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Maurizio Ficari Storia e ragioni di un restauro neogotico

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Maurizio Ficari

Storia e ragionidi un restauro neogotico

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Fra tutti gli eventi che lungo la storia della collegiata hanno segnato la sua veste architettonica, il più noto e documentato è la riformulazione della facciata da parte di Giovanni Battista Carducci alla metà del XIX secolo. Sull’argomento, infatti, si reperiscono una messe di preziose informazioni, prodotto spesso di indagini condotte per amore patrio. Seppur numerose, le notizie non risultano sempre certe: scarsi sono i riferimenti alle fonti da comprovarne la solidità. D’altronde, sfogliando la bibliografia, si avverte come chi si sia accostato pure di recente all’Annunziata abbia riposto cieca fiducia in quanto narrato nella storia ginesina di Giuseppe Salvi, parroco di San Grego-rio Magno. Don Salvi indubbiamente ha avuto accesso a documenti oggi dispersi, il che non toglie che sia inciampato in stravolgimenti della realtà dovuti al desiderio di dare lustro ai luoghi oggetto della sua erudizione.

Se l’assenza di rigore scientifico è perdonabile in un sacerdote vissuto a fine Ottocento1, non si desidera negare qualsiasi validità all’opera di Salvi; anzi si rende necessario vagliarne l’attendibilità attraverso un riesame dei documenti per verificare quanto di vero e di errato fu allora affermato. Proprio grazie alle ricerche condotte nell’archivio della collegiata, facilitate dall’indice realizzato da Silvia Lapponi, non-ché dall’aiuto di Alicia Cappuccio e soprattutto della direttrice del Centro Interna-zionale Studi Gentiliani, Pepe Ragoni, si è riusciti a recuperare il resoconto dei fatti che portò all’elaborazione neogotica della fronte. Si tratta, fra gli interventi edilizi che hanno interessato la chiesa, del più recente e quindi del più facile da restituire in termini storici. Pertanto la relativa semplicità con cui si sono ricostruite le vicende qui esposte, sta a dimostrare come un attento esame delle carte d’archivio possa talvolta confutare facili certezze.

San Ginesio alla metà del XIX secolo

Per comprendere appieno le ragioni per cui si giunse a metà Ottocento alla decisione di dare nuovo lustro alla collegiata, è un passo obbligato ricostruire le instabili condizioni politiche e sociali che caratterizzarono San Ginesio fin dagli ultimi anni del secolo precedente. Testimone di quella stagione fu Telesforo Benigni, che lamentava come «dentro la nostra terra alcuni grandissimi spazj di terreno, che invece di essere occupati dalle case, vengono arati co’ bovi, e seminati di grano»2 e accusava lo stato di abbandono nel quale i ginesini lasciavano il loro paese. Nel 1856 Gaetano Moroni riportava riguardo le mura che «gli edifizi rovinati, gli estesi orti, ed i terreni coltivati,

1 Cfr. G. Salvi, Memorie storiche di San Ginesio (Marche) in relazione con le terre circonvicine, Camerino 1889; La facciata della Collegiata di San Ginesio e l’allogazione della medesima a M. Enrico Alemanno, in «Nuova rivista misena», 6, VI, 1893, e La nostra collegiata fra i monumenti nazionali d’arte e di antichità, in «La incoronazione della Vergine della Misericordia», 7-8, IV, 1908, pp. 300-302.2 T. BeniGni, Sanginesio illustrata con antiche lapidi e aneddoti documenti, Fermo 1795, II, p. 65.

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dimostrano nell’interno a quale stato si trovi ridotta, e attestano pari tempo la grandezza di un tempo»3. Nel leggere i due brani, separati da più di mezzo secolo di concitate vicende, si ha l’impressione che nella cittadina perdurasse da tempo sia uno stato d’in-curia, sia una situazione di declino economico e demografico. Tuttavia il centro conti-nuava a mantenere una sua indipendenza politica e giuridica, autonomia che le derivava anche dagli Statuti Comunali grazie a cui aveva acquisito diritti e immunità particolari già dal Medioevo.

Con la prima occupazione napoleonica, San Ginesio, nella nuova ripartizione amministrativa della Repubblica Romana, fu innalzata a capoluogo di uno dei sedici can-toni appartenenti al dipartimento del Tronto, che aveva in Fermo la capitale. Durante la restaurazione pontificia del 1801, le Marche furono suddivise in delegazioni e da quella di Macerata dipendeva la nostra cittadina. Nel 1808 i francesi rioccuparono i territori della Chiesa; furono allora riesumati i dipartimenti creati nel 1798 e San Ginesio rientrò in quello del Tronto, diviso nei distretti di Fermo, Ascoli e Camerino, cui si aggiunse nel 1811 il distretto di San Ginesio. Nel 1814 si avviò la seconda restaurazione pontificia e l’anno seguente il Piceno fu ricondotto sotto la sovranità papale, dopo il fallimento dell’avventura murattiana. Il 5 luglio un editto del cardinale Ercole Consalvi ripartì provvisoriamente la regione in tre delegazioni con a capo Ancona, Macerata e Fermo. Col Motu Proprio di Pio VII del 6 luglio 1816, redatto sempre da Consalvi, le Marche furono ripartite nelle province di Camerino, della Marca e di Urbino. La provincia della Marca fu a sua volta suddivisa nelle delegazioni di Ancona, Fermo, Ascoli e Macerata. San Ginesio fu posta sotto quest’ultima e vi s’insediò un gonfaloniere. Solo con la Repubblica Romana del 1848-1849 le congregazioni governative vennero sciolte, ma tornato a Roma Pio IX dall’esilio, il 22 novembre 1850 il cardinale Giacomo Antonelli riformò ancora l’assetto amministrativo. Le quattro delegazioni della Marca furono radunate in un’unica legazione presieduta da un cardinale assistito da un consiglio. I delegati dei capoluoghi mantennero comunque la presidenza dei consigli provinciali e per Macerata si stabilì l’obbligo di avere al suo interno un membro proveniente da San Ginesio, allora dichiarato comune di residenza governativa4. Tale situazione non cambiò nel successivo decennio, sicché si deve aspettare il 22 dicembre 1860 per un mutamento radicale, allorché il piemontese Lorenzo Valerio, nominato con regio decreto del 12 set-

3 G. Moroni, s.v. San Ginesio, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica. Da San Pietro ai giorni nostri, Venezia 1856, XL, p. 290.4 Sui cambiamenti giuridico-amministrativi che interessarono le Marche tra il periodo napoleonico e il risorgimento, v. D. CeCChi, L’amministrazione pontificia nella seconda restaurazione. 1814-1823, Mace-rata 1978, pp. 1-33 e 188-203; a. CaraCCiolo - M. Caravale, Lo stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1979, pp. 539-549, 566-596 e 659-683; D. CeCChi, Dagli stati signorili all’età postunitaria. Le giurisdizioni amministrative in età moderna, in Economia e società tra XV e XX secolo, a cura di S. Anselmi, Bologna 1979, pp. 70-88; G. PianGatelli, Dal tardo ’700 all’Unità. Una stagione tra reazione ed iniziativa risorgimentale, in La provincia di Macerata. Ambiente, cultura, società, a cura di G. Castagnoli, Macerata 1990, pp. 109-112.

