la morte è l’altra faccia della vita
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Bauman parla di identit a palinsesto, nel senso che il soggetto di oggi vive il dramma di identificarsi in una identit mai solida e definitiva, ma liquida caratterizzata, cio, dalla mancanza di fiducia nella solidit del tempo, vale a dire da una costante instabilit che domina ogni aspetto della vita.Talcott Parson afferma che in una societ complessa e multiforme caratterizzata da una crescente pluralizzazione dei coinvolgimenti di ruolo, la dimensione dellidentit e quella dellalienazione sono parte integrante della vita della persona, in quanto diventa sempre pi difficile costruire la prima sottraendosi alla seconda.
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In questa stessa prospettiva, Berger, Berger e Kellner parlano di pluralit dei mondi della vita per indicare come questa pluralizzazione di esperienze rischia di portare la persona verso una sempre pi difficile costruzione dellidentit, poich questo caleidoscopio di segmenti di realt allontana luomo da quella che, invece, una esigenza primaria, cio lequilibrio e lintegrazione delle differenti esperienze di vita in una ottica unitaria.
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Nella prospettiva di Berger, Berger e Kellner, nella societ odierna lidentit delluomo si definisce secondo quattro caratteristiche particolari:1) lidentit delloggi una identit aperta, ovvero il nomadismo tra diverse e complesse situazioni di identit, una caratteristica naturale della persona;2) la realt sociale delloggi una realt multiforme e caleidoscopica e, perci, anche insicura e incerta nelloffrire alla persona punti di riferimento stabili. Conseguenza diretta di questa situazione incerta del reale, che sicurezza e ancoraggio alla realt sono due dimensioni che vanno ricercate nella sfera intima e soggettiva; la soggettivit conosce un significato e uno spazio mai conosciuti in passato
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3) questa esaltazione della soggettivit porta anche ad una maggiore coscienza dei propri diritti soprattutto di quelli che hanno a che fare con la capacit di progettare la propria esistenza il pi velocemente possibile;4) essendo lesistenza quotidiana un caleidoscopio di esperienze casualmente connesse tra di loro, lindividuo deve prestare la massima attenzione e riflessivit nel trovare e percorrere nuove vie nel controllo della propria razionalit.
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Gianni Vattimo riconduce la fine della modernit ad alcuni momenti fondamentali e tra questi lavvento della societ della comunicazione. Il postmoderno dunque un modo di guardare alla realt che si apre alle differenze, a tutto ci che non pi riconducibile ad un unico elemento legittimante. In questo senso, . Questa vertiginosa moltiplicazione della comunicazione, che porta alla ribalta dellopinione pubblica sub-culture di ogni genere, leffetto pi evidente prodotto dai media.
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Questa sorta di prodotto dei media, questa liberazione delle molte culture, questa pluralizzazione di punti di vista e di riferimento, male si adattano ad unidea unitaria di storia. La realt che oggi viviamo il risultato dellincrociarsi delle molteplici interpretazioni, immagini, punti di vista, che i media contribuiscono a creare e, perci, priva di una coordinazione centrale. Nellodierna societ della comunicazione, si fa spazio un ideale emancipativo basato sui concetti delloscillazione e della pluralit.
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Questa liberazione delle differenze, degli elementi locali, ci che potremmo chiamare, complessivamente, il dialetto. Vattimo sostiene che il senso emancipativo di questa liberazione dei dialetti consiste in un reciproco effetto di spaesamento e identificazione
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spaesamento, che anche, e nello stesso tempo, liberazione delle differenze, degli elementi locali, di ci che potremmo chiamare, complessivamente, il dialetto. Caduta lidea di una razionalit centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicit di razionalit locali - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche - che prendono la parola, finalmente non pi tacitate e represse dallidea che ci sia una sola forma di umanit vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarit, di tutte le individualit limitate, effimere, contingenti>>
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Michel Maffesoli afferma che la dimensione che una societ vive, intesa come forma, struttura, chiarita dalla concezione che una epoca ha dellAlterit; nella societ delloggi il dato sociale che spicca il relazioniamo, la reliance che si trova a svolgere un ruolo pi importante degli elementi stessi collegati. Nellottica maffesoliana, il gruppo si presenta come una sorta di decostruzione dellindividualismo che, invece, era prevalso nella modernit. La societ attuale, abbracciando la logica del gruppo e della reliance, si organizza attraverso incontri, situazioni, esperienze, nellambito dei vari gruppi cui la persona sente di appartenere.
