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Appunti di piemontese
Presento qui, sperando che possano essere d’interesse per un pubblico più vasto, una
prima rielaborazione delle dispense preparate nel corso dell’anno accademico 2015-
2016 per il primo Laboratorio di piemontese attivato presso l’Università degli Studi
di Torino (Dipartimento di Studi Umanistici, corso di laurea magistrale in Scienze
Linguistiche).
Si tratta di nove capitoli dedicati a diversi specifici argomenti:
i. un inquadramento del piemontese e delle sue subvarietà dialettali,
ii. gli usi scrittori del piemontese nella storia,
iii. una presentazione della grafia “Pacotto-Viglongo” utilizzata durante le attività
didattiche,
iv. una serie di esercizi di riconoscimento delle subvarietà attraverso la
presentazione di alcuni esempi letterari novecenteschi (perlopiù in poesia),
v. gli articoli e i classificatori,
vi. i nomi e gli aggettivi,
vii. i promomi (con particolare riferimento alla vexata quaestio dei clitici
soggetto),
viii. il sistema verbale e le sue partizioni morfologiche,
ix. la negazione e la sua storia.
Mi rendo ben conto che si tratta di un lavoro ancora parziale, al quale andrebbero
apportate numerose modifiche e che soprattutto andrebbe completato ed armonizzato.
Nondimeno, mi sembra che ci possano essere degli spunti di curiosità intellettuale
utili per ulteriori indagini e ricerche. Spero quindi di ricevere critiche, osservazioni e
suggerimenti al mio indirizzo di posta elettronica [email protected] oppure
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Capitolo 1
Introduzione al piemontese
1. Il piemontese: delimitazione dell’oggetto di studio
Definire il concetto di “piemontese” può risultare meno facile e immediato di quanto
sembri a prima vista. Un abitante di Venasca e uno di Trino Vercellese, un astigiano e
un eporediese daranno probabilmente questa etichetta al proprio dialetto (Regis
2012d: 315), ma è un dato incontrovertibile che le loro varietà sono abbastanza
distinte l’una dall’altra. Esse sono, a loro volta, entrambe diverse da un terzo oggetto,
il piemontese illustre (o comune, o koinè, o parlé da bin) che per almeno due secoli è
sempre rimasto come una sorta di presenza incombente su chiunque percepisse la
propria lingua come piemontese o sentisse di far parte di una comunità che aveva il
piemontese nel proprio repertorio linguistico.
1.1 Lingue e dialetti del Piemonte
Non si può nemmeno dire, semplicemente, che il piemontese sia l’insieme dei dialetti
parlati in Piemonte. All’interno della regione esistono infatti aree i cui parlanti usano
varietà manifestamente non piemontesi: tanto per citare un paio di esempi, gli abitanti
delle medie/alte valli occitane in provincia di Cuneo e di Torino, oppure gli
ormeaschi che in alta valle Tanaro parla(va)no una varietà eccentrica riconducibile
allo spazio linguistico ligure occidentale. Ebbene, anche costoro non hanno troppe
esitazioni a riconoscere come piemontese una parlata che, discostandosi della loro, si
avvicini in qualche modo a una sorta di varietà “mediana” che forse è ancora
inconsapevolmente costituita dalla koinè. È certo tuttavia che questa koinè è stata
considerata «un modello di neutralità strutturale e sociolinguistica» (Regis 2012c: 93)
fino alla grande crisi “centrifuga” che a partire dagli anni Settanta del Novecento ha
visto proliferare la produzione letteraria (ma anche lessicografica) in varietà
piemontesi periferiche, a scapito appunto di quella in koinè. Della questione avremo
occasione di riparlare più avanti, facendo riferimento ad alcuni studi sull’argomento.
Per ora, cerchiamo di circoscrivere e identificare con esattezza l’oggetto del nostro
corso.
Il verbo “circoscrivere” rende bene il concetto che del piemontese offre Telmon, sia
nella sua presentazione del 1988 sia in quella del 2001: in entrambe, infatti, egli
procede dapprima ad escludere le varietà che, pur parlate sul territorio amministrativo
della regione Piemonte, non possono essere definite piemontesi in base alle loro
caratteristiche fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali. Così, anche per ragioni
storico-politiche che vengono ampiamente illustrate da Telmon (2001: 3-28), la
situazione linguistica presenta «un sostanziale restringimento dei dialetti che
potremmo definire piemontesi alla sola area centrale della regione e ad un
complementare orientamento di tutte le aree periferiche verso abitudini e fatti
linguistici esterni» (Telmon 1988: 469-470). Così, com’è noto in Piemonte sono
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presenti vere e proprie eteroglossie. Poche di esse, sostanzialmente solo quelle walser
del Piemonte settentrionale (Telmon 2001: 44-45) sono orientate su modelli esterni
allo spazio linguistico romanzo1. Le eteroglossie numericamente più consistenti sono
quelle orientate su modelli linguistici galloromanzi, ossia il francoprovenzale a nord
e l’occitano a sud, che occupano praticamente l’intero arco alpino occidentale dalla
valle d’Aosta fino alla val Vermenagna (Telmon 2001: 46-48) e estendono forse
ancora più a est le tracce della propria influenza. Ovviamente, trattandosi in questi
casi di eteroglossie genealogicamente imparentate con il piemontese (e con il ligure)
è possibile trovare varietà di transizione o d’incerta classificazione, come il kje delle
valli monregalesi che dopo decenni di dibattito si tende oggi a considerare parte
integrante, ancorché fortemente eccentrica, dello spazio linguistico piemontese
(Miola 2013).
Non vengono invece considerate parlate alloglotte le varietà diverse dal piemontese
ma comunque classificabili come galloitaliche (Telmon 2001: 48-53), ben presenti
sul territorio piemontese sia sotto forma di varietà lombarde, sia sotto forma di
varietà liguri e – in misura molto minore – emiliane. Ancor più che nel caso
dell’occitano e del francoprovenzale, i confini fra il piemontese e le diverse varietà
galloitaliche sono estremamente sfumati e non è fuori luogo stabilire, ad esempio, dei
veri e propri gradienti di ligusticità nelle parlate dell’alto Monregalese. Ma questi
dialetti di transizione sono ancora da considerare piemontesi, oppure no?
1.2: piemontese e piemontesi
Se la risposta è negativa, l’area dove effettivamente si parla il piemontese appare
davvero molto ristretta. E oltretutto l’uso del termine “piemontese” potrebbe essere
foriero di equivoci, almeno secondo Telmon (2001: 54) che preferisce usare
l’aggettivo “pedemontano” (risalente peraltro a Biondelli 1853: 171) per l’insieme
delle varietà riconoscibili come effettivamente “piemontesi”, riservando l’uso di
quest’ultimo glottonimo solo alla lingua modellata sul torinese, ossia la koinè che per
tantissimi anni come si è detto ha costituito una sorta di lingua franca regionale per
(quasi) tutti gli abitanti del Piemonte, indipendentemente dalla loro L1. In questo
senso, il piemontese (inteso come koinè a base torinese) è penetrato ampiamente ben
oltre la sua area di diffusione originaria, divenendo la lingua di uso quotidiano per i
principali centri urbani della regione (Susa, Ivrea, Lanzo, Pinerolo, Cuneo) e
soppiantando le varietà locali precedenti da cui pure ha attinto alcune caratteristiche
intonative, fonetiche, morfologiche e lessicali che hanno dato vita ad altrettanti
dialetti locali comunque riconoscibili (si pensi a Saluzzo e allo shibboleth delle sue
desinenze in –es per la seconda singolare dei verbi, o all’uso di cora al posto di
quand alla periferia di Cuneo). Molto simili al piemontese di koinè sono poi i dialetti
alto-piemontesi, che occupano l’intera fascia estesa a nord di Torino fino al Canavese
e a sud fino a Saluzzo, Cuneo e Fossano. A proposito di Fossano, è notevole la
1 Ai Walser andranno senz’altro aggiunti i Sinti piemontesi, il cui codice linguistico tradizionale è una varietà di romanī,
ossia una lingua neo-indiana. Quale sia l’effettiva competenza di questa lingua fra i Sinti piemontesi del XXI secolo è
questione ampiamente dibattuta. Certamente essa resta come una sorta di repertorio lessicale da cui attingere anche per i
Sinti che, conservando una competenza passiva della romanī, usano invece il loro peculiare piemontese sinto come L1.
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presenza di un confine naturale costituito dal fiume Stura: sulla riva sinistra della
Stura i dialetti sono di tipo alto-piemontese, sulla riva destra no (appartengono infatti
alle varietà di tipo langarolo oppure al tipo monregalese rustico).
L’intercomprensione reciproca è ovviamente pressoché totale, ma le caratteristiche
soprattutto intonativo-fonologiche sono sensibilmente diverse e immediatamente
individuabili dai parlanti. D’altra parte, l’area di estensione delle varietà classificabili
come “alto-piemontesi”, sebbene ristretta in senso longitudinale, va da Lanzo (a
Nord) fino all’area circostante Cuneo (a sud) perciò inevitabilmente presenta
soluzioni spesso divergenti al proprio interno (Telmon 2001: 70-72). Le parlate che
possiamo definire alto-piemontesi peraltro spesso appaiono in continuità con le altre
subvarietà di piemontese immediatamente confinanti, ossia:
a) il canavesano, a nord (Telmon 2001: 76-77);
b) il biellese, a nordest (Telmon 2001: 77-78);
c) il vercellese, sempre a nordest (Telmon 2001: 79) ;
d) il monferrino (Telmon 2001: 71-74), a est; a questa subvarietà possono essere
in qualche modo ascritti (ma in Telmon 2001 non se ne parla) il dialetto parlato
dagli Ebrei piemontesi, ormai estinto (Duberti/Miola/Milano 2015), e quello
parlato dai Sinti (Duberti 2010; Scala 2012), ancora vivissimo nelle nutrite
comunità della regione;
e) il langarolo (Telmon 2001: 75-76), sempre a est;
f) il monregalese a sud/sudest (Telmon lo considera parte del langarolo, ma ha
caratteri propri che ne fanno una sorta di transizione fra langarolo e alto-
piemontese. Le sue caratteristiche, descritte in Billò et alii 2003, sono ben
delineate in Regis 2015)
Non sono direttamente confinanti con l’alto-piemontese il valsesiano (descritto in
Telmon 2011: 79-80) e l’alessandrino (Telmon 2001: 74-75), che comunque hanno
subito in qualche modo l’influsso della koinè nel corso dell’Ottocento almeno fino
alla metà del Novecento.
La suddivisione dei dialetti del Piemonte che ho appena presentato è quella di
Telmon 2001. Essa non coincide del tutto con l’articolazione di Berruto (1974: 12-
13) che invece proponeva una classificazione di questo tipo
a) piemontese (=torinese);
b) varietà del piemontese:
a. canavese;
b. biellese;
c. langarolo-monferrino;
d. alto-piemontese;
c) provenzale alpino; non ci interessa, come è ovvio, in questa sede;
d) franco-provenzale alpino, anch’esso estraneo ai nostri specifici interessi,
suddiviso in:
a. franco-provenzale delle valli piemontesi;
b. franco-provenzale della Valle d’Aosta;
e) zone intermedie:
a. vercellese (piemontese + lombardo);
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b. alessandrino (piemontese + lombardo + emiliano + ligure);
c. fascia meridionale del Piemontese (piemontese + ligure)
f) zone non piemontesi:
a. novarese e Ossola (lombardo);
b. colonie alloglotte.
Le differenze sono evidenti e appaiono legate sia alla diversa epoca in cui i due
schemi classificatori sono stati proposti (dal 1974 al 2001 le ricerche sulle varietà del
Piemontese si sono ovviamente moltiplicate) sia agli orientamenti personali dei due
Autori. In realtà, ad un’analisi più attenta le divergenze si mostrano meno
significative di quanto appaiano a prima vista: sia Berruto (1974) sia Telmon (2001)
infatti concordano nel riservare solo a un’area geografica estremamente ristretta la
“patente” di piemontesità, che per Berruto si concentra nelle varietà rubricate sub b),
ossia sostanzialmente l’alto-piemontese, il canavesano, il biellese, il langarolo e il
monferrino. Le altre varietà (vercellese, ecc.) sarebbero sostanzialmente delle varietà
miste in cui cominciano a prevalere gli orientamenti esterni che anche Telmon
identifica come preponderanti nelle aree marginali della regione. Portando alle
estreme conseguenze questo ragionamento, tuttavia, si finirebbe con il considerare
piemontese solo l’insieme delle varietà alto-piemontesi poiché le varietà canavesane
presentano tratti che possono essere ricondotti da un lato alle parlate franco-
provenzali, dall’altro a quelle lombarde (Telmon 2001: 76) e allo stesso modo i tratti
“già” liguri sono decisamente pervasivi in molte varietà langarole e monregalesi. Lo
studio dei (pochi) testi del passato come le Canzoni torinesi studiate da Clivio 1974
(e poi da Regis 2012) attestano che almeno una parte dei tratti “extrapiemontesi”
presenti nelle varietà periferiche era in realtà presente nel dialetto della stessa Torino
(o almeno nella sua varietà diastraticamente più bassa) immediatamente prima della
formazione di quella koinè primaria secentesca da cui nel Settecento è stato poi
investito e rimodellato l’intero panorama linguistico regionale (Regis 2012b).
Nella tabella 1.1 propongo una classificazione delle varietà piemontesi che
riprendendo quelle appena presentate cerca tuttavia di sistematizzarne le articolazioni
anche sulle base di studi più recenti. Nella tabella non sono comprese le varietà
normalmente considerate alloglotte. Se l’esclusione è facile da giustificare per i pochi
esempi di lingue indoeuropee ma non romanze attestate in Piemonte (in sostanza,
solo i dialetti dei Walser appartenenti al ramo germanico e il dialetto neo-indiano dei
Sinti), l’esclusione risulta potrebbe apparire meno facile da spiegare per alcune
specifiche varietà riconducibili al novero dei dialetti occitani o francoprovenzali. In
molti di essi infatti la presenza di elementi fonetici, morfologici e sintattici comuni
con il piemontese è veramente significativa sicché la distanza strutturale dai
confinanti dialetti alto-piemontesi o canavesani appare veramente minima. D’altra
parte, alcune delle subvarietà che ho inserito nella tabella hanno in sé molte
caratteristiche in comune con le confinanti varietà gallo-romanze: il canavesano con
il francoprovenzale, i dialetti alto-piemontesi dell’area saluzzese e cuneese con
l’occitano. I dialetti dell’area della Bisalta, poi, hanno conosciuto come il kje (ma con
minori ragioni) tentativi di classificazione nell’ambito delle varietà galloromanze, che
non reggono alla prova dei fatti ma attestano indubbiamente un’evidenza di scambi e
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di contatti intensi. A sé, come già detto, sta appunto il kje (ossia il monregalese
alpino) che è oggi indubbiamente orientato in senso piemontese, ma sulla cui
classificazione in diacronia è comunque legittimo nutrire parecchi dubbi.
Non sono però i dialetti periferici quelli che ci interessano in questo specifico
contesto. Come si può notare, nella tabella alla koinè finisce per essere assegnato un
ruolo anche visivamente centrale, che rispecchia il suo ruolo storico nella
configurazione del panorama linguistico regionale.
Tabella 1.1 classificazione dei dialetti piemontesi
Dialetti di transizione (piemontese / lombardo)
Ossolano
Novarese
Lomellino
Piemontese nord-orientale
Valsesiano
Vercellese
Biellese
Canavesano
Piemontese occidentale
Koinè Torino
Alto-piemontese
Lanzo
Susa
Pinerolo
Saluzzo
Cuneo
Bisalta
Boves
Peveragno
Chiusa Pesio
Piemontese sud-orientale
Monregalese
Monregalese urbano
Monregalese rustico
Monregalese alpino
Alto-monregalese
Langarolo
Alto-langarolo
Basso-Langarolo
Monferrino
Alto-Monferrino
Basso-Monferrino
Sinto-piemontese
(Giudeo-piemontese)
Alessandrino
Dialetti di transizione (piemontese / lombardo / ligure / emiliano) Tortonese
Vogherese
Dialetti di transizione (piemontese / ligure)
Novese
Ovadese
Valbormidese
Garessino e Priolese
Ormeasco
Brigasco
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La classificazione presentata in questa tabella non corrisponde nemmeno a quella
recentissimamente proposta da Ronco (2015), di cui è opportuno in particolare
segnalare in particolare (Ronco 2015: xxxiv) i criteri suggeriti per la delimitazione
dei confini linguistici fra piemontese e varietà galloromanze, lombarde e liguri: criteri
sui quali sarebbe interessante impostare una discussione di ampio respiro. Va da sé
che la nostra classificazione parte da un punto di vista marcatamente piemontese,
perché è ovvio che le varietà di transizione come il lomellino e il vogherese, il
valbormidese e l’ormeasco potrebbero essere considerate altrettanto legittimamente
come parte dello spazio linguistico rispettivamente lombardo e ligure.
1.3: il piemontese che studieremo
Sarà comunque la koinè l’oggetto del presente corso. In altri termini, pur tenendo
presente l’estrema variabilità non solo diatopica dell’oggetto linguistico etichettabile
come “piemontese”, nel presentarne alcune caratteristiche fonetiche, morfologiche e
(in misura minore) sintattiche faremo sempre riferimento alla koinè di tipo torinese.
Si tratta in qualche modo di una scelta obbligata, dettata da almeno tre ragioni
fondamentali:
a) come già si è detto, la koinè si è imposta a partire dal Settecento come la
lingua non ufficiale dello Stato sabaudo o almeno un middle language di rango
superiore rispetto ai singoli dialetti locali (Parry 1997: 237) e infatti «la
coincidenza fra piemontese e torinese emerge […] in modo inequivocabile sin
dai primi tentativi di codificazione (cfr. Pipino 1783a, b)» (Regis 2012c: 85);
così, fin verso la metà del XX secolo «piemontese e torinese si identificano, e
lo specchiarsi dell’uno nell’altro è tanto ovvio da non richiedere spiegazioni di
sorta» (ibidem);
b) di conseguenza, fin dalla pionieristica opera di sistematizzazione grammaticale
e lessicografica del medico di corte Maurizio Pipino (Pipino 1783a, 1783b), le
grammatiche e i vocabolari di piemontese hanno preso ad oggetto
esclusivamente la koinè di tipo torinese. La situazione, come nota Regis
(2012c: 100-101), è radicalmente mutata a partire dagli anni Ottanta del
Novecento e anzi nel decennio 2001-2010 appare capovolta, poiché a fronte di
4 soli lavori dedicati alla koinè se ne registrano ben 10 incentrati su varietà
periferiche. Tuttavia, rimane innegabile che le opere grammaticali e
lessicografiche dedicate alla koinè conservano almeno nel loro complesso la
maggioranza relativa e soprattutto sono in genere quelle che hanno un respiro
più ampio e maggiori ambizioni di completezza quando non di vera e propria
normatività linguistica;
c) fino agli anni Settanta del XX secolo, la maggior parte degli scrittori che hanno
deciso di scrivere in piemontese ha avuto la koinè come varietà di riferimento,
sicché è legittimo considerarla come il modello di lingua letteraria dialettale
del Piemonte ed è certamente un modello – negativo – anche per i numerosi
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poeti che negli ultimi decenni si sono decisamente orientati verso l’uso delle
proprie varietà native periferiche.
9
Bibliografia
BERRUTO, GAETANO (1974), Piemonte e Valle d’Aosta, Pacini, Pisa;
BILLÒ, ERNESTO ET ALII (2003), Paròle nòstre. Il dialetto ieri e oggi nei paesi del Monregalese, CEM, Mondovì;
BIONDELLI, BERNARDINO (1853), Saggio sui dialetti gallo-italici, Bernardoni, Milano (ristampa anastatica Forni,
Bologna, 1988);
CLIVIO, GIANRENZO P. (1974), Il dialetto di Torino nel Seicento. Parte I, in “L’Italia dialettale”, 27, pp. 1-103;
DUBERTI, NICOLA (2010), Trin kamlé tikné: studenti sinti a Rocca de’ Baldi (Cuneo), in BALI “Bollettino dell’Atlante
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PIPINO, MAURIZIO (1783b), Vocabolario piemontese, Reale Stamperia, Torino;
REGIS, RICCARDO (2012a), Su pianificazione, standardizzazione, polinomia: due esempi, in “Zeitschrift für Romanische
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Dialettologia”, 35, 2012, pp. 7-36;
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REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë
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REGIS, RICCARDO (2012d), Verso l’italiano, via dall’italiano: le alterne vicende di un dialetto del Nord-ovest, in
TELMON, TULLIO/RAIMONDI, GIANMARIO/REVELLI, LUISA, a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e
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REGIS, RICCARDO (2015), Dal dialetto di koinè al dialetto rustico: itinerari (socio)linguistici nella poesia di Remigio
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RUBAT BOREL, FRANCESCO/TOSCO, MAURO/BERTOLINO, VERA (2006), Il piemontese in tasca, Assimil, Chivasso (TO);
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Romanistischen Linguistik, Band/Volume IV Italienisch, Korsisch, Sardisch / Italiano, Corso, Sardo, Max Niemeyer
Verlag, Tübingen, 469-485;
TELMON, TULLIO (2001), Piemonte e Valle d’Aosta, Editori Laterza, Roma-Bari.
10
Capitolo 2
Il piemontese come lingua scritta
Siamo così venuti, quasi senza accorgercene, a parlare degli usi letterari del
piemontese. Altri usi scritti sono abbastanza rari ed occasionali. Il piemontese, ad
esempio, non è mai stato utilizzato per promulgare leggi o emettere sentenze: infatti,
per questi ambiti d’uso lo Stato Sabaudo ha continuato a servirsi del latino fino alla
metà del XVI secolo sostituendolo poi tra il 1560 e il 1651 (Ronco 2015: xxxii) con il
francese e il toscano. In altri termini, anche nel periodo della sua massima diffusione
il piemontese non ha mai rivestito il ruolo di lingua scritta ufficiale.
