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Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 pagina1 via Modena, 5 - 00184 ROMA Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail : [email protected] Sito: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale RASSEGNA STAMPA MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2013 UN AFORISMA AL GIORNO: «La saggezza dellanziano è il riassunto del passato, ma la bellezza di una donna è la promessa del futuro!». (Oliver Wendell Holmes, senior) La crisi colpisce leconomia tedesca....................................................................... 2 BTp a 15 anni, boom di richieste ............................................................................ 3 UniCredit cresce allEst, in aumento utili e impieghi .......................................... 4 Tassara sceglie Ubs per cedere Alior Bank In pole laustriaca Erste ................. 5 I segreti della Professoressa Madoff ...................................................................... 6 Il Credito Valtellinese torna a collocare bond Domanda elevata ........................ 7 Burberry accelera nel trimestre.............................................................................. 8 Redditometro, tutti gli «sconti» del Fisco ............................................................. 9 Linflazione rallenta a dicembre Ma la spesa quotidiana sale del 4,3% ............. 10 Crescita, la prima frenata di Berlino ...................................................................... 11 La Bundesbank si riprende loro da Parigi e New York ........................................ 12 Generali, i golden boy di Greco La squadra (internazionale) del Leone ............ 13 La guerra delle valute, lEuropa perde colpi ma leuro è il più forte .................. 14 La locomotiva tedesca frena, Eurolandia trema .................................................... 15 Carrello della spesa più caro del 4,3% ................................................................... 16 L’Est europeo guarda a Russia e Cina Lì hanno i fondi, Eurozona al verde................................................................. 17

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Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013

Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi

Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007

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ina1

via Modena, 5 - 00184 ROMA

Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail: [email protected] Sito: www.fiba.it

Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES

(Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale

RASSEGNA STAMPA MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2013

UN AFORISMA AL GIORNO: ««LLaa ssaaggggeezzzzaa ddeellll’’aannzziiaannoo èè iill rriiaassssuunnttoo ddeell ppaassssaattoo,,

mmaa llaa bbeelllleezzzzaa ddii uunnaa ddoonnnnaa èè llaa pprroommeessssaa ddeell ffuuttuurroo!!»»..

((OOlliivveerr WWeennddeellll HHoollmmeess,, sseenniioorr))

La crisi colpisce l’economia tedesca....................................................................... 2 BTp a 15 anni, boom di richieste ............................................................................ 3 UniCredit cresce all’Est, in aumento utili e impieghi .......................................... 4 Tassara sceglie Ubs per cedere Alior Bank In pole l’austriaca Erste ................. 5 I segreti della Professoressa Madoff ...................................................................... 6 Il Credito Valtellinese torna a collocare bond Domanda elevata ........................ 7 Burberry accelera nel trimestre .............................................................................. 8

Redditometro, tutti gli «sconti» del Fisco ............................................................. 9 L’inflazione rallenta a dicembre Ma la spesa quotidiana sale del 4,3% ............. 10 Crescita, la prima frenata di Berlino ...................................................................... 11 La Bundesbank si riprende l’oro da Parigi e New York ........................................ 12 Generali, i golden boy di Greco La squadra (internazionale) del Leone ............ 13 La guerra delle valute, l’Europa perde colpi ma l’euro è il più forte .................. 14

La locomotiva tedesca frena, Eurolandia trema .................................................... 15 Carrello della spesa più caro del 4,3% ................................................................... 16 L’Est europeo guarda a Russia e Cina

“Lì hanno i fondi, Eurozona al verde” ................................................................. 17

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro corrispondente Alessandro Merli

LE RICETTE ANTI-CRISI

La crisi colpisce l’economia tedesca

La flessione degli investimenti fa arretrare dello 0,5% il Pil nel quarto trimestre dell'anno

scorso

LE PROSPETTIVE

La ripresa è già in corso ma si annuncia debole: oggi il Governo taglierà da +1% a +0,4% le

stime per il 2013

FRANCOFORTE.

Brusca frenata nel 2012 per l'economia tedesca, che nel quarto trimestre ha accusato una contrazione più forte

del previsto a causa di una netta riduzione degli investimenti. Gli economisti sono divisi sulla possibilità di un

recupero in tempi rapidi nel 2013 e quindi sulla capacità della Germania di fare da traino a un'Eurozona in

recessione, mentre oggi il Governo annuncerà un taglio di oltre la metà delle sue previsioni.

Il Pil della Germania, secondo la prima stima di Destatis, l'ufficio federale di statistica, è cresciuto dello 0,7%

l'anno scorso (0,9 tenendo conto dei diversi giorni lavorativi), al di sotto delle aspettative di mercato di (+0,8) e

in drastico calo rispetto al 3% del 2011. Si tratta di una performance migliore rispetto a quella degli altri grandi

Paesi dell'area euro, ma indica che la crisi dell'euro ha cominciato a mordere anche in Germania. Il dato è al di

sotto della media dell'1,3% dopo la riunificazione, dal 1992 a oggi e la decelerazione dovrebbe continuare nel

2013: la Bundesbank prevede che la crescita scenderà allo 0,4%, una cifra alla quale dovrebbe uniformarsi oggi

il Governo, che finora aveva previsto un'espansione dell'1%.

Un economista di Destatis ha dichiarato, alla presentazione dei numeri dell'anno scorso, che dal quarto trimestre

emergerà probabilmente una crescita negativa dello 0,5%, anche questa peggiore delle attese. Il rallentamento

dell'economia tedesca è in atto da tempo, dice Lucrezia Reichlin, della London Business School: l'indice Now-

Casting elaborato dalla stessa Reichlin puntava verso una contrazione del Pil negli ultimi tre mesi del 2012 di

queste dimensioni già nel luglio scorso. Secondo la Bundesbank, l'economia dovrebbe quanto meno

stabilizzarsi nei primi tre mesi di quest'anno, evitando la recessione.

Il dato della crescita 2012 ha avuto un contributo importante (+1,1%) dal saldo commerciale netto, ma questo,

osserva Philippe Waechter, di Natixis Asset Management, è stato dovuto soprattutto alla minor crescita delle

importazioni, mentre l'export si è rivelato meno dinamico che in passato. Oltre al resto dell'area euro, hanno

rallentato nel 2012 anche i Paesi asiatici, che avevano rappresentato un significativo mercato alternativo per le

esportazioni tedesche. Negativo il contributo della domanda interna, per effetto del calo degli investimenti, un

fenomeno che a quanto pare si è accentuato nel finale di anno, e nonostante le favorevoli condizioni finanziarie

per le imprese. Il rilancio degli investimenti dev'essere ora la priorità, secondo Rolf Schneider, economista di Allianz, il quale sostiene tuttavia che il dato negativo del 2012 non è ragione di pessimismo sulle prospettive

dell'economia tedesca. Quello dei bassi investimenti dell'industria è considerato da tempo uno dei punti deboli

della Germania, secondo l'Ocse. Andreas Rees, di Unicredit, ritiene che gli investimenti rimbalzeranno già da

questo trimeste e la crescita dovrebbe registrare un +0,3% nei primi tre mesi del 2013.

L'aumento dell'indice Ifo delle aspettative degli operatori economici sembra puntare a una ripresa nel corso di

quest'anno. L'andamento del mercato del lavoro (la disoccupazione è vicina ai minimi ventennali) e dei redditi

dovrebbero assicurare la tenuta dei consumi.

Intanto, il buon risultato delle entrate fiscali e dei versamenti contributivi ha portato nel 2012 i conti pubblici in

attivo, di uno 0,1%, cosa che non accadeva dal 2007. L'anno elettorale condurrà probabilmente a un ritorno del

deficit, ma difficilmente il Governo tedesco accoglierà le sollecitazioni, lanciate anche ieri dal primo ministro

spagnolo Mariano Rajoy, di sposare una politica di espansione per rilanciare la ripresa nell'Eurozona.

