storia di uno shibboleth in area pedemontana

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3Indice

a cura diGianna Marcato

DIALETTOPARLATO, SCRITTO, TRASMESSO

4 Indice

Prima edizione: maggio 2015

ISBN 978 88 6787 383 8

© 2015 cleup sc“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”via G. Belzoni 118/3 – Padova (tel. 049 8753496)www.cleup.itwww.facebook.com/cleup

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresele copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

Impaginazione e grafica di copertina: Patrizia Cecilian

In copertina: fotografia di Tommaso Politi

Comitato di lettura

Giovanni Ruffino (Università di Palermo)Salvatore Trovato (Università di Catania)Antonietta Dettori (Università di Cagliari)Mariselda Tessarolo (Università di Padova)Gianna Marcato (Università di Padova)

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Indice

presentazione

Dialetto, tra identità strutturali e testualità 13 Gianna Marcato

ambiti del comunicare, scelte di repertorio e dialetto

Colloquialità e dialetto nella Palermo d’oggi 23 Francesco ScaglioneTestualità, storicità della lingua, dialetto: il parlato nell’ambito 35del lavoro in area trevigiana Michele DonàGrado di vitalità della varietà alloglotta di Guardia Piemontese (CS) 43 Irene MicaliIl dialetto fra i giovani del Duemila. Usi, giudizi e dichiarazioni 51 Immacolata TempestaPerché gli adulti si rivolgono ai bambini in italiano? 59 Mariselda Tessarolo - Eleonora BordonDalla Cripta dei Capuleti alla Cesa del Liram. 67Analisi di una lettera d’amore in Piemontese, datata 1609 Tullio TelmonLettere bellunesi del primo Novecento 79 Loredana CorràDialetto in versi: tra funzione poetica e funzione comunicativa 89 Elvira AssenzaDialettalità e romanzo popolare: I Beati Paoli di Luigi Natoli 101 Mariella Giuliano

8 Indice

Il dialetto “a un soldo”. Identità popolare nella letteratura catanese 109di inizio Novecento Daria MottaLa funzione del dialetto nella narrativa di Amara Lakhous 117 Marco GargiuloDialetti e delitti. Scelte stilistiche e aperture dialettali nel poliziesco 125contemporaneo Rosaria SardoSul romanesco del teatro di Giggi Zanazzo (1860-1911) 133 Claudio GiovanardiLo schiavonesco a Venezia: tra parodia e realtà linguistica 141 Alberto GiudiciL’italiano regionalizzato de La grande guerra di Monicelli (1959) 149 Gabriella AlfieriL’italiano fuori di Toscana nei film di Pieraccioni: «mi piaceva 161che si sentissero anche tutti i dialetti d’Italia» Stefania IannizzottoLe Bellas mariposas volano al cinema: analisi linguistica del film 169di Salvatore Mereu Myriam MereuLingua e dialetto nel cinema comico contemporaneo: 177tra Checco Zalone e Ficarra e Picone Milena RomanoVarietà di italiano e varietà di dialetto nel varietà televisivo 185 Giovanna AlfonzettiIl dialetto nelle fiction televisive: un confronto tra la scrittura 195delle sceneggiature e il parlato degli attori Ilaria MingioniMastro-don Gesualdo: dal parlato scritto sdialettalizzato al parlato 203trasmesso iperveristico Elisabetta MantegnaI dialetti urbani tra nuovi usi e nuovi modelli di dialettalità: 211le parodie siciliane di Peppa Pig Giuseppe Paternostro - Roberto SottileDopo Faber. Usi e riusi del dialetto cantato a Genova e in Liguria 223(1984- 2014) Lorenzo Coveri

9Indice

Tra scritto e cantato: le canzoni in occitano dei Lou Dalfin 235 Paolo Benedetto Mas - Silvia GiordanoIl dialetto e i proverbi in area perugina 243 Antonio Batinti - Ornero Fillanti Al post del dialetto. Posizione, funzioni, caratteristiche del dialetto 251trasmesso attraverso il computer e altri media nella Svizzera italiana Matteo Casoni - Giovanna CeccarelliAlias ma non troppo: Roma manifesta nei nicknames di una chatline 267 Andrea VivianiFenomenologia di un fake. Riflessioni sull’uso del dialetto napoletano 275per dare vita in rete a un personaggio di fantasia Vera GhenoBiglietti prego! In viaggio nella realtà dialettale attraverso 285il Repertorio italiano-dialetti (RID) della Svizzera italiana Nicola ArigoniIl Repertorio Italiano-Dialetti (RID): genesi e struttura 293 Dafne GenasciUso e funzioni delle varietà linguistiche nel mondo linguistico arabo. 301Impatto della Rete Sociale Jihad Al-Shuaibi

