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Le decisioni della Corte di cassazione sulla giurisdizione contabile:
possibilità di una translatio iudicii.
di
Antonio Ciaramella
Sommario: 1 - Necessità di un’osmosi fra le tutele giurisdizionali: Le sentenze
della Corte Costituzionale n. 77 del 2007 e della Corte di Cassazione n. 4109
del 2007. 2 – Le pronunce della Corte di cassazione o del giudice di merito
sulla giurisdizione contabile: possibilità di una translatio iudicii. 3 - Problemi
applicativi: legittimazione ad agire, disciplina sostanziale e processuale in
ipotesi di translatio riguardante il settore della responsabilità amministrativa. 4
- Applicazione del principio relativamente ad altre materie rientranti nella
giurisdizione del giudice contabile.
1 - Necessità di un’osmosi fra le tutele giurisdizionali: Le sentenze della
Corte Costituzionale n. 77 del 2007 e della Corte di Cassazione n. 4109
del 2007.
Con due decisioni, entrambe del 2007, sia la Consulta( sent. n. 77) che il
Giudice di legittimità( sent. n. 4109), hanno dato una risposta positiva in
merito alla sussistenza di un canale di comunicazione processuale fra le
giurisdizioni tale da non impedire, in caso di difetto di quest’ultima in capo al
giudice adito, la prosecuzione del giudizio presso l’Organo giudiziario dotato
di potestas iudicandi, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della
domanda originariamente introdotta( c. d. translatio iudicii), in quanto l’intero
sistema giurisdizionale deve essere diretto, in applicazione dei valori espressi
dagli art.li 24, I e II co., e 111 della Costituzione, a risolvere, per quanto
possibile, le controversie nel merito, in modo da dare una risposta circa
l’attribuzione del bene della vita richiesto.
Ciò, evidentemente, nell’interesse di chi fruisce del servizio giustizia,
soprattutto in un periodo storico, come quello attuale, in cui vuoi per interventi
non organici e chiari del legislatore, sui quali spesso è intervenuta in modo
demolitorio anche la Corte Costituzionale1 vuoi per le frequenti oscillazioni
giurisprudenziali, risulta spesso estremamente difficile, anche per gli operatori
del diritto, individuare il confine fra le varie giurisdizioni. Circostanza che non
potrebbe essere ulteriore elemento di ostacolo per chi chiede una tutela
giurisdizionale effettiva.
Le due decisioni sono, come detto, convergenti quanto al principio di diritto
affermato, ma differiscono relativamente all’àmbito applicativo dello stesso ed
al percorso logico giuridico utilizzato.
Infatti, secondo la Suprema Corte il principio si può dedurre dal sistema
vigente con un’interpretazione costituzionalmente orientata. In particolare,
facendo leva sull’art. 382, comma III, c.p.c. che, in caso di ricorso, consente
la cassazione senza rinvio solo nel caso di difetto assoluto di giurisdizione e
sulla circostanza che, essendo oramai ammesso il regolamento di
1 Si pensi, ad es., agli effetti della decisioni n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, della Corte cost. rispetto ai
giudizi regolarmente introdotti innanzi al giudice amministrativo, vigente la disciplina della giurisdizione di
quest’ultimo per blocchi di materie, che rischiavano, prima delle suddette decisioni, di non poter essere più
utilmente avviati innanzi al giudice ordinario per decadenze o prescrizioni.
giurisdizione nel caso di giudizi pendenti innanzi a qualunque giudice
speciale, andrebbe interpretato in modo estensivo l’art. 367, II co, del codice
di rito che ammette la riassunzione solo se la Corte di cassazione dichiara la
giurisdizione del giudice ordinario. Secondo la Consulta, invece, non sarebbe
possibile evincere dal sistema. nemmeno tramite un’operazione ermeneutica
costituzionalmente orientata, la possibilità di una translatio iudicii, in quanto,
in tema di giurisdizione, vigerebbe un contrario principio. Quest’ultimo,
secondo la Corte Costituzionale, va espunto dall’ordinamento, operazione
necessaria perché quello che consente la translatio possa nascere sulle
ceneri del primo.
Come accennato, le sentenze in discorso differiscono anche circa
l’individuazione della portata del principio. Infatti, per la Corte di cassazione
sarebbe concepibile la possibilità di una trasmigrazione dei processi anche a
seguito di un’eventuale declinatoria di giurisdizione da parte del giudice del
merito. Ovviamente, una decisione di tal genere, a differenza di quella del
Giudice regolatore, non potrebbe vincolare il giudice dichiarato fornito di
giurisdizione. In tal caso, eventuali conflitti negativi di giurisdizione
andrebbero risolti con il meccanismo di cui all’art. 362 c.p.c.
A tali posizioni garantiste si sono, prontamente, adeguati, nel 2007, anche il
Consiglio di Stato( con la sentenza della VI sezione n. 3801) ed il TAR Lazio(
con la sentenza n. 72). I giudici amministrativi, rilevato il proprio difetto di
giurisdizione, hanno rimesso le parti innanzi al giudice ordinario.