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tembre Commissario delle Marche, attuò un nuovo ordine amministrativo trasformando le delegazioni in province del regno sabaudo5.

Nelle vicende così rapidamente descritte, San Ginesio sembra quindi occupare sempre un livello d’importanza intermedia, uno status giuridico posto al di sotto dei centri maggiori quali Macerata o Fermo, pur mantenendo una posizione di un certo rilievo nelle dinamiche politiche della regione. Tuttavia, anche se per la breve stagione napoleonica, il centro arrivò ad assumere la condizione di capoluogo dipartimentale e l’evento fece percepire alla popolazione le sue potenzialità, rimaste in seguito disattese. Ciò comunque provocò una presa di coscienza che condusse a un tentativo di rinnova-mento sociale e infrastrutturale della cittadina tramite una serie di iniziative di carattere commerciale, urbanistico e persino devozionale. Del tutto rimane testimonianza in due pamphlet indirizzati dalla comunità ginesina al governo centrale relativi alla costruzione della via Falerense6.

Dal 1807 la Sacra Congregazione del Buon Governo intendeva creare una strada, chiamata Falerense, che attreversando il Fermano, sarebbe dovuta passare per il territorio di San Ginesio (fig. 51). Le vicende belliche però ritardarono il progetto, ripreso solamente nel 1819. Nacque allora una lunga disputa tra le province di Macerata, Fermo e Camerino, ovvero i governi locali incaricati della progettazione, supervisione e costruzione della Falerense, e il comune ginesino. Mentre le tre province si accordarono a favore di un tracciato che avrebbe aggirato la cittadina, per evitare la pendenza del colle sul quale sorge, San Ginesio pretese che la strada passasse al suo interno. Dagli anni Venti e per sessant’anni circa il circondario ginesino fu dunque oggetto di ispezioni da parte di ingegneri provinciali e statali, al fine di verificare quale fosse la soluzione più opportuna, cui seguirono incalzanti ricorsi e lagnanze da una parte o dall’altra. La ragione sul contenzioso si spostò continuamente tra i litiganti, senza mai raggiungere un provvedimento definitivo7. Nel contrasto, inoltre, s’intromisero pure quei comuni,

5 Per una più completa relazione sulle iniziative di Valerio, v. G. SantonCini, Lorenzo Valerio nelle Marche. L’attività del regio commissario generale straordinario dal 12 settembre 1860 al 18 gennaio 1861, Mace-rata 2006.6 Sulla controversia intorno alla prosecuzione della via Falerense nei territori delle province di Macerata e Camerino e sulla prevalenza della linea di Sanginesio a quella di Morico. Memoria con documenti, Imola 1848; Cenno storico della controversia intorno alla prosecuzione della via Falerense tra il Comune di Sanginesio e le Province di Macerata di Fermo e di Ascoli, con sommario delle ragioni allegate dalle parti contendenti, Imola 1852. Ambedue i libercoli sono depositati in ASR, Camerale III, b. 2197 «Atti diversi, San Ginesio».7 Nel disegno del 1807 la Falerense doveva attraversare San Ginesio. Nel 1829 il progetto era modificato dall’ingegnere della provincia di Macerata con una variante che escludeva il comune ginesino. Seguivano le visite di altri periti nel 1831 e 1838; in quegli anni Camerino si schierava a favore di San Ginesio, mentre Macerata vi si opponeva e Fermo si manteneva neutrale. Alla fine del 1838 il governo centrale decideva di applicare la soluzione auspicata dai maceratesi, ma un appello al papa dei ginesini portava alla sospensione dei lavori nel 1839. Nello stesso anno il comune di San Ginesio incaricava l’ingegnere romano Francesco Cellini di pianificare una strada che attraversasse la cittadina. Il progetto trovava consenso nel 1842 da parte

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come Sarnano e Cessapalombo, che avrebbero goduto di notevoli agevolazioni dal punto di vista dei collegamenti viari, e quindi mercantili, qualora si fosse realizzata la linea voluta da Macerata, Fermo e Camerino8.

Nei documenti relativi a questa bagarre colpiscono alcune frasi con cui i gine-sini si riferiscono alla propria condizione: «[bisogna] uscire da un isolamento funesto: è sforzo di risorgere da una decadenza che di giorno in giorno si fa maggiore […]. È inoltre necessità di allontanare da sé un danno gravissimo, equivalente all’ultima rovina». Addirittura, per scongiurare le plumbee previsioni, la magistratura e il clero locale si erano risoluti a contribuire alle spese pur di ottenere la strada, malgrado non spettasse loro alcun onere finanziario9. Di fatto San Ginesio soffriva la mancanza di una via agevole che la mettesse in comunicazione con i centri più importanti.

Le medesime rimostranze ritornano in un altro libercolo intitolato All’eminen-tissimo principe il signor cardinale Antonelli segretario di Sua santità e presidente del consiglio dei ministri per la comune di San Ginesio10. A seguito dell’editto del 1850, il comune temette di veder diminuire anche i diritti di governo sul territorio a favore di Sarnano o addirittura una sua soppressione. L’opuscolo ricorda le strutture di pubblica assistenza, le sedi istituzionali, tra cui gli uffici del bollo e il registro dei catasti, nonché varie attività manifatturiere presenti a San Ginesio. Dopo avere riportato in breve le glorie del passato, il testo ricorda però che «di tanta potenza di tanto splendore poco, egli è vero, in oggi rimane»11. Inoltre, riguardo la diatriba sulla strada Falerense ancora in atto, vi si legge: «Chiediamo di vivere, che appunto la controversia presente è per questa terra infelice questione di Vita o di Morte12». Il testo descrive una situazione economica disastrosa ed effettivamente, se si aggiungono le notizie riportate da Benigni e da Moroni, con ogni probabilità lo sciagurato quadro corrispondeva a realtà.

del Consiglio d’Arte di Roma (v. ASR, Disegni e piante I, cartella 100, c. 70, «Pianta della città e strada fermana»), ma già Macerata nel 1840 aveva predisposto un’alternativa, stilata dall’ingegner Mariotti, con cui si opponeva al programma di Cellini. Tra 1845 e 1846 da Roma si muoveva l’ingegner Salvi per ispezio-nare la situazione e si risolveva ad appoggiare il comune di San Ginesio. L’ennesima protesta da parte delle province rimetteva tutto in discussione. Ancora nel 1850 e 1852 sembrava che il disegno ginesino potesse essere ratificato, ma ogni volta le lagnanze della fazione opposta procrastinavano qualsiasi risoluzione. Cfr. Sulla controversia; Cenno storico; n. liPParoni, Le infrastrutture di comunicazione, in La provincia, pp.189-190. Sul sistema di governo delle strade, v. Le strade dello stato pontificio nel XIX secolo, a cura di G. Friz, Torino 1967.8 Le esigenze di questi comuni erano soddisfatte nel 1881 con il tracciato della via della Morichella (v. liPParoni, Le infrastrutture, p. 191). Attualmente la Falerense, divisa nei tronchi Valle, Monte e Ginesina, si distacca dalla provinciale Fermana-Falerense a Piane di Falerone per poi attraversare Falerone, Sant’An-gelo in Pontano, San Ginesio, Cessapalombo e arrestarsi a Caldarola.9 Cenno storico, pp. 26-27.10 Una copia dell’opuscolo, edito nel 1852, è conservata in ASR, Camerale III, b. 2197 «Atti diversi, San Ginesio».11 All’eminentissimo principe il signor cardinale Antonelli segretario di Sua santità e presidente del consi-glio dei ministri per la comune di San Ginesio, Roma 1852, p. 9.12 Ivi, p. 17.