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Il tramonto della modernit stato segnato dal venire meno di alcune categorie, quali lo stato-nazione, le ideologie, le istituzioni, a favore del sorgere di altre, quali il ritorno allimportanza del locale e della trib. Questo passaggio allet odierna, definita come la sinergia tra i fenomeni arcaici e lo sviluppo tecnologico, vede nel localismo uno dei segni pi visibili del cambiamento.
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la postmodernit , invece, una epoca ossessionata dalla trib. Questa affermazione, secondo il sociologo francese, apporterebbe una modifica alla relazione con lAltro. Ma cosa differenzia la permanenza di un gruppo, di una trib, da un assemblaggio di individui? Quali sono le caratteristiche strutturali che fanno si che una trib possa definirsi tale nella continuit dei suoi elementi?
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nelle giungle di pietra delle nostre megalopoli contemporanee la trib assume lo stesso ruolo che ricopriva nelle giungle strictu sensu. () Trib religiose, sessuali, culturali, sportive, musicali; il loro numero infinito, la loro struttura identica, cos come i loro tratti caratteristici: mutua assistenza, condivisione di sentimenti, atmosfera affettiva. () Le grandi narrazioni collettive si sbriciolano in una dimensione microsociale, limitandosi e incarnandosi in un dato territorio .
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In una tale prospettiva, la dimensione del festivo rappresenta la manifestazione pi alta di questa sensibilit rinnovata; il dispiegarsi continuo della frivolezza e della leggerezza in tutti gli ambiti della vita, non deve pi essere intesa come una espressione di particolari avanguardie culturali, ma necessario, oggi, cogliere in essa uno degli elementi costitutivi della nostra societ. Il predominio della festa, infatti, nelle sue diverse forme e manifestazioni, rappresenta lo svolgimento costante e attuale della contemplazione dionisiaca del mondo.
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coglibile negli affollamenti religiosi, nei raduni musicali, nei rave party, nelleffervescenza che invade una manifestazione sportiva come i mondiali di calcio; proprio a partire da queste osservazioni, che meglio si possono comprendere i nuovi linguaggi giovanili, il ritorno dei dialetti locali, la riacutizzazione dei diversi sincretismi filosofici e religiosi. Il tempo delle trib , dunque, un tempo fatto di affetti, eccessi, emozioni che riescono a dirigerci pi di quanto riusciamo a dirigerli.
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La formazione un concetto complesso e problematico perch la questione educativa che si pone quella della persona, del soggetto che si vuole formare, ma anche del soggetto che si forma, si con-forma, si de-forma. La formazione , altres, un processo concreto, co-implicato nella prassi umana e che comprende anche azioni ed eventi che incidono sulla crescita ontologica a biopsichica del soggetto.La problematicit strutturale di questa categoria, la si pu evincere dall osservazione che la formazione sia il risultato del tempo storico in cui la persona vive, sia il risultato mai compiuto di azioni intenzionali e di eventi che si sottraggono alla volont del soggetto.
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Rita Fadda ha osservato come la formazione scorra parallela alla vita delluomo; finch e dove c vita c anche formazione.La nostra vita - scrive la Fadda - punteggiata da eventi che incidono su di noi, che lasciano un segno, che ci formano (). La nostra storia di formazione ha inizio con un evento per antonomasia qual la nascita. Evento in quanto noi non abbiamo scelto nulla: non lo spazio (il dove) non il tempo (il quando), non abbiamo scelto i genitori, non le caratteristiche genetiche e soprattutto non abbiamo scelto di nascere
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Guardini considera il nascere come la risultante di una serie di incontri casuali tra i nostri genitori, tra i genitori dei nostri genitori in una catena che si perde nel tempo. Cos facendo sembra attenuare il concetto di caso dalla nascita introducendo un elemento rassicurante e consolatorio: persona si sono incontrate, forse amate, forse volute e accolte; anche noi a nostra volta incontreremo qualcuno che ci amer e che ameremo e cos via.In tale senso, invece dellidea del mero essere gettati, che evoca la solitudine, la passivit e la disumanit del nostro mero accidente, si possono introdurre, allorigine del nostro venire al mondo, gli elementi umani e non casuali dellamore, della volont, dellaccoglienza e della cura.
