la durata naturale di un genere naturale

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[To appear in Rivista di Estetica] La durata naturale di un genere naturale Andrea Borghini Department of Philosophy, College of the Holy Cross (USA) Abstract – Natural kind realists believe that the world is carved out into kinds of things. Critiques addressed towards natural kind realism aimed at showing the difficulties in discerning a universal spatial structure and behavior common to all the members of an alleged kind. Little or no attention, however, has been given to the temporal structure of a natural kind. After showing (in the first section) that kinds are indeed temporally extended, the second section of the paper argues that there is no non-arbitrary way of tracing the natural temporal structure of a kind. The accrued result poses a novel problem for natural kind theorists, as it clashes with the basic expectancy that if a kind is indeed natural, both its spatial and temporal boundaries should be (at least in principle) discernible.

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[To appear in Rivista di Estetica]

La durata naturale di un genere naturale Andrea Borghini Department of Philosophy, College of the Holy Cross (USA)

Abstract – Natural kind realists believe that the world is carved out into kinds of things. Critiques addressed towards natural kind realism aimed at showing the difficulties in discerning a universal spatial structure and behavior common to all the members of an alleged kind. Little or no attention, however, has been given to the temporal structure of a natural kind. After showing (in the first section) that kinds are indeed temporally extended, the second section of the paper argues that there is no non-arbitrary way of tracing the natural temporal structure of a kind. The accrued result poses a novel problem for natural kind theorists, as it clashes with the basic expectancy that if a kind is indeed natural, both its spatial and temporal boundaries should be (at least in principle) discernible.

2§1 PRELIMINARI

Certi filosofi1 sostengono che vi sono dei generi naturali: dei tipi di enti, oggetti o

eventi, che fanno parte del mondo naturale e che sono (o erano, o saranno) al

centro delle teorie del mondo naturale2. Certamente, ci sono buoni motivi per

credere che vi siano dei generi naturali. Eccone tre.

Prima di tutto, sembra plausibile credere che vi siano delle somiglianze o

differenze qualitative tra gli enti del mondo naturale, e che tali somiglianze – e

differenze – trovino la loro ragion d’essere nell’appartenenza dei loro «portatori»

a un genere comune. L’acqua distillata e l’olio extra vergine hanno colori diversi.

Mentre due gatti siamesi si somiglieranno sotto molti rispetti, ciascuno di loro

avrà una forma, un colore, un peso diverso rispetto a quello di una palma da

cocco.

In secondo luogo, gli enti che si somigliano si comportano in modo più

simile rispetto agli enti che non si somigliano. In altre parole, una somiglianza

qualitativa è accompagnata da una somiglianza di comportamento; e, così come

una differenza qualitativa è accompagnata da una differenza di comportamento.

L’acqua distillata evapora a una temperatura diversa rispetto all’olio extra

vergine. Due gatti siamesi possono giocare a rincorrersi; un gatto siamese e una

palma da cocco non possono.

1 Putnam, 1975, Boyd, 1990, Daly, 1998 e Bird e Tobin, 2008. 2 Onde evitare fraitendimenti, vorrei sin dal principio far presente che quanto sosterrò in questo articolo non dipende da una specifica concezione della natura metafisica dei generi naturali. Nel seguito, quindi, non prenderò posizione su questo punto. In particolare, rimarrò neutrale rispetto alla questione se i generi siano da identificarsi con certe classi di particolari, oppure con proprietà universali.

3 Infine, vi sono alcuni risultati nel campo delle scienze naturali che ci

fanno ritenere che esistano dei generi naturali: gli elementi della tavola periodica;

la struttura subatomica di un elettrone; la struttura molecolare dell’acqua; la

Drosophila melanogaster, sono tutti esempi di tipi di enti che si sono – per così

dire – imposti a coloro che li hanno studiati e li studiano. Vale a dire: vi sono

alcune caratteristiche della realtà la cui scoperta e la cui identità non è

influenzata, o influenzabile, dai particolari interessi dei classificatori; i generi

naturali sono, appunto, tra queste caratteristiche.

