architettura, urbanistica e genere: un'impostazione ambientalista

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soggetti rivelati 52 la scena inospitale genere, natura, polis a cura di Saveria Chemotti ILPOLIGRAFO

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ospitale

Lo spazio pubblico, dominato da figure maschili, è lo spazio del pote-re politico, dell’interesse economico, delle manipolazioni scientifiche,spesso teatro di gravissime prevaricazioni ai danni di una natura sem-pre più indifesa e di individui che per età, sesso, provenienza, classesociale, religione sono considerati maggiormente deboli e vulnerabili.Di fronte a uno scenario tanto desolante, numerosi sono gli interro-gativi che emergono. È possibile leggere e interpretare la realtà attra-verso uno sguardo diverso da quello che per secoli ha rappresentatoil mondo del potere? Lo spazio inospitale, da scenario di emarginazio-ne, isolamento, anaffettività può trasformarsi in un luogo in cui la vitae la creatività si possano dispiegare pienamente, libere da qualunqueforma di violenza? Il paesaggio, dalla sua condizione di locus horri-bilis, può rivestirsi dei connotati dell’ospitalità e dell’armonia?Lo sguardo femminile sul mondo porta con sé una sensibilità chesuggerisce molteplici vie di uscita: non solo la cura e la dedizione, maanche la creatività e la solidarietà possono rappresentare strumenti disalvezza e riscatto. Ecco che, attraverso tali atti di umanissima pietas,la natura, la città, i luoghi della vita quotidiana da “scene inospitali”possono finalmente assumere una fisionomia accogliente. Un mondoa misura d’uomo – o meglio, a misura di uomini e donne – è possi-bile, come viene suggerito dagli studi qui raccolti, in cui disciplineeterogenee si pongono in dialogo, con l’auspicio che “la scena dovesi vive possa diventare paese dell’ospitalità e del diritto, una nuovacittà non utopistica, ma realizzabile con l’impegno di tutti”.

Saveria Chemotti insegna Letteratura italiana di genere e delle donne all’Universitàdi Padova. Ha pubblicato saggi su Foscolo, sul Romanticismo italiano ed europeo,sulla narrativa del primo Novecento, su Antonio Gramsci, Tonino Guerra, Giu-seppe Berto, su numerosi altri autori e temi otto-novecenteschi, sulla letteraturadelle donne. Tra i suoi numerosi scritti, per le edizioni Il Poligrafo ha pubblicato:La terra in tasca: esperienze di scrittura nel Veneto contemporaneo (2003); L’inchiostrobianco. Madri e figlie nella narrativa italiana contemporanea (2009); Lo specchioinfranto. La relazione tra padre e figlia in alcune scrittrici italiane contemporanee(2010); A piè di pagina. Saggi di letteratura italiana (2012); ha inoltre curato la riedi-zione di Vigilie (1914-1918) di Antonietta Giacomelli (2014). Nel 2014 ha esorditocome narratrice con La passione di una figlia ingrata (L’Iguana).

soggettirivelati

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la scena inospitalegenere, natura, polisa cura di Saveria Chemotti

ILPOLIGRAFO

ISBN ----

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in copertinaRené Magritte, La Victoire1939, collezione privata

cover scena inospitale.qxp:Galassia sommersa 23-12-2014 12:05 Pagina 1

a cura di

Saveria Chemotti

la scena inospitalegenere, natura, polis

ilpoligrafo

Il volume viene realizzato con un contributodell’Università degli Studi di Padovanell’ambito delle iniziative promossedal Forum d’Ateneo per le politiche e gli studi di genere

Copyright © dicembre 2014

Il Poligrafo casa editrice srl35121 Padovapiazza Eremitani - via Cassan, 34

tel. 049 8360887 - fax 049 8360864

e-mail: [email protected] 978-88-7115-882-2

Atti del Convegno“La scena inospitale. Genere, natura, polis”Padova, 23-26 ottobre 2013

INDICE

9 Prefazione Saveria Chemotti

15 Architettura, urbanistica e genere. Un’impostazione ambientalista Corrado Poli

41 A chi appartiene la Terra? Segnavie di un cammino storico-filosofico Bruna Giacomini

59 Dio, donna, natura e le sfide dell’ecofemminismo Benedetta Selene Zorzi

75 «Un lento divenir paesaggio del mondo». Il corpo-paesaggio e la scena negli scritti di Rainer Maria Rilke Cristina Grazioli

105 Ingeborg Bachmann: dal deserto all’arena Maria Luisa Wandruszka

117 «Il mondo grande e terribile» nelle lettere dal carcere di Antonio Gramsci Saveria Chemotti

157 La scena inospitale. Fra silenzi e disprezzo Raffaella Failla

181 Legislazione e tutela della donna nella dimensione domestica: un lungo cammino nella conquista dei diritti Carla Nardacchione

193 L’ospitale e l’inospitale nella donna d’oggi tra “preziosi” aspetti psicologici e giuridici Marzia Banci

199 Chi sta al centro? Lo spazio della mediazione in Grecia Davide Susanetti

213 Acqua bene comune: diritto o bisogno? Anna Milvia Boselli

221 Le “streghe” di Burcardo. Credenze popolari e cultura ufficiale attorno all’anno Mille Sonia Maura Barillari

245 Casa, città, territorio: da scena inospitale a progetto di genere Claudia Mattogno

261 Il pane e l’argilla: far rinascere un territorio Emilia Bersabea Cirillo

275 Natura selvatica e gender: l’intoccato, il sesso e il sangue. Le Metamorfosi di Ovidio e La Belva di Cesare Pavese Jacqueline Fabre-Serris

289 Qui hic mos est in publicum procurrendi? Spazio e ruolo nella Roma di Tito Livio Francesca Cavaggioni

325 Creatività al femminile nei processi di rigenerazione dei luoghi: relazioni, ascolto e spiritualità. Spunti per una riflessione Elena Rigano

339 Gli oceani fioriti di Pipilotti Rist. Note su Ever is over all Guido Bartorelli

353 Da un caso africano: la casa, spazio d’azione della donna Mara Mabilia

369 Un gelido inverno: percorsi in un paesaggio inospitale Rosamaria Salvatore

377 Dalla campagna alla città: un percorso per la Betia di Ruzante Elena Trentin

401 Il giardino e il bosco: luoghi e metafore nella letteratura per l’infanzia Donatella Lombello

415 Scrittrici del limine. La campagna di Angela Veronese, l’isola di Grazia Deledda Patrizia Zambon

433 Genere e disastri: conseguenze e consapevolezza Mimma De Gasperi

441 Smarrirsi/trovarsi: prospettive erranti e fluttuazioni relazionali in road movie al femminile. Tra Thelma & Louise e Just like a woman Farah Polato

457 Viaggiatrici e giornalismo nel secondo Ottocento italiano Ricciarda Ricorda

473 Le lacrime di Manto per la scena dei Gonzaga Simona Brunetti

487 Note sugli autori

ARchItEttURA, URBANIstIcA E GENERE. UN’IMPOstAZIONE AMBIENtALIstA

Corrado Poli

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E se il mondo ha cessato d’ascoltartiDi’ alla terra silente: io scorroAll’acqua rapida, parla: io sono

Rainer Maria Rilke, I sonetti a Orfeo

. Introduzione

Un’analisi di genere può aiutare ad affrontare le politiche am-bientali e urbane, sia nei problemi pratici, sia per comprendere al-cune questioni politiche contemporanee di larga portata. In questo saggio essa sarà applicata alla questione del mutamento sociale e politico, soprattutto in funzione del rispetto per la natura. Le donne e l’emancipazione femminile riguardano solo in modo marginale quanto tratterò. Proporrò, invece, un’analisi di genere applicata alla scienza, alla città e all’ambiente, evidenziandone le conseguenze politiche sul mutamento sociale2. Qualche anno fa (Poli 200), ma ne avevo parlato

In alcuni miei saggi recenti (Poli 200, 20, 202) sostengo l’opportunità di inizia-re i ragionamenti politici dal rapporto tra umanità e natura piuttosto che porre al centro delle riflessioni le relazioni tra le classi sociali e le singole persone. Questa impostazione è inoltre alla base del programma, da me diretto, di un Master Internazionale in Sustainable Urban Management. Communication, Economics and Social Sciences for Creative Managers and Administrators attivato all’Università IULM di Milano nel 204. Agli inizi dei miei studi mi occupavo soprattutto di programmazione. La programmazione è una categoria del muta-mento sociale che affronta da un punto di vista tecnico. In seguito fui sempre più interessato agli aspetti (etico)-politici dell’azione per il cambiamento. Di conseguenza concentrai la mia attenzione sulla ricerca dei soggetti promotori del cambiamento che trovai di volta in volta in una categoria sociale, negli stranieri, tra i sostenitori di un’ideologia o fede religiosa e, infine, anche nel genere e nel sesso, con qualche osservazione interessante tratta anche dagli aspetti studiati dalle neuroscienze e dalla biologia.