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Fatale per San Ginesio fu la «morte giuridica dello Stato-città» avvenuta all’i-nizio del XIX secolo, a seguito della quale perdette la propria autonomia fiscale13. Ad acuire la crisi si aggiunsero l’isolamento geografico e l’emigrazione che spinse molti a spostarsi verso valle14. Insomma la cittadina si dibatteva in una crisi tale da mettere in discussione anche l’opportunità di mantenervi degli uffici pubblici di qualche rilievo15.

Tale precarietà non impedì però ai canonici dell’Annunziata di affrontare un considerevole sforzo finanziario per restaurare la facciata della loro chiesa. Nello stesso periodo, per di più, la municipalità ginesina decise di fare altrettanto col cadente palazzo Defensorale, sede del Comune. Un indizio sulle motivazioni di questi investimenti volti al riassesto del centro cittadino si trova nel pamphlet rivolto al cardinale Antonelli: tra i meriti attribuiti a San Ginesio vi è quello di ospitare nella sua collegiata «L’immagine prodigiosissima di Maria Santissima della Misericordia, che nel 1850 rinnovava qui il prodigio di Rimini in modo ancor più manifesto e sensibile, il che fa sì che di Sanginesio possa dirsi, che Sanginesio, la Terra dimenticata del Piceno, non è più l’ultima fra le Città Marchigiane, poiché in essa si piacque alla Provvidenza Divina rinnovare i prodigi della Misericordia»16.

Si ricordano due miracoli verificatisi tra le mura della collegiata: su una tela cinquecentesca, una Ascensione di Domenico Malpiedi, il volto della Vergine mosse le pupille una prima volta nel 1796 e poi nel giugno del 185017. Al secondo episodio seguì un’inchiesta da parte della curia di Camerino e il 2 luglio l’arcivescovo Salvini ordinò una processione in adorazione del dipinto18. I pellegrinaggi dovettero farsi consueti e la lettera all’Antonelli riporta che nella collegiata «di continuo vi accorrono Forastieri, ed

13 D. Fioretti, Persistenze e mutamenti dal periodo giacobino all’Unità, in Le Marche, a cura di S. Anselmi, Torino 1987, p. 47.14 F. Bonelli, Evoluzione demografica ed ambiente economico nelle Marche e nell’Umbria dell’Ottocento, Torino 1967, pp. 29-31 e 51.15 A conferma del fatto che allora la comunità tentasse di migliorare le proprie condizioni economiche stanno le richieste delle autorità cittadine allo Stato centrale di poter organizzare nuove fiere di merci e armenti, per cui v. ASR, Camerlengato II, Titolo X (Fiere e Mercati), b. 697, fasc. 101.16 All’eminentissimo, p. 10. Si fa riferimento qui a un miracolo, avvenuto a Rimini il 20 luglio 1796, in cui un’immagine dipinta della Vergine aveva mosso gli occhi; l’evento soprannaturale faceva parte di una serie di avvenimenti simili che si compirono in molte comunità della Stato pontificio nell’estate di quell’anno. Iniziava questa «onda miracolosa» la Madonna di San Ciriaco che ad Ancona, il 25 giugno, spostava il suo sguardo più volte verso i fedeli. All’epoca Ancona viveva un periodo di angoscia, minacciata da una proba-bile occupazione giacobina in seguito ai patti dell’armistizio di Bologna raggiunto tra Pio VI e Napoleone. L’accordo prevedeva un presidio militare della città portuale da parte dei francesi. Attraverso il ricono-scimento del miracolo e la diffusione della sua notizia, «la Chiesa romana riusciva a rendere nuovamente coesa una società che stava rischiando di disgregarsi progressivamente sotto la concomitante pressione di una crisi al tempo stesso morale, dottrinale ed economica», in M. Cattaneo, Gli occhi di Maria sulla rivoluzione. Miracoli a Roma e nello Stato della Chiesa (1796-1797), Roma 1995, pp. 6-66.17 Ivi, pp. 80-81.18 l.M. arMellini - r. CiCConi, Un dipinto, un prodigio, una cappella, San Ginesio 2000, pp. 9-23.

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anche Personaggi distintissimi a venerare l’Immagine prodigiosissima»19. A conferma di ciò stanno i documenti custoditi nell’archivio dell’Annunziata con i nomi dei pellegrini, tra i quali anche molti alti prelati, e l’elenco dei preziosi doni che questi lasciarono alla chiesa20. Data la grande devozione manifestatasi intorno alla pala, i canonici decisero di costruire una cappella appositamente dedicata ad accoglierla (foto 154-155). Votata alla Misericordia, fu edificata tra 1852 e 1853, ma dovettero passare circa vent’anni affinché fosse completata in ogni particolare decorativo21.

Il fermento edilizio che allora investì San Ginesio – alla costruzione della cap-pella si aggiunsero i restauri della facciata della collegiata e i progetti di risanamento dell’antico palazzo Defensorale – porta a supporre l’esistenza di un piano uniforme teso a coinvolgere l’assetto della chiesa e della piazza antistante, un programma ruotante attorno al miracolo del 1850 e che forse aspirava a dare nuovo prestigio alla cittadina. Fu questa un’ambizione che chiamò i canonici a un impegno economico superiore ai loro mezzi, al pari del municipio che sovvenzionò la messa in opera della Falerense, in cui tante speranze erano riposte. Si trattò però di un «rinnovo senza ammodernamento»22, ovvero di una soluzione che non avrebbe potuto traghettare San Ginesio verso la prospe-rità agognata. La decisione di affidare le aspirazioni della comunità a un programma di rivalutazione del passato – la collegiata e il municipio –, al pari della rivitalizzazione di pratiche devozionali popolari, non ebbe di fatto conseguenze apprezzabili e comunque di lunga durata; ciò accadde anche e soprattutto a seguito dell’avvento del Regno d’Ita-lia, nel cui sistema tali manifestazioni religiose non riscuotevano la stessa approvazione di cui godettero presso il governo pontificio. Non stupisce dunque che dopo il 1860 la cittadina rivalutò il nucleo centrale dell’abitato non con imprese connesse agli edifici simbolo dell’ancien régime, ma con una nuova fabbrica, espressione del mutato clima: il teatro comunale sorto in luogo del palazzo Defensorale.