Certamente, però, si possono sollevare anche delle perplessità

sull’esistenza di generi naturali3. E questo è quanto intendo fare in questo

articolo. Più precisamente, intendo sollevare un problema che riguarda

l’individuazione di un genere naturale, al quale non so offrire ⎯ e al momento

non vedo come possa essere offerta ⎯ una soluzione.

Tipicamente (come accennato anche sopra) un genere naturale viene

definito sulla base di due aspetti: una struttura qualitativa e un certo

comportamento tipico, ovvero il genere di fenomeni naturali di cui questo ente

può essere partecipe. Generalmente, poi, la struttura qualitativa viene identificata

con una certa struttura spaziale. Quella di una molecola d’acqua, per esempio, è

caratterizzata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno disposti in un certo

modo nello spazio. Dal punto di vista metafisico, si possono concepire una

3 Per una panoramica, si veda di nuovo Daly, 1998 e Bird e Tobin, 2008.

4molecola e i suoi atomi in diversi modi: come universali, come particolari e

come tropi4. Ma, per il nostro scopo, non occorre soffermarsi su questo punto.

Il secondo aspetto si fonda sulla convinzione che la struttura qualitativa di

un certo ente si debba accompagnare a un certo comportamento. Questo dover

comportarsi in un certo modo viene spesso spiegato nei termini di leggi naturali.

Un genere naturale avrà, di solito, una legge naturale che ne spiega, almeno

parzialmente, il comportamento. Vi sono vari modi di definire una legge naturale:

per alcuni è un legame necessario tra proprietà; per altri, un legame necessario tra

particolari; per altri ancora, una semplice regolarità statistica5. Quanto dirò,

comunque, non dipende da come vengono concepite le leggi di natura; dipende,

però, dal riconoscimento del ruolo giocato da tali leggi nell’individuazione dei

generi naturali.

Non mancano, certamente, i critici di uno, dell’altro, o di entrambi questi

aspetti. John Dupré6, per esempio, ha negato l’esistenza di strutture spaziali

identiche attraverso le quali definire che cosa sia una molecola d’acqua. Per altri,

la nozione stessa di ente composto non ha senso; per cui, la discussione

sull’identità qualitativa di varie molecole non si pone nemmeno7. Analogamente

alcuni ritengono che non vi siano leggi di natura ma, al più, approssimative

regolarità tra i fenomeni naturali8.

4 Armstrong 1986, Armstrong 1983, Quine 1969, Putnam 1975, Heil, 2005. 5 Per una panoramica, si veda Carroll 1994. 6 Dupré 1995. 7 Si vedano Unger 1980 e Rosen e Dorr 2002. 8 Si vedano Goodman 1955, Armstrong 1983 e Carroll 1994.

5 Ma, al di là della discussione sulla struttura spaziale e sul comportamento

tipico di un genere naturale, sono convinto che vi sia un problema di fondo che

non è stato ancora messo in luce; ed è di questo che intendo discutere. Il problema

può essere evidenziato in questi quattro punti:

(A) Se vi sono generi naturali, la struttura (qualitativa)9 di ciascun genere è

associata con certe leggi di natura;

(B) La maggior parte delle leggi di natura – come dirò nel §1 – si associa a

strutture non solamente spaziali, ma anche temporali;

(C) mentre possiamo scoprire e descrivere la struttura temporale, non

possiamo scoprire, e di conseguenza non possiamo descrivere (neppure in

linea di principio), la struttura temporale;

(D) Quindi, non possiamo definire un genere naturale.

Ora, che la struttura di un genere naturale sia associata a certe leggi di natura

(cioé, che (A) sia corretta) mi pare evidente. Vi possono essere leggi che sono

valide per tutti i generi, ma ciascun genere sarà definito da almeno una legge,

ovvero avrà anche un comportamento tipico. I punti cruciali della discussione

sono, quindi, (B) e (C). Nel prosieguo, tenterò dapprima – §2 – di mostrare la

validità di (B). Esporrò quindi il problema, (C), nel §3. Infine, nel §4 considererò,

e rifiuterò, una possibile soluzione del problema.

