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Civiltà e “culture “ della Montagna-cultura del territorio ANE Vincenzo Palomba Scuola Regionale di Escursionismo CAI Lombardia

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Civiltà e “culture “ della Montagna-cultura del territorio

ANE Vincenzo PalombaScuola Regionale di Escursionismo

CAI Lombardia

Il CAI ha , tra le sue missioni fondamentali: “la promozione di iniziative di formazione di tipo etico-culturale, di studi dedicati alla diffusione della conoscenza dell’ambiente montano e delle sue genti nei suoi molteplici aspetti………. della conservazione della cultura alpina.

La cultura nelle Alpi per lungo tempo è stata considerata solamente un insieme di tradizioni locali/regionali, un fenomeno concreto e limitato facilmente identificabile. Una specie di decorazione “folcloristica” della frequentazione della montagna

Quale punto di vista ?Noi osserviamo l’ambiente e la vita della montagna

con gli occhi della cultura metropolitana..“l’idea stessa di passeggiata in montagna era difficile da

concepire per un montanaro. La passeggiata, quando la si faceva, non si faceva certo in montagna. Cosa si sarebbe andati a fare ? I primi escursionisti, dei turisti, erano visti come persone un po’ strane, che avevano molto tempo da perdere, degli “inglesi”… (da A.Bétemps – la vita negli alpeggi valdostani )

Di fatto, per le popolazioni alpine, “andare in montagna “ ha sempre coinciso con il salire all’alpeggio (per lavorare…)

Ma esiste veramente la “cultura alpina “ ?…Tutto ciò è oggi di importanza cruciale per le Alpi. Il mondo globalizzato nega l'ambiente, la storia, la cultura e trasforma le Alpi in un "non-luogo" tramite l'urbanizzazione dei fondovalle e dei centri turistici e lo spopolamento della montagna vera e propria – le Alpi come spazio umano spariscono…Si tende a confinare in “musei” quella che era e deve essere ancora la vita quotidiana delle popolazioni (W.Batzing)

Secondo alcuni studiosi una cultura alpina propria non esiste: esiste solo una trasformazione della vita quotidiana delle città e delle campagne per le necessità e le difficoltà poste dall’ambiente montano.

Siamo d’accordo ?

Caratteristiche di una culturaIdentità territoriale: Nella storia

non è mai esistito uno "stato alpino", bensì tante identità territoriali a livello regionale. Fino all’epoca degli stati nazionali, dal tardo XVI secolo in poi, le alpi costituivano zone di contatto e confronto, più che confini politici

Lingue e dialetti: Le Alpi erano e sono suddivise tra tante lingue e dialetti, e i tre grandi gruppi delle lingue europee neolatine (italiano-francese-ladino)-germaniche, slave) s'incontrano proprio nelle Alpi.

La sopravvivenza delle lingue : i toponimiI toponimi sono spesso una interessante fonte di conoscenza del territorio montano, che deriva da antiche culture o tradizioni. Alcuni esempi:•Monte Barro : dal celtico barr = sommità•Cadore: dal celtico “colle della battaglia”•Gleno : dal celtico “glen” = valle•Rino : da “rin” = ruscello•Borlezza: dalla radice “bor-l”= rotolare (borlà)•Alben : da alp = montagna•Prada: dal longobardo “brayda” = distesa erbosa•Scais : dal longobardo “skaida” = cocuzzolo•Berbenno: dal celtico berg=monte + benna =sommità•Magasa: dal celtico “mag” = campo

Tipi d'agricoltura tradizionale: Non esiste un agricoltura tradizionale ma diverse modalità, con modelli culturali differenti di sfruttamento del territorio. Le Alpi sono divise tra tipi d'agricoltura tradizionale (tipo mediterraneo: campo-alpeggio, tipo medio-europeo: prato-alpeggio, tipo slavo), da cui derivano specifiche tradizioni, usanze, valori culturali, norme di eredità, strutture insediative.

Relazione città – campagna: nella parte alpina latina troviamo un forte predominio della città sull'area rurale (situazione mediterranea), mentre nella parte alpina germanica c'è fra di loro una relazione equiparata (situazione medio-europea).

• Mancando quindi questi criteri di omogeneità, non esisterebbe una unica cultura alpina

• Ma è proprio vero del tutto ?