I restauri della facciata: Giovanni Battista Carducci a San Ginesio

Sopra la facciata medievale s’innalza dalla metà del XIX secolo il fastigio a vento progettato da Carducci, che allora curava il restauro del prospetto dell’Annunziata (foto 156); qui pose in successione tre grandi arconi a sesto pieno e con trafori ciechi, così da riprendere il disegno delle finestre quattrocentesche degli ordini inferiori. Alla loro sommità, inoltre, furono inseriti altrettanti elementi circolari, il cui andamento

19 All’eminentissimo, p. 11.20 ACollSG, 1.9.7.6. (8) «Atti e carteggio».21 ACollSG, 1.9.7.6. (4) «Fabbrica della cappella» e 1.9.7.6. (6) «Fabbrica della cappella. Entrata e uscita». Il progetto originario della cappella della Misericordia, del capomastro Fortunato Basili, subiva nel 1859 una revisione da parte di Giovanni Battista Carducci. Cfr. ACollSG, 1.9.7.6. (9) «Miscellanea», c. s. n.22 Fioretti, Persistenze e mutamenti, p. 36.

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interseca le curve delle membrature sottostanti. Sopra i punti di tangenza dei tre archi presero posto ornamenti a ventaglio. In corrispondenza delle navate laterali, Carducci sistemò invece semplici salienti a congiunzione dei semipilastri poligonali esterni della facciata quattrocentesca con l’elevazione centrale.

Descritto come «coronamento interpretativo»23, «fastidiosa nota di ambigua apparenza gotico-ispano-moresca»24e restauro «fin troppo creativo»25, l’intervento dell’ar-chitetto fermano, vera ricostruzione secondo i canoni estetici correnti dell’epoca, è da ritenersi uno dei primi interventi di gusto eclettico neogotico applicati a un edificio sacro in territorio marchigiano e, comunque, l’unica realizzazione di Carducci interamente neogotica. Difatti egli solitamente non si discostò da una rigorosa osservanza dei principi neoclassici, come dimostrano le sue opere maggiori: gli interni del San Nicola di Tolentino e della cattedrale di San Terenzio a Pesaro. Si aggiunga però che Carducci non disdegnò di cimentarsi in creazioni più originali, quale la torre dell’orologio di Fermo26.

Assieme al fastigio e al restauro della facciata, Carducci progettò per la col-legiata anche un protiro in laterizio che sostituì il pericolante portico medievale. Oggi possiamo esaminare la struttura soltanto da alcune foto scattate prima del 194927, anno della sua demolizione28 (figg. 52-53), sebbene la sua più antica rappresentazione sta nella veduta della piazza centrale di San Ginesio che Enrico Andreani dipinse nel 1877 sul fondale scenico dell’appena eretto teatro comunale29.

Il protiro, che andava a coprire il portale medievale e l’edicola che lo affianca, era aperto ai fianchi tramite ogive e presentava sulla piazza tre fornici: a sesto pieno il centrale e acuto i laterali. Il mediano, più alto rispetto agli altri due, era coronato da

23 F. Mariano, Architettura nelle Marche. Dall’età classica al Liberty, Fiesole 1996, p. 67.24 C. MarCheGiani, Il frontespizio in terracotta della pieve di San Ginesio. Una proposta gotica alemanna nella Marca di Martino V, in I da Varano e le arti, atti del convegno di studi a cura di A. De Marchi - P.L. Falaschi (Camerino, 4-6 ottobre 2001), Ripatransone 2003, II, pp. 642.25 C. MarCheGiani, Giovanbattista Carducci. Architettura e risorgimento del «puro stile italiano», in L’età dell’eclettismo. Arte e architettura nelle Marche fra Ottocento e Novecento, a cura di F. Mariano, Firenze 2004, p. 225.26 Mariano, Architettura nelle Marche, p. 467; v. teoDori, Giovan Battista Carducci architetto fermano. 1806-1878, Fermo 2001, pp. 146-158 e 168-178.27 G. Salvi, Incoronazione della Madonna della Misericordia, San Ginesio 1910, p. 18-19; l.M. arMellini, La pieve-collegiata di San Ginesio, San Ginesio 2000, pp. 20-21.28 Le carte relative alle operazioni di demolizione del protiro disegnato da Carducci, avviate il 12 dicembre 1949 su iniziativa del parroco Ugo Sparvoli, riportano che sin dal 1908 si pensava a un nuovo restauro della facciata e ancora nell’estate del 1937 si avanzavano proposte di risanamento che prevedevano la ricostruzione del fastigio e l’abbattimento del protiro. Per quanto riguarda l’ultimo progetto, rinviato poi al decennio successivo ed eseguito solo parzialmente, di esso se ne era preso cura il pittore ginesino Guglielmo Ciarlantini (v. ASSBAPM, b. MC341 «San Ginesio, chiesa SS. Annunziata» e ASDCAC, Uffi-cio della Curia di Camerino IV, b. 140). Per un’analisi più dettagliata, v. il contributo di Matteo Piccioni in questo volume.29 Il dipinto è tutt’oggi sulla scena del teatro ginesino (v. a.M. CorBo, Spettacolo e teatro in San Ginesio dal secolo XIV al ’900, San Ginesio 1995, p. 33).

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una cuspide a vento con un rincasso triangolare al centro. Anche gli archi laterali erano sormontati da cuspidi, le cui sommità raggiungevano la base del timpano centrale e che ospitavano due rilievi con stemmi incorniciati da festoni. Il tutto era sorretto da poderosi pilastri quadrangoli da cui avanzavano semicolonne. Nonostante il profilo gotico dato alla struttura, l’intervento non fu perfettamente integrato alla situazione architettonica e decorativa preesistente; palese è la pesantezza delle forme e l’impiego di un vocabolario neoclassico, tale da escludere ogni riferimento all’intelaiatura della facciata quattrocen-tesca, scandita da paraste polilobate. Per di più il manufatto era fuori scala rispetto alla fronte e ne sovrastava il settore mediano tanto da decretarne la parziale distruzione.

Per l’Annunziata Carducci curò anche il restauro del paramento laterizio tardogotico, risarcendone le lacune, sostituendo gli ornamenti in terracotta irrepara-bilmente rovinati – alcune colonnine e quasi tutte le foglie globulari all’apice delle finestre cieche ad arco carenato – e aggiungendo in cima alla grande trifora centrale un grande rilievo floreale.

Fino a oggi le cronologie dei lavori sopra descritti si facevano risalire, per il fastigio, al 1832 e, per il protiro, al 184030. In effetti dalle carte risulta che restauri furono approntati intorno al 1832, ma, dai documenti dell’archivio parrocchiale, appare evidente che il cantiere riguardasse l’interno della chiesa, senza andare a toccare il pro-spetto sulla piazza31.

