea di Pietro Franconis, vendendo il tenimentum chiamato Stirpetum al procuratore del monastero di San Sisto Vecchio, è un’anomalia che conferma la varietà delle condizioni giuridiche in cui le donne si trovano ad agire a Roma. Le posizioni variano secondo i casi, nelle contingenze e sulla scorta dei desideri degli uomini e delle donne, in misura proporzionale al prevalere degli

207 Per quaranta soldi provisini, stabilendo la resa della quarta parte del mosto, qui è citato un debito di Pietro e Leonardo, qui

un matronimico nel nome del notaio, Romanuccio de Gemma, LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 14, 15 ottobre 1217. 208 Qui un matronimico, Matteo Maristelle, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 74, (FEDERICI, Regesto, doc. LXXVIII), settembre

1219. 209 MAZZON, Le più antiche carte, doc. 11, 29 settembre 1224. 210 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 63, 27 luglio 1229, pp. 125 - 127. 211 Per sette libbre di provisini, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LXVI, 5 agosto 1240; doc. LXVII, 15 giugno 1242. 212 Per dieci libbre di provisini, con la clausola della restituzione di metalli preziosi ritrovati nel terreno oltre un certo valore e la

resa di beni in natura, qui un matronimico, Bartolomeo de Bona, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 93, (FEDERICI, Regesto, doc. XCVI), 5 gennaio 1242.

213 Per i consueti diciannove anni, al prezzo di quattro libbre, l’atto è diviso in due parti a distanza di due giorni, prima la locazione, poi il consenso delle monache, qui il matronimico, Matteo Soffle, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 206, 10 gennaio 1242,

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interessi degli uni o delle altre, determinando una maggiore o minore autonomina decisionale nella gestione dei patrimoni familiari e personali214.

In altri casi non appare chiaro in virtù di quale rete di relazioni patrimoniali alcune donne agiscano insieme: nel 1254 domna Costanza vedova di Giovanni Lombardo, domna Giovanna e domna Mabilia, insieme a domna Margherita figlia di Lombardus […], moglie di Angelo Calcolarius - forse parenti acquisite o semplicemente vicine di casa e amiche - affittano a Iacopo Deodato calzolaro, una vigna con la resa del mosto e dell’uva prodotta215.

Sovente vediamo agire vedove come padri di famiglia, così nel 1256 Ianducia vedova di Cammius, madre di Matteo, Bartolomeo e Angela - ancora nubile - tutelando gli interessi dei figli, concede in perpetuo a Gualterone Rainalli, tramite un procuratore, una vigna con la clausola della restituzione dei metalli eventualmente ritrovati nel terreno e la resa di una quantità di mosto al monastero di San Silvestro in Capite216.

Nel 1258 tre sorelle, due sposate e una nubile, con il fratello, vendono un bene agendo apparentemente sullo stesso piano di diritti, ricevendo - fatto inconsueto - l’investitura del possesso del bene: Erminia, Stefania e Andrea, con il fratello Iacopo, orfani di Andrea Rufavelia, sposate la prima con Francesco orfano di Simeone Scinardi e la seconda con Giovanni Guidonis figlio di Nicola, vendono alcuni terreni ricevendo prima il consenso delle monache di San Ciriaco e Nicola in Via Lata - che lo avevano già accordato al padre defunto e ai fratelli - e poi del suocero che contrae anche un’obbligazione sul bene. I consensi incrociati e la descrizione dettagliata dei confini fanno pensare si tratti di terreni di un certo valore; infatti cinque giorni dopo il procuratore Pietro della chiesa di Santo Stefano de Pinea investe del possesso del bene le sorelle e il fratello: qui le donne sposate hanno mantenuto diritti sul patrimonio familiare come la nubile ma l’amministratore unico è il fratello maschio. In numerosi documenti notiamo che gli orfani, morto il padre o entrambi i genitori, condividono una sorta di emancipazione economica specialmente quando si prospetta la possibilità o la necessità di scorporare i beni di famiglia217.

Alcuni casi particolari di tutela: nel primo di questi un certo Pietro essendo il tutore dei pupilli Petrutius, Iohanola e Mariola, orfani di Nicola di Angelo (Gonicauli o Genibauli) - forse un parente ma più probabilmente persona terza designata a tutela dei fanciulli - vende una vigna a Bertuccio di Gregorio218; nel secondo caso come tutore delle figlie di Nicola, è designato il cognato Pietro orfano di Giovanni de Polo comitis, invece della sorella Iacopa moglie di Pietro, così si cedono dei beni (terre, una vigna, un orto, un castrum e un tenimentum con diritti di vassallaggio) a Giuliano, dichiarando che la proprietà è parte della figlia di Guidone de Iordano, e parte della dote di Diadema, cognata di Iacoba e vedova del defunto Nicola. Una porzione del bene è affidata alla gestione di Pietro il marito di Iacoba, perché su richiesta di Nicola la conservi intatta e separata dalle rivendicazioni di Teodora e Francesca orfane e nubili: il buon patriarca, ha preferito affidare la gestione della spartizione al cognato piuttosto che alla sorella219.

Negli atti dove agiscono fratelli e sorelle, solitamente una volta trapassato il capo famiglia, notiamo spesso una parità di diritti, quantomeno nominale, anche perché è spesso assente per le sorelle nubili la formulazione della rinuncia ai propri diritti, di norma pretesa dalle mogli: ciò accade nel caso di Andrea, Leonardo medicus e Iacopo, orfani di Giovanni Saraceni, quando vendono tramite un procuratore a un laico, ai suoi eredi e successori, dei terreni, e stabilite consuete clausole sulla conduzione e la resa dei prodotti agricoli, i fratelli impegnano i loro beni a garanzia della vendita, suggellando il patto «sub osculo vere pacis»220.

214 Per ventotto libbre di provisini, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 111, 10 marzo 1251. 215 ASR, SCD, cass. 17 bis, perg. 1254, 31 dicembre 1254. 216 ASR, SSC, cass. 39, perg. 115, (FEDERICI, Regesto, doc. CXX), 25 giugno 1256. 217 BAUMGÄRTNER, Regesten, docc. 277 a, 277 b, 3, 8 settembre 1258. 218 Per quarantasette lire, qui un matronimico, Angelo Luciane, ASR, SCD, cass. 17 bis, perg. 289, 25 gennaio 1262. 219 «Nicolaus promisit Petrum conservare indempnem de ipsa dote ab omni persona et specialiter a Teodora et a Francisca

filiabus eius», qui un matronimico, Filippo de Blanca, ASR, SSC, cass. 39, perg. 130, (FEDERICI, Regesto, doc. CXXXIII), 18 maggio 1265.

220 Versando cinque soldi alla Chiesa di Sant’Agnese, citata una confinante identificata dalla professione, «Moiaringa fornaria», l’atto comprende una rinuncia a future rivendicazioni del bene che coinvolge uomini e donne ma solamente Mathea moglie del

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Tra le vedove tutrici: Agnese vedova di Bartolomeo Buccaporci, madre di Ioannucius e Angela, vende una vigna per loro conto, tramite procuratore, con il consenso del capitolo di Santa Prassede221.

Significativo il fatto che Andreoccia Paparonis, orfana di Andrea Paparonis e nipote di Girolamo Gavaççus, sia tutelata da tanti uomini: da Pietro Consolini, Stefano Paparonis e Geronimo, poi vendendo una vigna al canonico della chiesa di Santa Maria Maggiore, Omniasanctus de Fuscis de Berta, si aggiungono come tutori Pietro dictus Cavallinus de Cerronibus e Bartolomeo di Giovanni Cerronis. Perché tutti questi uomini si occupano di Andreoççia, e serve anche un atto di procuratorium per ratificare la tutela dello zio Bartolomeo Gavaçço?222

Ancora una vedova che si occupa dei figli virilmente: Benvenuta vedova di Romano de Abrusa, madre di Robertellus, Angela e Maria, vende un terreno stabilendo la resa del grano al priore del monastero di San Sisto Vecchio, poi promettendo che i figli rispetteranno il contratto e che le figlie non rivendicheranno il bene, si riferisce agli Statutis Urbis, e rinuncia ai propri diritti dotali sul bene223.

In un atto di Sutri sembra autonoma Alia, figlia del quondam Scozalia, quando vende a Viviano delle vigne a San Iacopo de Sutri224; poco autonoma ma reattiva appare Margherita comitissa palatina «filia Ildibrandini de Suana in Tuscia comitis Palatini», investita dall’ira espropriatrice di Bonifacio VIII: nel 1286 confermata l’enfiteusi su numerosi territori nell’alto Lazio, davanti all’abate del monastero di Sant’Anastasio ad Aquas Salvias - territori che si estendono fino all’Argentario, a Capalbio, un castrum e dei terreni con diritti vassallatici - la donna presta giuramento di fedeltà riferendosi a un rinnovo del 1269 del conte Ildebrandino, stabilendo una pensione annua di quindici libbre e a ogni rinnovo quaranta libbre; nel 1303 Bonifacio esautora la donna dai possessi sopra elencati a causa della sua connivenza con Guido di Santa Fiora, nemico di Roma, rendendola ex vassalla della Chiesa e facendola decadere dal godimento dei terreni in Maremma posseduti in enfiteusi dai suoi antenati: colpevole anche di avere alienati dei beni feudali e nonostante consanguineità in terzo grado, Margherita sposerà Guido di Santa Fiora225.

Altre vedove agiscono in nome dei figli e delle figlie nubili, nel primo caso una semplice vendita, nel secondo un’acquisizione di autonomia da parte di due nubili, dopo il matrimonio della vedova del padre. La madre e tutrice di Giovanni, Angeluccio e Bonafemina, vende un terreno a Tivoli a loro nome, a Lorenzo Mancini; Riguardata vedova di Paolo, i cui sei figli - Giovanni, Niveo, Iacopo, Angeloctus, Margherita e Tedallina - sono tutelati da Pietro prete di San Marco, assiste alla vendita di una casa e di terreni in restituzione della sua dote perché è in procinto di risposarsi, (il legato del marito ammonta a centotrenta libbre di provisini e trenta lire, versano poi la somma restante di trecento libbre); trascorsi cinque anni, Margherita e Tedallina orfane di Paolo di Giovanni Gerardi, vendono parte del palatium ereditato dal padre, a due dei loro fratelli per centocinquanta libbre di provisini, non sappiamo per quale motivo, forse per costituire la propria dote?226

Appartenere ai ranghi elevati della società non sembra determinare condizioni di maggiore libertà, non accadeva per Andreocia, né per Margherita, né per «Ymilga comitissa de Anguillaria

magister Leonardo medico e figlia di Paolo caccagulpe, deve pronunciare la renuntia: «occasione ypothece, dotis et donationis propter nuptias, parafernalium, et alimentorum prefate domine Mathee, et specialiter adiutorium velleiani», segue il consenso della badessa Margherita, con le monache Prassede, Egidia de Acore del monastero di Santa Agnese, in finale del documento insieme a quello del loro procuratore, LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte lateranensi, doc. 75, 9 giugno 1267.

