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Pirandello a Parigi. L’interpretazione del teatro pirandelliano in Francia nei primi anni Venti «... les succès à Paris de Pirandello [...] ne laissaient plus de place pour d’autres Italiens». (R. Lelièvre) 1 1. Il progetto di mediazione italo-francese di Camille Mallarmé Il debutto di Pirandello sulla scena francese avvenne nel dicembre 1922 quando, per iniziativa di Camille Mallarmé ( 2 ), Il piacere dell'onestà fu messo in scena da Charles Dullin, allora direttore dell’Atelier. La storia di questo allestimento appare fortemente marcata dalla personalità e dalle scelte della sua promotrice, la quale rivendicò a sé, a lungo e polemicamente, il primato di mediatrice dell’opera pirandelliana. Le testimonianze ed i ricordi dell’opera di mediazione italo- francese di Camille Mallarmé, raccolti nei volumi di Témoignages inédits e finora mai pubblicati integralmente, sono stati studiati solo di recente ( 3 ). Il capitolo relativo alla traduzione ed alla rappresentazione della Volupté de l’honneur, corredato di lettere di Pirandello e di Dullin, era però il solo ad essere già stato dato alle stampe, nel 1955 ( 4 ); e questo perché l’introduzione dell’opera pirandelliana in Francia assunse un’importanza prioritaria nella carriera intellettuale della donna, per ragioni di prestigio personale e di rivalsa nei confronti di Benjamin Crémieux. Il primo incontro tra Camille Mallarmé e Luigi Pirandello avvenne nel maggio 1922, a Roma, in un periodo in cui l’opera del drammaturgo cominciava ad incontrare un riconoscimento europeo, che escludeva ancora la Francia. Il puntiglio nazionalistico, la necessità di mettere la scena francese alla pari degli altri teatri occidentali fu senza dubbio una, e verosimilmente non l’ultima, delle motivazioni che indussero la Mallarmé a farsi promotrice della mediazione pirandelliana; il suo spessore è del resto accresciuto dalla situazione storica, e giustificato dalle convinzioni politiche di chi se ne faceva portavoce e del milieu a cui si indirizzava. Rievocando lo sforzo compiuto per sensibilizzare gli uomini di cultura parigini all’opera di Pirandello e per sollecitare la loro partecipazione alla prima della Volupté de l’honneur, la Mallarmé ricorda che .. Nous étions réunis au salon et je pus analyser tranquillement l’écrivain et son système philosophique, cette amère et pourtant indulgente intuition du monde - qui se croit sage et vit dans la folie; j’insistai aussi sur le succès déjà universel de son oeuvre. Aucun de ces hommes de lettres, de valeur notoire, ne souriait plus quand j’avouai ma vergogne (là-bas, en Italie ...) à voir la France rester seule indifférente, parmi les grands pays du monde, devant un créateur de cette importance. [...] Tous furent d’accord que le simple amour-propre national exigeait, en effet, un effort de presse signalé, pour notre “première” ( 5 ). 1 ) R. LELIÈVRE, Le théâtre dramatique italien en France, Paris, Colin, 1959, p. 382. 2 ) Autrice di romanzi e di letteratura per l'infanzia, moglie del critico e senatore fascista Paolo Orano, Camille Mallarmé (1886-1960) si dedicò alla diffusione della cultura francese in Italia e successivamente della cultura italiana in Francia, e si occupò anche di scrittura femminile; dal 1921 collaborò con la «Fionda» e contribuì ad una nuova lettura italiana di Paul Claudel; attraverso la rubrica «Lettres italiennes» negli «Écrits Nouveaux» diffuse l'opera poetica di D'Annunzio, a cui fu legata da amicizia, come ad Eleonora Duse. 3 ) Les Témoignages inédits de Camille Mallarmé 1914-1924. Un essai de médiation littéraire et politique entre la France et l'Italie. Thèse de doctorat en littérature comparée présentée par J.-L. Courtault-Deslandes sous la direction du Professeur P. Brunel, Université de Paris-Sorbonne, 1991, 12 voll. I volumi dei Témoignages inédits sono pubblicati in appendice. 4 ) C. MALLARMÉ, Comment Luigi Pirandello fut révélé au public parisien le 20 décembre 1922 , in «Revue d’histoire du théâtre», I, 1955, pp. 7-37 (si indicherà di seguito con la sigla RHT). 5 ) Ibidem, pp. 26-27 (mia la sottolineatura). 1

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Pirandello a Parigi. L’interpretazione del teatro pirandelliano in Francia nei

primi anni Venti

«... les succès à Paris de Pirandello [...] ne laissaient plus de place pour d’autres Italiens».(R. Lelièvre)

1

1. Il progetto di mediazione italo-francese di Camille Mallarmé

Il debutto di Pirandello sulla scena francese avvenne nel dicembre 1922 quando, per iniziativa di Camille Mallarmé (2), Il piacere dell'onestà fu messo in scena da Charles Dullin, allora direttore dell’Atelier. La storia di questo allestimento appare fortemente marcata dalla personalità e dalle scelte della sua promotrice, la quale rivendicò a sé, a lungo e polemicamente, il primato di mediatrice dell’opera pirandelliana. Le testimonianze ed i ricordi dell’opera di mediazione italo-francese di Camille Mallarmé, raccolti nei volumi di Témoignages inédits e finora mai pubblicati integralmente, sono stati studiati solo di recente (3). Il capitolo relativo alla traduzione ed alla rappresentazione della Volupté de l’honneur, corredato di lettere di Pirandello e di Dullin, era però il solo ad essere già stato dato alle stampe, nel 1955 (4); e questo perché l’introduzione dell’opera pirandelliana in Francia assunse un’importanza prioritaria nella carriera intellettuale della donna, per ragioni di prestigio personale e di rivalsa nei confronti di Benjamin Crémieux.

Il primo incontro tra Camille Mallarmé e Luigi Pirandello avvenne nel maggio 1922, a Roma, in un periodo in cui l’opera del drammaturgo cominciava ad incontrare un riconoscimento europeo, che escludeva ancora la Francia. Il puntiglio nazionalistico, la necessità di mettere la scena francese alla pari degli altri teatri occidentali fu senza dubbio una, e verosimilmente non l’ultima, delle motivazioni che indussero la Mallarmé a farsi promotrice della mediazione pirandelliana; il suo spessore è del resto accresciuto dalla situazione storica, e giustificato dalle convinzioni politiche di chi se ne faceva portavoce e del milieu a cui si indirizzava. Rievocando lo sforzo compiuto per sensibilizzare gli uomini di cultura parigini all’opera di Pirandello e per sollecitare la loro partecipazione alla prima della Volupté de l’honneur, la Mallarmé ricorda che

.. Nous étions réunis au salon et je pus analyser tranquillement l’écrivain et son système philosophique, cette amère et pourtant indulgente intuition du monde - qui se croit sage et vit dans la folie; j’insistai aussi sur le succès déjà universel de son oeuvre. Aucun de ces hommes de lettres, de valeur notoire, ne souriait plus quand j’avouai ma vergogne (là-bas, en Italie ...) à voir la France rester seule indifférente, parmi les grands pays du monde, devant un créateur de cette importance. [...] Tous furent d’accord que le simple amour-propre national exigeait, en effet, un effort de presse signalé, pour notre “première” (5).

1) R. LELIÈVRE, Le théâtre dramatique italien en France, Paris, Colin, 1959, p. 382. 2) Autrice di romanzi e di letteratura per l'infanzia, moglie del critico e senatore fascista Paolo Orano, Camille Mallarmé (1886-1960) si dedicò alla diffusione della cultura francese in Italia e successivamente della cultura italiana in Francia, e si occupò anche di scrittura femminile; dal 1921 collaborò con la «Fionda» e contribuì ad una nuova lettura italiana di Paul Claudel; attraverso la rubrica «Lettres italiennes» negli «Écrits Nouveaux» diffuse l'opera poetica di D'Annunzio, a cui fu legata da amicizia, come ad Eleonora Duse. 3) Les Témoignages inédits de Camille Mallarmé 1914-1924. Un essai de médiation littéraire et politique entre la France et l'Italie. Thèse de doctorat en littérature comparée présentée par J.-L. Courtault-Deslandes sous la direction du Professeur P. Brunel, Université de Paris-Sorbonne, 1991, 12 voll. I volumi dei Témoignages inédits sono pubblicati in appendice.4) C. MALLARMÉ, Comment Luigi Pirandello fut révélé au public parisien le 20 décembre 1922 , in «Revue d’histoire du théâtre», I, 1955, pp. 7-37 (si indicherà di seguito con la sigla RHT). 5) Ibidem, pp. 26-27 (mia la sottolineatura).

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Le ragioni politiche riguardano solo indirettamente Pirandello, che non aveva ancora preso posizione, almeno ufficialmente, nei confronti del regime fascista. Ma ragioni culturali e ragioni politiche finiscono per sembrare presto inscindibili. Gli stereotipi del fascismo vanno ad aggiungersi agli usurati luoghi comuni sul mito dell’Italia letteraria. La scelta dell’opera da rappresentare appare guidata dalla ricerca della «latinità»; la modernità del teatro pirandelliano, la sua forza di rottura della tradizione vengono quasi temute, allontanate, in favore di una ricezione più tradizionalista, meno eversiva, di discutibile neutralità. Il suggerimento di Pirandello di dare alla scena francese Così è (se vi pare), da lui stesso giudicata «la pièce la plus significative, j’ose dire la parabole parfaite de mon théâtre», viene respinto dalla Mallarmé, che ritiene il pubblico francese non ancora pronto alla novità del teatro pirandelliano, ed esprime quindi la necessità (necessità assolutamente arbitraria, come dimostrò poi il successo della messinscena dei Six personnages en quête d’auteur, a pochi mesi di distanza) di una rappresentazione rassicurante, eventualmente preliminare ad altre pièces pirandelliane. Il piacere dell’onestà era - secondo la Mallarmé - una «comédie de caractère, puissante mais accessible à tous, afin de préparer l’esprit à mieux comprendre, ensuite, l’étrange originalité de Pirandello» (6). In un passo dei Témoignages inédits, escluso a posteriori dalla pubblicazione sulla «Revue d’histoire du théâtre», il giudizio risulta netto e dettato più da ragioni di opportunità commerciale, che da una disinteressata lungimiranza intellettuale:

J’achevais à peine de lire “Il piacere dell’Onestà”, plus sentimentale que les autres pièces, plus acceptable pour un public étranger à qui il s’agissait de présenter un auteur dramatique original, mais inconnu en France ... comme Pirandello [...] Certes, le “Così è se vi pare” [sic] (qui prit plus tard le titre français de “Chacun sa vérité”) était plus “étonnant”; c’était bien, comme l’auteur lui-même l’avait défini, sa “parabole parfaite”. Mais le public parisien était habitué aux pièces de boulevard, aux conflits d’argent, aux adultères, etc... et son suprème effort de pensée se réduisait à discuter les pièces plus ou moins idéalistes de François de Curel ... Le mettre, du premier coup, devant cette réalité tangible de “l’irréalité de la personnalité humaine”, ainsi que s’est amusé à le prouver Pirandello dans “Chacun sa vérité”, me semblait une gageure trop risquée, destinée à ne plaire qu’à une élite restreinte. Au contraire “Il piacere dell’Onestà” (la force des circonstances, plus que mon choix, plus tard, transforma le titre en “La Volupté de l’Honneur”, outre à posséder un personnage central de premier ordre, à la fois méditatif et humouristique, et tout un aperçu très neuf des rapports entre les êtres humains, se terminait d’une façon satisfaisante. De sorte que même un spectateur moyen pouvait à la fois comprendre la pièce, fort intelligente, et en apprécier le dénoûment (7).

La convinzione con cui vengono sostenute queste posizioni teoriche - ribadite ancora trent’anni dopo (8) - induce a trovare una risposta alla questione del faticoso riconoscimento della priorità della mediazione mallarmeiana rispetto a quella di Benjamin Crémieux. Se l’interesse della Mallarmé appare orientato in una direzione conservatrice, volta a mettere in luce soprattutto la tipicità latina e non «l’étrange originalité» dell’opera di Pirandello, la traduzione di Crémieux e l’allestimento che Georges Pitoëff fece dei Six personnages en quête d’auteur sembrano agire in direzione contraria, vale a dire della scoperta di questa originalità e dell’accentuazione dei fattori di straniamento che essa conteneva (9).6) Ibidem, p. 27.7) C. MALLARMÉ, Témoignages inédits, in J.-L. COURTAULT-DESLANDES, op. cit., pp. 286-287. Il brano riportato è il commento ad una lettera di Charles Dullin, datata 20 luglio 1922, che segna il primo contatto diretto tra l'attore e la traduttrice. 8) Nel 1949, in una lettera indirizzata a Jean Mercure, autore di una ripresa della Volupté de l'honneur, la traduttrice non perse occasione di rievocare «pointilleusement» le circostanze della prima messinscena, e di mostrare, come nota Courtault-Deslandes, «une fois de plus l'importance qu'elle s'attribuait jalousement dans l'introduction de Pirandello en France»: «Dans l’oeuvre de Pirandello, j'avais choisi cette pièce plutôt qu'une de ses paraboles philosophiques (qui peut-être m'eût intéressée davantage) parce que La volupté de l'honneur a une fin “selon le coeur” qui plaît au public ... A Rome, vers 1930, j'eus une querelle à ce sujet avec Pirandello lui-même; car je lui reprochai son excès de cérébralité, absolument inhumaine, a quoi il m'avoua que les scènes sentimentales répugnaient à son esprit comme trop faciles» (J.-L. COURTAULT-DESLANDES, op. cit., pp. 419-420; la lettera a Jean Mercure porta la data del 21 luglio 1949).9) Cfr. T. BISHOP, Pirandello and the French Theater, New York, New York University Press, 1960, p. 5.

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Charles Dullin entrò in contatto epistolare con Camille Mallarmé in seguito alla pubblicazione di un suo articolo su Verga, segnalatogli da Alexandre Arnoux ( 10). Nella prima lettera, datata 20 luglio 1922, egli esprimeva l’intenzione di dare alle scene un testo di un autore italiano contemporaneo. La traduttrice suggerì, al posto di Verga, un’opera di Pirandello, che pareva rispondere altrettanto bene alle richieste di Dullin. Una volta stabilito un accordo, la collaborazione tra i due divenne effettiva; il lavoro comune, che incontrò anche momenti di tensione, si fondava su alcuni presupposti che lo resero comunque possibile; la prudenza propositiva della Mallarmé trovava riscontro in una sorta di richiamo alla tradizione da parte di Dullin, che cercava innanzitutto «une pièce italienne, qui révèle de ce pays quelque chose de solide» (11). L’energico impegno intellettuale dell’italianisante non fu però scevro di un certo egotismo, tale da lasciare Pirandello all’oscuro dell’iniziativa che stava sorgendo a Parigi attorno alla sua opera, iniziativa di cui Pirandello venne informato da Crémieux, che stava contemporaneamente curando la traduzione dei Sei personaggi. La reazione dell’autore non assume tuttavia toni indignati, in ragione dell’assoluta fiducia riposta nella sua corrispondente francese, né sembra cogliere motivi di rivalità tra i due progetti di mediazione, destinati a realizzarsi parallelamente, come scrive in una lettera del 4 ottobre 1922:

... Sapevo da una precedente lettera di Crémieux che il Dullin aveva annunziato Il piacere dell’onestà al Teatro Montmartre nella Sua traduzione, e Le confesso che ero meravigliato che Ella non me ne avesse detto nulla. Ora la Sua cara lettera mi chiarisce tutto. Lo stesso Crémieux mi ha detto che il Dullin è “un acteur et un metteur en scène excellent”, e sono lietissimo di trovarmi su “l’affiche” in ottima compagnia.I Sei personaggi dovevano andare al teatro dei Campi Elisi tra il 15 e il 20 Ottobre e io mi disponevo a partire per Parigi per assistere alle ultime prove, quand’ecco mi arriva la notizia che la signora di Giorgio Pitoëff, che doveva far la parte della Figliastra, ha avuto la sventura di ribaltare dalla carrozza e pare che si sia ferita così gravemente da mettere in pericolo i suoi giorni! [...]Non conosco la traduzione che il Crémieux ha fatto dei Sei personaggi; ma so che egli conosce benissimo l’italiano per essere stato più anni a Firenze prima della guerra; e sta di fatto che, avendo letto la sua traduzione nel cenacolo della Nouvelle Revue Française, lasciò tutti coloro che l’ascoltarono ammiratissimi. Mi ha dato questa notizia Prezzolini che è tornato da poco da Firenze. Il Pitoëff è poi addirittura “emballé” del lavoro.Tuttavia non credo che la sua traduzione possa rivaleggiare lontanamente con quella che Lei, mia gentile Amica, ha fatto del “Piacere dell’onestà” per il semplice fatto che le doti artistiche del Crémieux non sono in alcun modo paragonabili con le Sue. La sua “Casa Seca” è un capolavoro (12).

L’atteggiamento di Pirandello nei confronti della Mallarmé e, quasi di riflesso, anche di Dullin appare improntato alla massima distensione. Al contrario, da parte della traduttrice, la notizia dell’iniziativa di Crémieux, datale da Dullin in una lettera del 27 settembre 1922, segnò l’inizio di una lunga competizione intellettuale. Qualunque pretesto divenne motivo di discussione con Pirandello: di volta in volta, la traduzione del titolo della pièce, le questioni legali che si rifiutava di definire per il tramite di Paolo Giordani, le liti con Jean Cocteau, la cui Antigone doveva essere rappresentata la stessa sera della Volupté de l’honneur. La diffidenza nei confronti dei presunti rivali venne in un primo tempo condivisa da Dullin, che si dimostrò critico verso la traduzione di Crémieux (senza peraltro conoscerla) e pregiudizialmente convinto che l’origine russa fosse per Pitoëff un ostacolo alla comprensione di «une oeuvre de source latine», benché lo riconoscesse «fort intelligent et honnête dans son art» (13). Per l’attore tuttavia i timori immotivati si dissolsero 10) Cfr. C. MALLARMÉ, Giovanni Verga, in «Les Écrits Nouveaux», juillet 1922.11) RHT, p. 13. 12) Ibidem, pp. 18-19. Il testo delle lettere di Pirandello viene riportato in francese (con traduzione italiana in nota) nella «Revue d’histoire du théâtre», in italiano (con traduzione francese in nota) nei Témoignages inédits. Cfr. C. MALLARMÉ, La Casa seca, Paris, Calmann-Lévy, s.d.13) In un passaggio della stessa lettera (datata 27 settembre 1922), non apparso sulla «Revue d'histoire du théâtre», aggiungeva: «Ce que Vous me dites de Crémieux ne me surprend pas le moins du monde. Il appartient sans doute, comme son nom l'indique, à cette espèce de profiteurs habiles qui exploitent les idées et les découvertes des autres. La gloire des maîtres rejaillit toujours un peu sur les valets, en dehors des petits bénéfices. Il ne faut pas s'étonner de cela» (C. MALLARMÉ, Témoignages inédits, in J.-L. COURTAULT-DESLANDES, op. cit., p. 311). In una nota non numerata si specifica che «le passage concernant Crémieux a été supprimé dans l’article de la “Revue d’histoire

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presto nell’impegno del lavoro intrapreso, mentre i disaccordi suscitati dalla Mallarmé finirono per far desistere Pirandello dall’intenzione di partecipare alla prima, il 20 dicembre 1922, e per precludere la possibilità di future collaborazioni.

