brevi appunti di storia ferroviaria ligure

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0 La Metropolitana a Genova per una mobilità sostenibile Tappe fondamentali e immagini di allora - a cura di Davide Vallese Appunti di Storia ferroviaria ligure Municipio VIII Medio Levante Comune di Genova Immagine di sfondo per gentile concessione di Fondazione Ansaldo Evento realizzato con il Patrocinio e la partecipazione finanziaria di Comune di Genova - Municipio VIII Medio Levante

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Municipio VIII Medio Levante

Comune di Genova

Immagine di sfondo per gentile concessione di Fondazione Ansaldo Evento realizzato con il Patrocinio e la partecipazione finanziaria di Comune di Genova - Municipio VIII Medio Levante

Associazione Metrogenova www.metrogenova.com [email protected]

Sede: via Aurora 8r Genova Boccadasse Sede Legale: Via Orsini 1b/5 Genova

Davide Vallese [email protected] Twitter: @lordtiranus165

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Indice Introduzione III

PARTE I • La ferrovia costiera 1 • Le linee portuali genovesi 11

PARTE II • La ferrovia verso la Pianura (Torino) 17 • La ferrovia verso la Pianura (Milano) 25 • La ferrovia verso l’Ovadese 29

PARTE III Il sogno della ferrovia sul Trebbia 39

Bibliografia essenziale 43 Siti internet consultati 43

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Introduzione

All’interno della mostra che io e la mia Associazione abbiamo allestito, e che potete vedere intorno a voi nella splendida cornice naturale di Boccadasse, mi sembrava doveroso un richiamo più ampio verso l’antico sistema ferroviario esistente nella nostra città e Regione. Per ovvie ragioni di spazio non abbiamo potuto condensare, nel solo pannello dedicato alla ferrovia, tutte le informazioni e le fotografie storiche che potrebbero raccontare al meglio la storia del vettore ferroviario e per tal motivo questo inserto nasce, non con la presunzione di essere esaustivo, ma con la speranza di poter dare ai nostri visitatori un quadro il più completo possibile. Si tratta di raccontare una storia lunga oltre 150 anni, più longeva addirittura della stessa Unità d’Italia, visto che la strada ferrata arrivò per la prima volta a Genova nel dicembre del 1853, con la realizzazione del tratto Busalla – Sampierdarena – Bivio Polcevera – Genova (Porta Principe) e Quadrivio Torbella – Sampierdarena – S. Benigno (Ponte Caracciolo), entrambe sulla direttrice per Torino. Cercherò quindi di ripercorrere, attraverso anche immagini e fotografie storiche, l’espansione che nei decenni a seguire portarono alla realizzazione dell’attuale rete, così come la conosciamo ed usiamo tuttora noi. Mi auguro che questo breve lavoro possa permettere ai Lettori un piacevole ritorno al tempo passato, in cui magari si era studente, lavoratore o semplice flâneur con il treno unico mezzo possibile per dar risposta ad una vera necessità di trasporto. La stessa necessità che al giorno d’oggi stiamo lentamente dimenticando.

Davide Vallese

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PARTE I La ferrovia costiera

Nella metà dell’Ottocento, ancora sotto il Regno di Sardegna, l’intelligenza strategica di Camillo Benso di Cavour decise di spingere per la

realizzazione di una linea ferroviaria che collegasse la capitale del Regno (Torino) con il suo più importante porto, quello di Genova.

Nel 1853 venne dunque inaugurata la linea che, attraverso il valico dei Giovi, collegava la pianura con il Mar Ligure rendendo necessario un suo primo

prolungamento verso la Rivera di Ponente, ovvero la località di Voltri.

Il primo tratto quindi della ferrovia costiera ligure è datato 1856, mentre il raggiungimento della città di Savona avverrà solo dodici anni più tardi.

Il primo tratto venne realizzato senza particolari difficoltà, in soli tre anni di lavori, per il suo sostanziale sviluppo costiero, del tutto pianeggiante, affiancando le varie località che erano disposte fino a Voltri. Gli unici punti più impegnativi furono la realizzazione dei due ponti per l’attraversamento dei fiumi Polcevera e Varenna, la costruzione del viadotto in muratura (detto “del Polcevera”) lungo circa 645 metri e la galleria in località Risveglio di Pegli lunga 307 metri. Il servizio viaggiatori era decisamente soddisfacente considerata l’epoca; sulla linea viaggiavano sei coppie di treni al dì per un percorso tra i 40 e i 50 minuti. Le stazioni erano le stesse di oggi, a parte ovviamente la nuova fermata di Genova Pra.

Un azione, del valore di Lire Nuove 250, della ferrovia Genova – Voltri datata 1857

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Nel 1860 il Governo Sabaudo deliberò, a fine ottobre, l’esecuzione e l’appalto di una ferrovia che percorresse tutta la

Liguria, dal confine francese alla futura Regione Toscana, presso la stazione di Massa.

La linea doveva eseguirsi a corpo e il prezzo chilometrico medio non doveva superare le 394.000 lire (dell'epoca). Tra il 1863 e il 1864 vennero realizzate le estremità di Levante, collegando

Massa prima a Sarzana e poi a La Spezia.

Per la tratta verso il Savonese invece, più che problemi orografici furono i problemi finanziari a causare rallentamenti.

Nel 1866 le ditte impegnate nella realizzazione delle opere interruppero i lavori per il mancato adeguamento dei costi.

Fu necessario cercare nuove ditte per terminare i lavori previsti, i quali finirono a metà del 1868. Come insegnano i detti

popolari però, i lavori eseguiti troppo in fretta, molte volte con faciloneria ed errori progettuali, durano poco

ed infatti con le prime forti piogge molte opere appena realizzate vennero seriamente danneggiate,

tanto da dover essere ricostruite. Nei successivi quattro anni (fino al 1872) si

realizzò la maggior parte dei lavori, con gli arrivi a Ventimiglia e a Sestri Levante.

Il 1872 fu un anno particolarmente disgraziato dal punto di vista meteorologico, e oltre ai danni nel Savonese, costrinsero anche il progetto tra Sestri

Levante e la Spezia a modifiche ed urgenti opere di difesa, portando a compimento i lavori solo

nell’ottobre del 1874.