Copiosissima, invece, è la messe di testi scritti in piemontese con intenti letterari. Ne
dà una «rapidissima carrellata storica» Telmon (2001: 100-132), che prende però in
considerazione l’intera area geografica delle due regioni amministrative Piemonte e
Valle d’Aosta, comprendendo pertanto nella sua trattazione anche varietà non
pedemontane. Esclusivamente incentrata sulle varietà linguistiche piemontesi – anzi,
sulla koinè di tipo torinese – è invece Brero (1975), breve opera di sintesi a cui fa da
contraltare la successiva monumentale storia letteraria rappresentata da Brero (1981-
83), nella quale le testimonianze letterarie periferiche occupano uno spazio
decisamente rilevante sebbene la koinè vi svolga un ruolo preponderante. Da essa –
in particolare dal terzo volume dedicato al Novecento (Brero 1983) – sono stati attinti
molti degli esempi utilizzati in questo corso.
Non giunge invece oltre il 1927 Clivio (2002), mentre si arresta alla fine
dell’Ottocento il progetto antologico costituito da Gasca Queirazza/Clivio/Pasero
(2003) e Clivio/Pasero (2004), che della storia letteraria scritta da Clivio vogliono
essere parte integrante. C’è forse anche una motivazione editoriale per
quest’apparente vuoto storiografico: in realtà la stessa Ca dë Studi Piemontèis, che ha
edito agli inizi del terzo millennio i tre volumi del progetto coordinato da Clivio,
aveva già pubblicato poco più di dieci anni prima un’opera come Tesio/Malerba
(1990), che si distingue per la profondità e la completezza con cui tratta la letteratura
piemontese del Novecento, esclusi ovviamente gli autori che hanno esordito negli
ultimi anni del secolo scorso. Il vuoto, dunque, riguarda solo la prosa del Novecento,
fenomeno interessante ma certamente minoritario sia rispetto al secolo precedente sia
rispetto al peso della contemporanea produzione poetica novecentesca. Per chi fosse a
interessato a una discussione sul ruolo della prosa nella promozione del piemontese
come lingua letteraria matura e “forte” segnalo Viglongo (1980), che esprime una
posizione ideologica certamente minoritaria ma non aliena da alcuni orientamenti
rimasti vivi sottotraccia negli ambiti piemontesisti.
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Bibliografia
BRERO, CAMILLO (1975), Le magnifiche vos dla leteratura piemontèisa, Editrice Piemonte in Bancarella, Torino;
BRERO, CAMILLO (1981-1983), Storia della letteratura piemontese. Primo, secondo e terzo volume, Editrice Piemonte
in Bancarella, Torino;
BRERO, CAMILLO (1983), Storia della letteratura piemontese. Terzo volume (Sec. XX), Editrice Piemonte in Bancarella,
Torino;
CLIVIO, GIANRENZO P. (2002), Profilo di storia della letteratura in piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi
Piemontèis, Torino;
CLIVIO, GIANRENZO P./PASERO, DARIO (2004), La letteratura in piemontese dalla stagione giacobina alla fine
dell’Ottocento. Raccolta antologica di testi, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi Piemontèis, Torino;
GASCA QUEIRAZZA, GIULIANO/CLIVIO, GIANRENZO P./PASERO, DARIO (2003), La letteratura in piemontese dalle
origini al Settecento. Raccolta antologica di testi, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi Piemontèis, Torino;
REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë
Studi Piemontèis, Torino;
RONCO, GIOVANNI (2015), Introduzione in REP, pp. xxxi-xxxii
TELMON, TULLIO (2001), Piemonte e Valle d’Aosta, Editori Laterza, Roma-Bari;
TESIO, GIOVANNI/MALERBA, ALBINA (1990), Poeti in piemontese del Novecento, Centro Studi Piemontesi/Ca dë Studi
Piemontèis, Torino.
VIGLONGO, ANDREA (1980), Aspetti attuali della coesistenza piemontese-italiano, in AA.VV, Conoscere il piemontese,
A. Viglongo & C. Editori, Torino, pp. 5-38;
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Capitolo 3
Una grafia consolidata: la Pacotto-Viglongo o grafia dij Brandé
È esperienza quotidiana l’incontro con brevissimi testi in piemontese scritti in modo
impressionistico e variamente fantasioso su menù di pizzerie, insegne di negozi,
cartelloni pubblicitari, manifesti di Pro Loco, o anche in ambiente digitale (sms, stati
di Facebook, twit…).
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Questa esperienza rafforza il pregiudizio da cui nasce, ossia che il piemontese non
abbia una grafia di riferimento e perciò sia di default una lingua non scritta e
sostanzialmente non scrivibile. Vediamo ancora qualche esempio:
Franco Disraeli Madosca, jeu n'cu adess i granet!!!
circa un'ora fa · Mi piace
Domenico Ramazza ...ru cred..... dop chi jei vagna us torneo a Mundvì stan dur bele sodisfasiun vri pijj... Ah, ah,
ah.......
Franco Disraeli Boia fauss... suma rivà prim!!!
circa un'ora fa · Mi piace
Alessandra Abbastanza occorre ricordare che Obama, prima di essere un nero e un democratico, è un americano. quindi... es peu
nen gavè el sangu da 'na rava...
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MANO ARMATA 11 settembre 2013 alle ore 0.52
Un’altra storia che vale la pena di essere raccontata è quella di Cacchèn e della sua tentata rapina a
mano armata: “ Sc-te fevmi e mani in alto, altvimenti av sc-pov “ ( “ State fevmi e mani in alto,
altvimenti vi spavo “ ).
Il giorno dopo era già in galera (in galeva), Cacchèn dall’erre moscia, rapinatore dialettale inutilmente
mascherato nel negozio sotto casa.
Paolo Boas
O sarà poeu bèn brut adèss, Caciula, traversé 'l campagne 'd Pojòla sensa avèj la gòj e la pau 'd scontré-te!
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Un marasma grafico – o forse no, perché alcune costanti sono individuabili. Certo
appare una situazione priva di qualsiasi regola minimamente condivisa.
La realtà è storicamente diversa, sebbene certo la grafia del piemontese non abbia
mai raggiunto un grado di consolidata stabilità come quella dell’italiano o del
francese. Almeno a partire dal Settecento, infatti, è possibile individuare alcune linee
di tendenza che però solo negli anni Trenta del XX secolo hanno trovato una loro
sistematizzazione nell’opera di Giuseppe Pacotto (Pinin Pacòt) e un’applicazione
pratica coerente a cura dell’editore torinese Andrea Viglongo divenuto per sua
esplicita volontà un vero e proprio organizzatore culturale. La grafia di Pacotto,
accolta da Viglongo, fu negli anni immediatamente successivi sottoposta ad alcune
piccole modifiche finalizzate a correggere le incoerenze e le lacune lasciate durante
l’elaborazione della grafia. I responsabili di queste modifiche furono i poeti e gli
scrittori appartenenti alla Companìa dij Brandé, il movimento letterario creato
proprio da Pinin Pacòt. Ecco perché è possibile trovare per questo sistema grafico
entrambe le denominazioni, grafia Pacotto-Viglongo ovvero grafia dei Brandé: l’una
e l’altra sono accettabili e recano in sé l’indicazione dell’effettiva paternità della
grafia.
Prima di esaminare la grafia dei Brandé nei dettagli, con l’aiuto della tabella ?, è
corretto ricordare che essa non è l’unica grafia del piemontese ma è «fino ad oggi, la
più utilizzata da chi opera nel circuito piemontesista» (Regis 2012: 308).
Un’interessante e documentatissima panoramica dei sistemi scrittori utilizzati per
rappresentare i suoni del piemontese (a partire dalla sistematizzazione settecentesca
di Pipino) è costituita dal recente Ronco (2015), che conclude il suo documentato
excursus storico con la più recente delle riforme ortografiche propugnate in ambito
piemontesista. Infatti, nell’ultimo decennio del XX secolo è stato proposto «un
sistema ortografico definito dall’ideatore Bruno Villata “grafia antërnassiunal” e
altrove “grafia ünica” e “grafia mincadì”» (Ronco 2015: lx). Lo scopo dichiarato di
questa riforma è quello di venire incontro alle esigenze di coloro che parlano (e
intendono scrivere) il piemontese in contesto anglofono o ispanofono, nonché dei
locutori di varietà periferiche caratterizzate da sistemi fonologici difficili da
rappresentare graficamente con i grafemi della Pacotto-Viglongo inventati per la
koinè. La grafia di Villata è stata ulteriormente modificata e resa coerente da Enrico
Eandi, tenendo presenti le esigenze di un pubblico ormai maggioritariamente
scolarizzato in lingua italiana. Se ne possono trovare esempi sul sito dalla Fundassiun
cultüral piemunteisa “Savej”, che in grafia dei Brandé sarebbe Fondassion coltural
piemontèisa “Savèj”. Un’interessante comparazione delle due grafie in competizione
– Pacotto/Viglongo e Villata/Eandi – si trova in Regis (2012), mentre più
recentemente si è occupato del problema Miola (2015), con un orientamento
pianificatorio. In questo contesto, per le finalità didattiche del nostro corso, adottiamo
programmaticamente la grafia Pacotto/Viglongo, in cui sono riportati tutti gli esempi
che ci servono. Ci discostiamo dagli usi del REP (2015), invece, per la trascrizione in
IPA che spesso affiancherò alla trascrizione ortografica.
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vocali consonanti
semivocali e
semiconsonanti esempi
in
posizione
tonica
in
posizi
one
atona
a /a/,/ɒ/ /a/ ca, vaca
b /b/ baraca
c
/ʧ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,
<è>, <ë>, <i>) cesa, ciresa
/k/ davanti a vocali centrali o posteriori
(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)
castel, còj,
curé
ci
/ʧ/ davanti a vocali centrali o posteriori
(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)
ciadel, ciò,
ciusa
cc
/ʧ/ in finale di parola o (raro) davanti a
consonante
contacc!,
marcc-rai
ch
/k/ davanti a vocali anteriori (<eu>,
<e>, <è>, <è>, <ë>, <i>) o in fine di
parola
cheur, chërde,
brich
d /d/ dé
e /ɛ/, /e/ /ɛ/, /e/ adess, anel, re
é /e/ fé, pijé
è /ɛ/, /æ/ stèila, vers
ë /ə/ /ə/ stërmé
eu /ø/, /œ/ feu, cheussa
f /f/ fior
g
/ʤ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,
<è>, <ë>, <i>) gentil, gir
/g/ davanti a vocali centrali o posteriori
(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>) gat, gòj, gust
gi
/ʤ/ davanti a vocali centrali o posteriori
(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)
giàira, giò,
giust
gg
/ʤ/ in finale di parola o (raro) davanti a
consonante
magg, viagg-
rai
gh
/g/ davanti a vocali anteriori (<eu>,
<e>, <è>, <è>, <ë>, <i>) o in fine di
parola
gheub, ghèt,
ghëddo,
ghirba
gu /gw/ guardian
gn /ɲ/ gnaulé
h
puro segno grafico con funzione
distintiva hai
i /i/ /i/
/j/ elemento
atono di un
dittongo
pì, fin, bin,
dil, vàire
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j /j/ fija, aj, cheuje
l /l/ lum, malavi
m /m/
mont, magg,
mej
n /n/ manoja
/ŋ/ finale di parola o se precede
consonante velare pan, manché
nn /n/ finale di parola pann, ann
n- /ŋ/ in posizione intervocalica lun-a
ò /ɔ/ mòrt, fòrt
ó /u/ róndola
p /p/ pastiss, pòis
qu /kw/
quand, quatr,
quint
r /r/ reusa, amor
s
/s/ iniziale di parola prima di vocale e di
consonante sorda
sal, sté,
spluva
/z/ in posizione intervocalica, prima di
consonante sonora e in posizione finale
reusa, dësvijé,
pas
ss /s/ in posizione intervocalica e finale stissa, ross
sc
/sk/ davanti a vocali centrali o posteriori
(<a>, <ò>, <o>, <ó>, <u>)
scapé, scopa,
scursé
/ʃ/ davanti a vocali anteriori (<e>, <è>,
<è>, <ë>, <i>) o in posizione finale
sciargnass,
sciavé, pèsc
sch
/sk/ davanti a vocali anteriori (<e>,
<è>, <è>, <ë>, <i>) o in posizione
finale
dischèt, chité,
frèsch
s-c /stʃ/ davanti a vocali anteriori s-cèt
s-ci /stʃ/ davanti a vocali centrali o posteriori s-ciòp
s-
cc /stʃ/ in posizione finale mas-cc
t /t/
tut, matòt,
tàula
u /y/ /y/
/w/ elemento
atono di un
dittongo
tut, brut;
aussé
v /v/
/w/ in coda di
sillaba vaire; ciav
z
/z/ in posizione iniziale di parola ovvero
dopo consonante
zanzija;
arzan,
dabzeugn
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2.1.1 Il sistema fonologico
Come si desume agevolmente dalla tabella appena riportata, il sistema fonologico del
piemontese è molto più ricco di quello dell’italiano. Cominciamo con le vocali:
anziché sette fonemi vocalici, come nell’italiano standard a base toscana, il
piemontese di koinè ne presenta nove:
anteriore centrale posteriore
arrotondato arrotondato
Alto <i> /i/ <u> /y/ <o> /u/
medio-alto <e> /e/ <ë> /ə/
medio-basso <è> /ɛ/ <eu> /œ/ <ò> /ɔ/
Basso <a> /a/, [ɑ]
Altri vocoidi, che nel piemontese di koinè appaiono solo come allofoni, hanno invece
vero e proprio statuto fonematico in altre varietà. Particolarmente complessa la
situazione in alcuni dialetti dell’area sudoccidentale, come quello di Viola che
presenta ben 20 suoni vocalici distinti per ciascuno dei quali è possibile individuare
almeno una coppia minima: /e/ ~ /ɛ/ / / /e / (Pé, Pietro ~ pe, piede ~ pè, pelo ~
pén, pino; oppure /ɒ/ ~ /ɔ/ ~ /o/ (fa, fa; fò, fatto; fó, faggio), /œ/ /e/ / / /ɛ / /e / (feu,
fuoco ~ fé, fare/pecora ~ fè, fa (arcaico) ~ fèn, fieno ~ fén, fine. Una tale complessità
è estranea alla koinè, come alla maggior parte dei dialetti piemontesi: in diacronia,
tuttavia, essa era certamente presente a Mondovì almeno in una delle sue varietà,
poiché Papanti (1875: 202) attesta la tedenza alla scomparsa delle vocali nasalizzate
nel monregalese ottocentesco e Grassi/Sobrero/Telmon (1997: 260) citano questo
caso come un vero e proprio emblema di un processo di italianizzazione fonologica
che ha portato per tempo (non solo in Piemonte) all’eliminazione delle unità
fonematiche più lontane dal sistema della lingua nazionale. In realtà, l’esempio citato
appare piuttosto il rimodellamento di un sistema fonologico considerato aberrante su
quello, più semplice, del piemontese di riferimento che nell’Ottocento era senza alcun
dubbio la varietà di tipo torinese.
In ogni caso alcune opposizioni vocaliche inconsuete per l’italiano si riscontrano
anche nel piemontese di koinè. Ne registriamo qui alcune:
/œ/ /ɔ/: feu, fuoco ~ fò, faggio
/ə/ ~ /ɛ/: tërsa, treccia ~ tèrsa, terza
/y/ ~ /u/: sul, sul (prep. art.) ~ sol, solo / sole
/y/ ~ /u/ ~ /ɔ/: cul, culo ~ col, quello ~ còl, collo
/i/ ~ /y/: mila, mille ~ mula, mula
/œ/ /u/: cheur, cuore ~ cor, corre
Per quanto riguarda invece il sistema consonantico, non ci sono molte cose da dire
poiché esso corrisponde in larga misura a quello dell’italiano. Rispetto alla lingua
nazionale, il piemontese di koinè ignora i fonemi <gl(i)> /ʎ/, <sc(i)> /ʃ/, e <z> /ts/,
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/dz/. Essi sono però presenti in altre varietà, che spesso presentano una ricchezza di
contoidi superiore a quella dell’italiano. Per paradosso, però, spesso in questi dialetti
periferici manca proprio l’unico fonema consonantico che il piemontese di koinè ha
in più rispetto all’italiano, ossia la nasale velare <n(-)> /ŋ/ che nella varietà di koinè
(e in gran parte dell’area piemontese) forma alcune coppie minime con la velare
dentale /n/:
/ŋ/ /n/: pan, pane ~ pann, panno
/ŋ/ /n/ /ɲ/: han, essi hanno (V) ~ ann, anno (N, Sing) ~ agn, anni (N, Plur)
Il fonema /ŋ/, a differenza di quanto si verifica in italiano dove esso è solo variante
combinatoria (/aŋ'kora/), si trova in piemontese anche in posizione intervocalica e in
tal caso viene normalmente rappresentato con il grafema <n->. Il fonema <n-> /ŋ/
intervocalico però è sempre in coda di sillaba ed in posizione immediatamente
postonica. Infatti si neutralizza in /n/ non appena, in morfologia derivazionale o
flessionale, si abbia una progressione di accento. Confrontiamo infatti
/ŋ/ > /n/: lun-a, luna > lunàtich, lunatico
/ŋ/ - /n/: i son-o, (io) suono – i sonoma, (noi) suoniamo
In alcune varietà di piemontese, in corrispondenza della /ŋ/ intervocalica si ha una
sequenza /ŋn/ che viene rappresentata graficamente come <nn> ovvero <n-n>. Essa
rappresenta con ogni probabilità lo stato diacronico precedente da cui si è originata
l’attuale situazione della koinè. Il fonema /ŋ/, presente anche nel ligure centrale di
tipo genovese, è invece del tutto assente non solo nelle varietà galloromanze del
Piemonte ma anche, come si è detto, in numerose varietà galloitaliche periferiche –
soprattutto in area alpina (il kje e il dialetto alto-monregalese di Viola, ad esempio).
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Bibliografia
GENRE, ARTURO (1978), Appunti sulla grafia del piemontese, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 3, pp. 311-342;
GRASSI, CORRADO/SOBRERO, ALBERTO A./TELMON, TULLIO (1997), Fondamenti di dialettologia italiana, Laterza,
Roma-Bari;
MIOLA, EMANUELE (2015), La tirannia della tastiera. Il caso dell’ortografia piemontese, in “Language Problems and
Language Planning”, 39:2 (2015), pp. 136-153;
PAPANTI, GIOVANNI (1875), I parlari italiani in Certaldo offerti alla festa del V centenario di messer Giovanni
Boccacci, Francesco Vigo, Livorno;
REGIS, RICCARDO (2012), Verso l’italiano, via dall’italiano: le alterne vicende di un dialetto del Nord-ovest, in
TELMON, TULLIO/RAIMONDI, GIANMARIO/REVELLI, LUISA, a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e
postunitaria, Bulzoni, Roma, 2012, pp. 307-318;
REP = CORNAGLIOTTI, ANNA, a cura di (2015), Repertorio etimologico piemontese, Centro Studi Piemontesi/Ca dë
Studi Piemontèis, Torino;
RONCO, GIOVANNI (2015), Grafia del REP, in REP, pp. LIII-LXVI.
20
Capitolo 4
Esempi di scrittura novecentesca in grafia dij Brandé
e riconoscimento delle subvarietà
[Brero 1983: 50]
Mi parlo an piemontèis
Mi parlo an piemontèis; che ròba bela!
L’é un tesòr ch’a l’han dame da masnà
quand l’han mostrame a dì mama e papà,
e i l’hai dësgavignà la bërtavela.
La mia mòda ’d parlé l’é na sorela
ch’a stà sempre con mi, fòra e ant-ë-ca,
ch’a ven ansema a mi për la mia stra
e a-j dà al pënsé la grassia dla favela.
Mè car dialèt ch’it l’has tante paròle
sislà da man maestra e it parle e it cante,
slansand ancontra al Sol fusëtte e giòle,
le fior pì bele dle pì bele piante
l’han tute ’l tò përfum: ’t ses la man drita
ch’a sà sostenme ant ij senté dla vita. (Giulio Segre)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
22
[Brero 1983: 71]
R’Avemarìa
Sign-te, Steo. Zu ës bërtin!
Son ij bòt dr’Avemarìa.
A r’é l’ora benedìa
do travaj ch’o va a ra fin.
Snojte ën tèra, Steorin.
Varda an gir: ro vogh-te nen
che tut quant ant sa minuta
va preganda chi n’agiuta ;
tucc d’acòrdi : paja e fen ?
Su, signomse, dima ’r ben.
Tucc d’acòrdi son, a st’ora,
d’anviaresse ’n vers ra tàula?
Che silensi! Ar can ch’o bàula
sij campèisso n’òss en gora
der cò chiel tasriva a st’ora.
Che silensi! Che cel dru!
Smijlo nen, neh, ti, ch’o diga
che, ancheu, tuta ra fatiga
r’abia fara chiel lassù?
E mi an paga travaj pu!
Tant o r’é r’Avemarìa,
ra giornà r’é andà a la fin.
Eco: j’ùltimi botin.
E ra preus r’é benedìa!
Sign-te e: andoma, Steorin.
(Oreste Gallina)
23
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
24
[Brero 1983: 173]
Neuja ant la val
Una dòira garga e màira
a fa finta ’d core al Pò…
Un oslèt tut sol a sgàira
soa canson trames a un fò.
L’oferta
Da su dla riva, a l’erta
s’àussa na rol severa:
a smija ch’a sia n’oferta
che al cel fasa la tèra.
Mare
«I veuj cola stèila!»
a dis na masnà.
Soa mare për dejla
dà al cel la scalà.
La dama
A viv da sola ant ël castel la Dama
che ’l temp a lassa ancora bela e bionda.
Da sala an sala chila a passa e a ciama;
ciama quaidun sensa che gnun rësponda.
(Alex [Alessio Alvazzi Delfrate])
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
25
[Brero 1983: 185]
L’é la tèra ch’la rid
A l’orisont quèica vòta vëgh nassi
na nebia bianca smenciaja dal vent
- bëcci snogiaji chi s-cianco a fij l’erba,
telji ’d ragnà trëmolanti
o piumi d’àngej? –
e stagh sensa fiarì,
sensa bati ’l parpelji,
che ’n men che n’àmen la vision la scraventa.