Esiste nell’arco alpino una cultura comune della “soluzione dei problemi” finalizzata al modo più vantaggioso possibile di sfruttare il territorio e di affrontare le difficoltà del quotidiano .Tale cultura o esperienza comune ha probabilmente le radici più antiche e consolidate, e rappresenta il cardine su cui ruotano le tipicità locali

Tecniche e conoscenze della gente di montagna

• Costruzione e manutenzione di abitazioni, stalle, fienili, casere,ripari, luoghi di culto

• Tecniche e abilità nella lavorazione del legno, della pietra e delle fibre vegetali, per costruzioni, usi agricoli, attrezzature, oggetti ornamentali

• Tecniche di regimazione e canalizzazione di acque reflue e irrigue e di controllo della stabilità dei terreni impervi, di corretta gestione dei pascoli

• Tecniche di coltura boschiva e alimentare• Tecniche di apertura e manutenzione di

sentieri, mulattiere, valichi

“I sentieri sono probabilmente esistiti da sempre: muovendosi da un luogo all'altro animali e uomini hanno lasciato e rafforzato le tracce dei loro cammini. Da semplici tracce poi i percorsi diventano una vera e propria struttura del territorio. Questo accade quando l’uomo diventa stanziale ed ha bisogno di cominciare a legare tra loro insediamenti e luoghi a cui ha attribuito funzioni diverse: abitazione, lavoro, elementi naturali, luoghi sacri.”

(Donatella Murtas da “Ambiente fisico e architettura del paesaggio in Val di Susa”

La presenza dell’uomo in montagna risponde storicamente ad una duplice esigenza:

Passaggio o controllo delle terre altre per scopi commerciali , politici o bellici

Vita e lavoro nelle “terre alte”, stanziale o stagionale, in collegamento con il fondovalle e la pianura, spinta da necessità economiche volte allo sfruttamento delle risorse offerte dal territorio o alla libera espressione della propria cultura (paradosso alpino delle valli valdesi del Piemonte: in montagna si stava meglio, e il livello culturale era più elevato che in città…)

Facciamo un passo indietro…La maggiore frequentazione primitiva della montagna si ha nel Mesolitico, favorita dai fattori climaticiDurante il tardo Neolitico (età del Rame) ricompaiono gli insediamenti ad alta quota, che diventano stabili nell’età del Bronzo. Nel 1° millennio a.C. gli insediamenti vengono costruiti su luoghi “sicuri”, su alture o versanti terrazzati, spesso in forma di “castellieri” (abitati fortificati).L’uomo del Similaun è un pastore/cacciatore dell’età del Rame.

La scelta dei siti è determinata anche dalla vicinanza con i fiumi e dalla presenza di miniere, con una agricoltura basata sostanzialmente su agricoltura e allevamento; ad alta quota vengono usati spesso i “ripari sotto roccia”. Si consolidano le unità etnico-politichedelle genti alpine, che vengono successivamente in contatto con gli Etruschi, che introducono la scrittura

Per gli antichi, soprattutto per i Romani, le Alpi sono corridoi di transito e serbatoi di metalli preziosi. Le valli interne, in particolare quelle più nascoste e scarsamente colonizzate, sono guardate con paura e diffidenza (“loci horridi”), e le popolazioni locali considerate , ovviamente, come selvagge. Sono fondamentali i valichi e le strade di fondovalle che vi accedono, i luoghi fortificati e le città romanizzate.Le popolazioni di origine celtica sopravvivono pertanto nelle aree più isolate e periferiche, o si fondono con i colonizzatori (CivitasCammunorum; Augusta Praetoria, ecc. ).

Le vallate alpine vengono colonizzate solo marginalmente dalle invasioni barbariche, e il latino e le lingue da esso derivate restano elemento culturale comune . Solo gruppi isolati migrano e si stabiliscono in epoca alto-medioevale (alemanni nel Vallese; i Walser).

Progressivamente, dopo l’epoca di Carlo Magno e dei sovrani franchi (che attraversano più volte le vallate alpine) nella quale l’attraversamento dei passi resta pericoloso per l’abbandono delle vie romane e i pericoli oggettivi, il clima diviene più caldo, vengono favoriti i passaggi, i commerci e gli insediamenti a quote più elevate per la migliore praticabilità dei valichi.

In epoca medioevale, l’attraversamento delle Alpi, oltre che per scopi commerciali e bellici, assume i caratteri del “cammino “ di redenzione, e sui due versanti fioriscono monasteri e ospizi che accolgono i viandanti . Lo stesso Carlo Magno promuove tali insediamenti.

Nelle vallate si sviluppa la mentalità del mutuo soccorso, della comunanza nelle avversità, e di fatto, gli abitanti delle Alpi sopravvivono meglio alle grandi calamità che colpiscono le pianure e le città, privilegiando l’allevamento all’agricoltura.