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Con il completamento della tratta ligure venne riformulato l’intero servizio ferroviario, che permetteva di raggiungere Genova anche dalle zone più geograficamente lontane.

Nel 1875 erano già in funzione, tra Genova e Ventimiglia tre coppie di tre al dì oltre ad altre due coppie, una per Albenga e una per Savona.

I tempi di percorrenza erano ovviamente rapportati alla scarsa potenza delle vaporiere dell’epoca, le quali difficilmente riuscivano a spingere le carrozze a più di 30 km/h, e per

compiere l’intero tratto da Genova a Ventimiglia occorrevano 5 o 6 ore, a seconda del treno scelto (diretto o omnibus). Anche la tecnologia lungo i binari era praticamente una

serie di leve azionate a mano, oltre l’infinita serie di passaggi a livello che rallentavano ulteriormente il percorso.

Con l’inizio del Novecento incomincia, ma non sulle ferrovie liguri, una sperimentazione

che sarà destinata a fare la storia: il trifase. Visti i buoni risultati della sperimentazione questo nuovo sistema venne ben presto utilizzato nelle linee di valico, tra cui i Giovi,

rendendo necessaria l’installazione anche nelle linee afferenti su Genova. Il primo tratto elettrificato su Genova fu tra Sampierdarena e la stazione Principe, nel maggio del 1916. Nello stesso anno si continuò l’elettrificazione della linea per Savona, ma per

arrivare fino a Ventimiglia occorsero quindici anni e una decina nella direzione verso Livorno.

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Nonostante il cambio di trazione il guadagno in tempo di percorrenza non fu così evidente. La tratta dopo Savona

rimaneva infatti solo con il servizio delle vaporiere, e il cambio di trazione faceva perdere il poco tempo

risparmiato nella tratta trifase. Il numero di treni viaggianti però aumentò ed apparve, insieme a nuovi tipi di carrozze,

anche una nuova denominazione: l’accelerato. Migliorò soprattutto il comfort del viaggio,

con l’adozione di nuove carrozze a carrelli, da cui rimase però esclusa la terza classe.

Un sostanziale miglioramento della ferrovia ligure avvenne a cavallo degli anni Venti e Trenta, con l’estensione del trifase alla tratta di Levante e con il completamento tra Savona e Ventimiglia (1931). Inoltre nel periodo tra il 1930 e il 1935 venne realizzato il raddoppio di binario tra Genova e Voltri e fecero, per la prima volta, la loro comparsa i treni del C.I.W.L., società creata a Bruxelles per offrire servizi ferroviari internazionali e nazionali con carrozze prestigiose con scompartimenti letto. A Genova questi treni provenienti da Torino e Milano venivano riassemblati a seconda della destinazione, e proseguivano solitamente verso Nizza e Cannes. I tempi di percorrenza negli anni Trenta subirono una leggera diminuzione, ma per effettuare la tratta Ventimiglia – Genova occorrevano sempre più di quattro ore.

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Con gli anni Quaranta, per i venti di guerra che ricominciarono a soffiare nel Regno d’Italia, si ebbero poche modifiche

sostanziali, a parte la conferma dei treni “direttissimi”: due coppie al dì con coincidenze per la Costa Azzurra e Marsiglia e

un percorso tra Genova e Ventimiglia di tre ore e mezza, raggiungendo in alcuni tratti velocità di punta di 50km/h.

In questo periodo nacque il servizio dedicato agli sciatori e ai vacanzieri della montagna: il Genova – Limone Piemonte,

passando per la linea del Tenda.

Con l’inizio della Guerra le infrastrutture ferroviarie diventano facili e preziosi bersagli, ciò nonostante il servizio viaggiatori

non cessò, grazie anche ai coraggiosi e celeri interventi di ripristino, svolti quasi quotidianamente.

Quando finalmente cessò il secondo conflitto mondiale quello che rimase della ferrovia litoranea

era un continuo ammasso di macerie, ponti fatti brillare e tratti di linea trascinati in mare.

Con l’inizio del 1946 il servizio ferroviario riprese, anche se limitato dai lavori di ricostruzione, e i

tempi di percorrenza tornarono a superare le 6 ore per raggiungere Ventimiglia. L’elettrificazione tornò sulla tratta costiera ligure tra il maggio del 1947

(per il Ponente) e l’anno seguente (Levante).

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Con l’inizio degli anni Cinquanta le Ferrovie statali puntarono a modernizzare i mezzi a disposizione. Tra le macchine più usate allora troviamo le E 550 e le E 551 ma molte altre erano le “sigle” che si muovevano sui binari liguri. Sparisce la terza classe, che aveva mosso un’intera generazione di gente del popolo, ed aumenta il comfort anche per venire incontro alle esigenze del nuovo boom economico e dell’incredibile crescita dei passeggeri trasportati. Anche sotto il profilo tecnico si fece un notevole balzo in avanti, con la comparsa della corrente continua sulla maggior parte della rete nazionale, tuttora alimentate in trifase. Per questo motivo compiano i mezzi “anfibi” (ALe 840) in grado di viaggiare sia a corrente continua sia sfruttando il trifase (fine anni Cinquanta).

Dal 1961 incomincia l’elettrificazione a C.C. del nodo di Torino e, a ruota (dal 1963), la trasformazione interesserà anche Genova e la Liguria. Questa trasformazione andava incontro anche alla sempre maggiore richiesta di trasporto viaggiatori e durante i lavori di cambio alimentazione vennero utilizzati locomotori diesel per non interrompere le relazioni ferroviarie. Nel maggio del 1964 si concludevano i lavori di passaggio dal trifase alla C.C. nel nodo di Genova, e a partire dall’orario estivo dello stesso anno fanno la loro comparsa i treni definiti “urbani”, ovvero il servizio tra Voltri e Nervi. Il servizio consisteva in undici coppie di corse che, in alcuni casi, dall’orario successivo vennero estese fino a Savona. I mezzi utilizzati erano ALe 803 in composizione fissa di quattro pezzi.

