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1 Malombra è stato proposto per la regia di Carmine Gallone nel 1918; di Mario Soldati nel 1942 e di Bruno Gaburro nel 1984; Soldati ha diretto inoltre nel 1941 Piccolo mondo antico e nel 1947 Daniele Cortis. Si vedano in argomento A. BERNARDINI, Fogazzaro e il cinema, in Album Fogazzaro, a cura di A. Chemello, F. Finotti, A. Scarpari, Vicenza, Accademia Olimpica, 2011, pp. 89-98 e L. MORBIATO, Fogazzaro al cinema, in Vicenza e il cinema, a cura di A. Faccioli, Venezia, Regione del Veneto-Marsilio, 2008, pp.152-158. Non affrontiamo qui la questione teorica del- l’adattamento, caratterizzata da una bibliografia sterminata e interdisciplinare, che ridotta a pochi cenni si trasformerebbe in un buonsenso critico-semiotico, che potrebbe suonare banale. 2 Sul ‘calligrafismo’ si veda A.COSTA, Soldati, Fogazzaro e il “calligrafismo”, in La bella forma. Poggioli, i calligrafici e dintorni, a cura di A. Martini, Venezia, Marsilio, 1992, pp.95-104. GIULIANA MUSCIO FOGAZZARO E IL CINEMA PICCOLO MONDO ANTICO DI MARIO SOLDATI (1941) TRA CALLIGRAFISMO E INTERPRETAZIONE La complessità narrativa dei romanzi di Antonio Fogazzaro non lascerebbe supporre la discreta quantità di adattamenti cine- matografici di cui la sua opera è stata fatta oggetto 1 ; qui ci soffer- meremo però solo su quello probabilmente più famoso e riuscito, Piccolo mondo antico di Mario Soldati (1941), interpretato da Alida Valli e Massimo Serato. La letteratura critica su questo film è profondamente influenzata dal dibattito suscitato alla sua uscita dalla rivista (antifascista e pre- neorealista) «Cinema», che prima lo lodò per il suo uso del paesag- gio, poi lo attaccò per la sua letterarietà e inclinazione ‘calligrafica’. La definizione di ‘calligrafico’, all’epoca dispregiativa, emerge in quegli anni, in una fase assai vivace della storia del cinema italiano, compresa tra il 1939 e il 1944, in cui il dibattito estetico-ideologico intorno al verismo è sintomo precoce dell’antifascismo (non solo cinematografico) a venire, ma condanna il cinema esteticamente ricercato, spesso di matrice letteraria, praticato da Mario Soldati, Alberto Lattuada e Renato Castellani, definendo questi autori per l’appunto ‘calligrafici’, dediti cioè alla bella forma, alla bella scrittu- ra 2 . Nel 1941 la rivista «Cinema» sostiene a più riprese la necessità per il cinema italiano di ispirarsi a Verga e al realismo, considerando negativa in sé la scelta di adattare per lo schermo un autore deca-

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1 Malombra è stato proposto per la regia di Carmine Gallone nel 1918; di Mario Soldati nel1942 e di Bruno Gaburro nel 1984; Soldati ha diretto inoltre nel 1941 Piccolo mondo antico e nel1947 Daniele Cortis. Si vedano in argomento A. BERNARDINI, Fogazzaro e il cinema, in AlbumFogazzaro, a cura di A. Chemello, F. Finotti, A. Scarpari, Vicenza, Accademia Olimpica, 2011, pp.89-98 e L. MORBIATO, Fogazzaro al cinema, in Vicenza e il cinema, a cura di A. Faccioli, Venezia,Regione del Veneto-Marsilio, 2008, pp.152-158. Non affrontiamo qui la questione teorica del-l’adattamento, caratterizzata da una bibliografia sterminata e interdisciplinare, che ridotta a pochicenni si trasformerebbe in un buonsenso critico-semiotico, che potrebbe suonare banale.

2 Sul ‘calligrafismo’ si veda A.COSTA, Soldati, Fogazzaro e il “calligrafismo”, in La bella forma.Poggioli, i calligrafici e dintorni, a cura di A. Martini, Venezia, Marsilio, 1992, pp.95-104.

GIULIANA MUSCIO

FOGAZZARO E IL CINEMAPICCOLO MONDO ANTICO DI MARIO SOLDATI (1941)TRA CALLIGRAFISMO E INTERPRETAZIONE

La complessità narrativa dei romanzi di Antonio Fogazzaronon lascerebbe supporre la discreta quantità di adattamenti cine-matografici di cui la sua opera è stata fatta oggetto1; qui ci soffer-meremo però solo su quello probabilmente più famoso e riuscito,Piccolo mondo antico di Mario Soldati (1941), interpretato daAlida Valli e Massimo Serato.