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Maximilian Cellino [email protected]

LA GIORNATA

BTp a 15 anni, boom di richieste Collocati 6 miliardi a fronte di una domanda da 11 miliardi - Rendimento al 4,805%

GLI ORDINI

Forte attenzione da compagnie assicurative e fondi pensione Gli investitori esteri tornano a

manifestare interesse Oggi i dati ufficiali del Tesoro Sei miliardi di euro, proprio come tre anni fa. Il Tesoro archivia con successo il ritorno all'emissione di un BTp

a 15 anni dopo la bufera finanziaria che ha investito l'Europa e il nostro Paese. Ieri, attraverso un collocamento

privato affidato a un gruppo di banche (Banca Imi, Barclays, Credit Agricole, Goldman Sachs e Jp Morgan), ha

piazzato appunto titoli per 6 miliardi con scadenza settembre 2028 e cedola del 4,75% annuo al prezzo di

100,017, corrispondente a un rendimento lordo annuo a scadenza del 4,805%: 30 punti base in più rispetto al

titolo più «vicino», il BTp marzo 2026.

Nel settembre del 2010 quel BTp a 15 anni era andato sul mercato al 4,543%, ma i tempi erano decisamente

differenti e il risultato di ieri può essere archiviato con soddisfazione. Anche perché il Tesoro ha ricevuto

richieste probabilmente ben superiori alle attese, 11 miliardi di euro (erano state di poco inferiori ai 10 miliardi

3 anni fa), a testimonianza di quel ritorno di interesse e fiducia nei confronti del nostro Paese che si intuisce

anche dalla forte riduzione dei rendimenti dei titoli italiani e dal restringimento dello spread nei confronti del

Bund tedesco. Una domanda che ha permesso di elevare a 6 miliardi l'ammontare collocato rispetto ai 3-5

miliardi attesi alla vigilia.

Sarà particolarmente interessante capire la distribuzione delle richieste fra gli investitori – sia a livello di

provenienza territoriale, sia per la tipologia del richiedente – un dato che il Tesoro diffonderà però oggi. Le

prime indicazioni «ufficiose» dei trader parlano di una domanda proveniente da soggetti tipicamente interessati

a un investimento con orizzonte di lungo periodo, quali fondi pensione e compagnie assicurative, e soprattutto

ben distribuita fra investitori nazionali ed esteri.

Il ritorno di interesse da oltre confine è l'elemento che probabilmente sta più a cuore al Tesoro per sondare la

disponibilità degli investitori esteri ad acquistare come in passato i titoli di casa nostra. Nell'ultimo

collocamento attraverso sindacato di un BTp a 15 anni, per esempio, la quota finita in mani italiane era stata di

appena il 37%. Il resto si era distribuito all'estero, con prevalenza di investitori britannici (30%) ed europei in

genere, mentre al di fuori del Vecchio Continente era finito appena il 3 per cento dell'operazione. Una

situazione che si è praticamente capovolta negli ultimi mesi, visto che la quota di titoli di Stato italiani detenuta

dagli investitori stranieri si è ridotta a circa il 25,5% rispetto al 46,8% del giugno 2011.

Il Tesoro può adesso guardare con fiducia ai prossimi appuntamenti con il mercato (le consuete aste di fine

mese a breve e medio-lungo termine) e soprattutto allungare di nuovo la durata media finanziaria del debito

italiano, scesa a fine novembre a 6,49 anni rispetto al 7,20 di fine 2010. «L'emissione di un nuovo benchmark a

15 anni – conferma Chiara Cremonesi, strategist sul reddito fisso di UniCredit – rappresenta un segnale

veramente positivo in termini di normalizzazione dei mercati finanziari e aiuterà anche il Tesoro a raggiungere

uno dei suoi principali obiettivi strategici del 2013: l'allungamento della maturity media del debito».

Visto il buon esito dell'operazione di ieri, non è da escludere che nei prossimi mesi l'Italia possa di nuovo

tornare in asta riaprendo la stessa emissione, a maggior ragione se la situazione sui mercati finanziari dovesse

restare favorevole. In alternativa, secondo gli analisti, il Tesoro potrebbe «sondare» entro il 2013 altri tratti di

curva, proponendo per esempio un nuovo trentennale sempre attraverso sindacato. L'ultima operazione di

questa durata è infatti ormai datata settembre 2009 (il BTp con scadenza settembre 2040), un'emissione riaperta

successivamente più volte, ma mai dopo il maggio 2011 e quindi mai dopo la deflagrazione della crisi del

debito pubblico.

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro inviato Vittorio Da Rold

Banche. I risultati in Europa orientale: ricavi +13,8%, il credito sale, più sostegno alle Pmi

UniCredit cresce all’Est,

in aumento utili e impieghi Il gruppo diventa il terzo player nei bond locali

VIENNA.

«Gli utili netti di UniCredit nell'Europa centro-orientale nei primi nove mesi del 2012 sono in crescita del

13,8% rispetto allo stesso periodo del 2011», ha detto Gianni Franco Papa, capo della Divisione Europa centro-

orientale della banca italiana durante una conferenza stampa a Vienna, a margine del meeting annuale di

Euromoney sui paesi della Cee (Europa centro orientale) dove è intervenuto fra gli altri Suma Chakrabarti,

presidente della Banca europea per lo sviluppo e la ricostruzione che ha invitato i paesi a fare riforme strutturali

per aumentare la competitività.

Un dato molto positivo (1.274 milioni nei primi nove mesi 2012 contro 1.120 milioni nel 2011) che indica la

determinazione a restare il player numero uno dell'area con 140 miliardi di euro di asset nella regione e che si

accompagna con la notizia che 450 nuove società italiane sono state aiutate da UniCredit nel 2012 a entrare nel

dinamico mercato centro-orientale europeo raggiungendo un totale di 4mila imprese tricolori presenti nell'area,

con sostegni nella consulenza e assistenza per l'export-import, lettere di credito o i pagamenti diretti, a

dimostrazione della ormai consolidata esperienza nel valutare il rischio paese e nella capacità di assistere gli

imprenditori all'estero grazie all'assistenza capillare con le sue 3.793 filiali in 19 paesi nella Cee.

Non solo. UniCredit è diventata il terzo player nell'area dopo Jp Morgan e Crédit Agricole Cib per il

collocamento di bond sia sovereign che corporate con un volume passato dal 2011 da 2,1 miliardi di euro a 3,7

miliardi di euro nel 2012 e un incremento del 76% nel volume e del 100% in numero di emissioni tra cui quella

del municipio di Praga che torna sul mercato dopo dieci anni di assenza con UniCredit. «La chiave del nostro

successo consiste nella forte sinergia tra la presenza sul territorio e la piattaforma globale di prodotto e di

distribuzione. Il nostro punto di forza rispetto agli altri gruppi internazionali è che aggiungiamo una forte

presenza sul mercato locale», dice Gianfranco Bisagni, capo del corporate investment bank Cee. «Negli Usa il

rapporto tra bond e credito bancario è del 70% e 30%, in Europa siamo al 50% mentre nella Cee siamo tra il 20-

30% al 70-80%, con ampi margini di sviluppo», conclude Bisagni.

Il gruppo bancario italiano, presente complessivamente in 22 paesi al mondo, intanto continua a ottenere il 24%

dei ricavi da questa parte del globo che resta il motore della crescita di UniCredit: un'area che – prevede Gianni

Papa – «crescerà nel 2013 in media del 2,9% rispetto all'1,2% nell'Europa occidentale e con punte di eccellenza

come la Turchia e la Russia che correranno al 4,4%». «La Russia, dove abbiamo la sesta banca del paese, la

prima privata e la prima straniera con il 2% del mercato, prevediamo che supererà la Germania nella vendita di

auto», spiega Papa. «Anche la Turchia non è più una "alfa-beta country", cioè non ha più i picchi e le frenate

improvvise grazie a una politica fiscale e monetaria molto più stabile». «In questa quadro la banca punterà

soprattutto su quattro paesi dell'area: Polonia, Turchia, Russia e Repubblica ceca, scelti per la loro maggiore

potenzialità di sviluppo in profittabilità e liquidità». «La Cee – ha detto Papa – segnala ancora forti prospettive

di sviluppo nel medio termine se comparata con l'Europa occidentale. Un'occasione per una banca cross-

border».