2 Questa impostazione si collega a un’idea che ho sviluppato anche in altri saggi e ho applicato a diversi contesti, tutti comunque riconducibili al tema del mutamento sociale. L’epistemologia radicale anti-positivista – espressa da autori quali Kuhn, Marcuse, Lakatos, Feyerabend – s’è sviluppata nel periodo della contestazione degli anni sessanta e settanta, soprattutto a Berkeley. La critica alla modernità e/o ai suoi problemi stava al centro delle

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già quasi vent’anni fa (Poli 4), proposi quattro modi di intendere e affrontare la questione ambientale. Questi quattro modi possono anche essere classificati come livelli di crescente importanza attri-buita alla questione del rapporto tra umanità e natura. Ai primi due livelli si parla solo di “problemi” ambientali; ai secondi due livelli si parla di una “questione” ambientale. Al primo livello si nega persino l’esistenza di una voce che raggruppi alcuni problemi definendoli “ambientali” e si sostiene che ciascuno di essi possa essere affronta-to singolarmente secondo i dettami della scienza e della tecnologia tradizionale separata in discipline e settori. Al secondo livello si ca-talogano i problemi ambientali in una voce unica, ma si continua ad affrontarli con metodi tradizionali e la loro soluzione non prevede un cambiamento né dei paradigmi scientifici né del pensiero politico. Al terzo livello, invece, non si parla più di “problemi”, ma si assume che l’emergenza ambientale rappresenti una “questione” che investe la politica e la società, la cui soluzione prevede un cambiamento dei paradigmi scientifici e tecnologici, e della politica. All’ultimo livello,

riflessioni e delle azioni politiche (e.g. la famosa controversia tra Luhmann e habermas sulla modernità come progetto incompiuto e la società come tecnologia). L’impostazione psico-politica di Lacan aveva introdotto la dimensione dell’autocoscienza nella critica del sistema capitalista. Nonostante nelle accademie si continuasse la tradizione degli studi av-viati in quegli anni, il legame politico con i movimenti di contestazione formatisi negli anni sessanta e fioriti nel decennio successivo si attenuò e i movimenti si trasformarono fino a scomparire. In effetti, la loro scomparsa fu solo apparente, poiché, come un fiume carsico, continuano a riemergere in varie forme e luoghi e contribuiscono a formare una cultura oggi diffusa. talora essa si confonde con un apparente ritorno alla tradizione, ma rappresenta invece qualcosa di nuovo (Ray, Anderson 2000). L’ambientalismo è un aspetto importante di questa cultura, così come lo sono la psicanalisi, l’autocoscienza, una certa qual forma di neo-spiritualismo e l’ispirazione alle filosofie orientali. Il movimento della New Age degli anni Novanta ne fu un’espressione popolare, così come lo è tuttora la diffusione dei corsi di yoga, le diete vegetariane e vegane, alcuni stili di vita e “modi di esistenza” (cfr. La tour 202) e altre pratiche orientali in occidente. A dare una certa dignità culturale a questi movimenti contribuirono autori di un certo prestigio accademico, quali Fritjof capra con il suo famoso Il Tao della fisica (75) o Daniel Goleman (5) con Intelligenza emotiva. Ora, questo fiume carsico delle culture alternative degli anni sessanta potrebbe riemergere e confluire in un modo di pensare più solido. Dopo la caduta dell’alternativa tra Est e Ovest e tra le ideolo-gie del liberismo e del comunismo è necessario ricreare il dualismo perduto tra modelli di società contrapposte. In alcuni saggi (Poli 200, 20) ho sostenuto che si dovrebbe valutare l’opportunità culturale e politica di porre la questione ambientale al centro della politica contemporanea al fine di ricostruire questo dualismo necessario.

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il più avanzato e radicale, si considera la questione ambientale come il problema politico e sociale centrale dell’attuale momento storico. Di conseguenza, tutta la riflessione e le azioni politiche vanno ripen-sate e centrate sul rapporto tra umanità e natura, anziché su conside-razioni di giustizia sociale, libertà individuale o sviluppo economico. La riflessione di genere è utile per elaborare un pensiero politico soprattutto al terzo e quarto livello.

2. Tre ragioni per una politica urbana di “diverso genere”

L’analisi si articola in tre parti in cui si tratteranno: (a) i para-digmi scientifici e cognitivi; (b) l’estetica e lo spazio costruito; (c) la dialettica sociale.

La prima parte, più profonda e radicale, riguarda la dialettica tra una visione esclusivamente razionale a fronte di una del tutto emo-tiva nella politica delle città: in mezzo ci sono possibili graduazioni. Le due visioni comportano diverse conseguenze politiche e tecnolo-giche. La politica della città riguarda temi quali l’amministrazione, la democrazia, le istituzioni. Un’analisi di genere basata sulla dialettica maschile/femminile può aiutare a sollevare domande sui metodi de-cisionali e su come un’impostazione razionale e pervasiva del disegno delle aree urbane possa ancora essere efficace nel risolvere alcuni problemi urbani. Le tecnologie applicate alla gestione della città sono, a loro volta, influenzate da diversi paradigmi di razionalità analizzabili per mezzo della critica di genere. Le tecnologie aggressive della natura e una scienza in cui l’uomo è collocato in una posizione di preminenza e si assume il compito di gestire la natura rivendicandone il diritto allo sfruttamento, possono essere sostituite da tecnologie e da una scienza basate su diversi valori e sentimenti3. I problemi urbani e ambientali hanno soluzioni diverse alla luce di una serie di questioni significative: fino a che punto è legittimo intervenire costruendo una strada se modifico i valori immobiliari redistribuendo la ricchezza, distruggo un bosco, prevarico l’opinione dei residenti? chi decide

3 I due modelli possono coesistere e rappresentare una nuova dialettica politica che superi quelle del passato, le quali oggi hanno perduto significato (Poli 200).

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in questi casi e come? Quali sono i criteri di legittimazione delle decisioni? I frequenti casi di conflitti urbani e ambientali, oggi sono affrontati in modo inefficace facendo ricorso alle valutazioni razionali ispirate dall’economia e da un discorso tecnologico autoreferenziale. La critica sociale, nel discorso politico quotidiano, non considera questi problemi. si veda, per esempio, il caso tAV (o l’introduzio-ne degli OGM, la realizzazione di inceneritori, fabbriche inquinanti, centri commerciali) che, anche da parte degli oppositori, è trattato: (a) dal punto di vista della convenienza economica e della perico-losità tecnologica, cioè in termini di costi-rischi-benefici; (b) dalla corrispondenza a normative a loro volta ispirate dagli stessi concetti. Non è invece considerato l’aspetto etico della tutela della natura, del livello di decisione politicamente accettabile, dei sentimenti non misurabili dei cittadini coinvolti. Perché questi sono problemi che una politica di genere potrebbe aiutare a comprendere meglio? Perché con il modello razionale classico si stenta sia a comprendere i problemi, sia a creare consenso attorno alle decisioni. Il sogno della città razionale è svanito ormai molti anni fa, ma non s’è affermata un’idea – forse un nuovo sogno – alternativa4.