Relativamente a tale deciso revirement giurisprudenziale si è parlato, in
dottrina, di un’importante occasione per sottolineare che la funzione
giurisdizionale, intesa come servizio per il cittadino, pur se esercitata da
giudici di diversi plessi giurisdizionali, deve considerarsi in modo unitario, e
che l’attuale pluralità di giurisdizioni deve essere un valore aggiunto e non un
fattore di complicazione o di riduzione delle garanzie per chi chiede giustizia2.
Le sentenze in esame sembrano gravide di conseguenze, anche per il
sistema di tutela dei diritti che vengono fatti valere innanzi al giudice
contabile.
2 – Le pronunce della Corte di cassazione o del giudice di merito sulla
giurisdizione contabile: possibilità di una translatio iudiciis.
Da una lettura in combinato disposto delle due suddette pronunce, è
possibile, probabilmente, immaginare, già da oggi, un’applicazione del
principio della translatio iudicii, come definito nelle stesse, anche a seguito di
decisioni della Suprema Corte o dello stesso giudice del merito relative
all’àmbito di giurisdizione del giudice contabile, con riguardo a tutti i settori
rientranti nella giurisdizione di quest’ultimo, pur senza nascondersi che vi
sono, come vedremo, alcuni ostacoli di non poco rilievo da superare.
Tale possibilità potrebbe trovare fondamento su due ordini di considerazioni.
1) Per il carattere di autorevole precedente della suddetta sentenza della
Suprema Corte che si riferisce, pacificamente, ai rapporti fra il giudice
ordinario e tutti i giudici speciali ed a quelli reciproci fra questi ultimi.
2 A Pajno in “per una lettura unificante delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa” sottolinea
come l’art. 24 della Cost. garantisce sia l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi che
l’unitarietà della funzione giurisdizionale. E’ noto, altresì, che la necessità di una concentrazione e prontezza
della risposta giurisdizionale alle richieste di tutela dei diritti costituiscono principi consolidati della
giurisprudenza comunitaria.
Infatti, ad es., a pag. 15 della stessa si afferma che “è stato dato ingresso
nell’ordinamento processuale al principio della translatio iudicii dal giudice
ordinario al giudice speciale e viceversa in caso di pronunce sulla
giurisdizione”.
E’ bene ricordare che, secondo l’impostazione di tale decisione, il principio si
applicherebbe non solo a seguito delle sentenze del Giudice regolatore della
giurisdizione, ma anche a quelle del giudice del merito che dovesse ritenere
non sussistente la propria giurisdizione.
Il fatto che la pronuncia in esame possa costituire un leading case in materia
sembra trovare conforto anche nella circostanza che negli ultimi tempi le
decisioni della Suprema Corte in materia di riparto di giurisdizione sulla
responsabilità civile della pubblica amministrazione conseguente da atti od
omissioni illegittime e sui confini della giurisdizione contabile, sembrano
acquisire una certa stabilità. Si pensi, alle ripetute affermazioni di alcuni
principi contenuti nella sentenza n. 500 del 1999, come la natura
extracontrattuale della suddetta responsabilità e la necessità di valutare la
colpa dell’amministrazione( intesa come apparato); alla posizione oramai
consolidata, almeno da parte del Giudice di legittimità, circa la non necessità
della c.d. pregiudiziale amministrativa per ottenere un risarcimento del danno
da parte del soggetto leso da provvedimenti illegittimi della P.A.3; al
riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario nelle fattispecie di
danni sofferti da risparmiatori per omesso esercizio dei poteri di vigilanza da
3 Si vedano Cass. Sez. un. n. 13569/06; 13660/06 e 13911/06.
parte di un’autorità pubblica4; alla distinzione fra lesione di diritti
incomprimibili, come la salute o l’integrità personale, riservata alla cognizione
del giudice ordinario ed il mancato soddisfacimento di prestazioni più comode
ed agevoli, di cognizione del giudice amministrativo. 5
Per quanto riguarda, in particolare, la giurisdizione contabile alcuni principi, affermati dal Giudice
regolatore, tendono ad assumere il carattere di vero e proprio diritto vivente. Si veda l’ampia
conformazione del significato del rapporto di servizio che viene, oramai pacificamente, ritenuto
sussistente, anche se costituito con strumento negoziale, se è idoneo a collocare un soggetto in
condizione di compartecipe di una funzione pubblica. Ciò, anche se tale partecipazione avviene
attraverso l’esercizio di un’attività professionale o imprenditoriale 6. Possono essere, infine,
ricordate le note pronunce circa la sussistenza della giurisdizione contabile nei casi di responsabilità
per danni causati da amministratori o dipendenti ad enti pubblici economici od a società a
partecipazione pubblica.7
D’altra parte, è noto che la recente riforma del processo di cassazione ha
inteso valorizzare la funzione nomofilattica della Corte, in particolare delle
4 Si veda ad es. Cass. Sez. un. n. 15916/05);
5 Si vedano ad es. Cass. sez. sent.ze n. 6218/06 e 17461/06.
6 Si vedano, ad es., Cass. sez. un. n. 16216 del 2001; Cass. sez. un. n. 16829 del 2002, n. 1472 del 2002,
n. 9693 del 2002.