9 D’ora in poi abbrevierò l’espressione “struttura qualitativa” con “struttura”.

6§2 LEGGI NATURALI E STRUTTURE TEMPORALI

Supponiamo che la molecola d’acqua sia un genere naturale. Si consideri, dunque,

il seguente enunciato:

(1) Vi è una molecola d’acqua nella regione r.

Quali circostanze (submolecolari) devono essere vere affinchè (1) sia vero? Come

detto sopra, ci sono due aspetti che definiscono un genere naturale: una struttura

qualitativa e un comportamento tipico. Quest’ultimo può essere colto nel modo

seguente:

(i) Alcuni degli enti inclusi della regione r possiedono il comportamento

tipico di una molecola d’acqua.

Il comportamento tipico appropriato esprime la capacità di certi enti di

comportarsi in un certo modo in una data situazione. Ma il punto in discussione

riguarda la struttura qualitativa. Certamente, parte di essa è una struttura spaziale.

Affinché (1) sia vero, quindi, dovrà essere vero che:

(ii) La struttura spaziale tipica dell’acqua è manifestata in r.

Per molti teorici dei generi naturali, (i) e (ii) sono entrambe necessarie e

congiuntamente sufficienti affinché (1) sia vero. Come anticipato, credo che

7questo giudizio sia sbagliato. (i) e (ii) sono necessarie, ma non sufficienti.

Questo anche perché (i) richiede l’esistenza di una struttura che non sia

meramente spaziale. Vi è quindi un’altra condizione necessaria:

(iii) La struttura temporale tipica dell’acqua è manifestata in r.10

È pratica molto diffusa, in una lezione di chimica o scienze naturali a carattere

introduttivo, definire una molecola d’acqua indicando soltanto una struttura

spaziale. Per esempio:

(2) Una certa molecola è una molecola d’acqua se è formata da due atomi di

idrogeno e un atomo di ossigeno orientati nello spazio in modo tale che,

prendendo l’atomo di ossigeno come estremo, i due atomi di idrogeno

formano un angolo di 104,45 gradi.

Caratterizzata in questo modo, una molecola d’acqua è definita attraverso

un’immagine istantanea, come una fotografia di un’immagine al microscopio.11

Immagine che ricorre anche per altri generi naturali, come un certo genere di

cellula, o una specie biologica. (Per esempio, quanti bambini hanno imparato che

cos’è una cellula sulla base di un’immagine in un libro di testo? Per questo

10 Credo, inoltre, che (i), (ii) e (iii) siano sufficienti a stabilire la verità di (1). Ma non difenderò questo punto in questa sede. 11 Talvolta, questa definizione viene accompagnata anche da una definizione del comportamento tipico dell’acqua. Ma, proprio perché ritengo che questa aggiunta introduca un nuovo elemento (una dimensione temporale), lascerò questa opzione da parte, per considerarla successivamente.

8motivo, chiamerò questo modo di caratterizzare un genere naturale la concezione

fotografica di un genere naturale.

La discussione sui generi naturali si è finora fondata su una concezione

fotografica. Alcuni sostengono che un solo tipo di 'fotografie' definisca un genere

naturale; altri (i cosiddetti pluralisti12 credono che più di un tipo di 'foto' possa

essere associato a un solo genere naturale. Ma la tesi di fondo rimane: la struttura

qualitativa di un genere è caratterizzata dalla struttura spaziale.

A un’analisi più attenta, però, la concezione fotografica è fuorviante per il

semplice fatto che è priva di una dimensione temporale. Consideriamo di nuovo la

molecola d’acqua. Certamente, chi abbia una minima dimestichezza con la

chimica saprà che un’immagine di una molecola come quella descritta sopra è un

modello, non molto accurato, della molecola. La molecola viene più precisamente

definita, infatti, nei termini della rotazione di un certo numero di elettroni attorno

ai nuclei dei tre atomi (due di idrogeno e uno di ossigeno). Ovvero:

(3) Una molecola d’acqua è il composto che si ottiene quando i due atomi di

idrogeno condividono due elettroni (uno per atomo) con un atomo di

ossigeno.