La seconda parte dell’analisi di genere della città concerne l’este-tica e l’architettura. In passato si era impressionati dalla sfida portata alla natura e ai primati dell’uomo: il grattacielo più alto, il ponte più lungo, la galleria più profonda. Ma anche le grandi regge, le ville settecentesche e, soprattutto, gli sventramenti delle città medievali – dalla Parigi di housemann alla Roma fascista – alle quali, in nome della modernità e della razionalità, s’imponevano piani geometrici e griglie sempre più estese ed estensibili. Oggi si ammirano le città

4 Metafore della città ne esistono a iosa. Dopo averne effettuato una disamina Rykwert (80) conclude che, se a una cosa la città somiglia, è proprio a un sogno. tor-nando alla critica dei modelli razionali applicati alla città, le critiche più severe sono state portate già oltre mezzo secolo fa da sociologi radicali quali Mumford e Jacobs, i quali riconoscevano i limiti della razionalità semplificata e riduzionista in una società urbana caratterizzata dalla complessità. La critica al sogno della città razionale è stata affrontata anche da autori quali christine Boyer (86) e David harvey, nonché dai suoi allievi, i quali si ispiravano a Foucault, Lacan e ai nuovi filosofi francesi. senza rinnegare l’origine marxiana e i classici studi di Lefebvre, riprendevano le analisi di simmel e le rielaboravano in chiave postmoderna.

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medievali racchiuse entro mura o limitate da elementi naturali la cui pianta intricata e incomprensibile ha una razionalità che si percepi-sce a posteriori e raramente fu pensata da un maestro costruttore. Questi villaggi sono diventati preziosi perché non sappiamo più co-struirli, né osiamo lasciarli crescere senza pretendere di controllarli in tutto e per tutto5. La paura inconscia dell’uomo moderno è la perdita del controllo sulla realtà che lo induce a fare affidamento su un ec-cesso di pianificazione, cioè di razionalità. Questo eccesso comporta una semplificazione che paradossalmente fa comunque perdere il controllo. Infatti, l’incomprensibile è escluso da un’analisi razionale, riduttiva e semplificata, ma resta nella realtà6. Quando le cose “non dette” riemergono, inficiano la perfezione formale dei piani e produ-cono irrazionalità a posteriori. L’urbanistica per un certo periodo è stata persino pensata – e nell’inconscio di alcuni lo è ancora – come un’architettura della città. L’analisi di genere può indurre a pensare in modo diverso – femminile – alla transizione verso un’architettura delle piccole dimensioni e un’urbanistica in cui prevale la metafora organica su quella meccanica.

La terza parte è un’analisi che ci consente di vedere la città in modo diverso: non più come qualcosa che si oppone alla natura, ma qualcosa che la asseconda e la rispetta. In passato si parlava delle città delle donne, dei tempi delle donne, dei servizi per le donne e in definitiva di una città che prende in considerazione i bisogni delle donne. tuttavia, i bisogni rilevati sono integrati in una società e in un rapporto con la natura non sottoposto a critica, quindi conforme a schemi tradizionali e perciò maschili. La risposta alle esigenze fem-minili è tuttavia richiesta ancora agli uomini (al pensiero e alla tecno-logia maschile) ai quali le donne richiedono in modo rivendicativo di porre rimedio ai problemi urbani che le affliggono. In quest’ottica le

5 Dopo la costruzione di un lungo ponte che unisce Malmoe a copenhagen, si è tentato di costruire un villaggio in stile antico tra le due città per ospitare i pendolari. Il fallimento è stato clamoroso poiché, anziché recuperare il “calore” umano degli antichi villaggi, s’è dato vita a un contesto freddo e artificiale (Poli 200).

6 «there are more things in heaven and earth, horatio / than are dreamt of in your philosophy», Hamlet (.5.66-7), Amleto a Orazio («ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto non si sogni nella tua filosofia»).

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donne vedono loro stesse come una delle tante segmentazioni di una società divisa in classi, caste, etnie, stili di vita ecc. L’azione politica fondamentale, anche nelle politiche di genere, consiste nella lotta per l’abolizione di queste distinzioni in nome di una società universale. Le donne, come tali, non sono intese come portatrici di una cultura propria e radicalmente diversa e quindi non agiscono come promotrici del mutamento. La rivendicazione di diritti e servizi all’interno dello schema urbano attuale è un obiettivo di corto respiro e allo stesso tempo irraggiungibile. È banale, poiché non lancia una sfida radicale al modo di fare e gestire la città, e accetta l’imposizione di una città violenta con la natura e con le persone. È impossibile perché oggi i problemi urbani sono irrisolvibili entro gli angusti limiti tecnici e organizzativi disponibili.

3. Donne e ambiente: paradigmi scientifici e cognitivi (parte prima)

Le ricerche empiriche dimostrano come le donne siano molto più sensibili degli uomini alle questioni ambientali. Questa maggiore attenzione si registra in tutto il mondo senza distinzioni geografiche, politiche e culturali. Gli uomini sono presenti e attivi nelle battaglie ambientaliste ma, su cento persone che si oppongono al taglio di un bosco per costruire un cavalcavia, è probabile che circa settanta siano donne7. Questa percentuale cresce ancora se si tratta dei di-ritti degli animali. Le donne svolgono un ruolo di primo piano nei comitati contro l’inquinamento elettromagnetico e dell’aria o per la conservazione degli spazi verdi e dei monumenti storici. La diversa percezione femminile del rapporto tra umanità e natura introduce una nuova idea di progresso con cui saremo obbligati a confrontar-ci sempre più. Poiché la città è l’ambiente in cui la maggior parte dell’umanità oggi vive, non è azzardato pensare che l’idea e l’aspetto materiale della città delle donne possano essere diversi da quelli degli

7 Esiste un’ampia bibliografia e io stesso ho compiuto indagini e sondaggi che provano empiricamente questa mia affermazione (Poli 4b). Lo studio di Ray-Anderson (2000) aggiunge un’articolata, benché discussa, spiegazione storica di questo fenomeno. tuttavia, il discorso sull’eco-femminismo è alquanto articolato e si possono identificare due impostazioni classiche: l’essenzialismo e il costruzionismo. cfr. Leahy (2003, pp. 06-25).

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uomini. La città è sia un sistema complesso di relazioni sociali, sia un manufatto ricavato per mezzo della trasformazione di ambienti naturali. Il modo in cui le città sono costruite e appaiono include una rilevante componente simbolica.

cominciamo con il fissare l’attenzione sulla locuzione “città delle donne”. Vale la pena fare una precisazione linguistica, cioè spiegare come si può intendere “città delle donne” da un punto di vista sintat-tico. La preposizione “delle” introduce un possessivo o un genitivo (femminile)8. L’emancipazione femminile mette l’accento su una “città delle donne” in cui queste ultime prendono possesso di un potere nella città che era completamente nelle mani degli uomini. Mi riferisco alla città come civitas, cioè comunità politica. se invece s’intende la preposizione “delle” come una specificazione, con “città delle donne” s’intende primariamente una urbs – cioè la città materiale, quella delle costruzioni e dei simboli – generata dalle donne, cioè con caratteri-stiche femminili. La città sarebbe la proiezione materiale del modo di sentire e delle idee delle donne, anziché di quelli degli uomini. Questi due termini latini che indicano la città rimangono fusi nella classica parola greca polis con la quale s’intende sia la struttura del potere sia l’aspetto materiale. Va da sé che, per passare al genitivo, è stato necessario sfidare e acquisire quel potere da cui gli uomini per secoli hanno escluso le donne. In passato, però, una cultura fem-minile – quasi mai esplicita e riconosciuta come tale – ha prodotto città e società femminili, sebbene comunemente gestite da maschi. Oggi, per mezzo del riaffermarsi di una modalità femminile si possono realizzare città diverse dalle attuali. Una domanda che potremo solle-vare sarà allora: si possono distinguere città maschili da città femminili, politiche urbane maschili e femminili, architetture e urbanistiche di diverso genere? Non si può affermare che l’ambientalismo appar-tenga alle sole donne, ma è plausibile sostenere che esiste un modo femminile di impostare le questioni ambientali, sia pure condiviso da numerosi maschi?

