depressione e malattia di parkinson

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I 17-062-A-13 Depressione e malattia di Parkinson U. Spampinato, F. Tison La depressione rappresenta uno dei principali disturbi non motori della malattia di Parkinson. Essa col- pisce circa il 40% dei parkinsoniani e partecipa alla disabilità e all’alterazione della qualità di vita. La depressione è preponderante ai due estremi della malattia: all’inizio, a volte precedendo i sintomi motori, e allo stadio del declino e delle fluttuazioni motorie. La diagnosi di depressione rimane clinica e si basa sui criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4 a edizione (DSM IV). Si tratta di un processo delicato, data l’esistenza di una certa sovrapposizione semeiologica tra sindrome parkin- soniana, depressione e apatia; quest’ultima è spesso osservata nei parkinsoniani sia in associazione con la depressione che in quanto sindrome a sé. Depressione, apatia e rischio di suicidio aumentato fanno parte delle complicanze psichiatriche osservate nei parkinsoniani trattati con stimolazione bilaterale ad alta frequenza del nucleo subtalamico. Sul piano fisiopatologico, sono in causa dei fattori psicologici e organici. Nuove ipotesi privilegiano l’implicazione preferenziale di un malfunzionamento dei sistemi noradrenergico e dopaminergico centrali all’interno della rete limbica, relativamente a quella del sistema serotoninergico. Sul piano terapeutico, nel corso dell’ultimo decennio, un numero crescente di studi ha rilevato il potenziale terapeutico antidepressivo degli agonisti dopaminergici, e l’ottimizzazione del trat- tamento dopaminergico si è, così, rivelata una tappa importante e necessaria prima della prescrizione degli antidepressivi tradizionali. Tuttavia, la scelta dei diversi antidepressivi disponibili resta attualmente empirica e, negli anni a venire, la realizzazione di nuovi studi controllati in doppio cieco, poco numerosi, a tutt’oggi, diviene necessaria per definire una condotta da tenere nel trattamento dei disturbi depres- sivi nella malattia di Parkinson. In conclusione, la depressione nella malattia di Parkinson è frequente e di origine multifattoriale, richiedendo, nei casi più complessi, una collaborazione stretta tra neurologi, psichiatri e psicologi. © 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati. Parole chiave: Malattia di Parkinson; Depressione; Apatia; Prevalenza; Scale; Semeiotica; Fisiopatologia; Dopamina; Serotonina; Noradrenalina; Trattamento antidepressivo Struttura dell’articolo Introduzione 1 Prevalenza della depressione e considerazioni metodologiche 2 Scale, autoquestionari di valutazione e diagnosi 3 Aspetti clinici 3 Depressione 3 Apatia 4 Stimolazione cerebrale profonda: depressione, apatia e rischio di suicidio 5 Fisiopatologia 6 Trattamenti antidepressivi 7 Agonisti dopaminergici 7 Antidepressivi classici 9 Interazioni farmacologiche 10 Trattamenti non farmacologici 11 Conclusioni 12 Introduzione Dalla prima descrizione fatta da Sir James Parkinson [1] , è ormai ben stabilito che la malattia di Parkinson non si riduce alla sola sintomatologia motoria (rigidità, bradicinesia, tremore). In effetti, durante l’evoluzione della malattia, la lesione motoria si accom- pagna a sintomi non motori (Tabella 1) derivanti da disturbi disautonomici (disturbi urinari, sessuali e digestivi, ipotensione ortostatica, disturbi della sudorazione e scialorrea), da disturbi sensoriali (disosmia, dolori), da disturbi del sonno (frammenta- zione del sonno, insonnia di addormentamento, apnea del sonno, disturbi del comportamento del sonno paradosso, sonnolenza diurna) e da disturbi psicocomportamentali (depressione, ansia, apatia, affaticamento, psicosi, disturbi cognitivi, demenza, con- dotte additive e disturbi dell’impulsività) [2–4] . Fra questi ultimi, la depressione partecipa pienamente al quadro clinico della malattia. La presenza di una sindrome depressiva nei parkinsoniani è stata segnalata per la prima volta da Benjamin Ball nel 1882 [5] ed è stata in seguito confermata da numerosi studi [6, 7] . La depressione colpisce un numero importante di parkinsoniani: EMC - Neurologia 1 Volume 13 > n 1 > febbraio 2013 http://dx.doi.org/10.1016/S1634-7072(12)63928-2

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Page 1: Depressione e malattia di Parkinson

� I – 17-062-A-13

Depressione e malattia di Parkinson

U. Spampinato, F. Tison

La depressione rappresenta uno dei principali disturbi non motori della malattia di Parkinson. Essa col-pisce circa il 40% dei parkinsoniani e partecipa alla disabilità e all’alterazione della qualità di vita. Ladepressione è preponderante ai due estremi della malattia: all’inizio, a volte precedendo i sintomi motori,e allo stadio del declino e delle fluttuazioni motorie. La diagnosi di depressione rimane clinica e si basasui criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4a edizione (DSM IV). Si trattadi un processo delicato, data l’esistenza di una certa sovrapposizione semeiologica tra sindrome parkin-soniana, depressione e apatia; quest’ultima è spesso osservata nei parkinsoniani sia in associazione conla depressione che in quanto sindrome a sé. Depressione, apatia e rischio di suicidio aumentato fannoparte delle complicanze psichiatriche osservate nei parkinsoniani trattati con stimolazione bilaterale adalta frequenza del nucleo subtalamico. Sul piano fisiopatologico, sono in causa dei fattori psicologicie organici. Nuove ipotesi privilegiano l’implicazione preferenziale di un malfunzionamento dei sisteminoradrenergico e dopaminergico centrali all’interno della rete limbica, relativamente a quella del sistemaserotoninergico. Sul piano terapeutico, nel corso dell’ultimo decennio, un numero crescente di studi harilevato il potenziale terapeutico antidepressivo degli agonisti dopaminergici, e l’ottimizzazione del trat-tamento dopaminergico si è, così, rivelata una tappa importante e necessaria prima della prescrizionedegli antidepressivi tradizionali. Tuttavia, la scelta dei diversi antidepressivi disponibili resta attualmenteempirica e, negli anni a venire, la realizzazione di nuovi studi controllati in doppio cieco, poco numerosi,a tutt’oggi, diviene necessaria per definire una condotta da tenere nel trattamento dei disturbi depres-sivi nella malattia di Parkinson. In conclusione, la depressione nella malattia di Parkinson è frequente edi origine multifattoriale, richiedendo, nei casi più complessi, una collaborazione stretta tra neurologi,psichiatri e psicologi.© 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.

Parole chiave: Malattia di Parkinson; Depressione; Apatia; Prevalenza; Scale; Semeiotica; Fisiopatologia;Dopamina; Serotonina; Noradrenalina; Trattamento antidepressivo

Struttura dell’articolo

■ Introduzione 1■ Prevalenza della depressione e considerazioni metodologiche 2■ Scale, autoquestionari di valutazione e diagnosi 3■ Aspetti clinici 3

Depressione 3Apatia 4Stimolazione cerebrale profonda: depressione, apatia e rischio disuicidio 5

■ Fisiopatologia 6■ Trattamenti antidepressivi 7

Agonisti dopaminergici 7Antidepressivi classici 9Interazioni farmacologiche 10Trattamenti non farmacologici 11

■ Conclusioni 12

� IntroduzioneDalla prima descrizione fatta da Sir James Parkinson [1], è ormai

ben stabilito che la malattia di Parkinson non si riduce alla solasintomatologia motoria (rigidità, bradicinesia, tremore). In effetti,durante l’evoluzione della malattia, la lesione motoria si accom-pagna a sintomi non motori (Tabella 1) derivanti da disturbidisautonomici (disturbi urinari, sessuali e digestivi, ipotensioneortostatica, disturbi della sudorazione e scialorrea), da disturbisensoriali (disosmia, dolori), da disturbi del sonno (frammenta-zione del sonno, insonnia di addormentamento, apnea del sonno,disturbi del comportamento del sonno paradosso, sonnolenzadiurna) e da disturbi psicocomportamentali (depressione, ansia,apatia, affaticamento, psicosi, disturbi cognitivi, demenza, con-dotte additive e disturbi dell’impulsività) [2–4].

Fra questi ultimi, la depressione partecipa pienamente al quadroclinico della malattia. La presenza di una sindrome depressiva neiparkinsoniani è stata segnalata per la prima volta da Benjamin Ballnel 1882 [5] ed è stata in seguito confermata da numerosi studi [6, 7].La depressione colpisce un numero importante di parkinsoniani:

EMC - Neurologia 1Volume 13 > n◦1 > febbraio 2013http://dx.doi.org/10.1016/S1634-7072(12)63928-2

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Tabella 1.Sintomi non motori della malattia di Parkinson [2, 4].

Disturbi disautonomici Disturbi sensoriali Disturbi del sonno Disturbi psicocomportamentali

UrinariSessualiDigestiviSudorazioneScialorreaDisfagiaIpotensione ortostatica

DisosmiaDolori

Frammentazione del sonnoInsonnia di addormentamentoApnea del sonnoDisturbi comportamentali del sonnoparadossoSonnolenza diurna

DepressioneAnsiaApatiaAsteniaPsicosiDisturbi cognitiviDemenzaCondotte additive e disturbidell’impulsività

essa accentua le conseguenze della malattia, influenza il gradodi disabilità, partecipa alla degradazione della qualità di vita deipazienti e complica la gestione della malattia [8, 9].

� Prevalenza della depressione econsiderazioni metodologiche

Nel corso degli ultimi vent’anni, un numero importante di studiha dimostrato che, nei pazienti parkinsoniani, sono frequente-mente osservati dei disturbi depressivi, con una prevalenza mediadel 40% circa [10], le cui stime variano tra il 2,7% e il 90%, aseconda degli studi [6, 7]. Come discusso altrove [6, 7], queste grandivariazioni di incidenza possono spiegarsi in base all’eterogeneitàdelle popolazioni di pazienti studiati, ma anche alla diversità dellemetodiche di valutazione della sintomatologia depressiva e deicriteri utilizzati per la diagnosi di depressione.

Oltre alla diagnosi clinica senza riferimento a un sistema dicriteri diagnostici, la diagnosi di depressione si basa sull’utilizzodei criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disor-ders (DSM) [11], ma anche di scale di depressione, quali le scaledi Hamilton (Hamilton Depression Rating Scale, HDRS) [12] e diMontgomery e Asberg (Montgomery-Asberg Depression RatingScale, MADRS) [13] e/o di autoquestionari come il Beck DepressionInventory (BDI) [14, 15]. Scale e questionari permettono di quan-tificare, grazie alla determinazione di un punteggio, i sintomidepressivi, anche nei pazienti che non rispondono ai criteri didepressione maggiore, e di formulare la diagnosi di depressione,grazie alla definizione di un punteggio «soglia». Tuttavia, i valorisoglia non sono standardizzati e possono differire secondo glistudi [6], introducendo, così, un fattore di variabilità importanteper la valutazione delle prevalenze. Inoltre, alcuni di questi stru-menti comportano degli elementi somatici (disturbi del sonno,astenia, rallentamento, perdita di peso, disturbi sessuali, ecc.) chepossono essere modificati dalla malattia di Parkinson stessa, con-ducendo, così, a una sovrastima dei sintomi depressivi [14].