Se non vi è una condivisione di elettroni, non vi è molecola. Ma, la condivisione

introduce una nuova dimensione metafisica nella definizione della molecola. La

condivisione ha luogo non soltanto nello spazio, bensì anche nel tempo. La nuova

12 Si veda, per esempio, Dupré, 1981.

9definizione, quindi, non riguarda più una struttura spaziale, ma una struttura

spaziale e temporale. È come se, per sostenere che una certa molecola d’acqua

esiste, avessimo bisogno di un breve filmato. Per questo motivo, chiamerò questo

modo di caratterizzare un genere naturale la concezione filmica di un genere

naturale.

La concezione filmica è incompatibile con quella fotografica. Non ha senso,

infatti, parlare dell’appartenenza di un elettrone a un atomo a un certo istante (un

punto temporale non esteso), nello stesso modo in cui non ha senso parlare di una

freccia che, ad un certo istante, vola verso un obiettivo, o di una persona che, ad

un certo istante, cammina.

Si noti che la struttura temporale e il comportamento tipico sono due cose

distinte. La prima è una distribuzione di qualità in atto, mentre la seconda è una

capacità necessariamente posseduta; e una tale capacità non consiste meramente

nell’essere messa in atto, ma soprattutto nella sua potenzialità13.

Scendendo nei dettagli, mi si potrebbe a questo punto obiettare che la

condivisione non è necessariamente un concetto temporale. Essa può, infatti,

essere definita in termini di orbitali; e un orbitale è semplicemente una

distribuzione della probabilità che un elettrone si trovi in un certo punto di una

regione spaziale a un istante. Gli orbitali, quindi, evitano di tirare in ballo la

dimensione temporale nella definizione di una molecola d’acqua. È possibile

ipotizzare l’esistenza di molecole la cui vita dura per un istante dopo di che si

dissolvono; queste possono essere definite a partire dagli orbitali degli elettroni

13 Su questo punto, si vedano Molnar 2003, Mumford 1998 e Borghini e Williams 2008.

10della molecola in quell’istante (ovvero, secondo la probabilità che ciascuno

degli elettroni ha di trovarsi in un certo punto della regione spaziale dove si trova

la molecola in quell’istante).

Credo, tuttavia, che riferirsi agli orbitali non sia d’aiuto. Che altro è, infatti,

una distribuzione di probabilità se non una promessa di locazione? Come

sostengo anche più oltre, non possiamo accettare delle promesse come prove

dell’esistenza di un genere naturale (e, nel caso in cui decidessimo di farlo, il

comportamento tipico sarebbe, a quel punto, sufficiente a definire un genere

naturale). Affinché la molecola esista (di fatto, e non possibilmente) devono

sussistere (di fatto, e non possibilmente) certi legami chimici tra i suoi atomi.

L’esistenza di un legame, però, non può avere luogo in un istante temporale. In

sostanza, il fatto che gli orbitali siano definiti come distribuzioni di probabilità in

una regione in un certo istante ha a che fare con il Principio di indeterminazione

di Heisenberg (si veda oltre, §3). Gli orbitali sono stati introdotti perché non è

possibile osservare direttamente la posizione di un elettrone, se ne conosciamo la

velocità; ovvero, sono stati introdotti poiché non possiamo direttamente osservare

il comportamento tipico della molecola, quello che stabilisce che vi è una

condivisione di elettroni. Ma un orbitale non può essere definito per un elettrone

di cui non si abbia un’effettiva misurazione. Non ha senso definire gli orbitali di

una molecola che esiste per un solo istante.

Vale la pena illustrare questo punto attraverso un piccolo esperimento

mentale. Dopo mesi spesi alla ricerca della presenza di acqua su un remoto

pianeta, un esploratore riesce finalmente a trovare quello che sembra un laghetto

11d’acqua dolce. Attraverso l’uso di un microscopio, il ricercatore osserva il

comportamento delle molecole che compongono il liquido, e riconosce la tipica

struttura spaziale delle molecole d’acqua e il loro comportamento tipico.

