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1 Appunti di piemontese Presento qui, sperando che possano essere d’interesse per un pubblico più vasto, una prima rielaborazione delle dispense preparate nel corso dell’anno accademico 2015 - 2016 per il primo Laboratorio di piemontese attivato presso l’Un iversità degli Studi di Torino (Dipartimento di Studi Umanistici, corso di laurea magistrale in Scienze Linguistiche). Si tratta di nove capitoli dedicati a diversi specifici argomenti: i. un inquadramento del piemontese e delle sue subvarietà dialettali, ii. gli usi scrittori del piemontese nella storia, iii. una presentazione della grafia “Pacotto-Viglongo” utilizzata durante le attività didattiche, iv. una serie di esercizi di riconoscimento delle subvarietà attraverso la presentazione di alcuni esempi letterari novecenteschi (perlopiù in poesia), v. gli articoli e i classificatori, vi. i nomi e gli aggettivi, vii. i promomi (con particolare riferimento alla vexata quaestio dei clitici soggetto), viii. il sistema verbale e le sue partizioni morfologiche, ix. la negazione e la sua storia. Mi rendo ben conto che si tratta di un lavoro ancora parziale, al quale andrebbero apportate numerose modifiche e che soprattutto andrebbe completato ed armonizzato. Nondimeno, mi sembra che ci possano essere degli spunti di curiosità intellettuale utili per ulteriori indagini e ricerche. Spero quindi di ricevere critiche, osservazioni e suggerimenti al mio indirizzo di posta elettronica [email protected] oppure [email protected] .

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Appunti di piemontese

Presento qui, sperando che possano essere d’interesse per un pubblico più vasto, una

prima rielaborazione delle dispense preparate nel corso dell’anno accademico 2015-

2016 per il primo Laboratorio di piemontese attivato presso l’Università degli Studi

di Torino (Dipartimento di Studi Umanistici, corso di laurea magistrale in Scienze

Linguistiche).

Si tratta di nove capitoli dedicati a diversi specifici argomenti:

i. un inquadramento del piemontese e delle sue subvarietà dialettali,

ii. gli usi scrittori del piemontese nella storia,

iii. una presentazione della grafia “Pacotto-Viglongo” utilizzata durante le attività

didattiche,

iv. una serie di esercizi di riconoscimento delle subvarietà attraverso la

presentazione di alcuni esempi letterari novecenteschi (perlopiù in poesia),

v. gli articoli e i classificatori,

vi. i nomi e gli aggettivi,

vii. i promomi (con particolare riferimento alla vexata quaestio dei clitici

soggetto),

viii. il sistema verbale e le sue partizioni morfologiche,

ix. la negazione e la sua storia.

Mi rendo ben conto che si tratta di un lavoro ancora parziale, al quale andrebbero

apportate numerose modifiche e che soprattutto andrebbe completato ed armonizzato.

Nondimeno, mi sembra che ci possano essere degli spunti di curiosità intellettuale

utili per ulteriori indagini e ricerche. Spero quindi di ricevere critiche, osservazioni e

suggerimenti al mio indirizzo di posta elettronica [email protected] oppure

[email protected].

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Capitolo 1

Introduzione al piemontese

1. Il piemontese: delimitazione dell’oggetto di studio

Definire il concetto di “piemontese” può risultare meno facile e immediato di quanto

sembri a prima vista. Un abitante di Venasca e uno di Trino Vercellese, un astigiano e

un eporediese daranno probabilmente questa etichetta al proprio dialetto (Regis

2012d: 315), ma è un dato incontrovertibile che le loro varietà sono abbastanza

distinte l’una dall’altra. Esse sono, a loro volta, entrambe diverse da un terzo oggetto,

il piemontese illustre (o comune, o koinè, o parlé da bin) che per almeno due secoli è

sempre rimasto come una sorta di presenza incombente su chiunque percepisse la

propria lingua come piemontese o sentisse di far parte di una comunità che aveva il

piemontese nel proprio repertorio linguistico.

1.1 Lingue e dialetti del Piemonte

Non si può nemmeno dire, semplicemente, che il piemontese sia l’insieme dei dialetti

parlati in Piemonte. All’interno della regione esistono infatti aree i cui parlanti usano

varietà manifestamente non piemontesi: tanto per citare un paio di esempi, gli abitanti

delle medie/alte valli occitane in provincia di Cuneo e di Torino, oppure gli

ormeaschi che in alta valle Tanaro parla(va)no una varietà eccentrica riconducibile

allo spazio linguistico ligure occidentale. Ebbene, anche costoro non hanno troppe

esitazioni a riconoscere come piemontese una parlata che, discostandosi della loro, si

avvicini in qualche modo a una sorta di varietà “mediana” che forse è ancora

inconsapevolmente costituita dalla koinè. È certo tuttavia che questa koinè è stata

considerata «un modello di neutralità strutturale e sociolinguistica» (Regis 2012c: 93)

fino alla grande crisi “centrifuga” che a partire dagli anni Settanta del Novecento ha

visto proliferare la produzione letteraria (ma anche lessicografica) in varietà

piemontesi periferiche, a scapito appunto di quella in koinè. Della questione avremo

occasione di riparlare più avanti, facendo riferimento ad alcuni studi sull’argomento.

Per ora, cerchiamo di circoscrivere e identificare con esattezza l’oggetto del nostro

corso.

Il verbo “circoscrivere” rende bene il concetto che del piemontese offre Telmon, sia

nella sua presentazione del 1988 sia in quella del 2001: in entrambe, infatti, egli

procede dapprima ad escludere le varietà che, pur parlate sul territorio amministrativo

della regione Piemonte, non possono essere definite piemontesi in base alle loro

caratteristiche fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali. Così, anche per ragioni

storico-politiche che vengono ampiamente illustrate da Telmon (2001: 3-28), la

situazione linguistica presenta «un sostanziale restringimento dei dialetti che

potremmo definire piemontesi alla sola area centrale della regione e ad un

complementare orientamento di tutte le aree periferiche verso abitudini e fatti

linguistici esterni» (Telmon 1988: 469-470). Così, com’è noto in Piemonte sono

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presenti vere e proprie eteroglossie. Poche di esse, sostanzialmente solo quelle walser

del Piemonte settentrionale (Telmon 2001: 44-45) sono orientate su modelli esterni

allo spazio linguistico romanzo1. Le eteroglossie numericamente più consistenti sono

quelle orientate su modelli linguistici galloromanzi, ossia il francoprovenzale a nord

e l’occitano a sud, che occupano praticamente l’intero arco alpino occidentale dalla

valle d’Aosta fino alla val Vermenagna (Telmon 2001: 46-48) e estendono forse

ancora più a est le tracce della propria influenza. Ovviamente, trattandosi in questi

casi di eteroglossie genealogicamente imparentate con il piemontese (e con il ligure)

è possibile trovare varietà di transizione o d’incerta classificazione, come il kje delle

valli monregalesi che dopo decenni di dibattito si tende oggi a considerare parte

integrante, ancorché fortemente eccentrica, dello spazio linguistico piemontese

(Miola 2013).

Non vengono invece considerate parlate alloglotte le varietà diverse dal piemontese

ma comunque classificabili come galloitaliche (Telmon 2001: 48-53), ben presenti

sul territorio piemontese sia sotto forma di varietà lombarde, sia sotto forma di

varietà liguri e – in misura molto minore – emiliane. Ancor più che nel caso

dell’occitano e del francoprovenzale, i confini fra il piemontese e le diverse varietà

galloitaliche sono estremamente sfumati e non è fuori luogo stabilire, ad esempio, dei

veri e propri gradienti di ligusticità nelle parlate dell’alto Monregalese. Ma questi

dialetti di transizione sono ancora da considerare piemontesi, oppure no?

1.2: piemontese e piemontesi

Se la risposta è negativa, l’area dove effettivamente si parla il piemontese appare

davvero molto ristretta. E oltretutto l’uso del termine “piemontese” potrebbe essere

foriero di equivoci, almeno secondo Telmon (2001: 54) che preferisce usare

l’aggettivo “pedemontano” (risalente peraltro a Biondelli 1853: 171) per l’insieme

delle varietà riconoscibili come effettivamente “piemontesi”, riservando l’uso di

quest’ultimo glottonimo solo alla lingua modellata sul torinese, ossia la koinè che per

tantissimi anni come si è detto ha costituito una sorta di lingua franca regionale per

(quasi) tutti gli abitanti del Piemonte, indipendentemente dalla loro L1. In questo

senso, il piemontese (inteso come koinè a base torinese) è penetrato ampiamente ben

oltre la sua area di diffusione originaria, divenendo la lingua di uso quotidiano per i

principali centri urbani della regione (Susa, Ivrea, Lanzo, Pinerolo, Cuneo) e

soppiantando le varietà locali precedenti da cui pure ha attinto alcune caratteristiche

intonative, fonetiche, morfologiche e lessicali che hanno dato vita ad altrettanti

dialetti locali comunque riconoscibili (si pensi a Saluzzo e allo shibboleth delle sue

desinenze in –es per la seconda singolare dei verbi, o all’uso di cora al posto di

quand alla periferia di Cuneo). Molto simili al piemontese di koinè sono poi i dialetti

alto-piemontesi, che occupano l’intera fascia estesa a nord di Torino fino al Canavese

e a sud fino a Saluzzo, Cuneo e Fossano. A proposito di Fossano, è notevole la

1 Ai Walser andranno senz’altro aggiunti i Sinti piemontesi, il cui codice linguistico tradizionale è una varietà di romanī,

ossia una lingua neo-indiana. Quale sia l’effettiva competenza di questa lingua fra i Sinti piemontesi del XXI secolo è

questione ampiamente dibattuta. Certamente essa resta come una sorta di repertorio lessicale da cui attingere anche per i

Sinti che, conservando una competenza passiva della romanī, usano invece il loro peculiare piemontese sinto come L1.

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presenza di un confine naturale costituito dal fiume Stura: sulla riva sinistra della

Stura i dialetti sono di tipo alto-piemontese, sulla riva destra no (appartengono infatti

alle varietà di tipo langarolo oppure al tipo monregalese rustico).

L’intercomprensione reciproca è ovviamente pressoché totale, ma le caratteristiche

soprattutto intonativo-fonologiche sono sensibilmente diverse e immediatamente

individuabili dai parlanti. D’altra parte, l’area di estensione delle varietà classificabili

come “alto-piemontesi”, sebbene ristretta in senso longitudinale, va da Lanzo (a

Nord) fino all’area circostante Cuneo (a sud) perciò inevitabilmente presenta

soluzioni spesso divergenti al proprio interno (Telmon 2001: 70-72). Le parlate che

possiamo definire alto-piemontesi peraltro spesso appaiono in continuità con le altre

subvarietà di piemontese immediatamente confinanti, ossia:

a) il canavesano, a nord (Telmon 2001: 76-77);

b) il biellese, a nordest (Telmon 2001: 77-78);

c) il vercellese, sempre a nordest (Telmon 2001: 79) ;

d) il monferrino (Telmon 2001: 71-74), a est; a questa subvarietà possono essere

in qualche modo ascritti (ma in Telmon 2001 non se ne parla) il dialetto parlato

dagli Ebrei piemontesi, ormai estinto (Duberti/Miola/Milano 2015), e quello

parlato dai Sinti (Duberti 2010; Scala 2012), ancora vivissimo nelle nutrite

comunità della regione;

e) il langarolo (Telmon 2001: 75-76), sempre a est;

f) il monregalese a sud/sudest (Telmon lo considera parte del langarolo, ma ha

caratteri propri che ne fanno una sorta di transizione fra langarolo e alto-

piemontese. Le sue caratteristiche, descritte in Billò et alii 2003, sono ben

delineate in Regis 2015)

Non sono direttamente confinanti con l’alto-piemontese il valsesiano (descritto in

Telmon 2011: 79-80) e l’alessandrino (Telmon 2001: 74-75), che comunque hanno

subito in qualche modo l’influsso della koinè nel corso dell’Ottocento almeno fino

alla metà del Novecento.

La suddivisione dei dialetti del Piemonte che ho appena presentato è quella di

Telmon 2001. Essa non coincide del tutto con l’articolazione di Berruto (1974: 12-

13) che invece proponeva una classificazione di questo tipo

a) piemontese (=torinese);

b) varietà del piemontese:

a. canavese;

b. biellese;

c. langarolo-monferrino;

d. alto-piemontese;

c) provenzale alpino; non ci interessa, come è ovvio, in questa sede;

d) franco-provenzale alpino, anch’esso estraneo ai nostri specifici interessi,

suddiviso in:

a. franco-provenzale delle valli piemontesi;

b. franco-provenzale della Valle d’Aosta;

e) zone intermedie:

a. vercellese (piemontese + lombardo);

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b. alessandrino (piemontese + lombardo + emiliano + ligure);

c. fascia meridionale del Piemontese (piemontese + ligure)

f) zone non piemontesi:

a. novarese e Ossola (lombardo);

b. colonie alloglotte.

Le differenze sono evidenti e appaiono legate sia alla diversa epoca in cui i due

schemi classificatori sono stati proposti (dal 1974 al 2001 le ricerche sulle varietà del

Piemontese si sono ovviamente moltiplicate) sia agli orientamenti personali dei due

Autori. In realtà, ad un’analisi più attenta le divergenze si mostrano meno

significative di quanto appaiano a prima vista: sia Berruto (1974) sia Telmon (2001)

infatti concordano nel riservare solo a un’area geografica estremamente ristretta la

“patente” di piemontesità, che per Berruto si concentra nelle varietà rubricate sub b),

ossia sostanzialmente l’alto-piemontese, il canavesano, il biellese, il langarolo e il

monferrino. Le altre varietà (vercellese, ecc.) sarebbero sostanzialmente delle varietà

miste in cui cominciano a prevalere gli orientamenti esterni che anche Telmon

identifica come preponderanti nelle aree marginali della regione. Portando alle

estreme conseguenze questo ragionamento, tuttavia, si finirebbe con il considerare

piemontese solo l’insieme delle varietà alto-piemontesi poiché le varietà canavesane

presentano tratti che possono essere ricondotti da un lato alle parlate franco-

provenzali, dall’altro a quelle lombarde (Telmon 2001: 76) e allo stesso modo i tratti

“già” liguri sono decisamente pervasivi in molte varietà langarole e monregalesi. Lo

studio dei (pochi) testi del passato come le Canzoni torinesi studiate da Clivio 1974

(e poi da Regis 2012) attestano che almeno una parte dei tratti “extrapiemontesi”

presenti nelle varietà periferiche era in realtà presente nel dialetto della stessa Torino

(o almeno nella sua varietà diastraticamente più bassa) immediatamente prima della

formazione di quella koinè primaria secentesca da cui nel Settecento è stato poi

investito e rimodellato l’intero panorama linguistico regionale (Regis 2012b).

Nella tabella 1.1 propongo una classificazione delle varietà piemontesi che

riprendendo quelle appena presentate cerca tuttavia di sistematizzarne le articolazioni

anche sulle base di studi più recenti. Nella tabella non sono comprese le varietà

normalmente considerate alloglotte. Se l’esclusione è facile da giustificare per i pochi

esempi di lingue indoeuropee ma non romanze attestate in Piemonte (in sostanza,

solo i dialetti dei Walser appartenenti al ramo germanico e il dialetto neo-indiano dei

Sinti), l’esclusione risulta potrebbe apparire meno facile da spiegare per alcune

specifiche varietà riconducibili al novero dei dialetti occitani o francoprovenzali. In

molti di essi infatti la presenza di elementi fonetici, morfologici e sintattici comuni

con il piemontese è veramente significativa sicché la distanza strutturale dai

confinanti dialetti alto-piemontesi o canavesani appare veramente minima. D’altra

parte, alcune delle subvarietà che ho inserito nella tabella hanno in sé molte

caratteristiche in comune con le confinanti varietà gallo-romanze: il canavesano con

il francoprovenzale, i dialetti alto-piemontesi dell’area saluzzese e cuneese con

l’occitano. I dialetti dell’area della Bisalta, poi, hanno conosciuto come il kje (ma con

minori ragioni) tentativi di classificazione nell’ambito delle varietà galloromanze, che

non reggono alla prova dei fatti ma attestano indubbiamente un’evidenza di scambi e

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di contatti intensi. A sé, come già detto, sta appunto il kje (ossia il monregalese

alpino) che è oggi indubbiamente orientato in senso piemontese, ma sulla cui

classificazione in diacronia è comunque legittimo nutrire parecchi dubbi.

Non sono però i dialetti periferici quelli che ci interessano in questo specifico

contesto. Come si può notare, nella tabella alla koinè finisce per essere assegnato un

ruolo anche visivamente centrale, che rispecchia il suo ruolo storico nella

configurazione del panorama linguistico regionale.

Tabella 1.1 classificazione dei dialetti piemontesi

Dialetti di transizione (piemontese / lombardo)

Ossolano

Novarese

Lomellino

Piemontese nord-orientale

Valsesiano

Vercellese

Biellese

Canavesano

Piemontese occidentale

Koinè Torino

Alto-piemontese

Lanzo

Susa

Pinerolo

Saluzzo

Cuneo

Bisalta

Boves

Peveragno

Chiusa Pesio

Piemontese sud-orientale

Monregalese

Monregalese urbano

Monregalese rustico

Monregalese alpino

Alto-monregalese

Langarolo

Alto-langarolo

Basso-Langarolo

Monferrino

Alto-Monferrino

Basso-Monferrino

Sinto-piemontese

(Giudeo-piemontese)

Alessandrino

Dialetti di transizione (piemontese / lombardo / ligure / emiliano) Tortonese

Vogherese

Dialetti di transizione (piemontese / ligure)

Novese

Ovadese

Valbormidese

Garessino e Priolese

Ormeasco

Brigasco

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La classificazione presentata in questa tabella non corrisponde nemmeno a quella

recentissimamente proposta da Ronco (2015), di cui è opportuno in particolare

segnalare in particolare (Ronco 2015: xxxiv) i criteri suggeriti per la delimitazione

dei confini linguistici fra piemontese e varietà galloromanze, lombarde e liguri: criteri

sui quali sarebbe interessante impostare una discussione di ampio respiro. Va da sé

che la nostra classificazione parte da un punto di vista marcatamente piemontese,

perché è ovvio che le varietà di transizione come il lomellino e il vogherese, il

valbormidese e l’ormeasco potrebbero essere considerate altrettanto legittimamente

come parte dello spazio linguistico rispettivamente lombardo e ligure.

1.3: il piemontese che studieremo

Sarà comunque la koinè l’oggetto del presente corso. In altri termini, pur tenendo

presente l’estrema variabilità non solo diatopica dell’oggetto linguistico etichettabile

come “piemontese”, nel presentarne alcune caratteristiche fonetiche, morfologiche e

(in misura minore) sintattiche faremo sempre riferimento alla koinè di tipo torinese.

Si tratta in qualche modo di una scelta obbligata, dettata da almeno tre ragioni

fondamentali:

a) come già si è detto, la koinè si è imposta a partire dal Settecento come la

lingua non ufficiale dello Stato sabaudo o almeno un middle language di rango

superiore rispetto ai singoli dialetti locali (Parry 1997: 237) e infatti «la

coincidenza fra piemontese e torinese emerge […] in modo inequivocabile sin

dai primi tentativi di codificazione (cfr. Pipino 1783a, b)» (Regis 2012c: 85);

così, fin verso la metà del XX secolo «piemontese e torinese si identificano, e

lo specchiarsi dell’uno nell’altro è tanto ovvio da non richiedere spiegazioni di

sorta» (ibidem);

b) di conseguenza, fin dalla pionieristica opera di sistematizzazione grammaticale

e lessicografica del medico di corte Maurizio Pipino (Pipino 1783a, 1783b), le

grammatiche e i vocabolari di piemontese hanno preso ad oggetto

esclusivamente la koinè di tipo torinese. La situazione, come nota Regis

(2012c: 100-101), è radicalmente mutata a partire dagli anni Ottanta del

Novecento e anzi nel decennio 2001-2010 appare capovolta, poiché a fronte di

4 soli lavori dedicati alla koinè se ne registrano ben 10 incentrati su varietà

periferiche. Tuttavia, rimane innegabile che le opere grammaticali e

lessicografiche dedicate alla koinè conservano almeno nel loro complesso la

maggioranza relativa e soprattutto sono in genere quelle che hanno un respiro

più ampio e maggiori ambizioni di completezza quando non di vera e propria

normatività linguistica;

c) fino agli anni Settanta del XX secolo, la maggior parte degli scrittori che hanno

deciso di scrivere in piemontese ha avuto la koinè come varietà di riferimento,

sicché è legittimo considerarla come il modello di lingua letteraria dialettale

del Piemonte ed è certamente un modello – negativo – anche per i numerosi

8

poeti che negli ultimi decenni si sono decisamente orientati verso l’uso delle

proprie varietà native periferiche.

