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1 GLI ORIENTAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE NELLE AREE A RISCHIO TECNOLOGICO IN ITALIA E ALL’ESTERO 1 Agata Spaziante*, Maria Teresa Gabardi** “Se c’è stato un dramma non è colpa della natura, poi- ché non è stata quest’ultima a raccogliere laggiù venti- mila palazzi di sei o sette piani. Se gli abitanti si fossero sparpagliati o sistemati diversamente li avremmo visti il giorno dopo a venti leghe da quel luogo, felici come se nulla fosse successo”. (J.J. Rousseau, 1756, a proposito del terremoto di Lisbona del 1755) Pericolo, rischio, incidente rilevante, vulnerabilità e territorio Il verificarsi di situazioni di danno dovute alla presenza in un determinato luogo di edifici, attività, elementi naturali o artificiali che possono entrare in con- flitto funzionale con la presenza di popolazione o altre componenti del sistema insediativo o del contesto territoriale e ambientale, è evento che sperimentiamo continuamente, sebbene in forme e dimensioni solo raramente drammatiche. Immediatamente questa constatazione richiama l’opportunità di distinguere, anche in rapporto con l’influenza che si viene ad esercitare sull’idoneità urbani- stica del territorio, le situazioni di pericolo da quelle di rischio: per pericolo intendiamo infatti “una circostanza, una situazione o un com- plesso di circostanze atte a provocare un grave danno in funzione della tipo- logia, della quantità e della frequenza dei processi che vi si possono inne- scare”: è dunque un accadimento certo, determinato, nelle date circostanze o situazioni 2 ; 37 * Politecnico e Università di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio. ** Dottore di ricerca, Politecnico di Torino.

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Page 1: GLI ORIENTAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE NELLE …...1 GLI ORIENTAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE NELLE AREE A RISCHIO TECNOLOGICO IN ITALIA E ALL’ESTERO1 Agata Spaziante*, Maria Teresa

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GLI ORIENTAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE NELLE AREE ARISCHIO TECNOLOGICO IN ITALIA E ALL’ESTERO1

Agata Spaziante*, Maria Teresa Gabardi**

“Se c’è stato un dramma non è colpa della natura, poi-ché non è stata quest’ultima a raccogliere laggiù venti-mila palazzi di sei o sette piani. Se gli abitanti si fosserosparpagliati o sistemati diversamente li avremmo visti ilgiorno dopo a venti leghe da quel luogo, felici come senulla fosse successo”.

(J.J. Rousseau, 1756, a proposito delterremoto di Lisbona del 1755)

Pericolo, rischio, incidente rilevante, vulnerabilità e territorio

Il verificarsi di situazioni di danno dovute alla presenza in un determinatoluogo di edifici, attività, elementi naturali o artificiali che possono entrare in con-flitto funzionale con la presenza di popolazione o altre componenti del sistemainsediativo o del contesto territoriale e ambientale, è evento che sperimentiamocontinuamente, sebbene in forme e dimensioni solo raramente drammatiche.

Immediatamente questa constatazione richiama l’opportunità di distinguere,anche in rapporto con l’influenza che si viene ad esercitare sull’idoneità urbani-stica del territorio, le situazioni di pericolo da quelle di rischio:– per pericolo intendiamo infatti “una circostanza, una situazione o un com-

plesso di circostanze atte a provocare un grave danno in funzione della tipo-logia, della quantità e della frequenza dei processi che vi si possono inne-scare”: è dunque un accadimento certo, determinato, nelle date circostanzeo situazioni2;

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* Politecnico e Università di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio.** Dottore di ricerca, Politecnico di Torino.

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– per rischio (in inglese hazard con termine che ricorda la sua terminologia arabaazar = avvenimenti che avvengono senza una causa necessaria o prevista),intendiamo “la possibilità di conseguenze dannose o negative a seguito di cir-costanze non sempre prevedibili ovvero una condizione che in partenza puòcausare infortunio alle persone, danno agli impianti o alle strutture, perdita dimateriale o diminuzione della capacità di svolgere la funzione prestabilita” edunque un accadimento solo probabile, nelle date circostanze o situazioni3.È evidente la grande differenza fra i due termini e fra le situazioni che con essi

si intendono definire: effetto di danno certo, nel primo caso; di danno solo pro-babile, nell’altro. Entrambi acquistano però estrema importanza tanto nelle scel-te degli strumenti di pianificazione (come argomenta Patrizia Colletta nel suo sag-gio contenuto in questa prima parte del volume), quanto nella definizione di Pianidi emergenza esterna (come ricordano Loretta Floridi, Maria Giovanna Martini eRita Nicolini, Concetto Aprile, nella seconda parte di questo volume).

Il pericolo ed ancor più il rischio, peraltro, fanno parte inevitabilmente dellanostra vita e della nostra storia.

Viviamo in paesi affluenti, in cui siamo molto più ricchi, più sani, più sicuri diprima; conviviamo ed utilizziamo tecnologie a fortissimo contenuto di materiali eprocessi pericolosi ma disponiamo anche, molto più di prima, di strumenti dicomprensione, di previsione, di intervento di potenza inusitata e dunque siamoprotetti da situazioni pericolose o anche solo rischiose molto più che nella fasedi insediamento e di sviluppo dell’industria.

Dobbiamo dunque, indubbiamente e necessariamente, abituarci a conviverecon il rischio, non accettandolo supinamente ma valutandone la natura e l’entitàper ridurlo al minimo in tutti i sensi (in dimensione del danno, in durata, in areainvestita, in termini di ricadute indirette ecc.).

Negli ultimi decenni, però, sembra che i motivi di preoccupazione per le situa-zioni di rischio crescano continuamente in quantità e dimensione.

La sensazione di essere esposti a pericoli maggiori di una volta, a rischi moltopiù preoccupanti di prima è largamente diffusa.

Va detto però che tale sensazione non è equamente distribuita su tutti i gene-ri di pericoli e rischi: nei confronti di molti di essi siamo relativamente e sorpren-dentemente molto più disattenti e meno sensibili che rispetto ad altri. Questosuccede ad esempio per il rischio idrogeologico, per la presenza di inquinanti neiluoghi di lavoro, per l’uso di sostanze tossiche in agricoltura.

La ragione della nostra moderata sensibilità su questi aspetti va ricercata nellaapparente casualità di alcune di queste condizioni di rischio, nella lontananza fisi-ca da noi di altre, nella lentezza con cui si accumulano, nel corso di alcuni decen-ni o centinaia d’anni, gli effetti di danno prodotti.

Il rischio di lungo periodo, continuo e modesto ma alla fine enormemente ele-vato, allarma poco i soggetti sia pubblici che privati.

Su altri rischi siamo invece molto sensibili fino ad avere reazioni al limite dellairrazionalità: è il caso, in particolare, di quei rischi dovuti alla prossimità di una38

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industria la cui attività possa dar luogo ad un “evento quale un’emissione, unincendio o un’esplosione di grande entità… con pericolo grave, immediato o dif-ferito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabili-mento e in cui intervengano una o più sostanze pericolose”.

Si definisce così l’incidente rilevante di una sorgente di rischio nel D.Lgs. n.334/99 “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di inci-denti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”, denominatoanche “Seveso II”, all’art. 3, come argomentato nel saggio di Andrea Carpignanoed in altri saggi in questo stesso volume, specialmente orientati ad esporre ilpunto di vista del tecnico dell’analisi di rischio.

Più in generale questo genere di rischio (definito anche tecnologico perchélegato alla presenza di tecnologie con elevate possibilità di incidenti rilevanti ininsediamenti come stabilimenti produttivi, aree di stoccaggio, nodi infrastruttu-rali, reti di trasporto) colpisce il nostro immaginario per la dimensione elevata deidanni associati al singolo episodio, nonostante la probabilità dell’evento possaessere anche remota.

È di questi rischi, quelli di cui abbiamo maggiore timore, che si è occupato ilD.Lgs. n. 334/99 “Seveso II” e più di recente il D.M. 9 maggio 2001 attuativodell’art. 14 dello stesso D.Lgs. n. 334/99, dedicato al “Controllo dell’urbanizza-zione”, alla cui formulazione il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnicoe dell’Università di Torino ha contribuito con lo studio di cui qui si riferisce.

Prevale infatti nel mondo scientifico e culturale l’attenzione sulla vulnerabilitàdella presenza umana rispetto a quella dell’ambiente che pure non è meno rile-vante e preoccupante. E ciò è ovviamente comprensibile: il rischio della perditadi vite umane o di lesioni gravi agli abitanti è e deve essere la prima preoccupa-zione di chi si occupa di governare il rapporto fra attività e spazi, pur senza tra-scurare, in seconda istanza, il rischio di effetti dannosi su elementi naturali edartificiali presenti nelle aree circostanti ad un impianto produttivo a rischio.

Peraltro le catastrofi generate da incidenti industriali “rischiosi” molto più diquelle generate da eventi naturali “pericolosi” sono prodotte da fattori umani etra questi primeggiano l’urbanizzazione di aree non idonee, le trasformazioni noncorrette dell’uso del suolo, l’assenza di prevenzione territoriale.

In considerazione di ciò è evidente che la lettura del territorio in termini di vul-nerabilità di spazi e funzioni diventa il tassello strategico posto a monte dellescelte urbanistiche che, a loro volta, comportano, in aree soggette a questesituazioni, decisioni interdisciplinari con il concorso di urbanisti ed analisti delrischio, quantomeno.

Ricordiamo a questo proposito che per vulnerabilità, ai nostri fini, si può inten-dere la percentuale del valore che verrà perduta in caso di evento incidentale e,in analogia con quanto avviene per le situazioni di pericolosità dipendenti dallecondizioni idrogeologiche del territorio (D.Lgs. n. 180/98 art. 1), possiamo consi-derare che elementi a rischio sono innanzitutto “l’incolumità delle persone, e,con carattere di priorità almeno: gli agglomerati urbani comprese le zone di 39

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espansione urbanistica; le aree su cui insistono insediamenti produttivi; le infra-strutture a rete e le vie di comunicazione; il patrimonio ambientale e i beni cul-turali di interesse rilevante; le aree sede di servizi [...]”.

Considerando la rilevanza delle ricadute che le decisioni in materia di localiz-zazione degli impianti produttivi e di urbanizzazione del territorio con tali criteridetermineranno a livello locale, è indispensabile l’acquisizione di concetti, crite-ri, regole in merito al rapporto fra queste componenti non di rado incompatibili,soprattutto da parte di chi si occupa di pianificazione urbanistica e territoriale. Èquesto il requisito necessario per l’applicazione di un decreto quale il D.M. 9maggio 2001 che ha come sua finalità quella di orientare le Regioni affinché legi-ferino entro un certo quadro di omogeneità a scala nazionale, e le Province e iComuni affinché pianifichino e governino nel senso di un responsabile control-lo dell’urbanizzazione in prossimità degli impianti a rischio di incidente rilevante.Lo scopo del decreto è infatti quello di determinare un punto di raccordo tra lecaratteristiche insediative del territorio, la pericolosità dell’impianto e le previ-sioni di trasformazione dell’uno o dell’altro o di entrambi, consentendo la verifi-ca della loro compatibilità.