Gli sforzi compiuti per diffondere l’opera di Pirandello a Parigi, nei principali circoli letterari e presso i più celebri italianisants, vennero presto oscurati dall’attività di Crémieux, ma questa rimase tuttavia la prima, importante tappa della ricezione francese del drammaturgo. La Mallarmé enumera nei suoi ricordi autobiografici le visite a Hélène e Philippe Berthelot, a Pierre de Nolhac, Marie ed Henri de Régnier, André Chaumeix, Colette, Lucie Delarue-Mardrus, André Maurois, Edmond Jaloux, Charles du Bos, Alfred Mortier e la conferenza presso il celebre salotto di Aurel, moglie di Mortier, oltre all’impegno di promozione svolta in Italia, per mezzo del marito. A questo va aggiunto un articolo scritto nel 1922, ma apparso solo nel giugno 1923 - a quasi un anno dal primo studio di Crémieux sull’Umorismo - sulla «Revue Européenne» (14), in cui venne proposta un’interpretazione del teatro pirandelliano, allineata alle precedenti convinzioni, ed un’analisi del suo riscontro sul pubblico. Le accuse di eccessivo cerebralismo anticipavano quelle che, di lì a pochi anni, decisero la crisi della fama di Pirandello in Francia:

Pirandello, avec sa manie de bouleverser nos habitudes mentales, sa recherche d’une vérité crue, ses confusions entre songe et réalité, personnalité profonde et apparente, fiction théâtrale et comédie personnelle [...] risque d’entraîner le bon public assez imprudent pour l’écouter, droit au cabanon, - d’où semblent s’être échappés la plupart de ses personnages.Par contre, les admirateurs - il y a même des enthousiastes -, chaque jour plus nombreux, de la tentative pirandellienne, répondent:“Enfin! Nous échappons donc à ce théâtre de carton peint où chaque situation a été exploitée jusqu’à la nausée [...] Et nous retrouvons un écrivain qui se permet de penser contre les habitudes d’esprit, d’innover, même de nous agacer! [...]”S’il est possible de conserver une opinion moyenne entre ces deux extrêmes, je constaterai que le succès de Pirandello en Angleterre, en Amérique, en Allemagne, à Vienne, en Pologne, prouve que sa tentative rencontre un vaste courant de sympathies, et doit vraiment répondre à un besoin de renouvellement théâtral de notre époque. Ce ne sera pas encore la formule définitive (il n’en existera jamais), mais c’est celle du jour. Elle s’usera peut-être assez vite, car ses défauts en sont déjà sensibles, naissant de l’excès même de ces qualités: Pirandello pense, mais il pense trop. La sécheresse schématique de certaines pièces les transforme en quelque sorte en théorèmes philosophiques, dont chaque personnage constituerait un des termes: étant donné X, en telle et telle circonstance, et Y en tel et tel rapport avec lui, le résultat sera Z... Ce qui néglige un peu trop les innombrables nuances et volte-faces de l’âme et du coeur d’une influence bien plus puissante sur l’intelligence que Pirandello ne semble le reconnaître; j’excepte pourtant de cette critique certains ouvrages, entre autres: “La volupté de l’honneur”, où s’allient heureusement la thèse cérébrale et l’inattendu sentimental (15).

Questa analisi, nonostante l’eccessivo schematismo, mostra in primo luogo, una lucida comprensione delle motivazioni estetiche, ma anche sociologiche, della ricezione dell’opera drammaturgica di Pirandello nei primi anni Venti; in secondo luogo, la difesa ostinata delle scelte operate e la fredda giustificazione a posteriori delle loro conseguenze.

2. «Le maître du théâtre, c’est l’auteur»

Il contributo di Charles Dullin (1885-1949) al successo della pièce pirandelliana non va sottovalutato, anche se il controllo totalizzante della Mallarmé cercò di subordinarlo. L’indomani della rappresentazione però, i meriti dell’Atelier e del suo direttore furono in genere adeguatamente valutati. Il laboratorio di arte drammatica a cui Dullin aveva dato vita stava cominciando ad acquisire nel mondo teatrale parigino una fisionomia riconoscibile, lontano dal boulevard e attento al dialogo col pubblico, per il quale lo stesso Dullin avrebbe fondato nel 1928 una rivista dal titolo emblematico di «Correspondance». La sua è una concezione artigianale della scena, fondata sul

du théâtre”, sans indication de coupure. Ces lignes sont doublement barrées dans le Manuscrit des Témoignages».14) Cfr. C. MALLARMÉ, Les Siciliens. II; Luigi Pirandello, in «Revue Européenne», juin 1923, pp. 80-89.15) Ibidem, pp. 88-89.

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massimo rispetto del testo, concezione che lo rese del resto meno capace di trovare uno stile proprio, che di adeguarsi ai diversi ruoli, secondo la lezione della commedia dell’arte, appresa verosimilmente da Copeau (16). Nell’ambito del processo di «riteatralizzazione del teatro», Dullin aspirava piuttosto alla restaurazione di una vita teatrale in cui le diverse componenti, ormai scisse, si rifondessero e restituissero all’arte del palcoscenico la sua compiuta omogeneità. In passato l’autore, depositario di ogni ordine scenico oltre che testuale, aveva avuto il compito di dirigere gli attori che rappresentavano le sue opere, svolgendo con consapevolezza la funzione poi assunta dal regista, da quando «les auteurs dramatiques sont devenus les littérateurs de cabinet» (17).

All’autore spetta comunque il primato della creazione teatrale:

Quel est le premier créateur du théâtre?[...] Le maître du théâtre, c’est l’auteur. Tous les autres rouages ne sont là qu’en fonction de cette force créatrice. Certes, jamais le théâtre n’a été aussi parfait que lorsque l’auteur, l’acteur et le metteur en scène se trouvaient réunis dans un même personnage; ce fut le propre de la comédie italienne. Mais, ce phénomène est extrêmement rare dans les annales du théâtre. Il faut bien accepter cette imperfection de la nature et se contenter d’une collaboration étroite entre l’auteur et le metteur en scène.Quel doit être l’effort de chacun?L’auteur nous fournit un thème écrit. Il nous donne la substance.L’acteur doit faire vivre le personnage inventé par l’auteur. Le metteur en scène doit accorder tous les éléments qui concourent à la représentation du spectacle.Acteur et metteur en scène suivent donc la fortune de l’auteur [...] C’est que, depuis un certain temps, bien avant la guerre, les auteurs dramatiques son beaucoup plus littérateurs qu’auteurs dramatiques. Ils ne vivent plus du théâtre, ni par le théâtre, ils perdent le sens des réalités et du contact permanent qu’il faut entre la scène et le public [...] la plupart du temps, les thèmes qu’ils nous proposent et la manière dont il sont traités tiennent beaucoup plus du roman dialogué que du vrai théâtre (18).

È dunque in questa direzione teorica che occorre interpretare il rapporto di Dullin con il testo pirandelliano e con la sua traduttrice, considerata a tutti gli effetti partecipe del lavoro dell’autore, particolarmente nell’uso di una «langue de théâtre admirable» (19), essenziale affinchè l’opera teatrale non rimanesse soffocata dalla sua natura letteraria. Il brano riportato evidenzia inoltre, tra le righe, il ruolo assegnato da Dullin ad una parte del teatro italiano, i cui stereotipi influenzavano, forse suo malgrado, anche l’interpretazione del teatro italiano contemporaneo, di cui egli non aveva «aucune connaissance livresque» (20). Del resto, anche in ambienti extrateatrali, in questi anni, il mito dell’Italia, la divulgazione di una latinità legata al costume meridionale, alla tipicità furbesca dello stile di vita della penisola, stavano diventando funzionali alla rappresentazione dell’italianità all’estero, fino a trasformarsi in automatismi della ricezione.

L’incontro tra Pirandello e Dullin venne mediato dalla nostalgica idealizzazione di un’Italia oleografica:

Je savais peu de chose sur ce Pirandello [...] aussi je me mis à construire un certain Pirandello, un Pirandello, qui répondait à la fascination qu’avait exercée sur toute ma jeunesse l’Italie, et tout ce qui venait d’Italie, et l’Italie, mon Italie, mon Italie à moi, je me l’étais construite d’après les petits colporteurs marchands d’images qui passaient à la maison, d’après les charbonniers qui travaillaient dans la montagne ... Je me vois rentrant de l’école avec mon 16) Cfr. il capitolo dedicato a Charles Dullin: une inlassable course aux trésors, in J. de JOMARON (a cura di), Le théâtre en France. II. De la Révolution à nos jours, Paris, A. Colin, 1989, pp. 240-248. Cfr. inoltre C. DULLIN, Souvenirs et notes de travail d’un acteur, Paris, O. Lieutier, 1946; ID.,Ce sont les dieux qu'il nous faut, Paris, Gallimard, 1969; ID., La ricerca degli dei. Pedagogia di attore e professione di teatro, Firenze, La Casa Usher, 1986 e, inter alia, J. HORT, Les théâtres du Cartel: Pitoëff, Baty, Jouvet, Dullin , Genève, Skira, 1944; J. SARMENT, Charles Dullin, Paris, Calmann-Lévy, 1950; A. ARNOUX, Charles Dullin. Portrait brisé, Paris, Emile Paul Freres, 1951; L. ARNAUD, Charles Dullin, Paris, L’Arche, 1952; C. BORGAL, Metteurs en scène. Copeau, Dullin, Jouvet, Baty et Pitoëff, Paris, L’Arche, 1963; M. SUREL-TUPIN, Charles Dullin, Bordeaux, Presses Universitaires, 1984; P. L. MIGNON, Charles Dullin, Lyon, La Manufacture, 1990.17) C. DULLIN, Ce sont les dieux qu'il nous faut, cit., p. 44. 18) Ibidem, pp. 39-40. 19) RHT, p. 17.20) R. LELIÈVRE, op. cit., p. 411.

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cartable de bois, ma pèlerine vosgienne à capuchon, faisant un interminable détour pour le plaisir de leur dire en passant: Buona serra [sic] carbonari. Cette Italie, je me l’étais construite aussi d’après les lettres de parents qui habitaient précisément pas très loin du pays d’origine de Pirandello, lettres qui faisaient l’objet d’interminables commentaires durant les longues veillées d’hiver, surtout quand il y avait eu là-bas un de ces cataclysmes si fréquents dans ce pays [...] Avouerais-je, aujourd’hui, sans vous faire sourire, que mes rapports avec les charbonniers m’ont été bien plus utiles, peut-être, que ce que les livres m’avaient enseigné sur la relativité quand il s’est agi, par exemple, de mettre en scène A chacun sa vérité?Pirandello était avant tout, pour moi, un vrai Sicilien, tourmenté, jaloux, violent. Le goût littéraire permettait peut-être un choix judicieux des moyens d’expression; mais ce qui animait ma création dramatique, c’était bien cette saveur de terroir, ce réalisme imagé et poétique dont j’avais eu l’intuition bien avant même de songer au théâtre (21).

L’interpretazione di Dullin si fondava anche sulla fascinazione esercitata da una visione sentimentale dell’Italia. L’improvisation, che faceva parte della sua formazione, gli appariva probabilmente tanto più giustificata poiché, ad esserne l’oggetto, era un evento culturale di origine italiana. Al contrario, Camille Mallarmé, pur non immune da certe suggestioni (non solo romantiche, ma anche politiche) di un’italianità tradizionale, si mostrò più attenta alla letteralità del testo scritto ed al rispetto della volontà dell’autore. Nel solco di questa divergenza va letto lo scontro tra la traduttrice e l’attore, riguardo al costume di scena di Baldovino (il personaggio interpretato da Dullin), episodio emblematico di due differenti letture dell’opera pirandelliana. Alla prova generale del 19 dicembre, egli si presentò con un abbigliamento «all’italiana», inadeguato alla Volupté de l’honneur e stranamente incurante delle indicazioni contenute nelle didascalie. Pirandello descrive infatti un Baldovino vestito di un «greve abito color marrone» nel primo atto, «sobriamente elegante; disinvolto ma con dignità; signore» nel secondo. Ad esso Dullin sostituì una sorta di travestimento buffonesco; solo la reazione furiosa ed ostinata della Mallarmé, finì per far desistere l’attore dall’indossarlo:

Près de sa loge, je me heurtai à un “Baldovino” invraisemblable: ficelé dans un pantalon étriqué arrivant aux chevilles, sa jaquette aux manches trop courtes ouverte sur un gilet à fleurs et une cravate volante, il portait pour comble une perruque de demi-chauve, d’un roux déteint, qui complétait le désastre de toute son apparence de pitre ... le plus misérable des pitres! Je criai, ébahie:- Quel déguisement, Dullin!Il dit, assez embarassé:- Nous répétons en costumes, aujourd’hui. - Costumes, costumes de quoi? La pièce est moderne.- Moderne ... en Italie, risqua-t-il.[...] JAMAIS je n’aurais accepté un erreur qui aurait froissé, là-bas, les susceptibilités les plus légitimes: le personnel de l’Ambassade, les correspondants de la presse italienne devaient assister à notre “générale”. Un Dullin travesti en “Italien de manière” non seulement rendait ridicule la pièce de Pirandello, mais susciterait une de ces âcres querelles de Latins à base d’amour-propre froissé, dont je ne connaissais que trop l’interminable douleur. Plutôt supprimer le spectacle! Je dominai ma colère:- Dullin, vous n’avez sûrement jamais voyagé en Italie. Vous croyez réaliser “un type” [...] Et vous, qui interprétez ce caractère orgueilleux avec une pénétration si magistrale, vous Dullin, vous le fagotez de la sorte, en lui fabriquant une tête de Jocrisse.- Jocrisse, madame!- Mais vous ne vous êtes donc pas regardé! Comment voulez-vous qu’Agathe Renni s’éprenne de cette perruque, de cette face minable? D’ailleurs grimez-vous comme vous voulez, c’est votre affaire ... Mais le gilet à fleurs, l’habit de clown, NON. Cela devient offensant pour Pirandello (22).

È comunque significativo notare come, nelle argomentazioni della traduttrice, all’amor proprio e alla volontà di tutelare il nome dell’autore, si aggiungano anche motivazioni di carattere politico, nell’attenzione agli equilibri diplomatici italo-francesi, e di ordine culturale, nel rispetto del testo scritto e della cultura italiana in generale. Il malinteso è tuttavia esemplare: la storia della ricezione pirandelliana in Francia sarà anche la storia dei suoi fraintendimenti.

21) C. DULLIN, Ce sont les dieux qu’il nous faut, cit., pp. 269-270.22) RHT, pp. 33-34.

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3. «Quelque chose de chaudement latin»

Il piacere dell’onestà, scritto tra l’aprile e il maggio 1917, fu allestito per la prima volta al Teatro Carignano di Torino, il 27 novembre 1917, dalla compagnia di Ruggero Ruggeri ( 23). Nella traduzione francese, La volupté de l’honneur, fu rappresentata il 20 dicembre 1922 al théâtre Montmartre, seguìta, nella stessa serata, dall’Antigone di Jean Cocteau. Il personaggio di Baldovino era interpretato da Dullin, Agata Renni da Alice Pierval, Fabio Colli da Louis Allibert e Marchetto Fongi da Antonin Artaud. L’aspettativa creata da Camille Mallarmé attorno a questo debutto era notevole, tanto che uno dei dati che più stupiscono a riguardo è la straordinaria mobilitazione di critici e pubblico per un autore sconosciuto, rappresentato in un teatro ancora giovane (24).

Molte delle recensioni allo spettacolo - o agli spettacoli, poiché la messinscena dell’Antigone ebbe un ruolo decisivo nell’attirare l’attenzione degli spettatori, a detrimento della pièce pirandelliana - riportano ampiamente il contenuto della commedia, seguìto o preceduto da notizie generali sull’opera di Pirandello, sulla recitazione e l’allestimento. Il criterio descrittivo-tematico è senza dubbio prevalente nei commenti dei recensori, in funzione della destinazione degli articoli, che dovevano illustrare, con sufficiente chiarezza, ad un pubblico potenziale, le parti principali dello spettacolo. Il tono è spesso didascalico; l’attenzione ai risvolti psicologici dei personaggi, soprattutto dei due protagonisti, risente forse ancora di un certo clima positivistico-naturalista. Il coinvolgimento empatico dei destinatari è uno degli strumenti privilegiati per suscitarne l’interessee; i riferimenti alla morale pubblica, alle convenzioni sociali contemporanee, al loro carattere punitivo, soprattutto sul personaggio di Agata, tendono infatti ad avvicinare idealmente i resoconti sulla pièce a pagine di cronaca o di costume, più che indurre ad una (anche sommaria) riflessione sul conflitto pirandelliano fra le diverse «maschere», per cui i tempi non sono forse ancora maturi. Scrive ad esempio Pawlowski:

La comédie de Pirandello que l’on nous a présentée comporte un premier acte tout à fait remarquable, un second fort embrouillé et assez médiocre, un troisième direct, clair et plein de mouvement. Cette comèdie a ceci de très particulier (j’entends en France) qu’elle est à deux étages superposés, l’un pour l’élite et l’autre pour le vulgaire. Les personnages également, et c’est ce qui fait le fond et l’originalité de la pièce.Sous l’oeil attendri de sa mère, une jeune demoiselle s’est laissé séduire par un marquis sentimental et marié. Il faut à tout prix couvrir cette faute, dont le fruit s’annonce prochain, par un mariage avec un homme de paille et un ami trouve ce mari bénévole: un pauvre diable de noble qui a connu tous les déshonneurs, mais qui se montre véritablement ravi que l’on fasse appel tout justement à lui pour rétablir l’honneur d’une noble famille. Et c’est là que le sujet de la pièce prend une singulière ampleur philosophique. Dans la vie que sommes-nous? Des comédiens jouant un rôle honorable ou malhonnête suivant le texte admis de ce rôle, mais ce rôle n’est qu’apparence et ne modifie point notre nature intime ondoyante et diverse (25).

François Mauriac racconta la commedia pirandelliana, sottolineando invece l’originale svolgimento del consueto triangolo sentimentale:

La Volupté de l’honneur remet en honneur, sous un déguisement moderne et avec plus de subtilité, le déclassé héroïque et le marquis infâme chers à nos pères. Une jeune fille du meilleur monde ayant commis une faute et le marquis, son complice, ne pouvant l’épouser, un déclassé, Angelo Baldovino, accepte de lui donner son nom et de considérer comme son fils l’enfant qui va naître. Mais, jouant la comédie de l’honneur, il prend son rôle au sérieux. Ce rôle d’honnête homme lui devient une seconde nature au point que le marquis, pour se débarasser de lui, l’ayant induit à voler trois cent mille francs, Baldovino voudrait que ce fût le marquis et non lui qui les volât; et il goûterait alors, à son degré le plus haut, la volupté de l’honneur, en s’accusant à la place du coupable [...]. Sensible à tant de grandeur d’âme, la jeune femme quittera son amant pour suivre son mari: ainsi la situation habituelle est-elle renversée. Il est possible que M. Luigi Pirandello ait des idées de derrière la tête et veuille que nous haïssions les 23) I personaggi di Agata Renni e Angelo Baldovino erano interpretati da Vera Vergani e Ruggero Ruggeri.24) Le recensioni qui prese in esame, pubblicate sui principali quotidiani parigini, sono raccolte nella Collection Auguste Rondel della Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi (Rt 3,745-I, Re 5,729). Per una, necessaria, contestualizzazione cfr. almeno J. BRENNER, Les critiques dramatiques, Paris, Flammarion, 1970 e M. DESCOTES, Histoire de la critique dramatique en France, Tübingen, Gunter Narr/Paris, Jean-Michel Place, 1980.25) G. de PAWLOWSKI, in «Journal», 21 décembre 1922.

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conventions du monde, la vertu officielle; il nous rend aimable ce chevalier d’industrie qui renonce à l’industrie: et il ne reste plus que le chevalier...Le “métier” du dramaturge italien nous a paru, en quelques endroits, assez sommaire. Mais c’est sans doute un esprit délié, insinuant, dangereux - et nous sommes curieux de ses autres ouvrages (26).

La puntualità dei resoconti, fitti di dettagli circostanziati, non è solo il segno della curiosità nei confronti dell’opera di Pirandello, a cui si accompagna quasi sempre un giudizio positivo, ma anche la testimonianza concreta di un dibattito sul teatro, in cui erano coinvolte personalità dotate di competenze ineguali e portavoci di opinioni eterogenee. L’attenzione dei critici è concentrata soprattutto sui temi della pièce; le uniche osservazioni riguardanti la struttura della commedia si limitano a mettere in rilievo la differenza tra il primo e gli altri due atti, considerati in genere deludenti e riducibili ad uno solo. Una delle poche eccezioni è la recensione di Antoine, che scrive invece:

Cette comédie rapide, apparaît d’abord un peu lente au premier acte, car la psychologie compliquée de Baldovino ne s’éclaire point sans de subtiles confessions et quelques exposés philosophiques assez imprévus dans leur railleuse franchise, mais, ensuite, la pièce marche nette, solide et vraiment attachante. Le troisième acte, surtout, est d’une simplicité et d’une sobriété puissantes (27),

fornendo un chiaro esempio di come non si possa in realtà parlare ancora di analisi delle strutture drammaturgiche, se non in rapporto alla loro funzionalità ai temi rappresentati.