221 Per venti libbre di provisini, la chiesa riceve dodici libbre di provisini, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LXXVII, 23 novembre 1268.

222 FERRI, Le carte, docc. LXX, 2; 7 ottobre 1273; quattro matronimici: Egidio di Angelo Fuscorum de Berta, Lorenzo d. Andreoççe, Pietro Casata de Fuscis de Berta, Enrico Raynaldi de Formosa, qui è citato Pietro Cavallini, doc. LXXI, 21 ottobre 1273.

223 Per un valore di trecento libbre di provisini, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 177, 1° febbraio 1279. 224 Per venti soldi di provisini del senato, con resa della quarta parte del mosto, qui un matronimico nelle sottoscrizioni,

Giovanni domine Alte, le donne di Sutri sembrano autonome, ASR, SCD, cass. 18, perg. 321, 1° maggio 1283. 225 CAETANI, Regesta Chartarum, doc. C-1286. X. 21 (2532), I, 21 ottobre 1286; C-1303, II. 10. (2489), I, 1303. 226 Per quattro libbre di provisini, notaio tiburtino, Arch. Ors. II. A. II. N. 18, 1° gennaio 1288 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 77);

Arch. Ors. II. A. II. N. 20, 7 aprile 1288 (ibidem); Arch. Ors. II, A. II. N, 36, 6 novembre 1293 (ibidem, I, p. 82).

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nobilis mulier domnae» assistita dal procuratore Malpilius, che in una bolla di Bonifacio VIII, alla presenza di altri sapienti e nobili judici, vende a Braca e Claudio figli del defunto Gregorio Curtabrace, la quarta parte del castrum Sparticappe, confinante con il tenimentum del castrum Campagnani e del castrum Trevignani, per cinquemila fiorini: sebbene non vi siano motivazioni esplicite e il prezzo pattuito sia adeguato, pensiamo che una simile vendita sia quasi un obbligo perché il possesso di beni castrali, non compete le donne227. 8.6. Aumentano anche le nubili che incamerano beni

Nel Duecento in ventiquattro atti ci sono nubili che ricevono locazioni o acquistano beni, la

casistica anche qui è varia, i beni acquisiti, in via definitiva o per un tempo determinato, sono differenti, e diversi sono i soggetti presenti: nubili da sole, rappresentanti del clero, parenti maschi e parenti donne, non ultime terze persone, i cui rapporti con le nubili restano nell’indistinto.

In tredici casi le nubili agiscono in parziale autonomia senza intermediari: due coniugi vendono a due nubili (1202); una nubile acquista da una coppia una proprietà ecclesiastica (1209); una moglie vende a una nubile (1227); una religiosa loca terreni a nubili con il padre (1251); una nubile acquista da un uomo una proprietà ecclesiastica (1256); una nubile orfana riceve una locazione da un ente ecclesiastico (1265); un laico vende a una nubile, con il consenso della chiesa proprietaria (1276); una nubile acquista un bene ingente da due fratelli (1276); una nubile, nobile, riceve una somma per dei mulini (1279); una vedova con il consenso del figlio e della nuora vende a una nubile, con il padre, rinunciando ai propri diritti (1280); una genealogia di locatarie: nonna, madre e nipoti nubili (1281, 1282); una nubile, con il padre, riceve il rinnovo di una locazione da un ente ecclesiastico (1282).

In quattro casi ci sono tutrici vedove: madre e figlia nubile ricevono il rinnovo di una locazione da un ente ecclesiastico, con un canone ricognitivo (1200); una vedova tutrice delle figlie nubili, ottiene il rinnovo di una locazione con canone ricognitivo (1229); una vedova tutrice dei figli e della figlia nubile, riceve il possesso di alcuni castra con altri membri della famiglia, proteggendo come un uomo, i diritti dei figli (1259); un procuratore in nome di una religiosa, rinnova la locazione di beni ingenti a una donna tutrice di una nubile, con il padre (1287).

In due casi donne nubili sono coadiuvate dai fratelli: un prete con il consenso della madre, vende a un fratello e una sorella nubile (1209); un abate autorizza la cessione di diritti da un fratello, una madre vedova e le sorelle nubili, a un laico (1281).

In sette casi compaiono altri parenti o terze persone, tutori o procuratori delle nubili: uno zio tutela una minore e vende con il consenso della vedova e della moglie, segue una vendita a un laico e ad altra nubile, con il consenso della moglie (due atti del 1205); uno zio vende alla nipote nubile una proprietà divisa tra i membri della famiglia de Galganis (1275); un laico vende a delle sorelle nubili orfane, con un procuratore, con l’investitura (due atti del 1278); un laico vende a dei canonici riservando l’usufrutto alla zia di una nubile orfana, con il consenso della moglie (1291).

In due atti non romani lo stesso ente ecclesiastico loca a fratello e sorella nubile, orfani, in linea maschile, e a un padre con la figlia (Poggio Mirteto, due atti del 1294).

In tredici casi ci sono soggetti ecclesiastici, specialmente quando le nubili sono sole. In generale è confermata la pratica di accordare canoni ricognitivi a donne disagiate, prima le

vedove con figli minori a carico, poi le nubili e infine donne affiliate a enti religiosi: nella prima categoria rientrano Altemilia e Hostisana, madre e figlia, che ottengono il rinnovo (per altri ventinove anni), della locazione di una casa nel rione colonna antonina di proprietà del monastero

227 Cod. Vat. 7941, p. 44, Bibl. Vat., 18 novembre 1294 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 83). Cfr. VENDITTELLI , La famiglia

Curtabraca.

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dei Santi Stefano, Dioniso e Silvestro228; avevano ottenuto un canone agevolato anche i già citati coniugi Marcella e Viviano, i quali con assenso reciproco, ora cedono ad Ermenvolia e Bona, metà di un terreno vicino Monte del Sorbo, a fontana Massarola, con un canone basso, dimostrando attenzione alla condizione delle due nubili229.

In due atti, a distanza di alcuni giorni, Pandolfo figlio di Pietro Octabiani, zio paterno, patruus, e tutore del minore Iaquintus, figlio del defunto Rainus Octaviani Henrici, investe il nipote del possesso di un terzo dei beni del defunto, con il consenso della nonna Teodora, madre di Pandolfo, e della moglie di questo, Mitarella: qui è interessante il fatto che sia citato un altro figlio emancipato escluso dal possedimento di questi beni, di cui una parte è poi venduta al figlio di Bobaccianus e a una certa Agnoncia Capocie, probabilmente nubile. Questa vendita avviene con il consenso e la rinuncia di Agnese moglie di Iaquintus ormai emancipato dalla tutela perché sposato230. Anche nell’atto successivo notiamo la presenza di scrinarii appositamente scelti perché specializzati in affidamenti di minori, quando Alberto prete della chiesa di San Giovanni Turricelle, con il consenso della madre Margherita, vende a Pietro e a sua sorella Golata, dei terreni a Monte del Sorbo231.

A dimostrazione della versatilità delle consuetudini legislative, le nubili sovente sembrano agire anche senza intermediari, parenti o procuratori che siano: come Maria de Panalfo, quando acquista dall’omonima Maria, sposata con Giovanni de Stefano, consenziente, con la clausola «tuis heredibus in perpetuo», un bene con una pensione di tre soldi di provisini da versare alla chiesa proprietaria, San Pietro di Tivoli232; o come Stefania, figlia di Giovanni di Buonfiglio di Giovanni che riceve da Maria moglie di Iacopo Lombardo una casa, per mezzo denaro e quattro lucchesi con rinnovo della locazione ogni venticinque anni: un prezzo favorevole forse dettato da rapporti di amicizia e buon vicinato tra le due?233

Quando le donne agiscono senza intermediari né parenti di solito ciò si verifica quando il locatario è un ente ecclesiastico, chiaro segnale del fatto che concedere terreni con canoni bassi sia un metodo per incanalare la devozione femminile e possibilmente favorire lasciti testamentari (la contrattazione del 1251, si svolge tra le mura consacrate della chiesa dei Santi Ciro e Giovanni a riprova della simbologia del potere che l’ente manifesta e della solennità dell’accordo). Molte le locazioni e i rinnovi di locazioni con canoni ricognitivi da soggetti ecclesiastici a donne indigenti come a Iaquinta vedova del defunto Stefano Alexii con le figlie Teodora, Egidia, Marta, che ottiene il rinnovo della locazione di un casarino con orto, per i suoi eredi e successori, pagando un denaro l’anno234; altrettanto favorevole la locazione perpetua di terreni concessa ad Aldruda e Scotta figlie di Gregorio de Auro, da Artemia badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata con il consenso delle consorelle (per sei soldi, con la resa di beni agricoli qui prodotti)235; nel 1256 Gemma Berarducie, senza intermediari acquista metà di una vigna per sé e i suoi eredi, da Benedetto Gualtierius, rendendo la quarta al monastero di San Silvestro in Capite, proprietario del bene ma pagando trenta libbre di provisini236.

In altri documenti è possibile intravedere come sia riorganizzata la complessa rete di relazioni patrimoniali all’interno dei gruppi familiari, all’indomani della scomparsa del paterfamilias, figura

228 Per un denaro annuo, il monastero riceve sei denari, qui un matronimico Giovanni Berta, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 51,

(FEDERICI, Regesto, doc. LIV), 5 novembre 1200. 229 Per tre libbre di provisini, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 25, 3 maggio 1202. 230 Per centoquarantasette libbre, qui nel secondo atto non è più necessario uno scriniario che sia autorizzato a concedere la

tutela ai minori, perché Giacinto è sposato? Il notaio è «Iohannes Leonis, S.R.E. scriniarius habens potestatem dandi tutores et auctoritatem emancipandi et decretum interponendi et alimenta decernendi», BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 41, 1° settembre 1205; doc. 42, 12 settembre 1205.

231 Anche qui uno scrinario appositamente scelto, «Iohannes Petri, dei gratia S.R.E. scriniarius habens potestatem dandi tutores, curatores emancipandi nec non decretum interponendi, alimenta decernendi, etiam attestationes», BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 63, 7 marzo 1209.

232 Qui i confinanti sono gli «heredes Solie», notaio tiburtino, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 28, 7 settembre 1209. 233 Per cento libbre di provisini, ASR, SCD, cass. 17, perg. 224, 12 agosto 1227. 234 ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 82, (FEDERICI, Regesto, doc. LXXXV), 18 dicembre 1229. 235 Qui un matronimico, Pietro Domine Soffle, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 255, 8 gennaio 1251. 236 ASR, SSC, cass. 39, perg. 114, (FEDERICI, Regesto, doc. CXVIIII), 27 maggio 1256.

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cui compete la tenuta delle spartizioni patrimoniali: quando il marito manca, se non ci sono parenti maschi prossimi pronti a prendersi carico del suo ruolo, riequilibrando le porzioni patrimoniali, sono talvolta le vedove che si trovano a dover difendere faticosamente i diritti dei figli e i propri.