Non va trascurato naturalmente il fatto che la sensibilità su tutta questa mate-ria è molto condizionata dalle caratteristiche sociali e culturali delle popolazioni,le cui reazioni rispetto alla possibilità, non precisamente determinabile, di unevento incidentale possono essere molto diverse. Percezione del rischio, rimo-zione, paura, azioni di contrasto, producono comportamenti individuali e colletti-vi molto diversificati tanto nei gestori, quanto nei lavoratori addetti agli impianti,ed ancor più in coloro che convivono con l’inquietante presenza di un contenito-re di eventi potenzialmente catastrofici quali abitanti residenti in prossimità,addetti ad attività insediate nei pressi, utenti occasionali degli spazi e dei canalidi comunicazione adiacenti. Ne discutono in questo volume, segnalando la varia-bilità dei comportamenti e pertanto l’importanza della tempestività e della oppor-tuna modalità di informazione e comunicazione a questi soggetti, Bruno FilippoLapadula e Lucio Spaziante, al capitolo 10.

Infine va immediatamente posta l’attenzione sulla tipica e ben nota divarica-zione degli approcci disciplinari con cui il tema del rischio tecnologico in genera-le, e di conseguenza anche il dibattito sul rapporto fra rischio e controllo dell’ur-banizzazione, si confronta fin dall’inizio degli studi e degli interventi in questocampo. La diatriba sempre vivace fra i sostenitori di un “approccio deterministi-co” nella analisi e nella prevenzione dei rischi ed i sostenitori invece di un“approccio probabilistico” alle medesime questioni è una componente caratteri-stica di questa materia. Molte delle divergenze fra studiosi, fra attori, fra regola-menti e normative nei diversi paesi o anche nei diversi contesti all’interno del sin-golo paese, discendono pertanto dalla diversa collocazione dei protagonistirispetto a questi approcci.

In questo stesso volume ne tratta in modo articolato Andrea Carpignano,(parte prima, capitolo 4): qui se ne ricordano solo gli estremi perché si possano40

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comprendere le ragioni delle differenze negli studi e nelle pratiche di casi italianie stranieri qui riportati e commentati.

Nello stimare gli effetti prevedibili di un incidente e nel determinare requisitiminimi di sicurezza per la popolazione ed il territorio circostante, una modalitàmolto perseguita è da sempre quella basata sulle conseguenze (deterministica).Ci si appoggia in questo caso sulla verifica degli effetti degli incidenti immagina-bili, senza una stima sulle probabilità che essi accadano. Il principio di base èquello per cui se sono state prese misure sufficienti a proteggere la popolazionedal peggiore incidente immaginabile, essa sarà protetta anche nel caso di inci-denti minori.

In questo approccio vengono definiti pertanto diversi scenari di riferimento,ritenuti credibili per il caso esaminato, e vengono valutate le conseguenze di cia-scuno di essi nelle aree di contorno. Di norma viene stimata una prima distanzaper le conseguenze letali di un incidente e una seconda per il verificarsi di effet-ti irreversibili e dunque si perviene alla determinazione di distanze predefinite ecostanti di separazione fra l’impianto e gli altri insediamenti di popolazione edattività.

Questo metodo ha il proprio risvolto negativo nel momento della selezionedegli scenari di riferimento, sia perché in alcuni casi scenari ritenuti trascurabili sisono in realtà dimostrati più gravosi di altri peggiori, sia perché è necessario sce-gliere se basarsi sui peggiori incidenti verosimili oppure su quelli concepibili. Disolito si considera il primo caso, introducendo però in questo modo nell’approc-cio deterministico “anche una componente probabilistica”.

A questa linea si contrappone quella basata sulla probabilità dell’incidente,che privilegia la determinazione non solo della gravità del potenziale incidente,ma anche della probabilità che esso avvenga. Verranno dunque affrontate, indiverse fasi del processo, l’identificazione del rischio, la stima delle conseguen-ze dell’incidente, l’integrazione in indici di rischio complessivo.

Il presupposto teorico alla base di questo approccio è che qualunque attivitàpresenta un rischio associato, e che perciò un certo livello di rischio vada gene-ralmente accettato, sia per il singolo, sia per l’intera comunità. Nel caso di stabi-limenti a rischio di incidente rilevante il problema è dunque costituito dalla deter-minazione dell’aumento di livello del rischio ritenuto tollerabile4.

Come è efficacemente argomentato nel saggio di Andrea Carpignano, l’ap-proccio più interessante e più complesso che oggi l’analista del rischio ritienemeglio rispondente alla ricerca della difficile linea di compatibilità fra le esigenzedello sviluppo e quelle della salvaguardia della popolazione e dell’ambiente, ècomunque quello probabilistico. E non vi è dubbio che da tale punto di vista que-sto orientamento sia quello da privilegiare.

Questo approccio presenta però inevitabili difficoltà applicative quando i suoirisultati sono utilizzati per definire vincoli e norme alla urbanizzazione del territo-rio: in questa materia infatti sono preferibili effetti certi a quelli probabili in quan-to le conseguenze sulla proprietà, sulla possibilità ed il valore di scambio, sulle 41

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prospettive di trasformazione di un’area sono oggetto di operazioni commercia-li, contratti, investimenti, e dunque non possono essere condizionate da fattoriimponderabili e pertanto incerti.

La divaricazione delle linee tecnico-scientifiche dell’analisi del rischio e dellepratiche di governo del territorio e pertanto la difficoltà di rendere compatibiliinterpretazioni, interventi, norme in questa materia, nasce dalla diversa capacitàche questi due approcci hanno di soddisfare le esigenze disciplinari divergenti neidue campi: analisi del rischio, pianificazione del territorio.

Il confronto e le scelte tecnico-scientifiche operate in sede di attività del Gruppotecnico interistituzionale costituito in occasione della formazione del Decreto, sisono imperniate, specie nella fase di impostazione del lavoro, su tale questione.

In realtà l’approccio deterministico e l’approccio probabilistico non si esclu-dono a vicenda. È possibile per esempio fissare delle distanze di rispetto gene-rali molto ampie, all’interno delle quali sottoporre le singole situazioni ad analisipiù approfondite, ed è anche possibile accentuare l’aspetto probabilistico delleanalisi di verosimiglianza degli scenari all’interno dell’analisi deterministica.

Ed è su questo sottile terreno di confine fra due filosofie che si è giocata lapossibilità di trovare una soluzione se non del tutto soddisfacente per tutti quan-tomeno accettabile da parte di entrambe le componenti disciplinari prevalente-mente coinvolte: analisti del rischio ed urbanisti.

Il paradigma ambientale come incentivo alla prevenzione del rischio

La risoluzione comune del Parlamento europeo sull’esplosione della fabbrica diTolosa dell’estate 2001 (allegata al volume) e il Progetto di parere dellaCommissione Industria del Parlamento Europeo sulla Proposta di direttiva destina-ta a modificare la attuale Direttiva 96/82/CE (contenuto nel CD Rom allegato aquesto volume), entrambe originate dal drammatico incidente di Tolosa, oggidanno atto con forza delle gravissime carenze nella prevenzione del rischio dovutealla irresponsabile gestione del territorio in prossimità dell’impianto che è esploso.

In realtà, nonostante il grave incidente dell’ICMESA di Seveso già dal 1976avesse messo in luce le responsabilità della scorretta gestione del territorio neldeterminare l’entità dei danni dovuti all’incidente, fino al 1999 nel nostro Paesela legislazione in materia non aveva ancora nemmeno richiamata la necessità dimettere mano al controllo del rapporto tra insediamenti e impianti dal punto divista del governo del territorio e delle sue forme insediative.

Eppure l’ambiente tecnico e scientifico aveva già da tempo percepito lanecessità di attenzione, regole, interventi non solo sugli impianti ed i loro siste-mi di sicurezza ma anche sul territorio in cui sono localizzati.

Studi, riflessioni e soprattutto ripetuti eventi drammatici recenti, a partire daquello di Seveso del 1976, avevano riportato l’attenzione dei tecnici sul rapportouomo - ambiente artificiale e su quegli “eventi estremi” che talvolta tragica-mente manifestano il ruolo della responsabilità umana in quei danni ambientali ein quegli incidenti che tendiamo ad attribuire alla fatalità5.42

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Anche i progressi delle procedure di allertaggio, di monitoraggio, di calcolodelle probabilità, di simulazione degli scenari, che hanno contribuito a stimarecon maggiori margini di affidabilità il rischio di incidente così come il rischio di unacatastrofe naturale o quello di effetti globali delle azioni locali (riscaldamento delpianeta, cambiamenti climatici, desertificazione, deforestazione ecc.) e pertanto,ove possibile, a prevenirli, hanno via via accresciuto l’attenzione e le attese diinterventi efficaci in questo campo.

Un ruolo non trascurabile negli sviluppi delle tecnologie applicate a questoscopo e soprattutto nell’interesse di tecnici e politici al problema, ha inoltre svol-to, più in generale, il cambiamento del contesto in cui agiscono tutti coloro cheoperano in materia di governo delle trasformazioni.

Si è verificata infatti negli ultimi venti anni una crescente sensibilizzazionedella pubblica opinione, di tecnici ed amministratori nei confronti delle nuovedimensioni della questione ambientale.

L’ambiente ha fornito il nuovo paradigma ed è divenuto il vero motore rivolu-zionario della ricerca e dell’azione in tutte le discipline, specie in quelle contrad-distinte dalle più forti inerzie al cambiamento che sono state così trainate versofaticose ma necessarie revisioni delle loro strutture. Tra queste va certamenteannoverata l’urbanistica.

E dunque nuova sensibilità alle questioni ambientali e nuove esigenze postedalla consapevolezza di crescenti criticità nel rapporto degli insediamenti conquei danni ambientali che possono essere prodotti dai fattori cosiddetti di “gran-de rischio”, sia naturale (alluvioni, terremoti, frane ecc.), sia tecnologici (inciden-ti industriali, inquinamenti ecc.), hanno imposto alla attenzione dei tecnici dellapianificazione il problema, a lungo trascurato dall’urbanistica, della prevenzionedegli eventi incidentali e delle tecniche per gestirla.

Il controllo e la prevenzione del rischio tecnologico, lasciati finora alla preva-lente competenza di tecnici della protezione civile ed analisti del rischio, sonocosì entrati più autorevolmente nell’area di interesse degli urbanisti.

Non diversamente si è modificato negli ultimi anni l’approccio degli ambien-talisti, che hanno tradizionalmente concentrato la loro azione sulla difesa del-l’ambiente naturale e solo di recente hanno rafforzato le loro azioni per difende-re e valorizzare la sicurezza e la salute della popolazione nonché il patrimonio arti-ficiale dei nostri territori.

A maggior ragione ciò è diventato importante negli ultimi anni, con l’affer-marsi, dopo il 1992, di princìpi di sostenibilità dello sviluppo, di verifica della com-patibilità dei grandi interventi con un uso responsabile delle risorse primarie econ l’obbligo di assicurare alle generazioni che ci succederanno quantità e qua-lità di risorse non dissimili da quelle che abbiamo ereditato.

I danni gravissimi che può produrre alle popolazioni ed all’ambiente latamen-te inteso un incidente industriale di grande dimensione, portano alla loro estre-ma difficoltà applicativa i concetti di sostenibilità di uno sviluppo industriale chegià in molti casi ha messo a dura prova la nostra capacità di individuare soluzionidi evoluzione del territorio ambientalmente compatibili. 43

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D’altra parte le scelte di trasformazione agiscono su entrambi i versanti chedeterminano la dimensione del rischio tecnologico6: quello che produce la solle-citazione (la localizzazione di impianti industriali con caratteristiche tecnologicheche possono determinare eventi incidentali) e quello che determina la vulnerabi-lità ovvero la propensione al danno, del sistema ricevente (in questo caso carat-teristiche del territorio e dell’ambiente naturale e ubicazione e tipo degli insedia-menti).

