camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza

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annuario internazionale di studi musicologici 4 · 2007 PISA · ROMA FABRIZIO SERRA · EDITORE MMVIII estratto

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a n nua r i o i n t e r na z i ona l ed i st u d i m u s i co lo g i c i

4 · 2007

P I S A · R O M A

FA B R I Z I O S E R R A · E D I TO R E

M M V I I I

estratto

Direttore / EditorPaolo Fabbri

Vicedirettore / Assistant EditorAlessandro Roccatagliati

Consulenti / AdvisersAnselm Gerhard · Roger ParkerEllen Rosand · Philippe Vendrix

Segreteria di redazione / Scientific SecretaryMaria Chiara Bertieri

Redazione / Scientific Secretary AddressDipartimento di Scienze Storiche,

Via del Paradiso 12 · i 44100 FerraraTel. +39 0532 293503 · Fax +39 0532 455234

E-mail:Paolo Fabbri: [email protected]

Alessandro Roccatagliati: [email protected] Chiara Bertieri: [email protected]

*

«Musicalia» is a Peer-Reviewed Journal.

L’OPERA FRANCESE IN ITALIA:GIUSEPPE CARPANI E LE STAGIONI 1787-1795

DEL TEATRO ARCIDUCALE DI MONZA

II .

A cura di Emilio Sala

CAMILLA IN VIAGGIO DA PARIGI A NAPOLI,PASSANDO PER MONZA

Arnold Jacobshagen

ra le rielaborazioni di opéras-comiques ad opera di Giuseppe Carpani, il suo ultimolavoro di questo genere, Camilla ossia Il sotterraneo, rappresentato al Teatro Arcidu-

cale di Monza nel 1794, riveste una grande importanza: la traduzione carpaniana di Ca-mille ou Le souterrain (Parigi, 1791) di Benoît-Joseph Marsollier de Vivetières e Nicolas Da-layrac ha infatti gettato le basi per la successiva messa in musica viennese di FerdinandoPaer (1799), poi per quella di Valentino Fioravanti per il Teatro S. Carlos di Lisbona(1804), ed infine per la rielaborazione di quest’ultima ad opera di Fioravanti ed AndreaLeone Tottola per il Teatro Nuovo di Napoli (1810). La Camille di Dalayrac a Parigi erastato uno dei lavori di maggiore successo all’interno di quel filone che ebbe particolarefortuna a partire dagli anni ’80 del Settecento e per il quale – almeno a partire dal xx se-colo – si è coniata la definizione di Rettungsoper.1 Caratteristica di tutte le opere di que-sto filone è una drammaturgia che ogni volta tende al salvataggio in extremis di uno opiù protagonisti in grave pericolo di vita.2 Le Rettungsopern sono molto importanti dalpunto di vista storico – come ha sottolineato Sieghart Döhring – anzitutto a causa del-la loro «apertura, tipica del genere, specialmente verso le forme del teatro popolare, chele rende il modello per eccellenza dell’opera moderna. Soprattutto la drammaturgia delfinale ha operato da catalizzatore delle innovazioni musicali, testuali e sceniche, chehanno avuto come risultato una nuova estetica teatrale dell’opera».3

Tali tendenze della Rettungsoper sono già presenti nelle rielaborazioni sceniche diCarpani per Monza che costituiscono così le prime ‘propaggini’ italiane del filone fran-cese. Tratti distintivi di questi lavori sono tra l’altro la dissoluzione della divisione ingeneri così come l’unione di momenti tragici e comici.4 L’intreccio di Camilla mostraqueste tendenze in maniera del tutto chiara: il duca spagnolo Uberto è sposato da mol-ti anni con Camilla, di origini semplici e notevolmente più giovane, e con lei ha un fi-glio, di nome Adolfo. Quando Camilla viene assalita dai banditi, è salvata dal giovaneconte Loredano, un nipote di Uberto. Loredano si innamora di Camilla, e la incalza,ma ella si oppone al suo corteggiamento. Per non screditare Loredano e per non com-promettere l’onore della famiglia, la donna giura di non rivelare mai a chi deve la pro-pria salvezza. Il duca nutre però il sospetto che dietro questo silenzio ella celi un adul-terio. Perciò fa rinchiudere Camilla nel sotterraneo del suo castello, finché ella non

1 Cfr. R. Morgan Longyear, Notes on the Rescue Opera, «The Musical Quarterly», xlv, 1, 1959, pp. 49-66.2 Charlton 1992; Sieghart Döhring, Die Rettungsoper. Musiktheater im Wechselspiel politischer und äste-

tischer Prozesse, in Beethoven: zwischen Revolution und Restauration, a cura di Sieghard Brandenburg e HelgaLühning, Bonn, Beethoven-Haus, 1989, pp. 109-136. 3 Ivi, p. 111.

4 Soprattutto gli opéras-comiques di Jean-Michel Sedaine, i cui libretti si posizionano all’inizio della tradi-zione della Rettungsoper, hanno messo in discussione le tradizionali opposizioni dei generi in maniera co-stante. Cfr. Marc Ledbury, Sedaine, Greuze and the Boundaries of Genre, Oxford, Oxford University Press,2000 («Studies on Voltaire and the Eighteenth Century», 380), e Idem, Sedaine and the Question of Genre, inMichel-Jean Sedaine (1719-1797). Theatre, Opera and Art, a cura di David Charlton e Marc Ledbury, Aldershot,Ashgate, 2000, pp. 13-38.

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riveli il nome del suo salvatore. Atto i: sette anni sono passati, quando Loredano e ilsuo servo Cola ritornano da lunghi viaggi e, nelle immediate vicinanze di Cadice, ven-gono sorpresi da un temporale. Cercano rifugio in un vecchio castello, senza sapereche, da qualche tempo, è abitato da Uberto. Il giardiniere Gennaro, che il giorno se-guente vuole sposare la contadina Ghitta, li mette al corrente che il singolare signoredel castello non parla con nessuno e impartisce ordini al suo servo solo con una cam-pana. Quando la campana annuncia l’apparizione del duca, i nuovi arrivati si ritirano.In un grande monologo, Uberto esprime la propria gelosia e i propri pensieri di ven-detta. Nella gioiosa attesa dell’imminente matrimonio di Gennaro, i servi si prepara-no alla danza, ma vengono turbati dalla notizia che nel castello si sta cercando un mal-vivente. Il sospetto cade sui due ospiti sconosciuti. Atto ii: di nuovo Uberto promettealla moglie la fine dei suoi tormenti, se ella gli rivelerà il nome del suo salvatore. Laprospettiva di rivedere il figlio Adolfo (che non sa chi sia sua madre) sembra far cede-re Camilla. Ma poco prima che ella riveli il fatidico nome, il duca deve lasciare il car-cere, perché nel castello è entrata una truppa di soldati. Camilla e Adolfo rimangononel sotterraneo. Uberto viene arrestato con il sospetto di omicidio. Atto iii: Camilla eAdolfo sono vicini a morire di fame, quando le mura del sotterraneo vengono abbat-tute dai liberatori. Uberto e anche Loredano riconoscono le loro colpe, manifestandol’intenzione di chiedere il perdono del re.

Le componenti dell’opera buffa nella trama di Camilla sono introdotte essenzialmen-te attraverso la servitù. L’elenco dei personaggi accoglie un’intera serie di figure comi-che, fra cui soprattutto Cola, il servo del conte Loredano, i domestici del duca Gennaroe Cienzo, oltre alla contadina Ghitta. Ma anche lo stesso Loredano, il nipote del duca, èpresente in scene di carattere comico, laddove sfrutta l’opportunità del matrimoniocampagnolo per indagare sugli avvenimenti occorsi nel castello. Qui si nota come i per-sonaggi nobili e comici siano indissolubilmente legati; e lo stesso vale per le situazioniserie e buffe. Rispetto all’opéra-comique di Dalayrac, gli elementi comici sono ulterior-mente accentuati da Paer attraverso l’aggiunta dei ‘numeri’ introduttivi. Tuttavia iltriangolo tragico-sentimentale Camilla-Uberto-Loredano (che si sovrappone inoltre aquello familiare Camilla-Adolfo-Uberto) fornisce la struttura drammaturgica di base aduna trama oltremodo seria. Non è senza importanza il fatto che con il duca Uberto e Ca-milla, figlia di un contadino, abbiamo, proprio all’inizio dell’opera semiseria, una cop-pia diseguale. L’unione socialmente inadeguata di un aristocratico con una donna di ori-gini più modeste è una delle situazioni più frequenti nell’opera semiseria. Nella realtà,quello che nel diritto canonico era previsto come ‘matrimonio segreto’ o ‘matrimoniodella coscienza’ (matrimonium conscientiae), era per la società italiana dell’ancien régime –cioè fino all’introduzione del diritto civile napoleonico – una realtà abbastanza diffusa,le cui cause erano, nella regola, grandi differenza di ceto o di età.1 La situazione si incontra soprattutto in opere che assumono il modello del drame bourgeois o dell’opéra-comique, nei quali la tematizzazione delle contrapposizioni sociali è particolarmente caratteristica.2 Più raro è il caso opposto, l’unione di una giovane donna di nobili natali

1 Un’analisi demografica dei «matrimoni segreti, clandestini e non registrati» si trova in Volker Hunecke, Der venezianische Adel am Ende der Republik 1646-1797. Demographie, Familie, Haushalt, Tübingen,Niemeyer, 1995 («Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom», 83), pp. 110-120.

