dalla «città morta» a «elektra». piacenza 2010

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Copertina della prima rappresentazione dell’opera (editore Adolph Fürstner).

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Copertina della prima rappresentazione dell’opera (editore Adolph Fürstner).

Locandina del programma di sala della rappresentazione di Elektra al Royal Opera CoventGarden nella stagione 1910. (Proprietà della Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza).

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DALLA CITTÀ MORTA A ELEKTRASofocle, Schliemann, d’Annunzio, Freud, Hofmannsthal e Straussdi Johannes Streicher

Sul numero 17 della seconda annata di «Musica. Rivista della cultura e del movimentomusicale», pubblicata a Roma (direttore responsabile: Raffaello de Rensis), il 16 set-tembre 1908 apparve questa notizia: «Riccardo Strauss ha messo la parola fine alla suanuova opera Elettra. La partitura fu terminata precisamente il 30 agosto e già anche l’or-chestrazione si trova a buon punto, perché Strauss ha l’abitudine di istrumentare le sueopere mentre le compone. La prima esecuzione di Elettra è destinata all’Opera Reale diDresda per la fine del gennaio 1909. Poi verrà la volta di Berlino, dove sarà eseguitaverso il 15 febbraio sotto la direzione dell’autore stesso. Quindi Elettra domanderà il giu-dizio dei pubblici di Monaco e di Vienna. In totale 17 città della Germania e dell’estero sidisputano già l’onore di rappresentare questo nuovo lavoro dell’autore di Salomè. Essoverrà eseguito anche all’Opéra di Parigi, ma l’epoca non fu ancora stabilita. Il libretto diElettra è di Hofmannsthal. L’opera, come è noto, è in un atto solo e durerà un’ora e qua-ranta minuti».L’attesa, dunque, sembra sia stata assai grande, e non sarebbe andata delusa. Elektraandò in scena a Dresda il 25 gennaio 1909, sotto la direzione di Ernst von Schuch, chegià aveva tenuto a battesimo Salome, e con una compagnia di prima levatura, com-

prendente Annie Krull (nel ruolo della protago-nista), Ernestine Schumann-Heink(Klytämnestra), Margarethe Siems (Chryso-themis) e Carl Perron (Orest). In Italia Elektragiunse poco dopo, il 6 aprile, al Teatro allaScala di Milano, con protagonista SalomeaKrusceniski, direttore Edoardo Vitale, per poiessere riproposta al Teatro Costanzi di Romanel 1912 (con Emma Carelli) e comparire, daglianni Trenta, con una certa regolarità in tutti iteatri maggiori della penisola.Il testo dell’opera è – come annunciato nellanota citata sopra – effettivamente di Hugo vonHofmannsthal (1874-1929), ma non si tratta diMaschera funeraria di Agamennone dalle tombe