In realtà fino ad anni recenti lo studio dei rischi tecnologici, in assenza di que-sta sensibilità ed attenzione a territorio ed ambiente, era tradizionalmente statoappannaggio dei tecnici delle discipline che trattano l’analisi del rischio (ingegne-ri, chimici ecc.) e pertanto si era concentrato soprattutto sul controllo della solle-citazione (l’incidente industriale rilevante), così come la normativa si era dedica-ta a regolamentare la progettazione e il controllo degli impianti che trattanosostanze pericolose. I requisiti minimi di sicurezza nei confronti del rischio di inci-dente erano affidati a specifici studi e rapporti ingegneristici ed all’azione deigestori degli impianti. È stata invece quasi sempre e quasi del tutto trascuratal’influenza sulle stesse dinamiche incidentali e sulle loro conseguenze determi-nata dalle caratteristiche del sistema ricevente, ovvero il territorio, oggetto di stu-dio e di interventi da parte di altra disciplina, l’urbanistica.

E le caratteristiche del sistema ricevente si sono invece rivelate determinan-ti per la dimensione del danno prodotto da un incidente. Dall’esperienza degli ulti-mi anni la vulnerabilità, infatti, è risultata essere fortemente correlata con la dina-mica evolutiva dell’area, con la forma degli insediamenti, con l’accessibilità e lecaratteristiche delle reti infrastrutturali, con le politiche fondiarie e la normativaurbanistica. Tutti questi aspetti, chiaramente governabili da parte di coloro chehanno il compito di guidare le trasformazioni territoriali, sia in quanto determina-no le logiche insediative e quindi la presenza di popolazione e attività su aree fra-gili o “a rischio”, sia in quanto agiscono sulla gravità della sollecitazione e sullaefficacia delle misure di mitigazione del rischio o di emergenza in caso di inci-denti, definiscono l’entità del danno e dunque i livelli di vulnerabilità del territoriocircostante l’impianto industriale a rischio.

Dunque al controllo del secondo fattore da cui dipendono gli effetti in unevento incidentale (la vulnerabilità del territorio) si è posto mano solo con l’ema-nazione del D.Lgs. n. 334/99 (la cosiddetta “Seveso II”), che all’art.14 dedicatoal “Controllo dell’urbanizzazione”, introduce la necessità di stabilire per le zoneinteressate da questo tipo di stabilimenti “requisiti minimi di sicurezza in mate-ria di pianificazione territoriale”.

Ed ancora sono trascorsi quasi due anni, prima che si desse efficacia applica-tiva a questa norma con il D.M. 9 maggio 2001.

E certamente trascorrerà altro tempo prima che tutti gli oltre 700 Comuni,le Province e le Regioni interessate, ciascuna per la sua parte, diano attuazio-ne al disposto del decreto: dunque ci si è solo avviati a dare una risposta al pro-blema.44

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L’emanazione di questo Decreto dovrà mutare in modo sostanziale l’atteggia-mento con cui l’urbanista affronta il tema della localizzazione industriale in que-ste circostanze e ciò lo stimolerà ad estendere il proprio bagaglio conoscitivo ead ampliare in questa direzione gli studi di analisi, di valutazione, di progettazio-ne di cui deve fare uso per supportare le decisioni sulle trasformazioni del terri-torio. Certamente però ciò avverrà gradualmente e non facilmente e richiederàanche da parte della comunità scientifica delle iniziative per preparare o aggior-nare professionisti e tecnici degli Enti locali su concetti e strumenti idonei a farfronte anche a queste tematiche.

Alla ricerca della compatibilità fra esigenze dello sviluppo e sicurezza

La localizzazione di impianti di questa natura comporta, dunque, oltre alle scel-te economiche, tecniche e urbanistiche consuete per un insediamento indu-striale, valutazioni che tengano conto della distribuzione del rischio sul territorioe pertanto interagiscano anche su questo terreno con le politiche ed i piani digoverno delle trasformazioni, sia locali che a scala vasta. Si pone cioè una nonfacile ricerca di compatibilità fra esigenze dello sviluppo (industriale, economico,sociale, territoriale) e diritti alla sicurezza, alla salute ed alla salvaguardia da partedi popolazioni ed ambiente, sia naturale che artificiale.

La novità costituita dall’obbligo di introdurre negli strumenti urbanistici preci-se attenzioni a queste importanti componenti del sistema territoriale, rendevamanifesto ed inevitabile un problema trascurato e rimosso per decenni da ammi-nistratori e tecnici dell’urbanistica nelle centinaia di Comuni coinvolti dal proble-ma. E in alcuni di questi la presenza di impianti pericolosi era rilevante e ben notaa politici, sindacalisti, funzionari, professionisti ed alla stessa popolazione tantoda essere già oggetto di azioni e conflitti per limitarne i rischi.

Si è posta dunque l’esigenza di passare dalla logica della “emergenza” e dellosviluppo di metodologie di analisi, di intervento e di controllo su ciò che sollecital’incidente, sulle sue dinamiche e sulle probabilità di accadimento, alla definizio-ne di norme per governare il problema dalla parte del territorio, ovvero regolesulle modalità di urbanizzazione e sulle procedure con cui gli strumenti di pianifi-cazione e le Autorità locali devono rapportarsi con i documenti relativi alla sicu-rezza degli impianti (Rapporti di sicurezza, Notifiche) e con gli enti responsabilidel controllo di tali documenti e delle ispezioni, nelle zone interessate da taliimpianti. Ciò comporta non solo norme specifiche ma soprattutto l’estensionedell’ottica con cui sono stati considerati fino ad ora i rischi tecnologici connessi aquesti insediamenti.

Le caratteristiche tecniche degli impianti ed i programmi di attuazione di prov-vedimenti per garantirne la sicurezza sono infatti documentati dal gestore con un“Rapporto di sicurezza” (per gli impianti che l’art. 2 comma 1 della “Seveso II”indica come massimamente pericolosi in quanto trattano grandi quantità disostanze pericolose) o una “Notifica” (per gli impianti che lo stesso art. 2 comma1 indica come meno pericolosi per le minori quantità di sostanze rischiose che 45

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trattano). Questi documenti investono le Autorità responsabili dell’applicazionedella “Seveso II” e del controllo e della sorveglianza sul rispetto dei programmiannunciati (il Comitato Tecnico Regionale, CTR), di cui lo stesso D.Lgs. n. 334/99agli artt.19 e 21 definisce tanto la composita struttura, fatta da rappresentanti deimolti organi coinvolti, quanto i compiti, tra i quali soprattutto l’istruttoria di verifi-ca dei Rapporti di sicurezza.

Al Ministero dei lavori pubblici, data la sua competenza istituzionale, è tocca-to il compito di introdurre metodologie più idonee con cui garantire la compatibi-lità fra territorio ed insediamenti umani, con le loro specifiche caratteristicheinsediative e le loro esigenze di sicurezza e di qualità della vita e dell’ambienteda una parte; e degli impianti industriali, con le loro non meno specifiche carat-teristiche di pericolosità e non meno importanti esigenze di funzionalità e di svi-luppo, dall’altra.

L’unica possibile via per conseguire questo difficile equilibrio consiste nel pro-gettare, modificare, integrare il contenuto e le procedure di pianificazione allediverse scale per introdurvi criteri di attenzione e di verifica delle reciprochecaratteristiche per assicurarne, pur a costo di sacrifici non facili da accettare néda una parte né dall’altra, condizioni di sicurezza.

Ciò ha comportato e comporterà la cooperazione fra tecnici della protezionecivile e analisti del rischio da una parte e urbanisti dall’altra, attorno ad un temacoltivato quasi in esclusiva dai primi e trascurato quasi del tutto dai secondi, conla conseguenza delle inevitabili difficoltà di lavoro comune in termini di linguag-gio, di concetti, di bagaglio tecnico e culturale sulla materia. Inoltre la limitataesperienza e tradizione disciplinare in campo urbanistico sul trattamento di que-sto problema, ha posto l’esigenza da una parte di attingere, oltre alle poche espe-rienze italiane, alla letteratura ed alle esperienze straniere di rapporto con la pia-nificazione territoriale su aree soggette a tali rischi e dall’altra di mettersi rapida-mente in grado di seguire l’iter della formulazione del Decreto attuativo del dispo-sto dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99, con simulazioni ed applicazioni sperimenta-li preventive sulle norme di controllo dell’urbanizzazione allo studio, per ridurrecon verifiche di affidabilità le incertezze applicative del decreto7.

Durante tutto l’iter di elaborazione del decreto, attraverso il supporto che ilDipartimento Interateneo Territorio ha fornito al Ministero dei lavori pubblici,sono state pertanto effettuate verifiche su alcuni casi reali o simulati, dei criterie delle procedure che via via venivano proposti, al fine di quantificare le nume-rose variabili da cui dipende l’entità del rischio in rapporto con le caratteristicheinsediative del territorio coinvolto, e di verificarne preventivamente tanto l’appli-cabilità quanto i problemi di interpretazione e di elaborazione ai quali potevanodare origine. Si sono così stimati sulla base delle tecniche specifiche dell’analisidel rischio e della pianificazione urbanistica la probabilità di accadimento dell’in-cidente, il danno prevedibile e la vulnerabilità del territorio circostante, valutatamediante la classificazione del territorio stesso in categorie che sintetizzano lecaratteristiche degli elementi presenti su di esso (caratteristiche morfologiche46

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del luogo, numero di persone presenti, ore giornaliere di presenza, periodo diesposizione, tipologia dei soggetti). Si è infine valutata, la compatibilità fra le zonedi danno relative agli impianti esistenti o previsti e gli insediamenti esistenti oprevisti nello strumento urbanistico con un lavoro sperimentale di cui riferisceGiulio Pignatta nella seconda parte di questo volume (capitolo 12.4) e nella tesiriprodotta nel allegato8.

Nel presente contributo sono invece sintetizzati gli esiti di una seconda partedell’attività di supporto fornita al Ministero dei lavori pubblici da parte delDipartimento Interateneo Territorio: quella relativa ad una ricerca documentale.

I risultati di questo lavoro si sono articolati sui seguenti punti:– definizione di termini, concetti, problemi, processi decisionali relativi alla

gestione del rischio industriale in rapporto alla pianificazione territoriale;– comparazione dell’approccio e delle metodologie utilizzate in diversi contesti,

con riferimento alle direttive dell’Unione Europea e alle legislazioni in varipaesi europei e extraeuropei che su questa materia hanno precocementelegiferato ed operato con risultati positivi, al fine di discutere e documentarele possibili soluzioni da inserire nel decreto;

– confronto fra le proposte elaborate all’interno di ricerche e studi pilota (italia-ni e stranieri) in merito alla questione, per motivare le scelte dei contenuti tec-nici del decreto.

– alcuni degli esiti derivati dallo sviluppo di questo secondo filone della ricerca,articolato nelle tre parti documentarie appena indicate.In particolare il paragrafo su “Pianificazione territoriale e rischio nella lettera-

tura e negli studi pilota italiani e stranieri” riassume le questioni affrontate e gliapprocci adottati in alcuni casi ed in alcuni studi pilota condotti in paesi europei(Francia, Gran Bretagna e Olanda) e su tre studi italiani (per Napoli, Priolo e PortoMarghera) che hanno trattato il rapporto fra rischio industriale e pianificazione ter-ritoriale e costituiscono la base metodologica a cui si è attinto per la definizionedelle metodologie e dei criteri di tollerabilità del rischio nel decreto.