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Allora potremmo anche dire che c qualcosa di non casuale nella assoluta casualit del nostro nascere, in quanto veniamo al mondo in virt di qualcosa che ci precede e che pu essere una passione, un gesto, una volont.Appena venuti al mondo ci troviamo immessi in una rete di relazioni e di reciprocit.Heidegger afferma che lessere umano il non-ancora; lincompletezza la sua caratteristica fondamentale. Questo non-ancora altro non che il processo formativo, che senza fine.
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Ogni persona assume quella forma, che unica e irripetibile. Perci lidentit, la forma, quella forma che ci differenzia da ogni altro uomo, non qualcosa che si acquisisce una volta per tutte e in cui ci si ferma, ma piuttosto ci di cui continuamente andiamo alla ricerca. La persona apertura, progettualit, capacit di intendersi e comunicare con laltro, vivere nella societ facendo propri, criticamente, cultura e tradizione; affettivit, cognitivit, anima e corpo.Il soggetto su cui riflette leducazione non solo luomo naturale ma anche luomo con i suoi bisogni, le sue credenze, i suoi sogni.
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Levento-morte per la persona, gravida di significato pedagogico e formativo. A formarci non la nostra morta, estrema esperienza della nostra vita, ma lidea che di essa ci facciamo, il modo di concepirla, di pensarla e di dirla. Nessuno sfugge allidea della morte neanche quando la nega, la ignora, la rimuove. Si pu dire che tutti quanti noi siamo formati in qualche modo alla e dalla idea della morte.
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Odo Marquard in Apologia del caso ha scritto Il caso che ci coglie nella maniera pi carica di destino e pi dura, a meno che non lo si consideri come la consolazione del non dovere continuare allinfinito con i nostri volteggi, la nostra morte. Dalla nascita, per un caso del destino, noi siamo condannati a morte, vale a dire a quella brevit della vita che non ci lascia il tempo di liberarci a nostro piacere di ci che per caso gi siamo.
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Lidea espressa in questo passo, che noi uomini siamo pi i nostri accidenti che la nostra scelta, non da considerarsi una sfortuna dal momento che il caso la nostra normalit storica, condizionata dalla mortalit.Janklvitch in La mort scrive:La morte d forma alla vita. In ci consiste la doppiezza del limite: nel dire insieme si e no, e cio nel rifiutare affermando e nellaffermare rifiutando, in quanto il termine diventa ci che determina e il limite risulta parte integrante della forma.
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La morte laltra faccia della vita.Vero che nella morte dellaltro si annuncia la nostra morte e porta via una parte di noi, tutta quella parte di noi che gli appartiene; muore tutto un universo di possibilit. Perci noi sperimentiamo la morte come perdita in tutto il corso della nostra vita: in un obiettivo mancato, in un desiderio inappagato, in un amore finito o mai cominciato, in una malattia, in un lutto. Ogni perdita rappresenta, in qualche modo, una esperienza di morte. In ci consiste il nostro ordinario morire.
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Su questo fatto che la morte pu dare il via ad un orizzonte di umanizzazione della vita, concorda anche Ernesto de Martino, che mette in luce il significato della morte e dellelaborazione di questa nei riti e nei lamenti funebri dellantichit del cristianesimo, come condizione della forza rigenerante della cultura.Di fronte al problema della morte di chi ci caro, abbiamo tre possibilit: dimenticarli e farli morire in noi, farli rivivere continuando la loro opera, perdere noi stessi morendo con colui che muore. Ma questo il rischio di chi disarmato di fronte al dolore e alla disperazione e non riesce a riportare la morte da mero fatto naturale a elemento di cultura, di civilt, di valore.Forse in tale senso, la morte la silenziosa compiutezza della vita. La vita senza la morte sarebbe come unopera incompiuta.