Circa il rischio di delevereging nella regione, Papa ha negato vi sia stato un tale processo mostrando che il

totale degli asset nella Cee è continuato ad aumentare del 45% con circa 0,7mila miliardi (quasi un trilione) di

euro aggiunti tra il settembre 2008, anno del fallimento di Lehman Brother, e il settembre 2012, anche se

evidentemente a un passo di crescita inferiore rispetto ai livelli pre-crisi. Anzi UniCredit ha aumentato i prestiti

del 18,7% in Russia, dell'11,9% in Turchia e dell'8,8% in Serbia mentre sono diminuiti in Lituania (-8,3%), in

Ungheria (-6,3%) e Lettonia (-8,3%), confermando che in generale il delevereging non è un problema di offerta

ma di scarsa domanda locale.

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Carlo Festa

M&A. Parte l'asta per la vendita del 34%

Tassara sceglie Ubs

per cedere Alior Bank

In pole l’austriaca Erste IL SALVATAGGIO

La quota di controllo nell'istituto polacco vale 330 milioni e permetterà di ridurre

l'esposizione bancaria di Zaleski

La Carlo Tassara del finanziere Romain Zaleski si affida alla banca svizzera Ubs per la cessione del 34% della

polacca Alior Bank. L'advisor sarebbe stato scelto, secondo le indiscrezioni, nelle scorse settimane in modo da

arrivare alla vendita della quota di controllo di Alior entro la fine dell'anno. Si tratta di un passaggio cruciale nel

percorso che vede la Carlo Tassara impegnata a rimborsare i 2,5 miliardi di prestiti verso il sistema bancario.

Anche se un processo non si sarebbe ancora aperto ufficialmente, già ci sarebbero alcuni potenziali interessati

all'acquisto di Alior. E ai nastri di partenza per la quota in vendita di Alior ci sarebbero, secondo i rumors,

almeno 3-4 player. Tra questi ci sarebbe in particolare il gruppo austriaco Erste, già presente in forze

nell'Europa centrale e nell'Est Europa. Erste conosce bene Alior in quanto è stato co-lead manager nella

quotazione del gruppo bancario polacco alla Borsa di Varsavia.

Secondo gli addetti ai lavori sarebbero invece scese le chance del colosso russo Sberbank, interessato anch'esso

all'acquisto del 34 per cento. Un ingresso di Sberbank in Alior sarebbe infatti visto con minor favore dalle

autorità bancarie polacche rispetto ad altri pretendenti interessati. Sembrano basse anche le chance come

potenziale acquirente di Raiffeisen: il gruppo austriaco era stato tra i probabili candidati fino a qualche mese fa,

prima che tuttavia rilevasse le attività polacche della banca greca Eurobank. Sulla stampa di Varsavia, nelle

ultime settimane, era poi uscito anche il nome di Intesa Sanpaolo come potenziale interessato all'acquisizione:

ma fonti vicine al gruppo guidato da Enrico Cucchiani hanno smentito qualsiasi interesse a comprare una quota

della banca di Zaleski.

Alior è stata quotata in dicembre alla Borsa di Varsavia a un prezzo di 57 zloty. Ieri ha chiuso le contrattazioni

a 62,50 zloty: quindi con un rialzo di quasi il 10% dall'Ipo. Ora l'istituto presieduto da Helene Zaleski, figlia del

finanziere, viene valorizzato attorno ai 4 miliardi di zloty, ossia più o meno 980 milioni di euro. Il 34%,

dunque, può valere almeno 330 milioni di euro. L'incasso andrà a ridurre l'esposizione bancaria di 2,5 miliardi

di euro.

Nel 2013 la Carlo Tassara, presieduta da Pietro Modiano, procederà a grandi passi verso la liquidazione dei

propri asset e nei prossimi mesi dovrebbe procedere alla vendita delle partecipazioni azionarie secondo

l'accordo di stand still siglato con le banche creditrici.

Il portafoglio della Carlo Tassara, oltre agli asset esteri (come appunto la polacca Alior Bank e della quota nella

francese Eramet), contempla anche il 19,1% di Mittel, 1,7% di Intesa Sanpaolo, 1,2% di Mediobanca, 1,4% di

Ubi, 2,5% di A2a e l'1,1% di Monte dei Paschi.

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Ivan Cimmarusti

Scandali finanziari. Si allunga la lista dei presunti truffati, un medico veronese dichiara di

aver perso 850 mila euro

I segreti della Professoressa Madoff LA VICENDA GIUDIZIARIA

La docente «prestata alla finanza» si dice pronta a fare dichiarazioni spontanee alla

magistratura sul raggiro da 20 milioni di euro

Dalle indagini in corso delle Fiamme Gialle spunta un nuovo, inquietante, particolare sulla presunta truffa dei

titoli falsi: l'insospettabile docente potrebbe aver architettato l'operazione, stimata in circa 20 milioni di euro,

con altre persone al momento ignote. L'inchiesta della procura pugliese, dunque, potrebbe svelare un sistema

ben articolato di raggiri in cui la professoressa Caterina Coco avrebbe giocato solo un ruolo. Ci sarebbero,

dunque, altri insospettabili che l'avrebbero affiancata.

Al momento le bocche sono cucite ma sembra che dalle audizioni delle vittime stiano emergendo particolari

non di poco conto sulla partecipazione di altri soggetti. Per il resto, tutti hanno definito la Coco «una

professionista» di cui si fidavano e a cui affidavano i risparmi per fare investimenti. C'è chi, però, già da agosto

scorso aveva fiutato che qualcosa non andasse per il verso giusto. Perchè nel presunto vantaggioso investimento

era spuntata la promessa di rendite annue con un interesse molto alto, troppo. Il tasso del sei per cento sui nuovi

investimenti era apparso un'offerta eccessiva. «Voleva fare il colpo prima di sparire» ha detto una delle vittime

alla Gdf. Agli atti della procura di Bari risultano almeno due denunce dettagliate, presentate dagli avvocati

Michele Mitrotti e Vito Petruzzelli. In esse sono ricostruite le tecniche con cui la docente avrebbe compiuto le

truffe.

Da una parte c'era l'uso di false ricevute di investimenti in titoli - altrettanto falsi - di Iccrea Banca, per

convincere i più sospettosi. Dall'altra parte c'erano gli ingenui, abbindolati con le promesse di ricchi interessi

difficili da trovare sul mercato. I rendimenti ipotizzati, però, non erano liquidati a fine anno ma, secondo

quando avrebbe indicato la stessa Coco, reinvestiti. In realtà il denaro sarebbe sempre rimasto sul suo conto

corrente personale fino ad almeno novembre scorso, quando la docente è scomparsa nel nulla. L'imbroglio è

stato scoperto dopo che una coppia di coniugi si è rivolta alla Iccrea Banca per avere notizie del proprio

investimento. La risposta, dopo un incontro svoltosi il 18 dicembre scorso, è stata secca: «Facendo seguito

all'incontro nei locali di Iccrea Banca spa vi confermiamo che la documentazione da voi sottoposta alla nostra

attenzione non è prodotta da Iccrea Banca e i contenuti in essa riportati non sono in alcun modo riconducibili a

strumenti finanziari e/o prodotti bancari di qualsiasi tipo emessi da questo istituto». Infine, hanno concluso che

«Iccrea Banca nello svolgimento della sua attività di collocamento di titoli di propria emissione non opera

direttamente su clientela al dettaglio». In sostanza, una truffa bella e buona. La Coco, attraverso il suo

difensore, l'avvocato Maurizio Giannone, ha fatto sapere che è pronta a collaborare con la magistratura. Già nei

prossimi giorni la professoressa, ordinaria all'ateneo di Bari, potrebbe chiedere di essere ascoltata dai pubblici

ministeri pugliesi per rendere dichiarazioni spontanee. Ma del denaro finora atteso dai risparmiatori imbufaliti

non c'è traccia: sembra scomparso nel nulla.