Il paragrafo su “Il contributo dalle prassi di governo del territorio di altri paesi”,attraverso il confronto fra le scelte in materia di strumenti di pianificazione adot-tate in alcuni paesi (in particolare Francia, Gran Bretagna, Germania e Olanda) perdeterminare la dimensione del rischio ai fini della elaborazione di criteri di pianifi-cazione territoriale, mette in luce sotto questo particolare punto di vista un aspet-to teorico rilevante e controverso: il dibattito fra l’approccio basato sul pericolo(deterministico) e quello basato sul rischio (probabilistico). Come già anticipato alparagrafo introduttivo di questo contributo, questo dilemma e questo confrontoscientifico perennemente presente in molte aree disciplinari e su molte questio-ni di grande rilevanza tecnica, ha permeato anche il lavoro e le scelte del Gruppointeristituzionale presso la Conferenza Stato - Regioni in merito alla impostazio-ne metodologica dei criteri con cui individuare gli elementi territoriali e ambien-tali vulnerabili, determinare le aree di danno, definire la compatibilità territorialee ambientale. Ed ancora continui rinvii a questa difficile scelta fra due filosofie e 47

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fra due approcci della tecnica possono essere trovati in diversi contributi presentiin questo volume (ad esempio quello di Andrea Carpignano e quello di LucioSpaziante), a conferma delle incertezze epistemologiche che circondano questoaspetto.

Il paragrafo conclusivo richiama gli elementi di maggiore interesse che emer-gono da ricerche e studi pilota in Italia ed all’estero e dagli orientamenti della pia-nificazione urbanistica in alcuni dei paesi stranieri che hanno affrontato da tempoil problema del controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidente rile-vante. Questi esiti aiutano a collocare in un quadro di riferimento scientifico edoperativo di ampia scala uno strumento normativo quale il D.M. 9 maggio 2001che ha appena cominciato a determinare ricadute di rilievo ed ancora molte e piùvistose ne determinerà nei prossimi mesi, sulle procedure e sui modi della pia-nificazione e della urbanizzazione nelle numerose e vaste aree del nostro Paeseinteressate da impianti industriali a rischio di incidente rilevante.

Dunque questo duplice lavoro, documentario e sperimentale, è servito,secondo una modalità certamente non consueta per le prassi di predisposizionedi un atto amministrativo com’è quello oggetto delle riflessioni contenute in que-sto volume, ad individuare ipotesi coerenti con le risultanze di un dibattito inter-nazionale in merito a definizioni, norme, procedure tecniche da assumere neldecreto ed a confrontarle preventivamente con le analoghe scelte operate incontesti stranieri dove tali normative erano già consolidate o con i risultati disimulazioni sperimentali dell’applicazione del decreto nel contesto nazionale.

Pianificazione territoriale e rischio nella letteratura e negli studi pilota

italiani e stranieri

La letteratura di settore sul rapporto fra pianificazione degli usi del suolo erischio tecnologico.

La letteratura di settore manifesta chiaramente la consapevolezza di studiosie tecnici sulla importanza e sulla difficoltà del collegamento fra rischio tecnologi-co e pianificazione territoriale per riuscire a far efficacemente fronte al problemadella compatibilità fra queste due entità.

Dal punto di vista teorico sono stati perciò operati numerosi sforzi per riusci-re a definire dei criteri di tollerabilità del rischio nei confronti del sistema inse-diativo circostante e, dal punto d vista pratico, sono stati svolti numerosi studi dicasi in aree industriali particolarmente problematiche per testarne l’applicabilità.

Molti autori sottolineano come il principale obiettivo della pianificazione degliusi del suolo nelle vicinanze di insediamenti pericolosi sia soprattutto la neces-sità di assicurare che le conseguenze dei potenziali incidenti siano prese in con-siderazione ogniqualvolta si decida in merito alla localizzazione di nuove installa-zioni, all’estensione o alla trasformazione degli stabilimenti esistenti, alla deter-minazione degli usi del suolo nelle vicinanze dell’impianto a rischio, alla proposta48

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di nuovi insediamenti nelle vicinanze degli impianti industriali a rischio (Christou,Amendola, Smeder, 1999).

A questi aspetti si collegano altri elementi problematici, quale per esempio ilfatto che la determinazione degli usi del suolo nelle vicinanze degli impianti com-porta automaticamente la necessità del controllo dei recettori del rischio, delladeterminazione dei criteri di tollerabilità del rischio e la necessità di evitare ilcosiddetto effetto domino, ossia la propagazione e l’amplificazione degli effettidell’incidente su vasta scala attraverso l’interazione con il contesto.

Ritenere però strategico il ruolo della pianificazione territoriale per gestire emitigare il rischio tecnologico comporta che si sia in grado di compiere alcuneoperazioni, quali:– l’identificazione dei criteri per la verifica della compatibilità degli stabilimenti

con il territorio;– l’integrazione del “fattore rischio” nelle procedure di pianificazione esistenti;– il coordinamento della pianificazione territoriale con le procedure di controllo

sulle installazioni pericolose (Rapporti di sicurezza e Notifiche);– la definizione delle modalità di comunicazione del rischio alla popolazione;– la definizione del supporto tecnico necessario al processo decisionale e del-

l’organo competente a fornirlo;– l’attribuzione delle specifiche competenze in materia e la definizione dell’op-

portuno margine di discrezionalità del decisore.Va inoltre tenuto presente che l’integrazione delle problematiche del rischio

nei processi di pianificazione territoriale comporta che il processo decisionale sitrovi ad affrontare obiettivi spesso contrastanti, quali la sicurezza della popola-zione da un lato e la valorizzazione economica del territorio dall’altro, soprattuttoin termini di opportunità occupazionali e redditività della lavorazione industriale ascala locale e nazionale (Murray, 2002).

Di conseguenza, l’utilizzo di ampie distanze cautelative di separazione presta-bilite tra gli insediamenti industriali a rischio e gli altri insediamenti – metodo effi-cace per assicurare la sicurezza delle persone e di ambienti particolarmente vul-nerabili – non è scontato che risponda a generali princìpi di sostenibilità. La terraè un bene economico scarso e non riproducibile e l’esclusione dell’uso urbanoda vaste e talora molto appetibili zone, oltre ad essere poco gradita a proprietaridelle aree ed amministratori locali, potrebbe essere inutilmente penalizzante egravosa per il modello insediativo e per lo sviluppo economico locale.

D’altra parte il tema della vulnerabilità territoriale e ambientale costituisce un ele-mento decisamente rilevante da tenere in considerazione fin dall’inizio nei proces-si di governo e di pianificazione territoriale delle aree interessate da stabilimenti conqueste caratteristiche, come sottolineato anche da Gabor e Griffith (1980). Appareevidente come certe fasce di popolazione possono essere più vulnerabili di altre alleconseguenze di un possibile incidente: bambini, ammalati e anziani. Inoltre, gli abi-tanti di un’area residenziale possono essere meno pronti a seguire procedure d’e-mergenza di quanto non lo siano gli addetti degli stabilimenti industriali. 49

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Analogamente diverse possono essere le conseguenze di un incidente suambienti naturali (aree protette, parchi, aree particolarmente sensibili) o artificia-li (monumenti, aree caratterizzate dalla presenza di patrimonio storico-artistico dirilevante valore ecc.).

È evidente che le scelte relative all’urbanizzazione agiscono dunque suentrambi i versanti da cui dipende la dimensione del rischio: da un lato quello cheproduce la sollecitazione (localizzazione, dimensione, caratteristiche tecnologi-che dell’impianto industriale); dall’altro quello che determina le probabilità e glieffetti dell’incidente, ovvero la propensione al danno del sistema ricevente(distanza, usi dei suoli, caratteristiche e modalità di svolgimento delle funzionipresenti negli insediamenti che circondano l’impianto).

Le esperienze esaminate nella letteratura specialistica hanno chiaramentedimostrato che la vulnerabilità del sistema territoriale è inoltre fortemente corre-lata con numerosi altri aspetti dell’assetto insediativo e dell’utenza quali la dina-mica evolutiva dell’area, la forma degli insediamenti, l’accessibilità e le caratteri-stiche delle reti infrastrutturali, la politica fondiaria, la normativa urbanistica e lacapacità di applicarla da parte degli Enti preposti.

Dunque è certamente molto complesso regolamentare questa materia perchémolto del successo nel gestire il rapporto insediamenti industriali-territorio dipen-derà dalla capacità di comprendere e di valutare caso per caso le possibilità di uti-lizzare i molti margini che sempre rimangono per decisioni incrementali che agi-scano sui due fronti (quello dell’impianto, quello dell’insediamento circostante).

Ciò non toglie che sia necessario definire requisiti minimi di sicurezza per gui-dare il comportamento di gestori ed amministratori locali, per farsi carico soprat-tutto di quei casi in cui il senso di responsabilità o il comportamento di ciascunopotrebbe essere carente.

Sembra dunque necessario introdurre un approccio integrato e interdiscipli-nare che permetta l’utilizzo di metodologie di valutazione di diversi scenari allo-cativi, sulla base delle varie componenti in gioco (De Marchi e Menoni, 1996;Menoni, 1997): molta parte della letteratura di settore, citata tanto al termine diquesto contributo quanto nell’apposito capitolo finale dedicato ad una più vastaraccolta di riferimenti bibliografici importanti, concorda su queste conclusioni.

Gli studi pi lota in materia di pianificazione e rischio industriale

Negli ultimi anni grazie alle esigenze applicative poste dalla Direttiva “SevesoII” sono stati sviluppati numerosi studi e approfondimenti su casi (veri e propri“studi pilota”) che focalizzano l’attenzione sulla questione del rapporto tra piani-ficazione territoriale e rischio di incidente rilevante in contesti di particolare com-plessità ed interesse.

Alcuni di questi studi si propongono addirittura come guide per l’interpreta-zione dei requisiti che deve assumere la pianificazione degli usi del suolo, anchein relazione alla questione degli effetti transfrontalieri che tali incidenti possonocomportare: situazione giuridicamente molto complessa e tutt’altro che rara.50

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In Francia, Gran Bretagna e Olanda, alcuni di questi studi nati per la definizio-ne delle metodologie e dei criteri di tollerabilità del rischio hanno poi fornito labase a partire dalla quale sono state elaborati metodologie, criteri e procedure dipianificazione territoriale a livello nazionale (Lione, Canvey Island, Rijnmond).

Anche l’Italia ha elaborato degli studi pilota che hanno visto coinvolte diretta-mente le Amministrazioni locali e le parti amministrative e sociali interessate (IsolaBergamasca, Porto Marghera, progetto ARIPAR per Ravenna, Piombino, Mantova).

Nel predisporre i contenuti del decreto alcuni di essi sono risultati particolar-mente utili: costituiscono infatti un importante riferimento per “tarare” le valuta-zioni e le elaborazioni su cui basarsi per fare interagire tra loro la logica della cer-tezza, necessaria per definire regole di governo del territorio efficaci, e quelladella probabilità, propria di una materia quale l’analisi del rischio.