8 In inglese si può distinguere tra women’s city e women city, dove l’uso del genitivo sassone (che in inglese comunemente si chiama possessive) indica il possessivo, mentre l’uso di women come aggettivo introduce un complemento di specificazione. Da questa distinzione, suggeritami da Jennifer Jacques, è nata l’osservazione riportata.

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sebbene prevalga ancora un’impostazione tecnico-scientifica nella soluzione e nella comprensione dei problemi urbani, sono aumentati coloro che affrontano i problemi ambientali applicando strumenti di conoscenza più ampi e variegati che includono valutazioni etiche e politiche. Da ormai una ventina d’anni la ricerca sociale usa strumenti e conoscenze tratti dagli studi sull’evoluzione e sulla genetica umana per spiegare il comportamento personale e sociale. La critica a un eccessivo ed esclusivo uso di questa impostazione è certamente fondata e non va sottovalutata. tuttavia, quando si affronta la questione del rapporto tra umanità e ambiente, una spiegazione cognitiva, neuro-scientifica e biologica, che considera le differenze sessuali accanto a quelle culturali tradizionalmente molto più studiate, può risultare interessante per la comprensione dei fenomeni sociali e comportamentali.

3. Ecofemminismo

Val Plumwood () affronta con rigore la questione della filo-sofia ambientale e la critica al razionalismo negli studi sulla natura e il genere0. Plumwood si colloca in un difficile – quanto creativo – equilibrio tra la classica impostazione filosofica e socio-politica degli studi di genere e ambientali, e una che apre a una possibile spe-cificità femminile nell’affrontare il rapporto tra umanità e natura. In particolare studia il problema dell’etica ambientale criticando sia la

L’ordine apparentemente errato delle parole è invece voluto: nel risolvere i proble-mi urbani oggi si parte dalle soluzioni disponibili piuttosto che da analisi non preconcette. si vede il problema attraverso l’ottica della soluzione che si pensa di avere, a causa di una preminenza della tecnica sulla filosofia, rafforzata da una società che ha ceduto alle varie corporazioni formatesi nel corso del tempo il monopolio nella soluzione di ciascun problema. Questa idea proviene da vari studi, ma in particolare dalle letture di Michel crozier che ho rielaborato in Poli (20).

0 Le riflessioni che propongo hanno origine in un intervento a un corso che Judith Butler teneva alla Johns hopkins più di un quarto di secolo fa. Io ero International Urban Fellow al center for Metropolitan Planning and Research e visiting professor al DOGEE, buffo nome del Department of Geography and Environmental Engineering dove frequentavo vari corsi e soprattutto quelli di David harvey su “città e giustizia sociale”. Era un’abitudine comune tra docenti frequentare i corsi tenuti dai colleghi.

sospendiamo temporaneamente articolate definizioni di natura e di ambiente e le conseguenti distinzioni poiché non sono necessarie, in questa fase, per l’impostazione del discorso. In questo soprassedere alla definizione mi conforta Dale Jamieson, che ha dichiarato di poterla evitare pur scrivendo un intero e autorevole saggio sull’etica ambientale.

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prospettiva kantiana classica, sia la versione proposta da Paul taylor trattando dei diritti degli esseri non-umani2. Questi rifiuta l’idea occi-dentale che tratta la natura come un bene strumentale a disposizione dell’umanità e assume gli esseri viventi non-umani come fini a se stessi (centri teleologici della vita): essi sono degni di rispetto perché tito-lari di un diritto proprio e non derivato dagli umani. tuttavia taylor affronta questo discorso in uno schema kantiano facendo un uso della dicotomia ragione/emozione che Plumwood giudica eccessivo, sviante e “nemico delle donne”. taylor afferma che le azioni umane non meritano di essere considerate morali se non sono compiute per ottemperare a un principio concepito come moralmente obbligatorio e perseguito in modo disinteressato. Nelle parole di taylor: «se una persona persegue un fine [...] esclusivamente per una propria inclina-zione, l’atteggiamento espresso non è rispetto morale ma affetto perso-nale o amore [...]». secondo Plumwood, taylor sbaglia a considerare come irrilevanti per la moralità atteggiamenti quali l’inclinazione e il desiderio3. Plumwood critica quella serie di dualismi – mente/corpo, ragione/natura, ragione/emozione, personale/universale e, infine maschile/femminile – che hanno caratterizzato la differen-za tra un mondo di emozioni inaffidabile e moralmente irrilevante (e femminile) e una ragione superiore, disinteressata (e maschile, Plumwood , p. 43). Per molto tempo s’è studiato questo contrasto con i parametri e il linguaggio della modernità impegnata a sconfiggere la tradizione. Una volta che la modernità – e le sue sottocategorie della secolarizzazione, dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione – s’è definitivamente affermata sul vecchio mondo, la tradizione è scom-parsa e la critica ha preso vie diverse. Molti di coloro che oggi s’ap-pellano alle antiche tradizioni in effetti compiono un gesto esplicito e razionale per sfidare l’idea dominante moderna. In tal senso, pur senza rivendicarlo, compiono un’operazione di per sé moderna anche se attuata nel nome della restaurazione di una tradizione che non è

2 In senso esteso, oltre agli animali, si possono includere anche le cose inanimate e la natura in genere intesa come un unico essere vivente.

3 In questo si collega agli studi di Lacan e Foucault, in seguito ri-articolati tra gli anni settanta e Ottanta dai nouveax philosophes che ebbero gran seguito tra i radicali americani soprattutto negli anni Ottanta.

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tale, in quanto s’è operato un distacco netto con il passato e non c’è nulla da “continuare” (etimologicamente): piuttosto si riprendono ex novo temi e paradigmi di un passato di cui non si ha contezza. Questo, evidentemente, non ha nulla a che fare con la continuità della tradizione. Aspetti tradizionali persistono tra le pieghe della moder-nità, com’è ovvio che sia, ma si tratta di residui che non scalfiscono minimamente il mondo nuovo creato sulla base dei principi moderni verso i quali è oggi concentrata la critica sociale e politica.

Il pensiero postmoderno – che continua a riferirsi alla moder-nità e non ancora a qualcosa radicalmente diverso – sembra rivalu-tare alcuni tratti della tradizione, ma la questione è più complessa. Non c’è nulla di male nell’ispirarsi a teorie pre-moderne; allo stesso tempo, per fondare qualcosa di nuovo che superi il post-moderno e apra al “pre-qualcosa” o al “neo-qualcosa”, è necessaria una riela-borazione radicale. L’ambientalismo e un diverso rapporto tra uma-nità e natura sono forieri di mutamento, come lo è la ridefinizione dei due concetti di umanità e natura. L’ecofemminismo, elaborato da Plumwood e altri, è interessante poiché ha contestato il pensie-ro occidentale dualistico in cui l’autenticamente umano è definito come quel che si contrappone a ciò che è “solo” naturale. Questo argomento è molto ampio e costituisce un tema base della filosofia. L’originalità di Plumwood consiste nell’averlo aggiornato alla questio-ne ambientale e alla nuova (per i tempi in cui scriveva) problematica di genere basata sull’identificazione delle differenze e la decostruzione del genere (Butler 0).