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Giovanni Vegezzi

Credito. Titoli per 400 milioni, rendimento al 4,125%

Obbligazioni

Il Credito Valtellinese

torna a collocare bond

Domanda elevata Bpm verso un'emissione da 500 milioni

LO SCENARIO

L'operazione del Creval riapre il mercato del debito per gli istituti di medie dimensioni

Richieste anche dall'estero

Dopo i campioni nazionali, ora tocca anche alle banche di media dimensione. È tornato il sereno sul mercato

del debito e riparte così anche l'emissione di bond bancari: a fare da apripista il Credito Valtellinese, che ha

lanciato ieri un'obbligazione senior da 400 milioni a 2,5 anni sull'euromercato ottenendo, a quanto spiega la

banca, «un'ottima risposta» da parte degli investitori istituzionali. È di fatto la prima emissione senior in euro di

una banca commerciale, visto che il bond da 3,5 miliardi di dollari lanciato da Intesa Sanpaolo l'8 gennaio era

destinato al mercato americano. E il fatto che il libro ordini per il Creval si sia chiuso dopo solo due ore, è un

segnale che la fiducia sta tornando non solo nei confronti dell'istituto valtellinese ma più in generale verso il

comparto bancario italiano.

L'emissione, guidata da Natixis e Mediobanaca, prevede una cedola del 4% con un prezzo sotto la pari e un

rendimento del 4,125%, 355 punti base sopra il midswap (il tasso interbancario adottato dalle banche per

scambiarsi il denaro). L'esito positivo dell'offerta è dimostrato dal collocamento sulla parte bassa della forchetta

dei rendimenti (prevista fra 4,125 e 4,25%) e da una domanda che è arrivata a superare i 500 milioni. A portarsi

a casa i titoli dalla banca valtellinese sono soprattutto le omologhe italiane, con un collocamento che vede

protagonisti gli investitori nazionali con l'87% e in particolare le banche che, nel dettaglio, hanno avuto un peso

superiore al 60%. Da non sottovalutare però, come segnale della riapertura del mercato anche il contributo dei

fondi e degli operatori internazionali (circa il 13%)

La reazione fa ben sperare e prepara la strada anche ad altri istituti di dimensioni simili, interessati a tornare sul

mercato dopo la lunga parentesi di gelo causata dall'aumento degli spread. Dopo il buon esito dell'emissione del

Creval, infatti, scalda i motori anche la Popolare di Milano che - stesso rating della banca valtellinese Baa3 di

Moody's, ultimo livello prima della categoria junk - starebbe preparando un bond senior da 500 milioni a tre

anni con l'appoggio di Banca Akros, JP Morgan, Societe Generale e Ubs.

Creval, del resto era stato uno degli ultimi istituti ad approfittare del mercato nel maggio 2011 e ora torna a

rifinanziarsi per sostituire le emissioni in scadenza. Il fatto però che la data di scadenza del bond - il 24 luglio

2015 - vada sei mesi oltre il raggio dell'ultimo finanziamento Ltro della Bce a tre anni, indica anche che gli

istituti stanno approfittando dell'abbassamento dei tassi per iniziare a smarcarsi dai finanziamenti di Francoforte

e tornare alla normalità pre-crisi. Quella normalità che – come ha segnalato ieri il direttore generale dell'Abi,

Giovanni Sabatini di fronte ai corrispondenti della stampa estera – permetteva di superare il funding gap degli

istituti: «Le nostre banche impiegano dei confronti di imprese e famiglie più di quanto non raccolgano – ha

detto Sabatini –.Un funding gap da 200-250 miliardi che prima dell'innalzamento degli spread veniva colmato

sul mercato internazionale».

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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro corrispondente Leonardo Maisano

Performance in crescita oltre le previsioni e a Londra il titolo mette a segno un +4%

Burberry accelera nel trimestre I RISULTATI

Le vendite salgono del 9% a 613 milioni sterline grazie ai maggiori consumi cinesi Superata

la fase di crisi ora le attese sono favorevoli

LONDRA.

Il regalo di Natale, Burberry se lo è fatto con qualche giorno di ritardo. Ha atteso la chiusura dell'ultimo

trimestre del 2012 per scoprire che ha fatto boom. Forte abbastanza da andare oltre le attese degli analisti con

613 milioni di sterline di fatturato a fronte di stime unanimi che veleggiavano fra i 600 e i 602 milioni.

Significa un aumento del 9 % rispetto alle vendite dello stesso periodo del 2011, ma soprattutto significa la fine

dell'incubo di settembre quando Burberry sorprese tutti lanciando un profit warning che fece scivolare il titolo

ora in costante ripresa con un più 18% fatto registrare nelle ultime settimane. E ieri il balzo s'è consolidato con

un più 4% generato dall'ottimo andamento dei conti.

La geografia del business non è però omogenea. A indicare il trend del gruppo guidato da Angela Ahrendt è

stata ancora una volta la Cina, Hong Kong inclusa. Nel terzo trimestre (quello chiuso a dicembre 2012 secondo

l'anno fiscale inglese) le vendite indicano una crescita tendenziale a due cifre, una progressione molto migliore,

quindi, di quel giudizio "marginalmente positivo" che fu la causa dello scivolone nel secondo trimestre. Il

rallentamento cinese, in altre parole, pare superato per il mercato del lusso. Stacey Cartwright, cfo di Burberry

lo conferma. «L'andamento migliore della Cina è conseguenza del più fiducioso atteggiamento dei consumatori

ma anche dall'adozione di misure specifiche». L'outlook è positivo per Pechino e dintorni. «Tutti gli indicatori

economici – ha precisato il cfo – suggeriscono che la crescita continuerà e sarà solida per tutto il settore del

lusso».

La Cina non è però l'Europa da dove i numeri restano «sostanzialmente gli stessi», come è stato precisato nella

presentazione dei risultati. In realtà gli scenari sono differenti se si considerano le vendite retail nei negozi

Burberry che sono andate molto bene rispetto a quelle all'ingrosso, ovvero quelle generate da negozi che

vendono più marchi e che, quindi, non sono riconducibili direttamente al gruppo inglese. La caduta del fatturato

in questo secondo settore è stata del 5% prevalentemente in Europa e continuerà anche nei prossimi mesi se è

vero che Burberry prevede un ulteriore rallentamento delle vendite wholesale.

Una dinamica che Stacey Cartwright ha riassunto così «si tratta di quei negozi multibrand gestiti al

proprietario» tipici, ad esempio, della geografia del lusso italiano dove, è stato fatto notare, l'accesso al credito è

più difficile. E difficile, secondo il ceo Angela Ahrendt, resterà ancora il contesto globale. «Nonostante ciò – ha

commentato – vediamo opportunità per espandere il nostro business». Che significa moltiplicare i negozi. Nel

terzo trimestre ne sono stati aperti sette e fra essi il flagship store di Chicago.

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Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Antonella Baccaro

Redditometro, tutti gli «sconti» del Fisco Previsti 35 mila controlli. Oggi la circolare. L'incontro tra Monti e Befera

ROMA — Franchigie e esenzioni. Sul nuovo Redditometro, che secondo Silvio Berlusconi «spaventa i

cittadini» e per Pierluigi Bersani «non è risolutivo contro l'evasione», l'Agenzia delle Entrate dovrebbe

diffondere oggi maggiori spiegazioni per allentare la tensione che si sta creando intorno all'attuazione dell

strumento.

Qualche elemento dovrebbe essere tratteggiato nell'incontro che il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio

Befera, avrà oggi con il premier Mario Monti.