Anche lo svelamento sentimentale finale, sul quale Gramsci aveva espresso un severo giudizio rimasto poi famoso (28), attirò opinioni unanimemente negative. L’«inattendu sentimental», così apprezzato dalla Mallarmé (29), fu in genere considerato dai recensori come una caduta di stile, una pericolosa insidia del boulevard o un’eredità della più radicata tradizione sentimentale «all’italiana»:

Le retournement sentimental de la fin nous déçoit un peu. C’est que le théâtre italien doit avoir ses règles et elles ne sont pas plus absurdes que celles qu’impose le public français aux auteurs à (30).

Il motivo più macroscopico che accomuna molte delle recensioni è il paragone tra l’opera di Pirandello e quella di George Bernard Shaw. L’analogia tra i due autori, proposta dalla stessa Camille Mallarmé, assolveva forse al compito di creare un retroterra rassicurante ad un teatro che si connotava fin dall’inizio per un’originalità straniante e sfuggente a categorizzazioni di genere. La sua enunciazione va interpretata come un’accorta operazione «promozionale», rivolta a critici sollecitati ad una scrittura veloce, a conoscenza forse dell’apprezzamento del drammaturgo irlandese per il teatro di Pirandello, più che come una seria intuizione comparativa; la stessa traduttrice finì, ad un anno di distanza, per ritrattare la sua opinione, precisando che molti critici avvicinavano la «qualité très spéciale» del talento di Pirandello a «celui de Bernard Shaw, quoiqu’ils soient profondément différents; l’irlandais s’occupant de problèmes sociaux et moraux, avec un parti-pris de contradiction; l’italien entièrement livré à sa dialectique cérébrale, dont il se divertit sans aucune arrière-pensée dogmatique» (31). Shaw è comunque il principale termine di

26) F. MAURIAC, in «Nouvelle Revue Française», 6 janvier 1923.27) ANTOINE, in «Information», 1er janvier 1923.28) Cfr. A. GRAMSCI, in «L’Avanti», 29 novembre 1917, ora in Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1953, pp. 307-308.29) Cfr. C. MALLARMÉ, Les Siciliens, cit., p. 89.30) P. SCIZE, s.l., 22 décembre 1922. Le sigle s.l. e s.d. indicano l'assenza di indicazioni sulla provenienza e la data dell'articolo in questione. In genere, nelle recensioni depositate nella Collection Rondel tali indicazioni, scritte a mano, precedono il testo a stampa. Cfr. anche H. BIDOU, in «Feuilleton du Journal des débats», 25 décembre 1922; R. GIGNOUX, in «Comoedia», 21 décembre 1922; INTERIM, in «Éclair», 22 décembre 1922.31) C. MALLARMÉ, Les Siciliens, cit., p. 85. Per il rapporto tra Pirandello e Shaw, cfr. I. NARDIELLO, Un caso letterario: la “ sfortuna ”di Pirandello in Inghilterra negli anni Venti e Trenta , in «Rivista di studi

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confronto; ad esso viene spesso associato un generico concetto di «ironie» o di «paradoxe», sintomo della limitata diffusione della definizione pirandelliana di umorismo; altrove il parallelo con il drammaturgo irlandese fornisce invece il pretesto per un compianto sullo stato delle cose del teatro francese rispetto alla scena europea:

Avec une sécurité délicieusement ironique, Baldovino procède à cette démonstration. Il conduit les entretiens avec une maîtrise narquoise qui nous fait songer à Socrate, - et aussi à Bernard Shaw. Les dramaturges italiens connaissent bien les pièces de Shaw et d’Ibsen. On peut avoir de moins grand maîtres. Pourquoi le théâtre italien rayonne-t-il? C’est qu’il ne subit plus l’influence de Scribe et de son école (32).

Per altri critici, talvolta in dissenso con il parallelo tra Shaw e Pirandello, l’opera di quest’ultimo, nonostante il suo respiro europeo, si caratterizza per una sorta di onnicomprensiva italianità: i suoi ascendenti diretti sono infatti riconoscibili nella tradizione latina o addirittura classica:

M. Charles Dullin, qui fit revivre Calderon, nous donna hier “La Volupté de l’Honneur”, oeuvre italienne, et qu’on peut croire plus attiré par le génie latin [...]. M. Luigi Pirandello est le Bernard Shaw de son pays, mais il reste esséntialement Italien. Son humour, sa dialectique, son souple esprit déducteur, ce je ne sais quoi de logique, d’escamoteur, de charmant dans le paradoxe, ce quelque chose d’animé, de bien vivant jusque dans l’utopie, tout cet ensemble à la sonorité et à la vivacité inimitables ne pouvait éclore que sur la terre ensoleillée dont la Grèce fit sa plus grande colonie intellectuelle. Ainsi s’explique le succès national de M. Luigi Pirandello. Il a, avec ses compatriotes, d’étroites correspondances. Mais si ce génie du sol lui donne une délicieuse saveur, il possède aussi des dons généraux, susceptibles d’être compris et appréciés en tous pays (33).

Il riconoscimento dell’italianità del testo va contestualizzata non solo rispetto ad una tipicità differente del teatro francese, quanto piuttosto alle mutate condizioni politiche e soprattutto alla percezione diffusa della cultura italiana, perpetuata per mezzo degli stereotipi del buffonesco, dell’arlecchinata, delle maschere della commedia dell’arte, che con le maschere nude sembrano avere ben poche affinità. A ciò va aggiunta la suggestione esercitata dall’origine insulare di Pirandello, che si prestava a facili associazioni con un imprecisato genio latino. La responsabilità di un tale atteggiamento va forse attribuita ad una scarsa conoscenza del repertorio italiano contemporaneo (fatta eccezione per D’Annunzio e le sintesi futuriste), che conduceva all’identificazione del teatro italiano cinquecentesco con il teatro italiano tout court ed anche alla riattualizzazione, compiuta in tempi recenti da diversi uomini di teatro, tra cui Evreinov e Copeau, della medesima tradizione teatrale, della sua elevazione a paradigma del lavoro artigianale della scena. Se a questo si aggiunge il peso formativo che la figura di Jacques Copeau aveva avuto su Dullin e la comunanza spirituale, si direbbe quasi la filiazione, tra il Vieux-Colombier e l’Atelier, l’associazione del teatro pirandelliano al modello cinquecentesco, l’individuazione di uno stereotipo di italianità drammaturgica risultano più comprensibili, soprattutto tra le righe di critici autorevoli ed informati. Si tratta dunque di una concomitanza di fattori, politici e culturali, di cui la forzatura interpretativa, consapevole o inconsapevole che fosse, diviene solo un segnale esteriore.

L’unica nota di dissenso, in questa direzione, viene dalla recensione di Georges André George, critico anche verso le scelte della Mallarmé:

C’est la première pièce de Pirandello qui soit traduite et jouée en France. L’auteur est connu chez nous par Feu Mathias Pascal, qui est un bon roman. Je me demande si on l’a bien servi en nous offrant pour exemple de son

pirandelliani », n. 14/15, dicembre 1997, pp. 163-178.

32) F. NOZIÈRE, in «Avenir», 24 décembre 1922. Cfr. anche M. BEX, in «Comoedia», 19 décembre 1922; R. GIGNOUX, cit.; P. SOUDAY, s.l., 22 décembre 1922; L. DUBECH, in «Action Française», 25 décembre 1922; «E. SÉE, in «Oeuvre», 29 décembre 1922. 33) J. CATULLE-MENDÈS, in «La Presse», 22 décembre 1922. Cfr. anche A. BEAUNIER, in «Echo de Paris», 22 décembre 1922; M. GIRARD, in «Le Figaro», 22 décembre 1922; G. D'HOUVILLE, in «Le Gaulois», 23 décembre 1922; H. BIDOU, cit.; H. HENRIOT, in «Renaissance», 13 janvier 1923.

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théâtre, La Volupté de l’Honneur. D’abord il est impossible de s’intéresser aux fantoches inexistants que sont tous les personnages, sauf un [...]. On a rappelé à juste titre, je crois, le nom de Bernard Shaw. On pense aussi, au passage, à certaines scènes de Wilde. Tout cela n’est pas très “latin” et demeure très différent du théâtre italien moderne, de Giacosa à Sem Benelli. Et l’on s’étonne un peu, me semble-t-il, que La Volupté de l’Honneur ne soit pas signée d’un nom germanique (34).

Altrove i termini di paragone appartengono alla tradizione francese: Curel, Roger Marx, Zola, fra gli altri; le motivazioni dei confronti riconducono però sempre ad un tipo di analisi esclusivamente tematico (35). Mancano quasi completamente le accuse di cerebralismo; la conoscenza di Pirandello è ancora troppo limitata per rendere possibile la canonizzazione che si registrerà nei mesi successivi quando, l’aggettivo «cerebrale» diventerà un preciso marchio del pirandellismo alla moda. Per ora esso ricorre episodicamente, mai in senso negativo, accompagnato da altri attributi, come nel testo di Jane Catulle-Mendès, che parla di un «attrayant mélange de cérébralité excessive et d’humanité vraie qui plaît et surprend» (36).

Tra gli autori di queste recensioni non molti si mostrano in grado di proporre una lettura convincente dell’opera di Pirandello. Le notazioni hanno rilievo rispetto al contesto da cui vengono estratte, ma in esse va comunque riconosciuto un primo sforzo di chiarire alcuni dei nodi dell’arte pirandelliana, a partire dall’umorismo:

Ces personnages ont deux âmes, pour ainsi dire: leur âme vraie et l’âme que leur fait la société ou qu’elle exige d’eux. Une âme vraie, une âme fausse? Oui; seulement, c’est bientôt dit. Laquelle de ces deux âmes est la vraie? Toutes deux ont, l’une sur l’autre, quelque influence; toutes deux sont vraies, en quelque sorte: et la plus vraie n’existe peut-être pas, indépendamment de celle qui est moins vraie.De telles idées, ou méditations, ou rêveries, ou dangereuses moqueries, sont la substance de cette comédie. Et la comédie les tourne à une gaieté de l’esprit tout à fait rare et amusante, à une gaieté inquiète aussi (37).

In un solo caso viene esplicitato il riferimento ad altri testi teatrali di Pirandello; si tratta però di una recensione posteriore alla maggioranza presa in esame, scritta forse dopo una riflessione più approfondita e documentata:

Luigi Pirandello s’est fait une spécialité de mettre au théâtre l’étude de cette sorte de problèmes. La série de ses pièces porte jusqu’ici le titre symbolique et général de Masques nus. Il y analyse, avec une précision toujours aiguë, les plus subtils mouvements de la vie intérieure et surprend des secrets que les personnages eux-mêmes, parfois, ne soupçonnaient pas en eux, les forçant, avec un art très sur, à nous révéler peu à peu ce qui se passe dans les profondeurs de leurs âmes. La Volupté de l’honneur est, dans son oeuvre, une pièce particulièrement originale et qu’il faut remercier M. Charles Dullin de nous avoir fait connaître (38).

L’apporto di Dullin al successo della pièce fu riconosciuto da quasi tutti i recensori, benevoli nei confronti della sua recitazione, a volte meno indulgenti nei confronti della troupe di giovani attori del suo Atelier. Il merito di Dullin consisteva nell’avere rivelato un nuovo autore, nell’aver contribuito a chiarirne i lati oscuri con una recitazione di alto livello. Basterà continuare a citare Rivoire, per avere un esempio sufficientemente rappresentativo dell’opinione generale:

Il [Dullin] jouait lui-même le rôle principal et il a su, avec beaucoup de talent, en éclairer pour nous les points obscurs, d’ailleurs bien secondé par une jeune troupe, solidement formée à son école. Souhaitons qu’il découvre bientôt, dans la production de nos jeunes auteurs, des manuscrits intéressants, des oeuvres neuves: il est désormais outillé pour les produire utilement (39).

34) G. ANDRÉ GEORGE, in «Lettres», mars 1923. 35) Cfr. ANTOINE, cit.36) J. CATULLE-MENDÈS, cit.37) A. BEAUNIER, cit. (mia la sottolineatura). Cfr. anche A. DALIMIER, s.l., 25 décembre 1922; L. DUBECH, cit.38) A. RIVOIRE, in «Feuilleton du Temps», 15 janvier 1923. Cfr. anche R. GIGNOUX, cit.; E. HENRIOT, cit.39) Ibidem.

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Le osservazioni sulla recitazione di Dullin possono essere lette come indici della sua relativa neutralità. La sua fu dunque, per così dire, una presenza trasparente, che non apportò colorazioni personali marcate, né contribuì a formulare nuove interpretazioni, nuove letture. La messa in scena dei Six personnages, al contrario, avrebbe inaugurato un nuovo corso della ricezione e dell’assimilazione dell’opera pirandelliana in Francia. La percezione di questa drammaturgia sarà mediata infatti dalla precisa coscienza del ruolo del regista, della sua funzione artistica, e dal bagaglio culturale e professionale dei Pitoëff. L’interpretazione di Pirandello verrà contaminata dall’associazione ad altri autori presenti nel repertorio della compagnia, primo fra tutti Henri-René Lenormand, e proprio per questo sarà ad un tempo fraintesa, deformata ma anche arricchita. E condizionata, in questa duplice direzione, positiva e negativa se si vuole, sarà anche la reazione del pubblico. Si tratta però di una svolta irreversibile, che colloca l’opera pirandelliana in uno spazio pienamente europeo e sperimentale. Ciò spiega anche perché il ruolo della coppia Mallarmé-Dullin venne dimenticato così in fretta, in favore di quella Crémieux-Pitoëff. A distanza di soli quattro mesi «l’interprétation qu’a donnée Dullin de La volupté de l’honneur semble oubliée» (40).

4. L’esegesi di Benjamin Crémieux

Benjamin Crémieux fu traduttore e commentatore dell’intera opera narrativa, teatrale, saggistica di Pirandello. La sua prima traduzione risale al 1913, ma l’occasione dell’incontro e l’inizio della collaborazione con il drammaturgo coincide con l’allestimento dei Six personnages en quête d’auteur di cui l’italianisant fu uno degli artefici, nel 1923. Egli «aveva portato prima la commedia a Copeau (41), poi ai più importanti attori e autori di teatro di Parigi, che l’avevano rifiutata come irrappresentabile» (42), finché l’aveva proposta a Georges e Ludmilla Pitoëff, che avevano deciso di metterla in scena, alla Comédie des Champs-Elysées.

Nel 1913, il risultato di un’inchiesta sulla diffusione della cultura italiana in Francia, apparsa sul primo numero di «France-Italie» (1913-1914), di cui Crémieux era allora caporedattore, aveva rivelato la scarsa attenzione degli intellettuali francesi nei confronti delle «esperienze contemporanee, ad eccezione di qualche riferimento all’opera ed al prestigio di Carducci, Fogazzaro e D’Annunzio», orientando il successivo lavoro di mediazione della rivista a «colmare quel vuoto di conoscenza», attraverso la traduzione di studi critici e di testi letterari. Fra questi ultimi, nel secondo numero di «France-Italie», la traduzione della novella Il lume dell’altra casa, pubblicata da Pirandello nel 1909 (43), a cui Crémieux diede il titolo di La lumière d’en face. È l’inizio di una frequentazione, limitata per ora all’opera del prosatore, ma destinata ad estendersi, nel corso degli anni Venti, a gran parte del teatro. L’implicito giudizio di valore espresso da Crémieux sulla scrittura pirandelliana appare dunque precocemente acuto, specialmente se rapportato all’atteggiamento dell’ambiente fiorentino in cui si muoveva l’italianisant ed, in genere, dei contemporanei. La semplice cronologia fornisce un eloquente strumento di valutazione: Prezzolini ed i vociani ignorarono a lungo Pirandello (44) ed il discusso saggio di Renato Serra fu 40) R. LELIÈVRE, op. cit., p. 417. 41) Copeau rimase sempre diffidente verso Pirandello; scrive in proposito Paul Renucci: «Refusée par Jacques Copeau, qui l'eût acceptée, au lieu que, venant d'un étranger quinquagénaire, elle ne l'intéressait pas, la "comédie à faire" des Six personnages fut reçue avec enthousiasme par Georges Pitoëff» (in L. PIRANDELLO, Théâtre complet, a cura di P. Renucci, Paris, Gallimard, 1977, vol. I, pp. 1356-1357).42) G. GIUDICE, Luigi Pirandello, Torino, UTET, 1963, p. 368.43) Il lume dell'altra casa venne pubblicata in «Corriere della Sera», 12 dicembre 1909; poi in Terzetti, 1912. Per «France-Italie», cfr. F. PETROCCHI, Profili di italianisants: Benjamin Crémieux e Louis Chadourne , Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 14 e sgg. Su Crémieux, cfr., ad esempio, A. EUSTIS, Marcel Arland, Benjamin Crémieux, Ramon Fernandez. Trois critiques de la Nouvelle Revue Française, Paris, Nouvelles Èditions Debresse, 1961 e S. BARIDON, A proposito di alcune traduzioni francesi di Pirandello, in Atti del Congresso internazionale di studi pirandelliani presso la fondazione Giorgio Cini di Venezia (2-5 ottobre 1961), Firenze, Le Monnier, 1967, pp. 99-155.44) Ricordando gli anni della «Voce», Giuseppe Prezzolini ebbe a scrivere infatti: «L'elenco dei collaboratori de La Voce contiene quasi tutto il meglio degli scrittori di quel periodo, ma fra le deficienze che si posson indicare a carico

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pubblicato nel 1914 (45), mentre la traduzione pirandelliana di Crémieux risale, come si è detto, al 1913 ed il Roman italien contemporain, in cui si fa cenno per la prima volta a Pirandello, è addirittura antecedente, del 1909 (46); occorre però aspettare i primi anni Venti, e quindi la grande stagione del teatro, che né Prezzolini, né Serra potevano conoscere o immaginare, perché l’interesse generico del traduttore si muti in un’analisi ampia ed articolata (47).

Nell’introduzione al Panorama de la littérature italienne contemporaine, del 1928, Crémieux definisce la propria opera una sorta di «vue aérienne oblique» sulla letteratura italiana, destinata a «mettre en lumière les oeuvres, les problèmes, les crises, les mouvements les plus significatifs pour l’étranger: toutes les manifestations littéraires d’un intérêt, d’une portée ou d’un exemple universels, et toutes celles, d’autre part, dont la signification était exclusivement, typiquement italienne». Ma l’individuazione dei caratteri di tipicità di una letteratura nazionale non si confonde affatto con il nazionalismo degli stereotipi da Strapaese, né con l’idealismo sovranazionale, ma cerca piuttosto un difficile equilibrio tra le due posizioni. La cosciente estraneità, l’assunzione di un punto di vista esterno alle cose, corrisponde da un lato alla distanza critica, al rifiuto degli «ismi», mentre dall’altro evidenzia la preoccupazione della chiarezza didascalica, informativa, rispetto ad un orizzonte d’attesa étranger, ad un lettore «barbare», ma anche la necessità di «far penetrare soprattutto nel pubblico dei letterati francesi esiti e tendenze elaborate entro la cultura letteraria italiana, utili a sviluppare un fertile processo di assimilazione o di confronto dinamico» ( 48). Anche la mediazione della drammaturgia pirandelliana, cominciata nel 1922, non può essere interpretata, se non a partire da queste premesse.