reali di Micene; Atene, Museo Nazionale

un libretto propriamente detto. Come nel caso della Sa-lome (1905), Strauss mise in musica un testo preesi-stente, adottando lo stesso procedimento applicatoqualche anno prima dal suo collega Claude Debussy inPelléas et Mélisande (1902): intonare, cioè, esatta-mente le parole di un dramma – in quel caso il testosimbolista del belga Maurice Maeterlinck (1892) –,senza intervento alcuno di un librettista, limitandosi aeffettuare dei tagli, senza intervenire in modo radicalesulla struttura drammaturgica del testo. In Salome ilcaso era lievemente diverso, poiché il testo originale diOscar Wilde era steso in francese, mentre Strauss misein musica la traduzione tedesca di Hedwig Lachmann(salvo poi confezionare una seconda versione in fran-cese), ma la sostanza del nuovo atteggiamento neiconfronti di un testo letterario non cambiava. Nella critica tedesca (e ormai anche in quellaanglosassone) si usa il termine Literaturoper per questo tipo di opera lirica, in cui la fonteletteraria non viene trasformata fino all’inverosimile, ma semplicemente ‘tagliata’ per per-metterne la fruizione musicale, dato che l’esecuzione cantata di un testo ovviamente duradi più che non la sua recitazione. In Italia gli esempi più noti di Literaturopern sono il Gu-glielmo Ratcliff di Pietro Mascagni (1895, da Heinrich Heine) e la Francesca da Rimini diRiccardo Zandonai (1914, in cui il testo del dramma di Gabriele d’Annunzio venne ‘ri-dotto’ dall’editore Tito Ricordi).Hugo von Hofmannsthal aveva compiuto nell’estate del 1903 una tragedia in un atto Elek-tra, «liberamente tratta da Sofocle», che però nel suo linguaggio personale e nella suapsicologizzazione dei caratteri andava ben oltre un semplice adattamento moderno.1 Hof-mannsthal mantenne il personale e l’impianto generale di Sofocle, eliminando tuttavia ilprologo, il personaggio di Pilade (che del resto in Sofocle non parla) e la parte del coro;vi introdusse invece le varie serve di Clitennestra, l’aio di Oreste, i due servi e un cuoco.

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Giorgio De Chirico, Oreste ed Elet-tra 1923 Milano, FAI, Villa NecchiCampigli

1 Per un utile accostamento delle principali versioni letterarie e una bibliografia essen-ziale si veda SOFOCLE, EURIPIDE, HOFMANNSTHAL, YOURCENAR, Elettra. Variazioni sul mito,a cura di Guido Avezzù, Venezia, Marsilio, 2002 (Grandi classici tascabili); per una ras-segna assai ampia delle varie Elettre rimando agli apparati di SOPHOKLES, Elektra, über-tragen von Wolfgang Schadewaldt, herausgegeben von Hellmut Flashar, Frankfurt amMain, Insel Verlag, 1994 (insel taschenbuch it 1616).

Strauss vide una replica della messinscena berlinese di Max Reinhardt dell’ottobre 1903,rimanendone assai colpito; la protagonista, Gertrud Eysoldt, era quella stessa attrice chequalche anno prima aveva recitato la parte wildiana della principessa Salome, e così ma-turò la sua decisione di mettere in musica il testo di Hofmannsthal, originariamente nien-t’affatto destinato al teatro d’opera. Dopo che Salome, rappresentata per la prima volta aDresda il 9 dicembre 1905, era stata avviata ai trionfi internazionali, Strauss era prontoper affrontare il suo secondo grande atto unico, sentendosi attratto dall’antichità fin daitempi del liceo. Al Ludwigs-Gymnasium di Monaco di Baviera, che Richard frequentò finoalla maturità conseguita nel 1882, i classici erano da lui stati studiati con grande impegno,2

che culminò nella composizione di un coro dall’Elettra di Sofocle per coro maschile e or-chestra (in do minore), eseguito durante una festa della scuola nel 1881.3

Pochi anni addietro, un archeologo sui generis aveva fatto parlare di sé, riportando al-l’attenzione del pubblico gli avvenimenti mitici legati alla guerra di Troia e ai suoi prota-gonisti. Il ricco self-made man tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890), titolare di unaditta import-export a Mosca (dagli anni Quaranta, fino al 1864), poliglotta, autodidattacome antichista, poi laureato all’Università di Rostock (1869), a partire dal 1870 compì di-verse campagne di scavi a Hissarlik, in Asia Minore, riuscendo dapprima a localizzareTroia (ovvero diverse città stratificate) e a trovare il cosiddetto Tesoro di Priamo (1873),per poi spostarsi a Micene (già studiata durante un primo viaggio in Grecia, nel 1868),dove nel 1876 scoprì le tombe dei re (cioè degli Atridi), e tornare per ulteriori scavi (dal1879) e due conferenze (1889 e 1890) a Troia; sarebbe deceduto il 26 dicembre 1890 aNapoli, venendo sepolto ad Atene. Dopo un viaggio intorno al mondo (1864-1866), dopoil quale scrisse un volume La Chine et le Japon (Paris 1867), già nel 1869 pubblicò unprimo libro di argomento greco, Ithaka, der Peloponnes und Troja. Archäologische For-schungen (Leipzig 1869),4 cui sarebbe seguita una lunga serie di ulteriori studi, rendi-