L’é la tèra ch’la rid! L’é ’l sori sciar
dij mòrt ch’i ricòrdo sognanda.
An col soris jersèrja,
tra ij persi dl’òrt,
j’ho vist passà mè Mama,
giovna, slansà, con mi par man, la facia
rienta, e ’nt j’eucc color dla colomba
quand che ’l cel ël scuriss,
la vrità d’una stèila.
(Vincenzo Buronzo)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
26
(Brero 1983: 259)
A ven neuit…
Ël sol a l’improvista – l’é mòrt drinta la sèira:
la stra së sperd lagiù – doa l’orisont l’ha ’l deul,
ij parachèr a smijo – le cros dël simiteri…
La lun-a a ven an sj’erbo…- e tuti al mond son ombre…
(Camillo Brero)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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(Brero 1983: 296)
L’avija…
L’avija a fa l’amel për tut ël mond,
a para ’l brusch con sò savuj e a meur.
La candèila a fà ciàir findi ch’a fond.
La gucia an vest a resta nùa, pòr cheur.
Ëdcò ti, Piemont?
(Antonio Bodrero)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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28
[Brero 1983: 341]
Mè pare
Al bat, al bat al sciavatin
al tira la trà, l’anciua la sòcola.
Ant ël ciabòt top
al sa ’nté sciarché jë tnaje e la sèja.
Sempe ’t lo tròue a travajé
da n’alba a n’àuta.
E ’l bat, e ’l pica, e ’l dis-ciua e ’l cus.
Ma quand che ’l sol l’é àut
e ’l murador al campa la cassòla
d’ant la filuria dl’uss
i-j passa ’mé ’n giajët
e l’ora tut l’é bel:
sciavate, sòcole, lùster e spassëtte
e ’l sciavatin content
al pica, ’l bat, al cus
për ij sò fieuj lontan.
(Massimo Buratti)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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29
[Brero 1983: 350-351]
Ròcia Ciaborel
A l’autura ’d Roà Grando ’d Fraisse, ’n Val Varàita, s’it vìres ënvers l’ëlvé dël sol da la banda dël
Mel la ròcia it la vëddes franch ëd front, bianca come j’òss dij mòrt, anvlupà dal vert top dij vross, a
pich ën sima al Combal dle Fràule. Pa gnente ’d fòra-via, na ròcia coma tante d’àutre, ma che –
coma vàire ròce, barme, fontane e pontèt ëd montagna – as ten gropà n’ëstòria, na lesenda che ij vej
dël Mel e ’d Fràisse a conto ’ncora, a mesa vos coma s’i l’avèisso pòu ’d bustiché j’Ëspìrit dël
Dëdlà.
Da ’n pò pì a nen tan l’ëstòria a l’é parèj.
Temp dij temp, da na roà dl’ubach dël Mel doi fijèt, Ciaborel e Lasarin, tute le matin a partìo con
j’ëstrop dle fèje apress, ënvers ij pasturaj ch’as dëstendo sla riva drita dël Combal dle Fràule. Co fé
ëntant che le bère e le crave, sota j’euj dij can, as meiravo tute baronà con ij grogno tacà a la tëppa?
Le matinade sùite e sane coma ’d pere a dasìo ai doi pastrèt na gròssa veuja ’d fé ’d virabarchin, ëd
molé le gambe e cori da perdi ’l fià. La veuja ’d domoresse a-j corìa ’nt ël sangh, ël përfum èir dij
git ën sava a-j dasìa la sensassion ëd soa tèra sarvaja.
Ma dal fons dël combal as tenìo ’n fòra, përché lì le vorp, ij lop, ij gianavej a j’ero ’d ca; ma
sobratut a-i virondavo ij sarvanòt, le masche e le alere che ’d crep da le barme a mandavo ’d gemiss
da fé drissé ij cavèj sla testa. Mej nen andé a fiché ’l nas ënt ël Combal dle Fràule.
(Tavio Cosio)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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30
[Brero 1983: 369]
……………………..
«Da costa pòrta as va s’na bruta stra,
da costa pòrta as va ’nt l’etern dolor,
da costa pòrta as va fra gent danà.
La gran giustissia l’ha ispirà Nosgnor,
la fame la divin-a podestà,
ansema a la sapiensa e ’l prim amor.
Davanti a mi j’é gnente stàit creà
se nen eterno, e mi eterna son.
Lassé ògni speransa pen-a intrà».
(Luigi Riccardo Piovano)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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31
[Brero 1983: 382]
S’a…
S’a ti veu còri
varda a r’aqua sorgiva d’un fontanein
quajèta ch’a fàsi onda
par circhè ’l maro
e pu ristè.
S’a ti veu sgurè
varda na pianta d’int ij bòscc
ch’a fàsi alta a basè ij so
fì cunès’ d’i vento
e dondinè.
S’a ti veu circhè l’alto
fàti pisnèin
par vardè pussè ’n seu,
sansa parlè: Lu a sa ben
sa ch’a ti veu.
(Antonio Garzulano)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
32
[Brero 1983: 384-385]
In paisan
E vogh ch’at passi ’nt ër varèj sbianchì
con ër poarin, a sota ’r rami speuji
dër verni, silensiosi sensa ’r feuji,
bejcand ër tò taragni ’nt o sorì.
’N mes ar rojeri zraji dra stra bianca
’t vèi su, lassand-ti dré ra fum dër fià,
con o tò pass dasient, calm e ’msirà,
mentri ra tò mantlin-a ’n pòch s’ambianca
sota ra garaverna ch’a ra dròca.
Peu, ’nt ër varèj spojà, ra nebiolin-a
ra smòrta o tò marcé, ch’o ra scarzlin-a
’nt o silensi dra tèra, coerta ’d fiòca.
(Domenico Badalin)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
33
[Brero 1983: 392]
Magg ëd rimpiant
L’era na seiràa ’d magg…
Mi ta tigniva ’n bracc…
Ti ta sfojàvi ’n fiòr…
Mi ta ciameva amòr…
Dimmi: ’t la sgòrdi più,
Maria, cola seiràa?
’N pastor andeva ’n su,
cantand, ënt la vallàa;
la front a na sfiuréva
l’ala d’un ùltim vòl,
e, ross, a tramontava
sal nòstri bricchi ’l Sòl…
(Raffaele Tosi)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
34
[Brero 1983: 401]
Speransa
Mi sò mia guardà
’nt ël cheur dl’univers
e sò mia gnanca spià
al mument pussè bèl:
già hò vosà
tucc ij mè paròl
d’amor. Credim:
mi sò mia guardà
’nt j’eucc indiferent
dla speransa.
(Walter Alberisio)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
35
[Brero 1983: 413]
Sël ciaplé
Tant violent a l’ha picà ’l sol
an afoanda ’l ciaplé desert,
ël cel ëd pera ’nté la vipra
dossa dossa a strusa e as argala
’d sò susné e dl’ora sens’ombra.
E ’ntant che i von sërcanda ’l cit
ciusion ancreus d’eva stërmà,
frema e fiacanta a l’improvista
tuta a më strusa e m’antërpiss
l’amèra dosseur ch’a më s-cianca.
(Bianca Dorato)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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36
[Brero 1983 : 513]
Natal
Na sabrinà
ëd fiòca
giù da ra stra
ch’a va a ra gesia.
Odor d’incens
Nosgnor
o nassa
j’euj ch’i crovo
da ra sògn.
Un Bambin
ëd sucre
sota ar cussin
con ër gust
dër Paradis.
(Felicina Bonino Priola)
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
37
[Scarafia 1990: 39]
Mi ch’i son, ti ch’it ses
E van ij di longh ma ’d Caresme,
pèis ma n’ancuso ch’as fa rèisi
e ’l maj i bato debol e pian:
sempe pì an fòra cor la fin.
M’arcòrdo ’d ti an t chèich moment nèir,
im vempo ’d gòj ma peu im craso.
Da mi, ardì sensa antendi gnun,
i ven-o sbiavi color dla mòrt:
im fas por da sol.
E canda frust i rompo l’ëspecc,
e canda i saro strèit ij lumin
im sento n’àutr.
Pì leugn van ciantand dle vos dròle:
a son j’àutri, àutr mond, àutra gent!
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………….
38
[Bertolino 2015: 8]
Agn da ëmprendiss. II
Àora ël ciochin
dla sen-a om ciama.
Ij nas van drè
al nìvole ëd vapor:
ànime ëd còj, patate
a sciam longh ij limbo
ëd fregg dj’andao.
Ëdcò ël Bambin
ën brass a la Madòna
da sò canton d’ombra
o baja…
Ij pass ëd Tonin
e coj dla sèira
s’ëntërso sota ij sapin.
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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39
[Bertolino 2015: 50]
A mesdì
A mesdì im ramangh
ënt la cusinòta, tan-a neucia.
Drinta la žata a bërlusa
la mnestra e la lus
d’un përtus ënt ël muragn.
J’é un còro ëd mosche
sovra mia testa,
gran-e neire ënt l’ombra
ënsarzìa ëd fi d’òr…
Peu, ij gomi pogià sël tavo,
i scot come drinta na cuchìa
ël litanìe dël mosche semp pì dëscòst
che s’ënvërtojo a fus ëd silensi.
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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40
[Bertolino 2015: 62]
La tormenta a sia l’era.
La tormenta a sia l’era.
«T’hè dabsògn dla co?»
i-j ciam da la fnestra.
Chila, d’arcassa,
con un sofi g-rà
a manda në stròp ëd faròsche
a sfrisesse ënt ij veri.
Coriàndole bianche
a campa contra ël vespr
ch’o sguja bòrgn
longh ël sënté.
Àora pèi d’un cinghial
a ruma drinta l’era;
contra l’uss a fonga
ij raso’ d’argent.
A speta nen atr
che la veja pòrta
a dròcba në znojon
për sbardé l’ënvern
anche sì ëndrinta.
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
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b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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41
[Tesio 2015: 26]
Mar ëd la vita, e mar ëd la sòrt
Mar dël tërbolum, e mar dij mòrt
Mar dël canajum, e mar dij fòrt
mar dj’emigrant, e mar dij pòrt.
Mar ëd marastra, e mar ëd soa mare
Mar ëd dësfàita, e mar ëd vitòria
Mar ëd disonor, e mar ëd glòria
Mar ëd bestemie, e mar ëd rosare.
Mar arvirà, e mar ëd bonassa
Mar d’ardiman, e mar ëd bagassa
Mar dij gomon, e mar dij fongà.
Mar dij barcon, e mar dij salvà
Mar ëd j’uman, e mar disuman
Mar dël Dirit. Mar dël Leviathan.
Fa’ le tue osservazioni
Quale varietà di piemontese è?....................................................................................................
Quali caratteristiche ha?
a) Fonologia…………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………….
b) Morfologia………………………………………………………………………………………………
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c) Sintassi……………………………………………………………………………………………………
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d) Lessico……………………………………………………………………………………………………
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Riferimenti bibliografici
BERTOLINO, REMIGIO (2015), Litre d’ënvern. Lettere d’inverno, Nino Aragno Editore, Torino;
BRERO, CAMILLO (1983), Storia della letteratura piemontese. Terzo volume (Sec. XX), Editrice Piemonte in Bancarella,
Torino;
SCARAFIA, LUCIANO (1990), L’arzigh dël sol, Edizioni “Ël Pèilo”- Amici di Piazza, Mondovì;
TESIO, GIOVANNI (2015), Stantesèt sonèt, Ca dë Studi Piemontèis, Torino
43
Capitolo 5
Articoli e classificatori
L’articolo
Evoluzione e distribuzione areale
L’articolo determinativo nelle varietà linguistiche romanze del Piemonte deriva, in
tutti i casi, dal dimostrativo latino ILLU(M), ILLA(M) come in tutti i dialetti
dell’Italia settentrionale (Vanelli 1992) e peraltro come la maggioranza assoluta degli
idiomi romanzi (Renzi/Andreose 2015: 168-169). Le forme in cui esso si presenta
sono tuttavia relativamente diversificate: anche concentrando l’attenzione sulle
varietà più univocamente classificabili come piemontesi, infatti, si registra una certa
variabilità non solo fra dialetti diversi ma anche all’interno dello stesso dialetto. Le
parlate di area monferrina e astigiana, ad esempio, presentano al maschile singolare
un’alternanza tra o [u] e ëř [ǝɹ] condizionata dalla natura della consonante iniziale di
parola: con consonanti caratterizzate dal tratto [+coronale] si troverà
sistematicamente l’articolo o [u] mentre ëř [ǝɹ] compare in tutti gli altri contesti
preconsonantici (in contesto prevocalico si avrà ř’ [ɹ]). Così si avranno: ëř can, il
cane; ëř gat,il gatto; ëř nod, il nipote; ëř mond, il mondo; ëř bocin, il vitello; ëř vas,
il vaso. Invece di fronte a consonante coronale si avranno: o nas,il naso; o tupin, il
vaso da notte; o lagh, il lago; o sango, il sangue. Una situazione, questa, attestata già
nell’astigiano antico di Alione e oggi recessiva in numerose varietà meridionali,
comprese quelle dell’area monregalese (Miola 2008).
3.1.1 L’articolo definito nella koinè
La varietà di riferimento, ossia la koinè, presenta invece una situazione più simile a
quella dell’italiano con una distribuzione meno complessa. Le forme attestate per il
maschile singolare si riducono infatti a tre allomorfi:
1) ël [ǝl] nei contesti in cui l’italiano userebbe il (ël can, il cane; ël gat, il gatto;
ël brass, il braccio; ël prim,il primo; ël fum, il fumo);
2) lë [lǝ] sostanzialmente nei medesimi contesti in cui l’italiano prevede l’uso di
lo (lë strass, lo straccio; lë studi, lo studio; lë spagneul, lo spagnolo);
3) l’in posizione prevocalica (l’aso, l’asino; l’òm, l’uomo; l’ovrié, l’operaio;
l’uss, l’uscio).
Anche per il plurale maschile si ha una situazione sostanzialmente sovrapponibile:
1) ij [i] nella maggior parte dei contesti corrispondenti a quelli dell’italiano i (ij
can, i cani; ij gat, i gatti; ij brass, i bracci/le braccia; ij prim, i primi; ij fum, i
fumi);
44
2) jë [jǝ] in parallelo all’italiano gli ma solo in contesto preconsonantico (jë
strass, gli stracci; jë studi, gli studi; jë spagneuj, gli spagnoli);
3) j’in posizione prevocalica (j’aso, gli asini; j’òm, gli uomini; j’ovrié, gli operai;
j’uss, gli usci).
Simmetrica, e ulteriormente semplificata, la distribuzione degli articoli femminili:
1) la (plurale le) in contesto preconsonantico (la vaca ~ le vache, la vacca ~ le
vacche; la crava ~ le crave, la capra ~ le capre; la fija ~ le fije, la ragazza ~ le
ragazze; la galin-a ~ le galin-e, la gallina ~ le galline; la vis ~ le vis, la vite ~ le
viti; la fior ~ le fior, il fiore ~ i fiori);
2) l’ (plurale j’) in contesto prevocalico (l’avija ~ j’avije, l’ape le api; l’orija ~
j’orije, l’orecchio le orecchie; l’urtìa ~ j’urtìe, l’ortica le ortiche).
Osservazioni sull’articolo
2.1 In realtà la distribuzione dell’articolo maschile lë [lǝ] non corrisponde
esattamente a quella della lingua italiana.
2.1.1 I sostantivi che iniziano con <gn> [ɲ], ad esempio, in italiano richiedono
l’articolo lo/gli (lo gnocco, gli gnocchi) mentre in piemontese sono preceduti da ël/ij
(ël gnòch/ij gnòch)
2.1.2 Tutte le varietà di piemontese, con alcune relative eccezioni (in area saluzzese-
cuneese), presentano una decisa tendenza alla riduzione del vocalismo protonico; ciò
determina una frequenza di incontri consonantici ignota all’italiano, anche in
posizione iniziale. Così DENARIU(M) > dné, denaro; FENUCLU(M) > fnoj,
finocchio; MELONE(M) > mlon, melone; VELLUTU(M) > vlu, velluto;
*PINNACIU(M) > pnass, pennacchio o coda. In questi casi la varietà di koinè
prevede l’uso dell’articolo lë/jë: lë dné, jë dné; lë fnoj, jë fnoj; lë mlon, jë mlon; lë
pnass, jë pnass.
2.2 La varietà di koinè, a differenza dell’italiano, presenta sistematica assenza di
articolo determinativo di fronte agli aggettivi possessivi (tranne al maschile plurale):
Ms Fs Mp Fp
1s mè [mɛ] mia [ˈmia] ij me [i mɛ] mie [ˈmie]
2s tò [tɔ] toa [ˈtua] ij tò [i tɔ] toe [ˈtue]
3s sò [sɔ] soa [ˈsua] ij sò [i sɔ] soe [ˈsue]
1p nòstr
[nɔstr]
nòstra
[ˈnɔstra]
(ij) nòstri
[i 'nɔstri]
nòstre
[ˈnɔstre]
2p vòstr
[vɔstr]
vòstra
[ˈvɔstra]
(ij) vòstri
[i 'vɔstri]
vòstre
[ˈvɔstre]
3p sò [sɔ] soa [ˈsua] ij sò [i sɔ] soe [ˈsue]
Come si desume dalla tabella, gli aggettivi possessivi sono preceduti dall’articolo
soltanto al maschile plurale. In realtà, i dati atlantistici (ALEPO) testimoniano di una
45
strategia concorrente che prevede per il plurale maschile le forme mei, tòi, sòi, nòstri,
vòstri, sòi anch’esse prive di articolo determinativo (confermate anche da
Brero/Bertodatti 2000: 58). La forma contraddistinta da articolo determinativo al
plurale maschile, peraltro, obbedisce ad un principio ancora operante in piemontese:
determinanti e quantificatori normalmente esprimono in modo inequivoco il numero
in entrambi i generi; e il modo più economico per farlo emergere è quello di
esprimerlo contrassegnando solo al plurale, attraverso l’articolo determinativo, la
marca di numero. Per questa ragione è possibile ometterlo alla prima e alla seconda
plurale, dove il contrassegno di numero (e genere) è già presente nella –i della
desinenza, qui eccezionalmente conservata.
Bibliografia
BRERO, CAMILLO/BERTODATTI, REMO (2000), Grammatica della lingua piemontese, L’Artistica, Savigliano (Cuneo);
MIOLA, EMANUELE (2008), Il sistema dell’articolo determinativo nella varietà di Prea di Roccaforte Mondovì, in
“Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano”, III serie, 32 (2008), pp. 103-115.
RENZI, LORENZO/ANDREOSI, ALVISE (2015), Manuale di linguistica e filologia romanza. Nuova edizione, Il Mulino,
Bologna.
VANELLI, LAURA (1992), Da «lo» a «il»: storia dell’articolo definito maschile singolare nell’italiano e nei dialetti
settentrionali, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 16, pp. 29-66.
46
3. Classificatori
Il piemontese di koinè, come è stato messo recentemente in evidenza (Miola 2015),
può essere considerato una lingua a classificatori nominali. È infatti possibile
applicare alla sua grammatica i criteri che hanno permesso di riconoscere l’esistenza
di un vero e proprio sistema di classificatori in una lingua genealogicamente così
vicina come il francese (Herslund 2003; Herslund 2012). È risaputo che alcune lingue
orientali, tra cui il cinese, funzionano come lingue a classificatori; in realtà, sotto
questa etichetta si possono includere numerosi tipi di risorse grammaticali a cui
diverse lingue del mondo fanno ricorso per veicolare la presenza o l’assenza di un
concetto di “unità” in relazione ai nomi (Aikhenvald 2000). Ebbene, secondo
l’interpretazione di Herslund (2003: 27-28) i veri e propri classificatori della lingua
cinese funzionano né più né meno come gli articoli francesi, con l’unica differenza
che il cinese utilizza un classificatore fonologicamente distinto dal numeratore che lo
precede
yi ba yizi
Num Class Nome
mentre nel corrispondente francese
une chaise
Num+Class Nome
una sedia
il numeratore e il classificatore sono fonologicamente realizzati in una parola che li
sintetizza entrambi, ossia quello che la tradizione grammaticale a torto chiama
articolo indefinito (o, per il plurale, articolo partitivo).
Ebbene, la stessa analisi può essere applicata al piemontese – almeno al piemontese
di koinè.
Infatti tutti i sostantivi non determinati (cioè non preceduti da un articolo definito in
conformità a quanto previsto 3.1) possono essere suddivisi in due categorie:
a) nomi omogenei
b) nomi eterogenei.
I nomi omogenei (o nomi massa) si riferiscono ad entità che, anche qualora vengano
suddivisi, rimangono uguali a se stessi:
es: eva, acqua; formagg, formaggio; pan,pane; lait, latte; vin, vino.
Con questi nomi il piemontese usa sistematicamente il classificatore dë/ëd/d’/’d:
l’han mangià ’d pan, ëd formagg e ’d salam, mentre beivìo pì ’d vin che d’eva
hanno mangiato pane, formaggio e salame, mentre bevevano più vino che acqua
47
I nomi eterogenei , invece, rappresentano referenti che qualora vengano suddivisi
danno origine a entità differenti da quella originaria. In questo caso è necessario fare
precedere l’entità singola dal classificatore un/una e le entità suddivise dal
classificatore dë/ëd/d’/’d:
sota la tàula a-i era ’dcò un can ch’as mangiava j’avans e le frise ’d pan
sotto il tavolo c’era anche un cane che si mangiava gli avanzi e le briciole di pane
sota la tàula a-i era ’dcò ’d can ch’as mangiavo j’avans e le frise ’d pan
sotto il tavolo c’erano anche cani che si mangiavano gli avanzi e le briciole di pane
sla scansìa i l’hai trovà un lìber an fransèis
sullo scaffale ho trovato un libro in francese
sla scansìa i l’hai trovà ’d lìber an fransèis
sullo scaffale ho trovato libri in francese.
Per quanto riguarda questo specifico tratto morfosintattico, il piemontese di koinè
presenta una facies tipologica significativamente distinta da quella dell’italiano,
avvicinandosi come già abbiamo evidenziato alle condizioni di altre lingue
genealogicamente prossime (come il francese) o remote (come il cinese) per le quali
il concetto di “classificatore nominale” è stato da tempo messo in evidenza.
