parigi vista dall'uomo, dalla donna e dalla macchina da presa

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Parigi vista dall'uomo, dalla donna e dalla macchina da presa Paris vu par – Chabrol, Douchet, Godard, Pollet, Rohmer, Rouch 1965 Quando si parla di storie di città, di flussi di persone e di cose urbane e quando si parla di Lei 1 , non possiamo non parlare di Paris vu par, sei storie realizzate nel 1965 (unite in lungometraggio) scritte e dirette da 6 autori - diciamo pure - “vicini” a quello straordinario respiro che chiamiamo Nouvelle Vague. L’idea produttiva di fondo è quella di raccontare delle storie di Parigi città, attraverso sei diversi quartieri, in cui il cinema si identifica con la città e viceversa. Nella loro avventura, i sei registi scelgono delle storie che in qualche modo possono ricondursi tutte alla stesso rapporto dell’individuo con i flussi urbani, o con le loro esperienze, le loro pulsioni. A partire da questa idea narrativa, in modo stavolta originale ed indipendente, le scelte stilistiche (regia, recitazione) di genere (dramma o parodia) e di contenuto, si articolano attraverso i sei cortometraggi. 1 Dello stesso anno è il film di Godard “Deux ou trois choses que je sais d’elle” tradotto “Due o tre cose che so di lei”

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Parigi vista dall'uomo, dalla donna e dalla macchinada presa

Paris vu par – Chabrol, Douchet, Godard, Pollet, Rohmer,Rouch 1965

Quando si parla di storie di città, di flussi di persone e di

cose urbane e quando si parla di Lei1, non possiamo non parlare di

Paris vu par, sei storie realizzate nel 1965 (unite in lungometraggio)

scritte e dirette da 6 autori - diciamo pure - “vicini” a quello

straordinario respiro che chiamiamo Nouvelle Vague.

L’idea produttiva di fondo è quella di raccontare delle storie

di Parigi città, attraverso sei diversi quartieri, in cui il

cinema si identifica con la città e viceversa. Nella loro

avventura, i sei registi scelgono delle storie che in qualche modo

possono ricondursi tutte alla stesso rapporto dell’individuo con i

flussi urbani, o con le loro esperienze, le loro pulsioni. A

partire da questa idea narrativa, in modo stavolta originale ed

indipendente, le scelte stilistiche (regia, recitazione) di genere

(dramma o parodia) e di contenuto, si articolano attraverso i sei

cortometraggi.1 Dello stesso anno è il film di Godard “Deux ou trois choses que je sais d’elle” tradotto “Due o tre cose che so di lei”

A quanto pare il progetto che motiva la realizzazione del film

doveva essere stato assai ambizioso, se “Les cahieurs du cinema”

ne parla in questi termini:

“ce n’est pas le regne d’une avant-guard

stérile, que nous voulons instaurer [..]

mais celui des auters”2

che fanno un cinema moderno.

“[..] mais le cinema vraimont moderne,

celui de demain, celui que nous entrevoyons

et voudrions aider à percer, ne sera pas le

fait des auteurs incapables à montrer la

réalité actuelle et à venir, de se dégager

du reflet de leurs obsessions [...]”

sarà quello che attuerà “une nouvelle esthétique de realism”3.

In sostanza si affermano alcune innovazioni, che acquisiscono

valore di paradigma - o questo è perlomeno ciò che vorrebbero

acquisire - al momento dell’uscita del film, ovvero “l’emploi du son

direct et la couleur, dont nous voudrions faire la régle”. Nel numero

171 dei Cahiers, si considera che l’innovazione tecnica sia andata

incontro all’economia. Se è vero che il corrente formato cinema

era 35mm, Paris vu par, che è girato tutto in 16mm, costituisce non

solo una risorsa produttiva (si immagini gli episodi Gare du Nord, La

2 “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p.83 Ibidem

place de l’Etoile e Montparnasse et Levallois girati con le grandi cneprese),

ma anche una proposta estetica. Le possibilità produttive che

offrì la macchina a 16 mm sono state citate da tutti e sei i

registi, che esaltarono la snellezza del dispotivo in funzione del

rodaggio, diamo alcuni di quei contributi

“La 16mm m’a permis de m’attacher

totalement au movement meme de ces personnages,

pour les suivre dans leurs moindres réactions

et traquer leurs intentions dans leurs regards

ou leurs paroles..”4. “..grace àu seize

millimétres, puisque c’est quand meme moins

cher que le treinte cinq. Et qu’on peut tourner

plus vite, je me suis senti plus libre et j’ai

mis certains choses qu’il m’aurait été

difficile mettre dans d’autres films..”5

Dal punto di vista analitico riuscire ad approfonditamente

ognuno dei sei cortometraggi potrebbe rappresentare un lavoro per

il quale non avremmo spazio a sufficienza. Cerchiamo quindi di

cogliere i punti salienti di quanti più frammenti possibili e poi

tracciare alcune conclusioni.