Per risalire alla veste della facciata prima dei restauri ottocenteschi, cioè in quali condizioni questa fosse giunta, è d’obbligo considerare un disegno verosimilmente redatto da Carducci32 (foto 47), dove il prospetto presenta due salienti a volute e sopra il frontone una nicchia che custodiva sin dal Quattrocento una statua della Vergine33. Nel disegno non vi è più traccia del portico medievale, forse perché già abbattuto oppure non rappresentato per motivi progettuali34. Tuttavia per la ricostruzione del loggiato esistono diverse testimonianze. In primis un acquerello della piazza centrale, già da tempo noto35 (fig. 10). Qui dell’atrio della collegiata, occultato in parte dallo spigolo del palazzo comunale, si vedono due archi di differente ampiezza e laddove s’imposta il fornice più grande sino all’angolo della facciata, corre un muro pieno. Leggermente diversa è la restituzione offerta dalla mappa del Catasto Gregoriano (foto 43), dove

30 G. Salvi, Memorie storiche, p. 311; arMellini, La pieve-collegiata, pp. 20,43; MarCheGiani, Il fronte-spizio, pp. 642-643.31 ACollSG, 1.8.4. (34) «Restauro della collegiata». 32 Il disegno proviene da AGC, n. 55. Tuttavia esso non fu eseguito da Guglielmo Ciarlantini, come risulta dal confronto con il suo progetto degli anni Trenta del Novecento relativo alla facciata. A escluderne la paternità è poi la presenza delle volute settecentesche e della nicchia al colmo della fronte, eliminate dal Carducci. 33 MarCheGiani, Il frontespizio, pp. 648-650.34 Anzi, sul foglio è vergato, con inchiostro distinto da quello del disegno, il profilo delle tre cuspidi del protiro.35 arMellini, La pieve-collegiata, p. 22 e MarCheGiani, Il frontespizio, p. 651.

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l’ambulacro sorpassava la facciata in direzione del palazzo Defensorale per terminare all’altezza del campanile, sul cui fianco si appoggiava una bottega di proprietà del comune, poi demolita36. Si evince che il portico era stato più volte ristrutturato anche nel corso della prima metà dell’Ottocento37 e che fu atterrato presumibilmente a seguito delle proteste da parte della cittadinanza perché a rischio di crollo38. Infatti sappiamo che il 31 settembre 1851 il capitolo dei canonici affrontò il problema della fatiscenza del colonnato davanti alla collegiata39. Qualche mese dopo, il 18 marzo 1852, il canonico Pietro Fornari ne segnalò ancora lo stato di dissesto e «in vista anche che la facciata a prospettiva della medesima trovasi nello stato di tale deterioramento che abbisogna di solleciti restauri onde impedirne maggiori rovine crede necessario venire senza alcun altro ritardo al provvedimento dei presenti bisogni». Fornari avanzò poi un progetto per reperire i fondi necessari ai lavori, da ottenersi grazie alle entrate di due canonicati vacanti, e propose l’elezione di due deputati addetti alla gestione e supervisione del cantiere. Il medesimo giorno si decise di affidare i fondi dei canonicati vacanti e la amministrazione dei restauri allo stesso Fornari, assistito dal canonico Migliorelli40. Il 29 aprile successivo Fornari accompagnato dal canonico Pacifico Angerilli, che nel frattempo aveva sostituto Migliorelli, presentava «il disegno del loggiato della nostra Chiesa, l’analisi dimostrativa della spesa occorribile per ricostruirlo, non che per restau-rare la Facciata»41. Ormai si era superata l’idea di recuperare l’atrio per optare a una sua ricostruzione ex novo. Sempre in questo passo appare per la prima volta la volontà di restaurare la facciata: fu quindi allora che si decise di consolidarla e al contempo di con-servarne l’aspetto, disposizione che per giunta chiarisce la scelta di creare un fastigio neogotico e di operare un intervento di ripristino delle forme tardogotiche.

Nella seduta capitolare del 29 aprile, si concluse «di ammettere il disegno per le logge esibito dai Signori deputati tolti gli ornati posti da Forconi sotto il Cornicione» e si autorizzò Fornari e Angerilli a «prendere lingua con più Capi-Mastri [e a] ritirare da essi i progetti». Infine si ricompensava con la somma di uno zecchino «il signor Donatelli che ha fatto il disegno […] ed a Forconi che lo ha riformato, redatto la Perizia una doppia»42. In sostanza si decise di eseguire per l’atrio il disegno di tal Donatelli con le modifiche dettate da Forconi, quest’ultimo forse uno dei canonici che ritroveremo citato nelle carte più avanti. Interessante fu poi la variante ordinata dal capitolo volta a ridurre le decorazioni architettoniche indicate dal progetto; le non floride finanze della collegiata costringevano a limitare le spese. Ancora il 18 luglio 1853 si discusse su

36 ASR, Catasto Gregoriano, c. 245 «San Ginesio e sue ville».37 Cfr. nota 16 nel mio primo contributo in questo volume.38 ACollSG 1.8.4. (41) «Annuenza comunale per fortificare l’atrio collegiale».39 «L’atrio della nostra Chiesa minaccia di cadere, se ne rende inteso il Capitolo per le opportune provvedi-zioni», in ACollSG 1.4.2. (8) «Risoluzioni capitolari (1834-1853)», c. 429.40 Ivi, cc. 533-535.41 Ivi, c. 563.42 Ivi, cc. 565-566.

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questioni economiche relative alla costruzione del portico e il giorno seguente Fornari chiese di essere esonerato dalla carica di canonico fabriciere. Effettivamente fu sollevato dall’incarico e l’incombenza passò al canonico Luigi Forconi. Nella stessa adunanza si dichiarò che «essendosi nella ventura Primavera divenire al restauro della Facciata, ed alla costruzione delle logge che pericolano si richiede che il Capitolo definitivamente deliberi se detto lavoro debba farsi o per appalto o per amministrazione»43.

Il 12 dicembre segnò una svolta nel lento progresso dell’impresa. Nell’assem-blea del capitolo si lesse una lettera di Angerilli e Forconi: «Illustrissimi Reverendissimi signori. Noi sottoscritti deputati eletti nell’adunanza capitolare del 12 settembre per la restaurazione della prospettiva della nostra Collegiata, nonché per la ricostruzione del loggiato della medesima annessa come al disegno esibito nell’adunanza medesima, rappresentiamo alla Signorie Vostre […] dietro varie critiche […] sul nominato disegno, come non totalmente corrispondente nell’ordine di essa Chiesa, abbiamo creduto espe-diente, per non cadere nell’errore di sottomettere all’esame di non intendenti prima di porlo ad esaminazione, a tale aspetto portatosi il degno don Pacifico Angerilli in Fermo per prendere parola all’architetto Signor Giovanni Battista Carducci, questi si è astenuto da dare suo giudizio se non esaminate le cose alla faccia del luogo, dove dipoi acceduto dietro nostro invito ha esternato il suo sentimento nel seguente modo. Di venire cioè alla rinnovazione di esso disegno estensivamente […] alla detta facciata, poiché anche essa trovasi nel bisogno di rinnovazioni ed aggiunte per rimetterla nello stato primitivo; oltre che essa nuova cortina verrebbe ad avere, mediante unione di prospettiva una certa simmetria con quella che verrà innalzata nel palazzo Municipale, il cui disegno verrà parimenti modellato dal medesimo professore, conforme in tutto al parere del Signor Priore Comunale»44.