In linea generale, a differenza degli studi antichi, in cui circail 50% dei parkinsoniani depressi soddisfaceva i criteri di statodepressivo maggiore [7, 16], i lavori più recenti, beneficiando di unametodologia più rigorosa, forniscono delle prevalenze inferiori.Così, nei due studi su popolazione basati su 73 [17] e 235 [18] par-kinsoniani, la prevalenza di depressione maggiore secondo i criteridella 3a edizione riveduta del DSM (DSM III-R) era rispettivamentedel 2,7% e del 7,7%, mentre sintomi depressivi poco intensi eranopresenti nel 31,5% e nel 45,3% dei pazienti in ciascuno studio,rispettivamente. Infine, il tasso globale di soggetti depressi inquesti due studi era rispettivamente del 34,2% e del 53%. Preva-lenze simili (depressione maggiore: 7,9%; sintomi depressivi daleggeri a moderati: 40% della popolazione studiata) sono stateriferite recentemente in uno studio giapponese basato su 105 par-kinsoniani seguiti ambulatorialmente e valutati con l’ausilio delBDI e del DSM IV [19]. Un altro studio di popolazione basato su97 parkinsoniani ha segnalato, sulla base dell’autoquestionarioBDI, una depressione maggiore nel 9,3% (punteggio superiorea 24), moderata nel 10,3% (punteggio: 18-23) e poco intensanel 36,1% (punteggio: 9-17) dei pazienti, con una prevalenzaglobale del 55,7% [20]. Più recentemente, lo studio di Althauset al. [16], basato su 226 pazienti parkinsoniani seguiti in ambu-

latorio medico, ha identificato, sulla base della scala di MADRS,la presenza di sintomi depressivi che vanno da lievi a gravi (pun-teggio: 18-34) nell’8,9% dei pazienti e poco intensi (punteggio:9-17) nel 26,5% dei pazienti, con la prevalenza globale della sin-tomatologia depressiva pari al 35%. È interessante notare che unarevisione della letteratura, che ha valutato 45 studi pubblicati tra il1922 e il 1998, ha permesso di individuare 11 studi, pubblicati trail 1984 e il 1998 e che utilizzavano i criteri del DSM III e del DSMIII-R, per la diagnosi di depressione nei parkinsoniani [10]. L’analisidi questi lavori rivela una depressione maggiore nel 24,8% dellapopolazione (278/1 119 pazienti), una depressione minore nel36,6% della popolazione (155/423 pazienti) e un semplice disor-dine distimico nel 22,5% della popolazione (48/213 pazienti).Infine, quando le tre categorie di disturbi depressivi erano riu-nite, si otteneva una prevalenza del 42,4% (500/1 179 pazienti).Una metanalisi più recente [7], che utilizza, come nell’articolo pre-cedente [10], i criteri del DSM per la diagnosi di depressione neiparkinsoniani, ha segnalato delle prevalenze leggermente inferioriin seguito all’analisi di 36 studi scelti fra 104. Una depressionegrave, moderata, oppure un semplice disordine distimico eranoosservati, rispettivamente, nel 17%, nel 22% e nel 13% della popo-lazione studiata, e la prevalenza globale, sommando insieme tuttii disturbi, era del 35%. Inoltre, l’analisi di sottogruppi di pazientiinclusi nella metanalisi ha dimostrato che i valori di prevalenzadei disturbi depressivi maggiori nonché dei sintomi depressivi glo-bali erano più elevati per il gruppo di pazienti ricoverati o seguitiambulatorialmente che nella popolazione generale (depressionemaggiore 21,7% e 24% contro l’8,1%, sintomi depressivi globali54,3% e 40,4% contro il 10,8%, rispettivamente).

In conclusione, sulla base dei lavori discussi sopra, si può rite-nere che, nei pazienti parkinsoniani, la prevalenza delle sindromidepressive caratterizzate («maggiori») rimane debole (inferiore al20%), mentre quella dei sintomi depressivi, di intensità da debolea moderata, è più elevata (superiore o uguale al 40%). In accordocon questa conclusione, uno studio recente [21], basato su 256 par-kinsoniani seguiti ambulatorialmente, ha riferito delle prevalenzedi depressione (valutata con l’ausilio dell’autoquestionario BDI)maggiore e minore del 36,6% e del 12,9%, rispettivamente. Inlinea generale, la prevalenza della depressione sarebbe più elevatanei pazienti parkinsoniani che in una popolazione della stessaetà [22] o in pazienti che presentano un grado di disabilità parago-nabile dovuto a una malattia invalidante [23]. È stato recentementeriferito che, rispetto a una popolazione controllo di soggetti nonparkinsoniani accoppiati per età e sesso, i parkinsoniani hannoun rischio due volte più elevato di sviluppare una depressione [24],e un’età più giovane e una durata più lunga della malattia pos-sono rappresentare dei fattori predittivi [25]. In accordo con lestrette relazioni tra disfunzione cerebrale sinistra (corteccia fron-tale e temporale e putamen anteriore) e depressione, anche uninizio di malattia di Parkinson che interessa l’emisoma destroè stato proposto come fattore predittivo di depressione, benchél’esistenza di dati contraddittori non permetta di concludere suquesto punto [26, 27]. I sintomi depressivi possono anche prece-dere la comparsa della sintomatologia motoria [28–30], ma se deiprecedenti di depressione espongano a un rischio più elevato disviluppare in seguito una malattia di Parkinson resta discusso inletteratura [25, 26, 29–31]. Nei parkinsoniani, la prevalenza dei sintomidepressivi sarebbe superiore nelle donne [32], ma sono stati descrittianche dei tassi simili tra i due sessi [16, 18, 21]. Se il sesso femminile

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costituisca un fattore di rischio per la depressione nei parkinso-niani resta una questione aperta [16, 21, 25, 26, 33]. Infine, l’esistenzadi una sindrome depressiva nel corso della malattia rappresen-terebbe un fattore di prognosi sfavorevole [34].

� Scale, autoquestionari divalutazione e diagnosi

Scale e autoquestionari, secondo la loro vocazione iniziale,hanno come obiettivo, una volta stabilita la diagnosi di depres-sione in funzione dei criteri del DSM, di quantificare la gravitàe la profondità dei sintomi depressivi e di valutare l’efficacia diun eventuale trattamento antidepressivo. Questi strumenti sonousati anche per lo screening della depressione con l’ausilio dipunteggi soglia [14]. Tuttavia, il loro utilizzo come strumento diag-nostico, benché diffuso in letteratura, non è raccomandato [14, 35].In effetti, la diagnosi di depressione rimane clinica e si basa suun’intervista fondata sui criteri del DSM, la cui ultima versioneriveduta (DSM IV-R) è stata pubblicata nel 2000 [11]. Il DSM, ben-ché non sia al riparo dalle critiche [36], resta il gold standard inquesto settore [14, 37]. Effettivamente, un nuovo studio [37] basato su259 pazienti parkinsoniani, con l’ausilio di una metodologia stati-stica adeguata (latent class analysis), ha confermato la validità deicriteri del DSM IV per la diagnosi di depressione maggiore, propo-nendo che l’insieme dei nuovo criteri dovrebbe essere mantenutoimmodificato nella prossima versione del DSM, al contrario diuno studio precedente che suggerisce la rimozione delle vociconcernenti il rallentamento psicomotorio e il deficit di concen-trazione [36].

Recentemente, un gruppo di esperti nominato dalla MovementDisorder Society [14] ha censito le scale di depressione disponi-bili, al fine di identificare quelle più appropriate per un utilizzonei pazienti parkinsoniani. Tra le nuove scale identificate nellevarie pubblicazioni, si devono segnalare la scala HDRS e MADRSe l’autoquestionario BDI.

La HDRS, frequentemente utilizzata nella sua forma a 17 voci(con punteggi da 0 a 2 o da 0 a 4, punteggio massimo: 52), è unascala di misurazione della gravità di una depressione. Criticataper il suo aspetto pluridimensionale, la presenza di un numeroimportante di voci somatiche e l’incompleta copertura dei criteridel DSM IV, essa possiede buone sensibilità e specificità, similia quelle della MADRS e superiori a quelle del BDI, e permetteuna buona correlazione con gli indicatori laboratoristici delladepressione.

La MADRS (10 voci con punteggio 0, 2, 4 o 6, punteggiomassimo: 60), concepita anch’essa per valutare la gravità di unadepressione, si basa più specificamente sull’aspetto psichico dellasindrome depressiva. Poco contaminata dalle voci somatiche, essaricopre la quasi totalità dei criteri di episodio depressivo mag-giore del DSM IV (a eccezione dell’agitazione o del rallentamentopsicomotorio e dell’inversione dei sintomi neurovegetativi comel’ipersonnia e l’aumento dell’appetito) e possiede una sensibilitàe una specificità paragonabili a quelle della HDRS. Tanto la HDRS-17 che la MADRS sono state validate rispetto ai criteri DSM IVdi episodio depressivo maggiore nei pazienti parkinsoniani [14].Entrambe le scale hanno dimostrato buone sensibilità e specificitàper la misurazione dei sintomi depressivi. Esse si sono rivelate effi-caci non solo per lo screening della depressione (punteggi sogliadi 11/12 e 14/15 per la HDRS-17 e la MADRS, rispettivamente),ma anche, benché teoricamente non concepite a scopo diagno-stico, per la diagnosi di disturbo depressivo maggiore (punteggisoglia di 16/17 e 17/18 per la HDRS-17 e la MADRS, rispettiva-mente), con una lieve superiorità della HDRS sulla MADRS. Unostudio recente [38] ha valutato l’influenza dei sintomi somatici sulleprestazioni delle due scale nei parkinsoniani, dopo l’eliminazionedelle voci somatiche (nove per la HDRS e quattro per la MADRS).L’eliminazione di queste voci ha causato una riduzione della spe-cificità (capacità diagnostica) per le due scale e un aumento dellasensibilità (capacità di screening) per la MADRS. È interessantenotare che due tra le quattro voci eliminate nella versione sem-plificata della MADRS (voce 4, riduzione del sonno, e voce 7,stanchezza) si rivelano essere positivamente correlate alla gravità

del disturbo motorio, il che indica che esse potrebbero essereinfluenzate anche dai sintomi motori della malattia di Parkin-son [39]. Benché le versioni semplificate di queste scale si rivelinoefficaci per lo screening della depressione, esse forniscono menoinformazioni sulla gravità della depressione e rendono difficili iconfronti con altri studi.

Il BDI è un autoquestionario a 21 voci (punteggi da 0 a 3,punteggio massimo: 63) che misura la profondità di una depres-sione, esplorando gli aspetti emotivi, comportamentali, cognitivie somatici. Malgrado la presenza di voci che possono essereinfluenzate allo stesso tempo dalla depressione e dalla malattiadi Parkinson, questa scala resta valida e affidabile per lo screeninge la misurazione della gravità della depressione (punteggio sogliaconsigliato: 14/15) nei parkinsoniani [14].

Anche la Geriatric Depression Scale (GDS) [40] nelle sue versionia 15 (GDS-15) o a 30 (GDS-30) voci (punteggio 0 o 1) è statapresa in considerazione dal gruppo di esperti della MovementDisorder Society [14]. Questa scala si focalizza sugli aspetti psicolo-gici e sulle conseguenze sociali della depressione, evitando, così,possibili interferenze con i sintomi propri alla malattia di Parkin-son. La concordanza con i criteri del DSM IV è, tuttavia, limitata,in quanto essa non prende in considerazione i sintomi soma-tici e le idee suicide. Le prestazioni delle due versioni della GDSsono, in genere, simili. Malgrado le sue debolezze, la GDS si rivelaun buono strumento per lo screening della depressione nei par-kinsoniani di qualsiasi età [41], con prestazioni paragonabili allaHDRS [14]. Al contrario, il suo utilizzo non è raccomandato pervalutare la gravità della depressione [14].

La Unified Parkinson’s Disease Rating Scale [42] (UPDRS), note-vole per la valutazione e il follow-up motorio dei parkinsoniani,si rivela nettamente insufficiente per la valutazione della depres-sione (parte I, voce 3) e richiede di essere completata daun’impostazione clinica e/o dall’utilizzo di altre scale [14]. Nono-stante ciò, malgrado dati contraddittori [43], la UPDRS è statarecentemente proposta come strumento di screening (punteggiosoglia voce 3 superiore o uguale a 2) della depressione nei parkin-soniani, con buone sensibilità e specificità rispetto ai criteri delDSM IV [44].

Infine, secondo il gruppo di esperti della Movement DisorderSociety, altre scale, quali la Hospital Anxiety and Depression Scale(HADS) [45], la Zung Self-rating Depression Scale (SDS), la Cornellscale for Depression in Dementia e la Center for Epidemiolo-gic Studies Depression Scale (CES-D), anche se potenzialmenteinteressanti, richiedono una validazione supplementare primadel loro utilizzo nei parkinsoniani [14]. Recentemente, uno studiobasato su 387 pazienti parkinsoniani ha confermato l’interessepotenziale della HADS, mostrando che si tratta di una scala validae precisa per un utilizzo nei parkinsoniani [46].

In conclusione, la maggior parte degli strumenti di valutazionedell’intensità della sintomatologia depressiva include delle vocisomatiche presenti anche nei parkinsoniani e, inoltre, i pun-teggi soglia abitualmente proposti per questi strumenti non sonosempre validi nei parkinsoniani e richiedono un aggiustamentoappropriato [14]. Le scale HDRS, BDI, MADRS e GDS, validate perun utilizzo nei parkinsoniani [8, 14, 47], sono adatte per obiettivi discreening, mentre la HDRS, la MADRS e il BDI sono consigliatiper la misurazione della gravità dei sintomi depressivi. Infine, ladiagnosi di depressione rimane clinica e si basa su un’intervistaincentrata sui criteri del DSM IV [14, 37].