Gare du nord di Rouch, rappresenta quasi l’emblema di tutta

l’ideologia di Paris vu par (che ricordiamo essere di Barbet

Schroeder). Il regista infatti, che è anche antropologo6, concentra

4 Jean Duchet, “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 95 Claude Chabrol, “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 96 Quando gira questo cortometraggio Rouch, ha realizzato solo qualche isolatolavoro di finzione, mentre invece ha concentrato quasi tutto il resto della suaopera in documentari etnografici o al massimo alcuni mokumentary che ricordanoin qualcosa le tecniche dei cinegiornali zavattiniani, ma lavorati sempre inchiave etnografica.

la sua attenzione, quasi esclusivamente ai personaggi che

interpretano l’episodio, la loro vita le loro relazioni, ma nella

seconda parte non dimentica di rappresentare il loro rapporto con

il tessuto urbano. Diremo però che allaccia un forte legame non

alla città di Parigi nella specifico, ma a quella generale, alla

Großtadt, la metropoli, che costrusice quindi un ponte di raccordo

tra l’individuo e la geografia delle attrazioni, quella della nuova

città, che non è più quella di Ruttamnn7, Strand8 o la stessa

Parigi di Clair che dorme9 ma la metropoli del dopoguerra, che suona

nuove sinfonie urbane, più vicine alle psicologie che alle

fisicità dei personaggi.

Ricollegandoci a quest’epoca (quella degli anni venti), in

quanto ricca di sperimentazioni, sulla raccolta di documenti,

sulle sinfonie urbane e dello sguardo che esse conferisocno alla

visione umana della città, proviamo a tracciare delle differenze

tra gli individui di quell’epoca (1920-1930) e i personaggi del

1965. Questi ultimi hanno un rapporto con la città, probabilmente

neanche molto più consapevole dei personaggi delle avanguardie, in

quanto ogni personaggio (nel senso di inviduo di una storia)

giunge nella propria storia senza una precedente esperienza di

vita; ma se negli anni a cavallo dei secoli e fino agli anni

trenta, le innovazioni, invenzioni, novità, in campo

ingegnieristico, tecnico, elettronico ed anche artistico,

stravolgono il dinamismo e la velocità dei rapporti fisici

dell’individuo, non possiamo certo dire la stessa cosa dei loro

successori. La grande maggioranza dei personaggi che vivono in Paris

7 Walter Ruttmann, Die Sinfonie der Großstadt, 19278 Charles Sheller e Paul Strand ,Manhatta, 19219 René Clair, Paris qui dort, 1923

vu par infatti, sono figli degli anni 40-50 (eccetto la prostituta

in Rue Saint-Denis e i genitori del bambino in La Muette, infatti tutti i

perosnaggi si aggirano dai 20 ai 40 anni) può assistire ad alcuni

evoluzioni dei media (tv), dei mezzi di trasporto (automobile e la

vespa), ad alcune novità politiche (guerra Vietnam, uomo nello

spazio) ma non si può certo asserire che queste siano allo stesso

livello di quelle che stravolsero il mondo degli uomini che hanno

visto la generazione precedente. Ciò che differenzia questi

individui perciò è l’accento che essi porgono agli stimoli esterni

che caratterizzano la loro vita, le loro reazioni, le loro scelte

quotidiane, la loro pulsioni. Come vediamo in sostanza, si è

spotato l’obiettivo della macchina da presa, che non sta più sulle

rotaie di un treno, ma dentro al treno, sulla bocca e lo sguardo

dei passeggeri, filmando un primo piano di un dramma anteriore,

anziché su un paesaggio mangiato dalla tecnica. Il dinamismo della

città, della sua tecnica, non è quindi più al centro dei pensieri

di questi personaggi, in quanto ne conoscono dalla nascita le

dinamiche, anche se sorprendentemente faranno fatica a

svincolarsene completamente (Montparnasse et Levallois ce lo dimostra).

Ciò forse che contamina le vite di questi personaggi è piuttosto

una sottile mostruosità, per dirla con le parole di Chabrol, che

trapela dalla conduzione quotidiana che questi personaggi hanno

raggiunto. Una mostruosità che viene sviluppata attraverso le loro

pulsioni, progressivamente occultate, fuggite (Place de l’Etoile),

otturate per non farsi contagiare (La Muette), oppure scambiate,

tradite (Montparnasse et Levallois).