Gli studi sull’ecofemminismo, come pure buona parte di quelli sull’etica ambientale, nella loro forma radicale e rivoluzionaria ri-chiedono alcuni aggiornamenti4. “sia l’universalizzazione etica sia l’astrazione sono associate alla percezione della propria identità in termini di egoismo razionale” (Plumwood , pp. 44-45). Questa impostazione s’è affermata come pensiero unico nell’economia pas-sando da smith fino a Rawls, il quale dichiara esplicitamente le radici

4 ho trattato questo tema in due saggi nei quali, per mezzo dell’osservazione em-pirica di casi, ho cercato di identificare gruppi di cittadini e di potenziali elettori che si associano sulla base della loro sensibilità ambientale piuttosto che sulle tradizionali aggregazioni sociali e/o reddituali (Poli 202).

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kantiane del suo pensiero (vedi anche Jamieson 2008)5. L’individuo è sradicato e autonomo nella teoria politica liberale ed è un “egoista razionale” nelle teorie del mercato. Il progresso morale dell’umanità, con questa impostazione, è stato percepito come una progressiva inclusione di nuovi soggetti – le donne, gli animali, le piante, il pae-saggio – a cui attribuire dignità morale. tuttavia, Plumwood considera questa impostazione un procedere verso un’ulteriore astrazione e generalizzazione (Plumwood , pp. 44-45), che non è detto siano la via giusta sulla quale ci sia davvero speranza di procedere. Il fatto che le emozioni e il particolare siano visti come nemici del razionale e fonti di corruzione morale è un’idea radicata. Da ormai circa mezzo secolo però sono criticate da un importante filone della filosofia e da qualche tempo – soprattutto in relazione alla crisi ambientale – non sono condivise nemmeno da una parte rilevante del pensiero comune. Una quota rilevante dei cittadini si è staccata gradualmente dai princi-pi assimilati della modernità e ha assunto un modo di pensare popola-re, oggi sostenuto da numerose associazioni attive, ispirato a principi elaborati e diffusisi tra alcune élite culturali tra gli anni sessanta e Novanta. Il prendersi cura (Dogson-Gray 4) degli altri e dedicarsi al particolare non dovrebbero invece essere considerati un ostacolo verso l’affermazione di un pensiero universale, ma un diverso modo di intendere tale progresso6.

5 Rawls arriva a giustificare per mezzo di un procedimento razionale (e devo ammet-tere per me affascinante) l’accettabilità etica delle diseguaglianze sociali. In questo va contro un’intuitiva (o naturale?) avversione per le ingiustizie e le diseguaglianze tra esseri umani.

6 Per esempio tomaso d’Aquino – in seguito imitato da Kant – ha sostenuto che dovremmo evitare la crudeltà verso gli animali per il solo fatto che abitudini crudeli potrebbero essere trasferite sugli esseri umani. Gli eticisti ambientali e i difensori dei diritti degli animali rilevano che sia tomaso d’Aquino sia Kant si preoccupano solo degli uomini. Di conseguenza la crudeltà verso gli animali e la natura dovrebbe limitarsi al fine di rendere gli esseri umani moralmente migliori. Io vorrei evidenziare un altro aspetto dell’affermazione dell’aquinate: la crudeltà e l’aggressività verso gli animali e la natura costituiscono un comportamento ambientale piuttosto comune tra gli esseri umani e influisce sulle loro relazioni. seguendo tomaso d’Aquino, si dovrebbe concludere che gli esseri umani possano sostanzialmente differire nelle loro attitudini verso la natura e i loro simili. Un atteggiamento più pacifico e meno aggressivo potrebbe diventare un obiettivo per una gran parte della popolazione. L’aggressività verso la natura e verso gli altri esseri umani – per quanto estranea in generale al mio modo di pensare e al mio stesso temperamento – non è qualcosa da rigettare completamente. In passato ha favorito

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Negli ultimi vent’anni – da quando Plumwood scriveva – questa posizione s’è diffusa tra studiosi di diversa origine culturale. Lo svi-luppo di studi sociali collegati alle neuroscienze ha ampliato questo discorso che nel caso della Plumwood e di altri studiosi radicali aveva origine principalmente nella psicanalisi. Plumwood arriva alle sue conclusioni attraverso il pensiero critico. Altri, più recentemente, sono giunti a simili considerazioni attraverso le scienze cognitive, la biologia, le neuroscienze e le teorie evoluzionistiche applicate al comportamento socio-politico7. Rimane il fatto che la differenza e il dualismo tra maschile e femminile consentono di comprendere e af-frontare creativamente molti problemi contemporanei. In particolare quelli urbani e ambientali che sono l’oggetto di questa relazione.

3.2 Geografia

Poiché iniziai a pensare a questi temi mentre lavoravo sia al Department of Geography and Environmental Engineering, sia al center for Metropolitan Planning and Research, venne di conse-guenza applicare le riflessioni sull’ecofemminismo di Plumwood alla questione urbana da due punti di vista: (a) la prospettiva geografica; (b) la progettazione urbana.

Nella prospettiva geografica eravamo abituati a considerare come gli spazi, i tempi e la struttura organizzativa della città influissero sul mutamento sociale, accelerandolo o inibendolo. Dal punto di vista della pianificazione esprimevamo un pensiero normativo e cercavamo soluzioni per realizzare la città di domani8. A tal fine era necessa-rio osservare il mondo materiale, le costruzioni e l’uso degli spazi.

il progresso dell’umanità e ha giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione. Oggi però può sembrare superata e inefficiente nell’affrontare i problemi correnti, ma tuttora rappre-senta un valore per molti e questo approccio al progresso è radicato in molte istituzioni sociali. se si stabilisce questo discorso politico, possiamo sviluppare buoni argomenti per concentrarci sulla relazione tra umanità e natura e sui temi ambientali piuttosto che sul classico dualismo welfare contro liberismo.

7 Non a caso, sono stati recentemente ripresi gli studi su Lombroso: si veda per esempio la nuova edizione critica de L’uomo delinquente curata da Lucia Rodler (20).

8 Un testo importante uscito in quegli anni si deve a Peter hall (con il quale collaborai in diverse occasioni tra il 86 e il 5 a Berkeley). Il suo noto volume Cities of Tomorrow (88) porta un titolo ambiguo e intelligente: si parla di come nel passato fossero immaginate le città del futuro, in altre parole una storia dell’urbanistica dell’ultimo secolo.

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La contraddizione, che avrei rilevato solo recentemente (Poli 202), derivava dal fatto che la personalità dominante nel dipartimento era David harvey. harvey, ispirato da un’impostazione marxista, concen-trava la sua ricerca sui problemi della giustizia sociale (e.g.: harvey 73) e considerava, al pari di gran parte degli studiosi del tempo, i problemi ambientali come un aspetto secondario del sistema capita-lista di sfruttamento sociale. sebbene già si pensasse che l’ambien-talismo potesse costituire un soggetto privilegiato del cambiamento, l’attenzione si volgeva ancora ai soggetti più classici: il proletariato, il terzo mondo e i movimenti femministi, che si stavano trasforman-do in movimenti “di genere”. La tutela dell’ambiente e la giustizia ambientale erano argomenti a latere della cruciale questione della liberazione degli esseri umani dallo sfruttamento (capitalista) di una classe sull’altra, dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, di al-cune minoranze a vario titolo, e via dicendo. Lo sfruttamento della natura e di altri soggetti non umani non erano considerati nella teoria e nel linguaggio politici. così, mentre Butler innovava profondamente gli studi di genere e qualche anno dopo Plumwood li collegava alla questione ambientale, harvey e i suoi studenti – tra cui in particola-re Neil smith e Eric swyngedouw –, convertitisi a un’impostazione post-modernista e alla psicanalisi, non hanno mai posto al centro della loro riflessione la questione dei diritti dell’ambiente e della natura. L’impostazione è rimasta integralmente e dichiaratamente antropocentrica – e di conseguenza androcentrica, come specifica Plumwood – e sono stati trascurati i processi di conoscenza basati sulla compassione, l’emotività, l’intuizione.