Nelle varietà periferiche, a differenza di quanto si verifica nella koinè il classificatore
per i nomi massa assume la forma “articolata” dël, dlë, dl’, dla con le rispettive
varianti locali:
i-j dogn dëř pan e do sařam
CL.SOGG+gl do CLASS pane e CLASS salame
(Mondovì)
Simmetricamente, i nomi eterogenei presentano classificatori del tipo dij, djë, dle,
dj’: j’eva dij sègn / ënt ël primavere dla mia gioventù
c’erano CLASS segni / nelle primavere della mia gioventù
(Rinaudo 1994: 36, Mondovì)
Gli usi letterari delle varietà meridionali contemplano anche assenza di classificatori,
come in italiano: a serca numr scancc-là
cerca numeri cancellati
(Bertolino 2010: 80, Montaldo Mondovì)
ma si tratta di un tratto diamesicamente marcato, poiché risulta quasi del tutto assente
nelle conversazioni spontanee mentre lo si ritrova con sostenuta frequenza in poesia.
48
Il sistema dei classificatori, del resto, è perfettamente coerente con una caratteristica
tipologica che abbiamo già riscontrato nel piemontese parlando dei suoi articoli
determinativi: la grammatica del piemontese, a differenza di quanto si verifica in
italiano, è prevalentemente a sinistra. Si confrontino due frasi come
a) i ragazzi più intelligenti scelgono libri interessanti e ben scritti
b) ij matòt pì antivist a serno ’d lìber anteressant e bin ëscrit
Osservando le marche grammaticali, si nota che il genere e il numero in italiano sono
espressi ben sette volte e (tranne nel caso dell’articolo determinativo i) sempre a
destra del sostantivo o del verbo a cui si riferiscono. In piemontese, per contro, le
marche si riducono a 4 e (con l’eccezione della desinenza verbale di terza plurale)
sono tutte a sinistra dell’elemento a cui si riferiscono. Anche la presenza dei pronomi
clitici soggetto, di cui ci occuperemo più avanti, potrebbe essere da mettere in
relazione con questa tendenza tipologica generalizzata in piemontese e comune,
peraltro, al suo vicino più prestigioso: il francese.
49
Bibliografia
AIKHENVALD, ALEXANDRA Y. (2000), Classifiers. A Typology of Noun Categorization Devices, Oxford University
Press, New York;
AIKHENVALD, ALEXANDRA Y./GREEN, DIANA (1998), Palikur and the Typology of Classifiers, in “Anthropological
Linguistics”, 40, 3 (Fall 1998), pp. 429-480;
BERTOLINO, REMIGIO (2010), Versi scelti 1976-2009 a cura e con un saggio di Giorgio Bàrberi Squarotti, Puntoacapo,
Novi Ligure;
HERSLUND, MICHAEL (2003), Articles et classificateurs, in “Cahiers Ferdinand de Saussurre”, 56 (2003), pp. 21-33;
HERSLUND, MICHAEL (2012), Grammaticalisation and the internal logic of the indefinite article, in “Folia Linguistica”,
46/2 (2012), pp. 341-357;
MIOLA, EMANUELE (2015), Piemontèis e tipologia, handout, pro manuscripto;
RINAUDO, SILVIO (1994), J’eva dij sègn, Ij Babi Cheucc, Mondovì.
50
Capitolo 6
Nomi e aggettivi
Nomi
1. Coordinate di flessione nominale: genere e numero
In tutte le varietà di piemontese, il nome presenta le stesse caratteristiche
fondamentali che esso mostra nelle altre lingue romanze:
- svolge perlopiù funzione referenziale, cioè si riferisce a oggetti del mondo
extralinguistico (ma non è un principio assoluto, in quanto può svolgere
funzione predicativa);
- è dotato di un sistema morfologico, strutturato in modo tale che ogni entità
linguistica classificabile come nome risulti flessa contemporaneamente
secondo la categoria del genere (maschile vs femminile) e del numero
(singolare vs plurale);
- è il principale elemento costitutivo (ossia la testa) di un sintagma nominale
(Giorgi 2001: 288).
Queste tre caratteristiche sono state ampiamente messe in risalto per le altre lingue
neolatine e più specificamente per l’italiano (Marcantonio/Pretto 2001: 329).
Vale invece la pena di sottolineare che
a) nella maggior parte delle varietà di piemontese, e nella fattispecie in quella di
koinè, la flessione secondo il numero è affidata all’articolo/classificatore che lo
precede in misura di gran lunga maggiore di quanto avvenga in italiano
(Brero/Bertodatti 2000: 43; Telmon 2001: 58-59) ma in misura
significativamente minore di quanto si verifichi in francese (Telmon 2001: 59);
b) la flessione secondo il genere non sempre è prevedibile in base al confronto
interlinguistico con l’italiano e i dialetti gallo-italici, mentre trova maggiori
riscontri in altre lingue romanze: a titolo di esempio, si pensi al genere del
sostantivo la fior, che è femminile come in francese (la fleur) e in spagnolo (la
flor) mentre in italiano è maschile (il fiore).
Passiamo quindi a vedere più nel dettaglio il sistema morfologico in cui sono
inquadrati i nomi del piemontese di koinè
1.1 La classificazione dei nomi in maschili e femminili
Se è vero che «genders are classes of nouns reflected in the behavior of associated
words» (Hockett 1958: 231), è abbastanza prevedibile che una lingua come il
51
piemontese, in cui si riscontrano solo aggettivi a due terminazioni (zero vs –a)
accanto ad articoli che oppongono solo un maschile e un femminile, risulti dotata di
due soli generi grammaticali. In ogni caso, va segnalato che questi due generi sono
costantemente presenti nella percezione dei parlanti: infatti, qualunque nome è
obbligatoriamente inquadrato in un genere grammaticale. Esso, lo ripetiamo, può
essere solo maschile o femminile – a differenza di quanto si riscontra in alcune
varietà linguistiche italiane centromeridionali, nelle quali sono attestati uno o due tipi
di neutro (Maiden 1997: 73; Loporcaro 2009: 135-136). Ciò che appare piuttosto
significativo, sul piano diacronico, è che l’area piemontese – ma in realtà l’area nord
italiana nel suo complesso, con la parziale eccezione del ligure – ha proceduto
abbastanza presto all’eliminazione del genere neutro, ancora presente in epoca
medievale in varietà toscane, centrali e meridionali. «In northern Italo-Romance, on
the other hand, the reduction was accomplished even earlier, since, even in the
earliest documents, no trace is left of the dedicated neuter agreement pattern found in
the central and southern texts» (Loporcaro/Faraoni/Gardani 2014: 13).
L’assegnazione a uno dei due generi residui, maschile e femminile, determina
comunque l’assegnazione dell’articolo definito nonché tutta la serie delle
concordanze che costituiscono la catena anaforica e cataforica della struttura testuale.
Come normalmente accade nelle lingue romanze, l’assegnazione del genere è solo in
parte prevedibile su base referenziale: così, sono normalmente maschili i nomi che si
riferiscono a esseri viventi di sesso maschile (l’òm, l’uomo; ël pare, il padre; ël frel, il
fratello; ël fieul, il figlio, il ragazzo; lë nvod, il nipote; ël can, il cane; ël gat, il gatto;
ël caval, il cavallo; ël gal, il gallo; ël crin, il maiale) e in parallelo sono femminili i
nomi che si riferiscono a esseri viventi di sesso femminile (la fomna, la donna; la
mare, la madre; la seur, la sorella; la fija, la figlia; la nvoda, la nipote; la cagna, la
cagna; la gata, la gatta; la cavala, la cavalla; la galin-a, la gallina; la treuva, la
scrofa) ma quando si ha che fare con referenti inanimati o astratti i criteri di
assegnazione appaiono puramente arbitrari, sebbene come in italiano esistano casi in
cui «il genere assume un determinato valore semantico anche in nomi di inanimati»
(Marcantonio/Pretto 2001: 334).
Sul piano formale è invece possibile formulare alcune generalizzazioni:
a) sono prevalentemente maschili
a. i nomi che terminano in consonante (ël can, il cane; ël dil, il dito; ël còl,
il collo; ël cheur, il cuore; l’òrt, l’orto; ël matòt, il ragazzo; ël vin, il
vino; ël ghignon, il muso; l’euj, l’occhio; l’argent, l’argento; l’argal, il
regalo; ël verb, il verbo; ël ragg, il raggio (della ruota); ël cop, il coppo;
l’odor, l’odore; ël përfum, il profumo; l’otonn, l’autunno; lë mlon, il
melone; ël garèt, il tacco; ël tramont, il tramonto; ël rat, il topo; ël
sagrin, il cruccio; ël còj, il cavolo; lë sparz, l’asparago; ël bòsch, il
legno; ël cit, il bambino; ël quaj, il caglio; ël mont, il monte; ël niss, il
livido; ël/lë siass, il setaccio; ecc.);
b. i nomi che terminano in –é (ël maslé, il macellaio; ël panaté, il
panettiere; ël pomé, il meleto; ël moré, il rovo; ël pastissé, il pasticcere;
52
ël fré, il fabbro; ël fié, il fico; lë dné, il denaro; ël candlé, il candelabro;
ël pé, il piede; l’ovrié, l’operaio; ël castagné, il raccoglitore di castagne;
lë mnisé, l’immondezzaio; ël papé, la carta; ël brandé, l’alare; ël cravé,
il capraio; ël bërgé, il pecoraio; ël marghé, il pastore di bovini; ël quarté,
il quartiere);
c. i nomi che terminano in –i atona (ël giari, il topo; lë sterni, il pavimento;
ël silensi, il silenzio; ël sacrifissi, il sacrificio; ël drocheri, il rudere;
l’orissi, la tempesta; lë sbiri, lo sbirro; ël liri, il giglio; ël persi, la pesca;
lë scartari, il quaderno; ël subi, il fischio; l’arbi, l’abbeveratoio; l’òrdi,
l’orzo) o tonica (ël ni, il nido; ël gri, il grillo; l’amburì, l’ombelico);
d. i nomi che terminano in –o (ël gnero, il bambino; ël picio, l’organo
sessuale maschile, lo stupido; ël pito, il tacchino; ël pocio, la nespola; ël
bèro, la pecora; ël pronsëmmo, il prezzemolo; ël sòco, lo zoccolo; ël
vindo, l’arcolaio; ël termo, il termine; ël tavo, il tavolo; ël giovo, il
giovane; ël givo, il maggiolino; l’òmo, l’uomo; ël ghëmmo, il gomito);
e. i nomi che terminano in –eu (ël feu, il fuoco; ël reu, l’alone; ël breu, il
brodo; ël leu, il luogo; ël bleu, il blu; ël treu, il truogolo).
b) sono prevalentemente femminili
a. i nomi che terminano in –a (la ca, la casa; la lenga, la lingua; la tàula, il
tavolo; la fiòca, la neve; la tèila, la tela; la bagna, il sugo; l’eva, l’acqua;
la vìrgola, la virgola; la mama, la mamma; la gasìa, l’acacia; la biola, la
betulla; la reusa, la rosa; la testa, la testa; la ciresa, la ciliegia; la fomna,
la donna; l’àmpola, il lampone; la drugia, il letame; la tèra, la terra;
l’avija, l’ape; la lerma, la lacrima; la feuja, la foglia; la bòja, l’insetto;
l’urtija, l’ortica; la furmija, la formica; la slòira, l’aratro; ecc.);
b. i nomi astratti caratterizzati dai suffissi –tà e –tù (la libertà, la libertà; la
virtù, la virtù, ecc.);
c) sono inoltre femminili
a. numerosi nomi in consonante (la lus, la luce; la cros, la croce; la pas, la
pace; la fior, il fiore; la càud, il caldo; la frèid, il freddo; la gent, la
gente; la ment, la mente; la dos, la sorgente; la font, la fonte; la front, la
fronte; la rol, la quercia; la rèj, la rete; la sèj, la sete; la sal, il sale; la
fin, la fine; la bin, il bene; la canson, la canzone; la question, la
questione; la frev, la febbre; la gòj, la gioia; la vis, la vite; l’amnis,
l’immondizia).
d) il paradigma di flessione si articola normalmente su un’opposizione fra
maschile e femminile e, in parallelo, tra singolare e plurale. Quanto
all’opposizione di numero, come si noterà per numerosi sostantivi maschili
(ma anche per molti femminili) il piemontese di koinè sembra estraneo al
sistema tipicamente italo-romanzo che contrassegna il plurale con la desinenza
vocalica –i. Si tratta per la verità di un’assenza solo parziale e spesso recente,
dal momento che diverse varietà (tra cui lo stesso torinese del Seicento studiato
da Clivio 1974 e Regis 2012) conoscevano e ancora conoscono un sistema di
53
opposizione basato sulla metafonia e la palatalizzazione condizionata da –i (ël
matòt, il ragazzo, vs ij mateucc, i ragazzi: Rocca de’ Baldi, Cuneo).
Nondimeno, altre varietà recano tracce di possibili plurali sigmatici (in area
meridionale, il kje e alcune varietà alto-monregalesi), il che indica che
probabilmente in origine la situazione era in parte simile a quella del friulano
attuale (Roseano 2013) dove si mantiene «un doppio meccanismo di
marcamento del plurale, con –S [kɔlp/kɔlps] ovvero con palatalizzazione della
consonante d’uscita, causata da –I finale originaria [paˈis/paˈiʃ]» (Loporcaro
2009: 110). Del resto l’origine della stessa desinenza del plurale -i in ambito
italo-romanzo è discussa: potrebbe essere a sua volta l’esito di una serie di
evoluzioni fonetiche innescatesi a partire da una forma sigmatica in –IS, così
come per il femminile è altamente probabile che all’origine della desinenza
anche piemontese –e ci sia non il nominativo –AE bensì l’accusativo –AS. Una
sintetica presentazione della questione è in Renzi/Andreose (2015: 198-200).
e) È comunque possibile sintetizzare le diverse forme del paradigma in uno
schema, che riportiamo nella pagina successiva:
54
Maschile Femminile
singolare plurale singolare plurale
1 desinenza
Ø
ël gat
il gatto desinenza Ø
ij gat
i gatti desinenza -a
la gata
la gatta desinenza -e
le gate
le gatte
ël patanù
il nudo
ij patanù
i nudi
la patanùa
la nuda
le patanùe
le nude
2
desinenza -
o
ël monio,
il
monaco;
ël nòno,
il nonno
desinenza -o
ij monio,
i monaci
ij nòno,
i nonni
desinenza -a
la monia,
la monaca;
la nòna,
la nonna
desinenza -e
le monie,
le
monache;
le nòne,
le nonne
3 desinenza
Ø
ël caval
il cavallo palatalizzazione
della consonante
finale
ij cavaj,
i cavalli desinenza -a
la cavala,
la cavalla desinenza -e
le cavale,
le cavalle
l'ann,
l’anno
j'agn,
gli anni
4 desinenza
Ø
ël bijèt,
il
biglietto
desinenza Ø
ij bijèt,
i
biglietti
raddoppiamento
della consonante
e desinenza -a
la bijëtta,
la bolletta
raddoppiamento
della consonante
e desinenza -e
le bijëtte,
le bollette
5
desinenza
vocalica -a,
-e, -i,
ël poeta,
il poeta;
ël pare,
il padre;
ël babi, il
rospo
desinenza
vocalica -e, -i,
ij poeta,
i poeti;
ij pare,
i padri;
ij babi,
i rospi
6 desinenza
vocalica -e, -i,
la mare,
la madre;
la crisi,
la crisi
desinenza
vocalica -e, -i,
le mare, le
madri; le
crisi,
le crisi
7 desinenza Ø
la mòrt,
la morte;
la fior,
il fiore
desinenza Ø
le mòrt,
le morti;
le fior,
i fiori
Lo schema trascura numerose eccezioni (particolarmente evidenti nei nomina
agentis) e non dà conto di una serie d’innovazioni che derivano da una situazione di
languages in contact che vede le diverse varietà di piemontese – e la koinè in misura
forse maggiore di altre – sottoposte a una progressiva (ma non univoca) azione di
rimodellamento da parte dell’italiano. La morfologia nominale offre esempi molto
interessanti di ristrutturazione del sistema, in direzione di un’italianizzazione che in
taluni casi arriva così in profondità da introdurre nuovi morfemi: è il caso dei prestiti
nominali uscenti in –o (impiegato, gelato) e in –e (lege, lòde) che hanno introdotto
due nuove classi flessive caratterizzate dalla desinenza –i per il plurale (ël gelato/ij
gelati; la lòde/le lòdi) limitate tuttavia ai prestiti e incapaci di attrarre le parole del
lessico autoctono (Ricca 2006: 139-140). La resistenza all’italianizzazione
55
morfologica appare minore negli aggettivi (Ricca 2006: 146), mentre «il nucleo
“duro” della morfologia flessiva, in gran parte verbale, non manifesta fenomeni di
convergenza con l’italiano» (ibidem).
2. Uno sguardo all’italiano e al piemontese in ottica contrastiva
Per quanto riguarda l’assegnazione del genere ai sostantivi, esistono significative
opposizioni fra l’italiano e il piemontese di cui qui, sulla scorta di Brero/Bertodatti
(2000: 32-36), si offre una rapida sintesi.
2.1 Sostantivi maschili in piemontese, femminili in italiano (sono in grassetto i nomi che hanno lo stesso evidente etimo della traduzione italiana equivalente. Si noti
la presenza, in alcuni casi, di suffissi diminutivi o accrescitivi che possono aver contribuito a determinare
il cambio di genere)
l’armognan, ‘l’albicocca’
l’agian, ‘la ghianda’
l’amson, ‘la mietitura’
ël bòsch, ‘la legna’
(ma anche ‘il bosco’ e ‘il legno’)
ël brassabòsch, ‘l’edera’
ël but, ‘la gemma’ (degli alberi)
ël botal, ‘la botte’
ël caussèt, ‘la calza’
ël ciabòt, ‘la casetta’
ël cotin, ‘la gonna’
ël crajon, ‘la matita’
ël dagn, ‘la falce’
ël foèt, ‘la frusta’
ël moro, ‘la faccia’
ël parpajon, ‘la farfalla’
ël papé, ‘la carta’
ël persi, ‘la pesca’
ël portugal, ‘l’arancia’
ël pruss, ‘la pera’
ël pom, ‘la mela’
ël ròch, ‘la roccia’
lë spi, ‘la spiga’
ël sagrin, ‘l’angoscia’
lë stabi, ‘la stalla’
ël tarpon, ‘la talpa’
ël tuf, ‘l’afa’
2.2 Sostantivi femminili in piemontese, maschili in italiano (sono in grassetto i nomi che hanno lo stesso evidente etimo della traduzione italiana equivalente)
l’agucia, ‘l’ago’
l’alvà, ‘il lievito’
l’ambrun-a, ‘il mirtillo’
l’angassa, ‘il legaccio’
l’andurmia, ‘il sonnifero’
l’àmpola, ‘il lampone’
l’arbra, ‘il pioppo tremulo’
la bòja, ‘l’insetto, il bruco’
la bin, ‘l’affetto’
le braje, ‘i pantaloni’
la brova, ‘il margine’
la càud, ‘il caldo’
la ciovenda, ‘il recinto’
la cavagna, ‘il canestro’
la cracia, ‘lo sporco’
la drugia, ‘il letame’
la dmora, ‘il giocattolo, il gioco’
la fior, ‘il fiore’
la frèid, ‘il freddo’
la giassa, ‘il ghiaccio’
la gran-a, ‘il chicco, il granello’
la grassa, ‘il grasso’
la greuja, ‘il guscio’
la lea, ‘il viale’
la lòsna, ‘il lampo’
la lëgna, ‘il pezzo di legno’
la lëssìa, ‘il bucato (come operazione
di lavaggio)’
la masnà, ‘il bambino’
la matin, ‘il mattino’
la minuta, ‘il minuto’
la muraja, ‘il muro’
56
la miola, ‘il midollo’
la nata, ‘il tappo’
la nos o la nosera, ‘il noce’
la ninsòla, ‘il nocciolo’
la pajassa, ‘il pagliericcio’
la pàuta, ‘il fango’
la pòbia, ‘il pioppo’
la rama, ‘il ramo’
la rapa, ‘il raspo’
la ratavolòira, ‘il pipistrello’
la resta, ‘il resto’
la rov, ‘il rovere’
la sal, ‘il sale’
la sigala, ‘il sigaro’
la slòira, ‘l’aratro’
la seugn, ‘il sonno’
la stenduva, ‘il bucato
(come insieme di panni stesi)
la trìfola, ‘il tartufo’
la vantajin-a, ‘il ventaglio’
la verna, ‘l’ontano’
la vestimenta, ‘il vestito’
le vairòle, ‘il vaiolo’
57
L’oscillazione nell’attribuzione del genere, latente nel latino classico, diventa un
fenomeno decisamente rilevante nel latino volgare (Väänänen 1967: §213, 214, 215;
§226, 227). È particolarmente rilevante, in ottica interlinguistica, il fatto che
l’opposizione fra nomi di piante maschili e nomi di frutti femminili sia del tutto
assente in piemontese. In piemontese anzi i dendronimi tendono a presentarsi
femminili anche laddove il corrispondente italiano è maschile, come nel caso di
arbra, nos, pòbia, verna, rov per le quali solo in un caso (la nos) si può invocare una
sorta di attrazione esercitata dal nome (femminile) del frutto. Negli altri casi è molto
più probabile si tratti di un’attrazione funzionale determinata dal genere della parola
pianta. La questione sarebbe tuttavia da approfondire con uno studio sistematico.
3. Morfologia derivazionale: suffissi e prefissi
I morfemi derivazionali del piemontese corrispondono etimologicamente a quelli
dell’italiano e sono in gran parte di derivazione latina. Nondimeno, in alcuni casi si
riscontrano significative divergenze nelle sfumature semantiche attribuita ai morfemi
derivazionali. È il caso, ad esempio, dei nomina agentis ampiamente esaminati da
Regis (2013), a cui si rimanda per un’analisi specifica.