Nel’arte infromale degli anni 50-60, si suol inserire un certo

malessere, un pessimismo di fondo, legati ai postumi della seconda

guerra mondiale. Se dai primi anni sessanta si respira già un

discreto cambio di tendenza con nuovi sviluppi culturali (pop art,

la minigonna, la tv, La dolce vita, lo sviluppo edile, solo per

dirne alcuni) tutto ciò non basta ad allontanare l’individuo da

una sentita lontananza ed inter-incomunicabilità che affora. Non a

caso, un anno dopo (1966), Antonioni ci ricorda questa sfuggevole

serenità, questa probabile possibilità all’impossibile, girando

Blow up. Questo film, nonostante finisca in modo semi-positivo,

emana uno sconfinato negativismo. Sarà per l’imminente caso

Vietnam e guerra fredda, o forse per una coincidenza artistica, ma

a metà degli anni sessanta, mentre ci si prepara ad alcune grandi

rivoluzioni culturali, sociali e politiche (gli hippy e Woodstock,

il sesssantotto europeo, le dittature europee che cadono qualche

anno più tardi), una riflessione profonda attanaglia lo

spettatore sul grande schermo. Oltre al già citato Blow up, in

questo periodo viene realizzato Farhenheit 451, film che sottolinea

il pericolo delle classi povere di venire trafugati della cultura

da parte del potere. Nel 1964, un anno prima, Kubrick realizzava Il

dottor Stranamore, pellicola che accenna l’apocalisse della terra10,

mentre del 1966 è Persona, di Ingmar Bergman, che il regista

scrisse durante una depressione e che ha come tema principale

l’incomunicabilità e le crisi esistenziali11. I pugni in tasca di Marco

Bellocchio è del 1965, parla di una storia di una famiglia di

anormali, nella quale un figlio uccide gli altri componenti della

famiglia, venendo a sua volta lasciato morire dalla sorella

incestuosa. Pierrot le fou di Godard, sempre dello stesso anno di Paris vu

par, è un altro film, nel quale i personaggi non riescono ad

ottenere nessuna salvezza e concludono la loro avventura con la10 http://www.occhisulcinema.it/Dos-Il%20Dottor%20Stranamore.htm11 Sergio Trasatti, Ingmar Bergman, Il castoro, Milano 1995, pp. 83-90

morte. Nel 1966 Godard realizza Masculin, feminin e sappiamo quanto

poco ottimistico fosse.

Ciò che non possiamo sostenere come un verdetto, ma

sicuramente come uno spunto di riflessione e di ricerca è perciò

un evidente ritorno dei caratteri dell’arte informale. Un

negativismo che fa da basso continuo a storie che nello stile

rappresentano dei nuovi modelli, nel modo di raccontare

significano conquiste e nei contenuti e nelle retoriche delineano

allo stesso modo uno sfrontato coraggio, una sincerità forse

persino inquietante.

Le storie di Paris vu par, secondo chi scrive ripercorrono il

cinema di un periodo forse troppo falcidiato da una negativa

visione indivuiduale e di insieme; una settima arte che racconta

un momento difficile, nei contesti più variegati.

La famiglia ad esempio è raccontata da Chabrol in La Muette. La

breve stora è vista dagli occhi di un bambino, che non sempre far

parte dello stesso mondo dei grandi, ne ignora le dinamiche, non

ne conosce le regole. La sua unica possibilità di tenersi lontano

da questo mondo, è quella di non poterlo ascoltare. È importante

pensare come vi possa essere una differenza sostanziale fra i due

verbi sentire e ascoltare. Il bambino pratogonista, pobabilmente

non ascolta i suoi genitori, nè la città, ma li sente e ciò lo

inquieta, lo fa star male. Per fuggire a questa tortura, decide di

mettere dei tappi alle orecchie, che non gli permettono di sentire

il minimo rumore. Questa soluzione gli costerà molto cara. Non

iruscirà infatti a sentire la madre claudicante che caduta dalle

scale incontrerà la morte. Nel finale anche la città stessa

diventa un teatro muto, fatto solo di movimento e luce, nel quale

i suoni appaiono quaai superflui. Il linguaggio della città, ormai

stereotipato, con i suoi clacson, con le sue campane e le sue

ambulanze, vive ugualmente anche non ascoltandolo. Chabrol decise

di recitare in prima perosna, assieme alla moglie

In Gare du nord, si possono trovare molti dei caratteri moderni

che cotraddistinguono le nuove insoddisfazioni. La protagonista è

Odile una giovane che durante una colazione qualunque con il

fidanzato Jean-Pierre intravede l’inizio di un lento declino delle

sue aspettative di vita.

