the next decade
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CAPITOLO 1
L’impero involontario
Il presidente americano è il leader politico più importante al mondo poiché governa una nazione le
cui politiche economiche e militari condizionano ed influenzano la vita di milioni di persone in ogni
paese di ogni continente. Nel prossimo decennio chi sarà il presidente e cosa sceglierà di fare sono
questioni che condizioneranno la vita dei ‘non-Americani’ più di quanto potrebbero fare le decisioni
dei loro governi.
Il risultato delle ultime elezioni negli Stati Uniti ha portato alla presidenza americana Obama, una
figura che ha immediatamente e drammaticamente cambiato la percezione degli Stati Uniti nel
mondo: Obama è stato celebrato perché, all’opposto di G. W. Bush, ha dichiarato che non sarebbe
stato un ‘bullo’ imperialista.
Il nuovo regime Americano è qualcosa che importa a milioni di persone, non solo negli Stati Uniti,
poiché il presidente Americano si trova a ricoprire il ruolo, a volte scomodo, di ‘imperatore’
globale; una realtà con cui il mondo si troverà a lottare nel prossimo decennio.
L’imperatore Americano
L’unicità dello status del presidente Americano e la sua grande influenza sono il risultato del fatto
che gli Usa sono l’unica potenza militare ed economica globale nel mondo. Questa realtà conferisce
agli Stati Uniti un potere che è sproporzionato rispetto a ciò che molti reputano giusto o prudente.
Ma gli Stati Uniti non intendevano diventare un impero, ciò che è accaduto è conseguenza di eventi
di cui pochi sotto il controllo Americano, infatti a differenza di alcune versioni di imperi precedenti,
quello americano non è stato pianificato, non è stato intenzionale. La supremazia statunitense non si
è mostrata fino al 1991, quando il collasso dell’Unione Sovietica ha lasciato gli Stati Uniti soli,
come un colosso senza un contrappeso. Nel 1796, Washington con il suo ‘farewell address’
annunciava quei principi secondo i quali un paese piccolo e geograficamente isolato poteva
scegliere di restarsene in disparte dal mondo, estendendo le relazioni commerciali ma riducendo al
minimo le connessioni politiche. Oggi è semplicemente impossibile, per una nazione la cui
economia è così vasta, avere relazioni commerciali senza un groviglio di conseguenze politiche.
Se guardiamo il mondo dal punto di vista delle importazioni e delle esportazioni, vedremo quanti
paesi dipendono dagli Stati Uniti per almeno il 5-10% del loro Pil,dato che rappresenta un
ammontare tremendo di interdipendenza; non ci sono relazioni economiche bilaterali o multilaterali
che non siano influenzate dagli Stati Uniti, pertanto ognuno cerca di condizionare, anche solo un
po’, il comportamento degli Stati Uniti sia per ottenere dei vantaggi sia per evitare degli svantaggi.
Storicamente, un alto grado di interdipendenza ha portato frizioni nello scenario internazionale, fino
ad arrivare alla guerra e come vedremo, un alto grado di interdipendenza globale, con gli Stati Uniti
al centro, realmente incrementa, piuttosto che diminuisce, il pericolo della guerra. Allo stesso
tempo, è evidente che la resistenza al potere Americano è sostanziale e che le guerre sono state
frequenti fin dal 1991. In assenza di una più grande e devastante guerra, un riallineamento
dell’influenza internazionale basato sull’economia sarà un processo per cui ci vorranno generazioni.
Si dice della Cina che sia la prossima potenza, forse è così, ma l’economia statunitense è tre volte
più grande di quella cinese. La Cina ha dovuto sostenere un tasso di crescita incredibilmente
elevato, per colmare la distanza proprio con gli Stati Uniti.
L’economia Americana, nonostante sia quella che beneficia maggiormente di
prestiti,costantemente condiziona i mercati globali, ed è questo potere di condizionare che è
importante. Certo, chiunque presti denaro agli Stati Uniti, lo ritiene un buon investimento in quanto
il governo gode della giusta credibilità. Ciò che rende gli Stati Uniti un impero è il numero di paesi
su cui incide, l’intensità dell’impatto e la quantità di persone in quei paesi su cui incidono realmente
le decisioni e i processi economici. Gli Stati Uniti, d’altra parte, subiscono essi stessi pressioni e
condizionamenti da altri paesi ma è importante sottolineare che gli Stati Uniti sono al centro della
ragnatela, non nella periferia, e la loro potenza economica viene aumentata dalla loro potenza
militare; in aggiunta si consideri il vantaggio tecnologico ed ecco che risulta la struttura del forte e
profondo potere Americano. Gli Stati Uniti hanno la portata globale di determinare (condizionare) il
corso di molti altri paesi ma a causa del rifiuto di considerare se stessi come un potere imperiale, gli
Stati Uniti non hanno creato una struttura formale e razionale per gestire (maneggiare) il grande
potere che chiaramente hanno. Il fatto poi che gli Stati Uniti abbiano subito dei fallimenti in medio
Oriente, non mina le argomentazioni a favore della tesi che essi siano un impero, poiché i fallimenti
sono pienamente compatibili con la storia degli imperi. Mentre il cuore (centro) del potere
statunitense è economico, quello che c’è dietro tale potere economico è la forza militare.
L’intento dell’esercito Americano è quello di impedire che qualsiasi nazione, che si senta gravata
dall’influenza economica statunitense, possa ricorrere all’uso della forza per riparare alle condizioni
che hanno portato loro degli svantaggi. Le ragioni e le finalità della presenza militare americana
sono diverse. Alcune truppe combattono delle guerre, altre sono impiegate per intercettare e fermare
i traffici di droga,altre per dare supporto e proteggere paesi che ospitano gli Stati Uniti da probabili
attacchi; in alcuni casi le truppe aiutano a sostenere gli Americani impegnati nel governare il paese
direttamente o indirettamente, e in altri casi, infine, le truppe sono presenti semplicemente, senza
controllare nulla. Le truppe stanziate negli Stati Uniti, invece, non sono lì tanto per proteggere la
sicurezza interna quanto per essere disponibili ovunque il Presidente ritenga opportuno distribuirli.
Come si addice ad un impero globale, gli Stati Uniti presentano il loro sistema economico e quello
militare come garanti dell’economia globale. In definitiva, il potere dell’economia Americana e la
distribuzione delle forze militari Americane, rendono l’allineamento con gli Stati Uniti una
necessità per gli altri paesi, ed è questa necessità che lega molti paesi agli Stati Uniti con un vincolo
molto più stretto di quanto potrebbe fare un sistema imperiale formale.
Gli imperi e le conseguenze involontarie del potere accumulato, di solito, vengono riconosciuti
dopo molto tempo che sono emersi, e come nel caso dell’impero romano e di quello britannico,
quelli che celebrano l’impero Americano coesistono con quanti sono atterriti da esso. Gli Stati Uniti
sono ancora al punto in cui rifiutano di vedere l’impero che sono diventati, ma è venuto il tempo
dell’accettazione della realtà di un impero dal potere e l’influenza senza precedenti, anche se si
tratta di un impero informale e non documentato; ma solo allora sarà possibile formulare politiche
che nel prossimo decennio ci permetteranno di gestire il mondo di cui ci troviamo ad essere
responsabili.
Gestire la realtà imperiale
Nel corso degli ultimi vent’anni, Gli Stati Uniti sono stati alle prese con le ripercussioni del fatto di
essere rimasti l’unica grande potenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il compito del Presidente
nel prossimo decennio è quello di cambiare posizione e passare dall’essere semplicemente reattivo
all’avere un metodo sistematico con cui governare il mondo che domina, un metodo che affronta
onestamente le realtà di come il mondo effettivamente opera. Questo vorrebbe dire trasformare
l’impero Americano in un sistema ordinato, una sorta di Pax Americana e non perché il Presidente
sia libero di scegliere ma perché egli precisamente non ha scelta. Portare ordine nell’impero è una
necessità perché, sebbene gli Stati Uniti siano potenti in modo schiacciante, sono però lontani
dall’essere onnipotenti, ed avere un potere unico crea pericoli altrettanto unici.
Il compito del Presidente è di gestire questo tipo di potere in modo da riconoscere tanto i rischi
quanto le opportunità per poi poter minimizzare i rischi e massimizzare i benefici. C’è da dire che le
realtà geopolitiche non danno ai presidenti il lusso di esercitare la virtù nel modo in cui
generalmente la virtù si intende. Due presidenti che hanno cercato di perseguire la virtù in modo
diretto, Jimmy Carter e George W. Bush, hanno fallito in maniera spettacolare. Al contrario, altri
presidenti come Nixon e J. Kennedy, che erano molto più spietati, hanno fallito perché le loro
azioni non erano ne condotte né accompagnate da alcuno scopo prevalentemente morale.
Nel portare ordine all’impero, i presidenti futuri dovrebbero prendere esempio da tre dei nostri
leaders straordinariamente più efficaci, uomini che sono riusciti ad essere assolutamente spietati
nell’eseguire una strategia che è stata tuttavia guidata da principi morali.
Il primo, Abraham Lincoln, ha preservato l’unione e ha abolito la schiavitù avviando un programma
concertato sull’inganno e calpestando le libertà civili. Per mantenere la fedeltà degli stati di
frontiera, non diede mai segno della volontà di abolire la schiavitù, anzi Lincoln dissimulò,
sostenendo che mentre si sarebbe opposto alla diffusione della schiavitù oltre il Sud, non aveva
alcuna intenzione di abolire il diritto ad avere degli schiavi in quegli stati dove tale pratica era già
legale. Ma ciò che ha fatto Lincoln è stato più che prevaricante: sospese l’habeas corpus in tutto il
paese e autorizzò l’arresto dei legislatori pro-secessione del Maryland, adducendo nessun’altra
giustificazione se non quella di dire che se il Maryland e gli altri stai di frontiera avessero sostenuto
la secessione, la guerra sarebbe stata persa e la nazione sarebbe stata smembrata.
Settantacinque anni dopo, nel mezzo di un’altra grave crisi per la nazione, anche Franklin Roosevelt
fece quello che andava fatto mentre mentiva e nascondeva le sue azioni ad un pubblico che non era
ancora pronto a seguire il suo esempio. Sul finire degli anni ’30 il congresso e l’apparato statale
volevano mantenere una stretta neutralità mentre l’Europa si preparava alla guerra. Ma Roosevelt
capì che era in gioco la sopravvivenza stessa della democrazia e così, segretamente, si accordò per
la vendita di armi alla Francia e assunse l’impegno con Churchill di utilizzare le forze della marina
statunitense per proteggere le navi che avrebbero portato le forniture in Inghilterra; questa era
chiaramente una violazione della neutralità. Come Lincoln, anche Roosevelt era mosso da uno
scopo morale, il che voleva dire una visione morale per una strategia globale. Egli infatti era
disgustato dal regime nazista tedesco, ma per preservare gli interessi e le istituzioni Americane
formo un’alleanza con un regime che dal punto di vista morale era depravato quanto quello nazista,
vale a dire l’Unione Sovietica di Stalin. La più grande violazione delle libertà civili fatta da
Roosevelt fu quella di approvare la detenzione e il trasferimento delle persone di etnia giapponese,
senza alcun riguardo verso la loro cittadinanza. Roosevelt non si illudeva su ciò che stava facendo;
violò spietatamente le regole della decenza nel perseguimento di una necessità morale.
Anche Ronald Reagan seguì un percorso spietato verso però uno scopo morale. Il suo obiettivo era
la distruzione di quello che chiamava ‘impero del diavolo’ dell’Unione Sovietica e lo perseguì in
parte dando il via alla corsa agli armamenti; bloccò il supporto Sovietico ai movimenti di
liberazione nazionale nel Terzo Mondo. Invase Grenada nel 1983 e supportò gli insorti nella lotta al
governo marxista in Nicaragua attraverso uno stratagemma per cui coinvolse Israele nella vendita di
armi all’Iran, impegnato nella guerra contro l’Iraq, per poi incanalare gli utili di questa operazione
verso gli insorti in Nicaragua, e bypassando così una legge specifica che vietava proprio questo tipo
di interventi. Si dovrebbe ricordare anche il supporto che Reagan concesse agli jihadisti musulmani
in Afghanistan in lotta contro l’Unione Sovietica. Come nel caso dell’alleanza di Roosevelt con
Stalin, un nemico futuro può essere utile a sconfiggere un nemico attuale. Il decennio che verrà non
sarà tempo di grandi crociate morali, ma sarà invece un’era di processi in cui le realtà fattuali ed
effettive del mondo entreranno a far parte formalmente delle nostre istituzioni. Durante il passato
decennio gli Stati Uniti hanno intrapreso un’appassionata crociata contro il terrorismo.
Nel decennio prossimo invece ci sarà bisogno di meno passione e di adattamenti più meticolosi in
relazioni con paesi come Israele ed Iran. I tempi richiedono anche la creazione di un sistema di
alleanze che includa nazioni come la Polonia e la Turchia le cui relazioni con gli Usa sono cambiate
e si sono ridefinite; è questo il lavoro duro e dettagliato di una strategia imperiale. Il presidente
degli Usa non può illudersi che la realtà di un potere schiacciante venga semplicemente accettato, in
fondo è il capo di un paese forte ma non di tutto il mondo. La pretesa che il potere sia distribuito
uniformemente è utile non tanto agli altri paesi quanto soprattutto agli stessi Stati Uniti. Nel
prossimo decennio la realtà informale dell’impero globale Americano, dovrà cominciare a prendere
una forma coerente, sottolineando che una delle grandi capacità del presidente dovrà essere quella
di gestire prima di tutto le illusioni, come hanno fatto Lincoln, Roosevelt e poi Reagan; in ognuno
di questi casi un presidente forte creò una fabbrica di illusioni che lo rendesse capace di fare ciò che
era necessario senza scatenare un’enorme rivolta nel paese.
Una strategia globale di regioni
Gli Stati Uniti sono principalmente interessati alla sicurezza fisica della nazione e al sistema
economico internazionale. Se guardiamo allo stato attuale dell’economia mondiale, c’è poco del
regime di libero commercio così come le ideologie del libero mercato lo intendono. Si tratta
semplicemente di un sistema internazionale che permette alla vasta economia Americana di
interagire con la maggior parte del mondo, se non addirittura con tutto. Qualunque sia il regime
normativo, gli Stati Uniti hanno bisogno di vendere e comprare, di prendere in prestito e di prestare,
di attrarre investimenti e di investire, e tutto con una portata globale. Un quarto dell’economia del
mondo non può prosperare nell’isolamento, ma neppure le conseguenze dell’interazione possono
essere confinate alla pura economia. L’economia americana è costruita sull’innovazione
organizzativa e tecnologica, fino ad arrivare a quello che l’economista Joseph Schumpeter ha
definito “distruzione creativa” : il processo con il quale l’economia continuamente distrugge e
ricostruisce se stessa, in gran parte attraverso il progredire di tecnologie dirompenti. Quando la
cultura economica americana entra in contatto con gli altri paesi, a questi ultimi che ne vengono
influenzati non viene lasciata che la scelta di adattarsi o di essere sommersi. I computers ad esempio
hanno avuto conseguenze profondamente dirompenti sulla vita culturale in tutto il mondo, e mentre
la cultura Americana è a proprio agio con questo tipo di flussi, altre culture potrebbero non esserlo.
La Cina ha assunto l’onere aggiuntivo di provare ad adattarsi ad un’economia di mercato pur
conservando le istituzioni politiche di uno Stato Comunista. La Germania e la Francia hanno lottato
per limitare l’impatto Americano e isolarsi da quello che chiamano ‘economia AngloSassone”. I
Russi barcollarono di fronte alla prima grande esposizione a questa forza negli anni ’90, cercando di
trovare il loro equilibrio nel decennio seguente. Al cospetto del vortice Americano,l’atteggiamento
del resto del mondo è spesso stato indisponente e di resistenza, a seconda della necessità di trarre
vantaggio dalle conseguenze o di evitarle. Il Presidente Obama ha avvertito questa resistenza ed ha
capitalizzato su di essa; a livello nazionale ha affrontato la necessità americana di essere ammirati e
apprezzati, mentre oltreoceano ha affrontato la necessità per gli Stati Uniti di essere più concilianti e
meno prepotenti.
Sebbene Obama provi ad identificare il problema e a gestirlo, la resistenza al potere imperiale resta
un problema senza soluzioni e questo perché in definitiva il problema deriva non dalla politica
statunitense ma dalla natura intrinseca del potere imperiale. Gli Stati Uniti sono stati in questa
posizione di potere quasi egemonico per soli venti anni. Il primo decennio è stato il momento di una
fantasia stordita secondo cui la fine della guerra fredda significava la fine della guerra stessa. I
primi anni del nuovo secolo sono stati la decade in cui gli Americani hanno scoperto che questo era
ancora un pianeta pericoloso e che un presidente Americano ha condotto uno sforzo disperato per
produrre una risposta ad hoc. Gli anni dal 2011 al 2021 saranno la decade in cui gli Stati Uniti
iniziano ad imparare come gestire l’ostilità del mondo. Il presidente nei prossimi dieci anni dovrà
elaborare una strategia che riconosce che le minacce riemerse dieci anni fa non erano
un’aberrazione. Al Qaeda e il terrorismo sono solo una delle minacce e nemmeno la più seria che
gli Stati Uniti abbiano affrontato. Il presidente può e dovrebbe parlare di una previsione di un’era in
cui tali minacce non esistono, ma non deve credere alla sua propria retorica. Al contrario, deve
gradualmente liberare il paese dall’idea che le minacce al potere imperiale non si placheranno mai,
e poi deve condurlo alla comprensione che queste minacce sono il prezzo che gli Americani pagano
per il benessere ed il potere che posseggono.
Non affrontando alcun rivale per l’egemonia globale, il presidente deve pensare al mondo in termini
di regioni distinte e creare equilibri regionali di potere insieme a coalizioni, partnership e piani
d’emergenza per l’intervento. Lo scopo strategico deve essere quello di prevenire l’emergere di
qualsiasi potere che possa sfidare gli Stati Uniti in ogni singolo angolo del mondo. Il tempo in cui
tutto ruotava intorno ad una o poche minacce globali è finito. L’equilibrio di potere in Europa non è
intimamente connesso con quello in Asia ed è distinto dall’equilibrio di potere che mantiene la pace
in America Latina; quindi anche se il mondo non è più pericoloso per gli Usa come nella seconda
guerra mondiale o nella guerra fredda, è però molto più complicato. L a politica estera americana ha
già adottato una frammentazione regionale come si può vedere, ad esempio, nell’organizzazione
delle forze militari. Ora è necessario riconoscere apertamente la stessa frammentazione nel nostro
pensiero strategico e affrontarla di conseguenza. Dobbiamo riconoscere che non c’è alcuna alleanza
che sostenga gli Stati Uniti e che non ci sono relazioni storiche speciali con nessuno. Questo vuol
dire che ad esempio la NATO non ha più senso solo fuori dal contesto Europeo e che l’Europa non
deve essere vista come più importante di qualsiasi altra parte del mondo; la semplice verità oggi è
che l’Europa non è più tanto importante. Nonostante ciò, il presidente Obama ha condotto una
campagna concentrata sugli Europei. I suoi viaggi prima delle elezioni del 2008 hanno mostrato che
quello che egli intendeva per multilateralismo era rinviare gli Stati Uniti all’Europa, consultare
l’Europa sulle azioni statunitensi all’estero e accettare le avvertenze (cautions) dell’Europa. Gli atti
intrapresi da Obama in tal senso hanno avuto successo; gli Europei erano follemente entusiasti e
molti americani sono stati lieti di essere apprezzati ancora una volta. Certo, l’entusiasmo si è
dissipato rapidamente quando gli Europei hanno scoperto che Obama era un presidente Americano
dopotutto, e come tale perseguiva .obiettivi e i fini americani.
Tutto questo ci porta alla sfida che deve affrontare il presidente nei prossimi dieci anni:
condurre una politica estera spietata e non basata sul sentimentalismo proprio in una nazione che
nutre ancora irragionevoli fantasie di essere amata e apprezzata, o quantomeno di essere lasciata in
pace (essere lasciata sola); pertanto il presidente deve puntare al sentimentalismo dei cittadini e del
paese mentre, in realtà, manovra (muove) la politica al di là di quel sentimentalismo.
Una politica estera priva di sentimentalismo vuol dire che nel decennio che verrà il presidente deve
identificare con occhi freddi e lucidi i nemici più pericolosi e creare coalizioni per gestirli.
Questo approccio non sentimentale significa liberarsi dell’intero sistema di alleanze e istituzioni
della Guerra Fredda, incluse la NATO, il Fondo Monetario Internazionale e le Nazioni Unite.
Questi relitti della Guerra Fredda non sono sufficientemente flessibili per trattare con le diversità
del mondo di oggi, un mondo che ha ridefinito se stesso nel 1991 e che ha reso le vecchie istituzioni
obsolete. Alcune di esse possono continuare ad avere valore ma solo nel contesto di nuove
istituzioni che devono emergere.
Questo bisogno di essere ‘regionali’ è utile agli interessi strategici degli Stati Uniti per tre principi:
1. Per consentire l'equilibrio di potere nel mondo e in ogni regione;
per consumare energie e deviare possibili minacce dagli Stati Uniti.
2. Per creare alleanze in cui gli Stati Uniti possono portare gli altri paesi a sopportare
(condividere) un peso maggiore degli scontri e dei conflitti, supportando questi paesi con
benefici economici, tecnologie militari e promesse di intervento militare se richiesto.
3. Per usare l’intervento militare solo come ultima risorsa, quando l’equilibrio di potere crolla
e gli alleati non possono più far fronte al problema.
Al culmine dell’Impero Britannico, Lord Palmerston disse: “Non abbiamo alleati eterni e non
abbiamo nemici perpetui. I nostri interessi sono eterni e perpetui e sono quegli interessi che è nostro
dovere seguire.” Questo è il tipo di politica che il presidente avrebbe bisogno di istituzionalizzare
nel prossimo decennio. Riconoscendo che gli Stati Uniti genereranno risentimento e ostilità, egli
non deve nutrire l’illusione di poter semplicemente persuadere le altre nazioni a pensare meglio
degli Americani senza dover rinunciare a degli interessi che sono essenziali per gli Sati Uniti;
deve provare a sedurre queste nazioni il più possibile con luccicanti promesse, ma alla fine deve
accettare che tale sforzo di seduzione finirà per fallire.
Dove il presidente non può fallire è nella sua responsabilità di guidare gli Sati Uniti in un mondo
ostile.
Capitolo 2
Repubblica, Impero e il Presidente Machiavelliano.
La più grande sfida per la gestione di un impero nel prossimo decennio sarà la stessa sfida che
affrontò Roma: diventato un impero, come può la repubblica essere preservata? I fondatori degli
Stati Uniti erano anti-imperialisti di convinzioni morali. Essi impegnarono le loro vite, le loro
fortune, sacrificarono l’onore per difendere l’Impero Britannico e fondarono una repubblica basata
sui principi dell’autodeterminazione nazionale e dei diritti naturali. Una relazione imperiale con gli
altri paesi, intenzionalmente o meno, pose una sfida a quei principi fondazionali. Se credete che i
principi universali abbiano significato, ne consegue che una repubblica anti-imperiale non può
essere un impero e conserva il suo carattere morale. Questo è stato un dibattito fatto negli Stati Uniti
nel lontano 1840 e durante la guerra Messicano-Americana. Oggi entrambi gli estremi dello spettro
politico creano il dibattito contro le imprese all’estero. A sinistra, c’è una lunga tradizione di anti-
imperialismo. Ma se guardate ad alcune retoriche emanate dalla destra, dai libertari così come
alcuni nel Tea Party, potete osservare la stessa opposizione al coinvolgimento militare negli altri
paesi. La paura è legata all’avviso di Dwight Eisenhower di fare attenzione al “complesso militare-
industriale”. Se una carriera militare ufficiale e un eroe di guerra come Ike potessero esprimere
questa paura, potete notare come essa è profondamente incorporata nella cultura politica
Americana. Sospetto che questo diventerà un potente segno nella politica Americana nei prossimi
dieci anni, in un paese dove, attraverso lo spettro politico, la cittadinanza è stanca della
partecipazione straniera. Il timore dell’ambizione imperiale è completamente giustificato. La
Repubblica Romana era sopraffatta dall’impero. L’Impero creò un’ambizione per il denaro e il
potere che devastò le virtù repubblicane che erano il più grande orgoglio dei cittadini romani.
Anche se questo orgoglio non era pienamente giustificato, non c’è dubbio che la Repubblica fu
distrutta non solo dalle rivalità militari che hanno portato a un colpo di stato ma dalle ingenti
somme di denaro che scorrevano nella capitale imperiale dai cittadini agli stranieri cercando di
acquistare favore. Lo stesso pericolo esiste negli Stati Uniti. Il potere globale Americano genera
costanti minacce e sempre più tentazioni. E’ stato osservato che dalla seconda guerra mondiale, gli
Stati Uniti hanno creato un apparato di sicurezza nazionale così avvolto nel segreto d’ufficio che
non può essere facilmente controllato e tantomeno capito. Questo apparato estremamente costoso e
ingombrante, insieme alle grandi quantità di attività di politica economica (dall’immenso
commercio agli investimenti stranieri che guidano i mercati globali) crea un sistema che non è
prontamente gestito da istituzioni democratiche e non è sempre facilmente conciliabile con i
principi morali Americani. Non è inimmaginabile che insieme queste forze possano rendere la
democrazia Americana senza senso. Il problema è che come Roma ai tempi di Cesare, gli Stati Uniti
hanno raggiunto un punto dove non hanno possibilità di scegliere se avere un impero o no. La
vastità dell’economia Americana, il suo intreccio coi paesi del mondo, il potere e la presenza
universale dei militari americani, sono in effetti di portata imperiale. Districare gli Stati Uniti da
questo sistema globale è quasi impossibile, inoltre provare a farlo significherebbe destabilizzare non
solo l’economia Americana ma anche il sistema globale. Quando il prezzo dell’anti-imperialismo è
stato compreso, per esso il sostegno sarà scarso. Invece, molti paesi stranieri sono meno contrari
alla presenza Americana rispetto a quanto lo siano, per il modo in cui tale presenza è sentita. Essi
accettano il potere americano; vogliono semplicemente servirsene per i loro interessi nazionali. I
pericoli del potere imperiale sono sostanziali, e questi pericoli diventeranno questioni sempre più
controverse nella politica Americana, così come sono già oggetti di accesi dibattiti in tutto il
mondo. In retrospettiva, il non-interventismo della repubblica creato dai fondatori affonda le sue
radici nel fatto che la repubblica era debole, non perché fosse virtuosa. Gli Stati Uniti di tredici ex
colonie non potevano impegnarsi in coinvolgimenti stranieri senza essere schiacciati. Gli Stati uniti
di 300 milioni di persone non possono evitare coinvolgimenti stranieri. Gestire un impero non
intenzionale mantenendo le virtù della repubblica sarà una importante priorità degli Stati Uniti per
molto tempo, ma certamente, sulla scia delle guerre della jihad, sarà una sfida particolarmente
intensa. La maggior parte della discussione sarà un pio desiderio. Non si può tornare indietro, e non
ci sono soluzioni chiare. Il paradosso è che la migliore possibilità del mantenimento della
repubblica non è di carattere istituzionale ma personale, e dipenderà da una definizione di virtù che
viola la nostra comune nozione di ciò che si intende per virtù. Non guardo al balance of power per
salvare una repubblica, ma all’astuzia e alla saggezza del presidente. Il presidente sicuramente ha a
disposizione una vasta burocrazia che controlla, e che controlla lui, ma alla fine sono i Lincoln, i
Roosevelt e i Reagan che ricordiamo, non i burocrati o i senatori o i giudici. La ragione è semplice.
E’ con il potere che i presidenti esercitano la leadership. Questa leadership può essere decisiva, nel
contesto di un decennio o meno. Le personalità individuali sembrerebbero essere una canna sottile
su cui basare il futuro di un paese. Allo stesso tempo, i fondatori crearono l’ufficio del presidente
per una ragione, e al cuore di quella ragione c’era la leadership. La presidenza è unica proprio per
questo, è la sola struttura in cui un’istituzione e un individuo sono identici. Congresso e Corte
Suprema sono aggregazioni di persone che raramente parlano con una singole voce. La presidenza è
caratterizzata solo dal presidente, l’unico eletto ufficialmente dai rappresentanti del popolo. Questo
perché abbiamo bisogno di considerarlo come l’agente principale per la gestione della relazione tra
l’impero e la repubblica. Cominciamo col considerare il ruolo del presidente in generale. I
presidenti differiscono da molte altre persone in quanto, per definizione, trovano piacere nel potere.
Essi pongono la loro acquisizione e il loro impiego prima di ogni altra cosa, e dedicano buona parte
delle loro vite al raggiungimento di ciò. La conoscenza di un presidente e gli istinti sono così
finemente levigati verso il potere che riesce a capirlo in un modo in cui coloro che non lo hanno mai
avuto veramente non possono apprezzare. Il peggior presidente è più vicino per natura al migliore,
rispetto agli altri che non hanno i requisiti per fare il presidente. Il grado e la portata del potere che i
moderni presidenti Americani ottengono permette loro di vedere il mondo in maniera diversa, anche
in confronto ad altri capi di stato. Nessun altro leader deve confrontarsi con tanta parte del mondo in
così differenti modi. Nella nostra democrazia, il presidente deve ottenere questa posizione fingendo
di essere indistinguibile dai suoi concittadini, un pensiero sia impossibile da immaginare sia
spaventoso se reale. Il pericolo è che lì dove la sfida dell’impero diventa maggiore e le potenziali
minacce sempre più reali, i leader che emergeranno avranno bisogno di un alto grado di potere che
va al di là dei vincoli della Costituzione. E’ sia fortunato che ironico il fatto che, nel creare un
governo anti-imperialista, i fondatori avevano previsto una possibile tabella di marcia per una
leadership imperiale con vincoli repubblicani. Essi crearono la presidenza Americana come
alternativa sia alla dittatura che all’aristocrazia, un esecutivo debole in casa ma immensamente
potente al di fuori degli Stati Uniti. Negli affari interni, la Costituzione prevede un esecutivo
circondato da un Congresso intrinsecamente ingestibile e da una Corte Suprema che è piuttosto
impenetrabile. L’economia è nelle mani di investitori, manager e consumatori, nonché in quelle
della Federal Reserve Bank (il tutto non previsto dalla Costituzione, ma sicuramente dalla
legislazione e dalla consuetudine). Gli Stati detengono il potere sostanziale, e gran parte della
società civile—religione, stampa, cultura pop, arti—va oltre il controllo del presidente. Questo è
esattamente ciò che volevano i fondatori: qualcuno che presiedesse il paese non che dominasse.