Una trattazione dettagliata dei prefissi e dei suffissi che costituiscono la galassia
derivazionale della lingua piemontese è rappresentata da Parnigoni 2015, che registra
(xliv-xlv) 42 prefissi di varia produttività (cfr. Ricca 2006): a-/ad-, a- (privativo, dal
greco), am-/an- (<IN), antër-/antra- (<ĬNTRĀ), anti- (<ANTĔ), anti- (<ANTI, dal
greco), antro- (<ĬNTRŌ), ar- (<RE), archi-/arsi- (<ARCHI, dal greco), avan-
(<ĂB+ANTĔ), bis-/bës- (<BĬS), cata- (<KATA, dal greco), cis- (<CĬS), com-/con-
(<CŬM), contra- (<CŎNTRA), das- (<DĒ+ĂB+EX), de- (<DĒ), dëd- (<DĒ+DĒ),
dës- (DĒ+EX), dis-/dës- (<DĬS), e-/es- (<EX), fòra-, for- (<FŌRIS/FŌRAS), fra
(<INFRĀ), in (<IN), mal- (<MĂLE), ob- (<ŎB), për (<PER), pre- (<PRAE), pre-
(<PER), pro- (<PRŌ), re- (<RĔ), rës- (<RĔ+EX), ri- (<RĔ), (ë)s- (<EX), so-
(<SŬB); sor- (<SŬPĔR), sot- (<SŬBTUS), sovra- (<SŬPRĀ), stra- (<ĔXTRĀ), tra-
(<TRANS), tra- (<ŬLTRĀ).
Per quanto riguarda invece i suffissi, Parnigoni (2015: xlv-lii) li suddivide in tre
macrocategorie:
a) i suffissi nominali, che servono per derivare nomi da altri nomi (denominali),
da aggettivi (deaggettivali), da verbi (deverbali);
b) i suffissi aggettivali, tramite i quali è possibile costruire aggettivi partendo da
un sostantivo (denominali), da un altro aggettivo (deaggettivali) oppure da un
verbo (deverbali);
c) i suffissi verbali, attraverso cui si creano verbi partendo da una base nominale
(denominali), da una base aggettivale (deaggettivali) o da una base già verbale
in origine (deverbali).
Si ha dunque una struttura tripartita in cui ciascuna delle tre categorie è a sua volta
suddivisa in tre subcategorie, che si ripetono sempre uguali a se stesse. Anche i
suffissi si ripetono con insistenza, poiché lo stesso suffisso (ad esempio –òt) può
58
servire a formare nomi partendo da nomi (oslòt), nomi partendo da verbi (scacaròt),
aggettivi partendo da nomi (ferlingòt), aggettivi partendo da aggettivi (grassòt). In
questo specifico contesto, può essere interessante vedere quali siano i suffissi che
permettono la creazione di nomi. I denominali risultano essere i più numerosi (circa
80!): -à/-ada (<ĀTAM), -aca (<ACCAM), -ach (<ACCUM), -age/-agi (<ĀTICUM),
-agn (<ĀNEUM), -agn (<ĀNEAM), -àira (<ĀRIAM), -àire (<ATŌREM), -aireul
(<ĀRIUM + ĔOLUM), -aj (<ĀCŬLUM), -aja (<ĂLĬA), -ajo (<ĀGINEM), -al
(<ĀLEM), -am (<ĀMEN), -an (<ĀNUM), -an-a (<ĀNAM), -ar/-ari (<ĀRĬUM), -
ard (<HARD, germanico), -arda (<HARD+AM, germanico), -arìa (<ARĬAM +
ĪAM), -arission (<ĀRI + ITIŌNEM), -ariura (<ĀRI + ŪRAM), -aròla (<ĀRI +
ŎLAM), -ass (<ĀCĔUM), -assa (<ĀCĔAM), -astr (<ĀSTRUM), -auda (<WALD,
germanico), -é (<ĀRIUM), -é/-èj (<ĒTUM), -èire (<ĀRIUM), -el (<ĔLLUM), -ela
(<ĔLLAM), -era (<ĀRIAM), -eri (<ĒRIUM), -erìa (<ARĬUM + ĪAM), -esch
(<ĬSCUM), -ësca (<ĬSCAM), -èt (<ĬTTUM?), -eta (<*ĒTAM), -ëtta (<ĬTTAM?), -
eul (<ĔOLUM), -eur (<ŌREM), -eusa (<ŌSAM), -icc (<ĪCŬLUM), -ich (<ĬCUM), -
ié (<ĀRIUM), -iera (<ĀRIAM), -il (<ĪLEM), -in (<ĪNUM), -in-a (<ĪNAM), -inin
(<ĪNUM+ĪNUM), -inòt (<ĪNUM + ŎTTUM), -isa (<ĬTIAM), -iss (ĪCĔUM), -ista
(<ĪSTAM), -menta (<MENTA), -ò (<ĔLLUM, tramite il francese), -oar (<ĀRĬUM,
tramite il francese), -òcc (<ŌCĔŬM), -òch (<ŌCCUM), -oj (<ŪCŬLUM), -oja
(<ŪCŬLAM), -on (<ŌNEM), -on-a (<ŌNAM), -onà (<ŌNEM+ĀTAM), -òssa
(<*ŌCĔAM), -òt (<*ŌTTUM), -òta (<*ŌTTAM), -otass (<*ŌTTUM + ĀCĔUM), -
ucc (<ŪCĔUM), -uch (<ŬCCUM), -ucio (<ŪCĔUM), -uja (<ŪCŬLAM), -ul
(<ŪLUM), -ulà (<ŪLAM+ĀTAM), -um (<ŪMEN), -uss (<ŪCĔUM/ŪTĬUM). Per
gli altri suffissi si rimanda al testo di Parnigoni 2015, che potrebbe essere oggetto di
un’interessante serie di discussioni.
59
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60
4. Aggettivi e sintagmi aggettivali
In piemontese, come in italiano, gli aggettivi possono svolgere funzioni attributiva
o predicativa. Trascuriamo qui la loro funzione presentativa (Guasti 2001: 322).
Svolgono una funzione attributiva ogni qual volta si trovino all’interno del
Sintagma Nominale, come in
a) i l’hai vist passé na bela matòta
ho visto passare una bella ragazza;
b) i l’hai vist passé na matòta bela
ho visto passare una ragazza bella.
L’aggettivo piemontese con funzione attributiva, come quello italiano, può essere
collocato prima o dopo il nome, quando non regge complementi. Qualora invece
l’aggettivo regga dei complementi preposizionali, esso si trova obbligatoriamente
in posizione postnominale:
Si confrontino
c) i l’hai sempre avù dij can afessionà a me fijeul
ho sempre avuto cani affezionati a mio figlio;
d) * i l’hai sempre avù dj’afessionà a me fijeul can
*ho sempre avuto affezionati a mio figlio cani
La questione in realtà è più complessa. Gli aggettivi possono essere considerati
portatori di valenze da saturare alla stessa stregua dei verbi e, come i verbi,
possono essere suddivisi in inaccusativi e inergativi (Guasti 2001: 324-329) ma
questa suddivisione – che peraltro andrebbe approfondita – lascia in ombra
l’esistenza di altri tipi di aggettivi, presenti anche in piemontese, come gli
aggettivi relazionali, ossia aggettivi che derivano da un nome ed esprimono la
relazione del modificato con il concetto espresso dal nome primitivo. In altri
termini, mortal equivarrà al sintagma dla mòrt, gropà a la mòrt; tropical al
sintagma preposizionale dij tròpich, da tròpich; popolar al sintagma
preposizionale dël pòpol, e così via. Come in italiano, anche in piemontese essi
non possono svolgere funzione predicativa e normalmente non si usano in
costruzioni comparative. Spesso come si vede sono prestiti (o al limite calchi)
dall’italiano, di cui in qualche modo finiscono per veicolare anche la morfologia.
Infatti, le classi flessive aggettivali del piemontese – per quanto riguarda il lessico
di tradizione diretta – non coincidono con quelle dell’italiano. Quest’ultimo
presenta infatti, come il latino, due classi di aggettivi (Salvi/Vanelli 2004: 169):
Italiano Singolare Plurale
Classe Maschile Femminile Maschile Femminile
1 -o -a -i -e
2 -e -e -i -i
61
che si riducono ad una in piemontese, poiché gli aggettivi della seconda classe
latina come fòrt < FORTE(M) sono confluiti nella prima divenendo in tutto simili
a neuv < NOVU(M), sicché si ha uno schema del tipo
Piemontese Singolare Plurale
Classe Maschile Femminile Maschile Femminile
(1) neuv neuva neuv neuve
(2) fòrt fòrta fòrt fòrte
Le uniche eccezioni sono rappresentate dagli aggettivi in –al, -el, -òl, -ol, ecc.:
Singolare Plurale
Maschile Femminile Maschile Femminile
normale normal normala normaj normale
bello bel bela bej bele
scemo fòl fòla fòj fòle
solo sol sola soj sole
In realta, lo schema flessivo per gli aggettivi in –al tende sempre più ad essere
modellato sul corrispondente schema della lingua-tetto, che è ovviamente
l’italiano, sicché (Ricca 2006: 142) l’opposizione di genere normal/normala è in
gran parte neutralizzata a favore dell’unica forma normal ambigenere come
l’italiano normale. «La flessione senza opposizione maschile/femminile di
aggettivi come natural o terìbil ha l’effetto di reinstaurare nel sistema del
piemontese una seconda classe flessiva aggettivale riducendo in questo ambito la
distanza strutturale con l’italiano, per cui si può senz’altro parlare di un processo
di italianizzazione che coinvolge la morfologia flessiva» (Ricca 2006: 143).
62
Bibliografia
GUASTI, MARIA TERESA (2001), La struttura interna del sintagma aggettivale, in RENZI, LORENZO/SALVI,
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SALVI, GIAMPAOLO/VANELLI, LAURA (2004), Nuova grammatica italiana, Il Mulino, Bologna
63
Capitolo 7
Pronomi personali
Pronomi personali soggetto
Serie libera
Il piemontese possiede pronomi personali soggetto liberi, come l’italiano (Regis
2006: 57). Essi sono normalmente portato di un’unità accentuale, per cui spesso
vengono chiamati pronomi tonici. In ogni caso possono comparire in isolamento,
come negli esempi che seguono:
a) chi ha portato il pane? Io!
b) chi a l’é ch’a l’ha portà ’l pan? Mi!
I pronomi personali soggetto del piemontese di koinè sono così elencati da
Brero/Bertodatti (2000: 72):
Ambigenere Maschile Femminile
prima persona singolare mi
seconda persona singolare ti
terza persona singolare
chiel chila
prima persona plurale (noi) nojàutri nojàutre
seconda persona plurale (voi) vojàutri vojàutre
terza persona plurale lor (loràutri) (loràutre)
Per i pronomi di prima e di seconda persona, sia singolare sia plurale, non si
registrano grandi variazioni nell’area piemontese, con l’eccezione di varietà
estremamente marginali come ad esempio il kje dell’area monregalese dove il
pronome di prima persona singolare è appunto chié. La particolarità di questa forma
pronominale (comune alle varietà occitaniche della val Gesso) è attestata dal fatto che
essa è stata promossa a vero e proprio glottonimo, in un contesto in cui tutte le altre
circostanti varietà piemontesi e liguri usano mi come, del resto, la maggior parte dei
dialetti parlati nell’Italia settentrionale. Infatti «caratteristica di tutti i dialetti
settentrionali è la perdita delle forme di pronome personale derivanti da EGO, TU,
sostituite ovunque in fase medievale dagli originariamente obliqui lig., piem., lomb.,
ven. [mi ti], emil. [me te]» (Loporcaro 2009: 87).
I pronomi di terza persona singolare, invece, mostrano una molto maggiore variabilità
diatopica: cel, chial, chil (maschile), chëlla, cëlla, chilà (femminile), che sono forme
comunque limitate ad aree fortemente periferiche. Quanto al pronome di terza
plurale, anche nell’ambito dell’alto-piemontese è possibile trovare forme – parallele a
64
quelle di terza singolare – in cui viene evidenziata la differenza di genere del
referente: chiej, chiaj, chij, cej (maschile), chile, chiëlle, chëlle, cëlle (femminile). La
koinè, invece, per distinguere il genere del soggetto pronominale fa uso della stessa
strategia per tutto il plurale, ossia giustappone al pronome “storico” il succedaneo
dell’aggettivo latino ALTERI. Per la verità, forse su influsso dell’italiano, questa
strategia che si è affermata stabilmente per la prima e la seconda plurale non si è
ancora generalizzata per la terza plurale.
In ogni caso, a differenza di altre varietà italo-romanze, il piemontese e i suoi dialetti
non utilizzano la giustapposizione dell’aggettivo ALTERI al pronome con funzione
semantica: in altri termini, si è perduta ogni distinzione fra valore inclusivo ed
esclusivo del pronome.
Serie clitica
I pronomi soggetto della serie clitica – o, più semplicemente, pronomi clitici soggetto
(nominative clitics) – sono una caratteristica dei dialetti dell’Italia settentrionale
(Vanelli/Renzi 1997: 109; Loporcaro 2009: 110). Non si ritrovano in altre varietà
italo-romanze (con la significativa eccezione del fiorentino: Manzini/Savoia 2005, I:
111) e sono solo parzialmente assimilabili ai pronomi atoni della lingua francese (le
formes conjointes che non possono mai comparire in isolamento e che sono del resto
obbligatorie nella coniugazione verbale: Grevisse/Goosse 2004: § 633-634). La
bibliografia sui pronomi clitici soggetto è piuttosto consistente: numerosi studiosi
infatti se ne sono occupati a partire da Renzi/Vanelli 1983 e molti lo hanno fatto in
riferimento al piemontese e alle sue varietà. Tra i contributi più recenti va annoverato
Ferrarotti (2015: 58-80), tesi di laurea magistrale in Scienze Linguistiche per ora
inedita che ha indagato l’area del piemontese orientale. Al territorio del Piemonte
occidentale coperto dalla rete di indagine ALEPO è invece dedicato Regis 2006b che
completa le osservazioni, relative più specificamente alla koinè, contenute in Regis
2006a. Le conclusioni a cui giungono questi lavori mettono fortemente in crisi
l’affermazione secondo cui «dinnanzi ai verbi, la lingua piemontese usa i Pronomi
Personali Verbali che non si possono mai omettere» (Brero/Bertodatti 2000: 72).
Un’affermazione, questa, a cui Brero e Bertodatti sembrano tenere particolarmente
perché a pochissima distanza ripetono (ibidem) «che, mentre si possono omettere i
pronomi “mi, ti, chiel, etc.”, non si tralascieranno (sic!) mai i suddetti pronomi
personali verbali». L’obbligatorietà del pronome clitico soggetto viene ribadita anche
in Rubat Borel/Tosco/Bertolino (2006: 33-34) mentre in Tosco/Rubat Borel/Bertolino
(2006: 16) si circoscrive il fenomeno alle frasi dichiarative e alla koinè, osservando
che nelle varietà locali i pronomi clitici soggetto possono essere limitati ad alcune
persone del verbo, nella fattispecie la seconda singolare, la terza singolare e la terza
plurale.
In realtà, non è un caso che il titolo di Regis (2006a) sia Se i clitici soggetto sono
facoltativi: la pretesa obbligatorietà dei clitici soggetto infatti non trova riscontro
nell’uso reale, sia parlato sia scritto, almeno non per tutte le persone. È invece
possibile tracciare una gerachia di obbligatorietà basata sulle percentuali statistiche di
65
omissioni del clitico nel parlato non programmato e nell’uso letterario (poetico) della
lingua. Orbene, questa gerarchia di obbligatorietà vede sul gradino più alto – quello
cioè di massima obbligatorietà – il clitico di seconda persona singolare, seguito da
quelli delle terze persone (plurali e singolari) esattamente come indicato da
Tosco/Rubat Borel/Bertolino (2006). Anche questi tre clitici, tuttavia, non sono
tassativamente obbligatori ma possono in alcune circostanze essere omessi senza
pregiudicare la grammaticalità della frase. Come rileva Regis (2006a), risultano così
confermate le conclusioni a cui erano giunti sia Heap (2000) sia Bonato (2004): la
presenza dei clitici dipende dalla persona del verbo, dal contesto d’uso, dal mezzo e
anche dalla varietà di piemontese in gioco. Se infatti la koinè si rivela
tendenzialmente propensa ad evitare la cancellazione dei clitici, non si può dire lo
stesso per le altre varietà. Sia Bonato (2004) sia Regis (2006a), infatti, rilevano una
tendenza ad opporre koinè e varietà periferiche e Bonato (2004: 66) afferma
esplicitamente che l’omissibilità dei clitici aumenta progressivamente quanto più ci si
allontana da Torino. Il dato in sé potrebbe sembrare plausibile, dal momento che la
relativa obbligatorietà dei clitici è anche per la koinè frutto di un’evoluzione
abbastanza recente; e non ci sarebbe da stupirsi se, come spesso accade, dovessimo
verificare che le varietà periferiche mantengono salde le condizioni che per la koinè
sono ormai marcate in diacronia. Bonato (2004) ipotizza una vera e propria volontà di
cosciente allontanamento dalla koinè nei parlanti delle varietà periferiche, in questo
specifico tratto come in altri. Una simile ipotesi, tuttavia, presuppone una
consapevolezza nell’uso della morfosintassi che molto raramente si riscontra nei
parlanti. La parallela advergenza dei dialetti piemontesi verso l’italiano
contribuirebbe alla perdita di obbligatorietà dei clitici, che ovviamente in italiano non
esistono, e confermerebbe d’altra parte una tendenza già presente ab antiquo in
piemontese e ancor oggi ampiamente attestata in alcune varietà periferiche (come
l’alto-piemontese dell’area circostante Cuneo).
Per contro, è sensato ipotizzare che l’insistenza dei piemontesisti sull’obbligatorietà
dei clitici assolva anche a una funzione sociolinguistica di Ausbauization, per usare il
termine di Fishman ripreso da Tosco (2011: 233): «the basic ideological drive behind
the process of Ausbauization is the desire to make oneself (i.e., one’s language) as
distinct as possible, and therefore as different as possible, from competing varieties,
generally the official and national language(s)». In questa prospettiva, chiaramente, i
clitici soggetto distinguono il piemontese dalla varietà con cui è in competizione,
ossia l’italiano. Ma nella realtà dell’uso, come si è visto, non è detto che il dato
ideologicamente più significativo trovi sempre conferma.
Il piemontese di koinè è, in ogni caso, un codice dotato di pronomi clitici soggetti per
ogni persona del verbo. In altri termini, a differenza di moltissime varietà dell’Italia
settentrionale, il piemontese ha un sistema completo di clitici a 6 persone. I dati
atlantistici dell’ALEPO (Regis 2006b: 61) confermano che questo sistema è
abbastanza diffuso anche nel Piemonte occidentale poiché lo si ritrova a
Bardonecchia, Briga Alta, Campiglia Cervo, Chianocco, Frabosa Soprana, Mattie,
Moncalieri, Novalese, Pamparato, Sestrière, Susa, Traversella e Val della Torre. Le
forme del sistema, ovviamente, sono quanto mai variegate e spesso non
66
corrispondono allo schema della koinè: del resto, i punti citati appartengono alle più
diverse aree linguistiche del Piemonte, dall’occitano al monregalese alpino, dal
francoprovenzale all’alto-monregalese, dall’alto-piemontese al ligure roiasco. Al di là
delle complesse manifestazioni fonologiche, tuttavia, è legittimo concludere che il
sistema a 6 clitici esiste effettivamente al di fuori della koinè ed ha alcune linee di
tendenza generali:
a) la maggior parte dei punti ALEPO con sistema a 6 clitici presenta clitici
vocalici in tutte le persone tranne la seconda singolare dove compaiono (come
nella koinè) forme contenenti la consonante [t] (it, ët, të, tu, ti…);
b) la maggior parte dei suddetti punti manifesta alla terza persona singolare
l’opposizione di genere maschile vs. femminile, che invece è del tutto assente
nella koinè (in cui il clitico è sempre a, indipendentemente dal genere
grammaticale del referente).
Esistono però anche sistemi di pronomi clitici soggetto a 5, 4 e 3 persone (Regis
2006b: 63) nei quali in ogni caso vengono confermate le generalizzazioni formulate
da Renzi/Vanelli (1983: 128) in particolare la terza secondo cui
«se una varietà fa un uso costante di almeno tre pronomi soggetto, questi sono quelli di
seconda, terza e sesta persona».
Nei dati atlantistici ALEPO si individuano però anche punti d’indagine dove
compaiono sistemi di pronomi clitici limitati a 2 o a 1 persona. Non solo: la
situazione che emerge dai dati che Regis (2006b: 64-65) trae dalla sezione
morfologica dell’ALEPO arriva al punto di contraddire la prima e la seconda
generalizzazione di Renzi/Vanelli (1983: 128):
«se una varietà fa un uso costante di almeno un pronome soggetto, questo è quello di
seconda persona»;
«se una varietà fa un uso costante di almeno due pronomi soggetto, questi sono quelli di
seconda e terza persona».
Esistono infatti in Piemonte varietà che conoscono solo i clitici di terza persona
singolare e plurale e non mostrano (almeno nell’indagine ALEPO) l’uso di clitici per
la seconda singolare, contraddicendo così i postulati teorici più accreditati. Se però si
passa ad osservare da vicino queste varietà, si noterà che la maggior parte di esse
appartiene alla provincia di Cuneo (Entracque, Limone Piemonte, Oncino, Sampeyre,
Bellino, Boves, Monterosso Grana) di cui peraltro fanno parte anche i punti ALEPO
nei quali i dati mostrano una totale assenza di clitici soggetto: Aisone, Argentera,
Canosio, Cartignano, Piasco. Come si noterà da quest’elenco, i punti si addensano
nell’area occidentale della provincia di Cuneo, proprio l’area dove le varietà dialettali
(occitane o piemontesi che siano) conservano saldamente la desinenza sigmatica per
la seconda singolare. L’assenza di pronomi clitici soggetti alla seconda persona
singolare, quindi, viene da Regis (2006b: 68-69) messa in correlazione con la stabilità
della desinenza verbale sigmatica: ferma restando la necessità di caratterizzare ed
iperdeterminare la seconda singolare, in quanto persona deittica per eccellenza, una
67
parte significativa dei dialetti parlati nell’area alpina e subalpina gravitante su
Saluzzo e su Cuneo persegue quest’obiettivo con strategie diverse dall’uso dei
pronomi clitici soggetto.