Questo accade a Teodora vedova del defunto Simius de Veczosis, madre e tutrice dei figli Iannucius, Mabilia e Angela, la quale con altri esponenti della famiglia de Pezutis entra in possesso dei castra Reaiani e Montis Falci, proprietà della chiesa di San Paolo, trovandosi in una posizione inusuale e spinosa per una donna237.

Le donne possono anche ricorrere alla tutela formale di un ente ecclesiastico, come in questa locazione con canoni favorevoli, quando una vigna è concessa dall’abate del monastero di Sant’Alessio per dieci libbre di provisini, con un versamento annuo di sei provisini a Mabilia orfana del defunto Guido Tici Astaldi fino alla terza generazione: quindi con la prospettiva di sposarsi e continuare a esserne locataria con il marito?238

Tra i tutori, numericamente, alle madri seguono gli zii: qui Iacopo figlio del defunto Tommaso di Stefano de Galganis zio di Costanza, sua nipote, procede alla vendita di metà del palazzo de Cancellieri, l’altra metà è proprietà di un altro de Galganis, confinante con una torre degli Orsini. Nell’atto si parla di beni spartiti in quote, non scorporati, della quarta parte del reclaustrum, della casa e della torre de Galganis venduta per dodici once e centosettantacinque libbre di provisini. Probabilmente lo zio sta monetizzando i beni immobili della nipote per aiutarla nella costituzione della dote o per proteggere temporaneamente di beni di famiglia in pericolo?239

Due vendite - la prima con attori ecclesiastici - contemplano beni di valore: Angelo e domina Sygilgayta figlia di Bicius di Stefano Gifonis, senza intermediari, con il consenso del prete di Sant’Andrea de Aquariciariis, cedono una casa con orto, in porticu, a San Pietro, per cinquantaquattro libbre di provisini, due soldi di pensione, due soldi per il consenso, promettendo che eredi e successori rispetteranno l’accordo240; di grande valore il palazzo e le terre (vendute per duemiladuecentocinquanta scudi) acquistato da Deodata di Cretone, da Federico, Ottaviano, Rinaldo e Pietro figli di Rinaldo di Palombara241.

Agiscono tramite un procuratore, Angela e Maria, orfane di Giovanni Roberti acquistando per loro e per i loro eredi, da Giovanni di Oddone, un tenimentum a Tuscolo, per cento libbre di provisini, vendita cui segue un rituale d’investitura del possesso del bene242.

Quando Giovanni Conti versa una somma ad Altruda da Gavignano, per la cessione di alcuni molini - un possesso insolito per una donna - siamo alla presenza di una di quelle contrattazioni dove sembra più probabile delle nubili agiscono come prestanome, per mezzo di queste altri agiscono a protezione dei patrimoni o per trattare, in maniera discreta, passaggi di beni non consentiti243.

Tutte le restanti locazioni con attori ecclesiastici confermano la pratica accomodante dei canoni ricognitivi nei confronti delle donne, vedove e nubili soprattutto: Domina Iacopa vedova di Andrea Dominici, con molti consensi - del figlio Andrea, della nuora Mabilia, dell’abate del monastero dei Santi Andrea e Gregorio ad Clivum Scauri e del rettore di Santa Maria in Petroccia, versando loro cinque denari - vende a Giovanna figlia di Giovanni Bubulci, una casa con casalino, la donna nomina un procuratore e tutte le donne - la vedova, la sposata e la nubile - pronunciano formale rinuncia ai propri diritti, dopo clausole restrittive riguardo la vendita del bene ed eventuali punizioni pecuniarie per la rescissione del contratto, le donne promettono anche per i loro «heredibus et successoribus»244; ancora l’abate del monastero dei Santi Andrea e Gregorio ad Clivum Scauri

237 TRIFONE, Carte, doc. XX, 9 novembre 1259. 238 MONACI, Regesto, doc. XLVIII, 6 settembre 1265. 239 Qui citata la torre De Galganis, Arch. Ors. II. A. II. N. 5, 5 maggio 1275 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 68), cfr. VENDITTELLI, La

famiglia Curtabraca, p. 215. 240 LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 20, 15 settembre 1276. 241 CELANI, Le pergamene, doc. XI, 30 settembre 1276. 242 Qui un matronimico Iacopo Anastasie, CARBONETTI, Le più antiche carte, docc. 171, 172; 12; 27 novembre 1278. 243 CELANI, Le pergamene, doc. XIII, 11 giugno 1279. 244 Per sette libbre di provisini e sei denari di provisini annuatim di pensione da versare al monastero, la casa confina con

Gemma Caccavaris, qui un matronimico «Romanus Calçolarius de Curie dompne Micine»; la formula collettiva è:

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autorizza una transazione gestita da Iannuccio orfano di Pietro di Oddo Frangipane de Gradellis con la madre Costanza, vedova di Pietro, le sorelle nubili Sofiola e Mariola, accompagnate dal loro tutore Lorenzo, per cedere i diritti sui casali e terreni locati fino alla terza generazione a Leonardo Bastardella245; così il monastero di Sant’Alessio pratica una locazione accomodante alle donne di quella già citata genealogia femminile, composta da Stefania e Boniza figlie di Agnese e nipoti della defunta Alfania246.

Nel 1282 Cecilia, figlia di Benincasa di Andrea Angeli, senza un procuratore riceve il rinnovo della locazione di una casa a livello dal monastero di San Silvestro in Capite che riceve dodici denari papiense, e una pensione di un denaro annuo247; nel 1287 Andrea de Afilo, procuratore del monastero di San Silvestro in Capite, agendo per conto della badessa Erminia, rinnova a «domina Romangia de castro Vassanelli», tutrice «pro domina Nicoluctia» figlia di Nicola figlio di Nicola Donadio de Verardo, la locazione della metà di un tenimentum all’interno del castrum Collicellum, pro indiviso, con la clausola «filiis et nepotibus»248; Giovanni Candulfi figlio del defunto Nicola Candulfi vende ai canonici di Santa Maria Maggiore un casale riservandone l’usufrutto a Margherita sorella del defunto Riccardo notarius, zia di Iacopa e orfana di Riccardo, loro eredi, acconsente anche Diana moglie di Giovanni che si sta occupando perché parente o designato come terza persona del sostentamento delle nubili Margherita e Iacopa249.

Interessante il diverso trattamento che il prete di Sant’Andrea «de Skortikariis» riserva a diversi conduttori: nel primo caso limitando l’ereditarietà a figli maschi, nel secondo caso, aprendola anche alle donne trattandosi di un padre e una figlia, dimostrando la preferenza per la prima possibilità ma adattandosi alla seconda in mancanza di alternative250.

In ben ventidue atti del Duecento, sono citate a diverso titolo donne nubili citate nei documenti senza ricoprire un ruolo attivo: sono confinanti, proprietarie o locatarie dei beni; qui alcune clausole respingono la trasmissione femminile delle proprietà; in alcune locazioni di saline e molini, notiamo l’assenza di donne251.

«renuntiaverunt…omne ius omnemque actionem quod et quam in suprascritpa domo… et eis competunt… iure occasionis dotis, donationis propter nuptias… renuntiavit auxilio senatus consulti Velleiani… et omni alter iuri auxilio», BARTOLA, Il Regesto, doc. 175, 16 giugno 1280.

245 Qui si annota il pagamento del consenso, della pensio e di un balsiolo, BARTOLA, Il Regesto, doc. 142, 5 marzo 1283. 246 MONACI, Regesto, doc. LXI, (1°), 6 febbraio 1281; qui non ci sono formule specifiche sull’ereditarietà della locazione, doc.

LXI, (2°), 20 marzo 1282. 247 Qui Angela Gibugie confinante, e forse nubile, ASR, SSC, cass. 39 bis, perg. 159, (FEDERICI, Regesto, doc. CLXVIII), 11

novembre 1282. 248 ASR, SSC, cass. 39 bis, perg. 162, (FEDERICI, Regesto, doc. CLXXV), 6 febbraio 1287. 249 FERRI, Le carte, doc. XCI, 7 giugno 1291. 250 Prima il prete agisce per tramite dell’arciprete Podii Mirteti il quale a sua volta agisce in nome dei fratelli, Nicola e Bona

orfani di Giovanni Martini, locando la terza parte di un terreno, in castro Bucciniani, con la clausola «pro eis et filiis suis et nepotibus usque in eorum tertiam generationem masculinam»; poi, lo stesso giorno, nello stesso luogo, il prete di Sant’Andrea «de Skortikariis» loca a Nicola Rustici, alla figlia nubile Odolina e ai «nepotibus, quos habuerit ex dicta filia sua, usque in dictam tertiam generationem» beni in castro Bucciniano, stabilendo per questi una pensione in natura, olio e fichi - solo fichi per i precedenti locatari - la menzione di una locazione indifferenziata alle soglie del quattordicesimo secolo è rara, la tendenza generale è quella di limitare la presenza di donne titolari di beni immobili con l’irrigidimento del sistema dotale, la dote quindi si preferisce versarla in liquidi, nelle locazioni invece si limita l’ereditabilità della conduzione con clausole appositamente congeniate, Poggio Mirteto, stesso notaio e sottoscrizioni per i due atti dello stesso giorno, LORI SANFILIPPO, Documenti, doc. 23, 8 dicembre 1294.

251 Citata domina Guida figlia di Guiduccio de Faffo come confinante, BARTOLA, Il Regesto, doc. 96, 16 gennaio 1202; citate donne confinanti la uxor Astonis, la filia di Romano de Rufino e Teodora de Bonofilio, ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 187, 1° marzo 1203; nella questione dell’eredità illegittima del castrum Vitorchiani, distribuendo terre facenti parte di questo complesso una clausola limita l’ereditarietà femminile: «quia femine in feuda venire non possunt… hec sunt feuda que reversa sunt ipso monasterio S. Silvestri que detinebantur ab he[red]ibus feminarum», qui citate Morticina (defunta) e Maria, forse nubili, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 59, (FEDERICI, Regesto, doc. LXI), 14 maggio 1207; l’abate di San Silvestro in Capite conferma la locazione di un terreno che fu pegno di Altedompna, su richiesta anche della badessa Erminia, ibidem, cass. 39 bis, perg. 171, (FEDERICI, Regesto, doc. LXXII), 18 novembre 1216; Maria Angileri è la confinante in una locazione, FEDELE, Santa Maria in Pallara, 29 settembre 1220; nella vendita di una domus in Palladia, dalla chiesa di Santa Maria in Pallara ai coniugi Stefania e Stefano Raynaldi, è di nuovo citata la confinante Maria Angileri, FEDELE, Santa Maria in Pallara, 1224; Maria sorella del locatario Giovanni Filgius, è citata per una precedente vendita (non pervenuta), «tuisque legitimis filiis et nepotibus utriusque sexsus», un matronimico nelle sottoscrizioni, Giovanni Benencase, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 53, 11 dicembre 1225; tra i confinanti di una vendita eseguita da Bertollus con il consenso della moglie e del suocero, è citata Rosa confinante con gli «heredes Adriolus», questi in un atto successivo acconsentono alla vendita di Bertollus, qui un matronimico Giovanni figlio di Giovanni Alfatie, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 100, (FEDERICI, Regesto, doc. CIII), 14 gennaio 1246; citate tra i confinanti le sorelle di «Vites Nicolaus Pilellis», con i fratelli maschi, in

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8.7. Evanescenti nubili nel secolo XIV

Ho selezionato quattro atti del secolo XIV, in cui s’incontrano nubili che alienano beni a esponenti della famiglia Orsini, i quali sembrano prediligerle, considerandole soggetti economici deboli.