“Qu’on juge du degré d’improbabilité:

l’aspiration majeure à laquelle l’héroine

vient de reprocher à son mari de faire obstacle

par son conformisme et son inertie, un inconnu

rencontré quelques instants plus tard par

accident lui offre de la réaliser séance

tenante; affollée, la jeune femme le repousse”12

Le passant e Odile hanno quindi praticamente una conversazione

sullo stesso argomento che avevano avuto poco prima la ragazza e

Jean-Pierre. Ma le convinzioni appena dichiarate al proprio

partner, di fronte al giovane sconosciuto, vengono meno. E’ palese

qui che Odile rappresenti il tratto dell’incomunicabilità per il

regista; l’impossibilità dell’individuo di riotravare esternamente

i ppropri pensieri.Il giovane automobilista invece giudica la

vicinanza possibilie di Odile - che invece gli è negata – come una

condanna finale. La disperazione con cui il giovane si propone ad

Odile, è folle. Sembra come se fosse al casino e tentasse il tutto12 “Cahiers du cinema”, Numero 172, Novembre 1965, p.51

per tutto bleffando una mano a poker. Un all in fallito. C’è come una

fantastica impressione, che egli sapesse che il suo destino

passasse in quella strada a quell’ora. E Odile, che

“devant la possibilité qui lui est

offerte d’une realisation immediate, intégrale,

du reve qu’elle vient de formuler, et la chaine

de verre reliant soudain les objets de son

désir la livre à une épouvente qui va croissant

des premiers instants de la rencontre au cri

boulversant qu’elle pousse à la vue de l’homme

soutant dans le vide”13

Il teatro composto tra Odile e l’automobilista, o le passant,

conferma che le cose sono sempre uguali, mentre ciò che cambia è

il nostro modo di vederle. In questo passaggio è assai chiara

l’analogia tra vita dell’inviduo e vita della città, le persone

cambiano le proprie ambizioni o possono restare le stesse,

alterano la loro attitudine a sentimenti o a passioni, ma non è

sempre così. La città in tutto ciò è l’emblema di una similitudine

vita – geografia. Una città o un amore possono annoiare sin da

subito o essere amate per sempre. Nella fattispecie, per le passant,

la città è camnbiata per diventare anche strumento di morte. La

grandezza delle nuove strutture, come ad esempio le nuove sontuose

stazioni, i ponti che collegano due strade lontane e che

oltrepassano le ferrovie (costruiti per favorire le dinmaiche

fisiche dell’uomo) in questo caso diventano strutture per

suggerire lui un suicidio . Il fischio del treno, forse il più

paradigmatico e rappresentativo della tecnica del 900, giunge

13 Ibidem

esattamente nel momento in cui il ragazzo decide di uccidersi e

scandisce quindi la sinfonia della sua vita.

Il piano sequenza del cortometraggio (se si esclude la prima e

l’ultima panoramica d’insieme) non possono che applicarsi, nel

caso, alla storia di un personaggio seguito da una cima all’altra

della sua traiettoria14, che in realtà è traiettoria di morte,

perché Odile in realtà muore con le passant, non sopravvive, nel

senso che i suoi pensieri, le sue paure, i suoi sogni, vengono

messi in discussione, sia esternamente che internamente. Claude

Ollier, giudica il lavoro di Rouch, da alcune di queste analisi,

come un lavoro nuovo, di inquiesta sociologica, di psicodramma.15

In Rue Saint - Denis, concordo parzialmente con ciò che afferma

Jean Eustache nei Cahiers. Il critico dice “quand on n’a plus rien

en dire sur quelque chose, on n’a plus rien en dire”16 Con questa

tesi, in realtà non mi trovo molto d’accordo. L’episodio di

Pollet è sicuramente il pià fiacco di Paris vu par. Rue Saint - Denis è

una via conosciuta in tutto il mondo soprattutto per le sue

prostitute e per questo appare perolmeno assai poco originale

comunicare per immagini, la storia tra una prostituta e un suo

cliente, ovvero la più banale che possa immaginare qualsiasi

spettatore comune. Da un cineasta ci si aspetterebbe qualcosa di

più. Probabilmente gli unici spunti interessanti sono sempre

legati alle dinamiche urbane. La prostituta è il simbolo della

città, essendo lei stessa come una donna di facili costumi, cara,

divertente e possibilimente pericolosa. Il cliente in questo caso

non è un ragazzo di provincia, che non conosce bene queste14 Ivi, p.5215 Ivi, p.5216 Ivi, p.53

dinamiche. Il racconto quindi vuole raccontare come una persona

esterna possa non intersecare le sue attitudine con la vita

urbane. Leon, il protagonista è impacciato, alla fine non ottiene

nemmeno ciò per cui aveva cercato la prostituta, un po’ come se

volesse dirci che si parte verso la città con uno scopo e poi si

finisce con l’accettarne un altro. In Rue Saint - Denis, l’incontro di

sesso si trasforma in una cena, ma che sa molto di nutrimento,

anziché di rituale, più vicino ad una cena solitaria, ovvero

noiosa, che ad una cena romantica. I due finiscono per parlare

come se fossero una coppia navigata, non proprio sul punto di

lasciarsi, ma nei botta e risposta della conversazione c’è quella

disattenzione tipica di chi dialoga più per parlare che per

condividere.