Il primo intervento di Crémieux sul teatro di Pirandello, pubblicato nella «Revue de France» del quindici agosto 1922, precedeva - come si è detto - la rappresentazione dei Six personnages e della Volupté de l’honneur (49). Si trattava dunque del primo studio rilevante sull’opera pirandelliana, proposto in Francia nello stesso anno in cui, in Italia, usciva la seconda edizione del saggio di Adriano Tilgher (50), che Crémieux conosceva e ammirava, ma da cui prese presto le distanze. Alla base del «pirandellisme» - spiega infatti nel 1922, ai futuri lettori e spettatori parigini - sta la «dissociation des sentiments» propria di ogni arte umoristica. Ed alla chiarificazione del concetto di umorismo, e del singolare «sur-réalisme» (51) pirandelliano, è dedicata parte considerevole dell’articolo:

Pirandello nous introduit dans un monde qui lui appartient en propre; il nous contraint à chausser ses besicles. Bien curieuses lunettes qui ont à la fois la puissance déformante de miroirs courbes et la transperçante vertu des rayons X.

nostro c'è stata quella di non aver attirato alcuni che avrebbero potuto, con nostro onore, figurare benissimo nella nostra panoplia [...]. Un'altra mancanza grave fu il Pirandello; ma questo accadde certamente perché a quel tempo nessuno di noi, e forse nemmen l'autore stesso, ne poteva prevedere gli sviluppi, com'è chiaro dal cenno assai breve e non lusinghiero del Serra nella sua compilazione de Le lettere». (G. PREZZOLINI, Il tempo della «Voce», Milano-Firenze, Longanesi-Vallecchi, 1960, pp. 23-24). Ci si riferisce naturalmente al primo periodo di attività della rivista, dal dicembre 1908 alla fine del 1914, sotto la direzione di Prezzolini e, nel 1912, di Giovanni Papini. 45) Cfr. R. SERRA, Le lettere in Scritti letterari, morali e politici. Saggi e articoli dal 1900 al 1915, Torino, Einaudi, 1974, pp. 361-482. 46) B. CRÉMIEUX, Le Roman italien contemporain, in «Revue de Synthèse Historique», août-décembre 1909, t. II, pp. 323-347.47) Crémieux stesso rileva questo ritardo della critica italiana, cfr. B. CRÉMIEUX, Le théâtre de Luigi Pirandello, in «La Revue de France», n. 13, 1er juillet 1922, 852-859; si indicherà di seguito con la sigla RF.48) F. PETROCCHI, op. cit., pp. 23-24.49) Cfr. J.-L. COURTAULT-DESLANDES, op. cit., p. 183: «.. le 15 août 1922, Benjamin Crémieux avait publié une bonne analyse de “l'humorisme” pirandellien; Camille Mallarmé dont le paragraphe sur Pirandello n'avait pas encore paru dans Ecrits Nouveaux, se sentit “doublée” et crut devoir avertir Dullin de “l'arrivisme” accaparateur de son concurrent» (le parti tra “ ” corrispondono a citazioni dai Témoignages inédits). 50) Cfr. A. TILGHER, Studi sul teatro contemporaneo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1919 (seconda edizione: 1922). Su Tilgher, cfr. la sintetica analisi di G. ANTONUCCI, Storia della critica teatrale, Roma, Studium, 1990, pp. 103-113. 51) Il termine «sur-réalisme», traducibile con «iperrealismo» sorprende per la sua modernità rispetto alle coeve interpretazioni critiche dell’opera pirandelliana. Inevitabile sottolineare anche il possibile, implicito, riferimento al «surréalisme», intuizione altrettanto precoce ed acuta.

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Au point du départ du pirandellisme, il y a, comme dans tout art humoristique, une dissociation des sentiments. Par humour, il faut entendre ici [...] cette vue double du réel qui discerne sous chaque sentiment la présence de son contraire, sous les larmes le rire et le comique sous le drame (52).

E a partire da questo sdoppiamento, dai suoi risvolti psicologici, si configura il nucleo del teatro di Pirandello:

Très vite, l’humour de Pirandello s’est spécialisé dans une variété particulière de dissociation des sentiments: la dissociation de la personnalité. Tout son théâtre, dans la diversité des ses scénarios, n’est qu’une série d’études de ce genre [...] La personnalité d’un homme, c’est quelque chose, c’est cent mille choses, et ce n’est rien. Un roman que Pirandello annonce depuis dix ans et qui doit paraître l’hiver prochain s’intitule, conformément à cette théorie: Un, personne, cent mille. A n’en pas douter, en effet, chacun de nous est quelqu’un, il a la conscience d’être quelqu’un de parfaitement précis et caractérisé; mais ce quelqu’un qu’il a conscience d’être, l’est-il réellement? Chacune des personnes auxquelles il a affaire se forme de lui une image précise, mais différente, et, qu’il le veuille ou non, tout individu moule sa personnalité sur l’idée que se fait d’elle chacun de ses interlocuteurs [...].Le Drame naîtra soit du refus de l’individu à renoncer à ce qu’il se figure sa vraie personnalité, soit du conflit entre la personnalité qu’il imagine lui-même et celle que les autres lui attribuent, soit du conflit social provoqué par la volonté de l’individu d’agir comme il le prétend, et non pas comme le lui imposent sa situation et les circonstances, soit enfin du heurt entre elles de deux ou trois de ses personnalités placées en porte-à-faux ( 53).

L’analisi di Crémieux individua alcuni elementi che permettono, ad un pubblico che non ha ancora conoscenza diretta dei testi, di accostarsi all’essenza (non all’ideologia) dell’opera di Pirandello; per questo le parti esplicative vengono intercalate da citazioni di passi di pièces o da brevi introduzioni riassuntive (54). Nei Six personnages en quête d’auteur, ad esempio, si assiste ad una sorta di pirandellismo di terzo grado, per la scelta dei «personaggi», per l’argomento (la vicenda coniugale tra il Padre e la Madre, comune ad altri testi) e perché «les scènes principales de ce drame que les acteurs consentent à jouer sont représentées successivement par les personnages eux-mêmes, puis par les acteurs qui en faussent le sens». L’arte pirandelliana non è però solo un’arte dell’intelligenza, e il principale rammarico del critico è di non riuscire a trasmettere «la charge d’humanité introduite par Pirandello dans chacun de ses drames, dans chacune des ses comédies». Tuttavia, anche il solo gioco cerebrale basterebbe a rivelare l’originalità di questa nuova drammaturgia:

Mais, même à ne considerer que le simple jeu de l’intelligence, on voit toute l’originalité et toute l’ingéniosité de ce théâtre de marionnettes humaines (55). Maschere nude, masques nus, tel est le titre général que lui a donné Pirandello. Le masque, c’est la personnalité dont chacun de nous s’affuble; la nudité, c’est le dépouillement de nous-mêmes que la vie, la socièté plus souvent encore que le hasard nous infligent. C’est peut-être que la vie, la société sont mal faites. Le seul remède que découvre à cela Pirandello, c’est l’amour et le sacrifice. De son théâtre si âprement pessimiste et si résolument sceptique, c’est en définitive une grande leçon de bonté qui se dégage (56).

Il rifiuto di un pirandellismo completamente cerebrale è accomunato al giudizio sulla modernità

strutturale della costruzione drammaturgica. Il parallelo tra «maschera» e «nudità» elude, per ora, il dualismo tilgheriano Vita-Forma e conduce inaspettatamente all’idea della «bonté» pirandelliana,

52) RF, pp. 853-854.53) Ibidem, pp. 854-855.54) Le opere in questione sono Così è (se vi pare), per cui Crémieux propone il titolo di Comme il vous plaira, Penses-y Jacquot!, Comme avant, mieux qu'avant, Tout est bien, Six personnages en quête d'auteur, Henri IV. Di esse, come di Uno, nessuno e centomila, si intuisce che Crémieux avesse conoscenza diretta. Cfr. RF, pp. 856-859.55) Crémieux ha citato, in apertura di saggio, Il fu Mattia Pascal, come «le roman le plus caractéristique de Pirandello»; pertanto risulta quasi impossibile, commentando l'espressione «théâtre de marionnettes humaines», non fare riferimento ad alcune celebri pagine del romanzo o dell'Avvertenza sugli scrupoli della fantasia. Il tema della marionetta nel teatro pirandelliano, allora quasi inesplorato, è poi diventato oggetto di diversi. Inevitabile il riferimento a E. G. CRAIG, Il trionfo della marionetta. Testi e materiali inediti, Roma, Officina Edizioni, 1980.56) RF, p. 859.

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idea sorprendente, ma non episodica, come confermò la sua successiva riformulazione. Scriveva infatti Crémieux, in un saggio del 1923:

Il ne faut pas se hâter de juger Pirandello. Il méprise l’éclat et la séduction; il se sait désobligeant et amer. Mais il sait aussi quelle grande leçon de force et de bonté contient son oeuvre. Il sait qu’il n’est pas un simple démolisseur: cette vie qui nous fuit sans cesse et qui déçoit ceux qui croient l’avoir fixée, l’homme digne de ce nom doit courageusement la construire minute par minute, aussi belle, aussi bonne qu’il le peut pour lui et pour les autres. Le malheur de l’homme est fait en grande partie de son inertie intellectuelle et morale. Le territoire où l’homme peut exercer son pouvoir est bien étroit: le passé ne lui appartient plus, le futur ne lui appartient pas encore, mais il peut modeler le présent à son gré, pourvu qu’il se conforme aux exigences perpétuellement changeantes de la vie. Lueur d’éspoir et d’optimisme au milieu des ruines! (57).

Il saggio del 1923 venne pubblicato ad un mese dalla rappresentazione dei Six personnages di Pitoëff, quasi contemporaneamente alla traduzione francese del libro di Tilgher. Si può immaginare, con una certa probabilità, che i due critici si fossero incontrati in occasione della prima dello spettacolo, alla quale Tilgher era stato invitato (58). La sua opera, che aveva suscitato l’entusiasmo dello stesso Pirandello, incontrò in ambiente francese un terreno fertile alle discussioni (59). La posizione di Crémieux appare quanto meno ambigua; all’ammirazione per il filosofo italiano si unisce un’evidente diffidenza verso le formule riduttive, già accennata nel 1922, e riaffermata dopo il trionfo dei Six personnages:

La meilleure étude critique qui ait été publiée sur l’oeuvre de Luigi Pirandello est sans doute celle d’Adriano Tilgher, dans ses Studi sul teatro contemporaneo. Le riche contenu de cette oeuvre est exposé avec une rigueur et une solidité d’analyse impeccables. De cette étude, le pirandellisme sort systématisé de la façon la plus cohérente et la plus complète. Mais quel que soit l’intérêt du pirandellisme, ce serait pourtant diminuer Pirandello que de le réduire au pirandellisme. On peut même se demander si ce ne serait pas fausser la signification de toute son oeuvre.Théâtre d’idées, a répété sur tous les tons la critique française, après la représentation des Six personnages en quête d’auteur. Il faut répondre tout de suite: “non”. Théâtre qui fait penser, mais non pas d’idées. Et dans le même sens, il faut dire également qu’il n’existe pas de pirandellisme chez Pirandello, mais qu’on peut extraire de l’oeuvre de Pirandello le pirandellisme (60).

Il termine «pirandellisme» viene utilizzato ora in un’accezione peggiorativa, che evolve ulteriormente in senso negativo nel saggio del 1928. Dal 1924, esaurita la breve stagione del successo, si assiste ad un progressivo distacco del pubblico e della critica dall’opera di Pirandello, parallelo all’allontanamento dello stesso drammaturgo dalle formulazioni di Tilgher (61).

Riprendendo la precedente definizione di umorismo come arte realistica, Crémieux colloca Pirandello in uno spazio europeo, proponendo una comparazione anticipatrice di tanti ricorsi della successiva critica pirandelliana:

57) B. CRÉMIEUX, Portraits d’écrivains étrangers. Luigi Pirandello, in «Revue politique et littéraire. Revue Bleue», n. 10, 19 mai 1923, pp. 337-342 (la citazione riportata è a p. 339. Si indicherà di seguito con la sigla RB). 58) Cfr. G. GIUDICE, op. cit., p. 391 e L. PIRANDELLO, Abbasso il pirandellismo, ora in «Belfagor», a. XLII, n. 1, 31 gennaio 1987, pp. 53-70. Cfr. anche J. MØESTRUP, Le correzioni ai Sei Personaggi e il Castelvetro di Pirandello, in «Revue Romane», t. II, 1967, pp. 121-135. 59) Cfr. G. MARCEL, Il «tragico» e la «personalità» nell'interpretazione tilgheriana di Pirandello, in «Nouvelle Revue Française», 1er juillet 1924, (tr. it. in La Nouvelle Revue Française. Antologia critica, a cura di M. FINI e M. FUSCO, Milano, Lerici, 1965, pp. 217-225).60) RB, p. 337.61) Cfr. G. GIUDICE, op. cit., p. 394 e sgg. Crémieux, nel 1928, condanna ancora il pirandellismo, con parole e toni invariati rispetto al saggio del 1923 (B. CRÉMIEUX, Panorama, cit., pp. 270-272.): «Toute la critique pirandellienne a été et demeure influencée par une excellente étude d'ensemble d'Adriano Tilgher, la plus importante de son livre sur le théâtre contemporain. Le contenu idéologique de l'oeuvre s'y trouve exposé avec une rigueur et une solidité impeccables dans l'analyse. De cette étude, le pirandellisme sort systématisé de la façon la plus cohérente et la plus complète. Mais quel que puisse être l'intérêt du pirandellisme, ce serait fausser la signification intime de l'oeuvre de Pirandello que de la réduire à un système. On a pu extraire le pirandellisme des ouvrages de Pirandello - il est même arrivé parfois à Pirandello de s'abandoner trop complaisamment à ce pirandellisme, - mais son art existe et se justifie en dehors de tout système». Cfr. anche ID., Luigi Pirandello et Tilgher, in «Revue de Paris», 1er décembre 1934.

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En se faisant humoriste, Pirandello ne fait rien autre chose que du réalisme strict. Il ne deforme pas, il ne systématise pas la vie, comme on le prétend, il ne fait que copier la vie telle qu’elle est [...]. Il ne consent pas à vêtir ou à farder la vie; il la montre telle quelle est en réalité: un incessant duel entre la vie et le sentiment de la vie.Les consequences de ce duel permanent sont infinies. Les quatre cents nouvelles, les cinq romans, les vingt-huit pièces de théâtre qu’a écrits Pirandello n’ont d’autre objet que d’illustrer ces consequences, et en le faisant, Pirandello s’est, sans le savoir, rencontré avec la philosophie de la mobilité bergsonienne, avec le freudisme, avec le relativisme einstenien, avec Proust. Il a touché le fond du grand problème qui plus ou moins hante les philosophes et les écrivains d’aujourd’hui: la multiplicité de la personnalité humaine, l’incommunicabilité des êtres entre eux, la difficulté de différencier l’illusion de la réalité, etc. [...]Le réalisme avec lequel Pirandello prend soin de reproduire le point de vue de chacun de ses héros a pour conséquence une inégalité extrême dans diverses notations qui se succèdent au cours d’un récit ou d’un acte. Des remarques qui ne dépassent guère en portée les observations ordinaires des amuseurs de la Vie Parisienne voisinent avec des notations qui, par leur imprévu, leur acuité, leur profondeur égalent Pirandello à un Stendhal, un Dostoiewski, un Proust (62).

Queste comparazioni verranno riprese in termini quasi invariati nel Panorama del 1928 (63), a conferma dell’importanza che ad esse attribuiva l’autore, non meno che della consuetudine metodologica a procedere dall’individuazione delle particolarità nazionali al loro superamento in una direzione europeista, che diventa tanto più convinta, quando le circostanze storiche sembrano agire nella direzione opposta (64). La mediazione di Crémieux sembra dunque, fin dall’inizio, connotata da un’indagine complessa, alla quale l’«esegesi registica» di Pitoëff fu complementare:

dans cet ascenseur inoubliable [...] il y avait une septième personne, invisible celle-là: celle qui, par sa persuasion auprès des comédiens, par son intimité avec l’auteur, par sa connaissance de la langue italienne et surtout de la langue française, avait oeuvré pour qu’un tel cadeau fût offert à la scène de notre pays: Benjamin Crémieux ( 65).

5. La «naissance plastique» dei Sei Personaggi

L’ascensore, in primis. L’allestimento dei Six personnages en quête d’auteur di Georges (1884-1939) e Ludmilla (1895-1951) Pitoëff è stato nel tempo associato a questo apparecchio scenico, che servì a calare dall’alto i Sei Personaggi sul palcoscenico della Comédie des Champs-Elysées. Non c’è cronaca drammatica o saggio sull’argomento che non rievochi il montacarichi, divenuto il simbolo, per così dire, il correlativo oggettivo della svolta teorica e creativa segnata nella scrittura di Pirandello dalla rappresentazione del 1923.

L’occasione del primo incontro tra Georges Pitoëff ed il teatro di Luigi Pirandello avvenne verosimilmente nel 1920 (66). Nonostante la divergenza tra la pratica attoriale e registica dell’uno e 62) RB, p. 338.63) Cfr. B. CRÉMIEUX, Panorama, cit., p. 279: «Cette dualité de la forme et de la vie [...] fournit sa matière à la plupart des récits et à toute le théâtre de Pirandello, elle aboutit à la théorie pirandellienne de l'humour, à la fois si personnelle et si proche des principaux courants de la pensée contemporaine: mobilisme bergsonien, inconscientisme freudien, relativisme d'Einstein, subjectivisme de Proust».64) Cfr. F. PETROCCHI, op. cit., pp. 23-24, 91 e sgg. A questo proposito, non si può almeno non rilevare la posizione teorica di maggiore interesse espressa da Crémieux nel saggio del 1928, vale a dire la definizione del «tragique de conscience» pirandelliano. L’idea di un tragico intellettuale, ma non «cerebrale», va messa in relazione forse alla suggestione esercitata sul testo pirandelliano, dall’accento tragico dell’interpretazione di Pitoëff (cfr. B. C RÉMIEUX, Henri IV et la dramaturgie de Luigi Pirandello(suivi de la traduction française d’«Henri IV», Paris, Gallimard, 1928). Su un altro piano, la progressiva riflessione sul tragico sembra strettamente connessa all’involversi dei fatti della Storia, ipotesi confermata dallo stesso Crémieux (cfr. B. CRÉMIEUX, L’interprétation du tragique, in «La Nouvelle Revue Française», 1939, 2, pp. 468-474), che fu deportato e ucciso a Buchenwald nel 1944. 65) P. ABRAHAM, Les intercesseurs, in «Europe», juin 1967, p. 6.66) Importante e significativa, anche in rapporto alle interpretazioni che verranno date all’allestimento dei Six personnages, l’ipotesi avanzata da G. LISTA, La scena e l'avanguardia storica, in H. BÉHAR, Il teatro dada e surrealista (tr. it. di G. Lista), Torino, Einaudi, 1976, p. XXXV: «Nel marzo 1920, in tournée in Svizzera, Art et Action presentò ai Pitoëff le pièces futuriste sensibilizzandoli, si potrebbe dire, alla lettura di Pirandello. L’estrosa inventività di cui diedero prova i Pitoëff nel montare i Sei personaggi tre anni dopo, deve forse qualcosa a questo contatto col futurismo».

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la controversa estetica teatrale dell’altro, una serie di punti di raccordo, di affinità, rese possibile e consolidò gradualmente un rapporto professionale e umano che conobbe fasi alterne ( 67). Le circostanze in cui ebbe inizio sono divenute poi quasi leggendarie. Il semplice interesse biografico basterebbe a giustificare la loro rievocazione; ma alle testimonianze biografiche ed autobiografiche va assegnato un valore che trascende l’àmbito della curiosità aneddotica, ed appartiene piuttosto alla storia del teatro; e ciò non per ridurre lo spessore (o il colore) della cronaca degli avvenimenti privati, ma per tentare una lettura più approfondita, allegorica si potrebbe dire, in cui i fatti del quotidiano si rivelano «figure» di una complessità spirituale e speculativa, da cui furono di fatto inseparabili.