La letteratura critica su questo film è profondamente influenzatadal dibattito suscitato alla sua uscita dalla rivista (antifascista e pre-neorealista) «Cinema», che prima lo lodò per il suo uso del paesag-gio, poi lo attaccò per la sua letterarietà e inclinazione ‘calligrafica’.La definizione di ‘calligrafico’, all’epoca dispregiativa, emerge inquegli anni, in una fase assai vivace della storia del cinema italiano,compresa tra il 1939 e il 1944, in cui il dibattito estetico-ideologicointorno al verismo è sintomo precoce dell’antifascismo (non solocinematografico) a venire, ma condanna il cinema esteticamentericercato, spesso di matrice letteraria, praticato da Mario Soldati,Alberto Lattuada e Renato Castellani, definendo questi autori perl’appunto ‘calligrafici’, dediti cioè alla bella forma, alla bella scrittu-ra2. Nel 1941 la rivista «Cinema» sostiene a più riprese la necessitàper il cinema italiano di ispirarsi a Verga e al realismo, considerandonegativa in sé la scelta di adattare per lo schermo un autore deca-

GIULIANA MUSCIO

dente come Fogazzaro. In realtà Soldati non aveva ‘scelto’Fogazzaro; anzi prima di entrare nel progetto del film, non avevaneppure letto Piccolo mondo antico; lo lesse in una notte, quando ilgiovane produttore Carlo Ponti lo arruolò per dirigere la pellicola3.L’adattamento cinematografico del romanzo non nasce quindi da unprogetto personale di rilettura dello stesso, da un approccio inter-pretativo a Fogazzaro, ma da un’opportunità professionale, che ilregista coglie però con intelligenza. Il che aiuta a spiegare l’equilibriosorprendente nel film tra la lettura fedele del testo e un’appropria-zione stilistico/tematica piuttosto personale. L’adattamento filmicodi Soldati può apparire infatti, come una tradizionale ‘illustrazione’da sussidiario del celebre romanzo (approccio cui ci hanno abituatigli sceneggiati televisivi) ma regia, fotografia, interpretazione attoria-le, montaggio, ovvero il complesso stilistico della messa in scena,lavorano in modo più articolato, proponendo un’interpretazione delromanzo, radicata nel peculiare momento storico in cui viene adat-tato (a conflitto iniziato, ma prima della guerra civile) dalla sofistica-ta cultura visiva e artistica del giovane regista. (In effetti la qualitàvisiva davvero speciale di questo film non manca di impressionarepositivamente gli stessi giovani ribelli della rivista cinematografica,come vedremo.) La polemica di «Cinema» viene ripresa qui perchéè alla base del giudizio critico sul film che persiste tuttora e perchéevidenzia le alterne fortune del decadentismo nella cultura italiana egli argomenti della storica battaglia contenuto/forma, veri-smo/formalismo, impegno sociale/individualismo ‘calligrafico’ checaratterizza il dibattitto intellettuale nazionale, non solo sul pianocinematografico e certamente non solo in quegli anni.

Nel saggio Per un paesaggio italiano, apparso su «Cinema» del25 aprile 1941, Giuseppe De Santis (futuro regista, tra gli altri, diRiso amaro, 1949) loda l’interessante uso che Soldati aveva fattodegli esterni, girati sul posto, in Piccolo mondo antico:

A ridarci la speranza giunge, ora, per ultimo, questo PICCOLOMONDO ANTICO (sic) di Mario Soldati, che a tali considera-zioni ci ha indotti. Per la prima volta nel nostro cinema abbiamovisto un paesaggio, non più rarefatto, pacchiano-pittoresco, ma

3 A. BERNARDINI, Fogazzaro e il cinema, in Album Fogazzaro, cit., p. 95.

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finalmente rispondente alla umanità dei personaggi sia come ele-mento emotivo che come indicatore dei loro sentimenti4.

Dietro a queste considerazioni si percepisce un’idea di cinemacome progetto complessivo di messa in scena, in cui tutte le fun-zioni sono a servizio del racconto, ma anche di istanze realiste (edi impegno sociale); e non a caso, visto che questi critici diventa-no di lì a poco i registi del neorealismo5. Il commento inoltremuove un’aperta critica al cinema del regime, girato in studio, per-ciò inautentico, lontano dalla gente e dalla realtà.

Nel fondamentale manifesto estetico-politico Verità e poesia. Vergae il cinema italiano, apparso nel numero del 10 ottobre 1941 di«Cinema», Mario Alicata e lo stesso De Santis, dichiarata la propriaposizione («noi che crediamo nell’arte specialmente in quanto crea-trice di verità»), pur definendo Soldati «autore di alcuni tra i più fan-tasiosi, liberi e forti racconti italiani d’oggi», lo accusano di averabbandonato «le sue osterie, i suoi porti, i suoi interni oppressi esenza luce e i suoi paesaggi coloriti e puri, per i risotti coi tartufi diAntonio Fogazzaro»6. Nel saggio Alicata e De Santis stigmatizzano:

Infatti, anche nella scelta di una tradizione letteraria il cinema ita-liano rivela curiose predilezioni: Antonio Fogazzaro e GirolamoRovetta, Lucio D’Ambra e Flavia Steno, Nino Oxilia e LucianaPeverelli… Questa scelta sembra quasi confermare tacitamente lasciocca leggenda che la letteratura italiana manchi per divinodecreto di una tradizione narrativa.

La polemica di «Cinema» costituisce quindi un attacco a tuttocampo alla cultura cinematografica e letteraria italiana e identificanella dipendenza letteraria una delle tare ataviche del nostro cine-ma, soprattutto in considerazione dello scarso spessore degli auto-ri talvolta impegnati nella scrittura filmica o adattati per lo scher-

4 G. DE SANTIS, Per un paesaggio italiano, in «Cinema», n.116, 25 aprile 1941, pp. 262-263. Isaggi di «Cinema» qui citati sono stati ristampati nell’antologia a cura di Orio Caldiron, «Cinema»1936-1943. Prima del neorealismo, Roma, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, 2002.

5 Si veda in merito G. MUSCIO, Le ceneri di Balzac. Sceneggiatura e sceneggiatori nel neoreali-smo, in Sulla carta. Storia e storie della sceneggiatura in Italia, a cura di M. Comand, Torino, Lindau,2006, pp.109-142.