Map 6. Subject Clitics in Western Piedmont: relationship
between presence/absence of final -s and 2nd person Subject Clitic Pronoun
a = [˗ -s], [+ 2nd SCP]; b = [+ -s], [– 2nd SCP];
c = [– -s], [– 2nd SCP]; d = [+ -s], [+ 2nd SCP] (Cerruti/Regis 2007)
Nella presentazione dei clitici soggetto del piemontese di koinè, dunque, si dovrà
tenere conto di quest’avvertenza: la presenza del clitico di seconda persona,
68
soprattutto in determinate aree geografiche, sarà molto difficilmente compatibile con
la desinenza sigmatica –es della seconda singolare. Inoltre, in numerose varietà (e
anche nella stessa koinè) l’uso dei clitici potrà presentare una tendenza più o meno
forte all’omissibilità.
Fatte queste premesse, vediamo nella tabella ? il sistema dei clitici soggetto in
piemontese di koinè:
clitici soggetto Maschile Femminile
prima persona singolare i i
seconda persona singolare it it
terza persona singolare a a
prima persona plurale i i
seconda persona plurale i i
terza persona plurale a a
Come si può vedere, la presenza di due colonne distintive per il genere è superflua
dal momento che nella varietà di koinè il piemontese non conosce distinzioni
nemmeno per la terza persona singolare. Essa è invece chiaramente caratterizzata a
seconda del genere in numerose altre varietà, come quella monregalese dove al
maschile o [u] si contrappone il femminile a [a]. Etimologicamente, «the nominative
clitics derive from old free pronouns, which became clitics between the fifteenth and
sixteenth centuries» (Vanelli/Renzi 1997: 109). Sono insomma i pronomi clitici a
continuare la serie nominativa del latino:
i <e < EGO;
it, të < TU;
a < al < ILLU(M) ? regolarmente continuato da o [u] nelle varietà che conoscono la
differenziazione di genere; ma potrebbe trattarsi anche di una
sovraestensione del femminile
a < la < ILLA(M);
i < oi < noi < NOS ?
i < oi < voi < VOS ? nel Seicento era o, come nel kje di Fontane contemporaneo
a < ai < ILLI ?
La ricostruzione etimologica dei clitici attestati per il plurale è congetturale, poiché
essi presentano un notevole grado di variabilità non solo diatopica ma anche
diastratica e diamesica e si sono fissati (come rilevato da Regis 2006b) in epoca
relativamente recente. Per ripercorrere le tappe evolutive che hanno portato all’attuale
situazione della koinè è di una certa utilità interrogare le varietà periferiche. In
particolare, ad alcuni sistemi di clitici nel piemontese orientale è dedicato il lavoro di
Ferrarotti (2015: 58-80).
Serie clitica interrogativa
69
Nelle varietà venete, friulane, emiliane, romagnole e piemontesi è possibile trovare
una vera e propria serie di pronomi clitici postverbali il cui uso è riservato a frasi
interrogative dirette, ipotetiche e ottative (Poletto 1997: 140). La varietà di koinè non
fa eccezione, sebbene l’uso di questa serie clitica sia ormai recessivo poiché «si sta
affermando l’uso della forma assertiva con intonazione interrogativa (quindi con
curva intonativa ascendente)» (Miola 2013: 154). Come in altre varietà, infatti, la
serie clitica interrogativa postverbale implica l’utilizzo di una vera e propria flessione
interrogativa, caratterizzata in genere da desinenze più arcaiche rispetto a quelle della
coniugazione assertiva. Si tratta di un fenomeno sconosciuto all’italiano ma
largamente attestato nelle parlate del Piemonte meridionale: Miola (2013: 152-155)
ne mette in rilievo la particolare rilevanza nelle varietà di area monregalese. Il
confronto fra la flessione assertiva e quella interrogativa può comunque essere utile
anche per la koinè:
assertiva interrogativa
1ª singolare mi i parlo parl-ne?
2ª singolare ti it parle(s) parles-to?
3ª singolare
chiel a parla parl-lo?
chila a parla parl-la?
1ª plurale nojàutri i parloma parlom-ne?
2ª plurale vojàutri i parle parle-ve?
3ª plurale
lor a parlo parl-le?
lor a parlo parl-ne?
In koinè (ma non in tutte le varietà) «an enclitic can co-occur with a proclitic subject
pronouns: Rodoretto di Prali sòch a l’alo fàit? [sok a l 'alo fai t?]. Hence, preverbal
and postverbal pronouns belong to two distinct classes» (Poletto 1997: 140). La
questione è ovviamente molto complessa. In ogni caso esistono varietà in cui non
solo i due pronomi (proclitico ed enclitico) possono cooccorrere ma in cui
sostanzialmente devono farlo, tanto che esiste una serie di proclitici utilizzati solo in
cooccorrenza con gli enclitici (ad esempio il dialetto alto-monregalese di Viola).
70
Bibliografia
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71
Capitolo 8
Osservazioni sulle coniugazioni verbali
Come non ha mancato di sottolineare a più riprese Gasca Queirazza (2002; 2003;
2005) gli Autori delle diverse grammatiche del piemontese a partire almeno da Ponza
(1838) hanno recepito in maniera acritica il modello scolastico elaborato per la lingua
italiana, organizzando di conseguenza in tre coniugazioni l’esposizione degli schemi
di flessione verbale. L’esempio dell’italiano è stato seguito nel Novecento da Aly-
Belfàdel (1933: 177-233), che peraltro si è dimostrato capace di un’autonoma
originalità, e soprattutto da Brero (1967; 1971; 1975; 2008) e Brero/Bertodatti
(2000). L’autorevolezza della grammatica di Brero nelle sue successive edizioni ha
finito per favorire il costituirsi di una vera e propria tradizione prescrittiva per il
piemontese standard. Allo stesso modello “italocentrico” si sono così conformati
Griva (1980), Villata (1997; 2009), Grosso (2000; 2002), Capello et alii (2001), tutti
concordi con Brero nell’individuare tre schemi di flessione verbale riconducibili alle
tre coniugazioni normalmente riconosciute per la lingua italiana. Alla prima
coniugazione italiana in –are corrisponde la prima coniugazione piemontese in –é,
alla seconda (che in italiano ha desinenza –ere, atona o tonica, derivata
rispettivamente dalla seconda e dalla terza coniugazione del latino classico)
appartengono i verbi in –e atono, alla terza (-ire) i verbi in –í.
In realtà, come si desume da una lettura anche affrettata di Brero/Bertodatti (2000), il
sistema flessivo dei verbi piemontesi appare piuttosto refrattario a una simile
classificazione: essa infatti costringe i grammatici a inserire lunghi paragrafi dedicati
alle particolarità e alle irregolarità flessive (Brero/Bertodatti 2000: 106-116).
Recependo le indicazioni di Gasca Queirazza (2005) si può quindi tentare di
impostare una diversa presentazione dell’argomento, tenendo presenti anche i dati
che sono stati messi in rilievo per alcune varietà periferiche di piemontese “border
line” particolarmente interessanti come il cairese (Parry 2005: 183-188) e il kje
(Miola 2013: 143-152).
Sulla reale esistenza di un paradigma flessivo classificabile come “prima
coniugazione” non pare possibile nutrire alcun dubbio: la coniugazione vivente, in
piemontese, è quella dei verbi con l’infinito in –é (<-ARE): parlé, parlare; balé,
ballare; canté, cantare; subié, fischiare, ecc, il cui modello flessionale è caratterizzato
in tutte le varietà dalla ricorrenza della vocale tematica [a]. Essa contraddistingue in
particolare la terza persona singolare dell’indicativo presente (chiel a parla), l’intera
coniugazione dell’indicativo imperfetto (mi i parlava, ti it parlave, ecc.), la prima e la
terza singolare del congiuntivo presente (che mi i parla, che chiel a parla), la seconda
singolare dell’imperativo presente (parla!) e il gerundio (an parland). Si tratta di uno
schema flessionale estremamente produttivo, che in alcune varietà possiede una certa
capacità di modellare le altre coniugazioni: si pensi al dialetto di Mondovì, che
estende la desinenza –a a tutte le terze singolari degli indicativi presenti,
indipendentemente dalla coniugazione di appartenenza. Nella koinè, rispetto ad altre
varietà, si osservano alcuni fenomeni di un certo interesse quali la conservazione (o,
72
più probabilmente, il ripristino) della desinenza di prima persona singolare –o [u]
caduta nelle varietà langarole e monferrine (Parry 2005: 186) ma attestata a Torino
almeno dal Seicento (Clivio 1974) in continuità con le condizioni dell’area
galloromanza (Miola 2013: 149). All’area galloromanza sembrerebbero ricondurre
anche altri fenomeni quali la conservazione del morfema desinenziale sigmatico per
la seconda persona singolare (-es), che tuttavia nella koinè (come peraltro in
numerose varietà periferiche, Miola 2013: 150 n. 5) si mantiene solo nelle forme
monosillabiche dei verbi irregolari (ti it sas, ti it l’has, ti it vas – ma quest’ultima in
concorrenza con it vade -, ti it fas – in concorrenza con it fase) mentre nelle forme
polisillabiche di tutti i verbi si riduce ad –e. Su questa desinenza sigmatica è tuttavia
ideologicamente interessante leggere quel che scrive Brero (2008: 68):
I pensoma, però, che i soma ancora an temp a salvé cola bela richëssa verbal che a l’é la seconda
përson-a singolar dël present e dl’impërfet ëd tuti ij meud che a finiss an «es» e che a l’é ancora bin
viva ant j’anviron ëd Salusse e a Salusse sità2. Esempi: se ti it ven-es con noi, it manges, it bèives e it
paghes gnente (Se vieni con noi, mangi, bevi e non paghi nulla). Anvece ’d dëspresié coj che a la
dòvro, sercoma d’adotela anche noi! A l’é na galuparìa!
Tali caratteristiche, peraltro, non sono esclusive della prima coniugazione ma si
estendono alle altre classi flessive del piemontese, sul cui numero tuttavia le opinioni
degli studiosi sono abbastanza divergenti. Per la varietà marginale del kje, che
peraltro rispecchia con una certa fedeltà il lontano modello della koinè, Miola (2013:
143-148) propone due sole classi verbali:
i. la prima, il cui infinito in kje è in –ò ([ɒ ], [ɔ]) come peraltro si verifica in
numerose varietà monferrine (Telmon 2001: 73) ma anche nei dialetti alto-
piemontesi dell’area sud-occidentale (Boves, Chiusa Pesio, Peveragno): parlò,
cantò, balò ecc. (parlé, canté, balé ecc.);
ii. la seconda, che comprende diverse sottoclassi
a. i verbi in –IRE (> -í) partí, partire
b. i verbi in –IRE (> -í) con aumento –ISC- (-sc-) fní (finí), finire
c. i verbi in –ERE (>-aj) pogaj (podèj), potere
d. verbi in consonante –ERE (>∅) vegh (vëdde), vedere.
La proposta di raggruppare il sistema verbale in due sole macro-classi, la prima delle
quali corrispondente alla prima coniugazione tradizionale, non è peraltro una novità
nell’ambito degli studi morfologici. Essa è stata avanzata a più riprese anche per
l’italiano (Dressler et alii 2003: 407; Thornton 2005: 131 e n. 11) sulla base di
un’osservazione facilmente verificabile: «il fatto che la desinenza di terza persona
singolare sia uguale in verbi tradizionalmente considerati della II coniugazione e
verbi tradizionalmente considerati della III è una delle prove in favore di questa
classificazione alternativa delle classi di flessione del verbo italiano, che raggruppa
queste due coniugazioni in una sola macroclasse» (Thornton 2005: 131). A una simile
bipartizione si conforma Parry (2005: 183) che per il cairese individua appunto due
macroclassi di coniugazione verbale: la prima comprende tutti i verbi con l’infinito in
2 Un’altra area interessata alla conservazione di –s si riscontra nella zona di Lanzo Torinese (Telmon 2001: 70)
73
–è (mandè), mentre nella seconda rientrano i verbi con l’infinito in –i atono (pèrdi), -í
accentato senza suffisso –isc- (partí), -í accentato con suffisso –isc- (finí), e infine i
verbi con infinito in –èj (pořèj).
Proprio la presenza dei verbi in –èj ha indotto Gasca Queirazza (2005) a proporre una
classificazione più vicina a quella tradizionale latina: il sistema verbale piemontese
verrebbe così ad avere quattro coniugazioni eredi dirette di quelle presenti in latino,
la prima (-é < -ARE), la seconda (-èj < -ĒRE), la terza (-e < -ĔRE), la quarta (-í < -
IRE). In realtà, in koinè come nelle altre varietà ascrivibili all’area piemontese i verbi
della seconda coniugazione in –èj sono molto ridotti di numero (sostanzialmente solo
avèj, avere; dovèj, dovere; piasèj, piacere; podèj, potere; savèj, sapere; valèj valere e
vorèj, volere) ma secondo Gasca «il numero esiguo dei verbi in –èj non può costituire
motivo per negare la specificità di questa flessione e per rifiutare di considerarla
come categoria peculiare» (Gasca Queirazza 2005: 161).
Come ho già rilevato, si conforma alla bipartizione di Parry (2005) la descrizione
delle classi verbali contenuta in Miola (2013: 143-148) in cui le microclassi sono le
stesse della koinè sebbene assumano vesti fonetiche leggermente diverse. Possiamo
quindi usarla come schema.
Nella schematizzazione che seguirà, anche io seguirò il principio enunciato da
Dressler et alii (407) assumendo «solo due macroclassi, al posto della tripartizioni
tradizionali» sebbene questa classificazione bipartita risulti almeno in parte
insoddisfacente per alcune varietà di area alto-monregalese e alto-langarola che
oppongono ad esempio il morfema desinenziale di prima plurale –oma (prima e
seconda coniugazione tradizionali) al morfema –ima (terza coniugazione, cioè verbi
con l’infinito in –ì, cfr Grassi/Sobrero/Telmon 1997: 146-149).
Schema Verbi1
primo gruppo secondo gruppo
Infinito parl-é dov-èj scriv-e surt-ì fin-ì
Indicativo
Presente
1ª sing i parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o
2ª sing it parl-e(s) dev-e(s) scriv-e(s) seurt-e(s) fin-iss-e(s)
3ª sing a parl-a dev Scriv seurt fin-iss
1ª plur i parl-oma dov-oma scriv-oma surt-(i)-oma fin-i-oma
2ª plur i parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e
3ª plur a parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o
Imperfetto
1ª sing i parl-av-a dov-ì-a scriv-ì-a surt-ì-a fin-ì-a
2ª sing it parl-av-e(s) dov-ì-e(s) scriv-ì-e(s) surt-ì-e(s) fin-ì-e(s)
3ª sing a parl-av-a dov-ì-a scriv-ì-a surt-ì-a fin-ì-a
1ª plur i parl-av-o dov-ì-o scriv-ì-o surt-ì-o fin-ì-o
2ª plur i parl-av-e dov-ì-e scriv-ì-e surt-ì-e fin-ì-e
3ª plur a parl-av-o dov-ì-o scriv-ì-o surt-ì-o fin-ì-o
Futuro 1ª sing i parl-ër-ai dov-r-ai scriv-r-ai surt-i-r-ai fin-i-r-ai
2ª sing it parl-ër-as dov-r-as scriv-r-as surt-i-r-as fin-i-r-as
74
3ª sing a parl-ër-à dov-r-à scriv-r-à surt-i-r-à fin-i-r-à
1ª plur i parl-ër-oma dov-r-oma scriv-r-oma surt-i-r-oma fin-i-r-oma
2ª plur i parl-ër-eve dov-r-eve scriv-r-eve surt-i-r-eve fin-i-r-eve
3ª plur a parl-ër-an dov-r-an scriv-r-an surt-i-r-an fin-i-r-an
Congiuntivo
Presente
1ª sing i parl-a dev-a scriv-a seurt-a fin-iss-a
2ª sing it parl-e(s) dev-e(s) scriv-e(s) seurt-e(s) fin-iss-e(s)
3ª sing a parl-a dev-a scriv-a seurt-a fin-iss-a
1ª plur i parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o
2ª plur i parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e
3ª plur a parl-o dev-o scriv-o seurt-o fin-iss-o
Imperfetto
1ª sing i parl-èiss-a dov-èiss-a scriv-èiss-a surt-i-èiss-a fin-i-èiss-a
2ª sing it parl-èiss-e(s) dov-èiss-e(s) scriv-èiss-e(s) surt-i-èiss-e(s) fin-i-èiss-e(s)
3ª sing a parl-èiss-a dov-èiss-a scriv-èiss-a surt-i-èiss-a fin-i-èiss-a
1ª plur i parl-èiss-o dov-èiss-o scriv-èiss-o surt-i-èiss-o fin-i-èiss-o
2ª plur i parl-èiss-e dov-èiss-e scriv-èiss-e surt-i-èiss-e fin-i-èiss-e
3ª plur a parl-èiss-o dov-èiss-o scriv-èiss-o surt-i-èiss-o fin-i-èiss-o
Condizio
Nale Presente
1ª sing i parl-ër-ì-a dov-r-ì-a scriv-r-ì-a surt-i-r-ì-a fin-i-r-ì-a
2ª sing it parl-ër-ì-e(s) dov-r-ì-e(s) scriv-r-ì-e(s) surt-i-r-ì-e(s) fin-i-r-ì-e(s)
3ª sing a parl-ër-ì-a dov-r-ì-a scriv-r-ì-a surt-i-r-ì-a fin-i-r-ì-a
1ª plur i parl-ër-ì-o dov-r-ì-o scriv-r-ì-o surt-i-r-ì-o fin-i-r-ì-o
2ª plur i parl-ër-ì-e dov-r-ì-e scriv-r-ì-e surt-i-r-ì-e fin-i-r-ì-e
3ª plur a parl-ër-ì-o dov-r-ì-o scriv-r-ì-o surt-i-r-ì-o fin-i-r-ì-o
Imperativo
2ª sing parl-a (dev) scriv seurt fin-iss
2ª plur parl-è dov-é scriv-é surt-ì fin-ì
Esortativo 1ª plur parl-oma dov-oma scriv-oma surt-oma fin-i-oma
2ª plur parl-e dev-e scriv-e seurt-e fin-iss-e
Participio Passato parl-à dov-ù scriv-ù seurt-ì fin-ì
Gerundio parl-and dov-end scriv-end surt-i-end fin-i-end
Lo schema si basa su due dati di fatto incontrovertibili: nella koinè, come nella
maggioranza assoluta dei dialetti piemontesi, si ha una netta bipartizione fra i verbi
del primo gruppo flessivo e quelli del secondo; le differenze fra i diversi schemi del
secondo gruppo, invece, appaiono molto meno marcate. Non a caso, si registrano
diversi casi di oscillazione soprattutto fra il secondo e il terzo schema del secondo
gruppo, cioè fra quelle che tradizionalmente vengono considerate la seconda e la
terza coniugazione. È il caso dei cosiddetti verb fosonant (Brero/Bertodatti 2000:
107-109) ossia “verbi sovrabbondanti”, che nelle varietà maggiormente conservative
presentano normalmente l’infinito in –ì ma in koinè hanno più frequentemente una
forma d’infinito in –e:
cheuje / cujì ‘cogliere’
cheurve / curvì ‘coprire’
cuse / cusì ‘cucire’
deurve / durvì ‘aprire’
empe / empì ‘riempire’
meuire /murì ‘morire’
parte / partì ‘partire’
riesse / riussì ‘riuscire’
75
sente / sentì ‘sentire’
serve / servì ‘servire’
seurte / seurtì ‘uscire’
tase / tasì ‘tacere’
ten-e / tnì ‘tenere’
ven-e / vnì ‘venire’
veste / vestì ‘vestire’
76
Il fenomeno, come già messo in rilievo da Telmon (1988: 481), riguarda anche
numerose varietà marginali (Parry 2005: 185) in cui però spesso la vocale d’appoggio
dell’infinito parossitono è –i anziché –e (dreumi, dormire; senti, sentire; meuri,
morire).
Marche di persona e numero
Proviamo ora a ricapitolare alcuni dei dati emersi dalla presentazione degli schemi
flessionali. Le marche di persona e numero del sistema verbale regolare piemontese
possono essere riassunte in tre flessioni fondamentali:
1) indicativo presente
a. prima classe: -o, -e(s), -a, -oma, -e, -o;
b. seconda classe: -o, -e(s), ∅, -oma, -e, -o;
2) indicativo futuro: -ai, -as, -à, -oma, -eve, -an;
3) indicativo imperfetto,
congiuntivo presente,
congiuntivo imperfetto,
condizionale presente: -a, -e(s), -a, -o, -e, -o.
Si tratta, come si vede, di un’articolazione flessionale estremamente semplificata
rispetto sia all’italiano sia a molte delle varietà locali del Piemonte. Profonda è stata,
infatti, l’opera del livellamento analogico che ha portato le marche desinenziali a
ridursi significativamente di numero. Così, nella koinè contemporanea nessuna
persona dei verbi regolari è rappresentata da più di tre desinenze. Anzi, in un certo
senso solo la prima singolare dispone di tre diverse desinenze (-o, -ai, -a) poiché le
due desinenze (-a, -à) della terza singolare potrebbero essere considerate
sostanzialmente equivalenti e dunque anche la terza singolare sarebbe rappresentata
solo da due marche desinenziali, -a e zero, come la seconda singolare (-e(s), -as), la
prima singolare (-oma, -o), la seconda plurale (-e, -eve), la terza plurale (-o, -an).