Ma intanto possiamo anticipare alcune considerazioni di base. Partendo dal fatto che gli accertamenti sintetici

previsti dal Fisco per quest'anno saranno 35 mila e dunque i controlli con il Redditometro potrebbero essere

circa 70 mila su una platea di 40 milioni di contribuenti. Non una campagna a tappeto, dunque.

Il Fisco non avrebbe intenzione di prendere di mira particolari beni-simbolo, come in passato è avvenuto con le

imbarcazioni di lusso o i Suv. Tra gli obiettivi invece c'è quello di far emergere redditi non dichiarati che

consentono all'evasore di fruire di agevolazioni di natura sociale, rimediando in questo modo a una doppia

ingiustizia. Quando sarà emanato il relativo regolamento, di certo entro fine anno, sotto la lente del Fisco

finiranno anche i movimenti finanziari dei contribuenti che verranno trasmessi dagli operatori finanziari.

Come si è già detto solo se il reddito complessivo accertato dal Fisco supererà del 20% quello dichiarato,

scatterà la richiesta di chiarimenti, che non è ancora un accertamento (che partirà solo se le spiegazioni del

contribuente non avranno convinto).

Ma come si calcola questo scostamento del 20%? L'Agenzia delle Entrate ha fornito in merito

un'interpretazione autentica spiegando che la percentuale del 20% va riferita al reddito dichiarato non a quello

accertato. Facciamo un esempio: se il Fisco, in base alle proprie verifiche, attribuisce a un contribuente un

reddito di 100 mila e questi ne ha dichiarati 82 mila, il 20% va calcolato su quest'ultima cifra. Dunque nel caso

in oggetto essendo quel 20% pari a 16.400 euro e lo scostamento pari a 18 mila euro, dunque superiore, il Fisco

procederà alla richiesta di chiarimenti.

Al contribuente a questo punto conviene sapere quali sono i redditi esenti, soggetti a ritenuta alla fonte o

comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, che possono consentirgli di spiegare la

disponibilità di un maggior reddito rispetto a quello dichiarato.

Tra questi ci sono i redditi legalmente esclusi dalla base imponibile poiché tassati in percentuale inferiore al

reale realizzo, come i dividendi, o quelli tassati in misura forfettaria, come i redditi fondiari o i diritti d'autore

(tassati solo al 75%). Ad esempio per i terreni concessi in locazione in regime non vincolistico il proprietario

deve dichiarare solo il reddito dominicale rivalutato dell'80%. In questi casi sarà il canone effettivamente

riscosso ad essere preso in considerazione.

Per i redditi da lavoro dipendente, le somme corrisposte a titolo di Tfr o di arretrati riferiti ad anni precedenti

non vengono indicati nella dichiarazione, perciò ricordarli al Fisco può essere risolutivo.

Allo stesso modo ricordiamo che ci sono redditi totalmente esenti, come le borse di studio; i compensi non

superiori a 7.500 euro derivanti da attività sportive dilettantistiche; le pensioni, gli assegni, le indennità di

accompagnamento e gli assegni erogati ai ciechi civili, ai sordomuti e agli invalidi civili; le pensioni sociali; le

rendite Inail, esclusa l'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta; l'assegno di maternità, previsto

dalla legge 448/1998, per la donna non lavoratrice.

Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Roberto Bagnoli

L’inflazione rallenta a dicembre

Ma la spesa quotidiana sale del 4,3% Decreto produttività, l'attesa per gli sgravi sulla retribuzione

ROMA — L'Istat conferma per il 2012 l'inflazione al 3% ( a dicembre è scesa al 2,3%), che va in archivio come

l'anno più caldo sul fronte dei prezzi degli ultimi cinque anni. E anche il più nero sulla crescita (-2,1%), sulla

produzione industriale (-6,2%), sui consumi (-3,2%). In compenso la linea del rigore impostata dal governo

Monti ha tenuto sotto controllo i conti pubblici e ieri il Tesoro ha confermato per novembre un fabbisogno

ridotto a 4,2 miliardi di euro rispetto al disavanzo di 8,5 miliardi dello stesso mese dell'anno scorso quando

l'esecutivo guidato da Berlusconi fu costretto alle dimissioni dalla crisi dello spread e dalla pressione

internazionale.

In questo contesto economico, ancora molto incerto almeno per l'Italia, ieri era atteso un provvedimento molto

importante. E cioè il decreto annunciato all'inizio di dicembre dal governo all'indomani dell'accordo sulla

produttività siglato con le parti sociali (ma non dalla Cgil) che avrebbe dovuto «regolare» l'effettiva erogazione

dei 2,1 miliardi di euro in tre anni per consentire la riduzione del fisco al 10% sulla parte variabile del salario.

Ma fino a ieri il decreto non era pronto.

Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha precisato che il termine «non era perentorio», ha ammesso che sperava

di «portare a termine il provvedimento entro venerdì scorso ma mancavano alcuni aspetti». Quindi bisogna

aspettare ancora qualche giorno «ma - ha precisato il ministro - non sarà una replica di quello licenziato dal

governo precedente perché questo mira effettivamente alla defiscalizzazione del salario con indicatori di

produttività».

In realtà il decreto della presidenza del consiglio (Dcpm) sulla produttività, anche se formalmente viene scritto

dagli esperti del ministero del Lavoro, è frutto di una complessa sintesi tra le indicazioni del ministro dello

Sviluppo Corrado Passera (al quale Mario Monti aveva affidato la regia dell'operazione) e quello del Tesoro,

cui spetta il compito di verificare la tenuta finanziaria del provvedimento. Il quadro politico del governo

dall'inizio di gennaio è molto cambiato. Il presidente del Consiglio, al quale per forza di cose tocca l'ultima

parola, è stato fino a ieri impegnato alla formazione delle liste dopo la sua «salita in politica». Il ministro

Passera, dopo la decisione opposta di uscire di scena in mancanza di una lista unica sull'agenda Monti, è in

posizione nettamente defilata. Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli - tra l'altro in missione all'estero - in

questa vicenda ha solo una parte di controller. Fornero, che ha già annunciato di voler tornare all'insegnamento,

ieri ha chiarito i termini della questione ma la sua buona volontà resta limitata ai pochi capitoli che riguardano

il ministero del Welfare.

Il ministro ha comunque aggiunto che sono «già state sentite» in modo informale le parti sociali per cui

dovrebbe solo mancare la scrittura del testo. Alla cui definizione è legata la delicata partita dell'erogazione dei

2,1 miliardi nel triennio, di cui 900 milioni solo nel 2013. Il nodo centrale sta nella soglia di reddito che limita

l'accesso al bonus. Secondo indiscrezioni, il governo sta facendo simulazioni tra i 40 e i 30 mila euro all'anno.

E' evidente che se fosse limitata ai 30 mila euro la platea dei beneficiari si restringerebbe e il bonus potrebbe

aggirarsi sui 4.500 euro all'anno. Cifra che si ridurrebbe a 2.500 se la platea si alzasse a 40 mila euro di reddito

annui. Poi c'è il delicato meccanismo dell'accesso. Secondo le vecchie regole, il fondo a disposizione è «a

serbatoio»: chi arriva primo è sicuro di avere la defiscalizzazione. Se lo scenario resterà questo saranno favorite

le piccole aziende che saranno più veloci a firmare un accordo col sindacato. La Cgil, che non ha firmato

l'intesa, resta molto critica e sospetta che il rinvio abbia uno sgradevole sapore di «manovra elettorale».

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013

Crescita, la prima frenata di Berlino L'economia sale «solo» dello 0,7%. Per quest'anno la stima si ferma allo 0,4%

FRANCOFORTE – Mentre l'Europa era in recessione, la Germania è cresciuta nel 2012 al ritmo dello 0,7% e

anche per quest'anno il governo attende un incremento pari allo 0,4% del Pil. Una stagnazione a livello elevato

della locomotiva europea, come hanno commentato gli esperti, con un andamento del Prodotto interno lordo,

passato e futuro, peggiore del previsto, a causa del crollo di ordini e produzione, che potrebbe aver portato a

una contrazione dell'economia pari allo 0,5% negli ultimi tre mesi dell'anno passato.