Ancora quando gli Stati Uniti affrontano il mondo attraverso la politica estera, non c’è più potere
individuale che dell’inquilino della Casa Bianca. L’Articolo 2, Sezione 2 della Costituzione
afferma: “ Il Presidente deve essere Comandante a Capo dell’ Esercito e della Marina degli Stati
Uniti, e della Milizia di alcuni Stati, quando è chiamato nell’effettivo Servizio degli Stati Uniti.”
Questo è il solo potere dato al presidente che non è condiviso con il Congresso. Trattati,
appuntamenti, bilancio e l’attuale dichiarazione di guerra richiedono l’approvazione del congresso,
ma il comando dell’esercito è solo del presidente. Eppure nel corso degli anni, i limiti costituzionali
che frenavano le prerogative diplomatiche dei presidenti precedenti sono cadute nel dimenticatoio. I
trattati richiedono l’approvazione del senato, ma oggi i trattati sono rari e la politica estera è
condotta attraverso accordi e intese, molti conclusi in segreto. Così la condotta della politica estera
nel suo complesso è effettivamente nelle mani del presidente. Allo stesso modo, mentre il
Congresso ha dichiarato guerra solo cinque volte, il presidente ha inviato le forze U.S. in vari
conflitti nel mondo molte più volte rispetto al Congresso. La realtà del regime Americano nel
secondo decennio del ventunesimo secolo è che il potere del presidente sulla scena mondiale è quasi
al di là di pesi e contrappesi, limitato solo dalla sua competenza nell’esercizio di tale potere.
Quando il presidente Clinton decise di bombardare la Jugoslavia nel 1999 e quando il presidente
Reagan decise di invadere Grenada nel 1983, il Congresso non poteva fermarli come avrebbe
voluto. I presidenti Americani imposero sanzioni e forme di relazioni economiche in tutto il mondo.
In pratica, questo significa che un presidente americano ha il potere di devastare un paese che lo
infastidisce oppure di premiare un paese che favorisce. La legislazione sui poteri della guerra è stata
superata, ma molti presidenti hanno sostenuto di avere il diritto ad essere comandanti nella
conduzione di una guerra. In pratica, hanno portato il Congresso a sostenere le loro politiche.
Questo è difficile da cambiare nel prossimo decennio. Nella conduzione della politica estera, il
presidente americano si avvicina sempre di più al principe di Machiavelli, e non c’è da sorprendersi
se consideriamo che i fondatori erano studenti di filosofia politica moderna il cui creatore fu
Machiavelli. Così come dobbiamo riconoscere l’esistenza dell’impero americano, dobbiamo
altrettanto riconoscere il valore della sua comprensione e il consiglio per la nostra situazione. La
preoccupazione principale del presidente è la politica estera e l’esercizio del suo potere: tutto questo
si conforma all’insegnamento di Machiavelli. Un principe, non deve avere nessun altro obiettivo o
pensiero, non deve agire secondo la sua arte, ma secondo la guerra, le sue intuizioni e la sua
disciplina; perché questa è la sola arte che si addice a uno che comanda. Questa disciplina è solida
da sostenere non solo per coloro nati principi, ma consente anche agli uomini normali in molte
occasioni di salire di rango e diventare principi. D’altro canto, è evidente che quando i principi
hanno dato maggiore importanza alle loro arti raffinate rispetto a quelle militari hanno perso il loro
stato. La ragione più importante di ciò è che hanno trascurato quest’arte, mentre il modo per
acquisirla è essere esperti di essa. La fondamentale distinzione nella politica estera degli Stati Uniti,
e nell’esercizio del potere del presidente — distinzione discussa da Machiavelli — sta tra il
realismo e l’idealismo, una distinzione radicata nella tradizione della politica estera degli Stati
Uniti. Gli Stati Uniti sono stati fondati sul principio dell’autodeterminazione dei popoli, che
presuppone la scelta democratica per la selezione dl proprio leader, principio sostenuto nella
Costituzione. Esso era anche basato sui principi della libertà umana, sancito anche nel Bill of
Rights. Sembrerebbe che l’imperialismo voglia minare il principio di autodeterminazione, sia in
maniera formale che informale. Inoltre, la condotta della politica estera sostiene i regimi che sono di
interesse nazionale ma che non praticano o ammirano i principi dei diritti umani americani.
Conciliare la politica estera americana con i principi americani è difficile, e rappresenta una
minaccia alle basi morali del regime. La posizione idealista sostiene che gli Stati Uniti devono agire
in base ai principi morali che derivano dalle intenzioni dichiarate elegantemente dai fondatori. Gli
Usa hanno concepito questo come un progetto morale derivante dagli ideali dell’Illuminismo di
John Locke e altri, e lo scopo della politica estera americana dovrebbe essere quello di applicare
questi principi morali alle azioni dell’America, e in particolare, ai suoi fini. In base a questo, gli Usa
dovrebbero sostenere solo quei regimi che abbracciano i valori americani, e opporsi a quei regimi
che si oppongono ai loro valori. La scuola realista afferma che gli Usa sono una nazione come
un’altra, e che come tale deve proteggere i suoi interessi nazionali. Questi interessi includono la
sicurezza degli Usa, la ricerca del suo vantaggio economico, e il sostegno per i regimi utili al
raggiungimento di questi fini, senza riguardo per quei regimi di natura morale. Secondo questa
teoria, la politica estera americana dovrebbe essere né più e né meno morale rispetto alla politica di
nessuna altra nazione. Gli idealisti sostengono che negare univocamente l’imperativo morale
dell’America non solo tradisce gli ideali americani ma tradisce anche l’intera visione della storia
americana. Il realismo sostiene che noi viviamo in un mondo pericoloso e che concentrandoci sugli
scopi morali distoglieremo l’attenzione dalla ricerca dei nostri interessi autentici, in tal modo
danneggeremo la vera esistenza della repubblica che è la realizzazione degli ideali americani.
Questo è importante per tenere a mente che l’idealismo come base per la politica americana
trascende dalle ideologie. La variante dell’ala sinistra è costruita intorno ai diritti umani e alla
prevenzione della guerra. La versione dell’ala destra è costruita intorno al desiderio
neoconservatore di diffondere i valori e la democrazia americana. Quello che queste due visioni
hanno in comune è l’idea che la politica estera americana dovrebbe essere principalmente
focalizzata sui principi morali. Dal mio punto di vista, il dibattito tra idealismo e realismo travisa
fondamentalmente il problema, e questo travisare giocherà un ruolo critico nel prossimo decennio.
O sarà risolto oppure lo squilibrio all’interno della politica estera americana diventerà ancora più
evidente. La discussione idealista affonda le radici su un dibattito precedente tra il diritto
dell’autodeterminazione nazionale e i diritti umani. La rivoluzione americana avvenne su entrambi i
principi, ma adesso, più di due secoli dopo, cosa fareste quando un paese come la Germania
determina attraverso processi costituzionali l’abrogazione dei diritti umani? Chi ha la precedenza, il
diritto all’auto determinazione nazionale o i diritti umani? Cosa fare con quei regimi che non
tengono elezioni come negli USA ma che chiaramente incarnano la volontà del popolo basata su
una lunga consuetudine? L’ Arabia Saudita è il primo esempio. Coma possono gli Stati Uniti
sposare il multiculturalismo e poi chiedere che altre persone selezionino i loro leader cosi come
fanno in Iowa? La posizione realista è allo stesso modo contraddittoria. Essa presuppone che
l’interesse nazionale di un impero del ventunesimo secolo sia ovvio come quello di una piccola
repubblica del diciottesimo secolo attaccata alla costa orientale del Nord America. Piccole, deboli
nazioni hanno chiare le definizioni dell’interesse nazionale – che è principale per sopravvivere con
quanta più sicurezza e prosperità possibile. Ma per un paese prosperoso e sicuro come gli Usa -- e
con un regno imperiale senza precedenti – la definizione dell’interesse nazionale è molto più
complicata. La teoria realista presuppone che vi sia meno spazio per la scelta a breve termine di
quanto ci sia e che il pericolo sia altrettanto grande. Il concetto di realismo non può essere
sostenuto come una proposizione astratta: chi vuole essere non realistico? Giungere a una
definizione precisa che indichi in cosa consiste la realtà, è una questione ancora più complessa. Nel
sedicesimo secolo, Machiavelli scriveva: “ Le basi principali di ogni stato, dei nuovi stati così come
dei vecchi e di quelli misti, sono buone leggi e buone armi. Non puoi avere buone leggi senza buone
armi, e quando ci sono buone armi seguono inevitabilmente buone leggi.” Questa è la miglior
definizione del realismo che i realisti ci hanno dato. Credo che il dibattito tra realisti e idealisti sia
infatti un’ingenua lettura del mondo che ha avuto molta importanza nel decennio recente. Ideali e
realtà sono i diversi lati della stessa medaglia: il potere. Il potere fine a sé stesso è una mostruosità
che non realizza nulla di duraturo e inevitabilmente deformerà il regime americano. Gli ideali senza
potere sono semplici parole – riescono a prendere vita solo se rafforzate dalla capacità di azione. La
realtà è capire come esercitare il potere, ma essa da sola, non vi guida verso i fini per il quale il
potere dovrebbe essere usato. Allo stesso modo l’idealismo è spesso un termine che indica auto-
giustizia, e un male che può essere corretto solo da una profonda comprensione del potere nel suo
senso completo, mentre il realismo distaccato dal principio non è altro che incompetenza
mascherata da “pensiero”. Realismo e idealismo non sono alternativi ma necessariamente
complementari. Nessuno può servire da principio per la politica estera da solo. Idealismo e realismo
si risolvono in contesti di potere, e i contesti di potere si trasformano in guerra. Per citare
nuovamente Machiavelli. “ La guerra dovrebbe essere il solo studio del principe. Lui dovrebbe
considerare la pace solo come una pausa, che gli dà il tempo di escogitare, e pianificare i piani
militari.” Nel ventesimo secolo, gli Usa hanno speso il 17% del tempo in guerre, si tratta di grandi
guerre e non di piccoli interventi, che hanno coinvolto centinai e migliaia di uomini. Nel
ventunesimo secolo hanno speso quasi il 100% in guerre. I fondatori hanno fatto del presidente il
comandante per una ragione: loro hanno letto Machiavelli attentamente e hanno capito che, come
lui scrive, “ Non bisogna evitare la guerra; essa può essere solo rinviata a causa della superiorità
degli altri.” La più grande virtù che un presidente può avere è capire il potere. I presidenti non sono
filosofi, perché l’esercizio del potere è un’arte concreta e non astratta. Per cercare di essere virtuoso,
porterà il dolore non solo il presidente ma anche tutto il paese. Durante la guerra, esercitare il potere
significa che sconfiggere il nemico velocemente e completamente è di gran lunga meglio che
estendere la guerra a causa di scrupoli o perderla a causa di sentimenti. Quindi per questo motivo, la
virtù convenzionale, quella che noi tendiamo a identificare con una brava persona, per un presidente
è inaccettabile. Come Machiavelli afferma: “ Un uomo che vuole agire virtuosamente in ogni
situazione, parla necessariamente di dolore tra i tanti che non sono virtuosi.” Machiavelli introduce
una nuova definizione di virtù, che invece di personale bontà consiste nell’ essere astuti. Per i
principi, la virtù è l’abilità di sopraffare la sorte. Il mondo è quello che è, e come tale, è
imprevedibile e volubile, e il principe deve usare i suoi poteri per sopraffare le sorprese che il
mondo gli presenterà. Il suo compito è quello di proteggere la repubblica in un mondo pieno di
gente che non è virtuosa in nessun senso convenzionale. I presidenti possono funzionare per
l’ufficio su piattaforme ideologiche e promettere politiche, ma la loro presidenza è attualmente
definita dall’incontro tra sorte e virtu’, tra l’improbabile e l’inaspettato e la loro reazione. Il lavoro
del presidente è anticipare ciò che succederà, minimizzare l’imprevedibilità, quindi reagire
all’inaspettato con astuzia e potere. Dal punto di vista di Machiavelli, l’ideologia è futile, mentre il
carattere è tutto. La virtu’ del presidente, il suo intuito, la sua rapidità di ragionamento, la sua
astuzia, la sua spietatezza, e il suo modo di affrontare le conseguenze sono ciò che importa. In
ultimo, la sua eredità sarà determinata da suoi istinti, che riflettono il suo carattere. I grandi
presidenti non dimenticano mai i principi della repubblica, cercano di preservarla e espanderla
senza minare le necessità del momento. I cattivi presidenti semplicemente fanno ciò che è
conveniente, non tenendo conto dei principi. Ma i peggiori presidenti sono coloro che aderiscono ai
principi senza aver riguardo di ciò che la sorte del momento chiede. Gli Usa non possono
comportarsi allo stesso modo in tutto il mondo evitando nazioni con valori diversi e nazioni con
regimi brutali, facendo esclusivamente nobili azioni. La ricerca dei fini morali richiede un patto col
diavolo. Ho cominciato questo capitolo parlando della tensione tra repubblica e impero americano
nel decennio successivo. Qualunque scrupolo morale potremmo avere essendo un impero, questo è
il ruolo che la storia ci ha dato. Se il pericolo di diventare un impero è quello di perdere la
repubblica, certamente la visione della polita estera del realista ci avrebbe portato li, se non
intenzionalmente, semplicemente attraverso l’indifferenza ai problemi morali. Allo stesso tempo,
gli idealisti, avrebbero portato la repubblica verso il basso mettendo in pericolo la nazione, non
attraverso l’intenzione ma attraverso l’ostilità o l’ indifferenza al potere. Certamente, la caduta
della repubblica non si verificherà nel prossimo decennio. Ma le decisioni prese durante il prossimo
decennio influiranno profondamente nel lungo termine. Oltre il prossimo decennio, il presidente
non avrà il lusso di ignorare gli ideali o la realtà. Invece deve scegliere la scomoda sintesi dei due
che Machiavelli raccomandava. Il presidente deve focalizzarsi non solo sull’accumulazione e l’uso
del potere ma anche su i suoi limiti. Un buon regime basato sul potere e da leader che capiscono la
virtu’ sia del regime che del potere è ciò che è richiesto. Questo non è un pacchetto ideologico
chiaro che spieghi e riduca tutto a formule semplicistiche. Invece, si tratta di un atteggiamento
esistenziale che attraverso la politica afferma le verità morali senza esserne schiavo. Nel prevenire
l’impero non intenzionale dalla distruzione della repubblica, il fattore critico non sarà il balance of
power tra i rami del governo, ancora disposti a esercitare il potere in proprio. Per questo, il
presidente deve cogliere l’insufficienza sia delle posizioni idealiste che di quelle realiste. Gli
idealisti, sia dai gusti neoconservatori che da quelli liberali, non capiscono che è necessario
impadronirsi della natura del potere allo scopo di agire secondo principi morali. I realisti non
capiscono la futilità del potere senza un cuore morale. Machiavelli scrive che: “ Colui che adatta la
sua politica a tempi rosei, sarà anche colui che vedrà scontrare le sua politica con le esigenze del
momento.” La moralità in politica estera potrebbe essere eterna, ma deve anche essere applicata ai
momenti. Applicarla nel prossimo decennio sarà particolarmente difficile, così come il prossimo
decennio pone la sfida per un impero involontario.
Cap. 3 del libro
“The financial crisis and the resurgent state”.
-L’Amministrazione Americana di George W. Bush promosse una politica economica di sostegno
alle famiglie che non possedevano la prima casa.
Obiettivo: aumentare la percentuale di proprietari di case e diminuire quella degli affittuari (rent).
Causa primaria: vengono concessi mutui a tasso variabile anche alle famiglie a basso reddito che
hanno maggiori difficoltà ad onorare il pagamento delle rate (mutui subprime: subprime
mortgages).
La percentuale di persone che acquistavano un appartamento aumentò considerevolmente e ciò
comportò un aumento del prezzo delle case sia nominale sia aggiustato tenendo conto
dell’inflazione.
Inoltre lo Stato interferì con questo ciclo introducendo moneta a basso costo (cheap money) al fine
di evitare il crash e la recessione. I tassi d’interesse si abbassarono.
Per i prestatori/creditori (lenders) i mutui subprime non apparivano rischiosi, soprattutto perché
potevano facilmente venderli ad investitori secondari. Tale operazione è detta <<bundles>>.
D’altra parte si affermava sempre più la convinzione che l’investimento nel mattone fosse
conveniente e sicuro e, in caso di difficoltà, si sarebbe potuto vendere l’immobile recuperando i
capitali.
Creazione della bolla finanziaria (bubble).
Scoppio della bolla: gli investitori più aggressivi, protagonisti del <<bundles>> e le banche
d’investimento, tra cui Bear Stearns e Lehman Brothers, avevano sempre più difficoltà a rilevare
capitali. D’altra parte i pagamenti dei prestiti erano dovuti, ma il valore degli assets principali era
così oscuro che nessuno li avrebbe acquistati, o anche rifinanziati.
La crisi si espande in tutto il globo: poiché molte persone che avevano fatto questi investimenti, che
si credeva fossero sicuri, inclusi i titoli emessi dalle banche, erano residenti in altri paesi, l’intero
sistema economico globale è crollato.
Effetti importanti della crisi si sono verificati in Europa orientale (Polonia, Ungheria, Romania,
ecc.). Anche qui le famiglie, che non potevano permettersi una casa, l’avevano comprata. Le banche
austriache e italiane, finanziate con capitali europei e arabi, avevano voluto concedere mutui, ma i
tassi d’interesse in Europa orientale erano alti. Così le banche offrirono questi nuovi prestiti a tassi
molto più bassi, ma emessi solo in euro, franchi svizzeri ed anche yen. I proprietari di case
(houseowners) non pagavano in queste valute ma nelle valute locali (zlotys e forints). Nel cambio
monetario se gli zlotis o forints ad es. salivano rispetto ai franchi svizzeri, non c’erano problemi.
Viceversa se lo zlotis si svalutava rispetto al franco svizzero, ci volevano più soldi per pagare le rate
dei mutui in franchi o euro. Ogni mese perciò sempre più cittadini dell’Europa orientale
acquistavano euro e altre valute (currencies).
Con lo scoppio della crisi le valute dell’Europa orientale sprofondarono. I proprietari di
case non potevano più onorare le rate dei mutui e fallivano.
USA: mutui subprime Europa: speculazione sul mercato valutario.
Nell’ultima parte del capitolo si discute dell’importanza della percezione di ricchezza da parte della
popolazione in una crisi economica e del suo impatto politico.
Roosevelt nella crisi del ’29 intervenne riducendo il potere delle élites finanziarie del paese
rafforzando il potere d’intervento dello Stato. Il contrario si verificò con Reagan, che indebolì lo
Stato per rafforzare il mercato.
In una crisi economica bisogna innanzitutto capire quale élite è principalmente responsabile del
declino.
Critica a Bush: Critica a Obama:
ha perso il controllo della guerra in Iraq ed è ha creato aspettative che non poteva soddisfare,
stato travolto dalla crisi economica . ed ha poi fallito nel creare l’illusione di poterle
realizzare.
-Il problema non è morale o filosofico ma semplicemente pratico. Secondo l’autore, è molto
importante il ruolo del Presidente negli USA, che deve dare l’impressione di avere un piano di
risoluzione della crisi, anche se in realtà non ce l’ha.
Capitolo 4
Finding the balance of power
Gli USA hanno sempre seguito la classica strategia di impero nella gestione geopolitica della
penisola araba, in particolare con le due potenze regionali, Iraq e Iran, che hanno da sempre
costituito una seria minaccia ai loro interessi legati al flusso di petrolio nella regione.
Tale strategia comportava rischi limitati per gli USA (e conseguentemente modesto sostegno da
parte degli altri stati regionali), e concerneva nell’indurre i due Stati a competere l’uno contro l’altro
per neutralizzare il potere di ciascuno, ottenendo un bilanciamento degli equilibri di potere nella
regione senza la necessità di procedere ad un’occupazione dei territori. Ciò è accaduto nei conflitti
precedenti alla caduta dello shah nel ’79, nella guerra tra l’Iraq sunnita di Saddam Hussein e l’Iran
sciita negli anni ’80, nell’invasione del Kuwait da parte di Saddam.
L’obiettivo a lungo termine di Osama Bin Laden invece è stato quello di ridefinire la realtà
geopolitica del Medio oriente e dell’Asia Meridionale, più concretamente di ripristinare l’istituzione
del califfato e il ruolo centrale dell’Islam come elemento di unità geopolitica religiosa. A tal fine
egli ipotizzava delle rivoluzioni per sostituire i vari governi regionali con dei regimi islamici che
condividessero la sua visione e i suoi valori, ma per rendere ciò possibile avrebbe dovuto dimostrare
alle masse musulmane la reale debolezza dei loro governi. L’apparente potere militare ed
economico di Pakistan, Arabia Saudita ed Egitto derivava infatti dalla relazione di questi con la
potenza cristiana leader, gli Stati Uniti.
Quindi, gli attacchi dell’11 settembre 2001 vanno letti nell’ottica di dimostrare la vulnerabilità
finanche degli Stati Uniti d’America.
Tali attentati hanno fatto nascere nella popolazione americana un pervasivo e profondo senso di
paura e disagio, sentimento a cui il governo doveva quanto prima rispondere con un'azione decisiva,
rivolta proprio alla distruzione di Al Qaeda e di altri gruppi jihadisti, sia al fine di proteggere la
Nazione da altri possibili attacchi, sia per scongiurare il potenziale successo politico di Al Qaeda
nella regione mediorientale.
L’Afghanistan, in quanto scelta da Al Qaeda come base operazionale temporanea, fu teatro dal 7
ottobre 2001 di una guerra civile tra gruppi afghani dell'Alleanza del Nord (un gruppo di
organizzazioni anti-talebane guidato dai russi), sostenuti dalla CIA e dalle forze aeree americane
(oltre che dalla NATO), e talebani. Questi ultimi non sono mai stati sconfitti in realtà, ma
l'amministrazione Bush ha comunque raggiunto gli obiettivi prefissati.
Il successivo attacco all'Iraq nel 2003 fu ritenuto strumentale alla continuazione della strategia
americana: essa comprendeva costringere i sauditi e pakistani ad essere più decisi nella raccolta e
nella condivisione di intelligence, e conquistare il controllo dello Stato più centrale e strategico
nella regione.
Tuttavia il controllo dell’Iraq violava il principio strategico che gli Stati Uniti non dovevano
diventare un giocatore permanente in nessuna regione. L'obiettivo finale non fu più la realizzazione
di una nuova realtà geopolitica strategica, ma l’istituzione di un governo neutrale e il ritiro delle
forze Usa entro un lasso di tempo ragionevole. Inoltre l’imperativo morale di condurre una guerra al
terrore fu subordinato ad un altro (la creazione di un Iraq democratico) affatto condiviso
dall’opinione pubblica americana, con il risultato per l’amministrazione Bush di perdere credibilità
e fiducia.
In pratica gli Stati Uniti non potevano ritirarsi dall'Iraq fino a quando non avessero creato un
governo di Baghdad abbastanza forte per non lasciare l'Iran come unica forza dominante nella
regione, e ristabilire così l'equilibrio geopolitico regionale iniziale. Tra le difficoltà nel governare
l’Iraq ribelle e l’impossibilità di affidare il potere ad un governo in cui vi erano infiltrati agenti
iraniani e simpatizzanti, gli Stati Uniti hanno preso in considerazione un attacco per rovesciare il
regime del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, un’impresa simile a quelle di successo che
avevano rovesciato i governi nella ex Unione Sovietica, ma qui molto difficile da realizzarsi.
Sull’esempio della strategia adottata dalla Corea del Nord nella gestione di un problema simile nel
1990, gli iraniani hanno lanciato un programma di tecnologia e armi nucleari per un decennio,
cercando di rappresentare se stessi come più pericolosi e psicologicamente instabili. In tal modo
sono riusciti a manovrare la propria posizione in modo tale che i membri permanenti del Consiglio
di sicurezza dell'Onu, più la Germania, giungessero a negoziare per indurre gli iraniani a posizioni
meno aggressive.
Così la violazione della politica di lunga data di equilibri regionali ed impegno limitato degli USA
ha portato ad uno scenario geopolitico pessimo, che il presidente Obama ha ereditato e che lui e tutti
gli altri presidenti americani del prossimo decennio dovranno affrontare.
CAPITOLO 5
“ THE TERROR TRAP ”
Il terrorismo non è un nemico, ma un modo di fare la guerra che può essere come può non essere
adottato da un nemico.
Bush ha utilizzato il termine “guerra globale al terrore” per definire la risposta all’ 11 Settembre
perché:
- Definendola “guerra all’Islam radicale” avrebbe allontanato gli alleati del mondo islamico di cui
USA avevano bisogno
- Definendola “guerra ad Al- Qaeda” avrebbe precluso a USA la possibilità di attaccare chi non
fosse parte di questo gruppo
Obama ha giustamente abbandonato l’etichetta, ma resta la confusione politica e strategica emersa
dal focalizzarsi sul “terrore”. E’ perciò imperativo, nel valutare le opzioni presidenziali per il
prossimo decennio, chiarire quanto effettivamente il terrorismo si prefiguri come una minaccia, e
cosa questa minaccia significhi per l’azione politica statunitense.
L’errore di Bush è stato focalizzarsi sul terrorismo come obiettivo (cosa che implicherebbe
l’identificazione come nemico di chiunque possa farne uso) e non, come il mondo islamico aveva
capito, sull’Islam radicale da cui Al-Qaeda era emersa.
E infatti la confusione semantica e strategica aumentò quando si decise di attaccare l’Iraq, che
avrebbe potuto allearsi con Al-Qaeda, ma non era retto né da un fondamentalista religioso, né
affiliato ad Al-Qaeda. Se questa, invece, fosse stata l’obiettivo dichiarato della guerra, l’invasione
dell’Iraq sarebbe apparsa plausibile come un modo per eliminare un potenziale alleato del nemico e
stabilire una presenza strategica nella regione.
In una democrazia identificare chiaramente il nemico, la minaccia che rappresenta, e come
opporvisi, è fondamentale per avere il supporto dell’opinione pubblica.
IL SIGNIFICATO DEL TERRORE
Il terrorismo è un atto di violenza il cui scopo primario è creare paura, e attraverso ciò, un risultato
politico. Il terrorismo è di norma intrapreso al posto di un’azione più efficace: esso deriva infatti
dalla debolezza di chi mira ad apparire più potente di quanto in realtà sia, e mira a creare uno stato
mentale di, appunto, terrore che fa apparire il terrorista come una enorme minaccia.
Questo è ciò a cui ha puntato Al-Qaeda, riuscendo nell’obiettivo.
Infatti dichiarando guerra al terrorismo, gli USA hanno manifestato il fatto di considerare solo
questa singola minaccia, tralasciando le altre. Ciò è grave in quanto il terrorismo di Al-Qaeda pur
potendo uccidere migliaia di statunitensi, non rappresenta una minaccia in grado di distruggere la
base materiale della repubblica statunitense.
Così non destinando risorse contro altre minacce uguali o maggiori, gli USA si sono ritrovati con
una politica estera sostanzialmente sbilanciata che avrebbe invece dovuto considerare il terrorismo
all’interno di una strategia nazionale.
La questione è allora come passare dal focalizzarsi completamente sul terrorismo e sul mondo
islamico, a una strategia più bilanciata.
Il primo passo per fare ciò sta, da parte del presidente USA, nel controllare che l’emotività dei suoi
cittadini non influenzi le sue azioni: il terrorismo ed Al-Qaeda vanno visti in prospettiva nel fine
ultimo di gestire diverse minacce e interessi in una sola strategia coerente.
Perché la paura da sola non può indirizzare una strategia.
Il senso delle proporzioni tra minaccia e costo della risposta deve dominare sull’emotività anche di
fronte ad una tragedia intollerabile per un uomo comune: soccombere all’emotività equivale a
prendere decisioni nel lungo periodo controproducenti per il proprio Paese.
Generando paura, disperazione e rabbia il terrorismo trasforma l’opinione pubblica, che chiede al
governo protezione e la punizione dei terroristi per le loro azioni.
All’aumentare di intensità dell’attacco terroristico aumenta il terrore della popolazione e aumenta la
conseguente responsabilità del governo di agire in modo aggressivo e visibile.
In questo quadro la sfida per il Presidente è convincere la popolazione che egli condivide i suoi
sentimenti, compiendo allo stesso tempo azioni che soddisfino il loro desiderio di sicurezza come di
vendetta.
MA
Se da un lato il Presidente deve dare sempre l’impressione che sta facendo tutto ciò che può per
distruggere il nemico, proteggere la madrepatria , e dare il messaggio che è possibile eliminare il
terrorismo islamico,
dall’altro egli deve rendersi conto di quanto sia impossibile l’eliminazione del terrorismo islamico,
di quanto al massimo si possa puntare a ridurne il rischio, ma che questo ha comunque un costo,
fino ad arrivare alla consapevolezza che immettere tutte le risorse statunitensi verso un fine
irraggiungibile non solo è inutile, ma anche qualcosa che può creare opportunità per altri nemici e
per altri attacchi.
Il punto importante da considerare per i futuri leader è che se il terrorismo può uccidere statunitensi
e creare un profondo senso di insicurezza, il desiderio ossessivo di distruggere il terrorismo può
minare strategicamente gli USA. Per quanto il terrorismo possa causare morte, esso non va elevato
a tema che incombe sugli altri, perché la strategia deve rimanere sempre proporzionale alla
minaccia.
IL TERRORE E LE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA (ADM)
A differenza del terrorismo le ADM possono avere un profondo effetto sulla condizione materiale
di un Paese. E infatti fu la paura di un possibile attacco nucleare da parte di Al-Qaeda ad animare le
prime azioni dell’amministrazione Bush post-11 Settembre.
Tutto ciò perché le ADM, specialmente nucleari, rappresentano un tipo di minaccia intollerabile,
capace di fare danni materiali notevoli, ma soprattutto di paralizzare completamente un Paese.
Esse possono, attraverso una minaccia casuale, provocare la paura di un annientamento di massa.
Tuttavia è estremamente complesso procurarsi o costruire ADM, siano esse biologiche, chimiche o
nucleari, e ciò per ragioni logistiche quanto materiali.
Tornando alla questione dell’equilibrio: così come la crisi finanziaria ha creato uno squilibrio
interno negli USA, così l’11 Settembre ha causato uno squilibrio strategico.
Gestirlo sarà un compito per il prossimo decennio. Ciò si baserà su una strategia che punti a
prevenire il fatto che potenze regionali egemoni possano minacciare gli USA, e richiederà presenza
USA in più regioni.
Il significato ultimo di ciò sarà allontanarsi dalla “guerra al terrore” e ridefinire gli interessi presenti
in ogni regione e nel mondo.
Israele è un buon punto di partenza (CAP VI)
Capitolo 6
CASO DI ISRAELE
La relazioni USA-ISRAELE avvelenano la relazione stessa e la situazione in Medioriente.
Questa complessa realtà continuerà ad influenzare e ad essere cruciale per la strategia globale degli USA per il prossimo decennio.
Case study per il dibattito tra realisti e idealisti all’interno di politica estera. Questa relazione instaurata dagli USA con Israele, si basa sia su un interesse nazionale che sulla credenza morale che gli USA devono supportare regimi simili al proprio sul principio della democrazia.