6 M. ALICATA, G. DE SANTIS, Verità e poesia. Verga e il cinema italiano, in «Cinema» n.127, 10ottobre 1941, pp. 216-217.

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mo; utilizza inoltre questa dipendenza per spiegare la lontananzadel cinema dalla realtà sociale italiana. Se la critica si può condivi-dere in parte, ammettendo che il cinema italiano fino ad alloraaveva abusato di fonti letterarie, non si possono mettere sullo stes-so piano Fogazzaro e il ‘crepuscolare’ Oxilia (e se è per questo, un‘verista’ come Rovetta), se non per un pregiudizio generico controla letteratura del decadentismo.

Da un lato quindi «Cinema» riconosce a Piccolo mondo antico ilmerito di essere uscito nelle valli e nei luoghi del romanzo, dall’altrolo accusa di aver scelto una letteratura a suo giudizio ‘minore’, inve-ce che quella che avrebbe potuto «ispirare la fantasia di un cinema ilquale cerchi cose e fatti in un tempo e in uno spazio di realtà, perriscattarsi dai facili suggerimenti di un mortificato gusto borghese». Idue autori insistono (se pure in modo piuttosto contorto):

A chi va a caccia di falsità, di retorica, di medaglie di pessimo conio,dietro agli esempi di altre produzioni cinematografiche cui la perfe-zione tecnica non salva dalla miseria umana e dalla povertà di ragio-ni alle quali esse fanno appello, i racconti di Giovanni Verga ci sem-brano indicare le uniche esigenze storicamente valide: quelle diun’arte rivoluzionaria ispirata ad una umanità che soffre e spera.

Certo Piccolo mondo antico non aveva l’ambizione di essere ‘arterivoluzionaria’, ma non si sarebbe potuto neppure accusarlo di falsi-tà e retorica; anzi, a un occhio meno schierato, il taglio di Soldati nel-l’adattamento, soprattutto nel finale, avrebbe potuto apparire davve-ro come un’apertura a «un’umanità che soffre e spera». La pellicolaera ancora troppo appesantita però da quelle ‘piccole cose di pessi-mo gusto’ che infastidivano i giovani intellettuali di «Cinema», distra-endoli dalle possibili eccezioni nella loro lettura ipercritica (e parti-giana) del cinema calligrafico, che la loro familiarità col cinema sovie-tico coevo impediva di vedere nella sua innovatività stilistica.

La rivisitazione analitica del film Piccolo mondo antico ci permettequindi di affrontare due questioni affatto marginali nella storia delcinema italiano: quella del paesaggio e quella della sua dipendenza let-teraria. ‘Rivediamo’ perciò alcune sequenze del film, dove paesaggio ecostruzione narrativa riprendono Fogazzaro sia per ‘illustrarlo’ sia perproporre varianti significative. Rispetto alla vexata questio della ridu-zione letteraria, oltre all’ovvia sottolineatura che Soldati è scrittore a

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sua volta, e che ritiene la regia esecuzione di una partitura7, quindi nonha un approccio autoriale forte, è opinione concorde che questo sia unadattamento “fedele” di Fogazzaro, con la volontà di rappresentare lospirito del libro, piuttosto che il suo meccanismo narrativo. Oltre asottolineare l’attenzione tematica per un’Italia minore, provinciale equotidiana, che i due scrittori condividono, osserverei che anche stili-sticamente i due autori, privi di una forte firma autoriale e con inte-ressi socio-politici non prioritari o insistiti, si assomigliano.

Al di là della congenialità stilistico-tematica tra i due, Soldati hadato un’interpretazione non banale dell’opera dello scrittore vicen-tino:

Il vento del nord soffia da cima a fondo in tutti i libri diFogazzaro; e tutti suoi personaggi sono tormentati, divisi, in sestessi o l’uno contro l’altro, tra le forze opposte del bene e delmale, della fede e del peccato, della speranza e dello scetticismo.Ecco perché secondo noi Fogazzaro, che è minor ‘artista’ comescrittore puro, di altri autori italiani dell’800-900, è invece uno deipiù vivi, dei più moderni, e cioè dei più cinematografici8.

A partire da questa dichiarazione programmatica, è interessan-te perciò analizzare come egli abbia poi specificamente operatonella riduzione filmica di Piccolo mondo antico, riconoscendo inpartenza che Soldati non solo intuisce il potenziale ‘cinematogra-fico’ di questo autore ma ne è uno dei migliori interpreti ed adat-tatori, sia nel caso di questo film che del ben più tormentatoMalombra (1942). Egli infatti non si limita a ‘illustrare’ il romanzo,ma lo rilegge; con rispetto ma in autonomia.

L’adattamento

Nell’adattare il libro, Soldati e i suoi sceneggiatori (ovveroEmilio Cecchi, Mario Bonfantini e Alberto Lattuada, con la colla-

7 G. RONDOLINO, Soldati: cineasta e letterato, in Mario Soldati La scrittura e lo sguardo, a curadi G. Barberi Squarotti, P. Bertetto, M. Guglielminetti, Torino, Museo nazionale del cinema-Lindau, 1991, p. 126.

8 A. COSTA, Soldati, Puig e il volto «pieno di mistero» di Isa Miranda, in Mario Soldati La scrit-tura e lo sguardo, cit., p.165.