sistematicità dei dialetti, permeabilità dei confini ed eteronomia

Riflessioni su fenomeni sintattici e fonetici in area campano-lucana 311 Patrizia Del PuenteOsservazioni morfologiche su una parlata lucana 323 Carminella ScarfielloParlare dall’alto: la deissi verticale in Val Germanasca 329 Aline PonsStoria di uno shibboleth in area pedemontana 337 Alberto GhiaNé toscani né romani: per una caratterizzazione dei dialetti 345dell’area viterbese Miriam Di CarloCultismi nel siciliano 353 Salvatore C. TrovatoAspetti dell’interferenza tra italiano e siciliano in epoca medievale 359 Iride Valenti

10 Indice

Il siciliano a contatto con il toscano/italiano. Un’analisi a margine 367del Vocabolario Siciliano Angela CastiglionePercezione dell’italiano regionale 377 Carlotta D’Addario

dialettalità, fonti scritte, trascrizioni e codifiche

La trasmissione scritta di oralità e dialettalità: il caso del latino 387 Elena TriantafillisDi gergo e di paraletteratura: l’importanza delle fonti scritte 399per la documentazione gergale Antonietta DettoriIl sonetto Paduanus del codice Colombino: riflessioni sul nome 407 Maleosse Paola BarbieratoAntroponomastica popolare e geografia linguistica. 415Un incontro possibile Giovanni RuffinoLa toponomastica ufficiale scritta e la toponomastica nella tradizione 421dialettale orale Maria Teresa VigoloLa città “nominata”: odonimi popolari e ufficiali a Salemi 429 Marina Castiglione - Marianna TrovatoUn caso tutto veneziano: il dialetto e la battaglia dei nizioleti 439 Gianna MarcatoLingua romana in scrittura italiana: problemi (orto)grafici 449(e non solo) del romanesco dal parlato allo scritto Paolo D’AchilleDal parlato allo scritto: riflessioni sulla trascrizione dell’oralità 461in area campana Elda De SantisIl vocalismo di Piazza Armerina nel parlato e nello scritto 469 Rita Pina AbbamonteFonologia e grafia del dialetto di San Valentino in Abruzzo citeriore 477 Diana Passino - Diego PescariniRiflessi della codifica del gallego sul parlato 483 Maria Montes

337Storia di uno shibboleth in area pedemontana

Storia di uno shibboleth in area pedemontana

Alberto Ghia

Uno shibboleth “multiuso”

Come è noto, lo shibboleth è una parola o un’espressione impiegata da una comunità come proprio contrassegno linguistico, poiché ritenuta difficile da pronunciare per gli stranieri; essa è caratterizzata da due fattori: deve presentare foni ripetuti di un’articolazione particolarmente tipica e poco diffusa presso altre comunità e deve presentare l’incontro ripetuto di foni simili, che rendano difficile una pronuncia rapida (Telmon 1996: 638). Mcnamara (2005: 356), sulla base di alcuni shibboleth raccolti, sostiene che espressioni di tale sorta hanno primariamente una funzione politica e sor-gono all’interno di aree nelle quali siano in corso conflitti tra gruppi sociali.

In area piemontese è nota l’espressione [dui̯ puˈvruŋ baˈɲa nt l ˈøli] ‘due peperoni bagnati nell’olio’ come prova di appartenenza alla comunità par-lante piemontese; il tratto bandiera in base al quale avviene la valutazione della corretta realizzazione è rappresentato dalla vocale centralizzata [ø], esito regolare dell’evoluzione della vocale latina ŏ tonica in sillaba aperta in area galloitalica1.