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Sempre nel Ponente nei primi anni Settanta si effettuarono lavori di nuovi raddoppi, sia tra Voltri e Varazze sia tra Varazze

e Finale Ligure. Ma quegli anni vanno anche ricordati per la terribile alluvione del 7 ottobre del 1970, che non risparmiò

neppure la ferrovia, come il crollo del ponte sul Leira tra Vesima e Voltri. Il successo del treno pareva inarrestabile e

anche le storiche autocorse dovettero cedere il passo. A partire dal 1976 giungono sulle linee liguri le mitiche ALe

801-904, ideate esclusivamente per il trasporto pendolare e dall’inconfondibile colore arancione.

La trasformazione del materiale rotabile si protrasse anche nel decennio superiore, come le nuove carrozze MDVC, ma

purtroppo cominciarono a chiudere anche le prime linee secondarie (ma non in Liguria), definiti rami secchi.

Metà anni Settanta, treno in transito a Celle Ligure

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Con il 1994 scatta la vera rivoluzione, dopo cinquant’anni di servizio “urbano” entra in vigore il biglietto integrato autobus AMT e ferrovia, valido sulla tratta cittadina genovese. E’ una svolta epocale. Le ultime modifiche risultano essere la realizzazione della nuova fermata di Via di Francia e lo spostamento a mare della nuova fermata di Pra.

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PARTE I Le linee portuali genovesi

Testo di Adriano Betti Carboncini

Lo sviluppo totale dei raccordi portuali di Genova, tra calate e stazioni propriamente dette, era di 39,5 km già nel 1892, raggiunse i 52 km nel 1905 e 193 km nel 1932. Attualmente i binari sono limitati alle parti centrale e occidentale del porto e comunque non vanno oltre il Ponte dei Mille. Sul finire dell'Ottocento potevano dividersi in tre gruppi principali: quelli che si trovavano tra il Mandraccio e il Ponte Morosini (gruppo di piazza Caricamento, oggi scomparse del tutto), quelli tra la Darsena e il Ponte Colombo (gruppo di Santa Limbania), quelli tra il Ponte Assereto e l'estremità dei Molo Nuovo (gruppo di San Benigno). Intorno al 1910 gli accessi ferrovieri al porto, non tenendo conto di biforcazioni di gallerie, talvolta considerate come linee a sé stanti, procedendo da Ponente a Levante potevano così riassumersi: • galleria della Sanità, di unione tra i binati della calata del Molo Nuovo e il quadrivio Coscia, e di là con una linea a basso livello con la stazione di Sampierdarena e il parco Forni; • galleria rettilinea di San Benigno, di unione tra il Ponte Caracciolo e il quadrivio Coscia; • galleria curvilinea di San Benigno, di unione tra il ponte Assereto e il quadrivio Coscia;

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• galleria di San Lazzaro bassa, di unione tra i binari della stazione marittima centrale, o Santa Limbania, e la stazione di Sampierdarena mediante una linea ad alto livello: le due gallerie Campasso, di unione tra i binari della stazione marittima centrale e degli ex Magazzini Generali e il parco Campasso e quindi le linee dei Giovi; • galleria della Traversata, e San Tomaso, tra la stazione centrale marittima e la stazione Brignole.

Proprio nei 1910 ebbero inizio i lavori di costruzione delle gallerie di raccordo (detta delle Grazie o di Carignano) tra le calate orientali del porto e le stazioni di Piazza Principe e Brignole, con un tracciato che si articolava in due gallerie a semplice binario affiancate, le quali, iniziando dalla calata delle Grazie a levante del Molo Vecchio, si separavano poi quasi sotto la verticale di Piazza De Ferrari in un "ramo occidentale" verso una camera di biforcazione in Traversata a 216 m dallo sbocco della preesistente galleria San Tomaso, e un "ramo orientale" che sboccava in stazione Brignole terminando in un'asta di manovra. Il ramo occidentale aveva lo scopo di formare una specie di carosello sull'itinerario Santa Limbania - Caricamento - Molo Vecchio - galleria delle Grazie - galleria Traversata - galleria San Tomaso - Santa Limbania; quello orientale aveva lo scopo di consentire l'afflusso di vagoni vuoti e di qualche treno proveniente da Levante sull'itinerario Brignole - galleria delle Grazie - Molo Vecchio - Caricamento.

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Questi nuovi allacciamenti, completati tra il 1921 e il 1922, furono in esercizio non a lungo poiché, principalmente a causa dello spostamento delle attività portuali verso Ponente, le relative gallerie vennero abbandonate in occasione dei lavori di costruzione della seconda galleria a doppio binarie detta "Traversata Nuova", di collegamento tra le stazioni di Piazza Principe e di Brignole, iniziati nel 1939. Allorché furono progettate le calate occidentali del Porto di Genova (Bacino Vittorio Emanuele III e contiguo Bacino Benito Mussolini verso Ponente, corrispondenti in definitiva all'attuale Bacino di Sampierdarena), si stabilì subito di dar loro una comunicazione diretta con le linee di valico, non potendo pensare di servire le nuove calate a mezzo delle esistenti linee, che avrebbero richiesto manovre di regresso. Si progettò quindi la cosiddetta "linea della Coronata", parte in galleria, per l'allacciamento con la Succursale dei Giovi e con la linea di Ovada mediante diramazione presso Borzoli. Approvata la realizzazione della nuova linea nel marzo 1931, i lavori di costruzione delle opere civili, comprese nel primo lotto durarono fine alla primavera 1933. Furono costruiti importanti viadotti e ponti in muratura e ferro (molte belle travate a doppio binarie 5 delle quali con luce di circa 50 m; per l'attraversamento del Polcevera e di una parte dell'abitato di Cornigliano presso Piazza Massena e della linea per Ventirniglia, nonché per lo scavalcamento di importanti stabilimenti industriali (acciaierie, stabilimento Ansaldo-Savoia, società Italo-Americana Petrolio); ma, per motivi che non resta agevole conoscere, i lavori si arrestarono a quel punto e non furono più ripresi.