2 Esempi tipici sono, fra l’altro, Amalia e Carlo ovvero L’arrivo della sposa (Tottola-Guglielmi, Napoli, 1812)o Elisa e Claudio (Romanelli-Mercadante, Milano, 1821).

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 93con un uomo di ceto inferiore.1 Nel successivo sviluppo dell’opera semiseria le conclu-sioni con matrimoni segreti, fra persone di ceto diverso, sono diventate un motivo me-no ricorrente nella misura in cui il mélodrame diventò la fonte principale dei soggetti: qui,come ricordato, le contrapposizioni sociali sono raramente tematizzate in quanto tali;piuttosto, l’ideologia conciliante del genere mirava ad un livellamento delle stesse. Giànella precedente storia dell’opera si trovano numerosi soggetti che tematizzano unionidi diverso livello sociale. Uno dei più amati era il tema di Griselda,2 che significativa-mente anche Ferdinando Paer aveva realizzato immediatamente prima di Camilla, conil titolo La virtù al cimento (1798), aprendo con essa la serie delle sue opere semiserie. Lefigure di Griselda e Camilla sono accomunate dalla stessa incondizionata dedizione nelterribile trattamento avuto da un marito di condizione sociale superiore, ma laddoveGriselda appare un esempio di sacrificio di sé, la rassegnazione psicologica di Camilla alproprio destino per coscienza di una propria colpa va invece chiarita. All’interno delleopere su Camilla, è controversa la valutazione del ruolo del duca. Mentre David Charlton inserisce senza riserve Camille di Dalayrac nella categoria delle ‘opere del ti-ranno’ [Tyrant operas] e interpreta il duca Alberti in modo chiaramente negativo, comeun «sadistic jealous husband»,3 Matthias Brzoska è dell’opinione che «l’opera, nono-stante le sue tendenze melodrammatiche», si mantenga «senza un malvagio» e il ducavenga «dipinto fin dall’inizio come una figura nobile».4 L’inumana oppressione della mo-glie e del figlio – dell’incombente morte per fame dei quali il duca è del tutto consape-vole – mette tuttavia in dubbio questa interpretazione, così come la sincerità del tardi-vo pentimento di quest’ultimo, che giunge solo dietro la spinta di un ordine del re diNapoli. Nell’ambientazione da romanticismo gotico di un castello mezzo diroccato, iltema della violenza familiare, interna al matrimonio, e della brutale persecuzione didonne indifese era un’eredità della gothic novel e del suo prototipo, The Castle of Otranto(1764) di Walpole.5 Quanto all’influsso diretto di questo romanzo sull’opéra-comique diMarsollier, già nel 1967 Alice M. Killien vi aveva richiamato l’attenzione e, come Camil-la, anche numerose altre Rettungsopern rimandano a questa tradizione.6

Le deviazioni dall’originale francese, ma anche dalla traduzione di Carpani, fannoparte di quel processo di trasformazione che l’opera subì nel suo cammino da Parigi aVienna, passando per Monza, prima di toccare, fra le altre città, anche Lisbona, Londra,Milano e Napoli. Gli aspetti letterari fondamentali di questo processo, almeno per Mon-

1 Appare degno di nota il fatto che, per quanto riguarda i protagonisti maschili dei tre casi di maggiorsuccesso di questa costellazione, si tratti ogni volta di figure di artisti: Florindo in Elisa (Rossi-Mayr, Venezia,1804) e Comingio in Adelaide e Comingio (Rossi-Pacini, Milano, 1817), così come la trilogia operistica sullostesso soggetto (Tottola-Fioravanti, Napoli, 1812-1818). In questi casi l’unione non viene neppure legittimatada un matrimonio finale, ma in Elisa si lascia la conclusione aperta, mentre Adelaide e Comingio, diversa-mente dalle abitudini comuni del genere, ha addirittura una conclusione tragica.

2 Le più famose opere su Griselda dell’epoca barocca sono quelle di Tommaso Albinoni (1703), Alessan-dro Scarlatti (1721) e Antonio Vivaldi (1735). 3 Charlton 1992, p. 182.

4 Matthias Brzoska, Paer: Camilla (1799), in Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters: Oper, Operette, Musical, Ballett, 6 voll. + Register, a cura di Carl Dahlhaus e del Forschungsinstitut für Musiktheater der Universität Bayreuth diretto da Sieghart Döhring: iv, München, Piper, 1991, p. 620.

5 Cfr. Valdine Clemens, The Return of the Repressed. Gothic Horror from The Castle of Otranto to Alien,New York, State University of New York, 1999, pp. 29-40.

6 Alice M. Killien, Le Roman terrifiant ou Roman noir de Walpole à Anne Radcliffe et son influence sur la littérature française jusqu’en 1840, Paris, Champion, 19672 (ed. anast. Genève, Slatkine, 1984, 2002; i ed. 1923, ied. assoluta Paris, Crès, 1915), p. 107.

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za e Vienna, sono già stati indagati da Marco Marica:1 mi soffermerò dunque sulla rie-laborazione della musica di Dalayrac compiuta dal direttore musicale arciducale VáclavPichl (1741-1805), il cui manoscritto si trova alla Biblioteca Estense di Modena.2 Già nel-la prefazione del libretto monzese si rinvia a queste circostanze: «La musica è del bra-vissimo Dalairac, e lo avrebbe detto da se quando noi l’avessimo tacciuto. Il noto brio,la precisione, l’affetto ne fanno spia. L’aria però di Camilla e il duetto tra lei e il Ducasono di un’altra penna cui altri di questi Spettacoli devono già diversi pezzi di comuneincontro. Il cel. sig. Venceslao Piclh [sic] direttore della musica di S. A. R. il SerenissimoArciduca Ferdinando».

L’allestimento musicale dell’opera a Monza, quindi, ebbe luogo sotto la direzione diPichl, che rifece completamente due ‘numeri’ centrali dell’opera: il duetto fra il duca eCamilla nel secondo atto e la breve scena seguente della protagonista. I motivi che ori-ginarono il primo cambiamento possono essere cercati nella forma del duetto di Da-layrac, che si staccava in modo particolarmente netto dalla convenzione italiana, equelli che hanno causato il secondo nel desiderio della primadonna di avere un grande‘numero’ bipartito a solo. Ugualmente radicali sono i mutamenti che riguardano i ‘nu-meri’ di Adolfo: la sua partecipazione musicale viene complessivamente ridotta alledue strofe che canta nel terzo atto insieme alla madre. Il duetto Camilla-Adolfo nel terzo atto cade, senza essere sostituito. Questa limitazione del peso musicale del per-sonaggio infantile si spiega senza dubbio con la difficoltà di accogliere una situazioneall’epoca ancora inusuale nell’opera italiana. Oltre a ciò, gli interventi di Pichl si limita-no, nella maggioranza dei ‘numeri’, a ritocchi nella strumentazione. L’ouverture, chenella partitura è ridotta alla sola parte del basso, è stata ripresa da Pichl in maniera in-tegrale e senza cambiamenti, almeno per quanto riguarda, appunto, il basso. La primaaria del buffo Gennaro (Fabio in Marsollier e Dalayrac) è stata arricchita da Pichl di unaparte per il flauto, che tuttavia perlopiù deriva da quella dei violini primi (colla parte oall’ottava). Inoltre l’arrangiatore ha differenziato, in alcuni punti, la strumentazione,per raggiungere una più spiccata plasticità. Così Pichl mette in rilievo i forte in tutta laparte dei fiati (da batt. 47), mentre nello stesso punto Dalayrac lascia l’accompagna-mento ai soli archi. Più oltre fa suonare in diversi punti i corni in ottavi più pausa di ot-tavo invece che con una successione di quarti (batt. 130). Nel terzetto del primo attoPichl ha sostituito i clarinetti previsti da Dalayrac con gli oboi (probabilmente perchénon aveva a disposizione i primi) e ha ritoccato talvolta i flauti e i corni. Gli ottavi ripe-tuti dei flauti alle battute 155 e 157, al posto della metà più ottavo, seguono i violini pri-mi. La riduzione del valore delle note del corno da intero a metà (batt. 155-156) segueinvece la linea del canto, favorendo la comprensione del testo.

Per contro, alcuni dei raddoppi e delle aggiunte effettuate da Pichl nelle parti solisti-che degli stessi ‘numeri’ riducono la trasparenza del suono di Dalayrac in maniera nonirrilevante. Ad esempio, Pichl fa raddoppiare la scala discendente di sedicesimi dei vio-lini alla battuta 67 dal flauto, e rinforza con le viole in seste e terze. In Dalayrac la par-te solistica sta in rapporto immediato, per contrasto, con una cadenza a ‘tutti’ e origi-na un nuovo inizio, che Pichl tende a livellare. Simile valore hanno i rinforzi strumentalialla battuta 20 e 28. Quasi invariata rimane, nella versione di Monza, la tecnica compo-

1 Cfr. Marica 1998.2 I-MOe Ms. Mus. F. 322. Ringrazio Emilio Sala per avermi messo a disposizione un microfilm di questa

versione.

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 95sitiva dell’aria strofica di Laurette (Citta): vengono cambiati, in maniera insignificante,solo la transizione fra il secondo e il terzo couplet (batt. 104-112) e le battute conclusivedopo la terza strofa (batt. 156-160).