IDEALISTI: REALISTI: Fuoco d’attenzione sul tipo di regime che Israele ha: Un’isola di democrazia in un mare di autocrati. Il miglioramento
del rapporto tra Israeliani e Arabi è basato su un’alleanza forzata contro il terrorismo
Per capire bene il caso bisogna fare un’analisi a ritroso nella storia: risalire al 13° secolo per comprendere la geografia politica del Medioriente. 13° SECOLO:
Impero bizantino stava per svanire e i Turchi Ottomani assunsero il controllo delle aeree che si affacciavano sul Mar Nero e Mediterraneo dell’Est.
1453: I Turchi conquistarono Costantinopoli e in seguito controllarono la maggior parte dei territori che appartenevano al Alessandro Magno.
Fino al 20° sec. dai tempi di Colombo: parte del Nord Africa, Grecia e i Balcani sotto controllo Ottomano.
Tutto questo ebbe fine durante la 1° guerra mondiale quando gli Ottomani, alleati con la Germania, furono sconfitti. Ai vincitori andò il bottino: la Siria, vasta provincia Ottomana. In base a un accordo segreto tra Francia e Gran Bretagna durante la guerra, accordo Sykes-Picot, il territorio veniva diviso tra di loro con una linea che va dal monte Henan verso il mare ad Occidente.
Questa divisione diede vita a Siria, Libano , Giordania e Israele.
Francia, durante una guerra civile nella regione nel 1860, si alleò con alcune fazioni, difendendo principalmente gli arabi cristiani dell’aera. 1920: Francia, ottenuto il controllo effettivo dell’area, creò un paese a sé stante sul territorio popolato da tutte queste fazioni legate ad essa Il Libano (dal Monte Libano): il quale ovviamente non aveva una realtà precedente.
Area Britannica del Sud fu divisa analogamente lungo linee arbitrarie: Gli Hashemiti della penisola araba, Hejaz, avevano sostenuto gli inglesi durante la 1°G.M., e in cambio la G.B. promise loro di installarli come governanti dell’Arabia dopo la guerra. Ma Londra prese impegni anche verso un clan rivale, il Saud (installato in Kuwait), che voleva il controllo di alcune stesse regioni della penisola arabica. Dopo la 1°G.M. scoppiò una lotta tra Sauditi e Hashemiti, i quali vennero sconfitti. Quindi la G.B. diede l’Arabia alla fazione vincente (Saud): ecco perché Arabia Saudita. Gli Hashemiti ebbero il premio di consolazione: l’Iraq, dove governarono fino al 1958 quando furono rovesciati da un colpo di stato militare. Questi Hashemiti spodestati si spostarono a Nord sulla riva orientale del fiume Giordano: la Transgiordania, la quale poi dal 1948 diventò Giordania, un paese mai esistito prima cosi come il Libano e l’Arabia Saudita. La zona a Ovest del fiume Giordano (parte occidentale) era la cosiddetta Filistin (dai Filistei che ci abitavano dopo Davide e Golia) da migliaia di anni prima. Gli inglesi trasformarono questo termine in Palestina (dal greco): abitanti Palestinesi e capitale Gerusalemme.
Nessuna di queste era una nazione vera e propria a parte la Siria stessa (con un linguaggio risalente ai tempi biblici). Libano, Giordania e Palestina erano invenzioni dei francesi e inglesi dopo l’accordo Sykes-Picot per convenienza politiche e doppi giochi.
PARTE NORD:
Controllo della
Francia
PARTE SUD:
Controllo della Gran
Bretagna
Sotto il dominio Ottomano la proprietà terriera, in particolare la zona della Palestina, era stata semifeudale con proprietari assenteisti che riscuotevano il denaro degli affitti dai contadini, i quali in realtà coltivavano questi terreni. Il problema era inserire gli Ebrei: i membri della diaspora europea si erano mossi in questa regione sin dal 1880, unendosi piccole comunità ebraiche già presenti li ( e in alcune regioni arabe) da secoli. Questa immigrazione era spinta dal movimento sionista (motivato dall’idea europea di stato-nazione) che ha cercato di creare una patria ebraica nella regione. Gli Ebrei arrivarono a piccole quantità e si stabilirono sul territorio acquistato con i fondi raccolti dagli Ebrei in Europa. Questo terreno in passato fu acquistato dai proprietari assenteisti e poi venduto da questi ai loro inquilini arabi.
DAL PUNTO DI VISTA DEGLI EBREI: Fu un acquisto legittimo della terra DAL PUNTO DI VISTA DEGLI INQUILINI
ARABI: Si trattava di un assalto diretto alla loro vita, di uno sfratto delle loro famiglie che per generazioni avevano coltivato li.
Quando aumentarono gli Ebrei, l’acquisizione della terra, la cui titolarità è sempre stata dubbia, divenne ancor più invadente.
I Siriani guardavano alla Palestina come al Libano e alla Giordania: come parte integrante della Siria. Loro si opponevano a una Palestina indipendente, all’esistenza di uno stato ebraico indipendente e all’indipendenza dei libanesi e giordani. Per loro l’accordo Sykes-Picot era una violazione dell’integrità territoriale della Siria, già durata troppo a lungo.
Gli Hashemiti avevano problemi sempre maggiori con i Palestinesi (anche perché gli Hashemiti erano una tribù araba trapiantata sulla riva est del Giordano) Dopo la lasciata degli inglesi nel 1948, loro (i palestinesi) divennero responsabili della West Bank. Mentre i Palestinesi nativi dell’area condividevano la fede mussulmana della razza araba, questi trapiantati avevano una cultura e una storia profondamente differenti. Tra i due gruppi: reciproca ostilità. Gli Hashemiti (odierni Giordani) sostenevano che la Palestina era legalmente di loro proprietà o quantomeno la parte sinistra, dopo che Israele aveva ottenuto l’indipendenza. Dall’epoca in cui gli Ebrei divennero più numerosi e potenti in Palestina, questi furono visti dagli Hashemiti in Giordania, come alleati contro i nativi Palestinesi.
A sudovest di Israele c’erano gli Egiziani che in diverse tappe erano stati dominati da francesi e inglesi cosi come dagli ottomani.
Nel 1956 gli egiziani subirono un colpo di stato militare che portò Nasser al potere. Nasser si oppose all’esistenza di Israele, ma con una visione diversa da quella dei Palestinesi. Il sogno di Nasser: la creazione di un’unica nazione araba, una repubblica araba unita che riuscì ad ottenere stabilendo un breve accordo con i Siriani. La motivazione data da Nasser era che tutti i paesi del mondo arabo erano il prodotto illegittimo dell’imperialismo europeo e quindi tutti si sarebbero dovuti unire sotto l’egida del più grande e potete paese arabo: l’Egitto. Secondo questo disegno la Palestina non esiste e i Palestinesi erano visti semplicemente come arabi che occuparono un non-definito pezzo di terra Tutti gli stati arabi nella regione, escluso la Giordania, volevano la distruzione di Israele ma allo stesso tempo nessuno supportava una Palestina indipendente.
La striscia di Gaza occupata dagli Egiziani durante la guerra d’indipendenza di Israele nel 1948, ed è stata poi amministrata dall’Egitto per i successivi 20 anni.
I Siriani volevano che Giordania, Palestina e Libano ritornassero a loro: situazione complicata che porta alla guerra dei 6 giorni nel 1967 e creò il caos. 1967: l’Egitto espulse le forze di PKO dell’ONU dalla penisola del Sinai e la rimilitarizzò. Di risposta, gli Israeliani attaccarono non solo gli Egiziani, ma anche la riva ovest della Giordania ( Palestina), la quale aveva bombardato Gerusalemme, e attaccò le vette del Golan in Siria, la quale aveva bombardato gli insediamenti israeliani. Il successo di Israele, incluso l’occupazione della Giordania a ovest, trasformò l’intera regione: improvvisamente un’ampia popolazione di arabi-palestinesi era sotto il controllo di uno stato Israeliano. Dopo un incontro a Kartoon, avvenuto dopo la guerra del 1967, gli stati arabi replicarono con i famosi 3 NO: NO NEGOZIAZIONE, NO RICONOSCIMENTO, NO PACE. Cosi l’occupazione israeliana delle aree, precedentemente dei palestinesi, divenne permanente e i palestinesi volevano essere visti come una nazione separata.
L’Egitto ha sponsorizzato il gruppo OLP e ha messo a capo di questo gruppo Arafat. Nasser voleva ancora una federazione araba, ma nessuna nazione voleva accettare la sua supremazia; allo stesso tempo Nasser non era disposto a sottomettersi a nessun altro e quindi lasciò l’OLP e le sue organizzazioni, come AL FAHTAH, le sole patrocinanti di uno stato palestinese.
I Giordani erano felici di avere Palestinesi sul territorio israeliano come un problema israeliano: allo stesso tempo erano felici di riconoscere l’OLP , ma anche contenti che Israele non lasciasse che la Palestina divenisse indipendente.
I Siriani supportarono l’OLP e sostenevano che Israele doveva essere distrutto e che i Palestinesi sarebbero dovuti essere incorporati nella Siria.
Il riconoscimento del nazionalismo palestinese da parte degli arabi non era né universale né amichevole: il sostegno arabo per i palestinesi aumentava in proporzione alla distanza tra essi. L’argomento morale sui diritti d’Israele è profondamente complesso: il problema principale non è stato l’immigrazione di ebrei europei in quanto questo non ha costituito la distruzione della nazione palestinese, perché nessuna nazione era mai esistita; il problema sono state le varie rivendicazioni nazionali.
La politica estera israeliana era plasmata da queste realtà di cui approfittò per imporre l’ordine politico attuale nella regione. Oggi però esiste una consapevole nazione palestinese. La politica americana ha a che fare con questa complessa storia, sia per vari giudizi morali ma anche per due motivi fondamentali:
1. Gli Ebrei erano coloro di un altro continente che sfollarono i nativi. Fare una critica morale da parte degli USA è difficile, in quanto anche in america successe una cosa simile: gli attuali americani giunsero sul territorio per sfollare i nativi indigeni. Per questo non pone un caso morale contro Israele per aver usurpato la terra palestinese e aver maltrattato i nativi arabi.
2. Roosevelt fu di sostegno a Francia e Gran Bretagna contro la nazi-Germania: Israele (esclusa la Cisgiordania e Gaza) è un paese democratico e gli USA sono “l’arsenale della democrazia” Per questo principio gli USA devono sostenere l’israele democratico, escludendo altre considerazioni geopolitiche o morali.
I realisti non sono d’accordo: le rivendicazioni morali da qualunque parte provengano non hanno alcun effetto sugli USA perché questi pensano sempre a definire le loro politiche solo sulla base dei propri interessi nazionali. Tuttavia un interesse nazionale, privo di scopi morali è superficiale e incompleto: la bussola morale deve esserci ma puntare in diverse direzioni, infatti la morale affonda le sue radici in rivendicazioni storiche e può essere modellata di volta in volta. D’altra parte un semplice giudizio morale non affronta le realtà sul terreno e giungere a una posizione coerente morale è incredibilmente difficile.
Dunque la domanda è: Come si fa a formulare una politica realistica estera che serve sua a giudizi morali che a interessi nazionali nel prossimo decennio? Per trovare una risposta bisogna considerare la storia del rapporto tra Israele e USA.
STATI UNITI E ISRAELE
1948: USA riconobbe l’indipendenza di Israele ma i due paesi erano già alleati.
USA hanno sempre riconosciuto l’esistenza dei diritti d’Israele, ma il loro interesse primario era il contenimento dell’URSS e il loro focus erano Turchia e Grecia. La Grecia aveva una rivolta comunista interna e sia la Grecia che la Turchia avevano minacce sovietiche dall’esterno. La Turchia era la chiave della regione per gli USA, anche perché lo stretto del Bosforo era l’unico ad aver bloccato la flotta sovietica del Mar Nero ad entrare nel Mediterraneo. Se questo stretto cadeva nelle mani dei sovietici, questi sarebbero stati capaci di mutare il potere americano e minacciare il Sud Europa.
L’unico impedimento alla strategia di contenimento americana nel Medioriente era
causato dall’intento di Francia e Gran Bretagna di ristabilire la loro influenza nella
regione, da loro controllata sin dalla prima guerra mondiale in poi.
I sovietici svilupparono legami più stretti nel mondo arabo in chiave antieuropea, come risposta alle loro ostilità. Nel 1956: la situazione raggiunse il culmine, quando Nasser prese il potere e nazionalizzò il canale di Suez. Francesi, inglesi e israeliani organizzarono un complotto per un’invasione israeliana all’Egitto. F. e G.B. in realtà erano solo interessate a potenziare il conflitto con l’Egitto, ma formalmente intervennero per salvare il canale dall’invasione israeliana. Secondo il punto di vista americano, questa idea non solo era destinata a fallire, ma avrebbe solo portato l’Egitto nelle mani sovietiche, dando quindi a quest’ultimi un alleato forte e strategico. Questo era inaccettabile per gli USA, in quanto in questo modo si sarebbe solo aumentato il potere sovietico: gli USA intervennero, costringendo il ritiro della coalizione F.-G.B.-ISRAELE dal canale.
I rapporti tra USA e ISRAELE non peggiorarono però: il problema strategico di Israele dipendeva dalla sua base industriale e militare per la sua sicurezza nazionale, e quindi di una continua fonte di armi per proteggersi. Il suo primo fornitore fu l’URSS, che vedeva in Israele un alleato antibritannico; gli forniva le armi attraverso la Cecoslovacchia, ma questa relazione si ruppe presto. Poi la Francia, ancora impegnata in Algeria, si sostituì ai sovietici come fornitrice di Israele: i paesi arabi supportarono i ribelli algerini e quindi era nell’interesse francese avere Israele come alleato forte al fianco contro di loro; gli fornì armi e tecnologie di base per le loro armi nucleari.
In questo periodo gli USA vedevano ISRAELE con importanza marginale per i loro obiettivi strategici nell’area, ma dopo la crisi di Suez iniziarono a riconsiderare le loro relazioni strategiche. USA intervenne a favore dell’Egitto in Suez, ma gli egiziani migrarono nel campo sovietico indipendentemente. La Siria si era mossa verso il campo sovietico dal 56 ma nel 63 un colpo di stato militare fermò questa posizione, e nello stesso anno avvenne una cosa simile in Iraq. Dal 1960 il mondo arabo cambiò posizione passando ad essere nettamente anti-americana: i sovietici erano predisposti a finanziare progetti che gli USA non volevano finanziare e dunque il modello sovietico era più attrattivo per i socialisti arabi. Gli USA restarono in disparte per un po’ ma poi iniziarono a fornire sistemi aerei ai regimi anti-sovietici nella regione e Israele fu inserito nella lista regali.
1967: Israele lanciò la GUERRA DEI 6 GIORNI, mossa che non piacque alla Francia, la quale voleva riallacciare rapporti con il mondo arabo una volta terminata la guerra algerina da parte di Charles De Gaulle; quindi Israele perse l’accesso alle armi francesi. Con la vittoria di Israele sui vicini arabi in questo conflitto, lo spirito americano si rinvigorì ed USA espresse pubblicamente la sua infatuazione per i successi militari israeliani ( secondo Lindsay Jhonson questa infatuazione può essere vista come un’arma a doppio taglio). La vittoria di Israele aveva rafforzato la potenza sovietica in Egitto e Siria, dunque Israele divenne per USA un alleato utile e necessario.
Dal 1960, essendosi rafforzata la pressione politica e militare sovietica su Iraq e Siria, il timore americano aumentò
Turchia era un punto cruciale strategico sia per gli americani che per i sovietici: la Turchia divenne un “sandwich” tra la potenza sovietica a nord e i clienti sovietici a sud, e dato che se i sovietici avrebbero piazzato le loro forze nei territori dei loro clienti la Turchia si sarebbe trovata nei guai, i problemi americani aumentarono e USA iniziò a sponsorizzare una politica di contenimento sovietico. Israele non confinava con i sovietici ma serviva da opposizione all’Egitto: i sovietici non solo armavano gli egiziani ma usavano il porto d’Alessandria come base navale, potenziale minaccia per la 6° flotta americana nel Mediterraneo. Contrariamente a una diffusa convinzione, gli egiziani e i siriani non divennero pro-sovietici come risposta al supporto americano a Israele: c’era una strada alternativa.
Lo spostamento egiziano e il colpo siriano avvennero prima che l’America rimpiazzasse la Francia come fornitrice di armi per Israele: questa mossa americana fu una risposta alle politiche egiziane e siriane. Una volta che Egitto e Siria si erano allineate con i sovietici, per USA armare Israele divenne una soluzione a basso costo per limitare le forze egiziane e siriane Questo aiutò la sicurezza americana nel mediterraneo e fu una pressione sulla Turchia.
Ragioni strategiche degli USA dell’inizio della relazione con Israele: la strategia funzionava.
Gli Egiziani espulsero i sovietici nel 1973 e firmarono una pace con Israele nel 1978.
I Siriani rimasero pro-soviet, ma l’eliminazione dei sovietici dall’Egitto diminuì la minaccia sovietica nel mediterraneo.
Ma un’altra minaccia emergeva allo stesso tempo: il terrorismo palestinese.
L’OLP fu realizzato da Nasser come parte della sua lotta estesa con i paesi arabi per formare la repubblica araba unita. L’intelligence sovietica, volendo indebolire gli USA e approfittando dell’instabilità in arabia, addestrò e controllò le operazioni dell’OLP. La situazione diventò critica nel 1970: Arafat macchinò una rivolta contro i ribelli Hashemiti della Giordania, alleati chiave degli USA e convertiti alleati di Israele. La Siria armò il Sud Giordania per usare il caos e riassettare l’autorità siriana nella zona. La forza aerea israeliana intervenne per bloccare i siriani, mentre gli USA mandarono truppe in Pakistan per supportare forze giordane e fermare la rivolta. Alcuni palestinesi furono uccisi e Arafat fuggì in Libia.
Questo conflitto fu l’origine di un gruppo, conosciuto come BLACK SEPTEMBER, il quale causò il massacro degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco nel 1972 Il BLACK SEMPTEMBER fu riconosciuto dal movimento di Arafat e, cosa più importante, servì agli interessi sovietici in Europa.
Durante gli anni 70, infatti, i sovietici avevano organizzato campagne di destabilizzazione, organizzando gruppi terroristici in Francia, Italia, Germania e altri paesi e supportando organizzazioni come l’IRA.
I Palestinesi divennero la maggior forza di questo terrorismo internazionale Sviluppo che rafforzò il rapporto USA-ISRAELE Gli USA per prevenire la destabilizzazione della NATO, volevano eliminare questi gruppi terroristici supportati dai sovietici, tra cui alcuni erano stanziati in Libia e Nord Corea Mentre gli Israeliani volevano distruggere la rete di copertura palestinese La CIA e MOSSAD (l’agenzia di intelligence israeliana) cooperarono intensamente per i successivi 20 anni al fine di sopprimere questi movimenti terroristici, i quali non furono indeboliti fino al 1980, quando poi i sovietici iniziarono una politica di conciliazione nei confronti dell’Occidente.
Il collasso dell’URSS cambiò questa dinamica completamente.
La Turchia non era molto a rischio.
L’Egitto fece un patto di non belligeranza con Israele ciò fu ostile ad Hamas.
Hamas, è un’organizzazione politica, militare palestinese formatasi nel 1987, che ha la maggioranza a Gaza. Si è formata da una fratellanza mussulmana, che aveva minacciato il regime del presidente egiziano Mubarak.
La Siria era isolata e focalizzata sul Libano.
La Giordania era in qualche modo un protettorato di Israele.
Il movimento socialista Palestinese che formò l’OLP e che sostenne i movimenti terroristici in Europa, fu dismesso con forza.
L’aiuto americano a Israele continuava, mentre l’economia israeliana sorgeva. Dal 1974 gli aiuti americani aumentarono e la cooperazione USA-ISRAELE si è generata fondamentalmente da un anti-americanismo già pre-esistente nel mondo arabo. E’ importante capire che nel 1991 le basi di questo rapporto divennero meno chiare: c’è da chiedersi cosa precisamente gli USA cercano da Israele e cosa Israele cerca dagli USA.
Come il rapporto stretto con Israele possa servire agli interessi nazionali americani nei prossimi 10 anni?
In primo luogo, c’è una bella differenza tra il diritti di Israele ad esistere e il diritto di Israele ad occupare un gran numero di territori palestinesi che non vogliono essere occupati.
Inoltre, supportare Israele perché noi supportiamo la democrazia è molto più di un argomento persuasivo.
Infine, non bisogna dimenticare che le questioni di interessi nazionali e il principio degli USA di dire sempre l’ultima.
ISRAELE CONTEMPORANEO
Israele di oggi è strategicamente sicuro. E’ divenuto il potere dominante tra gli stati confinanti grazie alla creazione di una balance of power regionale tra i suoi vicini basata su una mutua ostilità e sulla dipendenza di alcuni di loro da Israele. L’interesse egiziano di giungere a una pace con Israele, compreso l’obiettivo di far divenire il Sinai zona demilitarizzata, trattenne gli egiziani e gli israeliani dal continuare a mettersi l’uno contro l’altro. Senza una minaccia dall’Egitto militare, Israele era sicuro, perché la Siria da sola non rappresentava una immaginabile minaccia. La pace tra Egitto e Israele sembra sempre essere molto tenue, ma è attualmente costruita su forze geopolitiche profondamente potenti.
L’Egitto non poteva difendere Israele per ragioni geopolitiche e tecnologiche: per farlo Egitto avrebbe dovuto creare un sistema logico attraverso il Sinai per supportare decine di migliaia di truppe, un sistema difficile da costruire e difendere.
Israele non poteva difendere l’Egitto, né poteva prolungare una guerra di attriti: per vincere, avrebbero dovuto vincere velocemente, perché Israele ha una piccola armata regolare e avrebbe dovuto richiedere forze dalla riserva civile, le quali non potevano essere impegnate per un lungo periodo.
Infatti, a pochi giorni dalla vittoria, la battaglia paralizzò l’economia israeliana e Israele era impossibilitato ad occupare il bacino del Nilo.
A causa di questo stato di cose, Egitto e Israele avrebbero rischiato molto e ottenuto poco continuando a combattere l’uno contro l’altro: attualmente, entrambi i governi stanno combattendo le stesse forze islamiche. Il regime egiziano oggi deriva ancora dalla rivoluzione militare e socialista di Nasser; non fu mai islamico e fu sempre sfidato da gruppi mussulmani, in particolare la Fratellanza Mussulamana di Hamas. Gli egiziani repressero questo gruppo: temevano che il successo di Hamas avrebbe potuto minacciare la stabilità del loro regime. Qualunque critica potessero muovere rispetto al conflitto tra israele e palestina, gli egiziani condividevano l’ostilità di Israele verso Hamas e lavoravano attivamente per contenere Hamas in Gaza. L’accordo di Israele con l’Egitto è attualmente la più importante relazione che esso ha: questa combinazione di vicini assicura la stabilità e la sicurezza nazionale di Israele.
Israele non affrontava nemmeno una minaccia dalla Giordania, nonostante la linea del fiume Giordano è la zona più vulnerabile per Israele. L’esercito giordano e le forze di intelligence giordana sorvegliano questa frontiera per Israele, la quale esiste per una serie di ragioni: Primo: l’ostilità giordano-palestinese è una minaccia al regime hashemita e gli israeliani sono essenziali per la sicurezza nazionale giordana, in quanto sopprimono i palestinesi Secondo: i giordani sono troppo pochi e troppo facilmente battibili dagli israeliani per rappresentare una minaccia israeliana.
Questa linea potrebbe diventare una minaccia solo se qualche paese straniero, in particolare Iraq o Iran, mandasse le sue forze a schierarsi lungo la linea. Ma da quando il deserto separa il fiume giordano da questi paesi, distribuire e fornire forze dovrebbe essere molto difficile. Inoltre un tale dispiegamento significherebbe la fine del regno Hashemita di Giordania, il che Israele avrebbe evitato in ogni modo. Ecco perché Israele e Giordania sono uniti.
La Siria isolata, di per sé non costituisce minaccia ( forze ridotte e aree strette). La Siria è orientata verso il Libano, dove hanno stretti legami con gli Alawiti, classe dirigente del posto; la Libia è l’interfaccia tra il mondo arabo del Nord e il Mediterraneo. In seguito agli accordi di CAMP DAVID del 1978 tra Egitto e Israele, i siriani si trovarono isolati nella regione; ostili al movimento di Arafat, giunsero a invadere il Libano nel 1975 per combattere i palestinesi. Ciò perché si sentivano a rischio. La rivoluzione iraniana nel 1979 creò una nuova relazione, la quale ha permesso ai siriani di aumentare la loro forza in Libano, utilizzando risorse ideologiche e finanziarie. Nel 1980, in seguito all’invasione di Israele al Libano, si formò una milizia anti-israeliana, chiamata Hezbollah: una forza costruita per sconfiggere Israele. La Siria, per ricevere mano libera in Libano da Israele, garantì a quest’ultimo di contenere le azioni di Hezbollah contro Israele. Quest’accordo cadde nel 2006, quando gli USA costrinsero le forze siriane ad abbandonare il Libano, come punizione per aver supportato i Jihadisti in Iraq. Di conseguenza, la Siria ritirò ogni promessa fatta ad Israele.
Israele è in pace con Egitto e Giordania, ma si tratta di fragili accordi di pace basati su reciproci interessi sostanziali. Il gruppo Hezbollah costituisce minaccia per Israele, ma come minaccia primaria, proveniente all’interno dei suoi confini, restano sempre i palestinesi occupati ed ostili. Nonostante questi gruppi ostili, comunque lo stato d’israele non è a rischio, sia perché le forze di questi gruppi possono risultare inadeguate, sia perché i gruppi stessi subiscono un certo controllo da parte della Siria.
All’interno della comunità palestinese si sono poi verificate delle divisioni: Arafat era l’organizzazione principale fino al 1990; durante il 1990, Hamas si impose come movimento islamico-palestinese, che ha diviso i palestinesi creando una guerra civile; Fatah controlla la West Bank, Hamas controlla Gaza. Israele, applicando un gioco di balance of power all’interno della communità palestinese, si trova in rapporti più o meno amichevoli con Fatah, ma non con Hamas. I due gruppi si trovano in conflitto tra di loro come loro stessi sono in conflitto contro Israele. Questo balance of power salvò Israele dalle minacce degli stati-nazione, e la minaccia del terrorismo nei territori occupati diventa secondaria. Dal punto di vista israeliano, l’infelicità palestinese, i disordini e il loro terrorismo possono convivere insieme. Israele deve saper gestire i palestinesi e tener conto del loro terrorismo, per tranquillizzare le grandi potenze e l’opinione pubblica. L’unica potenza mondiale di oggi è l’America. Come tale ha variato gli interessi globali, alcuni dei quali sono stati trascurati nel periodo acuto di preoccupazione per il terrorismo e l’Islam radicale. USA dovrebbe sganciare la sua politica estera da tale attenzione sul terrorismo o comunque evitare che questo sia il problema singolare del mondo, come da opinione diffusa di alcuni paesi.
Ci sono numerose potenze regionali, come Russia ed Europa, che possono avere un enorme impatto su Israele e questo non può permettersi di essere indifferente ai loro interessi. Inoltre se Israele non rivaluta il suo punto di vista sul terrorismo e i palestinesi, può certamente trovarsi isolato da molti dei suoi alleati tradizionali, compreso gli USA: questo sarebbe un prerequisito per la distruzione di Israele. Il sostegno egli USA a Israele non è stato il principale motore di ostilità musulmana agli USA, e nemmeno l’evoluzione degli eventi in Israele influisce direttamente i fondamentali interessi americani: di conseguenza, gli americani avrebbero poco da guadagnare rompendo con Israele o costringendo gli israeliani a cambiare le loro politiche verso i palestinesi. L’effetto netto di un allontanamento tra USA e Israele sarebbe il panico tra i vicini di Israele. Israele in realtà, oltre le strategie in Libano, mantiene un equilibrio stabile anche senza l’assistenza americana: Giordania ed Egitto dipendono da Israele in qualche modo, cosi come molti paesi arabi e gli israeliani non stanno per essere sopraffatti dai palestinesi; dunque questo equilibrio regionale può essere mantenuto indipendentemente da quello che fa o non fa USA. ( in ogni caso non si dovrebbe svegliare il can che dorme). La soluzione migliore per il presidente americano, dunque, è attuare un disimpegno da Israele, accettandone l’attuale situazione. Lo scopo a lungo termine americano è quello di contenere israele nel suo campo, costringendolo a riconsiderare i suoi interessi nazionali, per ristabilire l’equilibrio di potenza. Le distanze pubbliche degli USA da Israele potrebbero significare l’emergere di alcuni problemi politici nazionali all’interno degli USA: il voto ebraico è piccolo ma l’influenza politica ebraica è fuori misura a causa delle lobby organizzate e finanziate; aggiungendo a questo mix un gruppo di cristiani conservatori che guardano agli interessi di israele come teologicamente importanti, il presidente si trova di fronte un blocco potente che non vuole inimicarsi.
Per tutti questi motivi il presidente americano dovrebbe continuare a impegnarsi attraverso ambasciatori per la costruzione della pace, e continuare a condannare qualsiasi oltraggio da loro commesso. Ma allo stesso tempo non deve sperare in una pace duratura, perché qualsiasi sforzo eccessivo per il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe destabilizzare la regione.
Le cose di cui avevano bisogno gli USA da Israele in passato, non esistono più: Gli USA non hanno bisogno di Israele per trattare con i regimi filo-sovietici in Egitto e Siria, quando sono impegnati altrove. Israele è utile per lo scambio di intelligence allo scopo di cooperare per ottenere informazioni e sostenere i combattimenti americani nella regione. Israele molto probabilmente non si troverà ad affrontare una guerra convenzionale nell’arco di un tempo breve: non ha bisogno di consegne vaste e improvvise di armi, come avvenuto invece nel 1973; né ha bisogno del contributo finanziario americano, dato che gli USA hanno provveduto alla crescita economica israeliana nell’arco del tempo dal 1974. Israele è perfettamente in grado di gestire se stessa finanziariamente: per israele è molto più importante un impegno pubblico degli USA a israele, rispetto ai loro aiuti finanziari. In passato gli USA ottennero un partner stabile nella regione, e Israele ottenne finanziamenti. Ora gli USA hanno un partner a prescindere dagli aiuti. Ciò ha comportato
l’opinione negativa da parte degli islamici, secondo cui gli USA sono stati sempre la fonte di tutti i loro problemi, tra cui il comportamento senza scrupoli degli israeliani. Ora, quindi, dato che l’importanza degli aiuti è marginale, il prezzo di questo impegno americano è diventato troppo alto: rinunciandone si eliminirebbe l’ostilità delle lobby anti-israeliane in USA.