Grazie allo zelo dei due sacerdoti i restauri della facciata si avvalsero dell’ap-porto di un architetto di chiara fama, sicuramente tra i maggiori operanti nelle Marche45, e che ben presto sarebbe stato riconosciuto come «la maggiore figura dell’eclettismo neoclassico marchigiano sino alla caduta dello Stato pontificio»46. Emerse poi l’intento di ampliare il progetto di rinnovo anche al vicino palazzo Defensorale, andando così a formare un piano unitario di riqualificazione della principale piazza di San Ginesio,

43 ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-1905)», cc. 4-7.44 Ivi, cc. 10-11.45 Nato nel 1806 a Fermo, solo nel 1849 Carducci otteneva l’attestato di ingegnere presso l’Archiginnasio romano, ma già tra 1838 e 1844 si era occupato della costruzione del palazzo Comi a Grottammare e del palazzo Monti di Fermo. Aveva anche partecipato nel 1845 al disegno degli ornamenti del teatro di Fermo e prodotto alcuni disegni per il risanamento urbano della sua città. Altra operazione degna di nota è la progettazione degli arredi sacri del santuario della Madonna di San Giovanni a Ripatransone. Nel periodo in cui s’interessava dell’Annunziata di San Ginesio, Carducci era anche impegnato nel restauro della basilica di San Nicola a Tolentino, opera che segnava il decollo della sua carriera (v. teoDori, Giovan Battista Carducci, pp. 15-37, 76, 108-109, 121, 126, 134-140, 146-158 e 213-216).46 Mariano, Architettura nelle Marche, p. 467.

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frutto di una collaborazione tra l’istituzione ecclesiastica e l’amministrazione civile47.La lettera è interessante anche perché esprime la volontà da parte dei canonici di

riportare «nello stato primitivo» l’assetto della facciata, presupposto del concepimento del fastigio neogotico. Il che fa congetturare che fu proprio Carducci, appena chiamato in causa, a suggerire un ripristino delle «originarie» forme medievali. D’altronde già da qualche tempo anche presso i circoli marchigiani l’architettura gotica era considerata arte degna della massima attenzione ed espressione della più fervida fede cristiana48.

In seguito alla proposta di Angerilli e Forconi, il capitolo li incaricò di ordinare un nuovo disegno che fosse «di più decoro della nostra chiesa»49. Il progetto fu pronto il 2 marzo successivo e presentato all’assemblea assieme a un preventivo di spesa: «Illustrissimi Reverendissimi Signori. I sottoscritti deputati alla presidenza dei restauri della facciata e costruzione del loggiato della nostra Chiesa Collegiata analogamente alla risoluzione capitolare del 12 dicembre 1853 esibiscono il disegno insino col det-taglio estimativo dei suddetti lavori consegnati dall’[…] architetto Giovanni Battista Carducci […]. Le Signorie Vostre conosceranno che la spesa corrente per i detti lavori compresi i materiali ammonta a 440.36 [scudi, a i quali va unito il decimo a vantaggio dell’imprenditore]»50. Venivano successivamente indicate le voci d’entrata del capitolo utili a raggiungere quella somma. Quasi cinque mesi dopo, il 25 luglio, ancora non si erano reperiti i fondi sufficienti all’inizio dei lavori e i due canonici preposti alla gestione dei restauri chiesero un prestito di 400 baiocchi dal fondo delle messe ridotte51.

Intanto Carducci allacciò contatti anche col Comune ginesino che gli volle affidare il risanamento delle logge del palazzo Defensorale, come riportano le riso-luzioni capitolari del 12 dicembre 1853. In una lettera del 30 aprile 1854, indirizzata all’architetto dal priore comunale di San Ginesio Luigi Onofri, quest’ultimo inserì un disegno del portico del municipio con l’indicazione delle sue misure52 (fig. 54). Tuttavia l’iniziativa di restaurare la sede comunale era destinata al fallimento e nel decennio successivo l’edificio pubblico fu completamente smantellato per la costru-

47 Già dai primi anni del XIX secolo si auspicava un tal progetto di restauro. Nel luglio del 1811, quando San Ginesio era capoluogo di distretto dell’amministrazione napoleonica, si decretava «il restauro, e riduzione in forme più eleganti del Loggiato avanti la Chiesa della Ssma Annunziata, e prospetto della medesima, e con esso del Loggiato Pubblico, previa una pianta, e Perizia da formarsi da un ingegnere col maggior risparmio possibile», in ACSG, n. prov. 1058,1, 1811, «Amministrazione ornato pubblico», c. s. n.48 r. aSSunto, Significato del neogoticismo, in Il neogotico nel XIX e XX secolo, Atti del convegno di studi a cura di R. Bossaglia-V. Terraroli (Pavia, 25-28 settembre 1985), Milano 1989, I. pp. 25-30; F. BarnaBei, Idee ottocentesche sul gotico. Fra storici e filosofi, ivi, pp. 323-337; C. MarCheGiani, Architettura sacra nel Piceno nell’epoca dell’eclettismo, in L’età dell’eclettismo, pp. 256-257.49 ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-1905)», c. 12.50 Ivi, cc. 15-16; ACollSG 1.9.11. (1) «Varie di amministrazione (1815-1905), c. s. n.51 ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-1905)», c. 23.52 BCF, Fondo Carducci, b. C, c. 313v.

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zione del teatro comunale53.

Il 3 novembre l’organizzazione del cantiere della collegiata subì l’ennesima battuta d’arresto, poiché «i Signori deputati per alcuni motivi credono di rescindere il Contratto stipulato il 19 giugno col Signor Architetto Giovan Battista Carducci per il restauro della Facciata, ricostruzione dell’Atrio annesso con le riguardanti condizioni. 1° Gli onorari spettanti al signor Carducci in corrispettivo al disegno, e Perizia esti-mativa saranno di 40 [scudi]. 2° Il medesimo Signor Carducci sarà obbligato eseguire dei cartoni in grandi al vero di tutte le Sagome, dettagli, ed ornamenti relativi che si trovano indicati nel disegno Generale, affinché […] vi si conformi interamente, e non più tradito nell’atto pratico di carattere dell’opera. 3° I predetti onorari di 40 [scudi] saranno pagati in due rate uguali: la prima nell’atto che verrà firmata […], la seconda contestualmente alla consegna dei suddetti disegni […]. 4° Se nel collaudo dei lavori eseguiti, e in corso di esecuzione abbisognasse la presenza dell’Autore sarà in arbitrio dei Contraenti intendersi fra di loro»54. Si ricava che al novembre 1854 i lavori non solo non erano ancora iniziati, ma che i progetti fin allora proposti da Carducci non erano confacenti alle aspettative dei canonici. È poi evidente il desiderio da parte dei religiosi di portare avanti l’impresa in termini di una maggiore morigeratezza.