Il distacco tra problematiche ambientali e movimenti delle donne ha assunto in alcuni casi persino i caratteri del conflitto. Il solo ritenere che le motivazioni del com-portamento degli esseri umani nei rapporti con la natura – e in generale – potesse essere influenzato da un sistema di emozioni, retaggi biologici e caratteristiche neurologiche è stato contestato da una parte degli studiosi i quali tengono a ribadire l’assoluta premi-nenza della società e dell’elaborazione culturale nel determinare i comportamenti umani. Una presa di posizione in conformità a questo modo di pensare e contro l’ambientalismo è stata assunta da Elisabeth Badinter, la quale ha sostenuto che l’ambientalismo è nemico delle donne. L’ambientalismo non sarebbe altro che uno strumento truffaldino elaborato dal “potere” per incoraggiare le donne a recuperare il loro ruolo di madre e restare a casa evitando così che si riversino sul mercato del lavoro in tempi di crisi (200).

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La rassegna delle radici culturali della mia analisi su genere, archi-tettura e città si completa con le osservazioni tratte dagli studi di Fritjof capra sulla scienza di Leonardo da Vinci20. capra propone una critica del metodo cartesiano che ritiene responsabile – almeno oggi – della crisi ambientale. L’autore di Il Tao della fisica (75) sostiene che l’affermarsi del metodo scientifico di cartesio, Galileo e Newton abbia cancellato la possibile alternativa implicitamente proposta da Leonardo. Leonardo studiava i fenomeni partendo dall’esperienza e conciliava l’arte con la scienza, soprattutto l’arte figurativa. La differenza sostanziale tra carte-sio e Leonardo si può “ridurre” alla preferenza del secondo per la visione d’insieme, laddove il primo sosteneva il principio del riduzionismo, vale a dire la scomposizione di ciascun oggetto e fenomeno in parti. capra, fisico di formazione, sposta anche il discorso sugli strumenti matematici. La fisica di Newton e la geometria euclidea non erano in grado di esprimere matematicamente la complessità della natura. solo all’inizio del ventesimo secolo, henry Poincaré sviluppò una nuova matematica in grado di ricollegarsi ad alcune intuizioni di Leonardo sulle trasmutazioni e le quantità continue (capra 2007, p. 6).

capra afferma che “a differenza di cartesio, Leonardo non pen-sò mai al corpo umano come a una macchina” e rifiutò l’idea della separazione tra mente e corpo, essendo quest’ultimo la proiezione “esterna e visibile dell’anima” cui lo spirito dà forma (Irma Richter 52, citata in capra 2007). Non può sfuggire l’analogia con la mecca-nica dell’urbanistica modernista di Le corbusier2. È inoltre evidente la critica epistemologica – forse la strumentalizzazione di Leonardo da parte di capra – a una scienza e una tecnologia nemiche della natura,

20 capra insegnava a Berkeley ed è stato influenzato da pensatori ed epistemologi radicali quali Kuhn, Lakatos, Feyerabend e Marcuse, con cui intratteneva rapporti di amicizia e collaborazione che sono stati fondamentali nella sua formazione filosofica e nella scrittura del Tao della fisica. Il fatto di non avere compiuto studi di filosofia tradizionali e di essere entrato in contatto direttamente con i filosofi radicali gli ha consentito una verginità intellettuale che ha saputo mettere opportunamente a frutto: per lo meno non ha perso tempo a rimuovere idee inculcate dall’educazione tradizionale e si è dedicato direttamente a quelle nuove, propostegli dai suoi amici. Per questo era particolarmente ammirato da Feyerabend.

2 Le corbusier scrive: «Le logement n’est pas un abri, c’est une machine à vivre» (La casa non è un riparo, è una macchina per vivere). Kevin Lynch (80) trattò in seguito le teorie ispirate dal meccanicismo, dalla biologia ecc.

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quando capra ricorda che Bacone, un secolo dopo, avrebbe ribaltato il principio di Leonardo e affermato che compito della scienza e dell’in-gegneria sarebbe il dominio della natura. Leonardo aveva grande rispetto per gli animali e una vera reverenza per la complessità della natura. A questo punto possiamo anche aggiungere – sebbene capra non lo faccia – che la presunta omosessualità di Leonardo potrebbe essere un’ulteriore chiave di lettura nell’ottica dei condizionamenti di genere nei rapporti tra natura e umanità.

4. Città e architettura

Nel film Basic Instinct, molti ricordano la scena morbosa in cui sharon stone è interrogata da un gruppo di poliziotti affascinati dal suo atteggiamento sensuale di sfida. I poliziotti hanno bisogno di entrare nei suoi pensieri nascosti per scoprire se è una vera omicida oppure solo una scrittrice di gialli, ma la sua mente superiore si fa gioco di loro usando il potere dell’erotismo. sia metaforicamente, sia nella realtà quindi, i poliziotti tentano di penetrare in ogni piega del suo vestito e del suo corpo con i loro sguardi lascivi. “Penetrare” potrebbe derivare dal latino penem trahere, cioè inserire un pene. Per conseguire l’obiettivo, i poliziotti devono usare il loro potere e prevaricare la volontà della donna. L’etimologia ci aiuta ancora: devi pre-varicare (specificamente le gambe della donna) per penetrarla.

Quando l’attrice alla fine incrocia le gambe, consentendo ai poli-ziotti di vedere – e non vedere – per un attimo quello da cui erano stati attratti durante tutta la scena, la tensione raggiunge l’apice. La scena e tutto il film intendono mostrare come una donna possa controllare gli uomini con il suo corpo. Descrive anche cos’è l’attrazione in un senso estetico. Gli uomini non sono attratti dalla semplice nudità. Per la verità una donna non è mai nuda poiché tutto ciò che è impor-tante per gli istinti primordiali del maschio sta nascosto all’interno. Il sesso di una donna è di fatto invisibile in ogni circostanza e questo arcano eccita i maschi. Gli uomini non desiderano altro che entrare in una donna per conoscere i misteri nascosti all’interno di quella magnetica fonte di piacere. sarebbe semplicistico credere che si tratti di mera libidine. Penetrare fisicamente il corpo di una donna è un

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atto di supremo e disperato desiderio di conoscenza che finisce in un mediocre sostituto di una piena comprensione del mistero della vita e della morte. Non abbiamo bisogno di Freud per sapere che un orgasmo è un momento in cui vita e morte, eternità e attimo diventano indistinti: in quell’attimo, che si vorrebbe procrastinare all’infinito e che è di fatto eterno, si apre un futuro illimitato attraverso la conti-nuazione della specie.

Le donne sono considerate esseri complicati tanto quanto si pre-sume che gli uomini siano persone semplici. Mentre le prime hanno ritmi corporali e mentali molto elaborati e si adattano a essi, gli uomini sono sempre uguali nel tempo e nello spazio. tutto questo è solo in parte vero, poiché anche gli uomini possono avere ritmi corporali e mentali variabili. Ma al contrario che per le donne, la cultura di genere ha stabilito che una parte essenziale della mascolinità è il tentativo di soggiogare tempo e spazio alla volontà. Gli uomini costruiscono il tempo e lo spazio piuttosto che vivere nello spazio e nel tempo. Gli uomini agiscono per dominare l’ambiente poiché istintivamente sanno di dovere essere duri e non si devono adattare. Le donne agi-scono in modo opposto.