Questo è lo scenario attuale: Israele è stato di gran valore durante tutta la seconda parte della guerra fredda; dopo la guerra fredda, i benefici del rapporto per gli USA sono diminuiti, mentre i costi sono aumentati. L’equazione non richiede una rottura dei rapporti con Israele, ma una rivalutazione in base alle realtà attuali. Non vi è alcuna sfida morale: nessun alleato democratico da abbandonare e la sopravvivenza di Israele non è in discussione. L’insediamento in Cisgiordania, mentre potrebbe essere uno degli interessi nazionali fondamentali di Israele, ciò non lo è per gli USA. Si tratta di due nazioni sovrane, entrambe intente a definire il rapporto. Ogni rapporto deve essere interpretato nel senso più ampio dei rispettivi interessi nazionali: infatti, ciò che gli USA necessitavano da Israele 30 anni fa non è lo stesso di cui hanno bisogno oggi. Da parte israeliana, sono importanti le relazioni economiche e i legami culturali, dunque Israele per non ritrovarsi isolato dagli USA e in particolare dall’Europa, ha bisogno di raggiungere un accordo con i palestinesi. Ma ha anche pressioni interne. Qualsiasi soluzione, però, richiederebbe fare ai palestinesi delle concessioni, che Israele non è predisposto a concedere; non c’è equilibrio di potere arabo-israeliano e, dato che Egitto e Giordania hanno rinunciato a essere all’interno di questa balance, Israele è libero di creare realtà sul terreno. L’equilibrio di potere è il principio guida degli USA: gli USA devono rimodellare questo equilibrio regionale, in parte avvicinandosi agli stati arabi, in parte allontanandosi da Israele.
Nei prossimi dieci anni gli USA hanno bisogno di prendere distanza da Israele, e cosi sarà. Ci sarà resistenza politica interna, ma anche supporto politico interno. Ciò non significa, però, un totale abbandono di Israele.
Il fattore complicato che resta da considerare in quest’analisi è il resto del mondo islamico, in particolare Iran e Turchia. Il primo rischia di diventare una potenza nucleare, e il secondo diventerà una forza potente nella regione, passando ad avere stretti legami con Israele.
Avendo iniziato con un focus attento su Israele, c’è bisogno di avere una visione molto più ampia. E cosi che il balance of power di un impero funziona, dalla prospettiva case-study.
Capitolo 8
«Il ritorno della Russia»
Il crollo dell’Unione Sovietica sembrò segnalare la fine della Russia come un “International
player”; ma la notizia di questa fine fu prematura.
Dobbiamo tener presente che una nazione così grande, piena di risorse e così strategicamente
posizionata non si sarebbe potuta dissolvere così semplicemente nell’aria.
All’inizio degli anni ’90, tuttavia, con il crollo dell’Urss andò in pezzi il vasto impero che fu
assemblato dagli zar e tenuto unito dai Comunisti.
Solo la Moscovia e la Siberia, le regioni che sono state il nucleo dell’impero, restarono in mani
russe.
Nonostante sia stata fortemente indebolita, la Federazione Russa, giocherà ancora un ruolo
significante nel prossimo decennio.
Mentre la Russia soffriva per la perdita delle sue regioni separatiste e la sua economia era in caos,
gli Usa venivano fuori come l’unico potere globale restante, capace di dominare il pianeta, in modo
quasi indolente.
Il collasso sovietico diede agli Usa solo una struttura di tempo limitato per “conficcare un palo” nel
cuore del suo vecchio rivale; gli Usa avrebbero potuto incentivare le tensioni nel sistema Russo
supportando i movimenti secessionisti e aumentando la pressione economica.
Così, i movimenti potrebbero aver causato il crollo dell’intera Federazione Russa, autorizzando i
suoi ex giovani partners ad assorbire quello che ne era rimasto e, così, creare un nuovo balance of
power in Eurasia.
Distruggere ciò che restava del potere Russo non appariva essere necessario, perché gli Usa
potevano creare un balace of power regionale; facendo ciò attraverso l’espansione della Nato e la
costruzione di un sistema di alleanze verso est.
Ma gli Usa erano anche profondamente preoccupati per il futuro dell’arsenale nucleare sovietico, il
quale era molto più massiccio di quello americano. Gli Usa volevano le armi nucleari all’interno
dell’Unione Sovietica per mettere sotto controllo uno stato che potrebbe essere controllato e
modellato. Questo stato era la Russia.
Durante gli anni ’90 i membri non russi dell’ex Unione Sovietica, paesi come il Kazakhstan e
l’Ucraina, erano in condizioni disperate da poter organizzare. La loro integrazione alla Nato fu
rapida ed aggressiva, gli Usa avrebbero potuto aumentare la potenza e la coesione di queste nazioni
che circondano la Russia per reprimere, anche, le ex repubbliche sovietiche , (tali paesi) sono stati
incapaci di arrestare questo processo.
Gli Usa avevano un piano per realizzare esattamente quanto descritto sopra, ma essi non si mossero
abbastanza velocemente.
Solo l’Europa Orientale e gli stati Baltici furono inclusi nella Nato; la sensazione di essere
circondati , indeboliti ed usurpati influenzerà, andando avanti, il comportamento russo.
I timori russi
Con la Nato alle sue porte i Russi comprensibilmente s’incominciarono ad allarmare. Dal loro
punto di vista questa alleanza era principalmente militare e poi le sue future intenzioni erano
imprevedibili. I russi sapevano, molto bene, come facilmente gli umori possono oscillare.
La Russia non vedeva alcun motivo, per l’Occidente, di espandere la Nato; dopo tutto, i russi
sostenevano di non essere in procinto d’invadere l’Europa.
Alcuni membri della Nato, in particolare gli Americani e gli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica,
volevano approfittare dell’opportunità di espandersi per ragioni strategiche; ma altri, in modo
particolare gli europei, avevano iniziato a pensare alla Nato in modo diverso.
Piuttosto che, considerare la Nato come un’alleanza militare finalizzata alla guerra, la vedevano una
un’alleanza regionale delle NU; concepita per incorporare amichevolmente le democrazie liberali
all’interno di un’organizzazione la cui funzione primaria era di mantenere la stabilità.
Dopo l’inclusione dei Balcani gli eventi cominciarono a frapporsi.
L’ascesa al potere di V. Putin ha creato una Russia molto diversa da quella esistente ai tempi di
Yeltsin negli anni ’90.
Bisogna ricordare che l’unica istituzione che, in Russia, non aveva mai smesso di funzionare erano i
servizi segreti; Putin era stato addestrato nel KGB, e di conseguenza aveva una visione del Mondo
da un punto di vista geopolitico piuttosto che ideologico.
Per Putin, uno stato forte è essenziale per la stabilità della Russia; quindi da quando prese il potere
nel 2000, iniziò un processo di “risanamento muscolare” della Russia.
Per oltre un secolo, la Russia aveva cercato di diventare una potenza industriale che poteva
competere con l’Occidente. Putin, capì che la Russia non avrebbe mai potuto raggiungere questo
obiettivo e spostò l’attenzione dalla strategia economia allo sviluppo e l’esportazione di risorse
naturali come metalli, grano e in particolare l’energia.
Tale strategia era brillante; con essa si creava un’economia che, non solo, la Russia poteva
sostenere; ma che avrebbe sostenuto, la stessa, Russia.
Dopo un braccio di ferro fra Gazprom ed il Governo Russo, riguardante il monopolio sul gas
naturale, c’è stato un rafforzamento dello Stato Russo. S’iniziarono a porre le basi per una
dipendenza europea dall’energia russa; rendendo, così, meno probabile che gli europei (in
particolare i tedeschi) avrebbero potuto cercare, o, sostenere un confronto con la Russia.
Il mutamento delle relazioni fra USA e Russia avvenne nel 2004, in seguito ad una serie di eventi
avvenuti in Ucraina che convinsero i Russi che gli Usa avevano intenzione di portare l’Ucraina
sotto la loro influenza.
L’Ucraina è una grande nazione e per i russi è un punto strategico per la sicurezza nazionale. Il
territorio russo si trova fra l’Ucraina ed il Kazakhstan ed ha una larghezza di circa 300 miglia.
Proprio a tale larghezza si deve l’influenza della Russia nel Caucaso, dal quale arriva buona parte
del petrolio negli oleodotti a sud.
Ritornando a ciò che accadde in Ucraina nel 2004: l’iniziale vincitore delle elezioni presidenziali fu
Victor Yanukovich, il quale fu accusato di brogli elettorali diffusi. Seguirono molte manifestazioni
per chiedere l’annullamento delle elezioni; in seguito Yanukovich si dimise ed ebbero luogo nuove
elezioni. Queste proteste sono passate alla storia con il nome di “Orange Revolution” e furono
interpretate da Mosca come filo-occidentali e anti-russe. Per i russi essa fu un’insurrezione
progettata per permettere l’entrata dell’Ucraina nella Nato.
Secondo i russi tali insurrezioni popolari erano da considerarsi un colpo di stato, orchestrato
attentamente dalla Cia e dai British m16. I russi sostenevano che le ONG occidentali ed i gruppi di
consultazione avevano sommerso l’Ucraina per organizzare le manifestazioni per spodestare un
governo filo-russo e per, quindi, minacciare direttamente la sicurezza nazionale russa.
È certo che gli americani e gli inglesi hanno sostenuto queste ONG ed i consulenti che stavano
gestendo le campagne elettorali di alcuni tra i candidati filo-occidentali in Ucraina le avevano
gestite precedentemente negli Usa. Inoltre emerge, da più fonti, che stava circolando denaro
occidentale nel paese; ma dal punto di vista americano non c’era nulla di minaccioso o segreto in
tutto ciò.
Gli Usa stavano semplicemente facendo ciò che hanno, da sempre, fatto dopo la caduta del muro di
Berlino: lavorare con i gruppi democratici per costruire la democrazia.
È in questo momento che avviene una profonda separazione tra Usa e Russia.
L’Ucraina era divisa fra la fazione filo-russa e quella anti-russa; gli americani, però, si
consideravano solo come supporter della democrazia. Ma che le fazioni considerate democratiche
dagli occidentali erano anche le uniche contro la Russia era incidentale, per gli americani. Tutto ciò
non era affatto marginale per i russi; essi ricordavano nitidamente la politica di contenimento
praticata a lungo dagli Usa.
Per i russi le azioni degli Usa erano un tentativo deliberato di rendere la Russia indifesa e cercare di
sconfinarla dai suoi vitali interessi nel Caucaso, regione in cui gli Americani avevano già un
accordo bilaterale con la Georgia.
Bisogna tener presente che il fondamentale obiettivo americano è sempre il “balance of power” e
poiché non distrussero la Federazione Russa negli anni ’90, gli americani si misero in moto per
creare un bilanciamento regionale nel 2004. Con l’intento di includere la maggior parte dei paesi
dell’ex Urss come contrappeso al potere Russo.
I timori russi aumentavano se essi guardavano a ciò che gli Usa stavano facendo nell’Asia Centrale.
Sulla scia dell’11 settembre gli Usa fecero cadere il governo dei talebani, in Afghanistan; i Russi
cooperarono i due modi.
Hanno fornito l’accesso all’Alleanza Nord (una fazione filo-russa che risale ai tempi
dell’occupazione russa e alla guerra civile che ne conseguì)
La Russia utilizzò la sua influenza per ottenere aree e terre nei tre paesi confinanti con
l’Afghanistan: Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan. Da questi paesi gli Usa potrebbero
sostenere l’invasione delle sue forze militari.
Inoltre, la Russia ha concesso anche i “privilegi di volo” sul proprio territorio che è stato
estremamente utile per i viaggi dalla costa occidentale, o, dall’Europa.
La Russia credeva che suddette basi fossero temporanee, ma anni dopo l’inizio della guerra gli
americani non mostrano segni di volerle lasciare; inoltre ci fu l’invasione dell’Iraq nonostante le
obiezioni russe. Gli Usa si sono arenati in quella che era, chiaramente già da allora, un’occupazione
a lunga durata.
Gli Usa erano, inoltre, fortemente coinvolti anche i n Ucraina e Georgia e stavano, così, costruendo
una grande presenza nell’intera Asia Centrale. Tutte queste azioni viste nel complesso sembrano
uno sforzo combinato per strangolare la Russia.
In particolare, la presenza degli Usa in Georgia potrebbe essere vista solo come una provocazione
intenzionale; in quanto la Georgia confina con la regione russa della Cecenia.
Come sappiamo la Cecenia è localizzata sull’estremo versante nord del Caucaso; la Russia già si
era già ritirata di ben 100 km rispetto alle sue frontiere originali in quelle montagne. Se i russi si
ritirassero ulteriormente, potrebbero essere intermente fuori dal Caucaso, in un territorio che è
difficile da difendere. Inoltre, un importante oleodotto (anche se al momento è in operativo in
seguito ad un sabotaggio ceceno) passa per Grozny, la capitale Cecena, e l’eventuale perdita
avrebbe un impatto significativo sulla strategia russa dell’esportazioni dell’energia.
Tornando agli anni ’90, i russi credevano che i georgiani stavano sostenendo un flusso di armi in
Cecenia, attraverso la regione Cecena: Pankisi George. In più, i russi credevano che gli Usa
avessero dei consulenti nelle forze speciali in Georgia, i quali stavano facendo del loro meglio per
non fermare tale traffico di armi, oppure, nel peggiore dei casi di favorirne lo sviluppo.
Gli Usa stavano cercando di costruire un’alleanza politica nella regione, specialmente in Georgia.
Gli Usa hanno ancora una potenza navale ed aerea in riserva ma, “sul campo” le sue forze sono
sfruttate in Iraq e Afghanistan.
La guerra in Iraq ha creato un vasto effetto politico: lo strappo che si è sviluppato fra Usa, Francia e
Germania sulla questione della guerra in Iraq; ed in generale l’antipatia europea verso
l’amministrazione Bush significava che la Germania, in particolare, era di gran lunga meno incline
di quanto fosse stata in precedenza nel sostenere gli americani sull’espansione della Nato, oppure,
per eventuali scontri con la Russia.
A ciò si aggiunge che i russi hanno reso i tedeschi dipendenti alla Russia per quanto concerne
l’approvvigionamento del gas naturale. Ne consegue che i tedeschi si trovavano nella posizione di
chiedere un confronto con i Russi.
Il 25 aprile 2005 Putin dichiarò che la caduta dell’Urss era la più grande catastrofe geopolitica del
secolo. Questa era la sua dichiarazione pubblica con la quale intendeva agire per invertire le
conseguenze di questa caduta.
In seguito alle guerre in Iraq ed Afghanistan la Russia perse la sua iniziale presenza schiacciante
nella regione; così, Putin spostò i suoi interessi per aumentare le capacità militari. Putin operò per
rafforzare il suo regime: aumentando i ricavi delle merci esportate; usò le capacità dell’intelligence
delle FSB (Federal Security Service) e SUR (Russian Foreign Intelligence Agency), eredi del KGB,
per individuare le figure chiave nell’ex- Urss.
Nell’agosto del 2008 il governo della Georgia, per ragioni ancora non del tutto chiare, attaccò
l’Ossezia del Sud (una parte della Georgia che si era staccata e che divenne, effettivamente,
indipendente dal 1990. Era alleata con la Russia). Putin, reagì come se si fosse aspettato l’attacco:
rispondendo nel giro di poche ore; sconfiggendo l’esercito georgiano ed occupando parte di questo
paese.
L’obiettivo dell’attacco era dimostrare che la Russia poteva ancora gestire il potere.
Putin aveva due finalità:
Dimostrare che l’esercito russo era ancora rilevante.
Dimostrare ai paesi dell’ex Urss che l’alleanza e le garanzie americane non avevano alcun
significato.
L’operazione russa sbalordì sia la Georgia che l’Europa Occidentale, ma risaltò anche l’indifferenza
degli europei e la mancanza di una risposta americana.
Seguì un “processo d’inversione” dei risultati conseguiti dall’ Orange Revolution in Ucraina,
portato avanti dai sostenitori russi e supportati dall’intelligence russa: così, nel 2010 le elezioni
rimpiazzarono il governo pro-occidentale con un uomo che la Orange Revolution aveva deposto.
Gli Usa hanno permesso ai russi di recuperare il loro equilibrio nella regione, e d’altro canto gli Usa
stavano perdendo il loro equilibrio strategico in Iraq. Nel momento stesso in cui gli Usa avevano
bisogno di concentrare il potere sulla periferia russa e rinchiudere la Russia col containment, gli Usa
avevano le proprie forze altrove, e le sue alleanze in Europa erano tr deboli per essere significative.
Così per evitare passi falsi ed ulteriori opportunità perse il Presidente Americano avrà bisogno di
adottare nuove e più consistenti strategie nel prossimo decennio.
Il riaffiora mento della Russia
Abbiamo visto che la strategia di Putin presta attenzione alla produzione energetica e alle
esportazioni; essa è uno strumento di breve termine che funziona solo se si sviluppa una maggiore
espansione economica. Per portare a termine il proprio obiettivo la Russia si è occupata delle sue
debolezze strutturali di fondo.
Queste ultime sono radicate nei problemi geografici che non sono facilmente superabili. A
differenza di gran parte del mondo industriale, la Russia ha una popolazione relativamente ridotta
rispetto la sua grandezza; quindi avremo una popolazione altamente dispersa legata, però, un
apparato di sicurezza e cultura comune. Perfino le grandi città come Mosca e San Pietroburgo non
sono giganti megalopoli; esse sono entità indipendenti e separate dalle altre da vaste distanze di
terreni coltivati e foreste.
Le infrastrutture che connettono le aree rurali alle città sono scarse, stesso discorso per le
infrastrutture che connettono i centri industriali a quelli commerciali. Il problema
dell’interconnessione deriva dal fatto che i fiumi russi vanno “nel modo sbagliato”; in quanto essi
creano semplicemente delle barriere.
La Russia ha sempre maneggiato una forza militare che ha superato la sua economia, ma non potrà
essere così per sempre. Essa dovrà concentrarsi su le cd. scadenze corte, cercando di creare strutture
durature, alcune nazionali ed altre estere, che insieme possano reggere anche a fronte delle
limitazioni economiche.
È già emergente la struttura interna riguardante: Russia, Bielorussia e Kazakistan. Questi tre paesi
hanno raggiunto un accordo sull’unione economica ed ora stanno discutendo di moneta comune.
Contemporaneamente Armenia, Kyrgyzstan e Tagikistan hanno mostrato un certo interesse ad
aderire al suddetto accordo; inoltre, la Russia ha proposto di far aderire anche l’Ucraina.
Tale relazione si svilupperà in una sorta di unione politica, proprio come l’UE, un allineamento che
andrà lontano ricreando le caratteristiche salienti dell’ex Urss.
Il bisogno russo di una struttura internazionale è, forse, più problematico. Esso parte con una
relazione con l’Europa, in particolare con la Germania.
Da una parte si vede il bisogno della Germania di accedere alle risorse naturali russe; dall’altra si
nota il bisogno dei russi di arrivare alla tecnologia, posseduta in abbondanza dai tedeschi.
La volontà ed il desiderio di sfruttare queste relazioni complementari saranno il cuore della strategia
russa nel prossimo decennio.
Concentrandosi sulla politica estera tedesca si evince che la Germania sta guidando le forze dell’Ue;
inoltre, essa ha un piccolo interesse nelle operazioni americane nel Middle East e non un qualsiasi
interesse per l’espansione della Nato sotto l’influenza americana. Essa vuole mantenere le distanze
dagli Usa e necessita di altre opzioni da parte dell’UE.
Per i tedeschi una più stretta cooperazione con la Russia non è una cattiva idea, mentre essa è
un’idea eccezionale dal punto di vista russo!
Putin, conosce abbastanza bene la Germania per capire quali sono le sue paure e le sfiducie nei
confronti della Russia.
La Russia deve convincere la Germania che può essere un partner fidato e non farà nulla per
interrompere le relazioni di Ue e Germania con la Russia.
In definitiva per avere qualche possibilità di manovra nei prossimi anni la Russia deve dividere gli
Usa dall’Europa e allo stesso tempo farà tutto il possibile per mantenere gli Usa arenati in Iraq,
Afghanistan e se sarà possibile anche Iran.
La guerra Usa-Jihadist allieva la Russia dal fardello del rapporto con l’esercito Americano e
attualmente rende gli Americani dipendenti dai russi proprio per il rapporto di cooperazione relativo
all’imposizione di sanzioni ai paesi come l’Iran.
I russi possono giocare un ruolo determinate per gli americani per sottrarre armi ai gruppi anti-
americani a paesi come Iran e Siria. Tutto ciò blocca gli Usa, e d’altronde l’unica cosa che
vogliono i Russi è proprio far rimanere gli americani impantanati nella guerra.
Da ciò si evincono due cose:
Questo è il prezzo che gli americani devono pagare per lo sfruttamento conseguente alla
guerra al terrore;
È un imperativo per gli Usa trovare una risposta effettiva all’islam radicale in aggiunta ad
una risposta effettiva ai russi.
Infine dobbiamo sempre tener a mente che dietro ogni mossa russa c’è un potenziale incubo
geopolitico per gli Americani.
La strategia americana
L’unione di Russia ed Europa creerebbe una forza la cui popolazione, tecnologia, capacità
industriale e risorse naturali sarebbero almeno pari agli Usa, anzi, in tutta probabilità superiori.
Durante il XX secolo gli Usa intervennero per tre volta per evitare l’intento russo-tedesco che
avrebbe potuto unificare l’Eurasia e minare gli interessi fondamentali americani.
1. 1917. La separazione pacifica della Russia con la Germania rivoltò l’ondata contro gli
Anglo-francesi nella I Guerra Mondiale
2. Durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli Usa sostennero gli inglesi ed i sovietici,
impedendo così la presa tedesca dei territori russi.
3. Nel 1944 gli Usa invasero l’Europa occidentale bloccando sia i tedeschi che i sovietici.
Infine dal ’45 al ’99 gli Usa dedicarono enormi risorse per impedire ai sovietici di dominare
l’Eurasia.
Secondo l’autore, la risposta all’intento russo-tedesco deve essere la stessa nei prossimi dieci anni;
così com’è stata nel XX secolo. Inoltre egli sottolinea che la sola presenza della potenza militare
russa, in Europa, cambierebbe il comportamento, stesso, dell’Europa.
La Germania è il “centro di gravità europeo” e se cambia la sua posizione gli altri paesi europei
dovranno spostarsi di conseguenza. Ne conseguirebbe uno spostamento dell’equilibrio dell’intera
regione.
La Russia sta ricostituendo e solidificando la sua “presa” sui paesi dell’ex Urss, tali relazioni
informali potrebbero essere l’inizio ed in seguito potrebbero solidificarsi in qualcosa di più
sostanziale.
Ciò potrebbe essere una ridefinizione storica delle relazioni Usa- Europa, un cambiamento
fondamentale non solo nella regione ma anche per il balance of power globale. I risultati sono
altamente imprevedibili.
Per l’autore è molto probabile una confederazione fra Russia e Bielorussia; ciò porterebbe l’esercito
russo ai confini d’Europa (effettivamente la Russia ha già un’alleanza militare con la Bielorussia).
Inoltre, bisogna aggiungere che l’Ucraina e le forze russe sarebbero ai confini della Romania,
Ungheria, Slovacchia, Polonia e Paesi Baltici (tutti ex paesi satelliti Russi) si ricreerebbe, di
conseguenza, l’impero russo (anche se in una forma istituzionale differente).
Alcuni degli ex paesi satellite della Russia sono più preoccupati degli Usa rispetto la Russia.
Considerano gli americani come dei competitori economici più che dei partner; li vedono come una
forza che li trascinerebbe in conflitti di cui non vogliono far parte.
I Russi, invece, sembrerebbero più sinergetici, dal punto di vista economico, con i paesi sviluppati
europei.
Mentre le nazioni europee vedono gli ex satelliti russi come dei “cuscinetti” fisici contro Mosca.
Sono una sorta di “garanzia” che permettono ad essi di lavorare con la Russia e di essere, al
contempo, al sicuro nella propria regione.
L’autore sottolinea che gli europei potrebbero diminuire la loro alleanza con gli americani
costruendone una nuova con i russi; avendo già i benefici di una cd. “strategia cuscinetto” come
protezione politica. Tutto ciò solleverebbe un profondo rischio per gli Usa ; ne consegue che il
Presidente Americano deve agire per contenere la Russia, ma egli non può aspettare la fine della
guerra Usa-Jihad. Deve agire immediatamente.
Se Germania e Russia continuassero a muoversi verso l’allineamento i paesi fra il Mar Baltico ed il
Mar Nero (chiamati Intermarium countries) diventerebbero indispensabili agli Usa per la politica
americana. Di tutti questi stati la Polonia è il più grande e quello con una migliore posizione
strategica.
Storicamente molti di questi paesi non erano indipendenti fino alla I guerra mondiale che portò al
collasso gli imperi : Austro-Ungarico, Russo, Ottomano e tedesco. Tali paesi erano: divisi,
assoggettati e sfruttati.
I cd. Intermaium countries ricordano le occupazioni, prima, dei nazisti, successivamente, dei
sovietici come occupazioni mostruose. Anche se i regimi tedesco e russo non sono più gli stessi, ed
oggi sono cambiati per i Paesi dell’Europa dell’Est l’occupazione non è un ricordo lontano. Il
ricordo dell’occupazione ha modellato il loro carattere nazionale e, secondo l’autore, continuerà a
modellare il loro comportamento nei prossimi dieci anni.
Tutto quanto detto sopra è particolarmente vero per la Polonia; la quale è stata, nel tempo,
assoggettata da Germania, Russia ed Austria.
Dopo la I Guerra Mondiale la Polonia divenne indipendente ma subito dopo dovette combattere una
guerra per prevenire l’invasione sovietica. Addirittura, 20 anni dopo i tedeschi ed i sovietici
invasero simultaneamente la Polonia in base ad un patto segreto che aveva solo questo come
oggetto.
Inoltre, durante la guerra fredda il comunismo era un vero e proprio incubo per i polacchi.
Essi hanno sofferto in modo indiretto per l’importanza strategica della loro localizzazione; anche gli
altri paesi dell’Europa dell’Est condividono il punto di vista polacco ma geograficamente, essi, sono
più sicuri in quanto si trovano dietro la catena montuosa dei Carpazi.
Da quanto detto sopra si evince che fra gli interessi americani troviamo quello di garantire
l’indipendenza della Polonia dalla Russia e dalla Germania, non solo formalmente; ma creando una
vitale e vibrante economia polacca ed anche un esercito polacco che possa servire come modello e
come guida al resto dei Paesi dell’Est.
La Polonia è definita, dall’autore, come “Pomo della Discordia” storico della Germania e della
Russia; ed è quindi nell’interesse americano assicurarsi che sia messa fermamente al sicuro.
Se la Polonia si schierasse con la Germania rappresenterebbe una minaccia per la Russia; ma è
anche vero il contrario. La Polonia deve rimanere una minaccia per entrambi perché gli Usa non
possono lasciare che l’uno o l’altro paese si sentano troppo sicuri.
Nel prossimo decennio la relazione degli americani con la Polonia avrà due funzioni:
Prevenire, o, limitare l’intento russo-tedesco;
Se fallisse quanto detto sopra, si creerebbe un contro bilanciamento.
Per i polacchi l’alleanza con gli americani servirebbe a proteggerli dai suoi confinanti; ma qui sorge
un problema: la mentalità nazionale polacca è stata influenzata dal fallimento di RU e Francia di
difendere la Polonia contro la Germania all’inizio della II Guerra Mondiale nonostante le molte
garanzie. Conseguenza: l’ipersensibilità polacca al tradimento favorirà il preferire di “sistemazioni”
con i poteri ostili per le alleanze con partner inaffidabili.
Per questa ragione il Presidente americano deve evitare, secondo l’autore, un tentativo esitante o
apparente nel suo approccio.
Quando l’amministrazione di G. W. Bush partì per creare una base missilistica in difesa del sistema
per i paesi dell’Europa dell’Est gli Usa si misero al riparo.
Gli americani decisero di costruire un sistema che avrebbe dovuto difenderli contro un piccolo
numero di missili lanciati da cd. paesi canaglia, in particolare l’Iran.
Fu programmato di piazzare il sistema radar nella Repubblica Ceca e, dopo aver messo appunto il
piano, installare i missili in Polonia. Inoltre gli americani avrebbero inviato in Polonia sofisticate
armi come ad esempio gli aerei F-16 ed i Missili Patriot.
Il sistema missilistico poteva essere localizzato ovunque; allora, perché posizionarlo in Polonia?
Per chiarire che la Polonia è essenziale agli interessi strategici americani e per intensificare la
cooperazione Usa-Polonia all’esterno del contesto Nato.
Tutto ciò è stato capito dai russi che hanno cercato di fare di tutto per impedirne la realizzazione:
collocando dei missili in Polonia.
La questione era prettamente sul fatto che gli Usa si stavano posizionando sul suolo polacco, quindi,
in un sistema strategico. È ovvio che un sistema strategico deve essere difeso, ed i russi capirono
che il Sistema BMD era solo l’inizio di un significativo impegno americano in Polonia.
Quando s’insediò l’amministrazione Obama, il suo leader dichiarò di voler ripristinare le buone
relazioni con i russi. Dal canto loro i russi chiarirono che non volevano tornare ai tempi delle ostilità
della guerra fredda; le cose sarebbero potute andare avanti se il sistema BMD fosse stato ritirato
dalla Polonia. Ma i polacchi, ormai, consideravano il sistema BMD come il simbolo delll’impegno
americano in Polonia.
Anche se il sistema BMD non solo non proteggeva la Polonia; ma ne poteva, addirittura, fare un
bersaglio. Ma non dobbiamo dimenticare di quanto i polacchi fossero sensibili al tradimento e
quindi essi volevano una relazione con Washington.
Quando Obama decise di spostare il sistema BMD dalla Polonia, essi furono in prenda al panico;
poiché credettero che gli Usa stessero facendo un patto con i russi.
In realtà gli Usa non avevano cambiato la loro strategia, e\o posizione nei confronti della Polonia.
Ma essi erano convinti di ciò.
Secondo l’autore: se i polacchi credessero che c’era stato una concessione nelle negoziazioni (sulla
Polonia) per raggiungere un determinato accordo, diverrebbero inaffidabili. In questo modo gli Usa
potrebbero “farla franca” nei confronti della Polonia tradendo una sola volta.
Ma tale strategia sarebbe stata contemplata solo se avesse fornito vantaggi schiaccianti.
Le condizioni dei Paesi Baltici è una questione differente. Essi rappresentano un magnifico esempio
di “capacità offensiva” per gli Usa: sono una vera e propria “baionetta” puntata contro San
Pietroburgo. Il confine est dei Paesi Baltici è a solo 100 miglia da Misk la capitale della Bielorussia.
Ovviamente, gli Usa non hanno la forza, o, l’interesse di invadere la Russia; e dato che la posizione
geografica americana è strategicamente aggressiva e tatticamente difensiva i baltici diventano un
vincolo. Quindi i Baltici restano una risorsa ma potrebbero essere troppo costosi da mantenere.