� Aspetti cliniciDepressione

Nel corso della malattia di Parkinson, la sintomatologia depres-siva non evolve in maniera cronica, ma, in genere, si manifestain due momenti precisi: all’inizio della malattia, in un momentovicino alla diagnosi, e più tardivamente, al momento del peg-gioramento della sindrome parkinsoniana [48]. La diagnosi didepressione nel paziente parkinsoniano è un processo delicato,a causa della difficoltà di riconoscere la malattia di Parkin-son sotto la depressione e/o la depressione sotto la malattia diParkinson, e questo punto ha delle conseguenze terapeutiche

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Tabella 2.Sintomi comuni e specifici della sindrome parkinsoniana e della depres-sione [4, 37, 50].

Sindromeparkinsoniana

Sintomi comuni Depressione

AcinesiaRigiditàTremore a riposo

RallentamentomotorioBradipsichiaApatiaPerdita dienergiaStanchezzaPerdita diiniziativa e diinteresseLabilità emotivaPerdita di pesoFrammentazionedel sonno

DisforiaRipiegamento sudi séDisturbo delsonno(aggravamento)TristezzaAnedoniaPessimismoIrritabilitàIdee suicideSentimenti dicolpa, diautoaccusa, dipunizione a

Tentativi disuicidio a

a Poco frequenti nei parkinsoniani depressi.

fondamentali. In effetti, se, all’inizio della malattia, vi è unatendenza naturale a ipertrattare la depressione inaugurale (checolpisce il 20-30% dei pazienti) e a ipotrattare la sindrome par-kinsoniana, viceversa, negli stadi avanzati della malattia, vi èuna tendenza a ignorare e a ipotrattare la depressione, tanto isegni motori attirano prioritariamente lo sforzo terapeutico [49].Noi abbiamo visto (cfr. supra) che la situazione è tanto più diffi-cile se si considera l’esistenza di sintomi comuni tra depressione,in particolare, episodio depressivo maggiore o melancolia, e sin-drome parkinsoniana: rallentamento motorio (facies inespressiva,rallentamento dei gesti che può arrivare fino alla catatonia), bradi-psichismo, apatia, perdita di energia, astenia, perdita di iniziativae di interesse, labilità emotiva, perdita di peso e frammentazionedel sonno (Tabella 2) [8, 28, 37, 50].

Così, i problemi diagnostici legati alla depressione sono diversisecondo lo stadio della malattia. All’inizio della malattia, quandola depressione è inaugurale, è importante dedicarsi a riconoscerei segni propri alla malattia di Parkinson: bradicinesia, rigiditàe tremore a riposo [4]. L’acinesia, sintomo cardinale, comprendenon soltanto una riduzione dei movimenti spontanei (acinesia),ma anche una perdita dell’ampiezza (ipocinesia) e della velocitàdel movimento (bradicinesia), con altri due segni cardinali chesono la stanchezza precoce e le interruzioni nel movimento. Que-sti segni sono valutati al meglio con movimenti distali rapidi(apertura/chiusura della mano, prono-supinazioni, tamburella-mento e opposizione delle dita, movimenti ritmici degli artiinferiori). La rigidità è tipicamente, ma non necessariamente, a«ruota dentata», cedendo a scatti e rinforzandosi con movimenticontrolaterali (segno del «polso fisso di Froment»). Il tremoreè presente nel 70% dei casi e costituisce un indice diagnosticomaggiore quando è «tipico» lento, a riposo, attivato dalle emo-zioni sotto forma di gesti di «sbriciolamento» e, anche, spessopresente a livello del fiocco del mento e degli arti inferiori. Lapresenza di questi segni caratteristici permette di porre la dia-gnosi. Anche l’asimmetria dei segni, la perdita dell’oscillazionedi un braccio alla deambulazione, la presenza di una micro-grafia, l’atteggiamento anteflesso, l’irrigidimento cinetico e lefestinazioni rappresentano dei segni tipici recidivanti (cfr. leraccomandazioni dell’Agence nationale pour le développementde l’évaluation médicale e dell’Agence nationale d’analyse etd’évaluation des soins [51]). Riassumendo, se la depressione è inau-gurale, la diagnosi di malattia di Parkinson può essere difficile inassenza di segni diagnostici principali (tremori), e la lentezza par-kinsoniana si può confondere con il rallentamento depressivo. Alcontrario, a uno stadio tardivo della malattia di Parkinson, è ladiagnosi di depressione che può essere a volte difficile, non soloa causa della sovrapposizione di alcuni sintomi delle due patolo-

gie, ma anche a causa delle difficoltà di comunicazione (ipofonia,disartria, tendenza a ripiegarsi su di sé), che ostacolano la valuta-zione dell’umore.

Pertanto, per non ignorare una sintomatologia depressiva nelparkinsoniano, occorre astrarsi dai segni somatici ricorrenti e dedi-carsi a riconoscere i segni psichici della depressione. La disforia,il ripiegamento su di sé, l’aggravamento dei disturbi del sonno,la tristezza, l’anedonia, il pessimismo, l’irritabilità e le idee sui-cide sono, secondo la letteratura, più frequenti dei sentimentidi colpa, di autoaccusa e di punizione e dei tentativi di sui-cidio [8, 26, 28, 37, 50, 52]. Le variazioni improvvise dell’umore che siverificano nel corso dei periodi on-off sono molto specifiche dellamalattia con fluttuazioni motorie [53].

Anche l’associazione a sintomi ansiosi marcati è caratteristica, edue terzi dei parkinsoniani depressi presentano anche dei disturbiansiosi che possono assumere l’aspetto di un’ansia generalizzata,di attacco di panico o di disturbi fobici [28, 48, 54]. Inoltre, comeper la sintomatologia depressiva, dei quadri ansiosi possono asso-ciarsi alle fluttuazioni motorie e/o precederle [53]. Lo stato off puòdeterminare veri attacchi di panico con malesseri e disturbi vege-tativi (sudorazioni, dispnea, tachicardia, palpitazioni, nausee, maanche parestesie e dolori toracici) e segni psichiatrici (agitazione,angoscia, paura di morire) [48, 53]. L’esistenza di una comorbilitàimportante tra ansia e depressione è stata ultimamente confer-mata da uno studio basato su 259 parkinsoniani, dove l’ansiaera presente nel 57% dei pazienti che soffrivano di una depres-sione grave, mentre era osservata solo nel 4% dei pazienti nondepressi [37]. Gli autori suggeriscono che, data la sua frequenzaelevata, l’ansia dovrebbe far parte dei criteri diagnostici di depres-sione nei pazienti parkinsoniani.

Infine è importante ricordare che un’alterazione delle funzionicognitive deve anche far ricercare una depressione sottostante,che può, talvolta, generare uno stato pseudodemenziale oaggravare una demenza sottostante. In effetti, nei pazienti par-kinsoniani è frequentemente osservata una sindrome demenziale,con una prevalenza che varia tra il 20 e il 40% [47]. La depressioneè un fattore di rischio per la demenza [47], e l’esistenza di disturbicognitivi è associata a un rischio aumentato di depressione [55].Inoltre, i parkinsoniani che soffrono di una depressione mag-giore presentano dei disturbi cognitivi più gravi dei pazienti nondepressi, in particolare a livello delle funzioni esecutive frontali edella memoria [56].

ApatiaNel corso degli ultimi anni, un’attenzione particolare è stata

posta sull’apatia e sulle sue embricazioni con la depressione. Ben-ché l’apatia sia stata a lungo considerata un semplice sintomodi altre patologie specifiche, quali la depressione, la demenza o,ancora, la schizofrenia (vedi DSM IV), è ormai ben stabilito cheessa rappresenta anche una sindrome a pieno titolo che traduce undisturbo della motivazione [57–59]. In realtà, l’apatia è definita comeuna perdita o una riduzione primaria della motivazione rispetto aun livello di funzionamento precedente, che si esprime nel campocomportamentale, cognitivo ed emozionale e che non può essereattribuita a un disturbo della coscienza, a un deficit intellettivoo a un distress emotivo [57]. Essa è caratterizzata da una perdita diinteresse e da una minore partecipazione alle attività della vitaquotidiana, da una mancanza di iniziativa e/o di perseveranza,da un’indifferenza verso sé e verso gli altri e da un appiattimentodegli affetti (monotonia dell’affettività, assenza di reattività emo-tiva agli eventi positivi o negativi). Più recentemente, sul pianooperativo, l’apatia è stata definita come la riduzione (rispetto allacondizione abituale del soggetto) dei comportamenti volontari ediretti verso un obiettivo [60].

I criteri di diagnosi per l’apatia sono stati recentemente vali-dati in diverse patologie neuropsichiatriche, compresa la malattiadi Parkinson [59, 61]. Inoltre, uno studio recente [62] ha identificatodue scale valide per lo screening e la valutazione della gra-vità dell’apatia nei pazienti parkinsoniani: l’Aphathy Scale (AS,14 voci), raccomandata per un’utilizzazione nella pratica cor-rente, e la Lille Apathy Rating Scale (LARS, 33 voci raggruppate

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in nove ambiti che corrispondono alle diverse manifestazioni cli-niche dell’apatia [63]), raccomandata nel quadro di lavori di ricerca.La voce 4 (motivazione/iniziativa) della parte I della UPDRS, ben-ché insufficiente per valutare gli aspetti emozionali dell’apatia,rimane valida a scopo di screening (punteggio soglia superiore ouguale a 2) [62].

L’apatia è frequentemente osservata nei pazienti parkinsoniani,con una prevalenza che varia tra il 17% e il 70% [62], in fun-zione della diversità delle metodiche di valutazione e dei criteridiagnostici e dell’eterogeneità delle popolazioni di pazienti stu-diati (inclusione di pazienti dementi e/o depressi). Così, unostudio, basato su 159 parkinsoniani (39 dementi e 120 nondementi, di cui 73 con fluttuazioni motorie) e su 58 soggetticontrollo, ha mostrato che l’apatia era presente solo nel 24,2%dei pazienti non dementi e nel 56,4% dei pazienti dementi [64].Peraltro, l’apatia non era associata né alla gravità dei disturbimotori né alla depressione (eccetto per le voci della MADRS chevalutano l’apatia). Infine, un’apatia è stata riscontrata nell’1,8%della popolazione controllo. In un altro studio [61], basato su 122parkinsoniani non dementi e che utilizzava i criteri diagnosticiproposti recentemente [59], l’apatia era riscontrata nel 17,2% deipazienti, associata a un episodio depressivo per un terzo deisoggetti (33,3%). Pedersen et al. [65], in uno studio di popola-zione basato su 232 parkinsoniani, hanno valutato le relazionitra apatia, demenza e depressione per determinare la frequenzadell’apatia in quanto sindrome indipendente. La diagnosi di apa-tia è stata posta per il 38% dei pazienti studiati; l’11% dellapopolazione presentava un’associazione dell’apatia con la depres-sione e la demenza, il 10% con la sola depressione e il 6,5%con la sola demenza. Un’apatia isolata è stata riscontrata nel 9%della popolazione studiata. L’apatia era significativamente asso-ciata con la gravità del deficit cognitivo, dei sintomi motori edella depressione (per le voci della MADRS che misurano la stan-chezza e l’incapacità di avere sensazioni). In un altro studio basatosu 164 parkinsoniani [66], l’apatia è stata riscontrata nel 32% deipazienti, associata a una depressione (83% dei pazienti apatici)e a una demenza (56% dei pazienti apatici) o isolata (13% deipazienti apatici). Infine, uno studio recente [67], basato su 175 par-kinsoniani ex novo, ha mostrato che l’apatia era presente nel 23%dei pazienti parkinsoniani, associata a sintomi depressivi in unterzo circa dei soggetti, mentre essa era assente nella popolazionecontrollo (165 soggetti). Ancora una volta, l’apatia era associatasignificativamente alla gravità dei disturbi motori. Infine, la pre-senza di un’elevata comorbilità tra apatia e depressione è stataconfermata in un nuovo studio basato su 259 parkinsoniani, incui l’apatia era presente nel 57% dei pazienti che soffrivano di unadepressione grave, mentre era osservata solo nel 23% dei pazientinon depressi [37].