Un’analisi di genere ed erotica dell’architettura della città con-temporanea può iniziare da queste considerazioni. Quando gli uomini – o meglio una cultura maschile – hanno controllato la sfera pubblica, essi hanno costruito città maschili allo scopo di affermare la propria virilità con l’idea di sedurre le donne. hanno esibito tutto ciò che po-tevano e hanno perseguito l’obiettivo di ignorare l’ambiente naturale coprendolo con un piano razionale. Non c’è bisogno di disprezzare questo atteggiamento del passato più volte ricorrente nel corso dei secoli e dei territori. Questo comportamento maschile s’è dimostrato efficace quando la specie umana combatteva per dominare una natura che la minacciava. ci si domanda però se, di fronte alla crisi ambientale, questo sia tuttora un atteggiamento utile. È banale notare come i grattacieli possano ricordare enormi falli che violentano il cielo e che rappresen-tano il potere maschile usato per impressionare le donne e favorire il processo di riproduzione. così com’è superficiale paragonare cupole, chiostri e portici a uteri protettivi a cui gli esseri umani desiderano ri-tornare per trovare protezione. Entrambi sono presenti nell’architettura

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e nel disegno urbano: molti scrittori di architettura hanno già parlato in questi termini. Io invece, voglio concentrarmi sull’idea complessiva e sulla gestione della città piuttosto che sul singolo edificio al fine di distin-guere una città concepita dalle donne da una pianificata dagli uomini. Due tipici modelli urbani sono il reticolato (o griglia) e la pianta della città medievale. Essi rappresentano un dualismo tra uno sviluppo di-mentico dell’ambiente naturale e un altro preoccupato soprattutto di conservare una continuità tra umanità e natura.

4. La città come atto riproduttivo

Dovremmo pensare alla città come a un atto riproduttivo: produ-ce idee, potere, merci e molto altro, tra cui sentimenti ed emozioni. Viene di conseguenza che per avere una città fertile ci sia bisogno sia di maschi, sia di femmine.

sennett (0), riprendendo sant’Agostino, riporta come gli inse-diamenti medievali ispirati alla prima cristianità dovessero apparire umili e senza pretese. solo lo spazio di Dio aveva il diritto di ma-nifestarsi nell’ordine e nello splendore. Esso era simbolizzato, per esempio, da un’imponente cattedrale gotica le cui guglie tendevano al paradiso nel mezzo di edifici bassi legati alla terra.

L’accesso a una tipica città medievale avviene attraverso una porta aperta in una massiccia muraglia che definisce nettamente i limiti della città: c’è una chiara distinzione tra il dentro e il fuori e non c’è modo di espandere la città al di fuori delle mura, nemmeno di poterlo pensare. tuttavia, qualche transizione è possibile poiché l’entrata non è costituita da una singola porta, ma da una serie di barriere successive per attraversare le quali sono necessari ulteriori accrediti e permessi. Dall’erba della campagna ci si avvicina a un ponte, si passa sotto un grande arco, poi un altro più piccolo e solo allora si penetra tra le piccole e ombrose stradine della città. Nell’umida città medievale a stento si comprende quale sia la strada principale e si perde l’orientamento nelle viuzze intricate e curve. se ci si aggira nella pianta casuale dell’insediamento urbano, si smarrisce l’orienta-mento e si potrebbe essere colti dal panico. ci si sente sia protetti da quelle mura, sia spaventati dalla perdita del senso di orientamento. tuttavia, ogni passo, ogni movimento, ogni sguardo procura un piace-

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re inaspettato, una inedita esperienza urbana. A ogni angolo incappi in qualcosa interessante da osservare. Mille incoerenti frammenti di piante urbane non pianificate e opere architettoniche minime sono sparsi ovunque senza soluzione di continuità. La città degli umani deve apparire umile nel suo complesso di fronte alla grande cattedrale. Ma i cittadini amano abbellire, decorare e rendere più confortevoli le loro abitazioni, così che centinaia di invenzioni e opere artistiche si scoprono ovunque sebbene sia difficile notarle.

Venezia è l’esempio più probante di questa esperienza urbana e nessuno forse l’ha descritta meglio di John Ruskin in The Stones of Venice. tuttavia, vinta l’iniziale inquietudine che si prova entrando nella città medievale, subito ci si accorge che l’apparente mancanza di logica nella pianta urbana non è poi così spaventevole. Una strada – indietro o in avanti o per uscire – è sempre a portata di mano e nel frattempo hai l’opportunità di incorrere in numerosi luoghi della cui esistenza non sospettavi nemmeno. Lo straniero non sa mai dove davvero si trova e costantemente ricerca un posto significativo – una piazza del mercato, la cattedrale, un luogo di incontro dei cittadini – nel quale si ritrova quando meno se lo aspetta. Piccole case, baracche e grandi palazzi si susseguono uno a fianco dell’altro senza che la localizzazione determini un rango sociale. Non v’è un confine preciso tra lo spazio pubblico e quello privato come succede nell’architettura moderna dove spesso una semplice lastra di vetro trasparente separa ciò che è dentro da ciò che è fuori. tanto quanto la città medievale è distintamente separata dalla campagna per mezzo di mura, una volta che vi si entra, si proce-de dallo spazio pubblico a quello privato in modo progressivo: dalla campagna selvaggia si passa alla città dove già si crea un primo senso di appartenenza; poi nelle strade che diventano sempre più strette e private, spesso allineate da portici e guardate dalla gente che vive e lavora in botteghe e residenze al piano terra. Quando alla fine si entra nell’edificio al quale si è diretti, esso si presenta con un cortile che non è ancora completamente escluso ai forestieri. Persino lo spazio dove vive la famiglia – talora più famiglie – è preceduto da un androne in cui molti hanno ancora il diritto di entrare senza chiedere permessi. si deve essere davvero nella propria camera – dopo avere attraversato un soggiorno e una cucina in cui numerosi ospiti sono spesso presenti e

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avere chiuso la porta – per avere completato la transizione dallo spazio pubblico a una dimensione completamente privata. chiavi e lucchetti non sono necessari poiché nella Gemeinschaft – la comunità – della città medievale resteresti sorpreso nell’incontrare qualcuno che non conosci. Il contrario di quanto avviene nella metropoli dove ti meravigli quando noti un volto conosciuto. secondo sennett, la parola tedesca Gemeinschaft, tratta dal noto saggio di toennies, significa “dividere ciò che è dentro di me”. La percezione dello spazio fisico e sociale nella città medievale è soffice e adattabile. sembra che vi sia sempre un posto dove nascondersi e allo stesso tempo non si è mai soli. Apparentemente non c’è alcuna razionalità, nessuna intenzione di costruire una città che funzioni. tuttavia, la città medievale – descritta come un simbolo di genere femminile – è là, forte e solida in tutta la sua realtà materiale e le sue relazioni sociali.

4.2 Un management e una tecnologia di diverso genere

Al di là delle metafore sessuali, visuali e percettive, su cui ho volutamente indugiato nei paragrafi precedenti, l’idea di una città al femminile comporta anche un significato epistemico, in conso-nanza con l’analisi di Plumwood (0). se si intende proporre una rivoluzione urbana, dobbiamo mettere da parte metodi e idee quali pianificazione, razionalità e simili. I grandi piani sono nemici delle donne. se si vuole identificare le donne come soggetti del cambia-mento, è necessario abbandonare i principi di un management ur-bano, oggi chiaramente deficitario. Esso è fondato sulla ragione e la pianificazione, sul volere controllare tutto. si può pensare di spostare l’attenzione sulla creatività e su un nuovo rapporto con la natura. In questi termini, anche la tecnologia oggi adottata nell’affrontare i problemi urbani può essere sottoposta a una critica di genere: c’è bisogno di una tecnologia elaborata con il criterio dell’accordo anziché con quello del dominio.

Questo cambiamento di genere nella politica urbana presume l’inversione di un atteggiamento secolare nella soluzione dei problemi della città. Finora s’è cercato di risolverli operando a scale sempre più vaste, mentre è utile ritornare a pensare all’architettura della singola abitazione, del singolo edificio all’interno di un piano non troppo

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stringente che consente la creatività, dimenticando le aree metropo-litane e pensando ai quartieri come a centri della vita di relazione a dimensione umana. Forse che questo sarebbe un approccio inefficien-te per risolvere i problemi urbani contemporanei? Probabilmente sì, ma di certo quello attuale è un provato e indiscutibile disastro!