9

Bibliografia

BERRUTO, GAETANO (1974), Piemonte e Valle d’Aosta, Pacini, Pisa;

BILLÒ, ERNESTO ET ALII (2003), Paròle nòstre. Il dialetto ieri e oggi nei paesi del Monregalese, CEM, Mondovì;

BIONDELLI, BERNARDINO (1853), Saggio sui dialetti gallo-italici, Bernardoni, Milano (ristampa anastatica Forni,

Bologna, 1988);

CLIVIO, GIANRENZO P. (1974), Il dialetto di Torino nel Seicento. Parte I, in “L’Italia dialettale”, 27, pp. 1-103;

DUBERTI, NICOLA (2010), Trin kamlé tikné: studenti sinti a Rocca de’ Baldi (Cuneo), in BALI “Bollettino dell’Atlante

Linguistico Italiano”, III serie, 34 (2010), pp. 37-78

DUBERTI, NICOLA/MIOLA, EMANUELE/MILANO, MARIA TERESA (2015), A linguistic sketch of Judeo-Piedmontese and

what it tells us about Piedmontese Jews’ origins, in “Zeitschrift für Romanische Philologie”, 131(4), pp. 1042-1064

PIPINO, MAURIZIO (1783a), Gramatica piemontese, Reale Stamperia, Torino;

PARRY, MAIR (1997), Piedmont, in MAIDEN, MARTIN/PARRY, MAIR, edited by (1997), The Dialects of Italy, Routledge,

London-New York, pp. 237-244;

PIPINO, MAURIZIO (1783b), Vocabolario piemontese, Reale Stamperia, Torino;

REGIS, RICCARDO (2012a), Su pianificazione, standardizzazione, polinomia: due esempi, in “Zeitschrift für Romanische

Philologie”, 128/1, pp. 88-133;

REGIS, RICCARDO (2012b), Koinè dialettale, dialetto di koinè, processi di koinizzazione, in “Rivista Italiana di

Dialettologia”, 35, 2012, pp. 7-36;

REGIS, RICCARDO (2012c), Centro/periferia, Torino/Mondovì, in Duberti, Nicola/Miola, Emanuele, a cura di, Alpi del

Mare tra lingue e letterature. Pluralità storica e ricerca di unità, Edizioni dell’Orso, Alessandria, pp. 85-106;

REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë

Studi Piemontèis, Torino;

RONCO, GIOVANNI (2015), La situazione linguistica del Piemonte, in REP (2015), pp. xxxiii-xxxiv;

REGIS, RICCARDO (2012d), Verso l’italiano, via dall’italiano: le alterne vicende di un dialetto del Nord-ovest, in

TELMON, TULLIO/RAIMONDI, GIANMARIO/REVELLI, LUISA, a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e

postunitaria, Bulzoni, Roma, 2012, pp. 307-318;

REGIS, RICCARDO (2015), Dal dialetto di koinè al dialetto rustico: itinerari (socio)linguistici nella poesia di Remigio

Bertolino, “Rivista Italiana di Linguistica e Dialettologia”, XVII, 2015, pp. 71-95;

RUBAT BOREL, FRANCESCO/TOSCO, MAURO/BERTOLINO, VERA (2006), Il piemontese in tasca, Assimil, Chivasso (TO);

TELMON, TULLIO (1988), Italienisch: Areallinguistik II. Piemont. Aree linguistiche. II. Piemonte, in Lexicon der

Romanistischen Linguistik, Band/Volume IV Italienisch, Korsisch, Sardisch / Italiano, Corso, Sardo, Max Niemeyer

Verlag, Tübingen, 469-485;

TELMON, TULLIO (2001), Piemonte e Valle d’Aosta, Editori Laterza, Roma-Bari.

10

Capitolo 2

Il piemontese come lingua scritta

Siamo così venuti, quasi senza accorgercene, a parlare degli usi letterari del

piemontese. Altri usi scritti sono abbastanza rari ed occasionali. Il piemontese, ad

esempio, non è mai stato utilizzato per promulgare leggi o emettere sentenze: infatti,

per questi ambiti d’uso lo Stato Sabaudo ha continuato a servirsi del latino fino alla

metà del XVI secolo sostituendolo poi tra il 1560 e il 1651 (Ronco 2015: xxxii) con il

francese e il toscano. In altri termini, anche nel periodo della sua massima diffusione

il piemontese non ha mai rivestito il ruolo di lingua scritta ufficiale.

Copiosissima, invece, è la messe di testi scritti in piemontese con intenti letterari. Ne

dà una «rapidissima carrellata storica» Telmon (2001: 100-132), che prende però in

considerazione l’intera area geografica delle due regioni amministrative Piemonte e

Valle d’Aosta, comprendendo pertanto nella sua trattazione anche varietà non

pedemontane. Esclusivamente incentrata sulle varietà linguistiche piemontesi – anzi,

sulla koinè di tipo torinese – è invece Brero (1975), breve opera di sintesi a cui fa da

contraltare la successiva monumentale storia letteraria rappresentata da Brero (1981-

83), nella quale le testimonianze letterarie periferiche occupano uno spazio

decisamente rilevante sebbene la koinè vi svolga un ruolo preponderante. Da essa –

in particolare dal terzo volume dedicato al Novecento (Brero 1983) – sono stati attinti

molti degli esempi utilizzati in questo corso.

Non giunge invece oltre il 1927 Clivio (2002), mentre si arresta alla fine

dell’Ottocento il progetto antologico costituito da Gasca Queirazza/Clivio/Pasero

(2003) e Clivio/Pasero (2004), che della storia letteraria scritta da Clivio vogliono

essere parte integrante. C’è forse anche una motivazione editoriale per

quest’apparente vuoto storiografico: in realtà la stessa Ca dë Studi Piemontèis, che ha

edito agli inizi del terzo millennio i tre volumi del progetto coordinato da Clivio,

aveva già pubblicato poco più di dieci anni prima un’opera come Tesio/Malerba

(1990), che si distingue per la profondità e la completezza con cui tratta la letteratura

piemontese del Novecento, esclusi ovviamente gli autori che hanno esordito negli

ultimi anni del secolo scorso. Il vuoto, dunque, riguarda solo la prosa del Novecento,

fenomeno interessante ma certamente minoritario sia rispetto al secolo precedente sia

rispetto al peso della contemporanea produzione poetica novecentesca. Per chi fosse a

interessato a una discussione sul ruolo della prosa nella promozione del piemontese

come lingua letteraria matura e “forte” segnalo Viglongo (1980), che esprime una

posizione ideologica certamente minoritaria ma non aliena da alcuni orientamenti

rimasti vivi sottotraccia negli ambiti piemontesisti.

11

Bibliografia

BRERO, CAMILLO (1975), Le magnifiche vos dla leteratura piemontèisa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino;

BRERO, CAMILLO (1981-1983), Storia della letteratura piemontese. Primo, secondo e terzo volume, Editrice Piemonte

in Bancarella, Torino;

BRERO, CAMILLO (1983), Storia della letteratura piemontese. Terzo volume (Sec. XX), Editrice Piemonte in Bancarella,

Torino;

CLIVIO, GIANRENZO P. (2002), Profilo di storia della letteratura in piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi

Piemontèis, Torino;

CLIVIO, GIANRENZO P./PASERO, DARIO (2004), La letteratura in piemontese dalla stagione giacobina alla fine

dell’Ottocento. Raccolta antologica di testi, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi Piemontèis, Torino;

GASCA QUEIRAZZA, GIULIANO/CLIVIO, GIANRENZO P./PASERO, DARIO (2003), La letteratura in piemontese dalle

origini al Settecento. Raccolta antologica di testi, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi Piemontèis, Torino;

REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë

Studi Piemontèis, Torino;

RONCO, GIOVANNI (2015), Introduzione in REP, pp. xxxi-xxxii

TELMON, TULLIO (2001), Piemonte e Valle d’Aosta, Editori Laterza, Roma-Bari;

TESIO, GIOVANNI/MALERBA, ALBINA (1990), Poeti in piemontese del Novecento, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi

Piemontèis, Torino.

VIGLONGO, ANDREA (1980), Aspetti attuali della coesistenza piemontese-italiano, in AA.VV, Conoscere il piemontese,

A. Viglongo & C. Editori, Torino, pp. 5-38;

12

Capitolo 3

Una grafia consolidata: la Pacotto-Viglongo o grafia dij Brandé

È esperienza quotidiana l’incontro con brevissimi testi in piemontese scritti in modo

impressionistico e variamente fantasioso su menù di pizzerie, insegne di negozi,

cartelloni pubblicitari, manifesti di Pro Loco, o anche in ambiente digitale (sms, stati

di Facebook, twit…).

13

Questa esperienza rafforza il pregiudizio da cui nasce, ossia che il piemontese non

abbia una grafia di riferimento e perciò sia di default una lingua non scritta e

sostanzialmente non scrivibile. Vediamo ancora qualche esempio:

Franco Disraeli Madosca, jeu n'cu adess i granet!!!

circa un'ora fa · Mi piace

Domenico Ramazza ...ru cred..... dop chi jei vagna us torneo a Mundvì stan dur bele sodisfasiun vri pijj... Ah, ah,

ah.......

Franco Disraeli Boia fauss... suma rivà prim!!!

circa un'ora fa · Mi piace

Alessandra Abbastanza occorre ricordare che Obama, prima di essere un nero e un democratico, è un americano. quindi... es peu

nen gavè el sangu da 'na rava...

Mi piace · · circa un'ora fa ·

MANO ARMATA 11 settembre 2013 alle ore 0.52

Un’altra storia che vale la pena di essere raccontata è quella di Cacchèn e della sua tentata rapina a

mano armata: “ Sc-te fevmi e mani in alto, altvimenti av sc-pov “ ( “ State fevmi e mani in alto,

altvimenti vi spavo “ ).

Il giorno dopo era già in galera (in galeva), Cacchèn dall’erre moscia, rapinatore dialettale inutilmente

mascherato nel negozio sotto casa.

Paolo Boas

O sarà poeu bèn brut adèss, Caciula, traversé 'l campagne 'd Pojòla sensa avèj la gòj e la pau 'd scontré-te!

14

Un marasma grafico – o forse no, perché alcune costanti sono individuabili. Certo

appare una situazione priva di qualsiasi regola minimamente condivisa.

La realtà è storicamente diversa, sebbene certo la grafia del piemontese non abbia

mai raggiunto un grado di consolidata stabilità come quella dell’italiano o del

francese. Almeno a partire dal Settecento, infatti, è possibile individuare alcune linee

di tendenza che però solo negli anni Trenta del XX secolo hanno trovato una loro

sistematizzazione nell’opera di Giuseppe Pacotto (Pinin Pacòt) e un’applicazione

pratica coerente a cura dell’editore torinese Andrea Viglongo divenuto per sua

esplicita volontà un vero e proprio organizzatore culturale. La grafia di Pacotto,

accolta da Viglongo, fu negli anni immediatamente successivi sottoposta ad alcune

piccole modifiche finalizzate a correggere le incoerenze e le lacune lasciate durante

l’elaborazione della grafia. I responsabili di queste modifiche furono i poeti e gli

scrittori appartenenti alla Companìa dij Brandé, il movimento letterario creato

proprio da Pinin Pacòt. Ecco perché è possibile trovare per questo sistema grafico

entrambe le denominazioni, grafia Pacotto-Viglongo ovvero grafia dei Brandé: l’una

e l’altra sono accettabili e recano in sé l’indicazione dell’effettiva paternità della

grafia.

Prima di esaminare la grafia dei Brandé nei dettagli, con l’aiuto della tabella ?, è

corretto ricordare che essa non è l’unica grafia del piemontese ma è «fino ad oggi, la

più utilizzata da chi opera nel circuito piemontesista» (Regis 2012: 308).

Un’interessante e documentatissima panoramica dei sistemi scrittori utilizzati per

rappresentare i suoni del piemontese (a partire dalla sistematizzazione settecentesca

di Pipino) è costituita dal recente Ronco (2015), che conclude il suo documentato

excursus storico con la più recente delle riforme ortografiche propugnate in ambito

piemontesista. Infatti, nell’ultimo decennio del XX secolo è stato proposto «un

sistema ortografico definito dall’ideatore Bruno Villata “grafia antërnassiunal” e

altrove “grafia ünica” e “grafia mincadì”» (Ronco 2015: lx). Lo scopo dichiarato di

questa riforma è quello di venire incontro alle esigenze di coloro che parlano (e

intendono scrivere) il piemontese in contesto anglofono o ispanofono, nonché dei

locutori di varietà periferiche caratterizzate da sistemi fonologici difficili da

rappresentare graficamente con i grafemi della Pacotto-Viglongo inventati per la

koinè. La grafia di Villata è stata ulteriormente modificata e resa coerente da Enrico

Eandi, tenendo presenti le esigenze di un pubblico ormai maggioritariamente

scolarizzato in lingua italiana. Se ne possono trovare esempi sul sito dalla Fundassiun

cultüral piemunteisa “Savej”, che in grafia dei Brandé sarebbe Fondassion coltural

piemontèisa “Savèj”. Un’interessante comparazione delle due grafie in competizione

– Pacotto/Viglongo e Villata/Eandi – si trova in Regis (2012), mentre più

recentemente si è occupato del problema Miola (2015), con un orientamento

pianificatorio. In questo contesto, per le finalità didattiche del nostro corso, adottiamo

programmaticamente la grafia Pacotto/Viglongo, in cui sono riportati tutti gli esempi

che ci servono. Ci discostiamo dagli usi del REP (2015), invece, per la trascrizione in

IPA che spesso affiancherò alla trascrizione ortografica.

15

vocali consonanti

semivocali e

semiconsonanti esempi

in

posizione

tonica

in

posizi

one

atona

a /a/,/ɒ/ /a/ ca, vaca

b /b/ baraca

c

/ʧ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,

<è>, <ë>, <i>) cesa, ciresa

/k/ davanti a vocali centrali o posteriori

(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)

castel, còj,

curé

ci

/ʧ/ davanti a vocali centrali o posteriori

(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)

ciadel, ciò,

ciusa

cc

/ʧ/ in finale di parola o (raro) davanti a

consonante

contacc!,

marcc-rai

ch

/k/ davanti a vocali anteriori (<eu>,

<e>, <è>, <è>, <ë>, <i>) o in fine di

parola

cheur, chërde,

brich

d /d/ dé

e /ɛ/, /e/ /ɛ/, /e/ adess, anel, re

é /e/ fé, pijé

è /ɛ/, /æ/ stèila, vers

ë /ə/ /ə/ stërmé

eu /ø/, /œ/ feu, cheussa

f /f/ fior

g

/ʤ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,

<è>, <ë>, <i>) gentil, gir

/g/ davanti a vocali centrali o posteriori

(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>) gat, gòj, gust

gi

/ʤ/ davanti a vocali centrali o posteriori

(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)

giàira, giò,

giust

gg

/ʤ/ in finale di parola o (raro) davanti a

consonante

magg, viagg-

rai

gh

/g/ davanti a vocali anteriori (<eu>,

<e>, <è>, <è>, <ë>, <i>) o in fine di

parola

gheub, ghèt,

ghëddo,

ghirba

gu /gw/ guardian

gn /ɲ/ gnaulé

h

puro segno grafico con funzione

distintiva hai

i /i/ /i/

/j/ elemento

atono di un

dittongo

pì, fin, bin,

dil, vàire

16

j /j/ fija, aj, cheuje

l /l/ lum, malavi

m /m/

mont, magg,

mej

n /n/ manoja

/ŋ/ finale di parola o se precede

consonante velare pan, manché

nn /n/ finale di parola pann, ann

n- /ŋ/ in posizione intervocalica lun-a

ò /ɔ/ mòrt, fòrt

ó /u/ róndola

p /p/ pastiss, pòis

qu /kw/

quand, quatr,

quint

r /r/ reusa, amor

s

/s/ iniziale di parola prima di vocale e di

consonante sorda

sal, sté,

spluva

/z/ in posizione intervocalica, prima di

consonante sonora e in posizione finale

reusa, dësvijé,

pas

ss /s/ in posizione intervocalica e finale stissa, ross

sc

/sk/ davanti a vocali centrali o posteriori

(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)

scapé, scopa,

scursé

/ʃ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,

<è>, <ë>, <i>) o in posizione finale

sciargnass,

sciavé, pèsc

sch

/sk/ davanti a vocali anteriori (<e>,

<è>, <è>, <ë>, <i>) o in posizione

finale

dischèt, chité,

frèsch

s-c /stʃ/ davanti a vocali anteriori s-cèt

s-ci /stʃ/ davanti a vocali centrali o posteriori s-ciòp

s-

cc /stʃ/ in posizione finale mas-cc

t /t/

tut, matòt,

tàula

u /y/ /y/

/w/ elemento

atono di un

dittongo

tut, brut;

aussé

v /v/

/w/ in coda di

sillaba vaire; ciav

z

/z/ in posizione iniziale di parola ovvero

dopo consonante

zanzija;

arzan,

dabzeugn

17

2.1.1 Il sistema fonologico

Come si desume agevolmente dalla tabella appena riportata, il sistema fonologico del

piemontese è molto più ricco di quello dell’italiano. Cominciamo con le vocali:

anziché sette fonemi vocalici, come nell’italiano standard a base toscana, il

piemontese di koinè ne presenta nove:

anteriore centrale posteriore

arrotondato arrotondato

Alto <i> /i/ <u> /y/ <o> /u/

medio-alto <e> /e/ <ë> /ə/

medio-basso <è> /ɛ/ <eu> /œ/ <ò> /ɔ/

Basso <a> /a/, [ɑ]

Altri vocoidi, che nel piemontese di koinè appaiono solo come allofoni, hanno invece

vero e proprio statuto fonematico in altre varietà. Particolarmente complessa la

situazione in alcuni dialetti dell’area sudoccidentale, come quello di Viola che

presenta ben 20 suoni vocalici distinti per ciascuno dei quali è possibile individuare

almeno una coppia minima: /e/ ~ /ɛ/ / / /e / (Pé, Pietro ~ pe, piede ~ pè, pelo ~

pén, pino; oppure /ɒ/ ~ /ɔ/ ~ /o/ (fa, fa; fò, fatto; fó, faggio), /œ/ /e/ / / /ɛ / /e / (feu,

fuoco ~ fé, fare/pecora ~ fè, fa (arcaico) ~ fèn, fieno ~ fén, fine. Una tale complessità

è estranea alla koinè, come alla maggior parte dei dialetti piemontesi: in diacronia,

tuttavia, essa era certamente presente a Mondovì almeno in una delle sue varietà,

poiché Papanti (1875: 202) attesta la tedenza alla scomparsa delle vocali nasalizzate

nel monregalese ottocentesco e Grassi/Sobrero/Telmon (1997: 260) citano questo

caso come un vero e proprio emblema di un processo di italianizzazione fonologica

che ha portato per tempo (non solo in Piemonte) all’eliminazione delle unità

fonematiche più lontane dal sistema della lingua nazionale. In realtà, l’esempio citato

appare piuttosto il rimodellamento di un sistema fonologico considerato aberrante su

quello, più semplice, del piemontese di riferimento che nell’Ottocento era senza alcun

dubbio la varietà di tipo torinese.

In ogni caso alcune opposizioni vocaliche inconsuete per l’italiano si riscontrano

anche nel piemontese di koinè. Ne registriamo qui alcune:

/œ/ /ɔ/: feu, fuoco ~ fò, faggio

/ə/ ~ /ɛ/: tërsa, treccia ~ tèrsa, terza

/y/ ~ /u/: sul, sul (prep. art.) ~ sol, solo / sole

/y/ ~ /u/ ~ /ɔ/: cul, culo ~ col, quello ~ còl, collo

/i/ ~ /y/: mila, mille ~ mula, mula

/œ/ /u/: cheur, cuore ~ cor, corre

Per quanto riguarda invece il sistema consonantico, non ci sono molte cose da dire

poiché esso corrisponde in larga misura a quello dell’italiano. Rispetto alla lingua

nazionale, il piemontese di koinè ignora i fonemi <gl(i)> /ʎ/, <sc(i)> /ʃ/, e <z> /ts/,

18

/dz/. Essi sono però presenti in altre varietà, che spesso presentano una ricchezza di

contoidi superiore a quella dell’italiano. Per paradosso, però, spesso in questi dialetti

periferici manca proprio l’unico fonema consonantico che il piemontese di koinè ha

in più rispetto all’italiano, ossia la nasale velare <n(-)> /ŋ/ che nella varietà di koinè

(e in gran parte dell’area piemontese) forma alcune coppie minime con la velare

dentale /n/:

/ŋ/ /n/: pan, pane ~ pann, panno

/ŋ/ /n/ /ɲ/: han, essi hanno (V) ~ ann, anno (N, Sing) ~ agn, anni (N, Plur)

Il fonema /ŋ/, a differenza di quanto si verifica in italiano dove esso è solo variante

combinatoria (/aŋ'kora/), si trova in piemontese anche in posizione intervocalica e in

tal caso viene normalmente rappresentato con il grafema <n->. Il fonema <n-> /ŋ/

intervocalico però è sempre in coda di sillaba ed in posizione immediatamente

postonica. Infatti si neutralizza in /n/ non appena, in morfologia derivazionale o

flessionale, si abbia una progressione di accento. Confrontiamo infatti

/ŋ/ > /n/: lun-a, luna > lunàtich, lunatico

/ŋ/ - /n/: i son-o, (io) suono – i sonoma, (noi) suoniamo

In alcune varietà di piemontese, in corrispondenza della /ŋ/ intervocalica si ha una

sequenza /ŋn/ che viene rappresentata graficamente come <nn> ovvero <n-n>. Essa

rappresenta con ogni probabilità lo stato diacronico precedente da cui si è originata

l’attuale situazione della koinè. Il fonema /ŋ/, presente anche nel ligure centrale di

tipo genovese, è invece del tutto assente non solo nelle varietà galloromanze del

Piemonte ma anche, come si è detto, in numerose varietà galloitaliche periferiche –

soprattutto in area alpina (il kje e il dialetto alto-monregalese di Viola, ad esempio).

19

Bibliografia

GENRE, ARTURO (1978), Appunti sulla grafia del piemontese, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 3, pp. 311-342;

GRASSI, CORRADO/SOBRERO, ALBERTO A./TELMON, TULLIO (1997), Fondamenti di dialettologia italiana, Laterza,

Roma-Bari;

MIOLA, EMANUELE (2015), La tirannia della tastiera. Il caso dell’ortografia piemontese, in “Language Problems and

Language Planning”, 39:2 (2015), pp. 136-153;

PAPANTI, GIOVANNI (1875), I parlari italiani in Certaldo offerti alla festa del V centenario di messer Giovanni

Boccacci, Francesco Vigo, Livorno;

REGIS, RICCARDO (2012), Verso l’italiano, via dall’italiano: le alterne vicende di un dialetto del Nord-ovest, in

TELMON, TULLIO/RAIMONDI, GIANMARIO/REVELLI, LUISA, a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e

postunitaria, Bulzoni, Roma, 2012, pp. 307-318;

REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë

Studi Piemontèis, Torino;

RONCO, GIOVANNI (2015), Grafia del REP, in REP, pp. LIII-LXVI.

20

Capitolo 4

Esempi di scrittura novecentesca in grafia dij Brandé

e riconoscimento delle subvarietà

[Brero 1983: 50]

Mi parlo an piemontèis

Mi parlo an piemontèis; che ròba bela!

L’é un tesòr ch’a l’han dame da masnà

quand l’han mostrame a dì mama e papà,

e i l’hai dësgavignà la bërtavela.

La mia mòda ’d parlé l’é na sorela

ch’a stà sempre con mi, fòra e ant-ë-ca,

ch’a ven ansema a mi për la mia stra

e a-j dà al pënsé la grassia dla favela.