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Nel 1990 si è iniziata l'opera di demolizione dei bei ponti metallici, che sono rimasti inoperosi per oltre mezzo secolo. In considerazione però del fatto che la linea della Coronata, tagliando fuori la valle del Polcevera, non sarebbe riuscita a servire completamente i nuovi bacini, fascia d'influenza di numerosi stabilimenti industriali della zona, si costruì dal 1927 al 1929 la linea elettrificata a doppio binario Bacino Vittorio Emanuele - Parco Forni (7,4 km), che prese il nome di “sommergibile” a causa di qualche accidentale allagamento, per le acque del Polcevera in eccezionale piena.

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Chiudiamo con un po’ di cronologia

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PARTE II La ferrovia verso la Pianura (Torino)

La costruzione di una ferrovia per collegare Torino con Genova nacque per volere del Governo sabaudo che ne finanziò interamente la costruzione (Regie Lettere Patenti № 443), intorno agli anni Quaranta dell’Ottocento. I lavori iniziarono il 13 febbraio 1845 e, partendo da Torino, il primo tratto del percorso fino a Moncalieri non presentò grandi difficoltà, anche se si dovettero eseguire alcune opere particolarmente impegnative quali il lungo viadotto, detto del Mercato, ed il ponte sul Po a Moncalieri. Peraltro, l'imperativo era quello di portare rapidamente a termine i lavori. Ad un rilievo scritto dell'Intendente Generale Bona, perché i lavori stessi non progredivano con la richiesta celerità, il direttore dei lavori, ingegnere Spurgazzi, rispondeva in data 25 giugno 1847, che “uno spediente per ottenere un tale intento sarebbe di lavorare d'or innanzi anche nei giorni festivi fino a tanto non sia per intero collocata l'armatura dei sette archi del ponte (...) se non che per effettuarlo manca l'assenso del parroco, il quale rispose non dare un tale permesso senza un ordine emanato dal Ministro e segnato dall'Arcivescovo di Torino”. Tale permesso veniva puntualmente accordato, quindi si poté lavorare anche nei giorni festivi…

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Nella costruzione della prima parte della linea si dovettero affrontare rilevanti difficoltà per l'attraversamento della zona collinare fra San Paolo Solbrito e Villafranca. Da San Paolo a Dusino venne costruito un tratto di linea provvisoria, mentre da Dustino fino a Stenevasso si istituì un servizio di omnibus a cavalli con un percorso di circa 2.700 metri. Questo servizio di omnibus si rivelò alquanto gravoso e penalizzante per la circolazione, per cui presto si pensò di sostituirlo, costruendo un nuovo tratto di linea provvisoria a piano inclinato per far circolare convogli “retti nella discesa da carri-freno e rimorchiati nella salita da cavalli”; tuttavia, anche se si era ottenuto un miglioramento, l'esercizio risultò ancora “penoso al pubblico pel tempo richiesto al tragitto, massime nell'ascesa, gravoso assai all'Amministrazione e per la spesa di manutenzione e vigilanza che su esso si richiese tanto moltiplicata, e per l'altra principalmente dei cavalli, come si è detto, impiegati nel rimorchiarlo e del personale addetto al governo di quegli animali”. Si convenne pertanto di far subito studiare, da una apposita commissione di ingegneri, un tipo di trazione più economico e più sicuro, con la consulenza del famoso ingegnere inglese Robert Stephenson, figlio del più noto George, inventore della locomotiva a vapore.

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Nel 1850 la linea raggiunse Alessandria e Novi Ligure. Il 10 febbraio 1852, si raggiunse Arquata Scrivia per un totale di 124 chilometri. La pendenza non superava il 5 per mille, tranne un breve tratto dell'8 per mille (più quello del 26 per mille del piano inclinato del Dusino) confermando le scarse difficoltà costruttive della prima parte della linea, tranne per i viadotti nella zona di Serravalle Scrivia. Il servizio si rivelò soddisfacente sia per il pubblico – i treni impiegavano solo 3 ore e 40 minuti per coprire l’intera tratta – sia per la società che vide i propri utili salire vertiginosamente. L'attivazione dell'esercizio sull'accidentata tratta da Arquata a Busalla, di 18,4 chilometri e con pendenza massima dell'8,2 per mille, venne effettuata esattamente un anno dopo, il 10 febbraio 1853, mentre l'intero percorso fino a Genova Porta Principe, lungo complessivamente 166 chilometri, fu portato a compimento con l'inaugurazione dell'ultimo tratto fra Busalla e Genova, avvenuta il 18 dicembre dello stesso anno. All'inaugurazione ufficiale della linea del 20 febbraio 1854 parteciparono anche il Re Vittorio Emanuele II ed il Primo Ministro conte Cavour.

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Per non ritardare l'attivazione della linea, la stazione di Genova Porta Principe venne approntata con carattere provvisorio, così come era successo per quella di Torino Porta Nuova. La costruzione del definitivo fabbricato viaggiatori venne però già iniziata lo stesso anno (1854) ed ultimata nel 1860. L'intera linea Torino-Genova era stata subito costruita con sede a doppio binario. Le opere d'arte eseguite furono oltre centotrenta, con almeno una trentina di ponti e viadotti di rilevante importanza; nella sola tormentata tratta da Arquata a Busalla furono gettati otto ponti su corsi d'acqua e perforate quattro gallerie di lunghezza variabile da 508 a 866 metri. I lavori per la costruzione del tratto di linea compreso fra Busalla e Genova risultarono particolarmente impegnativi ed onerosi. Essi infatti comportarono l'esecuzione di opere di notevole rilievo tecnico per l'attraversamento dell'Appennino ligure al valico dei Giovi.

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Immagine delle “Mastodonti dei Giovi”

Di grande importanza era la scelta del tipo di trazione lungo il percorso a fortissima pendenza da Busalla a Pontedecimo. Nel tratto di rampa a più elevata pendenza, l’ingegnere Maus e alcuni valenti tecnici, fra i quali gli ingegneri Sommeilier e Ruva, studiarono brillantemente nuovi originali tipi di locomotive, pure costruite dalle Officine dello Stephenson, denominale “Mastodonti dei Giovi”, costituite da due macchine accoppiate fra di loro che servirono “al traghetto dei convogli sulla rampa del 35 per mille di cui l'eguale non si ha su altre strade ferrate esercitate con locomotive”. Su detta rampa esse erano in grado di trascinare convogli del peso di 150 tonnellate a 12 chilometri orari. Fin dall'apertura dei primi tratti la gestione risultò molto soddisfacente; allora i convogli giornalieri della tratta Torino-Arquata, di 125 chilometri, erano normalmente costituiti da tre coppie di treni, più una coppia per le piccole velocità, che impiegavano a percorrerla tre ore e quaranta minuti.