Il geroglifico egiziano antico per “città” era una croce circondata da un cerchio. La croce rappresenta l’idea di una razionalità umana/ maschile (a priori), l’ordine e l’artificio. Il cerchio significa che una città richiede una definizione, cioè un confine. Fin dai tempi degli Assiri e dei Babilonesi, le città spesso sono state costruite adottando lo schema del reticolo. Le città romane furono un modello per quelle americane a partire dal diciottesimo secolo in poi. La simbologia, solo apparentemente neutra, del reticolo ha invece diversi significati e interpretazioni. tuttavia, per certo i piani a reticolo ignorano il paesaggio naturale e riaffermano la sfida dell’uomo sulla natura.

La città a reticolo (maschile)22, è l’opposto della città medievale femminile. La città moderna maschile è pensata sulla base di una pianificazione razionale e su un disegno a priori. Inoltre, la città a reticolo presuppone un’espansione continua, piuttosto che essere auto-contenuta, ottenuta applicando la stessa logica a qualsiasi nuova area d’espansione. I caratteri e le identità delle aree incluse nell’espan-sione della città non hanno nessun significato, poiché ciò che dav-vero conta è il disegno concettuale generale. Non ci si rende conto quando davvero si entra nel reticolato della città, poiché nell’area di transizione non si evidenzia un dentro e un fuori preciso. Inizialmente questo rappresentava un criterio di indifferenza del luogo rispetto ad altri aspetti che erano invece fondamentali nella città medievale, per esempio il pagamento di gabelle e l’applicazione di leggi, così com’è riportato nel famoso affresco del Lorenzetti sul Buongoverno nel Palazzo Pubblico di siena. Non essendoci limiti alla città, la tenden-za di cittadini e amministratori è di risolvere i problemi allargando

22 Nella versione inglese di questo saggio uso il termine “town” quando mi riferisco alle città medievali e “city” per quelle moderne. Non è una questione di dimensioni, piut-tosto si tratta di una diversa etimologia: il primo termine implica una diretta relazione con il luogo, il secondo, derivante dal latino civitas si riferisce primariamente alle istituzioni, per l’appunto, civiche.

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la sfera urbana piuttosto che a coltivare ciò che è già disponibile. La metafora di uomini colonizzatori che tentano di riprodursi avendo un numero elevato di partner rientra in questa simbologia di genere. si possono costruire altre metafore e lascio ai lettori la possibilità di liberare la fantasia.

5. Le donne come soggetti di cambiamento radicale

comprendo inoltre che molto di quanto ho scritto è alquanto scontato. Quel che c’è di nuovo, e che veramente conta in questo saggio è che negli ultimi quattro decenni le donne sono state indicate come possibili soggetti del cambiamento radicale assieme a movimenti sociali quali gli ambientalisti, le minoranze etniche ecc. Poiché le donne, più ancora degli uomini, sono sensibili ai problemi ambientali, è opportuna una politica di genere ambientalista che sostituisca la tradizionale razionalità maschile dominante. Nella società occidentale contemporanea, da un decennio e più, le donne non sono più una minoranza e i movimenti di liberazione hanno pienamente raggiunto i loro obiettivi andando persino oltre, al punto che alcuni studiosi e governi già sostengono che ci sia un problema con i diritti degli uomini. Poiché i movimenti di liberazione delle donne sono andati oltre gli obiettivi che si prefiggevano all’inizio delle loro battaglie, non possono procedere ulteriormente su una strada senza più sbocchi: se tutte le strade portano a Roma, una volta arrivati bisogna indivi-duare una nuova meta. Il potenziale rivoluzionario dei movimenti femminili non si è completamente esaurito, purché si abbandonino i soliti temi sociali e politici e ci si sposti verso un’impostazione della differenza e del cambiamento che contesti i paradigmi tecnologici e i modelli correnti di politiche sociali in diversi settori, inclusa natu-ralmente la protezione ambientale, che abbraccia molti dei proble-mi contemporanei. come avevo sostenuto nei miei saggi precedenti (Poli 4, 200) il quarto livello di coscienza ambientale è davvero rivoluzionario, poiché accetta che la questione ambientale sia il pun-to di partenza della pratica e del pensiero politici contemporanei. A questo livello, un’impostazione della questione basata su un modo di pensare e sentire femminile risulta la più indicata a innescare il

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processo di cambiamento. Naturalmente, non è una questione di sesso e molti uomini possono fare quello che fanno le donne e anche meglio. tuttavia, il fatto che le donne siano più sensibili alla tutela ambientale e abbiano un rapporto meno aggressivo con la natura rende conveniente indagare in uno specifico modo di pensare, sentire e di agire femminile e, su questa base, elaborare nuove strategie, nuove politiche e una nuova tecnologia.

6. Conclusione

Alla metà del secolo scorso sono intervenuti almeno tre eventi rivoluzionari. Il primo è di carattere talmente epocale che nel 2008 la stratigraphy commission of the Geological society di Londra accolse la proposta di introdurre una nuova unità formale per la suddivisione delle epoche geologiche e la chiamò Antropocene. Questo primo evento è dato dal fatto che, per la prima volta da quando sono apparsi sulla terra, gli esseri umani non hanno più un timore reverenziale per una natura che si vuole sottomettere e piuttosto sono spaventati dalla concreta possibilità di costituire un pericolo, essendo in grado di distruggere la vita sul pianeta. Il secondo riguarda la condizione delle donne sotto vari aspetti. Le tecnologie hanno reso secondaria l’utilità della forza fisica per la quasi totalità dei lavori che, grazie all’uso delle macchine possono essere svolti anche da donne. D’altra parte, proprio per liberarsi dalla fatica, gli uomini hanno sviluppato quel tipo di tecnologie. La parità delle opportunità di lavoro e sociali non è quindi solo il risultato di una lotta per la giustizia, ma anche una conseguenza della tecnologia. Un altro aspetto fondamentale della rivoluzione riguarda la mappatura del DNA e quindi la certezza della paternità che ha alterato i rapporti di potere tra maschi e femmine nella società e reso superate gran parte delle istituzioni sociali sedi-mentatesi attorno all’esigenza di conoscere la genealogia. A questo si deve aggiungere che le pratiche contraccettive più sicure e accettate socialmente hanno separato il piacere sessuale dalla conseguenza della maternità, accelerando ulteriormente il cambiamento.

Gran parte delle conseguenze di questi cambiamenti si affermerà in tempi storici e persino evolutivi. Occorreranno varie generazioni, se

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non secoli, per portarli a termine. Ma una parte di questi cambiamenti è già in atto e ci stiamo avviando, com’è successo spesso nel passato, verso la prevalenza di una cultura femminile, di una maggiore com-petitività e accettabilità del modo di essere femminile. Non si deve confondere questo mutamento di larga portata con una lotta tra sessi e con il sovvertimento di una condizione di inferiorità in cui le donne potrebbero porre gli uomini. Qui si parla di modo di pensare, ragio-nare e sentire che ha a che fare con il sesso in parte, ma soprattutto con la cultura. Il predominio del femminile non esclude gli uomini né dal potere né dall’esercitare un ruolo creativo e d’integrazione del mondo/modo femminile predominante. Quanto al ruolo, va sotto-lineato che i maschi sono perfettamente in grado di comportarsi da donne e sanno fare tutto quello che fanno le donne se lo vogliono. E lo vorranno quando questo sarà socialmente ammesso e apprezzato. Allo stesso tempo, la conservazione di una diversità di genere e quella di alcuni comportamenti maschili non potranno che arricchire, anche in modo dialettico, la società. La città delle donne sarà allora la città di domani: se uomini e donne – perché non tutte le donne accettano un comportamento femminile – sapranno costruire una città delle (genitivo) donne, si potrà creare l’alternativa al modello di città cor-rente. sarà una città con una tecnologia a basso consumo di energia, dove saranno sviluppate le relazioni sociali e personali a livello di comunità. La città delle donne – che sarà realizzata con il contributo intellettuale di uomini in grado di pensare come donne – porrà la questione ambientale di una relazione nuova con la natura al primo posto nella lista delle priorità. su queste basi si svilupperà la nuova politica delle città e si creeranno idee politiche significative.

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