Mè car dialèt ch’it l’has tante paròle

sislà da man maestra e it parle e it cante,

slansand ancontra al Sol fusëtte e giòle,

le fior pì bele dle pì bele piante

l’han tute ’l tò përfum: ’t ses la man drita

ch’a sà sostenme ant ij senté dla vita. (Giulio Segre)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

21

22

[Brero 1983: 71]

R’Avemarìa

Sign-te, Steo. Zu ës bërtin!

Son ij bòt dr’Avemarìa.

A r’é l’ora benedìa

do travaj ch’o va a ra fin.

Snojte ën tèra, Steorin.

Varda an gir: ro vogh-te nen

che tut quant ant sa minuta

va preganda chi n’agiuta ;

tucc d’acòrdi : paja e fen ?

Su, signomse, dima ’r ben.

Tucc d’acòrdi son, a st’ora,

d’anviaresse ’n vers ra tàula?

Che silensi! Ar can ch’o bàula

sij campèisso n’òss en gora

der cò chiel tasriva a st’ora.

Che silensi! Che cel dru!

Smijlo nen, neh, ti, ch’o diga

che, ancheu, tuta ra fatiga

r’abia fara chiel lassù?

E mi an paga travaj pu!

Tant o r’é r’Avemarìa,

ra giornà r’é andà a la fin.

Eco: j’ùltimi botin.

E ra preus r’é benedìa!

Sign-te e: andoma, Steorin.

(Oreste Gallina)

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Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

24

[Brero 1983: 173]

Neuja ant la val

Una dòira garga e màira

a fa finta ’d core al Pò…

Un oslèt tut sol a sgàira

soa canson trames a un fò.

L’oferta

Da su dla riva, a l’erta

s’àussa na rol severa:

a smija ch’a sia n’oferta

che al cel fasa la tèra.

Mare

«I veuj cola stèila!»

a dis na masnà.

Soa mare për dejla

dà al cel la scalà.

La dama

A viv da sola ant ël castel la Dama

che ’l temp a lassa ancora bela e bionda.

Da sala an sala chila a passa e a ciama;

ciama quaidun sensa che gnun rësponda.

(Alex [Alessio Alvazzi Delfrate])

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

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[Brero 1983: 185]

L’é la tèra ch’la rid

A l’orisont quèica vòta vëgh nassi

na nebia bianca smenciaja dal vent

- bëcci snogiaji chi s-cianco a fij l’erba,

telji ’d ragnà trëmolanti

o piumi d’àngej? –

e stagh sensa fiarì,

sensa bati ’l parpelji,

che ’n men che n’àmen la vision la scraventa.

L’é la tèra ch’la rid! L’é ’l sori sciar

dij mòrt ch’i ricòrdo sognanda.

An col soris jersèrja,

tra ij persi dl’òrt,

j’ho vist passà mè Mama,

giovna, slansà, con mi par man, la facia

rienta, e ’nt j’eucc color dla colomba

quand che ’l cel ël scuriss,

la vrità d’una stèila.

(Vincenzo Buronzo)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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(Brero 1983: 259)

A ven neuit…

Ël sol a l’improvista – l’é mòrt drinta la sèira:

la stra së sperd lagiù – doa l’orisont l’ha ’l deul,

ij parachèr a smijo – le cros dël simiteri…

La lun-a a ven an sj’erbo…- e tuti al mond son ombre…

(Camillo Brero)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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(Brero 1983: 296)

L’avija…

L’avija a fa l’amel për tut ël mond,

a para ’l brusch con sò savuj e a meur.

La candèila a fà ciàir findi ch’a fond.

La gucia an vest a resta nùa, pòr cheur.

Ëdcò ti, Piemont?

(Antonio Bodrero)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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[Brero 1983: 341]

Mè pare

Al bat, al bat al sciavatin

al tira la trà, l’anciua la sòcola.

Ant ël ciabòt top

al sa ’nté sciarché jë tnaje e la sèja.

Sempe ’t lo tròue a travajé

da n’alba a n’àuta.

E ’l bat, e ’l pica, e ’l dis-ciua e ’l cus.

Ma quand che ’l sol l’é àut

e ’l murador al campa la cassòla

d’ant la filuria dl’uss

i-j passa ’mé ’n giajët

e l’ora tut l’é bel:

sciavate, sòcole, lùster e spassëtte

e ’l sciavatin content

al pica, ’l bat, al cus

për ij sò fieuj lontan.

(Massimo Buratti)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

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[Brero 1983: 350-351]

Ròcia Ciaborel

A l’autura ’d Roà Grando ’d Fraisse, ’n Val Varàita, s’it vìres ënvers l’ëlvé dël sol da la banda dël

Mel la ròcia it la vëddes franch ëd front, bianca come j’òss dij mòrt, anvlupà dal vert top dij vross, a

pich ën sima al Combal dle Fràule. Pa gnente ’d fòra-via, na ròcia coma tante d’àutre, ma che –

coma vàire ròce, barme, fontane e pontèt ëd montagna – as ten gropà n’ëstòria, na lesenda che ij vej

dël Mel e ’d Fràisse a conto ’ncora, a mesa vos coma s’i l’avèisso pòu ’d bustiché j’Ëspìrit dël

Dëdlà.

Da ’n pò pì a nen tan l’ëstòria a l’é parèj.

Temp dij temp, da na roà dl’ubach dël Mel doi fijèt, Ciaborel e Lasarin, tute le matin a partìo con

j’ëstrop dle fèje apress, ënvers ij pasturaj ch’as dëstendo sla riva drita dël Combal dle Fràule. Co fé

ëntant che le bère e le crave, sota j’euj dij can, as meiravo tute baronà con ij grogno tacà a la tëppa?

Le matinade sùite e sane coma ’d pere a dasìo ai doi pastrèt na gròssa veuja ’d fé ’d virabarchin, ëd

molé le gambe e cori da perdi ’l fià. La veuja ’d domoresse a-j corìa ’nt ël sangh, ël përfum èir dij

git ën sava a-j dasìa la sensassion ëd soa tèra sarvaja.

Ma dal fons dël combal as tenìo ’n fòra, përché lì le vorp, ij lop, ij gianavej a j’ero ’d ca; ma

sobratut a-i virondavo ij sarvanòt, le masche e le alere che ’d crep da le barme a mandavo ’d gemiss

da fé drissé ij cavèj sla testa. Mej nen andé a fiché ’l nas ënt ël Combal dle Fràule.

(Tavio Cosio)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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[Brero 1983: 369]

……………………..

«Da costa pòrta as va s’na bruta stra,

da costa pòrta as va ’nt l’etern dolor,

da costa pòrta as va fra gent danà.

La gran giustissia l’ha ispirà Nosgnor,

la fame la divin-a podestà,

ansema a la sapiensa e ’l prim amor.

Davanti a mi j’é gnente stàit creà

se nen eterno, e mi eterna son.

Lassé ògni speransa pen-a intrà».

(Luigi Riccardo Piovano)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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31

[Brero 1983: 382]

S’a…

S’a ti veu còri

varda a r’aqua sorgiva d’un fontanein

quajèta ch’a fàsi onda

par circhè ’l maro

e pu ristè.

S’a ti veu sgurè

varda na pianta d’int ij bòscc

ch’a fàsi alta a basè ij so

fì cunès’ d’i vento

e dondinè.

S’a ti veu circhè l’alto

fàti pisnèin

par vardè pussè ’n seu,

sansa parlè: Lu a sa ben

sa ch’a ti veu.

(Antonio Garzulano)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………….

b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………….

32

[Brero 1983: 384-385]

In paisan

E vogh ch’at passi ’nt ër varèj sbianchì

con ër poarin, a sota ’r rami speuji

dër verni, silensiosi sensa ’r feuji,

bejcand ër tò taragni ’nt o sorì.

’N mes ar rojeri zraji dra stra bianca

’t vèi su, lassand-ti dré ra fum dër fià,

con o tò pass dasient, calm e ’msirà,

mentri ra tò mantlin-a ’n pòch s’ambianca

sota ra garaverna ch’a ra dròca.

Peu, ’nt ër varèj spojà, ra nebiolin-a

ra smòrta o tò marcé, ch’o ra scarzlin-a

’nt o silensi dra tèra, coerta ’d fiòca.

(Domenico Badalin)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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33

[Brero 1983: 392]

Magg ëd rimpiant

L’era na seiràa ’d magg…

Mi ta tigniva ’n bracc…

Ti ta sfojàvi ’n fiòr…

Mi ta ciameva amòr…

Dimmi: ’t la sgòrdi più,

Maria, cola seiràa?

’N pastor andeva ’n su,

cantand, ënt la vallàa;

la front a na sfiuréva

l’ala d’un ùltim vòl,

e, ross, a tramontava

sal nòstri bricchi ’l Sòl…

(Raffaele Tosi)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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……………………………………………………………………………………………………………

c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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34

[Brero 1983: 401]

Speransa

Mi sò mia guardà

’nt ël cheur dl’univers

e sò mia gnanca spià

al mument pussè bèl:

già hò vosà

tucc ij mè paròl

d’amor. Credim:

mi sò mia guardà

’nt j’eucc indiferent

dla speransa.

(Walter Alberisio)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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35

[Brero 1983: 413]

Sël ciaplé

Tant violent a l’ha picà ’l sol

an afoanda ’l ciaplé desert,

ël cel ëd pera ’nté la vipra

dossa dossa a strusa e as argala

’d sò susné e dl’ora sens’ombra.

E ’ntant che i von sërcanda ’l cit

ciusion ancreus d’eva stërmà,

frema e fiacanta a l’improvista

tuta a më strusa e m’antërpiss

l’amèra dosseur ch’a më s-cianca.

(Bianca Dorato)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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36

[Brero 1983 : 513]

Natal

Na sabrinà

ëd fiòca

giù da ra stra

ch’a va a ra gesia.

Odor d’incens

Nosgnor

o nassa

j’euj ch’i crovo

da ra sògn.

Un Bambin

ëd sucre

sota ar cussin

con ër gust

dër Paradis.

(Felicina Bonino Priola)

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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37

[Scarafia 1990: 39]

Mi ch’i son, ti ch’it ses

E van ij di longh ma ’d Caresme,

pèis ma n’ancuso ch’as fa rèisi

e ’l maj i bato debol e pian:

sempe pì an fòra cor la fin.

M’arcòrdo ’d ti an t chèich moment nèir,

im vempo ’d gòj ma peu im craso.

Da mi, ardì sensa antendi gnun,

i ven-o sbiavi color dla mòrt:

im fas por da sol.

E canda frust i rompo l’ëspecc,

e canda i saro strèit ij lumin

im sento n’àutr.

Pì leugn van ciantand dle vos dròle:

a son j’àutri, àutr mond, àutra gent!

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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38

[Bertolino 2015: 8]

Agn da ëmprendiss. II

Àora ël ciochin

dla sen-a om ciama.

Ij nas van drè

al nìvole ëd vapor:

ànime ëd còj, patate

a sciam longh ij limbo

ëd fregg dj’andao.

Ëdcò ël Bambin

ën brass a la Madòna

da sò canton d’ombra

o baja…

Ij pass ëd Tonin

e coj dla sèira

s’ëntërso sota ij sapin.

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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39

[Bertolino 2015: 50]

A mesdì

A mesdì im ramangh

ënt la cusinòta, tan-a neucia.

Drinta la žata a bërlusa

la mnestra e la lus

d’un përtus ënt ël muragn.

J’é un còro ëd mosche

sovra mia testa,

gran-e neire ënt l’ombra

ënsarzìa ëd fi d’òr…

Peu, ij gomi pogià sël tavo,

i scot come drinta na cuchìa

ël litanìe dël mosche semp pì dëscòst

che s’ënvërtojo a fus ëd silensi.

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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40

[Bertolino 2015: 62]

La tormenta a sia l’era.

La tormenta a sia l’era.

«T’hè dabsògn dla co?»

i-j ciam da la fnestra.

Chila, d’arcassa,

con un sofi g-rà

a manda në stròp ëd faròsche

a sfrisesse ënt ij veri.

Coriàndole bianche

a campa contra ël vespr

ch’o sguja bòrgn

longh ël sënté.

Àora pèi d’un cinghial

a ruma drinta l’era;

contra l’uss a fonga

ij raso’ d’argent.

A speta nen atr

che la veja pòrta

a dròcba në znojon

për sbardé l’ënvern

anche sì ëndrinta.

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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[Tesio 2015: 26]

Mar ëd la vita, e mar ëd la sòrt

Mar dël tërbolum, e mar dij mòrt

Mar dël canajum, e mar dij fòrt

mar dj’emigrant, e mar dij pòrt.

Mar ëd marastra, e mar ëd soa mare

Mar ëd dësfàita, e mar ëd vitòria

Mar ëd disonor, e mar ëd glòria

Mar ëd bestemie, e mar ëd rosare.

Mar arvirà, e mar ëd bonassa

Mar d’ardiman, e mar ëd bagassa

Mar dij gomon, e mar dij fongà.

Mar dij barcon, e mar dij salvà

Mar ëd j’uman, e mar disuman

Mar dël Dirit. Mar dël Leviathan.

Fa’ le tue osservazioni

Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................

Quali caratteristiche ha?

a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………

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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………

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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………

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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………

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Riferimenti bibliografici

BERTOLINO, REMIGIO (2015), Litre d’ënvern. Lettere d’inverno, Nino Aragno Editore, Torino;

BRERO, CAMILLO (1983), Storia della letteratura piemontese. Terzo volume (Sec. XX), Editrice Piemonte in Bancarella,

Torino;

SCARAFIA, LUCIANO (1990), L’arzigh dël sol, Edizioni “Ël Pèilo”- Amici di Piazza, Mondovì;

TESIO, GIOVANNI (2015), Stantesèt sonèt, Ca dë Studi Piemontèis, Torino

43

Capitolo 5

Articoli e classificatori

L’articolo

Evoluzione e distribuzione areale

L’articolo determinativo nelle varietà linguistiche romanze del Piemonte deriva, in

tutti i casi, dal dimostrativo latino ILLU(M), ILLA(M) come in tutti i dialetti

dell’Italia settentrionale (Vanelli 1992) e peraltro come la maggioranza assoluta degli

idiomi romanzi (Renzi/Andreose 2015: 168-169). Le forme in cui esso si presenta

sono tuttavia relativamente diversificate: anche concentrando l’attenzione sulle

varietà più univocamente classificabili come piemontesi, infatti, si registra una certa

variabilità non solo fra dialetti diversi ma anche all’interno dello stesso dialetto. Le

parlate di area monferrina e astigiana, ad esempio, presentano al maschile singolare

un’alternanza tra o [u] e ëř [ǝɹ] condizionata dalla natura della consonante iniziale di

parola: con consonanti caratterizzate dal tratto [+coronale] si troverà

sistematicamente l’articolo o [u] mentre ëř [ǝɹ] compare in tutti gli altri contesti

preconsonantici (in contesto prevocalico si avrà ř’ [ɹ]). Così si avranno: ëř can, il

cane; ëř gat,il gatto; ëř nod, il nipote; ëř mond, il mondo; ëř bocin, il vitello; ëř vas,

il vaso. Invece di fronte a consonante coronale si avranno: o nas,il naso; o tupin, il

vaso da notte; o lagh, il lago; o sango, il sangue. Una situazione, questa, attestata già

nell’astigiano antico di Alione e oggi recessiva in numerose varietà meridionali,

comprese quelle dell’area monregalese (Miola 2008).

3.1.1 L’articolo definito nella koinè

La varietà di riferimento, ossia la koinè, presenta invece una situazione più simile a

quella dell’italiano con una distribuzione meno complessa. Le forme attestate per il

maschile singolare si riducono infatti a tre allomorfi:

1) ël [ǝl] nei contesti in cui l’italiano userebbe il (ël can, il cane; ël gat, il gatto;

ël brass, il braccio; ël prim,il primo; ël fum, il fumo);

2) lë [lǝ] sostanzialmente nei medesimi contesti in cui l’italiano prevede l’uso di

lo (lë strass, lo straccio; lë studi, lo studio; lë spagneul, lo spagnolo);

3) l’in posizione prevocalica (l’aso, l’asino; l’òm, l’uomo; l’ovrié, l’operaio;

l’uss, l’uscio).

Anche per il plurale maschile si ha una situazione sostanzialmente sovrapponibile:

1) ij [i] nella maggior parte dei contesti corrispondenti a quelli dell’italiano i (ij

can, i cani; ij gat, i gatti; ij brass, i bracci/le braccia; ij prim, i primi; ij fum, i

fumi);

44

2) jë [jǝ] in parallelo all’italiano gli ma solo in contesto preconsonantico (jë

strass, gli stracci; jë studi, gli studi; jë spagneuj, gli spagnoli);

3) j’in posizione prevocalica (j’aso, gli asini; j’òm, gli uomini; j’ovrié, gli operai;

j’uss, gli usci).

Simmetrica, e ulteriormente semplificata, la distribuzione degli articoli femminili:

1) la (plurale le) in contesto preconsonantico (la vaca ~ le vache, la vacca ~ le

vacche; la crava ~ le crave, la capra ~ le capre; la fija ~ le fije, la ragazza ~ le

ragazze; la galin-a ~ le galin-e, la gallina ~ le galline; la vis ~ le vis, la vite ~ le

viti; la fior ~ le fior, il fiore ~ i fiori);

2) l’ (plurale j’) in contesto prevocalico (l’avija ~ j’avije, l’ape le api; l’orija ~

j’orije, l’orecchio le orecchie; l’urtìa ~ j’urtìe, l’ortica le ortiche).

Osservazioni sull’articolo

2.1 In realtà la distribuzione dell’articolo maschile lë [lǝ] non corrisponde

esattamente a quella della lingua italiana.

2.1.1 I sostantivi che iniziano con <gn> [ɲ], ad esempio, in italiano richiedono

l’articolo lo/gli (lo gnocco, gli gnocchi) mentre in piemontese sono preceduti da ël/ij

(ël gnòch/ij gnòch)

2.1.2 Tutte le varietà di piemontese, con alcune relative eccezioni (in area saluzzese-

cuneese), presentano una decisa tendenza alla riduzione del vocalismo protonico; ciò

determina una frequenza di incontri consonantici ignota all’italiano, anche in

posizione iniziale. Così DENARIU(M) > dné, denaro; FENUCLU(M) > fnoj,

finocchio; MELONE(M) > mlon, melone; VELLUTU(M) > vlu, velluto;

*PINNACIU(M) > pnass, pennacchio o coda. In questi casi la varietà di koinè

prevede l’uso dell’articolo lë/jë: lë dné, jë dné; lë fnoj, jë fnoj; lë mlon, jë mlon; lë

pnass, jë pnass.

2.2 La varietà di koinè, a differenza dell’italiano, presenta sistematica assenza di

articolo determinativo di fronte agli aggettivi possessivi (tranne al maschile plurale):

Ms Fs Mp Fp

1s mè [mɛ] mia [ˈmia] ij me [i mɛ] mie [ˈmie]

2s tò [tɔ] toa [ˈtua] ij tò [i tɔ] toe [ˈtue]

3s sò [sɔ] soa [ˈsua] ij sò [i sɔ] soe [ˈsue]

1p nòstr

[nɔstr]

nòstra

[ˈnɔstra]

(ij) nòstri

[i 'nɔstri]

nòstre

[ˈnɔstre]

2p vòstr

[vɔstr]

vòstra

[ˈvɔstra]

(ij) vòstri

[i 'vɔstri]

vòstre

[ˈvɔstre]

3p sò [sɔ] soa [ˈsua] ij sò [i sɔ] soe [ˈsue]

Come si desume dalla tabella, gli aggettivi possessivi sono preceduti dall’articolo

soltanto al maschile plurale. In realtà, i dati atlantistici (ALEPO) testimoniano di una

45

strategia concorrente che prevede per il plurale maschile le forme mei, tòi, sòi, nòstri,

vòstri, sòi anch’esse prive di articolo determinativo (confermate anche da

Brero/Bertodatti 2000: 58). La forma contraddistinta da articolo determinativo al

plurale maschile, peraltro, obbedisce ad un principio ancora operante in piemontese:

determinanti e quantificatori normalmente esprimono in modo inequivoco il numero

in entrambi i generi; e il modo più economico per farlo emergere è quello di

esprimerlo contrassegnando solo al plurale, attraverso l’articolo determinativo, la

marca di numero. Per questa ragione è possibile ometterlo alla prima e alla seconda

plurale, dove il contrassegno di numero (e genere) è già presente nella –i della

desinenza, qui eccezionalmente conservata.

Bibliografia

BRERO, CAMILLO/BERTODATTI, REMO (2000), Grammatica della lingua piemontese, L’Artistica, Savigliano (Cuneo);

MIOLA, EMANUELE (2008), Il sistema dell’articolo determinativo nella varietà di Prea di Roccaforte Mondovì, in

“Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano”, III serie, 32 (2008), pp. 103-115.

RENZI, LORENZO/ANDREOSI, ALVISE (2015), Manuale di linguistica e filologia romanza. Nuova edizione, Il Mulino,

Bologna.

VANELLI, LAURA (1992), Da «lo» a «il»: storia dell’articolo definito maschile singolare nell’italiano e nei dialetti

settentrionali, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 16, pp. 29-66.

46

3. Classificatori

Il piemontese di koinè, come è stato messo recentemente in evidenza (Miola 2015),

può essere considerato una lingua a classificatori nominali. È infatti possibile

applicare alla sua grammatica i criteri che hanno permesso di riconoscere l’esistenza

di un vero e proprio sistema di classificatori in una lingua genealogicamente così

vicina come il francese (Herslund 2003; Herslund 2012). È risaputo che alcune lingue

orientali, tra cui il cinese, funzionano come lingue a classificatori; in realtà, sotto

questa etichetta si possono includere numerosi tipi di risorse grammaticali a cui

diverse lingue del mondo fanno ricorso per veicolare la presenza o l’assenza di un

concetto di “unità” in relazione ai nomi (Aikhenvald 2000). Ebbene, secondo

l’interpretazione di Herslund (2003: 27-28) i veri e propri classificatori della lingua

cinese funzionano né più né meno come gli articoli francesi, con l’unica differenza

che il cinese utilizza un classificatore fonologicamente distinto dal numeratore che lo

precede

yi ba yizi

Num Class Nome

mentre nel corrispondente francese

une chaise

Num+Class Nome

una sedia

il numeratore e il classificatore sono fonologicamente realizzati in una parola che li

sintetizza entrambi, ossia quello che la tradizione grammaticale a torto chiama

articolo indefinito (o, per il plurale, articolo partitivo).

Ebbene, la stessa analisi può essere applicata al piemontese – almeno al piemontese

di koinè.