7 Si vedano, Cass. sez. un. n. 19667 del 2003, n. 10973 del 2005, n. 3899 del 2004, n. 6425 del 2005, n. 9096 del 2004,
n.14101 e 14102 del 2006, n. 15458 del 2007.
sezioni unite della stessa, che, com’è noto, si occupano, in via esclusiva,
delle impugnazioni per motivi attinenti alla giurisdizione della Corte dei conti e
del Consiglio di Stato( si pensi alla nuova formulazione dell’art. 374 c.p.c.).
Funzione che un eventuale cambiamento di rotta, in materia, rischierebbe di
far perdere di spessore.
2) Per la natura di sentenza additiva di principio che potrebbe definirsi
“rafforzata” della suesposta sentenza della Consulta. Quest’ultima, infatti, ha,
in primo luogo, inteso eliminare un principio generale, secondo il Giudice
delle leggi immanente nell’ordinamento, che stabiliva il divieto della translatio
iudicii nel campo della giurisdizione, ed affermare, nel contempo, una
contraria regola costituzionalmente necessaria, chiamando il legislatore
ordinario a dare organica disciplina alla materia, attraverso l’esercizio di un
determinato ambito di discrezionalità.
Con ciò, la Corte Costituzionale è rimasta nei confini delle decisioni che, di
solito, vengono definite, come detto, additive di principio8. Però, la Consulta
sembra aver fatto un passo ulteriore, dando un carattere ancor più propulsivo
alla decisione. Infatti, dopo aver affermato( si vedano i punti 5 e 7 della
sentenza) che il principio della “incomunicabilità dei giudici appartenenti ad
ordini diversi…….. è certamente incompatibile, nel momento attuale, con
8 Si vedano, per un recente esempio di decisioni di tal genere, le pronunce nn. 348 e 349 del 2007,
rispettivamente, dichiarative dell’incostituzionalità della normativa sulla determinazione dell’indennità di
esproprio dei suoli edificabili e di quella relativa alla determinazione del risarcimento conseguente ad
occupazioni c.d. acquisitive.
fondamentali valori costituzionali” e che la conservazione degli effetti della
domanda originaria discende “direttamente dall’ordinamento interpretato alla
luce della Costituzione”, senza porre alcun limite al tipo di giudizi le cui
domande introduttive hanno tale capacità di conservazione, in coda alla
sentenza ha precisato che “ è’ superfluo sottolineare che, laddove possibile
utilizzando gli strumenti ermeneutici( come, nel caso oggetto del giudizio a
quo, dopo la declinatoria di giurisdizione) i giudici ben potranno dare
attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel
processo riassunto”. Perciò, la Consulta fa riferimento al principio in esame
come un necessario raccordo fra le giurisdizioni, costituzionalmente
necessario, di cui tutti i giudici, devono tenere conto, nel caso in cui se ne
presenti l’occasione, se vogliono dare, com’è loro obbligo, un’interpretazione
alle norme di settore conforme a Costituzione.
In definitiva, pur concernendo la dichiarazione di incostituzionalità
specificamente l’art. 30 della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui non
consente la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della
domanda a seguito di declinatoria di giurisdizione da parte del giudice
amministrativo, si potrebbe dare, già da oggi, un’applicazione al principio
della translatio, anche con riferimento alle possibili interferenze fra
giurisdizione contabile ed ordinaria, senza necessità di sollevare questioni di
legittimità costituzionale delle norme da cui potrebbe evincersi un contrario
principio o attendere un futuro eventuale intervento del legislatore.
D’altronde, non mancano precedenti giurisprudenziali della Corte
Costituzionale intesi a dare un indirizzo all’interpretazione dei giudici di merito
in modo da raggiungere, in via interpretativa, quel risultato di carattere
generale che, in prima battuta, era stato attinto attraverso l’intervento della
Consulta di abrogazione di una specifica normativa disciplinante casi
analoghi.
Si pensi ad es. alla sentenza n. 115 del 2000 con la quale la Corte, a fronte
dell’impugnazione di una norma riguardante un arbitrato obbligatorio, si limitò
ad emettere una sentenza interpretativa di rigetto, sul presupposto che il
giudice ordinario era in grado di optare, sulla scorta della precedente
giurisprudenza della Consulta che aveva dichiarato l’incostituzionalità arbitrati
previsti come obbligatori, per un’interpretazione secundum Costitutionem
idonea a non far considerare obbligatorio l’arbitrato previsto dalla norma
impugnata. Allo stesso modo, con la sentenza n. 28 del 2004, la Consulta, a
proposito del momento di perfezionamento delle notificazioni, ha escluso che
fosse necessaria, dopo la sentenza n. 477 del 2002, un’ulteriore pronuncia di
incostituzionalità per estendere i principi enunciati in tale ultima decisione, in
ordine alla corretta interpretazione dell’art. 149 c.p.c., relativamente a tutte le
forme di notificazione disciplinate dagli articoli 138 e segg. Infine, può citarsi
la sentenza n. 268 del 1993, sulla possibilità di comprendere in via
interpretativa nel concetto di termini processuali, da intendersi sospesi nel
periodo feriale, anche i termini di decadenza previsti dalle varie disposizioni
per l’esercizio dell’azione.
