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Apollineo e dionisiaco, lo stato attuale delle arti alla luce di vecchie categorie rivisitate Nicola Vitale Sommario Heidegger, nelle lezioni su Nietzsche, attribuisce importanza ca- pitale a una “configurazione esplicita” delle categorie, coniate dal filosofo, di apollineo e dionisiaco. Sono esse, infatti, le uniche categorie estetiche che ci consentono di fare luce sull’attuale mo- mento di transizione delle arti. Occorre tuttavia superare i luo- ghi comuni che interpretano i due principi nella dicotomia tra una bellezza apollinea, armonica e proporzionata, e l’espressione caotica e lacerante attribuita al dionisiaco. Nietzsche individua invece nella compresenza dei due principi l’essenza dell’arte, men- tre nella loro scissione conflittuale vede la decadenza e la crisi. Possiamo osservare nella storia dell’arte il ciclico riprodursi di tali dinamiche. Cercando di cogliere ciò nel presente, scopriamo come dopo il grande rinnovamento dell’arte moderna, in cui i due principi sono nuovamente integrati, nella seconda metà del Novecento le arti abbiano attraversato la fase conflittuale di de- cadenza. Ma già dagli anni Settanta hanno preso il via ricerche espressive nelle quali è possibile riconoscere una nuova armoniz- zazione tra i due principi. Cogliamo nel lavoro di alcuni pittori e poeti questo percorso, che negli esiti più compiuti arriva a de- terminare un’arte radicalmente rinnovata, nella quale possiamo intuire l’inizio di una nuova istanza espressiva ed esistenziale. Copyright c 2008 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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Apollineo e dionisiaco, lo stato attuale delle arti

alla luce di vecchie categorie rivisitate

Nicola Vitale

Sommario

Heidegger, nelle lezioni su Nietzsche, attribuisce importanza ca-pitale a una “configurazione esplicita” delle categorie, coniate dalfilosofo, di apollineo e dionisiaco. Sono esse, infatti, le unichecategorie estetiche che ci consentono di fare luce sull’attuale mo-mento di transizione delle arti. Occorre tuttavia superare i luo-ghi comuni che interpretano i due principi nella dicotomia trauna bellezza apollinea, armonica e proporzionata, e l’espressionecaotica e lacerante attribuita al dionisiaco. Nietzsche individuainvece nella compresenza dei due principi l’essenza dell’arte, men-tre nella loro scissione conflittuale vede la decadenza e la crisi.Possiamo osservare nella storia dell’arte il ciclico riprodursi ditali dinamiche. Cercando di cogliere ciò nel presente, scopriamocome dopo il grande rinnovamento dell’arte moderna, in cui idue principi sono nuovamente integrati, nella seconda metà delNovecento le arti abbiano attraversato la fase conflittuale di de-cadenza. Ma già dagli anni Settanta hanno preso il via ricercheespressive nelle quali è possibile riconoscere una nuova armoniz-zazione tra i due principi. Cogliamo nel lavoro di alcuni pittorie poeti questo percorso, che negli esiti più compiuti arriva a de-terminare un’arte radicalmente rinnovata, nella quale possiamointuire l’inizio di una nuova istanza espressiva ed esistenziale.

Copyright c© 2008 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

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ITINERA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura

Nietzsche, elaborando in modo originale le premesse di Schiller, Höl-derlin, Schopenhauer e Burckhardt, con il suo primo libro La nascita

della tragedia dallo spirito della musica 1, pone a tema una questionefondamentale che investe la cultura occidentale e che sarà motivo portantedella sua intera filosofia.

Le categorie estetiche di “apollineo” e “dionisiaco”, coniate in questa ope-ra, possono svelarci motivi profondi dell’attuale decadenza delle arti e porrel’ipotesi di un cambiamento in atto. Lo stesso Martin Heidegger, nella lezionesu Nietzsche La volontà di potenza come arte, afferma:

Il contrasto variamente noto del “dionisiaco” con l’“apollineo”, dellapassione sacra e dell’esposizione spassionata costituisce una nascostalegge stilistica della missione storica dei Tedeschi e un giorno essa dovràtrovarci pronti e preparati ad una sua configurazione esplicita. Que-sto contrasto non sarebbe una formula adatta soltanto a descrivere la“cultura”. Con questo contrasto Hölderlin e Nietzsche hanno postoun punto interrogativo di fronte al compito dei Tedeschi di trovarestoricamente la propria essenza. Comprenderemo noi questo punto in-terrogativo? Una cosa è certa: la storia si vendicherà di noi se non locomprenderemo. 2

L’essenza dell’identità tedesca è da riferirsi in Heidegger come vicinanzae continuità con la Grecia antica, dunque con l’origine della cultura europea.Egli infatti spiega così, nell’intervista al settimanale Der Spiegel, il passocitato:

La mia convinzione è che solo a partire dallo stesso luogo del mondonel quale è sorto il moderno mondo tecnico, possa prepararsi anche unrovesciamento [. . . ]. Per cambiare modo di pensare è necessario l’aiutodella tradizione europea e di una sua riappropriazione. Il pensieroviene modificato solo dal pensiero che ha la stessa provenienza e lastessa destinazione. 3

Ma vediamo ora come le categorie coniate da Nietzsche possano assu-mere una posizione determinante nell’interpretazione dell’attuale panoramaartistico. Egli introduce così l’argomento:

Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giuntinon soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza im-mediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplici-tà dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazionedipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e unariconciliazione che interviene solo periodicamente. 4

1. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. it. di S. Giametta, a cura di G. Colli,Adelphi, Milano 1972.

2. M. Heidegger, Nietzsche (1961), tr. it. e cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1994,p. 112.

3. Heidegger, dalla intervista del settimanale “Der Spiegel” del 1933 (tr. it. e cura diA. Marini, Ormai solo un dio ci può salvare, Guanda, Milano 1987, pp. 148, 149).

4. F. Nietzsche, op. cit., p. 21.

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Sin dall’inizio è evidenziato come lo sviluppo dell’arte sia definibile co-me lotta e conciliazione dei due principi. Ma il loro accostamento, operatodallo stesso Nietzsche, con sogno ed ebbrezza, scultura e musica, così comeanche l’immagine metaforica, assunta da Schopenhauer, della barca nellatempesta in cui siede un uomo immerso nella contemplazione del suo voltoin uno specchio 5, hanno portato a interpretare apollineo e dionisiaco nel loroaspetto antitetico in cui prevale il conflitto sulla conciliazione, la particola-rità di ciascuno sulla loro compartecipazione. Ne emergono così due oppostistati di coscienza e modalità espressive inconciliabili; il primo si mostra co-me atteggiamento solare, contemplativo, relativo alla limpidezza della formacompiuta, ordinata secondo principi di proporzione e armonia; il secondo èinvece il moto caotico della forza sfrenata, che lacera ogni forma determinata,fino all’annientamento.

Alle concezioni estetiche si aggiungono così due diverse caratteristichericonoscibili storicamente nella bellezza misurata della scultura classica, e nelfluire incontenibile della musica, fluire che arriva fino alla brutalità caotica,“sublime” che legittima i moti più laceranti dell’espressività contemporanea.Lo stesso Umberto Eco nel suo recente libro La storia della bellezza, annoveraapollineo e dionisiaco come momenti del divenire delle forme, sviluppatisinella Grecia classica.

Questa compresenza di due divinità antitetiche non è casuale, [. . . ]esprime la possibilità sempre presente e periodicamente inverantesi,di un’irruzione del caos nella bella armonia. Più specificamente, siesprimono qui alcune antitesi significative che rimangono irrisolte entrola concezione greca della bellezza [. . . ]. Una prima antitesi è quella trabellezza e percezione sensibile. Se infatti la bellezza è si percepibile,ma non completamente, perché non tutto di essa si esprime in formesensibili, si apre una pericolosa forbice tra apparenza e bellezza. . . Unaseconda antitesi è quella tra suono e visione, le due forme percettiveprivilegiate dalla percezione greca [. . . ]: benché si riconosca alla musicail privilegio di esprimere l’anima, è solo alle forme visibili che si applicala definizione di “bello” (Kalós) come “ciò che piace e attrae”. Disordinee musica vengono così a costituire una sorta di lato oscuro della bellezzaapollinea armonica e visibile, e come tali ricadono nella sfera di azionedi Dioniso. 6

È vero che Nietzsche ha attribuito l’apollineo alla scultura e il dionisiacoalla musica, ma occorre considerare come si tratti di paralleli esplicativiche non identificano i due termini delle corrispondenze, non escludendo la

5. A Schopenhauer, Mondo come volontà e rappresentazione I (ed. or. Frauenstädt),p. 416: «Come sul mare in furia che, sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda ululandomontagne d’onde, un navigante siede su un battello, confidando nella debole imbarcazio-ne; così l’individuo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi econfidando nel principium individuationis» (citato in: F. Nietzsche, op. cit., p. 24).