Nel primo atto una nubile, sebbene il padre sia vivo, permuta dei beni con un notaio, da sola, quindi morto il padre, vende a un laico con un procuratore a Tivoli (due atti del 1301); alcune nubili della famiglia Orsini vendono beni in transazioni sospette di essere coatte (1305;1308); una nubile Orsini vende dei beni ereditati al cardinale Neapoleone (1308)252.

una vendita di una vigna con vasca, cass. 39, perg. 109, (FEDERICI, Regesto, doc. CXIIII), 6 agosto 1252; alcune locazioni ad meliorandum e in perpetuum di anditus salinario, sono stipulate solo con uomini nella zona di Campo Maiore, con la clausola «heredibus et successoribus», il pagamento di un comminus e la resa di una certa quantità di sale prodotto, la produzione del sale per conservare e condire i cibi, e l’allevamento ittico, importante in una dieta condizionata dagli interdetti religiosi, sono ambiti interdetti alle donne, BARTOLA, Il Regesto, doc. 56, 5 novembre 1264; docc. 57-58, 28 giugno 1265; doc. 64, 7 novembre 1301; docc. 61, 62, 18 maggio 1302, doc. 147, 9 dicembre 1302; doc. 65, 19 marzo 1329.

Citata la connata di Pietro Tutulus in una refuta, un matronimico «Silvester Nicolai Botii de Petta», FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LXXV, 4 luglio 1264; in una delle otto indulgenze, licenze papali e vescovili, comprese tra il 1267 e il 1287, sono nominate anche le donne solo quando Clemente IV (1265-1268) concede indulgenze di cento giorni a uomini e donne romani, BARONE, PIAZZONI, Le più antiche carte, doc. 1, 25 novembre 1267; Bonaventura, ministro generale dei Frati Minori, donando benefici spirituali utilizza una formula che comprende anche le donne, «viri et mulieres societatis reccomendatorum beate virginis in urbe Roma», ibidem, 7 luglio 1268; tra i testimoni della nomina del «procuratorem, scindicum et attorem discretum virum Egidium Magutum, scriniarium, presentem» compare una certa Giuliana Carlei testimone con Pietro di Stefano Rubei, Nicola Danielis, FERRI, Le carte, doc. LXIX, 14 giugno 1272; una casa con orto, confina con Sapia e con sua figlia Angela, ASR, SSC, cass. 39, perg. 136, (FEDERICI, Regesto, doc. CXLI), 8 gennaio 1269; nel privilegio del castrum di Campagnano in cui Pietro Annibaldi procunsul romanorum e signore di Campagnano, concede ai vassalli di vendere i loro beni e stabilisce le regole della restituzione della dote rivolgendosi a uomini e donne: nel caso superi le venti libbre di provisini sarà recuperata sui beni immobili e mobili del marito e del suocero, se inferiore potranno essere recuperati solo i beni mobili, Arch. Ors. II. A. II. N. 16, 28-8 maggio 1286 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 76); è citata la filia olim Odivillardi, tra i confinanti di una canapina locata dal monastero di Sant’Alessio a un laico, non sembra possibile stabilire una relazione rigida tra il formulario proprio dei diversi tipi di contratto agricolo e l’utilizzo delle clausole sull’ereditabilità, le prime tre locazioni sono con ereditabilità indifferenziata e non ci sono locazioni ad libellum, a seconda e a terza generazione con donne, eccetto una del 1282, MONACI, Regesto, docc. LXVI, LXVII, LXVIII, 24 maggio 1288; docc., LIXIX, LXX, 23 novembre 1288.

In quattro vendite è ceduta parte di un complesso di beni (trullo, domus e casalini) appartenuti un tempo a domina Marola (o Maralle), un nome che sembra un toponimo, significa qualcosa in termini di importanza sociale? Forse tutti nei dintorni la conoscevano per le sue ricchezze o per altri motivi? Il bene confina con proprietà degli Orsini quindi si trova nel loro archivio, Arch. Ors. II. A. II 27 e 28, 17 gennaio 1290 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 79); Arch. Ors. II. A. II. N, 29, 8 marzo 1290 (DE CUPIS, Regesto, I p. 80); Arch. Ors. II. A. II. F. 34, 3 ottobre 1292 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 81); Arch. Ors. II, A, II, N. 44, 2 dicembre 1296 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 87); Arch. Ors. II, A. II N. 45, 4 dicembre 1296 (ibidem); vendendo una domus sita in merchato sono citate come confinanti, Mattea Rubea e Maria de Uliveto, ASR, SCD, cass. 18, perg. 328, 7 agosto 1299.

252 Petruccia, figlia di Pietro de Odorisii e il notaio tiburtino Pietro di Iacopo di Giovanni Guidi permutano una terra sul monte Pavese, con una terra a San Marcello e i relativi diritti, appartenente alla giovane cinquanta soldi provisini, notai tiburtini, Arch. Ors. II. A. III N. 4, 19 marzo 1301 (DE CUPIS, Regesto, I, 95); due anni dopo con un procuratore per una vendita, Fortebraccio Orsini compra da Petruccia, ora orfana di Pietro, un terreno in territorio tiburtino; Arch. Ors. II, A. III. N. 6, 26 luglio 1303 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 97).

Le sorelle nubili, Giovanna, Alessandra e Maria, orfane di Rinaldo de filiis Ursi e di Calenda, definite nobilis mulier, vendono per diecimila fiorini i diritti sull’eredità, paterna e materna, a Neapoleone Orsini tutore dei figli di Matteo (Orsini), suoi nipoti - citati in un atto precedente- qui un interessante riferimento alla legislazione sulla successione dei beni con la «ratione trebellianice falcidie e auxilio statutorum romanorum», il notaio è «Franciscus Nicolai Mathei de Marino apostolica auctoritate notarius», CAETANI, Regesta Chartarum, doc. C-1308. XII. 8. (2826), I, 8 dicembre 1308; la strategia patrimoniale di Napoleone si palesa nel successivo atto, quando acquista da una nubile della famiglia Orsini, Maria nobilis mulier domina figlia del Comes Orso de filiis Ursi, i diritti e i beni facenti parte dell’eredità paterna e della defunta nonna Calenda, «ratione institutione falcidie etc.», come sopra, per diecimila fiorini, doc. C-1308. XII. 17 (950), I,17 dicembre 1308.

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9. Acconsentire e rinunciare a cosa? Dichiarando il proprio consenso e recitando la formula della rinuncia ai propri diritti sulla

proprietà di un bene, si autorizzano familiari e terze persone a manipolare, trasferendoli, i patrimoni, evitando future rivendicazioni per parte di donne.

Questo diritto esiste in virtù del legame di sangue ma può nascere anche contraendo matrimonio: nel primo caso è la sorella o la madre ad acconsentire e rinunciare, raramente la figlia alla quale non sono riconosciuti pieni diritti sul patrimonio; nel secondo caso è la moglie o la vedova a dichiarare se stessa volontariamente decaduta da ogni diritto sul bene che si ha intenzione di alienare.

Nella maggior parte dei casi qui elencati sono le donne nubili a dare il proprio consenso: questo non meraviglia. Con ogni probabilità non era possibile negarlo, esso per questo diventa una formalità svuotata di significato. Le nubili, in un numero di casi minore, chiedono il consenso ad altri e altre, manifestando una certa intraprendenza? 9.1. Acconsentire nel secolo XI

Solamente quattro atti del secolo XI, in cui le nubili accordano il proprio consenso, in uno di

questi è solamente citata una nubile; in questo intervallo non abbiamo recuperato esempi di donne nubili che ricevano consensi da altri o altre.

Nel primo caso sorelle nubili acconsentono alla vendita fatta dalla sorella sposata, con il consenso del marito, della cognata e di un laico, a una religiosa (1034); una nubile concede il proprio consenso alla vendita effettuata da un prete (1043); in un atto di consenso tra coniugi è citata una nubile confinante (1045); in una donazione pia si sovrappongono i consensi di madri, mogli e sorella nubile, sullo stesso piano di disuguaglianza e sottomissione (1051); due di questi atti non sono romani.

Bonizza novilissima femina figlia di Benedetto qui vocatus Sclabo genitore nostro, con il consenso delle uterinis sororibus, Benedetta e Clarissa (sorelle appunto per via materna), con il consenso del marito Crescenzio, della cognata Rosa, conius mea e moglie di Beno, e di un lanista, vende a Teodora badessa del monastero di Santa Maria in Campo marzio, una porzione di un orto ad Albano, che fa parte dell’eredità paterna e confina con terreni di altri parenti: è notevole il sovrapporsi di diritti e consensi di nubili e uomini, con ogni probabilità solo quello del marito era però vincolante253.

Nel secondo caso, il prete Crescenzio del monastero di San Martino chiede il consenso di Sassa ohnesta femina, per vendere metà di una vigna in fundo Talliano al prete Benedetto, i due non sono parenti, e la nubile firma l’atto quindi pensiamo si tratti di una proprietaria o locataria dello stesso terreno, meno probabile si tratti di una figlia illegittima o di una concubina; in un consenso tra coniugi del 1045 è citata una nubile confinante254.

Nell’ultimo documento, si richiede il consenso per donare una casa a San Donato d’Arezzo in suffragio dell’anima dei propri genitori, «amore mercedeque... anime meae patris… matris et parentorum...», a Tedoranda nobilissima femina moglie di Stefano «dativus iudex domini gratia

253 Per una libbra d’argento e mezzo, qui le sottoscrizioni: «Signum manus Bonizza et Crescentius, Clarissa et Benedicta cum

Romanus genitore, Beno cum sua conius Rosa, Stefanus de Curiato, Leo vir magn. suo germano, Maximo, Beno vir honestus voc. Scolzzu, Hoctavianus molinarus», CARUSI, Cartario, doc. 7, 20 marzo 1034.

254 Per cinquanta soldi di denari, qui le sottoscrizioni: «Signum manus Crescentii presbiteri rogatoris. Signum manus Sasse honesta femina confirmatricis…», SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. XIV, 6 giugno 1043; nel consenso di Rosa moglie di Giovanni vir magnificus quondam de Leo in una vendita, è citata la confinante Benefata, firmano i coniugi, LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte di S. Agnese, doc. 4, 12 novembre 1045.

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omnium romanorum novili», e a Berta sorella nubile di Stefano, confinante del bene donato: qui con formule solenni tratte dalla Bibbia - ancora rare a Roma - si ammoniscono i futuri «heredibus et consanguineis» a rispettare quanto stabilito255. 9.2. «Cosa accade tra il 1051 e il 1187?»

