prefazioni a traduzioni scientifiche e \"questione della lingua\" nel cinquecento

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LA LINGUA ITALIANA

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LA LINGUAITALIANA

r i v i s ta a n n ua l e d i r e t ta da m a r i a l u i s a a lt i e r i b i a g i

m au r i z i o da r da n op i e t r o t r i f o n e

g i a n lu c a f r e n g u e l l i

c o m i tat o d i r e da z i o n ee l i s a d e r o b e r t og i a n lu c a c o l e l l a

e m i l i a n o p i c c h i o r r i

c o m i tat o s c i e n t i f i c oz y g m u n t b a r an s k ig e r a l d b e r n h a r dg i o va n n a f r o s i n i

g a s t o n g r o s sc h r i s t o p h e r k l e i n h e n z

a da m l e d g e waya l d o m e n i c h e t t i

f r a n z r a i n e rl o r e n z o t o m a s i n

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LA LINGUAITALIANA

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SOMMARIO

Wolfgang Schweickard, La stratificazione cronologica dei turchismi in italiano 9Francisco Núñez Román, Locuzioni preposizionali nella prosa italiana delle origini 17Giulia De Dominicis, Poi che nella Commedia di Dante : tra tempo, causa e rilievo

informativo 27Francesca Gatta, Prefazioni a traduzioni scientifiche e ‘questione della lingua’ nel

Cinquecento 41Luca D’Onghia, Aspetti della lingua comica di Giovan Battista Andreini 57Giuseppe Polimeni, Il troppo e il vano della lingua : l’ideale della proprietà espressiva

dal dibattito linguistico alla scuola italiana dopo l’Unità 81Silvio Cruschina, Tra dire e pensare : casi di grammaticalizzazione in italiano e in

siciliano 105Ursula Reutner, Varietà regionali e doppiaggio cinematografico : la strategia di Giù

al Nord 127Silvia Capotosto, « Sono il noto che può condurre all’ignoto desiderato » : il dialetto

negli Scritti linguistici di Manzoni 145Elisa De Roberto, Scuola o scola ? Monolinguismo, polimorfia e variazione nei sil-

labari postunitari 159Andrea Viviani, “Alto sentire” : le parole del valore 173

osservatorio linguistico

Erling Strudsholm, Gli studi di linguistica italiana in Danimarca oggi 189

recensioni

Sandra Covino, Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi. Contraffazione dell’antico, cultura e storia linguistica nell’Ottocento italiano (Laura Ricci) 201

Massimo Palermo, Danilo Poggiogalli, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Profilo storico e antologia (Francesco Feola) 206

Arnaldo Soldani, La sintassi del sonetto. Petrarca e il Trecento minore (Carlo En-rico Roggia) 209

Ursula Reutner, Sprache und Tabu. Interpretationen zu französischen und italieni-schen Euphemismen (Lucia Bolzoni) 213

Gasparro Fuscolillo, Croniche, edizione critica e studio linguistico a cura di Nadia Ciampaglia (Francesco Bianco) 216

Demetrio Skubic octogenario, a cura di Martina Ožbot, « Linguistica », xlviii (i), xlix (ii), l (iii) (Elisa De Roberto) 218

Abstracts 223

PREFAZIONI A TRADUZIONI SCIENTIFICHE E ‘QUESTIONE DELLA LINGUA’ NEL CINQUECENTO

Francesca Gatta*

Le note che seguono nascono a margine di uno studio su Fausto da Longiano e il problema della traduzione.1

Traduttore di Erasmo, di Cicerone, ma anche di una complessa opera scientifica quale il Dioscoride fatto di greco italiano (1542), Fausto ebbe modo di raccogliere le sue riflessioni sulla traduzione (spesso affidate, secondo l’uso del tempo, alle prefazioni), nel dialogo Del modo de lo tradurre (1556) : la prima opera interamente dedicata all’argomento di area italiana, preceduta solo dalle regole di Etienne Dolet (1540).2

Il dialogo, una summa del vivace dibattito sulla traduzione che percorre tutto il se-colo, costituisce una difesa dell’assoluta fedeltà testuale contro l’eccessiva libertà delle traduzioni secondo « i sensi» : tendenza dominante del tempo, « la più commendata dal giudizio de’ scrittori» come nota anche un osservatore esterno alle dispute quale Tom-maso Garzoni.3

Nel Dialogo si parla soprattutto di traduzione letteraria, ma – negli snodi più im-portanti e impegnativi della trattazione – emergono anche considerazioni che l’autore aveva maturato confrontandosi con testi non letterari, con libri che « trattano di cose»,4 cioè i testi scientifici.