6. Cfr. Storia della bellezza, a cura di U. Eco, Bompiani, Milano 2004, pp. 55, 56.

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presenza in entrambe le discipline del rispettivo opposto. Ciò è reso esplicitoda un altro parallelo in cui egli attribuisce l’apollineo allo strumento dellalira, mentre il dionisiaco è riferito al flauto.

La conciliazione dei due principi è d’altro canto il vero obiettivo del librodi Nietzsche che proprio in ciò coglie il senso più profondo e “religioso” dellatragedia attica, ma anche di ogni forma artistica, fino a estendere la questioneal senso stesso dell’esistenza.

Il filosofo mette in evidenza come la tragedia, nata dal dionisiaco espressodal coro, vada progressivamente decadendo con la tragedia di Euripide per ilprevalere del principio apollineo che individua i personaggi. Si enfatizzano ilpatos psicologico e la speculazione filosofica mentre recede la potenza “mu-sicale” dionisiaca che dava vita e verità alle rappresentazioni. Ma notiamocome nello stesso periodo anche per la scultura inizia una fase di decadenza,che sarà conclamata nell’arte ellenistica. È l’intera cultura greca che de-cade: la serena contemplazione è sopraffatta da un’angosciosa inquietudine.Questo turbamento della serenità greca e l’insorgere del caos, secondo la cor-rente interpretazione dovrebbe essere letto come l’avvicendarsi del dionisiacoall’apollineo, viceversa Nietzsche attribuisce questa crisi proprio alla cadutadel dionisiaco.

Fare chiarezza su tale questione tra il confliggere dei due principi e laloro conciliazione, diventa ora indispensabile.

Nietzsche inizia la sua opera con un parallelo tra la coppia apollineo e dio-nisiaco e la duplicità dei sessi al fine della generazione, che mette in evidenzacome egli intenda i due principi come ingredienti, che in seguito definisce“fenomeni fisiologici”, essenziali alla produzione della vita dell’opera d’arte,e dunque non semplicemente quali categorie particolari dell’espressione este-tica. Sono principi assoluti, imprescindibili in ogni vera creazione. La com-plementarietà dei due principi costituisce, come Nietzsche sottolinea, «unlegame di fratellanza tra le due divinità: Dioniso parla la lingua di Apollo,ma alla fine Apollo parla la lingua di Dioniso. Con questo è raggiunto il finesupremo della tragedia e dell’arte in genere» 7.

La “fratellanza” dei due principi costituisce, dunque, l’essenza dell’artestessa, mentre il loro confliggere ne produce la crisi.

L’interdipendenza di apollineo e dionisiaco è d’altro canto costitutivadella loro specificità, che cambia nel momento della scissione. Apollineo èbellezza solare e serena, solamente grazie al dionisiaco, che, a sua volta, nellaforma determinata trova il modo di incanalarsi contenendo la forza dilagante.La scissione porterà l’apollineo alla sclerotizzazione in forme false e morte, eil dionisiaco, persa la forma di contenimento, al lacerante caos 8.

7. F. Nietzsche, op. cit., p. 145.8. «Questi mezzi di eccitamento sono pensieri freddi e paradossali – in luogo delle

intuizioni apollinee – e passioni roventi – in luogo delle estasi dionisiache – e più precisa-mente, pensieri e passioni imitanti in modo estremamente realistico, nient’affatto immersenell’etere dell’arte.» (ibid., p. 85).

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E’ necessario qui ricondurre apollineo e dionisiaco all’archetipo che Nie-tzsche vuole far emergere, archetipo che va al di là delle sue stesse teo-rizzazioni, che possiamo riconoscere nella viva esperienza dell’arte e dellavita.

Se infatti l’apollineo dalla sua origine nel sogno fino alla determina-zione del concetto, è tutto ciò che nella mente umana è rappresentazio-ne, in ciò si costituisce la coscienza di sé, la facoltà di conoscere medianteun’oggettivazione. Il dionisiaco viceversa è l’energia in cui la vita stessa èimmersa, quel substrato vitale che anima tutti gli esseri nella più pura istin-tività, dunque una forza essenziale alla vita dell’individuo che tuttavia lotrascende. Coscienza e natura, mente e corpo, rappresentazione e pulsionevitale, divenire ed essere 9 sono i due orizzonti in cui sembrano costituirsiapollineo e dionisiaco, antitetici in quanto il primo è individuazione e deter-minazione, il secondo è unità originaria. Nietzsche mette in evidenza comeoriginariamente le rappresentazioni apollinee nascano dal dionisiaco, sono laforma che viene determinandosi da un’astratta necessità. Il fluire del substra-to vitale trova una forma che lo contiene e si placa, la forza caotica divieneintensità che si diffonde serenamente, come un fiume si distende in un lago.

Come per la tragedia, la scultura del periodo classico è l’espressione diquesta sinergia, essa è certamente apollinea perché espressione di una for-ma “bella” determinata, ma questa bellezza regge solo grazie al dionisiacoda cui è sorta. Un lungo cammino che hanno dovuto percorrere gli arti-sti del periodo arcaico, preoccupati innanzitutto di fissare, anziché la formanaturalistica, il ritmo che muove la rappresentazione. Gli scultori classicichiamavano questa forza, che teneva insieme in una coerenza unitaria e da-va potenza alla scultura, “euritmia” 10, nella quale era imbrigliata la bellasembianza della fisionomia. L’euritmia degli antichi greci, contrapposta alleproporzioni matematiche dei canoni, era proprio l’attivazione del dionisiaco

9. Verrebbe spontaneo riferire l’apollineo all’essere (forma determinata che assume uncarattere eterno e immutabile) così come il dionisiaco al divenire (forza del costante muta-mento). Ma l’apollineo inteso come essere, nella concezione di Nietzsche si presenta come“illusione”; egli infatti scriverà: «Il divenire non è uno stato illusorio; è forse il mondodell’essere un’illusione.» (F. Nietzsche, Frammenti Postumi [1887-88], tr. it. e cura di G.Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1989, fr. 11 [76], pp. 246-247). L’apollineo intesocome essere costituisce l’“errore” della metafisica classica, che porta l’essere sul piano dellarappresentazione, cioè confonde l’ente con l’essere. Il dionisiaco inteso da Nietzsche come“unità originaria” è dunque il motore immobile dell’essere che si presenta alla coscienzacome divenire: «l’essere, dunque, che unicamente ci è garantito, è in mutamento, non èidentico a se stesso» (ibid., fr. 11 [330]).

10. Panofsky riporta il concetto classico di “euritmia”, secondo la concezione di Vitruvio:«essa deriva da quei “correttivi ottici” che, aumentando o diminuendo le dimensioni chesarebbero corrette da un punto di vista oggettivo, neutralizzano le alterazioni soggettivedell’opera d’arte». Donde, secondo Vitruvio, l’eurhythmia consiste in una «venusta speciescommodusque aspectum»; essa è la qualità distintiva di ciò che Philo Mechanicus chiama«ciò che appare grato ed euritmico al senso della vista». Cfr. E. Panofsky, Il significato

delle arti visive, tr. it. di R. Federici, Einaudi, Torino 1962, p.73, nota a piè di pagina.

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nell’apollineo, valore assoluto dell’arte per cui possiamo percepire la vitalitàdella forma nella relazione vibrante del particolare con il tutto. Questo èil nodo essenziale in quanto se nella musica tale tensione è evidente perchésostanziale, nell’arte figurativa è difficile da cogliere, soprattutto per i pro-fani che tendono a perdersi nelle suggestioni della rappresentazione, mentregli artisti più sensibili percepiscono questa tensione dei rapporti di energiatra forme e colori come una vera e propria musica. D’altro canto che esi-sta un pattern visivo in cui le energie luminose si ordinano in un tutto, conuna tensione tra attrazione e repulsione è stato messo in evidenza in diverseoccasioni non solo dagli artisti, ad esempio nella Psicologia della forma (Ge-

stalt) 11, questione che ha spiegazioni del tutto simili a quelle delle tensionisonore.