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2 Cfr. WALTER DEPPISCH, Richard Strauss, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1968, pp. 19-20, dove l’autore cita dai giudizi degli insegnanti conservati nell’archivio del Ludwigs-Gymnasium.3 Cfr. QUIRINO PRINCIPE, Strauss, Milano, Rusconi, 1989, p. 185.4 Nel reprint anastatico della prima edizione lipsiense, pubblicato a Darmstadt, Wissen-schaftliche Buchgesellschaft, 1963, a cura di Ernst Meyer, i capitoli dedicati a Micene(l’XI) e Argos (il XII) si leggono alle pagine 86-113; cfr. la traduzione italiana in HEINRICH

SCHLIEMANN, Alla ricerca di Troia, a cura di Maria Beatrice Sirolesi, Roma, Newton Com-pton, 1977, 21978, pp. 211-222 (alle pp. 222-246 parte del rendiconto degli scavi a Micenedel 1876).

nuova pubb

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conti di viaggi e scavi (fino alll’autobiografia postuma del 1891, con prefazionedella moglie collaboratrice, Sophie Engastromenos Schliemann).Evidentemente ispirandosi a Schliemann, Gabriele d’Annunzio immagina nel suoprimo dramma, La città morta (1896), che sia un archeologo italiano a compierele scoperte della maschera funeraria d’oro (“di Agamennone”) e degli altri tesoridi Micene, intrecciando i suoi scavi con una complessa vicenda familiare, che sa-rebbe dovuta essere recitata da Eleonora Duse, ma che invece andò in scena aParigi nel gennaio 1898 con protagonista Sarah Bernhardt. Recepita quindi dap-prima in francese, La ville morte costituisce a mio avviso un possibile antece-dente dell’Elektra. Hofmannsthal, laureato in filologia romanza, sapevaperfettamente il francese ed era assai attento a tutte le correnti letterarie del suotempo; conobbe personalmente d’Annunzio, «per cui, salvo i versi, non ho una in-condizionata simpatia, ma che ho sempre ritenuto la maggior forza poetica del no-stro tempo»,5 e lo andò a trovare nella Capponcina, la villa toscana di Settignano,proprio nel 1898, anno del primo trionfo teatrale dell’Imaginifico. Difficile immagi-nare che Hofmannsthal non abbia letto questo testo, frutto, guarda caso, del suoviaggio in Grecia del 1895.Anche Strauss, del resto, andò in pellegrinaggio nel mediterraneo: dopo gli annidegli studi giovanili, infatti, gli sforzi affrontati durante il primo periodo trascorsoquale direttore d’orchestra alla corte di Weimar (dall’ottobre 1889) – non contandole fatiche del compositore, ormai affermatosi con i poemi sinfonici Don Juan(1889) e Tod und Verklärung (1890) – avevano portato il giovane musicista a unesaurimento, dovuto anche a una affezione ai bronchi, che dietro consiglio medicosi pensò di curare tramite un viaggio al sud: nel novembre 1892, passando perBologna, egli si imbarcò a Brindisi per Vido; da Corfù (dove giunse il 12 novem-bre) sarebbe andato a Olympia, volgendosi poi ad Atene. Dopo una settimana divisite entusiasmanti il viaggio proseguì per l’Egitto, dove alla vigilia di Natalevenne conclusa la composizione della prima opera, Guntram.6 Nell’aprile 1893tornò in Europa, fermandosi dapprima in Sicilia, per poi risalire la penisola, pas-sando a Firenze, poi a Gardone (non ancora dannunziana) e Stresa, infine in

5 Cfr. l’introduzione di Gabriella Benci a HUGO VON HOFMANNSTHAL, Elettra, Milano, Gar-zanti, 1981, 21999, p. XI.6 Cfr. RICHARD STRAUSS, Tagebuch der Griechenland- und Ägyptenreise (1892), inRichard Strauss-Jahrbuch 1954, hrsg. von Willi Schuh, Bonn, Boosey & Hawkes,1953, pp. 89-96.