Per esempio, la questione discussa al principio del trattato (se tradurre sia un’attività utile) viene liquidata velocemente chiamando in causa la traduzione delle Sacre Scrit-ture, fatta indiscutibilmente « per l’utilità e per beneficio commune» (Guthmüller, 1990, p. 66), e quella dei testi medici. Se il riferimento alla traduzione biblica può apparire scontato, non è affatto scontata a quest’epoca la difesa della traduzione in ambito me-dico, fatta anch’essa indiscutibilmente per la comune utilità, ma osteggiata dai medici che vedono nei testi medici tradotti in volgare la diffusione incontrollata di un sapere custodito gelosamente dalla corporazione.

E ancora, nella parte centrale del trattato, dopo aver lungamente discusso delle tra-duzioni delle Epistole familiari di Cicerone,5 Fausto torna a sostenere la necessità di una traduzione letterale, fedele nei sensi e nelle parole, richiamando l’esempio di testi non

* Università di Bologna.1 Su Fausto e la traduzione si veda lo studio di Guthmüller (1990) ; in appendice il testo critico del Dia-

logo, al quale fa riferimento il numero delle pagine citate. Sulla traduzione nel sedicesimo secolo si rinvia al fondamentale Dionisotti (1967) ; si veda anche il quadro d’insieme di Trovato (1994), e Romani (1973). Mi permetto di rinviare inoltre a Gatta (2010)

2 Per il quadro storico della traduzione precedente al periodo considerato, cfr. Folena (1991). 3 Garzoni (1996, p. 759, corsivo nostro) : « Servono mirabilmente [le lingue] a tradurre, onde ne derivano i

traduttori, i quali, secondo San Ieronimo, traducono alle volte a parola per parola, e alle volte il senso solo ; la quale traduzione pare che sia la più commendata dal giudizio de’ scrittori» (discorso xlviii, De’ professori delle lingue ovvero linguaggi e in particolare degli interpreti di lingue e tradottori e commentatori d’ogni sorte).

4 « Molti distribuiscono in due parti le tradottioni : in quelle d’autori che trattino di cose e di quelli che hanno solamente parole. E chi in cambio di cose dicono materie e chi facoltà, ma, se ben le parole paiano diverse il senso è tutto uno» (1990, p. 92).

5 Il Dialogo nasce come risposta alla traduzione delle lettere di Cicerone di Guido Loglio (1548), che criti-cava la traduzione di Fausto (1544).

francesca gatta42letterari : i traduttori « che hanno tradotto la dottrina d’Aristotele, d’Hippocrate, di Ga-leno» sono stati aderenti al senso, ma anche all’ordine delle parole ; come scrive Fausto, sono stati « nelle parole» (Guthmüller, 1990, p. 127). La fedeltà alla lettera nei libri che « trattano di cose» è un obbligo, non un’opzione estetica, come ribadirà più tardi, nel 1572, Piccolomini nella lettera che precede la sua traduzione della Poetica di Aristotele.

L’impressione che si ricava dalla esperienza complessiva del teorico e del tradut-tore è che Fausto, a metà del secolo, attinga le considerazioni più originali proprio dall’esperienza di traduttore di testi scientifici, esperienza di cui il Dialogo rende conto solo parzialmente, perché riconduce il problema della traduzione entro un dibattito prevalentemente letterario, lasciando cadere la precisa distinzione iniziale fra libri che « trattano di cose» e quelli che trattano solo di parole. Di qui l’interesse per le prefazioni che accompagnano volgarizzamenti non letterari, non solo per leggervi le ragioni a monte della scelta di tradurre determinate opere (ed eventualmente tracciarne la storia interna), quanto piuttosto per cercare tracce e riflessi dei problemi di carattere linguisti-co affrontanti dai traduttori : le scarne pagine anteposte a traduzioni scientifiche, spesso affidate a non letterati, documentano, nel concreto della prassi, un serrato confronto fra due lingue che, lontano da preoccupazioni di tipo estetico, mette in luce i limiti del volgare in ambiti di scarsa tradizione scritta. Non sorprende, perciò, trovare a margine di volgarizzamenti non letterari spunti e osservazioni che anticipano problemi che a livello più alto saranno messi a fuoco, o discussi successivamente, quando il tradurre non sarà visto solo come un esercizio letterario, ma come un mezzo per conquistare alla conoscenza nuovi territori, e di conseguenza per estendere l’uso del volgare a nuo-ve discipline.