Quando, alla fine dell’età di Pericle, prevalendo il naturalismo della scul-tura, si comincia a perdere sensibilità alla percezione ritmica, inizia la deca-denza. Vi è qui una scissione fatale, in quanto l’abilità tecnica è coltivatain modo troppo analitico. Gli scultori ellenisti non riuscendo più a tene-re insieme le due funzioni essenziali della creazione avvertono le forme, purdi grande definizione realistica, come povere di vita, dunque iniziano a de-formare e frammentare forme e atteggiamenti delle figure con una forzaturadall’esterno; non più ritmo immanente che rende viva una forma statica nellasua semplicità essenziale, ma complessità, impeto e movimento, come tro-viamo nel Laocoonte, soggetto mitologico che nelle spire del serpente esprimeefficacemente questa violenza che interviene dall’esterno a stravolgere i corpi.L’apollineo separato dal dionisiaco tende a essere forma morta, ma gli este-nuanti tentativi di vitalizzazione condotti dall’esterno diventano laceranti,portando l’arte a una fase entropica.

Nel medioevo si ricomincia da capo abbandonando la definizione natu-ralistica, per ritrovare la sensibilità ritmica, a cui la rappresentazione è su-bordinata. Ciò è evidente nell’arte bizantina, in quella romanica e gotica.Ancora una volta come nel periodo arcaico dell’antica Grecia si educa con

11. «La teoria della Gestalt dimostrò sperimentalmente che non è possibile compren-dere una situazione di campo riducendo il campo stesso ai suoi elementi. Si va incontroa un’interpretazione erronea quando tali elementi vengono descritti separatamente, perpresentare poi la somma di tali descrizioni come un’immagine coerente del tutto. Solo lastruttura globale, che implica l’interazione di tutte le componenti, potrebbe portare a unasoluzione esaustiva. Non è un caso che questa interazione sia stata osservata e riscontratapraticamente soprattutto nelle arti, giacché è nella percezione sensoriale che essa si fa piùtangibilmente evidente. [. . . ] L’organizzazione fortemente strutturata delle opere d’arteinsiste sulla necessità di considerare i rapporti tra tutto e parti. Ogni opera d’arte riuscitasi fonda su un modello globale, generalmente un modello gerarchico. [. . . ] In un quadroper esempio la forma, la luminosità e il colore in ogni parte sono fortemente influenzatida quelli circostanti; ma questo forte assetto degli elementi circostanti ha una solida presasu ogni parte, stabilizzandola e predisponendola al significato specifico che l’artista le haassegnato. Analogamente in biologia, la forma e la funzione di ogni organo sono stretta-mente controllate dal corpo come insieme globale.» (R. Arnheim, Per la salvezza dell’arte,tr. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 235, 236).

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fatica la tensione astratta “musicale” di forme e colori a forgiare una nuovafigura. Sono le curve meticolose dei volti delle icone fatte di cerchiature traarcate sopraciliari, naso, bocca in perfetta sintonia ritmica con la curva dimani, giunture e spalle, con le pieghe sintetiche delle vesti; così come la co-lorazione si fa sempre più vivace, nell’intensa calibrazione dei rapporti. Quila rappresentazione apollinea, tornata a una fase nascente, è sottomessa aldionisiaco.

Nietzsche scrive: «Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele eselvaggio e di un dominatore mite e dolce» 12: quando le forme sono costi-tuite assecondandone il flusso, il dionisiaco risplende, trasfigura le immaginicon un’intensità sublimante, una luce interiore che nella scolastica medie-vale assume rilevanza filosofica col fiorire della “metafisica della luce” e inparticolare con i concetti di risplendentia e claritas 13, viceversa forme cheseguono altre coerenze, vengono spazzate via dalla forza dionisiaca che nonavendo modo di incanalarsi rompe gli argini.

Il dionisiaco è dunque “lacerazione” solo quando è scisso dall’apollineo esi trova in conflitto con esso, viceversa nel suo scorrere è armonia sublime,unità trascendente come è detto chiaramente da Nietzsche:

Sotto l’incantesimo del dionisiaco non solo si restringe il legame tra uo-mo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata, celebradi nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto: l’uomo.[. . . ] Ora, nel vangelo dell’armonia universale, ognuno si sente non so-lo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno conesso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai

12. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. 72.13. «In altri termini, se letteratura, pittura e costume manifestavano la ricca sensibili-

tà cromatica di cui si è detto, il pensiero teorico, quando la tematizzava, registrava unacontraddizione. [. . . ] Tra le soluzioni che il pensiero scolastico dà al problema potrem-mo individuare due filoni: uno improntato a una cosmologia fisico-estetica, che ha i suoirappresentanti in Roberto Grossatesta e Bonaventura; l’altro improntato a una ontologiadella forma, teorizzata da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. [. . . ] La luce, comepotenza creativa (e qui è indubbia la componente neoplatonica), diffondendosi si materia-lizza a seconda delle resistenze che incontra nella materia. Con quello che è stato definitoun “bergsonismo” avanti lettera, Grossatesta traccia l’immagine di uno slancio vitale che,al contatto con l’ostacolo materiale, si particolarizza in rapporti matematici. SecondoGrossatesta, dunque, la vera ed effettiva ratio pulchri consiste nella risplendentia; ciò checonta, sostanzialmente, è il risplendere della forma. [. . . ] Nel § 340 (S. Thomae Aquinatis,In librum beati Dionysii de Divinis Nominibus Expositio) Tommaso chiarisce la propriaposizione: Dionigi dice che dalla Somma Bellezza proviene l’essere a tutte le cose esistentie che la claritas riguarda in proprio la bellezza; ebbene, la forma, ogni forma per la qualele cose adiscono all’essere, costituisce una partecipazione della luce divina, “Omnis autem

forma, per quam res habet esse, est partecipatio quaedam divinae claritatis; et hoc est quod

subit, quod singola sunt pulchra secundum propriam rationem, idest secundum propria for-

mam” (1. 6, exp. 360). Qui le ragioni di bellezza son ricondotte alla forma delle cose.[. . . ] In questo testo la claritas è ricondotta al concetto di partecipazione, e per questavia diviene una proprietà della forma, una proprietà ontologica, come una partecipazionedella vita, dell’essere.» (U. Eco, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino, Bompiani,Milano 1970, pp. 132 ss.).

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in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria. Cantando e dan-zando, l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore:ha disimparato a camminare e a parlare ed è sul punto di volarsenein cielo danzando. Dai suoi gesti parla l’incantesimo. Come ora glianimali parlano, e la terra dà latte e miele, così anche risuona in luiqualcosa di soprannaturale: egli sente se stesso come dio, egli si aggiraora in estasi e in alto, così come in sogno vide aggirarsi gli dei. 14

Strappato il velo di Maia, lacerata l’illusione delle rappresentazioni, ildionisiaco fluisce nell’“armonia universale”. Vediamo come il concetto di ar-monia sia dunque assunto su piani differenti da punti di vista opposti. Comesembra testimoniare Eraclito, l’armonia dei grandi flussi naturali è percepitadalla coscienza come caos 15, in quanto le è estranea: la natura non si curané dell’individuo né delle sue rappresentazioni. Viceversa l’armonia dellarappresentazione assume sempre una coerenza “artificiale” condizionata dalconcetto di proporzione, misura, simmetria; nella scultura classica dominatadalla matematica e dall’idea, nella poesia lirica dalla metrica e dalla rima,razionalizzazioni del ritmo e della musicalità del verso.

Ma tornando al conflitto tra apollineo e dionisiaco, notiamo come questoprocesso di decadenza delle arti investe la nostra cultura sin dal Rinasci-mento, quando dal perfetto equilibrio dei due principi, esattamente come nelperiodo classico dell’antica Grecia, prevale l’apollineo: il naturalismo dei ri-tratti, il luminismo del chiaroscuro, i simbolismi alchemici, la contaminazioneletteraria, la maniera.

Pur se nell’opera dei maestri si ritrova un equilibrio proficuo tra i dueprincipi vediamo come le continue crisi dell’arte, che succedono al Rinasci-mento, non saranno che un reiterato riproporsi di valori apollinei, spessoin conflitto con un dionisiaco sradicato, fino all’Ottocento, quando l’artemoderna pone un rinnovamento radicale.