Solamente alla fine del secolo XII, incontriamo di nuovo nubili che rinunciano ai propri diritti e

forniscono il proprio consenso: una nubile riceve una somma per avere emesso una refuta a favore di un priore (1187); una moglie rinuncia ai propri diritti con il consenso della nuora nubile e della badessa (1191). Non abbiamo annoverato casi di nubili che ricevano il consenso da parenti uomini o donne, o da terze persone, per reperirne alcune è necessario tornare ai paragrafi precedenti, che trattano di acquisizioni e alienazioni.

Maria Egidi riceve da Turpinus priore di Santa Maria Nova, una somma per aver rinunciato, con una refuta, a rivendicare diritti su una casa che il priore concede in locazione a Giovanni Perretti e sua moglie Rustica al prezzo di trenta soldi, dodici soldi spettano a Maria e la medesima somma al monastero come comminus256.

Maria con il consenso della nuora omonima Maria, nurus, e della badessa Contessa, rinuncia con una refuta a ogni suo diritto dotale e permette che una mezza petia vinee con annessi sia venduta a due fratelli laici e ai loro eredi, per diciannove soldi di provisini bonorum de senatu, qui la formula della rinuncia e del consenso della nuora è ripetuta a fine documento257.

Segnalo a parte alcuni atti, senza che da essi sia possibile dedurre considerazioni: una vendita in cui fiduciari sono un uomo e una nubile (1184); la rinuncia di alcuni laici su un terreno appartenuto a una parente nubile (1199)258. 9.3. Aumento dei consensi dati e ricevuti nel Duecento

Nel Duecento gli atti in cui registriamo la presenza di donne nubili che acconsentono ad

alienazioni di beni e rinunciano ai propri diritti sul patrimonio di famiglia, aumentano, ma non pensiamo esso sia segnale dell’acquisto di maggiori diritti.

Su un totale di trentuno atti, nella maggior parte dei casi le donne acconsentono e rinunciano (ventitré); solo in quattro casi siamo di fronte ad una situazione diversa; a parte annotiamo cinque documenti in cui sono citate donne nubili.

Le donne non ancora sposate danno il proprio consenso preferibilmente con altre persone, parenti e non, raramente da sole: una vedova con la figlia, acconsentono a vendere ai fratelli (1208);

255 Atto già citato, dopo la firma del donante: «Tederanda consensi», qui interviene anche il prefetto di Roma, un matronimico

«Winizo de Ermenfrede de campitello», DE ROSSI, Donazione alla Chiesa di San Donato d’Arezzo, 1051. 256 FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae, doc. CXXVII, 1° marzo 1187. 257 Qui la nuora è «renuntiante omne ius dotis et donationis et auditorium legis et boni usus», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae

S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCXXXVIII, 23 [settembre-dicembre] 1191. 258 Carafilia madre di Angelo e la nuora Costanza, acconsentono alla vendita di una casa a Benedetto, i soldi ricavati, trenta

libbre di provisini, saranno tenuti da persone di fiducia Romano de Laurentio e domna Aloe, una nubile alla quale è affidato un compito di fiducia? Le donne per il diritto romano non erano impossibilitate a obbligarsi per terze persone? SCHIAPARELLI, Le antiche carte, doc. LXVII, 18 luglio 1184; la rete di relazioni e diritti sul patrimonio che coinvolge diversi individui della medesima famiglia non sembra contemplare le donne: i fratelli De Pipponibus con una charta renunciationis in favore delle monache di Sant’Agnese, alienano i diritti che avrebbero su alcuni terreni in forma cornelle, alle vigne in San Saturnino, beni facenti parte della dote di domina Mabilia, sorella del padre, «filia quondam Stefani frater pater», quindi della famiglia De Pipponibus, ovvero del figlio e della figlia del defunto Bartolomeo loro fratello, in questo caso le donne non sono state interpellate? LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte di S. Agnese, doc. 13, 2 febbraio 1199.

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una locazione tra laici avviene con il consenso di una nubile orfana di una coppia già citata (1209); un laico vende con il consenso della moglie, di una vedova e di un’orfana nubile (1209); una nubile rinuncia ai propri diritti, diventata orfana, a favore di una chiesa (1211); una vedova acconsente alla vendita del figlio, citando la sorella nubile senza che sia necessario il suo consenso (1215); una nubile acconsente con la badessa alla donazione di un laico, e una nubile religiosa è citata come affiliata o proprietaria (1213); la moglie e la sorella nubile di un venditore, acconsentono insieme (1223); madre, figlia, sorella e moglie acconsentono alla vendita di un uomo (1223); madre, moglie e sorella di un venditore rinunciano e acconsentono (1236); un laico vende con il consenso delle sorelle nubili includendo una clausola contro le rivendicazioni dei loro eventuali figli (1240); nubili orfane, e zia paterna nubile, acconsentono a una vendita (1242); un laico vende con il consenso della moglie, del suocero e di una nubile proprietaria non consanguinea (1255); un casale è venduto con sei consensi separati: tutte donne sposate e una sorella nubile (1258); un laico vende con il consenso della moglie e della badessa, e, in separata sede, la nuora nubile rinuncia ai propri diritti (1259); un laico vende con il consenso della moglie e delle figlie, di primo e secondo letto (1260); un laico vende con il consenso della figlia sposata, delle sorelle nubili, e della badessa (1267); dei fratelli con il consenso della madre e delle sorelle nubili, vivente il padre, vendono un patrimonio condiviso (tre atti del 1278); fratelli orfani e un laico vendono con il consenso delle mogli e delle sorelle nubili (1281); un laico, in nome del fratello e delle sorelle nubili, emette una refuta per dei beni a Spoleto (1289); i consensi di uomini, mogli e sorelle nubili avvengono dopo la vendita dei rispettivi fratelli e mariti (1289); un laico vende con il consenso della moglie e della sorella nubile (1299).

Le nubili acconsentono di norma con altre donne, parenti naturali e acquisite (quattordici casi), con donne religiose (due casi); con terze persone o da sole (tre casi) o con i parenti maschi (due casi), condividendone taluni diritti patrimoniali.

Nel 1208 Blancoflos vedova di Gregorio Rainerii e Dulfina, sua figlia orfana, acconsentono insieme, a una vendita fatta dai figli e fratelli, Romano e Cencio, tramite il cognato procuratore, a Giovanni Capoccie di un terreno259. Acconsentono a una vendita la badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, e la nubile Privinna, orfana dei defunti Viviano e Marcella, un tempo locatari del terreno che Paolo de Nasta concede in locazione, in perpetuum, a Stefano Scriniarii, qui la nubile è interpellata perché ha ereditato i diritti sul terreno dai genitori260.

Giovanni Guilielmi agisce con il consenso della moglie Benencasa, di Romana vedova di Asscarius e di Erminia sua figlia, nubile e orfana del padre, versando cinque soldi al priore, per vendere una vigna a Benedetto molendinarius. Giovanni chiede il consenso della moglie come consueto ma è tenuto a chiedere quello della vedova e della figlia di Asscarius perché queste sono eredi dei diritti sul bene del defunto261.

Non sembra possibile pensare fosse consentito alle donne opporsi, negando il proprio consenso o rifiutandosi di rinunciare ai propri diritti, non ci sono testimonianze di simili casi e, in questo frangente, la prova ex silentio ci sembra sufficiente.

Allo stesso tempo, ipotizziamo ci fossero dei vantaggi a confermare un’alienazione: raramente esso è remunerato con una somma di denaro tra laici ma probabilmente poteva essere un gesto contraccambiato con favori di altra natura?

Forse è una disputa su terreni quella che la giovane Benvenuta, orfana di Pietro Valeriano, è costretta a far terminare alla morte del padre, perché rimasta sola non può permettersi di portare avanti una causa con un ente ecclesiastico, per questo rinuncia in favore di Angelo, rettore della chiesa di Santa Maria de Prato, ai diritti che possiede a Campagnano? 262

Realisticamente pensiamo fosse vantaggioso intrattenere buone relazioni con le istituzioni ecclesiastiche presenti sul territorio: sono i detentori di gran parte dei patrimoni immobiliari in città

259 Per settanta libbre di provisini, FERRI, Le carte, doc. XXV, 1° maggio 1208. 260 Per ventidue libbre di provisini, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 68, 8 novembre 1209; doc. 25, 3 maggio 1202. 261 Per undici soldi, con la clausola della resa della quarta parte dei prodotti agricoli al monastero, FEDELE, Tabularium S.

Praxedis, doc. LI, 16 agosto 1209. 262ASR, SCD, cass. 16 bis, perg. 199, 28 maggio 1211.

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e fuori e quasi naturalmente si formavano tra donne indigenti, vedove o nubili, e questi enti, rapporti privilegiati, insomma la Chiesa ne tutela i diritti facendo le veci degli uomini scomparsi?

Per quale motivo Pietro vendendo a Cinzio di Gregorio Rampaçoli un terreno e delle vigne, chiede il consenso e la rinuncia a sua madre, Stefania vedova di Beneincasa de Lunardo e il consenso delle monache del monastero di San Sisto Vecchio, e non quello della sorella Teodora? L’immobile è parte dell’eredità paterna, condivisa con la sorella, e la madre; forse Teodora era ancora troppo giovane per acconsentire?263

Nel caso precedente non sappiamo perché sia assente il consenso della sorella, in altri casi incontriamo donne che acconsentono senza che siano chiari i loro rapporti con la proprietà e con i locatari: ad esempio quando una certa Agnese insieme alla badessa Teodora con le monache del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, acconsentono alla donazione ricevuta tramite il procuratore del monastero, fatta da un oblato di Sant’Angelo di Monte del Sorbo; ha diritto di farlo perché abita in quei luoghi, vi possiede dei beni oppure acconsente in qualità di affiliata del convento?264

L’elenco delle donne consenzienti assume sovente i connotati di una formula rituale nelle trasferte di beni nel corso del Duecento, qui donne di ogni condizione - nubili, religiose, sposate e vedove - imparentate con gli attori dei negozi, o anche solo titolari di diritti ereditati per altra via, si alternano.

Si domanda loro il consenso e sempre più spesso la rinuncia, si esigono queste formule come un dovere che liberi la fantasia imprenditoriale degli uomini; soprattutto alle donne sposate si chiede di reiterare le formule, con cavillosi giri di parole, perché probabilmente le loro possibili rivendicazioni sono percepite con maggiore preoccupazione, per questo sono persino tenute a ripetere tale dichiarazione di decadenza dei propri diritti anche in separata sede.

Ecco alcuni esempi: nel 1223 Marzuelus per una vendita riceve il consenso della moglie Maria, della connata nubile Benencasa, e del capitolo di Santa Prassede, cui corrisponde una somma265; Cesarius riceve la rinuncia ai diritti sul patrimonio familiare di sua madre Teodora, della sorella omonima, e della di lei figlia Oresma, sua nipote, a queste si aggiunge la rinuncia e il consenso di sua moglie, Costanza ma in presenza dell’avvocato Bartolomeo Petrabucca, tali assicurazioni servono a vendere una vigna a Giovanni Mancino de Crescentio266.