Inoltre, ancora a partire dagli studi pilota, sono state condotte altre riflessioni inmerito alle possibili relazioni intercorrenti tra la “Seveso II” e le direttive IPPC –Integrated Pollution Prevention and Control – EIA – Environmental ImpactAssessment – ed EMAS – Environmental Management and Audit Scheme –, cer-cando eventuali sinergie tra i vari strumenti: obiettivo particolarmente rilevante in con-siderazione del fatto che per i nuovi insediamenti molte di queste procedure sonoobbligatorie e dunque prevederne la predisposizione integrata è l’unica via praticabi-le per ottenere soluzioni realmente “sostenibili” ed evitare risultati fra loro conflittuali.

Riteniamo pertanto interessante in questa sede riassumere le caratteristichee le conclusioni di tali studi perché costituiscono riferimenti metodologici impor-tanti ed hanno effettivamente fatto da sfondo, solo pochi anni fa, ad alcune dellepiù difficili scelte tecniche che oggi consideriamo acquisite e che sono state per-tanto utilizzate anche nella stesura del D.M. 9 maggio 2001. Una rapida panora-mica dei loro contenuti e delle loro conclusioni è il più efficace strumento percomprendere la difficoltà del cammino percorso in questi anni e le molte inerzieda vincere per compiere ulteriori passi avanti.

I l progetto di Canvey Island (Gran Bretagna)

Il progetto di Canvey Island è stato condotto nel 1976, prima dell’incidente diSeveso, e rappresenta “una pietra miliare in materia di rischi d’area” (Besi, 1996).

Promosso dall’Health and Safety Executive (HSE), lo studio aveva preso spun-to da un rapporto relativo a un sondaggio pubblico da cui risultava la fortissimaavversità della popolazione al piano di ampliamento delle raffinerie delle UnitedRefineries Limited e aveva lo scopo di fornire adeguate risposte ai cittadini e unsupporto di informazioni alle Autorità pubbliche.

L’indagine riguardava il rischio potenziale sulla popolazione dell’area derivanteda incidenti rilevanti, sia per le installazioni esistenti, sia per quelle proposte.

Canvey Island, situata sull’estuario del Tamigi, è caratterizzata dalla presenzadi grandi installazioni industriali, così come molte aree limitrofe. L’indagineriguardò però non solo gli impianti, ma anche i possibili incidenti derivanti dal tra-sporto di sostanze pericolose. 51

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Dopo una prima fase di selezione e censimento degli impianti esistenti, per iquali non esisteva peraltro nessun dato sul rischio potenziale di incidente né sullemisure per gestirlo, venne effettuata la vera e propria analisi di rischio. Per lavalutazione della probabilità di accadimento degli incidenti e delle loro conse-guenze sulla popolazione venne adottato un approccio quantitativo, sia per ladeterminazione del rischio sociale, sia per la definizione del rischio individuale.

Per la stima delle conseguenze degli eventi incidentali, ci si basò sulle espe-rienze antecedenti e su valutazioni teoriche in merito ad alcuni tipi di incidenti,senza tener conto della probabilità di accadimento.

In seguito furono individuati dei criteri di attenuazione dei rischi sulla base delcriterio “as reasonably praticable”, tenendo conto di stime e medie nazionali deirischi industriali comuni.

È interessante rilevare che una delle raccomandazioni finali del gruppo di studiofu quella di adottare misure affinché nuovi sviluppi nell’area fossero consentiti soloa patto che non innalzassero il livello di rischio esistente all’epoca per la popolazio-ne né aumentassero in modo significativo l’entità della popolazione residente.

Lo studio su Canvey Island è ritenuto dunque particolarmente significativoperché in tempi molto precoci:– ha adottato un approccio quantitativo nella determinazione del rischio;– ha adottato modelli di analisi basati sull’esperienza e le modalità di gestione

delle industrie;– ha coinvolto il più possibile tutte le Autorità locali e la popolazione;– ha condotto analisi di rischio anche su installazioni progettate, ma non anco-

ra realizzate;– ha sconsigliato la concessione di nuove autorizzazioni senza la preventiva rie-

samina della situazione generale di rischio nell’area.

I l progetto-pilota di Rijnmond (Paesi Bassi)

Anche lo studio sull’area di Rijnmond venne avviato verso la fine degli annisettanta da una commissione locale appositamente istituita a supporto delleAutorità locali in materia di determinazione del rischio industriale per la popola-zione. Gli attori coinvolti erano sia l’associazione locale degli industriali, sia gli Entipubblici e le Autorità locali aventi in qualche modo competenze nei settori delmonitoraggio e del controllo ambientale, delle politiche di sviluppo industrialenell’area, nelle politiche di sicurezza dei lavoratori.

L’area in esame, estesa da Rotterdam al Mare del Nord, è caratterizzata dallapresenza del porto di Rotterdam e da una vasta agglomerazione di attività indu-striali, soprattutto chimiche e petrolchimiche.

Il progetto era volto alla valutazione del rischio, sia per i lavoratori, sia per lapopolazione residente nell’area, ma soprattutto intendeva sondare la validitàdelle stesse tecniche di valutazione del rischio.

Lo studio si è articolato in una prima fase di raccolta dei dati di base e di defi-nizione dell’area di studio, per proseguire poi con l’identificazione e la selezione52

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degli scenari incidentali rappresentativi. A questi scenari vennero poi applicati imigliori modelli disponibili per il calcolo dei vari fenomeni fisici derivanti dagli sce-nari incidentali e delle conseguenze degli effetti fisici sulla popolazione e sul per-sonale impiegato negli stabilimenti.

Furono poi raccolti e applicati i dati di base e i modelli migliori per calcolare laprobabilità di accadimento degli incidenti, al fine di valutare l’impatto globaledegli scenari incidentali selezionati, i cui risultati furono poi vagliati per assicurar-ne la affidabilità.

Infine, fu condotta un’indagine sull’influenza delle misure di riduzione delrischio sui livelli di rischio calcolati, sebbene questa parte dello studio fosse inrealtà sviluppata poco.

I risultati più interessanti del progetto-pilota per Rijnmond sono stati:– lo sviluppo delle metodologie di valutazione del rischio;– la sollecitazione ad introdurre “forme di presentazione dei risultati più com-

plete, quali le curve di iso-rischio, particolarmente apprezzate per la loro capa-cità di riassumere in maniera concisa una grande mole di informazioni e diessere particolarmente utili in sede di pianificazione del territorio e di elabo-razione dei piani di emergenza”9.

Alcuni casi studio ital iani: Napoli, Priolo, Marghera, Ravenna, Mantova

Per finire riteniamo utile segnalare, tra i primi studi condotti nella logica chequi è stata privilegiata, tre ricerche condotte in Italia, relative rispettivamente allaProvincia di Napoli (1988), al Comune di Priolo Gargallo (1988) e all’area indu-striale di Porto Marghera (1988).

Per il periodo e per i contenuti questi studi sono sicuramente atipici rispettoad altri analoghi e meritano pertanto di essere ricordati perché precocementeaffrontano il problema non solo dalla parte dell’impianto, ma con attenzione alcomplesso dei problemi ambientali delle aree esaminate. Va detto però che, al dilà della felice intuizione del problema, non possiamo citare risultati particolar-mente utili in quanto non proponevano indicazioni significative in merito al con-trollo della pianificazione.

Molto più significativi sono due altri studi prodotti alcuni anni dopo: quello perl’area portuale di Ravenna e quello per l’area industriale di Mantova.

Il primo, il progetto ARIPAR, avente come oggetto di studio l’area industrialee portuale di Ravenna (1987-92), era mirato all’acquisizione di una conoscenzaanalitica della situazione di rischio nell’area, anche ai fini della pianificazione ter-ritoriale e urbana. Oggi viene utilizzato, seppure in versione riveduta e correttadalla SNAM e viene valutato insieme ad altri per costruire uno standard di anali-si e valutazione valido per tutti i paesi dell’Unione Europea. Un obiettivo del pro-getto, infatti, era quello di valutare la compatibilità ambientale di nuovi sviluppidelle attività industriali a fronte dell’uso del territorio per poter avere degli indi-rizzi utili dal punto di vista infrastrutturale, tecnologico e organizzativo. Lo studioha permesso di determinare le aree soggette a rischio maggiore, le sorgenti di 53

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rischio e gli effetti degli interventi sulle zone stesse, e di formulare delle ipotesidi sistemazione / sviluppo urbanistico.

Il secondo, destinato a valutare il rischio d’area a Mantova (1998) è stato con-dotto di concerto con il Comune dall’Istituto Superiore della Sanità e dalla Asl pro-vinciale10. Secondo gli estensori dello studio, l’analisi di rischio costituisce “unostrumento analitico molto potente che può supportare il processo decisionale”,sebbene non debba “pretendere di essere l’unico determinante nella decisio-ne”11. Importanti sono alcune considerazioni sulla grande ricchezza informativa,spesso ignorata, disponibile localmente e sulla necessità pertanto di organizzar-la e valorizzarla per studiare e monitorare l’evoluzione di processi da cui il rischiodipende. Inoltre lo studio sottolinea l’importanza della cooperazione fra attori,segnalando il fatto che le Amministrazioni Pubbliche possono acquisire grandecapacità decisionale allorché “riescono a integrare la pluralità di approcci, di valu-tazioni e di linguaggi di tutti gli attori presenti sul territorio per fornire concretez-za ai risultati raggiunti”12.

Il contributo dalle prassi di governo del territorio di altri paesi

Oltre al supporto fornito dalla letteratura e dagli studi-pilota, alcuni interes-santi contributi tecnico-scientifici sono venuti a questo studio ed all’attività delGruppo interistituzionale che ha collaborato alla stesura del D.M. 9 maggio 2001dall’analisi delle opzioni effettuate da altri paesi nell’applicazione della Direttiva“Seveso II” alle proprie prassi di governo del territorio.

I paesi dell’Unione Europea presentano un quadro molto eterogeneo sia inmerito all’esistenza o meno di procedure già strutturate per la valutazione delrischio all’interno dei processi di pianificazione, sia in merito all’utilizzo dellametodologia di valutazione.

Inoltre va detto che le tradizioni di molti paesi che con anticipo hanno affron-tato nella propria normativa di governo del territorio il tema della gestione delrischio tecnologico, divergono nettamente quanto a tipo di approccio con cuiaffrontare la necessità di stabilire requisiti minimi di sicurezza.

Di fronte alle due fondamentali alternative (approccio deterministico, approc-cio probabilistico) la situazione si presenta pertanto molto variegata.

Un elemento è invece comune, e proposto con modalità particolarmente inte-ressanti in alcuni dei paesi all’avanguardia nella gestione del rapporto urbanizza-zione-rischio tecnologico. Si tratta della grande importanza assegnata e dellemolte pratiche sperimentate nella consultazione del pubblico. È questo il caso,ad esempio, di Germania, Francia, Paesi Bassi, Gran Bretagna.

Di seguito dunque questa comparazione con il contesto internazionale, alme-no nelle situazioni di particolare interesse, viene trattata in modo articolato al finedi trarne utili suggerimenti anche in vista di possibili future evoluzioni della nor-mativa “Seveso II” e dunque anche delle norme per il controllo dell’urbanizza-zione che ad essa fanno riferimento.54

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Approccio deterministico o probabil istico nella determinazionedegli effetti incidentali? Le opzioni dei principali paesi stranieri

Tanto per l’esperto di analisi del rischio quanto per l’urbanista i criteri di rap-presentazione dei diversi tipi di rischio (individuale, sociale) e i metodi per la suavalutazione sono componenti fondamentali del processo decisionale a cui i loropareri e contributi tecnici forniscono supporto: ciò costituisce in qualunque con-testo un problema tecnico-scientifico di difficile soluzione e soprattutto un terre-no di non facile dialogo fra discipline.