Esigenza, quella di conquistare nuovi ambiti al volgare, lucidamente esposta a livello “alto” da Castelvetro, nella Dedica della Poetica a Massimiliano II (1570), quando, dopo aver sottolineato la novità della materia, aggiunge l’importanza di provare « se fosse possibile che con le voci proprie e naturali di questa lingua si potessono fare vedere e palesare altri concetti della mente nostra che d’amore e di cose leggiere e popolari, e si potesse ragionare e trattar d’arte e di dottrine e di cose gravi e nobili» (Castelvetro, 1978, p. 4) L’esigenza è avvertita anche a livello “basso”, in ambito scientifico, dove il modello linguistico di derivazione letteraria mostrava i suoi limiti. Alle ragioni che lo hanno spinto a volgarizzare Dioscoride nel 1544, il medico senese Pietro Mattioli ag-giunge nel Prologo « l’affettione, ’l desiderio, che tengo di vedere ampliare ogni giorno la nostra comune lingua italiana» (c. 14r, n.n.).1 E lo stesso Mattioli, dando alle stampe qualche anno dopo una traduzione di Tolomeo (1548), nella breve lettera di prefazione sottolinea ancora una volta l’utilità della geografia per tutte le professioni e dunque la necessità « che se ne venga in luce, ancora in la nostra lingua volgare italiana, accioche tutte quelle persone, che non capiscono la lingua greca, né la latina possino liberamente conoscere del mondo tutto quello, che a ciascuna di loro di necessità si conviene».

L’importanza delle prefazioni di testi non letterari del Cinquecento per ridisegnare e dare spessore ad un quadro linguistico che, spesso, privilegia il dibattito letterario, è già stata sottolineata da Paolo Trovato (1990) :2 fatte per la comune utilità, come i volgariz-zamenti delle Sacre Scritture, le traduzioni scientifiche in senso lato sono opere che si

1 Nelle citazioni si seguono i consueti criteri di trascrizione e cioè : si riordinano maiuscole, punteggia-tura, apostrofi e accenti ; si rispetta l’oscillazione fra consonanti scempie e geminate ; si riconduce a v la u consonantica, a u la v vocalica, a i la j ; -ti e -tti più vocale si rendono con -zi e -zzi + vocale ; si eliminano le h etimologiche o pseudoetimologiche superflue ; si riporta et a e.

2 Su questo importante passaggio, ci si limita a rinviare a Quondam (1984), Trovato (1991) e Tavoni (1999).

prefazioni a traduzioni scientifiche 43rivolgono ad un pubblico ampio, « di Menocchi affamati di cultura» come scrive Trovato richiamando la vicenda del mugnaio studiato da Carlo Ginzburg, che ne orienta evi-dentemente anche le scelte linguistiche. A questo si aggiunge spesso il riferimento ad una lingua definita “comune”, a testimonianza della realtà, indubbiamente composita e problematica, di una lingua d’uso estranea al riferimento a modelli linguistici di deri-vazione letteraria, che può far pensare ad una realizzazione concreta, a livello “basso”, della lingua cortigiana teorizzata da Trissino e da Castiglione.

In altre parole, la traduzione non letteraria, per il suo essere “funzionale” e per le sol-lecitazioni a cui sottopone la lingua d’arrivo (in questo caso, il volgare nel momento del suo complesso assestamento), sembra poter offrire contributi da una prospettiva inedi-ta sulle complesse vicende linguistiche del Cinquecento. Uno sguardo alle prefazioni di traduzioni mediche, senza trascurare le altre nascenti discipline, può consentire inoltre di sondare l’irraggiamento delle diverse teorie linguistiche nelle zone più periferiche della comunicazione a mezzo della stampa.