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La stazione di Piano Orizzontale dei Giovi, tuttora utilizzata dei treni locali diretti a Busalla o Arquata Scrivia, aveva ai tempi una doppia utilità: • i treni merci discendenti si fermavano per fare freddare i freni e gli ascendenti per fare vapore, • nonostante la linea fosse a doppio binario in tutta la tratta da Pontedecimo a Busalla, era pericoloso inviare più di due treni in contemporanea (uno per binario) nella galleria dei Giovi (circa 3,5 km) a causa della sua notevole lunghezza, ma soprattutto per la pendenza del 35\1000 che è praticamente costante in galleria e più in generale nell’intero tratto passato Pontedecimo. Quindi qui si facevano sostare i convogli in attesa di partire per la traversata della galleria verso Busalla , partenza che avveniva non appena il treno precedente aveva raggiunto l'altro imbocco.

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Si realizzò, in concomitanza con l’apertura della tratta, anche l’allacciamento che consentiva l’arrivo dei treni merci nell’area portuale (attuale Piazza Caricamento), per la maggior parte a raso sulla sede stradale. Nel 1872 invece la Galleria Traversata collega Principe con Brignole, aprendo il collegamento diretto con la Tirrenica e Roma. Nel 1889 un grave incidente dentro la galleria dei Giovi, dovuto al fumo prodotto dalle vaporiere, costò ben 13 morti e si cominciò a pensare ad una elettrificazione della linea. Oltre ai rischi legati alla presenza di fumi, l’utilizzo delle vaporiere non permetteva un flusso sostenuto di carri, e la linea andò ben presto a saturarsi. A partire dal 1907 iniziarono i lavori di elettrificazione in trifase: verranno completati nel 1910. Il servizio in trifase cominciò nel 1911 e, nel novembre del 1920, venne esteso fino a stazione Brignole. Nel 1922 tutta la tratta Torino – Genova era elettrificata a trifase e nel 1925 si poteva raggiungere anche Roma, senza cambiare trazione. A tal proposito vennero studiate e realizzate appositamente (o quasi) per la linea dei Giovi le E 550, le quali permettevano un carico maggiore rispetto ai “Mastodonti” (fino a 400 t) a velocità più sostenuta, evitando anche il problema del fumo in galleria. Vennero realizzati 186 esemplari, e da questo modello nasceranno poi delle evoluzioni, costruite fino agli anni Trenta. Questo modello rimase in servizio fino al 1965!

La E 550, detta anche “mulo dei Giovi”

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Dopo il tragico periodo bellico la corrente trifase venne riconvertita in corrente continua anche sulla linea per Torino, cambiamento dovuto alle prime conversioni sulle linee afferenti (come la Genova – Sestri Levante nel 1948). Il passaggio del sistema di elettrificazione della Torino–Genova da corrente alternata trifase a 3,6 kV-16⅔ Hz a

corrente continua a 3 kV avvenne tra il 1961 e il 1964, con l’ultimo tratto tra Busalla e Principe nel maggio del 1964.

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La ferrovia verso la Pianura (Milano)

A Milano non rimasero certamente a guardare mentre intorno si sviluppavano chilometri di linea ferroviaria. La tratta Milano – Genova, come la conosciamo noi adesso, non è stata realizzata immediatamente nella sua attuale forma, ma con tre passaggi discontinui, ogni volta realizzati per abbreviare la distanza tra le due città. A Milano il primo tratto che scendeva a mare venne inaugurato nel 1862, e arrivava a Pavia. Da qui era possibile un lungo congiungimento con Alessandria, che permetteva ai treni “milanesi” di instradarsi sulla Torino – Genova. Il tragitto, anche se di pianura era effettivamente lungo e poco funzionale, per questo motivo si allungò la ferrovia arrivata a Pavia fino a Voghera (1867), in modo da instradarsi su Tortona e Novi Ligure, evitando il giro da Alessandria. I collegamenti tra le due cittadine era infatti già attivo da circa una decina di anni.

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Per abbreviare ulteriormente le tempistiche, e scaricare dal traffico la linea storica dei Giovi, si pensò però ad una nuova linea di valico. La prima tratta della “succursale”, da Sampierdarena a Ronco Scrivia, fu inserita nelle linee finanziate nel 1879 dalla legge Baccarini. La tratta sostituiva la parte più acclive della vecchia linea, risalendo la Val Polcevera con un tracciato posto lungo i fianchi della montagna, e valicando il crinale appenninico con la galleria di Ronco, lunga circa 8,3 km. Il primo tratto venne inaugurato nel aprile del 1889. Nel 1916 fu attivata la seconda tratta, da Tortona ad Arquata, che consentiva ai treni passeggeri per Milano di evitare il più lungo tragitto via Novi Ligure; i treni merci continuarono invece a transitare da questa località, dove era sito un importante scalo di smistamento. L'ultima tratta della “succursale”, da Arquata Scrivia a Ronco, fu attivata nel 1922 con la realizzazione della galleria Borlasca (lunga più di 4 km), relegando così la vecchia linea ad un'importanza locale.

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A partire dall’ottobre 1914 venne elettrificato in trifase il tratto della "Succursale dei Giovi" tra Genova Sampierdarena e Ronco Scrivia, via Mignanego, liberando così dal fumo della trazione a vapore anche la seconda galleria di valico. Mentre dal 1923 si completò l’elettrificazione con il nuovo tratto diretto tra Arquata e Ronco Scrivia. Gli ultimi interventi furono la trasformazione dal trifase alla corrente continua (tra il 1962 e il 1963) e, negli stessi anni l’attivazione della variante (“via Granarolo”) che permette ai treni provenienti dalla “succursale” di raggiungere la stazione di Genova Piazza Principe evitando il transito per la stazione di Sampierdarena.