Nella “piccola età glaciale” (circa dal 1550 al 1850) la forte riduzione delle temperature provocò , per la progressiva perdita dei raccolti e la difficoltà di comunicazione sui passi e valichi sempre più frequentemente innevati, lo spopolamento delle zone alpine e soprattutto l’abbandono di villaggi in quota che prima erano stabilmente abitati. Ricordiamo che nell’alto medioevo la Groenlandia era verdeggiante, che la vite veniva coltivata anche in Inghilterra, e alcune coltivazioni come l’ulivo erano presenti anche nelle zone alpine.Nel 1709 il Tirreno gelò fino a Livorno.

Peter Bruegel (il vecchio) – “ cacciatori nella neve” (1565)

L’economia si sposta ancora nelle pianure, e le risorse alpine perdono il loro potere contrattuale. Inizia la necessità di emigrare e la paura delle “Alpi ostili”. Le montagne diventano le appendici esterne di stati nazionali che eliminano le autonomie locali. Ciononostante il tasso di crescita della popolazione resta più alto che nelle pianure.Nasce nel XVII secolo l’idea degli stati delimitati dalle linee di spartiacque, che tagliano in due culture e tradizioni comuni.Per i tre secoli successivi l’economia montana diviene di pura sussistenza, e cristallizza la sua organizzazione sociale in un modello statico che è in realtà una conseguenza dell’involuzione, dell’isolamento politico ed economico, dell’emigrazione, e non una “caratteristica antica” come sarebbe facile pensare

I monti “terribili e paurosi”

E’ nei secoli dell’Europa stretta dal gelo che si consolida il sentimento comune delle montagne “malefiche “ e “terribili”, luogo del diavolo e di creature soprannaturali, bestie favolose, streghe e in generale posti dai quali era doveroso stare lontani.Questa “orofobia” comincerà a svanire durante l’illuminismo, con le cronache dei primi viaggiatori “celebri” e ancor più durante il Romanticismo.

• Continua, e diviene sempre più pesante, l’emigrazione dalle regioni alpine alle città industriali . Lo spopolamento inizia soprattutto dalla seconda metà dell’800.

• La cultura dominante nella nostra epoca è quella urbana; lo sfruttamento delle risorse idroelettriche e minerarie resta una forte caratteristica delle vallate alpine, impiegando manodopera anche locale ma soprattutto evidenziando la subordinazione della montagna alla città.

• Lo spopolamento favorisce il rimboschimento delle aree non più coltivate o sfalciate, il dissesto idrogeologico, l’abbandono delle mulattiere e dei sentieri di collegamento

Dalla seconda metà del XIX secolo la frequentazione della montagna inizia a rispondere, in maniera sempre più diffusa, ad esigenze turistiche e di arricchimento culturale-sportivo, dapprima per elitesalto borghesi o nobiliari, poi come fenomeno di massa Tale frequentazione di fatto dà

anche inizio allo studio e alla “valorizzazione” delle culture alpine, oltre che dare un forte impulso alle economie locali, spesso a prezzo di pesanti compromessi

Vita e lavoro in montagna

“La stalla e il prato erano le fonti di sostentamento, e nel mezzo-tra stalla e prato, tra mucche e fieno-c’erano tutta la vita e tutta la fatica di quella gente”

da “Pane e Curtèll”A,D.P. Sarzo - Valle Intelvi

Cultura della malgaLa cultura della malga e dell’alpeggio hanno molte caratteristiche comuni in tutto l’arco alpino e appenninico. Si fondano su conoscenze ancestrali che riguardano l’allevamento del bestiame, la trasformazione e conservazione dei prodotti derivati (lattiero-caseari, carni, prodotti tessili ), le tecniche più vantaggiose e redditizie per la tenuta dei pascoli.

(Foto C.Ranza)

In alcune zone , i toponimi identificano esattamente i successivi passaggi della monticazione (Malga di sotto, di mezzo, di cima, ecc.). Il maggengo identifica i pascoli intermedi, primaverili, solitamente di media quota.

Gli alpeggi del territorio appenninico sono sfruttati prevalentemente da ovini, a differenza di quelli alpini.

Per malga si intende non solo l’edificio destinato alle lavorazioni di alpeggio, ma anche i terreni e pascoli di competenza, le lavorazioni lattiero-casearie, il bestiame, le attrezzature.L’alpeggio avviene attraverso passaggi a quote successive, dalla partenza in valle fino a quote massime di 2500-2700 m.