L’allestimento della messinscena dei Six personnages en quête d’auteur fu carico di tensioni; Jacques Hébertot, che aveva ingaggiato Pitoëff alla Comédie des Champs-Elysées, e lo stesso Crémieux, che seguì da vicino le prove, pur avendo condiviso la passione per il testo pirandelliano, non si mostravano ugualmente convinti delle trovate sceniche del regista, né della sua personale interpretazione dell’opera. L’idea di usare il montacarichi di servizio per l’entrata in scena dei Sei Personaggi destava una perplessità tale che Hébertot (68) decise di scrivere a Pirandello - il quale aveva già espresso invano, per lettera, a Pitoëff il suo disappunto - per invitarlo a Parigi, ad assistere, in incognito, alla prova generale (69). Nonostante le iniziali reticenze, egli stesso riconobbe poi al regista di avere dato al suo testo la forma scenica che egli stesso aveva concepito, quasi a sua insaputa. Ma questo conflitto fra «deux intransigeances artistiques» è emblematico di uno scontro più ampio, che vide coinvolte due opposte, ma non del tutto inconciliabili concezioni del teatro, del ruolo dell’attore, della scenotecnica, della luministica, in breve dell’arte scenica nella sua accezione più ampia. L’uso del termine va però contestualizzato rispetto al tempo e al luogo (o meglio, ai luoghi), va analizzato su un asse diacronico, poiché a fronteggiarsi, nel 1923, non erano soltanto due personali idee del fare teatrale, frutto a loro volta di ruoli professionali ed esperienze estremamente differenti, ma prima di tutto, due momenti, per così dire, sfasati dell’evoluzione della scena europea. La ben nota questione del «ritardo» del teatro italiano ( 70) emerge, indirettamente, in tutta la sua portata; il dialogo fra Pirandello e Pitoëff va perciò inscritto entro le coordinate spazio-temporali, da cui risultò condizionato a priori. Nel più ampio dibattito sulla dignità dell’arte scenica e sulla funzione del régisseur (71), le loro posizioni, pur non essendo istituzionalmente rappresentative dei rispettivi paesi, riflettono la disparità culturale fra Italia e Francia, disparità che, in ambito teatrale, verrà colmata solo molti anni dopo. La divaricazione esistente fra esse veniva inoltre acuìta da una serie di fattori individuali non sottovalutabili, come la differenza dei percorsi formativi e delle esperienze maturate dentro e (soprattutto per Pirandello) fuori dal teatro. Naturalmente tale concomitanza di fattori, oggettivi e soggettivi, andrà poi ripensata in relazione ai punti di contatto sui quali Pirandello e Pitoëff riuscirono a fondare, nell’arco di un decennio, la loro intesa artistica.

67) Cfr. L. PIRANDELLO, Lettere a Marta Abba, Milano, Mondadori, 1995, in particolare le lettere 310507, 310524, 310919. Ma vedi anche A. PITOËFF, Ludmilla, ma mère. Vie de Ludmilla et Georges Pitoëff, Paris, Juillard, 1955, p. 128.68) Cfr. A. FRANK, Georges Pitoëff, Paris, L'Arche Editeur, 1958, p. 71. 69) Cfr. G. PITOËFF, Notre Théâtre. Textes et documents réunis par Jean de Rigault, Paris, Librairie Bonaparte, 1949, pp. 42-43: «Et nous vîmes - ou plutôt ne le vîmes pas - un auteur assister à la naissance plastique de sa pièce comme un intrus, du coin le plus sombre de la salle [...]. Moi-même, je n’ai pu comprendre que plus tard l’élan qui le poussa littéralement vers le proscénium, dès que nous eûmes terminé. Mais je le verrai toujours me tendant les mains et me disant qu’il n’avait pas conçu son oeuvre autrement».70) Cfr., inter alia, M. SCHINO, Sul «ritardo» del teatro italiano, in «Teatro e storia», Anno III, n. 1, aprile 1988, pp. 51-72 e soprattutto S. D'AMICO, Il tramonto del grande attore, Firenze, La Casa Usher, 1985 (1a edizione: Milano, 1929) e ID., La regia teatrale, Roma, Angelo Belardetti Editore, 1947; cfr. inoltre V. PANDOLFI, Regia e registi nel teatro moderno, Bologna, Cappelli, 1961 e il più recente, ma talvolta lacunoso, G. PEDULLÀ, Il teatro italiano nel tempo del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1994. 71) Non è forse superfluo ricordare che in Italia, la parola «regista» fu introdotta solo nel 1932 da Bruno Migliorini.

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La formazione di Georges Pitoëff era cominciata con Stanislavskij, al Teatro d’Arte di Mosca, e proseguita con personalità come Evreinov, Kommissarjevski, Meyerhol’d, Dalcroze, Copeau (72). Egli considerava il metteur en scène come l’artefice della «naissance plastique» dell’opera teatrale: suo era il compito dell’interpretazione, sua la responsabilità della vita stessa dell’opera, affrancata dall’autore; egli era il creatore di un’espressione artistica non più coincidente con la forma statica in cui era stata concepita:

Par mise en scène, on entend tant de choses différentes que je tiens avant tout à préciser ce que, moi, j’appelle ainsi. La définition générale serait peut-être: interpretation scénique d’une oeuvre dramatique [...]. On dit le plus couramment que cet art en englobe plusieurs autres. A savoir: diction, peinture, sculpture, architecture, danse, mimique, etc., et, en fin de compte, on arrive à pouvoir le définir. C’est parce qu’on oublie que l’art scénique est un art absolument indépendant. Non seulement il transpose, mais il recrée tous ces autres arts en les utilisant comme matière première. Il est aussi indéfinissable que la vie elle-même [...].Si nous admettons cette indépendance, nous dirons que pour transporter l’oeuvre écrite sur la scène, nous devons lui donner existence par l’art scénique. Quelle sera cette existence? Quelle volonté, quelle pensée, quelle intelligence, quel sentiment la détermineront, la feront surgir de l’inconnu? Je répondrai: la mise en scène, le metteur en scène.Cet artiste - autocrate absolu, en rassemblant toutes les matières premières, à commencer par la pièce elle-même - fera naître, par l’expression de l’art scénique, qui est son secret, le spectacle [...].Entrer en communion avec l’oeuvre, premier devoir du metteur en scène. Chaque pièce appelle, exige sa mise en scène. Il s’agit donc, avant tout pour qui doit la lui donner, de rejeter toute doctrine à priori, pour s’imprégner entièrement de l’esprit de cette pièce, ou, si l’on préfère, entrer en communion parfaite avec elle. Cet effort, c’est le premier devoir du metteur en scène (73).

La convinzione con cui Pitoëff difese queste affermazioni si rese esplicita nell’opposizione alle critiche mosse da Pirandello al suo progetto di messinscena dei Six personnages; all’«autocrate absolu» spettava infatti, secondo Pitoëff, il controllo dell’intera realizzazione scenica del testo drammatico che, sotto la sua guida, cominciava a vivere di vita propria, talvolta contro la volontà stessa del suo originario creatore:

Si encore, à la rigueur, on laisse au metteur en scène un droit sur les acteurs, on ne lui permet jamais de se mesurer avec l’auteur. Il n’a qu’à faire interpréter le texte, c’est déjà beaucoup lui accorder.Il me semble, au contraire, que le maître absolu dans l’art scènique, c’est le metteur en scène. La pièce écrite existe par elle-même dans le livre, on la lira, et chaque lecteur l’assimilera selon son imagination. Mais lorsqu’elle arrive sur le plateau, la mission de l’écrivain est terminée, c’est par un autre que la pièce se transformera en spectacle. Je ne diminue pas la place de l’auteur, je défends seulement l’indépendance absolue de l’art scénique [...].L’imagination créatrice du metteur en scène sera-t-elle puissante voire géniale, la présentation sera puissante, voire géniale. Elle pourra être aussi bien fausse et puissante, juste et médiocre. Tout dépendra de l’artiste, de sa valeur, de son inspiration. Chaque lecteur crée plus ou moins l’oeuvre qu’il lit, et lui donne une vie imaginaire. Le metteur en scène réalise une semblable interprétation de l’oeuvre et l’impose. Si son imagination est pauvre et la présentation mauvaise, passons, mais si la présentation est de valeur, qui décidera si elle est juste ou fausse? A qui avoir recours? Au succès? Absurde. A l’auteur? Est-il toujours le vrai juge? Comprend-il toujours l’art scénique? Je ne crois pas. Tchékhov ne savait jamais comment il fallait jouer ses pièces. C’est Stanislavsky qui le lui a montré, il y a vingt ans. Dans ma pratique personnelle, le plus souvent, j’ai rencontré des auteurs qui ne savaient absolument pas quelle devait être la juste présentation de leur pièce. Pirandello a presque protesté contre l’ascenseur des Six Personnages, et il a fini par adopter pour son théâtre, à Rome, toute ma mise en scène (74).

72) Nella vasta bibliografia su Georges e Ludmilla Pitoëff, cfr. B. CRÉMIEUX , Giorgio e Ludmilla Pitoëff, la storia di due russi che rinnovano la scena francese, in «Comoedia», 1, 1926; 44; H.-R. LENORMAND, Les Pitoëff. Souvenirs, Paris, Lieutier, 1943; S. PITOËFF, Georges Pitoëff et le décor de théâtre, in «La Revue Théâtrale», nn. 9-10, 1948, pp. 40-44; J. HORT, La vie héroïque des Pitoëff, Genève, Pierre Cailler Éditeur, 1966; J. de JOMARON, Georges Pitoëff metteur en scène, Lausanne, L’Age d’Homme, 1979; EAD., Georges Pitoëff, poète de la scène, in Le théâtre en France. II. De la Révolution à nos jours, cit., pp. 249-257; EAD., Les Pitoëff: un roman théâtral, Genève-Paris, Slatkine-Champion, 1996; Les Pitoëff. Destins de théâtre, Cahiers d’une exposition, Paris, Bibliothèque nationale de France, 1996. Vedi anche la nota 16.73) G. PITOËFF, op. cit., pp. 7-8 e 23. 74) Ibidem, pp. 8-9.

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Il conflitto con Pirandello diventa, a posteriori, paradigmatico del rapporto tra autore e regista e del necessario riconoscimento dell’autonomia interpretativa e creatrice di quest’ultimo. Per dare organicità alla rappresentazione, al metteur en scène sono necessari gli strumenti scenici; il primo, e più incontrollabile tra essi, è l’attore, a cui tutti gli altri devono essere subordinati e resi funzionali (75). Anche nella sua pratica di scenografo, Pitoëff ridusse all’essenzialità gli elementi decorativi, in osservanza ad una concezione di povertà, di artigianato teatrale, talvolta designata come «esthétique du haillon», che risentiva della lezione di Copeau, non meno che della suggestioni figurative dell’arte russa contemporanea, da Larionov a Kandinsky (76). In realtà, egli concepiva la rappresentazione come un evento in cui tout se tient, tutti gli elementi si inscrivono in un unico disegno e devono pertanto essere in equilibrio reciproco. In questo senso, con le parole di Crémieux, l’ascensore dei Sei Personaggi e la parete dell’Enrico IV, rappresentano due momenti determinanti nella ricerca scenografica di Pitoëff:

Toutes les fois qu’il le pouvait sans nuire à l’oeuvre, c’est-à-dire chaque fois que l’oeuvre était déjà pleinement réalisée par le dramaturge, il réduisait le décor au minimum [...]. Il concevait la mise en scène d’une façon poéticodidactique qui lui appartenait en propre. Comme tous les metteurs en scène, il s’inquiétait de l’ambiance, de l’atmosphère, mais son principal, son premier souci était d’exprimer dans son décor le thème moteur de la pièce ou de l’acte. On pourrait analyser toutes ses mises en scène, on y trouverait toujours cette poursuite de l’idée générale [...]. Pour les Six Personnages en quête d’auteur, il avait imaginé la tombée du ciel dans un ascenseur baigné d’une lumière verdâtre des six êtres rêvés qui, pour un moment, venaient mêler leur drame perpétuel à la futilité en mouvement perpétuel des marionnettes humaines. A la fin de l’Henri IV pirandellien, au moment où le fou, reconnu sain d’esprit, rentrait dans la vie en tuant son rival, Pitoëff faisait crouler le décor médiéval de carton qui encadrait sa folie; et lorsqu’ «Henri IV», pour échapper aux conséquences de son geste, se rejetait dans la démence, le décor reprenait sa place contre le mur et entourait comme une cage le fou Empereur (77).

Se è vero che nel corso del tempo l’interpretazione del regista russo divenne pressoché inseparabile dalle opere pirandelliane (78), all’inizio degli anni Venti però le rispettive posizioni teoriche erano quanto mai divergenti. Nel 1922 Pirandello aveva già preso posizione riguardo all’arte scenica, in alcuni saggi che riproponevano, in un arco di tempo relativamente breve (dal 1899 al 1918), un medesimo «disagio» (79), un’identica diffidenza verso le possibilità del teatro, in aperto contrasto con quella che sarebbe divenuto il suo «mestiere» di capocomico. Durante il lungo periodo di lontananza dalla scrittura drammaturgica, seguìto ai fallimentari esordi giovanili, per più di un decennio l’interesse di Pirandello per il teatro si era espresso esclusivamente in àmbito critico. La tensione verso il teatro, la «teatralizzazione delle forme» aveva trovato, a dire il vero, altri canali: trapelava nell’impianto dialogico, o in modo più sotterraneo e controllato, nella struttura drammatica di alcune novelle (80).

Al momento del contatto con Pirandello, Pitoëff probabilmente non ne conosceva l’opera saggistica, anche se non ignorava forse (e l’ostinazione con cui difese l’autonomia del suo ruolo di regista creatore potrebbe essere una prova) la sua inesperienza della scena. Tuttavia seppe cogliere

75) Ibidem., pp. 12-13: «Comment le metteur en scène n'a-t-il pas reconnu le premier de ses instruments: l'acteur? Cet acteur qui était roi des planches avant la naissance du metteur en scène. C'est lui l'acteur d'un rôle, devenu l'acteur de toute la pièce, qui a pris le nom de metteur en scène. Pour moi, avant tout, il y a l'acteur [...]. Quelle valeur peuvent avoir tous les accessoires du plateau, costumes, décors, etc., s'ils ne sont pas là seulement pour servir la mystérieuse force de l'acteur? [...]. Décors, costumes, mouvements dans l'espace, passage, mouvement dans le temps, pause, mouvement intérieur, rythme, tout, enfin, sera provoqué par l'acteur»76) Cfr. Le théâtre en France, cit., p. 252. 77) G. PITOËFF, op. cit., pp. 89-90. Il brano citato appartiene ad un saggio di Crémieux, senza titolo, posto in appendice al volume, pp. 86-92. 78) Cfr., ad esempio, V. DEL LITTO, Les débuts de Pirandello en France. L'interprétation des Pitoëff , in Atti del Congresso internazionale di studi pirandelliani, cit., p. 190. 79) Cfr. C. VICENTINI, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993.80) Si pensi, ad esempio, a Tutto per bene (1906), nucleo dell'omonima commedia del 1920; Il gancio (1902), da cui è tratto l'atto unico Il dovere del medico (1912); L'imbecille (1912) da cui l'atto unico del 1922; O di uno o di nessuno (1912-15) da cui la commedia del 1929; La tragedia d'un personaggio (1911) e la novella di ambientazione teatrale Il pipistrello (1920), per ricordarne solo alcune.

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nelle pagine pirandelliane dei primi anni Venti le potenzialità che esplosero solo nella successiva drammaturgia, fino a Questa sera si recita a soggetto e ai Giganti della montagna. L’allestimento di Ce soir on improvise nel 1934 rappresentò, di conseguenza, uno dei momenti più alti della loro collaborazione:

Je me suis souvent demandé pourquoi, parmi les nombreux auteurs - souvent illustres et à juste titre - que j’ai joués, Pirandello occupait à mes yeux et dans mon coeur une place à part, et je n’ai trouvé la réponse qu’en mettant en scène Ce Soir on improvise. Cette réponse, c’est que, de tous les auteurs dramatiques d’aujourd’hui, Pirandello est le plus acteur.Ce Soir on improvise (c’est le titre de la troisième partie de Le Théâtre dans le Théâtre, dont Six personnages en quête d’auteur formaient la première partie et Comme ci ou comme ça, la deuxième) est sans doute de ces trois oeuvres, celle où Pirandello a fait la plus belle part aux acteurs. On pourrait dire qu’elle constitue une apologie de l’art de l’acteur, une acte de foi dans l’art scénique pur allégé de tout texte et de toute mise en scène. On parle de la cérébralité, de l’ingéniosité de Pirandello. Moi, ce que je vois surtout en lui, c’est une immense naïveté, la naïveté même de l’acteur toujours prêt à se laisser piper, modeler par le personnage qu’il représente. Le don essentiel de Pirandello, c’est de s’identifier totalement avec chacun de ses personnages, de prendre tour à tour, à fond, le parti de chacun d’eux, d’où les discordances, les constantes ruptures de ton de ses pièces, le passage incessant du rire aux larmes, parfois si brusque que le public en reste décontenancé. Mais pour l’acteur, quelle sécurité! Il s’enferme dans le rôle que lui offre Pirandello et n’a plus à en sortir. Il finit par ne plus pouvoir en sortir, par s’identifier avec le personnage, par oublier qui il est. Cette identification de l’acteur au personnage (qui ressemble étrangement à l’identification de l’homme à la destinée qu’il se construit, base de la morale pirandellienne), c’est tout le drame de Ce Soir on improvise (81).

In realtà il Pirandello saggista, che forse Pitoëff non aveva letto, aveva ribadito nel 1918, in termini inequivocabili, la sua sfiducia nella funzione dell’attore e nella sua capacità di dare forma compiuta al personaggio (82), concezioni antinomiche all’idea che Pitoëff aveva del lavoro teatrale, riproposte, in tono quasi immutato, su un giornale parigino, nel 1925, nel pieno cioè dell’attività del Teatro d’Arte, seguìta al grande successo europeo (83).

Ora, se risulta relativamente semplice per noi disegnare retrospettivamente il percorso e scandire le fasi di questa evoluzione, non altrettanto semplice dovette essere per Pirandello stesso tentare di conciliarne gli estremi. Il dissidio interno alla sua arte drammatica apparve invece sufficientemente chiaro ed affascinante a Pitoëff, già dal testo dei Sei personaggi del 1921, che utilizzò come copione, e di cui “preconizzò”alcune varianti: «toutes les trouvailles de Pitoëff instituaient un climat désormais inséparable de la pièce et qui ouvrit à Pirandello lui-même des perspectives insoupçonnées» (84). Mentre la prima redazione lasciava un ampio margine di ambiguità tra lo statuto dei Personaggi e la realtà vivente degli attori in carne ed ossa, l’allestimento

81) G. PITOËFF, op. cit., pp. 46-47. André Frank, biografo di Pitoëff riporta la stessa citazione, preceduta da questa importante precisazione: «Georges Pitoëff donnait, sur la scène des Mathurins, en janvier 1935, la répétition générale d'une nouvelle pièce de Pirandello: Ce soir, on improvise. Il demeure un texte, écrit en marge de l'oeuvre, où Pitoëff a tenté de décrire la situation de l'acteur par rapport à l'auteur» (A. FRANK, op. cit., p. 137). 82 ) Cfr. L. PIRANDELLO, Teatro e letteratura, in Saggi, poesie, scritti vari, a cura di M. LO VECCHIO-MUSTI, Milano, Mondadori, 1960, pp. 988-989 (il saggio era stato pubblicato sul «Messaggero della Domenica» del 30 luglio 1918).83) A questo articolo, intitolato En confidence e apparso su «Le Temps» del 20 luglio 1925, fa riferimento C. VICENTINI, op. cit., cap. I.84) P. BRISSON, Propos de théâtre, Paris, Gallimard, 1957, p. 117. Cfr. dello stesso autore, Le Théâtre des Années folles, Genève, Editions du Milieu du monde, 1943 ed anche M. RAYMOND, Le jeu retrouvé, Montréal, Editions de l'Arbre, 1943, p. 109. Il confronto fra le redazioni del 1921 e del 1925 è divenuto uno dei luoghi topici della critica pirandelliana: cfr. J. LORCH, The 1925 Text of «Sei personaggi in cerca d'autore» and Pitoëff's Production of 1923 , in «The Yearbook of the British Pirandello Society», 2, 1983, pp. 32-47; ma anche E AD., Testo e teatro: la teoria e la pratica di Luigi Pirandello, in Pirandello e il teatro del suo tempo, a cura di S. MILIOTO, Agrigento, Centro nazionale studi pirandelliani, 1983, pp. 285-295. Cfr. anche J. MØESTRUP, art. cit., R. ALONGE, Le messinscene dei Sei personaggi in cerca d'autore, in Testo e messa in scena in Pirandello, Roma, Nuova Italia Scientifica, 1986, pp. 62-84 e A. D'AMICO, "Six personnages": de la stupeur à la terreur, in «Théâtre en Europe», 10, avril 1986, pp. 31-34 (tr. it. "Sei personaggi", uno e due: ovvero dallo stupore al terrore , in Il teatro italiano dal naturalismo a Pirandello, a cura di A. TINTERRI, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 379-386).