Complessivamente, sulla base di studi che utilizzano dei cri-teri diagnostici e delle scale appropriati (Apathy Inventory [AI],LARS), la prevalenza dell’apatia nei parkinsoniani è del 30%circa (associazione frequente con sintomi depressivi e/o cogni-tivi), mentre una sindrome apatica isolata è riscontrata in unapercentuale più bassa di pazienti (circa 10%). In linea gene-rale, l’apatia si rivela fortemente legata alla gravità della lesionecognitiva, in particolare nel settore esecutivo, e potrebbe rappre-sentare un fattore predittivo di demenza nei parkinsoniani [68].Benché l’apatia non sia generalmente collegata alla gravità deidisturbi motori [64, 69], un’associazione significativa, che suggeriscel’esistenza di un substrato fisiopatologico comune, è stata segna-lata da studi recenti [65, 67, 70]. Infine, non è sorprendente che apatiae depressione presentino una comorbilità relativamente elevata,data la frequenza della depressione nei parkinsoniani e l’esistenzadi una certa sovrapposizione semeiologica tra le due sindromi. Ineffetti, la maggior parte delle scale di depressione comporta dellevoci afferenti a sintomi comuni alle due patologie (perdita di inte-resse, rallentamento psicomotorio, stanchezza, perdita di energia,ipersonnia, assenza di perspicacia, perdita di speranza) [14], e laperdita di interesse rappresenta uno dei sintomi cardinali per ladiagnosi di depressione, che può essere formulata anche in assenzadi umore depresso [36, 37]. Questi fattori potrebbero, quindi, causareuna sottostima dell’apatia e, conseguentemente, una sopravva-lutazione delle sindromi depressive nei parkinsoniani. Malgradociò, sul piano semeiologico, esistono dei sintomi caratteristici

Tabella 3.Sintomi comuni e specifici della depressione e dell’apatia [37, 71].

Apatia Sintomi comuni Depressione

Assenza dimotivazioneMancanza diiniziativaRiduzione dellerisposte emotiveIndifferenzaAssenza diperseveranza

Perdita diinteresseRallentamentopsicomotorioStanchezzaPerdita dienergiaIpersonniaAssenza diperspicaciaPerdita disperanza

TristezzaPerdita dipiacere,anedoniaSensazione dicolpa, diautoaccusa, dipunizioneDevalorizzazionePessimismoIdee suicidePerdita diappetito

dell’apatia (assenza di motivazione e di iniziativa, riduzione dellerisposte emotive, indifferenza, assenza di perseveranza) che sioppongono a quelli propri alla depressione (tristezza, sensazionedi colpa, devalorizzazione, perdita di appetito, pessimismo, ideesuicide) (Tabella 3) [71]. La depressione è innanzitutto un disturbodell’umore, mentre l’apatia è un difetto primario della motiva-zione. Così, mentre il depresso vive in modo sofferto l’umoredisforico, il paziente apatico è indifferente al suo stato. Il pazientedepresso ha perduto la ricerca degli affetti positivi (perdita dipiacere, anedonia), ma rimane sensibile alle situazioni carichenegativamente. Al contrario, l’apatico presenta una riduzionedella risposta emotiva per gli affetti sia positivi che negativi. Ildepresso esprime dei pensieri negativi a proposito di se stesso e delsuo futuro (autoaccusa, lamentele somatiche, idee suicide), men-tre l’apatico accorda una scarsa importanza alle sue condizioni eai suoi obiettivi personali presenti o futuri.

In conclusione, l’apatia è un disturbo psico-comportamentalelegato a una disfunzione dei circuiti anatomici che colleganola corteccia frontale ai gangli della base [60, 72]; essa è osservatafrequentemente nei parkinsoniani, sia come sintomo associatoad altre patologie (depressione, demenza) che come sindromeisolata [69]. Grazie allo sviluppo di strumenti adatti (criteri dia-gnostici e scale di valutazione), è ormai possibile procedere auna valutazione sistematica di questo disturbo, il che, a ter-mine, potrebbe permettere un miglioramento della sua gestioneterapeutica attualmente limitata [69]. Uno studio recente in dia-gnostica per immagini funzionale ha mostrato che l’apatia, ladepressione e la gravità dei sintomi motori (valutati in con-dizioni di riposo in 22 parkinsoniani con l’aiuto delle scaleLARS, HDRS e UPDRS) erano associate a schemi di alterazionianatomo-funzionali distinti (apatia: corteccia motoria supple-mentare sinistra, corteccia orbito-frontale destra e cortecciafrontale mediana destra; depressione: corteccia cingolata destra;gravità dei sintomi motori: putamen destro), sottolineando, così,il potenziale di questo approccio per gli studi di neurobiologiacomportamentale [73].

Stimolazione cerebrale profonda:depressione, apatia e rischio di suicidio

La stimolazione bilaterale ad alta frequenza del nucleo sub-talamico (NST) è attualmente considerata come la metodica dielezione per il trattamento delle forme avanzate della malattia diParkinson, con fluttuazioni motorie gravi [74]. Tuttavia, numeroseosservazioni hanno sottolineato che il miglioramento della sin-drome motoria può associarsi a complicanze psichiatriche, tra lequali si riscontrano delle sindromi confusionali (che si verificanonel periodo postoperatorio), degli stati maniacali (che compaionogeneralmente nei 6 mesi successivi all’intervento), delle depres-sioni, dei disturbi ansiosi e un’apatia (che compare generalmentea più lungo termine) [75]. In realtà, anche se nella maggioranzadei casi l’umore tende piuttosto a migliorare [76, 77], la comparsadi episodi depressivi e di riattivazioni di un’ansia generalizzata èstata segnalata in un numero variabile di pazienti (depressione:

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1,5-25%; ansia: 75%), indipendentemente dal risultato motoriodella stimolazione [75]. Inoltre, il trattamento mediante stimola-zione del NST è associato a un aumento dei decessi per suicidio [75],mentre la prevalenza dei suicidi nei parkinsoniani non operati ècirca dieci volte inferiore rispetto a quella riscontrata nella popola-zione generale (0,08% contro 0,8%, rispettivamente) [78]. In effetti,uno studio retrospettivo, basato su 5 311 parkinsoniani operati in55 centri internazionali e seguiti per 4 anni, ha recentementesegnalato che la percentuale di suicidi e di tentativi di suicidioera dello 0,5% e dello 0,9%, rispettivamente, con una frequenzamolto elevata di suicidi durante il primo anno postoperatorio(0,26%) [79].

L’origine di queste depressioni è multifattoriale, implicando iprecedenti del paziente (in particolare, un precedente di depres-sione grave), la stimolazione stessa, la riduzione del trattamentodopaminergico, il contesto sociale e familiare e una delusionerispetto a un’attesa di risultato non realistica [75]. Una depressionepostoperatoria, un isolamento sociale e dei precedenti premorbosidi disturbo del controllo degli impulsi e di addizione ai farmacidopaminergici sono i principali fattori di rischio di suicidio [79]. Sulpiano fisiopatologico, in accordo con le relazioni strette tra depres-sione e sistema serotoninergico [80], è stato recentemente propostoche la depressione e le condotte suicidarie che compaiono neipazienti trattati con stimolazione del NST siano in rapporto conuna riduzione dell’attività dei neuroni serotoninergici del nucleodorsale del rafe, generata indirettamente dalla stimolazione delNST [81].

Indipendentemente da ogni depressione, si osserva spessoanche un’apatia nei parkinsoniani trattati con stimolazione delNST. In effetti, benché possa, a volte, essere migliorata dalla stimo-lazione acuta del NST, l’apatia è presente nel 12-25% dei pazientidopo 3-5 anni di trattamento con stimolazione cronica delNST [75]. Sul piano fisiopatologico, malgrado meccanismi intimiche restano da precisare, diversi studi indicano che l’apatia sarebbein rapporto con la perdita del tono dopaminergico centrale,in particolare a livello del sistema mesocorticolimbico [72, 75, 82].In effetti, la riduzione dei trattamenti dopaminergici, legata albeneficio motorio prodotto dalla stimolazione, può fare insor-gere o aggravare un’apatia preesistente, che, d’altra parte, puòessere migliorata con il ripristino dei farmaci dopaminergici [83].Tuttavia, l’interruzione dei farmaci dopaminergici non sembraessere il solo fattore in causa, data l’assenza di relazione conla comparsa dell’apatia [84]. D’altra parte, è stato suggerito chel’apatia potrebbe essere una conseguenza diretta della stimola-zione del NST in occasione di una diffusione dello stimolo alivello della parte mediale del NST implicata nella regolazionedella rete limbica che controlla i processi emozionali e cogni-tivi [84]. A sfavore di questa ipotesi, la stimolazione della partelimbica del NST causa, piuttosto, degli episodi ipomaniacali [85].Uno studio recente, con diagnostica per immagini funzionale intomografia per emissione di positroni associata alla TC (PET-TC),ha mostrato che l’apatia postoperatoria (generalmente associataalla depressione e all’ansia) era osservata solo nei parkinsonianiche presentavano una denervazione più importante del sistemadopaminergico mesocorticolimbico, che colpisce in particolarela corteccia orbitofrontale, la corteccia prefrontale dorsolate-rale, la corteccia cingolata posteriore, la corteccia temporale,nonché lo striato ventrale sinistro e l’amigdala destra [82]. È inte-ressante notare che questi risultati sottolineano l’esistenza diun’eterogeneità individuale nella distribuzione delle lesioni cheinteressano i sistemi dopaminergici nigro-striatale e mesocortico-limbico, in cui le lesioni a livello del sistema limbico rendonoi soggetti più sensibili alle variazioni di dopamina (comparsa difluttuazioni non motorie) nonché allo sviluppo di una sindromeansiosodepressiva e di un’apatia. In effetti, le fluttuazioni nonmotorie (comprendenti dei sintomi in rapporto con la depres-sione, l’ansia e l’apatia) e l’esistenza di un punteggio elevatodi ansia nel preoperatorio erano dei fattori predisponenti allapresenza di apatia postoperatoria, con un rischio aumentato di2,5 volte. Inoltre, dato che una depressione era quasi esclusiva-mente presente nei pazienti apatici, gli autori suggeriscono che lapresenza di fluttuazioni non motorie nel preoperatorio potrebberappresentare un fattore di rischio per la comparsa di una depres-sione e del rischio di suicidio [82].

In conclusione, depressione, apatia e rischio di suicidio aumen-tato fanno parte delle complicanze psichiatriche frequentementeosservate nei parkinsoniani trattati con stimolazione bilateralead alta frequenza del NST. In particolare, il suicidio rappresentaun rischio di mortalità importante e potenzialmente evitabilein questi pazienti. È, dunque, imperativo procedere a una sele-zione rigorosa dei pazienti candidati all’intervento, valutando iprecedenti psichiatrici, così come a una sorveglianza postope-ratoria stretta dello stato psicologico dei pazienti che permettaun’individuazione precoce e una gestione efficace di un’eventualedepressione e del rischio di suicidio associato [79, 82].

� FisiopatologiaLa patogenesi e le basi neurobiologiche della depressione osser-

vata nel corso della malattia di Parkinson restano poco conosciutea tutt’oggi e l’implicazione di fattori organici e psicologici èdiscussa in letteratura [6, 10, 25, 33, 48, 86]. Numerosi argomenti clinici,anatomo-funzionali e neurochimici depongono a favore di basiorganiche. Così, la prevalenza della depressione è più elevata neiparkinsoniani rispetto a una popolazione di soggetti che presen-tano un grado di disabilità motoria simile legata a una malattiacronica [10, 23] (cfr. supra). Inoltre, la sua comparsa si rivela esserepoco legata alla durata dell’evoluzione e alla gravità dei segniextrapiramidali e della disabilità motoria [26, 33]. La depressione puòaccompagnare l’inizio della malattia di Parkinson [48], quando ildisturbo funzionale è limitato, o anche precedere la comparsadei disturbi motori [26, 28–30]. L’esistenza di un rapporto «organico»tra malattia di Parkinson e depressione è supportata anche dallapresenza di fluttuazioni simultanee dello stato motorio e dellostato timico [53]. Infine, il ruolo predisponente della personalitàpremorbosa del parkinsoniano, descritto come meticoloso, osses-sivo, rigido, introverso, ordinato e industrioso, resta discusso inletteratura [10].