Infatti tutti i sostantivi non determinati (cioè non preceduti da un articolo definito in

conformità a quanto previsto 3.1) possono essere suddivisi in due categorie:

a) nomi omogenei

b) nomi eterogenei.

I nomi omogenei (o nomi massa) si riferiscono ad entità che, anche qualora vengano

suddivisi, rimangono uguali a se stessi:

es: eva, acqua; formagg, formaggio; pan,pane; lait, latte; vin, vino.

Con questi nomi il piemontese usa sistematicamente il classificatore dë/ëd/d’/’d:

l’han mangià ’d pan, ëd formagg e ’d salam, mentre beivìo pì ’d vin che d’eva

hanno mangiato pane, formaggio e salame, mentre bevevano più vino che acqua

47

I nomi eterogenei , invece, rappresentano referenti che qualora vengano suddivisi

danno origine a entità differenti da quella originaria. In questo caso è necessario fare

precedere l’entità singola dal classificatore un/una e le entità suddivise dal

classificatore dë/ëd/d’/’d:

sota la tàula a-i era ’dcò un can ch’as mangiava j’avans e le frise ’d pan

sotto il tavolo c’era anche un cane che si mangiava gli avanzi e le briciole di pane

sota la tàula a-i era ’dcò ’d can ch’as mangiavo j’avans e le frise ’d pan

sotto il tavolo c’erano anche cani che si mangiavano gli avanzi e le briciole di pane

sla scansìa i l’hai trovà un lìber an fransèis

sullo scaffale ho trovato un libro in francese

sla scansìa i l’hai trovà ’d lìber an fransèis

sullo scaffale ho trovato libri in francese.

Per quanto riguarda questo specifico tratto morfosintattico, il piemontese di koinè

presenta una facies tipologica significativamente distinta da quella dell’italiano,

avvicinandosi come già abbiamo evidenziato alle condizioni di altre lingue

genealogicamente prossime (come il francese) o remote (come il cinese) per le quali

il concetto di “classificatore nominale” è stato da tempo messo in evidenza.

Nelle varietà periferiche, a differenza di quanto si verifica nella koinè il classificatore

per i nomi massa assume la forma “articolata” dël, dlë, dl’, dla con le rispettive

varianti locali:

i-j dogn dëř pan e do sařam

CL.SOGG+gl do CLASS pane e CLASS salame

(Mondovì)

Simmetricamente, i nomi eterogenei presentano classificatori del tipo dij, djë, dle,

dj’: j’eva dij sègn / ënt ël primavere dla mia gioventù

c’erano CLASS segni / nelle primavere della mia gioventù

(Rinaudo 1994: 36, Mondovì)

Gli usi letterari delle varietà meridionali contemplano anche assenza di classificatori,

come in italiano: a serca numr scancc-là

cerca numeri cancellati

(Bertolino 2010: 80, Montaldo Mondovì)

ma si tratta di un tratto diamesicamente marcato, poiché risulta quasi del tutto assente

nelle conversazioni spontanee mentre lo si ritrova con sostenuta frequenza in poesia.

48

Il sistema dei classificatori, del resto, è perfettamente coerente con una caratteristica

tipologica che abbiamo già riscontrato nel piemontese parlando dei suoi articoli

determinativi: la grammatica del piemontese, a differenza di quanto si verifica in

italiano, è prevalentemente a sinistra. Si confrontino due frasi come

a) i ragazzi più intelligenti scelgono libri interessanti e ben scritti

b) ij matòt pì antivist a serno ’d lìber anteressant e bin ëscrit

Osservando le marche grammaticali, si nota che il genere e il numero in italiano sono

espressi ben sette volte e (tranne nel caso dell’articolo determinativo i) sempre a

destra del sostantivo o del verbo a cui si riferiscono. In piemontese, per contro, le

marche si riducono a 4 e (con l’eccezione della desinenza verbale di terza plurale)

sono tutte a sinistra dell’elemento a cui si riferiscono. Anche la presenza dei pronomi

clitici soggetto, di cui ci occuperemo più avanti, potrebbe essere da mettere in

relazione con questa tendenza tipologica generalizzata in piemontese e comune,

peraltro, al suo vicino più prestigioso: il francese.

49

Bibliografia

AIKHENVALD, ALEXANDRA Y. (2000), Classifiers. A Typology of Noun Categorization Devices, Oxford University

Press, New York;

AIKHENVALD, ALEXANDRA Y./GREEN, DIANA (1998), Palikur and the Typology of Classifiers, in “Anthropological

Linguistics”, 40, 3 (Fall 1998), pp. 429-480;

BERTOLINO, REMIGIO (2010), Versi scelti 1976-2009 a cura e con un saggio di Giorgio Bàrberi Squarotti, Puntoacapo,

Novi Ligure;

HERSLUND, MICHAEL (2003), Articles et classificateurs, in “Cahiers Ferdinand de Saussurre”, 56 (2003), pp. 21-33;

HERSLUND, MICHAEL (2012), Grammaticalisation and the internal logic of the indefinite article, in “Folia Linguistica”,

46/2 (2012), pp. 341-357;

MIOLA, EMANUELE (2015), Piemontèis e tipologia, handout, pro manuscripto;

RINAUDO, SILVIO (1994), J’eva dij sègn, Ij Babi Cheucc, Mondovì.

50

Capitolo 6

Nomi e aggettivi

Nomi

1. Coordinate di flessione nominale: genere e numero

In tutte le varietà di piemontese, il nome presenta le stesse caratteristiche

fondamentali che esso mostra nelle altre lingue romanze:

- svolge perlopiù funzione referenziale, cioè si riferisce a oggetti del mondo

extralinguistico (ma non è un principio assoluto, in quanto può svolgere

funzione predicativa);

- è dotato di un sistema morfologico, strutturato in modo tale che ogni entità

linguistica classificabile come nome risulti flessa contemporaneamente

secondo la categoria del genere (maschile vs femminile) e del numero

(singolare vs plurale);

- è il principale elemento costitutivo (ossia la testa) di un sintagma nominale

(Giorgi 2001: 288).

Queste tre caratteristiche sono state ampiamente messe in risalto per le altre lingue

neolatine e più specificamente per l’italiano (Marcantonio/Pretto 2001: 329).

Vale invece la pena di sottolineare che

a) nella maggior parte delle varietà di piemontese, e nella fattispecie in quella di

koinè, la flessione secondo il numero è affidata all’articolo/classificatore che lo

precede in misura di gran lunga maggiore di quanto avvenga in italiano

(Brero/Bertodatti 2000: 43; Telmon 2001: 58-59) ma in misura

significativamente minore di quanto si verifichi in francese (Telmon 2001: 59);

b) la flessione secondo il genere non sempre è prevedibile in base al confronto

interlinguistico con l’italiano e i dialetti gallo-italici, mentre trova maggiori

riscontri in altre lingue romanze: a titolo di esempio, si pensi al genere del

sostantivo la fior, che è femminile come in francese (la fleur) e in spagnolo (la

flor) mentre in italiano è maschile (il fiore).

Passiamo quindi a vedere più nel dettaglio il sistema morfologico in cui sono

inquadrati i nomi del piemontese di koinè

1.1 La classificazione dei nomi in maschili e femminili

Se è vero che «genders are classes of nouns reflected in the behavior of associated

words» (Hockett 1958: 231), è abbastanza prevedibile che una lingua come il

51

piemontese, in cui si riscontrano solo aggettivi a due terminazioni (zero vs –a)

accanto ad articoli che oppongono solo un maschile e un femminile, risulti dotata di

due soli generi grammaticali. In ogni caso, va segnalato che questi due generi sono

costantemente presenti nella percezione dei parlanti: infatti, qualunque nome è

obbligatoriamente inquadrato in un genere grammaticale. Esso, lo ripetiamo, può

essere solo maschile o femminile – a differenza di quanto si riscontra in alcune

varietà linguistiche italiane centromeridionali, nelle quali sono attestati uno o due tipi

di neutro (Maiden 1997: 73; Loporcaro 2009: 135-136). Ciò che appare piuttosto

significativo, sul piano diacronico, è che l’area piemontese – ma in realtà l’area nord

italiana nel suo complesso, con la parziale eccezione del ligure – ha proceduto

abbastanza presto all’eliminazione del genere neutro, ancora presente in epoca

medievale in varietà toscane, centrali e meridionali. «In northern Italo-Romance, on

the other hand, the reduction was accomplished even earlier, since, even in the

earliest documents, no trace is left of the dedicated neuter agreement pattern found in

the central and southern texts» (Loporcaro/Faraoni/Gardani 2014: 13).

L’assegnazione a uno dei due generi residui, maschile e femminile, determina

comunque l’assegnazione dell’articolo definito nonché tutta la serie delle

concordanze che costituiscono la catena anaforica e cataforica della struttura testuale.

Come normalmente accade nelle lingue romanze, l’assegnazione del genere è solo in

parte prevedibile su base referenziale: così, sono normalmente maschili i nomi che si

riferiscono a esseri viventi di sesso maschile (l’òm, l’uomo; ël pare, il padre; ël frel, il

fratello; ël fieul, il figlio, il ragazzo; lë nvod, il nipote; ël can, il cane; ël gat, il gatto;

ël caval, il cavallo; ël gal, il gallo; ël crin, il maiale) e in parallelo sono femminili i

nomi che si riferiscono a esseri viventi di sesso femminile (la fomna, la donna; la

mare, la madre; la seur, la sorella; la fija, la figlia; la nvoda, la nipote; la cagna, la

cagna; la gata, la gatta; la cavala, la cavalla; la galin-a, la gallina; la treuva, la

scrofa) ma quando si ha che fare con referenti inanimati o astratti i criteri di

assegnazione appaiono puramente arbitrari, sebbene come in italiano esistano casi in

cui «il genere assume un determinato valore semantico anche in nomi di inanimati»

(Marcantonio/Pretto 2001: 334).

Sul piano formale è invece possibile formulare alcune generalizzazioni:

a) sono prevalentemente maschili

a. i nomi che terminano in consonante (ël can, il cane; ël dil, il dito; ël còl,

il collo; ël cheur, il cuore; l’òrt, l’orto; ël matòt, il ragazzo; ël vin, il

vino; ël ghignon, il muso; l’euj, l’occhio; l’argent, l’argento; l’argal, il

regalo; ël verb, il verbo; ël ragg, il raggio (della ruota); ël cop, il coppo;

l’odor, l’odore; ël përfum, il profumo; l’otonn, l’autunno; lë mlon, il

melone; ël garèt, il tacco; ël tramont, il tramonto; ël rat, il topo; ël

sagrin, il cruccio; ël còj, il cavolo; lë sparz, l’asparago; ël bòsch, il

legno; ël cit, il bambino; ël quaj, il caglio; ël mont, il monte; ël niss, il

livido; ël/lë siass, il setaccio; ecc.);

b. i nomi che terminano in –é (ël maslé, il macellaio; ël panaté, il

panettiere; ël pomé, il meleto; ël moré, il rovo; ël pastissé, il pasticcere;

52

ël fré, il fabbro; ël fié, il fico; lë dné, il denaro; ël candlé, il candelabro;

ël pé, il piede; l’ovrié, l’operaio; ël castagné, il raccoglitore di castagne;

lë mnisé, l’immondezzaio; ël papé, la carta; ël brandé, l’alare; ël cravé,

il capraio; ël bërgé, il pecoraio; ël marghé, il pastore di bovini; ël quarté,

il quartiere);

c. i nomi che terminano in –i atona (ël giari, il topo; lë sterni, il pavimento;

ël silensi, il silenzio; ël sacrifissi, il sacrificio; ël drocheri, il rudere;

l’orissi, la tempesta; lë sbiri, lo sbirro; ël liri, il giglio; ël persi, la pesca;

lë scartari, il quaderno; ël subi, il fischio; l’arbi, l’abbeveratoio; l’òrdi,

l’orzo) o tonica (ël ni, il nido; ël gri, il grillo; l’amburì, l’ombelico);

d. i nomi che terminano in –o (ël gnero, il bambino; ël picio, l’organo

sessuale maschile, lo stupido; ël pito, il tacchino; ël pocio, la nespola; ël

bèro, la pecora; ël pronsëmmo, il prezzemolo; ël sòco, lo zoccolo; ël

vindo, l’arcolaio; ël termo, il termine; ël tavo, il tavolo; ël giovo, il

giovane; ël givo, il maggiolino; l’òmo, l’uomo; ël ghëmmo, il gomito);

e. i nomi che terminano in –eu (ël feu, il fuoco; ël reu, l’alone; ël breu, il

brodo; ël leu, il luogo; ël bleu, il blu; ël treu, il truogolo).

b) sono prevalentemente femminili

a. i nomi che terminano in –a (la ca, la casa; la lenga, la lingua; la tàula, il

tavolo; la fiòca, la neve; la tèila, la tela; la bagna, il sugo; l’eva, l’acqua;

la vìrgola, la virgola; la mama, la mamma; la gasìa, l’acacia; la biola, la

betulla; la reusa, la rosa; la testa, la testa; la ciresa, la ciliegia; la fomna,

la donna; l’àmpola, il lampone; la drugia, il letame; la tèra, la terra;

l’avija, l’ape; la lerma, la lacrima; la feuja, la foglia; la bòja, l’insetto;

l’urtija, l’ortica; la furmija, la formica; la slòira, l’aratro; ecc.);

b. i nomi astratti caratterizzati dai suffissi –tà e –tù (la libertà, la libertà; la

virtù, la virtù, ecc.);

c) sono inoltre femminili

a. numerosi nomi in consonante (la lus, la luce; la cros, la croce; la pas, la

pace; la fior, il fiore; la càud, il caldo; la frèid, il freddo; la gent, la

gente; la ment, la mente; la dos, la sorgente; la font, la fonte; la front, la

fronte; la rol, la quercia; la rèj, la rete; la sèj, la sete; la sal, il sale; la

fin, la fine; la bin, il bene; la canson, la canzone; la question, la

questione; la frev, la febbre; la gòj, la gioia; la vis, la vite; l’amnis,

l’immondizia).

d) il paradigma di flessione si articola normalmente su un’opposizione fra

maschile e femminile e, in parallelo, tra singolare e plurale. Quanto

all’opposizione di numero, come si noterà per numerosi sostantivi maschili

(ma anche per molti femminili) il piemontese di koinè sembra estraneo al

sistema tipicamente italo-romanzo che contrassegna il plurale con la desinenza

vocalica –i. Si tratta per la verità di un’assenza solo parziale e spesso recente,

dal momento che diverse varietà (tra cui lo stesso torinese del Seicento studiato

da Clivio 1974 e Regis 2012) conoscevano e ancora conoscono un sistema di

53

opposizione basato sulla metafonia e la palatalizzazione condizionata da –i (ël

matòt, il ragazzo, vs ij mateucc, i ragazzi: Rocca de’ Baldi, Cuneo).

Nondimeno, altre varietà recano tracce di possibili plurali sigmatici (in area

meridionale, il kje e alcune varietà alto-monregalesi), il che indica che

probabilmente in origine la situazione era in parte simile a quella del friulano

attuale (Roseano 2013) dove si mantiene «un doppio meccanismo di

marcamento del plurale, con –S [kɔlp/kɔlps] ovvero con palatalizzazione della

consonante d’uscita, causata da –I finale originaria [paˈis/paˈiʃ]» (Loporcaro

2009: 110). Del resto l’origine della stessa desinenza del plurale -i in ambito

italo-romanzo è discussa: potrebbe essere a sua volta l’esito di una serie di

evoluzioni fonetiche innescatesi a partire da una forma sigmatica in –IS, così

come per il femminile è altamente probabile che all’origine della desinenza

anche piemontese –e ci sia non il nominativo –AE bensì l’accusativo –AS. Una

sintetica presentazione della questione è in Renzi/Andreose (2015: 198-200).

e) È comunque possibile sintetizzare le diverse forme del paradigma in uno

schema, che riportiamo nella pagina successiva:

54

Maschile Femminile

singolare plurale singolare plurale

1 desinenza

Ø

ël gat

il gatto desinenza Ø

ij gat

i gatti desinenza -a

la gata

la gatta desinenza -e

le gate

le gatte

ël patanù

il nudo

ij patanù

i nudi

la patanùa

la nuda

le patanùe

le nude

2

desinenza -

o

ël monio,

il

monaco;

ël nòno,

il nonno

desinenza -o

ij monio,

i monaci

ij nòno,

i nonni

desinenza -a

la monia,

la monaca;

la nòna,

la nonna

desinenza -e

le monie,

le

monache;

le nòne,

le nonne

3 desinenza

Ø

ël caval

il cavallo palatalizzazione

della consonante

finale

ij cavaj,

i cavalli desinenza -a

la cavala,

la cavalla desinenza -e

le cavale,

le cavalle

l'ann,

l’anno

j'agn,

gli anni

4 desinenza

Ø

ël bijèt,

il

biglietto

desinenza Ø

ij bijèt,

i

biglietti

raddoppiamento

della consonante

e desinenza -a

la bijëtta,

la bolletta

raddoppiamento

della consonante

e desinenza -e

le bijëtte,

le bollette

5

desinenza

vocalica -a,

-e, -i,

ël poeta,

il poeta;

ël pare,

il padre;

ël babi, il

rospo

desinenza

vocalica -e, -i,

ij poeta,

i poeti;

ij pare,

i padri;

ij babi,

i rospi

6 desinenza

vocalica -e, -i,

la mare,

la madre;

la crisi,

la crisi

desinenza

vocalica -e, -i,

le mare, le

madri; le

crisi,

le crisi

7 desinenza Ø

la mòrt,

la morte;

la fior,

il fiore

desinenza Ø

le mòrt,

le morti;

le fior,

i fiori

Lo schema trascura numerose eccezioni (particolarmente evidenti nei nomina

agentis) e non dà conto di una serie d’innovazioni che derivano da una situazione di

languages in contact che vede le diverse varietà di piemontese – e la koinè in misura

forse maggiore di altre – sottoposte a una progressiva (ma non univoca) azione di

rimodellamento da parte dell’italiano. La morfologia nominale offre esempi molto

interessanti di ristrutturazione del sistema, in direzione di un’italianizzazione che in

taluni casi arriva così in profondità da introdurre nuovi morfemi: è il caso dei prestiti

nominali uscenti in –o (impiegato, gelato) e in –e (lege, lòde) che hanno introdotto

due nuove classi flessive caratterizzate dalla desinenza –i per il plurale (ël gelato/ij

gelati; la lòde/le lòdi) limitate tuttavia ai prestiti e incapaci di attrarre le parole del

lessico autoctono (Ricca 2006: 139-140). La resistenza all’italianizzazione

55

morfologica appare minore negli aggettivi (Ricca 2006: 146), mentre «il nucleo

“duro” della morfologia flessiva, in gran parte verbale, non manifesta fenomeni di

convergenza con l’italiano» (ibidem).

2. Uno sguardo all’italiano e al piemontese in ottica contrastiva

Per quanto riguarda l’assegnazione del genere ai sostantivi, esistono significative

opposizioni fra l’italiano e il piemontese di cui qui, sulla scorta di Brero/Bertodatti

(2000: 32-36), si offre una rapida sintesi.

2.1 Sostantivi maschili in piemontese, femminili in italiano (sono in grassetto i nomi che hanno lo stesso evidente etimo della traduzione italiana equivalente. Si noti

la presenza, in alcuni casi, di suffissi diminutivi o accrescitivi che possono aver contribuito a determinare

il cambio di genere)

l’armognan, ‘l’albicocca’

l’agian, ‘la ghianda’

l’amson, ‘la mietitura’

ël bòsch, ‘la legna’

(ma anche ‘il bosco’ e ‘il legno’)

ël brassabòsch, ‘l’edera’

ël but, ‘la gemma’ (degli alberi)

ël botal, ‘la botte’

ël caussèt, ‘la calza’

ël ciabòt, ‘la casetta’

ël cotin, ‘la gonna’

ël crajon, ‘la matita’

ël dagn, ‘la falce’

ël foèt, ‘la frusta’

ël moro, ‘la faccia’

ël parpajon, ‘la farfalla’

ël papé, ‘la carta’

ël persi, ‘la pesca’

ël portugal, ‘l’arancia’

ël pruss, ‘la pera’

ël pom, ‘la mela’

ël ròch, ‘la roccia’

lë spi, ‘la spiga’

ël sagrin, ‘l’angoscia’

lë stabi, ‘la stalla’

ël tarpon, ‘la talpa’

ël tuf, ‘l’afa’

2.2 Sostantivi femminili in piemontese, maschili in italiano (sono in grassetto i nomi che hanno lo stesso evidente etimo della traduzione italiana equivalente)

l’agucia, ‘l’ago’

l’alvà, ‘il lievito’

l’ambrun-a, ‘il mirtillo’

l’angassa, ‘il legaccio’

l’andurmia, ‘il sonnifero’

l’àmpola, ‘il lampone’

l’arbra, ‘il pioppo tremulo’

la bòja, ‘l’insetto, il bruco’

la bin, ‘l’affetto’

le braje, ‘i pantaloni’

la brova, ‘il margine’

la càud, ‘il caldo’

la ciovenda, ‘il recinto’

la cavagna, ‘il canestro’

la cracia, ‘lo sporco’

la drugia, ‘il letame’

la dmora, ‘il giocattolo, il gioco’

la fior, ‘il fiore’

la frèid, ‘il freddo’

la giassa, ‘il ghiaccio’

la gran-a, ‘il chicco, il granello’

la grassa, ‘il grasso’

la greuja, ‘il guscio’

la lea, ‘il viale’

la lòsna, ‘il lampo’

la lëgna, ‘il pezzo di legno’

la lëssìa, ‘il bucato (come operazione

di lavaggio)’

la masnà, ‘il bambino’

la matin, ‘il mattino’

la minuta, ‘il minuto’

la muraja, ‘il muro’

56

la miola, ‘il midollo’

la nata, ‘il tappo’

la nos o la nosera, ‘il noce’

la ninsòla, ‘il nocciolo’

la pajassa, ‘il pagliericcio’

la pàuta, ‘il fango’

la pòbia, ‘il pioppo’

la rama, ‘il ramo’

la rapa, ‘il raspo’

la ratavolòira, ‘il pipistrello’

la resta, ‘il resto’

la rov, ‘il rovere’

la sal, ‘il sale’

la sigala, ‘il sigaro’

la slòira, ‘l’aratro’

la seugn, ‘il sonno’

la stenduva, ‘il bucato

(come insieme di panni stesi)

la trìfola, ‘il tartufo’

la vantajin-a, ‘il ventaglio’

la verna, ‘l’ontano’

la vestimenta, ‘il vestito’

le vairòle, ‘il vaiolo’

57

L’oscillazione nell’attribuzione del genere, latente nel latino classico, diventa un

fenomeno decisamente rilevante nel latino volgare (Väänänen 1967: §213, 214, 215;

§226, 227). È particolarmente rilevante, in ottica interlinguistica, il fatto che

l’opposizione fra nomi di piante maschili e nomi di frutti femminili sia del tutto

assente in piemontese. In piemontese anzi i dendronimi tendono a presentarsi

femminili anche laddove il corrispondente italiano è maschile, come nel caso di

arbra, nos, pòbia, verna, rov per le quali solo in un caso (la nos) si può invocare una

sorta di attrazione esercitata dal nome (femminile) del frutto. Negli altri casi è molto

più probabile si tratti di un’attrazione funzionale determinata dal genere della parola

pianta. La questione sarebbe tuttavia da approfondire con uno studio sistematico.