Si è già argomentato al paragrafo introduttivo di questo contributo il motivoper cui non necessariamente l’utilizzo di un criterio escluda l’uso dell’altro.Ciononostante sempre si ripropone la scelta tra la possibilità di ricorrere alladeterminazione di distanze predefinite di separazione fra le attività, utilizzando un“approccio deterministico”, e quella di graduare i provvedimenti in ragione dellaprobabilità di accadimento dell’evento, secondo un “approccio probabilistico”.Anche i diversi paesi si sono trovati di fronte a questa scelta che corrisponde aduna diversa filosofia di fondo ed hanno espresso opzioni diverse, per i carattericontrapposti che sovente la struttura normativa di controllo dell’urbanizzazioneassume nei singoli paesi.

Certamente in tutti i casi la materia della pianificazione è dominata dallanecessità di definire in modo certo, e dunque non probabilistico, le possibilitàe le modalità di trasformazioni del territorio. Le norme urbanistiche sia purein modo diverso sono in tutti i paesi l’equivalente di un contratto fra pubblicoe privato per definire diritti e doveri delle due parti. Dunque è auspicabilegovernare il territorio non sulla base di probabilità ma di certezze in merito allepossibilità di uso del suolo: lo richiedono tanto il mercato di suoli, che da que-ste norme è fortemente condizionato, quanto le politiche locali, che devonodecidere investimenti ed azioni. Ciononostante in molti casi si è addivenuti alinee di compromesso, meno gradite ma più praticabili, fra la definizione diaree di danno predefinite e la graduazione del vincolo in ragione delle proba-bilità di eventi incidentali, di natura del danno e di categorie di funzioni pre-senti o previste.

Non stupisce dunque che le scelte metodologiche dei diversi paesi si sianodiversificate nei confronti di questi due percorsi ed abbiano oscillato fra di essi,talora privilegiando proprio la combinazione dei due.

Dovendo decidere l’orientamento da assumere per la normativa da proporreper l’Italia il gruppo di lavoro ha pertanto riflettuto anche sulle scelte fatte dai nonmolti paesi che su questa materia hanno già legiferato e ne ha tratto elementiutili per la definizione di una propria linea tecnica travasata in particolare nellastruttura dell’Allegato al Decreto.

Nei paragrafi successivi questo lavoro comparativo è riproposto in modo sin-tetico, attraverso l’esposizione delle scelte effettuate da alcuni dei paesi più inte-ressanti a questo fine. 55

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Un confronto tra le varie esperienze permette intanto di evidenziare subitocome in Germania e in Svezia si sia privilegiato l’approccio deterministico e dun-que la determinazione di distanze generiche, basate per lo più sull’esperienza esull’impatto ambientale delle varie attività, mentre il Belgio-Fiandre e l’Olandahanno optato per l’approccio probabilistico, utilizzato anche da Svizzera, Australiae Canada.

Il Belgio-Vallonia, la Francia, la Finlandia, il Lussemburgo, la Spagna e la Svezia(e gli USA) utilizzano l’approccio deterministico e così fa anche la Gran Bretagnache utilizza però l’approccio deterministico per quei casi in cui il danno potenzialeè derivato da fenomeni di natura esplosiva o termica e l’approccio probabilisticoper i casi in cui il danno prevede la dispersione in atmosfera di sostanze tossiche.

La tabella 1 che segue presenta un quadro riassuntivo dei vari approcci utiliz-zati sia dai paesi dell’Unione Europea, sia da paesi extra UE.

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Paese Approccio Approccio Distanzedeterministico probabilistico generiche

UE Belgio-Fiandre X

Belgio-Vallonia X

Finlandia X

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Germania X X

Lussemburgo X

Olanda X

Spagna X

Svezia X X

Regno Unito X X

Extra UE Australia X

Canada X

Svizzera X

USA X

(Rielaborazione da: Christou et al., 1996, 1999).

Tabella 1 - Le metodologie adottate per la valutazione del rischio in relazione alla pianificazione terri-toriale nei paesi dell’Unione Europea e in alcuni paesi extra UE.

Competenze e procedure per il controllo dell’urbanizzazione nelle aree arischio di incidente rilevante in alcuni paesi.

Passando ora rapidamente in rassegna le scelte effettuate dai singoli paesi chehanno già affrontato la questione in termini utilmente comparabili con la situazio-ne italiana, emerge la varietà di comportamenti sia in quanto a responsabilità, sia

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in quanto a criteri adottati per definire i requisiti minimi di sicurezza nelle aree sog-gette a rischio di incidente rilevante, sia in quanto a percorsi attraverso cui avven-gono la raccolta di informazioni sulle caratteristiche dell’impianto e del territorio, ilrilascio dell’autorizzazione all’insediamento o alla trasformazione, l’adattamentodegli strumenti di pianificazione alla presenza di queste situazioni critiche.

Il confronto fra questi diversi orientamenti ha fatto da quadro di riferimentoper il dibattito fra le diverse componenti del Gruppo Tecnico presso laConferenza Stato-Regioni, al fine di individuare le scelte ritenute più idonee allasituazione italiana.

Tra i paesi dell’Unione Europea, Francia, Regno Unito, Germania e Olandahanno già adottato nelle legislazioni nazionali dei criteri per la pianificazione ter-ritoriale e l’attribuzione delle destinazioni d’uso dei suoli nelle aree poste inprossimità delle industrie a rischio di incidente rilevante. Altri paesi, come laSvezia, pur non avendo definito una specifica procedura, fanno riferimento adistanze di danno stimate in base alle emissioni rilasciate normalmente dall’im-pianto in attività.

Per ciò che riguarda i paesi europei fuori dall’UE e quelli extraeuropei, per ladefinizione del livello di rischio Svizzera e Canada basano le loro norme su un cri-terio di definizione del rischio probabilistico, mentre negli Stati Uniti l’Agenzia perla Protezione dell’Ambiente, pur non avendo definito delle linee guida per il con-trollo dell’urbanizzazione, procede con un approccio deterministico ad elaborarela pianificazione d’emergenza e le campagne di comunicazione al pubblico.

Francia

Attualmente (2002) la Francia conta 1250 siti catalogati “Seveso II”, di cui570 a rischio e 680 ad alto rischio.

Per ricevere l’autorizzazione all’attività, i gestori devono produrre una valuta-zione in merito alle conseguenze attendibili dalla loro attività, prendendo in con-siderazione un certo numero di scenari standard e provando altresì che sonostate prese tutte le misure di sicurezza idonee a minimizzare il pericolo. Lo “stu-dio di pericolosità” (étude de dangers) finale deve chiaramente riportare tutti glielementi, i dati e le variabili da tenere in considerazione ai fini di una correttagestione degli usi del suolo attorno agli stabilimenti pericolosi.

L’urbanizzazione nelle aree in prossimità degli insediamenti industriali arischio è sottoposta a restrizioni diversamente articolate, a seconda che ci si trovinella zona più vicina allo stabilimento (definita sulla base delle distanze di inizioletalità) o quella più lontana (definita sulla base delle distanze di inizio degli effet-ti irreversibili).

Nell’area più interna sono possibili solo modifiche di abitazioni esistenti o diuffici, senza possibilità di ampliamenti o di modifiche di destinazione d’uso, esono individuate delle aree non aedificandae negli spazi ancora liberi; nell’areapiù esterna sono ammesse anche aree sportive senza strutture per il pubblico; 57

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al di fuori di essa sono accettati edifici multipiano o edifici ad uso pubblico. Vasegnalato come elemento di particolare interesse il fatto che, contestualmenteal controllo sulle aree di urbanizzazione, sia considerato anche quello sulla reteinfrastrutturale: infatti limitazioni sono previste anche sulla maglia delle vie di cir-colazione (sia su gomma, sia su ferro).

Nel caso di nuovi insediamenti industriali a rischio, la domanda deve conte-nere una valutazione d’impatto ambientale, una valutazione del rischio e delleconseguenze di eventuali incidenti, una descrizione dei vari meccanismi di pre-venzione e di emergenza e una documentazione tecnica sulla sicurezza del per-sonale addetto.

Il decisore competente è il prefetto, dopo aver raccolto il parere delle Autoritàlocali e della popolazione, cui lo stesso prefetto trasmette gli studi di prevenzio-ne del rischio e di “pericolosità” prodotti dal gestore dell’impianto, secondo i det-tami dell’art. L.121-2 del Codice dell’Urbanizzazione.

Il prefetto può precisare le misure da adottare in un progetto d’interessegenerale - Project d’Intérêt Général (PIG) che, una volta notificato alle comunitàlocali, impone la modifica del piano urbanistico locale, in modo che le disposizio-ni contenute nel PIG possano avere valenza diretta sulle concessioni a edificare.È anche possibile che il prefetto istituisca una servitù d’utilità pubblica attornoalle principali installazioni industriali13.

Le Directions Régionales de l’Industrie, de la Recherche et de l’Environnement(DRIRE), che agiscono per conto del Ministère de l’aménagement du territoire etde l’environnement, hanno il compito di controllare le attività industriali suscettibi-li di avere un impatto sull’ambiente, attraverso il coordinamento a livello regionaledelle ispezioni degli insediamenti industriali, nei settori della prevenzione dei rischitecnologici maggiori, della riduzione degli inquinamenti e delle nocività ambientalie nel controllo e nell’eliminazione dei rifiuti industriali.

Inoltre, le DRIRE hanno il ruolo di attivare i vari attori dell’ambiente, attra-verso associazioni di sorveglianza della qualità dell’aria (39 associazioni), segre-tariati permanenti per la prevenzione degli inquinamenti industriali (11 segreta-riati detti SPPPI) e commissioni locali d’informazione e di sorveglianza (più di300 CLIS)14.

Le SPPPI (Secrétariats Permanents pour la Prévention des PollutionsIndustrielles) sono create laddove la densità di insediamenti industriali sia par-ticolarmente alta. È interessante notare che queste strutture riuniscono l’in-sieme delle parti interessate (Amministrazioni, industriali, esperti, associazioniper la protezione della natura, rappresentanti nominati dalle Autorità) e per-mettono di concertare gli orientamenti della politica locale di prevenzione degliinquinamenti e dei rischi industriali. Le riunioni periodiche delle diverse com-missioni afferenti al segretariato (acqua, aria, rischi industriali, informazione)permettono di fare il punto sulla situazione delle installazioni interessate, di sta-bilire dei programmi volti alla riduzione degli inquinamenti e di seguire gli svi-luppi dei programmi stessi15. Di particolare importanza, inoltre, le CLIS, ossia58

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le Commissions Locales d’Information et de Surveillance, che permettono lapartecipazione dei cittadini al processo decisionale, per esempio in merito allalocalizzazione dei siti e alle modalità di trattamento dei rifiuti in conformità alledisposizioni di legge16.

Gran Bretagna

In Gran Bretagna, l’Health and Safety Executive – HSE costituisce l’organotecnico statale che supporta le Autorità di Pianificazione Locali (LPA) in meritoagli impianti “Seveso II” e alle raffinerie. Esso possiede anche potere di vetorispetto all’insediamento di certi usi del suolo all’interno delle aree di immediatavicinanza a stabilimenti a rischio esistenti e può chiedere l’annullamento delladecisione in merito alla costruzione di nuovi stabilimenti o nuovi insediamentiattorno a stabilimenti esistenti.