In definitiva, non sembra possano evidenziarsi motivi per i quali l’esigenza
che spinge per un’immediata applicazione del principio riguardo a giudizi
instaurati presso altre giurisdizioni, cioè quella di pervenire, per quanto
possibile, ad una decisione di merito circa il bene delle vita oggetto della
domanda, non debba valere anche riguardo all’accertamento del diritto di
un’amministrazione pubblica o soggetto equiparato ad ottenere un ristoro a
seguito di danni causati da soggetti legati alla stessa da un rapporto di
servizio, ovvero al possibile riconoscimento di altro diritto in materia di cui può
conoscere il giudice contabile, come, ad es., quella pensionistica.
Si tratta di interessi sostanziali certamente di valore non inferiore rispetto a
quelli di soggetti che si fanno portatori di diritti presso altre giurisdizioni9.
Potrebbe essere utile, a tal proposito, richiamare la circostanza che i primi
commenti alle decisioni in esame con riguardo agli effetti delle stesse sui
rapporti fra giudice ordinario e tributario, hanno evidenziato proprio il fatto che
il principio in discorso andrebbe applicato immediatamente anche in tale
àmbito.10
3 - Problemi applicativi: legittimazione ad agire, disciplina sostanziale e
processuale in ipotesi di translatio riguardante il settore della
responsabilità amministrativa.
La circostanza che dalle suddette decisioni della Consulta e della Corte di
9 Com’è noto la Corte Costituzionale nelle sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale delle
norme che eliminavano il potere del P.M. di impugnare la sentenze di proscioglimento in relazione al rito
ordinario ed abbreviato( sentenze n. 26 e 320 del 2007) ha ritenuto lesiva di principi costituzionali la
creazione di una dissimmetria radicale nel trattamento dell’interesse di cui si fa portatore il P.M. rispetto ad
altri interessi.
10 Si vedano Berliri “ sul diritto tributario il sigillo della Corte costituzionale” in “ il Sole-24 Ore” del 2 aprile
2007, pag. 36 e A.P. Brocchetta “ Sempre ammessa la translatio iudicii tra giurisdizioni diverse( compresa
quella tributaria)” in Il Fisco n. 28 del 2007.
cassazione non si evincono limiti quanto alla natura dei giudizi cui applicare il
principio che un processo erroneamente instaurato davanti ad un giudice
sfornito di giurisdizione debba poter continuare così come iniziato davanti al
giudice che ne è fornito, non può fare, comunque, dimenticare che le
fattispecie concrete che le hanno originate, riguardano la trasmigrabilità delle
cause dal giudice ordinario a quello amministrativo e viceversa. In tali casi,
come in quelli relativi a materie rientranti nella giurisdizione del giudice
tributario, non viene in evidenza la particolare disciplina, circa la
legittimazione ad agire e sostanziale propria com’è noto del giudizio di
responsabilità amministrativa, che potrebbe avere riflessi anche in sede di
un’eventuale riassunzione dello stesso innanzi al giudice ordinario.
Vanno, perciò, esaminati gli effetti di tale particolare disciplina sulla possibilità
di una translatio relativa ad un giudizio avente ad oggetto l’accertamento di
una responsabilità amministrativa.
E’ necessario, però, considerare due ipotesi:
1) L’eventualità in cui la Suprema Corte, a seguito di regolamento preventivo
o ricorso per motivi di giurisdizione, dichiara la giurisdizione del giudice
ordinario, su di una determinata fattispecie di responsabilità amministrativa
sottoposta alla cognizione del giudice contabile ovvero, secondo quanto
ritenuto dalla Corte di cassazione, è direttamente quest’ultimo a riconoscere il
proprio difetto di giurisdizione, ritenendo competente il giudice ordinario11.
11 Probabilmente, in tale ultimo caso, in presenza di un appello, occorrerebbe attendere una definitiva
decisione del giudice di secondo grado.
Occorre pensare a fattispecie di confine, in cui la sussistenza di un danno a
carico di un’amministrazione pubblica o soggetto equiparato è, ovviamente,
comunque prospettata nella domanda, ciò che viene negata dalla Cassazione
o dal giudice contabile è la giurisdizione di quest’ultimo, ad es. per mancanza
di un rapporto di servizio con un’amministrazione pubblica, per motivi di
insindacabilità da parte del giudice contabile di scelte discrezionali o
imprenditoriali, per questioni di diritto intertemporale( quale, ad es. in caso di
danni a società a partecipazione pubblica, la verificazione del danno prima
della legge n. 20 del 1994), ai casi in cui, relativamente ad una identica
fattispecie, viene dichiarato dal giudice che alcuni soggetti possono
convenirsi presso giudice contabile ed altri presso quello ordinario.
Invero, dubbi sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e Corte dei conti,
anche a fronte di un danno subito da un’amministrazione pubblica o soggetto
equiparato, in fattispecie che, almeno in astratto, potrebbero rientrare nella
giurisdizione di quest’ultima, continueranno a porsi, in modo anche
accentuato, almeno fino a quando la Corte Costituzionale continuerà a
ritenere la giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica,
ex art. 103 co. II Cost., solo tendenzialmente generale, perchè la sua portata
espansiva incontrerebbe il limite dell’interpositio legislatoris12.