Degni di maggiore attenzione sono, invece, i cambiamenti nella musica della panto-mima del duca, la cui struttura armonica e tematica di base rimane tuttavia immutata.Subito all’inizio Pichl arricchisce il suono dialogante, spezzato, degli archi presente inDalayrac, rendendolo un blocco compatto, attraverso cui la lacerazione del tessuto com-positivo, così come le caratteristiche plastiche del motivo iniziale di due battute (violinii) e le figurazioni di risposta a due voci (violini ii, viole) vengono quasi completamentelivellate. Pichl fa suonare gli oboi già alla quinta battuta nel ‘tutti’, mentre in Dalayrac siinseriscono solo sedici battute dopo. Al contrario, il rullo di tamburo su una corona conun crescendo alla dominante, viene ridotto, rispetto a Dalayrac (batt. 16-20), di tre bat-tute (batt. 19-20), cosa che pregiudica in maniera capitale il valore di crescendo della par-te finale, su di una fermata con successiva pausa generale. Alcuni passaggi di Dalayrac,strumentati in maniera troppo delicata, irritarono chiaramente Pichl, così come gli im-provvisi contrasti presenti nel brano. Non ultimo, tenuto conto delle piccole dimensionidel numero (46 batt.), Pichl tende ad una più forte unitarietà del quadro sonoro, che tut-tavia contrasta con la desolata condizione del duca che entra in scena credendosi solo.

La tendenza a un indifferenziato irrobustimento del suono è palese anche nell’ariaconclusiva del duca. Qui Pichl aggiunge il flauto in maniera quasi automatica, sebbenein Dalayrac non sia previsto. A causa dell’effetto del registro acuto, questo brano, cheondeggia fra dubbio, rabbia e idea di vendetta, non solo perde molto della sua atmo-sfera cupa, ma anche della sua ambivalenza emozionale. Ugualmente limitante si rive-la il raddoppio dei due corni da parte delle trombe, il cui suono brillante certamente siassocia all’immagine dell’aria d’ira e di vendetta, ma viene nascosta la particolarità del-la situazione psicologica del protagonista, in preda al tormento amoroso e alla lacera-zione. Già nell’infelice traduzione di Carpani del primo quinario, che introduce l’effi-cace motivo iniziale, questo spostamento o restringimento semantico è manifesto: da«Amour, vengeance» si passa a «Furor, vendetta», con una univocità non adatta alla si-tuazione. Pichl lascia invece invariata la parte centrale (batt. 65-90), particolarmente no-tevole per i continui cambi fra passaggi di recitativo e arioso, non costringendosi al ti-pico schema dell’aria costruita con ‘da capo’ e in forma-sonata.

A causa dell’accoppiamento particolarmente stretto di passaggi cantati e parlati, edell’utilizzo – inusuale per l’opera italiana – di inserti di danza legati al dramma, la de-cima scena del primo atto è di particolare interesse. Nel libretto viene più volte moti-vato l’accennare brevi motivi di danza da parte dei musicisti contadini presenti. La rea-lizzazione di questi passaggi tuttavia manca nella partitura di Dalayrac ed è stataevidentemente completata da Pichl in maniera autonoma:

Marsollier

Marcellin, Lorédan, Fabio, Lau-rette, Domestiques du château.Les valets entrent, ils sont tous vê-tus grossièrement, et ont des figu-res peu revenantes; plusieurs fem-mes dans le même costume.

Carpani

Gennaro, Loredano, Citta, Miccoe gente del castello tutti vestitigrossolanamente.

Pichl

«Nº. 5. 1/2 [sic] Piva»6/8, Moderato, Re magg.,8 battute2 cor., fl., 2 ob., fg., archi

96 arnold jacobshagen

Marsollier

[…]fab. (Point gai.) Mais, Mes-sieurs, je ne danse guère.lor. Allez donc, Fabio; c’estun honneur que l’on veut bienvous faire.laur. Oh! vous ne me refuse-rez pas? (Elle le prend par lamain; Fabio fait la grimace; ellele mène au haut du théâtre pourdanser avec elle.)mar. Allons, joue, Garriga.(Garriga joue un vieux menuet.)fab. Est-ce qu’on danse enco-re le menuet? Je m’en mêlaisjadis… mais à présent? (Il s’ex-cuse et veut s’en aller.)

mar. Eh ben, autre chose; en-tends-tu, Garriga? un rigau-don.gar. Plus gai? Oui, not’ bour-geois. (Il joue le même air beau-coup plus vite.)mar. Encore? Tu ne sais doncque cet air-là?gar. (Riant bêtement) Oui, not’bourgeois.lau. Eh, que ne disais-tu? (Ellele contrefait et le renvoie.) Mar-cellin, chante-nous plutôt uneronde, tout le monde en sera,Monsieur aussi.lor. De tout mon cœur.mar. Une ronde! (Cherchant.)Laquelle?…Ah! je m’en vaisvous dire celle de la forêt d’ici,de la forêt noire; elle est toutenouvelle.

lau. Oui, elle est bien jolie; el-le me fait toujours une peur!…fab. (quittant la main de sa dan-seuse.) Une peur! …lau. Vous verrez!

Carpani

[…]col. Oh signori io non so bal-lare; (tristo) e poi questa seraho mal di stomaco.lor. Via Cola, è un onore cheti fanno.cit. Oh voi non mi ricusaretecerto. (lo prende per mano; Colafa il renitente; essa lo riconduceindietro sulla scena per commin-ciare con lui il ballo.)gen. A te Micco, dalli. (Miccosuona un vecchio menuetto.)col. Come? Si balla ancora ilminuè in questo paese? Io losapeva una volta, ma adessol’ho dimenticato. Epperò…(vuol ritirarsi dal ballo.) ballatevoi altri.gen. Ebbene suona un altroballo. Alto Micco; la forlana, ilrigadon.mic. Sì presto il rigadon, il ri-gadon. (suona la stessa aria mapiù presto.)gen. E Diamine! Ancor la stes-sa? Non ne sai altra?mic. Appunto camerata. (ri-dendo goffamente) Ah! ah!cit. Perché non lo dicevi pri-ma? (lo beffa e caccia via.) Gen-naro mio, cantaci piuttostouna ruota tu. Noi la ballaremotutti insieme. Anche il signore.lor. Ben volentieri.gen. Una ruota! (cercando nellamente.) Ma quale? …Oh vi can-terò quella della Selva qui vici-na: quella della selva nera.L’ha fatto il nostro cieco: sen-tirete, è bellissima ed è frescafresca.cit. Oh sì, è proprio bella. Mifa sempre una paura…col. (lasciando la mano dellasua ballerina.) Una paura? …cit. Sentirete.

Pichl

«Nº. 5. 1/2 [sic] Il Rigadone At-to Primo»6/8, Re magg., 16 battutefl., 2 ob., 2 fg.«Oh voi non mi ricusarete cer-to | A te Micco dalli.»«Sì presto il rigadon, il riga-don. Poi segue»2/4, Re magg., 8 battutefl., 2 ob., 2 fg.

«Mi fa sempre una paura |Una paura | Sentirete»

«Aria Gennaro con Cori. Attoimo»

6/8, Allegretto, Si bem. magg.,124 battutefl., 2 fg., archi

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 97

Anche qui colpisce il fatto che Pichl, nonostante tutta la necessaria brevità dei fram-menti musicali, si preoccupi di una realizzazione orchestrale dal suono pieno e non la-sci eseguire – come il libretto consiglierebbe – le previste melodie di danza dagli inter-preti stessi. Il fatto che Dalayrac abbia rinunciato a fissare queste melodie nella partituraa stampa mostra che egli non considerava la realizzazione di questi ‘suoni ambientali’realistici come un compito del compositore, ma del trovarobe, o lo rimetteva alla di-screzione degli stessi attori, dai quali spesso ci si aspettava che potessero accennare unasemplice melodia su uno strumento a piacere. La ronde (o ruota) – l’unico numero didanza dell’opera integralmente compiuto – che Dalayrac fa accompagnare solo dagliarchi, viene ancora arricchita da Pichl con un flauto, che di solito raddoppia i primi vio-lini all’ottava superiore. Queste osservazioni relative al tipo e all’entità degli interventidi Pichl non sono smentite neppure dall’analisi del secondo e del terzo atto, e ci con-sentono di affermare che la versione monzese della Camilla non differisce in manieraprofonda dalla forma originale parigina, nelle sue componenti musicali. Tali modifiche,nel loro complesso, sono volte a dare un’immagine sonora più brillante, spianando intal modo numerose sfumature caratteristiche di Dalayrac, e dimostrandosi così assolu-tamente significative.

Un’ulteriore variante, nell’aria di Fabio (Cola, nella versione italiana) del secondo at-to, sottolinea in modo diverso questa tendenza generale all’allontanamento normaliz-zante dal modello francese. In questa scena notturna, in una sala oscura del castello, ilpavido cerca di calmarsi, canticchiando fra sé una canzoncina. Questo gli riesce a talpunto che si addormenta, ma senza smettere di cantare. Così evoca nel sogno – di quan-do in quando interrotto da un pesante russare – la Ronde du meunier, che Marcellin (Gen-naro) aveva eseguito nel primo atto. La versione originaria del ‘numero’ sfocia in unapantomima, nella quale si alternano lunghi passaggi muti e isolati accordi dei fiati. Il fat-to che Pichl cancelli questo passaggio senza sostituirlo è una prova evidente della nonavvenuta accettazione, da parte dell’opera tradizionale italiana, di una strutturazionemusicale modellata sul primato dell’azione scenica.