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borazione del futuro critico di origini vicentine, Filippo Sacchi)procedono a un necessario snellimento del racconto e all’ovvio sfol-timento dei personaggi, lavorando comunque in modo non sconta-to sul casting, con la scelta della baffuta e disturbante Ada Dondiniper il ruolo della (ex seduttrice) marchesa, di una Alida Valli sensi-bile e moderna, più sobria e decisa nella sue reazioni della Luisafogazzariana, e di un romantico Massimo Serato, in linea col perso-naggio contemplativo del libro. Nel caso della figlia della coppianotiamo che nel film essa viene chiamata in prevalenza Ombretta,piuttosto che Maria, a favorire la sua associazione scherzosa con lozio Piero e ad allontanarla forse, dal cattolicesimo implicito nel suonome. Alcuni dialoghi vengono ripresi nel film quasi alla lettera, perquanto talvolta ricontestualizzati e sintetizzati. La struttura narrati-va è in buona sostanza rispettata, per quel che concerne le scene-chiave, che il pubblico dei lettori/spettatori vuole ritrovare: dalpranzo di Sant’Orsola alla filastrocca dedicata a Maria/Ombretta,dalla sua tragica morte alla partenza dei volontari, ma non mancanoin esse varianti significative, che analizzeremo. Vengono attenuatiperò (o meglio, solo accennati) gli episodi che sviluppano gli ele-menti gotici, caratteristici di Fogazzaro, come lo spiritismo, e idubbi in materia religiosa di Luisa.

In merito a questa scelta si può pensare a un’(auto)censura deirealizzatori, consapevoli dell’imbarazzo del regime fascista rispettoa questi temi, mentre essi accentuano la chiave politico/nazionalistae ‘di classe’ del testo letterario, ovvero il contrasto tra borghesiamoderna e aristocrazia passatista. L’aspetto gotico del romanzo diFogazzaro riemerge piuttosto nel film nella messa in scena dell’in-cubo della marchesa, realizzato da Soldati attraverso giochi disovraimpressione e associazioni di immagini, in linea con la tradi-zione del surrealismo francese, in una sequenza onirica vicinacomunque alle pagine dello scrittore vicentino. Come si devia l’ele-mento gotico sulla marchesa, così si alleggerisce Luisa anche delconflitto religione/scetticismo, che serpeggia con le sue contraddi-zioni nel film, senza però che ella pronunci alcune delle battute piùpolemiche, contenute nel romanzo. Forse la differenza maggiore traromanzo e film sta proprio nel personaggio di Luisa, del qualeSoldati coglie le interessanti complessità e contraddizioni presentinel testo letterario, ma di cui sceglie di evidenziare gli aspetti più

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9 Si veda L. MICCICHÈ, L’ideologia e la forma. Il gruppo «Cinema» e il formalismo italiano, in Labella forma, cit., pp. 1-27: 16.

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attivi e moderni, proponendola sì come una madre dilaniata daisensi di colpa, che si punisce nella propria affettività, col suo lavoroa maglia e le ossessive passeggiate al cimitero, ma senza insisteresulle sedute spiritiche e sugli aspetti gotico/decadenti.

Al contrario di quel che Soldati aveva scritto sul ‘vento del Nord’e sulle polarità tematiche del libro, ovvero sui contrasti «tra le forzeopposte del bene e del male, della fede e del peccato, della speranzae dello scetticismo», questi elementi conflittuali non vengono in real-tà sfruttati nel film per creare una contrapposizione drammatica, mapiuttosto servono quali sfumature nella costruzione dei personaggi.Mentre dal punto di vista stilistico e dei linguaggi specifici la sequen-za della morte di Ombretta propone una variante implicita ma assaiefficace delle pagine fogazzariane attraverso l’uso del montaggioalternato, dal punto di vista strutturale la variante più significativariguarda il finale, come vedremo: è qui che Soldati marca il territo-rio cinematografico in modo forse inatteso. A queste due sequenzeperciò, si dedicherà un’attenzione maggiore, dopo aver analizzato intermini più generali la messa in scena del romanzo.

Paesaggi interni

Premettiamo che Piccolo mondo antico vanta una qualità note-vole a livello fotografico, visivo e iconografico, il che ci consentedi sottolineare l’ottimo lavoro del direttore della fotografia, CarloMontuori, e di spezzare una lancia a favore della necessità di unarivalutazione storico/critica complessiva della qualità fotograficache caratterizza il cinema italiano nell’interezza della sua storia,ma che di rado viene riconosciuta come valore in sé.

De Santis loda infatti Soldati, oltre che per il «senso del pae-saggio», per «la cura delle inquadrature» e «l’ambientazione per-fetta»9. Il film evidenzia una grande attenzione formale e un sofi-sticato gusto pittorico, tipici dei calligrafici, nel taglio delle inqua-drature, spesso composte secondo una sensibilità pittorica (o tal-

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volta teatrale), con tendenza alla simmetria, tranne che nelle scenedrammaticamente più forti. Tradizioni pittoriche lombarde erisorgimentali permeano l’accurata ricostruzione degli ambienti ei bellissimi costumi. Un aspetto spesso sottolineato dalla critica èproprio l’ampio utilizzo nel film di un denso repertorio di citazio-ni pittoriche; si riconoscono riferimenti a Hayez, Lega, De Nittis,Michetti, Cremona e Mancini, evidenti nei costumi oltre che inspecifiche soluzioni visive e compositive10.