Convinto di aver trovato acqua sul pianeta, il ricercatore decide così di

raccogliere una prova dell’esistenza del laghetto:

(a) una (dettagliata) foto satellitare di tre enti, due dei quali hanno l’apparenza

di due atomi di idrogeno e l’altro di un atomo di ossigeno, disposti proprio

come gli atomi di idrogeno e di ossigeno sono disposti sulla Terra;

In altre parole, supponiamo che il ricercatore raccolga una prova che soddisfa la

condizione (ii), quella che sta alla base della concezione fotografica di un genere

naturale. Supponiamo, inoltre, che la foto sia attendibile. E supponiamo, infine,

che il ricercatore aggiunga al proprio resoconto di viaggio la testimonianza di

aver osservato un certo comportamento nelle molecole fotografate. Sono queste

prove sufficienti a concludere che su quel pianeta c’è acqua?14

14 Sebbene l’esempio discusso tratti di un pianeta remoto, non si deve per ciò stesso pensare che sia fantascientifico. Casi simili accadono anche sulla Terra. Un esempio che tempo fa fece scalpore è quello del Dr. Hwang Woo-Suk dell’Università Nazionale di Seul. Nel 2004 e 2005, il Dr Hwang pubblicò due articoli sulla rivista Science sostenendo di essere riuscito a clonare delle cellule staminali di un essere umano. L’articolo consisteva proprio in una serie di immagini fotografiche, accompagnate da un resoconto scritto dell’esperimento. Durante il 2006 venne poi appurato che il resoconto non era veritiero, sebbene – si noti – a oggi le foto non risultino fasulle. L’errore della comunità scientifica, però, fu quello di utilizzare una concezione fotografica dei generi naturali, per cui una foto venne ritenuta come prova sufficiente dell’esistenza delle cellule. Si vedano (Kennedy, 2006) per un ulteriore discussione del caso Hwang; per un’analisi più dettagliata del ruolo delle immagini nell’argomentazione scientifica, si rimanda a Perini 2005a e Perini 2005b.

12 Se quanto detto sopra riguardo all’enunciato (3) è corretto, le prove non

sono sufficienti. Occorre anche un’evidenza a favore di (iii). Ovvero, occorre:

(b) Un cortometraggio, girato sul pianeta, che mostri la condivisione di due

elettroni da parte degli atomi.

La condizione (a) non può essere sufficiente a stabilire la verità di (b), poiché la

condivisione è un evento che ha un’estensione temporale non istantanea. Quindi,

(b) è necessario per concludere che vi sia acqua sul pianeta. Si noti, inoltre, che il

comportamento tipico non può sostituire né (a) né (b), in quanto il comportamento

tipico registra ciò che dovrebbe essere osservato nel caso in cui si abbia a che fare

effettivamente con un certo genere di ente. In altre parole, il comportamento

tipico esprime una norma di comportamento, ma non può stabilire l’attuale

esistenza di un genere di ente; per quella, occorre osservare una certa struttura

spaziale o spazio-temporale.

Ciò che l’esempio mostra è che l’esistenza di un genere naturale può essere

stabilita soltanto sulla base di un cortometraggio che ne evidenzi il

comportamento tipico, non di una foto accompagnata da una promessa di

comportamento tipico. La concezione fotografica è soltanto parzialmente corretta;

la concezione filmica è quella giusta.

(Una tecnologia che muove a favore di questa conclusione è, per esempio, la

cosiddetta PET-Scanning, la tecnologia che consiste nel rilevare l’esistenza di un

certo genere di cellule attraverso l’osservazione del comportamento delle cellule

13in un certo arco temporale. Sfortunatamente, la maggior parte della tecnologia

adoperata in ambito medico è stata sviluppata sulla base di una concezione

fotografica dei generi naturali; ma, come il caso della PET-Scanning mostra, una

diagnosi affidabile può basarsi soltanto su un’evidenza del comportamento in un

arco temporale non istantaneo degli enti a cui siamo interessati.)

§3 IL PROBLEMA

Se la concezione filmica è quella corretta, ne consegue in prima istanza che il

dibattito contemporaneo sui generi naturali si è sviluppato attorno ad una

concezione difettosa dei generi naturali. Alcune decadi fa, Alfred Whitehead e

Richard Collingwood avevano, in qualche modo, già messo in luce questo punto.