L’interpretazione dell’arte moderna come “rottura”, annientamento dellatradizione per un “nuovo” eletto a valore, è riduttiva rispetto a ciò che èrealmente avvenuto alla fine dell’Ottocento. Si tratta infatti di una rivolu-zione per cui improvvisamente dopo secoli di alienazione il dionisiaco ritornaa vibrare nelle rappresentazioni. Una tradizione sclerotizzata da principiapollinei è spazzata via per ricominciare da capo a “educare” le forme se-condo principi dionisiaci. Sono dapprima gli Impressionisti che riscopronola forza vitale dell’accostamento dei colori complementari, e la loro orga-nizzazione “astratta”. Cézanne farà di tale sensibilità la struttura portante

14. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., pp. 25, 26.15. Eraclito, frammenti: [54] «L’armonia nascosta vale di più di quella che appare.»; [61]

«Il mare è l’acqua più pura e più impura: per i pesci essa è potabile e conserva loro la vita,per gli uomini essa è imbevibile e letale.»; [72] «Da questo lógos, con il quale soprattuttosono continuamente in rapporto e che governa tutte le cose, essi discordano e le cose incui ogni giorno si imbattono le considerano estranee». Cfr. Eraclito, I Presocratici, a curadi H. Diels e W. Kranz, Bompiani, Milano 2006.

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dei suoi quadri, in cui la pennellata stessa pare distendere nelle immaginiuna forza magnetica; in seguito Van Gogh e Gauguin, ispirati dalla vita-lità dell’arte orientale prettamente dionisiaca, daranno massima enfasi alletensioni di energia. Gli artisti moderni fondando la loro espressività su unarinnovata vitalità di forme e colori, sgravano di ogni responsabilità oggetti-va il linguaggio di cui si servono, anzi testimoniano l’oggettività della forzadionisiaca come valore portante del bello, proprio con una soggettivazionedell’aspetto apollineo del linguaggio che ogni artista assume come comple-tamente personale: lo stile. L’avanzata del dionisiaco sulle forme apollineetocca l’apice con Kandinskij che arriva a eliminare la stessa rappresenta-zione, per una pura “musica visiva” che gli astrattisti chiamavano “eternabellezza” 16.

Questo ridimensionamento dell’apollineo per una valorizzazione del dio-nisiaco accade in tutte le arti: nella scultura con Brancusi, Marini, Moore,nella poesia con Mallarmé, Laforgue, Pound, (Chlebnikov come gli astratti-sti arriva a eliminare la struttura portante dei concetti per un puro formali-

smo 17). L’Ulisse di Joyce sembra costruito come una sinfonia. Anche nellamusica si abbattono le strutture razionali della tonalità: comincerà Wagnercon la sua modulazione infinita, mentre l’eliminazione dei recitativi operisti-ci gli permetterà di costituire un grande involucro sonoro che tutto contienesenza soluzione di continuità.

Ma la rivincita dell’apollineo non si fa aspettare. Nella seconda metàdel Novecento la crisi dell’arte moderna è dovuta a un fraintendimento, percui si interpreta l’innovazione del linguaggio fine a se stessa. L’“originalità”dell’artista non è più la ricerca dell’origine, di quella forza dionisiaca cheliberata non necessita più di un canone, di una struttura formale predefini-ta per manifestarsi, trovando la via nel modo più confacente alla sensibilitàdell’artista, per cui “originale” in questo senso significa “autentico”, rinnovatodall’interno in un collegamento diretto con la fonte. Al contrario l’accezionedecadente di “originalità” è attribuita a un “nuovo” puramente linguistico,un atteggiamento espressivo determinato da un’analisi storicista: il senso stanel fare quello che non è ancora stato fatto. Questa concezione decadentedell’arte viene chiamata “Arte Contemporanea” che non significa un’arte fat-ta dai contemporanei cioè “attuale”, ma un’arte che non poteva essere fatta

16. «Questi principi costituiscono altrettante fonti inestinguibili di eterna bellezza. Tuttivi possono attingere, solo che abbiano occhi capaci di vedere il senso nascosto delle linee edei colori. E l’uomo si sente attratto, affascinato, trascinato!» (V. Kandinskij, M. Franz, Il

cavaliere azzurro, tr. it. di R.C. Onesti, De Donato, Bari 1967, cap. “I «Fauve» in Russia”,di D. Burljuk, p. 46).

17. Velimir Chlebnikov, poeta russo (Tundutovo, 1885 – Santalov [Novgorod], 1922), nel1909 pubblicò con altri il primo almanacco futurista (gruppo a cui si unì successivamenteMajakovskij). Opponendosi al simbolismo allora dominante e poi al contenutismo mimeti-co del regime, elaborò una poesia che valorizzava le possibilità espressive del linguaggio suun piano di ricerca strettamente formale, antiaccademico, giocando con gli echi presentisimultaneamente nelle parole, creando neologismi in un linguaggio regressivo asemantico.

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che in quel preciso momento, il cui senso non è autonomo, ma leggibile e va-lutabile solo in funzione di ciò che precede. Il valore degli artisti e delle operenon si basa dunque su una qualità intrinseca, ma su un primato cronologi-co tutto portato sull’atto linguistico, a scapito del valore estetico originariorinato dal dionisiaco che era la vera conquista dell’arte moderna. Scomparedunque ogni educazione formale che possa dare vita alle rappresentazioni efarle durare nel tempo, mentre il puro shock prodotto da un nuovo sradicatodura poco, sempre meno quando le elaborazioni linguistiche esauriscono lepossibilità e cominciano a replicarsi in infinite modulazioni e variazioni.

Possiamo osservare come la crisi delle arti, determinata dalla scissionetra apollineo e dionisiaco, riproduca sempre uno stesso schema. Dopo un pe-riodo di coltivazione paziente, una volta raggiunta la padronanza dei valoriritmici ai quali la rappresentazione è sottomessa, gli artisti sentono semprepiù la necessità di modulare in essi i dati analitici della coscienza. Alle formesemplici, spesso simboliche, che prevalgono nella prima fase dionisiaca, suc-cede l’analisi naturalistica e la narratività letteraria, più o meno idealizzate opsicologizzate. L’avanzata dell’apollineo sull’armonia dionisiaca ne adombrale caratteristiche fino a farne un fattore secondario dell’espressione estetica,quindi, persa collettivamente la percezione, viene rimossa, come possiamonotare negli stucchevoli busti scultorei della decadenza ellenistica greca e ro-mana, sterili effigi di personaggi importanti prive di ogni esteticità, piuttostoche in molte opere del manierismo, del barocco e rococò, dell’accademismoneoclassico e del simbolismo romantico.

Per quanto riguarda l’arte moderna vediamo come questa dinamica de-cadente di ipostatizzazione dell’apollineo non investe che marginalmentel’analisi naturalistica e psicologica, come era accaduto nelle crisi precedenti,assume invece l’aspetto di analisi linguistica, modo intellettuale tipicamentemoderno di oggettivare la realtà.

La vitalità dionisiaca, che costituiva il senso portante delle prime espres-sioni moderne, lo splendore dei rapporti di forme e colori nella relazio-ne essenziale tra il particolare e il tutto, è completamente persa di vista,considerata quasi un modo antiquato della creazione.

Negli anni Ottanta l’arte Postmoderna, con una ripresa della figurazio-ne nella pittura e nella scultura, sembrerebbe rimettere in campo i valoriestetici. Tuttavia questo tentativo di recupero di un equilibrio espressivo ècompiuto nella ignoranza dei valori dionisiaci, per cui si sono riprese solole categorie dell’espressività, colte da un punto di vista apollineo: espres-sionismo, surrealismo, neoclassicismo, neoromanticismo, eccetera, nelle piùvarie combinazioni. Come nel manierismo cinquecentesco si rimane ancorauna volta impaludati in una logica che impedisce il recupero dell’integrità.D’altro canto, le ideologie elaborate nel Novecento ipostatizzano i valori apol-linei, nel totale rifiuto dell’aspetto estatico dionisiaco, costituendo un mu-ro impenetrabile che chiude con un corollario dogmatico le vie a un verorinnovamento.

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L’effetto diretto è il caos, cioè l’impossibilità di riconoscere coralmente unvalore stabile delle opere, la perdita collettiva della possibilità di affinamentodella sensibilità in un percorso di conoscenza, il disinteresse da parte delgrande pubblico.

L’analisi fin qui condotta prevalentemente sulle arti visive, è riportabi-le su quasi tutti i fronti dell’espressività, meno forse su quelli conservatividell’esecuzione musicale e della danza classica che, possedendo un canone,mantengono l’unità dei due principi.