Nell’ipotesi in discorso si pone, in primo luogo, il problema dell’individuazione
del soggetto legittimato a proseguire il giudizio innanzi al giudice ordinario.
Una titolarità in tal senso potrebbe far capo all’amministrazione danneggiata.
Tale possibilità, però, sembra porsi in conflitto con la consolidata
12 Si vedano ad es. le sentenze n. 773 del 1988 e n. 641 del 1987.
giurisprudenza contabile secondo cui l’amministrazione danneggiata non
avrebbe la possibilità di agire autonomamente per la tutela giudiziale del
diritto al risarcimento del danno sia innanzi al giudice contabile che a quello
ordinario, in fattispecie che possano concretizzare ipotesi di responsabilità
amministrativa, né avrebbe la disponibilità del relativo diritto.13
Un’ulteriore ricaduta del suddetto principio è la pacifica posizione
giurisprudenziale per la quale è ammesso in giudizio solo un intervento
dell’amministrazione danneggiata adesivo-dipendente alla posizione
processuale del P.M.14
Tali limitazioni deriverebbero dal carattere esclusivo della giurisdizione
contabile, nel senso che, a fronte di fattispecie rientranti nell’alveo di
quest’ultima, non potrebbe ritenersi ammissibile la possibilità di una
concorrente giurisdizione. Conseguentemente, sarebbe intestata, in via
13 In tal senso, ad es., Corte dei conti sez. riun. sent. n. 6/QM del 2003 e sez. I centrale sent. n. 333 del
2004; sez. II centrale n. 215 del 2004 e sez. III nn. 672 e 490 del 2005. La giurisprudenza è, poi, pacifica nel
ritenere che un’eventuale transazione tra l’amministrazione ed il responsabile non impedisce l’azione del
P.M. nel limite del danno eventualmente residuo a seguito della esecuzione della stessa( si vedano ad es.
sez. III centrale n. 196 del 2002 e sez. I centrale n. 298 del 2005).
14 Recenti pronunce della sezione giurisdizionale campana della Corte dei conti (sentenze nn. 2512-2513-
2514-2515 del 3 ottobre 2007) hanno ammesso l’intervento adesivo autonomo dell’amministrazione alla
posizione processuale degli agenti contabili, se la prima si limita a negare il difetto di giurisdizione della
Corte dei conti, volendo, così, tutelare la propria autonoma sfera di competenza.
esclusiva al P.M. presso tale giudice, l’azione tesa all’accertamento di una
possibile responsabilità amministrativa 15.
La suddetta giurisprudenza sembra avallata da alcune pronunce delle sezioni
unite della Suprema Corte( si vedano le decisioni sez. un. civ. n. 933 del
1999, n. 179 del 2001 e n. 98 del 2000), ribadite, da ultimo, con l’ordinanza n.
22059 del 2007, che nell’affermare la possibilità del giudice contabile di
conoscere di azioni revocatorie, sembra voler dare una copertura
costituzionale, ex art. 103, secondo comma, della Carta fondamentale, al
principio dell’esclusività della giurisdizione della Corte dei conti in materia,
attraverso una rivalutazione della visione di quest’ultima quale giudice
naturale in materia di contabilità pubblica.
Non bisogna, però, dimenticare che la stessa Corte di legittimità ammette
deroghe a tale principio, nel riconoscere all’amministrazione pubblica la
possibilità di tutelare il suo diritto al risarcimento attraverso la costituzione di
parte civile, in sede penale, nel caso di danni conseguenti a reati commessi
15 Parte della giurisprudenza è dell’avviso che nei casi di cui di cui all’art. 30, comma 15 della legge n. 29
del 2002( che prevede la possibilità da parte del giudice contabile di irrogare agli amministratori delle regioni
ed altri enti locali che deliberano di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di
investimento, una sanzione pecuniaria rapportata all’indennità di carica) l’azione possa spettare ad ogni
cittadino. Tale norma prevede, però, una forma di responsabilità sanzionatoria, forse non assimilabile a
quella amministrativa, anche perché prescinde dalla prospettazione di un danno specifico per l’ente locale
amministrato e probabilmente anche dalla dimostrazione dell’elemento psicologico da considerare in re ipsa
nella partecipazione alla decisione illegittima.
da propri funzionari16.
Allo stesso modo, la sussistenza della giurisdizione contabile, in caso di
danni causati da amministratori a società a partecipazione pubblica17 non
sembra impedire, allo stato dell’ordinamento, l’azione sociale di
responsabilità nei confronti degli stessi, da far valere presso il giudice
ordinario, ovviamente, nei limiti del rispetto del principio del ne bis in idem18.