1. « Per la commune utilità» : la medicina in volgare

L’uso del volgare in ambito medico e, più in generale, in ambito scientifico a metà del Cinquecento ha già una storia consolidata che comincia con i volgarizzamenti medie-vali e con opere, come La composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo, concepite diret-tamente in volgare. Vengono volgarizzate, nel corso del xv secolo, opere di carattere enciclopedico, come il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Angelico, e – per quanto riguarda l’ambito medico – proseguono i volgarizzamenti della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto, di Guy de Chauliac (che arriveranno anche alla stampa),1 e dell’Anathomia di Mondino de’ Liucci, composta nel 1316 e in uso negli Studi (Altieri Biagi, 1967). È pre-sente anche una produzione meno ambiziosa, rivolta a diffondere un sapere di spendi-bilità immediata, costituita da rimedi contro la peste, precetti di igiene, che proseguirà e troverà ampio spazio nella stampa.2

Le traduzioni di Dioscoride di Fausto e di Pietro Mattioli, datate rispettivamente 1542 e 1544, aprono la stagione dei volgarizzamenti ; vengono tradotti anche Galeno e Ippo-crate, di cui l’officina di Aldo Manuzio aveva fornito la princeps qualche anno prima.3 A questi si aggiunge, in un secondo momento, l’ Anatomia del corpo humano dello spagnolo Juan de Valverde (un plagio dell’anatomia di Andrea Vesalio, edita a Basilea nel 1543), tradotta dallo stesso nel 1560.

Le versioni in italiano degli antichi maestri non esauriscono il panorama delle tra-duzioni mediche : proliferano anche traduzioni di repertori medici a sfondo pratico, rivolte ad un pubblico ampio, non addottorato. Si tratta per lo più di ricettari, di libri di “secreti medicinali” e di rimedi, a volte opera di medici non “accademici”, medici “pra-tici”, la cui fama e bravura viene magnificata nelle brevi introduzioni che accompagna-no l’edizione. La proliferazione di questi libretti e opuscoli, in cui precetti di medici e scienziati antichi venivano resi accessibili ad un pubblico ampio di lettori, era tale che il

1 Guglielmo da Saliceto nel 1474 e nel 1516 ; Guy de Chauliac nel 1505.2 Sull’argomento si veda Altieri Biagi (1984), Dardano (1994), Giovanardi (1994).3 L’opera di Galeno viene edita in greco dagli eredi di Aldo Manuzio nel 1525 ; Ippocrate nel 1526. La prin-

ceps aldina di Dioscoride è invece del 1499. Prima dell’aldina, Dioscoride era stato edito in latino, tradotto da Petrus Paduanus, per i tipi di Giovanni da Medenblik (De materia medica, Colle Val d’Elsa, 1478) ; sempre in latino, Dioscoride viene pubblicato a Parigi da Jean Ruelle (1516) e a Firenze (1518), tradotto da Marcello Vir-gilio (forse a questa edizione fa riferimento Fausto, quando accenna alle insufficienze della versione latina). Quasi coeva alle traduzioni di Fausto e Mattioli, la traduzione del medico Marcantonio Montigiano (1547).

francesca gatta44medico bolognese Leonardo Fioravanti, fautore e sostenitore della medicina in volgare, scriveva nei suoi Capricci medicinali (1602, c. 235) : « Non vediam noi che l’opere e gran secreti de i nostri maestri antichi, ogni giorno si vanno stampando nella volgar nostra lingua e ognuno le può sapere ? E s’è venuto a tale che se un di noi scrive un’opera nella latina lingua non vi è uomo che la voglia quasi vedere».1