Solitamente si chiede di pronunciare questo shibboleth a persone che non abbiano il piemontese come lingua materna, così da ottenere una realiz-

1 È inoltre interessante sottolineare che, a differenza di altri shibboleth, nell’espres-sione piemontese il referente, e cioè il peperone (Capsicum annuum l.), caratterizza alcuni piatti della tradizione gastronomica locale: il peperone, meglio se [zmuˈja], cioè ‘conservato in salamoia’, è un antipasto tradizionale sulle tavole piemontesi, accompagnato dalla [ˈbaɲa ˈkau̯da], una salsa composta da aglio e acciughe. Quanto poi all’azione del [baˈɲe nt l ˈøli] ‘bagnare nell’olio’, essa corrisponde a una pratica alimentare quasi quotidiana della tavola contadina, soprattutto dove la produzione orticola è abbondante.

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zazione quasi sicuramente sbagliata: immigrati (soprattutto dal Sud) oppure giovani2. Il gruppo di chi richiede di pronunciare lo shibboleth è più com-patto: si tratta di autoctoni che hanno il dialetto come lingua materna e che, come osserva Leone (2009: 142), esercitano una qualche forma di potere (da intendersi, in tale contesto, come autorità o prestigio sociale) sulle persone alle quali chiedono di pronunciare l’espressione.

Come già si è accennato, nella versione torinese del sintagma di cui stia-mo discutendo, il tratto bandiera è rappresentato dalla corretta pronuncia di [ˈøli] e in particolare dalla realizzazione della vocale medioalta anteriore arrotondata; la sua funzione di marcatore nello shibboleth è da attribuirsi al fatto che tale vocale è inesistente nel sistema toscano e nella lingua naziona-le. Nell’astigiano, l’attenzione del parlante sembra porsi principalmente su altri tratti fonetici; in quest’area, infatti, si valuta la corretta realizzazione dei suoni approssimanti presenti nelle voci: [puˈvɹuŋ], [nt ɹ] e [ˈøɹi] 3. Il fatto è che il sistema fonematico dell’astigiano, oltre alla vibrante apicoalveolare pedemontana (e italiana) [r], prevede anche un’approssimante apico-den-tale [ɹ], che si presenta come esito di r, l e ll latine in posizione intervocali-ca o in posizione finale4. L’esclusività di tale fonema è ben evidenziata in una terzina di un sonetto astigiano scritto dal marchese Stefano Giuseppe Incisa della fine del 1786: R’erre, ch’usoma noi cossì frequent, / quand ar è sol ar va nen lett tant rudi, / ma cossì dos, che apenna apenna a ’ss sent5.

Giudizi di correttezza fonetica

Per approfondire la percezione che gli astigiani hanno di tale espres-sione, ho raccolto le loro ipotesi sul suo impiego e le loro opinioni sulla difficoltà di pronuncia che incontra chi non parli il loro dialetto.

Allo scopo, ho sottoposto un gruppo di 18 parlanti astigiani, accomu-nati dal fatto di avere il dialetto locale come lingua materna, all’ascolto di 18 diverse esecuzioni dello shibboleth. I “lettori” delle tracce da me sottoposte ai parlanti astigiani provenivano da tre diverse aree linguistiche: Torinese,

2 Due categorie di parlanti per le quali, in merito a questo contrassegno identitario, troviamo testimonianze nelle autobiografie linguistiche prodotte dagli studenti dei corsi uni-versitari torinesi di Dialettologia Italiana ed Etnolinguistica: cfr. Canobbio (2011: 89).

3 Un tratto bandiera secondario, anch’esso divergente rispetto alla realizzazione tori-nese, si evidenzia nella pronuncia velarizzata della vocale tonica di [baˈɲɑ].

4 Cfr. Ternes (1997: § 3.2.3) e Berruto (1974: 32).5 Trad.: La erre, che noi usiamo così frequentemente, quando è sola non va letta tanto

rude, ma così dolce, che appena appena si sente. Cfr. Gasca Queirazza (1990: 92).

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Astigiano e basso Monferrato6. I sei parlanti di ciascuna area erano, a loro volta, suddivisi in tre fasce di età (sotto i trent’anni; tra i trenta e i sessant’an-ni; oltre i sessant’anni), con due rappresentanti, un maschio e una femmina, per ciascuna fascia. Per quanto riguarda, ancora, il gruppo degli ascoltatori e valutatori, si è preso l’accorgimento di sceglierne una metà tra i “cittadini” e un’altra metà tra gli abitanti dei paesi limitrofi; a tutti costoro, si è chiesto di valutare se, secondo loro, si trattasse di buone o di cattive pronunce7.