In dottrina non mancano dubbi circa la conformità agli articoli 24 e 111 della
Costituzione della sottrazione all’amministrazione danneggiata del diritto di
agire presso il giudice ordinario( o almeno di intervenire autonomamente nel
giudizio presso il giudice contabile) anche nei casi che possano, in astratto,
concretizzare fattispecie di responsabilità amministrativa. Ciò per i limiti che si
16 Si veda in merito Cass. sez. un. n. 20476 del 2005 che proprio partendo dal presupposto del carattere
solo tendenzialmente generale della giurisdizione contabile ha ritenuto l’ammissibilità di espresse deroghe
legislative, come nella materia del risarcimento danni, anche non patrimoniali, da reato, che rientrerebbe
nella giurisdizione del giudice ordinario, ponendosi gli artt. 74 ss. c.p.p. in rapporto di specie a genere
rispetto alla disciplina della responsabilità amministrativa. Com’è noto, l’esercizio del diritto in discorso, da
parte della P.A., non incide sulla sussistenza della giurisdizione contabile, sulla stessa fattispecie dannosa,
sebbene, eventualmente, sull’interesse concreto del P.M. ad agire( si vedano ad es. Corte cost. sent. n. 773
del 1988; Cass. sez. un. ord. n. 4957 del 17/2/2005; Corte dei conti sez. Lombardia sent. n. 22 del 2005;
sez. II centrale sent. n. 215 del 2004 e sez. I sent. n. 74 del 2004).
17 Cass. sez. civ. ord. n. 19667 del 2003 e sent. n. 3899 del 2004.
18 Si veda sez. Lombardia ord. n. 32 del 2005
porrebbero per soggetti dell’ordinamento riguardo alla tutela giurisdizionale19.
Nel caso in cui si ritenesse legittimata l’amministrazione danneggiata a
proseguire l’azione, la stessa non avrebbe un obbligo in tal senso, anche se
tale circostanza potrebbe essere valutata in termini di perdita di chance, ai fini
di una possibile responsabilità amministrativa dei titolari dei competenti
organi dell’ente.
L’altra possibilità è riconoscere una legittimazione ad agire in riassunzione in
capo al P.M. presso il giudice contabile.
In tal caso, si pone il problema della veste in cui agirebbe il Requirente e
della fonte di una potestà in tal senso, circostanza che implica un rapido
esame del ruolo che il P.M. presso il giudice contabile svolge nel giudizio di
responsabilità amministrativa.
Com’è noto, si afferma, tradizionalmente, che, nelle ipotesi di responsabilità
amministrativa, il titolare del diritto sostanziale leso è l’amministrazione
danneggiata, mentre al P.M. presso il giudice contabile fa capo l’esercizio del
diritto di azione.
Tale posizione è influenzata dalla nota tesi che vede il P.M. agente, nel
19 Si vedano A. Corpaci “il principio cardine del giudizio di responsabilità amministrativa: l’attribuzione del
potere di azione al pubblico ministero presso la Corte dei conti” ed A.Pajno “ Il rapporto con le altre
giurisdizioni: concorso o esclusività della giurisdizione di responsabilità amministrativa?”, relazioni al 51
convegno di studi amministrativi, Varenna, 15-17 settembre 2005. Gli autori sottolineano, altresì, come una
concorrenza di tutele giurisdizionali, tenderebbe a massimizzare l’interesse al ristoro dei danni subiti dalle
amministrazioni.
processo civile, quale parte in senso formale, in quanto estraneo alla
situazione sostanziale dedotta in giudizio e portatore dell’interesse generale
al rispetto dell’ordinamento giuridico.
Il collegamento con la tutela di interessi pubblici e la consolidata affermazione
del carattere obbligatorio ed indisponibile dell’azione di cui è titolare, ne
hanno fatto evidenziare i punti di contatto rispetto all’analogo Requirente
operante presso il giudice penale.
Però, una perfetta sovrapponibilità della figura del P.M. presso il giudice contabile rispetto a quella
dell’analogo Organo che agisce presso il giudice civile o penale potrebbe non essere scontata.
In primo luogo, se in materia civile, il P.M., pur agendo sempre nell’interesse della legge, è
completamente estraneo ai diritti che può dedurre in giudizio20, ciò non sembra valere,
completamente, per il P.M. presso il giudice contabile.
In disparte ogni considerazione sulla natura degli interessi tutelati, la figura del P.M. presso la Corte
dei conti sembra diversa anche da quella del P.M. penale soprattutto per il fatto che quest’ultimo
agisce in un processo in cui il giudice ha solo l’obbligo della correlazione fra imputazione e
decisione per quanto concerne il fatto( art.li 521 e 597 c.p.p.), mentre costituisce oramai posizione
20 Tale considerazione sembra suffragata anche dalla circostanza che, nella maggior parte dei casi, la sua legittimazione
ad agire è concorrente o sussidiaria rispetto a quella di altri soggetti. Satta( “ del Pubblico Ministero” in Commentario
al codice di procedura civile, I, pagg. 236 e segg., Milano 1966) ritiene che l’azione civile del P.M. riguarda “casi in cui
o l’ordinamento non riesce a realizzarsi nel soggetto o il soggetto non riesce a realizzare l’ordinamento” ovvero casi “in
cui l’azione del p.m. esprime il limite che l’ordinamento pone alla libera esplicazione della volontà del soggetto”. Il
riferimento è sempre ad interessi di altri soggetti, reali o potenziali, pur essendo la previsione dell’azione pubblica
giustificata dalla particolare rilevanza di tali interessi.
consolidata della giurisprudenza contabile il riconoscimento dell’insussistenza di poteri c.d.
sindacatori del giudice contabile tali da incidere sui principi della domanda e della corrispondenza
fra il chiesto ed il pronunciato.