Le conoscenze fondamentali per l’ alpeggio

Realtà emblematica è rappresentata dall’altopiano di Asiago, la zona con la più alta concentrazione di malghe d’Europa (se ne contano circa 90 ) , di proprietà dei comuni e date in affitto ai privati . Si deve al lavoro dei malghesi la preservazione, anche a scopi turistici, dell’ambiente dell’altopiano, attraverso una sapiente e costante opera di gestione corretta dei pascoli, che si fonda su importanti conoscenze:

-ottimale “carico dell’alpeggio”, per la preservazione della biodiversità vegetale necessaria

-scelta corretta dei pascoli secondo tipologia di pascolo, capacità nutritiva, tipologia di bestiame alpeggiato

-Capacità di lavoro per il rifacimento dei recinti, manutenzione delle pozze, sistemazione delle attrezzature di malghe e casere

• L’alpeggio a quote basse o intermedie di solito veniva utilizzato per il pascolo dei capi di bestiame di proprietà della famiglia.

• Per il pascolo nelle malghe a quote più elevate, il bestiame poteva essere affidato ai malghesio malgari, allevatori di “professione” per la monticazione.

• L’organizzazione della malga prevedeva diverse figure alle quali venivano affidati diversi compiti:– Il casaro - il capraio– Il capovaccaro - i vaccari– Il “famegio”

Non a caso in Val d’Aosta si parla ancora di “grande montagne” , ovvero la conduzione specializzata di tutto il bestiame di una comunità, affidata negli alpeggi ai malgari, e di “petite montagne” cioè l’alpeggio condotto dalla singola famiglia per usi domestici.Una delle questioni fondamentali dell’alpeggio è sempre stata la disponibilità di pascoli per ottenere da una mandria mediamente numerosa (almeno 40 capi) il latte necessario per la lavorazione di almeno 2 forme al giorno di formaggio più grasso e pregiato, rispetto ai prodotti fatti di latte scremato .In Valle d’Aosta, nel sud Tirolo e in altre zone fortemente influenzate dalla cultura d’oltralpe si sono sviluppate in prevalenza le forme di consorzio (consorterie d’alpeggio) finalizzate al miglioramento della produttività casearia e al razionale sfruttamento dei pascoli da parte della comunità

E’ da tenere presente anche la necessità di mantenere separati bovini e ovini, in quanto il passaggio degli ovini riduce la disponibilità di pascolo per le mucche da latteAlla fine del settecento si sviluppa la manifattura laniera, soprattutto nel Veneto e in Piemonte. I pascoli alpini sono soggetti quindi, a volte in maniera aspra, alla contesa tra bovini e ovini; in alcune zone il formaggio di pecora viene utilizzato come merce di scambio.

I prati da sfalcio rappresentavano la maggiore ricchezza per la malga: occorre tenere conto che in montagna non si riusciva ad ottenere più di 3-4 sfalci, mentre in pianura (p.es. nelle marcite padane ) anche 7-8 sfalci.

Di conseguenza, la conquista e il mantenimento dei pascoli liberi da vegetazione invasiva e difesi da frane o smottamenti, rappresentava uno dei cardini dell’economia della malga. Le lotte per i diritti di pascolo nelle zone di confine sono state spesso sanguinose ! (famosa la guerra tra gli abitanti della Valle di Saviore e i confinanti di Pieve di Bono per i pascoli del Passo di Campo , durata circa 25 anni )

2.643(-84%)

39(-67%)

27(-76%)

2004

16.0001181121950

n. capi alpeggiatin. pascoli utilizzatin. malghe caricateanno

ANDAMENTO DELLE MALGHE NEL PARCO ADAMELLO - BRENTA

A partire dagli anni ’50 del secolo scorso è iniziata una consistente regressione dell’attività d’alpeggio, dovuta al cambiamento delle condizioni socio-economiche che ha interessato il settore primario. Notevoli sono state le conseguenze sull’ambiente alpestre, con il rischio di cancellare le testimonianze di un’epoca in cui il mondo dell’alpeggio aveva un’importanza economica vitale, ma anche di modificare le caratteristiche paesaggistiche del territorio e, infine, di ridurre la biodiversità ambientale.