Già in molti luoghi della rielaborazione della partitura di Dalayrac per Monza è dun-que palese un cauto recupero di alcune convenzioni tipiche dell’opera italiana: ciò valeancora di più naturalmente per la nuova messa in musica del libretto ad opera di Paer.Già sul versante testuale il libretto mostra numerose e profonde modifiche, la cui pa-ternità non si è potuta appurare, fino a oggi, in maniera inequivocabile. Poiché Carpa-ni viveva a Vienna dal 1797, sembra probabile che egli stesso abbia intrapreso la riela-borazione, come suppone Wolfram Ensslin.1 Questa opinione è rafforzata anche dalfatto che Carpani aveva evidentemente una particolare conoscenza della vita privata diPaer, come appare nelle osservazioni molto personali sul compositore presenti nelleHaydine.2

Si conoscono meno i retroscena concreti della nascita di Camilla per ciò che riguardail ruolo di Paer. Se si trattò di una collaborazione personale fra Carpani e Paer, oppurese quest’ultimo arrivò al testo di Camilla per altre vie, non è più possibile ricostruirlo in

1 Cfr. Ensslin 2003, p. 328.2 Ad esempio: «Paer celiando fra gli amici, parlando di mille cose, sgridando i domestici, disputando

colla signora e co’ figli, ed accarezzando il cane, scrisse la Camilla, il Sargino, e l’Achille», in Giuseppe Car-pani, Le Haydine ovvero Lettere sulla vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn, Milano, Candido Bucci-nelli, 1812, pp. 220-221.

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maniera attendibile. Secondo Castil-Blaze, la cantante parigina Saint-Huberti, che du-rante la Rivoluzione francese era emigrata assieme al conte d’Entraigues e si era stabi-lita a Vienna, deve avere passato il libretto originale di Marsollier de Vivetières a Paernel 1795.1 Ma il libretto di Camilla ossia Il sotterraneo messo in musica da Paer, coinci-dendo ampiamente con la traduzione di Carpani, sembra contraddire l’indicazione diCastil-Blaze. Persino la trasposizione dei dialoghi in prosa in recitativi richiese sola-mente pochi adattamenti, e si limitò perlopiù ad una suddivisione del testo in settenarie endecasillabi.2

La versione di Paer della Camilla contiene numerosi brani di testo e ‘numeri’ musi-cali nuovi, la cui introduzione tiene conto delle esigenze della prassi esecutiva italiana.Questo è palese specialmente nella disposizione delle arie, che già nel primo atto de-vono offrire ai cantanti, in un’opera italiana, la possibilità di una presentazione musica-le. Mentre nel primo atto dell’opéra-comique di Dalayrac, oltre al Duca, solo il giardinie-re Marcellin canta un’aria, in Paer i cinque ruoli più importanti sono presenti con‘numeri’ solistici già nel primo atto, laddove tuttavia solo il testo dell’aria di Ghitta de-riva dalla traduzione di Carpani per Monza.3 Una differenza fondamentale è rilevabileanche nel fatto che Paer dà al Duca una voce di basso (da tenore che era in Dalayrac).Già il primo ‘numero’ di Paer rappresenta, rispetto a Marsollier e Dalayrac, e anche al-la versione monzese di Carpani, un’integrazione che si spiega con la convenzione dive-nuta vincolante in Italia di aprire l’opera con un’introduzione. Fra le aggiunte del se-condo atto, occorre mettere in risalto soprattutto il terzetto e l’aria di Adolfo, con cuiquesto ruolo – grazie anche al restaurato duetto con Camilla del terzo atto – non soloviene restituito al suo peso primitivo, ma potenziato addirittura oltre l’originale di Mar-sollier. A parte questo, la più importante modifica della nuova versione si trova nel fi-nale del terzo atto. In quest’ultimo avvengono d’altronde i maggiori cambiamenti nel-la disposizione dei ‘numeri’. Nel terzo atto si constata un chiaro spostamento dei pesimusicali dall’inizio (Dalayrac) alla fine (Paer), e con ciò un’ulteriore accentuazione mu-sicale dello scioglimento – come è tipico della Rettungsoper. Quindi nella prima scena delterzo atto si trova, in Marsollier, il duetto fra Camilla e suo figlio, che pone in questoluogo l’apice dell’opera. Per non anticipare questo crescendo drammatico prima delduetto fra madre e figlio, anche Marsollier avrebbe dovuto rinunciare ad affidare adAdolphe nel primo atto un peso canoro così cospicuo. Al contrario, in Paer, i ‘numeri’musicali sono concepiti ogni volta in relazione all’inizio e alla fine dell’atto: introduzionie finali costituiscono i pilastri di una concezione drammaturgica in cui la musica ottie-ne un peso specifico di gran lunga maggiore presso di essi. Il fatto che il finale terzo,con un’ampiezza di 305 battute, raggiunga quasi le 337 del primo e le 367 del secondo,dimostra una chiara differenza rispetto alla regola di un’opera italiana dell’epoca, e sispiega con la drammaturgia ‘finalistica’ della Rettungsoper.

In maniera simile alla Camilla di Paer, il libretto di Carpani sullo stesso soggetto è ser-vito come modello anche per l’opera La forza del giuramento, ossia La Camilla (1804) diValentino Fioravanti, e ancora una volta è stata la ‘periferia’ del circuito operistico (que-

1 François-Henri Joseph Castil-Blaze, L’opéra italien de 1548 à 1856, Paris, Castil-Blaze, 1856.2 Marica 1998, p. 215.3 Ivi, p. 216 valuta anche i due brevi ariosi di Cola nella quinta scena del primo atto come arie autonome:

«Anche le due brevi arie buffe di Cola («Tante donne ingrate» e «Se a l’alto mio consorte») nella scena v delprimo atto rappresentano una novità rispetto al libretto di Marsollier». Il presente studio segue invece la di-visione dei ‘numeri’ di Ensslin, chiaramente divergente da quella di Marica (Enßlin 2001, ii, pp. 330-353).

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 99sta volta fuori dall’Italia: Lisbona) il teatro della rielaborazione, prima che il lavoro fa-cesse ritorno nella Penisola – questa volta a Napoli –. Al Teatro S. Carlos di Lisbonal’opera di Dalayrac, nella traduzione di Carpani, venne messa in scena per la prima vol-ta il 29 novembre 1799, col titolo Camilla ossia La sepolta viva.1 A Lisbona, al teatro rea-le, le rappresentazioni operistiche venivano date perlopiù in lingua italiana, e questo fi-no al xix secolo.2 Mentre il libretto musicato per la scena portoghese è essenzialmenteidentico alla traduzione di Carpani, a Napoli Andrea Leone Tottola realizzò una ver-sione completamente modificata, che doveva tenere conto delle specifiche richieste del-la piccola scena buffa e della sua tradizione.3

Il libretto redatto per Lisbona si differenzia, sotto vari punti di vista, dalla versionemonzese di Carpani. Non è ancora chiaro se Fioravanti e chi ha rielaborato il testo ab-biano potuto fare riferimento anche al modello di Paer. Mentre Marica sostiene la tesiche il libretto di Lisbona si basi su quello di Paer,4 Ensslin afferma che un legame Paer-Fioravanti non è appurabile.5 Che il librettista di Lisbona abbia preso i recitativi dalla ver-sione di Paer può essere smentito da un confronto degli stessi nelle due edizioni, comedimostra la collazione dell’inizio della seconda (Carpani e Fioravanti) o della terza sce-na (Paer) del primo atto (Ge. = Gennaro, Ci. = Cienzo, Lo. = Loredano, Co. = Cola):6

(continua)

1 Cfr. Sartori 1990-1994: ii, 1990, p. 33.2 Cfr. Mário Vieira de Carvalho, “Denken ist Sterben”. Sozialgeschichte des Opernhauses Lissabon,

Kassel, Bärenreiter, 1999 («Musiksoziologie», 5).3 Rappresentazioni documentate della Camilla di Fioravanti: Lisbona, 1801, Teatro S. Carlos; Lisbona,

1804, Teatro S. Carlos; Londra, 1804 (?); Napoli, 1810, Teatro Nuovo; Milano, 1810, Teatro alla Scala; Napoli,1811, Teatro Nuovo; Chieti, 1811, Teatro di S. Ferdinando; Roma, 1817, Teatro Valle; Napoli, 1820, Teatro Nuo-vo; Napoli, 1825, Teatro Nuovo.

4 Marica 1998, p. 320. 5 Enßlin 2003, p. 329.6 La prima scena dell’opera di Paer, rispetto alla versione monzese di Carpani, rappresenta un comple-

tamento, come è palese dalla differente divisione delle scene. Le indicazioni sceniche mancano in questoconfronto.

Carpani (Monza, 1794)

I detti e Cienzo con barba e capel-li neri, pistolle alla cintola. Colasi spaventa al vederlo.

Ge. Il Padrone…(andandogli incontro)Ci. È tornato poc’anzi.Ge. E dov’è?Ci. Nella stanza delle feriate.Là presso la sala d’armi.Ge. E cosa ti ha detto nell’en-trare?(imitando il Padrone)Ci. Levati, che fai tu qui?

Paer (Vienna, 1799)

Cienzo, e detti. Cienzo con barbe,e capegli neri, e pistole in cintura,abito da sgherro, ma con bordo dalivrea, cappelle da bulo. Cola sispaventa.Il Padrone?(andandogli incontro)È tornato in questo punto.|E dov’è?Nella stanza|di ferro. Là pres-so la sala d’armi.|Che ti disse in vederti?|

Che fai qui? levati.

Fioravanti (Lisbona, 1801)

I detti e Cienzo con barba, e ca-pelli neri, e pistole alla cintola.Cola si spaventa a vederlo.