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Svizzera, prima di rientrare a Monaco a metà luglio.7

Il viaggio in Grecia di d’Annunzio, la crociera sullo yacht di Edoardo Scarfoglio, ilFantasia, venne intrapreso solo due anni dopo: per l’esattezza, dal 29 luglio (par-tenza da Gallipoli) al 20 agosto 1895 (inizio del rientro da Atene). Con la differenzache il periodo d’incubazione in Strauss durò più a lungo: d’Annunzio appena un annodopo, tra il settembre e l’ottobre 1896, scrisse La città morta, mentre l’Elektra straus-siana sarebbe stata compiuta solo dopo tre lustri.Guardiamo un po’ più da vicino i due testi.Al di là dell’ambientazione «nell’Argolide “sitibonda”», La città morta ed Elektrahanno in comune il numero di personaggi, cinque (mi riferisco ai soli protagonistidella prima opera hofmannsthaliana di Strauss), tre donne e due uomini. Volendo,data la brevità degli interventi, si potrebbe anche fare a meno della nutrice, come delresto Egisto in Strauss appare giusto per essere ucciso.8 In Anna si materializza perla prima volta l’attenzione di d’Annunzio al corpo, la cui integrità appare spesso com-promessa: Anna è cieca, come altri protagonisti del suo teatro sono storpi o mutilati.Alla cecità si aggiunge la sterilità, e così s’intravede un tema della futura Donna sen-z’ombra.Anna sogna, come Klytämnestra, ma il sogno della «vecchiezza improvvisa»9 sem-bra prefigurare le angosce della Marescialla: «Mein lieber Hippolyte, heut’ habenSie ein altes Weib aus mir gemacht»10 (più avanti, nella scena seconda, Anna chie-derà: «Guarda, nutrice, se tu mi trovi qualche capello bianco», p. 49); lo «stranosogno» di Anna «risponde a un sentimento penoso ch’io ho del mio essere, qualchevolta, se odo scorrere la vita...» (p. 41) – anche la Marescialla, nel suo grande mo-nologo sul tempo, riflette: «Die Zeit, die ist ein sonderbar Ding. [...] Manchmal hör ichsie fließen – unaufhaltsam» («Talvolta io l’odo che scorre – senza sosta»).11 AncoraAnna: «Nel silenzio e nel buio, qualche volta, io odo scorrere la vita con un rombocosì terribile [...] che io vorrei morire per non udirlo più» (p. 41); la Marescialla: «Tal-

7 Cfr. QUIRINO PRINCIPE, Strauss, cit., pp. 430-433 e 436-441.8 Nella lettera del 22 dicembre 1907 Strauss propose infatti a Hofmannsthal di eliminarlo.9 GABRIELE D’ANNUNZIO, La città morta [1898], Milano, Mondadori, 1975 (Oscar, 213), p. 41(d’ora in poi i numeri di pagina fra parentesi si riferiscono sempre a questa edizione).10 HOFMANNSTHAL, Der Rosenkavalier, atto primo; cito da Il cavaliere della rosa, edizionecon testo a fronte a cura di Franco Serpa, Milano, Adelphi, 1992, p. 92 (p. 93: «Hippolytemio caro, oggi mi avete fatto vecchia»).11 Ivi, pp. 106-107.