L’esperienza dello HSE in questa materia è trentennale: nel Regno Unito,infatti, si applicano regole di controllo degli usi del suolo attorno agli stabilimentia rischio e alle raffinerie sin dai primi anni settanta, pur con un’evoluzione neltempo dei criteri decisionali e dei metodi di determinazione del rischio.

La base della procedura di valutazione delle possibilità d’uso del suolo è costi-tuita da un’analisi del rischio per gli stabilimenti particolarmente pericolosi ed ècondotta dall’Health and Safety Executive, che ha anche individuato dei parame-tri per la valutazione della vulnerabilità degli insediamenti umani, quali la vulnera-bilità della popolazione presente (per classi di età e stato di salute), il tempo dioccupazione delle aree e degli edifici, il numero di persone potenzialmente pre-senti, la probabilità per le persone di trovarsi all’interno o all’esterno degli edificio di trovare riparo, le caratteristiche strutturali degli edifici, in termini di altezza,materiali, ventilazione ecc.17.

In base a tali parametri sono state definite quattro categorie di sviluppodegli insediamenti, che sono variamente compatibili con le sotto-zone definiteall’interno della cosiddetta zona di consultazione18: strutture pubbliche alta-mente vulnerabili o di grandi dimensioni (scuole, ospedali, ospizi, stadi sporti-vi); strutture residenziali (abitazioni, alberghi, luoghi di soggiorno); centri diattrazione pubblica (edifici commerciali di grande superficie, strutture collettivee ludiche); strutture a bassa densità (piccole industrie, campi gioco all’aperto).Per quest’ultima categoria, è sempre permesso lo sviluppo all’interno delle tresotto-zone.

L’applicazione di questa procedura permette di supportare efficacemente idecisori locali in materia di urbanizzazione per circa l’80% dei casi; per il restan-te 20%, quelli di particolare complessità, sono necessarie delle analisi e dellevalutazioni integrative, quali per esempio il calcolo del rischio sociale e il suo raf-fronto con altri parametri.

Infine va ricordata, anche in questa materia, la ben nota attenzione degli ingle-si agli aspetti di trasparenza e di coinvolgimento della popolazione nel governodel territorio: nella fase di autorizzazione il Rapporto di sicurezza è in Gran 59

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Bretagna un documento pubblico; ed inoltre nel caso di situazioni controverse èin uso la prassi delle inchieste pubbliche (public inquiry).

L’approccio inglese, particolarmente interessante, è dunque tra quelli chehanno dato i maggiori stimoli per le scelte effettuate nel caso italiano.

Germania

Va subito segnalato in merito alla situazione della Germania, che la definizio-ne di distanze di sicurezza è prevista già nel caso delle normali attività industria-li, al fine di proteggere la popolazione dalle comuni emissioni. Nel caso di inse-diamenti a rischio di incidente rilevante queste misure sono solo amplificate perprevenire o minimizzare gli effetti di maggiore dimensione degli incidenti con piùalte probabilità di accadimento.

Le distanze di sicurezza in ogni caso sono definite sulla base di valutazionidella pericolosità dell’impianto ed in rapporto ai possibili effetti sulla saluteumana: decesso, lesioni gravi o effetti irreversibili sulla salute sono consideratiinaccettabili.

La valutazione del rischio di ciascun impianto è effettuata secondo l’approc-cio deterministico, ma tenendo conto del grado di vulnerabilità del territorio checirconda lo stabilimento / l’insediamento industriale a rischio.

La Commissione per la Sicurezza delle Installazioni (StörfallKommission) ha laresponsabilità di informare il Governo sulla previsione degli eventi incidentali esulla conseguente loro riduzione, oltre che il compito di determinare norme disicurezza degli impianti e prevenzione. Di recente, la Commissione ha sviluppatouna procedura standard per la determinazione delle distanze di sicurezza nella pia-nificazione territoriale, sulla base dello studio di scenari di incidente rilevante19.

L’elemento centrale di questo metodo è costituito cioè dalla selezione di unaquantità critica di sostanze pericolose all’interno dello stabilimento, così dacostruire lo scenario incidentale che funge da presupposto per le decisioni inmerito di pianificazione del territorio.

Quanto alle proposte di trasformazione o di nuovi insediamenti, qualsiasi pro-posta di nuova urbanizzazione nelle vicinanze di impianti a rischio di incidente rile-vante comporta una verifica della eventuale mutata compatibilità tra impiantoindustriale ed indicazioni del piano vigente e, in caso negativo, una variazionedello strumento urbanistico.

L’installazione di nuovi impianti a rischio è ovviamente subordinata a una pro-cedura che prevede l’elaborazione di un Rapporto sulla sicurezza, così come pre-visto dalla Direttiva 82/501/CE. Questo rapporto va asseverato da una specialeautorità che può imporre delle condizioni addizionali e speciali per assicurare l’e-liminazione della pericolosità dell’installazione.

La licenza all’insediamento e quella all’inizio d’attività sono rilasciate da unaautorità regionale (il Land) solo dopo aver verificato che siano ottemperate tuttele disposizioni di legge, dalla conformità alle disposizioni del piano urbanistico,all’osservanza di tutte le altre normative del settore.60

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Prima del rilascio di tale autorizzazione, sono informati del progetto sia lapopolazione, sia le principali autorità, che possono esprimere delle obiezioni inmerito.

Olanda

Già dal 1993 l’Olanda aveva cominciato a lavorare attorno a un decreto sui“criteri di rischio” che permettesse di fissare delle norme in merito al rilascio deipermessi all’attività per stabilimenti industriali esistenti e nuovi e delle disposi-zioni in materia di controllo dell’urbanizzazione.

Nel 1996 sono stati elaborati dei “criteri di rischio” in merito al trasporto dimerci pericolose; nel 2002 è stato emanato un decreto relativo ai “criteri dirischio”, contenente gli standard qualitativi di salvaguardia delle aree esterne agliimpianti industriali pericolosi20.

I criteri individuati sono di due tipi: il rischio sociale e quello individuale, rino-minato, nel Fourth National Environmental Policy Plan del 2001, “rischio basatosulla localizzazione” (location based risk). A partire da questi due tipi di rischio,sono definite delle distanze da osservare nella pianificazione che tendono a eli-minare completamente il rischio sociale (queste distanze sono usate per esem-pio nel caso di impianti di esplosivi o fuochi d’artificio) o, laddove questo non siapossibile, si definisce una soglia di rischio accettabile.

Sulla base di queste analisi e di questi criteri, nella pianificazione sono distin-ti tre tipi di funzioni: le funzioni vulnerabili, quelle poco vulnerabili e infine quellenon vulnerabili.

Nella prima categoria rientrano la residenza, gli ospedali, le scuole e tutte lealtre funzioni che vedono coinvolto un gran numero di persone e soggetti parti-colarmente deboli.

Nella seconda categoria rientrano le funzioni terziarie, quelle produttive, glialberghi, i ristoranti e, in generale, strutture in cui non vi è una presenza costan-te di persone al loro interno.

Non vulnerabili sono considerate le infrastrutture per la mobilità e quelle tec-nologiche e le aree industriali “pure”, ossia monofunzionali, tra cui quelle occu-pate da industrie pericolose.

Gli impianti a rischio di incidente rilevante sono obbligati a presentare ilRapporto di sicurezza (External Safety Report – ESR), che deve comprendereanche la quantificazione del rischio (Quantitative Risk Assessment – QRA) con-dotta sulla base dell’approccio probabilistico21.

Una mappa dell’area in esame nella quale sono tracciate le curve di isorischiorelative al raggiungimento del valore di soglia per il rischio individuale è contenutanello stesso Rapporto di sicurezza. Queste linee sono riportate negli strumenti urba-nistici: non sono consentiti insediamenti a destinazione residenziale all’interno dellelinee che raggiungono i valori di soglia ritenuti non accettabili e le abitazioni esisten-ti che vi ricadono devono essere abbandonate. Sono invece ammesse attività agri-cole ed alcune altre attività che non prevedono la presenza continuativa di persone. 61

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Non sono previste forme di compensazione per il mancato uso residenziale peri proprietari dei terreni compresi nelle aree di esclusione dall’uso residenziale22.

Anche in questo paese un Rapporto di sicurezza deve accompagnare le richie-ste di modifiche rilevanti agli stabilimenti, tenendo presente che non possonoessere accettati in generale interventi che innalzino il livello del rischio.

Austria

In Austria, la trasposizione dell’art.12 della Direttiva Seveso II deve essereeffettuata sia a livello federale, sia al livello dei Länder, cui sono conferite in par-ticolare le competenze in materia di pianificazione.

Nel 1996 è stato istituito il Gruppo di Lavoro Permanente “Seveso” che nel1999 ha elaborato delle conclusioni sugli scenari incidentali per il GPL, i liquidialtamente infiammabili, le sostanze solide, gli esplosivi e le nuvole gassoseesplosive (ma non sulla dispersione di gas tossici).

Insieme ai risultati di uno studio dell’Università di Tecnologia di Graz, il Gruppodi Lavoro ha costruito cinque scenari di riferimento ai fini dell’elaborazione di cri-teri in materia di controllo dell’urbanizzazione e per la costruzione dei piani diemergenza esterna.

In ciascun Länder si usano queste raccomandazioni per definire delle distanzedi sicurezza tra gli stabilimenti a rischio e gli insediamenti circostanti, fatto questonon privo di problemi, a causa della particolare morfologia territoriale austriaca chenon lascia molti spazi liberi, a distanze adeguate, per l’insediamento di nuova edi-ficazione. Nondimeno, si è stabilito che nelle immediate vicinanze degli stabili-menti industriali pericolosi sono proibiti sviluppi residenziali. Si applica inoltre lasoluzione di misure tecniche preventive addizionali a ciascun impianto.

Attualmente23 sono allo studio o si stanno sperimentando le diverse soluzio-ni adottate dagli altri Stati europei, al fine di definire più propriamente la soluzio-ne migliore per la realtà austriaca, dove a fronte di una forte e sofisticata tradi-zione in materia di pianificazione territoriale e urbanistica a livello di Länder, piùdebole risulta essere invece l’esperienza in materia di pianificazione secondo ledirettive suggerite dalla “Seveso II” (Stangl, Simon, 2002).

Conclusioni

A conclusione della sintesi qui riportata sulla parte documentaria del lavoroistruttorio che il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico di Torino hacondotto per conto del Ministero dei lavori pubblici, è possibile trarre qualcheconsiderazione sul significato che queste risultanze hanno avuto nel definire lescelte metodologiche del D.M. 9 maggio 2001 a cui questo lavoro era destinato.

Oltre a fornire il supporto per una necessaria estensione del problema adimensioni disciplinari rimaste finora escluse dalle azioni per limitare la probabi-lità di incidenti e la dimensione delle loro conseguenze, oltre a creare un quadrodi riferimento comparato su cui appoggiare futuri sviluppi del dibattito su “rego-62

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le urbanistiche” orientate a questo scopo, la rassegna di studi e casi ha contri-buito ad orientare l’approccio con cui affrontare la valutazione del rischio pre-sente o futuro.