Il Presidente Usa deve apparire dedito completamento ai Baltici in modo da dissuadere i russi.
Ma date le preoccupazioni polacche concernenti questa mossa, essa dovrebbe essere ritardata il più
possibile secondo l’autore.
Ma i russi saranno consci di tutto ciò e probabilmente presseranno proprio per portare l’attenzione
sui Baltici: il più presto possibile. Tale questione diventerà un chiaro punto di attrito.
Bisogna sottolineare che qualunque cosa accada in Germania è di estrema importanza per gli Usa
mantenere un stretta relazione con:
la Danimarca (le cui acque bloccano le uscite del Mar Baltico);
la Norvegia (Capo Nord fornisce i servizi per bloccare la flotta russa a Musmansk)
l’Islanda (ha un’eccellente flotta da cui gli americani possono partire alla ricerca di
sottomarini russi).
La restante parte della frontiera della Russia è costituita dalla catena montuosa dei Carpazi; dietro la
quale sono situati la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania.
Sono evidenti gli ostacoli che i Carpazi presentano per un eventuale invasore; è per questo che la
capacità militare è minima. Questi paesi sono meno a rischio rispetto la Polonia. Essendo più liberi
di manovrare sarà presente un maggiore grado di complessità politica.
Fintanto che i russi non si muovono da al di là dei Carpazi ed i tedeschi non ostacolino questi paesi
per completare la dipendenza economica; gli Usa possono gestire la situazione con una semplice
strategia:
1. rinforzare queste economie e le forze armate, rendendo vantaggioso restare a favore degli
americani;
2. aspettare:
Non fare nulla per provocare i russi nella loro sfera d’influenza;
Non fare nulla per sabotare le relazioni economiche russe con il resto d’Europa;
Non fare nulla per far preoccupare il resto degli europei che gli Usa li possa trascinare
in una nuova guerra.
Nel Caucaso, attualmente, gli Usa sono alleati con la Georgia (un paese sotto la pressione Russa
e la cui politica interna nel lungo periodo resta imprevedibile).
Anche l’Armenia e l’Arzerbaijan sono paesi problematici. Sono ex alleati turchi ed il secondo è
più vicino alla Turchia; perché delle storiche ostilità della Turchia, sappiamo che l’Armenia è
sempre più vicina alla Russia. È evidente di come l’Arzerbaijan tenti un bilanciamento fra
Turchia, Russia ed Iran.
Come abbiamo già detto uno dei pensieri degli Usa è picchettare una posizione in Polonia; ma
restando impegnati in Georgia.
È stata la sconfitta in Georgia, sotto forma di un governo filo-russo che avrebbe chiesto ai
consulenti e alle forze Usa di lasciare il paese; tutto ciò non svelerebbe solo la posizione
americana nel Caucaso ma si creerebbe una crisi di fiducia in Polonia. La situazione nel
Caucaso può essere gestita solo dai turchi.
Mentre i confini russi si muovono verso nord (scoprendo i tre stati: Armenia, Arzerbaijan e
Georgia; i confini turchi sono rimasti stabili.
L’autore afferma che l’unico risultato disastroso sarebbe un’occupazione russa della Turchia, la
quale è inconcepibile; oppure, un’alleanza russo-turca che è più realisticamente pericolosa.
Storicamente Turchia e Russia sono state entrambe rivali, in quanto, competevano entrambe nei
Balcani e nel Caucaso.
Il Bosforo è considerato dai russi come una porta verso il Mediterraneo; l’autore ammette la
possibilità che i Turchi possano collaborare con i russi nel prossimo decennio, data la
dipendenza dal petrolio russo. Ma comunque l’autore precisa che l’idea che la Turchia possa
cambiare i suoi confini nel Caucaso verso sud, oppure, abbandoni il Bosforo sia fuori
discussione.
La Turchia è necessaria agli interessi americani in relazione alla Russia; e poiché l’unico
interesse specifico dell’America è quello di contenere la Russia, ne consegue che un enorme
contenimento americano alla Georgia abbia poco senso. L’autore, sulla questione, conclude che:
“la strategia americana in Georgia dovrebbe essere eliminata; gestendo la loro esposizione in
maniera più attenta e riconoscendo che la Georgia rappresenti più un vincolo che un
vantaggio”.
L’autore prevede che nel prossimo decennio ci sarà la possibilità per gli Usa di staccarsi dalla
Georgia e dal Caucaso senza causare particolari problemi psicologici alla sua nuova coalizione.
Ma probabilmente abbandonando la Georgia si creerebbe un’incertezza psicologica in Polonia e
nei cd. Intermarium Countries che potrebbe portare, a questi paesi, a riconsiderare la loro
posizione.
Aspettare per un confronto fra Polonia e Russia aumenterebbe, semplicemente, le tensioni; per
questo bisogna tener presente che ripensando al “caso Georgia” si avrebbero 4 vantaggi:
1. La Georgia può dare il tempo agli Usa di stabilizzare psicologicamente gli “Intermarium
Countries”;
2. è chiaro che tutti questi movimenti statunitensi sono fatti solo per ragioni statunitensi e
non in seguito a pressioni russe;
3. si dimostrerà ai turchi che gli Usa possono cambiare la loro posizione; ne consegue che
la Turchia dovrà essere più cauta;
4. gli Usa possono intercedere per i russi chiedendo concessioni in Asia Centrale (si
determinerebbe un cambio di marcia nel Caucaso)
Ma come mette in evidenza l’autore: fino a quando gli americani combatteranno ancora in
Afghanistan è necessario un accesso assoluto ai paesi vicini, soprattutto, per un sostegno logistico.
Inoltre, le compagnie petrolifere americane hanno, anche, bisogno di un accesso al petrolio e ai
depositi di gas naturale in Asia Centrale .
Gli Usa stanno lasciando l’Afghanistan e nel lungo periodo, secondo l’autore, gli Usa non potranno
essere una forza dominante nella regione. La geografia esclude un dominio americano; e la Russia
sa tutto ciò.
Bisogna sottolineare che la Georgia è un territorio di “poca importanza” per gli Usa; mentre è di
grande importanza per i Russi, in quanto garantisce la sua sicurezza per la frontiera sud. Da una
parte, vediamo, i russi che sarebbero pronti a pagare un prezzo considerevole per la Georgia;
dall’altro si nota la volontà degli Usa di uscire volontariamente e quanto prima dalla Georgia ma a
ciò dovrà seguire un prezzo.
Tale prezzo non sarebbe soddisfatto con le armi in Iran e per aderire all’effettiva sanzione nei
confronti di suddetto regime. Ma se l’apertura Usa verso l’Iran fallisse gli Usa potranno domandare
alla Russia la sospensione della spedizione delle armi nella regione, in particolare, in Siria.
Se tale accordo avvenisse contemporaneamente all’apertura verso l’Iran conferirebbe un’apertura di
peso maggiore.
Di conseguenza: gli Usa potrebbero guadagnare tempo in Polonia per costruire, in quel paese, i
vantaggi degli americani. Inoltre, la Georgia, considerata come un punto di appoggio Usa nel
Caucaso, è molto meno conveniente rispetto l’Arzerbaijan. Quest’ultimo confina sia con la Russia
che con l’Iran; inoltre, mantiene chiuse le relazioni con la Turchia ed è, infine, una maggiore fonte
di petrolio.
Mentre, l’Armenia è un alleato russo e la Georgia manca di una solida base economica.
L’Arzerbaijan, d’altro canto, ha risorse economiche e può essere una piattaforma per le operazioni
americane.
Secondo l’autore nel prossimo decennio ci sarà bisogno di una strategia di ritiro ed una di
riallineamento. L’autore, suggerisce agli americani di convincere i russi che il loro ritiro sia:
facoltativo, programmato e soprattutto reversibile. Ciò, in un certo senso, è un bluff ma un buon
presidente, ha bisogno di essere in grado di bluffare,ma anche, di saper giustificare un tradimento.
Come gestire la Russia
La Russia non rappresenta una minaccia alla posizione globale dell’America. Ciò che porterebbe
alle più significative minacce del decennio è la, mera, possibilità che la Russia collabori con
l’Europa, in particolare, con la Germania. Nel lungo periodo questa minaccia deve essere stroncata
sul nascere.
Gli Usa non possono aspettarsi che la Germania giochi lo stesso ruolo che svolgeva al tempo della
Guerra Fredda; di conseguenza, nel prossimo decennio, gli Usa dovranno lavorare per far diventare
la Polonia cosa era la Germania negli anni ’50.
Ciò non è l’anticipazione di una nuova Guerra Fredda. I due paesi potrebbero collaborare nell’Asia
Centrale e nel Caucaso; e, contemporaneamente, confrontandosi in Polonia e nei Carpazi.
Alla fine, i russi sono in difficoltà e non possono sostenere un loro ruolo negli affari internazionali.
La loro economia dipende dall’esportazione di materie prime, che, però non costruisce una solida
economia. Inoltre la Russia presenta altre questioni: la popolazione è in grave declino e la sua
struttura geografica è invariata.
Infine, secondo l’autore, per questo decennio la minaccia di una cooperazione Russia-Europa
continuerà ad essere una possibilità. Essa preoccuperà il Presidente americano, il quale, tenterà di
ripristinare l’equilibrio degli Usa nella strategia globale.
Capitolo 9
Il ritorno dell'Europa alla storia
L'Europa contemporanea è alla ricerca di un uscita dall'inferno. La prima metà del ventesimo secolo
fu un macello, da Verdun ad Auschwitz. La seconda metà fu vissuta sotto la minaccia di una guerra
nucleare US-URSS sul suolo europeo. Esausta da sangue ed agitazioni, l'Europa iniziò ad
immaginare un mondo dove i conflitti fossero economici, e gestiti dei politici a Brussels. Si iniziò
anche a parlare di "fine della storia", nel senso che tutti i conflitti Hegeliani di ideologie fossero
risolti. I 20 anni seguenti al crollo dell'URSS gli apparve come se avessero trovato la loro utopia,
ma ora il futuro era molto meno certo. Guardando ai prossimi 10 anni, io non vedo un ritorno a
trincee o campi di concentramento, ma vedo il crescere di tensioni geopolitiche nel continente, e
con loro radici di conflitti piu seri.
Due problemi costituiscono il dilemma europeo per la prossima ddecade.Il primo è definire il tipo
di relazione che l'Europa avrà con una Russia in fase di ripresa.Il secondo è determinare il ruolo che
avrà la Germania, che è l'economia più dinamica del continente. Il paradosso della Russia- debole
economicamente ma forte militarmente- persisterà, cosi come il dinamismo della Germania. Il resto
degli stati europei devono definire le loro relazioni con queste due potenze come prerequisito per
definire i rapporti che avranno fra loro. Questo processo porterà all'emergere di una Europa molto
differente nel prossimo decennio, il che rappresenterà una sfide importante per gli Stati Uniti. Per
capire cosa bisogna che sia fatto dalla prospettiva della politica statunitense, dobbiamo prima
considerare la storia che ha portato a questa congiuntura.
L'Europa è sempre stata un posto di sangue. Dopo il 1492, quando le nuove scoperte alimentarono
la competizione per imperi estesi, il continente ospitò una lotta per il dominio del mondo che
coinvolse Spagna, Portogallo, Francia, Paesi Bassi e Inghilterra, paesi che confinavano o con
l'oceano atlantico o con il mar del Nord. L'Austria-Ungheria e la Russia furono lasciate fuori dal
contesto degli immperi coloniali, mentre Germania e Italia rimasero ammassi di principati feudali,
frammentati ed impotenti.
Per i due secoli successivi, l'Europa consisteva di quattro regioni -Europa atlantica, Scandinavia,
Europa sudorientale e Russia- con una zona cuscinetto al centro che andava dalla Danimarca alla
Sicilia. Questa zona centrale era frammentata in minuscoli regni e ducati, incapaci di difendersi ma
importanti per mantere la stabilità in Europa.
Poi Napoleone ridefini l'Europa. Quando si diresse a est verso la Germania e a sud verso l'Italia,
ruppe il coplesso bilanciamento che esisteva in queste due imminenti nazioni. Peggio, dal suo punto
di vista, egli galvanizzò la Prussia, spingendola a diventare una delle maggiori potenze europee.
Infatti fu la Prussia, che piu degli altri, progettò la sconfitta di Napoleone alla battaglia di Waterloo.
Mezzo secolo piu tardi, dopo una breve e vittoriosa guerra con la Francia nel 1871, la Prussia si uni
al resto della Germania in uno stato compatto. Anche l'unificazione dell'Italia avvenne nello stesso
periodo.
Improvvisamente ci fu una nuova realtà geopolitica dal mar del nord fino al Mediterraneo. La
Germania fu particolarmente insidiosa, per la sua enomre produzione e per la sua rapida crescita,
ma anche per la sua geografia che la rendeza profondamente insicura. La storia ha posizionato la
Germania a nord della pianura europea, un area con alcuni fiumi che servirono per difendersi, ma
con alcune delle parti piu produttive di questo stato-nazione sulla sponda opposta del Reno,
completamente senza protezione. Ad ovest c'era la Francia. Ad est la Russia. Entrambe avevano
tratto vantaggio dai secoli in cui la Germania era debole e frammentata, ma ora c'era una Germania
combattiva, economicamente la nazione piu dinamica del continente, con una grande forza militare
e un grande senso di insicurezza.
La Germania a sua volta era spaventata dalla paura dei suoi vicini. I leader tedeschi sapevano che
la loro nazione non avrebbe potuto resistere se fosse stata attaccata simultaneamente da Francia e
Russia. Loro credevano anche che questo momento sarebbe arrivato perchè capivano quanto
apparivano intimidanti ai propri vicini. La Germania non avrebbe permesse che Russia e Francia
iniziassero una guerra scegliendo loro modi e tempi cosi, guidata dalla sua stessa paura, ideò una
strategia di prevenzione e alleanze.
L'Europa del ventesimo secolo fu definita da queste paure imposte dalla geografia. Gli Europei
provarono cosi ad abolire le conseguenze della geografia eliminando il nazionalismo ma, come
avevano gia potuto vedere, il nazionalismo non è facile da sopprimere e la geografia deve avere il
suo dazio. Questi problemi rimangono particolarmente impellenti nel caso della Germania che,
ancora una volta, è il motore economico dell'Europa, profondamente insicura e circondata da
nazioni con interessi potenzialmete divergenti. La domanda che segue è se la logica geopolitica che
ha portato alle guerre del passato avrà lo stesso risultato o se, negli anni avvenire, l'Europa può
passare la prova di gentilezza che ha fallito cosi tanto prima.
Entrambe le guerre mondiali iniziarono con lo stesso scenario: la Germania, insicura per la sua
posizione geografica, spazzò via la Francia con un attacco lampo. L'obiettivo in entrambi i casi era
distruggere rapidamente la Francia e procedere con la Russia. Nel 1914, la Germania non riusci' a
distruggere rapidamente la Francia, e il conflitto si protrasse. La Germania si trovò a combattere
simultaneamente Gran Bretagna, Francia e Russia, sia ad est che ad ovest. Nello stesso momento
che la rivoluzione bolscevica fece ritirare la Russia dal conflitto, facendo cosi prospettare una
vittoria per la Germania, gli USA univiarono le loro truppe in Europa, bloccando le ambizioni
tedesche.
Nel 1940 la Germania riusci' a sopraffare la Francia, solo per scprire in seguito che ancora non
poteva sconfiggere l' Unione Sovietica.
La Germania usci' dalla seconda guerra mondiale umiliata dalla sconfitta ma anche moralmete a
cause delle barbarie senza precedenti che avevano commesso, senza nessun motivo geopolitico. La
Germania fu divisa ed occupata dai vincitori.
La Germania fu fisicamente devastata ma le sue azioni distrussero qualcosa di molto piu
importante. L'Europa daominò il mondo per 500 anni. Prima dell'ondata di autodistruzione
cominciata nel 1914, l'Europa controllava direttamente vaste aree dell'Africa e dell'Asia e
indirrettamente buona parte del pianeta.
La guerra che segui alla creazione della Germania, distrusse questo imparo. In aggiunta il macello
delle due guerre distrusse generazioni di lavoratori e straordinari capitali, il che lasciò l'Europa
esausta. Il suo impero si dissolse in frammenti contesi dalle uniche due potenze che emersero dal
conflitto, USA e URSS.
L'Europa passò dall'essere il centro di un impero mondiale ad essere un possibil ecampo di
battaglia per una eventuale terza guerra mondiale. Durante la guerra fredda ci fu la paura che i
sovietici, che stavano marciando nel cuore della Germania, avrebbero potuto impadronirsi del resto
del continente. Per l'Europa occidentale il pericolo era ovvio. Per gli stati uniti, la minaccia
maggiore era che la manodopera e le risorse sovietica potevano essere unite alle industrie e alla
tecnologia europea per creare una potenza maggiore degli USA. Impauriti della minaccia ai propri
interessi, gli USA contennero l'URSS nella propria periferia, inclusa l'Europa.
Due temi convergenti determinarono lo scenario dei dieci anni successivi. Il primo era il ruolo della
Germania in Europa, che sin dall'unificazione era stato causa di guerre. Il secondo fu il
ridimensionamento della potenzaz europea. Alla fine degli anni '60 nessune paese, tranne l'Unione
Sovietica, era veramente globale. Tutti gli altri furono ridotti a potenze regionali, in una regione
dove il loro potere collettivo era rimpicciolito da quello di USA e URSS. Se la Germania aveva
trovato un nuovo posto in Europa, l'Europa doveva trovare un nuovo posto nel mondo.
Le due guerre mondiali e il drammatico ridimensionamento che ne segui, ebbe un profondo ipatto
psicologico sull'europa. La Germania entrò in un periodo di profondo odio verso se stessa, e
l'Europa sembrò avere nostalgia per il perduto impero coloniale. Alla stanchezza europea segui' la
debolezza, ma qualche traccia dello status di grande potenza rimase, simboleggiata dai seggi
permanenti al consiglio di sicurezza dell'ONU di Francia e Gran Bretagna, e il possesso di armi
nucleari da parte di alcune nazioni.
Per l'Europa dopotutto l'integrazione fu una conclusione scontata-in un senso imposta dalla
minaccia sovietica in un altro dalle pressioni degli Stati Uniti. La strategia americana per difendersi
dai sovietici fu di organizzare i suoi alleati europei in modo che fossero stati in grado di difendersi
da soli. Le armi nucleari comunque, sarebbero state sotto il controllo Americano. Le forze
convenzionali sarebbro state organizzate in un comando congiunto all'interno della NATO. Questa
organizzazione creò una forza unificata di difesa europea, di fatto, controllata dagli USA.
Gli americani hanno anche investito nella prosperità europea. Attraverso il piano Marshall e altri
meccanismi, gli USA crearono un ambiente favorevole per far rinascere l'economia europe e anche
per creare una capacità militare europea. La prosperità maggiore fu generata dall'associazione con
gli Stati Uniti. Il grande contrasto che c'era tra le condizioni di vita nel blocco sovietico e
nell'Europa occidentale creò agitazione nei paesi dell'est. Gli Stati Uniti credevano ideologicamente
e praticamente nel libero commercio, ma piu che questo, volevano vedere un integrazione tra le
economie dei paesi europei, per entrambi i loro obiettivi e per legare insieme aleeati potenzialmente
litigiosi tra loro.
Gli Americani vedevano l'unione economica europea come un conrafforte per la Nato. Gli europei
la vedevano non solo come un modo per evitare nuove guerre, ma anche come un posto per
ritrovare una collocazione nella scenario mondiale che le aveva ridotte, al meglio, a potenze
regionali. Potere, se poteva essere riacquistato, era all'interno di qualche sorta di federazione. Era
l'unico modo per creare un bilanciamento tra l'Europa e le due superpotenze. Una federazione
avrebbe anche risolto il problema della Germania, la cui macchina economica avrebbe fatto parte di
un sistema europeo. Uno dei problemi per i prossimi dieci anni sarà se gli USA continueranno a
vedere l'Europa allo stesso modo.
Nel 1992 il Trattato di Maastricht stabili l'Unione Europea, ma il concetto fu quello di un vecchio
sogno europeo. I suoi antecedenti erano dell'inizio degli anni '50, come la CECA, di cui i leadr ne
parlavano anche allora come di un passo per la fondazione di una Federazione Europea.
Anche se è una coincidenza, è importante notare che l'idea della UE, nata durante la Guerra Fredda
emerge proprio in risposta della fine di queta. In occidente, la travolgente presenza della NATO, e il
suo controllo sulla difesa e la politica estera si allentò drasticamente. In oriente, il collasso
dell'URSS fece uscire dall'ombra molti stati sovrani. E' a questo punto che l'Europa riacquistò la
sovranità perduta, ma ora sta lottando per definirla.
L'UE fu immaginata per raggiungere due scopi. Il primo era integrare l'Europa occidentale in una
federazione limitata, per risolvere il problema della Germania, legandola con la Francia, limitando
cosi il rischio di guerre. Il secondo era la creazione di un veicolo per la reintegrazione dell'europa
dell'est in una comunità europea. L'UE diventò da una istituzione creata durante la guerra fredda per
aiutare i paesi dell'Europa occidentale a gestirne le tensioni, a un istituzione disegnata per unire
insieme le due parti dell'europa. In oltre, era vista come un mezzo per far recuperare all'Europa un
posto primario nello scenario globale. Ed è in questa ambizione che l'europa ha delle difficoltà.
La crisi della UE
Alla fine del XVII secolo, quando 13 colonie si liberarono dalla Gran Bretagna, formarono una
confederazione nord americana, come soluzione pratica problemi politici ed economici. Ma gli Stati
Uniti d'America erano visti anche come una missione morale dedicata alle piu alte verità, inclusa
l'idea che 'tutti gli uomini sono creaati uguali e sono stati dotati dal creatore di alcuni diritti
inalienabili'. Gli Stati Uniti erano anche radicati all'idea che con i benefici di una società liberale
sarebbero arrivati rischi e obblighi. Come disse Franklin "Coloro che possono rinunciare alla loro
libertà essenziale per ottenere una piccola sicurezza temporanea, non meritano nessuna libertà o
sicurezza". Negli Stati Uniti, i temi del conforto materiale e lo scopo morale andavano mano nella
mano.
Gli Stati Uniti furono creati come una federazione di stati liberi, con lingua comune e condivisa ma
profondamente differenti in altri modi. Quando queste differenze portarono alla secessione, molti
degli stati rimasti negli Stati Uniti condussero una guerra per preservare l'unione. La disponibilità al
sacrificio non sarebbe stato possibile se gli Stati Uniti non fossero stati visti anche come un progetto
morale, pratico e giusto.
Nell'Unione Europea, invece, il modello confederale è ancora in auge, e ogni stato-nazione
mantiene la sua sovranità. Anche a livello delle sue premesse di base, la UE fissa severi limiti ai
suoi crediti sull'autorità e ai suoi diritti al comando. Questa unione è ancora sconosciuta, in quanto
non tutta l'Europa è parte di essa. Non c'è una politica di difesa comune, e meno ancora un esercito
europeo. Inoltre, ciascuna delle nazioni costituenti ha una sua storia, un unica identità, e un rapporto
individuale con l'idea di sacrificio. L'autorità militare per agire internozionalmente, una parte
indispensabile del potere globale, è ancora mantenuta dai singoli stati. La UE rimane una relazione
esclusiva, creata per la convenienza dei suoi membri, e se diventa conveniente, le nazioni la
possono lasciare. Non c'è nessun impedimento alla rescissione.
Fondamentalmente l'UE è un unione economica e l'economia, a differenza della difesa, è uno
strumento per massimizzare la prosperità. Questa limitazione significa che, sacrificare la sicurezza
per uno scopo piu alto è una contraddizione in termini, perchè l'UE ha confuso sicurezza e
benessere come suoi scopi morali. Semplicemente non c'è una base per l'ispirazione teorica che
potrebbe spingere qualcuno a combattere o morire per lUnione Europea.
Guardando avanti al prossimo decennio, la delicata'balance of power' creata per contenere la
Germania, sta andando in pezzi, non perchè lo voglia la Germania, ma perchè le circostanze sono
drammaticamente cambiate.
La dissoluzione è partita durante la crisi finanziaria del 2008. La Germania è sempre stata una delle
principali economie fin dagli anni '60, quando la porzione occidentale emerse con successo dalla
devastazione della II guerra mondiale. Il collasso del comunismo del 1989, forzò il prospero
occidente ad assimilare il povero oriente, Anche se questo fu doloroso, nel decennio successivo la
Germania assorbi' la sua rimanenza povera e rimase il paese piu forte d'Europa, inserita negli
accordi politici ed economici della UE. La Germania era la sua principale potenza, e lo è ancora.
Essa non ha appetiti di ulteriori dominio, ne bisogno di ciò.
Quando la crisi finanziaria colpi', la Germania soffri', come fecero anche gli altri, ma la sua
economia era abbastanza robusta da reggere il colpo. La prima ondata di devastazione fu molto
severa nell'Europa orientale. Il sistema bancario era stato creato o acquisito dai paesi dell'europa
occidentale. In repubblica ceca, il 96% del sistema bancario era controllato da altri paesi
dell'Europa occidentale. Dato che l'UE ha accettato molti di questi paesi, ci sembrava che non c'era
motivo per essere agitati. Sebbene questi paesi fossero parte dell'UE, avevano ancora le loro valute.
Queste valute, oltre a essere piu deboli dell'euro, avevano anche tassi di interesse piu alti.
Banche in altri paesi UE possedevano molte banche dei paesi dell'est. Queste banche in Europa
occidentale erano sotto la sorveglianza della BCE e il sistema bancario UE. I paesi dell'europa
orientale erano in una posizione strana, non possedendo il sistema bancario interno. Invece di essere
sorvegliate dai loro governi, queste banche erano supervisionate dalla UE. Una nazione che non
controllo il proprio sistema finanziario, sta perdendo la sua sovranità. E questo sarà un problema per
l'UE. I membri piu forti, come la Germania, hanno mantenuto la loro sovranità durante la crisi
finanziaria, mentre le nazioni piu deboli l'hanno vista declinare. Questo squilibrio avrà conseguenze
sul decennio avvenire.
Dato che l'UE era una singola entità economica, e dato che i paesi dell'est avevano poche risorse e
limitato controllo delle proprie banche, l'aspettativa era che i paesi piu sani dell'UE avessero aiutato
le banche dell'est. Questa era una speranza non solo per l'est, ma per tutti i paesi europei che
avevano investito li. La Germania era l'economia piu forte, cosi ci si aspettava che prendesse il
comando.
Ma la Germania lo evitò. Non volle stottoscrivere il rischio dell'est europa. C'erano troppi soldi in
ballo, e la Germania non voleva addossarsi il carico. Invece, i tedeschi, incoraggiarono gli europei
orientali ad andare all'FMI per un piano di salvataggio. Questo avrebbe ridotto il carico della
Germania e dei paesi europei, dividendo la loro responsabilità con gli americani e il resto dell'FMI.
La crisi del 2008 ha sottolineato quanto l'Europa sia lontana dall'agire come un paese unico.
Questo ha attirato l'attenzione anche su un altro fatto, la Germania è la prima 'decision-maker' in
Europa.
Ma le increspature finanziarie non finirono qui. Come la recessione colpi' l'Europa, le entrate delle
tasse caddero e l'indebitamento per i servizi sociali crebbe. A chi usava l'euro, mancavano gli
strumenti per risolvere questo tipo di problemi. Per esempio, una svalutazione avrebbe reso le
importazioni piu costose e le esportazioni piu economiche, rendendole piu competitive. Questo
avrebbe fatto male al consumo ma avrebbe aiutato a creare posti di lavoro e incrementare l'entrata
delle tasse. Aggiustare il prezzo della moneta, è un meccanismo centrale per controllare la
recessione, ma paesi come la Grecia non possono farlo; loro nemmeno hanno una propria moneta.
Questa asimmetria di potere ha trasformato l'UE in un campo di battaglia. La Germania non voleva
responsabilità per il salvataggio dei paesi piu deboli, ma i paesi piu deboli non avevano il pieno
controllo delle loro economie cosi non potevano controllare il loro destino. La questione è se l'UE,
specialmente vista la storia d'Europa, può resistere a questa forza centrifuga. La risposta risiede in
parte nel se la Germania sceglie di farlo.
L'euro è usato da paesi in differenti fasi economiche, e la moneta che può aiutarne uno, non
necessariamente ne aiuta un altro. Ovviamente la BCE è piu preoccupata dalle condizioni
dell'economia tedesca, che di quella dei piccoli paesi, e questo condiziona la vallutazione delle
decisioni.
Dalla sua fondazione nel 1993 al 2008, l'UE godette di un periodo di prosperità senza precedenti, e
per un po, questa prosperità nascose tutti i problemi irrisolti. La misura di un entità politica si vede
da come questa affronta le avversità, e con la crisi del 2008, tutti i problemi riemersero, e con loro il
nazionalismo che la federazione avrebbe dovuto seppellire. La maggioranza dei tedeschi si oppose
all'aiutare la Grecia. La maggioranza dei Greci, preferi' la bancarotta pittusto che sottomettersi alle
condizioni della UE, che loro vedevano come le condizioni della Germania. La situazione si calmò
con l'alleggerirsi della crisi.
L'Unione Europea non scomparirà, di certo non nei prossimi dieci anni. E' stata fondata come una
zona di libero commercio e rimarrà tale. Ma non diverrà uno stato mutlinazionale che può essere il
principale attore sullo scenario mondiale. Non c'è abbastanza interesse comune tra le nazioni per
condividere la potenza militare, e senza potenza militare l'Europa non ha ciò che io chiamo 'deep
power'. Gli europei combattevano tra la sovranità nazionale ed una soluzione comune alla crisi. La
sfida che la finanza ha posto agli europei uniti blocca una maggiore integrazione militare.
Attualmente c'è una burocrazia europea ma non uno stato europeo.
D'altra parte, non è chiaro a tutti che molti dei comandi economici che ha l'UE, sopravviveranno al
decennio. Come scoprirono i paesi piu piccoli, questi comandi li mettono in una posizione
svantaggiata. Questi sono gestiti da un controllo che è nelle mani dei grandi stati. Per i cittadini dei
grandi stati, lavorare per aiutare gli altri paesi ad uscire dalle difficoltà è molto duro. Svalutare la
moneta è il modo piu semplice per rendere economiche le esportazioni e costose le importazioni,
migliorando cosi l'economia. Ma ancora una volta, la Grecia per esempio, non ha la possibilità di
fare questa scelta.
Nei prossimi anni, seri vincoli economici persisteranno senza alcun dubbio. Lo stento non sarà
senza precedenti o ingovernabile, ma rimarrà un fattore che porrà diversi problemi a diverse
nazioni. Di certo, la tensione economica guiderà il cuneo tra le nazioni e ci si inerrogherà sui
benefici delle singole valute. Io non ho dubbi che l'UE sopravvierà ma sarei molto sorpreso se
alcuni membri dell'eurozone non si staccassero.