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volta mi alzo nel mezzo della notte e arresto tutti gli orologi, tutti».12

L’analogia più evidente però mi pare quella con la stessa Elektra: nella scena se-conda del terzo atto Anna si definisce «una povera larva semiviva [...]. Io sono se-miviva, ho già il piede nell’ombra» (p. 130), mentre Elektra fa riferimento alle suebraccia spente, anzi disseccate («Mit meinen traurigen verdorrten Armen»),13 perpoi sentirsi dire da Oreste «Furchtbar sind deine Augen. Hohl sind deine Wan-gen!».14 A Bianca Maria Anna dirà nel primo atto «Io sono come una tua sorellamorta» (p. 57), poi, nel terzo: «E vorrei [...] che voi aveste fede in me come in unasorella maggiore» (p. 135); nel quarto atto Bianca Maria dirà a Leonardo che Annale ha parlato «come una sorella, con la bontà d’una sorella» (p. 153). Infatti, comea Chrysothemis, anche a Bianca Maria «l’ora che passa [...] dà qualche volta un’an-sietà terribile. Sembra che noi attendiamo una cosa che non accade mai» (p. 41).La sorella di Elektra nella sua grande scena si lamenta: «Ich kann nicht sitzen undins Dunkel starren wie du. [...] Immer sitzen wir auf der Stange wie angehängte Vögel[...] und niemand kommt [...], nichts!».15 Il fratello Leonardo, ricorda Bianca Maria, di-ceva di lei: «Tu sembri la vergine Ifigenìa sul punto d’esser tratta al sacrifizio!» (p.43) – ella assomiglia quindi all’altra sorella minore di Elettra. Ma Anna afferma: «Ètroppo grande la forza della tua vita perché si consumi nel sacrifizio» (p. 56). E, ri-volta a Leonardo: «È incredibile la forza di vita che è in lei» (p. 129). «Non è possi-bile che tutta quella forza si consumi nel sacrifizio. Ella ha bisogno di gioire; ella èfatta per dare e per avere la gioia» (p. 130). Elektra, sperando che la sorella possaaiutarla nel compiere la vendetta, dirà: «Wie stark du bist! dich haben die jungfräu-lichen Nächte stark gemacht. Überall ist so viel Kraft in dir! [...] Sie flutet mit deinen

12 Ibidem.13 HOFMANNSTHAL, libretto di Elektra, London, Fürstner, 1908; rist. Berlin, Johannes Oer-tel, 1941, p. 46; la traduzione di Franco Serpa si legge nel programma di sala scaligerodel maggio 1994 (e anche in quello fiorentino del febbraio 2008). Cito dalla ristampa«Elektra» di Richard Strauss, Milano, Teatro alla Scala, stagione 2004-2005, pp. 5-53.Questo il passo citato tradotto da Serpa: «Con le mie tristi braccia inaridite ti abbraccio ilcorpo» (p. 30).14 HOFMANNSTHAL, libretto di Elektra, cit, p. 56; in Serpa (p. 45) si legge: «Tremendi hai gliocchi. Hai le guance scavate!».15 HOFMANNSTHAL, libretto di Elektra, cit, p. 20; Franco Serpa traduce: «Non posso starseduta, gli occhi al buio, come fai tu» (p. 11) e «Sempre siamo posate sulla stanga, comedue uccelli al laccio […], ma nessuno viene […], nulla!» (p. 18).