La scenografia a mio avviso è perfetta per questo tipa di

storia, diegetica al massimo livello. La piattezza del plot, così

come quella della regia, senza movimenti di macchina, con molte

inquadrature girate con lo stesso punto macchina e obiettivo

diverso, è basilare come la scenografia, ma le due cose vanno a

braccetto e sono in un certo modo armoniose. Anche il montaggio è

impreciso, probabilmente Pollet non ebbe molti ciak a disposizione

e in realtà il suo più grosso errore è stato quello di pensare a

troppe inquadrature nello stesso ambiente. E’ l’ episodio più

corto (11.37) e l’unico episodio che si gira in unico ambiente, ma

nonostante ciò è quello con più inquadrature (trentasette solo

nella stanza per dieci minuti di film, non considerando le

inquadrature di presentazione agli ambienti urbani, che fanno sono

una media di un’inquadratura ogni sedici secondi, senza

considerare che al montaggio gli stacchi sono ottantaquattro,

ovvero uno ogni sette secondi di media, non proprio cifre da

nouvelle vague) se si esclude Place de l’Etoile, girato quasi completamente

in esterni ampi. In tutto l’episodio si respira un’aria di

dilettantismo nonostante sia il settimo lavoro di Pollet. Lo

scavalcamento di campo, considerato da molti come il più grave

degli errori lo troviamo quando Leon è sulla sedia e la prostituta

sul letto che parla delle sue gambe. Non pensiamo che ci siano dei

buoni motivi per supporre che sia una trasgressione voluta, in

quanto la drammaturgia non ci offre in quel preciso istante alcun

suggerimento; si tratta semplicemnte di un errore tecnico. Altre

pressapochezze si trovano nel sonoro, tra uno stacco e l’altro di

alcune inquadrature si sente una forte discontinuità di ambiente e

di fruscìo, diremmo tipica di chi è alle prime armi. Nonostante

queste imprecioni si salva la drammaturgia degli attori. La loro

storia può sembrare leggermente strana, ma è verosimile. La

recitazione del ragazzo, Claude Melki, come ricorda lo stesso

regista nelle pagine dei cahiers, è il motivo per il quale è stato

ideato il cortometraggio, anche nella stessa intervista dichiara

che

“On ne reve pas de personnages, mais des

objets, des moments, le temps, l’espace, la

durée; tout cela, dans eun film a plus

importance que la psychologie”17

Place de l’Etoile – Il nostro eroe, come lo chiama Rohmer, è Jean –

Marc, commesso che lavora in un negozio in zona Avenue des Champs-

Élysées. Ma dall’uscita della metropolitana al negozio, di cose ne

17 Jean - Daniel Pollet, Cahiers, “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 10

possono succedere. Rohmer, che è già un esperto nonché grande

sostenitore delle riprese in esterni veri (uno su tutti ricordiamo

La boulangère de Monceau), immagina nella piazza dell’Arco di Trionfo,

le gesta di una storia di un uomo normale che vive il dramma di

uno scampato delitto ed anziché mostrarlo con la tecnica ormai

nota a Rohmer, ossia quella del flaneur parigino, lo fa

raccontando questo personaggio che improvvisamente, impaurito

dalle conseguenze della colluttazione con un barbone, inizia a

scappare freneticamente. A tal proposito il regista ci fa notare

una cosa:

“..aucun parisien n’est pressé au pointde courir quatre cents

mètres à la suite..”18

I monumenti cambiano i flussi urbani, così come i lavori in

corso. Il progresso dell’uomo nelle sue forme tecniche, determina

poi anche la sua sociologia. La giornata tipo di Jean – Marc

subisce gli eventi della grande città. Sulla metropolitana che lo

porta a lavoro, una passeggera le pesta un piede. Il fatto lo

turberà tanto, che uscito dalla metro, continuerà a toccarsi la

scarpa e sovrappensiero si socntra con il vagabondo che

rappresenta a livello sceneggiatoriale un evento scatenante. Le

abitudine duramente conquistate dal protagonista nell’arco degli

anni (aver imparato a che ora prendere la metro per arrivare in

orario, dove scendere, quale strada fare) diventano in questa

giornata dei riferimenti perduti. Nella grande geografia urbana i

cittadini si muovono per punti fermi che li rassisurano, senza i

quali sarebbero persi. Jean – Marc sembra molto infastidito,

quando a causa dei lavori in corso deve cambiare itinerario. Tutto

18 Ivi, p.10

ciò mette a contatto gli individui a volte con porzioni di

geografia alle quali non sono interessati e che potrebbero

riservar loro delle sorprese, positive, come ad esempio ne La

boulangere de Monceau, in cui le narrateur (interpretato pensate un po’