Ciononostante, nel nuovo rapporto annuale sull'andamento della congiuntura, la cui presentazione è in

programma oggi, il governo di Angela Merkel ha una punta di ottimismo, per la ripresa in vista, sia pure

contenuta. E giudica che il peggio è passato e che in Eurolandia «non si arriverà ad altri sviluppi negativi», anche se mette le mani avanti, dicendo che comunque il «rischio maggiore» per la Germania rimane la crisi del

debito.

Il merito del miglioramento dell'eurozona, secondo un'indiscrezione di «Handelsblatt» sul rapporto governativo,

è da attribuire alla Banca centrale europea. La quale «con la sua politica monetaria e il suo ricorso a diversi

strumenti non convenzionali, ha contribuito all'allentamento delle tensioni nei mercati finanziari»,

dimostrandosi un'ancora di stabilità. Un quadro «inaspettatamente sincero», secondo il quotidiano economico,

perché si riferisce alle misure, ancora controverse in Germania, dell'annuncio di acquisto illimitato di titoli

sovrani di un Paese in difficoltà (la Spagna), contro garanzia di una richiesta di aiuto (le cosiddette Omt). Il

peggioramento del clima economico in Germania e nell'eurozona spiega la cautela del presidente della Bce

Mario Draghi, giovedì scorso, nel disegnare un quadro nel complesso positivo sulla «normalizzazione» dei

mercati finanziari, mentre la crescita rimane molto debole e in ripresa graduale verso la fine dell'anno.

In Germania, secondo il rapporto governativo, il miglioramento graduale dovrebbe essere trainato dall'export

nei Paesi emergenti, motore della crescita, anche se più contenuto, nell'anno passato.

E sarà probabilmente accompagnato da una sostanziale tenuta del mercato del lavoro e quindi anche del

consumo, come è avvenuto nel 2012, rivelatosi un sostegno alla congiuntura, in controcorrente con la maggior

parte degli altri Paesi europei. Perché il governo prevede per l'anno prossimo una media stabile dei disoccupati

a 2,95 milioni, mentre gli occupati dovrebbero aumentare lievemente, a 41,6 milioni.

M.d.F.

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Marika de Feo

La Bundesbank si riprende l’oro

da Parigi e New York Dalla Francia 374 tonnellate in lingotti, 50 dagli Usa

FRANCOFORTE – «L'oro del Reno» torna a casa. Prima dalla Francia e in parte dagli Stati Uniti. Poi si vedrà.

Lo ha fatto filtrare lunedì sera il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, a un gruppo di giornalisti di

Francoforte, mentre il responsabile per la delicata operazione, il consigliere Karl-Ludwig Thiele questa mattina

farà luce su uno dei «misteri» ancora aleggianti sulle seconde riserve aurifere al mondo, dopo quelle degli Usa,

composte di 3.396 tonnellate in lingotti d'oro, valutati all'incirca 130 miliardi di euro.

Nel giro di appena tre mesi, dopo la richiesta formale — suonata quasi come un allarme — fatta dalla Corte dei

conti federale alla Bundesbank di redigere un inventario preciso delle riserve tedesche e rimpatriare almeno 50

tonnellate di oro da New York, la banca centrale tedesca ha reagito. Perché la crisi finanziaria, sia pure in via di

miglioramento, continua a preoccupare. Finora la Bundesbank conserva soltanto il 5% del suo oro nei forzieri

in Germania, fra Francoforte sul Meno (il 2%) e Magonza sul Reno. Ma il 45% dei preziosi lingotti è custodito

nei caveau sotterranei della Fed di New York, mentre il 13% si trova nella Bank of England a Londra e il 12%

nella Banque de France a Parigi. Troppo lontani, per i custodi tedeschi della moneta, che da anni non

ricevevano notizie sullo stato di conservazione del loro «tesoro del Reno», senza poterlo vedere o valutare da

vicino. Da qui la richiesta della Corte, preoccupata sull'effettiva esistenza dell'enorme ammontare dei lingotti,

spalleggiata da un'iniziativa popolare volta a «riprenderci il nostro oro». In tempi di crisi, non si sa mai.

Ma per lanciare un segnale tranquillizzante, la Bundesbank ha già fatto filtrare ieri al quotidiano «Handelsblatt»

il racconto di una visita del turista renano Peter Schmitz nel quinto piano sotterraneo del caveau della Fed di

New York, a Manhattan, dove vengono custoditi 530 mila lingotti in oro di 60 Paesi del globo, incluse le

122.597 barre delle riserve tedesche. E dal racconto del turista tedesco col nome in parte alterato per ragioni

redazionali traspare la delusione, per aver potuto ammirare soltanto un centinaio di lingotti disposti in bella

mostra dietro massicce inferriate.

Domani la Bundesbank spiegherà come intende modificare la gestione del suo oro e dove vuole custodirlo in

futuro. Secondo indiscrezioni, Weidmann intende riportare a casa tutte le riserve — 374 tonnellate —

parcheggiate a Parigi per ragioni di sicurezza fin dai tempi della Guerra Fredda e della divisione fra le due

Germanie. Ma ora la Francia è la principale alleata all'interno dell'eurozona, con la quale la cancelliera Angela

Merkel si appresta a festeggiare i 50 anni del Trattato dell'Eliseo. Ormai, non c'è più ragione di conservare l'oro

a Parigi.

Ma nel caso estremo di una crisi mondiale — anche se non lo ammette nessuno — potrebbe continuare a essere

utile la custodia di parte dell'oro in diverse piazze finanziarie del globo, per poterle convertire in moneta

sonante, nel caso di una necessità estrema, dettata da una crisi imprevedibile. Comunque sia, la richiesta e i

dubbi della Corte sullo stato di salute del tesoro va esaudita. Anche se la Buba mette le mani avanti e attraverso

il consigliere Andreas Dombret assicura che «in 60 anni non abbiamo avuto il più piccolo problema o il minimo

dubbio», ad esempio, «sulla credibilità della Fed». Domani la Buba dovrebbe dimostrarlo con filmati e rapporti

più dettagliati.

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Sergio Bocconi

Generali, i golden boy di Greco

La squadra (internazionale) del Leone Da Allianz e Deutsche Bank arrivano Srinivasan e Schildknecht

Mario Greco ha iniziato ieri mattina a Londra il road show che lo condurrà anche negli Stati Uniti e a Hong

Kong. Il numero uno delle Generali illustrerà agli operatori internazionali la «strategic review» presentata

lunedì alla City, quindi le linee guida, le stime di crescita e i numeri che il gruppo si propone come target per il

2015. E anche il lavoro di riorganizzazione fatto finora, che ha portato sempre lunedì ad annunciare il

completamento della squadra dei 10 top manager che costituiscono il group management committee, il comitato

internazionale che individua le priorità strategiche della compagnia.

Gli ultimi due "arrivi" rappresentano anche un segnale particolare per il Leone. Si tratta di Nikhil Srinivasan,

che sarà responsabile dei 400 miliardi di investimenti mobiliari e immobiliari delle Generali, e di Carsten

Schildknecht, il nuovo chief operating officer. Il primo lascia Allianz, il secondo Deutsche bank. Due top

manager provenienti da gruppi tedeschi, dunque, il cui sbarco a Trieste conferma il carattere internazionale

della squadra di comando che oggi guida le Generali (ne fanno parte anche Claude Tendil, country manager

Francia e Dietmar Meister, numero uno in Germania) e testimonia l'attrattività che il gruppo, impegnato nella

sfida di rinnovamento condotta da Greco, ha in questo momento per figure manageriali di profilo

internazionale.