Pur nel prevalere della verosimiglianza storica negli interni edell’approccio naturalistico al paesaggio, nel film si coglie unagrande capacità di costruire livelli simbolici nell’iconografia. Vi èquasi un’esplorazione fenomenologica di certi oggetti, come nelcaso del lago, delle barche, delle finestre e delle scale. A questi ele-menti dedicheremo quindi una particolare attenzione nell’analisi,senza distinguere, come si usa convenzionalmente, tra l’uso di essiin esterni o interni. Attraverso le finestre, infatti, il lago e il pae-saggio montano interagiscono con le emozioni dei personaggi;anche le scale sono presenti sia negli interni che nella discesa allago o nel sentiero che attraversa il paese.

Punto di partenza dell’analisi rimane in ogni modo il paesaggio,soprattutto per la peculiarità delle riprese: il film è stato girato nelNord, lontano da Cinecittà e dai suoi studi, e open air, in esterniautentici, cioè nei luoghi del paesaggio fogazzariano, tra i laghilombardi. Ricordiamo che, all’epoca, uscire dagli studi e utilizzareesterni reali era una pratica assai rara, non solo nel cinema italia-no ma anche a Hollywood.

Come già riportato, De Santis apprezza il film proprio per l’usodel paesaggio, «non più rarefatto, pacchiano-pittoresco, ma final-mente rispondente all’umanità dei personaggi». Egli si sofferma aesemplificare questa relazione positiva tra personaggi e paesaggio:

Penso alla partenza di Franco per Milano, all’alba, Luisa che l’haaccompagnato resta sulla riva mentre egli la vede scomparire, colpaesaggio che ondeggia come il movimento della barca che lo tra-sporta sul lago. Così le sequenze più importanti nel film ci sono

10 Si vedano R. CAMPARI, Cinema e pittura negli anni del “formalismo” in La bella forma, cit.,pp. 153-163, e A. MARTINI, Una questione di spazio e di artificio, ivi, pp. 29- 41.

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apparse, ancora, quelle in cui tutti gli elementi da noi sopra citatierano presenti; il ballo in campagna, nel primo tempo, la morte diOmbretta, l’incontro di Luisa, con la marchesa, sotto la pioggia,la corsa per le scale del villaggio delle tre donne che vengono adarle la notizia della disgrazia nel secondo tempo.

Il temporale sul lago, che fa da sfondo alla morte di Ombretta,alla corsa di Luisa verso la portantina della marchesa e alla tragicanotizia portata dalle tre donne merita però un’analisi a parte e suc-cessiva, per saggiare l’interpretazione di De Santis e analizzare ilrapporto tra romanzo e film in questa scena madre.

Il motivo iconografico dominante in Piccolo mondo antico è, perovvie ragioni, il lago. Inizialmente esso è uno spazio che sembra cir-condare e isolare la villa della marchesa, ma in seguito, percorsocom’è da barche di ogni tipo (quelle dei prominenti che vanno allafesta di Sant’Orsola, quella più agile di Luisa, quella tradizionale dellamarchesa e il moderno battello a vapore dei volontari), il lago si faspazio della comunicazione, del viaggio, del cambiamento, di parten-ze e ritorni. Sereno sfondo alle attività di giardinaggio di Franco,luogo del ricordo affettivo come di tempeste e di percorsi decisivi, einfine tomba di Ombretta: il lago non è mai uno sfondo cartolinescoo, come scriveva De Santis, «pacchiano-pittoresco».

Nella prima sequenza, con la sovrimpressione della data «1850», sivede l’approdo lacustre alla villa della marchesa: un’immagine chiusae ristretta del lago, come la mentalità di casa Maironi. Dalle barche cheportano i ciarlieri ospiti della marchesa, dopo averli messi a tavola peril famoso risotto di tartufi, si passa, alla fine della stessa sequenza, aFranco, che corre verso la riva di un lago tempestoso, per accogliere labarca su cui rema vigorosamente Luisa. «Non ti aspettavo più conquesto tempo» le dice, ma la giovane donna non ha di queste preoc-cupazioni metereologiche e affronta invece la questione dei preparati-vi per il matrimonio segreto (o meglio, nascosto alla marchesa, nonnadi Franco), che non riesce ad accettare. L’introduzione dei due prota-gonisti, oltre a presentarli attivi, di corsa o ai remi, e sullo sfondo di unpaesaggio drammatico (e non mollemente seduti nella villa della mar-chesa), propone Franco in attesa sulla riva e Luisa in movimento sullago, l’uomo accomodante e la ragazza desiderosa di chiarezza, evi-denziando così il ribaltamento di ruoli attivo/passivo e delle aspettati-ve di genere che il film riprende dal romanzo, potenziandone il con-

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trasto. (È interessante notare come nel finale, che analizzeremo inseguito, questa prospettiva si rovesci: è Franco che si muove sul bat-tello a vapore dei volontari, mentre Luisa lo guarda dalla riva, in atte-sa – in un senso duplice.) Un’altra immagine significativa del lago coin-volge Ombretta e lo zio Piero, che le dedica la filastrocca «Ombrettasdegnosa del Missipipì, non far la ritrosa e baciami qui», mentre ilpapà si dedica al giardinaggio, attività ‘improduttiva’ che lo caratteriz-za anche nel libro. In questo caso il lago crea uno sfondo rilassante esolare alla vita dei giovani sposi e dei loro affezionati amici.

La morte di Ombretta

Come è ovvio la sequenza in cui il lago si fa autentico perso-naggio (attivo, o meglio, distruttivo) è quella della morte diOmbretta, che merita un’analisi più ravvicinata perché dimostra, amio avviso, come Soldati, attraverso le sue scelte di messa in scenae montaggio, vada oltre l’uso espressivo del paesaggio. Il registautilizza al meglio scenografia, movimenti di macchina e angolazio-ni di ripresa, con il saliscendi fisico ed emotivo associato alle scale,le finestre che esprimono il rapporto esterni/interni, tra la casa e illago, il lago stesso in tempesta, la barca della marchesa, ma anchela barchetta che Ombretta vuol far navigare.