Numerosi dati anatomofunzionali supportano l’idea che ladepressione presente nei parkinsoniani sia in rapporto con unadisfunzione cerebrale, che può interessare diverse regioni (cor-teccia frontale, orbitoinferiore, cingolata e temporale, talamomediodorsale, sistema limbico, gangli della base) coinvolte nellaregolazione dell’umore e delle risposte affettive ed emotive [60, 72].Così, degli studi in tomografia per emissione di positroni hannomostrato l’esistenza di un ipometabolismo corticale (cortecciaprefrontale, orbitofrontale e cingolata, nuclei caudati) più impor-tante nei pazienti parkinsoniani depressi che in quelli nondepressi [26, 72, 87]. Sono state segnalate anche, in base a studi di dia-gnostica per immagini funzionale, delle alterazioni morfologichee funzionali a livello del talamo mediodorsale, della corteccia pre-frontale mediana, orbitofrontale inferiore e temporale, correlatenegativamente con la gravità della depressione, nei parkinso-niani depressi [72]. Inoltre, un’osservazione singolare che riferivala comparsa di una sindrome depressiva acuta e reversibile dopola stimolazione ad alta frequenza della sostanza nera reticolataha permesso di dimostrare che un’alterazione del funzionamentodei gangli della base può essere all’origine di sintomi depressiviosservati nel corso della malattia di Parkinson [88].

Sul piano neurochimico, la lesione dei sistemi monoaminer-gici centrali (serotonina [5-HT], dopamina [DA], noradrenalina[NA]), tipicamente implicati nella patogenesi della depressioneendogena [89], è stata ipotizzata anche nella comparsa della sinto-matologia depressiva nei parkinsoniani [26]. L’implicazione della5-HT è stata inizialmente proposta dall’equipe di R. Mayeux [90]

sulla base di loro lavori che mostravano una diminuzione piùimportante dei tassi di acido 5-idrossi-indol-acetico (5-HIAA), unmetabolita della 5-HT, nel liquido cerebrospinale dei pazientiparkinsoniani depressi e non depressi. Degli studi post-mortemhanno, in seguito, rivelato che la perdita dei neuroni 5-HT delnucleo dorsale del rafe è più grave nei parkinsoniani depressi [26].Recentemente, degli studi in PET, usando un ligando alta-mente selettivo per il trasportatore della 5-HT, [11C]DASB, hannomostrato che, nei pazienti parkinsoniani, la depressione era posi-tivamente associata a un aumento dei siti del trasportatore della5-HT all’interno di diverse regioni cerebrali (corteccia prefron-

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tale, dorso-laterale e cingolata posteriore, amigdala, ipotalamo,nuclei caudati, rafe dorsale), che testimonia indirettamente unarisposta adattativa che induce una riduzione diffusa della tra-smissione 5-HT centrale [72, 91]. È interessante rilevare che è statoipotizzato che fattori di suscettibilità genetica, che regolano ilgene che codifica per il trasportatore della 5-HT (polimorfismofunzionale), potrebbero essere coinvolti nella comparsa di una sin-drome depressiva nei parkinsoniani. In effetti, uno studio pilota,basato su 32 parkinsoniani, ha mostrato che la sintomatologiadepressiva era legata alla presenza della forma corta dell’allele deltrasportatore della 5-HT [92]. Tuttavia, questo risultato non è statoconfermato da studi successivi basati su un numero più grande dipazienti [26].

Benché un malfunzionamento del sistema 5-HT centrale siastato a lungo considerato un fattore fondamentale nella pato-genesi della depressione nei parkinsoniani, il suo ruolo è statorimesso in discussione da diversi studi che depongono a favore delcoinvolgimento privilegiato dei sistemi NA e DA [26, 93–95]. L’ipotesiche un’alterazione dei neuroni NA e DA possa contribuire allacomparsa della depressione nei parkinsoniani è proposta da lungotempo in letteratura [10, 26, 33, 87]. Così, diversi dati indicano che ineuroni NA localizzati all’interno del locus ceruleus sono colpitinella malattia di Parkinson e che le lesioni osservate sono piùimportanti nei soggetti che presentano una depressione [10, 26, 33, 87].D’altra parte, il deficit DA sarebbe in rapporto con la degene-razione preferenziale di una popolazione particolare di neuroniDA localizzati nell’area tegmento-ventrale e che si proiettano sustrutture cerebrali (corteccia prefrontale e orbitofrontale, strutturelimbiche) implicate nel controllo dell’umore [10, 26, 33, 87]. Inoltre,la perdita di questi neuroni DA si rivela essere particolarmenteaccentuata nei pazienti che hanno presentato una sindromedepressiva nel corso della loro malattia [26, 33, 87]. In accordo conquesti risultati, studi recenti in tomografia di emissione mono-fotonica (TEMP), usando un ligando del trasportatore della DA,[123F] FP-CIT, hanno mostrato che, nei pazienti parkinsoniani, ladepressione era associata a una diminuzione più marcata delladenervazione DA all’interno dello striato, del talamo e del mesen-cefalo [26, 72]. Tuttavia, questi risultati non sono stati riscontrati inaltri studi che mostrano, viceversa, un aumento dei siti del tra-sportatore DA nel nucleo caudato sinistro e nel putamen destrodei parkinsoniani depressi [72]. L’eterogeneità delle popolazioni dipazienti studiati e selezionati, le metodologie impiegate e la selet-tività e la specificità dei ligandi utilizzati potrebbero in partespiegare questi risultati contraddittori [72, 96]. Infine, uno studioin PET, usando un ligando selettivo per i trasportatori della NAe della DA, [11C] RTI-32, ha mostrato che, nei pazienti parkin-soniani, la depressione era associata a una riduzione specificadell’innervazione NA e DA di diverse strutture, corticali e sotto-corticali, del sistema limbico, compresi la corteccia cingolata, iltalamo, l’amigdala e lo striato ventrale [93]. È interessante rilevareche la riduzione dell’innervazione NA e DA a livello dello striatoventrale era inversamente correlata con il livello di apatia e conla gravità della depressione osservati nei pazienti [93]. In accordocon l’ipotesi che la depressione nei parkinsoniani sarebbe piutto-sto in rapporto con una disfunzione dei sistemi catecolaminergici(NA, DA) che del sistema 5-HT, studi recenti hanno mostrato chegli antidepressivi a effetto NA, quali alcuni triciclici (nortripti-lina, desipramina) e gli inibitori misti del reuptake della NA edella 5-HT (IRSN), sarebbero più efficaci degli inibitori selettividel reuptake della 5-HT (ISRS) per il trattamento dei parkinsonianidepressi [26, 95]. Analogamente, anche il solo trattamento DA puòrivelarsi efficace per migliorare la sintomatologia depressiva neiparkinsoniani [26, 95].

Infine, è interessante notare che altri meccanismi potrebberopartecipare alla patogenesi della depressione nei parkinsoniani.In effetti, uno studio pilota in PET, basato su 28 parkinso-niani, ha recentemente sottolineato il possibile coinvolgimentodel sistema colinergico, in quanto la sintomatologia depres-siva era positivamente associata alla denervazione colinergicacorticale [97]. Anche l’implicazione di un’alterazione del metabo-lismo dell’omocisteina è stata proposta in uno studio che mostrauna riduzione dei tassi plasmatici di acido folico, una vitaminaidrosolubile implicata nella metilazione dell’omocisteina, nei par-kinsoniani depressi rispetto a quelli non depressi [98].

Si deve anche considerare il ruolo dei fattori psicolo-gici [6, 10, 25, 33, 48, 86]. In effetti, nei parkinsoniani, la depressione èpiù fortemente associata alla disabilità funzionale che alla gravitàdei segni fisici [20, 99]. Un tale meccanismo reattivo può svolgereun ruolo importante nell’emersione della sindrome depressiva,almeno in alcuni pazienti. All’inizio della malattia, al momentodella rivelazione della diagnosi nel soggetto giovane, dei senti-menti negativi sull’effetto deleterio della malattia sulla carrierae sulla qualità di vita e sull’invecchiamento prematuro possonopartecipare allo sviluppo della depressione. Più tardivamente, ladepressione può essere una reazione all’esistenza di un livelloelevato di disturbo funzionale e/o di disabilità o in caso di dete-rioramento rapido dello stato motorio [99].

In conclusione, i meccanismi intimi che sottintendonol’origine della depressione osservata nel corso della malattia diParkinson restano da identificare. I dati disponibili a tutt’oggiindicano che si tratta presumibilmente di una sindrome speci-fica derivante dall’interazione di numerosi fattori [26], allo stessotempo organici, che implicano, secondo gli studi più recenti [93, 95],una disfunzione catecolaminergica (NA e DA) e del sistemalimbico, e psicologici; questi ultimi devono prendere in consi-derazione le conseguenze globali della malattia di Parkinson sullaqualità di vita del paziente piuttosto che la gravità dei disturbineurologici [20, 99].

� Trattamenti antidepressiviA tutt’oggi, sono stati realizzati pochi studi terapeutici con-

trollati, incentrati sul trattamento della depressione nei pazientiparkinsoniani, e i dati disponibili provengono soprattuttoda osservazioni di casi singoli e da studi in aperto [100, 101].L’interpretazione di questi studi rimane problematica, poichéessi non prendono in considerazione l’effetto placebo, notoper essere molto importante sia nei pazienti depressi che neiparkinsoniani [102]. Una limitazione supplementare deriva dallemetodologie utilizzate, quali l’utilizzo di scale di valutazione diffe-renti e difficilmente paragonabili e il reclutamento di un modestonumero di pazienti che presentano, inoltre, un livello eteroge-neo di malattia di Parkinson (stadi precoci, tardivi, presenza difluttuazioni motorie). In particolare, le fluttuazioni motorie pos-sono interferire in maniera molto significativa con la comparsa ela valutazione dei sintomi depressivi [53, 101]. Nei parkinsoniani, lasintomatologia depressiva è spesso non diagnosticata nella praticaclinica corrente e persiste in un numero importante di pazientiche ricevono un trattamento antidepressivo, probabilmente inap-propriato [101]. In realtà, attualmente, non esistono alcuno studioné alcuna raccomandazione che permettano di orientare la sceltadelle diverse classi di antidepressivi (inibitori della monoamino-ossidasi [IMAO], ISRS, IRSN) (Tabella 4), nel trattamento deipazienti parkinsoniani che soffrono di una depressione caratte-rizzata. È interessante notare che, negli ultimi anni, un numerocrescente di studi sottolinea il potenziale terapeutico degli agoni-sti DA in questo contesto.

Agonisti dopaminergiciIl coinvolgimento del sistema DA nella patogenesi della depres-

sione endogena è stato proposto da lungo tempo [103] e undeficit funzionale dei neuroni DA mesocortico-limbici (cfr. supra)potrebbe essere all’origine della sintomatologia depressiva (ane-donia, perdita di motivazione) nei parkinsoniani [10, 33, 93, 104]. Nonè, quindi, illogico interrogarsi sull’effetto antidepressivo dei far-maci dopaminergici tradizionalmente usati per trattare i sintomimotori della malattia di Parkinson. Benché alcuni studi anti-chi abbiano segnalato un miglioramento della sintomatologiadepressiva con la L-dopa o gli agonisti DA ergotici di primagenerazione (bromocriptina, pergolide), il loro beneficio tera-peutico rimane insufficiente [87]. Viceversa, dei lavori più recenti,tanto preclinici che clinici, hanno mostrato che alcuni agonistiDA non ergotici di seconda generazione (ropinirolo, prami-pexolo) possiedono delle proprietà antidepressive, che impli-cano presumibilmente un’azione preferenziale sul sottotipo di

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I – 17-062-A-13 � Depressione e malattia di Parkinson

Tabella 4.Farmaci antidepressivi disponibili in Francia: classificazione.