Srinivasan, 44 anni, cittadino di Singapore, è nato a Delhi ed è cresciuto negli Stati Uniti e in Inghilterra. In

Allianz ha ricoperto diversi incarichi e nel 2010 è stato nominato responsabile degli investimenti di Allianz

investment management ed è entrato nell'international executive committee del gruppo. Ha lavorato a

Singapore, Honk Hong, New York e Monaco con esperienze precedenti anche in Ing Barings e Morgan

Stanley. Conosce bene l'Italia e la sua cultura. Tanto è vero che non nasconde una passione per la nostra arte

contemporanea e in particolare per la metafisica di Giorgio de Chirico. Fra gli scrittori predilige Antonio

Tabucchi e Luigi Barzini. Schildkknecht, 45 anni è laureato in ingegneria industriale e in Deutsche Bank, dove

ha ricoperto il ruolo di global chief operating officer. Ha lavorato anche in McKinsey con competenze nel

campo dell'automotive, telecomunicazioni e trasporti. Entrerà nel gruppo triestino in aprile.

Greco a questo punto, completata la riorganizzazione e la squadra e messo a punto il piano, può avviare la fase

due, la «gestione normale» della compagnia. Può contare nella sua azione su un ampio consenso fra i soci. La

review strategica è pienamente condivisa da Mediobanca, il cui amministratore delegato Alberto Nagel ha

proposto il nome di Greco per sostenere un cambio di marcia nella gestione, processo avviato dal 2007 con i

cambiamenti di governance condivisi con gli altri azionisti di rilievo come i gruppi Caltagirone, De Agostini e

Del Vecchio. Ecco dunque la focalizzazione sul core business assicurativo, annunciata da Greco al suo arrivo in

agosto, il governo societario più semplice e in linea con gli standard internazionali e la nuova organizzazione

della compagnia in chiave più unitaria sotto il brand leader Generali e con una direzione accentrata e meno

«federale».

Il piano è stato accolto con prese di beneficio sul titolo, che da giugno ha guadagnato l'80%: lunedì ha perso il

3% e ieri lo 0,85%. Sul mercato le attese si erano già orientate verso i target dichiarati lunedì e in particolare il

risultato operativo di 5 miliardi nel 2015. Tra gli analisti resta l'interrogativo sulle cessioni programmate per 4

miliardi. Le annunciate Bsi e le attività riassicurative Usa sono stimate per circa la metà della somma. L'ipotesi

di vendita di Banca Generali è stata smentita. E Greco lunedì non ha voluto anticipare «liste».

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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Federico Fubini

@federicofubini

La guerra delle valute,

l’Europa perde colpi

ma l’euro è il più forte In 12 mesi recupera su dollaro (+5,5%) e yen (+23%)

Quando all'inizio di novembre tre banchieri centrali europei dissero che la Bce avrebbe potuto tagliare i tassi,

l'euro reagì subito. Pochi istanti dopo, la moneta unica perse lo 0,5% sul dollaro e ancora di più sullo yen

giapponese: era bastato che qualcuno dall'interno dell'Eurotower facesse sapere che nella banca, allora, esisteva

una maggioranza favorevole a un taglio.

Erano i giorni successivi alla riunione di inizio novembre del consiglio direttivo della Bce. All'esterno la fuga di

notizie apparve come una critica al presidente Mario Draghi: anche se la maggioranza nel consiglio era pronta,

non aveva osato ridurre il costo del denaro di fronte all'opposizione della Bundesbank.

Qualcosa del genere (senza le tensioni politiche) si è ripetuto un mese dopo. A inizio dicembre Draghi esce dal

consiglio e dichiara che sui tassi d'interesse c'è stata «un'ampia discussione». Il mercato prende le sue parole per

ciò che appaiono: un'apertura a un futuro calo dei tassi d'interesse sul denaro che la Bce presta alle banche.

L'istituto di Francoforte sembra persino disposto ai cosiddetti «tassi negativi» sui depositi: succede quando le

banche commerciali pagano qualcosa per tenere i loro fondi depositati in Bce, dunque hanno un incentivo a farli

circolare.

Anche quella volta l'euro reagì nel modo classico, andando giù. Non avrebbe continuato per molto: in gennaio

la Bce ha cambiato rotta. Draghi ha detto che un taglio non è stato neanche discusso e che si vedono i segni del

«ritorno alla normalità». È anche con queste esitazioni che si spiega il paradosso degli ultimi mesi: fra le grandi

aree avanzate, l'Europa è quella con l'economia più debole e con la moneta più forte. Nel 2012 il prodotto della

zona a moneta unica si è contratto di mezzo punto, mentre l'America è cresciuta del 2,2% e il Giappone

dell'1,7%. Alcune dei Paesi di Eurolandia sono passati dalla recessione alla depressione; per buon parte

dell'anno gli operatori hanno puntato sulla frantumazione della moneta e ancora oggi il 30% degli investitori

(all'ultimo sondaggio Axa) pensa che il rischio non sia scomparso.

L'euro è la moneta debole, in termini di Pil e delle sue istituzioni. Eppure nell'ultimo anno si è rafforzato del

5,5% sul dollaro e del 23% sullo yen. Oggi è una moneta di almeno il 20% più forte di quanto detterebbero i

fondamentali di gran parte delle sue economie: non solo dell'Italia o della Spagna, anche del Belgio o della

Francia. Per questo apparente controsenso esistono ovviamente ottime ragioni esterne. C'è certo la «guerra delle

monete», di cui è tornato a parlare di recente un economista nato a Genova: Guido Mantega, 63 anni, emigrato

a San Paolo e oggi ministro delle Finanze del Brasile. La Federal Reserve americana tiene i tassi ancorati allo

zero e per ora continua a stampare e spendere molte decine di miliardi di dollari al mese. In Giappone, tornato

premier, Shinzo Abe sta forzando la banca centrale a interventi sempre più pesanti per rendere lo yen più

leggero e competitivo sui mercati esteri e creare un po' d'inflazione. Tutti nel mondo vogliono monete più

deboli per sostenere l'export e non tutti possono averle allo stesso tempo.

Ma se è sull'euro che queste tensioni si scaricano, è anche per motivi interni all'Europa. La promessa di Draghi

in luglio di fare «qualunque cosa» per preservare la moneta — contro il parere della Bundesbank — ha segnato

l'inizio della rivalutazione: in pochi mesi l'euro ha preso il 10% sul dollaro. Da allora però il presidente della

Bce non ha più forzato, come per non aggravare ancora di più le tensioni con l'opinione pubblica e la banca

centrale tedesca. Il mancato taglio dei tassi di quest'inverno si spiega anche così. In realtà, ieri l'euro è scivolato

di colpo non appena si è visto che persino l'economia tedesca a fine 2012 è caduta. Ma per risolvere la prova di

forza interna alla Bce, tanto per cambiare, servirà ben altro.

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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI

La locomotiva tedesca frena, Eurolandia trema

Pil, solo +0,7%. Pesa anche l’allarme debito americano. La Banca mondiale taglia le stime 2013