Il padrone… (andandogli incon-tro con tuono profondo)È tornato.E dove sta?|Sta nelle stanze delle ferriate.|Presso la sala d’armi.E che ti ha detto|nell’entrare?Cienzo, m’ha detto,levati,|che fai qui?

100 arnold jacobshagen

Il confronto mostra chiaramente che l’adattamento di Lisbona dei dialoghi in prosa,tramutati in versi sciolti, deve molto più alla versione monzese che a quella messa inmusica da Paer. Quest’ultima contiene considerevoli mutamenti: ad esempio le dueesclamazioni aggiunte di Loredano e Cola («Oh bella! Oh bella! | E cosa v’è di bel-lo?»), due personaggi che nella versione originale in questa scena fino a quel puntonon hanno quasi mai la parola. Le similitudini fra le versioni di Paer e Fioravanti sispiegano con la loro comune origine nella traduzione monzese di Carpani: in en-trambi i casi i dialoghi in prosa sono stati mutati in versi sciolti, senza che sia rico-noscibile una dipendenza delle due versioni fra loro. Le notevoli varianti fra l’edizio-ne di Vienna e quella di Lisbona dicono molto di più su di una loro origine parallelae indipendente. Differenze essenziali rispetto alle opere di Paer e Dalayrac emergonoin Fioravanti anche dal punto di vista della distribuzione dei personaggi, specialmen-te per quanto riguarda la riduzione del fanciullo Adolfo a un ruolo secondario, senza‘numeri’ solistici.

La partitura di Fioravanti giunse da Lisbona in Italia nel 1810, rappresentata, in dueversioni fortemente differenti fra loro, a Napoli e Milano. Mentre a Milano si seguì laversione originaria, a Napoli, città natale del compositore, si provvide ad una profondarielaborazione ad opera di Tottola, che riportò i recitativi nuovamente alla forma deidialoghi in prosa, secondo la particolare tradizione napoletana dell’opera con parti par-late. Il successo di La forza del giuramento, ossia Camilla superò tutte le altre produzionidi quell’anno al Teatro Nuovo e dimostrò che questa nuova prassi riscuoteva un vastoconsenso.

Le varie Camille operistiche presupponevano una radicale rottura delle convenzionisceniche dell’opera italiana – anche questa una conseguenza dell’adozione di un libret-

Carpani (Monza, 1794)

Ge. Tante cose! Capperi! èben di buon umore quest’og-gi… Sempre solo?

Ci. No. Aveva un ragazzo seco.

Ge. Un ragazzo? dove l’ha preso?Chi lo sa! Qui lo ha condottoun incognito che aveva unamaschetta al volto.

Ge. Oh! sentite?Ci. Ho inteso che l’incognitoparlando di non so chi gli dice-va: Eccellenza, sì, ritorna; e se-condo le ultime lettere arrive-rà probabilmente a Napoliquest’oggi.

Paer (Vienna, 1799)

Tante cose?|Capperi! è ben di buon umorquest’oggi!|Solo? secondo il solito?|Gnor no.Avea seco un ragazzo.Un ragazzo?|

Così è. Qui lo condusse|unuomo mascherato.

Lo. Oh bella! Oh bella!|Co. E cosa v’è di bello?|

(in tuono disgustato)

L’incognito parlò d’un ches’aspetta,|d’un che a Cadicetorna.

Fioravanti (Lisbona, 1801)

Oh! tante cose?|Capperi! questa sera è in buonumore.|Sempre solo?

No, seco avea un ragazzo.|Dove l’ha preso mai?

Chi lo sa?|Qui l’ha condotto un uomomascherato.|

Oh! sentite?L’incognito parlando|di nonso chi, ho inteso che dicea:|sì,Eccellenza, ritorna, e dalle let-tere|ricevute si sa,|che a Na-poli forse oggi arriverà.

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 101to francese in traduzione italiana. L’accresciuta importanza della parte visiva si tradu-ce, nel libretto, nella ricchezza di indicazioni sceniche più minuziose, così come nelladescrizione di scene e costumi, con una sottigliezza difficilmente rintracciabile nel-l’opera italiana fino a quell’epoca. Specialmente notevoli sono le richieste gestuali, pan-tomimiche e coreografiche che vengono rivolte ai singoli interpreti. Così, nel primo at-to, il duca si presenta con un grande ‘numero’ pantomimico solistico, per il quale nonci sono antecedenti di alcun genere nell’opera italiana precedente. Poco dopo almenoGhitta e Cola, e possibilmente tutti gli attori, partecipano attivamente alle danze per ipreparativi alle nozze contadine.

All’inizio del secondo atto, il libretto a stampa per intere pagine assume l’aspetto diun manuale di regia: le indicazioni sceniche sono qui così dettagliate che, per non dan-neggiare la leggibilità della costruzione del verso, vengono inserite come note a pie’ dipagina. Specialmente la pantomima, già ricordata a proposito della versione monzese,del servo Cola (il quale, durante la sua aria, si addormenta e poi si risveglia), non lascianulla di intentato per quanto riguarda la precisione delle istruzioni sceniche. E anche lascena fra Camilla e Adolfo nel terzo atto, nel libretto è organizzata graficamente in ma-niera simile, con il testo principale separato dalle indicazioni registiche.

Sebbene l’integrazione della pantomima non rappresentasse, per l’opera italiana,una novità assoluta, va comunque detto che essa, nell’ambito dell’opera seria, potevapretendere molto, nella normale distribuzione dei compiti fra i vari rami delle arti sce-niche, non già dai cantanti, ma al massimo dai ballerini o dalle comparse. Invece nellapantomima del duca è proprio il primo basso che si esibisce innanzi al pubblico non conun’aria di bravura ma, innanzitutto, con una pantomima. Però non va dimenticato chel’introduzione di questo esperimento, di origine parigina, portava dritto a Vienna, pri-ma che la veloce propagazione dell’opera in Italia introducesse anche lì un mutamentodelle convenzioni rappresentative. Nell’opera buffa da sempre ci si attendevano, da par-te dei cantanti, maggiori abilità attoriali. Le scene pantomimiche nella Camilla di Fio-ravanti, perciò, soprattutto al Teatro Nuovo di Napoli, poterono essere rappresentate,vista la lunga tradizione buffa, con maggiore naturalezza rispetto alle messe in scenadell’opera di Paer sui tradizionali palcoscenici dell’opera seria in Italia.

Se si confronta la musica della pantomima del duca nelle tre versioni di Dalayrac, Pa-er e Fioravanti, si possono appurare alcuni notevoli parallelismi, ma nel complesso sihanno tre soluzioni assolutamente diverse e individuali di questa sfida compositiva.

La situazione di partenza è praticamente identica per tutti e tre i compositori: Car-pani tradusse le indicazioni sceniche di Marsollier quasi letteralmente, come si vede neilibretti musicati da Paer e Fioravanti:

102 arnold jacobshagen

Nel suo studio sugli adattamenti di opéras-comiques di Paer, Camilla e Sargino, MatthiasBrzoska esprime l’opinione che la messa in musica di questa scena sia influenzata for-temente dalla corrispondente di Dalayrac. Secondo Brzoska, relativamente alla panto-mima del duca, si può «seguire battuta per battuta come Paer si appoggi alla tipica tec-nica motivica di Dalayrac».1 Nel confronto ci si riferisce anche alla versione diFioravanti, rilevando palesi e maggiori consonanze fra Dalayrac e Fioravanti che fra Da-layrac e Paer. Questi parallelismi iniziano già da fattori evidenti come l’estensione o lascelta di tempo. La pantomima, in Dalayrac, è lunga 46 battute, il tempo è costante-mente lento (Andante un peu lent et noblement). Invece Paer si accontenta della metàdella lunghezza (23 batt.), che però dopo la diciottesima battuta prevede un mutamen-to di tempo (Laghetto - Allegro assai). Fioravanti, ancora una volta come Dalayrac, sce-glie un Andante e si attiene, con 40 battute, alle stesse dimensioni.

In conformità alla rigorosa richiesta del libretto di una esatta trasposizione musicaledell’elemento gestuale («Pendant cette espèce de pantomime, la musique peint sa si-tuation autant que cela est possibile» – «Durante questa pantomima, la musica esprimelo stato del Duca»), si possono far vedere le differenze delle tre realizzazioni attraversouna rappresentazione sinottica delle azioni sceniche e della musica a loro assegnata (cfr.Ess. 1-3).

1 Matthias Brzoska, Camilla und Sargino: Ferdinando Paers italienische Adaptionen der französischen Opé-ra comique, «Recercare», v, 1993, pp. 171-192: 191.

Dalayrac, Camille, i, 7

Les précédents, Alberti, enfrac, les cheveux en désordre,l’air troublé, un chapeau quiest rabattu et lui cache le vi-sage; trois valets, mis commeon l’a dit, portent un fauteuil,un secrétaire et un flambeauavec plusieurs bougies. Larampe remonte.

Alberti, pendant ce temps,a fait un signe pour qu’on pla-cât le fauteuil, le secrétaire etle flambeau; pendant cette es-pèce de pantomime, la mu-sique peint sa situation autantque cela est possible. Il ouvrele secrétaire, il commence unelettre, la déchire, en tire unportrait, le regarde, le serredans son sein, referme le se-crétaire avec vivacité, et sort.Lorédan et Fabio rentrent surla pointe du pied, ainsi que lesautres domestiques.