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Haaren auf die starken Schultern herab!»),16 mentre Chrysothemis prorompe nelgrido «Ich will heraus! [...] Eh’ ich sterbe, will ich auch leben! Kinder will ich haben,bevor mein Leib verwelkt, und wär’s ein Bauer, dem sie mich geben [...]».17 Anna nelterzo atto dice a Bianca Maria: «E vorrei non più parlare, giacché in certe ore dellavita nessuno sa quali parole sia meglio dire e quali sia meglio tenere per sé» (p.135), proprio come Elektra alla fine dirà alla sorella «Schweig, und tanze».18

Se in un atteggiamento di Bianca Maria nel primo atto si può scorgere l’omaggio did’Annunzio a Wagner (come Kundry, «infinitamente tenera», ella «asciuga con i suoicapelli la fronte, gli occhi, le gote, il collo» del fratello [p. 72]; più avanti lei accennaa un balsamo [p. 73]), nell’attesa della rivelazione della scoperta dei sepolcri (Ales-sandro: «Non si sente più nessun rumore» / Anna: «È strano questo silenzio» [p. 63])a noi pare udire le parole di Salome «Es ist kein Laut zu vernehmen. Ich höre nichts.Warum schreit er nicht, der Mann?» («Non si ode nessun rumore. Non sento nulla.Perché non urla, quell’uomo?»).Un’altra eco di Oscar Wilde – rammentiamo: Salomé venne scritta nel 1891-92 in fran-cese; pubblicata in traduzione inglese nel 1894, la prima rappresentazione parigina ri-sale al 1896 – potrebbe essere individuata nelle parole di Alessandro del quarto atto:«La falce della luna è in cima all’Acropoli. Il vento fa un rombo singolare, nella cittàmorta: forse ingolfandosi nelle buche dei sepolcri. Sembra un rullo di tamburi. Nonsenti?» (p. 162), che richiamano l’inizio della Salome, cioè le parole del paggio di Ero-diade: «Sieh die Mondscheibe! Wie seltsam sie aussieht. Wie eine Frau, die aus demGrab aufsteigt», e quelle di Erode a metà dell’opera: «Es weht ein Wind. Weht nicht einWind?». Infine, il delirio di Leonardo che prefigura quello di Elektra. Delirio legato allamorte dell’antagonista, considerata l’unica soluzione di cotanta tensione.

16 HOFMANNSTHAL, libretto di Elektra, cit pp. 45-46; i capelli tanto ammirati di Bianca Marianell’Elektra italiana di Franco Serpa trovano la loro corrispondenza in: «Sei così forte!T’hanno fatto robusta le virginee notti. In ogni membro hai forza! […] Scorre nell’onda deicapelli sulle salde spalle» (p. 29).17 Ivi, pp. 19-20; in italiano: «Voglio uscire! […] Vivere voglio prima di morire! Ho bisognodi figli prima che sfiorisca il mio corpo, e se a un villano anche mi danno […]» (p. 11).18 Ivi, p. 74; si tratta della celebre esortazione finale «Taci e danza» (p. 53), cui tanti fiumid’inchiostro più o meno dionisiaco sono stati dedicati. Nella letteratura sterminata, si vedaalmeno FERRUCCIO MASINI, La vita eccentrica. Figure e miti dell’anima tedesca da Kleista Kafka, Casale Monferrato, Marietti, 1986, pp. 81-93 (La danza come giustizia), e AN-DREA LANDOLFI, Hofmannsthal e il mito classico, Roma, Artemide Edizioni, 1995.

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Il testo dell’Elektra è sicuramente del tutto indipendente da La città morta, ma nonescluderei qualche suggestione indiretta. Parlando di inconscio, non si può ometteredi sottolineare non solo un generico interesse di Hofmannsthal nei confronti di Freud,bensì di ricordare come già poco dopo la prima messinscena dell’Elektra in prosa(1904) un critico berlinese, Maximilian Harden, abbia messo in relazione il drammacon gli Studi sull’isteria di Sigmund Freud e Josef Breuer, libro che Hofmannsthalaveva effettivamente chiesto in prestito a Hermann Bahr nel febbraio 1902. Senzaripercorrere tutta la questione, qui basti dire che «da un confronto testuale si evinceche Anna O. ha rappresentato il modello dell’Elettra hofmannsthaliana».19