3. Morfologia derivazionale: suffissi e prefissi

I morfemi derivazionali del piemontese corrispondono etimologicamente a quelli

dell’italiano e sono in gran parte di derivazione latina. Nondimeno, in alcuni casi si

riscontrano significative divergenze nelle sfumature semantiche attribuita ai morfemi

derivazionali. È il caso, ad esempio, dei nomina agentis ampiamente esaminati da

Regis (2013), a cui si rimanda per un’analisi specifica.

Una trattazione dettagliata dei prefissi e dei suffissi che costituiscono la galassia

derivazionale della lingua piemontese è rappresentata da Parnigoni 2015, che registra

(xliv-xlv) 42 prefissi di varia produttività (cfr. Ricca 2006): a-/ad-, a- (privativo, dal

greco), am-/an- (<IN), antër-/antra- (<ĬNTRĀ), anti- (<ANTĔ), anti- (<ANTI, dal

greco), antro- (<ĬNTRŌ), ar- (<RE), archi-/arsi- (<ARCHI, dal greco), avan-

(<ĂB+ANTĔ), bis-/bës- (<BĬS), cata- (<KATA, dal greco), cis- (<CĬS), com-/con-

(<CŬM), contra- (<CŎNTRA), das- (<DĒ+ĂB+EX), de- (<DĒ), dëd- (<DĒ+DĒ),

dës- (DĒ+EX), dis-/dës- (<DĬS), e-/es- (<EX), fòra-, for- (<FŌRIS/FŌRAS), fra

(<INFRĀ), in (<IN), mal- (<MĂLE), ob- (<ŎB), për (<PER), pre- (<PRAE), pre-

(<PER), pro- (<PRŌ), re- (<RĔ), rës- (<RĔ+EX), ri- (<RĔ), (ë)s- (<EX), so-

(<SŬB); sor- (<SŬPĔR), sot- (<SŬBTUS), sovra- (<SŬPRĀ), stra- (<ĔXTRĀ), tra-

(<TRANS), tra- (<ŬLTRĀ).

Per quanto riguarda invece i suffissi, Parnigoni (2015: xlv-lii) li suddivide in tre

macrocategorie:

a) i suffissi nominali, che servono per derivare nomi da altri nomi (denominali),

da aggettivi (deaggettivali), da verbi (deverbali);

b) i suffissi aggettivali, tramite i quali è possibile costruire aggettivi partendo da

un sostantivo (denominali), da un altro aggettivo (deaggettivali) oppure da un

verbo (deverbali);

c) i suffissi verbali, attraverso cui si creano verbi partendo da una base nominale

(denominali), da una base aggettivale (deaggettivali) o da una base già verbale

in origine (deverbali).

Si ha dunque una struttura tripartita in cui ciascuna delle tre categorie è a sua volta

suddivisa in tre subcategorie, che si ripetono sempre uguali a se stesse. Anche i

suffissi si ripetono con insistenza, poiché lo stesso suffisso (ad esempio –òt) può

58

servire a formare nomi partendo da nomi (oslòt), nomi partendo da verbi (scacaròt),

aggettivi partendo da nomi (ferlingòt), aggettivi partendo da aggettivi (grassòt). In

questo specifico contesto, può essere interessante vedere quali siano i suffissi che

permettono la creazione di nomi. I denominali risultano essere i più numerosi (circa

80!): -à/-ada (<ĀTAM), -aca (<ACCAM), -ach (<ACCUM), -age/-agi (<ĀTICUM),

-agn (<ĀNEUM), -agn (<ĀNEAM), -àira (<ĀRIAM), -àire (<ATŌREM), -aireul

(<ĀRIUM + ĔOLUM), -aj (<ĀCŬLUM), -aja (<ĂLĬA), -ajo (<ĀGINEM), -al

(<ĀLEM), -am (<ĀMEN), -an (<ĀNUM), -an-a (<ĀNAM), -ar/-ari (<ĀRĬUM), -

ard (<HARD, germanico), -arda (<HARD+AM, germanico), -arìa (<ARĬAM +

ĪAM), -arission (<ĀRI + ITIŌNEM), -ariura (<ĀRI + ŪRAM), -aròla (<ĀRI +

ŎLAM), -ass (<ĀCĔUM), -assa (<ĀCĔAM), -astr (<ĀSTRUM), -auda (<WALD,

germanico), -é (<ĀRIUM), -é/-èj (<ĒTUM), -èire (<ĀRIUM), -el (<ĔLLUM), -ela

(<ĔLLAM), -era (<ĀRIAM), -eri (<ĒRIUM), -erìa (<ARĬUM + ĪAM), -esch

(<ĬSCUM), -ësca (<ĬSCAM), -èt (<ĬTTUM?), -eta (<*ĒTAM), -ëtta (<ĬTTAM?), -

eul (<ĔOLUM), -eur (<ŌREM), -eusa (<ŌSAM), -icc (<ĪCŬLUM), -ich (<ĬCUM), -

ié (<ĀRIUM), -iera (<ĀRIAM), -il (<ĪLEM), -in (<ĪNUM), -in-a (<ĪNAM), -inin

(<ĪNUM+ĪNUM), -inòt (<ĪNUM + ŎTTUM), -isa (<ĬTIAM), -iss (ĪCĔUM), -ista

(<ĪSTAM), -menta (<MENTA), -ò (<ĔLLUM, tramite il francese), -oar (<ĀRĬUM,

tramite il francese), -òcc (<ŌCĔŬM), -òch (<ŌCCUM), -oj (<ŪCŬLUM), -oja

(<ŪCŬLAM), -on (<ŌNEM), -on-a (<ŌNAM), -onà (<ŌNEM+ĀTAM), -òssa

(<*ŌCĔAM), -òt (<*ŌTTUM), -òta (<*ŌTTAM), -otass (<*ŌTTUM + ĀCĔUM), -

ucc (<ŪCĔUM), -uch (<ŬCCUM), -ucio (<ŪCĔUM), -uja (<ŪCŬLAM), -ul

(<ŪLUM), -ulà (<ŪLAM+ĀTAM), -um (<ŪMEN), -uss (<ŪCĔUM/ŪTĬUM). Per

gli altri suffissi si rimanda al testo di Parnigoni 2015, che potrebbe essere oggetto di

un’interessante serie di discussioni.

59

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60

4. Aggettivi e sintagmi aggettivali

In piemontese, come in italiano, gli aggettivi possono svolgere funzioni attributiva

o predicativa. Trascuriamo qui la loro funzione presentativa (Guasti 2001: 322).

Svolgono una funzione attributiva ogni qual volta si trovino all’interno del

Sintagma Nominale, come in

a) i l’hai vist passé na bela matòta

ho visto passare una bella ragazza;

b) i l’hai vist passé na matòta bela

ho visto passare una ragazza bella.

L’aggettivo piemontese con funzione attributiva, come quello italiano, può essere

collocato prima o dopo il nome, quando non regge complementi. Qualora invece

l’aggettivo regga dei complementi preposizionali, esso si trova obbligatoriamente

in posizione postnominale:

Si confrontino

c) i l’hai sempre avù dij can afessionà a me fijeul

ho sempre avuto cani affezionati a mio figlio;

d) * i l’hai sempre avù dj’afessionà a me fijeul can

*ho sempre avuto affezionati a mio figlio cani

La questione in realtà è più complessa. Gli aggettivi possono essere considerati

portatori di valenze da saturare alla stessa stregua dei verbi e, come i verbi,

possono essere suddivisi in inaccusativi e inergativi (Guasti 2001: 324-329) ma

questa suddivisione – che peraltro andrebbe approfondita – lascia in ombra

l’esistenza di altri tipi di aggettivi, presenti anche in piemontese, come gli

aggettivi relazionali, ossia aggettivi che derivano da un nome ed esprimono la

relazione del modificato con il concetto espresso dal nome primitivo. In altri

termini, mortal equivarrà al sintagma dla mòrt, gropà a la mòrt; tropical al

sintagma preposizionale dij tròpich, da tròpich; popolar al sintagma

preposizionale dël pòpol, e così via. Come in italiano, anche in piemontese essi

non possono svolgere funzione predicativa e normalmente non si usano in

costruzioni comparative. Spesso come si vede sono prestiti (o al limite calchi)

dall’italiano, di cui in qualche modo finiscono per veicolare anche la morfologia.

Infatti, le classi flessive aggettivali del piemontese – per quanto riguarda il lessico

di tradizione diretta – non coincidono con quelle dell’italiano. Quest’ultimo

presenta infatti, come il latino, due classi di aggettivi (Salvi/Vanelli 2004: 169):

Italiano Singolare Plurale

Classe Maschile Femminile Maschile Femminile

1 -o -a -i -e

2 -e -e -i -i

61

che si riducono ad una in piemontese, poiché gli aggettivi della seconda classe

latina come fòrt < FORTE(M) sono confluiti nella prima divenendo in tutto simili

a neuv < NOVU(M), sicché si ha uno schema del tipo

Piemontese Singolare Plurale

Classe Maschile Femminile Maschile Femminile

(1) neuv neuva neuv neuve

(2) fòrt fòrta fòrt fòrte

Le uniche eccezioni sono rappresentate dagli aggettivi in –al, -el, -òl, -ol, ecc.:

Singolare Plurale

Maschile Femminile Maschile Femminile

normale normal normala normaj normale

bello bel bela bej bele

scemo fòl fòla fòj fòle

solo sol sola soj sole

In realta, lo schema flessivo per gli aggettivi in –al tende sempre più ad essere

modellato sul corrispondente schema della lingua-tetto, che è ovviamente

l’italiano, sicché (Ricca 2006: 142) l’opposizione di genere normal/normala è in

gran parte neutralizzata a favore dell’unica forma normal ambigenere come

l’italiano normale. «La flessione senza opposizione maschile/femminile di

aggettivi come natural o terìbil ha l’effetto di reinstaurare nel sistema del

piemontese una seconda classe flessiva aggettivale riducendo in questo ambito la

distanza strutturale con l’italiano, per cui si può senz’altro parlare di un processo

di italianizzazione che coinvolge la morfologia flessiva» (Ricca 2006: 143).

62

Bibliografia

GUASTI, MARIA TERESA (2001), La struttura interna del sintagma aggettivale, in RENZI, LORENZO/SALVI,

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(Lecce), pp. 129-149;

SALVI, GIAMPAOLO/VANELLI, LAURA (2004), Nuova grammatica italiana, Il Mulino, Bologna

63

Capitolo 7

Pronomi personali

Pronomi personali soggetto

Serie libera

Il piemontese possiede pronomi personali soggetto liberi, come l’italiano (Regis

2006: 57). Essi sono normalmente portato di un’unità accentuale, per cui spesso

vengono chiamati pronomi tonici. In ogni caso possono comparire in isolamento,

come negli esempi che seguono:

a) chi ha portato il pane? Io!

b) chi a l’é ch’a l’ha portà ’l pan? Mi!

I pronomi personali soggetto del piemontese di koinè sono così elencati da

Brero/Bertodatti (2000: 72):

Ambigenere Maschile Femminile

prima persona singolare mi

seconda persona singolare ti

terza persona singolare

chiel chila

prima persona plurale (noi) nojàutri nojàutre

seconda persona plurale (voi) vojàutri vojàutre

terza persona plurale lor (loràutri) (loràutre)

Per i pronomi di prima e di seconda persona, sia singolare sia plurale, non si

registrano grandi variazioni nell’area piemontese, con l’eccezione di varietà

estremamente marginali come ad esempio il kje dell’area monregalese dove il

pronome di prima persona singolare è appunto chié. La particolarità di questa forma

pronominale (comune alle varietà occitaniche della val Gesso) è attestata dal fatto che

essa è stata promossa a vero e proprio glottonimo, in un contesto in cui tutte le altre

circostanti varietà piemontesi e liguri usano mi come, del resto, la maggior parte dei

dialetti parlati nell’Italia settentrionale. Infatti «caratteristica di tutti i dialetti

settentrionali è la perdita delle forme di pronome personale derivanti da EGO, TU,

sostituite ovunque in fase medievale dagli originariamente obliqui lig., piem., lomb.,

ven. [mi ti], emil. [me te]» (Loporcaro 2009: 87).

I pronomi di terza persona singolare, invece, mostrano una molto maggiore variabilità

diatopica: cel, chial, chil (maschile), chëlla, cëlla, chilà (femminile), che sono forme

comunque limitate ad aree fortemente periferiche. Quanto al pronome di terza

plurale, anche nell’ambito dell’alto-piemontese è possibile trovare forme – parallele a

64

quelle di terza singolare – in cui viene evidenziata la differenza di genere del

referente: chiej, chiaj, chij, cej (maschile), chile, chiëlle, chëlle, cëlle (femminile). La

koinè, invece, per distinguere il genere del soggetto pronominale fa uso della stessa

strategia per tutto il plurale, ossia giustappone al pronome “storico” il succedaneo

dell’aggettivo latino ALTERI. Per la verità, forse su influsso dell’italiano, questa

strategia che si è affermata stabilmente per la prima e la seconda plurale non si è

ancora generalizzata per la terza plurale.

In ogni caso, a differenza di altre varietà italo-romanze, il piemontese e i suoi dialetti

non utilizzano la giustapposizione dell’aggettivo ALTERI al pronome con funzione

semantica: in altri termini, si è perduta ogni distinzione fra valore inclusivo ed

esclusivo del pronome.

Serie clitica

I pronomi soggetto della serie clitica – o, più semplicemente, pronomi clitici soggetto

(nominative clitics) – sono una caratteristica dei dialetti dell’Italia settentrionale

(Vanelli/Renzi 1997: 109; Loporcaro 2009: 110). Non si ritrovano in altre varietà

italo-romanze (con la significativa eccezione del fiorentino: Manzini/Savoia 2005, I:

111) e sono solo parzialmente assimilabili ai pronomi atoni della lingua francese (le

formes conjointes che non possono mai comparire in isolamento e che sono del resto

obbligatorie nella coniugazione verbale: Grevisse/Goosse 2004: § 633-634). La

bibliografia sui pronomi clitici soggetto è piuttosto consistente: numerosi studiosi

infatti se ne sono occupati a partire da Renzi/Vanelli 1983 e molti lo hanno fatto in

riferimento al piemontese e alle sue varietà. Tra i contributi più recenti va annoverato

Ferrarotti (2015: 58-80), tesi di laurea magistrale in Scienze Linguistiche per ora

inedita che ha indagato l’area del piemontese orientale. Al territorio del Piemonte

occidentale coperto dalla rete di indagine ALEPO è invece dedicato Regis 2006b che

completa le osservazioni, relative più specificamente alla koinè, contenute in Regis

2006a. Le conclusioni a cui giungono questi lavori mettono fortemente in crisi

l’affermazione secondo cui «dinnanzi ai verbi, la lingua piemontese usa i Pronomi

Personali Verbali che non si possono mai omettere» (Brero/Bertodatti 2000: 72).

Un’affermazione, questa, a cui Brero e Bertodatti sembrano tenere particolarmente

perché a pochissima distanza ripetono (ibidem) «che, mentre si possono omettere i

pronomi “mi, ti, chiel, etc.”, non si tralascieranno (sic!) mai i suddetti pronomi

personali verbali». L’obbligatorietà del pronome clitico soggetto viene ribadita anche

in Rubat Borel/Tosco/Bertolino (2006: 33-34) mentre in Tosco/Rubat Borel/Bertolino

(2006: 16) si circoscrive il fenomeno alle frasi dichiarative e alla koinè, osservando

che nelle varietà locali i pronomi clitici soggetto possono essere limitati ad alcune

persone del verbo, nella fattispecie la seconda singolare, la terza singolare e la terza

plurale.

In realtà, non è un caso che il titolo di Regis (2006a) sia Se i clitici soggetto sono

facoltativi: la pretesa obbligatorietà dei clitici soggetto infatti non trova riscontro

nell’uso reale, sia parlato sia scritto, almeno non per tutte le persone. È invece

possibile tracciare una gerachia di obbligatorietà basata sulle percentuali statistiche di

65

omissioni del clitico nel parlato non programmato e nell’uso letterario (poetico) della

lingua. Orbene, questa gerarchia di obbligatorietà vede sul gradino più alto – quello

cioè di massima obbligatorietà – il clitico di seconda persona singolare, seguito da

quelli delle terze persone (plurali e singolari) esattamente come indicato da

Tosco/Rubat Borel/Bertolino (2006). Anche questi tre clitici, tuttavia, non sono

tassativamente obbligatori ma possono in alcune circostanze essere omessi senza

pregiudicare la grammaticalità della frase. Come rileva Regis (2006a), risultano così

confermate le conclusioni a cui erano giunti sia Heap (2000) sia Bonato (2004): la

presenza dei clitici dipende dalla persona del verbo, dal contesto d’uso, dal mezzo e

anche dalla varietà di piemontese in gioco. Se infatti la koinè si rivela

tendenzialmente propensa ad evitare la cancellazione dei clitici, non si può dire lo

stesso per le altre varietà. Sia Bonato (2004) sia Regis (2006a), infatti, rilevano una

tendenza ad opporre koinè e varietà periferiche e Bonato (2004: 66) afferma

esplicitamente che l’omissibilità dei clitici aumenta progressivamente quanto più ci si

allontana da Torino. Il dato in sé potrebbe sembrare plausibile, dal momento che la

relativa obbligatorietà dei clitici è anche per la koinè frutto di un’evoluzione

abbastanza recente; e non ci sarebbe da stupirsi se, come spesso accade, dovessimo

verificare che le varietà periferiche mantengono salde le condizioni che per la koinè

sono ormai marcate in diacronia. Bonato (2004) ipotizza una vera e propria volontà di

cosciente allontanamento dalla koinè nei parlanti delle varietà periferiche, in questo

specifico tratto come in altri. Una simile ipotesi, tuttavia, presuppone una

consapevolezza nell’uso della morfosintassi che molto raramente si riscontra nei

parlanti. La parallela advergenza dei dialetti piemontesi verso l’italiano

contribuirebbe alla perdita di obbligatorietà dei clitici, che ovviamente in italiano non

esistono, e confermerebbe d’altra parte una tendenza già presente ab antiquo in

piemontese e ancor oggi ampiamente attestata in alcune varietà periferiche (come

l’alto-piemontese dell’area circostante Cuneo).

Per contro, è sensato ipotizzare che l’insistenza dei piemontesisti sull’obbligatorietà

dei clitici assolva anche a una funzione sociolinguistica di Ausbauization, per usare il

termine di Fishman ripreso da Tosco (2011: 233): «the basic ideological drive behind

the process of Ausbauization is the desire to make oneself (i.e., one’s language) as

distinct as possible, and therefore as different as possible, from competing varieties,

generally the official and national language(s)». In questa prospettiva, chiaramente, i

clitici soggetto distinguono il piemontese dalla varietà con cui è in competizione,

ossia l’italiano. Ma nella realtà dell’uso, come si è visto, non è detto che il dato

ideologicamente più significativo trovi sempre conferma.

Il piemontese di koinè è, in ogni caso, un codice dotato di pronomi clitici soggetti per

ogni persona del verbo. In altri termini, a differenza di moltissime varietà dell’Italia

settentrionale, il piemontese ha un sistema completo di clitici a 6 persone. I dati

atlantistici dell’ALEPO (Regis 2006b: 61) confermano che questo sistema è

abbastanza diffuso anche nel Piemonte occidentale poiché lo si ritrova a

Bardonecchia, Briga Alta, Campiglia Cervo, Chianocco, Frabosa Soprana, Mattie,

Moncalieri, Novalese, Pamparato, Sestrière, Susa, Traversella e Val della Torre. Le

forme del sistema, ovviamente, sono quanto mai variegate e spesso non

66

corrispondono allo schema della koinè: del resto, i punti citati appartengono alle più

diverse aree linguistiche del Piemonte, dall’occitano al monregalese alpino, dal

francoprovenzale all’alto-monregalese, dall’alto-piemontese al ligure roiasco. Al di là

delle complesse manifestazioni fonologiche, tuttavia, è legittimo concludere che il

sistema a 6 clitici esiste effettivamente al di fuori della koinè ed ha alcune linee di

tendenza generali:

a) la maggior parte dei punti ALEPO con sistema a 6 clitici presenta clitici

vocalici in tutte le persone tranne la seconda singolare dove compaiono (come

nella koinè) forme contenenti la consonante [t] (it, ët, të, tu, ti…);

b) la maggior parte dei suddetti punti manifesta alla terza persona singolare

l’opposizione di genere maschile vs. femminile, che invece è del tutto assente

nella koinè (in cui il clitico è sempre a, indipendentemente dal genere

grammaticale del referente).

Esistono però anche sistemi di pronomi clitici soggetto a 5, 4 e 3 persone (Regis

2006b: 63) nei quali in ogni caso vengono confermate le generalizzazioni formulate

da Renzi/Vanelli (1983: 128) in particolare la terza secondo cui

«se una varietà fa un uso costante di almeno tre pronomi soggetto, questi sono quelli di

seconda, terza e sesta persona».

Nei dati atlantistici ALEPO si individuano però anche punti d’indagine dove

compaiono sistemi di pronomi clitici limitati a 2 o a 1 persona. Non solo: la

situazione che emerge dai dati che Regis (2006b: 64-65) trae dalla sezione

morfologica dell’ALEPO arriva al punto di contraddire la prima e la seconda

generalizzazione di Renzi/Vanelli (1983: 128):

«se una varietà fa un uso costante di almeno un pronome soggetto, questo è quello di

seconda persona»;

«se una varietà fa un uso costante di almeno due pronomi soggetto, questi sono quelli di

seconda e terza persona».