Non solo – avevano indipendentemente sostenuto i due autori – la visione del

mondo che le varie scienze ci restituiscono suggerisce che tutti i generi naturali

abbiano una dimensione spaziale minimale non puntiforme; esse ci suggeriscono

anche che tutti i generi naturali abbiano una dimensione temporale minimale non

puntiforme. Le scienze, in altre parole, scoprono innanzitutto l’esistenza di certi

generi di eventi (come, per esempio la condivisione)15.

Non intendo qui difendere un revisionismo ontologico per certi versi così

radicale come quello proposto da alcuni autori che si sono successivamente

ispirati all’opera di Whitehead e Collingwood (per esempio, Nicholas Rescher).

15 Si vedano Whitehead 1978, Collingwood 1945 e, più recentemente, Blackburn 1990. Per una presentazione della tesi secondo cui nel mondo naturale non vi sono oggetti, ma processi (la cosiddetta “Process Philosophy”) si veda Rescher 2000. Si noti, comunque, che non sto difendendo una versione della 'Process Philosophy'; più innocentemente, sto sostenendo che,

14Ritengo infatti che una più tradizionale ontologia di oggetti particolari e

proprietà possa essere mantenuta, anche se i generi naturali (per quanto scoperto

finora) hanno un’estensione temporale. Magari i generi naturali sono dei

“lombrichi quadridimensionali” più naturali di altri16; oppure gli oggetti del

mondo sono comunque istantanei, ma per capire con che genere di oggetto

abbiamo a che fare dobbiamo guardare alla sua storia17.

Ma lasciamo pure da parte la questione di quali cambiamenti a livello

ontologico ci imponga la concezione filmica dei generi naturali; abbiamo infatti

un serio problema da affrontare prima di trattare quella questione: se crediamo

che i generi naturali esistano veramente, dobbiamo fornire le condizioni

sufficienti per l’esistenza di un genere naturale. Per esempio, se crediamo che

l’acqua sia un genere naturale, quali sono le condizioni sufficienti a concludere se

ci sia acqua in un certo luogo? Questo significa chiedersi: quanto tempo occorre

affinché si possa stabilire una condivisione di due elettroni tra i tre atomi di una

molecola d’acqua? Rispondere a questa domanda è cruciale per comprendere le

leggi di natura attraverso cui definiamo l’acqua, e quindi per comprendere che

cosa sia l’acqua come genere naturale.

Il problema è che non vedo come una domanda del genere possa ricevere

risposta. Certo, sappiamo attraverso quali legami chimici si forma una molecola

d’acqua, spontaneamente o in laboratorio; e sappiamo anche attraverso quali

qualsiasi siano gli enti che compongono il mondo naturale, se questi possono essere divisi in generi, i generi devono avere un’estensione temporale non istantanea. 16 L’espressione è mutuata da Ted Sider. Per una simile concezione degli oggetti, si vedano per esempio (Lewis, 1976), (Sider, 2001) e (Sider, 1996). 17 Per una simile concezione degli oggetti, si veda per esempio (Strawson, 1959).

15legami chimici si dissolve, spontaneamente o in laboratorio. Ma quand’è che i

cosiddetti legami legano effettivamente? Beh, credo semplicemente che la ricerca

scientifica non abbia mai tentato di dare una risposta a un quesito del genere. Per

esempio, non vi è una traiettoria specifica di un elettrone che definisca l’inizio

dell’esistenza di un legame tra due atomi. Inoltre, una molecola d’acqua ha dieci

elettroni: a che punto dovremmo definire la molecola come esistente? Dopo che

tutti gli elettroni hanno compiuto almeno un’orbita attorno ad almeno un nucleo?

Dopo che gli elettroni condivisi hanno compiuto un’orbita? Ma quando ha inizio

un’orbita? Senza menzionare il fatto che la traiettoria dell’orbita di un elettrone

cambia ad ogni istante... In altre parole: per quanto rigurada la nozione di

”condivisione”, quando si afferma che due o più atomi condividono un elettrone

all’interno di una molecola, si ha a che fare con una nozione che esprime un

predicato vago; infatti, questa nozione non è scientificamente definita, e forse non

è neanche scientificamente definibile. Tutti i modi impiegati per fissare il

significato di questo termine sono infatti arbitrari. Se l’acqua è un genere naturale

e se i predicati associati ai generi naturali rappresentano delle continuità e

discontinuità qualitative indipendenti dal nostro pensarle, allora non può essere

che esse dipendano dal nostro arbitrio; quindi: non abbiamo modo di cogliere le

discontinuità o continuità dei generi naturali, se vi sono generi naturali.