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di Pitoëff condusse il testo in una direzione esattamente contraria: i Personaggi calati dall’alto, illuminati da una luce che ne sottolineava i volti truccati in modo irreale, rendevano percepibile la loro appartenenza al mondo superiore dell’arte ed enfatizzava la differenza da attori e pubblico. Il testo del 1921 e quello del 1925 finirono per differire «a tal punto da costituire due versioni del dramma» (85) e da suggerire due diverse chiavi interpretative.

Ma le acquisizioni registiche di Pitoëff avevano un significato che trascendeva la semplice innovazione formale: erano anche i segnali di un nuovo clima culturale, fortemente connotato dall’esplorazione di una realtà ulteriore, dall’assunzione del sogno e dell’inconscio come strumenti della creazione artistica e dell’esperienza estetica. Pitoëff filtrò la lettura del copione pirandelliano attraverso queste suggestioni culturali ancora in fieri; a ciò si aggiunse l’influenza di Henri-René Lenormand, autore più volte rappresentato e dichiaratamente legato all’opera di Freud, che Pirandello stesso ebbe occasione di conoscere durante il suo soggiorno parigino del 1923 (86). Ad un anno dall’allontanamento di Breton dal gruppo Dada e un anno prima del Primo manifesto del surrealismo, la messinscena dei Six personnages en quête d’auteur venne a trovarsi, cronologicamente e geograficamente, al centro di tensioni culturali differenti, ma individuabili per una comune ricerca nelle zone inesplorate dell’inconscio, del sogno e dell’allucinazione.

Se dunque Pitoëff fu il responsabile (o il corresponsabile) dei successivi fraintendimenti e di una ricezione deformata della drammaturgia di Pirandello, allora bisogna riconoscere che egli fu anche il mediatore attraverso il quale entrarono nella cultura e nella scrittura non solo teatrale di Pirandello (e indirettamente, nella contemporanea cultura italiana) influssi, opere, autori ancora del tutto estranei alla nostra tradizione, che trovarono così un canale - naturalmente non esclusivo - di mediazione. Il «cauchemar vivant» (87) dei Six Personnages, attraverso Sogno (ma forse no), condurrà agli Effetti d’un sogno interrotto (88) e, da ultimo, all’arsenale delle Apparizioni dei Giganti della montagna.

6. «Une rencontre hallucinante du théâtre et de la vie»

Nel Primo intermezzo corale di Ciascuno a suo modo, Pirandello riproduce una situazione non dissimile da quella che egli stesso si trovò a fronteggiare, insieme alla figlia Lietta, nella serata del 9 maggio 1921, quando al teatro Valle di Roma fu messa in scena per la prima volta, dalla compagnia di Dario Niccodemi, la «commedia da fare» dei Sei personaggi in cerca d’autore (89).

La complessità della costruzione drammaturgica della pièce ha reso possibili molteplici letture, di impostazione diversa, che si sono nel tempo stratificate sul testo. Limitando il campo di osservazione all’accoglienza che la commedia ricevette alla sua prima rappresentazione, si possono 85) A. D'AMICO, "Sei personaggi”, uno e due: ovvero dallo stupore al terrore, cit., p. 382.86) H.-R. LENORMAND, Les Pitoëff. Souvenirs, cit., p. 118: «Pirandello m'a dit un jour: - Pitoëff a appris aux comédiens de mon pays à jouer mes pièces. Certes, les compagnies italiennes et surtout celle de Marta Abba, apportaient à l'interprétation de Pirandello une fougue, un tempérament qui manquaient à Pitoëff. Et ces qualités de théâtre conviennent à la vie théâtrale de personnages établis par un ouvrier dramatique passé maître dans l'art d'animer l'être humain jusque dans ses particularités physiques, ses manies et ses ridicules. Mais à l'arrière-plan du portrait, s'indique toujours, avec Pirandello, un mystère du sentiment ou de la pensée. Le Sicilien réaliste est aussi un visionnaire que hantent les vieux rêves nordiques, les questions sans réponses autour desquelles gravite la dramaturgie ibsénienne. L'homme psychologique est, à chaque instant, transcendé par l'angoisse métaphysique. Et ce pathétique de la destinée, cette interrogation constante des forces qui dominent la marionnette humaine et la conduisent, devenaient perceptibles, avec Pitoëff». Cfr. ID., Les confessions d'un auteur dramatique, Paris, Albin Michel, 1949-1953.87) G. PITOËFF, op. cit., p. 26.88) Effetti d'un sogno interrotto è il titolo significativo di una novella, pubblicata nel 1936, che appartiene all'ultima raccolta, Una giornata, in cui sono presenti evidenti influssi surrealisti (vedi nota 104). Cfr., sull'argomento, A. JANNER, Luigi Pirandello, Firenze, La Nuova Italia, 1948. 89) In una didascalia dello stesso Intermezzo si ritrovano anche le prevedibili reazioni dei Critici drammatici: «Facilmente si potrebbe recitare a soggetto questo primo intermezzo corale, tanto ormai son noti e ripetuti i giudizii che si dànno indistintamente di tutte le commedie di questo autore: “cerebrali”, “paradossali”, “oscure”, “assurde”, “inverosimili”» (L. PIRANDELLO, Ciascuno a suo modo, Milano, Mondadori, 1992, pp 91-92).

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forse isolare alcuni essenziali nuclei polemici, che fecero gridare allo scandalo, al «Manicomio!», critici e spettatori. Da un punto di vista tematico, la messa in scena dell’incesto mancato, in cui si è riconosciuta una proiezione autobiografica (90). Sotto l’aspetto formale invece, la «commedia da fare» consentiva a Pirandello di trasferire sulle tavole del palcoscenico il rifiuto del teatro, affermato in sede teorica nel saggio del 1908 Illustratori, attori e traduttori e diventava, paradossalmente, la proclamazione scenica dell’inadeguatezza del teatro, inserendosi a pieno titolo in un dibattito che stava coinvolgendo la cultura europea fuori d’Italia. Da un punto di vista strutturale infine, la formula non nuova del «teatro nel teatro» venne utilizzata nei Sei personaggi con un radicalismo tale da far gridare ad un presunto futurismo pirandelliano. Lo stesso Marinetti scrisse che «il successo di Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello (che contiene, accanto a lungaggini filosofiche e psicologiche ultra-passatiste, delle scene d’oggetti inanimati tipicamente futuriste) dimostrò come il pubblico accettò con entusiasmo il futurismo» (91). Altrove precisò che «specialmente per certe scene alogiche inattese come quelle dell’entrata della Signora Pace nella commedia Sei Personaggi in cerca d’autore egli fu anche nettamente futurista cioè influenzato dal teatro sintetico a sorpresa» (92). E se la «trovata», strumento essenziale del Teatro della Sorpresa doveva essere tale «colpire di sorpresa gioconda la sensibilità del pubblico, in pieno» ( 93), si vede allora come l’effetto prodotto dai Sei personaggi in cerca d’autore sul pubblico romano corrispondesse bene a questa definizione (94).

La pièce, rappresentata poi nel settembre dello stesso anno al teatro Manzoni di Milano, ricevette un’accoglienza straordinaria da parte del pubblico e della critica (95). Milano decretò il successo, destinato a ripetersi prima a New York e a Londra e poi a Parigi.

Ce fut en tout cas une bonne fortune pour les Parisiens que de voir à quatre mois de distance deux interprétations d’un même auteur aussi opposées dans leur esprit que celles de Dullin et de Pitoëff. Baldovino n’avait, nous l’avons dit, pour Dullin, “rien d’abstrait ni de déraciné”. Pourtant ce décavé qui aspire à une sorte de réincarnation n’est pas tellement loin des personnages irréels dont l’apparition, selon Lenormand, était devenue dans la mise en scène de Pitoëff, “un moment d’une étrangeté douloureuse ... Livides sous la lumière verte, le père, la mère et les quatre enfants surgissaient lentement des profondeurs de l’Erèbe théâtral et s’avançaient vers les vivants stupéfaits. L’impression égalait en force et en épouvante certains moments de la tragédie grecque”. Sans doute cet éclairage si différent d’oeuvres très voisines aida-t-il les spectateurs à comprendre l’ironie du nouvel auteur à l’égard des vérités qui paraissent établies, en même temps que l’audace de la mise en scène aidait notre théâtre à se débarasser d’un réalisme étouffant (96).

Nella traduzione francese, la «pièce à faire» dei Six personnages en quête d’auteur fu rappresentata il 10 aprile 1923 alla Comédie des Champs-Elysées. Il personaggio del Padre era interpretato da Georges Pitoëff, la Figliastra da Ludmilla Pitoëff, la Madre da Marie Kalff, il Capocomico da Marcel Simon. Separate soltanto da pochi mesi, tra le messinscene di Dullin e Pitoëff intercorrevano teorie ed esperienze professionali diverse, che le resero lontane fra loro agli

90) Cfr. J.-M. GARDAIR, Pirandello. Fantasmes et logique du double, Paris, Larousse, 1972 e ID., Préface à L. PIRANDELLO, Ce soir on improvise, Chacun à son idée, Six personnages en quête d’auteur , Paris, Flammarion, 1994, in particolare le pp. 10-11.91) F. T. MARINETTI, Teatro antipsicologico astratto di puri elementi e il teatro tattile. Manifesto , in Teatro, a cura di G. CALENDOLI, Roma, Vito Bianco Editore, 1960, vol. I, p. 200. Cfr., in proposito, M. VERDONE, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969.92) ID., in Almanacco Letterario Bompiani, Milano, Bompiani, 1938. Sull'argomento cfr. G. LISTA, La drammaturgia futurista e il «cerebralismo funambolico» di Pirandello, in Pirandello e la drammaturgia tra le due guerre, a cura di E. SCRIVANO, Agrigento, Centro nazionale studi pirandelliani, 1985, pp. 143-162. 93) F. T. MARINETTI-F. CANGIULLO, Il Teatro della Sorpresa, in Sintesi del futurismo. Storia e documenti, a cura di L. Scrivo, Roma, Bulzoni, 1968, pp. 175.94) Cfr. G. ANTONUCCI, Cronache del teatro futurista, Roma, Abete, 1975, pp.183-195. 95) Cfr. R. SIMONI, «Sei personaggi in cerca d'autore» al Manzoni, in «Corriere della Sera», 28 settembre 1921, ora in Trent'anni di cronaca drammatica, Torino, SET, 1924-26, vol. I, pp. 495-497 ma anche M. PRAGA (EMMEPÍ), «Sei personaggi in cerca d’autore» ovvero: Pirandello più Pirandello che mai», in «L’Illustrazione italiana», 4 ottobre 1921, ora in Cronache teatrali 1921, Milano, Treves, 1922.96) R. LELIÈVRE, op. cit., p. 416.

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occhi del pubblico; l’intervento di ciascuno dei due metteurs en scène ebbe comunque una parte decisiva nella ricezione delle due opere.

La rappresentazione della Volupté de l’honneur aveva lasciato intravedere al pubblico parigino l’originalità del teatro di Pirandello, ma soprattutto aveva contribuito a suscitare l’interesse di critici ed intellettuali nei confronti della sua opera, teatrale e narrativa. In questo senso, le recensioni prese in esame rappresentano un insieme abbastanza eterogeneo, all’interno del quale occorre distinguere le cronache drammatiche vere e proprie, vale a dire le note e gli articoli di destinazione giornalistica, pensati per un pubblico di lettori non specialisti, da scritti di più ampio respiro, molto più simili a brevi saggi che a semplici comptes rendus (97). In alcuni casi addirittura, si possono leggere commenti di uno stesso autore, approfondimenti successivi e talvolta ripetitivi, scritti a pochi giorni o a settimane di distanza; si tratta in genere di testi di diversa entità, progressivamente più estesi ed impegnati, quasi per l’esigenza di ripensare e riformulare adeguatamente le impressioni frettolose riportate dopo la visione dello spettacolo. In altri casi, recensioni successive assumono anche il carattere di risposte ad obiezioni e questioni sollevate da altri critici; l’insieme degli scritti si configura così - diversamente da quanto era accaduto per La volupté de l’honneur, quando la popolarità di Pirandello era ancora molto limitata - come un dialogo a più voci, segnale indiscutibile dell’interesse suscitato (98). Spesso sono analisi settoriali, mirate ad evidenziare nuclei tematici circoscritti, connessi all’area di interesse di chi scrive, e riconducibili a tre grandi sezioni: la satira del teatro, il problema del relativismo filosofico, la labilità del confine fra realtà e finzione scenica.

Parte considerevole di tutte le recensioni, anche delle più brevi e superficiali, è dedicata al tentativo di spiegare la vicenda dei Sei Personaggi, di chiarire la loro natura e le circostanze della loro creazione. In alcuni (rari) casi, la difficoltà di ridire una storia non facilmente riassumibile in termini narrativi, racchiude già un giudizio di valore sulla scrittura pirandelliana o sulle tematiche della pièce: è negativa l’opinione di Méré, con Souday, uno dei pochi detrattori di Pirandello:

Les Six personnages en quête d’auteur, de M. Pirandello, c’est une pièce pour auteurs dramatiques. Je pense, et j’espère qu’elle intéressera aussi le public. Elle a eu, paraît-il, un grand succès en Italie et en Amérique.M. Pirandello imagine que sur la scène d’un théâtre arrivent soudain six personnages, nés dans le cerveau d’un auteur, et aussitôt abandonnés par lui dès qu’il les a conçus. Ces personnages veulent vivre... ils cherchent l’auteur qui les assemblera dans une pièce, les comédiens qui seront chargés de les incarner. Le point de départ est fort amusant, n’est-ce pas? Il l’est, tout au moins, pour nous. Puis les personnages, livrés à eux-mêmes, se mettent à vivre d’une vraie vie, sous les yeux du directeur et des acteurs qui trouvent que cette vérité-là n’est pas du théâtre. Et tout cela est assez compliqué et bien subtil. M. Pirandello veut nous prouver que le théâtre n’est pas la vie; et il a écrit la pièce la plus arbitraire, la plus factice, la plus conventionnelle qu’on puisse rêver (99).

Il confronto retrospettivo con la Volupté de l’honneur è spesso leggibile tra le righe, nel riconoscimento dell’assoluta originalità della nuova pièce; quando viene esplicitata, la comparazione fra i due drammi è orientata a sottolinearne le differenze qualitative: la Volupté de l’honneur rimane un punto di riferimento utile ad evidenziare soprattutto la discontinuità delle idee e delle risoluzioni sceniche:

97) L'articolo della «Nouvelle Revue Française», (n. 117, 1er juin 1923, pp. 960-966) è stato spesso attribuito a Crémieux; in realtà, lo scritto è anonimo, ma è seguito da una recensione di Crémieux alla traduzione francese della Vita di Benvenuto Cellini, circostanza che può avere indotto alla falsa attribuzione. L'ipotesi non è sostenibile poiché l'articolo si conclude con ringraziamenti ed elogi allo stesso Crémieux.98) L'aumento ipertrofico del numero delle recensioni conferma questo dato. Le coupures de presse consultate sono depositate nel Fondo Auguste Rondel della Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi (Re 5,716). Vd. inoltre Re 5,714 e Re 5,714 bis. Alcuni recensori della Volupté de l’honneur furono anche autori di articoli sui Six personnages; la dicitura «cit.», di seguito al nome di un autore già citato (§ 3), andrà riferita ora solo ai testi riguardanti la rappresentazione del 1923.99) C. MÉRÉ, in «Excelsior», 12 avril 1923. Cfr. anche M. e A. FISCHER, s.l., 13 avril 1923.

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Six Personnages en quête d’Auteur laisse derrière soi La Volupté de l’Honneur, curieuse comédie de caractère, utopie déductive et exacte que M. Pirandello avait déjà donnée à l’Atelier de M. Dullin. Ceci auprès de cela n’est qu’un limpide jeu d’enfant, d’enfant quelque peu prodige. L’oeuvre nouvelle défie presque toute analyse (100).

La constatazione del carattere di novità, tematica e strutturale, dei Six personnages en quête d’auteur è senza dubbio l’osservazione più ripetuta e comune alla totalità degli scritti presi in esame, indipendentemente dall’entità o dalla destinazione. Tutti i recensori sono concordi nel riconoscere in Pirandello l’iniziatore di una nuova stagione creativa del teatro o almeno, l’originale portavoce di tendenze già in fermento sulle scene europee:

J’ai entendu le drame de Sardou et la comédie de Pirandello au cours de deux soirées consécutives. J’ai franchi de la sorte, en vingt-quatre heures, une étape de cinquante ans. C’est un bond qui porte à réfléchir. D’une part, voilà le théâtre tel que le concevaient nos grands-pères; d’autre part, voici l’ouvrage contemporain le plus neuf et le plus hardi. On doit reconnaître qu’entre ces deux extrêmes, le chemin parcourou est considérable.Le spectacle - d’ailleurs magnifique par les décors, les costumes et la mise en scène - que nous offre M. Gavault à la Porte Saint-Martin, me semble significatif. En assistant aux aventures sombres et passionnées des héros de Sardou, en écoutant leurs tirades pompeuses et néo-romantiques, en observant cette prétendue habileté et cet art des coups de surprise tonitruants, j’éprouvais une vive satisfaction. Je pensais que le théâtre, aujourd’hui, est autre chose que cela. Je comprenais combien il s’est émancipé et combien son domaine s’est étendu. Certains parlent de décadence. Qu’ils aillent entendre La Haine, qu’ils aillent ensuite à la Comédie des Champs-Elysées et ils seront édifiés... On peut imaginer dans quelle stupeur la pièce de Pirandello eût plongé les contemporains de Sardou et, en particulier, Sarcey. Sa forte doctrine se fût révoltée contre une comédie aussi étrangement conçue et construite. Cette comédie, pourtant, nous l’acceptons, nous l’admirons et, non seulement nous ne la jugeons pas “antidramatique”, mais elle nous paraît le théâtre même dans sa formule de demain. Tant il est vrai que l’horizon s’est élargi et qu’on porte victorieusement sur la scène, à présent, des problèmes et des débats qui semblaient, autrefois, exclusivement réservés à la littérature livresque (101).

La «commedia da fare» segna l’inizio di una concezione del teatro definitivamente svincolata dagli schemi tardo-ottocenteschi e protonovecenteschi. In Francia Pirandello diventa il caposcuola di un teatro «di idee» da opporre al teatro delle grandi ricostruzioni naturalistiche e a quello disimpegnato del boulevard: la «comédie à faire» «en même temps qu’une oeuvre de pensée c’est une oeuvre essentiellement dramatique et scénique» (102). Sul carattere intellettualistico di questa drammaturgia si concentrerà poi, nell’arco di due anni, il giudizio negativo della critica, fino a provocare il declino della sua popolarità: l’impegno intellettuale verrà percepito come manierismo cerebrale e tale connotazione dispregiativa lo accompagnerà fino al 1934, quando il Premio Nobel riabiliterà Pirandello agli occhi dei suoi più tenaci detrattori, anche francesi.