Se tale analisi è plausibile non è difficile dedurre che la rinascita delle artidovrebbe avvenire all’insegna del dionisiaco, o meglio, di una rieducazionepaziente che vede le rappresentazioni formarsi secondo principi di vitalitàdella forma in quella interazione tra apollineo e dionisiaco che ogni voltaassume caratteristiche diverse. Ma il grande scoglio che si presenta è ladiffusa perdita di sensibilità a quelle qualità così particolari; motivo percui un modo espressivo che ogni volta ricominci da capo il ciclo è in unprimo tempo non percepibile e comunque frainteso dai più, che valutano leopere secondo valori apollinei. Tuttavia si tratta di un’esigenza espressiva edesistenziale spontanea che possiamo credere stia già emergendo da qualchedecennio nell’opera di diversi artisti, poeti, scrittori, eccetera; per lo piùsporadicamente, mischiandosi a linguaggi formati secondo i criteri correntidella decadenza apollinea. Probabilmente siamo in una fase di rieducazionea quella sensibilità originaria, un processo lento e difficile, che vede gli artistiall’opera per affinare forme e colori nella tensione tra il particolare e il tutto,poeti che cercano di comporre seguendo un filo di unità più profondo dellasemplice musicalità del verso o della coerenza dei significati; artisti e poetipur non sempre completamente consapevoli del grande mutamento di cuisono loro stessi portatori.

Per entrare nel vivo farò qualche riferimento concreto – premetto che mifermerò alla pittura e alla poesia campi in cui sono impegnato direttamente– non escludendo che il discorso possa essere esteso alle altre arti.

Già dalla fine degli anni settanta, quando lo Sperimentalismo era all’ordinedel giorno, alcuni artisti che recuperavano la pittura sull’onda postmoder-na, hanno spontaneamente raggiunto una nuova consapevolezza. Un primoorientamento provocatorio, allineato con gran parte delle mode dell’epoca,espresso da immagini stucchevoli destinate a suscitare l’imbarazzo, è andatoman mano modificandosi parallelamente a una progressiva riscoperta dei va-lori della pittura. Jan Knap dichiara in un’intervista: «Ho imparato da solo,sbagliando, mettendoci degli anni per capire qualità, proprietà, trucchi dellinguaggio pittorico, che avrei potuto mettere in pratica subito, se qualcunome li avesse insegnati» 18.

La nuova avventura per costoro si volge presto in modo risoluto versoun affinamento delle tensioni di forme e colori, costruendo immagini figura-

18. Jan Knap, a cura di E. Pontiggia, Edizioni Galleria Toselli, Milano 1993, p. 9.

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tive essenziali in cui i soggetti semplici paiono quasi il pretesto per porre incampo armonia e bellezza astratta. Se tali rapporti sono pur riconoscibili inqualsiasi dipinto o scultura elaborati con una minima educazione formale,fin anche nei più dozzinali, in modo del tutto diverso in questa concezionedell’arte figurativa possiamo osservare come tali valori, posti in primo piano,essenzializzati e intensificati, cambiano radicalmente il senso delle rappresen-tazioni. Sono le Rovine di Salvo 19, in cui le colonne dei templi, i capitelli,i massi squadrati appaiono quali forme semplificate al fine di creare ritmiprecisi, tra i quali giocare con effetti di chiaroscuro, simulando rilievi con ac-centuata plasticità, su cui proiettare una luce impostata scenicamente, cheaccende colori innaturali. Sul filo di una stessa ispirazione nascono gli scorcimediorientali con moschee e minareti, i paesaggi tropicali con palme, immer-si nei tramonti più suadenti. L’effetto complessivo dei suoi quadri ricorda atratti scenari di cartoni animati, ma con una consapevolezza formale raffina-tissima, in cui le immagini semplificate, costruite come giochi di plastilina,risultano immerse in una straordinaria unità di insieme, morbidezza di mo-dulazioni chiaroscurali e cromatiche difficilmente riscontrabile nell’opera dialtri artisti 20.

Questa apparenza da cartone animato o da illustrazione fiabesca, è lacaratteristica che ricorre nella pittura figurativa rinata dal dionisiaco, co-me possiamo notare negli artisti venuti alla ribalta negli anni ottanta colgruppo Normal: Jan Knap, Milan Kunc e Peter Angermann 21. Knap, in-tento a raffigurare sacre famiglie, paesaggi in cui angioletti partecipano allavita bucolica, utilizza per costruire la magia delle sue immagini stereotipidell’illustrazione per l’infanzia o della più ingenua iconografia religiosa 22.Kunc prolifera, con sfrenata immaginazione, in innumerevoli tematiche sur-reali, dove il gioco fantastico è condito da un umorismo incessante 23. InAngermann invece la pittura si fa più gestuale in un curioso incrocio tra li-bero schizzo illustrativo e pittura zen, in cui la spontaneità del segno è mossacon intensità dei rapporti di insieme per dare vita a freschissimi paesaggi oa giochi d’immaginazione in cui il mondo reale è trasfigurato in una sagracomica e fiabesca 24. Diversi altri sono gli artisti annoverabili su questo fron-te, tra cui è il caso di ricordare l’islandese Helgi Friðjónsson 25 e le sue figurenude sospese su sfondi tipicamente nordici, in comunione con una natura

19. Salvo (Salvatore Mangione), nato a Leonforte (Enna) nel 1947, è uno tra i più notipittori italiani.

20. Vd. Figura 1, p. 22.21. Jan Knap, Chrudim (CZ), 1949; Milan Kunc, Praga (CZ), 1944; Peter Angermann,

Rehau (DE), 1945. Sono artisti riconosciuti a livello internazionale.22. Vd. Figura 2, p. 23.23. Vd. Figura 3, p. 24.24. Vd. Figura 4, p. 25.25. Helgi Þorgils Friðjónsson, Búdardalur (Islanda), 1953; ha partecipato alla Biennale

di Venezia del 1998.

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riconciliata 26.La forma figurativa costruita seguendo una sensibilità ritmica anziché

naturalistica, rende l’oggetto come svuotato di quei contenuti psicologici econnotati spazio temporali che generalmente intervengono in un’immagine“tradizionale”, per porre in primo piano la presenza pura dell’oggetto, lasua vuota configurazione, che le energie dionisiache riempiono aumentando-ne lo spessore ontologico, donando alle immagini un’inspiegabile intensità,una vitalità che perdura nel tempo. Vi è dunque un vero e proprio ribalta-mento, per cui si privilegia la meraviglia, l’apparire dell’oggetto rinato nellosplendore, come a un primo sguardo. È il gioco riconducibile al dio Er-mes, che trasformava gli oggetti in giocattoli, la tartaruga in lira, spiazzandogli uomini portati a proiettare un senso di utilità nelle cose, di “normalità”condizionata da automatismi di significazione.

Questa valorizzazione dell’essere in una nuova trasparenza solare dellarappresentazione delle cose, per un certo verso appare come una sorta diregressione infantile, di gioco fatuo, di sberleffo dissacratore, ciò che costi-tuisce la pars destruens di tale orientamento espressivo. Dal punto di vistadell’essere tutto ciò che esiste è rilevante, cadono le gerarchie dei significati,questione che consente agli artisti di porre, in un gioco formale rinnovato,anziché contenuti e stilizzazioni “interessanti”, l’esatto contrario: ciò che èconsiderato insignificante, basso, puerile, buffo, ridicolo.

La coscienza viene qui sottoposta a un processo alchemico, che è al-la base di ogni rinnovamento spirituale («Beati gli ultimi» diceva Cristo),valorizzando quella parte che la nostra cultura, nel suo moto idealizzantee moralizzante, ha squalificato, quella parte intrisa di sensibilità sensoria-le, sentimento e tenerezza, ma anche di viscerale vitalità, la cui rimozioneha portato a diventare una sorta di scoria, di immondezzaio della coscienza,provocando una scissione nell’intimo della personalità dell’uomo occidentale.