Paer, Camilla, i, 7

Il Duca ha i capegli scompi-gliati, l’aria torbida, ed un cap-pello, che gli nasconde il volto.Cienzo con altri due servitorivestiti come si è indicato, por-tano una sedia, una scrivania,e quattro candele accese. Ilteatro si rischiara.

Frattanto il Duca fa segno, chesi posi la sedia, lo scrittoio, e lecandele. Durante questa pan-tomima, la musica esprime lostato del Duca. Egli apre loscrittoio, comincia una lette-ra, la straccia, cava un ritratto,lo guarda, se lo porta al seno,lo bacia, rinchiude lo scrittoiocon impeto, e parte. Loredanoe Cola che stavano nascosti,tornano fuori cogli altri inpunta di piedi.

Fioravanti, Camilla, i, 7

Alberto coi capegli scompi-gliati, e aria torbida: tre servi-tori vestiti come si è indicatoportano una sedia, una scriva-nia, ed una torcia con moltecandele. Il teatro si rischiara.

Alberto fa segno frattanto,che si metta la sedia, lo scrit-toio, e la torcia. Durante que-sta pantomima, la musicaesprime lo stato di Alberto.Egli apre lo scrittoio, comin-cia una lettera, la straccia, ca-va un ritratto, lo guarda, se loporta al seno, lo bacia, rin-chiude lo scrittoio con impe-to, e parte. Loredano e Colacon tutti gli altri servi, che sta-vano nascosti, tornano fuoricogli altri in punta di piedi.

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 103

Azione

1. Entrata del duca

2. Vuole la sedia, loscrittoio e la lampada.

3. Invita i servi ad an-darsene.

4. Va pensieroso alloscrittoio e si siede.

5. Scrive una lettera.

6. Strappa la lettera.

7. Estrae un ritratto.

8. Osserva l’immagi-ne, la stringe al petto ela bacia.

9. Chiude irato lo scrit-toio

10. Se ne va.

Dalayrac

Forma: abcdefa1-4: tema principale inquarti e progressione(archi): a5-8: motivo puntato(vl. primi), unito a terzeparallele, discesa cro-matica per semitoni(viole, fagotti) e rullo ditimpani in crescendo: b9: fanfara di fiati e pau-sa generale: c

(10: fanfara di fiati epausa generale: c)

(11: fanfara di fiati epausa generale: c)

12-16: imitazione me-lodica fra primi violinie bassi, e tremolo degliarchi: d

17-20: tremoli discen-denti degli archi e rullodi timpani che sfocia-no su un accordo diRe7-9 (ff) e quindi risol-vono: d’(vedi sotto: 21-32)

21-32: melodia (clari-netto o oboe solo) so-pra accordi degli ar-chi: e32-36: ripetute fanfaredei fiati, tremoli degliarchi e rullo di timpa-ni: f37-48: tema principalein quarti e progressio-ne (archi) e cadenzafinale (tutti): a’

Paer

Forma: abcde1-4: tema di fanfara eprogressione: a

5-8: curva melodica di4 battute, arricchita: b

(vedi sopra: 5-8)

(vedi sopra: 5-8)

(vedi sopra: 5-8)

9-12: figura per scalediscendenti in sedicesi-mi risolve in un accor-do di Re7: c

(vedi sopra: 9-12)

13-19: melodia per sca-le ascendenti con temaa moto perpetuo e fi-gurazione di doloreconclusiva: d(vedi sopra: 13-19)

19-23: cadenza retori-ca: e

(vedi sopra: 19-23)

Fioravanti

Forma: ababacadc1-3: figura a triadi inquarti e progressione(archi): a3-5: discesa cromaticain quarti, a terze paral-lele (2 viole sole): b

5-11: figura a triadi inquarti e progressione(archi), insieme a untema puntato (violini,fiati): a’11-16: discesa cromaticain quarti, a terze paral-lele (oboi), con ritardodei secondi violini: b’17-20: figura a triadi,progressione e caden-za (archi): a’’21-28: ripetizioni disuoni in progressionee note di passaggioin sedicesimi e trenta-duesimi (violini, bas-so): c28-29: ripetizioni disuoni e note di passag-gio in sedicesimi e tren-taduesimi; sfociano inuna scala ascendente ditrentaduesimi (violini,basso): c’30-31: figura a triadi(archi): a’’’

32-36: melodia imitati-va fra oboi e clarinettisopra un tappeto di ar-chi: d37-40: scale di trenta-duesimi ascendenti ediscendenti: c’’

(vedi sopra: 37-40)

104 arnold jacobshagen

Es. 1.(continua)

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(continua)

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(continua)

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(continua)

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Es. 2.(continua)

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Il Duca ordina che gli si appresti al scrittoio le candele, che i servi partino.

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Es. 3.(continua)

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Il confronto mostra che Dalayrac e Fioravanti provvedono ogni dettaglio scenico diuna precisa struttura musicale, mentre il lavoro di Paer fa corrispondere solo in ma-niera relativamente vaga la musica con la relativa situazione scenica. Formalmente siaDalayrac che Paer sperimentano un procedimento di addizione, laddove i singoli temio gruppi di battute si susseguono in maniera relativamente allentata (nella sequenzaABCDEFA in Dalayrac, ABCDE in Paer). Mentre in Dalayrac, alla fine, viene stabilitauna compattezza formale attraverso il ritorno del motivo iniziale, in Paer non v’è trac-cia di ripetizioni di singole parti. La musica di Paer, nella sua lapidaria brevità, ha piut-tosto il carattere di un’introduzione strumentale alla scena seguente, che quello di un‘numero’ musicale autonomo. Questa impressione è rafforzata dal fatto che le battuteiniziali del successivo recitativo accompagnato coincidono esattamente con l’inizio del-la musica della pantomima e quindi forniscono in un secondo tempo – per così dire –la ripetizione interna mancante. D’altra parte la versione di Fioravanti presenta, con ilritorno regolare del tema iniziale ed una costruzione a mo’ di rondò (ABABACADC),una maggiore compattezza formale. Tuttavia questa costruzione statica non convinceartisticamente per quanto riguarda le diverse situazioni del protagonista, ma piuttostotende a livellare musicalmente la tensione psicologica della situazione scenica. Se si pre-scinde dalle numerose e nocive ripetizioni, la strutturazione di Fioravanti assomiglia,nei particolari, a quella di Dalayrac, cosa che almeno ammette la possibilità che egli sisia ispirato al suo predecessore francese. Poiché l’opera di Dalayrac fu rappresentatanel 1799 a Lisbona, poco prima che Fioravanti intraprendesse la propria versione, nonè improbabile che il lavoro francese gli fosse noto, o per avere assistito ad una rappre-sentazione, o per averne studiata la partitura. Anche Paer potrebbe essere venuto incontatto a Vienna con l’opera di Dalayrac, benché tale supposizione, sulla base diun’analisi comparativa della partitura, sia difficilmente dimostrabile. Indipendente-mente dalla questione di una dipendenza diretta dal modello di Dalayrac, entrambe leopere italiane offrono un precoce esempio di musica strumentale gestuale-descrittivavolta alla realizzazione scenica di una drammaturgia muta, così come, negli stessi an-ni, nei teatri parigini di boulevard, si stava compiendo un grande progresso nel generedel mélodrame.1

Attenzione particolare, in tutte le versioni di Camilla, merita il ruolo di Adolphe/Adolfo, il bambino. La ‘scoperta dell’infanzia’, intesa come specifica e autonoma partedella vita, appartiene, come ci ha insegnato Philippe Ariès, alle più essenziali conquistedella coscienza moderna.2 Nel Medioevo i bambini erano visti anzitutto come adultidalle dimensioni ridotte, e solo lentamente, a partire dal xiii secolo, si iniziò a svilup-pare una rappresentazione dell’alterità del bambino, che trovò la sua espressione «dansl’histoire de l’art et dans l’iconographie aux xve et xvie siècles»: una scoperta le cui «témoignages deviennent particulièrement nombreux et significatifs à partir de la fin dixvie et au xviie siècle».3 Sotto la spinta dello sviluppo socio-economico e della genera-le ascesa della borghesia, l’immagine del bambino mutò considerevolmente durantel’età dei lumi, e specialmente grazie al romanzo Émile (1762) di Rousseau si riconosce al-l’infanzia la condizione di idealizzato, innocente ‘stato di natura’ dell’esistenza umana,

1 Cfr. Sala 1995, specialmente le pp. 121-161.2 Cfr. Philippe Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien Régime, Paris, Seuil, 1973.3 Ivi, pp. 38 e 39.