Il problema che ho illustrato rispetto all’acqua vale non solo per i generi

naturali in chimica. Potremmo portare un argomento analogo anche per i generi

naturali postulati nelle teorie fisiche, quali un elettrone o un protone o una stringa.

Oppure per i generi naturali che contraddistinguono il mondo degli esseri viventi.

16Si consideri per esempio una cellula. Per capire che la concezione di una

cellula deve esser filmografica, basterà citare questo breve passo dalla relativa

voce su Wikipedia: «Le cellule sono specializzate a seconda del loro ruolo nei

diversi apparati e nei diversi organi dei viventi»18. In altre parole, un certo genere

di cellula (ovvero, un genere naturale) si risconosce dal genere di attività (il

“ruolo”) che svolge. Naturalmente, questa attività avrà luogo in un certo arco

temporale. Quindi, una cellula deve esibire non solo una certa struttura qualitativa

nello spazio, ma anche nel tempo. Per esempio, una cellula si nutre, produce

energia, scambia informazione con il suo ambiente, si riproduce, nasce e muore.

Tutte attività che avvengono in un arco temporale non istantaneo. Spesso può

capitare di incontrare dapprima in un testo introduttivo di biologia una

presentazione atemporale di una cellula, che quasi suggerisce una sua concezione

fotografica. Ma, prima o poi, scopriremo che una concezione filmica è necessaria.

In che esatto istante una cellula nasce, muore, inizia a nutrirsi, a riprodursi

o a produrre energia? Di nuovo, non pare vi sia un modo non arbitrario di

rispondere. Possiamo decidere arbirtariamente; ma se i generi naturali sono

indipendenti dal nostro pensarli, non possiamo ritenere che una soluzione

arbitraria li rappresenti. Dobbiamo confessare la nostra ignoranza.

Si potrebbe a questo punto pensare che la conclusione raggiunta non sia

poi così sorprendente. Gli studiosi del fenomeno della vaghezza ci hanno

insegnato già da tempo quanto essa sia diffusa. Se anche i generi naturali sono

vaghi, e se lo sono non soltanto lungo la loro dimensione spaziale, ma anche

17lungo quella temporale, non c’è di che preoccuparsi. Basterà utilizzare una

delle molte soluzioni escogitate per render conto del fenomeno della vaghezza19.

Se termini di genere natulale sono affetti una vaghezza di tipo particolarmente

delicato, come altri nomi di eventi, possiamo impiegare la soluzione proposta in

Borghini e Varzi, 2006.

Le cose non sono così semplici, però. Uno dei principali argomenti a

favore del realismo sui generi naturali è la convinzione che i generi naturali siano

conoscibili con precisione, e che questa conoscenza sia la chiave del successo

delle nostre pratiche scientifiche. Il successo implica non soltanto che vi siano dei

generi naturali, ma anche che, attraverso le nostre pratiche scientifiche, arriviamo

a scoprirli20. La tesi che sto difendendo mette in discussione questo punto. Non

solo possiamo sollevare seri dubbi riguardo alla nostra conoscenza della struttura

spaziale di un genere naturale21; possiamo sollevarne anche riguardo alla struttura

temporale, e non abbiamo modo di risolverli.

In conclusione: certamente possiamo credere che un certo tipo di enti

esista, sebbene possiamo parlarne soltanto in modo vago. Posso credere che vi

siano spettacoli teatrali, anche se non so esattamente quando iniziano e quando

finiscono. Ma, quando si tratta di generi naturali, la tesi realista si fonda anche

sulla convinzione che i generi siano conoscibili con accuratezza. Soltanto così è

possibile spiegare il successo delle nostre pratiche scientifiche attraverso di essi.

18 http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Cellula&oldid=12238611, la data di ultima modifica della voce è il 13 Novembre 2007. 19 Per un’introduzione alle teorie della vaghezza si vedano il classico Williamson 1994 e Sorensen 2006. 20 Si veda, per esempio, l’argomento principale contenuto in Lewis 1983.