Vignette, barzellette, pupazzetti, peluche che invadono cartolerie, mer-catini, negozi di gadget, autogrill, sono gli stereotipi che emergono come unfiume in piena dalle regioni della rimozione culturale 27. In ogni unità origi-

26. Vd. Figura 5, p. 26.27. Julia Kristeva in un’intervista con Catherine Francblin afferma: «Il dilagare attuale

dell’immagine nella cultura dei mass media, l’irrompere di contenuti regressivi nel sensodi adolescenziali, infantili, sentimentali, tenderebbe a provare che questo individuo razio-nale e maggiorenne è un puro fantasma della psicanalisi. Il bisogno dell’immaginario ineffetti non smette di farsi sentire e non si esaurisce. C. F. – L’immaginario al quale fa

appello la cultura della televisione e del fumetto le sembra attuare le stesso ruolo catartico

dell’immaginario sollecitato dai testi sacri? J. K. – Si, certamente. La cultura dei massmedia è meno codificata, ma ha la stessa universalità; noi non abbiamo un solo libro damettere in immagini e forme, ma molti, ed è per questo che assistiamo a un polverio diforme, d’immagini. Queste appaiono mediocri rispetto ai grandi miti che parlano dellavita e della morte, ma i “piccoli dettagli”, che veicolano altrettanto bene i discorsi suldivano quanto la televisione, non sono senza effetto, così come le immagini pie, sui nostridiscorsi quotidiani. Viviamo un’atomizzazione dell’immaginario. È meno maestoso, menoimponente di una cattedrale, ma viene a essere toccato lo stesso registro dell’apparato psi-

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naria, come nel mondo infantile e primitivo, non è possibile fare distinzionetra alto e basso, serio e giocoso, commovente e satirico, non è possibile distin-guere l’impegno intellettuale dall’ingenuità dei sentimenti. Se dunque nelleopere di questi artisti, da una parte possiamo riconoscere un certo gradodi regressione, il riavvicinamento all’origine fa emergere stati profondi dellacoscienza che prendono corpo in forme essenziali pregne di forza simbolica.Così come, d’altro canto, il lavoro di semplificazione ritmica è coordinatocon intensità intellettuale in particolari geometrizzazioni, tagli prospettici,sapienti giochi di elusione dei significati, in una combinazione inedita che ca-ratterizza le immagini in modo decisivo. Se queste opere a un primo sguardopossono suscitare imbarazzo, dovuto al presentarsi così esplicito degli ste-reotipi, in un secondo tempo possono condurre a percepire la vitalità di unanuova sintesi e operare una trasformazione.

Per quanto riguarda la poesia il discorso si fa più difficile in quanto lanuova compresenza di apollineo e dionisiaco, che mi sembra di cogliere inalcuni autori contemporanei, non si realizza in modo sempre lineare e noncosì evidente. Per di più, se nella pittura è possibile fare una distinzionetra mezzi formali astratti e rappresentazione, cosa che ha reso plausibileun’arte astratta, nel verso poetico il significato e il significante sono cosìintimamente uniti che ogni intervento parziale, tanto nella creazione quantonella interpretazione, introduce una forzatura.

A. Carrera, un critico dei nostri giorni, nella recensione a un libro di ungiovane poeta (Luigi Aliprandi, La sposa perfetta, 1998) si esprime così:

Una recente tendenza della poesia italiana che si potrebbe raggrupparesotto le categorie della scorrevolezza del verso e della trasparenza delsignificato. [. . . ] Molti sono i padri di questa poesia così tersa, nonsolo i lontani crepuscolari. Sia come sia, la totale rinuncia all’aspro eal “pietroso” produce proprio quella sorta di piacevole veleggiare sullasuperficie della sintassi. [. . . ] Il mormorio di questa voce è così delicatoche non può permettersi note forti. 28

La metafora “veleggiare” esprime efficacemente il fluire del dionisiaco inun’armonia che non è corretto identificare semplicemente con la musicalitàdel verso, in quanto si tratta di una musica più profonda, in cui immaginie concetti sono coinvolti come in una danza che muove dall’intimo della pa-rola. Se Carrera coglie ciò in “una recente tendenza della poesia italiana”,

chico. C. F. – Le opere dei giovani artisti che si ispirano alle immagini popolari sarebbero

dunque le nostre immagini pie? J. K. – Credo in effetti che queste immagini abbiano unimpatto terapeutico. Hanno il valore di uno spot effimero perché captano a un certo puntoun’angoscia che è potuta passare in tale fumetto o tale immagine televisiva, angoscia cheesse incorniciano e rappresentano in tale modo che la nostra attenzione si trova attirata quie ora, come fa il lavoro analitico.» (J. Baudrillard, Appuntamenti con la filosofia, Politi,Milano 1989, pp. 70 ss.).

28. A. Carrera, recensione del 2003 a La sposa perfetta di Luigi Aliprandi (Marsilio,Venezia 1998), su Sinestesie, rivista letteraria on line: http://www.rivistasinestesie.it/archivio/letteratura/scritti/sposa_perfetta.pdf.

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occorre chiarirne meglio le provenienze. I poeti sanno bene di cosa si tratta:è il “canto” più autentico della lirica di ogni tempo, di cui probabilmentepossiamo trovare l’origine nella nostra cultura nel Cantico dei cantici, pre-sente in modo evidente nella poesia medioevale, quasi questa qualità fosseallora insita nella stessa lingua. Al massimo grado ciò lo troviamo espressonella celebre poesia di Dante: «Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fos-simo presi per incantamento / e messi in un vasel, ch’ad ogni vento / permare andasse al voler vostro e mio» 29. Così come altro momento esemplareemerge all’inizio de Il sabato del villaggio di Leopardi: «La donzelletta viendalla campagna, / In sul calar del sole, / col suo fascio dell’erba; e reca inmano / un mazzolin di rose e di viole, / onde, siccome suole, / ornare ella siappresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine» 30.

Tanto più potente e luminosa è la forza interna del verso quanto piùsemplici si fanno immagini e concetti, spariscono le metafore, fino a darel’impressione che le parole brillino di una luce propria, colme di splendoree di senso, un senso che non è spiegabile se non semplicemente parlando dibellezza e di vitalità. Dal punto di vista apollineo, alla ricerca di tematiche esignificati interessanti, metafore suggestive, punto di vista alieno dalla sensi-bilità dionisiaca, queste sono banalità, favolette per bambini, il che dimostraquanto sottile sia il crinale tra sublime e banale.

Dunque non si tratta di atteggiamento stilistico, o artificio retorico rea-lizzabile con semplice abilità; tuttavia questa intensità interna non è cosìfacilmente distinguibile dalla plasticità del verso, dalla musicalità indottadalla rima e dalle assonanze, con cui è spesso impastata; esattamente comein pittura lo splendore ritmico dell’immagine non è distinguibile facilmentedalla semplice vivacità dei colori o da una sintesi geometrizzante delle forme.È forse questo il motivo per cui con la rivoluzione della poesia moderna,nella quale riemerge il dionisiaco, si tendono a eliminare la rima e la formachiusa, dove l’armonia è condizionata da principi razionali, per lasciare fluireliberamente il verso nella sua più spontanea vitalità. Ciò lo riconosciamo nellanguore di Corazzini: «Perché tu mi dici: poeta? / Io non sono un poeta. /Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. [. . . ] Le mie tristezze sonopovere tristezze comuni. / Le mie gioie, furono semplici, / semplici così, chese io dovessi confessarle a te arrossirei.» 31.

È interessante osservare come nei poeti del primo Novecento la potenzadionisiaca viene più evidenziata raffreddando la stessa musicalità del versoche tendeva a prendere la mano in un “ondeggiare” che rischiava di svuotar-si, come a tratti in Palazzeschi, Gozzano, Moretti, Onofri e altri. Questo

29. D. Alighieri, sonetto LI 8 – LIII 14 (D. Alighieri, “Rime”, in: Id., Le Opere di Dante,testo critico della Società Dantesca Italiana, Firenze 1921, p. 73).

30. G. Leopardi, “Il sabato del villaggio”, in: Id., Tutte le opere, a cura di E. Trevi e L.Felici, Newton & Compton, Roma 1997-1998.

31. S. Corazzini, “Desolazione del povero poeta sentimentale”, dal Piccolo libro inutile

(Id., Liriche, Ricciardi, Napoli 1968, p. 77).

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verso “asciutto” lo troviamo nel primo Ungaretti de L’allegria, forse uno deimomenti più alti di tutto il Novecento: «Si chiamava / Mohammed Sceab /Discendente / di emiri di nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria./ Amò la Francia / e mutò nome. / Fu Marcel / ma non era francese / enon sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi / dove si ascolta la cantilena/ del Corano / gustando un caffè. / E non sapeva / sciogliere / il canto /del suo abbandono» 32. Questo momento tuttavia non dura molto, infatti,già nel Sentimento del Tempo 33, perso il “dono” che aveva ispirato il pri-mo libro, Ungaretti sembra regredire in un ritmo pesante, reintroducendotutto un apparato retorico ridondante, perdendo limpidezza della parola etrasparenza.