Noi abbiamo già visto l'acqua alta marcare l'integrazione europea. Come la marea si ritira nei
prossimi dieci anni, ciò che sarà esposto piu di tutto è il potere della Germania.
IL RIEMERGERE DELLA GERMANIA
La Germania nacque da una guerra con la Francia, e fu divisa a metà dopo l'invasione della Francia.
La suoa soluzione per il dopoguerra fu di unirsi economicamente con la Francia e divenire un nuovo
asse europeo. Ma mentre l'impulso militare tedesco sembra essere messo da parte, il problema delle
dinamiche di potere persiste. Se Francia e Germania stanno insieme, loro restano il centro di gravitè
della UE. Ma se si scontrano la collisione, distrugge la fabbrica Europa, lasciando che le nazioni
federate si stacchino e trovino nuove configurazioni.
Sto lasciando fuori la Gran Bretagna da questo discorso per ragioni storiche e geografiche e
economiche. La Manica ha sempre permesso agli inglesi di impegnarsi selettivamente in Europa.
Ma al di là di questa realtà geografica, la Gran Bretagna ha visto, dalla Armata spagnola al blitz
tedesco, ha visto le potenze continentali come una minaccia per la sua sopravvivenza e ha scelto di
stare da parte. La Gran Bretagna di solito non costruisce un muro contro l'Europa ma limita il suo
coinvolgimento. La geografia lo rende possibile.
Sebbene l'Europa rimane il piu grande partner commerciale della Gran Bretagna, i suoi scambi piu
grandi tra nazioni sono con gli USA. Quando la Gran Bretagna è profondamente coinvolta in
Europa, la causa è piu spesso la guerra che l'economia. La strategia della Gran Bretagna è sempre
stata di bloccare un unificazine dell'Europa vista come una minaccia alla sua sicurezza, non ultimo
perchè un Europa dominata militarmente da Francia e Germania è intollerabile. Per la Gran
Bretagna essere un partner minore in questo allineamento non è ne prudente ne necessario.
Per queste ragioni, la grande strategia brittanica è incompatibile con un impegno indeterminato in
Europa. Piuttosto la strategia britannica è stata di allinearsi militarmente con gli USA. La Gran
Bretagna non ha mai avuto il peso per bloccare da sola i sovietici, ne per gestire gli eventi in
Europa. Il suo allineamento con gli USA le consente di influenzare il maggio potere imperiale a
costi relativamente bassi. Nel prossimo decennio, la Gran Bretagna, continuerà a coprire le sue
scommesse da tutte le parti, mentre inlcinerà verso il blocco e la cultura alnglosassone.
L'allineamento Franco-Tedesco ha i suoi problemi. Ci sono due aree di tensione tra Francia e
Germania oggi, e la prima è economica. La Germania è molto piu disciplinata fiscalmente della
Francia, il che significa che i due paesi sono raramente in sintonia quando si arriva alla
cooperazione finanziaria. La seconda tensione è sulla politica di difesa. I francesi ed in particolare i
gollisti, hanno sempre visto l'Europa unita come un contraltare degli USA, e questo avrebbe
richiesto un integrazione militare, che inevitabilmente avrebbe significato una forza sotto il
controllo Franco-Tedesco.
I tedeschi apprezzano l'integrazione con Francia ed Europa, ma non hanno intenzione di assumersi
i problemi economici francesi per la creazione di una forza militare Europe in opposizione a quella
americana.
Un altro problema della Germania è che ancora una volta, le relazioni tra USA e Germania sono
peggiorati, soprattutto per colpa della crisi finanziaria e della guerra in Iraq. La Germania è un
paese esportatore, e gli USA sono il maggior cliente non europeo. L'amministrazione Obama ha
varato un pacchetto di misure per far uscire l'economie americana dalla recessione, mentre la
Germania non ha preso nessuna misura di questo tipo. Invece loro affidano agli stimoli americani
per generare domanda per i prodotti tedeschi. Questo significava che gli stati uniti ricorrevano al
debito per rilanciare l'economia mentre la Germania è un free ride. Inoltre i tedeschi vogliono che
gli americani si impegnino nel piano di salvataggio dei paesi europei attraverso il FMI. Ma al di là
di questi disaccordi economici tra i due paesi, c'era una vera spaccatura geopolitica. Gli americani,
come abbiamo visto, hanno seri problemi con la Russia, ma i tedeschi non vogliono compier
nessuno sforzo insieme agli USA per contenerla. Oltre alla loro avversione all'incoraggiare una
nuova guerra fredda, i tedeschi dipendono dalla Russia per gran parte dei loro bisogni energetici.
Infatti loro hanno bisogno dell'energia russa piu di quanto la Russia abbia bisogno dei soldi
tedeschi.
Qualunque siano le atmosfer, la crescente presenza della Russia nell'est della penisola europea
minaccia gli interessi americani. Gli USA ricorrono i loro interessi globali trascinandosi in guerra in
posti come l'Afganistan, la germania vorrà distanziarsi dal suo alleato della guerra fredda. Le
relazioni tra i due paesi non sopravviveranno al prossimo decennio senza mutamenti.
La Germania può permettersi di distanziarsi dagli USA, in parte pechè il suo tradizionale problema
di essere stretta da entrambi i lati è superato, avendo finalmente una relazione amichevole con la
Francia. La Germania non ha piu un confine con la Russia, essendoci la Polonia in mezzo. La
Germania ha bisogno di gas naturale, che la Russia ha in abbondanza, e la Russia ha bisogno di
tecnologia ed esperienza che può trovare in Germania.
Inoltre un significativo calo demografico affligerà l'impianto industriale tedesco, una carenza di
lavoratori, unita all'invecchiamento della popolazione, è la formula per un disastro economico.
Anche a causa del suo declino la Russia avrà eccednza di lavoratori che potranno essere utilizzati
dalla Germania, sia importando manodopera, sia dislocando industrie in Russia. L'unico modo per
contrastare il calo demografico è incoraggiare l'immigrazione, ma immigrazione e identità europea
non vanno d'accordo.
Se la Germania non vuole portare lavoratori dove sono le sue fabbriche, può portare le fabbriche
dove sono i lavoratori. Anche la Russia sta andando incontro ad un calo demografico ma, vista la
debolezza della sua economia, ci sono molti disoccupati. Se i Russi si vogliono trasformare da
semplici esportatori di gas e grano in una moderna economia industriale, hanno bisogno di
tecnologia e capitali, e i tedeschi hanno entrambe le cose. Il buisness tedesco a tutti i livelli è già
profondamente coinvolto in Russia, aggiunto alla nuova realtà dei rapporti Mosca-Berlino che
diverrà presto il pivot dell'Europa, piu dinamico, se non piu significante di ogni altra relazione che
il paese ha.
Con la Francia accodata alla Germania, la Russia si muoverà verso il nocciolo dell'Europa,
segnando una nuova dinamica nell'UE. La tensione tra il nocciolo e la periferia è gia diffusa. Il
nocciolo è Germania, Francia, Belgio, Olanda, le economie piu avanzate d'Europa. La periferia è
Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, ed est europa.
Nel frattempo la Francia ha coperto le sue scommesse posizionandosi sia come una potenza nord
europea che una potnza mediterranea, anche al punto di considerare la formazione di una Unione
Mediterranea accanto alla UE. Nel pensiero francese questa dovrebbe includere i paesi sud-europei,
nordafricani, Israele e Turchia. Questa è un idea attraente in astratto ma in realtà, le differenze tra
Libia e Italia sono cosi profonde rimpiccioliscono quelle tra Germania e Grecia. Potremmo
aspettarci che la Francia sguazzi nel mediterraneo, provando a compensare di essere il partner
minore della Germania nel nord.
La Germania è a disagio nel ruolo che è stato premuto su di essa durante la crisi del 2008-2010. I
tedeschi riconsiderano i loro interessi nella periferia dell'UE, i paesi periferici sollevano dubbi sui
benefici della loro unione con la Germania. Sentono che stanno perdendo il controllo di larga parte
della loro economia, come il settore bancario. Il fatto che nella periferia si aspettano di sostenere le
loro economie con una politica monetaria disegnata per il centro aggiunge pressioni su entrambi i
lati.
La vecchia periferia, dalla Grecia all'Irlanda è fermamente concentrata sull'economia. La nuova
periferia è profondamente interessata alla Russia. E come abbiamo visto, la Polonia è
particolarmente inquieta sull'essere un neutrale cuscinetto tra la Germania e la Russia, un ruolo che
storicamente non le ha garantito buoni esiti.
A disagio con questo allineamento è anche la Gran Bretagna. Il Regno Unito potrebbe vivere con
un asse Berlino-Parigi purchè ci siano gli USA a controbilanciare, e la Gran Bretagna in mezzo
come ago della bilancia. Ma includendo Mosca, ci sarebbe troppo pedo sulla terraferma, ponendo
una sfida agli interessi economici e strategici inglesi.
Il prossimo decennio vedrà la Germania riacquistare il suo posto nella pianura nord europea ma
questa volta alleata dei suoi nemici storici, Francia e Russia. Il Regno Unito si stringerà ancora di
piu con gli USA. I paesi della vecchia periferia saranno lasciati a scegliere la loro strada attraverso
le complessità, ma la nuova periferia sarà al centro dell'attività. L'Unione Europea continuerà a
funzionare, e cosi l'euro, ma sarà difficile per l'UE essere il principio organizzatore dell'Europa
quando ci sono cosi tante forze centrifughe.
LA STRATEGIA AMERICANA
Una grande mancanza politica è che gli USA, fin dal collasso del comunismo non abbiano mai
sviluppato una strategia verso l'Europa. Questo presto cambierà. Negli anni '90 gli USA
semplicemente assunsero una comunanza di interessi con gli europei, ma questo assunto non fu mai
testato durante questo secolo benigno. L'emersione della UE non è mai stato visto come un
cambiamento per gli USA, ma come una naturale evoluzione che non avrebbe creato problemi.
Quando gli americani risposero all'11 settembre creando una frattura con il blocco franco-tedesco,
questo rivelò una seria divisione in Europa. Gli USA volevano un aiuto diretto militare in
Afganista, e almeno una copertura politica in Iraq. Alle votazioni effettuate alla NATO, una
maggioranza di paesi appoggiò gli USA, e solo quattro votarono contro: Francia, Germania, Belgio,
Lussemburgo. Dovrebbe essere notato che nessuna azione della NATO richiede l'unanimità. Ciò
nonostante, molte delle nazioni che votarono a supporto della risoluzione, mandarono almeno un
piccolo contigente in Iraq, mantre il Regno Unito diede il maggior contributo.
La geografia di questo supporto è estremamente importante. Il cuore dell'Europa, con eccezione
dell'Olanda si oppose agli USA. La periferia supportò gli USA almeno inizialmente. Molti dei paesi
che seguirono gli USA non lo fecero perchè realmente approvavano quell'azione, ma perchè erano a
disagio nei confronti del blocco Franco-Tedesco. Loro non volevano essere semplici membri
subordinati dell'UE, e vedevano negli USA un importante contrappeso a Francia e Germania. C'è un
interessante incontro tra il presidente francese Chirac e i rappresentanti dei paesi Intermarium, i
quali firmarono una lettera di rifiuto della posizione franco-tedesca e di supporto agli USA. Quando
apparve questa lettera, Chirac li rimproverò di essere 'maleducati'. A questo punto, la frattura tra
questi paesi e la Francia- e di conseguenza la Germania- non sarebbe potuta essere piu profonda. La
divisione in Europa sulla guerra in Iraq diventerà, io credo, un rozzo quadro per la divisione
strategica dell'Europa, e ridefinirà l'alleanza con gli USA nel prossimo decennio.
La tensione fra USA e Francia è variata dopo l'elezione di Obama, ma la Germania è sempre stata
decisa a confrontarsi con l'Islam. A loro, la gestione del conflitto di Obama non piace piu di quanto
non piaccia quella di Bush, e non vogliono inserirsi in questo disegno. Come è ovvio adesso, USA e
il blocco Franco-tedesco hanno interessi diversi.
E' difficile che gli americani convincano i tedeschi a tornare alla loro precedente relazione con gli
USA, o che la Germania convinca gli USA ad essere indifferenti all'ascesa della Russia. Per i
prossimi dieci anni, una possibile soluzione dal punto di vista americano potrebbe essere la
divisione del blocco franco-tedesco, e infatti il presidente starebbe lavorando per creare una frattura
il piu grande possibile tra i due paesi. Gli USA hanno poco da offrire alla Francia mentre, la sua
relazione con la Germania, le garantisce vantaggi si in termini economici che di difesa.
Gli USA si devono concentrare a limitare il potere del centro, e simultaneamente a evitare in intesa
russo-tedesca. In altre parole, devono applicare il principio di balance of power all'Europa, piu di
come fece il Regno Unito. Ironicamente, la prima fase di questa strategia deve essere mantenere gli
attuali rapporti con la Gran Bretagna. I due paesi condividono interessi economici ed entrambi sono
potenze marittime dipendenti dall'atlantico. La posizione che avvantaggiò la Gran Bretagna può ora
essere usata dagli USA per far si che questa continui a riceverne benefici. In cambio, la Gran
Bretagna fornisce agli USA un alleanza all'interno dell'UE, come piattaforma per influenzare glia
altri paesi della periferia atlantica, come la Scandinavia e lIberia, dove i britannici hanno stretto
accordi commerciali e politici. Questo includerebbe Svezia, Danimarca e Olanda. Nel decennio
avvenire, le strategie nazionali britanniche e americane, saranno sulla stessa lunghezza d'onda.
Questo atto di bilanciamento in Europa degli USA, richiede anche che questi coltivino un relazione
con la Turchia. Una forte alleanza con la Turchia garantirebbe agli USA un influenza sui paesi del
mar Nero e limiterebbe le mire Francesi sul Mediterraneo. Una cosa che aiuterebbe questa alleanza
è la politica di immigrazione europea. La paura europea dell'immigrazione turca, sarà un ostacolo
per l'ingresso di questa nella UE. La Turchia sarà certamente piu forte nel prossimo decennio, ma
non abbastanza da operare da sola. La regione attorno ad essa è instabile, e minacciata dalla Russia
nel Caucaso, il che le imporrà di mantenere una forte relazione con gli USA. Questo non è
completamente gradito ai turchi, ma hanno poca scelta.
Qualunque sia l'atteggiamento degli USA verso la periferia europea, il problema principale rimane
la Germania, e questo dominerà la politica estera di molte nazioni negli anni avvenire. Gli USA
devono evitare di apparire ostili alla Germania o indifferenti all'Europa. Non devono abbandonare
la NATO, incuranti delle sue inefficenze, ma devono trattare tutte le istituzioni mitlinazionali con
rispetto e i paesi europei come se fossero potenze iportanti. In altre parole gli USA devono creare
un senso di normalità in Europa, per paura che la periferia fugga nel campo franco-tedesco. Se gli
USA porteranno le relazioni ad una crisi troppo presto, rafforzeranno solo la mano della Germania
nella regione. L'innata tensione tra la Germania ed il resto dei paesi europei matirerà da sola. Non
c'è motivo per gli USA di affrettare le cose, perchè sono i tedeschi ad essere sotto pressione e non
gli americani.
Allo stesso tempo gli USA devono, in questo contesto relativamente amichevole, fare i passi
necessari per trattare con la possibilità di un intesa russo-tedesca. Per fare questo il presidente deve
iniziare a muoversi verso relazioni bilaterali con alcuni stati chiave europei, e uscire dal solito
quadreo di relazioni multilaterali. Il modello da usare è la Gran Bretagna, che fa parte di NATO ed
UE, ma avente anche una robusta relazione con gli USA stessi. Nei prossimi anni gli USA dovranno
enfatizzare le relazioni bilaterali con i paesi della periferia europea, bypassando la Nato.
Scegliere con chi relazionarsi puo essere casuale, servendo per lo piu a promuovere l'immagine dei
USA. Ma la scelta di alcuni paesi è molto importante per gli interessi USA. La Danimara controlla
l'accesso all'Atlantico per i russi, mentre consente l'accesso al Baltico per gli americani. L'Italia è un
paese che sia una forte economia che una posizione strategica nel Mediterraneo. La Norvegia, da
sempre legata più alla Gran Bretagna che al resto d'Europa, è strategica sia per la dislocazioni di
basi militari sia per una possibile partnership con l'industria petrolifera. E chiaramente un rapporto
con la Turchia porterebbe agli USA vantaggi strategici nei Balcani, nel Caucaso, in Asia Centrale,
in Iran e nel mondo arabo. Ma gli USA non vorrebbero concentrasi su questi preziosi paesi da soli.
Stenderebbero la mano a una serie di paesi, molti dei quali però potrebbero essere un peso piu che
un vantaggio. Tutto dovrebbe essere fatto senza far credere ai tedeschi e ai francesi che gli USA non
siano concentrati sulle loro azioni.
Questi rapporti non sono fine a se stessi- sono una copertura per il premio principale di Polonia ed
Intermarium (Slovacchia, Ungheria e Romania) che offrono la geografia per contenere la Russia. E
qui ancora una volta la strategia americana avrà bisogno di essere coscientemente ingannevole. Gli
Stati Uniti dovranno calmare l'Europa esprimendo che si stanno avvicinando solo a quei paesi che
voglione essere avvicinati, e che tra questi paesi ci sono la Polonia, il resto dell'Intermarium, e le
repubbliche baltiche. Qualche indicazione che gli USA stanno cercando direttamente di bloccare la
Germania o di creare una crisi con la Russia, genererà una controreazione in Europa che farebbe
ritornare la periferia nelle braccia del centro. L'Europa nel suo complesso non vuole essere inserita
in un confronto. Allo stesso tempo, il desiderio di avere un alternativa all'asse Roma-Berlino-
Mosca, sarà forte, e se i costi sono bassi, la periferia sarà attratta dagli USA- o Gran Bretagna-
come alternativa. Gli USA devono evitare a tutti i costi un amamlgamazione geografica fra Russia e
la penisola Europea, perchè ciò creerebbe una potenza troppo forte da contenere. Il paese chiave
sarà probabilmente la Polonia. Gli USA devono creare un duplice argomento per superare le
cicatrici storiche della Polonia. Primo devono convincere i Polacchi che si illusero che i Fancesi e
gli Inglesi potevano difenderli contro la Germania nel 1939, il che era geograficamente
impossibile. Secondo devono ricordare che i Polacchi non resistettero abbastanza allungo perchè
chiunque avesse potuto portargli aiuto. La Polonia e il resto dei paesi europei non possono essere
aiutati se on si aiutano da soli.
Questa è la sfida per il presidente americano nel prossimo decennio. Deve muoversi in piu
direzioni senza creare preoccupazioni in Mosca o Berlino, per evitare che questi intensifichino i
rapporti prima che gli USA abbiano realizzato una struttura per limitarli. Allo stesso tempo devono
rassicurare la Polonia e gli altri paesi della serietà del loro impegno per gli interessi di questi. Il
presidente non deve apparire ancora molto chiaro ma essere abile a mentire convincentemente. Gli
USA hanno bisogno di tempo.
La strategia ideale degli USA deve essere offrire aiuto al supporto dello sviluppo di una forza
militare indigena che può fare da deterrente per eventuali attacchi, o che almeno può resistere fino
all'arrivo degli aiuti. Gli USA possono anche creare le condizioni per uno sviluppo economico,
costruendo l'economia e fornendo l'accesso ai mercati americani. Cosi è come, durante la guerra
fredda, gli americani indussero a fare a Germania Ovest, Giappone e Corea del Sud, tra gli altri, a
correre il rischio di resistere ai comunisti. Qualunque discorso gli USA faranno alla Polinia nei
prossimi anni, l'abilità e la disponibilità dei polacchi servirà agli scopi americani solo se si
verificheranno tre cose. Primo, il supporto tecnico ed economico degli USA per custruire una forza
militare polacca. Secondo il trasferimento di tecnologia militare per risollevare l'industria nazionale,
sia militare che civile. Terzo offrire sufficenti forze americane per rendere la scommessa su di loro
credibile.
Questa relazione deve incentrarsi si sulla Polonia ma essere estesa agli altri paesi Intermarium,
principalmente Ungheria e Romania. Le repubbliche baltiche rappresentano un caso separato. Sono
indifendibili, ma per evitare una guerra sono un osso che farebbe gola alla Russia.
In tutte queste manovre il punto è primo evitare una guerra e secondo limitare i rapporti tra Russia
e Germania che potrebbero, nei decenni successivi una potenza in grado di sfidare l'egemonia
americana.Le intenzioni presenti di Russia e Germania sono molto piu modeste di quelle descritte,
ma il presidente americano deve concentrarsi non su cosa gli altri pensano ora ma su cosa loro
penseranno poi, quando le circostanze saranno cambiate.
Capitolo 10
Facing the western pacific
L’area del pacifico occidentale negli ultimi ’30 anni non ha creato molti problemi all’egemonia
statunitense. Gli equilibri esistenti oggi stanno cambiando. Infatti l’ Asia è la regione dove stanno
emergendo alcune super-potenze, che in futuro potrebbero scontrarsi con gli Usa oltre che potenze
già esistenti(Cina e India; Giappone)
CINA e INDIA sono divise dall’ HYMALAYA, sono unite dal mare e dai rapporti economici. Tra
loro c’ è una grande competizione sia per un ruolo di preminenza all’interno degli equilibri
regionali, che scaturisce dall’ascendenza del ruolo di potenze economiche.
CINA e GIAPPONE competono dal punto di vista economico. Le due economie sono
interdipendenti: il GIAPPONE ha bisogno del mercato e delle materie prime cinesi per
sopravvivere. La Cina ha bisogno delle conoscenze giapponesi e di capitali stranieri, ma non vuole
cadere sotto l’egemonia giapponese. Le frizioni tra le due nazioni si sono aggravate in seguito alla
sconfitta della marina cinese da parte del Giappone. La situazione peggiorò con la guerra degli anni
‘30/40, quindi i rapporti tra le due furono salvaguardati dagli USA. Durante la guerra fredda gli
USA avevano bisogno della potenza industriale del Giappone per la guerra in Vietnam e per
evitare alla flotta sovietica di entrare nel Pacifico. In cambio gli Usa diedero libero accesso ai
prodotti giapponesi nel loro mercato.
Gli Usa inoltre avevano rapporti ostili con la Cina. Ma quando il suo potere in Vietnam cessò si
rivolsero alla Cina per avere un contrappeso all’ URSS nella regione. Né la Cina né il Giappone
vedevano di buon occhio la relazione degli Usa con ciascuno di loro, ma essi riuscirono a gestire
bene tali rapporti grazie alle priorità di ciascun paese, irrealizzabili senza l’aiuto degli USA: la
paura dell’ URSS (per la Cina)e del boom economico giapponese.
Con la fine della guerra fredda gli equilibri cambiarono: l’economia cinese ebbe un grande boom,
mentre quella giapponese entrò in stallo, nonostante mantenesse una posizione rilevante. Gli USA
si concentrarono sull’aspetto economico delle reciproche relazioni(dipartimento del tesoro), non su
quello politico(dipartimento della difesa). La stabilità del Pacifico e del Sud Est asiatico dagli anni
’80 fu notevole se si considera che l’intera Asia è stata una delle regioni più problematiche del
mondo(guerre civili e non, instabilità generale negli anni ’70-’80). L’economia cinese ha dovuto
fronteggiare delle prove durissime, mentre quella giapponese ricominciò dai suoi fallimenti.
CINA, GIAPPONE E PACIFICO OCCIDENTALE
Quando parliamo di Asia ci riferiamo ad una serie di isole partendo dalle Kuriles all’Indonesia, alle
relazioni tra di loro, e tra queste e la main land(Cina). La Cina si estende per 25 miglia di entroterra
e confina con 14 paesi. Affaccia da un lato al limite dell’oceano pacifico. Si trova geograficamente
vicino gli Usa.
La maggior parte della popolazione vive nella parte orientale del paese (400 miglia di costa), per la
maggiore disponibilità d’ acqua. Infatti la parte occidentale dell’ Asia e il vicino deserto sono le più
aride. La Cina confina con 14 stati e 4 stati cuscinetto:Tibet, Xianjiang, Mongolia Interna e
Manciuria. Essendo percorsa a dall’ Hymalaya, questa risulta essere un limite per i commerci e per
l’esercito, la Siberia a nord è un limite per i trasporti.
Il GIAPPONE è composto da 4 isole principali e un arcipelago di piccole isole completamente
privo di risorse minerarie, necessarie però all’industrializzazione tra cui spicca il petrolio, che
importa dal golfo Persico. Il Giappone ha molteplici interessi globali e vulnerabilità. Al contrario
della Cina, che importa materie prime ma ha abbastanza riserve per sopravvivere, il Giappone
collasserebbe se le sue importazioni si interrompessero. In parte grazie alla sua industrializzazione
nel 19imo secolo, in parte grazie al suo isolamento, il Giappone non fu sottoposto al processo di
colonizzazione. Addirittura gli europei lo aiutarono: gli inglesi organizzarono la marina, i tedeschi
l’esercito, così che il Giappone poté sfidare presto l’ Europa. Di fatto sconfisse la Russia nel 1905.
Il repentino emergere del Giappone sulla scena internazionale spaventò e continua a spaventare non
poco gli USA. Infatti la forte dipendenza dall’ ‘estero comportò che il Giappone dovesse
assicurarsi una forte presenza di forze militari, soprattutto la marina(flotta). Espandendo all’estero
i propri interessi il Giappone minacciò le posizioni degli Usa in Oceano Pacifico. Durante la
seconda guerra mondiale fu sconfitto non solo a causa della bomba atomica, ma anche perchè le
risorse ad un certo punto scarseggiarono. Oggi come ieri il problema delle risorse rimane. Le rotte
marittime sono fondamentali per il rifornimento di materie prime. Ma essendo queste ultime
controllate dagli Usa, il Giappone è dipendente dalla loro volontà. (particolarmente la rotta che
attraversa lo stretto di Hurmuz.). Inoltre dopo la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale, il
Giappone non può dotarsi di un proprio esercito, ragion per cui non può provvedere da solo alla sua
sicurezza.
I cinesi dipendono da mercati statunitensi ed europei per l’esportazione dei loro prodotti. Nei
prossimi 10 anni la Cina dovrà prepararsi allo scenario peggiore: una possibile decisione politica
americana che limiti l’accesso cinese al suo mercato. In tal caso la Cina dovrebbe trovare altri
mercati ,slegandosi dalla dipendenza statunitense. E’ assai probabile che in questa circostanza il
Giappone sarebbe garantito dagli Usa per quanto riguarda i suoi interessi in modo da contrastare il
potere cinese(in chiave anticinese). Molto meno probabile appare lo scenario in cui il Giappone si
liberi dall’egemonia Usa.
CHINA E JAPAN
Mao e il grande balzo in avanti segnarono un periodo di grande dissesto economico in Cina. Inoltre
con la sua morte , subentra Deng Xiao Ping, il quale fu l’artefice dell’economia del "socialismo con
caratteristiche cinesi", teoria che mirava a giustificare la transizione dall'economia pianificata, ad
un'economia aperta al mercato, ma comunque supervisionata dallo stato(wikipedia).
L’ economia cinese passò da una fase relativamente prospera e aperta ad una fase di chiusura e di
progressivo impoverimento. Dal 1840 quando la Gran Bretagna costrinse la Cina ad aprire le sue
frontiere, al 1947 cioè il cambiamento di regime in senso comunista, la Cina era aperta, prospera in
alcune regioni e frammentata. Quando Mao continuò la lunga marcia, si impose l’espulsione degli
occidentali e l’ isolamento del paese, riducendo lo standard di vita ma creando stabilità e unità che
la Cina non ha più conosciuto in almeno un secolo. L'oscillazione tra l'apertura e l'instabilità e
chiusura e unità, è basata in parte sulla natura dell'asset economico primario cinese, il costo
bassissimo del lavoro. Quando i capitali stranieri furono investiti in Cina nelle industrie, questi
avvantaggiarono il capitale umano cinese. Obiettivo di tali imprese fu quello di produrre all'estero a
più basso costo. La prima area dove si investì fu vicino ai porti , dove era più semplice il trasporto.
Inoltre vicino alla costa risiede la maggior parte della popolazione cinese. Non c’era ragione di
costruire imprese nei centri urbani. Anche quando la Cina prosperò, rilevando le fabbriche, tale
modello(pattern) di sviluppo(il lavoro a basso costo e la costruzione di fabbriche vicino ai porti
nelle zone costiere) ha continuato ad esistere. Secondo la banca popolare cinese oggi solo 60
milioni di cinesi rappresentano la classe media, cioè solo il 5% della popolazione. Essi vivono
soprattutto intorno a Pechino e nella parte costiera. Ciò significa che l'80% della popolazione vive
in condizioni che sono comparabili alla povertà esistente nell'Asia sub-sahariana. Insomma la Cina
è un paese molto povero. La sua zona di prosperità ridotta crea un abisso sia dal punto di vista
sociale che dal punto di vista geografico. Si privilegiano gli interessi dei partner commerciali
stranieri piuttosto che quelli del governo centrale cinese o degli imprenditori Cinesi. Questo è stato
uno dei motivi della frammentazione della Cina sino ad oggi e anche nel futuro. Questa zona è la
più ricca del paese quindi essa opporrà resistenza agli sforzi del governo centrale di riequilibrare la
situazione economica interna. La dinastia Quing(al potere fino al 1915) divenne debole dopo
l'incursione inglese. La soluzione negli anni 40 e 50 fu una repressione, l'espulsione degli stranieri
e l'espropriazione e la ridistribuzione della ricchezza generando un impoverimento generale. Il
crescere della disuguaglianza, lo standard di vita per molti cinesi crebbe, e la crescita, comportò
una passività del Popolo. Durante il periodo di relativa prosperità lo Stato riuscì a gestire il
problema. Ma cosa successe quando le debolezze economiche e lo standard di vita declinarono,
sfuggendo al controllo dello satto? Per un miliardo di persone questo significò vivere in povertà.
Anche una piccola contrazione degli standard di vita poteva significare la catastrofe ed è questa la
situazione che potremo vedere in Cina nel prossimo futuro se ci sarà anche solo un piccolissimo
declino della crescita, che porterà ad una piramide economica e sociale, generando resistenza nei
confronti del governo centrale. Dato che la Cina esporta in maniera sproporzionata rispetto al
consumo interno, il problema è inevitabile. Le retribuzioni sono piuttosto basse. Ma nel medio
periodo esse aumenteranno rispetto paesi come il Pakistan e Filippine.
Attualmente a causa della competizione la Cina ha ridotto i prezzi, per cui i profitti sono diminuiti,
con tutto ciò che ne consegue nel sistema finanziario. La dura realtà è che la Cina non può
permettersi la disoccupazione. Un gran numero di contadini si muove dalle campagne per cercare
lavoro,e se lo perdono, rimangono in città, causando instabilità o ritornano nei loro villaggi,
incrementando il livello di povertà rurale. Una soluzione potrebbe essere incoraggiare le banche a
concedere prestiti alle imprese al fine di sovvenzionare le esportazioni, o costruire imprese statali.