È una letteratura medica di circolazione capillare e diffusa, legata alla capacità delle tipografie di individuare e raggiungere un pubblico estraneo al circuito tradizionale del sapere, ma desideroso di accedere ai “secreti” della medicina, ai precetti che riguar-dano la generazione e la cura dei figli, ma anche la cura delle ferite, cioè la medicina vulneraria.2 Lo scopo di rendere i rudimenti della medicina accessibile ai molti, cioè di tradurre o scrivere in volgare « per la commune utilità», viene esplicitato spesso in brevi note – a volte anche redatte dallo stampatore – che accompagnano le stampe, una prassi diffusa a partire dalla traduzione di Dioscoride ad opera del Mattioli, di cui non c’è traccia nei volgarizzamenti stampati nei primi anni del secolo.3 Si veda, ad esempio, quanto scrive l’editore de Il libro del mal Francese (1566, c. 3v, 4r) del medico Nicolò Massa nella dedica :

portando Vostra Eccellenza gran devozione a suoi scritti, tutte le volte, che ci ritrovavamo insie-me nella mia libreria, commendandomi assai il suddetto trattato De morbo gallico, m’essortava a farlo tradurre in italiano, e stamparlo, per commun beneficio di coloro, che non intendono il latino. Soggiondendomi, che sarebbe anche stato molto a proposito, il fare una breve colletta, ò vogliam dire Antidotario […] di tutti i principali medicamenti, acciò tanto più facilmente ogni persona, possa da sua posta preparare le ricette, et mandarle ad essecutione, secondo le qualità del male.

Nell’insieme dei lettori si evidenzia un gruppo ben definito, ovvero il pubblico femmi-nile : il libro sulla sifilide appena citato è espressamente pensato per loro :

Adducendomi anco vive ragioni, che ciò sarebbe stato di gran beneficio ad alcune donne infetta-te di mal francese ; le quali per vergogna lo celano a’ medici, et a’ parenti loro […] onde avendo elleno da me il vero modo da potersi curare da se medesime, sarei cagione d’infinito bene, et che me ne restarebbono ad ogni tempo obbligatissime.

E, a conferma di questa interrelazione profonda fra lettori e medicina in volgare, è significativo che il primo trattato di un medico concepito in volgare sia di medicina indirizzata alle donne : il medico modenese Giuseppe Marinello dà alle stampe nel 1563 il trattato Le Medicine pertinenti alle infermità delle donne, seguito, nel 1596, da quello del medico Girolamo Mercurio, La comare o ricoglitrice, più volte stampato e tradotto anche nelle altre lingue europee. Fra i due trattati di medicina dedicata alle donne, spiccano le opere di Fioravanti, medico, per così dire, antiaccademico, e l’opera di Pietro Borga-

1 La prima stampa è del 1561 (Capricci medicinali di M. Leonardo Fieravanti medico bolognese, divisi in tre libri […] Venezia, appreso Lodovico Avanzo, 1561) e non comprende il quarto libro aggiunto nelle successive edizioni. Per Fioravanti e per uno spaccato vivo della medicina del periodo, si veda Camporesi (1997). Sulla medicina in volgare, si veda Altieri Biagi (1992).

2 Scrive Trovato (1991, p. 7) : « I tipografi iniziarono presto a tener conto di strati sociali precedentemente esclusi dalla cultura scritta». Sul ruolo propulsivo della stampa si veda Eisenstein (1985). Sulla comunica-zione scientifica, sulla sua stratificazione per quanto riguarda emittenti e destinatari, e quindi sulle diverse intenzioni della scrittura, si rinvia all’indispensabile quadro d’insieme di Altieri Biagi (1984).

3 Trovato (1990, p. 60) sottolinea come il topos dell’utilità e dell’estensione della conoscenza ai non dotti venga declinato, in questo scorcio di secolo, in un modo tutt’altro che retorico ; nei testi di ambito medico considerati, le intenzioni riguardo alla diffusione del sapere vengono esplicitate – a partire dalla traduzione di Mattioli – in forme e in modi che confermano l’accezione nuova, concreta con cui viene ripreso il luogo comune.

prefazioni a traduzioni scientifiche 45rucci, medico dello studio di Padova, Della contemplazione anatomica (1564). Una scorsa alle date mostra dunque che le traduzioni anticipano e creano le condizioni per i primi testi di medicina scritti direttamente in volgare, ad opera anche di medici “fisici”, opere concepite con ambizioni scientifiche, non solamente a fini divulgativi.1