Trattandosi di un montaggio alternato, nella descrizione faremolargo uso del concetto di ‘mentre’, assente nel libro, che non pra-tica questa tecnica narrativa, che permette di seguire due azionicontemporanee, che però avvengono in spazi diversi, e che è unatecnica specifica del linguaggio del cinema.

La sequenza si apre con un piano ravvicinato di Luisa che scrutail lago col binocolo, per verificare la posizione della barca della mar-chesa e allontana la figlia con una certa impazienza, mentre un vento,melodrammaticamente foriero di tempesta, come sottolinea la musi-ca, scuote la tenda. Una finestra sbatte, mentre Luisa, ai piedi dellescale, chiede allo zio se Ombretta è con lui e, rassicurata in merito, siallontana, brandendo un ombrello. La donna sale a fatica i gradonidel sentiero che portano nella parte alta del paese, mentre Ombrettachiede allo zio il permesso di allontanarsi con la sua barchetta e la suabambola. Mentre Luisa risale faticosamente il sentiero a gradoni, con

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un’inquadratura dall’alto molto angolata che enfatizza la sua fatica,ma anche la sua impotenza rabbiosa verso la “nonna cattiva”, analo-ga inquadratura angolata dall’alto mostra la figlia che scende cauta-mente le scale, con la ringhiera minacciosa a dominare lo spazio inprimo piano, escludendola e quasi schiacciandola con la sua rigidità,a evidenziare la sua pericolosa solitudine e fragilità. La portafinestrasbatte. Luisa continua a salire mentre Ombretta scende la scala cheporta al lago, di nuovo vista dall’alto. Luisa è ostacolata nella sua sali-ta da vento e pioggia; quando arriva in cima – significativamente, allachiesa – vede sul lago la barca della marchesa che sta approdando,mentre Ombretta cerca di riprendere la barchetta che il lago sta tra-scinando al largo. Con un’angolazione dal basso, quando il sentiero agradoni comincia a scendere, vediamo Luisa che guarda verso la por-tantina della vecchia bisbetica, ed è ancora inquadrata dal basso(quindi in posizione spazialmente dominante) quando rivolge allamarchesa il discorso da tempo preparato. In quel preciso istante tredonne, che stanno scendendo di corsa il sentiero, annunciano ladisgrazia e Luisa, con un grido disperato, risale, cercando di averenotizie, mentre in basso la marchesa guarda la scena costernata. Sullago dondola la barchetta rovesciata di Ombretta.

La grande efficacia della sequenza non è legata in modo specifi-co alla rappresentazione del paesaggio, che non viene inquadrato insé, neppure per evidenziare la tempesta che si sta scatenando. Losfondo del lago è battuto dal vento, ma è un contadino con la gerlaa mettere in guardia Luisa in corsa verso la portantina sulla perico-losità dell’evento atmosferico, piuttosto che un dettaglio visivo,come un convenzionale campo lungo delle onde – inquadraturascontata che il regista evita accuratamente in tutta la sequenza. Eglimostra piuttosto gli effetti del temporale e l’incalzare rovinoso deglieventi, costruendo il ritmo visivo del racconto attraverso il saliscen-di delle scale e i tempi delle inquadrature nel montaggio, con unandamento musicale collegato al crescendo della tempesta, chegiunge all’apice col grido di Luisa e poi va a spegnersi nell’immagi-ne della barchetta rovesciata – una sensibilità musicale cheFogazzaro avrebbe senza dubbio apprezzato.

In questa sequenza Soldati gioca sul montaggio alternato, chepotenzia, secondo uno schema classico ‘alla Griffith’, la tensionedella scena, e utilizza sia le angolazioni di ripresa che gli elementi

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scenografici (finestre, scale, barche) per suggerire assonanze econtrasti visivi che creano inoltre una relazione più complessa, dianaloga impotenza ma anche intraprendenza, tra madre e figlia. Ildinamismo drammatico e contrastato del movimento delle scale, ilpotere distruttivo del lago, l’attenzione verso una barca che tra-sporta il personaggio negativo e la distrazione verso la barchettagiocattolo, che produce la morte di Ombretta: una costruzionemelodrammatica (in senso tecnico, non dispregiativo) dell’azioneche mette in corto circuito natura, convenzioni sociali e fatalità,attraverso un uso articolato del linguaggio filmico, evitando peròl’esplicita rappresentazione della tempesta.

A ben guardare del resto, non sono molte nell’intero film leinquadrature in campo lungo del lago; piuttosto si tratta di sfondidell’azione o di soggettive dei personaggi, che magari guardano illago da una finestra. Proprio le finestre giocano un ruolo chiave nellamessa in scena: esse incorniciano i personaggi, chiudendoli in unospazio compositivo pittorico, che talvolta sembra imprigionarli, eche però comunica con l’esterno – col lago e le sue infinite possibi-lità. Per esempio una finestra aperta a metà incornicia Luisa, mentrela metà chiusa racchiude Franco, quando la coppia discute del testa-mento del nonno, che la marchesa ha distrutto – una questione cheli separa rispetto allo spazio sociale al di fuori della loro casa.