Donne all’alpeggio – il caso di PREMANA• L’alpeggio “mercantile” è stato sempre considerato

attività maschile. L’alpeggio di sussistenza, o domestico, spesso è stato affidato alle donne della famiglia

• Nella Premana (Valsassina) del XVIII secolo il terreno coltivabile era scarsissimo, poco fertile, e spesso soggetto a dilavamenti. Le coltivazioni tradizionali (grano saraceno, segale, castagne ) garantivano viveri per non più di 2 mesi all’anno.

• Gli uomini erano pertanto costretti all’emigrazione per il lavoro nelle forge e fucine o come fabbri (le miniere locali impiegavano manodopera forestiera ), e alle donne veniva lasciata la cura dell’alpeggio del bestiame di proprietà

Gli “alp” di CanzoGli alp sono frazioni montane, abitate un tempo tutto l'anno, che potevano ospitare fino a cento contadini ciascuno, con numerosi capi da allevamento. Vi si praticava un'agricoltura montana, che richiedeva prati, campi e boschi puliti, per evitare il rimboschimento e assicurare la necessaria esposizione al sole, atta a contrastare il clima rigido. Essi sono costituiti da un unico blocco abitativo, imperniato sulla curt, a cui si aggiungono talvolta altri piccoli edifici, quali i casèj e le giazère, per la conservazione degli alimenti.A Canzo, salendo da Gajum, troviamo il Primm Alp (o Alpe Grasso) a 720 m circa, il Segunt Alp (o Alpe del Sole ) a 790 m, il Terz Alp (all’incirca alla stessa altitudine) in cui è molto evidente e ancora oggi utilizzata la “curt”

Le architetture dell’alpeggio sopravvivono ai secoli con strutture molto interessanti, che comprendono ricoveri , casere e depositi per il latte

Baite dell’alpe presso il passo di Barbacan – Sentiero Roma

Le colture della montagna• Colture cerealicole originarie o di

importazione• Colture boschive alimentari (castagno)• Colture boschive per legname• Tenuta dei pascoli • Sfruttamento di piante

medicinali/essenze/erbe commestibili

Prodotti locali o “esotici “ ?Molti prodotti dell’agricoltura di montagna hanno origini lontane: è il caso ad esempio del grano saraceno (furmentù) (che non è una graminacea e proviene presumibilmente dalle regioni himalayane ), della patata, del mais (entrambi provenienti dalle Americhe ). La loro introduzione è stata favorita nelle regioni montane dalla necessità di ottenere rese superiori a quelle ottenibili con i cerali “poveri”, come la segale (resistente, coltivabile anche su terreni non concimati ) l’orzo, l’avena. Anche il frumento (forment) (grano tenero-triticum aestivum) e il farro (farro piccolo o spelta) hanno rappresentato una coltura antichissima e diffusa ove possibile.Nel medioevo, vaste aree montane erano inoltre state disboscate per aumentare le estensioni coltivabili.

La polenta deriva dall’antico “puls” o “pulmentum”, una zuppa densa di cereali poveri (solitamente farro, ma anche orzo, avena, panico, ecc. )

Carestie, guerre , pestilenze e…patateI primi tre fattori storicamente e periodicamente riducevano la manodopera per le coltivazioni agricole; di conseguenza nelle aree montane , soprattutto dopo la peste del XIV secolo, diventava preminente il ricorso all’allevamento del bestiame.Anche la diffusione della patata fu facilitata dalle guerre, che ridussero nel XVIII secolo la disponibilità di cereali e la resero estremamente coltivata nelle valli alpine, anche in alternanza sui terreni con le colture dei cereali

• Il breve ciclo vegetativo del grano saraceno permetteva la coltivazione in successione con altri cereali, per esempio dopo il frumento.

• Nelle vallate alpine si sono conservati fino ad epoca recente i sistemi arcaici di coltivazione: si predisponeva il terreno lasciato periodicamente a bosco incendiandolo, e sul suolo bruciacchiato si seminava ,zappettando, il cereale.

• Il fuoco (e la zappa) erano strumenti fondamentali per le culture cerealicole, per ricreare l’ambiente originario di queste specie vegetali (in greco , pyros= frumento; in celtico: bracis = orzo )

La preziosa castagnaQuesta coltura ha rappresentato per secoli una delle principali fonti di sussistenza, soprattutto in periodi di carestia. E’ originaria dell’Europa, e venne diffusa soprattutto in epoca alto-medioevale. Successivamente il disboscamento, l’invasione di alcune aree con specie esotiche infestanti (robinia) ne hanno determinato il parziale declino. In molti paesi e insediamenti alpini la cultura della castagna e dei suoi derivati è evidente: le “graa” per l’essicazione, i mulini per la macinazione in farina; l’utilizzo del legno , durevole e resistente all’umidità.