Esistono infatti in Piemonte varietà che conoscono solo i clitici di terza persona

singolare e plurale e non mostrano (almeno nell’indagine ALEPO) l’uso di clitici per

la seconda singolare, contraddicendo così i postulati teorici più accreditati. Se però si

passa ad osservare da vicino queste varietà, si noterà che la maggior parte di esse

appartiene alla provincia di Cuneo (Entracque, Limone Piemonte, Oncino, Sampeyre,

Bellino, Boves, Monterosso Grana) di cui peraltro fanno parte anche i punti ALEPO

nei quali i dati mostrano una totale assenza di clitici soggetto: Aisone, Argentera,

Canosio, Cartignano, Piasco. Come si noterà da quest’elenco, i punti si addensano

nell’area occidentale della provincia di Cuneo, proprio l’area dove le varietà dialettali

(occitane o piemontesi che siano) conservano saldamente la desinenza sigmatica per

la seconda singolare. L’assenza di pronomi clitici soggetti alla seconda persona

singolare, quindi, viene da Regis (2006b: 68-69) messa in correlazione con la stabilità

della desinenza verbale sigmatica: ferma restando la necessità di caratterizzare ed

iperdeterminare la seconda singolare, in quanto persona deittica per eccellenza, una

67

parte significativa dei dialetti parlati nell’area alpina e subalpina gravitante su

Saluzzo e su Cuneo persegue quest’obiettivo con strategie diverse dall’uso dei

pronomi clitici soggetto.

Map 6. Subject Clitics in Western Piedmont: relationship

between presence/absence of final -s and 2nd person Subject Clitic Pronoun

a = [˗ -s], [+ 2nd SCP]; b = [+ -s], [– 2nd SCP];

c = [– -s], [– 2nd SCP]; d = [+ -s], [+ 2nd SCP] (Cerruti/Regis 2007)

Nella presentazione dei clitici soggetto del piemontese di koinè, dunque, si dovrà

tenere conto di quest’avvertenza: la presenza del clitico di seconda persona,

68

soprattutto in determinate aree geografiche, sarà molto difficilmente compatibile con

la desinenza sigmatica –es della seconda singolare. Inoltre, in numerose varietà (e

anche nella stessa koinè) l’uso dei clitici potrà presentare una tendenza più o meno

forte all’omissibilità.

Fatte queste premesse, vediamo nella tabella ? il sistema dei clitici soggetto in

piemontese di koinè:

clitici soggetto Maschile Femminile

prima persona singolare i i

seconda persona singolare it it

terza persona singolare a a

prima persona plurale i i

seconda persona plurale i i

terza persona plurale a a

Come si può vedere, la presenza di due colonne distintive per il genere è superflua

dal momento che nella varietà di koinè il piemontese non conosce distinzioni

nemmeno per la terza persona singolare. Essa è invece chiaramente caratterizzata a

seconda del genere in numerose altre varietà, come quella monregalese dove al

maschile o [u] si contrappone il femminile a [a]. Etimologicamente, «the nominative

clitics derive from old free pronouns, which became clitics between the fifteenth and

sixteenth centuries» (Vanelli/Renzi 1997: 109). Sono insomma i pronomi clitici a

continuare la serie nominativa del latino:

i <e < EGO;

it, të < TU;

a < al < ILLU(M) ? regolarmente continuato da o [u] nelle varietà che conoscono la

differenziazione di genere; ma potrebbe trattarsi anche di una

sovraestensione del femminile

a < la < ILLA(M);

i < oi < noi < NOS ?

i < oi < voi < VOS ? nel Seicento era o, come nel kje di Fontane contemporaneo

a < ai < ILLI ?

La ricostruzione etimologica dei clitici attestati per il plurale è congetturale, poiché

essi presentano un notevole grado di variabilità non solo diatopica ma anche

diastratica e diamesica e si sono fissati (come rilevato da Regis 2006b) in epoca

relativamente recente. Per ripercorrere le tappe evolutive che hanno portato all’attuale

situazione della koinè è di una certa utilità interrogare le varietà periferiche. In

particolare, ad alcuni sistemi di clitici nel piemontese orientale è dedicato il lavoro di

Ferrarotti (2015: 58-80).

Serie clitica interrogativa

69

Nelle varietà venete, friulane, emiliane, romagnole e piemontesi è possibile trovare

una vera e propria serie di pronomi clitici postverbali il cui uso è riservato a frasi

interrogative dirette, ipotetiche e ottative (Poletto 1997: 140). La varietà di koinè non

fa eccezione, sebbene l’uso di questa serie clitica sia ormai recessivo poiché «si sta

affermando l’uso della forma assertiva con intonazione interrogativa (quindi con

curva intonativa ascendente)» (Miola 2013: 154). Come in altre varietà, infatti, la

serie clitica interrogativa postverbale implica l’utilizzo di una vera e propria flessione

interrogativa, caratterizzata in genere da desinenze più arcaiche rispetto a quelle della

coniugazione assertiva. Si tratta di un fenomeno sconosciuto all’italiano ma

largamente attestato nelle parlate del Piemonte meridionale: Miola (2013: 152-155)

ne mette in rilievo la particolare rilevanza nelle varietà di area monregalese. Il

confronto fra la flessione assertiva e quella interrogativa può comunque essere utile

anche per la koinè:

assertiva interrogativa

1ª singolare mi i parlo parl-ne?

2ª singolare ti it parle(s) parles-to?

3ª singolare

chiel a parla parl-lo?

chila a parla parl-la?

1ª plurale nojàutri i parloma parlom-ne?

2ª plurale vojàutri i parle parle-ve?

3ª plurale

lor a parlo parl-le?

lor a parlo parl-ne?

In koinè (ma non in tutte le varietà) «an enclitic can co-occur with a proclitic subject

pronouns: Rodoretto di Prali sòch a l’alo fàit? [sok a l 'alo fai t?]. Hence, preverbal

and postverbal pronouns belong to two distinct classes» (Poletto 1997: 140). La

questione è ovviamente molto complessa. In ogni caso esistono varietà in cui non

solo i due pronomi (proclitico ed enclitico) possono cooccorrere ma in cui

sostanzialmente devono farlo, tanto che esiste una serie di proclitici utilizzati solo in

cooccorrenza con gli enclitici (ad esempio il dialetto alto-monregalese di Viola).

70

Bibliografia

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71

Capitolo 8

Osservazioni sulle coniugazioni verbali

Come non ha mancato di sottolineare a più riprese Gasca Queirazza (2002; 2003;

2005) gli Autori delle diverse grammatiche del piemontese a partire almeno da Ponza

(1838) hanno recepito in maniera acritica il modello scolastico elaborato per la lingua

italiana, organizzando di conseguenza in tre coniugazioni l’esposizione degli schemi

di flessione verbale. L’esempio dell’italiano è stato seguito nel Novecento da Aly-

Belfàdel (1933: 177-233), che peraltro si è dimostrato capace di un’autonoma

originalità, e soprattutto da Brero (1967; 1971; 1975; 2008) e Brero/Bertodatti

(2000). L’autorevolezza della grammatica di Brero nelle sue successive edizioni ha

finito per favorire il costituirsi di una vera e propria tradizione prescrittiva per il

piemontese standard. Allo stesso modello “italocentrico” si sono così conformati

Griva (1980), Villata (1997; 2009), Grosso (2000; 2002), Capello et alii (2001), tutti

concordi con Brero nell’individuare tre schemi di flessione verbale riconducibili alle

tre coniugazioni normalmente riconosciute per la lingua italiana. Alla prima

coniugazione italiana in –are corrisponde la prima coniugazione piemontese in –é,

alla seconda (che in italiano ha desinenza –ere, atona o tonica, derivata

rispettivamente dalla seconda e dalla terza coniugazione del latino classico)

appartengono i verbi in –e atono, alla terza (-ire) i verbi in –í.

In realtà, come si desume da una lettura anche affrettata di Brero/Bertodatti (2000), il

sistema flessivo dei verbi piemontesi appare piuttosto refrattario a una simile

classificazione: essa infatti costringe i grammatici a inserire lunghi paragrafi dedicati

alle particolarità e alle irregolarità flessive (Brero/Bertodatti 2000: 106-116).

Recependo le indicazioni di Gasca Queirazza (2005) si può quindi tentare di

impostare una diversa presentazione dell’argomento, tenendo presenti anche i dati

che sono stati messi in rilievo per alcune varietà periferiche di piemontese “border

line” particolarmente interessanti come il cairese (Parry 2005: 183-188) e il kje

(Miola 2013: 143-152).

Sulla reale esistenza di un paradigma flessivo classificabile come “prima

coniugazione” non pare possibile nutrire alcun dubbio: la coniugazione vivente, in

piemontese, è quella dei verbi con l’infinito in –é (<-ARE): parlé, parlare; balé,

ballare; canté, cantare; subié, fischiare, ecc, il cui modello flessionale è caratterizzato

in tutte le varietà dalla ricorrenza della vocale tematica [a]. Essa contraddistingue in

particolare la terza persona singolare dell’indicativo presente (chiel a parla), l’intera

coniugazione dell’indicativo imperfetto (mi i parlava, ti it parlave, ecc.), la prima e la

terza singolare del congiuntivo presente (che mi i parla, che chiel a parla), la seconda

singolare dell’imperativo presente (parla!) e il gerundio (an parland). Si tratta di uno

schema flessionale estremamente produttivo, che in alcune varietà possiede una certa

capacità di modellare le altre coniugazioni: si pensi al dialetto di Mondovì, che

estende la desinenza –a a tutte le terze singolari degli indicativi presenti,

indipendentemente dalla coniugazione di appartenenza. Nella koinè, rispetto ad altre

varietà, si osservano alcuni fenomeni di un certo interesse quali la conservazione (o,

72

più probabilmente, il ripristino) della desinenza di prima persona singolare –o [u]

caduta nelle varietà langarole e monferrine (Parry 2005: 186) ma attestata a Torino

almeno dal Seicento (Clivio 1974) in continuità con le condizioni dell’area

galloromanza (Miola 2013: 149). All’area galloromanza sembrerebbero ricondurre

anche altri fenomeni quali la conservazione del morfema desinenziale sigmatico per

la seconda persona singolare (-es), che tuttavia nella koinè (come peraltro in

numerose varietà periferiche, Miola 2013: 150 n. 5) si mantiene solo nelle forme

monosillabiche dei verbi irregolari (ti it sas, ti it l’has, ti it vas – ma quest’ultima in

concorrenza con it vade -, ti it fas – in concorrenza con it fase) mentre nelle forme

polisillabiche di tutti i verbi si riduce ad –e. Su questa desinenza sigmatica è tuttavia

ideologicamente interessante leggere quel che scrive Brero (2008: 68):

I pensoma, però, che i soma ancora an temp a salvé cola bela richëssa verbal che a l’é la seconda

përson-a singolar dël present e dl’impërfet ëd tuti ij meud che a finiss an «es» e che a l’é ancora bin

viva ant j’anviron ëd Salusse e a Salusse sità2. Esempi: se ti it ven-es con noi, it manges, it bèives e it

paghes gnente (Se vieni con noi, mangi, bevi e non paghi nulla). Anvece ’d dëspresié coj che a la

dòvro, sercoma d’adotela anche noi! A l’é na galuparìa!

Tali caratteristiche, peraltro, non sono esclusive della prima coniugazione ma si

estendono alle altre classi flessive del piemontese, sul cui numero tuttavia le opinioni

degli studiosi sono abbastanza divergenti. Per la varietà marginale del kje, che

peraltro rispecchia con una certa fedeltà il lontano modello della koinè, Miola (2013:

143-148) propone due sole classi verbali:

i. la prima, il cui infinito in kje è in –ò ([ɒ ], [ɔ]) come peraltro si verifica in

numerose varietà monferrine (Telmon 2001: 73) ma anche nei dialetti alto-

piemontesi dell’area sud-occidentale (Boves, Chiusa Pesio, Peveragno): parlò,

cantò, balò ecc. (parlé, canté, balé ecc.);

ii. la seconda, che comprende diverse sottoclassi

a. i verbi in –IRE (> -í) partí, partire

b. i verbi in –IRE (> -í) con aumento –ISC- (-sc-) fní (finí), finire

c. i verbi in –ERE (>-aj) pogaj (podèj), potere

d. verbi in consonante –ERE (>∅) vegh (vëdde), vedere.

La proposta di raggruppare il sistema verbale in due sole macro-classi, la prima delle

quali corrispondente alla prima coniugazione tradizionale, non è peraltro una novità

nell’ambito degli studi morfologici. Essa è stata avanzata a più riprese anche per

l’italiano (Dressler et alii 2003: 407; Thornton 2005: 131 e n. 11) sulla base di

un’osservazione facilmente verificabile: «il fatto che la desinenza di terza persona

singolare sia uguale in verbi tradizionalmente considerati della II coniugazione e

verbi tradizionalmente considerati della III è una delle prove in favore di questa

classificazione alternativa delle classi di flessione del verbo italiano, che raggruppa

queste due coniugazioni in una sola macroclasse» (Thornton 2005: 131). A una simile

bipartizione si conforma Parry (2005: 183) che per il cairese individua appunto due

macroclassi di coniugazione verbale: la prima comprende tutti i verbi con l’infinito in

2 Un’altra area interessata alla conservazione di –s si riscontra nella zona di Lanzo Torinese (Telmon 2001: 70)

73

–è (mandè), mentre nella seconda rientrano i verbi con l’infinito in –i atono (pèrdi), -í

accentato senza suffisso –isc- (partí), -í accentato con suffisso –isc- (finí), e infine i

verbi con infinito in –èj (pořèj).

Proprio la presenza dei verbi in –èj ha indotto Gasca Queirazza (2005) a proporre una

classificazione più vicina a quella tradizionale latina: il sistema verbale piemontese

verrebbe così ad avere quattro coniugazioni eredi dirette di quelle presenti in latino,

la prima (-é < -ARE), la seconda (-èj < -ĒRE), la terza (-e < -ĔRE), la quarta (-í < -

IRE). In realtà, in koinè come nelle altre varietà ascrivibili all’area piemontese i verbi

della seconda coniugazione in –èj sono molto ridotti di numero (sostanzialmente solo

avèj, avere; dovèj, dovere; piasèj, piacere; podèj, potere; savèj, sapere; valèj valere e

vorèj, volere) ma secondo Gasca «il numero esiguo dei verbi in –èj non può costituire

motivo per negare la specificità di questa flessione e per rifiutare di considerarla

come categoria peculiare» (Gasca Queirazza 2005: 161).

Come ho già rilevato, si conforma alla bipartizione di Parry (2005) la descrizione

delle classi verbali contenuta in Miola (2013: 143-148) in cui le microclassi sono le

stesse della koinè sebbene assumano vesti fonetiche leggermente diverse. Possiamo

quindi usarla come schema.

Nella schematizzazione che seguirà, anche io seguirò il principio enunciato da

Dressler et alii (407) assumendo «solo due macroclassi, al posto della tripartizioni

tradizionali» sebbene questa classificazione bipartita risulti almeno in parte

insoddisfacente per alcune varietà di area alto-monregalese e alto-langarola che

oppongono ad esempio il morfema desinenziale di prima plurale –oma (prima e

seconda coniugazione tradizionali) al morfema –ima (terza coniugazione, cioè verbi

con l’infinito in –ì, cfr Grassi/Sobrero/Telmon 1997: 146-149).

Schema Verbi1

primo gruppo secondo gruppo

Infinito parl-é dov-èj scriv-e surt-ì fin-ì

Indicativo

Presente

1ª sing i parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o

2ª sing it parl-e(s) dev-e(s) scriv-e(s) seurt-e(s) fin-iss-e(s)

3ª sing a parl-a dev Scriv seurt fin-iss

1ª plur i parl-oma dov-oma scriv-oma surt-(i)-oma fin-i-oma

2ª plur i parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e

3ª plur a parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o

Imperfetto

1ª sing i parl-av-a dov-ì-a scriv-ì-a surt-ì-a fin-ì-a

2ª sing it parl-av-e(s) dov-ì-e(s) scriv-ì-e(s) surt-ì-e(s) fin-ì-e(s)

3ª sing a parl-av-a dov-ì-a scriv-ì-a surt-ì-a fin-ì-a

1ª plur i parl-av-o dov-ì-o scriv-ì-o surt-ì-o fin-ì-o

2ª plur i parl-av-e dov-ì-e scriv-ì-e surt-ì-e fin-ì-e

3ª plur a parl-av-o dov-ì-o scriv-ì-o surt-ì-o fin-ì-o

Futuro 1ª sing i parl-ër-ai dov-r-ai scriv-r-ai surt-i-r-ai fin-i-r-ai

2ª sing it parl-ër-as dov-r-as scriv-r-as surt-i-r-as fin-i-r-as

74

3ª sing a parl-ër-à dov-r-à scriv-r-à surt-i-r-à fin-i-r-à

1ª plur i parl-ër-oma dov-r-oma scriv-r-oma surt-i-r-oma fin-i-r-oma

2ª plur i parl-ër-eve dov-r-eve scriv-r-eve surt-i-r-eve fin-i-r-eve

3ª plur a parl-ër-an dov-r-an scriv-r-an surt-i-r-an fin-i-r-an

Congiuntivo

Presente

1ª sing i parl-a dev-a scriv-a seurt-a fin-iss-a

2ª sing it parl-e(s) dev-e(s) scriv-e(s) seurt-e(s) fin-iss-e(s)

3ª sing a parl-a dev-a scriv-a seurt-a fin-iss-a

1ª plur i parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o

2ª plur i parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e

3ª plur a parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o

Imperfetto

1ª sing i parl-èiss-a dov-èiss-a scriv-èiss-a surt-i-èiss-a fin-i-èiss-a

2ª sing it parl-èiss-e(s) dov-èiss-e(s) scriv-èiss-e(s) surt-i-èiss-e(s) fin-i-èiss-e(s)

3ª sing a parl-èiss-a dov-èiss-a scriv-èiss-a surt-i-èiss-a fin-i-èiss-a

1ª plur i parl-èiss-o dov-èiss-o scriv-èiss-o surt-i-èiss-o fin-i-èiss-o

2ª plur i parl-èiss-e dov-èiss-e scriv-èiss-e surt-i-èiss-e fin-i-èiss-e

3ª plur a parl-èiss-o dov-èiss-o scriv-èiss-o surt-i-èiss-o fin-i-èiss-o

Condizio

Nale Presente

1ª sing i parl-ër-ì-a dov-r-ì-a scriv-r-ì-a surt-i-r-ì-a fin-i-r-ì-a

2ª sing it parl-ër-ì-e(s) dov-r-ì-e(s) scriv-r-ì-e(s) surt-i-r-ì-e(s) fin-i-r-ì-e(s)

3ª sing a parl-ër-ì-a dov-r-ì-a scriv-r-ì-a surt-i-r-ì-a fin-i-r-ì-a

1ª plur i parl-ër-ì-o dov-r-ì-o scriv-r-ì-o surt-i-r-ì-o fin-i-r-ì-o

2ª plur i parl-ër-ì-e dov-r-ì-e scriv-r-ì-e surt-i-r-ì-e fin-i-r-ì-e

3ª plur a parl-ër-ì-o dov-r-ì-o scriv-r-ì-o surt-i-r-ì-o fin-i-r-ì-o

Imperativo

2ª sing parl-a (dev) scriv seurt fin-iss

2ª plur parl-è dov-é scriv-é surt-ì fin-ì

Esortativo 1ª plur parl-oma dov-oma scriv-oma surt-oma fin-i-oma

2ª plur parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e

Participio Passato parl-à dov-ù scriv-ù seurt-ì fin-ì

Gerundio parl-and dov-end scriv-end surt-i-end fin-i-end

Lo schema si basa su due dati di fatto incontrovertibili: nella koinè, come nella

maggioranza assoluta dei dialetti piemontesi, si ha una netta bipartizione fra i verbi

del primo gruppo flessivo e quelli del secondo; le differenze fra i diversi schemi del

secondo gruppo, invece, appaiono molto meno marcate. Non a caso, si registrano

diversi casi di oscillazione soprattutto fra il secondo e il terzo schema del secondo

gruppo, cioè fra quelle che tradizionalmente vengono considerate la seconda e la

terza coniugazione. È il caso dei cosiddetti verb fosonant (Brero/Bertodatti 2000:

107-109) ossia “verbi sovrabbondanti”, che nelle varietà maggiormente conservative

presentano normalmente l’infinito in –ì ma in koinè hanno più frequentemente una

forma d’infinito in –e:

cheuje / cujì ‘cogliere’

cheurve / curvì ‘coprire’

cuse / cusì ‘cucire’

deurve / durvì ‘aprire’

empe / empì ‘riempire’

meuire /murì ‘morire’

parte / partì ‘partire’

riesse / riussì ‘riuscire’

75

sente / sentì ‘sentire’

serve / servì ‘servire’

seurte / seurtì ‘uscire’

tase / tasì ‘tacere’

ten-e / tnì ‘tenere’

ven-e / vnì ‘venire’

veste / vestì ‘vestire’

76

Il fenomeno, come già messo in rilievo da Telmon (1988: 481), riguarda anche

numerose varietà marginali (Parry 2005: 185) in cui però spesso la vocale d’appoggio

dell’infinito parossitono è –i anziché –e (dreumi, dormire; senti, sentire; meuri,

morire).

Marche di persona e numero

Proviamo ora a ricapitolare alcuni dei dati emersi dalla presentazione degli schemi

flessionali. Le marche di persona e numero del sistema verbale regolare piemontese

possono essere riassunte in tre flessioni fondamentali:

1) indicativo presente

a. prima classe: -o, -e(s), -a, -oma, -e, -o;

b. seconda classe: -o, -e(s), ∅, -oma, -e, -o;

2) indicativo futuro: -ai, -as, -à, -oma, -eve, -an;

3) indicativo imperfetto,

congiuntivo presente,

congiuntivo imperfetto,

condizionale presente: -a, -e(s), -a, -o, -e, -o.