Tutte le desinenze sono atone, tranne –oma e le marche del futuro, che corrispondono
in toto al presente indicativo del verbo avèj. L’origine della desinenza –oma è
controversa e costituisce uno dei punti nodali di interesse della grammatica storica
del piemontese, sul quale si sono incentrati numerosi studi di cui offre
un’approfondita panoramica Telmon (1988: 473; 477-78) ricordando le varie ipotesi
formulate in proposito. Ad esse va aggiunta la successiva spiegazione di Zörner
(1996) seconda la quale la desinenza –oma è una generalizzazione della desinenza di
prima coniugazione, originariamente solo esortativa (come è ancora oggi nei dialetti
canavesani). La sua origine storica sarebbe da far risalire all’ausiliare omo, ‘abbiamo’
forma ancora presente in alcune varietà molto prossime alle koinè. Del resto è
possibile (come ipotizza Regis 2015) che la desinenza in sé sia di origine
extratorinese. Una trattazione globale delle desinenze verbali in area piemontese sud-
occidentale si trova in Duberti (2012).
77
Alcuni verbi irregolari
Si offrono qui, a titolo di esempio, alcuni esempi di verbi irregolari di altissima
frequenza. A sinistra se ne dà la coniugazione in koinè, mentre a destra si
propongono a titolo di curiosità alcune varianti attestate in varietà alto-piemontesi
(AP), langarole (L), monregalesi (M), canavesane (CV) utilizzate anche per scopi
letterari nel corso del Novecento. Una loro più estesa presentazione si può reperire in
Tosco/Rubat Borel/Bertolino (2006: 91-92; 105-106).
esse
mi i son ……………………………. i sogn (AP, M), e seuj, e sé (M)
ti it ses ……………………………. it sèi (L), it é (M), it ési (M)
chiel, chila a l’é …………………………….chel o l’é, chila a l’é (M)
noiàutri i soma …………………………….i somo (AP)
voiàutri i seve …………………………….i sèi (L, M)
lor a son …………………………….chej i son, chile i son (M)
avèj
mi i l’hai ……………………………. mi j’heu (AP, CV),
ti it l’has ……………………………. it hai (L), it hè (M), it hèsi (M)
chiel, chila a l’ha ……………………………. chel o l’ha, chila a l’ha (M)
noiàutri i l’oma ……………………………. i l’omo (AP)
voiàutri i l’eve ……………………………. j’èi (L, M)
lor a l’han ……………………………. chej j’han, chile j’han (M)
andé
mi i vad(o) ……………………………. i von, i vogn (AP, M), e vagh (L,M)
ti it vas (vade) ……………………………. it vai (L), it vè (M), it vèsi (M)
chiel, chila a va ……………………………. chel o va, chila a va (M)
noiàutri i andoma ……………………………. i vama (AP), i anmà (M)
voiàutri i andeve ……………………………. i vèi (L, M),
lor a van ……………………………. chej i van, chile i van (M)
dé
mi i dago, dagh ……………………………. i don, i dogn (AP, M)
ti it das ……………………………. it dai (L), it dè (M), it dèsi (M)
chiel, chila a dà ……………………………. chel o dà, chila a dà (M)
noiàutri i doma ……………………………. i domo (AP),
voiàutri i deve ……………………………. i dèi (L, M),
lor a dan ……………………………. chej i dan, chile i dan (M)
78
fé
mi i faso, fass ……………………………. i fon, i fogn (AP)
ti it fas(e) ……………………………. it fai (L), it fè (M), it fèsi(M)
chiel, chila a fà ……………………………. chel o fa, chila a fa (M)
noiàutri i foma …………………………….
voiàutri i feve ……………………………. i fèi (L, M)
lor a fan ……………………………. chej i fan, chile i fan (M)
sté
mi i stagh (stago) ……………………………. i ston, i stogn (AP, M), j’ësto (AP, M)
ti it ëstas ……………………………. it ëstai (L), it ëstè (M), it ëstèsi (M)
chiel, chila a stà ……………………………. chel o stà, chila a stà (M)
noiàutri i stoma …………………………….
voiàutri i steve ……………………………. i stèi (L, M)
lor a stan ……………………………. chej i stan, chile i stan (M)
dovèj
mi i devo ……………………………. i dev (L, M)
ti it deve(s) ……………………………. it devi (L, M, CV)
chiel, chila a dev ……………………………. chel o deva, chila a deva (M)
noiàutri i dovoma ……………………………. i dvoma (AP), i devmà (M)
voiàutri i deve ……………………………. i devi (M)
lor a devo ……………………………. chej i devo, chile i devo (M)
podèj
mi i peuss …………………………….
ti it peule ……………………………. it peuři (L, M), it peus (AP)
chiel, chila a peul ……………………………. chel o peu, chila a peu (M)
noiàutri i podoma ……………………………. i poma (M), i podomo (AP)
voiàutri i peule ……………………………. i peuři (L, M)
lor a peulo ……………………………. chej i peuřo, chile i peuřo (M)
savèj
mi i sai ……………………………. i seu (AP, L, M),
ti it sas ……………………………. it sai (L), it sè (M), it sèsi (M)
chiel, chila a sa ……………………………. chel o sa, chila a sa (M)
noiàutri i soma …………………………….
79
voiàutri i seve ……………………………. i sèi (L, M)
lor a san ……………………………. chej i san, chile i san (M)
volèj / vorèj
mi i veuj …………………………….
ti it veule ……………………………. it veuři (L, M),it veus (AP)
chiel, chila a veul ……………………………. chel o veu, chila a veu (M)
noiàutri i voloma ……………………………. i voma (AP, M),
voiàutri i veule ……………………………. i veuři (L, M)
lor a veulo ……………………………. chej i veuřo, chile i veuřo (M)
80
Allomorfia tematica nei verbi irregolari tabella Verbi 2: schema della flessione degli ausiliari
Infinito esse Avèj
Indicativo
Presente
1ª sing i s-on i l'hai
2ª sing it s-es it l'ha-s
3ª sing a l'è a l'ha
1ª plur i s-oma i l'oma
2ª plur i s-eve i l'eve
3ª plur a s-on a l'ha-n
Imperfetto
1ª sing i j'er-a i l'av-ì-a
2ª sing it j'er-e(s) it l'av-ì-e(s)
3ª sing a l'er-a a l'av-ì-a
1ª plur i j'er-o i l'av-ì-o
2ª plur i j'er-e i l'av-ì-e
3ª plur a j'er-o a l'av-ì-o
Futuro
1ª sing i sa-r-ai i l'av-r-ai
2ª sing it sa-r-as it l'av-r-as
3ª sing a sa-r-à a l'av-r-à
1ª plur i sa-r-oma i l'av-r-oma
2ª plur i sa-r-eve i l'av-r-eve
3ª plur a sa-r-an a l'av-r-an
Congiuntivo
Presente
1ª sing i si-a i l'àbi-a
2ª sing it si-e(s) it l'àbi-e(s)
3ª sing a si-a a l'àbi-a
1ª plur i si-o i l'àbi-o
2ª plur i si-e i l'àbi-e
3ª plur a si-o a l'àbi-o
Imperfetto
1ª sing i fu-ss-a i l'av-èiss-a
2ª sing it fu-ss-e(s) it l'av-èiss-e(s)
3ª sing a fu-ss-a a l'av-èiss-a
1ª plur i fu-ss-o i l'av-èiss-o
2ª plur i fu-ss-e i l'av-èiss-e
3ª plur a fu-ss-o a l'av-èiss-o
Condizionale Presente
1ª sing i sa-r-ì-a i l'av-r-ì-a
2ª sing it sa-r-ì-e(s) it l'av-r-ì-e(s)
3ª sing a sa-r-ì-a a l'av-r-ì-a
1ª plur i sa-r-ì-o i l'av-r-ì-o
2ª plur i sa-r-ì-e i l'av-r-ì-e
3ª plur a sa-r-ì-o a l'av-r-ì-o
Imperativo 2ª sing si-e / ess-e àbi-e
2ª plur si-e / ess-e àbi-e
Esortativo 1ª plur s-oma av-oma
81
2ª plur si-e av-ej-e
Participio Passato st-àit av-ù
Gerundio ess-end av-end
tabella Verbi 3: schema della flessione irregolare nella prima classe
Infinito andé dé Fé sté
Indicativo
Presente
1ª sing i vad-o i d-ag-o i f-as-o i st-ag-o
2ª sing it va-s it da-s it fa-s it ë-sta-s
3ª sing a va a da a fa a sta
1ª plur i and-oma i d-oma i f-oma i st-oma
2ª plur i and-eve i d-eve i f-eve i st-eve
3ª plur a va-n a da-n a fa-n a sta-n
Imperfetto
1ª sing i and-as-ì-a i d-as-ì-a i f-as-ì-a i st-as-ì-a
2ª sing it and-as-ì-e(s) it da-s-ì-e(s) it f-as-ì-e(s) it ë-sta-s-ì-e(s)
3ª sing a l'and-as-ì-a a d-as-ì-a a f-as-ì-a a st-as-ì-a
1ª plur i and-as-ì-o i d-as-ì-o i f-as-ì-o i st-as-ì-o
2ª plur i and-as-ì-e i d-as-ì-e i f-as-ì-e i st-as-ì-e
3ª plur a l'and-as-ì-o a d-as-ì-o a f-as-ì-o a st-as-ì-o
Futuro
1ª sing i and-ar-ai i d-ar-ai i f-ar-ai i st-ar-ai
2ª sing it and-ar-as it d-ar-as it f-ar-as it ë-st-ar-as
3ª sing a l'and-ar-à a d-ar-à a f-ar-à a st-ar-à
1ª plur i l'and-ar-oma i d-ar-oma i f-ar-oma i st-ar-oma
2ª plur i l'and-ar-eve i d-ar-eve i f-ar-eve i st-ar-eve
3ª plur a l'and-ar-an a d-ar-an a f-ar-an a st-ar-an
Congiuntivo
Presente
1ª sing i vad-a i dag-a i fas-a i stag-a
2ª sing it vad-e(s) it dagh-e(s) it fas-e(s) it ë-stagh-e(s)
3ª sing a vad-a a dag-a a fas-a a stag-a
1ª plur a vad-o i dag-o i fas-o i stag-o
2ª plur i vad-e i dagh-e i fas-e i stagh-e
3ª plur a vad-o a dag-o a fas-o a stag-o
Imperfetto
1ª sing i and-èiss-a i d-èiss-a i f-èiss-a i st-èiss-a
2ª sing it and-èiss-e(s) it d-èiss-e(s) it f-èiss-e(s) it ë-st-èiss-e(s)
3ª sing a l'and-èiss-a a d-èiss-a a f-èiss-a a st-èiss-a
1ª plur i l'and-èiss-o i d-èiss-o i f-èiss-o i st-èiss-o
2ª plur i l'and-èiss-e i d-èiss-e i f-èiss-e i st-èiss-e
3ª plur a l'and-èiss-o a d-èiss-o a f-èiss-o a st-èiss-o
Condizionale Presente
1ª sing i and-ar-ì-a i d-ar-ì-a i f-ar-ì-a i st-ar-ì-a
2ª sing it and-ar-ì-e(s) it d-ar-ì-e(s) it f-ar-ì-e(s) it ë-st-ar-ì-e(s)
3ª sing a l'and-ar-ì-a a d-ar-ì-a a f-ar-ì-a a st-ar-ì-a
1ª plur i l'and-ar-ì-o i d-ar-ì-o i f-ar-ì-o i st-ar-ì-o
2ª plur i l'and-ar-ì-e i d-ar-ì-e i f-ar-ì-e i st-ar-ì-e
3ª plur a l'and-ar-ì-o a d-ar-ì-o a f-ar-ì-o a st-ar-ì-o
Imperativo 2ª sing va da fa sta
82
2ª plur andé dé Fé sté
Esortativo 1ª plur andoma doma Foma stoma
2ª plur vade daghe Fase staghe
Participio Passato and-àit dàit fàit stàit
Gerundio and-as-end d-as-end f-as-end st-as-end
tabella Verbi 4: schema della flessione irregolare nella seconda classe
Infinito dovèj podèj savèj volèj vorèj dì
Indicati
vo
Presente
1ª
sing i dev-o i deuv-o i peul-o i peuss i peud-o i s-ai i veul-o i veuj i dis-o i dij-o
2ª
sing it dev-e(s) it deuv-e(s)
it peul-
e(s) it peu-s it peud-e(s) it s-as it veul-e(s) it veu-s it dis-e(s) it dij-e(s)
3ª
sing a dev a deuv a peul a peud a s-à a veul a dis
1ª
plur i dov-oma i duv-oma i pod-oma i pud-oma i s-oma i vol-oma i vur-oma i dis-oma i dij-oma
2ª
plur i dev-e i deuv-e i peul-e i peud-e i s-eve i veul-e i dis-e i dij-e
3ª
plur a dev-o a deuv-o a peul-o a peud-o a s-an a veul-o i dis-o a dij-o
Imperfetto
1ª
sing i dov-ì-a i duv-ì-a i pud-ì-a i sav-ì-a i vol-ì-a i dis-ì-a
2ª
sing it dov-ì-e(s) it duv-ì-e(s) it pud-ì-e(s) it sav-ì-e(s) it vol-ì-e(s) it dis-ì-e(s)
3ª
sing a dov-ì-a a duv-ì-a a pud-ì-a a sav-ì-a a vol-ì-a a dis-ì-a
1ª
plur i dov-ì-o i duv-ì-o i pud-ì-o i sav-ì-o i vol-ì-o i dis-ì-o
2ª
plur i dov-ì-e i duv-ì-e i pud-ì-e i sav-ì-e i vol-ì-e i dis-ì-e
3ª
plur a dov-ì-o a duv-ì-o a pud-ì-o a sav-ì-o a vol-ì-o a dis-ì-o
Futuro
1ª
sing i dov-r-ai i duv-r-ai i pod-r-ai i pud-r-ai i sav-r-ai i vo-r-ai i di-r-ai
2ª
sing it vo-r-as it duv-r-as it pod-r-as it pud-r-as it sav-r-as it vo-r-as it di-r-as
3ª
sing a vo-r-à a duv-r-à a pod-r-à a pud-r-à a sav-r-à a vo-r-à a di-r-à
1ª
plur i vo-r-oma i duv-r-oma i pod-r-oma i pud-r-oma i sav-r-oma i vo-r-oma i di-r-oma
2ª
plur i vo-r-eve i duv-r-eve i pod-r-eve i pud-r-eve i sav-r-eve i vo-r-eve i di-r-eve
3ª
plur a vo-r-an a duv-r-an a pod-r-an a pud-r-an a sav-r-an a vo-r-an a di-r-an
Congiun
tivo
Presente
1ª
sing i dev-a i deub-i-a i peuss-a i sap-i-a i veub-i-a i veuj-a i dis-a i dij-a
2ª
sing it dev-e(s)
it deub-i-
e(s)
it peuss-
e(s) it sap-i-e(s)
it veub-i-
e(s) it veuj-e(s) it dis-e(s) it dij-e(s)
3ª
sing a dev-a a deub-i-a a peuss-a a sap-i-a a veub-i-a a veuj-a a dis-a a dij-a
1ª
plur i dev-o i deub-i-o i peuss-o i sap-i-o i veub-i-o i veuj-o i dis-o i dij-o
2ª
plur i dev-e i deub-i-e i peuss-e i sap-i-e i veub-i-e i veuj-e i dis-e i dij-e
3ª
plur a dev-o a deub-i-o a peuss-o a sap-i-o a veub-i-o a veuj-o a dis-o a dij-o
Imperfetto
1ª
sing i dov-èiss-a i duv-èiss-a i pod-èiss-a i pud-èiss-a i sav-èiss-a i vol-èiss-a i vor-èiss-a i dis-èiss-a i dij-èiss-a
2ª
sing
it dov-èiss-
e(s)
it duv-èiss-
e(s)
it pod-èiss-
e(s)
it pud-èiss-
e(s)
it sav-èiss-
e(s)
it vol-èiss-
e(s)
it vor-èiss-
e(s)
it dis-èiss-
e(s)
it dij-èiss-
e(s)
3ª
sing a dov-èiss-a a duv-èiss-a a pod-èiss-a a pud-èiss-a a sav-èiss-a a vol-èiss-a a vor-èiss-a a dis-èiss-a a dij-èiss-a
1ª
plur i dov-èiss-o i duv-èiss-o i pod-èiss-o i pud-èiss-o i sav-èiss-o i vol-èiss-o i vor-èiss-o i dis-èiss-o i dij-èiss-o
2ª
plur i dov-èiss-e i duv-èiss-e i pod-èiss-e i pud-èiss-e i sav-èiss-e i vol-èiss-e i vor-èiss-e i dis-èiss-e i dij-èiss-e
3ª
plur a dov-èiss-o a duv-èiss-o
a pod-èiss-
o a pud-èiss-o a sav-èiss-o a vol-èiss-o a vor-èiss-o a dis-èiss-o a dij-èiss-o
Condizi
onale Presente
1ª
sing i dov-r-ì-a i duv-r-ì-a i pod-r-ì-a i pud-r-ì-a i sav-r-ì-a i vo-r-ì-a i di-r-ì-a
2ª
sing
it dov-r-ì-
e(s)
it duv-r-ì-
e(s)
it pod-r-ì-
e(s)
it pud-r-ì-
e(s)
it sav-r-ì-
e(s)
it vo-r-ì-
e(s)
it di-r-ì-
e(s)
83
3ª
sing a dov-r-ì-a a duv-r-ì-a a pod-r-ì-a a pud-r-ì-a a sav-r-ì-a a vo-r-ì-a a di-r-ì-a
1ª
plur i dov-r-ì-o i duv-r-ì-o i pod-r-ì-o i pud-r-ì-o i sav-r-ì-o i vo-r-ì-o i di-r-ì-o
2ª
plur i dov-r-ì-e i duv-r-ì-e i pod-r-ì-e i pud-r-ì-e i sav-r-ì-e i vo-r-ì-e i di-r-ì-e
3ª
plur a dov-r-ì-o a duv-r-ì-o a pod-r-ì-o a pud-r-ì-o a sav-r-ì-o a vo-r-ì-o a di-r-ì-o
Imperati
vo
2ª
sing sap-i-e Veuje Dis
2ª
plur sav-èj Vorèj Dì
Esortati
vo
1ª
plur sav-oma Veujo dis-oma dij-oma
2ª
plur sap-i-e Veuje dis-e dij-e
Participi
o Passato dov-ù pod-ù sav-ù vol-ù vor-su Dit
Gerundi
o dov-end pod-end sav-end vol-end dis-end
Sulla scorta dei dati sintetizzati nelle tabelle 2, 3 e 4, è possibile presentare qualche
generalizzazione circa la partizione nei paradigmi verbali. Con il termine partizione si
intende «una suddivisione in raggruppamenti di celle intermedi fra le singole celle e il
paradigma intero. Certe celle […] sono accomunate dal fatto che nelle forme in esse
contenute il lessema è rappresentato da una stringa di fonemi diversa da quella usata
in altri gruppi di celle» (Thornton 2005: 121). Ciascuna delle diverse stringhe di
fonemi che possono rappresentare un verbo nelle singole classi di partizione del suo
paradigma si può chiamare base (Thornton 2005: 125).
In italiano, ad esempio, un verbo come udire ha una base od- che al presente
indicativo e congiuntivo compare nelle tre persone del singolare e nella terza plurale
(odo, odi, ode; odono) mentre le prime due persone del plurale si formano sulla base
ud- (udiamo, udite) che è poi la stessa dell’infinito. La distribuzione delle basi
riscontrata per un verbo come udire non è casuale (Thornton 2005: 123): in italiano,
molti verbi presentano una simile distribuzione che contrappone la base del singolare
+ terza plurale alla base di prima e seconda plurale. Si pensi a un verbo come sedere:
siedo, siedi, siede e siedono, da un lato (Base 2), sediamo e sedete dall’altro (Base 1).
Una contrapposizione che appare ovviamente spiegabile con ragioni di fonetica
storica (la presenza del cosiddetto dittongo mobile, cfr Serianni 1989: 22-23) ma non
è più legata a una regola universalmente valida in sincronia e pertanto va osservata
con altri strumenti concettuali. La distribuzione del tipo individuato per il verbo
italiano udire viene solitamente chiamata “distribuzione N” (Maiden 2009: 51-52) ed
è particolarmente ricorrente nel panorama delle lingue romanze, comprese numerose
varietà riconducibili al modello piemontese (Miola 2013: 162).
Tabella Verbi 5 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente odo odi ode udiamo udite odono
congiuntivo presente oda oda oda udiamo udiate odano
Oltre alla “distribuzione N” la nomenclatura creata da Maiden prevede anche una
“distribuzione L” in cui la base della prima singolare dell’indicativo prevede una
84
consonante finale distintiva che si ritrova in tutte le persone del congiuntivo (Base 2),
come nel portoghese dizer (la cui Base 1 ha invece una fricativa [z])
Tabella Verbi 6 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente digo dizes diz dizemos dizeis dizem
congiuntivo presente diga digas diga digamos digais digam
in una situazione esattamente sovrapponibile a quella di alcune varietà piemontesi
marginali, come il dialetto alto-monregalese di Viola (CN) dove a una Base 1 [diʒ] si
affianca una Base 2 [dig]
Tabella Verbi 7 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente e digh ti dis(i) o dis e disiòma e disi e dìsõ
congiuntivo presente e diga ti dighi o diga e dìgmõ e dighi e dìgõ
Quando la base con consonante distintiva occupa anche la cella della terza persona
plurale si ha invece lo schema che Maiden (2009: 47) chiama “U pattern”, ossia
“distribuzione U”. Si tratta di una semplice variante dello schema di distribuzione L,
molto diffusa peraltro in italiano dove è sufficiente pensare a verbi come crescere
(Base 1 [kreʃ:], Base 2 [kresk])
Tabella Verbi 8 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente cresco cresci cresce cresciamo crescete crescono
congiuntivo presente cresca cresca cresca cresciamo cresciate crescano
in cui – come si vede – il pattern ha ricevuto un’ulteriore evoluzione poiché, al di
fuori dell’area iberoromanza e della Sardegna, gli altri territori della Romània hanno
conosciuto una generale tendenza ad eliminare la discrepanza fra la distribuzione a U
e la distribuzione a N nella prima e nella seconda persona del plurale.
Fatte queste premesse di carattere generale, vediamo ora quali tipi di distribuzioni
presentino i paradigmi dei verbi piemontesi presentati nelle tabelle 2, 3 e 4.