La viticoltura di montagna presenta grandi difficoltà e costi elevati, in termini di fatica per il consolidamento e il mantenimento dei terreni.I versanti esposti a sud della Valtellina, da Tirano a Morbegno, della Val di Susa, di Morgex, rappresentano la testimonianza della dura lotta per la conquista di spazi produttivi

L’istituzione delle “vicinie”Questo modello di organizzazione sociale e amministrativa, molto diffuso nelle valli lombarde e simile alle “Regole” del Cadore o alla “comunità” di Fiemme, avevano lo scopo di attribuire la gestione di campi, pascoli e altre risorse del territorio, incluse le disponibilità di lavoro e lo sfruttamento minerario, in primo luogo alle famiglie originarie del posto, escludendo i “foresti” e gli immigrati di recente. Probabilmente di derivazione germanica, o longobarda, è testimoniato in Lombardia fino dai primi decenni dell’anno 1000 e con contese giudiziarie e regolamenti locali è sopravvissuto in alcuni enti fino ai giorni nostri. Tipiche strutture della vicinia erano il mulino, la taverna, il torchio, la “razzica” (segheria) e il forno

Il duro lavoro del carbonaioVita durissima , quella del carbonaio, costretto a lunghe settimane di permanenza spesso solitaria nei boschi, con unico ricovero in un capanno costruito in sassi e ramaglie. I segni più frequenti di questa attività sono gli aiàl, gli spiazzi coperti di terra annerita dal fuoco in cui veniva preparato il poiàt, mucchio di legna a forma conica ricoperto di zolle e terriccio in cui il processo di lenta combustione in assenza di aria avveniva nell’arco di alcuni giorni. Spesso il carbone veniva prodotto direttamente dal fabbro (“ferèr” ) nelle adiacenze della sua casa-officina

Boscaioli e falegnamiLa conoscenza delle tecniche di taglio e lavorazione del legno è sempre stata fondamentale per la vita dell’uomo in montagna. La capacità di produrre e riparare manufatti come attrezzi, parti di costruzioni, palificazioni e recinti, canali e abbeveratoi, presuppone la conoscenza profonda delle proprietà delle diverse essenze che il bosco offre e dei loro impieghi preferenziali (per esempio, salice , betulle e nocciolo per le gerle e le ceste, abete per mastelli e zangole, ontano per le suole e le caspe,larice per le scandole, le travi delle abitazioni, le vasche e le gronde; frassino e carpino per i rastrelli con manici di abete e per le cavezze delle mucche; acero per le parti di attrezzi vari; cirmolo per le sculture e gli intagli)

Lo sfruttamento minerarioFin dalle epoche antiche l’estrazione mineraria ha rappresentato una forte spinta per il controllo del territorio montano.

Miniere di rame e di ferro erano già aperte in epoca prestorica in vari siti come ad esempio nei monti della Val Grigna.Durante l’impero Romano lo sfruttamento delle miniere di montagna e dei relativi valichi divenne indispensabile (ferro, rame, argento, piombo, marmo, calcare, cristallo) ; dopo l’anno mille riprese l’attività estrattiva in tutto l’arco alpino, e successivamente venne incentivata dalle signorie e dalla Repubblica di Venezia.

Bienno-miniera di Campolungo

Secondo gli studiosi, le miniere della Val Grigna testimoniano la presenza della metallurgia della ghisa già nel v° secolo d.C., quindi molto prima di quanto si ritenesse.

Ancora oggi, sui monti di Bienno, nella cosiddetta “valle delle Forme” e in val Gabbia, è possibile rinvenire frammenti di scoria, resti di forni e di altri antichissimi impianti della prima lavorazione del metallo ferroso, in ambiente boscoso a quote comprese tra 1300 e 1600 m, risalenti ad epoca longobarda e utilizzati probabilmente fino al XVII secolo (Tizzoni)

« Bienno è una delle più grosse, et più popolate terre in questa Valle, et qui più si essercita la ferrarezza, che in altra terra, quivi sono quindeci fucine, dove si fabricano scartate per far li petti, et corsaletti, taglieri per far celate, et morioni, lamerestrette et largh, padelle, ranze, ramine di ferro et altre sorti di ferrarezza »

(Gregorio Brunelli, «Curiosi trattenimenti contenenti ragguagli sacri e profani dei popoli camuni», 1698)