La valorizzazione della diversa natura dell’interesse tutelato dal P.M., presso
il giudice contabile, rispetto a quello dell’amministrazione danneggiata, la
finalità non esclusivamente risarcitoria della responsabilità fatta valere dal
Requirente21, l’autonomia di quest’ultimo, anche nei confronti
dell’amministrazione danneggiata, nel determinare, in modo motivato,
nell’àmbito della speciale disciplina sostanziale della responsabilità
amministrativa, l’an, il quantum del danno ed i soggetti eventualmente
responsabili, la possibilità, riconosciuta dalla giurisprudenza, di costituire in
mora con l’invito a dedurre il presunto responsabile, il potere di esercitare
tutte le azioni poste a tutela del creditore dalla procedura civile, sembrano
spingere verso una visione dell’Organo requirente presso il giudice contabile
come titolare non solo di poteri processuali.22
21 Circostanza che sembra, implicitamente, avallata da Corte Costituzionale ord. n. 392 e sent. n. 183 del
2007.
22 Per il riconoscimento anche di un diritto sostanziale autonomo in capo al P.M. si veda la sentenza Corte
dei conti, sez. III giurisdizionale centrale, n. 383 del 2003, che ha definito il P.M. presso il giudice contabile
“quale soggetto pubblico che agisce per la tutela di un interesse proprio( e nell’esercizio di un proprio
autonomo e correlato diritto)alla tutela dell’integrità dell’ordinamento giuridico compromesso dalle condotte
antidoverose dei pubblici dipendenti in danno delle rispettive amministrazioni”. Si vedano ad es. Corte dei
conti sentenze sez. I n. 292 del 1991 e sez. un. n. 6/Qm del 2003. Le sez. riun. della Corte dei conti nella
sentenza n. 14/QM 2000 hanno ribadito che il P.M presso il giudice contabile agisce nell’interesse dello
In definitiva, volendo ritenere il P.M. presso il giudice contabile abilitato a
proseguire l’azione presso il giudice ordinario, lo stesso, in tal caso, farebbe
valere il suo ruolo (più che di organo di giustizia o di portatore di un astratto
interesse generale all’integrità dell’ordinamento giuridico), di soggetto che ha
attivato un processo, attraverso l’uso degli ampi poteri che, come detto,
l’ordinamento gli concede, acquisendo, conseguentemente, la titolarità, in
posizione paritaria con le parti private, anche di diritti come quello in
discussione. Andrebbe, perciò, rimarcata la funzione del P.M. nella concreta
dinamica processuale, quale soggetto che si muove per la realizzazione dello
specifico interesse dedotto in giudizio.
In tal modo, il P.M. verrebbe ad assumere la stessa veste di quando agisce o
resiste, con ricorso o controricorso per motivi di giurisdizione, innanzi alla
Suprema Corte( dove, com’è noto, conclude, autonomamente, il diverso P.M.
presso la stessa). Tutto ciò coerentemente con la generale tendenza
legislativa, che sulla scorta di principi costituzionali, concentra sul Requirente
il ruolo di organo di richiesta e di azione, in modo che siano tenute ben
distinte le funzioni attribuite a quest’ultimo da quelle proprie dei giudici.23
Quanto al titolo che legittimerebbe il P.M. a proseguire il giudizio, esso
Stato ordinamento con valenza mediatamente finalizzata alla tutela patrimoniale della specifica
amministrazione danneggiata.. Si pensi anche alla possibilità riconosciuta al P.m. contabile di costituire in
mora con l’invito a dedurre il presunto responsabile.
23 Si vedano in argomento Corte Cost. sent.ze n. 419 del 1994 e 420 del 1995.
potrebbe essere, implicitamente, la sentenza della Corte costituzionale di cui
si è discusso, vista la sua forza innovativa dell’ordinamento, oltre che
propulsiva per i giudici di merito.
D’altra parte, una volta ammessa la translatio come principio generale,
valevole perciò anche con riguardo ai giudizi per l’accertamento di una
responsabilità amministrativa, un soggetto titolare del potere di proseguire
l’azione presso il giudice fornito di giurisdizione deve poter essere individuato.
Se non è l’amministrazione titolare del diritto al risarcimento del danno, deve
essere il P.M. presso il giudice contabile. Non sembra vi sia, poi, una
preclusione, a livello di principi costituzionali, ad ammettere anche tale ultima
possibilità, tanto più che non sono mancati nel recente passato tentativi
legislativi, poi non realizzati, di legittimare il P.M. contabile ad impugnare
presso il giudice amministrativo atti amministrativi illegittimi.
Comunque, indipendentemente da chi possa essere il soggetto legittimato a proseguire il giudizio, il
principio della conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria( e della
non vanificazione delle eventuali attività istruttorie effettuate) non sembra possa essere posto in
discussione.
Nell’ipotesi di cui si discute viene in evidenza l’ulteriore problema, una volta denegata la
giurisdizione del giudice contabile, della normativa sostanziale applicabile alla fattispecie da parte
del giudice ordinario.