Si tratta, come si vede, di un’articolazione flessionale estremamente semplificata

rispetto sia all’italiano sia a molte delle varietà locali del Piemonte. Profonda è stata,

infatti, l’opera del livellamento analogico che ha portato le marche desinenziali a

ridursi significativamente di numero. Così, nella koinè contemporanea nessuna

persona dei verbi regolari è rappresentata da più di tre desinenze. Anzi, in un certo

senso solo la prima singolare dispone di tre diverse desinenze (-o, -ai, -a) poiché le

due desinenze (-a, -à) della terza singolare potrebbero essere considerate

sostanzialmente equivalenti e dunque anche la terza singolare sarebbe rappresentata

solo da due marche desinenziali, -a e zero, come la seconda singolare (-e(s), -as), la

prima singolare (-oma, -o), la seconda plurale (-e, -eve), la terza plurale (-o, -an).

Tutte le desinenze sono atone, tranne –oma e le marche del futuro, che corrispondono

in toto al presente indicativo del verbo avèj. L’origine della desinenza –oma è

controversa e costituisce uno dei punti nodali di interesse della grammatica storica

del piemontese, sul quale si sono incentrati numerosi studi di cui offre

un’approfondita panoramica Telmon (1988: 473; 477-78) ricordando le varie ipotesi

formulate in proposito. Ad esse va aggiunta la successiva spiegazione di Zörner

(1996) seconda la quale la desinenza –oma è una generalizzazione della desinenza di

prima coniugazione, originariamente solo esortativa (come è ancora oggi nei dialetti

canavesani). La sua origine storica sarebbe da far risalire all’ausiliare omo, ‘abbiamo’

forma ancora presente in alcune varietà molto prossime alle koinè. Del resto è

possibile (come ipotizza Regis 2015) che la desinenza in sé sia di origine

extratorinese. Una trattazione globale delle desinenze verbali in area piemontese sud-

occidentale si trova in Duberti (2012).

77

Alcuni verbi irregolari

Si offrono qui, a titolo di esempio, alcuni esempi di verbi irregolari di altissima

frequenza. A sinistra se ne dà la coniugazione in koinè, mentre a destra si

propongono a titolo di curiosità alcune varianti attestate in varietà alto-piemontesi

(AP), langarole (L), monregalesi (M), canavesane (CV) utilizzate anche per scopi

letterari nel corso del Novecento. Una loro più estesa presentazione si può reperire in

Tosco/Rubat Borel/Bertolino (2006: 91-92; 105-106).

esse

mi i son ……………………………. i sogn (AP, M), e seuj, e sé (M)

ti it ses ……………………………. it sèi (L), it é (M), it ési (M)

chiel, chila a l’é …………………………….chel o l’é, chila a l’é (M)

noiàutri i soma …………………………….i somo (AP)

voiàutri i seve …………………………….i sèi (L, M)

lor a son …………………………….chej i son, chile i son (M)

avèj

mi i l’hai ……………………………. mi j’heu (AP, CV),

ti it l’has ……………………………. it hai (L), it hè (M), it hèsi (M)

chiel, chila a l’ha ……………………………. chel o l’ha, chila a l’ha (M)

noiàutri i l’oma ……………………………. i l’omo (AP)

voiàutri i l’eve ……………………………. j’èi (L, M)

lor a l’han ……………………………. chej j’han, chile j’han (M)

andé

mi i vad(o) ……………………………. i von, i vogn (AP, M), e vagh (L,M)

ti it vas (vade) ……………………………. it vai (L), it vè (M), it vèsi (M)

chiel, chila a va ……………………………. chel o va, chila a va (M)

noiàutri i andoma ……………………………. i vama (AP), i anmà (M)

voiàutri i andeve ……………………………. i vèi (L, M),

lor a van ……………………………. chej i van, chile i van (M)

mi i dago, dagh ……………………………. i don, i dogn (AP, M)

ti it das ……………………………. it dai (L), it dè (M), it dèsi (M)

chiel, chila a dà ……………………………. chel o dà, chila a dà (M)

noiàutri i doma ……………………………. i domo (AP),

voiàutri i deve ……………………………. i dèi (L, M),

lor a dan ……………………………. chej i dan, chile i dan (M)

78

mi i faso, fass ……………………………. i fon, i fogn (AP)

ti it fas(e) ……………………………. it fai (L), it fè (M), it fèsi(M)

chiel, chila a fà ……………………………. chel o fa, chila a fa (M)

noiàutri i foma …………………………….

voiàutri i feve ……………………………. i fèi (L, M)

lor a fan ……………………………. chej i fan, chile i fan (M)

sté

mi i stagh (stago) ……………………………. i ston, i stogn (AP, M), j’ësto (AP, M)

ti it ëstas ……………………………. it ëstai (L), it ëstè (M), it ëstèsi (M)

chiel, chila a stà ……………………………. chel o stà, chila a stà (M)

noiàutri i stoma …………………………….

voiàutri i steve ……………………………. i stèi (L, M)

lor a stan ……………………………. chej i stan, chile i stan (M)

dovèj

mi i devo ……………………………. i dev (L, M)

ti it deve(s) ……………………………. it devi (L, M, CV)

chiel, chila a dev ……………………………. chel o deva, chila a deva (M)

noiàutri i dovoma ……………………………. i dvoma (AP), i devmà (M)

voiàutri i deve ……………………………. i devi (M)

lor a devo ……………………………. chej i devo, chile i devo (M)

podèj

mi i peuss …………………………….

ti it peule ……………………………. it peuři (L, M), it peus (AP)

chiel, chila a peul ……………………………. chel o peu, chila a peu (M)

noiàutri i podoma ……………………………. i poma (M), i podomo (AP)

voiàutri i peule ……………………………. i peuři (L, M)

lor a peulo ……………………………. chej i peuřo, chile i peuřo (M)

savèj

mi i sai ……………………………. i seu (AP, L, M),

ti it sas ……………………………. it sai (L), it sè (M), it sèsi (M)

chiel, chila a sa ……………………………. chel o sa, chila a sa (M)

noiàutri i soma …………………………….

79

voiàutri i seve ……………………………. i sèi (L, M)

lor a san ……………………………. chej i san, chile i san (M)

volèj / vorèj

mi i veuj …………………………….

ti it veule ……………………………. it veuři (L, M),it veus (AP)

chiel, chila a veul ……………………………. chel o veu, chila a veu (M)

noiàutri i voloma ……………………………. i voma (AP, M),

voiàutri i veule ……………………………. i veuři (L, M)

lor a veulo ……………………………. chej i veuřo, chile i veuřo (M)

80

Allomorfia tematica nei verbi irregolari tabella Verbi 2: schema della flessione degli ausiliari

Infinito esse Avèj

Indicativo

Presente

1ª sing i s-on i l'hai

2ª sing it s-es it l'ha-s

3ª sing a l'è a l'ha

1ª plur i s-oma i l'oma

2ª plur i s-eve i l'eve

3ª plur a s-on a l'ha-n

Imperfetto

1ª sing i j'er-a i l'av-ì-a

2ª sing it j'er-e(s) it l'av-ì-e(s)

3ª sing a l'er-a a l'av-ì-a

1ª plur i j'er-o i l'av-ì-o

2ª plur i j'er-e i l'av-ì-e

3ª plur a j'er-o a l'av-ì-o

Futuro

1ª sing i sa-r-ai i l'av-r-ai

2ª sing it sa-r-as it l'av-r-as

3ª sing a sa-r-à a l'av-r-à

1ª plur i sa-r-oma i l'av-r-oma

2ª plur i sa-r-eve i l'av-r-eve

3ª plur a sa-r-an a l'av-r-an

Congiuntivo

Presente

1ª sing i si-a i l'àbi-a

2ª sing it si-e(s) it l'àbi-e(s)

3ª sing a si-a a l'àbi-a

1ª plur i si-o i l'àbi-o

2ª plur i si-e i l'àbi-e

3ª plur a si-o a l'àbi-o

Imperfetto

1ª sing i fu-ss-a i l'av-èiss-a

2ª sing it fu-ss-e(s) it l'av-èiss-e(s)

3ª sing a fu-ss-a a l'av-èiss-a

1ª plur i fu-ss-o i l'av-èiss-o

2ª plur i fu-ss-e i l'av-èiss-e

3ª plur a fu-ss-o a l'av-èiss-o

Condizionale Presente

1ª sing i sa-r-ì-a i l'av-r-ì-a

2ª sing it sa-r-ì-e(s) it l'av-r-ì-e(s)

3ª sing a sa-r-ì-a a l'av-r-ì-a

1ª plur i sa-r-ì-o i l'av-r-ì-o

2ª plur i sa-r-ì-e i l'av-r-ì-e

3ª plur a sa-r-ì-o a l'av-r-ì-o

Imperativo 2ª sing si-e / ess-e àbi-e

2ª plur si-e / ess-e àbi-e

Esortativo 1ª plur s-oma av-oma

81

2ª plur si-e av-ej-e

Participio Passato st-àit av-ù

Gerundio ess-end av-end

tabella Verbi 3: schema della flessione irregolare nella prima classe

Infinito andé dé Fé sté

Indicativo

Presente

1ª sing i vad-o i d-ag-o i f-as-o i st-ag-o

2ª sing it va-s it da-s it fa-s it ë-sta-s

3ª sing a va a da a fa a sta

1ª plur i and-oma i d-oma i f-oma i st-oma

2ª plur i and-eve i d-eve i f-eve i st-eve

3ª plur a va-n a da-n a fa-n a sta-n

Imperfetto

1ª sing i and-as-ì-a i d-as-ì-a i f-as-ì-a i st-as-ì-a

2ª sing it and-as-ì-e(s) it da-s-ì-e(s) it f-as-ì-e(s) it ë-sta-s-ì-e(s)

3ª sing a l'and-as-ì-a a d-as-ì-a a f-as-ì-a a st-as-ì-a

1ª plur i and-as-ì-o i d-as-ì-o i f-as-ì-o i st-as-ì-o

2ª plur i and-as-ì-e i d-as-ì-e i f-as-ì-e i st-as-ì-e

3ª plur a l'and-as-ì-o a d-as-ì-o a f-as-ì-o a st-as-ì-o

Futuro

1ª sing i and-ar-ai i d-ar-ai i f-ar-ai i st-ar-ai

2ª sing it and-ar-as it d-ar-as it f-ar-as it ë-st-ar-as

3ª sing a l'and-ar-à a d-ar-à a f-ar-à a st-ar-à

1ª plur i l'and-ar-oma i d-ar-oma i f-ar-oma i st-ar-oma

2ª plur i l'and-ar-eve i d-ar-eve i f-ar-eve i st-ar-eve

3ª plur a l'and-ar-an a d-ar-an a f-ar-an a st-ar-an

Congiuntivo

Presente

1ª sing i vad-a i dag-a i fas-a i stag-a

2ª sing it vad-e(s) it dagh-e(s) it fas-e(s) it ë-stagh-e(s)

3ª sing a vad-a a dag-a a fas-a a stag-a

1ª plur a vad-o i dag-o i fas-o i stag-o

2ª plur i vad-e i dagh-e i fas-e i stagh-e

3ª plur a vad-o a dag-o a fas-o a stag-o

Imperfetto

1ª sing i and-èiss-a i d-èiss-a i f-èiss-a i st-èiss-a

2ª sing it and-èiss-e(s) it d-èiss-e(s) it f-èiss-e(s) it ë-st-èiss-e(s)

3ª sing a l'and-èiss-a a d-èiss-a a f-èiss-a a st-èiss-a

1ª plur i l'and-èiss-o i d-èiss-o i f-èiss-o i st-èiss-o

2ª plur i l'and-èiss-e i d-èiss-e i f-èiss-e i st-èiss-e

3ª plur a l'and-èiss-o a d-èiss-o a f-èiss-o a st-èiss-o

Condizionale Presente

1ª sing i and-ar-ì-a i d-ar-ì-a i f-ar-ì-a i st-ar-ì-a

2ª sing it and-ar-ì-e(s) it d-ar-ì-e(s) it f-ar-ì-e(s) it ë-st-ar-ì-e(s)

3ª sing a l'and-ar-ì-a a d-ar-ì-a a f-ar-ì-a a st-ar-ì-a

1ª plur i l'and-ar-ì-o i d-ar-ì-o i f-ar-ì-o i st-ar-ì-o

2ª plur i l'and-ar-ì-e i d-ar-ì-e i f-ar-ì-e i st-ar-ì-e

3ª plur a l'and-ar-ì-o a d-ar-ì-o a f-ar-ì-o a st-ar-ì-o

Imperativo 2ª sing va da fa sta

82

2ª plur andé dé Fé sté

Esortativo 1ª plur andoma doma Foma stoma

2ª plur vade daghe Fase staghe

Participio Passato and-àit dàit fàit stàit

Gerundio and-as-end d-as-end f-as-end st-as-end

tabella Verbi 4: schema della flessione irregolare nella seconda classe

Infinito dovèj podèj savèj volèj vorèj dì

Indicati

vo

Presente

sing i dev-o i deuv-o i peul-o i peuss i peud-o i s-ai i veul-o i veuj i dis-o i dij-o

sing it dev-e(s) it deuv-e(s)

it peul-

e(s) it peu-s it peud-e(s) it s-as it veul-e(s) it veu-s it dis-e(s) it dij-e(s)

sing a dev a deuv a peul a peud a s-à a veul a dis

plur i dov-oma i duv-oma i pod-oma i pud-oma i s-oma i vol-oma i vur-oma i dis-oma i dij-oma

plur i dev-e i deuv-e i peul-e i peud-e i s-eve i veul-e i dis-e i dij-e

plur a dev-o a deuv-o a peul-o a peud-o a s-an a veul-o i dis-o a dij-o

Imperfetto

sing i dov-ì-a i duv-ì-a i pud-ì-a i sav-ì-a i vol-ì-a i dis-ì-a

sing it dov-ì-e(s) it duv-ì-e(s) it pud-ì-e(s) it sav-ì-e(s) it vol-ì-e(s) it dis-ì-e(s)

sing a dov-ì-a a duv-ì-a a pud-ì-a a sav-ì-a a vol-ì-a a dis-ì-a

plur i dov-ì-o i duv-ì-o i pud-ì-o i sav-ì-o i vol-ì-o i dis-ì-o

plur i dov-ì-e i duv-ì-e i pud-ì-e i sav-ì-e i vol-ì-e i dis-ì-e

plur a dov-ì-o a duv-ì-o a pud-ì-o a sav-ì-o a vol-ì-o a dis-ì-o

Futuro

sing i dov-r-ai i duv-r-ai i pod-r-ai i pud-r-ai i sav-r-ai i vo-r-ai i di-r-ai

sing it vo-r-as it duv-r-as it pod-r-as it pud-r-as it sav-r-as it vo-r-as it di-r-as

sing a vo-r-à a duv-r-à a pod-r-à a pud-r-à a sav-r-à a vo-r-à a di-r-à

plur i vo-r-oma i duv-r-oma i pod-r-oma i pud-r-oma i sav-r-oma i vo-r-oma i di-r-oma

plur i vo-r-eve i duv-r-eve i pod-r-eve i pud-r-eve i sav-r-eve i vo-r-eve i di-r-eve

plur a vo-r-an a duv-r-an a pod-r-an a pud-r-an a sav-r-an a vo-r-an a di-r-an

Congiun

tivo

Presente

sing i dev-a i deub-i-a i peuss-a i sap-i-a i veub-i-a i veuj-a i dis-a i dij-a

sing it dev-e(s)

it deub-i-

e(s)

it peuss-

e(s) it sap-i-e(s)

it veub-i-

e(s) it veuj-e(s) it dis-e(s) it dij-e(s)

sing a dev-a a deub-i-a a peuss-a a sap-i-a a veub-i-a a veuj-a a dis-a a dij-a

plur i dev-o i deub-i-o i peuss-o i sap-i-o i veub-i-o i veuj-o i dis-o i dij-o

plur i dev-e i deub-i-e i peuss-e i sap-i-e i veub-i-e i veuj-e i dis-e i dij-e

plur a dev-o a deub-i-o a peuss-o a sap-i-o a veub-i-o a veuj-o a dis-o a dij-o

Imperfetto

sing i dov-èiss-a i duv-èiss-a i pod-èiss-a i pud-èiss-a i sav-èiss-a i vol-èiss-a i vor-èiss-a i dis-èiss-a i dij-èiss-a

sing

it dov-èiss-

e(s)

it duv-èiss-

e(s)

it pod-èiss-

e(s)

it pud-èiss-

e(s)

it sav-èiss-

e(s)

it vol-èiss-

e(s)

it vor-èiss-

e(s)

it dis-èiss-

e(s)

it dij-èiss-

e(s)

sing a dov-èiss-a a duv-èiss-a a pod-èiss-a a pud-èiss-a a sav-èiss-a a vol-èiss-a a vor-èiss-a a dis-èiss-a a dij-èiss-a

plur i dov-èiss-o i duv-èiss-o i pod-èiss-o i pud-èiss-o i sav-èiss-o i vol-èiss-o i vor-èiss-o i dis-èiss-o i dij-èiss-o

plur i dov-èiss-e i duv-èiss-e i pod-èiss-e i pud-èiss-e i sav-èiss-e i vol-èiss-e i vor-èiss-e i dis-èiss-e i dij-èiss-e

plur a dov-èiss-o a duv-èiss-o

a pod-èiss-

o a pud-èiss-o a sav-èiss-o a vol-èiss-o a vor-èiss-o a dis-èiss-o a dij-èiss-o

Condizi

onale Presente

sing i dov-r-ì-a i duv-r-ì-a i pod-r-ì-a i pud-r-ì-a i sav-r-ì-a i vo-r-ì-a i di-r-ì-a

sing

it dov-r-ì-

e(s)

it duv-r-ì-

e(s)

it pod-r-ì-

e(s)

it pud-r-ì-

e(s)

it sav-r-ì-

e(s)

it vo-r-ì-

e(s)

it di-r-ì-

e(s)

83

sing a dov-r-ì-a a duv-r-ì-a a pod-r-ì-a a pud-r-ì-a a sav-r-ì-a a vo-r-ì-a a di-r-ì-a

plur i dov-r-ì-o i duv-r-ì-o i pod-r-ì-o i pud-r-ì-o i sav-r-ì-o i vo-r-ì-o i di-r-ì-o

plur i dov-r-ì-e i duv-r-ì-e i pod-r-ì-e i pud-r-ì-e i sav-r-ì-e i vo-r-ì-e i di-r-ì-e

plur a dov-r-ì-o a duv-r-ì-o a pod-r-ì-o a pud-r-ì-o a sav-r-ì-o a vo-r-ì-o a di-r-ì-o

Imperati

vo

sing sap-i-e Veuje Dis

plur sav-èj Vorèj Dì

Esortati

vo

plur sav-oma Veujo dis-oma dij-oma

plur sap-i-e Veuje dis-e dij-e

Participi

o Passato dov-ù pod-ù sav-ù vol-ù vor-su Dit

Gerundi

o dov-end pod-end sav-end vol-end dis-end

Sulla scorta dei dati sintetizzati nelle tabelle 2, 3 e 4, è possibile presentare qualche

generalizzazione circa la partizione nei paradigmi verbali. Con il termine partizione si

intende «una suddivisione in raggruppamenti di celle intermedi fra le singole celle e il

paradigma intero. Certe celle […] sono accomunate dal fatto che nelle forme in esse

contenute il lessema è rappresentato da una stringa di fonemi diversa da quella usata

in altri gruppi di celle» (Thornton 2005: 121). Ciascuna delle diverse stringhe di

fonemi che possono rappresentare un verbo nelle singole classi di partizione del suo

paradigma si può chiamare base (Thornton 2005: 125).

In italiano, ad esempio, un verbo come udire ha una base od- che al presente

indicativo e congiuntivo compare nelle tre persone del singolare e nella terza plurale

(odo, odi, ode; odono) mentre le prime due persone del plurale si formano sulla base

ud- (udiamo, udite) che è poi la stessa dell’infinito. La distribuzione delle basi

riscontrata per un verbo come udire non è casuale (Thornton 2005: 123): in italiano,

molti verbi presentano una simile distribuzione che contrappone la base del singolare

+ terza plurale alla base di prima e seconda plurale. Si pensi a un verbo come sedere:

siedo, siedi, siede e siedono, da un lato (Base 2), sediamo e sedete dall’altro (Base 1).

Una contrapposizione che appare ovviamente spiegabile con ragioni di fonetica

storica (la presenza del cosiddetto dittongo mobile, cfr Serianni 1989: 22-23) ma non

è più legata a una regola universalmente valida in sincronia e pertanto va osservata

con altri strumenti concettuali. La distribuzione del tipo individuato per il verbo

italiano udire viene solitamente chiamata “distribuzione N” (Maiden 2009: 51-52) ed

è particolarmente ricorrente nel panorama delle lingue romanze, comprese numerose

varietà riconducibili al modello piemontese (Miola 2013: 162).

Tabella Verbi 5 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente odo odi ode udiamo udite odono

congiuntivo presente oda oda oda udiamo udiate odano

Oltre alla “distribuzione N” la nomenclatura creata da Maiden prevede anche una

“distribuzione L” in cui la base della prima singolare dell’indicativo prevede una

84

consonante finale distintiva che si ritrova in tutte le persone del congiuntivo (Base 2),

come nel portoghese dizer (la cui Base 1 ha invece una fricativa [z])

Tabella Verbi 6 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente digo dizes diz dizemos dizeis dizem

congiuntivo presente diga digas diga digamos digais digam

in una situazione esattamente sovrapponibile a quella di alcune varietà piemontesi

marginali, come il dialetto alto-monregalese di Viola (CN) dove a una Base 1 [diʒ] si

affianca una Base 2 [dig]

Tabella Verbi 7 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente e digh ti dis(i) o dis e disiòma e disi e dìsõ

congiuntivo presente e diga ti dighi o diga e dìgmõ e dighi e dìgõ

Quando la base con consonante distintiva occupa anche la cella della terza persona

plurale si ha invece lo schema che Maiden (2009: 47) chiama “U pattern”, ossia

“distribuzione U”. Si tratta di una semplice variante dello schema di distribuzione L,

molto diffusa peraltro in italiano dove è sufficiente pensare a verbi come crescere

(Base 1 [kreʃ:], Base 2 [kresk])

Tabella Verbi 8 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente cresco cresci cresce cresciamo crescete crescono

congiuntivo presente cresca cresca cresca cresciamo cresciate crescano

in cui – come si vede – il pattern ha ricevuto un’ulteriore evoluzione poiché, al di

fuori dell’area iberoromanza e della Sardegna, gli altri territori della Romània hanno

conosciuto una generale tendenza ad eliminare la discrepanza fra la distribuzione a U

e la distribuzione a N nella prima e nella seconda persona del plurale.