Bisognerà arrivare al primo Bertolucci e a Sereni perché il dionisiacoritrovi la sua impalpabile intensità, in particolare in Diario d’Algeria 34 e inmomenti altissimi de Gli strumenti umani: «Tutto si sa, la morte dissigilla./ E infatti, tornavo, / malchiusa era la porta / appena accostato il battente./ E spento infatti ero da poco, / disfatto in poche ore» 35. Ma anche perSereni il sottile equilibrio tra apollineo e dionisiaco decade in una china chesembra ormai trascinare tutta la poesia occidentale, presa nel vortice dellosperimentalismo.

Persa collettivamente la percezione del dionisiaco, la ricerca si dinamizzasul piano linguistico, questione che porterà nel giro di qualche decennio allalacerazione, nel tentativo estenuato di vitalizzare un linguaggio cristallizzato.È una poesia spesso oscura, catafratta e frammentaria, a tratti visitata daeccessi di una musicalità esasperata e fittizia, virtuosismi di plasticità, piut-tosto che contenuti moraleggianti. Per alcuni il ricorso al dialetto è lo strenuotentativo di ritrovare quel contatto con l’origine che sembrava irrimediabil-mente perduto. Tuttavia non mancano nella seconda metà del Novecentocontinui ritorni sotterranei, tentativi di recuperare una parola che sgorghilimpida. Sembra quasi che il “bello” tenti di farsi strada nell’“interessante”,che ne aveva preso il posto. In alcuni casi con intere poesie di un prodigio-so e totale recupero dell’ispirazione dionisiaca, come troviamo in UmbertoBellintani e in Maurizio Cucchi.

L’ultimo libro di Bellintani, Nella Grande Pianura, pubblicato alla finedel millennio, poco prima della morte, racchiude una scelta di tutta la suaproduzione cominciata nel dopoguerra. È evidente in tutto il percorso ladiscontinuità dei due momenti, ma verso la fine del libro troviamo questapoesia:

Mezzogiorno da tanto

32. G. Ungaretti, L’allegria, Mondadori, Milano 1942, pp. 35, 36.33. Id., Il sentimento del tempo, Mondatori, Milano 1943.34. V. Sereni, Diario D’Algeria, Einaudi, Torino 1998.35. V. Sereni, “Le sei del mattino”, da Gli strumenti umani (Id., Poesie scelte. 1935-

1965, a cura di L. Caretti, Mondadori, Milano 1973, p. 64).

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è suonato.Ora mi sento come a Monzail giovane natoalla poesia.Quale disponibilità, che sentimento!E che sole splendenteora sulle campagnedella Lombardia.E quale vento mi ha portato, quale vento ignaro mi trasportaper i cieli della miavita incantata.Passata poco piùdi mezz’ora suonaun’ora indistinta il campanile.Ora la primavera è spenta,ora mai più sulla terrami bagnerà gli occhi il cantoazzurro delle campagnenel giorno santo. 36

La meravigliosa bellezza di questa poesia testimonia in ogni sua parte lostato estatico trascendente, contemplativo, intimamente sacro dell’ispirazionedionisiaca, come troviamo in questa poesia di Cucchi, da Poesia della fonte,che diventa quasi emblema del momento di passaggio attualmente in atto:

Non sono più nella mia casa,ma in questa sede ariosa che mi concede tutto.La sua tranquilla geometriadà ingresso al chiaro per i corpiumidi e leggeri sul terrazzo.Ascolto di qui le voci della piazza,osservo come un lago il mare che si aprenel bosco e se c’è ventouna domestica campagna di cicaleche a mezzogiorno protegge i nostri passi.

Ma a questo punto la poesia cambia registro

Dipinta di azzurro e di biancola Brise Marine raccoglie gente che non haquesti giardini riflessi negli occhi,né le tracce feriali di una pigra incuria.Mi affaccio distante per vederequei musi di pesce e la verniceazzurra e viola che cola sulla pelledi chi non sosta quando il tempo non ha più direzione:nella pianura totale, deserta, e nel confine a taglio che si annebbia. 37

36. U. Bellintani, Nella grande pianura, Mondadori, Milano 1998, p. 152.37. M. Cucchi, “La casa al mare”, in: Id., Poesia della fonte, Mondadori, Milano 1993,

p. 19.

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Vediamo come i versi della prima parte appaiano compatti, nella frescafluidità dell’ispirazione, stato contemplativo mosso da quello stesso “ventoignaro” di cui parla Bellintani. Sono percezioni sensoriali che emergono intrasparenza da un sottofondo musicale avvolgente che tende a svuotare icontenuti di ogni determinazione, luminosa sospensione da cui è escluso ognigiudizio. Al contrario, nella seconda parte il ritmo sembra perdere la fluiditàper concentrare l’espressività sui contenuti: la determinazione di un luogo,con particolari connotati visivi, il giudizio sulla “gente” che «non ha questigiardini riflessi negli occhi, / né le tracce feriali di una pigra incuria», giudizioche arriva al disgusto e all’insulto “musi di pesce” incapaci di «sosta quandoil tempo non ha più direzione», che manca cioè proprio di quello stato chela prima parte della poesia ci fa vivere così intensamente. Si tratta dunquedi due stati opposti emergenti da zone diverse della coscienza, che portano aesiti estetici altrettanto diversi. Nella prima parte vediamo come l’intensitàdionisiaca sia distribuita orizzontalmente in modo uniforme, portando du-rante la lettura, come nell’ascolto della musica, al crescere progressivo diuno stato particolare, un sentimento del bello che non è ascrivibile comple-tamente alla particolarità del verso, delle immagini, dei contenuti, mentresembra invece prodursi in uno splendore interno, che si deposita come espe-rienza diretta di rinnovata vitalità. Viceversa la seconda parte appare come“raccontata” in immagini opache, si creano suggestioni nella descrizione deicolori, delle situazioni, dove a tratti interviene, nel lampeggiare verticaledel verso, la bellezza apollinea dei concetti: «le tracce feriali di una pigraincuria», «nel confine a taglio che si annebbia».

Occorre dire che Cucchi negli anni successivi ha scritto un’altra versionedi questa poesia, pubblicata in L’ultimo viaggio di Glenn 38, in una sintesiche privilegia la prima parte, nella tendenza tuttavia a rimescolare i duemomenti, nella prima versione così distinti.

Continuando l’excursus sulla poesia del Novecento italiano possiamo co-gliere come nelle generazioni successive proprio quando negli anni settantala poesia è nel momento critico della crisi apollinea, il dionisiaco sembrairrompere nella coscienza di due poeti con una forza alla quale loro stessinon riusciranno a resistere: Beppe Salvia (1954-1985) e Giuseppe Piccoli(1949-1987), entrambi suicidi. Non a caso è lo stesso periodo in cui la pit-tura incominciava a recuperare la percezione dei rapporti ritmici di forme ecolori, nei decenni precedenti completamente tramontati.

Salvia, dalla poesia Lettera: «Viene la sera, è vero, silenziosa / piove unaluce d’ombra e come / fossero i nostri sensi inevitabili / improvvisi, noi la-mentiamo / una più vasta scienza» 39. Piccoli, da Fratello Poeta: «Baci. Manell’aria c’è una / malattia dell’Essere la chiami / noia per ripetermi e quindievadere ogni possibilità di offesa. / La chiamo “mondo” e, rinnovandomi, /

38. M. Cucchi, L’ultimo viaggio di Glenn, Mondadori, Milano 1999, p. 49.39. B. Salvia, “Lettera”, in: Id., Cuore, Rotundo, Roma 1988.

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c’è questa splendida facoltà di intesa» 40.In questi due poeti il dionisiaco si presenta a uno stato quasi puro, come

argento vivo, pericolosa sostanza che sgorga nei loro versi con una rara flui-dità, da cui sembra che i concetti stiano prendendo forma, ma che rimangonospesso in una sorta di indeterminatezza, tutti risonanti dell’originario afflatocosmico da cui sono sorti.