L’indomani della rappresentazione dei Six personnages en quête d’auteur, il sentimento prevalente tra gli spettatori e i critici è lo stupore, l’assoluto disorientamento di fronte ad un’elaborazione drammaturgica senza precedenti. Se si volesse fare un computo approssimativo dell’aggettivazione più ricorrente, si vedrebbe come gli attributi «original», «étonnant», «surprenant» siano continuamente reiterati, in particolare (ma non solo) nelle recensioni più brevi, dove la mancanza di una riflessione adeguata conduceva a scelte linguistiche di facile fruizione ed impatto:

Cette semaine, il aura pu voir à la fois deux de ses comédies qui se jouent à Paris: aller de l’”Atelier”, où M. Charles Dullin donne La Volupté de l’Honneur, au Théâtre des Champs-Elysées, où M. Georges Pitoëff représente cette merveille surprenante des Six Bonshommes qui cherchent un auteur [sic] [...]; finalement, l’ouvrage le plus original qu’on ait mis au théâtre depuis une quinzaine d’années [...].Le fait est que je ne connais guère de phénomène littéraire comparable à cet étonnant jaillissement dramatique, à cette création de formules et d’un monde inédit de personnages et d’idées, à cet enfantement soudain d’une “comédie humaine”. La pièce de M. Pirandello pourra inquieter, dérouter le public (103);

100) J. CATULLE-MENDÈS, s.l., 13 avril 1923.101) P. BRISSON, in «Annales», 23 avril 1923.102) Ibidem.

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Se in Italia l’effetto di «sorpresa» prodotto sul pubblico aveva evocato l’esperienza futurista, in Francia, benché si conoscessero le sintesi marinettiane, lo stupore non fu quasi mai associato alla pratica scenica futurista, ma assunse, nella maggior parte dei casi, le caratteristiche del sogno o della visione. Nei commenti e nei saggi, l’area semantica prevalente riconduce ad un effetto di straniamento provocato dalla pièce pirandelliana. Gli aggettivi, le locuzioni, pur avendo qui soprattutto funzione di cornici rassicuranti, valgono comunque a rendere percepibile il clima di disagio suscitato dai Six personnages. Incubi, allucinazioni, fantasmagorie: questi i termini più esemplificativi delle scelte lessicali con cui i recensori descrissero l’atmosfera della rappresentazione; indici di una riflessione linguistica sommaria, spesso intercambiati come sinonimi, essi sono tuttavia spie involontarie dell’appartenenza ad un milieu culturale in cui le manifestazioni irrazionali ed oniriche venivano assumendo un ruolo sempre più rilevante. Titoli come: «Une pièce d’une hallucinante intensité», «Une rencontre hallucinante du théâtre et de la vie», «Fiction et réalité» hanno infatti un significato preciso, un anno prima del primo Manifeste du Surréalisme.

Il nodo concettuale sul quale si soffermò la maggior parte dei critici è rappresentato dal rapporto tra realtà e finzione; l’incontro, sul palcoscenico vuoto, tra le realtà incompiute dei Personaggi e le pretese realtà degli attori rendeva visibile il procedimento fantastico che aveva avuto luogo nella mente dell’autore, ed insinuava negli spettatori il dubbio sulla loro identità di persone e sullo statuto stesso del mondo. I Personaggi sono dotati di una vita reale o sono pure emanazioni fittizie della fantasia? L’interrogativo permane in tutte le critiche allo spettacolo del 1923, senza risposta; è la questione fondamentale sollevata dal testo pirandelliano, che il riconoscimento di uno stato di allucinazione generale non scioglie, ma descrive in modo confuso, come in una novella del 1936, di cui si potrebbe forse ipotizzare la genesi (104).

Il concentrarsi dell’attenzione dei critici drammatici francesi sull’atmosfera fantastica, onirica, allucinatoria della pièce pirandelliana - che non era avvenuto, ad esempio, in Italia - rifletteva in modo ancora confuso le nuove tendenze artistiche, definibili genericamente come surrealiste o freudiane, che solo qualcuno dei contemporanei fu in grado di cogliere. Jane Catulle-Mendès, pur riconoscendo al cerebralismo di Pirandello un’origine insulare, lo affiancava a Lenormand, quale rappresentante di una moderna drammaturgia dell’inconscio:

Oeuvre étrange, surgie d’une bouillante cérébralité, comme la natale Sicile de son auteur. On en pourrait discuter à perte de souffle. Ce qu’il faut reconnaître, c’est son originalité, ce don d’extérioriser le subcoscient, de mettre à nu les images en formation de la mentalité humaine, qui est la plus remarquable noveauté du théâtre actuel. M. H. R. Lenormand est l’un des maîtres de ce théâtre audacieux. M. Pirandello en apparaît le plus fougueux, le plus sarcastique. A sa philosophie scientifique, armature invisible, il ne craint point de mélanger un humour à la Bernard Shaw et une fantaisie quasi shakespearienne. Tout cela forme une oeuvre à arêtes vives et à âme fumeuse, toute scintillante sur une masse d’ombre, perspicace et trouble, inquiétante, qui nous laisse charmés, hantés et, de toutes les façons, subjugués (105).

In molti casi invece la novità dell’opera pirandelliana venne fatta coincidere con un generico clima onirico:

103) L. GILLET, in «Le Gaulois», 14 avril 1923 e cfr. ID., in «Revue des deux mondes», 1er mai 1923; F. de HOMEN CHRISTO, Luigi Pirandello. L’homme et l’écrivain, s.l., 12 avril 1923.104) L. PIRANDELLO, Effetti d'un sogno interrotto, in Novelle per un anno, Milano, Mondadori, 1990, vol. III, p. 688: «- Ma allucinazioni, signori miei, allucinazioni! - [...]. Quanto son cari questi uomini sodi che, davanti a un fatto che non si spiega, trovano subito una parola che non dice nulla e in cui così facilmente s'acquetano. - Allucinazioni» 105) J. CATULLE-MENDÈS, cit. Sul rapporto Pirandello-Lenormand cfr. W. KRYSINSKI, Pirandello e Lenormand. Rotture della mimesi e «crepuscolo del teatro», in Il paradigma inquieto. Pirandello e lo spazio comparativo della modernità, tr. it. di C. Donati, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988, pp. 277-305. Cfr. inoltre H. DANIEL-ROPS, Sur le théâtre d’Henri-René Lenormand, Paris, Éditions des cahiers libres, 1926; P. BLANCHART, Le théâtre d’Henri-René Lenormand, apocalypse d’une société, Paris, Éd. Masques, 1947; J. de JOMARON, Henri-René Lenormand mis en scène par Georges Pitoëff, in Les voies de la création théâtrale, VII, Paris, C.N.R.S., 1979, pp. 309-338; R. E. JONES, Henri-René Lenormand, Boston, Twayne, 1984.

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C’est une anarchie, le tumulte de la vie et l’incohérence des rêves. Il manque le poète pour réduire, expliquer, ordonner ce chaos et lui imposer l’Art [...]. Et pourtant, ces spectres forcenés sont vivants, bien vivants. Une passion sans frein les emporte, comme ces damnés à refaire à jamais le même geste de crime ou de volupté, qui devient leur supplice éternel. Ces créatures surnaturelles dégagent un pouvoir pathétique de fantasmagorie et d’hallucination, et ce sont les gens de chair et d’os qui ne semblent plus que des fantômes. Au milieu de leur querelle, l’ombre envahit la scène: on ne voit plus dans une lueur violente que les six spectres qui se démènent ou se lamentent, comme des figures plus qu’humaines de l’amour, de la douleur et de la haine. Brusquement, un coup de feu éclate. Le jour revient. La vision a disparu. Cependant, il y a du sang. On ne sait plus où on est. Où commence l’illusion? Où finit la nature? Les comédiens reviennent en scène, perplexes, incertains, troublés, doutant s’ils sont les jouets d’un songe, et quelles sont les frontières de la Vie et du Rêve (106).

Il surrealismo, nell’accezione in cui la parola verrà utilizzata nel 1924 da Breton, è un concetto appena abbozzato in queste pagine. L’ipotesi di una lettura surrealista del dramma pirandelliano fu discussa da due recensori illustri, Roger Vitrac e Antonin Artaud (107), futuri fondatori del Théâtre Jarry, che si schierarono, in merito ai Six personnages en quête d’auteur, su posizioni opposte (108). Vitrac, che nel 1937 avrebbe curato l’adattamento cinematografico del pirandelliano L’homme de nulle part per Pierre Chenal, tracciò nella recensione ai Six personnages del 1923 «uno dei primi abbozzi di poetica surrealista in materia teatrale» (109). Nell’articolo, intitolato Dormir, egli invitava gli spettatori a non assistere alla rappresentazione, a preferire ad uno spettacolo che non ha il radicalismo del sogno, lo spettacolo onirico offerto durante il sonno. Pirandello metteva in scena il conflitto tra realtà e finzione con eccessivi schematismi, alla ricerca di un rassicurante equilibrio tra le due posizioni: «Pirandello mourra de faim entre le boisseau d’avoine et celui de froment, pour n’avoir pas su choisir». Vitrac, al contrario, prendeva posizione in favore dell’abbandono degli strumenti comunicativi, esplicativi della scrittura per consentire la piena irruzione dell’irrazionale e del «magico». Il problema investiva allora la funzione del linguaggio come organizzazione del significato, dell’uso dei moduli dialogici tradizionali che Vitrac stesso aveva cercato di frantumare alcuni mesi prima in Poison (110). Pirandello evocava il surreale per controllarlo, per racchiuderlo entro i limiti dei meccanismi teatrali, della logica verbale, della semplificazione psicologica dei personaggi; raccontava il sogno, integrandolo in un’azione ragionata, facendo perciò un uso non surrealista della struttura drammatica: «Pourquoi tirer un drame du RÊVE authentique que je viens de vous raconter? Pour montrer que la vie et le théâtre sont deux? N’allez pas au spectacle. Couchez-vous» (111).

La recensione di Artaud, che aveva interpretato il ruolo di Marchetto Fongi ne La volupté de l’honneur, e che avrebbe ricoperto la parte del Suggeritore in una ripresa dei Six personnages di Pitoëff nel marzo 1924, poneva al centro dell’attenzione il problema del teatro; il dramma pirandelliano contrapponeva con un infinito «jeu de miroirs», le creature dello spirito, «la famille en deuil, aux visages de spectres et comme mal sortis d’un rêve», agli attori, gli «infects cabots», ed agli spettatori in carne ed ossa, accomunati in un uguale disprezzo della realtà. La messa in scena favoriva l’illusione, la compenetrazione tra finzione e realtà, e «le va-et-vient pirandellien entre la 106) L. GILLET, in «Revue des deux mondes», cit. Cfr. anche F. NOZIÈRE, s.l., 11 avril 1923; G. FRÉJAVILLE, in «Information», 12 aprile 1923; R. GIGNOUX, "Six personnages en quête d'auteur". Une rencontre hallucinante du théâtre et de la vie, in «Comoedia», 12 avril 1923; G. de PAWLOWSKI, in «Journal», 12 aprile 1923; P. VEBER, in «Petit Journal», 13 avril 1923; E. HENRIOT, in «Renaissance», 21 avril 1923; P. BRISSON, in «Annales», cit.; G. D’HOUVILLE, in «Le Gaulois», 28 avril 1923; H. BIDOU, A propos de Pirandello, in «Feuilleton du Journal des débats», 15 janvier 1923 (non si tratta di una recensione, ma di un commento al testo dei Sei personaggi, letto probabilmente dopo la rappresentazione della Volupté de l’honneur).107) Cfr. A. ARTAUD, Six personnages en quête d'auteur à la Comédie des Champs-Elysées, in «La Criée», Marseille, mai 1923 (tr. it. in Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p. 93); R. VITRAC, Dormir, in «Les Hommes du jour», 28 avril 1923.108) Cfr. H. BÉHAR, Il teatro dada e surrealista, cit. e Roger Vitrac. Un réprouvé du surréalisme, Paris, Nizet, 1966. 109) U. ARTIOLI, Il primo surrealismo e Pirandello, in Pirandello e la drammaturgia tra le due guerre , Agrigento, Centro Nazionale Studi Pirandelliani, 1985, pp. 121-141.110) Pubblicata in «Littérature», janvier 1923.111) R. VITRAC, Dormir, cit.

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vie et le théâtre, le visage et la masque, ne pouvait pas laisser insensible un homme qui allait montrer bientôt l’importance que le théâtre devait accorder, selon lui, au jeu des “doubles”» (112). La posizione di Artaud era quindi agli antipodi di quella espressa da Vitrac, anche se in seguito, forse per influenza di quest’ultimo, egli la modificò sensibilmente, prima di divenire l’incarnazione vivente di un delirante Enrico IV.

Ciò che occorre sottolineare è l’entità del dibattito che la rappresentazione dei Six personnages seppe alimentare. A soli quattro mesi di distanza, scompaiono quasi del tutto da questi comptes rendus i luoghi comuni, gli stereotipi, le comparazioni superficiali che avevano invece contrassegnato la ricezione e l’interpretazione della Volupté de l’honneur. Il confronto con Shaw, motivo dominante nelle recensioni del 1922, viene abbandonato, in alcuni casi ripreso senza convinzione o addirittura contestato (113). Altri confronti, in verità meno numerosi rispetto alle recensioni del 1922, riguardano de Musset, Courteline, Poe, Curel, Sacha Guitry. Anche Shakespeare viene citato in ragione della compresenza, nelle sue opere (La Tempesta, Sogno di una notte d’estate), di personaggi immaginari e personaggi reali, mentre il nome dell’autore dell’Impromptu de Versailles e della Critique de l’Ecole des Femmes viene citato come precursore della formula del «teatro nel teatro» (114). Anche i clichés della latinità, del genio italico di Pirandello hanno lasciato il posto a valutazioni meno stereotipate; qualche commentatore scorge ancora nei Six personnages en quête d’auteur «le “diable au corps” de la farce italienne» (115), mentre la maggioranza vi riconosce l’espressione di una nuova «esthétique du théâtre» europea.

Del tutto nuova invece è l’idea di un Pirandello poeta, idea superficiale, inficiata da una venatura di vago romanticismo, che va rilevata solo in opposizione alle successive accuse di arido intellettualismo. Soltanto in due casi si comincia ad alludere alla «cerebralità»:

... certes, le sujet de Six personnages en quête d’auteur n’est point banal, et il faut louer M. Pirandello de ne pas puiser au fonds commun des dramaturges, de chercher des situations inexploitées, de fuir le déjà-vu et le déjà entendu. Seulement, son goût, sa soif de l’originalité le conduisent à écrire des pièces plus intellectuelles qu’humaines et vivantes; tout ce qu’il nous donne sent un peu le travail, l’effort, la volonté précisément de nous étonner; et il nous étonne, en effet, et nous intéresse même cérébralement bien plus qu’il ne nous émeut ou nous exalte. Les pièces de Pirandello sont des jeux, des divertissements littéraires, analytiques, des “ouvrages de patience” et l’on dirait souvent d’une partie engagée par un joueur d’échecs, selon une méthode savante, et qui ne livre rien au hasard... De là, à la longue, pour le spectateur un peu de fatigue, de lassitude, et il souhaiterait souvent un art plus spontané, plus sincère, plus souple; moins de logique obstinée, entêtée dans le paradoxe, et plus de naturel... Ces impressions nous les avons ressenties hier, une fois encore, en écoutant cette dernière comédie [...].Elle s’achève par la mort d’un des personnages du drame et le suicide de l’autre! Mort et suicide réels ou fictifs? On ne le sait pas bien, et l’auteur nous plonge dans uns sorte d’hallucination anxieusement interrogative...On voit que je n’avais point tort en parlant d’un jeu, d’une sorte de divertissement cérébral. Toute cette histoire n’est qu’un prétexte à discussions et à digressions philosophiques, artistiques et professionnelles. Elles dégagent quelque monotonie et manquent un peu de profondeur, d’originalité et même de nouveauté. Cette nouveauté, elle ne réside guère que dans la présentation de la pièce, mais les commentaires auxquels elle donne lieu, nous les avions déjà entendus ailleurs (116). 112) A. VIRMAUX, Antonin Artaud et le théâtre, Paris, Seghers, 1970, p. 122. A tale proposito, si potrebbe ipotizzare un’influenza esercitata sul giovane Artaud dalla prassi scenica di Georges Pitoëff, mediata o no dal testo pirandelliano (cfr. A. ARTAUD, Le théâtre et son double, Paris, Gallimard, 1964, in particolare Théâtre oriental et théâtre occidental ed il primo manifesto del Théâtre de la cruauté).113) Cfr., ad esempio, L. GILLET, in «Le Gaulois», cit. e P. BRISSON, cit.114) Occorre ricordare anche il confronto tra l'opera di Pirandello e la novella di Francis Anstey Pourquoi j'ai renoncé à écrire des romans, proposta per la prima volta da LUGNÉ-POË, in «Eclair», 24 aprile 1923. Solo cinque anni più tardi, nel 1928, in occasione di una ripresa dei Six Personnages, Pirandello fu accusato pubblicamente di plagio da Paul Achard (in «Paris Midi», 19 décembre 1928) e l'accusa suscitò una vera e propria polemica, in cui intervenne anche Crémieux (in «Comoedia», 22 décembre 1922). La Lelièvre segnala che fu Maeterlinck a suggerire a Lugné-Poë il confronto tra Pirandello e Anstey, in una lettera datata 15 aprile 1923. Cfr. R. LELIÈVRE, op. cit., pp. 422-423 e nota 213. 115) L. GILLET, in «Revue des deux mondes», cit. 116) E. SÉE, s.l., 12 aprile 1923. In un altro scritto, sempre datato 12 aprile 1923, Sée sottolinea la componente cerebrale della creazione pirandelliana, ponendola direttamente in rapporto, con una chiara intenzione parodistica,

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7. Pirandello «esistenzialista»?

Occorre, a questo punto, soffermarsi sulle recensioni di impostazione saggistica, per capire quale spessore e quale livello di approfondimento raggiunse, in questa prima fase, la ricezione dell’opera di Pirandello in Francia. Alcuni critici prendono spunto dalle questioni della pièce, per procedere ad analisi filosofiche, talvolta al limite di vere e proprie digressioni che affiancano la cronaca drammatica. La dissociazione della personalità, il relativismo psicologico, la scomposizione umoristica sono i principali oggetti di queste speculazioni:

Je voudrais pouvoir dire suffisamment ici même toute l’admiration étonnée, toute l’émotion fraternelle que j’ai ressenties en présence du véritable tour de force accompli par Pirandello, en portant sur une scène de théâtre des idées qui me paraissaient jusqu’à présent réservées aux lecteurs restreints d’une oeuvre philosophique. Toutes les idées que j’ai cru devoir défendre dans mon Voyage au pays de la quatrième dimension, concernant l’indispensable intervention de l’humour dans la philosophie de demain, M. Pirandello en démontre la réalité par l’évolution même de sa carrière littéraire. Tout ce que j’ai cru devoir écrire dans la même ouvrage sur la relativité de la personnalité humaine et la réalité de l’oeuvre d’art, Pirandello l’illustre d’une façon magistrale dans la comédie que l’on nous présentait hier; et que ces idées soient mises à la scène, cela me paraît, je le répète, un tour de force qui classe l’auteur très en avant de nos littérateurs d’avant-garde.Ceci posé, il me semble que l’on devrait défendre rigoureusement au public habituel l’audition de pareilles scènes. Il suffirait, en effet, qu’elles fussent comprises pour que s’évanouissent du même coup l’illusion consolante qui fait vivre tant de maisons de théâtre prospères et, dans notre époque commerciale à outrance, l’oeuvre de Pirandello est anticommerciale au premier chef.Mélanger la fiction et la réalité, prouver que la fiction est la seule chose qui demeure, tandis que la prétendue réalité n’est qu’une hypothèse provisoire, quelle catastrophe bourgeoise pour ceux qui considèrent le théâtre comme une simple méthode de digestion tranquille (117).