18Purtroppo per i realisti, però, l’esistenza di una dimensione temporale,

caratterizzata nei termini di un comportamento tipico definibile soltanto

attraverso dei predicati vaghi, legittima i dubbi dell’antirealista.

§4 METAFISICA ED EPISTEMOLOGIA

A questo punto, il difensore della concezione fotografica dei generi naturali

potrebbe protestare che, nell’argomento presentato nella sezione precedente (§3),

mi sono attenuto in modo troppo pedissequo ai risultati della ricerca scientifica.

Invece, la possibilità di un’ontologia passa attraverso la negazione di alcuni di

questi risultati. Si consideri, per esempio, il Principio di indeterminatezza di

Heisenberg – secondo cui non è possibile stabilire con precisione e al contempo,

neppure in teoria, quali siano i valori di una certa coppia di variabili osservabili

(tra cui la posizione e la velocità di una singola particella)22. Ora, dal fatto che

non possiamo avere, a uno stesso momento, i valori di due variabili di una

particella, non segue che la particella sia priva, ad ogni istante, di uno dei due

valori. Allo stesso modo, il fatto che alcuni scienziati definiscano una molecola

d’acqua nei termini della condivisione di un elettrone, non significa che la

molecola debba avere una struttura temporale che ne spieghi la condivisione.

Questa viene tirata in ballo solo in conseguenza della nostra ignoranza di quelle

che sono le proprietà (istantanee) che veramente contraddistinguono una molecola

d’acqua. Anche se scoprissimo che non possiamo mai sapere quali siano queste

proprietà, non ne segue che non ve ne siano.

21 Come ha sostenuto per esempio Dupré 1993.

19In altre parole: poiché la concezione filmica dei generi naturali porta

alla conclusione che non sappiamo, e forse non possiamo sapere, quale sia

l’estensione temporale naturale di un genere, dobbiamo considerare come

ontologicamente non rilevanti tutti quei fatti che supportano la concezione filmica

di contro a quella fotografica.

A possibile obiezione replicherei nella maniera seguente. Non si può

escludere che le teorie scientifiche in futuro si evolvano in modo tale da riuscire a

eliminare ogni riferimento a processi non istantanei, così da supportare una

concezione fotografica dei generi naturali. Ma, a oggi, la concezione fotografica

non può essere invocata per descrivere gli enti del mondo naturale. E di questo

dobbiamo prendere atto.

Si dovrà, infine, notare che i problemi ontologici sollevati rispettivamente

dal Principio di Indeterminatezza e dalla concezione filmica sono di carattere

distinto. Il Principio di Indeterminatezza è un principio puramente epistemico, in

quanto espone i limiti della nostra possibile conoscenza empirica delle particelle.

Esso non gioca un ruolo nel fissare il concetto di particella, ma stabilisce alcune

limitazioni che riguardano l’individuazione delle particelle. La concezione

filmica, invece, non mira a evidenziare un nostro limite conoscitivo, ma a fissare

il concetto di genere naturale. Il problema (epistemico e ontologico) che

scaturisce dalla concezione filmica è una conseguenza della concezione, non la

concezione stessa.

22 Si veda Heisenberg 1972 e Griffiths 2004.

20Se la nostra concezione dei generi naturali deve essere legata alle

scienze naturali (in che altro modo potrebbe essere naturale?), allora la

concezione filmica dei generi naturali deve giocare un ruolo nella nostra

ontologia; e i realisti sui generi naturali hanno un problema non banale da

risolvere – indicare i confini naturali, spaziali e temporali, di un genere naturale23.

23 Ringrazio Luca Angelone, Elena Borghini, Elena Casetta, Arnon Keren, Matthew Slater, Vera Tripodi e i partecipanti al Terzo Convegno Nazionale di Ontologia Analitica per i numerosi commenti su una versione precedente di questo articolo.

21Voce bibliografica ARMSTRONG, D.M. – 1989, Universals: An Opinionated Introduction, Boulder: Westview Press – 1986, In Defense of Structural Universals, “Australasian Journal of

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