Durante i prossimi 10 anni, da Cina incrementerà la sua sicurezza interna . L'esercito di liberazione
del popolo, FONDAMENTALE NELLO SVOLGIMENTO DI tale funzione, è bene addestrato.
Ma questa forza rimarrà fedele al regime e no? Per reprimere i risentimenti di classe, la Cina dovrà
tassare le regioni costali e la classe media al fine di trasferire ricchezza ai contadini e al
PLA(esercito). Queste regioni e la classe media essendo tassate opporranno resistenza. Le entrate
saranno insufficienti per i progetti del governo ma non potrebbe essere abbastanza per conservare la
lealtà dell'esercito.
La questione a lungo termine, che si porrà nella prossima decade sarà se la Cina vorrà risolvere
questo problema come già ha fatto, chiudendo il paese e distruggendo gli imprenditori della costa e
cacciando gli stranieri e ovviamente il loro capitale, o di seguire il modello più recente e
regionalista (diciannovesimo e ventesimo secolo). L'unica certezza è che il governo cinese dovrà
fronteggiarsi con problemi interni e, lavorare attentamente per bilanciare forze che competono tra di
loro e le crescenti paranoie sull’agire giapponese e statunitense.
Negli anni ’90 la il Giappone sperimentò il declino economico, che la Cina comincia a vedere
adesso. Il Giappone aveva avuto un fortissimo controllo sociale informale e allo stesso tempo i
grandi conglomerati, chiamati keiretsu, diventano più grandi. Essendo cresciuti rapidamente dopo la
seconda guerra mondiale, il duro colpo inferto al Giappone dalla crisi finanziaria rese inevitabile,
attraverso il fallimento dei keiretsu, lo sviluppo di un sistema di mercato per il capitale. La loro
economia operò attraverso una cooperazione informale tra keiretsu e governo. Il sistema avrebbe
dovuto essere vantaggioso per tutti. Il problema del capitale era esacerbato dal fatto che il Giappone
non avesse un piano per i pensionamenti, il che significò che i cittadini risparmiavano molto ,
riponendo i propri risparmi nelle banche degli uffici postali statali, che pagavano tassi di interesse
bassi. La moneta depositata veniva prestata ai keiretsu. Questo sistema diede al Giappone un largo
vantaggio negli anni ‘70 e ‘80, quando i tassi di interesse degli Stati Uniti erano "double digits ( a
doppia cifra) mentre i giapponesi erano a meno del 5%. Ad un certo punto però la moneta fu
prestata ad imprese oltremodo profittevoli rispetto ai prestiti ricevuti ad un tasso di interesse molto
basso. Non avere un piano di pensioni significò le necessità dei giapponesi di risparmiare una
discreta somma per andare in pensione (dato che dovevano vivere con i propri risparmi). Ciò
significò che i giapponesi diventarono riluttanti consumatori. L’economia giapponese si fondava
dunque sull’esportazione. Il tasso di interesse sui risparmi depositati era basso per incoraggiare il
consumo.
Dal momento che la competizione dagli altri paesi asiatici aumentò, la riduzione dei prezzi
giapponesi, ridusse il profitto quindi meno profitti di significarono una minore possibilità di
ripagare i tassi di interesse(risparmi dei consumatori). Quello che seguì fu un crollo economico, cui
i media occidentali non diedero una particolare rilevanza, almeno per alcuni anni.
Sia la Cina che il Giappone devono evitare un alto tasso di disoccupazione, ma per differenti
ragioni: in Giappone,la riluttanza di ridimensionarlo era connessa al contratto sociale, cioè lavorare
per un'impresa per tutta la vita, mantenendosi vicino alla piena occupazione e permettendo al tasso
di crescita di slittare quasi a zero. Gli economisti occidentali soprannominarono gli ultimi 20 anni
durante i quali l'economia giapponese stagnò "lost decade", ma non comprendendo gli obiettivi
giapponesi, o piuttosto imponendo il punto di vista occidentale. Sacrificare la crescita al fine di
mantenere piena occupazione divenne un modo per mantenere la coesione sociale. Allo stesso
tempo il tasso di natalità giapponese scese ben al di sotto di 2,1 bambini per donna. La nuova
generazione meno popolosa di quella precedente non riusciva più a sostenere i pensionati. Il calo
della popolazione ha creato una enorme crisi in Giappone.
Nei prossimi anni i giapponesi non riusciranno più a mantenere la piena occupazione a causa della
crescita del debito, privato e pubblico. Come in Cina, si avrà uno spostamento dei modelli
economici ma il Giappone ha un vantaggio: non esistono miliardo di persone che vivono in povertà.
A differenza dei cinesi riusciranno a portare avanti una politica di austerità, senza cadere
nell’instabilità. Le debolezze fondamentali giapponesi rimangono la mancanza di risorse naturali
dell'industria, dal petrolio alla gomma al ferro. Per quanto riguarda il potere industriale, il
Giappone deve comprare e vendere globalmente, e se perdesse accesso alle rotte marittime, perderà
tutto.
L'equilibrio del potere sino-giapponese
Negli ultimi negli ultimi trent'anni le relazioni tra Cina e Giappone sono state secondarie rispetto
alla relazione dei singoli paesi con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti mantennero un equilibrio
regionale, ma tutto ciò sta cambiando.
In primo luogo, i problemi economici della Cina cambieranno la sua relazione con il mondo e
trasformeranno la situazione economica interna. In maniera simile, a causa dei problemi interni il
Giappone cambierà il modo di operare. L'accesso del Giappone al mercato mondiale sarà rilevante
in ogni caso, come anche l’ingresso dei prodotti cinesi nel mercato internazionale. La mancanza di
importazione delle materie prime non rappresenta un grande pericolo per la Cina, piuttosto lo sarà
per il Giappone. La Cina si impone a livello internazionale; l'accesso principale della Cina è il mare
ma essa non possiede una flotta in grado di coprire la sua costa. Anche volendosene dotare non
potrebbe formare ammiragli competenti. Dovrà passare molto tempo e molti sforzi dovranno essere
compiuti perché la Cina possa sfidare sia gli Stati Uniti e Giappone in mare. Oggi il Giappone è un
paese formalmente pacifista. E’ infatti sancito dall'articolo 9 della costituzione che il Giappone non
può disporre di una forza armata (offensiva) ma questo non impedisce di mantenere una flotta nel
Pacifico occidentale, neppure di avere un esercito sia aereo che di terra. Il Giappone si sottomise
agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti però durante la guerra fredda
necessitarono dell’aiuto del Giappone, quindi lo favorirono. Oggi le cose sono cambiate. Gli Stati
Uniti controllano ancora le rotte marittime giapponesi concedendo loro di accedere, ma la loro
disponibilità a correre dei rischi hanno esposto il Giappone a potenziali pericoli. Durante la guerra
jihadista gli Stati Uniti tengono al sicuro la rotta del petrolio derivante dallo stretto di Hormuz da
cui il Giappone è dipendente. Si deduce quindi che gli Stati Uniti riescono a sopportare un rischio
cui il Giappone non è in grado di far fronte. Gli interessi dei due paesi divergono. Il problema
interno giapponese è saper affrontare una futura situazione comportante disoccupazione e austerità,
lasciando che l'economia cominci a fallire. La loro grande debolezza rimangono i mercati capitali,
che non ancora operano liberamente, e il non avere un planning centrale efficace. Questa sì
situazione non è sostenibile. Muovere verso un libero mercato dei capitali potrebbe risolvere il
problema giapponese nel lungo periodo, ma solo a costo dell’ instabilità attuale. Si sta andando
verso un'economia in cui lo Stato impone una efficienza maggiore e dove i keiretsu stanno perdendo
importanza. Ciò significherà che lo Stato giapponese concentrerà più potere in se stesso e svolgerà
il ruolo principale nello gestire la finanza.(pag 182)
L'altro problema del Giappone è quello demografico. Ci troviamo in un sistema che ha bisogno di
lavoratori, ma non in grado di gestire un processo di integrazione su larga scala. Questo infatti
minerebbe i valori di coesione della cultura giapponese. La soluzione non è avere i lavoratori che
vanno a lavorare nelle fabbriche, ma al contrario lo spostamento delle fabbriche. Nei prossimi 10
anni il Giappone sarà più aggressivo nei mercati del lavoro in espansione al di fuori dei suoi
confini, compesa la Cina. Molto probabilmente in futuro i giapponesi continueranno ad avere
relazioni strategiche con gli Stati Uniti, inclusa la loro dipendenza dalle rotte marittime. Per il
Giappone questo è meno pericoloso che slegarsene.
La strategia americana: giocando in tempo
Gli Stati Uniti non hanno abbastanza risorse per gestire ogni equilibrio di potere regionale: le
priorità saranno Russia e Medio Oriente, che non lasciano risorse sufficienti per occuparsi del
Pacifico occidentale. Dal default poi, la strategia americana nella regione deve essere rinnovata. Gli
Stati Uniti non riescono a controllare realmente i processi che sono in corso, ma solo limitarli un
po’ e tenerli a bada, cercando di evitare alcune situazioni.
Il pericolo americano non sta in un'alleanza tra Giappone e Cina. Queste due nazioni competono tra
di loro in molti modi differenti. Avendo analizzato i limiti del ciclo economico, il Giappone non
sarà gigante passivo calmo che è stato o negli ultimi 20 anni. La Cina dall'altra parte non sarà
un’economia trainante come negli ultimi anni. La sfida consisterà per Stati Uniti di gestire bene le
relazioni con entrambi i giocatori del sistema occidentale pacifico. Allo stesso tempo di Stati Uniti
dovranno avere un ruolo minore da mediatori e lasciare che queste due potenze asiatiche sviluppino
maggiori relazioni di tra di loro, trovando un loro punto di equilibrio. Nella Cina né il Giappone
appariranno come potenze regionali nel prossimo decennio. Il miracolo economico cinese
rallenterà, concentrando la Cina sulla stabilità interna. Quando il Giappone incrementerà il suo
potere dovrà per forza incrementare anche la sua potenza marittima. È un fondamentale principio
degli Stati Uniti. Occorre la crescita del potere marittimo del Giappone, ma ovviamente gli Stati
Uniti non hanno intenzione di cominciare una guerra per tali questioni nel 2015 o nel 2020 come
fecero nel 1941. Ancora, dovrà sviluppare una strategia per occuparsi di un Giappone più assertivo.
Il primo step è che la strategia degli Stati Uniti nei confronti del Giappone deve essere assicurata
dal fatto che la Cina non si divida. Per far questo gli Stati Uniti facilitano le esportazioni cinesi nel
loro mercato. Ovviamente questo crea problemi politici. Infatti il presidente Usa dovrà spiegare la
particolare generosità nei confronti dei prodotti cinesi. Nella strategia Usa qualunque cosa limiti il
Giappone anche solo in parte, ha molto valore. Solo una Cina stabile può controllare investimenti
stranieri nella sua economia. Tale controllo è necessario per respingere il progetto giapponese sulle
industrie e sui lavoratori cinesi.
Il secondo step della strategia statunitense è di mantenere buone relazioni col Giappone. I
giapponesi, non avendo un esercito sono preoccupati per lo squilibrio di potere con gli Usa, specie
sul mare , a causa del rifornimento delle materie prime, passanti necessariamente per lì.
Nel lungo periodo un paese economicamente forte e vulnerabile e come il Giappone, dovrà cercare
un modo per assicurare i propri interessi, il che non avverrà nella prossima decade. Quindi la
strategia americana sarà quella di prolungare la dipendenza del Giappone da loro per quanto più
tempo possibile. Più a lungo il Giappone rimane dipendente dagli Stati Uniti più essi possono
incidere nelle sue politiche. Il Giappone potrebbe ritornare alle politiche distruttive degli anni ’30
da quando era una nazione guidata da un totalitarismo e dalla difesa nazionale ed economicamente
parlando è responsabilità degli Stati Uniti non spingere in quella direzione. Due elementi
renderanno questa strategia asiatica efficace per vendere prodotti al pubblico americano: la prima è
che altre questioni preoccuperanno giapponesi, la seconda che le mosse americane nel Pacifico
occidentale saranno ben ponderate non improvvise. Il presidente ha il vantaggio di non dover
dichiarare un cambio nella policy, e le sue azioni non avranno effetti decisivi, perché gli Stati Uniti
sono importanti ma non centrali nelle relazioni delle potenze asiatiche. Allo stesso tempo gli Stati
Uniti devono costruire relazioni nella prossima fase storica, comprendendo Giappone e Cina o
entrambe per cooperare contro i pericoli derivanti dalla Russia o da altre potenze. Questo potrebbe
anche non funzionare.
Anche la Corea potrebbe giocare un ruolo chiave. Questo paese rappresenta un problema sia per la
Cina(che distruts) sia per il Giappone(che disprezza). Se il Giappone incrementerà il potere e la
Cina si indebolirà, la Corea avrà bisogno degli Stati Uniti, e gli Stati Uniti punteranno sulla Corea
per convincere l'opinione pubblica a gestire la situazione asiatica. Fortunatamente relazioni Stati
Uniti- Corea già esistono, e per questa ragione estenderle non potrà scatenare reazioni significative
da parte del Giappone e la Cina .
La Corea sta diventando un centro tecnologico significativo. La Cina in particolare è affamata di
quella tecnologia, e avere un qualche controllo sul tasso di trasferimento consente agli Usa di usare
questa leva sulla Cina. Da parte loro, i coreani avranno bisogno di aiuto per gestire una assai
probabile riunificazione con la Corea del nord, quando avverrà, in particolare l’aspetto finanziario.
Essa potrebbe avere preziose opportunità commerciali con gli Stati Uniti, che saranno costretti a
concedere molto, dal momento che la Corea potrebbe diventare un prezioso alleato in estremo
oriente. Ma la riunificazione non rappresenta la questione principale. Infatti il Nord Corea possiede
la tecnologia della bomba atomica e potrebbe divenire un pericolo non indifferente. Il sud Corea
rimane una potenza dinamica.
Un altro partner importante degli Stati Uniti sarà l'Australia.Da sempre dominata dagli europei, è
rimasta isolata per la sua posizione ai confini del mondo. Geo-politicamente l'Australia sembra
isolata ma la sicurezza e l'isolamento sono solo apparenti. In realtà è vulnerabile. Per esempio,
l'Indonesia, situata geograficamente di fronte è altamente frammentata e debole, ergo non ne
garantisce la sicurezza.
L'Australia è dipendente dai commerci internazionali, in modo particolare la vendita di prodotti
alimentari e minerali industriali, come il ferro e la gomma, fondamentali per sostenere la propria
economia. Per gestire la sua vulnerabilità l’Australia è stata costretta ad allearsi con il potere navale
dominante nel Pacifico occidentale in un primo momento con la Gran Bretagna, oggi con gli Stati
Uniti. Ogni alleanza ha un costo. Gli inglesi e poi gli americani vollero in cambio la partecipazione
australiana nelle loro guerre. Gli australiani sacrificarono proprie forze in entrambe le guerre
mondiali, in Corea e in Vietnam. Durante la seconda guerra mondiale, l'Indonesia i suoi vicini
orientali,la Nuova Guinea, furono strategici per l'Australia, poichè respingono gli attacchi
giapponesi in modo da indebolirli e da evitare l’estensione . La seconda guerra mondiale e le isole
australiane coprono i confini a Nord rinforzando il suo senso di sicurezza. Tra il 1970 e il 1990 gli
australiani si ritirarono dal ruolo di partner militari, ma durante questo periodo ci furono poche
occasioni di entrare in guerra. Nel 1990, nel “desert storme”, ritornarono nel loro ruolo, e poi
continuarono a combattere in Afganistan e in Iraq. Durante la seconda guerra mondiale l'Australia
inviò truppe del Nord Africa. Servì anche gli Stati Uniti con forze militari di deposito nel pericoloso
panorama del Pacifico.. L'emergere di un grande potere Pacifico occidentale e l'Australia sarà
ancora una volta il fondamento della strategia americana . Per costruire infrastrutture per un ultimo
deposito ci vollero diversi anni nella seconda guerra mondiale, e alcuni conflitti futuri non potevano
evitare alcun tipo di ritardo. Per gli Stati Uniti, mantenere le relazioni con l'Australia non dovrebbe
essere difficile. L'Australia ha solo due opzioni strategiche:1) ritirarsi dall'alleanza e adattare i suoi
interessi. l'altra consiste nel partecipare all'alleanza e rispettare gli impegni presi con gli Usa. Ma se
all'improvviso una potenza si affermasse in Asia, l’ Australia non avrebbe altra scelta che allearsi
con gli Stati Uniti e servire i suoi interessi al meglio delle proprie limitate possibilità. L'Australia
potrebbe nel futuro avere un ruolo strategico per Stati Uniti, quindi essi si mostrano nel loro
confronti quanto più disponibili possibile.
Altro partner strategico per gli Stati Uniti è Singapore. Creata dagli inglesi all'estremità della
penisola Malay, per controllare questo stretto, è la prima strada tra l'oceano indiano e l'oceano
Pacifico, in particolare per i rifornimenti di petrolio di Cina e Giappone derivanti dal Golfo Persico
la battaglia navale ed il passaggio le deve passare attraverso questo stretto. Tra Gibilterra il Canale
di Suez è un punto nevralgico dell'equilibrio internazionale. Infatti chiunque lo controlli può
interrompere i commerci o garantirne il flusso. Singapore è una città Stato indipendente,
enormemente prospera per la sua posizione geografica e la sua tecnologia industriale. Ha bisogno
degli Stati Uniti come cliente, ma solo per proteggere la sua sovranità. Quando la Malaya fu
indipendente, Singapore si divise dalla parte musulmana. Le relazioni sono cambiate , non ci sono
stati molti pericoli per la sua riunificazione, ma Singapore comprende 2 realtà geo-politiche:1)la
cosa peggiore è essere ricchi e deboli2) non si è mai certi della sicurezza.
Gli Usa non possono solo controllare Singapore, ma devono avere relazioni cooperative con loro. E
nello gestire le relazioni con Corea e Australia il presidente dovrà essere piuttosto generoso nello
gestire le relazioni con Singapore per assicurare le alleanze.
INDIA
Secondo l’autore l'India, nonostante la sua potenza economica, non sarà una potenza chiave a
livello politico regionale nei prossimi 10 anni. Infatti l'India come l'Australia possono essere
considerate POTENZE economiche, ovviamente ognuna a suo modo e devono essere prese sul
serio. Come l'Australia, l'India è un continente isolato geograficamente circondato da migliaia di
miglia di mare l’oceano pacifico a Sud, dominato dalla flotta Usa. L’India è circondata da barriere
di terra transitabili con molte difficoltà. Infatti l’ Hymalaya blocca l’accesso al nord, e la giungla
collinosa ad est. Ad ovest confina con il deserto e il Pakistan. Quest’ultima è musulmana e ha
combattuto molte guerre con la predominante parte della popolazione hindu nell’ India prima di
ottenere la secessione, e oggi le relazioni tra i 2 paesi risultano fredde e ostili. Mantenere il balance
of power tra India e Pakistan nei prossimi 10 anni è un obiettivo degli Usa. Una delle limitazioni del
potere indiano nella crescita economica sta nel fatto che l'India è composta da molteplici regioni
ognuna con dei propri regolamenti. Alcuni sono gelosi dei propri diritti,ed essere i leader significa
anche essere uniti all’interno del paese. Altre regioni ostacolano lo sviluppo economico. Ci sono
molti motivi in cui queste regioni sono tenute insieme, ma l'ultimo garante l'esercito.
L'India mantiene un esercito che ha 2 funzioni:
1) primo mantenere il Pakistan sotto controllo
2) proteggere le frontiere contro una possibile incursione cinese.
3) mantiene la sicurezza interna.
Gli indiani dovrebbero sviluppare una flotta che gli permetta di proteggersi. Al momento il
controllo delle rotte marittime è assicurato dagli Stati Uniti, che non hanno interesse a cedere il
controllo agli indiani. L’oceano indiano è infatti il passaggio del petrolio derivante dal Golfo
Persico. Gli Stati Uniti si sforzeranno a far sviluppare forze aeree più che marittime. L'unica
strategia per riuscirci è quella di appoggiare il Pakistan, in modo da costringere l’ India a
focalizzare la sua attenzione sulle forze armate terrestri, per incrementare la sua sicurezza. L'India
dal canto suo è interessata a minare le relazioni USA con il Pakistan, tenendo occupati gli usa in
Afganistan, al fine di destabilizzare il Pakistan. Se tale strategia dovesse fallire l’India si potrebbe
rivolgere ad altri paesi, come fece con l’Urss durante la guerra fredda. Il Pakistan rappresenterebbe
un grande problema, solo nel momento in cui ci fosse una reale minaccia nucleare. Inoltre l’ India è
in ritardo rispetto alla Cina nel suo sviluppo economico.
La prossima decade vedrà l’ ergersi dell’ India tra le potenze economiche, il che non corrisponderà
ad una sicurezza nazionale, né ad un dominio dell’oceano indiano. Gli interessi americani non
coincidono con la sua sicurezza. Quindi le relazioni India-Stati Uniti deterioreranno. Però anche se
gli Usa lasceranno l’Afghanistan le relazioni commerciali India -Usa continueranno.
THE ASIAN GAME
Insomma le priorità degli USA in Asia nei prossimi decenni consisteranno nella Cina e nel
Giappone. Gli USA dovrebbero lavorare per mantenere una Cina stabile e buone relazioni con il
Giappone. Ciononostante la pace nel pacifico occidentale non durerà per sempre e gli Usa dovranno
incrementare le relazioni tra Corea, Australia e Singapore.Queste 3 potrebbero infatti essere le sue
principali alleate per una guerra contro il Giappone. Creando una marina coreana, creando
opportunità per l’ Australia e modernizzando le forze in Singapore, non si desterà molta
inquietudine. Questi sono i passaggi che creeranno il contesto per gestire un qualsiasi possibile
futuro conflitto.
CAPITOLO 12
AFRICA : A PLACE TO LEAVE ALONE
La strategia statunitense di mantenimento del balance of power tra stati e nazioni ,tende a
considerare due cose in ogni regione del mondo:
Ci sono stati-nazione in ogni regione del mondo
Alcuni stati- nazione hanno abbastanza potere per difendersi.
In Africa sono assenti entrambi questi fattori, non c’è una struttura di gestione di potere regionale.
Non c’è un sistema di stabilità interna o coerenza interna. L’ Africa può essere divisa in molti
modi, ed unita in nessun modo.
Geograficamente si divide in 4 regioni:
Nord Africa, che forma la costa sud del bacino del Mediterraneo
Costa Occidentale del Mar Rosso e del Golfo di Aden, conosciuto come il Corno d’Africa
La regione tra l’Atlantico e il sud del Sahara ,ossia l’Africa Occidentale
La grande regione, che si estende lungo la linea dal Gabon al Congo al Kenya al Capo di
Buona Speranza
Dal punto di vista religioso l’Africa può essere divisa in 2 parti: la parte Musulmana e la parte non
Musulmana.
L’Islam domina : nel Nord Africa , nel nord dell’Africa Occidentale, e la costa occidentale
dell’Oceano Indiano fino al bacino della Tanzania.
Una divisione in base alla mappa linguistica rende molto complessa la definizione dell’Africa,
perché ci sono un centinaio di lingue largamente usate, e molte parlate da piccoli gruppi, ma
ironicamente la lingua comune all’interno delle nazioni è spesse volte, la lingua degli imperialisti :
arabo, inglese, francese, spagnolo e portoghese. Anche in Nord Africa, dove gli Arabi si sono estesi
oltremodo, ci sono aree dove le lingue europee dei passati imperi rimangono anacronisticamente
residue.
Molti dei confini africani sono reduci delle divisioni tra gli imperi europei.
La reale dinamica africana, emerge quando consideriamo questi confini non solo come limiti
spaziali che definiscono gli stati,e quindi che tentano di presiedere le multiple e ostili nazioni
presenti all’interno, ma spesse volte anche come confini, che dividono le nazioni tra due paesi.
Così mentre da una parte ci sono molti stati africani, dall’altra ci sono pochi stati-nazione. ( quindi
non caratterizzati dalla dovuta corrispondenza stato-nazione)
Finalmente possiamo vedere dove vive la popolazione africana.
I maggiori centri altamente popolati si trovano sul bacino del Nilo, Nigeria, e la regione dei Grandi
Laghi che include il Ruanda, Uganda, Kenya. Che danno il senso del sovrappopolamento africano,
ma è anche vero che gran parte del continente africano è scarsamente abitato, rispetto al resto del
mondo . La topografia dell’Africa è caratterizzata inevitabilmente da deserti e foreste pluviali.
Anche quando guardiamo questi centri popolati possiamo scorgere che spesse volte i confini politici
e nazionali non combaciano, e l’alta densità di popolazione determina ulteriormente instabilità e
debolezza, soprattutto l’instabilità si ha quando popolazioni divise occupano lo stesso territorio.
La Nigeria per esempio , dovrebbe essere la maggiore potenza regionale, poiché è anche il maggior
esportatore di petrolio quindi ha entrate per la costruzione di un apparato di potere forte. Ma
l’esistenza del petrolio in Nigeria ha generato costanti ed interni conflitti; la ricchezza non và ad
incrementare le infrastrutture o il commercio ma è dirottata e dissipata da rivalità provinciali. La
ricchezza petrolifera piuttosto che servire alla fondazione di una unità nazionale, finanzia
semplicemente il caos basato sulle differenze culturali, religiose, etniche presenti. Questo fa della
Nigeria uno stato senza nazione, per essere più precisi è uno stato che presiede molteplici nazioni
ostili, alcune delle quali divise da confini statali. Allo stesso modo la popolazione che si raggruppa
in Ruanda, Uganda e Kenya è divisa, da identità nazionali loro assegnate. Le guerre hanno creato
stati complicati, come in Angola,dove la stabilità di lungo termine è difficile da trovare.
Solo in Egitto, nazione e stato coincidono, poiché nel corso del tempo è diventata una grande
potenza.
Ma la dinamica del Nord Africa, il quale è una parte predominante del bacino del Mediterraneo, è
davvero differente rispetto al resto del continente. Quindi quando uso il temine Africa, escludo il
Nord Africa.
Inoltre, gli Africani hanno un intenso senso di comunità- che l’Occidente spesso denigra come
meramente tribale o clanico- basato sulla condivisione del destino,ma mai esteso ad aggregazioni di
concittadini. Questo perché lo stato non è cresciuto organicamente fuori della nazione. E gli
accordi istituiti dagli Arabi, e dagli imperi Europei hanno gettato il continente nel caos.
Il solo modo per uscire fuori dal caos è il potere, e il potere effettivo deve essere localizzato in uno
stato che controlla coerentemente la nazione. Questo non significa che non ci possono essere stati
multinazionali come la Russia, o anche stati rappresentativi solo di una parte di nazione, come le 2
Coree. Ma questo significa che lo stato deve presiedere le persone che in modo sincero
condividono la stessa identità e reciproci interessi.
Ci sono 3 possibili risultati che vale la pena considerare per l’Africa :
La prima è la traiettoria della carità globale, ma il sistema di aiuto internazionale che
domina gran parte della vita pubblica non può avere un impatto duraturo , poiché non
s’indirizza al problema fondamentale africano ossia l’irrazionalità dei confini. Gli aiuti nel
migliore dei casi possono, addolcire alcuni problemi africani. Nel peggiore dei casi,
diventare un sistema che intensifica la corruzione tra riceventi e donatori. L’ultimo caso è
molto frequente e pochi donatori pensano che l’aiuto possa risolvere i problemi africani.
La seconda via( improbabile) è rappresentata dalla riapparsa di imperialismi stranieri, che
creeranno le basi per una vita stabile. La ragione per la quale le fasi imperiali degli arabi e
degli europei, siano finite, è da legare al costo elevato necessario per mantenere l’impero
nonostante la presenza profitti. La produzione economica africana si basa sulle materie
prime, e ci sono semplici modi per ottenere queste merci, per esempio inviando forze
militari o amministratori coloniali. Le Corporation stringono accordi con i governi esistenti
e con i signori della guerra, in questo modo si può ottenere il lavoro a buon mercato senza
assumersi la responsabilità di governare. Oggi l’imperialismo delle corporazioni permette
ai poteri stranieri di andare in Africa, prendere ciò che si desidera a basso costo, e andare via
quando conviene.
Il terzo percorso è il più probabile, è quello delle generazioni di guerra, le quali cresceranno
in un continente dove le nazioni sono forgiate in stati legittimi. Le nazioni sono nate nel
conflitto, e tramite l’esperienza di guerra le persone guadagnano il senso di condivisione del
destino. Gli Stati Uniti, la Germania, l’Arabia Saudita sono tutte nazioni che si sono forgiate
nelle battaglie , e che hanno dato origine agli stati. La guerra non basta, ma la tragedia della
condizione umana è la cosa che ci rende più umani – comunità- nasce nell’inumanità della
guerra.Le guerre in Africa non possono essere evitate, e sarebbero accadute anche in assenza
degli imperialismi stranieri. Infatti le guerre venivano combattute fino a quando
l’imperialismo s’impose. La costruzione di nazioni non ha luogo con incontri presso la
Banca Mondiale , o durante la costruzione di scuole da parte di ingegneri militari stranieri,
perché le attuali nazioni sono state costruite nel sangue. La mappa dell’Africa deve essere
ridisegnata , ma non da un comitati di persone sedute in una conferenza.
Cosa succederà, l’Africa si risolverà in un piccolo numero di grandi potenze e un gran numero di
quelle minori. Queste forniranno la struttura per lo sviluppo economico e, nel corso delle
generazioni, potrebbero creare nazioni e diventare potenze globali.
Di tutti gli stati , il Sudafrica è molto interessato a combinare la competenza europea con le strutture
politiche africane. È il più capace dei paesi africani. Ma ciò stesso lascia lo stato con divisioni che
fanno emergere come sia ogni anno che passa sempre più difficile immaginare una potenza
regionale.
Ultimamente , gli Stati Uniti non hanno interessi schiaccianti in Africa. Ovviamente attenti al
petrolio della Nigeria o dell’Angola e al controllo delle influenze islamiche nel nord, così come in
Somalia ed Etiopia. Quindi preoccupa la stabilità della Nigeria e del Kenya , potenze che
potrebbero sottolineare queste questioni. Gli intensi coinvolgimenti dell’America in Africa durante
la Guerra fredda- la guerra civile in Congo nel 1960, la guerra civile in Angola nel 1980, la Somalia
e l’Etiopia - era semplicemente un tentativo di arginare la penetrazione sovietica. Oggi quel livello
di intensità non esiste più.
In anni recenti i Cinesi hanno iniziato ad interessarsi all’Africa, con l’acquisto di miniere e di
risorse naturali. Ma come abbiamo detto, la Cina non rappresenta la stesso ordine di minaccia dei
Sovietici, sia per delle proiezioni dei limiti di potere, che per la debolezza interna della Cina. La
Cina non può sfruttare la posizione strategica dell’Africa, come i Sovietici un tempo, non si
possono portare a casa le miniere.