Il filosofo e drammaturgo Gabriel Marcel dedicò a Pirandello, in occasione di una ripresa dei Six personnages di Pitoëff, a Strasburgo, un saggio che apparve ad un anno dalla prima parigina, che egli stesso aveva commentato (118). Superata ormai la reazione di straniamento, vi si avverte soprattutto l’intenzione di proporre un discorso organico, sorretto dalla conoscenza diretta dei testi, attorno ad alcuni gangli intellettuali del teatro pirandelliano, emersi episodicamente nel 1923. Ne risulta una riflessione puntuale, che circoscrive con chiarezza il problema del relativismo pirandelliano, filtrato da una cultura filosofica che includeva verosimilmente la lettura di Binet e di Séailles, ma anche del recente saggio di Tilgher, oltre alle influenze della contemporanea filosofia esistenzialista, di cui Marcel stesso era uno dei capiscuola. Il piacere dell’onestà, La signora Morli uno e due, Come prima, meglio di prima: attraverso questi testi egli segue lo sviluppo progressivo del relativismo psicologico e sociale, che trova nei Sei personaggi espressione paradigmatica, e diviene ad un tempo anche discorso metaletterario sulla creazione artistica, «Comédie de la comédie»:

all'interpretazione dei Pitoëff: «... M. Pitoëff avait à s'acquitter d'une lourde charge. C'est lui qui vit, en effet, toute la pièce et la commente idéologiquement en même temps. Nous avons admiré l'intelligence et l'âpreté du jeu de M. Pitoëff et la façon dont il sut nuancer (avec une pénétration et une vigueur surprenantes) les souffrances cérébrales de son héros. Peut-être M. Pitoëff abuse-t-il un peu d'une mimique contractée, tourmentée, et l'on dirait parfois d'un homme atteint de méningisme et qui souffre de la tête à en mourir. De là quelque monotonie outrancière. Mais très souvent le comédien fut à la hauteur (et à la profondeur) de son rôle écrasant, et la soirée fut, au demeurant, glorieuse pour M. Pitoëff».117) G. de PAWLOWSKI, cit., [mia la sottolineatura]. Eloquente la coincidenza (involontaria?) con la polemica futurista; cfr. F. T. MARINETTI, La voluttà d'esser fischiati, in Sintesi del futurismo. Storia e documenti, cit., p. 17: «Il pubblico, variando da mese a mese, da città a città e da quartiere a quartiere, soggetto agli avvenimenti politici e sociali, ai capricci della moda, ai rovesci della pioggia, all'eccesso del caldo o del freddo, all'ultimo articolo letto nel pomeriggio, non avendo disgraziatamente oggi altro desiderio che quello di digerire piacevolmente a teatro, nulla può correggere, approvare o disapprovare in un lavoro d'arte». Cfr. anche M. GIRARD, in «Le Figaro», 13 aprile 1923. 118) Cfr. R. O. J. VAN NUFFEL, Gabriel Marcel et Pirandello, in Studi in onore di Vittorio Lugli e Diego Valeri, Venezia, Neri Pozza, 1961, pp. 953-967. Per la traduzione italiana delle opere di G. Marcel, cfr. Teatro, Roma, Abete Editore, 1975 e Giornale metafisico, ivi, 1980 (terza edizione).

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Pirandello a été très frappé de constater, en premier lieu, combien nous différons de nous-mêmes suivant que nous nous trouvons être en présence de tel ou tel interlocuteur [...]. Il semblerait ici qu’il fût possible d’opposer une réalité fixe, stable de chacun de nous avec apparences changeantes et fallacieuses que nous présentons les uns pour les autres. Mais en fait il n’en est pas du tout ainsi; et nous arrivons à une seconde constatation bien plus troublante que la précédente. Nous nous costruisons aussi intérieurement; les relations que nous entretenons avec nous-mêmes ne sont pas dans le fond d’un ordre très différent de celles qui nous lient à nos semblables. Il ne suffit pas de dire que nous jouons la comédie; car de cette comédie nous sommes dupes tous les premiers. Bien plus cette comédie que nous nous jouons à nous-mêmes c’est ce que nous appelons la réalité. Ce que j’appelle moi, c’est un certain personnage que j’incarne de la meilleure foi du monde, et cela pendant une durée variable, tant que l’ambiance au milieu de laquelle j’évolue, que ma situation en un mot ne sera pas transformée de telle sorte qu’il me faudra incarner ou plus simplement devenir un autre personnage [...] Ce que nous appelons naïvement un être n’est donc en dernière analyse qu’un ensemble d’effets d’optiques succesifs, souvent même contrastés, et derrière lesquels il est entièrement chimérique de supposer l’existence d’une personne immuable et déterminée. Nous n’avons d’autre réalité que celle que nous nous donnons à nous mêmes (119).

Gabriel Marcel ripropone il problema del rapporto fra individuo e società, dell’assunzione inderogabile di una maschera. E la dissociazione dell’io nelle sue diverse realtà pare al filosofo, con Heidegger, del tutto speculare alla frantumazione della persona nelle diverse parti che è chiamata a sostenere: si tratta in entrambi i casi di procedimenti di «costruzione», che dissolvono l’identità in una fantasmagoria di mutazioni, in un continuo fluire di effetti anamorfici. Al di là di un certo schematismo, l’originalità e il valore di questa analisi stanno nell’avere affrontato una questione topica del «pirandellismo» senza fare ricorso al «tilgherismo» di moda. Tale presa di distanza dalle formule tilgheriane non è però casuale: in un altro saggio, pubblicato nel luglio 1924, sulla «Nouvelle Revue Française», le posizioni di Tilgher vengono messe in discussione da Gabriel Marcel: la chiarezza delle formule accusata di dissimulare la confusione delle idee, la diffrazione dell’io nel teatro pirandelliano posta in relazione al concetto di «soggetto infinito» proposto da Fichte e Schlegel. Il contrasto, che il filosofo francese definisce «iperbergsoniano», tra la Vita e le Forme conduce all’elaborazione di un relativismo radicale - «peut-être le plus radical qui ait jamais été formulé par un écrivain ou même par un philosophe» - in cui il rapporto tra la verità e l’illusione, tra il sogno e la realtà, viene assunto come dato problematico. E la grande originalità di Pirandello consiste in primo luogo «nell’averlo rappresentato drammaticamente» (120), nell’averlo messo in scena, con un certo compiacimento dialettico, come accade nei Six personnages.

Ainsi se définit le premier aspect sous lequel il comporte de considérer l’oeuvre de Pirandello: c’est la confrontation entre ce que nous avons coûtume d’appeler l’existence et l’idée. Entre les personnages d’une part et de l’autre les acteurs qui ont pour mission de les incarner une sorte de lutte pour la réalité, pour la priorité va s’engager; et par un renversement dialectique qui ne saurait nous surprendre nous aurons à reconnaître que la supériorité quant à l’être appartient aux créations éternelles, immuables du génie [...].Mais ce n’est pas tout: une lutte analogue, une concurrence aussi violente et aussi passionnée s’engage entre les personnages eux-mêmes [...]; ils sont donc incapables de s’accorder entre eux et au sens rigoureux du terme, de se concerter pour donner à l’oeuvre l’idéale unité dont ils reconnaissent pourtant au secret d’eux-mêmes la nécessité pressante. Et il est permis de se demander si l’impossibilité de cet accord n’est pas la raison pour laquelle le drame ne s’est pas fait dans l’esprit de l’auteur et pour laquelle les personnages ont été ainsi jetés dans les ténèbres du monde sensible comme des naufragés sur une île déserte. S’il en est bien ainsi, Pirandello a voulu nous laisser entendre que les conditions même de l’oeuvre d’art sont en contradiction avec ce que je me permettrai d’appeler la structure de l’âme humaine; ici nous rencontrons l’ordre, l’organisation, la convergence idéale et là nous ne trouvons que du discordant et du fragmentaire (121).

Il conflitto tra attori e Personaggi riproduce quindi il conflitto tra esistenza ed idea, mentre il dissidio interno al gruppo dei Sei Personaggi, che ha impedito forse il compimento della loro commedia, rivela, per antitesi, la struttura armonica, ordinata dell’opera d’arte, incompatibile col

119) G. MARCEL, Une oeuvre capitale du théâtre à Strasbourg, in «L'Alsace Française», 3 mai 1924.120) ID., Il «tragico» e la «personalità» nell'interpretazione tilgheriana di Pirandello, cit., p. 220.121) ID., Une oeuvre capitale du théâtre à Strasbourg, cit.

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disordine, col conflitto permanente nella personalità umana. Di qui l’abbozzo, poi ampiamente ripreso, di una sorta di «esistenzialismo pirandelliano»:

le drame même qui tend à se jouer entre les personnages et dont on ne sait trop s’il est en eux à l’état de souvenir ou de vouloir, de passé ou d’aspiration, ce drame qu’il est inutile de raconter, car il est d’une parfaite clarté, a été lui-même construit de façon à mettre aussi clairement que possible en relief cette pluralité intérieure que nous avons définie plus haut et dont les cas pathologiques de dissociation de la personnalité n’apparaissent dans l’univers pirandellien que comme un exemple particulier [...]. Je ne pense pas me tromper en disant qu’on respire dans tout son théâtre et particulièrement dans les Six Personnages une sorte di Schadenfreude logique qui est assez éloignée de se confondre avec les formes classées du pessimisme. Mais il faut, je crois, aller plus loin encore et reconnaître dans cette Schadenfreude elle-même une des dispositions intellectuelles les plus caractéristiques de l’époque où nous vivons: époque angoissée et comme hantée de spectres, où la conscience humaine, au moins momentanément privée du sens de son unité et de sa direction, tend à trouver dans le spectacle même de sa dislocation une âpre, une perverse jouissance (122).

Un’altra grande area di interesse della pièce fu individuata dai recensori nel discorso metateatrale, nell’uso avanguardistico del confine tra palco e platea, ed anche nella satira della vita del palcoscenico, dello scarso professionismo degli attori e dell’inadeguatezza dei mezzi scenici. Notazioni riguardanti questo aspetto della «commedia da fare» si ritrovano nella maggior parte delle recensioni esaminate, anche sotto forma di brevi accenni, a dimostrazione dell’attenzione diffusa ad un dibattito, quello sull’arte scenica, che mentre in Italia stentava ancora a trovare il terreno sul quale svilupparsi e acquistare credibilità, aveva ormai coinvolto anche coloro che partecipavano solo indirettamente alla vita del teatro:

M. Pirandello se moque de l’infirmité du théâtre; sa pièce est une satire du théâtre, de la pauvreté des moyens du théâtre, de la pauvreté des moyens dont il dispose et de la niaiserie que le théâtre substitue à la rêverie d’un poète. Disparate ensemble ridicule et cruelle, et dont meurent tout aussitôt les idées (123).

Nelle pagine di Antoine e Lugné-Poë il commento allo spettacolo dei Six personnages ha carattere quasi esclusivamente metateatrale. L’analisi della pièce come satira della vita teatrale, come parodia del cabotinage, si trasforma in una digressione sullo stato delle cose del teatro francese ed europeo: sulla mancanza di una reale sperimentazione che possa svecchiare la scena, sull’approssimazione dell’arte drammatica, sulle speculazioni commerciali che condizionano le scelte e la qualità degli spettacoli, ed anche sull’impreparazione del pubblico, abituato a considerare il teatro solo come facile mezzo di evasione:

Ce n’est pas à proprement parler, une pièce, comme nous l’entendons d’ordinaire et, pourtant, au dénouement, nous aurons progressivement reconstitué une véritable action dramatique dont les fragments nous sont lentement révélés comme on reconstruit un puzzle, en tâtonnant. Mais, à côté de l’entreprise de nous offrir un drame complet, des situations tragiques, des caractères, le poète réalisera une comédie extrêmement plaisante, une satire aiguë, le procès le plus féroce qui ait jamais été fait par un auteur dramatique, aux routines, à l’indigence et à l’absurdité de l’art dramatique et de ses serviteurs. Constamment, Pirandello opposera la mentalité du comédien et des professionels de la scène à celle des personnages abstraits qui agissent, rêvent et souffrent sous les yeux de ceux qui sont là, tour à tour stupéfiés, ironiques ou étrangement troublés [...].Et Pirandello, mélangeant le drame et la comédie, sans cesser d’émouvoir et de troubler l’auditeur, le ressaisit à tout moment par la fantaisie étincelante de sa satire des gens de théâtre. Lorsque, après la restitution d’un épisode par les personnages irréels, les comédiens vivants cherchent à le reproduire, leurs modèles sont pris d’une indignation émouvante à voir transposer, dénaturer leurs gestes et leurs émotions par des professionnels qui n’ont rien compris. On n’avait, jusqu’à présent, jamais mis si clairement en valeur la différence entre la réalisation professionnelle d’une pièce et la conception de l’auteur [...].Une étrange émotion étreint l’auditoire et, à la sortie seulement, les spectateurs comme dégrisés, ont pu se diviser en deux clans.

122) Ibidem. 123) A. BEAUNIER, in «Echo de Paris», 12 aprile 1923. Cfr. anche P. SOUDAY, in «Temps», 11 aprile 1923 e la «Nouvelle Revue Française», cit.

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C’est une fumisterie, disait à côté de moi un confrère, tandis que je gardais le sentiment d’avoir entendu une oeuvre considérable, bousculant toutes nos conceptions, nos méthodes et nos habitudes théâtrales (124).

Lugné-Poë vide nelle esperienze teatrali d’élite una via al rinnovamento del fare teatrale tout court e le sue osservazioni paiono rivelatrici, anche in merito alla situazione italiana:

Cette oeuvre, - car c’en est une - arrive logique, à son heure. Elle est libératrice, comme Shaw l’est chez nos voisins d’outre-Manche, comme Keyzer l’est en Allemagne [...]. Il y a eu certes de l’étonnement à l’audition de Luigi Pirandello. On a un si grand besoin de n’être pas dérangé dans son fauteuil, on y dort si à l’aise que d’aucuns trouvent mauvais qu’un Latin manque de ce qu’on est convenu d’appeler la clarté et qui n’est pas en réalité que la bêtise, la glaciale bêtise imposée au public au point que même ce dernier se détourne du théâtre avec des nausées [...] Enfin, si une fierté collective avait animé l’élite comme elle l’anime aujourd’hui en Italie, où de toutes parts surgissent de grands mouvements, nous aurions gardé notre place qui, il faut le répéter, est compromise (125)

Alcuni piccoli teatri indipendenti stavano nascendo in Italia, sulla base di analoghe esperienze europee, con l’intento di difendere l’arte drammatica dalle contingenze e dai compromessi della sua mercificazione, prendendo uguale distanza dal teatro commerciale, legato a ragioni affaristiche e all’evasione sentimentale, melodrammatica o brillante, e dall’orizzonte ideologico da cui sarebbe nata la formula del teatro popolare per le masse. Tuttavia, proprio la presunta destinazione elitaria della scena, il timore di un palcoscenico riservato ad un’aristocrazia intellettuale e chiuso attorno alle proprie sperimentazioni contribuì in Italia ad accrescere la diffidenza del pubblico e del governo, e condannò al fallimento la Sala Azzurra, Il Convegno ed anche il Teatro d’Arte di Luigi Pirandello (126).

L’apporto della regia di Pitoëff e della recitazione degli attori della sua compagnia, prima fra tutti la moglie Ludmilla, non consistette soltanto in una precisa e corretta interpretazione del testo pirandelliano. Pitoëff sembra realizzare qui davvero l’utopia del regista co-creatore, che fornisce all’autore un’insospettata interpretazione della pagina scritta. A Pitoëff viene riconosciuta da molti recensori la perfetta compenetrazione col testo pirandelliano, la ricerca di un punto di equilibrio tra scelte registiche e rispetto della pagina scritta: l’originalità dell’allestimento, a partire dalla «trovata» del montacarichi, si conforma all’originalità della scrittura (127).

Anche da un punto di vista ermeneutico, la regia di Pitoëff contribuì alla configurazione di almeno due ipotesi critiche, sviluppate appieno solo negli anni successivi, entrambe strettamente legate allo stile recitativo e alla formazione culturale del regista. Le cadenze trascinate, intense della pronuncia di Pitoëff arricchirono la pièce di una ulteriore intensità tragica, che culminò poi nell’Henri IV, mentre la consuetudine con Ibsen, uno degli autori più rappresentati dalla compagnia, fornì lo spunto per una interessante comparazione. Del tragico pirandelliano si occupò a lungo Crémieux e, da una diversa prospettiva, Gabriel Marcel, mentre l’analisi comparata tra il teatro di Ibsen e Pirandello, forse non evidente ai contemporanei, ha rivelato diverse possibilità di lettura (128).

124) ANTOINE, in «L'information», 16 aprile 1923.125) LUGNÉ-POË, in «Avenir», 17 aprile 1923.126) Cfr. A. M. CASCETTA, Teatri d’Arte fra le due guerre a Milano, Milano, Vita e Pensiero, 1979. Un altro recensore, il drammaturgo Régis Gignoux, (cit.), vide nel Figlio l'immagine simbolica del prototipo di spettatore disinteressato ed ostile; l'interpretazione può essere discutibile, ma certo è complementare alla generale, e scarsamente riflessa, reazione di stupore a cui si è fatto cenno; ed è l'ennesimo segnale della diffusa attenzione al problema: «Avec ses comédiens vaniteux et susceptibles, il représente tout le théâtre et ses miroirs déformants, sa tricherie, son commerce. D'où un heurt continu entre cette convention et la logique obstinée, la vérité nue des six personnages en quête de leur auteur. Autour de cette situation une comédie satirique se mêle à la tragédie de la famille désunie. Et le pivot du drame ne sera pas le coup de théâtre de l'inceste, mais la ténacité farouchement silencieuse du fils du premier lit qui ne veut pas être mêlé à la pièce, qui entend rester en dehors, dans son indifférence rageuse, ou son désespoir égoïste - et qui est, peut-être, l'image du spectateur».127) ANTOINE, cit. Cfr anche R. GIGNOUX, cit.; Y. NOVY, s.l., 10 aprile 1923; R. De FLERS, in «Le Figaro», 28 mai 1923.

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Finita la stagione del trionfo del teatro pirandelliano, anche l’arte di Pitoëff ormai inscindibile da esso, fu giudicata eccessivamente intellettualistica e conobbe un periodo di scarso favore presso il pubblico. Tuttavia, nel corso di un triennio (dal 1922 al 1925), l’approdo di Pirandello sulle scene francesi aveva aperto nuove vie anche ad altri autori italiani, aveva dunque operato una forma di indiretta mediazione culturale, non critica ma creativa (129). Si trattò naturalmente di un movimento di cultura in duplice direzione, dall’Italia alla Francia, ma anche dalla Francia all’Italia, di cui Pirandello fu solo uno, e non il primo, dei generatori. Per ricostruire questo scambio, come insieme di elementi dinamici, occorrerà dilatare i confini temporali e spaziali, ripercorrendo a ritroso la storia degli italianisants di Francia, e di quegli autori come Marinetti, Bontempelli, San Secondo - per non citarne altri - che furono considerati italiani in Francia e francesi in Italia, e furono, non a caso, strettamente legati a Pirandello.

128) «Il y a dans cette oeuvre, outre des parentés modernes, quelques évocations du "Songe d'une Nuit d'Été". Elle n'en est pas moins puissamment hardie et personnelle, toute gonflée de pensée, toute harcelée de fatalité, toute étreinte de tragédie. Personne mieux que M. Pitoëff ne pouvait interpréter une telle oeuvre. Il donne au Père un extraordinaire aspect de mystère larvatique, avide de vie et d'éternité et il s'est fait acclamer» (J. C ATULLE-MENDÈS, cit.); ed anche: «Encore M. Pitoëff a-t-il répandu parmi la pièce une atmosphère ibsénienne, si l'on peut dire, qui n'est peut-être pas dans l'original. J'imagine que l'on pourrait jouer le Père, qui non content de vivre le drame pour sa part est encore obligé d'en faire le commentaire général, dans un mouvement plus rapide et moins uniformément douloureux. Mais M. Pitoëff, en dépit des défauts qu'on lui reconnait, possède une véritable force tragique» («Nouvelle Revue Française», 1er juin 1923, cit., p. 965). Cfr., ad esempio, Alle origini della drammaturgia moderna. Ibsen, Strindberg, Pirandello, Atti del Convegno Internazionale, Torino, 18-20 aprile 1985, Genova, Costa & Nolan, 1987.129) Cfr. R. LELIÈVRE, op. cit., p. 423.

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