BERLINO — E’ stato un martedì nero per i mercati e per le prospettive economiche dell’Europa. La locomotiva Germania è ferma, anzi negli ultimi tre mesi del 2012 ha innestato la retromarcia. La brusca frenata del Pil tedesco e le perduranti incertezze su un accordo tra il presidente Obama e l’opposizione repubblicana per alzare il limite del debito pubblico Usa, hanno creato forte incertezza: molte Borse hanno chiuso in negativo e lo spread tra Bund e titoli italiani decennali è tornato sopra quota 270. Sui mercati ha pesato il monito del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ad adottare misure straordinarie, e la minaccia dell’agenzia di rating Fitch di declassare gli Stati Uniti se l’intesa sul debito non sarà raggiunta a tempo. Per il futuro imminente non aiutano neppure le previsioni della banca Mondiale sulla crescita dell’economia globale per il 2013: il Pil non aumenterà - come previsto - del 3%, ma soltanto del 2,4. Un taglio da effetto domino, con la revisione al ribasso per la crescita dei vari paesi. In realtà le notizie sul Pil della prima potenza europea sono inquietanti. L’eurozona si sente ormai senza più locomotiva. Il prodotto interno tedesco nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha addirittura registrato il segno “meno”, con una contrazione dello 0,5%. Su base annuale, la crescita nel 2012 è stata di un irrisorio più 0,7%, pessimo risultato in raffronto al 3% del 2011 e al 4,3% del 2010. Prima della banca Mondiale anche Destatis ha reso note le prognosi di crescita, un misero 0,5%: previsioni governative dimezzate, nell’anno elettorale. Le esportazioni hanno continuato a crescere, del 4,1%, ben più del 2,3% delle importazioni. Ma, dato preoccupante per il più forte comparto manifatturiero della Ue, gli investimenti in macchinari sono calati del 4,4%. Mentre l’aumento dei prezzi dei generi alimentari (più 4,8%) è al livello massimo dal 2008 della crisi precedente. Non siamo più un’isola felice, la zavorra della crisi dell’eurozona trascina giù anche noi, dicono molti operatori a Francoforte. Poco consola il lieve avanzo primario de conti pubblici, di più 0,1%. E certo non attenua le inquietudini l’intenzione attribuita da Handelsblatt alla Bundesbank di rimpatriare parte delle riserve auree, custodite in Usa, Regno Unito e Francia dai tempi della guerra fredda per motivi di sicurezza. Non meno allarmante è l’emergenza americana. Il presidente Obama, e poi il presidente della Fed Ben Bernanke, hanno lanciato appelli urgenti a varare l’accordo sull’aumento del debito sovrano consentito. «Rifiutarlo sarebbe comportarsi come una famiglia che per migliorare la sua attendibilità verso crediti risparmia non pagando le bollette», ha detto Bernanke. La prima potenza mondiale raggiungerà il tetto del debito legale tra metà febbraio e primi di marzo. In assenza di un piano a medio termine condiviso e credibile per la riduzione del debito, ha ammonito Fitch, è probabile che l’attuale outlook negativo sul rating a tripla A si risolva in un declassamento.

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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: BARBARA ARDÙ

Carrello della spesa più caro del 4,3%

Nel 2012 prezzi al top da quattro anni. Inflazione in calo a dicembre

ROMA — Frena l’inflazione a dicembre sulla scia degli ultimi tre mesi del 2012 (—2,3% contro il 2,5 di novembre), ma mettere insieme il pranzo con la cena pesa molto di più. È il carrello della spesa a mettere il turbo, con i prezzi di pane, riso, pasta, latte, carne, pesce e caffè tutti in salita. Un’accelerazione che ha convinto o costretto gli italiani, già tartassati dall’aumento delle spese ineluttabili (mutui, servizi, tasse locali, Imu), a mangiare meno o almeno a portarsi a casa cibi economici. È stato il fattore energia, con incrementi che hanno viaggiato a due cifre a spingere sull’inflazione. Così che la lista delle uscite quotidiane per casa, cibo, trasporti, carburanti, servizi, è lievitata del 4,3% nel 2012, ai massimi da quattro anni. E se a dicembre l’inflazione è calata (un decimo di punto) è solo perché c’è stata una sfiammata dei listini per i carburanti, protagonisti dei rialzi nel 2012. Per l’anno appena chiuso, secondo l’Istat, l’inflazione sarà al 3%, in accelerazione rispetto al 2,8% del 2011. Se si guarda però ai prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza, l’aumento arriva a quota 4,3%. Nel 2011 era al 3,5. Tre sole voci hanno aiutato i consumatori a risparmiare, l’olio d’oliva (—0,4), il costo delle connessioni a Internet (—0,7) e i listini degli alberghi (—1,5), dove però le presenze sono scese. Il fardello, là dove invece il tasso d’inflazione viaggia a due cifre per tutto il 2012, si annida tra carburanti, bollette di gas e luce, voli nazionali. E sono salite anche le spese per istruzione, mobili, vestiti. Fare la spesa è ormai un’attività da acrobati. È lì che gli italiani tentano di risparmiare, anche perché su altre voci, sottolinea la Confcommercio, non possono. «Sul rialzo — è scritto in una nota — hanno influito i continui aumenti dei prezzi dei servizi pubblici locali (+4,9% nel 2012 e + 10,2 nel biennio 2011-1012)», oltre la fiammata dei carburanti, sui quali, ricorda Confesercenti «hanno pesato l’aumento di un punto dell’Iva e l’incremento medio delle accise di un buon 23%». Il timore delle associazioni, dopo la frenata, è di un improvviso crollo dei consumi. Fenomeno che potrebbe accentuarsi anche perché sono in arrivo nuove stangate, in primis, la Tares. Dunque si risparmia sul cibo, se non si taglia direttamente. Sei famiglie su dieci, secondo gli agricoltori della Cia, «hanno modificato gli acquisti dei prodotti alimentari e circa il 50% ha ridotto decisamente la spesa». Circa 7,4 milioni di persone ha optato per prodotti ‘low-cost’, mentre il 28% acquista quasi sempre al discount. E nel giro di un anno è raddoppiata (dal 6,7 al 12,3%) la quota di coloro che non possono permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni. Due famiglie su tre, secondo la Cia, sono costrette tagliare sul carrello per arrivare a fine mese, con consumi pro capite tornati ai livelli del dopoguerra. Dubbi sui dati Istat arrivano dalle dai consumatori. «Valori «sottostimati »» per Federconsumattori-Adusbef, che calcolano per il biennio 2012-2013 una mazzata di 3.823 euro a famiglia, mentre per il Codacons l’inflazione 2012 ha «determinato una stangata invisibile che in media è pari a oltre cinque volte quella dell’Imu sulla prima casa».

Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013

Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi

Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007

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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 DAL NOSTRO INVIATO EUGENIO OCCORSIO

L’Est europeo guarda a Russia e Cina “Lì hanno i fondi, Eurozona al verde”

VIENNA — «Visto che per lo sviluppo ci servono capitali, e questi scarseggiano nell’Eurozona, ci rivolgiamo ad est: Russia, Cina, India, Turchia, Medio Oriente». Più esplicito di così Mladan Dinikic, ministro della Finanze della Serbia, non potrebbe esserlo. «Continuiamo a lavorare alla candidatura per entrare nell’Ue »: ma fa capire che non ha più fretta. «Gli interessi sui nostri titoli di Stato sono scesi dal 7,25 al 4,8 per cento in un anno ». Il sottosegretario al Tesoro della Polonia, Wojciech Kowalczyk, è se possibile più duro: «Il costo dei nostri Cds (credit default swap, le assicurazioni contro il rischio fallimento, ndr) è inferiore a quello della Francia». I mercati credono più a Varsavia che a Parigi: come dargli torto, con una crescita nel 2012 del 3 per cento mentre l’Europa è sottozero, e con il 62 per cento della popolazione sotto i 30 anni? Benvenuti nella nuova Europa centro-orientale. L’annuncio di quella che informalmente è stata battezzata Vienna Initiative avviene alla conferenza annuale di Euromoney nella città da sempre simbolo del ponte est-ovest: 22 anni dopo lo scioglimento dell’Urss, il blocco ex-sovietico, conseguito il modello di sviluppo occidentale, si rivolge per finanziarsi non all’occidente medesimo ma guarda caso alla Russia nonché ai Paesi ancora più a est. Un paradosso spiegato con il fatto che proprio lì, per un capriccio della storia, si trovano oggi le maggiori forze finanziarie caparbiamente votate a un cammino di crescita rispetto all’asfittica Europa. Che resta però il modello: «E’ nata la Eurasian economic commission per il libero scambio fra Bielorussa, Kazakhistan e Russia», dice il presidente della Banca europea per la ricostruzione, Suma Chakrabarti (indiano laureato ad Oxford, ulteriore beffa per l’occidente). «E’ modellata sulla commissione di Bruxelles. Con la quale vogliamo collaborare nel segno dell’integrazione». Le comunità da oggi sono due.

Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013

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