Classe DCI Nome commerciale

IMAO Iproniazide a

Moclobemide bMarsilid®

Moclamina®

Triciclici(imipraminici)

AmitriptilinaClomipraminaDosulepinaDoxepinaImipraminaTrimipramina

Laroxyl®

Anafranil®

Dosulepina®

Quitaxon®

Tofranil®

Surmontil®

ISRS CitalopramEscitalopramFluoxetinaFluvoxaminaParoxetinaSertralina

Seropram®

Seroplex®

Prozac®

Floxyfral®

Deroxat®

Zoloft®

IRSN DuloxetinaMinalcipramVenlafaxina

Cymbalta®

Ixel®

Effexor®

Altro Agomelatina c

Mianserina d

Mirtazapina e

Tianeptina f

Valdoxan®

Athymil®

Norcet®

Stablon®

DCI: denominazione comune internazionale; IMAO: inibitore dellamonoamino-ossidasi; ISRS: inibitore selettivo del reuptake della serotonina;IRSN: inibitore del reuptake della serotonina e della noradrenalina.a IMAO-A/B non selettivo, irreversibile.b IMAO-A selettivo, reversibile.c Agonista melatoninergico (recettori MT1, MT2) e antagonista dei recettori 5-HT2C.d Antagonista dei recettori noradrenergici �1 e �2, serotoninergici 5-HT2 e ista-minergici H1.e Antagonista dei recettori noradrenergici �2, serotoninergici 5-HT2 e 5-HT3 eistaminergici H1.f Induttore del reuptake della 5-HT.

recettore DA-D3, largamente rappresentato all’interno del sistemamesocorticolimbico [104, 105]. In effetti, ropinirolo e pramipexolopossiedono un’elevata specificità per la famiglia dei recettori DA-D2-like (D2, D3 e D4), con un’affinità preferenziale (pramipexoloverso ropinirolo) per il recettore DA-D3

[106].Innanzitutto, vari studi in aperto, realizzati su un basso

numero di pazienti non parkinsoniani, hanno mostrato cheil pramipexolo, in monoterapia, è efficace nel trattamento deidisturbi depressivi maggiori (monopolari o bipolari), così comedelle depressioni resistenti, in associazione con altri antidepres-sivi [28, 104, 105]. L’effetto antidepressivo del pramipexolo è statoconfermato in uno studio controllato in doppio cieco controplacebo realizzato su 174 pazienti che soffrono di depressionemaggiore, e il pramipexolo (1-5 mg/die) si rivela efficace quanto lafluoxetina (20 mg/die) [107]. Questi risultati positivi hanno spintoi ricercatori a valutare l’effetto antidepressivo del pramipexolonei parkinsoniani depressi. Così, uno studio prospettico multi-centrico randomizzato basato su 41 pazienti parkinsoniani conuna forma avanzata della malattia e una depressione lieve e/omoderata ha confrontato l’effetto del pramipexolo e del pergolide(un agonista DA-D1, D2) [108]. Mentre i due composti induce-vano un miglioramento analogo della sintomatologia motoria(UPDRS III), solo il pramipexolo era in grado di migliorare i sin-tomi depressivi (riduzione significativa del punteggio alla scala diMADRS). In maniera simile, un altro studio prospettico, basato su657 parkinsoniani che presentavano diversi stadi di gravità dellamalattia (scala di Hoehn & Yahr: I-V), ha mostrato che il prami-pexolo induceva una riduzione significativa dell’anedonia, unodei sintomi chiave della depressione [109]. Peraltro, il ropinirolo siè rivelato efficace anche per migliorare la sintomatologia depres-siva nei parkinsoniani, benché il suo effetto sia stato osservatosolo nei pazienti che presentano delle fluttuazioni motorie [105].Dato l’effetto positivo degli agonisti DA sui sintomi motori e ilfatto che i pazienti inclusi presentavano delle complicanze moto-rie (discinesie, fluttuazioni motorie), questi studi non permettono

di escludere la possibilità che l’effetto antidepressivo osservatosia secondario al miglioramento dei sintomi motori e che nonrappresenti un effetto primario specifico dell’agonista DA. Unaprima risposta a questa questione è stata fornita da uno studioin aperto che confrontava l’effetto antidepressivo del pramipe-xolo e della sertralina, un inibitore selettivo del reuptake della5-HT, in 67 pazienti parkinsoniani senza complicanze motorie,che presentavano uno stato depressivo maggiore secondo i cri-teri del DSM IV [110]: ancora una volta, il pramipexolo (dosemedia di 3,24 mg/die) si è rivelato efficace, mostrando un effettoantidepressivo simile a quello della sertralina (50 mg/die). Unametanalisi recente basata su sette studi controllati, che ha comeobiettivo primario lo studio della funzione motoria, ha valu-tato l’efficacia del pramipexolo sui disturbi dell’umore e dellamotivazione in pazienti parkinsoniani senza disturbi depressivimaggiori [111]. Questo studio ha evidenziato un odds ratio di 2,41(p < 0,001) e di 2,06 (p < 0,001) per il miglioramento della gravitàdei sintomi depressivi e motivazionali, valutati rispettivamentedalla voce 3 e 4 della scala UPDRS (parte I). Tuttavia, benchéquesto lavoro abbia rivelato un effetto benefico del pramipe-xolo, l’eterogeneità degli studi presi in considerazione (sei studisu sette comprendevano dei pazienti con fluttuazioni motorie)e la scarsa sensibilità della scala utilizzata per valutare i disturbidepressivi e motivazionali minimizzano il significato di questorisultato. Infine, l’efficacia antidepressiva del pramipexolo è statavalutata più specificamente in uno studio multicentrico inter-nazionale randomizzato in doppio cieco contro placebo, basatosu 296 pazienti parkinsoniani (stadio Hoehn & Yahr = I-III) senzafluttuazioni motorie e che presentavano dei sintomi depressivivalutati con le scale GDS-15 (punteggio superiore o uguale a5 all’inclusione) e UPDRS (voce 3-parte I: punteggio superiore ouguale a 2 all’inclusione) e l’autoquestionario BDI (criterio pri-mario di valutazione) [112]. I risultati ottenuti dopo 12 settimanedi trattamento hanno mostrato un effetto del pramipexolo (poso-logia media 2,18 mg/die) moderato (differenza media tra i gruppipramipexolo e placebo: DBI = -1,9 punti, UPDRS = -2,2 punti), masignificativamente superiore a quello del placebo sui sintomi tantodepressivi quanto motori. È interessante notare che l’utilizzo post-hoc di una metodologia statistica adeguata (path analysis) hapermesso di determinare che l’80% del miglioramento globaledella sintomatologia depressiva sarebbe legato a un effetto anti-depressivo diretto del pramipexolo, mentre il 20% del beneficiosarebbe attribuibile al suo effetto sulla funzione motoria. Inoltre,la riduzione dei sintomi depressivi e motori si è associata a unmiglioramento della qualità di vita dei pazienti (valutata dal Par-kinson disease questionnarie: PDQ-39), in particolare di quelli chericevono il prodotto attivo.

In conclusione, l’insieme dei lavori discussi qui indica chela stimolazione dopaminergica indotta dagli agonisti DA, cheagiscono preferenzialmente sui recettori DA-D3 (in particolareil pramipexolo), potrebbe avere un effetto positivo non solosulla motilità, ma anche sui sintomi depressivi, attraverso uneffetto diretto o indiretto (miglioramento della depressione reat-tiva all’invalidità motoria o che accompagna le fasi motorie off),e sulla qualità di vita dei pazienti parkinsoniani. Infine, si devesegnalare che un effetto antidepressivo può anche essere osser-vato in caso di utilizzo di altri agonisti DA ad azione preferenzialesui recettori DA-D3, come il piribedil o la rotigotina [106]. Tuttavia,benché l’azione antidepressiva del piribedil sia stata dimostratain un numero importante di studi preclinici, i pochi studi clinicidisponibili non permettono di concludere sulla sua efficacia neipazienti parkinsoniani [106]. Uno studio recente, che ha per obiet-tivo primario lo studio della funzione motoria e del sonno neipazienti parkinsoniani, ha riferito un miglioramento significativodella sintomatologia depressiva, valutata con l’autoquestionarioBDI, nei parkinsoniani trattati con la rotigotina [113].

Così, sul piano pratico, di fronte a un paziente parkinsonianoche presenta una sintomatologia depressiva, sarebbe interessanteinnanzitutto procedere a un’ottimizzazione del trattamento DA(aumento della posologia e/o aggiunta di un agonista DA), primadi considerare la prescrizione di un farmaco antidepressivo tradi-zionale, il che, inoltre, permetterebbe di ridurre il rischio di effettisecondari legati a una politerapia [105]. Per prevenire la comparsa didisturbi del controllo degli impulsi (addizione ai giochi, punding

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Depressione e malattia di Parkinson � I – 17-062-A-13

o comportamenti stereotipati complessi, ipersessualità, acquisticompulsivi, consumo compulsivo di cibi, sindrome di disregola-zione DA) indotti dagli agonisti DA [114], è importante identificarei pazienti a rischio con l’ausilio di una scala comportamentaleappropriata [115]. Ovviamente, l’utilizzo di un antidepressivo tra-dizionale si impone se i sintomi depressivi persistono nonostantel’ottimizzazione del trattamento DA o se la depressione è giudi-cata sufficientemente grave [2]. Infine, nel quadro di una malattiadi Parkinson avanzata, sarà necessario combinare il miglior con-trollo delle fluttuazioni motorie con il trattamento antidepressivo,scelto tenendo conto dei possibili effetti collaterali nel soggettoche ha un deficit cognitivo. Nella maggioranza dei casi, sarà neces-sario, quindi, considerare una gestione terapeutica globale delpaziente e trattare allo stesso tempo il deficit motorio e la depres-sione, se questa risponde ai criteri di episodio depressivo maggiore(DSM IV), cioè se è caratterizzata dall’acuità e dalla molteplicitàdi sintomi, tenendo conto della loro durata e del loro carattererecidivante. Il trattamento deve essere prolungato per almeno 4-6 mesi (raccomandazione ANDEM/ANAES 2002 [116]).

Antidepressivi classiciTra le varie classi farmacologiche di antidepressivi, i trici-

clici (inibitori misti del reuptake della 5-HT e della NA, conproprietà antagoniste dei recettori �1-noradrenergici, muscari-nici M e istaminergici H1), a disposizione dei medici da lungotempo, e gli ISRS, di disponibilità più recente, sono i più uti-lizzati nei parkinsoniani depressi [26, 117]. Diversi studi controllatiin doppio cieco hanno tutti concluso per l’efficacia dei triciclicitestati (nortriptilina, imipramina, desipramina) nei parkinsonianidepressi [6, 10, 118]. Questi risultati sono stati confermati da unametanalisi che valuta l’effetto degli antidepressivi nella depres-sione associata alla malattia di Parkinson [119]. L’analisi di 24 studicontrollati contro placebo, selezionati tra quelli pubblicati tra il1965 e il 2005 ha, in effetti, mostrato che i triciclici avevanoun’efficacia superiore rispetto a quella degli ISRS e degli IMAO(selegilina). Infine, l’efficacia dei triciclici è stata confermata negliultimi tempi da due studi randomizzati in cieco basati rispetti-vamente su 48 e 52 pazienti parkinsoniani depressi [120, 121]. Così,il primo studio [120], utilizzando la scala di MADRS, ha valutatol’efficacia a breve termine (14 e 30 giorni) della desipramina(75 mg/die), un triciclico, rispetto al citalopram (20 mg/die), unISRS, e al placebo. I risultati ottenuti hanno mostrato che solo ladesipramina era in grado di migliorare la sintomatologia depres-siva a breve termine (14 giorni). Al contrario, dopo un mese ditrattamento, i due antidepressivi dimostravano un’efficacia similee superiore al placebo, ma la frequenza di effetti secondari era,tuttavia, due volte più importante nel gruppo dei pazienti trat-tati con la desipramina. Il secondo studio [121], utilizzando la scalaHDRS, ha confrontato, dopo 8 settimane di trattamento, l’efficaciadella nortriptilina (dose media 48,5 mg/die), un altro triciclico,con quella della paroxetina (dose media 28,4 mg/die), un ISRS,e del placebo. I risultati ottenuti hanno mostrato ancora unavolta l’efficacia (miglioramento del punteggio della scala HDRSsuperiore o uguale al 50%) della nortriptilina (53%) rispetto alplacebo (24%), mentre l’effetto della paroxetina (11%) non erasuperiore a quello del placebo. I due composti sono stati com-plessivamente ben tollerati e la frequenza degli effetti secondariera leggermente superiore nel gruppo dei pazienti trattati con lanortriptilina.