Trasporto a valle del talco in val Germanasca

Gli insediamenti alpini: Savogno

Il paese è raggiungibile solo con una scalinata di circa 2900 gradini, partendo dal fondovalle (Prosto di Piuro), in corrispondenza delle spettacolari Cascate dell’Acqua Fraggia

L’abitato di Savogno è aggrappato al versante orografico sinistro della valle dell’Acqua Fraggia, in posizione apparentemente impervia, ma in realtà favorevole dal punto di vista climatico. L'uomo, nel corso dei secoli, seppe sfruttare favorevolmente le risorse offerte da questi luoghi, terrazzando i pendii per ottenere maggiori superfici coltivabili a cereali, vite e foraggio, canalizzando l'acqua del torrente, costruendo edifici che ben si adattassero alla ripidezza del terreno, mantenendo il bosco a coltivazione del castagno. Il paese fu popolato fin dal medioevo, quale importante punto di transito verso la valle di Lei fino a Coira, e lo è stato fino al 1968, comprendendo una scuola , la chiesa parrocchiale, un lavatoio pubblico.

Famose le storie sulla “rivalità” con il vicino paese di Dasile, posto poco più in quota su bei prati e balcone naturale su Piuro e la val Chiavenna, che sembrano risalire al tempo della grande peste del 1630.Caratteristiche le costruzioni delle “Stalle dei Ronchi”, ricoveri, stalle e fienili di pertinenza del paese , che ospitano anche un torchio comune per la vinificazione, recante la data del 1706. L’attenzione per l’igiene è evidente anche tra le case di Savogno e Dasile, con netta separazione tra abitazioni e stalle, testimonianza anche di una certa agiatezza delle popolazioni (più evidente a Savogno) che potevano godere dei frutti degli estesi pascoli fino al territorio svizzero.

Il patrimonio familiareLA CULTURA DEL MASO(bauernhof- màs – tablà )

Il maso chiuso ha rappresentato il paradigma della proprietà indivisibile e perciò trasmessa ad un solo erede, allo scopo di evitare il frazionamento e quindi l’impoverimento del territorio (Legge Reale del Tirolo del 1526). Dopo il tentativo di abolizione successivo alla 1^ guerra mondiale, la formula è stata ripristinata a partire dagli anni ‘50

Il capofamiglia (bauer) e la moglie (bauerin ) sono i sovrani di questo “piccolo regno”, abitato a quote basse per lo più nella stagione invernale (da settembre ad aprile),mentre in estate si raggiungono gli alpeggi più elevati. Lo sfalcio dei prati in estate consente la provvista di fieno a valle per l’inverno.

Il maso comprendeva sempre una stalla, un fienile, ambienti di vita (cucina – camera con letti e stube ), un piccolo orto. Le tipologie costruttive variano secondo zone e cultura.Attualmente in Alto Adige esistono circa 19.000 masi, di cui ben 11.000 trasmessi ancora come mai “chiusi” o “aviti”

Alcuni masi erano e sono collocati in posizione impervia, a quote anche piuttosto elevate per la vita stanziale (circa 2000 m ).

I segni di “riconoscimento”Tutte le popolazioni montane hanno sviluppato la naturale tendenza alla identificazione della “proprietà”, in un ambiente dove anche il singolo oggetto poteva assumere una utilità estrema.

Da qui da cultura delle decorazioni e delle incisioni con sigle o simboli di architravi, panche, letti, casse, utensili (codèr o portacote), slitte per fieno,stampi per formaggio o per burro e quant’altro potesse essere riconosciuto e trasmesso alle successive generazioni. L’oggetto assume connotazioni e significati radicati al territorio e alla vita quotidiana, che vanno oltre il semplice utilizzo.

Portacote intagliati –Trentino

(foto Agh)

La religiosità montanara

• Culti ancestrali e culto cristiano

• Credenze e leggende• Superstizioni e riti

propiziatori• Trasmissione dei valori

della famiglia cristiana e dell’etica del comportamento

I culti precristiani

La sacralità della montagnaLa montagna è sempre co-protagonista nelle leggende alpine. E’ terra incognita, luogo abitato da presenze benigne e maligne, da insidie, e spesso fonte di punizione per l’uomo che ha trasgredito le regole dell’etica o dell’ospitalità. E’ rifugio di eremiti e santi, luogo di pellegrinaggio e purificazione (vedi cultura dei Sacri Monti), sede di culti antichi (Mater) che si confondono con il culto cristiano (la Madonna delle Nevi, le Madonne Nere ), e ricca di simboli di origine naturale (le acque delle sorgenti, i laghi, le rocce, i boschi)