Oltre all’importanza di Sofocle, Schliemann, d’Annunzio e Freud, s’intende però chel’Elektra ha contratto un forte debito con Nietzsche: i greci di Hofmannsthal/Straussnon sono più quelli idealizzati di Winckelmann e Goethe, la cui Ifigenia rappresentail sogno umanistico-illuminato del XVIII secolo, laddove Thoas è un re clemente emagnanimo anziché un cannibale vendicativo. Hofmannsthal nelle Szenische Vor-schriften zu «Elektra» del 1903, le sue indicazioni scenografiche che possono bendirsi un’autoesegesi, aveva esplicitamente insistito per eliminare tutte quelle «ba-nalità antichizzanti» (colonne, scalini larghi eccetera) che avrebbero richiamato latradizionale scenografia in uso nei drammi classici. Per intenderci: non si dovevamettere in scena Gluck, bensì una Grecia arcaica, cupa, angosciante, orientale e mi-steriosa.20 Le parole chiavi sono «Enge» e «Orient», l’angosciante ristrettezza di uncortile interno di una casa orientale, non più il classico palazzo reale visto dal latoprincipale. Non solo Elektra è ambientata sul retro del palazzo, ma al contrario del-l’indicazione in Sofocle («È l’alba»), in Hofmannsthal la luce sta già per scemare: eglichiede esplicitamente che la durata della tragedia corrisponda a un lento tramonto.Ombre, dunque, anziché luci, tardo pomeriggio e sera piuttosto che giorno. Comenel secondo atto del Tristano, l’antecedente sine qua non, l’azione è legata alla notte,al tempo degli amanti, qui, in un chiaroscuro ambiguo e oppressivo, si attende unaliberazione, che con Nietzsche può essere solo uno scatenarsi dionisiaco nelladanza finale. La vocalità di Elektra è massacrante, al limite dell’urlo: si tratta della

19 Cfr. Michael Worbs, Mito e psicoanalisi nell’«Elettra» di Hugo von Hofmannsthal, in«Cultura Tedesca. Rivista semestrale» (Roma, Donzelli editore), numero 8: Hofman-nsthal, dicembre 1997, pp. 81-94: 87.20 Le Szenische Vorschriften si leggono in HUGO VON HOFMANNSTHAL, Elektra. Tragödie ineinem Aufzuge. Musik von Richard Strauss, Frankfurt am Main, Fischer TaschenbuchVerlag, 1994 (Fischer 12366), pp. 57-63.

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parte più pesante in assoluto – con Isotta e Brünnhilde – di una protagonista pe-rennemente in scena, sempre in lotta con un’orchestra gigantesca di una partituraimmensa, che raggiunge quasi il limite massimo dei Gurrelieder di Schönberg. Senel Tristan Isotta ha modo di sublimare la sua pena nel Liebestod finale, Elektra siplaca solo con la danza estatica, ma Strauss qui non adotta la soluzione della grandescena finale solistica (in fin dei conti, una cabaletta sterminata) come nel Tristan eancora in Salome, ma ha il colpo di genio della scena a due, con Chrysothemis. (Ilduetto parallelo troverà poi corrispondenza nel finale del Cavaliere della rosa, in-centrato sempre su un terzetto di donne, di cui una alla fine viene meno – l’elimina-zione della marescialla è poi molto meno cruenta di quella di Clitennestra? –;addirittura l’invocazione «Orest! Orest!» delle voci interne troverà il suo rovescio co-mico nel terzo atto del Rosenkavalier, quando i bambini urlano «Papà! Papà!».) Mail flusso irrefrenabile del duetto finale che si tramuta in danza non ha eguali nella sto-ria dell’opera: se l’idea è antichissima – già l’Orfeo di Poliziano (1480) finiva predadelle baccanti – la realizzazione della scena in Strauss raggiunge uno dei vertici delteatro occidentale, che anche a distanza di un secolo dalla sua prima rappresenta-zione non ha perso nulla del suo fascino irresistibile.