Questi due studi indicano, da una parte, che gli ISRS non sonoefficaci quanto si crede comunemente e, dall’altra, che i triciclicinon sono necessariamente mal tollerati e che potrebbero rivelarsiutili, almeno per una sottopopolazione di pazienti parkinsonianidepressi. Tuttavia, è importante ricordare che l’utilizzo dei trici-clici è limitato dal rischio elevato di effetti collaterali legati alleloro proprietà alfabloccanti (disturbi cardiaci, ipotensione orto-statica), anticolinergiche (sindrome confusionale e allucinatoria)e antistaminergiche (sedazione, guadagno ponderale) [6, 33, 101]. Ineffetti, se le proprietà sedative di questi composti (amitripti-lina > doxepina > imipramina > desipramina > nortriptilina)possono essere utili in caso di manifestazioni ansiose predomi-nanti e di disturbi del sonno, le loro proprietà anticolinergiche

(amitriptilina > imipramina > doxepina > desipramina > nor-triptilina), anche se potenzialmente benefiche sul tremore o altrisintomi (pollachiuria, ipersalivazione), possono essere all’originedi effetti indesiderati seri (sindrome confusionale e allucinato-ria), limitando, così, il loro utilizzo nei soggetti più anziani ominorati [6, 122]. Naturalmente, queste considerazioni sottolineanoil potenziale terapeutico di alcuni antidepressivi di nuova gene-razione (non triciclici), come gli IRSN (venlafaxina, minalcipram,duloxetina, cfr. Tabella 4). In effetti, queste molecole, in seguitoal blocco del reuptake della NA e della 5-HT, sono in gradodi attivare la trasmissione NA e 5-HT centrale, senza provocaregli effetti secondari caratteristici dei composti triciclici [87, 123, 124].Così, questi composti potrebbero rivelarsi una scelta terapeuticainteressante per il trattamento della depressione nei pazienti par-kinsoniani, ma sono, tuttavia, necessari degli studi clinici pervalidare la loro efficacia in questo contesto [121]. Uno studio dicasi ha segnalato che il minalcipram (100 mg/die) ha prodottoun miglioramento dei sintomi depressivi in due pazienti parkin-soniani che presentavano una risposta insufficiente agli ISRS [125].Recentemente, uno studio randomizzato in doppio cieco con-tro placebo, basato su 115 parkinsoniani depressi, ha mostratoche la venlafaxina (dose media 121 mg/die) e la paroxetina(dose media 24 mg/die) generavano un miglioramento significa-tivo dei sintomi depressivi (valutati con la scala HDRS) rispettoal placebo. I due trattamenti sono stati complessivamente bentollerati e non hanno generato un aggravamento dei sintomimotori [126].

Gli ISRS si propongono ancora oggi come la classe farmacolo-gica di elezione nel trattamento della depressione associata allamalattia di Parkinson [26, 117]. La preferenza degli ISRS rispetto aitriciclici è verosimilmente legata alla loro migliore accettabilità(effetti cardiovascolari e anticolinergici scarsi o nulli) piuttostoche alla loro efficacia, che è, al massimo, simile a quella deitriciclici [6, 100, 118–120, 127]. Nonostante alcune osservazioni sporadi-che che hanno riferito un aggravamento o l’induzione di unasindrome parkinsoniana da parte degli ISRS, diversi studi basatisu un numero più grande di pazienti hanno ormai mostratoche l’effetto antidepressivo degli ISRS non si accompagna a undeterioramento della sintomatologia motoria nella stragrandemaggioranza dei pazienti [6, 33, 86, 118, 127–129]. Così, al momento dellaprescrizione degli ISRS, occorre esercitare una sorveglianza clinicaminima, in quanto è possibile che alcuni pazienti vadano ecce-zionalmente incontro a un aggravamento dei sintomi motori.Inoltre, a causa del rischio di reazioni ansiose acute, la loro prescri-zione è da evitare in caso di agitazione [6]. Infine, mentre l’efficaciaterapeutica degli ISRS nel trattamento della depressione endogenaè confermata [123], essa rimane ancora controversa nel quadro deltrattamento di pazienti parkinsoniani depressi. In effetti, l’analisidella letteratura rivela che l’efficacia degli ISRS nei parkinsonianidepressi si basa su un insieme di osservazioni di casi sporadici e distudi in aperto e/o prospettici, mentre pochissimi studi control-lati in doppio cieco sono stati realizzati a tutt’oggi [6, 26]. Questistudi in aperto propendono tutti per l’efficacia degli ISRS neiparkinsoniani depressi. Tuttavia, l’escitalopram, uno degli ultimiISRS arrivati sul mercato, ha dimostrato un’efficacia subottimalein uno studio in aperto basato su 14 parkinsoniani depressi [130].L’efficacia degli ISRS è stata confermata di recente da uno studioprospettico che valuta l’accettabilità e l’efficacia della sertralina in310 pazienti parkinsoniani depressi [129]. La sertralina (dose media66 mg/die) ha prodotto un miglioramento significativo della sin-tomatologia ansioso-depressiva (valutata con la scala HADS) senzacompromettere la risposta motoria (scala UPDRS, parte III). Lasituazione è ben diversa per quanto riguarda i risultati forniti daipochi studi controllati in doppio cieco disponibili [26]. In realtà,tre di essi [121, 131, 132] hanno concluso per l’assenza di effetti deivari ISRS testati (citalopram, sertralina, paroxetina) e solo uno [120]

ha mostrato che il citalopram aveva un’efficacia paragonabile aquella della desipramina dopo 30 giorni di trattamento. Infine,una recente metanalisi, basata sulla valutazione dell’efficacia edell’accettabilità degli ISRS nel trattamento della depressione neipazienti parkinsoniani, dopo l’analisi di dieci studi randomizzatie controllati (selezionati tra 412), non ha rilevato differenze signi-ficative tra placebo e ISRS [133]. Tuttavia, gli autori, giungendo alleconclusioni delle precedenti metanalisi [100, 119], suggeriscono che

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Tabella 5.Farmaci antidepressivi non disponibili in Francia.

DCI Azione farmacologica

Desipramina Inibitore del reuptake NA e 5-HT (triciclici)

Nortriptilina Inibitore del reuptake NA e 5-HT (triciclici)

Nefazodone Inibitore del reuptake 5-HT e NA, antagonistarecettori 5-HT2

Trazodone Inibitore del reuptake 5-HT, antagonista recettori5-HT2, noradrenergici �1 e istaminergici H1

Bupropion a Inibitore selettivo del reuptake NA e DA

Reboxetina Inibitore selettivo del reuptake NA

DCI: denominazione comune internazionale. NA: noradrenalina; 5-HT: 5-idrossitriptamina; DA: dopamina.a Disponibile in Francia per lo svezzamento tabagico (Zyban®), mancanza diautorizzazione all’immissione in commercio nel trattamento della depressione.

l’assenza di effetti degli ISRS potrebbe essere in rapporto con ilbasso numero di studi considerati, ciascuno dei quali comportavaun modesto numero di pazienti.

L’insieme dei dati discussi qui sopra indica che gli ISRS, ben-ché di utilizzo comune, si rivelano poco o per nulla efficaciper il trattamento della depressione nei pazienti parkinsoniani.Questa conclusione non è sorprendente, se si considera chel’implicazione del sistema 5-HT centrale nella fisiopatologia delladepressione che insorge nei parkinsoniani è stata recentementerimessa in questione da diversi studi a favore del ruolo privilegiatodei sistemi catecolaminergici (NA e DA) [26, 93–95, 130]. Tuttavia, datoil basso numero di studi randomizzati in doppio cieco realizzatia tutt’oggi sull’efficacia degli ISRS nei parkinsoniani depressi, larisposta finale a questa questione richiede la realizzazione di studicontrollati supplementari basati su un gran numero di pazienti.

Gli antidepressivi che appartengono alla classe degli IMAO,quali moclobemide (IMAO-A reversibile), toloxatone (IMAO-Airreversibile) e iproniazide (IMAO-A/B non selettivo irreversibile),non sono generalmente usati per il trattamento della depressionenei parkinsoniani [134]. Essi possono essere responsabili di eventiindesiderati gravi [6, 118, 134] e, inoltre, la loro efficacia in questocontesto non è ben documentata [6, 100]. La selegilina (IMAO-Birreversibile), anche se inizialmente utilizzata come antidepres-sivo [6, 118, 119, 134], è attualmente prescritta per le sue proprietàantiparkinsoniane. In effetti, alle dosi necessarie per avere uneffetto antidepressivo (>10 mg/die), la selegilina perde la suaspecificità per le MAO-B, inducendo, in seguito all’inibizionecontemporanea delle MAO-A, un aumento del rischio di eventiindesiderati gravi [118, 134]. In linea generale, l’utilizzo degli IMAOnei parkinsoniani richiede un’attenzione particolare a causa dellepossibili interazioni farmacologiche con altre classi di farmacicomunemente utilizzate in questo contesto, come gli IMAO-B(rasagilina), gli inibitori della catecol-o-metiltransferasi (COMT,entacapone, tolcapone) e gli antidepressivi (ISRS, IRSN, triciclici).

In conclusione, in mancanza di prove dell’efficacia dei varitrattamenti antidepressivi, è attualmente difficile definire unaprocedura per il trattamento dei disturbi depressivi nella malat-tia di Parkinson. Concretamente, in accordo con le ultime ipotesifisiopatologiche [26, 93–95], quando si impone la prescrizione di unantidepressivo (una volta ottimizzato il trattamento DA, in par-ticolare con un agonista DA), è prudente dirigere la scelta versogli antidepressivi ad azione mista, come gli IRSN, piuttosto cheutilizzare degli ISRS. Infine, fra gli antidepressivi di nuova gene-razione (Tabella 4), è opportuno menzionare la mirtazapina,un antagonista dei recettori noradrenergici alfa2 e serotoniner-gici 5-HT2 e 5-HT3, capace di aumentare la trasmissione NAe 5-HT centrale [135], l’agomelatina, un composto agonista deirecettori della melatonina (MT1 e MT2) e antagonista dei recet-tori 5-HT2C, disponibile in Francia dal 2011 [136], e il bupropione(Tabella 5), un inibitore del reuptake della DA e della NA [137],attualmente utilizzato in Francia per lo svezzamento dal tabacco(mancanza di autorizzazione all’immissione in commercio [AIC]in Francia per il trattamento dell’episodio depressivo maggiore).Questi composti, anche se potenzialmente interessanti [10, 86, 87, 137]

e molto ampiamente utilizzati nel trattamento della depressionenei pazienti non parkinsoniani [123, 136], non sono stati oggetto distudi specifici o controllati per una valutazione corretta nel quadrodella depressione associata alla malattia di Parkinson.

Interazioni farmacologicheAl momento della prescrizione di un antidepressivo in un

paziente parkinsoniano, è importante conoscere bene le possibiliinterazioni farmacologiche, sia farmacodinamiche che farmaco-cinetiche, tra certi antidepressivi e alcuni farmaci comunementeusati per il trattamento della malattia di Parkinson stessa, comegli ICOMT (tolcapone, entacapone), prescritti in associazionecon la levodopa, e gli inibitori della MAO-B (selegilina, rasa-gilina). In questo contesto, le interazioni farmacodinamichepossono produrre un aumento dell’attività dei sistemi catecola-minergici (DA, NA), responsabili di attacchi ipertensivi e/o delsistema 5-HT, potendo provocare la comparsa di una «sindromeserotoninergica», una complicanza rara che si manifesta condisturbi comportamentali (confusione, agitazione), motori (tre-more, miocloni) e generali (febbre, sudori, diarrea, nausee), chepossono evolvere fino al delirio o al coma [6, 33, 86]. Le interazionifarmacocinetiche sono in rapporto con la perturbazione del meta-bolismo epatico dei farmaci che coinvolge il sistema del citocromoP450 (CYP) [87, 138].

Per quanto riguarda le interazioni farmacodinamiche, gliICOMT, a causa delle loro modalità d’azione, possono interferirecon i farmaci capaci di aumentare la disponibilità delle cateco-lamine endogene (DA, NA). Così, in presenza di entacapone e/odi tolcapone, la prescrizione di inibitori non selettivi delle MAO-A e B come anche l’associazione di un IMAO-A selettivo e di unIMAO-B selettivo sono controindicate (cfr. Menzioni legali, Vidal2011). Viceversa, non è stata osservata a tutt’oggi alcuna inte-razione farmacodinamica nell’associazione dell’entacapone conIMAO-A, IMAO-B, triciclici e inibitori del reuptake della NA, cosìcome con farmaci (con la struttura del catecolo) metabolizzatidalla COMT, come la fluoxetina (cfr. Menzioni legali, Vidal 2011).