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acquisendo con ciò un’importanza centrale nella storia del pensiero illuministico.1 Con-temporaneamente, la rappresentazione dell’infanzia conobbe un significativo svilupponella narrativa in Inghilterra e Francia,2 prima che in Germania conseguisse una note-vole importanza per la poesia romantica, nello sviluppo di utopie e ideologie infantili.3

Non solo nella narrativa, ma anche nella poesia drammatica sentimentale del tardoSettecento, la scoperta dell’infanzia come figura scenica nel ruolo di protagonista rap-presentò un arricchimento essenziale della tipologia e della costellazione dei perso-naggi. Tuttavia i ruoli infantili posero fin dal principio considerevoli problemi pratici aiteatri, poiché una realizzazione adeguata dipendeva totalmente dalla disponibilità di in-terpreti adatti. In Francia furono soprattutto i drammi ‘familiari’ di Diderot a rivolgereparticolare attenzione all’adolescenza.4 Grande scalpore suscitò l’interpretazione di unbambino in L’orphelin anglais (1769) di Charles-Henri de Longueil.5 Nell’ambito del tea-tro in musica, ruoli sentimentali di bambini si incontrano soprattutto nell’opéra-comiquedel tardo Settecento; l’introduzione di questo topos drammaturgico nell’opera italianasi dimostra ancora una volta come il risultato diretto di un transfert culturale dalla Fran-cia. Nelle opere di Grétry si trovano ruoli infantili ricoperti da cantanti donne fin daglianni ’80 del Settecento. Se l’entrata di un bambino senza nome in Colinette à la cour (Pa-rigi, 1782) è ancora del tutto secondaria, con il piccolo contadino Antonio in RichardCœur de lion (Parigi, 1784) si incontra una figura drammaticamente irrinunciabile: An-tonio, che del resto ha anche da cantare il primo ‘numero’ a solo dell’opera, ha la fun-zione di guida del trovatore Blondel, (creduto) cieco, che è al centro della trama. Partiin chiave di soprano sono anche il giovane villico Jacques in Raoul Barbe-bleue di Grétry(Parigi, 1789) e il piccolo Guillaume Tell nell’omonimo opéra-comique (Parigi, 1791). Piùsignificativi di questi personaggi di Grétry sono i ruoli infantili di alcuni opéras-comiquesdi Dalayrac, specialmente i due orfanelli Michel e Josef, protagonisti dell’opera in un at-to Les deux petits savoyards (Parigi, 1789), uno dei maggiori successi internazionali delteatro musicale europeo dell’epoca, e uno di quei lavori conosciuti in Italia grazie allatraduzione di Carpani e divenuti soggetto di diverse opere semiserie. Ulteriori ruoli in-fantili di opéra-comique di Dalayrac, che ugualmente entrarono nel mondo dell’opera se-miseria tramite l’adattamento di Carpani, sono Craon nel Raoul sire de Créqui (Parigi,1789) e, non ultimo, appunto, Adolphe in Camille ou Le souterrain (Parigi, 1791), ruolo chegrazie alla rielaborazione di Paer influenzò non poco l’opera italiana del primo Otto-cento. Incomincia infatti con il piccolo Adolfo, la storia dei ruoli infantili a livello pro-tagonistico all’interno della tradizione operistica italiana. Diversamente dalla versionemonzese di Carpani, il ruolo di Adolfo non solo non viene ridotto rispetto all’origina-

1 Sull’argomento vedi Peter Tremp, Rousseaus Émile als Experiment der Natur und Wunder der Erziehung.Ein Beitrag zur Geschichte der Glorifizierung der Kindheit, Opladen, Leske und Budrich, 2000.

2 Eva-Gesine Baur, Studien zum französischen und englischen Kinderbild im 18. und 19. Jahrhundert, Diss.phil., München, 1983; Klara Dreihues, Das Kind in der englischen Narrativik des 18. Jahrhunderts unter beson-derer Berücksichtigung des sozio-historischen Hintergrundes, Diss. phil., München, 1993; Marina Bethlenfal-vay, Les visages de l’enfant dans la littérature française du xixe siècle, Genève, Droz, 1979; Children in Literature,a cura di Nicola Bradbury, London, Maney, 2002 («The Yearbook of English Studies», 32).

3 Cfr. Hans-Heino Ewers, Kindheit als poetische Daseinsform. Studien zur Entstehung der romantischenKindheitsutopie im 18. Jahrhundert: Herder, Jean Paul, Novalis und Tieck, München, Fink, 1989; Yvonne-Patricia Alefeld, Göttliche Kinder. Die Kindheitsideologie der Romantik, Paderborn, Schöningh, 1996.

4 Così come in Le fils naturel ou Les épreuves de la vertu (1757) e Le père de famille (1758).5 Cfr. Pierre Frantz, L’esthétique du tableau dans le théâtre du xviiie siècle, Paris, Presses Universitaires

de France, 1998, pp. 140-142.

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 137le di Dalayrac, ma anzi considerevolmente ampliato: Adolfo non appartiene forse airuoli più importanti dell’opera, ma ha un’aria, un duetto, un terzetto e partecipa al fi-nale ben oltre il rango di comprimario. Già Hoffmann rivolse la propria attenzione aquesta parte, preferendo una voce femminile piuttosto che un ragazzo nel ruolo.1

In conformità alle prassi esecutive diverse da regione a regione, anche Adolfo, a se-conda delle circostanze, è stato impersonato da una donna o – sebbene più raramente– da un bambino. Alla ‘prima’ viennese del 1799, secondo la locandina del teatro, fu in-terpretato da M.lle Müller.2 Anche nella maggior parte delle altre rappresentazioni dicui si conosce la distribuzione, si trovano cantanti donne in questo ruolo: Raffaella Fa-bi a Parma (1802), Caterina Bighi a Milano (1807),3 Johanna Eunike a Berlino (1810), Lui-gia Basili a Torino (181?), Caterina Stefanuti a Venezia (1825). È inoltre provato che siaGioachino Rossini che Albert Lortzing, prima del cambio della voce (12-13 anni), si esi-birono in questa parte, rispettivamente a Bologna e Strasburgo.4 Anche a Firenze nel1804 il ruolo venne affidato ad un ragazzo (Ferdinando Green).

La difficoltà di mettere in scena in maniera convincente questa parte con una vocebianca, contribuì in maniera determinante alla creazione di un registro vocale per ruo-li en travesti. Così come, negli stessi anni, i ruoli dei castrati erano sostituiti con parti damusico, le voci bianche erano rimpiazzate da donne per le quali, data la voce più acuta,leggera e agile, si coniò il termine musichetto – come diminutivo di musico.5 Così comeruoli da musico si trovano quasi esclusivamente nell’opera seria, a poco a poco il musi-chetto divenne una tipologia paradigmatica dell’opera semiseria. Oltre ad Adolfo biso-gna specialmente ricordare, con un registro vocale più profondo (mezzosoprano o con-tralto), Pippo de La gazza ladra (1817) di Rossini, che da parte sua offrì il modello pernumerosi altri ruoli di questo tipo. Solo dopo il graduale mutamento delle parti da mu-sico nel corso degli anni ’30 dell’Ottocento si incontra al suo posto – ovviamente per lopiù in ruoli secondari – anche nell’opera seria il musichetto, che serviva alla rappresen-tazione di precise caratteristiche sociali o geografiche.6

1 «Eine große Schwierigkeit macht in dieser Oper die Partie des Adolf; es wird beinahe niemals ein Kindzu finden sein, dessen Stimme rein und voll genug tönt, um mit Wirkung in den Gesang Kamilla’s und desHerzogs einzugreifen, wie es in dem bekannten Kanon des zweiten Akts der Fall sein muß. Geratenerscheint es daher diese Partie einer jungen Sängerin zu geben, sollte auch Adolf dadurch um ein paar Jahreälter werden, welches Kamilla wohl verzeihen würde» (Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Schriftenzur Musik, a cura di Hans-Joachim Kruse, Berlin-Weimar, Auf bau, 1988, pp. 303-304).

2 A-Wtm 773.042-D-Th. Citato in Enßlin 2003, p. 321.3 A causa delle tuttora scarsa tradizione dell’opera semiseria, le rappresentazioni di Camilla in molti

teatri italiani conobbero numerosi adattamenti. Nei tradizionali teatri d’opera seria, ai quali all’inizio delsecolo apparteneva anche la Scala di Milano, le rotture stilistiche all’interno dei singoli ruoli erano incon-ciliabili con il profilo di una compagnia di canto. Per questo è annotato sul libretto della prima rappresen-tazione alla Scala: «Si avverte che i cambiamenti fatti al libro, sono per rendere la parte di Ghitta alla com-petenza di altra prima Donna».

4 Cfr. Enßlin 2003, p. 330. 5 Cfr. Beghelli Musico 2000.6 «Col nuovo ruolo assunto, la funzione drammaturgica del personaggio en travesti cambia dunque ra-

dicalmente. Da elemento centrale della vicenda – s’è detto – passa a funzione accessoria, capace tuttavia diaccendere la miccia dell’azione o di rallentarla, raffreddandone il clima (è la ricetta del genere semiserio, nelquale l’elemento comico sopraggiunge ad intercalare ed a segnalare le tensioni del registro serio). Se il mu-sico aveva incarnato la parte di protagonista del dramma, il musichetto simboleggerà l’ambiente sociale egeografico in cui il dramma prende forma, incaricandosi di esprimere con la voce il caratteristico color lo-cale; è lui l’immancabile protagonista del gioco, della festa, dello scherzo, del momento di relax sul quale latragedia si prepara a fare irruzione. Anche musicalmente la sua presenza è marginale, quasi mai essenzia-le: estraneo alla grande aria, raramente duetta da pari a pari coi protagonisti, preferendo il compito di per-

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Diversamente da queste parti per musichetto, importanti solo per l’atmosfera del-l’opera, Adolfo, come dramatis persona dell’opera di Paer, è assolutamente irrinunciabi-le per la struttura dei ruoli del lavoro: nella sua persona si concretizza la sopravvivenzadell’amore di Uberto e Camilla. Questa indistruttibilità dei legami familiari, all’esternoancora segreti ma all’interno profondamente vibranti, viene resa evidente – anche dalpunto di vista compositivo – nel terzettino in La magg. (Es. 4) del secondo atto, il ‘nu-mero’ centrale dell’intera opera. Significativamente qui Paer sceglie la forma rigorosadel canone, che nell’opera italiana dell’epoca era tutt’altro che frequente, per conferirealla fatale concatenazione delle tre figure un’espressione inequivocabile. E non a casospetta al piccolo Adolfo la presentazione del tema del canone: prima la madre e poi an-che il padre devono seguire totalmente il percorso della sua voce, sebbene i tre espri-mano i proprî sentimenti con testi molto diversi.1