I cinesi così investendo, si espongono chiaramente all’instabilità africana, la quale lascia gli Stati
Uniti da parte. Allo stesso tempo, le Corporation americane sono abili nel concludere accordi che
permettono loro di ottenere petrolio, altri minerali, o prodotti agricoli senza un impegno diretto
americano nella regione. Dati tutti gli altri interessi degli Stati Uniti d’America nel mondo, a loro
senza dubbio conviene restare strategicamente in disparte, conservando però le risorse della
regione.
La scelta strategica degli Stati Uniti di essere coinvolti in modo sistematico in molte parti del
mondo lo rende un soggetto antipatico e diffidato. Non c’è modo di evitare questo attraverso la
politica, ma è possibile confondere- o disinnescare- il problema, utilizzando l’Africa, ossia :
gli Stati Uniti come tutte le nazioni, è brutalmente egoista, ma questo non appare, poiché dando
significativi aiuti all’Africa, si va incontro ad un cambiamento d’immagine dell’America. In un
decennio nel quale gli Stati Uniti necessiteranno di spendere centinaia di miliardi di dollari
all’anno, per la difesa, spenderanno 10 miliardi di dollari o 20 miliardi di dollari in aiuti per l’Africa
che sarebbe proporzionale ad un tentativo ragionevole di comprare l’ammirazione.
Ancora, l’aiuto stesso non risolve i problemi dell’Africa, ma potrebbe migliorare le condizioni di
alcuni di loro, almeno temporaneamente. È possibile che tali aiuti arrecheranno qualche danno,
come molti programmi di aiuti che hanno avuto non previste e negative conseguenze, ma il gesto
sarebbe ridondante e a vantaggio degli Stati Uniti, e sempre tale gesto relativamente e basso costo.
Il fatto che un presidente non deve mai alzare gli occhi dalla guerra, non significa che non può
essere bravo a farlo . Uno dei punti importanti di Machiavelli, è che il bene deriva dalla ricerca
spietata del potere, non cercando di fare del bene. Ma se cercando di fare del bene,
successivamente l’Europa si convincesse di inviare più truppe d’intervento agli Stati Uniti, tale
azione apparirebbe come un valido investimento.
Capitolo 13
Lo squilibrio tecnologico e demografico
Questo libro parla degli squilibri del potere americano nella prossima decade e degli effetti di questi
squilibri nel mondo.
Nel redigere tale libro, l’autore si è focalizzato sui problemi economici e geopolitici, arrivando alla
conclusione che tali squilibri sono transitori e possono essere corretti.
Il libro risulterebbe incompleto se non si prendessero in considerazione due dei maggiori problemi
che affliggono la prossima decade: la demografia e la tecnologia.
I cicli economici possono essere influenzati da speculazioni e manipolazioni finanziarie ma a un
livello più profondo, l’espansione economica e la contrazione sono guidate da forze demografiche e
innovazione tecnologica.
Durante la prossima decade sarà possibile osservare come il boom demografico sia stato
fondamentale per la prosperità che si è avuta nell’immediato dopo guerra.
Questa epoca, meglio conosciuta come il baby boom, i bambini nati nel periodo compreso tra
l’amministrazione Truman e Eisenhower, verso i 60 anni inizieranno ad andare in pensione,
inizieranno a rallentare, in poche parole ad invecchiare.
Come risultato lo stesso incremento demografico che ha creato abbondanza nello scorso mezzo
secolo, si tramuterà in un peso per l’economia negli anni a venire.
Negli anni 50 i cosiddetti baby boomers hanno creato una forte domanda per molte produzioni.
Negli anni 70 essi hanno iniziato a cercare lavoro in un’economia ancora non pronta ad accoglierli,
e così come loro hanno domandato lavoro, si sono sposati, avuto figli, comprato e prestato, il loro
comportamento collettivo ha causato inflazione e ha alzato la disoccupazione.
I boomers spingono l’economia verso eccezionali livelli di crescita, ma durante i prossimi dieci anni
quel tremendo slancio di creatività e produttività che essi hanno portato nella vita americana,
comincerà inevitabilmente a calare e l’economia inizierà a portare i primi segni di questa crisi
demografica.
Il declino dei baby boomers mette in evidenza una contemporanea crisi delle innovazioni
tecnologiche che ultimamente potrebbe essere più rilevante.
I nati nell’era del baby boom, non solo determineranno un aumento dei consumi e una diminuzione
della produzione quand’essi si ritireranno dal lavoro, ma allo stesso tempo richiederanno cure
mediche e assistenza geriatrica ad un livello mai visto prima.
La prossima decade sarà un periodo nel quale la tecnologia resterà indietro rispetto ai bisogni e alle
necessità della collettività.
In alcuni casi, le tecnologie esistenti raggiungeranno il loro punto massimo, mentre le tecnologie
sostitutive non verranno sviluppate.
Ciò non significa che non ci sarà un ampio cambio tecnologico, ma quello che mancherà saranno
innovazioni tecnologiche capaci di risolvere problematiche emergenti o già esistenti.
Il primo problema è di natura finanziaria. Lo sviluppo di tecnologie completamente nuove comporta
dei rischi, sia in termini di implementazione di nuovi concetti, sia in termini di armonizzare il
prodotto al mercato.
La crisi finanziaria e la recessione del 2008-2010 hanno ridotto l’ammontare di capitale disponibile
per lo sviluppo tecnologico, insieme alla tendenza a rischiare.
I primi paio di anni della prossima decade saranno segnati non solo dalla mancanza di capitale ma
anche dalla tendenza ad impiegare quello disponibile in progetti a basso rischio.
Il secondo problema è il ritmo di innovazione, che abbastanza curiosamente, spetta all’ambito
militare.
Nel 19 sec., lo sviluppo del motore a vapore e lo sviluppo della british navy sono andati di pari
passo.
Nel 20 sec.,erano gli Usa il motore dello sviluppo tecnologico globale, e molte di queste
innovazioni erano scoperte e guidate dal settore militare, e solo successivamente queste scoperte
hanno avuto applicazione nella società civile.
Per fare un esempio su tutti, il sistema autostrade nacque come progetto militare per facilitare il
movimento rapido delle truppe in caso di attacco sovietico o catastrofe nucleare.
Lo stesso discorso vale per internet, che inizialmente era un progetto di comunicazione militare.
Le guerre sono periodi di intense trasformazioni tecnologiche, perché le società investono quando e
dove è in gioco la vita o la morte.
La guerra tra gli usa e i jihadisti non ha portato allo stesso grado di innovazione tecnologica che si
raggiunse durante la seconda guerra mondiale e la guerra fredda.
La ragione sta nel fatto che gli ultimi conflitti, in Iran e in Afganistan, erano guerre di fanteria
leggera che non comportano un innalzamento del grado di innovazione.
Il senso di vita e di morte che dovrebbe condurre l’innovazione tecnologica nella prossima decade è
la crisi demografica e i suoi costi associati.
Il declino nella popolazione, così come l’autore scrive in “ The next 1000 years” , inizierà a fare la
sua comparsa in alcuni posti nella prossima decade.
Ad ogni modo i primi accenni lievi di tale declino, l’invecchiamento della popolazione per esempio,
inizierà già ad essere un motivo di ubiquità della vita.
La forza lavoro si contrarràm non solo in funzione dei pensionamenti ma anche perché ci sarà un
incremento nel settore formativo che terranno più tempo le persone lontane dal mercato.
Inoltre gli effetti economici dell’invecchiamento della popolazione sarà un incremento
dell’aspettativa di vita e di conseguenza un incremento delle malattie degenerative.
Così molte più persone avranno bisogno di cure mediche che si tradurranno in un peso per
l’economia e le cure che richiederanno coinvolgeranno anche lo sviluppo di sofisticate tecnologie.
Fortunatamente, quest’area di ricerca è ampiamente finanziata.
Le coalizioni politiche erogano robusti finanziamenti alla ricerca base e alle applicazioni
tecnologiche delle industrie farmaceutiche e biotecnologiche.
Ma la possibilità di squilibrio resta ancora. La mappatura del genoma non ha fornito rapide cure alle
malattie degenerative, quindi nei prossimi dieci anni ci si focalizzerà su misure palliative.
Procurare tale cure può essere molto oneroso e graverebbero molto sull’economia.
Un’alternativa è la robotica, ma lo sviluppo di tale alternativa dipende dalle scoperte scientifiche in
due aree che non si sono evolute in un arco di tempo abbastanza lungo: i microprocessori e le
batterie.
I robot possono fornire cure fondamentali per gli anziani ma richiedono enormi quantità di potenza
informatica, così come maggior mobilità, mentre i chip stanno raggiungendo i limiti massimi della
miniaturizzazione.
Esisterebbero alcune potenziali soluzioni, dai materiali biologici all’informatica quantistica, ma il
lavoro in queste due aree non è andato oltre la ricerca base.
Altri due convergenti filoni tecnologici subiranno un arresto nella prossima decade.
Il primo è la rivoluzione tecnologica iniziata nel 19 sec.
Questa rivoluzione è nata da un approfondimento delle conoscenze dello spettro elettromagnetico,
uno sviluppo scientifico guidato in parte dall’aumento degli imperi globali e dei mercati.
Il telegrafo ha fornito un sistema di comunicazione istantanea capace di coprire grandi distanze.
Successivamente tale innovazione si è divisa in voce e video, che ha prodotto un profondo effetto
sul modo in cui il mondo ha lavorato ( funzionato? ).
Questi media hanno creato nuove relazioni economiche e politiche, permettendo a entrambi i modi
di comunicazione che alle broadcast communications, un “ one to many” medium capace di dare
forte potere implicito a chiunque controlli il sistema.
Ma l’egemonia della telecomunicazione centralizzata, one to many è arrivata alla fine, sorpassata
dalla grandi possibilità dell’era digitale.
La prossima decade segna la fine dei 60 anni di crescita e innovazione anche nelle tecnologie più
avanzate e dirompenti.
L’era digitale è iniziata con una rivoluzione nell’elaborazione dei dati richiesti dalla tremenda sfida
della gestione del personale durante la seconda guerra mondiale.
Dopo la guerra, il dipartimento di difesa ha spinto per la trasformazione di questa forma primitiva
trasformandola in un mainframe di massa ed è entrato nella società civile grazie alla capacità di
vendita dell’IBM.
Nel 1990 i due tributari tecnologici, comunicazioni ed elaborazione dati, si uniscono in un’unica
corrente, con informazione in forma elettronica binaria che potrebbe essere trasmessa attraverso i
circuiti telefonici esistenti.
Internet, rapidamente si è adattata ai pc e alla trasmissione di dati attraverso la rete telefonica.
La successiva innovazione fu la fibra ottica per trasmettere grandi quantità di dati e di files grafici.
Con l’avvento dei grafici e dei dati permanentemente in esposizione la trasformazione è stata
completata.
Il mondo controllato, one to many information, si è evoluto in un infinito e diffuso sistema many to
many narrowcasting, e il formale e imposto senso di realtà, dato dalla notizie dalle tecnologie di
comunicazione diventa una cacofonia di realtà.
Il pc e l’analogo telefono cellulare hanno gia portato mobilità e certe applicazioni.
Quando si sono fusi insieme nell’assistenza digitale personale, con capacità di valutazione, accesso
ad internet e messaggi di testo e vocali, noi abbiamo acquisito accesso istantaneo ai dati globali.
Negli ultimi anni non ci si è mossi oltre lo scenario tecnologico acquisito in passato ma solo ci si è
focalizzati nello sviluppo di nuove applicazioni come i social networks e su strumenti che
consentissero l’accesso istantaneo alla rete da qualunque posto e in qualunque momento.
Praticamente si stanno riaggiornando le forniture, ma non si stanno costruendo nuove strutture.
Microsoft, dopo aver trasformato l’economia degli anni 80 oggi si concentra a proteggere le proprie
acquisizioni, Apple sta investendo su nuovi dispositivi per migliorare l’efficienza, google e face
book cercano nuovi modi per vendere pubblicità e far profitti.
L’innovazione tecnologica radicale è stata rimpiazzata dalla battaglia per le quote di mercato: fare
soldi introducendo piccoli miglioramenti come grandi eventi.
Le drammatiche crescite nella produttività, un tempo guidate dalla tecnologia sono in fase di
declino. Ciò avrà un forte impatto per quanto riguarda le sfide che affronteremo nella prossima
decade.
Oggi il mercato si focalizza semplicemente nel dare opportunità di accesso alle tecnologie già
esistenti a più persone possibili.
Ciò non significa che il mondo della tecnologia digitale sia moribondo, ma che l’elaborazione è
passiva.
È invece necessario nella prossima decade che l’elaborazione diventi attiva, in grado di cambiare la
realtà; per esempio bisognerebbe sviluppare la robotica.
Questa fase attiva è necessaria per acquisire spinta nella produttività per compensare lo shift
economico associato al cambiamento demografico che sta avvenendo.
Fidarsi nella robotica per risolvere i problemi sociali semplicemente porta ad un ‘altra spinosa
questione, come alimentare queste macchine.
Le macchine che emulano il lavoro umano avranno bisogno di grandi quantità di energia.
Ciò inevitabilmente, ripropone il difficile dibattito sul fatto che l’uso degli idrocarburi è una delle
cause principali del cambiamento climatico.
Tale questione ne solleva altre che richiedono una leadership presidenziale astuta: è possibile
ridurre il consumo di energia???
E’ possibile continuare a far crescere l’economia usando idrocarburi e in particolare il petrolio?
C’è un aspettativa costruita intorno alla politica che dice che è possibile indirizzare il problema
dell’energia verso il risparmio energetico.
Ma una gran parte della recente crescita di energia usata proviene dai paesi in via di sviluppo.
Molti di questi Stati che si stanno industrializzando a ritmi molto veloci, non sono d’accordo con
questa tesi, poiché sostengono che sia una sorta di strategia occidentale per interrompere la loro
crescita e relegarli allo status di paese terzomondista.
Nel 2010 c’è stato un summit a Copenaghen sopra il risparmio energetico.
La proposta fatta in seno a questa conferenza era quella di ridurre le emissioni di CFC.
Secondo molti, l’unica soluzione sarebbe quella di ottenere un forte ridimensionamento dei
combustibili fossili usati.
Tale conferenza è ovviamente fallita poiché politicamente insostenibile.
Nessun leaders di un avanzato paese industriale potrebbe avere possibilità di persuadere il pubblico
ad accettare una riduzione degli standards di vita.
Essi stanno contrapponendo una certezza a una probabilità.
La certezza è che la loro vita, i loro standards verrebbero significativamente abbassati.
La probabilità è che il cambiamento climatico accadrà ugualmente.
Che il cambiamento climatico potrebbe essere nocivo anziché benefico potrebbe essere vero, ma il
problema è che si parla di effetti che potranno ricadere su generazioni future, e nonostante questa
sia una spiacevole considerazione, è una delle ragioni per cui la conferenza di Copenaghen è fallita.
Per la prossima decade, l’ipotesi deve essere che il consumo di energia continuerà a crescere, e il
problema non sarà tagliare l’uso di combustibili fossili,ma se ci sarà abbastanza combustile per
soddisfare una crescita della domanda.
I combustibili non fossili non hanno la possibilità di sostituire quelli fossili in un breve raggio di
tempo.
Vento e acqua potrebbero avere solo un effetto minimo.
Lo stesso discorso vale per l’energia solare.
Per la decade a venire, una situazione sul lungo periodo potrebbe esistere, il problema sarà trovare il
carburante per far fronte alla crescita dei consumi.
L’energia usata ricade in 4 grandi categorie:
trasporti, produzione di elettricità, uso industriale e uso civile.
Nel prossimo decennio, l’energia per i trasporti continuerà ad essere il petrolio.
Il costi di shifting verso un’altra fonte di energia è proibitivo e non avverrà prima di dieci anni.
Alcuni mezzi di trasporto passeranno ai motori elettrici, ma ciò significa semplicemente muovere il
combustibile fossile dai veicoli alle stazioni di rifornimento di energia.
Alcuni sostengono che la produzione di petrolio ha raggiunto il suo picco massimo e ora è in fase di
declino.
Certamente la produzione di petrolio si è spostata verso aree sempre meno ospitali e profondità
marine maggiori, comportando l’impiego di tecnologia più cara.
Si sostiene anche che se la produzione di petrolio non ha raggiunto il suo picco, il prezzo continuerà
a salire.
La ragione sta nel fatto che attualmente l’estrazione è diventata onerosa e se il petrolio scende al di
sotto di un prezzo,risulta antieconomico produrlo.
Comunque lasciando perdere queste questioni più ampie, l’incremento dei consumi di energia non
potranno essere soddisfatti solo dal petrolio.
Questo lascia due scelte per i prossimi dieci anni:
la prima è il carbone, la seconda sono i gas naturali.
L’abilità di produrre più petrolio è limitata, e le vulnerabilità nell’economia del petrolio di
interdizione da parte di paesi come l’Iran, pongono questa economia in una posizione molto
rischiosa.
La capacità delle risorse energetiche alternative di apportare un impatto decisivo a questa decade è
minimo.
Nessun impianto nucleare costruito oggi sarà operativo per i prossimi 5 o 6 anni, e una scelta tra più
carbone o più gas naturale è una scelta che il presidente americano non vuole prendere.
L’implementazione della fatturazione idraulica, detta “Fracking”, per la produzione di gas naturale
apre la possibilità di forte crescita per quanto riguarda la disponibilità energetica.
Ciò che questa tecnologia fa è recuperare gas naturale da oltre miglia di profondità, dov’è
contenuto in rocce così compresse da non rilasciare gas.
La fatturazione della roccia permette la fuoriuscita di gas e il suo recupero, ma tale metodo, apporta
notevoli rischi ambientali.
La sua virtù, per gli Usa, è che ci sono molte riserve interne e quindi la dipendenza da questa risorsa
riduce il rischio di guerre.
I gas naturali sostituiscono per molti usi il petrolio e in alcuni casi implicano anche costi più bassi.
Ciò riduce la necessità di importare petrolio e di conseguenza riduce la possibilità che una potenza
straniera blocchi il petrolio e possa causare una guerra.
La tecnologia del fracking inoltre rende possibile ricavare abbastanza quantità di gas naturale in
breve periodo per controllare i costi e l’energia durante questa decade.
Questi prossimi dieci anni saranno utili per trovare soluzioni a problemi che ancora non si sono
concretizzati; per esempio il problema della scarsità d’acqua in zone popolate e di possibili guerre
che tale questione potrebbe causare; il problema del cambiamento climatico che potrebbe ridurre la
possibilità di precipitazioni piovose; il problema della salinizzazione delle acque e quindi la
necessità di un miglioramento tecnologico per desalinizzarle.
Tutti questi problemi sono individuati all’interno di un modello:
1) Il problema sta emergendo in questi prossimi dieci anni ma in futuro sarà insostenibile.
2) Le tecnologie necessarie per affrontare questo problema esistono ma non sono del tutto
sperimentate.
3) Implementarle richiede sia soluzioni a breve che a lungo termine.
Il problema è che la scarsità di risorse e le soluzioni da apportare si trovano in squilibrio tra loro: il
problema porterà ad uno stato di crisi prima che la soluzione adeguata venga attuata.
Sarebbe auspicabile concentrarsi su soluzioni di lungo termine.
Gli Usa devono investire maggiormente per il futuro nella green economy.
Allo stesso tempo gli Usa devono prepararsi per una crescita di lungo termine nel generare energia
da fonti non idrocarburi, fonti che sono più economiche e in aree che gli Usa non necessitano di
sorvegliare militarmente.
Ci troviamo in un periodo nel quale lo Stato è più potente del mercato, e nel quale lo Stato ha più
risorse.
I mercati sono bravi a sfruttare la scienza esistente e la tecnologia basica, ma essi non sono efficaci
come la ricerca di base, nel creare nuova tecnologia e nell’investire, come la Storia ci ha insegnato,
nel lungo termine.
Quando noi guardiamo ai progetti, necessitiamo di incaricare l’organizzazione che in questo ambito
ha avuto più successo, il Ministero della Difesa.
I poteri dominanti e coloro che si contendono il potere, si trovano sotto pressione economica e
militare.
Si risponde a tale pressione con la scoperta di nuove tecnologie.
Gli Usa sono quel tipo di potenze.
Essi stanno fortemente finanziando un’area di cui già abbiamo discusso precedentemente, quella per
le cure contro le malattie degenerative.
Ma non è stato affrontato a dovere il problema dell’energia
Capitolo 14:
L’impero, la Repubblica e la decade
Oggi ogni Paese del mondo è in un modo o nell’altro importante per gli Stati Uniti. La natura
globale e imperiale di questa Nazione non ammette indifferenza per le terre e i Paesi del nostro
Pianeta.
Durante la prossima decade, gli Stati Uniti saranno in grado di occuparsi del caos che infligge il
mondo islamico, di una Russia in ascesa, di una Europa scontrosa e divisa e di due Cine che
possono causare profonde ansie. In più sarà in grado di trovare una via d’uscita dall’attuale crisi
economica e dai problemi ad essa annessi. A tal proposito non va assolutamente dimenticato che
l’economia americana, nonostante sia in crisi, corrisponde ancora al 25% dell’economia mondiale,
inoltre gli investimenti e le richieste di prestito statunitensi sommergono il pianeta.
Oggigiorno si preferirebbe che gli USA non ampliassero e ambissero ad un potere e un impero
ancora maggiore di quello attuale, ma in questo contesto non si intende fare politica. Si osserva
quello che è stato creato e che si prospetta dinanzi a noi.
Gli USA presero la strada della powership globale con la guerra ispano-americana del 1898. A
partire da quel momento, per più di un secolo, non hai mai cambiato la sua traiettoria.
Un importante fattore da prendere in considerazione nell’ascesa del potere americano inizia con il
nesso tra principi morali e l’esercizio del potere. Infatti molti dei conflitti intestini, cause di
numerose guerre, affondano le proprie radici nella mancanza di trasparenza che concerne la
relazione che dovrebbe esserci tra l’ideologia etica e il potere.
L’esercizio del potere è sempre ambiguo da un punto di vista etico. Perseguire dei diritti che siano
universali richiede più di qualche “discorso”. Richiede il potere. Nello stesso tempo perseguire il
potere senza alcuno scopo morale non conduce da nessuna parte.
Se prendiamo l’esempio di Lincoln, egli ha dovuto tollerare la schiavitù in Kentucky e per quanto
non fosse affatto giusto e contrario al suo obiettivo morale (abolizionismo), ciò era necessario per
vincere la guerra di secessione americana, infatti se lui l’avesse persa, sarebbe svanito anche il suo
importante progetto morale. Questo è un caso di uso del potere con fine etico.
Se invece prendiamo Nixon, questi esercitò il potere senza alcuna prospettiva morale e ciò lo ha
condotto allo scandalo del Watergate e alla distruzione. Ecco come il potere da solo non funziona.
La questione morale è fondamentale per esercitare il potere: sono problemi che si ripetono
all’infinito e in forme svariate, inaspettate che devono essere risolte ogniqualvolta occorre. Certo,
nessun leader può risolverli correttamente ogni volta, ovvero dipende dalle circostanze e dalle
possibilità del proprio leader, dalle capacità e le situazioni reali che si trova ad affrontare.
È su questo punto che gli USA devono maturare.
Gli Americani sono ancora nella fase adolescenziale, attendono soluzioni su problemi insolubili e
soprattutto la perfezione nei loro leader. Gli americani dovrebbero raggiungere quella maturità tale
da disciplinarsi e imparare ad aspettarsi quello che si può avere e soprattutto che sta nelle possibilità
del leader. Non si può pretendere “il di più”, altrimenti la Repubblica rischia di non sopravvivere e
di venir soggiogata dalla richiesta di un impero preterintenzionale e da immature aspettative di
alcuni presidenti americani che in futuro potrebbero portare ad un regime. Villani e santi sono
difficili da distinguere.
La situazione in Iraq, in Afghanistan, e la recente crisi finanziaria hanno elevato questioni
significative riguardo gli interessi globali dell’elite americana e soprattutto ci si chiede se ha minato
agli interessi di tutti.
L’ultima decade ha posto delle sfide agli USA, i quali non erano preparati e delle quali non si sono
ben occupati. Ma questo “fallimento” va preso come un’esperienza da tenere in serbo per il futuro;
e soprattutto questi errori compiuti dall’establishment americano non vanno visti come una
minaccia alla sopravvivenza degli USA.
La prossima decade sarà per gli USA una fase di transizione da una politica estera ossessiva ad una
politica più bilanciata e con un esercizio del potere più attenuato. Con questo non s’intende
sostenere che l’obiettivo sarà quello di usare la diplomazia piuttosto che la forza. Semplicemente
dovranno imparare a scegliere cautamente i propri nemici, essere certi che questi possono essere
sconfitti. In pratica è importante combattere le guerre che possono essere vinte.
Gli USA hanno passato circa 16 dei passati 50 anni a combattere guerre in Asia, ma i problemi
logistici e la fornitura alle forze militari che si trovano lontano centinaia di miglia da casa e il fatto
di voler combattere un nemico che non si ha la precisa idea di dove sia ecc. sono lezioni di
quest’ultimo decennio molto importanti per agire nel prossimo. Lo stesso Douglas MacArthur dopo
la sua esperienza in Corea ha allertato gli americani di evitare tali problematiche avventure.
Dai britannici, gli americani avrebbero dovuto imparare che ci sono vari modi di occuparsi di guerre
in Asia e in Europa, ovvero mantenere un balance of power, un buon equilibrio di potere
fondamentale nella politica estera come lo è la Carta dei diritti nella politica interna.
Ciò per dire che gli USA dovrebbero entrare in guerra nell’emisfero dell’est solo nelle circostanze
più estreme, quando c’è una potenza che minaccia di estendersi e nessuna riesce a farle resistenza.
Abbiamo visto nell’ultimo decennio un esercito americano ossessionato di costruire una forza che
può combattere nel mondo islamico. Alcuni dicono che si sarebbe raggiunto un punto in cui tutte le
guerre diverranno asimmetriche. Altri descrivono il futuro in termini di una “lunga guerra”, un
conflitto che si estenderà per generazioni. Se ciò fosse vero allora gli USA hanno già perso, perché
non c’è modo di arrivare alla pace con più di un miliardo di Musulmani.
Inoltre va tenuto in considerazione che le “guerre sistemiche”, guerre in cui le maggiori potenze
combattono per ridefinire il sistema internazionale, accadono in quasi ogni secolo. È virtualmente
certo che nel 21esimo secolo scoppieranno guerre sistemiche. Bisogna ricordare che se si vince una
dozzina di guerre, ma perdi la più grande, la più importante, si perde tutto.
Un punto di forza della geostrategia americana può essere il mare. L’US Navy è una base strategica
fondamentale degli USA, dopo le forze US nello spazio (dato che nella prossima decade saranno le
immagini satellitari che guideranno i missili anti-ship e, magari un futuro tali missili troveranno la
loro traiettoria nello spazio). L’Oceano è la base del potere americano. Dominare gli oceani è un
modo per prevenire attacchi da altre nazioni. Ciò permette agli USA di intervenire ogniqualvolta sia
necessario, e far in modo che controlli il commercio internazionale. Chiunque controlla l’oceano
controlla il commercio mondiale.
Per quanto riguarda la struttura burocratica, i britannici avevano l’ufficio Coloniale, i romani il
proconsolato, gli USA hanno una caotica fila di istituzioni accordate con la politica estera. Ci sono
16 servizi di intelligence con responsabilità sovrapposte. Il dipartimento di Stato, quello della
Difesa, il National Security Council e il direttore nazionale dell’intelligence concludono accordi
sulle stesse issues. Tutto ciò per dire che ci sono troppi cuochi in cucina che alla fine dimenticano il
punto centrale, e troppe cucine che servono lo stesso piatto. Sarebbe meglio che l’apparato
americano di politica estera venisse razionalizzato: sembra che il ruolo del presidente degli USA sia
di passare il tempo a controllare il suo team. Per evitare che questa eterna spirale burocratica ci porti
fuori strada, tutto ciò deve cambiare nella prossima decade. Nelle issues trattate ci sono delle vite in
gioco.
Il problema degli americani è quello di spiegare la realtà come dovrebbe essere, io (Friedman) ho
tentato di mostrarvela così come la vedo. Sostenendo che gli USA sono divenuti
inintenzionalmente un impero, ho tenuto in considerazione che questo può essere una minaccia per
la Repubblica. Alla base del problema c’è anche una mancanza di consensus da parte della
popolazione americana riguardo l’esistenza di un impero e su cosa farne di esso. In pratica
nonostante l’importanza del ruolo del presidente, quest’ultimo non può condurre il paese da solo.
Bisognerebbe puntare su altre istituzioni, i cui fondatori facciano in modo che la Repubblica
funzioni in modo compiuto e assennato, ma soprattutto è importante puntare su una popolazione
americana matura, in grado di prendersi importanti responsabilità che interessano la Nazione.
Qui risulta emblematico sottolineare un passo del Nuovo testamento:“quando io ero bambino,
parlavo come un bambino, pensavo come un bambino, ragionavo come un bambino. Quando sono
divenuto un uomo, ho messo via i miei modi fanciulleschi”.
Gli USA sono oramai maturati, e anche i suoi cittadini devono esserlo; accanto ad un leader
intelligente, tale deve essere anche il pubblico.
Gli USA sono una potenza maggiore di quel che si pensa: i suoi problemi attuali sono reali ma
frivoli se comparati all’estensione del suo potere. Nello stesso tempo questo mi crea spavento non
tanto per la sopravvivenza americana, ma per la capacità della nazione americana di mantenere una
Repubblica così come stabilita e voluta dai suoi fondatori: democratica, giusta, rispettosa dei diritti
altrui. Oggi le tentazioni di un impero possono facilmente distruggere delle istituzioni già assediate
da un pubblico, da americani che sembra abbiano perso civiltà e prospettive, e da politici che non
sono capaci di agire perché non sanno né esercitare il potere né perseguire i fini morali.
Necessitano dei cambiamenti:
1. Innanzitutto una nazione che abbia una comprensione razionale della situazione in cui si trova,
senza legami sentimentali.
2. La figura di leaders pronti a portare un fardello a favore di una riconciliazione tra realtà e i valori
americani.
3. Presidenti che comprendano l’importanza del potere e dei principi morali e che sappiano
mantenere il proprio posto, senza andare oltre le proprie potenzialità.
4. Ma soprattutto, si ha bisogno di un pubblico americano maturo che riconosca cosa è a rischio
nella propria Nazione, e che sappia sfruttare il poco tempo a disposizione per sviluppare una cultura
e delle istituzioni in grado di rilanciare un establishment che possa gestire al meglio il ruolo
imperiale.
La situazione è lontana dall’irreparabile, ma richiede un enorme atto di volontà affinché il paese
cresca.