Ogni valutatore aveva a disposizione un punteggio: un punto per una lettura apprezzata pienamente; mezzo punto per una pronuncia accettabile, seppur non pienamente soddisfacente; zero punti quando la pronuncia del lettore non soddisfaceva il valutatore. Tirando le somme dei dati raccolti, emerge la preferenza accordata alle realizzazioni dei lettori astigiani8; è però interessante osservare che la preferenza accordata alle realizzazioni torinesi è risultata maggiore rispetto a quella accordata alle realizzazioni monferrine.

Ai valutatori è stato domandato di indicare quali fossero le ragioni che li inducevano a considerare insoddisfacente una certa lettura: in quasi tutti i casi si è trattato della produzione di una vibrante, invece dell’approssimante, nei traducenti di ‘olio’ e di ‘peperone’. In alcuni casi sono stati indicati come motivi di cattiva pronuncia la realizzazione non velare della tonica in [baˈɲɑ] e tratti prosodici genericamente indicati con i termini “accento” e “cadenza”.

In caso di giudizio positivo relativo a una realizzazione, quasi sempre gli informatori hanno indicato spontaneamente l’“astigianità” della pro-nuncia, mentre ai giudizi incerti sono seguiti rimandi, altrettanto sponta-

6 Per basso Monferrato intendo qui l’area delle province di Asti e di Alessandria sulla quale Casale Monferrato ha esercitato, nei secoli, un prestigio culturale superiore a quello esercitato dai rispettivi capoluoghi di provincia, corrispondente grossomodo al territorio controllato dal Marchesato di Monferrato a nord del fiume Tanaro.

7 Alcuni dati interessanti sono emersi anche in fase di registrazione delle letture. Il lettore astigiano d’età superiore ai sessant’anni ha affermato che la corretta espressione da chiedere fosse: [dui̯ puˈvɹuŋ dʒɑŋ baˈɲɑ nt ɹ ˈøɹi]; così facendo, infatti, la pronuncia sarebbe stata resa ancora più difficile dalla presenza di un’ulteriore [ɑ] velarizzata, contenuta in una parola che in torinese appare foneticamente diversa ([dʒau̯ŋ]) e avrebbe aggiunto allo shibboleth caratteristiche tali da renderlo quasi uno scioglilingua. Lo stesso lettore mi ha informato inoltre dell’esistenza di un’altra espressione, meno nota ma ugualmente difficile, utilizzabile per individuare se una persona sa parlare bene l’astigiano, [tranteˈtɹai̯ ˈɡɹaŋi d riz ant iŋ ɡɹiˈlat rut] ‘trentatré chicchi di riso in una insalatiera rotta’.

8 Le letture di ogni area potevano ottenere un punteggio massimo pari a 108 punti; le letture di area astigiana hanno ottenuto 55,5 punti (29,5 punti in città e 26 nell’area rurale); quelle torinesi 12,5 (9 punti in città e 3,5 nell’area rurale); le letture monferrine 5 punti (5 punti in città e nessuno in area rurale). Si segnala, a chiosa del punteggio basso anche per le letture astigiane, che le realizzazioni dei lettori più giovani non hanno quasi mai suscitato apprezzamento da parte dei valutatori.

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nei, alla parlata del contado9. Si è provato inoltre a richiedere, in caso di valutazione negativa assegnata a una realizzazione, di indicare la presunta provenienza del lettore; le localizzazioni sono state generalmente vaghe. I casi di dichiarazioni spontanee con riferimento alle ipotetiche località di provenienza dei lettori sono stati tre: in un caso l’informatore ha etichettato la lettrice torinese di età inferiore ai trent’anni come “proveniente da molto lontano”; per un’altra valutatrice, la stessa lettrice “parla come una che vie-ne da Castello d’Annone”, paese ancora in provincia di Asti, ma di parlata monferrina, mentre “mandrogno”10 è stato definito il lettore torinese d’età superiore ai sessant’anni. In generale, i dati raccolti in questa prima parte di indagine ci hanno mostrato che: (a) gli astigiani riescono abbastanza bene a riconoscere la propria varietà; (b) essi distinguono con più facilità tra asti-giano e monferrino, che non tra astigiano e torinese. Tale dato, unitamente alle indicazioni di cattiva pronuncia attribuita alle letture monferrine (pur se non pertinenti a tale area), sembrerebbe indicare che la parlata monferrina e quella alessandrina godono di scarso prestigio presso i parlanti; (c) per gli astigiani il focus valutativo è individuato nell’opposizione [r] – [ɹ] e poca importanza viene attribuita all’opposizione [o] – [ø]11.