Questa predisposizione dionisiaca del poeta lirico, è descritta come espe-rienza personale da Schiller e riportata da Nietzsche nella Nascita della

tragedia come esempio che sembra sancire la stessa essenza della lirica:

Sul processo del poetare Schiller ci ha illuminati con un’osservazionepsicologica per lui stesso inesplicabile, ma che non pare dubbia; egliconfessa infatti di aver avuto davanti a sé e in sé, come stato prepara-torio prima dell’atto del poetare, non già una serie di immagini, conun’ordinata causalità di pensieri, ma piuttosto una disposizione musi-cale (“Da principio il sentimento è in me senza oggetto determinato echiaro; quest’ultimo si forma solo più tardi. Precede una certa dispo-sizione d’animo, musicale, e solo a questa segue in me l’idea poetica”)se ora aggiungiamo a ciò il fenomeno più importante di tutta la liricaantica, l’unione, anzi l’identità, considerata dappertutto naturale, dellirico con il musicista, – in confronto alla quale la nostra lirica modernaappare come il simulacro di un dio senza testa – possiamo poi, in basealla nostra metafisica estetica dapprima precedentemente esposta, spie-garci il lirico nella maniera seguente. Dapprima egli è divenuto, comeartista dionisiaco, assolutamente una cosa sola con l’uno originario, colsuo dolore e la sua contraddizione, e genera l’esemplare di questo unooriginario come musica, [. . . ] ma in seguito, sotto l’influsso apollineodel sogno, questa musica gli ridiventa visibile come in un’immagine disogno simbolica. Quel riflesso senza immagine e senza concetto del do-lore originario nella musica, con la sua liberazione nell’illusione produ-ce poi un secondo rispecchiamento, come singola immagine o esempio.L’artista ha già annullato la sua soggettività nel processo dionisiaco:l’immagine che ora la sua unità col cuore del mondo gli mostra è unascena di sogno, che dà una figura sensibile a quella contraddizione e aquel dolore originari, oltre che alla gioia originaria dell’illusione. L’“io”del lirico risuona dunque dall’abisso dell’essere: la sua “soggettività”nel senso dell’estetica moderna è un’immaginazione. 41

Nei versi di Salvia e di Piccoli i concetti sembrano formarsi da un’urgenzache li precede, dinamica, che tende a “svuotare” le parole facendovi emergerela potenza simbolica degli archetipi, che si riversa in una singolare tensionegnomica, oracolare. Beppe Salvia: «Non luci non serene passioni di / nudavastità dimorano gli uomini, / ma vagabonde mete e improvvise / rauche vocicome fosser nodi / d’un filo che circonda, perimetro, / la rete che pescano[. . . ]», «Mi sveglio e veglio ancora il canto / di quest’acqua che distratto

40. G. Piccoli, da “Fratello poeta”, in: Id., Poesia Tre, Guanda, Milano 1981, p. 208.41. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., pp. 40, 41.

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seguito / a distrarre da me come se un canto / qual è, mai forse udito, è quelche medito.» 42. Giuseppe Piccoli: «Questa fonte che lava la mia veste / oratu la conosci, la devi consacrare: / e la fede tenuta alla massa della rocciarupestre / tu la devi svuotare nell’abisso: / in quel frastuono dell’acqua chenon s’imbriglia / tu saprai di te stessa [. . . ]», «Verrà il colore dell’ombra /a darci pace e giustizia d’anima: / lo sento che verrà, e sarà / più che unabiga con tanti cavalli. / Né io vile sarò: sarà un segno / trovato nel libro trevolte aperto, / tre volte chiuso, quando al Signore / tocca d’ungere d’olio ilcapo: / e la grazia d’un baleno su di noi, / sulle nostre parole temendo dette/ sulle impaurite parole che non si fanno» 43.

Vi è qualcosa di inattuale in questa poesia così “alta”, non condizionatada alcuna determinazione spazio temporale, poesia da cui sgorga una “mate-ria” rigenerata, una parola pregna di segreti di rigenerazione, in cui risuonail richiamo “tragico” dell’origine.

Se in Salvia e in Piccoli il dionisiaco invade pericolosamente i loro ver-si e le loro vite, vediamo come nel 1980 esce un libro singolare, in cui peruna straordinaria combinazione di equilibrio, apollineo e dionisiaco sembra-no coincidere. Si tratta di Hora serrata retinae di Valerio Magrelli, un libroscritto da un poeta ventenne che ha una spiccata propensione intellettuale.«Io abito il mio cervello / come un tranquillo possidente le sue terre. / Pertutto il giorno / il mio lavoro è nel farle fruttare / il mio frutto nel farlelavorare. / E prima di dormire / mi affaccio a guardarle / con il pudoredell’uomo / per la sua immagine. / Il mio cervello abita in me / come untranquillo possidente le sue terre.» 44. La reciprocità di coscienza ed esseresembra dichiarata in questa poesia, che nel flusso di un’ispirazione pacata,riflessiva («Bisogna riflettere sulle idee / come fossero formaggi / e farle bol-lire e farle / fermentare.» 45) con un ritmo sicuro, un verso trasparente eleggero, indaga i meccanismi del pensiero, le strutture originarie della co-scienza, che emergono in uno scenario domestico, disciplinato dalla scritturae dalla lettura. «Non ho un bicchiere d’acqua / sopra il letto: / ho questoquaderno. / A volte ci segno parole nel buio / e il giorno che segue le trovo/ deformate e mute. / Sono oggetti notturni / posati ad asciugare, / che nelsole s’incrinano / e scoppiano. [. . . ]» 46 La “scrittura” assume qui il senso diuna disciplina spirituale, laboratorio alchemico dove le riflessioni sul pensieroche si fa linguaggio diventano, in passaggi metaforici, immagini originarie divasta portata simbolica. «Ogni sera chino sul chiaro / orto delle pagine, /colgo i frutti del giorno / e li raduno. Allineati / su filari paralleli corronoi pensieri, / tracce di accorti innesti. / La mia vita è legata / al frugale

42. B. Salvia, Cieli celesti, cit.43. G. Piccoli, op. cit., p. 209.44. V. Magrelli, Hora serrata retinae, Feltrinelli, Milano 1980, p. 32.45. Ibid., p. 84.46. Ibid., p. 48.

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raccolto, / il suo consumo è quotidiano, dimesso» 47.Tuttavia negli anni successivi, come accadde a Valery, in Magrelli prevale

l’aspetto intellettuale, sembra che l’ispirazione che aveva dettato un libro cosìstraordinario sia venuta a esaurirsi.

Vediamo dunque come questa rinascita collettiva della percezione del dio-nisiaco, e della sua valorizzazione, appare sin dalla fine dagli anni settantacome una lotta faticosa dagli esiti discontinui, questione d’altro canto fisio-logica in quanto non si tratta affatto di una scelta totalmente cosciente madi una disposizione d’animo, di una tensione creativa così lontana da ogniatteggiamento stilistico. Pare che le file dei poeti che stanno coltivando que-sto orientamento vadano ingrossandosi; tra le generazioni recenti AnnalisaManstretta (1968) mi sembra stia lavorando in questo senso con profitto. «Ilnostro amore non è un’alleanza / per sopravvivere a condizioni difficili: /bilocale con cucina abitabile. / Senti come la nostra organizzazione / parlaun suo misterioso linguaggio / vicino a quello degli uccelli / che stanno soprail ciliegio. / Siamo semplici e millenari / come le migrazioni delle antilopi /all’alterna stagione» 48.

“Semplici e millenari” scrive Manstretta nella sua poesia trasparente,densa di immagini originarie, è questa la meta che si presenta ora per noi inuna rinnovata disposizione esistenziale e creativa, così lontano dal concettodi “nuovo” che la cultura moderna ha portato all’esasperazione. Una culturache, nel tentativo di una radicale oggettivazione delle rappresentazioni, haperso la facoltà di percepire il soffio dell’invisibile che ordina e sorregge ilmondo.

Nicola Vitale

Nicola Vitale, poeta e pittore, è nato a Milano, dove vive, nel 1956. I suoi dipinti sono

stati esposti in mostre personali e collettive, in gallerie private e spazi pubblici, in Italia,

Svizzera, Stati Uniti e Islanda. È stato incluso nella nuova edizione dell’antologia: Poeti

italiani del secondo Novecento (Milano, 2004). Tra i suoi ultimi lavori poetici si ricorda la

raccolta: Condominio delle sorprese (Milano, 2008). Dei suoi più recenti saggi ricordiamo

La crisi e il paradosso dell’arte contemporanea. Riflessioni sulla fine della modernità e

sulla morte dell’arte (Mutamenti, Lugano 2008).

47. Ibid., p. 27.48. A. Manstretta, La dolce manodopera, Moretti e Vitali, Milano 2006, p. 38.

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Figura 1: Salvo, Paesaggio, 1994 (olio su tela, cm. 160×270)

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Figura 2: Jan Knap, senza titolo, 1989 (olio su tela cm. 80×110)

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Figura 3: Milan Kunc, Magic, 1996 (olio su tela, cm. 125×95)

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Figura 4: Peter Angermann, Picnic di orsi, 1988 (olio su tela, cm. 170×200)

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Figura 5: Helgi Friðjónsson, Il dado, 1991 (olio su tela cm. 161×140)

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