In alto il portale sud della Galleria Ronco, presso Mignanego Sotto il portale nord.

Foto di Walter Bonmartini

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Il futuro della linea dei Giovi sarà il Terzo Valico? Tale linea nasce come progettazione nel 1991, e dovrà unire la città di Genova a quelle di Milano e Torino. La linea è parte dell‘ “Asse ferroviario 24” della Rete ferroviaria convenzionale trans-europea TEN-T.

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Dall’apertura della Genova – Torino, nel 1853, si incominciò a pensare ad una linea di valico alternativa, da Genova ad Alessandria. Sul finire dell’Ottocento l’aumento continuo del traffico sul tratto dei Giovi diede ulteriore spinta all’idea della nuova realizzazione, che ebbe come promotore un comitato dedicato, il quale raccoglieva i rappresentanti dei comuni delle valli Stura e Orba. Il primo incontro del comitato avvenne a Genova nel febbraio del 1873, dove dopo sei mesi di studi tecnici si decisero ad approvare il progetto della Genova – Alessandria, attraverso Ovada, simile al tragitto attuale ad eccezione del tratto lungo il Chiaravagna. Il costo per questo primo progetto era di 24 milioni di lire, per poco meno di ottanta chilometri. Grazie anche alla spinta del senatore Giuseppe Saracco (originario di Bistagno) i progetti proposti furono molti in quegli anni, e l’idea del 1873 (dell’ingegnere Bosco) venne accantonata. Il Ministero dei Lavori Pubblici diede allora incarico all’ingegnere Giambastiani, il quale produsse quattro tracciati diversi anche se questi si rifacevano quasi completamente alle soluzioni del Bosco.

La ferrovia verso l’Ovadese

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Nel 1888 venne stipulata la convenzione per l’esecuzione dei lavori di costruzione dell’intera Genova – Asti, a cui si univano anche altre linee limitrofe piemontesi. La tratta

venne divisa “economicamente” in due tratti: un corrispettivo di poco sopra le 20.500 lire al chilometro per il tratto tra Asti e Ovada, mentre per il restante tratto fino a Genova 32.000

lire per le maggiori difficoltà realizzative.

Il progetto esecutivo venne presentato nel 1889, e prevedeva il completamento dei lavori entro otto anni,

anche se per i tratti più semplici vennero messe scadenze più ravvicinate. Essendo in tempi più lungimiranti degli attuali si penso subito ad un’eventuale raddoppio della linea, e quindi si decise lo stanziamento di altri 8 milioni e mezzo di lire

per realizzare la tratta di valico (ovvero la galleria del Turchino) a binario doppio.

Nel 1892 venne completata la galleria di Cremolino, unico vero ostacolo nella prima tranche di lavori tra Asti e Ovada, mentre un paio di anni prima erano cominciati i lavori per il

lotto Polcevera – Mele e Campoligure – Ovada.

Nel novembre del 1893 venne ultimato, con ben quattro anni di anticipo, il tratto di valico della galleria del Turchino scavata in parte con mezzi meccanici (lato sud) in parte a

mano, anche se con il supporto di macchinari per l’estrazione dell’acqua (lato nord).

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Il 18 giugno 1893 veniva inaugurata la linea tra Asti e Ovada, facendo percorrere il primo treno, con a bordo figure istituzionali e invitati di prestigio. L’anno successivo fu la volta dell’intera tratta, con il primo treno che alle 11,40 lasciò i marciapiedi di Genova Principe diretto ad Acqui Terme. La raggiunse dopo tre ore di viaggio. Il primo servizio sulla Genova – Ovada – Asti era di quattro coppie di corse di treni “omnibus” di sola terza classe, tutti con un discreto numero di viaggiatori. Per Asti era presente un’unica relazione diretta, dovuto al fatto che il traffico passeggeri era in questo caso modesto. Il servizio su quattro coppie restò invariato a lungo, solo in occasioni speciali venivano aggiungete corse supplementari, come le cosiddette “vendemmiali”, ovvero in periodo autunnale per la vendemmia.

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A partire dai primi anni del Novecento la gestione della ferrovia ovadese passa, dalla società Rete Mediterranea alle Ferrovie dello Stato (1905) con un primo intervento di

rinnovamento del materiale rotabile, come l’introduzione delle nuove vaporiere 470 FS.

Tali vetture rimasero in servizio (insieme alle 640) fino

all’avvento del trifase, che iniziò la sua comparsa su questa linea a partire dal 1927. Inoltre vennero fatti importanti lavori di ristrutturazione lungo la linea e di modifica degli impianti di segnalamento, illuminazione e comunicazione. Il 21 aprile del 1929 cominciò il servizio trifase regolare

sulla tratta fino a Ovada (e da lì verso Alessandria), mentre per giungere ad Asti si dovette attendere il 1937.

Per produrre l’energia elettrica necessaria venne realizzato un

grandioso impianto idroelettrico nei pressi di Molare, sul fiume Orba, più diverse sottostazioni elettriche lungo

tutta la linea (Sampierdarena, Acquasanta, Campoligure e la stessa Ovada).

Negli anni ‘30 il treno è molto utilizzato per le feste popolari

svolte nell’ovadese soprattutto nel periodo della raccolta delle uve, e più di una volta esauriti tutti i biglietti vendibili

occorreva effettuare un secondo treno per raccogliere le persone rimaste sprovviste di posto a sedere. Il percorso tra Brignole ed Acqui Terme si attestava sulle due ore circa.

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Orario risalente al 1937. Gli occhi più attenti avranno notato la differenza rispetto alla linea attuale: manca la fermata di Costa di Sestri. Tale fermata diverrà operativa solo il 24 settembre del 1994.

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Nell’agosto del 1935 il grande invaso artificiale costruito alle spalle di Molare collassa a causa delle intense e

persistenti piogge. L'evento portò, nell'arco di meno di 24 ore, una precipitazione pari a quasi il 30% di quelle medie

annue. Per dare un'idea della portata dell'evento basti immaginare che piovvero più di 15 metri cubi al secondo di

acqua ogni kmq. Contro tale forza nulla poté la pur solida diga, la quale venne letteralmente scavalcata dalla piena del

lago. Intorno alle ore 13 del 17 di agosto avvenne il collasso che scaricò un’ondata di piena alta almeno dieci

metri nella zona di Molare, Ovada e Capriata d’Orba.