A questo riguardo va preso in considerazione un disegno già noto, custodito nella Biblioteca civica di Fermo. Si tratta dello studio di un edificio sacro che ricorda decisamente l’Annunziata55 (fig. 53). L’elaborato propone una facciata con un fastigio dalle complesse forme gotiche, con tre grandiosi archi a traforo cieco che si replicano, rovesciati, nell’ordine superiore. Questo genere di struttura non è inusuale per Carducci, architetto che dimostrò più volte una certa esuberanza decorativa, tanto da rasentare l’eclettismo anche in alcune sue realizzazioni neoclassiche56. Si conoscono anche altri schizzi di Carducci con ipotetiche facciate di chiesa dalle forme goticheggianti e disegni che fanno intravedere in lui un notevole interesse per gli edifici del tardo Medioevo57.

Dunque nulla di strano se uno dei più famosi architetti neoclassici della regione, che ricevette la sua prima formazione all’Accademia di Brera negli anni in cui l’eclettismo stava prendendo piede in Lombardia58, realizzasse per la collegiata ginesina

53 ACSR, Ministero degli Interni, Teatri e scuole di ballo, bb. 12-13; inoltre v. CorBo, Spettacolo e teatro, p. 15.54 ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-19905)», c. 26.55 BCF Fondo Carducci IV, c. 87 r. Cfr. MarCheGiani, Giovanbattista Carducci, p. 232.56 a. Montironi, Architettura neoclassica nelle Marche, Bologna 2000, p. 210-216.57 Altri disegni sono in BCF, Fondo Carducci I, cc. 160v, 180 r, 186v e 190v.58 Carducci non rimase mai ancorato a una stretta osservanza delle regole del neoclassicismo, anzi, più volte si dedicò a operazioni eclettiche neorinascimentali come nel San Michele Arcangelo di Monte Urano, poi modificato da Giuseppe Sacconi, o come nel portale della chiesa degli Angeli Custodi a Fermo. Inoltre sono documentati i suoi soggiorni a Venezia e l’interesse verso gli scritti teorici di Pietro Selvatico Estense che lo portarono ad apprezzare anche l’arte gotica (v. l. Patetta, L’architettura dell’eclettismo. Fonti, teorie, modelli. 1750-1900, Milano 1975, pp. 260-266; Montironi, Architettura neoclassica, pp. 215-216;

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una facciata così peculiare, tanto più che i committenti del cantiere furono affascinati dall’idea di riportarla al suo «stato primitivo».

Il fastigio come ancora oggi lo vediamo costituisce un virtuosismo eclettico di stampo romantico-neogotico, in forme però molto più rigide e semplificate rispetto al disegno di Fermo. Evidentemente a un primo progetto dalla maggiore ricchezza orna-mentale, ne seguì uno più contenuto e lineare, forse a cagione della mancanza di risorse economiche. Pur dando al fastigio un assetto equilibrato ed essenziale, Carducci non rinunciò all’idea di un’opera che riportasse alla mente l’architettura gotica. Presumibil-mente l’architetto fermano s’ispirò qui al tardogotico veneziano, con le sue successioni di trafori e l’amplificazione di ornamenti solitamente di dimensioni moderate fino a fargli assumere la misura di elementi strutturanti59. S’inserirono quindi volumi architet-tonici estranei sia alla tradizione costruttiva locale sia a quella dell’architetto alemanno autore della facciata quattrocentesca.

La soluzione di non contestualizzare il profilo del fastigio col resto della fronte e di non studiare una soluzione più filologicamente aderente all’architettura tardogotica, potrebbe però essere conseguenza proprio della particolarità del preesistente sistema decorativo della facciata, estremamente raro se non unico nel territorio italiano, e che dunque non poté dare termini di paragone per una ricostruzione delle sue parti andate perdute; l’intervento di Carducci sottolineò questa singolarità della Ss. Annunziata, con-cependo per essa un fastigio articolato e fuori dal comune. Su tutto prevalse l’impegno di costruire una nuova architettura che partisse dai principi compositivi e decorativi gotici e del primo rinascimento italiano, ma che difatti fu una creazione originale e «nazionale», seguendo quella linea tracciata alla metà dell’Ottocento dalle teorie di Pietro Selvatico Estense e Carlo Cattaneo60.

Seguendo ancora il filo delle carte dell’archivio della collegiata, dalla fine del 1854 non si danno più notizie sui lavori almeno sino al 28 giugno 1858. A questa data l’impresa era giunta a buon punto e in una nota è scritto «I sottoscritti Deputati del reverendissimo Capitolo Comune per la restaurazione della Facciata della nostra Collegiata, e ricostruzione dell’Atrio alla medesima annesso, memori della promessa fatta dalla maggior parte dei Canonici del Capitolo Vecchio, che era presente all’atto Capitolare in cui venne risoluto il detto lavoro, di contribuire la somma di scudi cento con i fondi spettanti al medesimo, si fanno arditi donatori oggi, che il lavoro trovasi a

teoDori, Giovan Battista Carducci, p. 15; MarCheGiani, Giovanbattista Carducci, p. 215 e Architettura sacra, p. 263).59 W. WolterS, Architettura ed ornamento. La decorazione del rinascimento veneziano, Sommacampagna 2007.60 l. Patetta, L’architettura dell’eclettismo, pp. 267-268; t. Serena, Note su Pietro Selvatico e la costru-zione del «Genius Loci» nell’architettura civile e religiosa, in Tradizioni e regionalismi. Aspetti dell’eclet-tismo in Italia, a cura di L. Mazzoni-S. Santini, Milano 2000, pp. 45-55.

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buon termine, a volersi compiacere nel primo atto Capitolare, che le Signorie Vostre reverendissime faranno, stabilire lo sborso di detta somma, onde non rimanere addietro nei relativi pagamenti»61. Di contro, il 25 settembre si presentò al capitolo una lamen-tela dei deputati alla fabbrica, i quali denunciavano «la negligenza del capo-mastro Fortunato Basili al proseguimento dei lavori»62. Il portico era ben lontano dall’essere completato e ancora nel giugno 1866 i lavori non erano stati ultimati63.