Pur essendo la questione particolarmente problematica, non potrebbe escludersi a priori
un’applicazione da parte del giudice civile, innanzi al quale è stato riassunto il giudizio, della
disciplina relativa alla responsabilità amministrativa, dal momento che il P.M. ha, inizialmente,
formulato la domanda applicando la suddetta normativa e che la stessa concerne, comunque, un
danno subito da una pubblica amministrazione o ente equiparato da parte di un soggetto che agisce
per il perseguimento di un interesse proprio degli stessi.
2) La seconda ipotesi è quella che la Suprema Corte o il giudice ordinario,
ritengano competente il giudice contabile a seguito di giudizio instaurato, in
prima battuta, presso quest’ultimo. In tal caso si pongono, evidentemente,
minori problemi applicativi, in quanto il giudizio andrebbe proseguito presso il
giudice contabile ad opera del P.M. presso quest’ultimo, con la pacifica
applicazione della normativa sulla responsabilità amministrativa. L’elemento
di novità della disciplina della fattispecie sarebbe, ovviamente, la salvezza
degli effetti sostanziali e processuali della domanda come originariamente
proposta. E’ evidente, poi, che tale ipotesi pone un dovere di denuncia del
caso al P.M. da parte dei soggetti obbligati in tal senso all’interno del
soggetto pubblico danneggiato.
Una volta ipotizzata la possibilità dell’applicazione del principio in discorso
anche a seguito di pronunce che attengono all’àmbito di giurisdizione del
giudice contabile, si pone la necessità indicata dalla Consulta che il giudice
individui in via interpretativa la disciplina della riassunzione, in attesa di futuri
organici interventi del legislatore.
Tale individuazione per quanto riguarda i casi che coinvolgono la
giurisdizione contabile non sembra comportare particolari difficoltà
ermeneutiche.
Infatti, nelle ipotesi in cui la Cassazione abbia ritenuto, decidendo su ricorso
per motivi attinenti alla giurisdizione a seguito di un giudizio instaurato presso
il giudice ordinario, competente il giudice contabile, il rinvio operato dall’art.
26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti al
codice di procedura civile, consente l’applicazione dell’art. 392 c.p.c. che
prevede la riassunzione della causa sotto forma di citazione entro un anno
dalla pubblicazione della sentenza. Nel caso, poi, di decisione della
Cassazione a seguito di regolamento di giurisdizione dovrebbe tenersi conto
per la riassunzione del termine semestrale dalla comunicazione della
sentenza sul regolamento, di cui all’art. 367, II co, c.p.c..
Tali norme dovrebbero ritenersi applicabili anche nelle ipotesi in cui la Corte
regolatrice, attivata a seguito di un giudizio instaurato presso il giudice
contabile, affermi la giurisdizione del giudice ordinario.
Nel caso, infine, in cui il difetto di giurisdizione sia affermato dal giudice del
merito, potrebbe venire in rilievo, in via analogica, il suddetto art. 367 II co,
del c.p.c., con obbligo di riassunzione entro sei mesi dalla comunicazione o
notificazione della sentenza del giudice.
4 - Applicazione del principio relativamente ad altre materie rientranti
nella giurisdizione del giudice contabile.
Il principio in discorso sembra suscettibile di un’applicazione meno
problematica nella materia pensionistica di cui conosce il giudice contabile, in
quanto:
• a seguito dell’abrogazione delle norme che prevedevano l’intervento del
P.M. le parti del giudizio sono solo l’amministrazione ed il soggetto
richiedente l’accertamento del diritto ad una determinata prestazione
previdenziale scaturente da un pregresso rapporto di pubblico impiego;
• si tratta di un giudizio sulla definizione di un rapporto tra un privato ed una pubblica
amministrazione non diverso da quello che può venire in discussione presso altre
giurisdizioni;
• anche in tale materia possono venire in evidenza questioni problematiche e che potrebbero
coinvolgere non solo i confini fra la giurisdizione del giudice contabile e quella del giudice
ordinario, come nel caso della responsabilità amministrativa, ma anche quelli fra il primo ed
il giudice amministrativo. Si pensi, ad es., ai dubbi sui poteri di delibazione del giudice
contabile sugli atti strettamente presupposti al trattamento di quiescenza, ai confini
soggettivi della giurisdizione pensionistica del giudice contabile, nei confronti degli ex
dipendenti di enti pubblici trasformati in società per azioni.
Conseguentemente, anche nella materia in discorso, possono venire in rilievo decadenze o
prescrizioni che vanno sanate con il meccanismo della translatio.
Anche relativamente ai c.d. giudizi ad istanza di parte rientranti nella cognizione del giudice
contabile( ad es controversie esattoriali in materia di aggio o rimborso di quote inesigibili) non
dovrebbero, pur nel loro limitato ambito, sussistere ostacoli all’applicazione del principio, in
quanto, anche in tali casi, l’azione non è introdotta dal P.M. ( che è solo interveniente nel relativo
giudizio) e concerne l’accertamento di un ordinario rapporto di debito-credito fra un privato ed
un’amministrazione pubblica, che dovrebbero ritenersi, entrambi, abilitati a proseguire il giudizio
presso il giudice fornito di giurisdizione.