Il ponte ferroviario completamente in ferro tra Molare e Ovada venne semplicemente strappato via, e ritrovato quasi

ad Alessandria. Per una decina di minuti l’ondata non investì un treno che transitava proprio su quel ponte, altrimenti la strage sarebbe stata ancora più grande.

Il ponte ferroviario verso Alessandria invece resistette,

in quanto la confluenza con il fiume Stura rese meno violento l’impatto per la maggior larghezza dell’alveo.

I lavori di ricostruzione partirono alla svelta e si unirono a quelli per l’elettrificazione, ancora in trifase, del tratto

Ovada – Acqui Terme – Asti, completando la linea diretta fino a Genova (aprile 1937).

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Con l’avvento della Seconda Guerra mondiale anche per la linea di Ovada si fecero tempi duri, anche se venne meno colpita di altre linee (in quanto essendo con molte gallerie la faceva un bersaglio non facile per l’aviazione). Si ripristinò la trazione a vapore e nonostante i danni i treni, diretti ai cantieri e alle industrie pesanti genovesi, vennero sempre esercitati per l’importanza strategica che ricoprivano. A guerra quasi conclusa sulla linea iniziarono a transitare i più svariati convogli: treni carichi di sfollati che dalla città cercavano riparo dai bombardamenti nelle campagne, locomotori trifase requisiti (o rubati) dalle truppe tedesche in ritirata, carri ricolmi di esplosivi a cui si aggiunsero le azioni di sabotaggio da parte delle lotta partigiana, che resero difficoltoso il transito su tutto il percorso. Basti pensare che a conflitto terminato nei venti chilometri complessivi di gallerie della linea furono recuperate 35 mila tonnellate di esplosivo! La ricostruzione permise di riprendere il servizio regolare in tempi celeri, e già a partire dal 1946 sulla linea Ovada – Principe erano in servizio cinque coppie di treni e quattro sulla Ovada – Alessandria.

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A partire dal 1962 anche su queste linee si assiste al passaggio alla corrente continua. La prima linea a

beneficiarne, proprio nel 1962 fu la linea Ovada – Alessandria, mentre invece la direttrice per Genova venne

elettrificata solo nel maggio del 1964.

Ovada divenne quindi una stazione funzionante con ambo i sistemi, e i convogli provenienti da Asti e Acqui dovevano

sostare fino ad un massimo di dodici minuti per effettuare il cambio di locomotiva (solitamente E 431-432 554 per le

astigiane ed E 626-636 per la tratta verso Genova).

Venne il periodo anche delle elettromotrici bicorrente, utilizzate soprattutto nelle linee liguri-piemontesi, al fine di

evitare la sostituzione del locomotore nelle stazioni di cambio tensione. Le candidate da parte di FS furono le ALe 840 (Le)

che iniziarono a svolgere servizio regolare sulla Torino – Genova a partire dal 1957. Sulla linea per l’ovadese

iniziarono ad essere impiegate massicciamente solo a partire dall’orario del 1967, con un percorso tra Genova ed Acqui di

1 ora e dieci minuti.

Conseguentemente l’estensione della C.C. fino ad Asti le bicorrente persero il loro punto di forza, venendo presto

sostituite dalle ALe 803 e dalle ALe 801/940 (a partire dal 1976).

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A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta ci furono poche modifiche, per lo più tecniche lungo i binari, la soppressione di qualche PL e lavori di rifacimento delle saltuarie frane che colpivano soprattutto la linea aerea. Problemi maggiori invece riservò l’alluvione a Genova del 1994. Proprio in quell’anno venne aggiunta una nuova fermata alla linea: Costa di Sestri Ponente, sulle alture dell’omonima delegazione. A partire dall’orario estivo del 1999 invece fu soppressa la fermata di Granara, la piccolissima stazione prima di Acquasanta, sia per recuperare alcuni minuti sui tempi di percorrenza sia per il movimento passeggeri quasi nullo. L’asse ferroviario è stato negli ultimi anni diviso in due Genova – Acqui e Acqui – Asti, serviti con treni differenti. Attualmente nell’orario non esiste nessun treno che percorre l’intera linea ma occorre quanto meno cambiare treno ad Acqui, questo in virtù della sostanziale differenza di utenti che gravitano nelle due tratte (e anche per strategie di tagli tanto care a Trenitalia…)

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Dal Duemila le voci che hanno interessato la linea per l’ovadese sono principalmente legate alle merci e ai

collegamenti portuali. Dal 1999 è infatti attiva la bretella che collega la zona di Pra (e quindi il VTE) con Borzoli e la linea ovadese. In più a partire dal 2010 si fecero insistenti le voci

della creazione di una linea completamente in galleria, a guida automatica in grado di trasportare i container dal

porto di Voltri verso l’Alessandrino. Di questo progetto però si sono perse le tracce da alcuni anni.

Il servizio passeggeri ha negli ultimi vent’anni subito una contrazione , con dati che fino a

qualche anno fa parlavano di una riduzione di pax intorno al 20%. Per questo motivo, ed

altri, infatti la Regione Piemonte ha recentemente soppresso la linea ferroviaria

Ovada – Alessandria, gestita dall’orario 2012 da autocorse.

Anche sulla linea Genova – Ovada nelle ultime estati il servizio è stato sospeso per una media

di 40 giorni, e sostituito con autocorse, anche se, in questo caso, la sospensione

sarebbe dovuta a lavori di manutenzione lungo la linea.