L’intensificarsi degli atti in cui le familiari - madri, mogli sorelle o figlie - rinunciano ai patrimoni, nel corso del Duecento, probabilmente è segnale di un peggioramento della condizione femminile.

Quest’aumento procede di pari passo con un’omologazione del formulario dei consensi e delle rinunce femminili: Alfatia moglie di Enrico di Ruggero de Roczo, Scotta madre di Enrico ed Elena sorella nubile di Enrico, acconsentono e pronunciano la rinuncia, con formule complete e oramai standardizzate, permettendo al venditore di cedere, tramite un procuratore, diritti su una locazione al procuratore del monastero di San Sisto Vecchio - concessa a lui e al padre - poi, per maggiore sicurezza, pone un pignus sul bene stesso come garanzia267.

Nel 1240 Pietro figlio di Parentius di Romano Giovanni, vendendo dei terreni presso la torre e la villa di Santo Stefano, a Cassaro e a Lupera, a un laico, pensa alle possibili rivendicazioni delle sue sorelle ancora nubili - Pellegrina, Seneca e Aldruda - quindi a parte riceve il loro consenso corredato dalla rinuncia a ogni diritto sul patrimonio ceduto, in cui è compreso il diritto al patronato su una chiesa. Pietro è lungimirante al punto da richiedere una precisazione: non esistono diritti

263 Qui stabiliscono la resa della quarta parte del raccolto e nove libbre di provisini annui al monastero, che riceve anche una

somma, la vendita «tuis heredibus et successoribus» per diciannove soldi di provisini, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 35, 22 dicembre 1215.

264 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 87, 10 maggio 1213. 265 FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LIV, 12 marzo 1223. 266 Per quarantaquattro libbre di provisini, qui un matronimico, Andrea de Scotta, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 122, 9

febbraio 1223. 267 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 80, 13 marzo 1236.

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eventualmente rivendicabili neanche dai futuri figli delle sorelle; poi nomina anche Pietro Saracenus garante268.

Le tre sorelle orfane di Pietro Giovanni Gerardi - Hynea, Brunisenda, Iacopa - insieme alla tia Teodora, sorella nubile del padre, sotto la tutela del monastero di San Silvestro in Capite, acconsentono alla vendita di una vigna tramite il procuratore Bartolomeo de Bona, al giudice Alessio269.

Raramente il consenso femminile è richiesto a donne esterne alla famiglia, non consanguinee, mentre è sempre richiesto alle donne che hanno ereditato diritti sui beni locati dai genitori o dai mariti, (come accadeva a Privinna nel 1202). In un caso particolare il consenso di una donna non consanguinea è remunerato: quando Bartolomeo Ratinus vende una vigna a Spoletonus, ottiene il consenso della moglie Emilia figlia di Pietro, e quello di Maria una nubile proprietaria del terreno che riceve cinque libbre di provisini e una certa quantità di mosto, ciò dimostra che una donna esterna alla famiglia poteva riceve una sorta di comminus ecclesiastico?270

Nel 1242 in una vendita erano stati necessari quattro consensi femminili, pochi anni più tardi, per vendere un casale fuori porta Salaria di proprietà del monastero di San Sisto Vecchio, dei fratelli hanno bisogno di ben sei consensi femminili, separati dall’atto di cessione, emessi da parenti naturali e acquisite.

I consensi necessari sono di Viola moglie di Matteo figlio del defunto Giovanni Petri; Mabilia socrus di Viola e madre di Agnese; Agnese sua figlia, moglie di Andrea fratello di Matteo, quindi congnata et consobrina; Margeritola la sola nubile, sorella di Matteo; Bartolomea sposata con Pietro di Andrea di Giovanni di Pietro; Benvenuta madre di Pietro e socrus di Bartolomea. La domanda resta la medesima: avrebbero potuto rifiutarsi di acconsentire?271

Certamente le manovre per mettere al riparo venditori e acquirenti dalle rivendicazioni femminili si strutturano in relazione al valore del bene: il numero di donne interpellate aumenterà in conseguenza dell’aumentare del valore.

Nei contratti in cui sono presenti beni di minore valore, la procedura è però la medesima, a prescindere dal prezzo, lo scopo è impedire alle donne di porre un limite all’azione maschile: questo accade in due fasi, nell’arco di due giorni, per Giovanni Bonuncuntri, quando con il consenso e la rinuncia della moglie Maria e il consenso della badessa Artemia e delle monache del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, vende alcune vigne e vasche a porta Flaminia, a Pietro [Aleduti]; salvo poi il giorno successivo, aggiungere il consenso della nuora Margherita, nurus, forse in un primo momento assente o dimenticato e poi considerato importante?272

Tanta è la preoccupazione per future rivendicazioni da rendere possibile addirittura la promessa di un consenso in nome di una parente donna?

Sembra questa la motivazione che spinge Pietro di Angelo di Giovanni Pauli, con il fratello chierico, per vendere un casale, a promettere il consenso di Altruda moglie di Pietro, e delle nubili Iacopa loro figlia, e Adilascia, figlia di Pietro e della defunta Mevilia. Se i parenti maschi possono promettere in nome delle parenti donne - senza che il contrario sia possibile - significa che queste sono soggetti di diritto attenuati, intercambiabili, perché la parola femminile è chiacchiera e non è necessariamente collegata alla presenza corporea, perché nella femmina sono scindibili mente e corpo?273

268 LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte lateranensi, doc. 34, 8 maggio 1240. 269 Per dieci libbre di provisini, consuete clausole sul ritrovamento di metalli preziosi nel terreno da consegnare ai proprietari se

di un certo valore e la resa di beni in natura, qui un matronimico Bartolomeo de Bona, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 93, (FEDERICI, Regesto, doc. XCVI), 5 gennaio 1242.

270 Per tre libbre e otto soldi di provisini, qui un matronimico, Altamilia, ASR, SSC, cass. 39, perg. 113, (FEDERICI, Regesto, doc. CXVIII), 16 dicembre 1255.

271 Qui un matronimico, Cosmas Lucie, ASR, SSC, cass. 39, perg. 117, (FEDERICI, Regesto, doc. CXXIII), 15 dicembre 1258. 272 Per otto libbre di provisini del senato e mezzo con una clausola che impone la resa al monastero di mosto lavorato, musti

mundi et aquati, qui citata una confinante Emilia, forse nubile, BAUMGÄRTNER, Regesten, docc. 285a-285b, 9; 10 novembre 1259. 273 Qui è nominata la prima moglie del padre, la defunta Mevilia e la sua eredità, sono citate come confinanti del casale:

Margherita nubile, la moglie di Paolo di Giovanni macellari, Altruda moglie di Pietro di Angelo di Giovanni Pauli, FEDELE, Tabularium S. Praxedis, doc. LXXIV, 1° maggio 1260.

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Probabilmente in virtù della professione che lo identifica, Giovanni Sassonis scriniarius figlio di Cesarius scriniarius, articola con esemplare meticolosità e riceve in sede separata i consensi femminili a lui necessari acquistando da un laico una vigna, fuori porta Pinciana, osservati i diritti di proprietà di Sant’Agnese. Prima i consensi della figlia Teodora moglie di Accorsus figlio di Benincasa, con la formula «omne ius pignorum, ypothece, dotium ac donationis earum propter nuptias, parafernalium, et alimento rum ipsarum et specialiter adiutorum velleiani»; poi quello di Lavinia e Iacopa, figlie orfane di Andrea Saracenii scriniarius, e nuore di Accorsus.

Giovanni ritiene utile ripetere il consenso di Teodora insieme a altri uomini, con una formula diversa però, ricordandole di citare anche un’eventuale figlia, che potrebbe accampare diritti in futuro: «occasione dotis et donationis propter nuptias predicte filie sue, parafernalium et alimentorum ipsius et omne aliud ius». Infine Giovanni completa il suo contratto blindato annotando il consenso della badessa Margherita, della priora Agnese e della monaca Prassede, consegnando loro cinque libbre274.

Nel corso del Duecento, i rapporti tra i generi in famiglia probabilmente si sono semplificati, perché oramai è installata una rigida gerarchia, lo dimostrano tanti dei documenti fin qui citati: non ultimo quello in cui Matteo, Pietro e Andrea figli di Giovanni figlio del defunto Stefano Gualferamis, vendono dei beni al monastero di San Sisto Vecchio, grazie al formale consenso della madre Seginetta moglie di Giovanni, insieme alle sorelle nubili Flos, Giovanna e Matheola (qui il padre inaspettatamente non acconsente eppure non sembra defunto, ipotizziamo una sua assenza momentanea o una già avvenuta emancipazione dei figli, altrimenti sarebbe stato segnalato); alla vendita segue l’investitura in possessione delle monache e del procuratore del monastero di San Sisto Vecchio, queste, un tempo tra le più attive economicamente nell’Urbe, come tutti, donne e uomini, sono sempre più spesso assistite da un procuratore che prima non sembrava così indispensabile275.

Non ci sembra sia possibile dire una differenza sostanziale di comportamenti tra classi sociali medie e alte, nella condotta maschile nei confronti delle donne.

Nel caso di una vendita, del 1281, tra membri degli strati alti dell’Urbe questo è chiaro, non altrettanto evidente però il legame in virtù del quale a due consensi di parenti donne, una naturale l’altra acquisita, si sommi quello di un’altra donna, in questi casi l’ipotesi più probabile è quella dell’esistenza di diritti patrimoniali a noi non noti: ci riferiamo al caso di Filippo ed Egidio, orfani di Gregorio di Giovanni «Crassi de regione Trivii a domibus de Pappazuris», che vendendo un casale a Giovanni «nato quondam d. Nicolai d. Iohannis Candulfi», annotano il consenso di Rosa moglie di Egidio di Angelo Fuscorum de Berta, il consenso di Mabilia sorella di Egidio e Filippo, quello di Iacopa moglie di Filippo. Qui se Mabilia e Iacopa sono parenti, naturale la prima e acquisita la seconda, non è chiara la relazione di diritti sul casale vantata da Rosa276.

La casistica continua a riservare sorprese, nel senso della varietà, accanto a nubili che su delega maschile o autonomamente agiscono come uomini, ci sono nubili il cui consenso è emesso da parenti maschi, facenti le veci di un padre, ciò accade a Roma come nella diocesi di Spoleto dove Iacobettus di Egidio Iacobi da Macignano, in nome delle sorelle nubili - Margarita, Bartuleta e Cecilia - e per il fratello maschio (forse perché molto giovane?) rinuncia ai diritti di proprietà su dei mulini «causa Dei amoris et remixione peccatorum anime patris sui» in favore del monastero di San Pietro di Ferentillo277.