Fra gli IMAO-B, la rasagilina (1 mg/die) è attualmente utiliz-zata in un gran numero di pazienti parkinsoniani in virtù del suopossibile effetto sulla progressione della malattia (effetto disease-modifier) [139], e la sua prescrizione ha gradualmente sostituitoquella della selegilina, meno ben tollerata e che possiede sola-mente un effetto sintomatico sulla sindrome motoria [134]. Datoil rischio di inibizione non selettiva della MAO suscettibile diprovocare delle crisi ipertensive, la rasagilina è controindicatain associazione con altri inibitori della MAO, compresi i pro-dotti a base di sostanze naturali erogati senza prescrizione, comel’iperico (erba di San Giovanni) (cfr. Menzioni legali, Vidal 2011).In effetti, l’iperico, estratto dell’Ipericum perforatum, usato per lesue proprietà antidepressive, è un inibitore delle MAO-A e B,così come del reuptake delle monoamine (5-HT, DA e NA) [140].Deve essere rispettato un intervallo libero di almeno 14 giornitra l’interruzione della rasagilina e l’inizio di un trattamentocon IMAO. L’associazione della rasagilina con la fluoxetina (pre-senza di un metabolita attivo, la norfluoxetina, a emivita lunga)o la fluvoxamina (potente inibitore del CYP1-A2 [138], il princi-pale isoenzima del sistema CYP che partecipa al metabolismodella rasagilina) deve essere evitata. L’utilizzo di questi com-posti richiede un intervallo libero di almeno 5 settimane tral’interruzione della fluoxetina e l’inizio di un trattamento conrasagilina e di almeno 14 giorni tra l’interruzione della rasagilinae l’inizio di un trattamento con la fluoxetina o la fluvoxamina(cfr. Menzioni legali, Vidal 2011). Dato che sono stati riferiti deglieffetti collaterali gravi (sindrome serotoninergica) in occasionedella somministrazione concomitante di antidepressivi triciclici,di ISRS, di IRSN e di IMAO [6, 33, 86], questi composti devono esseresomministrati con cautela in presenza di rasagilina. Tuttavia,nessun caso di sindrome serotoninergica è stato segnalato nelcorso dello sviluppo clinico della rasagilina, mentre un numeroimportante di pazienti è stato esposto in modo concomitantealla rasagilina e ai triciclici (115 pazienti) oppure alla rasagi-lina e agli ISRS/IRSN (141 pazienti) a dosi efficaci (amitriptilina≤ 50 mg/die; trazodone ≤ 100 mg/die, citalopram ≤ 20 mg/die,

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Tabella 6.Farmaci antidepressivi e potenziale inibitorio sull’attività degli isoenzimi del sistema del citocromo P450 [138].

Potenziale inibitorio 1A2 2C19 2D6 3A4

Elevato Fluvoxamina Fluvoxamina FluoxetinaNorfluoxetina a

Paroxetina

Nefazodone b

Medio FluoxetinaNorfluoxetina a

Bupropion c

DuloxetinaSertralina

FluoxetinaNorfluoxetina a

Fluvoxamina

Basso FluoxetinaNorfluoxetina a

ParoxetinaSertralina

ParoxetinaSertralina

FluvoxaminaCitalopramEscitalopramNefazodone b

VenlafaxinaRebossetin b

ParoxetinaSertralinaMirtazapina

a Metabolita attivo della fluoxetina.b Prodotto non in commercio in Francia.c Mancanza di autorizzazione all’immissione in commercio in Francia nel trattamento della depressione.

sertralina ≤ 100 mg/die, paroxetina ≤ 30 mg/die) [141, 142]. Inoltre,non è stata osservata alcuna interazione significativa farma-codinamica o farmacocinetica in caso di somministrazioneconcomitante di rasagilina e di escitalopram (10 mg/die) [143].

Come la rasagilina, la selegilina non deve essere prescritta inassociazione con gli ISRS, i triciclici e altri IMAO, a causa delrischio di puntata ipertensiva e di induzione di una sindromeserotoninergica [6, 33, 86]. Inoltre, occorre rispettare un periodo di2 settimane tra l’interruzione della selegilina e l’inizio del tratta-mento con ISRS, e di almeno una settimana (2 settimane per lasertralina, 5 settimane per la fluoxetina, data la lunga emivita delsuo metabolita attivo, la norfluoxetina) tra la sospensione di unISRS e l’inizio del trattamento con selegilina (cfr. Menzioni legali,Vidal 2011).

Per quanto riguarda le interazioni farmacocinetiche, è impor-tante ricordare che gli antidepressivi di nuova generazione (ISRS,IRSNA [inibitori selettivi del reuptake della noradrenalina], mirta-zapina, bupropione), così come un numero importante di farmacipsicotropi e altri (antibiotici, antiaritmici, anticoagulanti, antitu-morali, ecc.) sono metabolizzati nel fegato da diversi isoenzimi(CYP1A2, CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6, CYP3A4) del sistemaCYP [138]. Le interazioni farmacologiche che coinvolgono i diversiisoenzimi del CYP sono generalmente conseguenti a un’induzioneo a un’inibizione enzimatica derivanti da una competizione tradue composti (substrati) aventi un’affinità per lo stesso sito dilegame enzimatico, in cui il livello di affinità del compostodetermina il suo potenziale inibitorio. Così, l’inibizione di unisoenzima del CYP per il composto a più forte affinità provocauna riduzione del metabolismo e un aumento delle concen-trazioni plasmatiche del secondo composto cosomministrato e,potenzialmente, un incremento dei suoi effetti collaterali tossici.Viceversa, il processo di induzione enzimatica causa un aumentodel metabolismo, provocando una riduzione delle concentrazioniplasmatiche del prodotto attivo e una possibile riduzione dellasua efficacia clinica. Può, allora, essere necessario un adattamentodella posologia per prevenire la comparsa di effetti secondari o laperdita di efficacia, in particolare per i medicinali con una finestraterapeutica stretta (modesto divario tra dose tossica e terapeutica).

Gli antidepressivi di nuova generazione, benché siano tutti deisubstrati per il CYP, non possiedono lo stesso potenziale inibito-rio per i differenti isoenzimi del CYP e non presentano, quindi, lostesso rischio di interazioni farmacologiche (Tabella 6). A titolo diesempio, la fluoxetina e la paroxetina sono dei potenti inibitoridel CYP2D6, la fluvoxamina inibisce fortemente il CYP1A2 e ilCYP2C19 (interazioni possibili con la rasagilina) e la duloxetina,il bupropione e la sertralina (forti dosi) sono degli inibitori mode-rati del CYP2D6; il citalopram, l’escitalopram, la venlafaxina e lamirtazapina sono modesti inibitori dei diversi isoenzimi del CYP,che presentano, così, pochi rischi di interazione in caso di cosom-ministrazione con altri farmaci suscettibili di essere metabolizzatidal sistema del CYP [138]. Anche se è impossibile stilare una listaesauriente delle possibili interazioni farmacologiche dei diversi

isoenzimi del sistema del CYP, è opportuno tenere a mente laloro potenziale pericolosità, in particolare in caso di associazionedi un antidepressivo a forte potenziale inibitore (fluvoxamina,paroxetina) con un farmaco a finestra terapeutica stretta, poichéi due composti sono substrati per lo stesso isoenzima. Tuttavia,è importante ricordare che numerose interazioni hanno un inte-resse puramente accademico o di marketing e che, anche se sonostatisticamente significative negli studi generalmente realizzatiin vitro oppure sul volontario sano, hanno poco significato cli-nico. In pratica, poche associazioni sono controindicate e soloalcune richiedono un aggiustamento posologico e un monitorag-gio dei tassi plasmatici [138].

Trattamenti non farmacologiciIn caso di depressione grave melancolica farmacoresistente o in

caso di controindicazione farmacologica, si deve prendere in con-siderazione l’elettroconvulsivoterapia (ECT). Questo trattamento,relativamente ben tollerato nei parkinsoniani (esiste, tuttavia, unrischio di confusione e di disturbi della memoria, soprattutto nelsoggetto con una lesione cognitiva), è efficace sulla sintomatolo-gia depressiva e può anche migliorare, a volte per diversi mesi, lasintomatologia extrapiramidale [6, 10, 33, 144].

La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (SMTr) sipone come un’alternativa interessante all’ECT [145]. In effetti,la SMTr, pur inducendo meno effetti indesiderati dell’ECT, sidimostra capace di migliorare i sintomi depressivi nei pazienti par-kinsoniani [6, 33, 146, 147]. Recentemente, uno studio randomizzato indoppio cieco contro placebo, basato su 22 parkinsoniani che sof-frivano di una depressione da leggera a moderata, ha mostrato chela SMTr della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra producevaun miglioramento significativo della sintomatologia depressiva(valutazione con la scala di MADRS e con l’autoquestionario BDI)persistente per almeno 30 giorni dopo la sospensione del tratta-mento [148].

Infine, alla luce del coinvolgimento di fattori psicologici nellapatogenesi della depressione, le terapie non farmacologiche, comeil rilassamento e il sostegno psicologico, hanno anch’esse unruolo importante nella gestione della depressione che si manife-sta tanto all’esordio della malattia di Parkinson che durante la suaevoluzione [6, 10, 48]. Degli studi recenti hanno mostrato che la psi-coterapia di gruppo e la terapia cognitiva comportamentale (TCC)possono avere un impatto positivo sulla sintomatologia depres-siva dei pazienti parkinsoniani [149, 150]. Il potenziale terapeuticodella TCC è stato recentemente dimostrato in uno studio ran-domizzato e controllato, basato su 80 parkinsoniani depressi [151].In effetti, questo studio ha mostrato che la TCC, somministrataper 10 settimane, ha prodotto, rispetto al gruppo controllo (chebeneficiava di un semplice follow-up medico), un miglioramentosignificativo della sintomatologia depressiva (valutata con la scalaHDRS e con l’autoquestionario BDI), persistente per almeno4 settimane dopo la sospensione del trattamento. L’effetto anti-

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depressivo era associato a un miglioramento significativo dellaqualità di vita. Così, l’insieme di questi lavori indica che la TCCpotrebbe porsi come un trattamento utile in alternativa o inaggiunta alla terapia farmacologica classica [149, 151], ma sono, tut-tavia, necessari degli studi supplementari per confermare questirisultati.

� ConclusioniLa depressione è frequente e di origine multifattoriale nella

malattia di Parkinson, tanto da rappresentare una delle maggioridimensioni della malattia. L’approccio clinico impone di diffe-renziare bene i sintomi motori comuni alle due patologie e lasintomatologia psichica propria della depressione [37, 48, 50]. Essapartecipa alla degradazione della qualità della vita e dello statocognitivo dei pazienti [9, 47]. La sua gestione richiede un approc-cio globale basato sul trattamento ottimale dei disturbi motori,sulla psicoterapia e sull’utilizzo di antidepressivi, in caso di epi-sodio depressivo maggiore, o un’elettroconvulsivoterapia nei casipiù gravi e/o farmacoresistenti [6, 48, 50]. Essa richiede, nei casi piùcomplessi, una collaborazione stretta tra neurologi, psichiatri epsicologi. Infine, è importante ricordare che, sulla base dei datidisponibili sui vari trattamenti antidepressivi, è attualmente dif-ficile definire una condotta da tenere nel trattamento dei disturbidepressivi nella malattia di Parkinson, poiché sono necessari deglistudi supplementari controllati in doppio cieco per precisare que-sto punto [26].

“ Punti importanti

Come riconoscere la malattia di Parkinson sottola depressione e la depressione sotto la malattiadi Parkinson?• Insidia da evitare: sovrastimare la depressione all’esordiodella malattia, sottostimarla durante la sua evoluzione.• Consiglio: ricercare i segni motori cardinali della malat-tia di Parkinson (acinesia/rigidità/tremori) e individuare lasintomatologia psichica della depressione.Come valutare la gravità della sindrome parkinso-niana e dell’episodio depressivo?• Insidia da evitare: porre la diagnosi di depressione nellamalattia di Parkinson sul punteggio in una scala.• Consiglio: impiegare la UPDRS per la valutazione e ilfollow-up della malattia di Parkinson.Come trattare la depressione o la malattia di Par-kinson?• Insidia da evitare: trascurare la componente motoria otimica nella gestione della depressione nella malattia diParkinson.• Consiglio: cercare sempre di ottimizzare il controllo deidisturbi motori prima della prescrizione di un antidepres-sivo.Quale antidepressivo scegliere?• Insidia da evitare: usare gli antidepressivi triciclici inun soggetto parkinsoniano anziano o che ha dei disturbicognitivi o disautonomici.• Consiglio: diffidare delle interazioni farmacologiche emonitorare bene la tolleranza e lo stato motorio e psichico.

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F. Tison, Professeur de neurologie, chef de service.Département de neurologie, Hôpital du Haut-Lévêque, CHU de Bordeaux, avenue Magellan, 33604 Pessac, France.

Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Spampinato U, Tison F. Depressione e malattia di Parkinson. EMC - Neurologia 2013;13(1):1-15[Articolo I – 17-062-A-13].

Disponibile su www.em-consulte.com/it

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