La situazione internazionale, come si è visto, si presenta sotto questo profilomolto eterogenea. I paesi che hanno già provveduto ad adottare attraverso legginazionali criteri per la pianificazione territoriale e l’attribuzione delle destinazionid’uso dei suoli in prossimità delle industrie a rischio sono pochi. Quanto allemetodologie di determinazione del rischio ai fini dell’elaborazione di criteri di pia-nificazione territoriale, il confronto fra le varie esperienze esaminate dimostra uncerto equilibrio fra i due approcci prevalenti (quello deterministico e quello pro-babilistico) ed ha proposto l’interrogativo:– optare per un approccio deterministico, come hanno preferito fare la maggior

parte dei paesi europei: Belgio-Vallonia, Finlandia, Francia, Lussemburgo,Spagna, Svezia, ma anche gli USA?

– preferire un approccio probabilistico, secondo la linea adottata da Belgio-Fiandre e Olanda ma soprattutto da molti paesi extraeuropei come Australia,Canada, Svizzera?

– coniugare i due approcci fissando delle distanze di sicurezza molto ampie,all’interno delle quali sottoporre i singoli casi ad analisi più dettagliate (comefanno Germania e Svezia) ovvero introducendo una componente probabilisti-ca nella selezione degli scenari incidentali di riferimento per la delimitazione“deterministica” di distanze di sicurezza?

– utilizzare (come fa la Gran Bretagna) in diverse situazioni alternativamente idue approcci?Pur considerando che nelle tematiche dell’analisi del rischio prevale l’approc-

cio probabilistico mentre nella materia urbanistica prevale quello deterministico,e dunque si potrebbe immaginare una maggiore facilità di dialogo fra tematichedel rischio e procedure e metodi dell’urbanistica se l’approccio privilegiato fossequello deterministico, si è optato nella stesura dell’Allegato al Decreto, l’approc-cio probabilistico perché più adatto ad assicurare maggiore flessibilità, nel tempoe nelle modalità applicative, al complesso processo per adeguare gli strumentiurbanistici alle nuove disposizioni, anche in relazione alla presenza di situazioni dicriticità ambientale o di rischio di origine diversa.

Questa linea metodologica, costruita anche nella sua struttura attraverso il rife-rimento alle esperienze ed agli studi analizzati, ha consentito di evitare il ricorso avincoli netti e rigidi e di sostituirli con distanze di sicurezza determinate valutandola compatibilità territoriale ed ambientale fra impianti industriali e categorie di usidel territorio sulla base di molti fattori: ipotesi su scenari incidentali, sovrapposi-zione delle tipologie di insediamento categorizzate in termini di vulnerabilitàsecondo tabelle incluse nell’Allegato, aree di danno calcolate sulla base di classidi probabilità di incidente e di categorie di effetti, ma anche considerando l’even-tuale impegno del gestore ad adottare misure tecniche complementari, l’introdu-zione di accorgimenti ambientali o edilizi negli strumenti di pianificazione ecc. 63

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Certamente la preferenza per l’approccio probabilistico risulterà meno facil-mente adattabile alla logica tradizionale della pianificazione urbanistica che richie-de norme certe e rifugge da regole condizionali, ma consentirà forse di accele-rare e di armonizzare le nuove norme con le innovazioni che si stanno introdu-cendo nell’ordinamento urbanistico, per accrescere flessibilità e dinamicità nellapianificazione.

Se si considera che il nuovo decreto renderà obbligatori per un numero altodi Enti locali (oltre 700 Comuni, quasi tutte le Regioni e le Province) provvedi-menti di adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali in vigore, tra cuisoprattutto numerose varianti generali ai piani territoriali ed urbanistici, ai qualioccorre allegare il nuovo Elaborato tecnico di Rischio Incidenti Rilevanti (RIR), sicomprende dunque l’effetto rilevante che queste nuove norme potranno averequando, superando l’attuale ritardo, gli Enti locali provvederanno a dare attuazio-ne alla nuova normativa24.

Va ancora sottolineato che altri aspetti emersi dalla casistica esaminata hannotrovato nel Decreto uno spazio rilevante e contribuito ad introdurre nel provvedi-mento aspetti che si dimostreranno certamente innovativi e di grande impattosulle procedure urbanistiche in atto: l’importanza assegnata agli strumenti di pia-nificazione d’area vasta per assumere il problema nella sua inevitabile dimensio-ne sovracomunale; la complessa gestione del delicato problema delle informa-zioni sulla base delle quali condurre le valutazioni di compatibilità (assegnate perla massima parte alla responsabilità del gestore dell’impianto che comunquedeve provvedere a stendere Rapporti di sicurezza e Notifiche, ed integrate convalutazioni dell’Autorità competente); la possibilità di ricorrere a programmi inte-grati come strumento per risolvere casi particolarmente complessi di incompati-bilità fra sviluppo industriale e protezione della popolazione e del territorio con-certando e ricomponendo interessi pubblici e privati conflittuali.

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Note

1 Il contributo è il frutto di una serie di riflessioni condotte a partire dalla consulenza scien-tifica fornita dal Dipartimento Interateneo Territorio al Ministero dei lavori pubblici a supportodella predisposizione del D.M. 9 maggio 2001.

Pur essendo questo contributo il risultato di un lavoro comune, va attribuita ad AgataSpaziante la responsabilità della stesura dei paragrafi 1, 2, 3, 6; a Maria Teresa Gabardi quelladei paragrafi 4 e 5.

2 Dizionario ZINGARELLI, p. 1253.

3 Ibid., p. 1495.

4 Si tenga presente che il rischio da sviluppo industriale pericoloso è percepito general-mente come rischio involontario (ovvero non affrontato per scelta).

5 È sintomatico della nuova attenzione a queste tematiche il fatto che riviste come“Urbanistica Informazioni” e “Documenti del territorio” abbiano di recente dedicato ampio spa-zio a questi argomenti: da un Dossier di Urbanistica dedicato a “Urbanistica, rischio, emergenzae protezione civile” (n. 37 suppl. al n.177 di “Urbanistica Informazioni”, maggio-giugno 2001), a“Documenti del territorio” n. 45 del 2000, all’ultimo numero di “Urbanistica”, il n. 118 del 2002.

6 È opportuno a tale proposito ricordare la definizione proposta nel 1979 dall’United NationsDisaster Ref. Coord., secondo la quale il rischio è dato dalla concorrenza di due fattori ugual-mente importanti: la sollecitazione, che nel caso del rischio tecnologico è misurata dalla pro-babillità e dalla gravità dell’incidente, e la vulnerabilità, intesa come propensione al danno delterritorio circostante.

7 È su questi due piani che si è articolato in particolare il supporto fornito dal DipartimentoInterateneo Territorio, il quale ha sviluppato su questo tema una ricerca condotta dalle autrici diquesto contributo. Alla ricerca ha collaborato Andrea Carpignano sia per gli aspetti scientificidell’Analisi del rischio sia per l’assistenza ad una tesi di laurea sperimentale in Ingegneriadell’Ambiente e del Territorio dal titolo “Il controllo dell’urbanizzazione nei pressi di stabilimen-ti a rischio di incidente rilevante” affidata allo studente Giulio Pignatta e discussa presso ilPolitecnico di Torino nel dicembre 2000.

8 Gli aspetti teorici, metodologici e tecnici del percorso sperimentale condotto sia sotto ilprofilo dell’analisi del rischio che sotto il profilo urbanistico su casi reali e simulati per valutarepreventivamente l’applicabilità delle norme del D.M. 9 maggio 2001 sono contenuti nella tesidi Giulio Pignatta di cui alla nota precedente, inclusa nel CD Rom come allegato al contributodello stesso Giulio Pignatta (capitolo 12.4).

9 In Besi S., Risultati di studi di rischio d’area in Italia e in Europa ai fini di decisioni di pia-nificazione del territorio, in Besi S., Amendola F., Belloni V., Cristou M., Smeder M., La pianifi-cazione dell’uso del territorio in relazione ai rischi di incidente rilevante, Centro Comune diRicerca - Istituto dei Sistemi, dell’Informatica e della Sicurezza, Ispra, 1996, p.118.

10 Si legga in proposito Marsili G. (a cura di), La valutazione del rischio d’area. Il caso del-l’area industriale di Mantova, Franco Angeli, Milano 2000.

11 Marsili, La valutazione cit., p. 10

12 Ibid.

13 In questo caso è previsto un indennizzo ai proprietari delle aree sulle quali viene applica-to il vincolo di inedificabilità. 65

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14 I dati riportati sono aggiornati al 31 maggio 2001.

15 Le prime SPPPI create furono rispettivamente quella dell’Etagne de Berre, nel 1972 edella Basse-Seine, nel 1978. Le altre nove SPPPI sono: Dunkerque (1990), Toulouse (1990),Lyon (1990), Nantes (1992), Strasbourg (1992), Vallée de Seine (1993), Guyane (1997),Aquitaine (1998) e Artois (1998).

Fonte: DRIRE, 2001, al sito www.drire.gouv.fr./national/environnement/index.htmlDell’incidente di Tolosa e delle possibili conseguenze che esso avrà sui criteri e sulle norme

di pianificazione territoriale, si è già detto in precedenza.

16 Quello descritto costituisce il quadro di riferimento attuale, ma il recentissimo disastro diTolosa, definito “la più grande catastrofe della storia industriale francese”, non mancherà certodi avere risvolti sulle valutazioni e i criteri da osservare nella pianificazione urbanistica e territo-riale in presenza di stabilimenti di questo tipo sul territorio: ricordiamo infatti che il 21 settem-bre 2001 l’esplosione della fabbrica di fertilizzanti Azf ha causato 29 morti, 6 dispersi, 2100 feri-ti e 3000 edifici danneggiati. Dopo il gravissimo incidente, il sindaco di Tolosa ha espresso l’au-spicio che la disgrazia possa essere “di monito per l’intera Francia” e che si riesaminino tuttele normative in materia, in modo da far allontanare tutti gli stabilimenti a rischio di incidente rile-vante dai centri abitati.

17 Si legga in proposito HSE, Risk Criteria for Land Use Planning in the Vicinity of MajorIndustrial Hazards, UK, 1989.

18 Le distanze di consultazione possono variare da poche decine di metri fino a due chilo-metri, eventualmente modificate per coincidere con i confini delle aree edificate. All’internodelle distanze di consultazione è necessario il parere dell’HSE prima di autorizzare l’insedia-mento di destinazioni residenziali, commerciali con superficie maggiore di 250 mq, terziariosuperiore ai 500 mq e infine industriali con superficie maggiore ai 750 mq.

19 Uth H.-J., Determination of Safety Distances trough Major Accident Scenarios, 2002.Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

20 Per la fine del 2002 dovrebbe essere emanato un decreto sui “criteri di rischio” ancheper il settore dei trasporti (Lommers, 2002).

21 In Olanda vi è una lunga tradizione nella trattazione del rischio naturale e industriale e illivello di percezione e di comprensione della natura probabilistica del rischio è piuttosto eleva-to (Smeder M., Christou M., Besi S., Land Use Planning in the Context of Major AccidentHazards - An Analysis of Procedures and Criteria in Selected EU Member States,European Commission, Joint Research Centre, Institute for Systems, Informatics andSafety, Ispra, 1996, p. 23).

22 Questa linea metodologica differisce dunque da quella del caso francese.

23 L’aggiornamento di queste notizie è datato febbraio 2002.

24 Già entro il 1° ottobre 2001 avrebbero dovuto essere state formalizzate le varianti ai pianiterritoriali di coordinamento ed ai PRG per evitare che concessioni edilizie o autorizzazioni pernuovi impianti, per modifiche ad impianti esistenti o per nuovi insediamenti e infrastruttureattorno agli stabilimenti esistenti debbano richiedere il parere delle Autorità competenti inmateria di sicurezza.

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