Fatte queste premesse di carattere generale, vediamo ora quali tipi di distribuzioni

presentino i paradigmi dei verbi piemontesi presentati nelle tabelle 2, 3 e 4.

Intanto, come si vede chiaramente dallo schema delle coniugazioni, le forme

rizotoniche (ossia accentate sulla radice verbale) sono assai più numerose che in

italiano e in altre lingue romanze, poiché comprendono l’intero congiuntivo e tutto

l’indicativo, eccezion fatta per la prima persona plurale. Anche le partizioni legate

alla posizione dell’accento, dunque, come la “distribuzione N”, presenteranno un

aspetto diverso. Esse sono, comunque, abbastanza rilevanti come si può vedere dalle

seguenti opposizioni tra Base 1 (arizotonica) e Base 2 (rizotonica):

1) soné, suonare. Base 1 son- [suŋ], Base 2 son [sun]

Tabella Verbi 9 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente son-o son-e(s) son-a sonoma son-e son-o

85

congiuntivo presente son-a son-e(s) son-a son-o son-e son-o

2) porté, portare. Base 1 port [purt], Base 2 pòrt [pɔrt]

Tabella Verbi 10 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente pòrto pòrte(s) pòrta portoma pòrte pòrto

congiuntivo presente pòrta pòrte(s) pòrta pòrto pòrte pòrto

3) prové, provare. Base 1 prov [pruv], Base 2 preuv [prøv]

Tabella Verbi 11 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente preuvo preuve(s) preuva provoma preuve preuvo

congiuntivo presente preuva preuve(s) preuva preuvo preuve preuvo

4) durmì, dormire. Base 1 durm [dyrm], Base 2 deurm [dørm]

Tabella Verbi 12 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente deurmo deurme(s) deurm durmoma deurme deurmo

congiuntivo presente deurma deurme(s) deurma deurmo deurme deurmo

5) plé, pelare. Base 1 pl [pl], Base 2 pel [pel]

Tabella Verbi 13 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente pelo pele(s) pela ploma pele pelo

congiuntivo presente pela pele(s) pela pelo pele pelo

6) pentné, pettinare. Base 1 pentn [pentn], Base 2 pentèn- [penˈtɛŋ]

Tabella Verbi 14 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente pentèn-o pentèn-e(s) pentèn-a pentnoma pentèn-e pentèn-o

congiuntivo presente pentèn-a pentèn-e(s) pentèn-a pentèn-o pentèn-e pentèn-o

7) sëmné, seminare. Base 1 sëmn [səmn], Base 2 smèn- [smɛŋ]

Tabella Verbi 15 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente smèn-o smèn-e(s) smèn-a sëmnoma smèn-e smèn-o

congiuntivo presente smèn-a smèn-e(s) smèn-a smèn-o smèn-e smèn-o

Tutti gli esempi sono tratti da Ricca (2007), che sottolinea come 6) e 7) costituiscano

la somma dei precedenti 1-5). Gli esempi 1) e 2) potrebbero non costituire un vero

esempio di partizione paradigmatica, in quanto l’alternanza fra le due Basi è legata a

regole fonologiche attive ancora operanti a livello generale, in forza delle quali in

posizione pretonica [ŋ] > [n] (spin-a, spina > spinos, spinoso) e [ɔ] > [u] (pòrta, porta

86

> porton, portone). Gli esempi 3) e 4) invece si possono considerare veri e propri casi

di partizione paradigmatica del tipo N, dal momento che la riduzione di [ø] in

posizione pretonica è obbligatoria, ma non è prevedibile da nessuna regola fonologica

attualmente operante l’esito finale di questa riduzione, che può manifestarsi come [ø]

> [u] ovvero come [ø] > [y]. L’alternanza 5), che Ricca (2007) considera sicuramente

come una manifestazione di partizione paradigmatica, forse potrebbe essere

ricondotta anch’essa a regole fonologiche di riduzione della [e] pretonica come in pel,

pelle > plassa, pellaccia; vel, vello > vlù, velluto, trovandosi in una situazione

abbastanza simile a quella degli esempi 1) e 2). Per la verità, però, in torinese è ormai

ammessa la presenza di una [e] protonica in parole come [pe'nɛl], [te'nɛnt] e in

generale nei prestiti dall’italiano, sicché è legittimo sostenere – come sostiene Ricca

(2007) che ormai la partizione non è più dettata da leggi fonetiche universalmente

applicabili a tutti i contesti ed ha, pertanto, valore morfologicamente rilevante.

La situazione è molto diversa in varietà marginali che, probabilmente, conservano

quella che era la situazione del torinese stesso nei secoli scorsi. Ad esempio, nel

dialetto alto-monregalese di Viola (alta val Mongia) dove le regole di riduzione [ɔ],

[o] > [u], [ø] > [y] (ma anche [ø] > [u]), [ɑ] > [a], [a] > [ə], [ɛ] > zero sono

universalmente operanti e sostanzialmente si collocano tutte sullo stesso piano, senza

distinzioni fra i diversi gruppi di verbi.

Si osservino i seguenti casi di partizione:

a) caté [ka'te] “comprare”

mi e cät [mi e kɑt]

ti ti cät(i)[ti ti 'kɑt(i)]

chial o cäta [kjal u 'kɑta], chëlla a cäta ['kəl:a a 'kɑta]

gnòci e catòmma ['ɲɔʧi e ka'tɔm:a]

vojòci e catevi [vu'jɔʧi e ka'tevi]

chièn e cäton [kjɛŋ e 'kɑtoŋ], chëlle e cäton ['kəl:e e 'kɑtoŋ],

b) pard [pard] “perdere”

mi e pard [mi e pard]

ti ti pard(i)[ti ti 'pard(i)]

chial o pard [kjal u pard], chëlla a pard ['kəl:a a pard]

gnòci e përdòmma ['ɲɔʧi e pər'dɔm:a]

vojòci e pardi [vu'jɔʧi e 'pardi]

chièn e pàrdon [kjɛŋ e 'pardoŋ], chëlle e pàrdon ['kəl:e e 'pardoŋ]

c) bzé [bdze] “pesare”

mi e pès [mi e pɛz]

ti ti pès(i) [ti ti 'pɛz(i)]

chial o pèsa [kjal u 'pɛza], chëlla a pèsa ['kəl:a a 'pɛza]

gnòci e bzòmma ['ɲɔʧi e 'bdzɔm:a]

vojòci e bzevi [vu'jɔʧi e 'bdzevi]

87

chièn e pèson [kjɛŋ e 'pɛzoŋ], chëlle e pèson ['kəl:e e 'pɛzoŋ]

In questa varietà quindi sarebbe impossibile avere forme come [pe'nel], e da ['pɛna]

‘pena’ si ha proprio [pne] ‘penare’. La partizione del tipo c) è peraltro presente anche

nella koinè, dove si presenta però come alternanza fra la Base 1 [pez] e la Base 2

[pɛjz]

Tabella Verbi 16 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente pèis-o pèis-e(s) pèis-a pes-oma pèis-e pèis-o

congiuntivo presente pèis-a pèis-e(s) pèis-a pèis-o pèis-e pèis-o

Nella varietà di Viola esiste un’ulteriore alternanza, [y] / [w] come in zoé [dzwe],

giocare

mi e zuj [mi e dzyj]

ti ti zuj [ti ti dzyj]

chial o zùa [kjal u 'dzya], chëlla a zùa ['kəl:a a 'dzya]

gnòci e zuòmma ['ɲɔʧi e 'dzwɔm:a]

vojòci e zuévi [vu'jɔʧi e 'dzwevi]

chièn e zùon[kjɛŋ e 'dzyoŋ], chëlle a zùon ['kəl:e e 'dzyoŋ]

che risulta invece del tutto ignota alla koinè.

Altre varietà dialettali, più vicine alla koinè sia dal punto di vista fonologico sia dal

punto di vista lessicale, hanno invece sul piano morfologico un comportamento

profondamente divergente. È il caso del monregalese urbano contemporaneo, in cui le

opposizioni fra le diverse basi sembrano essere del tutto azzerate in quasi tutti i verbi,

con pochissime eccezioni. Si vedano casi come

a) porté [pɔr'te] “portare”

mi i pòrt [mi i pɔrt]

ti it pòrti [ti it 'pɔrti]

chèl o pòrta [kɛl u 'pɔrta], chila a pòrta ['kila a 'pɔrta]

nòi atri i portoma [nɔ'jatɹi i pɔr'tuma]

vòi atri i pòrti [vɔ'jatɹi i 'pɔrti]

chèj i pòrto [kɛj i 'pɔrtu], chile i pòrto ['kile i 'pɔrtu]

b) seurte ['sørte] “uscire”

mi i seurt [mi i sørt]

ti it seurti [ti it 'sørti]

chèl o seurta [kɛl u 'sørta], chila a seurta ['kila a 'sørta]

nòi atri i seurtoma [nɔ'jatɹi i sør'tuma]

vòi atri i seurti [vɔ'jatɹi i 'sørti]

chèj i seurto [kɛj i 'sørtu], chile i seurto ['kile i 'sørtu]

88

c) vède ['vɛde] “vedere”

mi i vèd [mi i vɛd]

ti it vèdi [ti it 'vɛdi]

chèl o vèda [kɛl u 'vɛda], chila a vèda ['kila a 'vɛda]

nòi atri i vedoma [nɔ'jatɹi i vɛ'duma]

vòi atri i vèdi [vɔ'jatɹi i 'vɛdi]

chèj i vèdo [kɛj i 'vɛdu], chile i vèdo ['kile i 'vɛdu]

dove la partizione del tipo N è sostituita da un’unica base tematica valida per tutto il

presente, indicativo e congiuntivo.

Quanto alla partizione di tipo L, in piemontese è ampiamente attestata nei verbi a

tema monosillabico della prima macroclasse:

1) dé, dare. Base 1 d [d] Base 2 dag [dag]

Tabella Verbi 17 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente dago das da doma deve dan

congiuntivo presente daga daghe(s) daga dago daghe dago

2) fé, fare. Base 1 f [f] Base 2 fas [faz]

Tabella Verbi 18 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente faso fas fa foma feve fan

congiuntivo presente fasa fase(s) fasa faso fase faso

3) sté, stare. Base 1 st [st] Base 2 stag [stag]

Tabella Verbi 19 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente stago stas sta stoma steve stan

congiuntivo presente staga staghe(s) staga stago staghe stago

Nel quarto verbo irregolare della prima macroclasse, andé, essa si intreccia con un

pattern di tipo N originario conservatosi grazie all’alternanza suppletiva (Ricca

2007):

4) andé, andare. Base 1 and [and], Base 2 v [v], Base 3 vad [vad]

Tabella Verbi 20 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente vado vas va andoma andeve van

congiuntivo presente vada vade(s) vada vado vade vado

Per quanto riguarda i verbi della seconda macroclasse, si possono osservare alcuni

altri casi di ibridazione fra una partizione ad L e una partizione a N, che però non si è

89

conservata nella sua forma originaria in quanto (per ragioni ancora non chiare) la

seconda plurale si è conformata alla Base della seconda singolare, o ne ha assunto in

toto le forme:

5) podèj, potere. Base 1 pod [pud], Base 2 peul [pøl], Base 3 peuss [pøs]

Tabella Verbi 21 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente peuss peule(s) peul podoma peule peulo

congiuntivo presente peussa peusse(s) peussa peusso peusse peusso

6) vorèj, volere. Base 1 vor [vur], Base 2 veul [vøl], Base 3 veuj [vøj]

Tabella Verbi 22 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur

indicativo presente veuj veule(s) veul voroma veule veulo

congiuntivo presente veuja veuje(s) veuja veujo veuje veujo

Come evidenziato da Ricca (2007), il piemontese offre esempi interessanti di una

nuova partizione assente in italiano (e in altre varietà italo romanze) con l’inserzione

di una fricativa sonora non etimologica nell’indicativo imperfetto di una serie di verbi

a radice monosillabica. Il trigger di questa nuova partizione è il verbo fé che presenta

come base tematica per l’imperfetto fas [faz] da cui si forma anche il gerundio:

fasìa, fasend

Per effetto attrattivo, questa partizione si estende anche agli altri irregolari della

prima macroclasse (dé: dasìa, dasend; sté: stasìa, stasando; andé: andasìa,

andasend).

Qualcosa di analogo si verifica a partire dal verbo dì, il cui modello

disìa, disend

esercita la propria forza di attrazione morfomica su ven-e/vnì (vnisìa, vnisend) e ten-

e/tnì (tnisìa, tnisend) nei quali ovviamente la –s– non ha alcuna motivazione

etimologica.

90

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92

Capitolo 9

La frase negativa in piemontese

La sintassi della frase negativa in piemontese offre un classico esempio di “ciclo di

Jespersen” portato interamente a compimento. Teorizzato dal linguista danese quasi

cent’anni fa (Jespersen 1917), il ciclo di Jespersen consiste in un progressivo

indebolimento dei negative markers in posizione preverbale, che porta dapprima a

una duplicazione della marca negativa e infine a una sua finale collocazione

postverbale. Il ciclo, secondo Jespersen, è così concluso e può ricominciare: il

negative marker posverbale tenderà per sua natura a ritornare in posizione preverbale,

dando avvio a una ripetizione del fenomeno di indebolimento. Come è noto, il

prototipo di quest’evoluzione è il francese: mentre infatti molte lingue romanze

(italiano, spagnolo, portoghese e romeno) hanno conservato l’ordine del latino (Neg

preverbale: non video), il francese ha da molti secoli imboccato un sentiero evolutivo

che lo ha portato dapprima a una negazione discontinua (je ne vois pas) e finalmente

a una negazione totalmente postverbale (nel francese colloquiale si dice je vois pas).

Il piemontese si trova nella medesima situazione del francese, anzi per certi versi

offre mostra un esempio ancora più grammaticalizzato di ciclo di Jesperse, poiché nel

piemontese contemporaneo – e non solo nella koinè, ma nella stragrande

maggioranza delle varietà dialettali – le frasi negative sono rigorosamente di questo

tipo:

a) Mè frel a ven nen a scòla ancheuj

Mio fratello non viene a scuola oggi

b) Mè frel a ven pa a scòla ancheuj!

Mio fratello non viene mica a scuola oggi!

c) Mè frel a l’é nen ëvnùit a scòla ancheuj

Mio fratello non è venuto a scuola oggi

d) Mè frel a l’é pa vnùit a scòla ancheuj!

Mio fratello non è mica venuto a scuola oggi!

Come si vede, negli esempi piemontesi a) e b) il negative marker è in posizione

postverbale, sia che si abbia a che fare con il negatore frasale nen sia che il contesto

richieda il negatore enfatico pa. Quest’ultimo, come si vede dagli esempi,

corrisponde in linea di massima all’italiano (diatopicamente marcato?) “non…mica”,

che offre a sua volta un bell’esempio di negazione discontinua in una lingua che pure,

di norma, viene considerata come lingua a negazione rigorosamente preverbale.

Quanto ai casi registrati alle lettere c) e d), nei tempi composti il piemontese pone la

negazione (nen e pa) dopo il sintagma di accordo, rappresentato dall’ausiliare. In

questo caso l’ausiliare è esse perché ven-e/vnì è un verbo inaccusativo, ma la

93

posizione sintattica sarebbe stata la stessa se avessimo avuto un verbo transitivo (e, g)

o un verbo inergativo (f, h), coniugati però con l’ausiliare avèj:

e) Mè frel a scòla a mangia nen soa marenda

Mio fratello a scuola non mangia la sua merenda

f) Mè frel a scòla a parla nen con ij sò cambrada

Mio fratello a scuola non parla con i suoi compagni

g) Mè frel a scòla a l’ha nen mangià soa marenda

Mio fratello a scuola non ha mangiato la sua merenda

h) Mè frel a scòla a l’ha nen parlà con ij sò cambrada

Mio fratello a scuola non ha parlato con i suoi compagni

Dunque, una sintassi radicalmente diversa da quella dell’italiano e – come già si è

detto – assai più simile a quella del francese. Il percorso diacronico della negazione

piemontese viene analizzato da Berruto (1990: 13) e da Ricca (2009: 5-6) come un

«paramount example of the Jespersen’s cycle» (Ricca 2009: 5).

Nei testi più antichi del piemontese la negazione è sempre preverbale. Così nei

Sermoni Subalpini (fine secolo XII)

II: el hom que pietà non à

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 23)

III: cels qui no volun creire

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 27)

III: mais ne pois abandoner ma terra e me honor

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 28)

X: nos gardem que el ne nos aquist autra fiaa per pecà

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 43)

nei testi chieresi (XIV secolo)

cola tal monea e rassoign no laseray ocuper a gnunna perssona

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 53)

que Dee ne’l vogla

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 54)

alcun, chi ne fos de la dita compagnya

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 56)

sea frem e precis e ne se possa remover

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 60)

nella Sentenza di Rivalta (1446)

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a Noy no he manifesta cosa, no aperex secund nostr consegl he nostr avisament

(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 79)

La negazione preverbale (nella forma, più rara, non e in quelle più consuete no e ne)

è dunque una costante dei primi testi piemontesi e tale rimane almeno fino al

Cinquecento. La prima attestazione di una negazione postverbale del tutto

coincidente con quella contemporanea risale però abbastanza indietro nel tempo: per

l’esattezza (Ricca 2009: 5) la si ritrova in un testo carmagnolese della fine del

Quattrocento (Clivio 1976: 39-49).

Belli freli chi sei vegnù in questa present matina,

ave fait el vostr debit; queli chi son nent

vegnù, ne poeno pa dir ansì. Tuta volta noi

prierema lo nost signor benent miser Iesu Christ

chi li piasa demeterli in lo cor del fer antender

quel chi li an promis, azò che Christ non sea

scrit in peccà; d’altra part chi n’è stait al

principi de lo officio si voglia dir X pater noster

e X ave Maria; ancora 3 pater noster e 3 ave

Maria per tute le anime che son in purgatorj,

azò che Dio si ne voglia aver misericordia;

ancor 3 pater noster e 3 ave Marie a ciò che

Dio si ne voglia vardè de ogni adversità.

La negazione postverbale al verso 2 è nella forma più antica nent (dal latino

NE+ENTEM; ma per un’altra etimologia si veda il REP s.v. nen) da cui

evidentemente deriva l’attuale negazione nen (che invece secondo il REP deriva

direttamente dal latino NON+EST+NON e non ha mai attraversato la fase nent). Nent

è ancora utilizzato come negazione in diverse varietà periferiche, ad esempio in area

meridionale (le varietà alto-monregalesi conoscono nent [nɛnt], nént [nent], naint

[nai nt]; il kje ha la forma gnent [ɲɛnt]…) e in alcune di esse conserva il doppio

significato di quantificatore negativo (“niente”) e di negazione che è probabilmente

all’origine del ciclo di Jespersen. Nell’esempio quattrocentesco che abbiamo

riportato, in effetti, nent postverbale appare ben lontano dal presentarsi come unica

strategia di negazione: alla riga 3 troviamo infatti una negazione discontinua

ne_V_pa mentre più oltre si ha una (discussa) negazione preverbale del tipo non e

una negazione preverbale del tipo n(e). La coesistenza dei tre tipi di negazione (Neg1

preverbale; Neg2 discontinua; Neg3 postverbale) è ampiamente attestata nei secoli

successivi: tutti e tre si ritrovano infatti nelle canzoni torinesi seicentesche

(pubblicate nel 1663) studiate da Clivio (1974). Ne riportiamo qualche esempio:

1)a n-é pa con noi doe (Clivio 1974: 29) Neg2

2) maravei ch-i-n sea mòrta (Clivio 1974: 29) Neg1

3) e pöi n’fan mai nent (Clivio 1974: 30) Neg1 > Neg2

4) n-elo pa vei Luchina? (Clivio 1974: 30) Neg2

5) ch’i-n fas che galupé (Clivio 1974: 31) Neg1

6) e-n sai se ’l pan sea bon (Clivio 1974: 32) Neg1

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7) a-n vardo pa ’nt andé (Clivio 1974: 34) Neg2

8) chi-n vuol fé come le polaie (Clivio 1974: 35) Neg1

9) e son pöi chigl ch’n fan mai bin (Clivio 1974: 39) Neg1

10) a-i-é nent da dé d’man (Clivio 1974: 41) Neg3

11) ch’s fà pa a i-atr bal (Clivio 1974: 47) Neg3

12) n’isto pa vaire sù la piazza (Clivio 1974: 50) Neg2

13) a-n sà pa scasi ont viresse (Clivio 1974: 50) Neg2

14) e s’a-n basta di fachin (Clivio 1974: 53) Neg1

15) ch-é-lo ch’n-é-lo (Clivio 1974: 54) Neg1

Particolarmente interessanti sono gli esempi riportati ai punti 3) e 10) che

ricostruiscono, sostanzialmente, il percorso di formazione dell’attuale negazione

postverbale nent>nen, passata da un stadio di quantificatore negativo dotato di una

sua autonoma valenza lessicale (con il significato dell’italiano “niente”, con cui

peraltro condivide l’etimo) a uno stadio, successivo, di rafforzatore della polarità

negativa dal quale si è velocemente grammaticalizzato come negatore postverbale di

frase. In alcune varietà marginali del Piemonte meridionale è ancora possibile

cogliere tracce residuali del percorso: nel dialetto di Viola, ad esempio, è possibile

osservarne entrambi gli usi. Infatti confrontando

a) o l’é n’òm ch’o fà nent tut o di [u l e n om k u fɑ nɛnt tyt u di]

è un uomo che non fa niente tutto il giorno

b) s’òm là o venn nent manch adman [s om lɑ u ven nɛnt maŋk adˈmaŋ]

quell’uomo non viene neanche domani

si nota un’evidente differenza fra il ruolo sintattico e lessicale dei due nent, il primo

dei quali assomma in sé il significato originario di quantificatore negativo e di

negazione postverbale, in assenza peraltro di qualsiasi sopravvivenza di quella

negazione discontinua (Neg2) così diffusa nel piemontese cinque e seicentesco e

ancora ampiamente attestata in un dialetto limitrofo come il garessino (in alta val

Tanaro). La negazione discontinua, d’altra parte, è la regola nella maggior parte dei

dialetti della val Bormida (ligure e piemontese) studiati da Parry (1997).

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