Sovente casali e castra sono al centro di un’intricata rete di relazioni278, come accade nel 1289 per la metà del casale della Selce, in contrada Vallerano, venduto da Filippo figlio di Onofrio a Nicola Buccamazzi, tale cessione avviene ottenendo alcuni consensi, prima dai parenti maschi - citando «condam domine Marie uxoris ipsius Andree» padre di Stefanello e Francesco figlio di

274 Per dieci libbre avviene la vendita, le religiose sono fisicamente assenti nella compravendita, agiscono tramite il procuratore,

LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte lateranensi, doc. 76, 9 agosto 1267. 275 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 170, 30 aprile, 1°, 2 maggio 1278. 276 FERRI, Le carte, doc. LXXIII, 12 marzo 1281. 277 A Ferentillo, PANELLA , Le carte, doc. 27, 9 ottobre 1289. 278 Per un testo esaustivo v. CAROCCI, VENDITTELLI , Origine della campagna romana, in part. pp. 93-107.

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Giovanni Arlocti - poi tramite un procuratore per i consensi delle parenti donne. Queste sono Iacobina moglie del venditore; Angela moglie di Gualteronis; Florisderisa moglie di Stefano figlio del dominus Giovanni Rustici; Margherita nubile, queste due sono sorelle di Filippo. Tutte pronunciano formale rinuncia ai propri diritti ma quella di Florisderisa presenta talune peculiarità perché è comunicata per esteso ed è annotata la causale, «pro amore et dilectionem». Nel 1299, è confermata la pratica di associare consenso e rinuncia delle donne: Simeone orfano di Argumenti vende con il consenso della moglie Maria, sorella di Pietro e Giovanni, e della sorella nubile, Costanza, a Pietro, una casa nella regione Transtiberim, nella località riperomee - la casa venduta era del padre - per centosettanta libbre di provisini, qui la moglie e la sorella del venditore godendo gli stessi diritti vi rinunciano citando sommariamente dote, donazione, parafernorum, alimentorum, e auxilio velleiani279. È citata una donna nubile in un consenso del 1190280. 9.4. «Più uniche che rare»

I casi di nubili che ricevono il consenso sono pochi e iniziano dalla seconda metà del secolo, ma

sono significativi di una possibilità, alcune dimostrano una certa intraprendenza, queste sono: una madre e una figlia con lo zio (1262); una nubile prima assistita dal padre poi autonoma con un laico e la moglie, assistita dal suocero (1267). In due atti non romani una nubile, nobile e orfana, nomina un procuratore per amministrare i propri beni con uno juspatronatus (1288; 1291). Cinque nubili sono citate a parte.

Nel primo caso Giovanni di Gentile [de ...], con la figlia Maria e con la nipote, nepte, Paola, facendo le veci del padre (defunto o momentaneamente assente?), ricevono il consenso dal proprietario e possono vendere un terreno a Donatoris281.

Nel 1267 Maria figlia del frater Matteo sembra acquistare autonomia quando Pietro Companioni le vende un terreno da pastinare fuori porta Salaria, di proprietà di Sant’Agnese: prima è assistita dal padre, nelle veci di procuratore, poi sembra più libera di agire quando le è concessa la facoltà di alienare il bene dietro il pagamento di un comminus e i diritti e i doveri a lei riservati sono gli stessi che sarebbero riservati a un uomo; per realizzare ciò Maria deve ottenere il consenso e la rinuncia della moglie di Pietro, Stefania figlia di Romano Stopparii, che la assiste, e della badessa Margherita con le monache Egidia de Acore e Prassede, il tutto tramite un procuratore282.

Per quel che concerne la pratica del consenso e la rinuncia, non riteniamo la classe sociale di provenienza un elemento sufficiente per pensare le donne più libere, anche se esistono eccezioni come i due atti non romani, in cui agisce Tommasa di Palearea comitissa di Manupello, orfana di Gualtiero, la quale probabilmente è sì costretta a nominare suo procuratore Benvenuto di Guardi per esigere i diritti di enfiteusi sui castra di Santo Bono e Montenegro da Simone di Gentile e Pietro Grandenato - per un valore totale di centoquarantasei onze auree, ventiquattro tarì e quindici grana - ma è anche esecutrice delle ultime volontà del padre e in virtù di questa nomina, eccezionale,

279 Sono cinque atti con cinque elenchi di testimoni, alla nomina dei fideiussori maschi, seguono l’investitura del possesso e le

autenticazioni, SAJEVA, I più antichi documenti, doc. 13, 27 novembre 1289; la casa confina con Maria moglie di Lello, doc. 16, 18 ottobre 1299.

280 Maria de Acto, nel consenso di Nummasci madre di Pietro figlio di Nicola, la nubile lascia eredi confinanti, un matronimico nelle sottoscrizioni: «signum manus Petri Darielle», ASR, SSC, cass. 38, perg. 34, (FEDERICI, Regesto, doc. XXXVII), 23 luglio 1190.

281 Per quattro libbre di provisini da cui detrarre cinque soldi, con la resa della quarta del mosto al proprietario, qui un matronimico nelle sottoscrizioni, Bartolomeo de Amelia, MONACI, Regesto, doc. XLVI, 1° novembre 1262.

282 Qui la formula è: «occasione ypothece, dotis et donationis propter nuptias, parafernalium et alimentorum… velleiani… et omne alius ius», LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte lateranensi, doc. 77, 2 settembre 1267.

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concede lo juspatronatus della chiesa di San Martino di Palearea a Penne, a Matteo abate di San Giorgio a Ornano283.

Alcune nubili sono citate in cinque atti di consensi e rinunce del Duecento284.

283 Arch. Ors. II. A. II. N. 21, 17 settembre 1288 (DE CUPIS, Regesto, I, p. 78); Arch. Ors. II. A. II. N. 31, 21 luglio 1291 (DE

CUPIS, Regesto, I, p. 80). 284 A Tivoli, Luisa, moglie di Mainardo consentiente, vende al prete di San Martino de castro Vetere, in nome di Santa Agnese

di Roma, una casa confinante con Viola a castro Vetere, per pagare quattro soldi a Maria di Giovanni Dado, e rinuncia ai suoi diritti sull’abitazione, i nipoti Bartolomeo e Porvenzana figli della defunta sorella, sono citati perché non potranno opporsi, LORI SANFILIPPO, Le più antiche carte lateranensi, doc. 21, 21 agosto 1203; agendo su uno stesso piano di diritti e con il consenso del padre ancora in vita, Paolo, Stefania e Costanza, figli di Guido Romauli, vendono a un Baccarii, la terza parte di una vigna ad Arzone, fuori San Pancrazio, per trenta soldi di provisini, terreno «iunctam pro indiviso» con altre due parti di proprietà di Giovanni Braczuti de Scotto e Comitissa sua figlia nubile, VATRI, Le più antiche carte, doc. 23, 31 dicembre 1227; una vedova acconsente con i monaci di San Silvestro in Capite a una vendita tra laici di una vasca, la cui metà è in comune con una donna probabilmente nubile, la soror Comparatii, ASR, SSC, cass. 38 bis, perg. 99, (FEDERICI, Regesto, doc. CIV), 26 agosto 1246; in una vendita che un laico compie con il consenso del priore e della moglie è citata Gemma una nubile confinante, CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 122, 28 agosto 1255; i monaci di San Silvestro in Capite col consenso di Mariabona, madre di Iacopo e Pietro Crescentii e di Luciana, moglie di Iacopo, affittano ad Andrea figlio di Giovanni di Andrea una vigna, qui tra le precibus sono citati Maria, probabilmente nubile, e Pietro, ASR, SSC, cass. 39, perg. 124, (FEDERICI, Regesto, doc. CXXVIII), 14 maggio 1262.

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10. Difendersi da chi? Per la nubile l’arbitrato potrebbe essere il luogo della rivendicazione dei diritti, ma questo non

sembra emergere dalla documentazione: non abbiamo nuclei coerenti di atti, tantomeno possiamo capire se esista percezione dei propri diritti, siamo nell’indistinto dei principi non realizzati che statuti e consuetudini assicurano formalmente, ma non sappiamo se anche effettivamente.

Le nubili coinvolte nelle controversie sono coadiuvate dal padre, se questi è assente subentrano i parenti maschi, la madre o un procuratore.

Le questioni principali sono quelle fondiarie ma c’è anche un atto interessante di scioglimento di fidanzamento. Purtroppo la maggior parte delle questioni sono giunte a noi mutile, e così irrelate da un contesto, risulta difficile ricostruirne gli esiti. 10.1. Un unico esempio del secolo XI

Particolare il caso di tutela di minori, del 1057, in occasione di seconde nozze all’interno della

cerchia familiare, un caso isolato di levirato? Gli orfani Tuta domna honesta e Giovanni, minori di XXV anni, «pueri et filii quondam Mugeffo, privigni Farulfo artifex nempe tutor et curator» sono tutelati dallo zio diventato loro patrigno, sposando la loro genitrice Maria, vedova di Mugeffo. Farulfo vir honestus artifex, facendo le veci del padre, rinuncia in nome dei minori a ogni diritto su una vigna, oggetto di una lite con Benedetto prete di Sant’Angelo, e i due firmano come «tutrem refutatori atque rogatori». Qui si fa cenno a un rituale collegato all’arbitrato, che fissa la stipulazione di un accordo ponendo fine a una controversia, solitamente con una stretta di mano, alcune formule e un bacio a suggellare l’accordo285. 10.2. Poche notizie nel secolo XII

Non riusciamo a trarre notizie rilevanti dai pochi documenti reperiti, i primi due non romani e

gli altri comunque avari di informazioni. Con una chartula promissionis, non rogata a Roma, Rolando figlio di Griffus promette alla

nubile «Bradimonda filia pepi comites», che non le arrecherà danno né rivendicherà diritti portando come prova documenti antecedenti; è citata una figlia defunta nella dichiarazione di Vassilia moglie di Bovacciano, fatta con il consenso del marito, per porre termine alla lite con il monastero dei Santi Cornelio, Cipriano e Domenico286.

Interessanti due rinunce a favore di Clemente III (1187-1191): nella prima Gemma de Seniorecto rinuncia a ogni lite con il suo procuratore per tutti i suoi possessi nelle regioni Montium, Biberatice et Colysei, persi sotto Lucio III (1181-1185); nella seconda Teodora, rinuncia alle

285 Qui due matronimici nelle sottoscrizioni: «Farulfo e Maria iugales sive tutrem refutatori atque rogatori, Iohannes da Atria,

Petrus de Dulciza», HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. LXXXV, 20 ottobre 1057. 286 A Toscanella, un matronimico, Martino Gualdrade, CALISSE, Documenti, doc. LIX, gennaio 1113; ASR, SCD, cass. 16,

perg. 132, 12 maggio 1159, cfr. Archivio Paleografico Italiano, vol. III.