da Barbet Schroeder, ideatore di Paris vu par) per cercare Silvye,

s’imbatte nella fornaia (si noti come nel primo minuto del

cortometraggio del 1963, ci sia un altro riferimento alla

trasformazione della città “À l’ouest, le boulevard de Courcelles. Il conduit au

parc Monceau tout près duquel un chantier de démolition marque actuellement l’emplacement de

l’ancien Cité club, un foyer d’étudiants. C’est là que j’allais dîner tous les soirs quand je préparais

mon droit”)19.

Il regista nella sua analisi, ci ricorda anche che ha

effettuato un voluto rimarcamento dei colori verde e rosso. In tal

caso le inquadrature numerose ai semafori ricordano ancor di più

ilsenso moderno del tempo scandito dal progresso. Nella

fattispecie, come ci ricorda lo stesso Rohmer20, all’inizio del

cortometraggio ha potuto inserire alcune riprese della visita del

presidente della Repubblica Italinao a Parigi, per cui erano state

affissa delle bandiere tricolore all’Arco di Trionfo.

Uno spunto che potrebbe farci riflettere su alcuni stili degli

autori di questi cortometraggi è anche l’utilizzo delle didascalie

da parte di Rohmer. Nelle sei parti del film, è l’unico ad

utilizzarle. Se si vuol essere sostenitori di un cinema fatto solo

ed esclusivamente per immagini, si potrebbe ritenere che almeno la

didascalia “Rien dans le presse, ni ce jour-la ni les soivants”, che compare dopo

che Jean – Marc compra un periodico (sicuramente vuol vedere se il19 Inizio del film “La boulangère de Monceau”, trascrizione tratta da http://www.cahiersducinema.com/Evenement-Rohmer-Reussir-sa-vie.html20 “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 10

vagabondo è morto) potesse essere sostiutita da immagini. Capendo

bene che quindici minuti sono pochi per chiunque per presentare un

personaggio, ritengo che la voce fuori campo sia già un grosso

aiuto per il realizzatore, mentre le didascalie sarebbero da

escludere totalmente. Ci viene in mente però che nel 1965 potevano

essere ancora fresche le nozioni di Qu’est que c’est le cinema di

Bazin. Nella parte seconda, Bazin sostiene, anziché un cinema

fatto di sole immagini (cellule uniche e fondamentali del film),

un cinema impuro che sia contagiato dalle altre arti. La nostra è

solo un’interporetazione, tra l’altro da verificare, ma la

sensazione è che essendo Rohmer il regista che è rimasto più

fedele ai concetti della Nouvelle vague (intesa come cinema dove

non succede niente, cinema di flaneur, riprese in esterni reali,

di presa diretta del sonoro), rispetto a Godard per esempio o a

Truffaut, possa avere in qualche modo seguito più scrupolosamente

le teorie di André Bazin, che considerato il padre dei Cahiers, da

quelle teorie si può dire abbia ideato il movimento

cinematografico francese21. Nel finale credo che il regista abbia

voluto concludere con un’altra suggestione. Jean - Marc uscendo

dalla metro scontra il suo ombrello a quello di una bella

signorina. Sarebbe potuto essere l’inizio di un’altra storia.

Sarebbe potuto.

La Muette – Abbiamo già accennato alla mostruosità dei

personaggi di questo episodio. Chabrol, tra l’altro, che interpeta

il protagonista, nell sua analisi si sofferma proprio

sull’interpretazione dei personaggi, quando vuole spiegare come è

21 Per più ampie riflessione e analisi si vedanoi capitoli 1 e 2 della secondaparte alle pagine 119 – 190 di André Bazin, Che cos’è il cinema, Garzanti editore,Milano 1994

riuscito ad ottenere l’atmosfera che si respira in La Muette. Si

tratta evidentemente di un cortometraggio classista, specchio

della borghesia parigina,

“La bourgeoisie c’est une classe, mais c’est

aussi un était d’esprit, et la classe resistera

moins que l’était d’esprit. L’était d’esprit

grand –bourgeois va certainement résister à

tous les régimes sociaux [..] Le pire est que

une fois installés dans leur travaille de

monstres, ils ne sont pas tellement malheureux.