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Abbiamo parlato nelle precedenti pagine di lavori che sono stati progettati, messi in opera e conclusi. Chiudiamo questo inserto con una ferrovia che invece non si è mai realizzata e che, credo, pochi ne conoscano le vicende: la ferrovia della Val Trebbia. Per chi non fosse pratico della zona, la Val Trebbia incomincia in Provincia di Genova e, seguendo il corso dell’omonimo fiume, attraversa parte della provincia di Piacenza. Nella sua antica storia è stata una zona di collegamento tra la Pianura e il versante ligure-tirrenico, e al giorno d’oggi tale collegamento viene garantito con la SS 45 della Val Trebbia. Invece la ferrovia, da quale idea bislacca nasce in un territorio così impervio e difficile? Nel piacentino la ferrovia arrivò a cavallo tra il 1859 e il 1860, con le aperture delle tratte rispettivamente per Bologna e per Alessandria. Tali collegamenti non furono difficoltosi vista l’orografia particolarmente favorevole in un ambito pianeggiate come quello padano. Il Governo del Ducato di Parma però iniziò a covare un sogno segreto, una strada ferrata appenninica in grado di raggiungere Genova e il suo porto direttamente, senza giri per le ferrovie piemontesi. Nonostante la buona volontà del Ducato il quadro presentato dai tecnici fu sconfortante.

PARTE III Il sogno della ferrovia sul Trebbia

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In termini di lavori e di spesa il collegamento, sia carrozzabile sia con strada ferrata, avrebbe rappresentato un impegno

troppo gravoso. Nonostante le voci negative però, in occasione dell’inaugurazione di un ponte sul fiume Po nel

1865, il principe Umberto di Savoia (il Ducato di Parma era stato annesso al Regno Sabaudo) rilanciò l’idea di un

collegamento diretto con Genova.

I primi a proporre un progetto di massima furono gli ingegneri Grillo e Rossi, ma nel tempo furono molte le

proposte, l’ultima fino nel 1946 a cura del prof. Maternini. Il progetto Grillo-Rossi prevedeva un

tracciato che attraverso la Val Trebbia e la Val Bisagno, raggiungeva Genova. Tale progetto (datato 1865) fornì

dettagliatamente tutte le opere necessarie, per una linea di poco meno di 120 chilometri.

Nonostante il lavoro certosino dei due ingegneri, il problema rimaneva economico e di mano d’opera, dunque il progetto rimase solo sulla carta, creando non poco disillusione negli

abitanti della valle e soprattutto del borgo di Bobbio, i quali già festeggiavano pensando

all’arrivo della ferrovia.

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Altra figura rimasta nella storia di questo sogno su l’ingegnere Guglielmo Della Cella, il quale pensò a una soluzione differente: raggiungere Chiavari attraverso la Val Nure e la Valle dell’Entella, per poi instradarsi verso Genova o verso La Spezia sulla ferrovia costiera ligure. Nonostante il suo impegno, la sua proposta non venne presa in seria considerazione – come quella di altri ingegneri e tecnici dell’epoca – creando una marcata delusione nel cuore dei valligiani. Ciò nonostante negli anni ’30 parte del suo progetto vedrà la luce, nella ferrovia gestita dalla SIFT che collegherà dal 1932 al 1967 Piacenza con Bettola, in val Nure. Gli abitanti della Val Trebbia spinti da interessi politici sia a Genova sia a Piacenza crearono un proprio comitato, per veder realizzata la tanto agognata ferrovia. Prendendo spunto dai progetti precedenti e come esempio le linee di valico liguri già attive (quindi i Giovi e il Turchino) fecero la loro proposta, la quale andava a rendere meno gravosa l’idea iniziale del duo Grillo-Rossi.

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Il progetto del “Comitato” prevedeva una linea più corta, con una quota culmine di 100 metri più bassa presso Isola

di Rovegno e anche pendenze comprese tra i 3 e i 7per mille e un’unica punta del 10 per mille.

Uno scrittore giornalista del luogo, tale Alessandro Giorgi,

criticò aspramente le istituzioni locali genovesi, le quali secondo lui erano troppo impegnate a creare linee inutili e sottoutilizzabili, per gli effettivi numeri del porto genovese.

Si riferiva alla costruzione della linea Succursale dei Giovi.

Mancando quindi la speranza di vedere le vaporiere nelle proprie valli, gli abitanti della Val Trebbia dovettero ripiegare sui tram a vapore, che sostituirono le tramvie trainate dai

cavalli. Queste nuove costruzioni (come la citata in precedenza ferrovia Piacenza – Bettola) raffreddò le

bramosie ferroviarie che però ripresero voce all’inizio del secondo conflitto mondiale, sperando in un collegamento

veloce tra Genova e il Brennero.

La stampa locale si divise sulla reale utilità di questo collegamento, preferendo soluzioni verso la Val di Taro e

Parma, scatenando le ire dei valligiani. La guerra poi si abbatté con tanta e tale violenza che della ferrovia non si

parlò più e, nonostante i tentativi di riportare alla luce la sua nascita, finì irrimediabilmente nell’oblio.

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA Bozzano, C., Pastore, R., Serra, C., [1999] La Freccia del Turchino. Storia illustrata dei trasporti pubblici tra Genova e il Monferrato, Compagnia dei Librai, Genova [2004] Prendiamo il Laviosa. Storia del trasporto pubblico tra Genova e Piacenza attraverso le valli Bisagno e Trebbia , Nuove Edizioni del Giglio, Genova [2007] Genova-Savona andata e ritorno. Storia illustrata del trasporto pubblico tra Genova Savona e l'entroterra, Fratelli Frilli, Genova. Lamponi, M., Serra, C., [1997] I trasporti a Sampierdarena. Dall’omnibus alla filovia, Nuova Editrice Genovese, Genova.

SITI INTERNET CONSULTATI

www.liguriacards.com www.genovacards.com www.molare.it www.ferrovieinrete.com www.piacenzantica.it www.ferrovie.it www.fotovaltrebbia.it www.intermodale24-rail.net www.alessandriaoggi.it www.infrastrutture.regione.liguria.it www.mcetorino.it www.trasportidepoca.it www.miol.it

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Nota per le immagini. Ove segnalato le immagini sono di proprietà dell’autore, con riferimento al nome sotto la figura in questione. Negli altri casi si tratta di immagine ormai svincolate dal diritto di copyright e liberamente circolanti sul web. Le immagini della Parte I sono da rintracciare nell’op. cit. [2007], quelle della parte relativo all’Ovadese nell’op. cit. [1999] e quelle della parte III nell’op. cit. [2004].