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pretese vantate su alcune terre in regio Pinee, a favore di Cencio procuratore di Clemente III (1187-1191)287. 10.3. Aumentano i dati per il Duecento

Il numero di atti disponibili cresce, ventitré, e incontriamo una serie di casi interessanti in cui le

nubili ricoprono comunque un ruolo: una nubile è citata in giudizio da un laico per il mancato versamento della dote (1226); un padre in nome della figlia ancora nubile, fa una promissio guarnimenta allo sposo (1237); Benvenuta, protagonista poi di una lunga disputa, con un procuratore, contratta le sue nozze con il padre dello sposo e la suocera (1238); una vedova tutrice della figlia minore, a suo nome cede un bene del marito a una religiosa (1244); una nubile orfana è in lite con una religiosa per una somma di denaro (1258); una lunga disputa oppone donne religiose a due nubili sorelle e orfane con il fratello (cinque atti tra il 1278 e il 1279); una sentenza sfavorevole a una vedova con figli orfani per l’eredità paterna (1276,1278); in una serie di sei atti compaiono i figli orfani e la vedova che acconsentono con le sorelle nubili orfane (1276, 1278); una conferma di una sentenza sfavorevole a fratelli e sorelle nubili (1278, 1279); in una disputa un padre difende la moglie e la figlia nubile ottenendo per questa un terreno da lavorare (1281); in un atto tra nubili si intima una restituzione (1284).

In quattro casi donne nubili sono solamente citate senza ricoprire alcun ruolo nelle controversie: nella lite di una vedova tutrice dei figli maschi, è citata la figlia (1200); in una lite tra una religiosa e un laico, sono citate come confinante una moglie, una madre e una nubile (1214); in una lite di cui è stato protagonista Onorio III (1216-1227), sono citate alcune donne e una nubile oblata (1244); in una lite è citata una nubile proprietaria di terreni e clausole che limitano la trasmissione femminile dei possessi (1260)288.

Nel 1237 Stefania figlia del giudice Nicola di Giovanni Bonifacii e futura moglie di Egidio Nerus orfano di Nicola di Giovanni Ricii, riceve la promessa del versamento di sedici libbre di provisini da Nicola, come promissio guarnimenta per la figlia, quest’ultimo garantisce la spesa con altri suoi beni. Incontreremo di nuovo Stefania, vedova, alle prese con il recupero della dote289.

Nel marzo del 1238 nella prima fase degli accordi matrimoniali tra Domina Benvenuta e Romano - che poi si tramuterà in una disputa per recuperare la dote - la donna dimostra autonomia e indipendenza, contrattando personalmente. Orfana di Gregorio Laurentii, nomina un procuratore per sposare Romano figlio di Giovanni Rainaldi, il quale obbliga i propri beni per il figlio, a una dote di centosessanta libbre e mezzo corrisponde una donazione di ottanta libbre. I terreni impegnati da Romano, che confinano con una proprietaria, domina Onitosa sorella di Alichus, prima devono

287 Qui tre matronimici, de Digna, KEHR, Italia Pontificia, I, n. 537, 13 ottobre 1188, p. 200; il matronimico de Ruffreda,

ibidem, n. 541, 18 ottobre 1188; il matronimico de Adelascia, p. 201, n. 546, 18 febbraio 1189; ibidem, n. 536, 5 ottobre 1188; n. 545, 9 novembre 1188.

288 Nella disputa, con esito sfavorevole, tra Gaita vedova di Pietro de Cencio Nicolai, tutrice dei figli Andrea e Cencio e le monache del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, è nominata Gaita, (filia sua), probabilmente emancipata o già sposata se la vedova non deve farle da tutrice? HARTMANN , MERORES, Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium, doc. CCLXXV, 1° ottobre 1200; mentre la badessa e le monache disputano per dei possessi rurali con Giovanni e Crescenzio, sono nominate donne implicate e confinanti: la madre di Alichus di Romano Surdi avvocato, vedova del defunto Giovanni Pastore, Maria moglie di Nicola de Panico e Maria de Benedicto, forse nubile, BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 90, 12 maggio 1214; Onorio III (1216-1227) e il capitolo dei Santi Ciro e Giovanni si oppongono in una lite al monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata, sono nominate, per una disputa precedente intorno a dei terreni, alcune donne: Gemma moglie di Giovanni Quintilianus, Altruda domina e oblata dell’ospedale de Prima Porta, nominata con Pietro Beneincasa, e le monache del monastero, ibidem, doc. 227, 16 novembre [1244]; in seguito ad un arbitrato con San Saba, l’abate concede «filiis legitimis et nepotibus legitimis» a Crescenzio o a una persona gradita, esterna alla famiglia, un casale con torre che si trova fuori porta San Paolo, «terra quam tenet domna Rigalis», per trenta libbre di provisini e cinque soldi annuatim, nello stesso nucleo di documenti ci sono altri atti con clausole che limitano l’ereditarietà femminile, BARTOLA, Il Regesto, doc. 145, 27 marzo 1260.

289 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 170, 31 dicembre 1237. Cfr. capitolo IV, par. 11.3.

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essere liberati dai diritti che potrebbe vantare su essi sua madre, Domina Bona moglie di Giovanni, tenuta perciò a pronunciare la rinuncia ai diritti sul pegno290.

Nelle liti, con enti ecclesiastici, comprese tra il 1244 e il 1279, le nubili sono sempre condannate: Lorenza di Bartolomeo de Berta, vedova di Giovanni Gualterii, e tutrice della figlia nubile Brandina, rinuncia a favore della badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicola in Via Lata a una vigna che fu del marito, a Monte del Sorbo; nella sentenza successiva la badessa, tramite il procuratore del monastero, vince su Stefania orfana di Pietro di Cinzio de Conallis costretta alla restituzione di alcune somme di denaro, una questione solenne perché siamo alla presenza di autorità ecclesiastiche nel palazzo dei Santi Ciro e Giovanni; nel 1278 il giudice palatino nomina un arbitro per la lite sorta tra il monastero di San Sisto Vecchio e Maria e Angela, orfane di Giovanni Roberti, per una faccenda iniziata quando Giovanni di Oddo aveva venduto alle due un tenimentum a Tuscolo, (per cento libbre di provisini), predisponendo consuete clausole su un’eventuale vendita del bene e il consenso del monastero; sebbene in seguito alla vendita le due fossero state investite tramite un procuratorium del possesso del bene, il procuratore del monastero le cita, chiamandole «sorores et filiis olim Iohannes Roberti» e anche sorores di Robertellus, per l’appropriazione, usurpatio, della tenuta di proprietà del monastero. Dopo un anno la sententia arbitratoria condanna le sorelle nubili, e il causidicus, delegato dallo iudex palatinus, intima loro di restituire al procuratore del monastero le suddette terre, quindi secondo le procedure la sentenza è sigillata ed emanata e in un atto successivo, il giorno seguente, il procuratore del monastero è investito del possesso delle terre: questo caso, esemplare del funzionamento della giustizia romana, lo è anche di un altro dato di fatto, ovvero che le nubili nelle cause con enti ecclesiastici hanno poche chances?291

Nel 1266 un interessante caso di disputa concerne un mancato versamento di dote: un ordine di citazione è emesso dal giudice Ottaviano contro le nubili orfane, Lavinia orfana di Oddo e Odolina orfana di Guido Giordani, sollecitato da Giovanni Conti, a causa del mancato adempimento delle convenzioni dotali tra loro stipulate: qui non appare chiara la relazione tra le due donne (madre e figlia o sorelle?) ma è interessante che un uomo invochi la violazione dei propri diritti in caso non siano stati rispettati gli accordi matrimoniali292.

L’affidamento dell’eredità Gualferamis è al centro di una lite sciolta da una sententia arbitratoria sfavorevole a Seginetta vedova di Giovanni orfano di Stefano Gualferamis, madre di Matteo, Pietro e Andrea: la donna è condannata a versare un terzo della dote ai figli come cauzione; in seguito i tre fratelli compiranno una vendita ottenendo il consenso e la rinuncia corredata da un giuramento della madre Seginetta e delle tre sorelle nubili - Flos, Giovanna e Matheola - queste non erano state neanche interrogate nella questione dell’eredità, probabilmente perché estromesse da questa con il versamento della dote, e perché ora sono interpellate?293

Nel 1278, una nubile vince una causa che sarebbe interessante da ricostruire coadiuvata da un ente ecclesiastico: il senatore Matteo Rosso de filiis Ursi sigilla la sentenza a favore del monastero di San Sisto Vecchio e di «Flos soror iudex Bartholomeus Romani Cenki», sappiamo poi, da un documento dell’anno successivo, che il senatore ha investito del possesso della metà di un palatio, il priore del monastero e Flos - l’altra metà è occupata da Angela de Dendo e da una vinea - immobili appartenuti a Bartolomeo di Romano Cenki, padre della nubile, ma non sappiamo altro a riguardo294.

Il comportamento di un padre è protettivo e lungimirante, nei confronti della figlia, in una disputa con i canonici lateranensi.

Nominati gli arbitri, si decide in merito alla controversia sorta per alcune case e una canapina 290 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 173, 22 marzo 1238 (cfr. capitolo III, par. 8.3, per la disputa). 291 BAUMGÄRTNER, Regesten, doc. 223, 22 aprile 1244; doc. 273, 9 febbraio 1258. Cfr. CARBONETTI, Le più antiche carte, doc.

169, 28 marzo 1278; qui un matronimico Iacopo Anastasie, doc. 171, 12 novembre 1278; doc. 172, 27 novembre 1278; doc. 173, ante 15 dicembre 1278; doc. 174, 15 dicembre 1278; docc. 179-180, 14, 15 marzo 1279.

292 CELANI, Le pergamene, doc. VIII, 11 maggio 1266. 293 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 160, 3 dicembre 1276; la vendita fa parte di un complesso di sei atti, con sei serie di

testimoni, le numerose monache elencate concedono il bene in possessione, segue una fideiussione, un procuratorium e poi l’investitura del possesso da parte del procuratore del monastero, doc. 170, 30 aprile; 1°; 2 maggio 1278.

294 CARBONETTI, Le più antiche carte, doc. 175, 22 dicembre 1278; doc. 176, 13 gennaio 1279.

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con orto, fra i canonici lateranensi e Giovanni della Monaca che agisce in nome della moglie Giovanna e della figlia Bonifatia; lo stesso giorno nell’atto di composizione della controversia, i terreni sono riaffidati alla chiesa che li concede di nuovo in locazione a Giovanni con la clausola «pro se et filis suis utriusque sexus»; lo stesso giorno una canapina è locata con la clausola ad meliorandum, a Bonifatia e «tuis filiis masculis et feminabus de legitimo matrimonio procreatis», stabilendo che dopo la seconda generazione il tutto torni al Laterano: quindi il padre si è battuto o è sceso a compromessi per ottenere una sentenza favorevole che confermasse il diritto a una proprietà, sebbene temporanea, per la figlia. Da notare la rara formula riguardante la trasmissione dei beni in linea femminile alla fine del Duecento; nell’ultimo atto della serie, del 1284, troviamo l’intimazione rivolta a Benvenuta Angela affinché restituisca a Caterina di Matteo una somma, otto soldi, che ha ottenuto in prestito295.

295 Tre atti, qui sono citati domina Mattaleon e gli eredi di una donna defunta, Doda, confinanti con i terreni in questione,

PANELLA , Le carte, doc. 23, 22 agosto 1281; ASR, SCD, cass. 18, perg. 322, 24 maggio 1284.