L’ultimo documento che testimonia un rapporto di Carducci con San Gine-sio risale comunque al 1859, quando revisionò il progetto per la costruenda cappella della Misericordia64. Di quella revisione ci rimane un notevole disegno acquerellato di mano di Carducci 65(foto 153), ennesima ed inedita testimonianza del suo talento di decoratore. Confrontando questo progetto con quanto effettivamente realizzato, si nota come le indicazioni di Carducci furono tradotte in termini semplificati; le ricche ornamentazioni, sia pittoriche che plastiche, ideate dall’architetto furono notevolmente ridotte. Anche lo schema architettonico subì un drastico ridimensionamento, pur man-tenendone la traccia di base: una pianta centrale circolare con le pareti interne scandite da semicolonne binate che fiancheggiano nicchie con statue e che sorreggono una larga trabeazione. Carducci disegnò una sobria decorazione ad incorniciare la nicchia conte-nete la pala di Malpiedi e immaginò delle colonne con fusti modellati da scanalature, collari e ornati fitomorfi, ma né le nicchie né le colonne vennero realizzate secondo il modello, presentando invece delle superfici completamente lisce. L’unica zona abbellita da dipinti una volta concluso il cantiere architettonico fu la cupola, anche se in questa Carducci concepì una sequenza di unghiature in cui lucernari a centina si alternano a lunette decorate da affreschi o stucchi: apparato che chi diresse i lavori decise di decurtare, facendo sopravvivere esclusivamente i lucernari ed eliminando le lunette. Insomma Carducci presentò un sistema più serrato e organico tra architettura, pittura e scultura rispetto a quanto ricavato dal suo acquerello, che rimane in ogni caso la prova di come, ancora nel 1859, egli mantenesse dei contatti con i canonici della collegiata. Pare assai improbabile però che seguisse di persona i restauri e la costruzione del pro-tiro, tantomeno la costruzione della cappella della Misericordia. Di fatto non esistono prove della sua presenza sul cantiere, che con tutta probabilità fu diretto da Basili sin dall’inizio.

61 ACollSG, 1.8.2. (3) «Lettere in genere», c. s. n.62 Fortunato Basili, residente a Fermo, aveva stipulato con i canonici un contratto nel 1857 in cui si obbligava a «offrire relazione sui ristauri della facciata della Chiesa Collegiata di Sanginesio compilati dall’Ingegnere Signor Giovanni Battista Carducci, […] non che di eseguire come sopra il Portico dinanzi a detta Facciata». La consegna del lavoro fu poi fissata al maggio del 1858 e risulta anche che Basili fosse affiancato dall’ingegner Pompeo Marini (v. ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-1905)», cc.42 e 60).63 ACollSG, 1.4.2. (9) «Risoluzioni del capitolo (1853-1905)», cc. 261-262.64 ACollSG, 1.9.7.6. (9) «Miscellanea», c. s. n.65 AGC, n. A19. La nota margine del disegno è con tutta probabilità di mano di Ciarlantini.

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Gotico e neogotico a San Ginesio

Quanto esposto delinea un lungo e discontinuo processo decisionale e va letto nell’ottica di un estremo tentativo di rilanciare il prestigio della cittadina, ormai caduta in disgrazia. All’origine dell’iniziativa fu la vicenda miracolosa del movimento degli occhi della Vergine sul dipinto di Malpiedi che portò alla riqualificazione della colle-giata e, conseguentemente, della piazza maggiore su cui si affaccia.

Alla crisi economica e demografica, San Ginesio antepose quindi l’orgoglio cittadino, sicché la comunità sentì che per risollevare le proprie sorti avrebbe dovuto rifarsi simbolicamente alla propria età dell’oro, ovvero l’età tardomedioevale. In questo quadro rientrò l’idea di restituire alla facciata della collegiata il suo «stato primitivo». Lì dove fu possibile ripristinare l’aspetto gotico, ovvero dove ancora si conservava in buono stato la muratura medievale con le sue decorazioni, ci si impegnò a non mano-mettere gli elementi originali, a rafforzarne la struttura e a riempirne le lacune seguendo un principio imitativo.

Si tratta di un’operazione non dissociabile da un disegno generale che coinvolse l’intero assetto urbanistico di San Ginesio. Difatti anche altre costruzioni importanti del paese, tra i quali l’attuale ospedale non distante dallo xenodochio medievale di San Paolo, sembrano appartenere proprio alla metà del XIX secolo. La cittadina volle darsi un nuovo volto per accogliere al meglio i pellegrini giunti per venerare l’immagine miracolosa e contemporaneamente per dimostrare di meritare che il tracciato della via Falerense, sulla quale viaggiavano tante speranze, passasse al suo interno.

San Ginesio tentò di riacquistare una dignità formale di fronte al governo centrale e provinciale, tale che potesse permettergli di mantenere la sua posizione dominante nel territorio. Si previde anche un rinnovamento delle strutture urbane e dei suoi monumenti più significativi, senza però dimenticare l’illustre passato medievale, anzi esaltandolo. La scelta di Carducci di non avvalersi del suo collaudato vocabolario neoclassico, sicuramente a lui più congeniale e consueto, dovette essergli suggerita proprio da questa particolare situazione. Tutti i propositi furono purtroppo destinati a rimanere utopia e San Ginesio fu costretta a trovare altrove i mezzi per la tanto agognata riscossa.

Subito dopo l’Unità, il palazzo Defensorale fu demolito e sostituito con il teatro66, mentre gli uffici municipali furono trasferiti nel convento del San Francesco

66 Il 10 novembre 1861 la municipalità decretava «la demolizione del portico pericolante della Pubblica Residenza», in a. anGerilli, Sanginesio. Le commissioni municipali, i sindaci, i podestà ed i commissari del Comune dal settembre 1860 ad oggi, I, Arezzo 2005, p. 192; «È stato più volte rilevato quanto nell’Italia unita le trasformazioni che investirono i centri cittadini si concentrino di sovente attorno alle architetture per lo spettacolo concepite come nuovi simboli di riconoscimento civico verso i quali convergono i pro-cessi di ristrutturazione urbana», in P.L. CiaPPelli, La riflessione teorica sul teatro nell’Italia dell’Unità, in Architettura dell’eclettismo. Il teatro dell’Ottocento e del primo Novecento. Architettura, tecniche teatrali e pubblico, a cura di L. Mozzoni e S. Santini, Napoli 2010, p. 144.

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sulla strada di Capocastello. Il Comune si allontanò così dalla piazza e dalla collegiata, rompendo un organismo urbanistico e simbolico vecchio di secoli. Ma l’amore per il Medioevo non si spense negli animi dei ginesini: il neogotico riapparve a San Ginesio, qualche decennio dopo la conclusione dei lavori all’Annunziata, nella facciata del San Gregorio Magno, chiesa non distante dalla piazza maggiore. I restauri dell’edificio, curati dall’architetto Caradonna tra 1898 e 190267, erano stati promossi dal parroco, don Giuseppe Salvi, colui che per primo si era interessato all’intervento di Carducci. Stranamente esso non riscosse fortuna e già nel 1910 si pensò di demolirlo.

Successivamente la collegiata tornò ad essere al centro di un progetto che, ancora una volta, le avrebbe dovuto «restituire la sua antica forma quattrocentesca […] demolendo il portico deturpante la facciata»68. Il valore assolutamente negativo dato alle modificazioni eclettiche ottocentesche in quegli anni comunque dimostra il costante interesse dei ginesini nei confronti di quell’architettura tardogotica che rende tanto par-ticolare la loro piazza e ricorda il momento più alto della storia della loro città.

67 ASCR, AA. BB. AA. III, II, b. 588 «Macerata provincia, affari per comune, San Ginesio, parrocchia di San Gregorio Magno, ricostruzione della nuova chiesa, 1902».68 E. Dezio, Paesi marchigiani, Pescara 1910, p. 376.