La sequenza della morte di Ombretta inizia con la soggettivadel lago attraverso la finestra ed è marcata, nella sua drammatici-tà, dalla porta-finestra che sbatte. Nel finale, a Isolabella, è davan-ti alla finestra della locanda che Franco ricorda il primo incontrocon Luisa, e una finestra vista dal di fuori ci rivela in seguito lacoppia in una ritrovata armonia. Spazio che si apre e si chiude,cornice che rivela il mondo esterno, che mette in relazione lo spa-zio privato della casa con quello sociale e storico-geografico dellago e della valle, la finestra diventa anche punto di luce, fonte delbel gioco chiaroscurale che caratterizza il film, ma anche cernieracon gli esterni, che si contrappongono in modo marcato alla rigi-dità e alla ‘pesantezza’ degli interni. Sia la villa sia la casa piùmodesta di Franco e Luisa sono decorate da tende e drappeggi, davelluti e tessuti damascati, da un insieme di mobili e suppellettiliche trasmettono visivamente il senso dell’ingombro, della pesan-tezza, della claustrofobica impotenza che imprigiona i personaggi.

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Più che per il tanto decantato uso del paesaggio, il film si carat-terizza perciò, a mio avviso, per una dialettica significativa trainterni ed esterni, che permette a Soldati di raccontare ed espri-mere la claustrofobia dei piccoli mondi antichi, evocando anche,secondo l’approccio ‘ermetico’ dei calligrafici, a livello figurativoe formale, ovvero negli interni opprimenti, piuttosto che a livellonarrativo, l’atmosfera soffocante del fascismo11. In fondo la distan-za tra gli ideali dei giovani critici di «Cinema», che auspicavano uncinema italiano votato al realismo e all’impegno sociale, rispetto alcalligrafismo, è più apparente che sostanziale, laddove questomovimento esprime altrimenti il suo distacco dall’estetica e daivalori del regime: con strumenti formali, con la sua antiretorica,con la scelta della sobrietà rispetto all’emotività eccessiva e spiri-tata del fascismo. L’uso in Piccolo mondo antico di locations edesterni reali rappresenta quindi una grande novità, nel cinemaasfittico dei telefoni bianchi, perché esprime il bisogno di respira-re – di uscire da interni soffocanti e ristretti per ritrovare un pae-saggio reale, uno spazio geografico aperto quanto autentico.

Il finale

Nel finale, è all’esterno, sul lago, che si aprono per Luisa eFranco nuovi orizzonti, e si respira un’aria nuova. La sequenzanecessita di una lettura analitica più ravvicinata, anche perché è ilmomento in cui il film si discosta maggiormente dal romanzo.Luisa sta facendo la maglia (una delle sue attività ossessive, anchenel romanzo) mentre lo zio legge a voce alta la lettera di Franco:«Sono quattro anni che non ci vediamo». Prima di partire per laguerra – e magari perdere la vita12 – egli vorrebbe salutarla, maanticipa le sue obiezioni: «Possibile che tu creda di far piacere aOmbretta non venendo?». Luisa è molto restia a muoversi, alpunto che lo zio Piero, questa volta spazientito, commenta: «Io

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11 Sul socialismo e l’antifascismo di Soldati si veda P.F. QUAGLIENI, Un impegno mai ostentato,in Mario Soldati La scrittura e lo sguardo, cit.

12 Il seguito del romanzo, Piccolo mondo moderno, racconta che Franco muore effettivamentein battaglia; il film però non sembra tener conto di questo suo destino infausto.

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sono vecchio e ho visto tante madri perdere i figli, ma nessuna hafatto come te…», rimproverandola per l’ossessione che ha svilup-pato. Davanti alla sua indecisione, lo zio sbotta che andrà lui aIsolabella a salutare suo marito. Per questo, quando una finta sog-gettiva del lago mostra Franco che scruta l’isola per capire se lamoglie è arrivata, anche lo spettatore non sa cosa aspettarsi – il chefa aumentare la tensione di scoprire come si risolverà la crisiconiugale. (Nel romanzo invece Luisa e zio Piero vanno insieme aIsolabella.) Quando Franco sbarca sull’isola, il padrone dellalocanda lo rassicura, dicendogli che qualcuno lo aspetta. Luisaavanza infatti dallo sfondo, ma non ha slancio alcuno verso il mari-to, al punto da oscurarsi in viso quando l’oste chiede se deve pre-parare una stanza, e Franco risponde: «Naturalmente: siamo mari-to e moglie». La donna confessa che non voleva partire, per nonlasciare Ombretta. «Ma Ombretta è qui con noi!», cerca di per-suaderla il marito, senza successo.

L’atteggiamento di rifiuto apatico di Luisa comincia a cambia-re però durante una conversazione di Franco con un turista ingle-se e l’oste, sulla guerra imminente, in cui il marito si dimostra unpatriota «pieno di fuoco e di entusiasmo», come rileva l’inglese,osservando però che il nemico è ben armato. «Siamo tutti pronti amorire, e passeremo», replica con orgoglio Franco, al che il turistacommenta: «Mi piace il giovanotto» e un primo piano di Luisarivela che anch’ella apprezza la passione patriotica del consorte.

Nella stanza della locanda, davanti a una finestra spalancatasul lago di notte, Franco, di spalle, le rammenta il loro primoincontro e il senso del loro stare insieme. «Il nostro piccolomondo è finito» – le dice, ma con una nota di speranza aggiun-ge: «Quando si parlava della guerra, dell’Italia. Ora è diverso;ora ci siamo. Tra qualche giorno dichiareremo guerra…». A que-sto punto le fa vedere la rosa che lei gli aveva dato prima di par-tire per Torino e che lui ha conservato sempre, ma che ora pre-ferirebbe affidare nuovamente a lei, per evitare che possa caderein mano al nemico. Questa associazione tra il ricordo privato e ilsentimento patrio finalmente smuove Luisa, che lo bacia appas-sionatamente.