Ainsi, aussitot, que le type peut satisfaire sa

petite libido. Et gagner de l’argent, et que la

femme peut utiliser cet argent pour s’acheter

des pommades pour la peau, il n’ya plus de

problème.”22

Il regista era convinto che nessuno avrebbe potuto capire che

cos aaveva in mente, quando pensava al suo protagonsita, un padre

di famiglia distratto, un marito infedele, un cochon, come lui

stesso osa dire. Il suo personaggio è caricaturale, come i

personaggi della borghesia. Ma c’è anche un altro tema

nell’episodio, che riguarda il vero protagonista, quello dai cui

occhi vediamo la narrazione, ovvero il bambino. Un figlio che

passa quasi inosservato, nella città e a casa sua. Ma la sua

invisibilità non lo rende passivo, anzi lo fa soffrire al punto

dal voler provare la sensazione di non esistere più e per fare un

tentativo, con dei tappi alle orecchie, si isola dal mondo, dalla

sua città, dalla sua fredda casa, da una stanza nella quale non

22 Claude Chabrol, “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 8

vuole mai restare. L’episodio è quindi al tempo stesso storico,

perché rappresenta una delle possibili storie a livello sociale,

quindi una sorta di documento, con la mostruosità delle ipocrisie

borghesi, dei loro falsi costumi e menzogne e in secondo luogo è

anche sociologico, ovvero indaga le individualità dei personaggi.

Ognuno di loro è chiuso nel suo mondo. C’è un padre che prova a

fare il padre ma non è capace (una musica dolce parte quando il

padre è in stanza col figlio, tutto ci fa sembrare che voglia dar

lui una lezione di vita, incoraggiarlo mentre invece riesce ad

insegnar lui una regola matematica, ovvero quanto di meno

sentimentale possa dirgli), che tradisce la moglie, una domestica

che si vende al padrone, ed è odiata dal figlio, una moglie che

non si sa con certezza, ma potrebbe pensare ad un altro uomo e fa

finta di non sapere che il marito la tradisce perché non le

converrebbe divorziare e un figlio che cammina solo nella città,

che deve reggere il gioco al padre e che alla fine è, ironia della

sorte il più colpevole perché non si accorge della madre ferita. È

interessante anche l’uso che Chabrol fa delle conversazioni

familiari:

“Et comme la plusparts du temps, ils ne parlent

qu’aux repas, (c’est pour cela que mon film est

construit sur des conversations à table), ces

horreurs déviennent encore plus

extraordinaires.Simplement parce qu’ils ont

rien à se dire, leur monstruosité resort dès

qu’ils ouvrent la bouche.”23

23 Ibidem

Se pensiamo che Chabrol per rendere tutto così vero, ha

preferito andare lui stesso in scena con la moglie, questo ci fa

supporre che sia lui che la moglie conoscessero bene in prima

persona I personaggi che hanno rappresentato.

Montparnasse et Levallois - L’episodio di Godard è molto complesso,

come sempre nella sua opera. Il regista come soggetto sceglie di

citarsi, ovvero di girare una sotria che Belmondo racconta in Une

femme est une femme, Godard per girarlo sceglie la scenografia,

gli attori, ma lascia quasi in mano agli intepreti i dialoghi e i

movimenti di macchina all’operatore. Il suo è un esperimento

meraviglioso in cui cerca di dimostrare quanto il cinema possa

superare il senso in convinzione e dimostri la sua propria

libertà.24

“Moi, j’avais le sens, les acteurs ont le

signe, et l’operateur a donné la signification.

Le trois étapes de la sémantique”25

Il suo scopo ricorda quello Zavattiniano, ovvero di creare un

cinema che non abbia motlo da organizzare, ma che vive di istinto,

di impressioni, di flussi; Godard dice che “l’existènce c’est un

fleuve”. Egli vuole dare un’idea di Montparnasse, della sua

pittura, della vita degl iartisti, ma anche degli artigiani, dei

meccanici, degli operai. Il senso del lavoro si respira molto qui,

addirittura supera le parole, i sentimenti. Il sonoro lo

sottolinea in modo evidente, quando Monika, parlando con i suoi

due amanti deve quais sempre ripetere ciò che dice, perché il

lavoro dei due uomini sovrasta le sue parole Godard durante tutta24 André Techine, “Cahiers du cinema”, numero 172, Novembre 1965, p. 5325 Jean - Luc Godard, “Cahiers du cinema”, numero 171, Ottobre 1965, p. 9

la sua carriera ha sempre indagato sulla difficoltà di poter

esprimersi, di farsi capire, di non fraintendersi e in Montparnasse

et Levallois ribadisce queste difficoltà.