Le funzioni dello shibboleth

Nella seconda parte dell’indagine ho sollecitato i valutatori con alcune domande mirate a descrivere l’utilizzo dello shibboleth, e a indicare quali elementi fossero importanti per il riconoscimento di una buona pronuncia. Per alcuni valutatori, l’espressione serve a riconoscere un buon parlante piemontese ma, soprattutto, serve a distinguere chi parla bene astigiano12.

9 Tra contado e parlata della città si registrano effettivamente alcune variazioni, a ogni livello di analisi linguistica; segnaliamo qui che in alcune realizzazioni è stato indicato come pertinenti alle varietà del contado la maggiore apertura della vocale tonica di [puˈvɹuŋ] (pronunciato piuttosto [puˈvɹʊŋ]) e l’affricazione in [ts] del nesso [tɹ], nella preposizione [nt ɹ].

10 Blasone popolare per gli alessandrini; in Novelli - Roveta (2000: 93) è registrato come insulto. Mandrogna è stata anche definita da una valutatrice la parlata di Moncalvo, città monferrina, durante la seconda fase dell’intervista.

11 È tuttavia necessario segnalare che solo la lettrice torinese di età inferiore ai trent’an-ni non ha realizzato il suono [ø]. La scarsa importanza attribuita a tale tratto fonetico emer-ge esplicitamente nella seconda parte dell’inchiesta: cfr. nota 16.

12 Riporto puntualmente qui e nelle seguenti note alcune delle asserzioni registrate in questa fase dell’indagine. «Ma infatti è un modo per riconoscere! Io, seppur scherzando, l’ho sempre detto: facessimo il Libero Comune di Asti, non abbiamo bisogno di avere pas-

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Alcuni valutatori sostengono che serva a smascherare chi si finge un parlante dialettale13, mentre altri ritengono che serva più propriamente a individuare quei parlanti per cui il dialetto non è la lingua materna14. Una delle asserzio-ni più frequenti è che lo shibboleth venga utilizzato con propositi ludici15. Vengono riconosciute due dinamiche d’uso: la ripetizione della frase può essere chiesta a un non astigiano oppure può essere chiesta a un giovane, magari anche astigiano, che non parli bene il dialetto; la seconda è la dina-mica d’uso segnalata dalla maggior parte degli informatori. L’indicazione degli elementi utili a riconoscere una buona pronuncia si sovrappone invece alle dichiarazioni espresse in fase di valutazione: viene sempre sottolineato il ruolo della [ɹ], variamente definita16.

Si evidenzia dunque una diversa funzionalizzazione in astigiano, dato che il tratto bandiera basato sulla pronuncia della [ɹ] può essere utilizzato per operare riconoscimenti sia fra varietà dialettali diverse, sia fra dialetto e italiano, dal momento che [ɹ] è un fonema assente tanto nella quasi to-talità dei dialetti circostanti, quanto nel sistema italiano. Il tratto che, nella versione torinese dello shibboleth, funge da marcatore è basato invece sulla realizzazione del fonema [ø], presente nel repertorio fonematico di tutti i dialetti pedemontani. Va da sé, dunque, che tale tratto ha una funzione demarcatrice solo nella distinzione fra dialetto e italiano.

Resta impossibile stabilire quali percorsi abbia seguito tale espressione dalle sue prime elaborazioni fino alla funzione di shibboleth; inoltre, viene da pensare che, per la ripetitività un po’ stanca con la quale questo sintagma-simbolo ritorna nelle autobiografie linguistiche citate prima, sia avviato a co-

saporti: quando arriva uno dall’esterno gli facciamo dire questa frase e capiamo se ha diritto a entrare o no, fossimo nel Medioevo» (Inf. 9).

13 «Si fa questa domanda quando c’è uno che non viene astigiano o tantomeno pie-montese. Eh, ci sono quelli che si camuffano, è un modo di prenderli in giro» (Inf. 2). Rammentiamo qui cursoriamente che la funzione di “smascheramento” è anche quella che caratterizza l’episodio biblico (Giudici, 12, 5-6) dal quale prende le mosse la parola e il con-cetto di shibboleth.