Al terzetto segue, nel libretto originale e nell’autografo di Paer, una lunga conversa-zione in recitativo fra Uberto, Camilla e Adolfo, tagliata nelle successive rappresenta-zioni e mancante anche nella riduzione per pianoforte. In questa scena, che nel model-lo di Marsollier-Dalayrac è resa essenzialmente attraverso la scelta di mezzi espressivisentimentali, nel tormentoso differimento della riconciliazione familiare la componen-te larmoyante è spinta all’estremo: alle insistenti domande del bambino di rivelare la ve-ra identità di Camilla si oppone il rifiuto dei genitori. Contemporaneamente Adolfo,nella sua innocente rassegnazione naturale, nella sua semplice compassione e nella suaincondizionata veridicità, rappresenta l’ideale d’infanzia di Rousseau e dell’epoca.2 Ètragicamente ironico il fatto che egli, in questa situazione, non possa ancora scoprire ilterribile mistero a proposito di sua madre, e ciò porta alle lacrime il duca e Camilla, co-me anche gli spettatori. A questo punto alla ‘prima’ viennese seguiva la cavatina di Adol-fo che, pur mancando nella riduzione pianistica a stampa, è tuttavia contenuta in copiepiù tarde dell’opera.3 La drastica abbreviazione di questa scena nelle rappresentazionisuccessive può essere spiegata con la ricordata difficoltà di un adeguato conferimentodel ruolo infantile, all’epoca ancora inusuale. La motivazione di Camilla a rivelare il se-greto però può essere resa plausibile solo tramite questa scena: sono le domande e le ri-chieste insistenti del bambino che non danno altra scelta alla madre.

Insieme alla precedente conversazione fra Camilla e Uberto, questa scena è fra le piùampie dell’opera. Al centro si situa il primo confronto fra madre e figlio. La presenza diAdolfo fa apparire per la prima volta anche il duca in luce positiva. L’amoroso discorsodi Uberto («pappà»), che fino ad allora era apparso solo come tiranno brutale e spieta-to, usa ora un registro più dolce, apre un nuovo mondo di sentimenti di intimità fami-liare. Con straziante intensità, all’osservatore vengono messe davanti agli occhi le ar-denti domande del fanciullo, domande la cui gradualità, ostinazione e rettitudine nonconcedono altra soluzione che rivelare la verità. Questa scena palesa come nessun’altra

tichino. Il suo canto non è mai aulico ma ‘quotidiano’, incline ad esprimersi attraverso canzonette, ballatee serenate, nel testo delle quali rispecchia con insufficiente distacco le proprie passioni» (Beghelli Musico2000, pp. 333-334).

1 Non è neppure da mettere in dubbio il fatto che Ludwig van Beethoven si ricordò di questo ‘numero’,quando, pochi anni dopo la prima viennese di Camilla, compose il celebre quartetto a canone nel primo at-to della sua Leonore (1804/1805): il parallelismo nella costruzione dei due brani è evidente.

2 Cfr. Hans-Heino Ewers, Das Kind als Naturmensch. Jean-Jacques Rousseaus Entwurf einer natürlichenKindheit als aufgeklärte Kindheitsutopie, in Idem, Kindheit als poetische Daseinsform, cit., pp. 39-58.

3 Come in I-Rsc A. Mss. 85-86.

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in che misura la drammaturgia dell’opera sia centrata sulla figura del bambino. Per laprima volta nella storia dell’opera italiana si incontra, con Adolfo nella Camilla di Paer,un ruolo infantile che riesce non solo a suscitare compassione per la mera presenza, maa determinare in maniera decisiva il corso dell’azione drammatica grazie ad una parte-cipazione attiva e serrata.

Se gli inizi di un nuovo genere dell’opera italiana, l’opera semiseria, possono esseredatati con la Camilla di Paer, anche la versione di Fioravanti, nella seconda edizione perNapoli (1810), può essere posta alla base di una tradizione: quella ottocentesca delle ope-re con dialoghi parlati rappresentate nei teatri napoletani minori.1 All’indicazione di so-stituire i recitativi della versione di Lisbona con dialoghi in prosa, il librettista Tottola èstato indotto, a quanto pare, da Charles de Longchamps, all’epoca «Soprintendente de’teatri e spettacoli» di Napoli. Il fatto che Tottola abbia rielaborato queste opere su espli-cita richiesta della Soprintendenza emerge chiaramente da due scritti del successore diLongchamps, il duca di Noia.2 Dopo Camilla (1810), Tottola scrisse Raoul signore di Crequì(1811), Adelaide maritata (Comingio pittore) (1812), Amalia e Carlo (1812) e La foresta di Her-manstad (1812): a breve distanza, altri quattro lavori accomunati sia dall’uso del sogget-to serio che dalla presenza dei dialoghi parlati; da notare che si tratta delle prime operenapoletane con dialoghi parlati dai tempi della Nina di Paisiello. Tutte e cinque le ope-re possono essere catalogate come opere semiserie e, con l’eccezione di Amalia e Carlo(Pietro Guglielmi), sono tutte state musicate da Valentino Fioravanti. Le prime due, Ca-milla e Raoul signore di Crequì, si basano inoltre su un opéra-comique. La forza del giura-mento, ossia Camilla fu, per l’opera con dialoghi a Napoli, un inizio splendente. Il suc-cesso dell’opera superò quello di tutte le altre produzioni del Teatro Nuovo quell’anno:dalla prima del 16 settembre 1810 al 23 gennaio 1811, l’opera venne rappresentata 64 vol-te.3 Poiché Tottola e Fioravanti dovevano scrivere l’anno successivo ancora un’operacon i dialoghi parlati, si scelse ancora un opéra-comique, Raoul signore di Crequì, un sog-getto che nel frattempo era stato più volte e con successo adottato dall’opera italiana.4Il successo di questa nuova opera fu pari a quello di Camilla. Il lavoro stette in cartello-ne – benché con varie interruzioni – dal primo settembre 1811 al 18 marzo 1812. Similesuccesso ebbe Amalia e Carlo di Tottola e Guglielmi, che venne rappresentata dal 27 set-tembre al 10 dicembre 1812. Tre giorni dopo ci fu la prima de La foresta di Hermanstad,in cui Tottola poteva già fare riferimento all’«applaudito nuovo sistema dei dialoghi inprosa».5 Con la nuova stagione teatrale (primavera 1813 fino al carnevale 1814 incluso),su disposizione della soprintendenza, si introdussero in tutti i teatri d’opera di Napoli,con l’eccezione del Teatro S. Carlo, i recitativi in prosa. L’immediato successo dei dia-loghi può essere spiegato con il fatto che le disposizioni ufficiali a questo riguardo era-no prese all’unisono con l’interesse degli impresari ed i gusti del pubblico. I direttori dei

1 Cfr. Jacobshagen 2002.2 Archivio di Stato, Napoli, Teatri 4, Copialettere Soprintendenza, 1812 e sgg., 18v e sgg., c. 41.3 Questa cifra si basa sui cartelloni teatrali del «Journal français», apparso a Napoli fra il 1806 e il 1814.4 Vedi i libretti di Giulio Artusi (musica di Luigi Antonio Calegari, Parma, 1808), Niccolò Pedrotti (Fran-

cesco Morlacchi, Dresda, 1810) e Luigi Romanelli (Giovanni Simone Mayr, Milano, 1810).5 «La Forêt de Hermanstad è una delle più brillanti sceniche produzioni, che vanta il Teatro Francese. Il

capriccioso interesse, l’idea di novità, che presenta il suo aneddoto, mi ha invogliata a trattare il soggettomedesimo, facendovi però quelle innovazioni e sulla condotta, e su gli attori, che mi hanno reso necessariele leggi inalterabili delle situazioni musicali, e la compagnia, alla quale ho dovuto adattarlo. Ecco un altromio azzardo nel novello applaudito sistema. Felice, se incontrerà la sorte de’ suoi germani!» (libretto in I-Mc[1812], p. 3).

camilla in viaggio da parigi a napoli, passando per monza 147teatri erano consapevoli del fatto che il teatro musicale era più attraente del sempliceteatro di prosa, ma non tutti potevano permettersi ‘grandi’ opere. Il fatto che una taleinnovativa prassi esecutiva, incompatibile con il resto d’Italia, si sia stabilita in così bre-ve tempo in cinque teatri napoletani, appartiene senza dubbio agli sviluppi più sor-prendenti della storia dell’opera italiana del primo Ottocento. Così, con l’opera dialo-gata, si sviluppò a Napoli, dopo il comunemente lamentato declino della tradizionedell’opera buffa, una nuova cultura del teatro musicale di intrattenimento, di eccezio-nale vitalità e varietà, sulla quale la ricerca scientifica è solo all’inizio.

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SOMMARIO

Emilio Sala, Traduzione e transfert culturale: Les deux petits savoyards dalla Fran-cia all’Italia 11

Marco Marica, Lodoiska di Kreutzer e Cherubini al Teatro Arciducale di Monza (1793) 49Arnold Jacobshagen, Camilla in viaggio da Parigi a Napoli, passando per Monza 91Lorenzo Mattei, Da Parigi a Monza: per una lettura ‘interculturale’ della Caravana

del Cairo (1795) 149

Abbreviazioni bibliografiche 209

Indice dei nomi 213