“Una delle idee divertenti del film è che uno dei due fa il

meccanico, l’altro lo scultore in ferro d’avanguardia: atelier e

garage sono ambienti che si assimilano nel comune rumore delle

saldatrici e dei martelli, la confuzione penetra in tutti gli

aspetti della vita”

Rispetto a questa tecnica, ovvero quella di creare

volontariamente un sonoro non molto chiaro al pubblico, Godard

rispoonde così

“Nei primi film parlati non si capivano tutti i dialoghi e

questo la gente l otrovava meraviglioso. Ascoltava il suono.

Adesso invece la gente chiede che, se si pronuncia una parola,

questa debba sempre avere un significato preciso, e che se sfugge

è la catastrofe. Si tratta di una falsa idea di cinema. Al cinema

c’è il suono e c’è l’immagine”

La confusione in cui incappa Monika la ritroviamo in molti

film del maestro francese, ma qui entra in gioco implicando le

vite di Parigi, di Montparnasse dove lavora Ivan, e poi di

Levallois dove lavora Roger. Anche il linguaggio è un tema

dominante qui. Monika che crede di aver inverito le lettere, si

precipita a parlare con Ivan e Roger, cercando almeno di salvarne

uno, ma tramite le parole non si riesce a capire se davvero si era

sbagliata. Come in Vivre sa vie c’è un problema nelle parole. Pare che

più si parli, più ci si allontani dalla realtà, ovvero che più ci

si sforzi di aggirare il problema, più ci sfugga.

Nel 2001, i fratelli Coen girano un film: The man who wasn’t

there. Brevemente, il film parla di un barbiere che uccide l’amante

della moglie, ma non viene scoperto, anzi, la moglie stessa viene

accusata di omicidio, mentre a lui viene imputato un’ altra morte,

quella di un uomo di affari a cui aveva dato dieci mila dollari da

investire nel lavaggio a secco. Durante il processo, l’avvocato,

per scagionare il suo cliente utilizza come strategia, una teoria

di un fisico tedesco, Heisenberg, Ebbene il principio del fisico

tedesco afferma che

“...non tutte le proprietà di una particella quantistica possono

essere misurate con precisione illimitata. Per misurare la posizione di

una particella con una precisione elevata bisogna ricorrere a una luce di

lunghezza d'onda molto corta, e quindi altamente energetica. Ciò si

traduce nel trasferimento di una certa quantità di moto alla particella e

pertanto non è possibile misurare con esattezza sia la posizione sia il

momento. E lo stesso vale per altre coppie di grandezze fisiche. In

situazioni simili, un errore in una misura porta inevitabilmente a

ripercuotersi su altre misurazione altri e Heisenberg aveva stabilito che

il prodotto di errori e disturbi non puòessere inferiore a un certo

valore”26

L’applicazione che ne fanno i fratelli Coen, autori della

sceneggiatura, è ovviamente diversa. L’avvocato va in prigione a

spiegare la sua strategia al barbiere:

“Si chiama principio di indeterminazione.

26 http://www.lescienze.it/news/2012/01/18/news/principio_di_indeterminazione_meccanica_quantistica_heisenberg_posizione_velocit_spin_neutroni-799356/

Sembra un’idea bislacca, ma anche Einstein l’ha

presa in considerazione. La scienza, la

percezione, il dubbio, il ragionevole dubbio.

Sto dicendo che alcune volte, più guardi, più

guardi, meno conosci. È un fatto, è provato, è

un fatto e comunque è l’unico fatto appurato.”27

Al processo:

“L’avvocato gli gettò molta plvere negli occhi

[..]disse loro di guardarmi, di guardarmi bene,

tanto più mi avessero guardato, tanto meno

senso avrebbe avuto quella storia. Disse che

non ero il tipo d’uomo che può uccidere, che

per l’amor di Dio ero solo un barbiere, ero

come tutti loro, un uomo comune, la cui unica

copla era quella di non avere un posto nel

mondo e di provare ad investire nel lavaggio a

secco. Disse che ero un uomo dei nostri tempi e

che se mi avessero condannato sarebbe stato

come legare un cappio attorno al loro collo.

Disse di guardare non ai fatti, ma al

significato dei fatti. Poi disse che quei fatti

non avevano significato. Fece un gran bel

discorso, gli credetti persino io”

C’è la sensazione che Godard abbia in testa qualcosa del

genere quindi quando fa parlare i suoi personaggi.

L’approfondimento delle conoscenze linguistiche, personali,

sentimentali, non è quindi sinonimo di perfezionamento, ma spesso

di abbaglio.27 Versione tradotta in italiano di The man who wasn’t there, 2001

Bibliografia

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Saggi

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Sitografia

http://www.occhisulcinema.it/Dos-Il%20Dottor%20Stranamore.htmhttp://www.lescienze.it/news/2012/01/18/news/principio_di_indeterminazione_meccanica_quantistica_heisenberg_posizione_velocit_spin_neutroni-799356/