Intanto, come si vede chiaramente dallo schema delle coniugazioni, le forme
rizotoniche (ossia accentate sulla radice verbale) sono assai più numerose che in
italiano e in altre lingue romanze, poiché comprendono l’intero congiuntivo e tutto
l’indicativo, eccezion fatta per la prima persona plurale. Anche le partizioni legate
alla posizione dell’accento, dunque, come la “distribuzione N”, presenteranno un
aspetto diverso. Esse sono, comunque, abbastanza rilevanti come si può vedere dalle
seguenti opposizioni tra Base 1 (arizotonica) e Base 2 (rizotonica):
1) soné, suonare. Base 1 son- [suŋ], Base 2 son [sun]
Tabella Verbi 9 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente son-o son-e(s) son-a sonoma son-e son-o
85
congiuntivo presente son-a son-e(s) son-a son-o son-e son-o
2) porté, portare. Base 1 port [purt], Base 2 pòrt [pɔrt]
Tabella Verbi 10 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente pòrto pòrte(s) pòrta portoma pòrte pòrto
congiuntivo presente pòrta pòrte(s) pòrta pòrto pòrte pòrto
3) prové, provare. Base 1 prov [pruv], Base 2 preuv [prøv]
Tabella Verbi 11 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente preuvo preuve(s) preuva provoma preuve preuvo
congiuntivo presente preuva preuve(s) preuva preuvo preuve preuvo
4) durmì, dormire. Base 1 durm [dyrm], Base 2 deurm [dørm]
Tabella Verbi 12 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente deurmo deurme(s) deurm durmoma deurme deurmo
congiuntivo presente deurma deurme(s) deurma deurmo deurme deurmo
5) plé, pelare. Base 1 pl [pl], Base 2 pel [pel]
Tabella Verbi 13 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente pelo pele(s) pela ploma pele pelo
congiuntivo presente pela pele(s) pela pelo pele pelo
6) pentné, pettinare. Base 1 pentn [pentn], Base 2 pentèn- [penˈtɛŋ]
Tabella Verbi 14 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente pentèn-o pentèn-e(s) pentèn-a pentnoma pentèn-e pentèn-o
congiuntivo presente pentèn-a pentèn-e(s) pentèn-a pentèn-o pentèn-e pentèn-o
7) sëmné, seminare. Base 1 sëmn [səmn], Base 2 smèn- [smɛŋ]
Tabella Verbi 15 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente smèn-o smèn-e(s) smèn-a sëmnoma smèn-e smèn-o
congiuntivo presente smèn-a smèn-e(s) smèn-a smèn-o smèn-e smèn-o
Tutti gli esempi sono tratti da Ricca (2007), che sottolinea come 6) e 7) costituiscano
la somma dei precedenti 1-5). Gli esempi 1) e 2) potrebbero non costituire un vero
esempio di partizione paradigmatica, in quanto l’alternanza fra le due Basi è legata a
regole fonologiche attive ancora operanti a livello generale, in forza delle quali in
posizione pretonica [ŋ] > [n] (spin-a, spina > spinos, spinoso) e [ɔ] > [u] (pòrta, porta
86
> porton, portone). Gli esempi 3) e 4) invece si possono considerare veri e propri casi
di partizione paradigmatica del tipo N, dal momento che la riduzione di [ø] in
posizione pretonica è obbligatoria, ma non è prevedibile da nessuna regola fonologica
attualmente operante l’esito finale di questa riduzione, che può manifestarsi come [ø]
> [u] ovvero come [ø] > [y]. L’alternanza 5), che Ricca (2007) considera sicuramente
come una manifestazione di partizione paradigmatica, forse potrebbe essere
ricondotta anch’essa a regole fonologiche di riduzione della [e] pretonica come in pel,
pelle > plassa, pellaccia; vel, vello > vlù, velluto, trovandosi in una situazione
abbastanza simile a quella degli esempi 1) e 2). Per la verità, però, in torinese è ormai
ammessa la presenza di una [e] protonica in parole come [pe'nɛl], [te'nɛnt] e in
generale nei prestiti dall’italiano, sicché è legittimo sostenere – come sostiene Ricca
(2007) che ormai la partizione non è più dettata da leggi fonetiche universalmente
applicabili a tutti i contesti ed ha, pertanto, valore morfologicamente rilevante.
La situazione è molto diversa in varietà marginali che, probabilmente, conservano
quella che era la situazione del torinese stesso nei secoli scorsi. Ad esempio, nel
dialetto alto-monregalese di Viola (alta val Mongia) dove le regole di riduzione [ɔ],
[o] > [u], [ø] > [y] (ma anche [ø] > [u]), [ɑ] > [a], [a] > [ə], [ɛ] > zero sono
universalmente operanti e sostanzialmente si collocano tutte sullo stesso piano, senza
distinzioni fra i diversi gruppi di verbi.
Si osservino i seguenti casi di partizione:
a) caté [ka'te] “comprare”
mi e cät [mi e kɑt]
ti ti cät(i)[ti ti 'kɑt(i)]
chial o cäta [kjal u 'kɑta], chëlla a cäta ['kəl:a a 'kɑta]
gnòci e catòmma ['ɲɔʧi e ka'tɔm:a]
vojòci e catevi [vu'jɔʧi e ka'tevi]
chièn e cäton [kjɛŋ e 'kɑtoŋ], chëlle e cäton ['kəl:e e 'kɑtoŋ],
b) pard [pard] “perdere”
mi e pard [mi e pard]
ti ti pard(i)[ti ti 'pard(i)]
chial o pard [kjal u pard], chëlla a pard ['kəl:a a pard]
gnòci e përdòmma ['ɲɔʧi e pər'dɔm:a]
vojòci e pardi [vu'jɔʧi e 'pardi]
chièn e pàrdon [kjɛŋ e 'pardoŋ], chëlle e pàrdon ['kəl:e e 'pardoŋ]
c) bzé [bdze] “pesare”
mi e pès [mi e pɛz]
ti ti pès(i) [ti ti 'pɛz(i)]
chial o pèsa [kjal u 'pɛza], chëlla a pèsa ['kəl:a a 'pɛza]
gnòci e bzòmma ['ɲɔʧi e 'bdzɔm:a]
vojòci e bzevi [vu'jɔʧi e 'bdzevi]
87
chièn e pèson [kjɛŋ e 'pɛzoŋ], chëlle e pèson ['kəl:e e 'pɛzoŋ]
In questa varietà quindi sarebbe impossibile avere forme come [pe'nel], e da ['pɛna]
‘pena’ si ha proprio [pne] ‘penare’. La partizione del tipo c) è peraltro presente anche
nella koinè, dove si presenta però come alternanza fra la Base 1 [pez] e la Base 2
[pɛjz]
Tabella Verbi 16 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente pèis-o pèis-e(s) pèis-a pes-oma pèis-e pèis-o
congiuntivo presente pèis-a pèis-e(s) pèis-a pèis-o pèis-e pèis-o
Nella varietà di Viola esiste un’ulteriore alternanza, [y] / [w] come in zoé [dzwe],
giocare
mi e zuj [mi e dzyj]
ti ti zuj [ti ti dzyj]
chial o zùa [kjal u 'dzya], chëlla a zùa ['kəl:a a 'dzya]
gnòci e zuòmma ['ɲɔʧi e 'dzwɔm:a]
vojòci e zuévi [vu'jɔʧi e 'dzwevi]
chièn e zùon[kjɛŋ e 'dzyoŋ], chëlle a zùon ['kəl:e e 'dzyoŋ]
che risulta invece del tutto ignota alla koinè.
Altre varietà dialettali, più vicine alla koinè sia dal punto di vista fonologico sia dal
punto di vista lessicale, hanno invece sul piano morfologico un comportamento
profondamente divergente. È il caso del monregalese urbano contemporaneo, in cui le
opposizioni fra le diverse basi sembrano essere del tutto azzerate in quasi tutti i verbi,
con pochissime eccezioni. Si vedano casi come
a) porté [pɔr'te] “portare”
mi i pòrt [mi i pɔrt]
ti it pòrti [ti it 'pɔrti]
chèl o pòrta [kɛl u 'pɔrta], chila a pòrta ['kila a 'pɔrta]
nòi atri i portoma [nɔ'jatɹi i pɔr'tuma]
vòi atri i pòrti [vɔ'jatɹi i 'pɔrti]
chèj i pòrto [kɛj i 'pɔrtu], chile i pòrto ['kile i 'pɔrtu]
b) seurte ['sørte] “uscire”
mi i seurt [mi i sørt]
ti it seurti [ti it 'sørti]
chèl o seurta [kɛl u 'sørta], chila a seurta ['kila a 'sørta]
nòi atri i seurtoma [nɔ'jatɹi i sør'tuma]
vòi atri i seurti [vɔ'jatɹi i 'sørti]
chèj i seurto [kɛj i 'sørtu], chile i seurto ['kile i 'sørtu]
88
c) vède ['vɛde] “vedere”
mi i vèd [mi i vɛd]
ti it vèdi [ti it 'vɛdi]
chèl o vèda [kɛl u 'vɛda], chila a vèda ['kila a 'vɛda]
nòi atri i vedoma [nɔ'jatɹi i vɛ'duma]
vòi atri i vèdi [vɔ'jatɹi i 'vɛdi]
chèj i vèdo [kɛj i 'vɛdu], chile i vèdo ['kile i 'vɛdu]
dove la partizione del tipo N è sostituita da un’unica base tematica valida per tutto il
presente, indicativo e congiuntivo.
Quanto alla partizione di tipo L, in piemontese è ampiamente attestata nei verbi a
tema monosillabico della prima macroclasse:
1) dé, dare. Base 1 d [d] Base 2 dag [dag]
Tabella Verbi 17 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente dago das da doma deve dan
congiuntivo presente daga daghe(s) daga dago daghe dago
2) fé, fare. Base 1 f [f] Base 2 fas [faz]
Tabella Verbi 18 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente faso fas fa foma feve fan
congiuntivo presente fasa fase(s) fasa faso fase faso
3) sté, stare. Base 1 st [st] Base 2 stag [stag]
Tabella Verbi 19 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente stago stas sta stoma steve stan
congiuntivo presente staga staghe(s) staga stago staghe stago
Nel quarto verbo irregolare della prima macroclasse, andé, essa si intreccia con un
pattern di tipo N originario conservatosi grazie all’alternanza suppletiva (Ricca
2007):
4) andé, andare. Base 1 and [and], Base 2 v [v], Base 3 vad [vad]
Tabella Verbi 20 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente vado vas va andoma andeve van
congiuntivo presente vada vade(s) vada vado vade vado
Per quanto riguarda i verbi della seconda macroclasse, si possono osservare alcuni
altri casi di ibridazione fra una partizione ad L e una partizione a N, che però non si è
89
conservata nella sua forma originaria in quanto (per ragioni ancora non chiare) la
seconda plurale si è conformata alla Base della seconda singolare, o ne ha assunto in
toto le forme:
5) podèj, potere. Base 1 pod [pud], Base 2 peul [pøl], Base 3 peuss [pøs]
Tabella Verbi 21 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente peuss peule(s) peul podoma peule peulo
congiuntivo presente peussa peusse(s) peussa peusso peusse peusso
6) vorèj, volere. Base 1 vor [vur], Base 2 veul [vøl], Base 3 veuj [vøj]
Tabella Verbi 22 1ª sing 2ª sing 3ª sing 1ª plur 2ª plur 3ª plur
indicativo presente veuj veule(s) veul voroma veule veulo
congiuntivo presente veuja veuje(s) veuja veujo veuje veujo
Come evidenziato da Ricca (2007), il piemontese offre esempi interessanti di una
nuova partizione assente in italiano (e in altre varietà italo romanze) con l’inserzione
di una fricativa sonora non etimologica nell’indicativo imperfetto di una serie di verbi
a radice monosillabica. Il trigger di questa nuova partizione è il verbo fé che presenta
come base tematica per l’imperfetto fas [faz] da cui si forma anche il gerundio:
fasìa, fasend
Per effetto attrattivo, questa partizione si estende anche agli altri irregolari della
prima macroclasse (dé: dasìa, dasend; sté: stasìa, stasando; andé: andasìa,
andasend).
Qualcosa di analogo si verifica a partire dal verbo dì, il cui modello
disìa, disend
esercita la propria forza di attrazione morfomica su ven-e/vnì (vnisìa, vnisend) e ten-
e/tnì (tnisìa, tnisend) nei quali ovviamente la –s– non ha alcuna motivazione
etimologica.
90
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92
Capitolo 9
La frase negativa in piemontese
La sintassi della frase negativa in piemontese offre un classico esempio di “ciclo di
Jespersen” portato interamente a compimento. Teorizzato dal linguista danese quasi
cent’anni fa (Jespersen 1917), il ciclo di Jespersen consiste in un progressivo
indebolimento dei negative markers in posizione preverbale, che porta dapprima a
una duplicazione della marca negativa e infine a una sua finale collocazione
postverbale. Il ciclo, secondo Jespersen, è così concluso e può ricominciare: il
negative marker posverbale tenderà per sua natura a ritornare in posizione preverbale,
dando avvio a una ripetizione del fenomeno di indebolimento. Come è noto, il
prototipo di quest’evoluzione è il francese: mentre infatti molte lingue romanze
(italiano, spagnolo, portoghese e romeno) hanno conservato l’ordine del latino (Neg
preverbale: non video), il francese ha da molti secoli imboccato un sentiero evolutivo
che lo ha portato dapprima a una negazione discontinua (je ne vois pas) e finalmente
a una negazione totalmente postverbale (nel francese colloquiale si dice je vois pas).
Il piemontese si trova nella medesima situazione del francese, anzi per certi versi
offre mostra un esempio ancora più grammaticalizzato di ciclo di Jesperse, poiché nel
piemontese contemporaneo – e non solo nella koinè, ma nella stragrande
maggioranza delle varietà dialettali – le frasi negative sono rigorosamente di questo
tipo:
a) Mè frel a ven nen a scòla ancheuj
Mio fratello non viene a scuola oggi
b) Mè frel a ven pa a scòla ancheuj!
Mio fratello non viene mica a scuola oggi!
c) Mè frel a l’é nen ëvnùit a scòla ancheuj
Mio fratello non è venuto a scuola oggi
d) Mè frel a l’é pa vnùit a scòla ancheuj!
Mio fratello non è mica venuto a scuola oggi!
Come si vede, negli esempi piemontesi a) e b) il negative marker è in posizione
postverbale, sia che si abbia a che fare con il negatore frasale nen sia che il contesto
richieda il negatore enfatico pa. Quest’ultimo, come si vede dagli esempi,
corrisponde in linea di massima all’italiano (diatopicamente marcato?) “non…mica”,
che offre a sua volta un bell’esempio di negazione discontinua in una lingua che pure,
di norma, viene considerata come lingua a negazione rigorosamente preverbale.
Quanto ai casi registrati alle lettere c) e d), nei tempi composti il piemontese pone la
negazione (nen e pa) dopo il sintagma di accordo, rappresentato dall’ausiliare. In
questo caso l’ausiliare è esse perché ven-e/vnì è un verbo inaccusativo, ma la
93
posizione sintattica sarebbe stata la stessa se avessimo avuto un verbo transitivo (e, g)
o un verbo inergativo (f, h), coniugati però con l’ausiliare avèj:
e) Mè frel a scòla a mangia nen soa marenda
Mio fratello a scuola non mangia la sua merenda
f) Mè frel a scòla a parla nen con ij sò cambrada
Mio fratello a scuola non parla con i suoi compagni
g) Mè frel a scòla a l’ha nen mangià soa marenda
Mio fratello a scuola non ha mangiato la sua merenda
h) Mè frel a scòla a l’ha nen parlà con ij sò cambrada
Mio fratello a scuola non ha parlato con i suoi compagni
Dunque, una sintassi radicalmente diversa da quella dell’italiano e – come già si è
detto – assai più simile a quella del francese. Il percorso diacronico della negazione
piemontese viene analizzato da Berruto (1990: 13) e da Ricca (2009: 5-6) come un
«paramount example of the Jespersen’s cycle» (Ricca 2009: 5).
Nei testi più antichi del piemontese la negazione è sempre preverbale. Così nei
Sermoni Subalpini (fine secolo XII)
II: el hom que pietà non à
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 23)
III: cels qui no volun creire
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 27)
III: mais ne pois abandoner ma terra e me honor
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 28)
X: nos gardem que el ne nos aquist autra fiaa per pecà
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 43)
nei testi chieresi (XIV secolo)
cola tal monea e rassoign no laseray ocuper a gnunna perssona
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 53)
que Dee ne’l vogla
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 54)
alcun, chi ne fos de la dita compagnya
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 56)
sea frem e precis e ne se possa remover
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 60)
nella Sentenza di Rivalta (1446)
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a Noy no he manifesta cosa, no aperex secund nostr consegl he nostr avisament
(Gasca Queirazza/Clivio/Pasero 2003: 79)
La negazione preverbale (nella forma, più rara, non e in quelle più consuete no e ne)
è dunque una costante dei primi testi piemontesi e tale rimane almeno fino al
Cinquecento. La prima attestazione di una negazione postverbale del tutto
coincidente con quella contemporanea risale però abbastanza indietro nel tempo: per
l’esattezza (Ricca 2009: 5) la si ritrova in un testo carmagnolese della fine del
Quattrocento (Clivio 1976: 39-49).
Belli freli chi sei vegnù in questa present matina,
ave fait el vostr debit; queli chi son nent
vegnù, ne poeno pa dir ansì. Tuta volta noi
prierema lo nost signor benent miser Iesu Christ
chi li piasa demeterli in lo cor del fer antender
quel chi li an promis, azò che Christ non sea
scrit in peccà; d’altra part chi n’è stait al
principi de lo officio si voglia dir X pater noster
e X ave Maria; ancora 3 pater noster e 3 ave
Maria per tute le anime che son in purgatorj,
azò che Dio si ne voglia aver misericordia;
ancor 3 pater noster e 3 ave Marie a ciò che
Dio si ne voglia vardè de ogni adversità.
La negazione postverbale al verso 2 è nella forma più antica nent (dal latino
NE+ENTEM; ma per un’altra etimologia si veda il REP s.v. nen) da cui
evidentemente deriva l’attuale negazione nen (che invece secondo il REP deriva
direttamente dal latino NON+EST+NON e non ha mai attraversato la fase nent). Nent
è ancora utilizzato come negazione in diverse varietà periferiche, ad esempio in area
meridionale (le varietà alto-monregalesi conoscono nent [nɛnt], nént [nent], naint
[nai nt]; il kje ha la forma gnent [ɲɛnt]…) e in alcune di esse conserva il doppio
significato di quantificatore negativo (“niente”) e di negazione che è probabilmente
all’origine del ciclo di Jespersen. Nell’esempio quattrocentesco che abbiamo
riportato, in effetti, nent postverbale appare ben lontano dal presentarsi come unica
strategia di negazione: alla riga 3 troviamo infatti una negazione discontinua
ne_V_pa mentre più oltre si ha una (discussa) negazione preverbale del tipo non e
una negazione preverbale del tipo n(e). La coesistenza dei tre tipi di negazione (Neg1
preverbale; Neg2 discontinua; Neg3 postverbale) è ampiamente attestata nei secoli
successivi: tutti e tre si ritrovano infatti nelle canzoni torinesi seicentesche
(pubblicate nel 1663) studiate da Clivio (1974). Ne riportiamo qualche esempio:
1)a n-é pa con noi doe (Clivio 1974: 29) Neg2
2) maravei ch-i-n sea mòrta (Clivio 1974: 29) Neg1
3) e pöi n’fan mai nent (Clivio 1974: 30) Neg1 > Neg2
4) n-elo pa vei Luchina? (Clivio 1974: 30) Neg2
5) ch’i-n fas che galupé (Clivio 1974: 31) Neg1
6) e-n sai se ’l pan sea bon (Clivio 1974: 32) Neg1
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7) a-n vardo pa ’nt andé (Clivio 1974: 34) Neg2
8) chi-n vuol fé come le polaie (Clivio 1974: 35) Neg1
9) e son pöi chigl ch’n fan mai bin (Clivio 1974: 39) Neg1
10) a-i-é nent da dé d’man (Clivio 1974: 41) Neg3
11) ch’s fà pa a i-atr bal (Clivio 1974: 47) Neg3
12) n’isto pa vaire sù la piazza (Clivio 1974: 50) Neg2
13) a-n sà pa scasi ont viresse (Clivio 1974: 50) Neg2
14) e s’a-n basta di fachin (Clivio 1974: 53) Neg1
15) ch-é-lo ch’n-é-lo (Clivio 1974: 54) Neg1
Particolarmente interessanti sono gli esempi riportati ai punti 3) e 10) che
ricostruiscono, sostanzialmente, il percorso di formazione dell’attuale negazione
postverbale nent>nen, passata da un stadio di quantificatore negativo dotato di una
sua autonoma valenza lessicale (con il significato dell’italiano “niente”, con cui
peraltro condivide l’etimo) a uno stadio, successivo, di rafforzatore della polarità
negativa dal quale si è velocemente grammaticalizzato come negatore postverbale di
frase. In alcune varietà marginali del Piemonte meridionale è ancora possibile
cogliere tracce residuali del percorso: nel dialetto di Viola, ad esempio, è possibile
osservarne entrambi gli usi. Infatti confrontando
a) o l’é n’òm ch’o fà nent tut o di [u l e n om k u fɑ nɛnt tyt u di]
è un uomo che non fa niente tutto il giorno
b) s’òm là o venn nent manch adman [s om lɑ u ven nɛnt maŋk adˈmaŋ]
quell’uomo non viene neanche domani
si nota un’evidente differenza fra il ruolo sintattico e lessicale dei due nent, il primo
dei quali assomma in sé il significato originario di quantificatore negativo e di
negazione postverbale, in assenza peraltro di qualsiasi sopravvivenza di quella
negazione discontinua (Neg2) così diffusa nel piemontese cinque e seicentesco e
ancora ampiamente attestata in un dialetto limitrofo come il garessino (in alta val
Tanaro). La negazione discontinua, d’altra parte, è la regola nella maggior parte dei
dialetti della val Bormida (ligure e piemontese) studiati da Parry (1997).
96
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