Un’inquadratura del lago, con una dissolvenza in chiusura,funge da cesura tra ciò che avviene dopo il bacio e la cena di

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addio. Dall’esterno viene inquadrata la finestra della locanda cheli mostra a tavola insieme, in armonia, alla luce calda di una can-dela. Luisa, cogliendo lo sguardo ammirato della cameriera, nota:«Come stai bene in divisa». Si conferma con questa battuta la sin-tesi tra la passione coniugale e quella patriotica, ma la calda inti-mità della scena spoglia il momento di qualsiasi enfasi retorica, perevocare piuttosto il raggiungimento della maturità affettiva nellarelazione tra i due protagonisti, così diversi tra loro, eppure cosìprofondamente legati. Al mattino i due escono insieme per anda-re all’approdo del battello dei volontari. Si salutano in mezzo allagente, sullo sfondo del lago e del battello a vapore, carico di sol-dati che cantano in coro. Mentre gli amici la salutano, Francobacia Luisa sussurrandole: «Che Dio ti benedica». Quando salesul battello per raggiungere i suoi, una vecchietta grida:«Ricordatevi della Madonna». Questi due richiami così ravvicina-ti alla religione non sembrano turbare però Luisa, mentre i volon-tari cominciano a cantare: «Addio mia bella addio/ che l’armata sene va/ e se non partissi anch’io/ sarebbe una viltà». In primo pianoFranco canta: «Ma non ti lascio sola/ma ti lascio un figlio ancor/viva l’amor!/ Sarà quel che ci consola/ il figlio dell’amor». Unprimo piano di Luisa, che sorride tra le lacrime, conferma il mes-saggio implicito nel testo della canzone: l’annunciazione di unapossibile gravidanza. All’inquadratura del battello che si allonta-na, segue di nuovo il primo piano di Luisa, che viene coperto dallascritta ‘fine’.

Per quanto molti di questi elementi narrativi siano presenti nellibro, questa scena si discosta non solo per la microcronologia dalromanzo e, pur non snaturando il senso del finale, ne muta inparte il segno. In proposito sono particolarmente significativealcune varianti di sceneggiatura: nel romanzo lo zio Piero accom-pagna Luisa e condivide con lei, in parte, questa tappa; la donnavede i militari che cantano sul battello a vapore prima di arrivaresull’isola e non alla partenza di Franco; a Isolabella inoltre sonopresenti anche i militari, colleghi di Franco, mentre nel film lacoppia è da sola ad affrontare la crisi. Ma soprattutto, invece chefinire sul volto di Luisa, sul nuovo mondo, sulla speranza di unanuova vita, il romanzo finisce con la morte dello zio Piero, con lospegnersi del piccolo mondo antico.

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L’assenza, in questa scena del film, dello zio Piero e degli amicirende più intimo il recupero del rapporto di coppia tra Franco eLuisa, pur sposandosi alla causa nazionalista, dato che la possibi-le gravidanza viene suggerita dal testo della canzone patriotica.Mentre il romanzo termina con una morte, il film si chiude con unmovimento verso la maturità di Franco, reso uomo dal suo impe-gno in guerra, e con un’accettazione ritrovata del ruolo maternoda parte di Luisa.

Verrebbe da dire: Dio, patria e famiglia. Ma la regia di Soldatinon produce affatto questa sintesi retorica. Gli spazi aperti dellago, la modernità del battello a vapore che trasporta i soldati,l’energia che sprigiona dalla passione ritrovata della coppia, la sot-tigliezza con cui si evoca la possibile nuova maternità, la coralitàdella scena, ma soprattutto la sobrietà del montaggio e dell’inter-pretazione di Alida Valli, rendono la sequenza un bel finale perquello che potrebbe essere, cinematograficamente, il Via col vento(Gone with the Wind, di Victor Fleming, 1939) italiano.

Il lago diventa perciò nel finale del film lo spazio del futuro, delcambiamento, mentre i ruoli, rispetto all’inizio della pellicola, sisono ribaltati: Luisa è ferma sulla riva mentre Franco si muove colbattello; ma soprattutto le loro vite si intrecciano con la Storia,anche se non si nomina il nemico o la guerra che si va a combat-tere; o forse proprio per questo.

Che guerra è questa? Certo, la seconda guerra di indipendenza,ma siamo nel 1941, quindi è anche la guerra appena dichiaratadall’Italia, oppure, con un piccolo, ma significativo scarto, la prefigu-razione di Salò o forse meglio, della guerra di liberazione. Soldati‘interiorizza’ il sentimento patriottico, facendone il collante della rela-zione tra Franco e Luisa e legandolo, attraverso l’inno risorgimenta-le, in modo diretto, alla nuova gravidanza, aprendosi così alla spe-ranza e a una possibile palingenesi nazionale, con un pianto di cautasperanza per un mondo nuovo, non ancora all’orizzonte. È un altro‘vento del Nord’ che ci sembra di respirare in questo finale; e la cita-zione non è casuale né solo fogazzariana, ma legata a quella speranzadi rinnovamento, a quella irrequietezza che serpeggia di lì a poco nelpaese, ma che inizia cautamente ad emergere in anticipo nel mondodel cinema, che sviluppa il suo antifascismo anche a partire dal dibat-tito su temi e motivi di Piccolo mondo antico.

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