14 «Lo sa dire chi impara il piemontese, in modo particolare l’astigiano, da piccolo» (Inf. 2); «Forse noi riusciamo a dirlo perché abbiamo sempre sentito quello. Da piccoli si comincia a sentire una cosa e si va avanti» (Inf. 8); «Chi non è madrelingua non può [pronunciare correttamente]: se il piemontese non lo hai imparato a sette, otto anni, questi fonemi non escono più» (Inf. 14).

15 «[Si usa] per capire la pronuncia, anche perché è abbastanza divertente da sentire. La cosa mi fa sorridere, se non lo dici nel modo esatto» (Inf. 13).

16 «Per chi viene da fuori ci sono due cose difficili: la [ø], [ø]... e va bene, quella non è particolarmente difficile; c’è la erre di [puˈvɹuŋ] che è una erre molto dolce; e [ˈøɹi], che è una erre dolce, ma un po’ diversa» (Inf. 8); «Sta nella erre di [puˈvɹuŋ] e di [ˈøɹi]» (Inf. 10); «[ˈøɹi]. Quello cambia molto da uno all’altro» (Inf. 16).

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stituire, in misura sempre maggiore, uno stereotipo più che uno shibboleth, oltre a rappresentare efficacemente gli effetti dell’interruzione della trasmis-sione del piemontese attraverso le generazioni. Tuttavia, è possibile ipotizzare che l’espressione sia nata e si sia sviluppata in un contesto ludico, legato alle abitudini alimentari piemontesi17 e che in un secondo momento i parlanti abbiano iniziato a impiegarlo come shibboleth, pur mantenendo la sua com-ponente ludica. Sarebbe interessante riconoscere nell’area astigiana la zona di origine dell’espressione, per la maggiore aderenza alle caratteristiche for-nite da Telmon (1996: 638), ma non è possibile dimostrare tale ipotesi allo stato attuale delle ricerche; uno spoglio dei testi dei secoli precedenti, un’e-stensione dell’indagine a tutta l’area pedemontana e la raccolta sistematica di eventuali stereotipi, blasoni popolari o altre espressioni di simile impiego, potrebbero portare a risultati più chiari circa la storia di questo shibboleth.

Bibliografia

Beccaria, G.L. (ed.) (1996), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica. Torino, Einaudi.

Berruto, G. (1974), Profilo dei dialetti italiani. 1: Piemonte e Valle d’Aosta. Pisa, Pacini.

Canobbio, S. (2011), “Le trasformazioni linguistiche dell’Italia nelle autobiografie di giovani parlanti”. Italienisch. Zeitschrift für italienische Sprache und Litera-tur, 66: 78-96.

Clivio, G.P. - Pich, C. (eds.) (1990), At dël VI Rëscontr antërnassional dë studi an sla lenga e la literatura piemontèise (Alba 6-7 maggio 1989). Alba, Famija Albèisa.

Gasca Queirazza, G. (1990), Documenti del piemontese di Asti nel secondo Settecen-to: i sonetti per il Palio. In Clivio, G.P. - Pich, C. (eds.): 85-108.

Holtus, G. - Kramer, J. - Schweickard, W. (eds.) (1997), Italica et Romanica. Fest-schrift für Max Pfister zum 65. Geburtstag. Tübingen, Niemeyer, 3 Voll.

Leone, M. (2009), “The paradox of shibboleth: communitas and immunitas in lan-guage and religion”. Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 1: 131-156.

Mcnamara, T. (2005), “21st century shibboleth: language tests, identity and inter-group conflict”. Language Policy, 4: 351-370.

17 A tal proposito uno dei valutatori ha sostenuto che l’espressione, quando non è inserita in un atto linguistico volto a ottenerne la traduzione, ha anche il significato di ‘pasto frugale’, ‘spuntino’.

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Novelli, S. - Roveta, S. (2000), “Contributo alla classificazione degli insulti nel dia-letto piemontese tra Langa e Monferrato”. Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano, III Serie, Dispensa n. 24: 75-99.

Telmon, T. (1996), “Shibboleth”. In Beccaria, G.L. (ed.): 638.

Ternes, E. (1997), “Der italienische Dialekt der Stadt Asti. Beobachtungen zu Pho-netik/Phonologie, Morphologie und Lexikon”. In Holtus, G. - Kramer, J. - Schweickard, W. (eds.), vol. 3: 87-109.

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