I culti delle rocce sacre, sulle quali spesso sono incisi segni lasciati da presenze divine o demoniache, sono senza dubbio derivati dai culti e dagli impulsi che portavano l’uomo , dalla preistoria al medioevo, a lasciare sulla pietra le tracce del culto del sole, delle ruote o spirali, e successivamente delle croci ed altri segni cristiani. Il luogo naturale diviene pertanto nei secoli muta testimonianza e cronaca delle suggestioni, delle convinzioni e delle speranze degli uomini …

Temi ricorrenti delle leggende alpine

• La montagna nascosta e i suoi abitanti• L’uomo selvatico• Gli esseri fantastici (gnomi, fate, ninfe,

streghe,anguane, demoni, orchi, folletti, lupi mannari, badalisk )

• Le anime del purgatorio, i fantasmi senza riposo• La trasformazione degli umani in parti del

paesaggio per volere, morte o punizione• Le origini dei monti , dei laghi, dei ghiacciai• Leggende di santi e Madonne, miracoli e reliquie

La caccia alle stregheLa diffusione del cristianesimo in Valle Camonica, come in altre vallate alpine, avvenne in maniera disomogenea e spesso poco ortodossa , per la fusione o il contrasto con le radici culturali preesistenti. Nel XVIII secolo venivano ancora descritti culti pagani di origine celtica e romana. Una delle pagine più buie fu la persecuzione inquisitoria contro la “stregoneria”, tra il 1505 e il 1521, che portò al rogo alcune più di 200 persone

L’homo “salvadego”Rappresenta l’icona del solitario abitante dei boschi e dei monti, depositario di conoscenze antiche , precedenti all’avvento del cristianesimo, che mette a disposizione della comunità per poi esserne scacciato, e mette paura solo a chi lo “offende”. La più nota raffigurazione è quella della “camera picta” di Cosio , in Val Gerola

Le Alpi come rifugio: i valdesiLe valli piemontesi (val Pellice, val Chisone, val Germanasca ) fornirono rifugio e patria ai cristiani valdesi fin dai primi anni della predicazione di Valdo (fine del XII ) secolo, consentendo una relativa tranquillità anche dopo l’ingresso nella chiesa protestante, avvenuto nel 1532; successivamente anche nelle valli piemontesi giunsero le persecuzioni, tra cui quella feroce e sanguinosa del 1655 e anni seguenti. La comunità valdese è stata sempre molto aperta ai temi culturali, etici e politici, ed ha motivato l’espressione “paradosso alpino”, per l’altissimo indice di alfabetizzazione anche in epoche in cui la stragrande maggioranza della popolazione aveva un livello culturale estremamente basso.

I luoghi della devozione

Malghera (Val Grosina) -Santuario della Madonna del

Muschio

S. Fermo – Orobie bresciane

Allora, cosa è la “cultura alpina” ?“…è quel patrimonio di conoscenze che ha solo chi ancora oggi continua a vivere (e a sopravvivere) in montagna. … una dote di esperienze tramandata di generazione in generazione, esperienze fondamentali per poter vivere in modo autosufficiente in alta quota.

Cultura alpina è conoscere e interpretare il tempo meteorologico, sapere dove scendono le valanghe, come riparare un sentiero e la propria casa, come tenere pulito un bosco, come coltivare gli appezzamenti, come allevare il bestiame, come ricostruire muretti a secco crollati. Ma è anche ovviamente sapere la storia del proprio villaggio, conoscere i nomi dei luoghi, sapere andare in montagna e perchè no, saper cacciare… (da Piero Carlesi per MM )

Bibliografia:A.Bétemps - La vita negli alpeggi valdostaniAutori vari - L’Alpe (rivista) - n. 5,9,12,16D.M. Tognali - La mia Terra,la mia GenteA.Gorfer – Gli eredi della solitudineA.D.P. Sarzo – Pane e curtèllA.Salsa – Il tramonto delle identità tradizionali.Autori vari- Meridiani Montagne (rivista) – vari numeriW.Batzing – Le Alpi . Una regione unica al centro dell’EuropaT.Gatto Chanu – Saghe e leggende delle AlpiL. Zanetti - Cronaca di una giornata in malgaM. Corona – Le voci del boscoIconografia dell’archivio AESS regione Lombardia

N.B. Questa presentazione è stata creata dalla Scuola Regionale di Escursionismo del CAI Lombardia che se ne riserva il diritto di uso

Grazie per l’attenzione !