Nel caso di traduttori medici, o nel caso di medici che scelgono consapevolmente il volgare, come Fioravanti, al desiderio di sottrarre la medicina all’alone di segretezza e di mistero che la circondava, si aggiunge anche l’intento di rivendicare visibilità e riconoscimento ad una medicina pratica, che alle volte confliggeva con l’insegnamento degli autori ; a questa arte medica, diffusa e quotidianamente esercitata, la stampa for-niva un’ importante possibilità di liberarsi dai vincoli della corporazione e dal sapere accademicamente codificato. È sempre l’arguto e polemico Fioravanti (1572, c. 41) ad intuire le potenzialità eversive della stampa e ad offrire un significativo spaccato della comunicazione scientifica del tempo : spiegando la condizione felice degli antichi, che potevano far credere tutto quello che volevano « perché in quei tempi era grandissima carestia di libri», aggiunge :

ma dipoi che questa benedetta stampa è venuta in luce, i libri sono moltiplicati di sorte tale che ogni uno può studiare, e massime che la maggior parte stampano in lingua nostra materna : e così i gattisini hanno aperto gli occhi perché ciascuno può vedere e intendere il fatto suo, in modo che noi altri medici non possiamo più cacciar carotte alle genti, come facevano quei primi nostri antecessori, che facevano credere a gli infermi che gli asini volassero e il tutto era loro creduto.

Significativa anche l’annotazione che « non è così trista casa che non abbi alcuno libro che tratti della materia medicinale e si trovano tanti recettari e secreti provati e remedi per ogni sorte di infermità», per cui – conclude il ragionamento Fioravanti – sarà vita dura per gli sfortunati medici perché tutti saranno medici.

Gli strali polemici, propri della brillante personalità di Fioravanti, sono tuttavia indi-cativi del contesto in cui si iscrive la conquista della medicina da parte del volgare : in particolare è frequente nelle prefazioni la giustificazione della scelta compiuta, quella cioè di rendere accessibile la scienza medica, per prevenire le accuse e l’ostilità dei me-dici cattedratici, contrari alla divulgazione delle conoscenze.

Quest’ atteggiamento di chiusura è ben documentato dalle pagine che accompagna-no la traduzione degli aforismi di Ippocrate da parte del medico Lucillo Filalteo (1552), seguita da una lettera del medico Giovanni Francesco Martinione, milanese, che si giu-stifica per aver annotato un testo in lingua volgare. Filalteo, nella dedica al Martinione, anticipa le possibili obiezioni e difende la liceità della sua operazione con un singolare argomento, cioè che Ippocrate, se accessibile a molti, aiuterà a diffondere la convinzio-ne che la medicina ha fondamenti solidi, scientifici e non è un’arte improvvisata, affida-ta alla fortuna : « sendo la [versione] latina più in uso, e di maggiore autorità, e riverenza, e appresso i medici più stimata : li quali trovatasi appresso la copia de i latini non cura-ranno punto di leggere questi volgari purgati da qualunque errore d’importanza, anzi reputeranno essere vile impresa l’haverli fatti volgari. Ma io risponderei a costoro, che noi gl’habbiamo tradotti nella volgar favella, acciò il bene più si diffonda […] e acciò li più occhi veghino l’arte essere divina, e s’assicurino che li medici veri non senza ragione e maestrevole indirizzo usano la loro arte» (c. 4r).

Altrettanto significativa la risposta di Martinione (Dottor fisico a lo studioso lettore), a

1 Sulla stratificazione della comunicazione scientifica in ambito medico, si vedano le considerazione di Altieri Biagi (1992).

francesca gatta46chiarire subito la sua « contraria oppenione, studioso lettor mio, che per niun modo non si dovessero stampare, si per molte diverse ragioni, si per quella principalmente, che le cose della scienza di medicina solo deono trattarsi tra dotti». Non manca in seguito un significativo atteggiamento di diffidenza nei confronti della stampa delle sue annota-zione volgari, « la qual cosa quantunque per adietro non avessi giamai pensato di fare (essendo capitale nemico di coloro, che o nella lingua latina, o nella volgare scrivendo, ciò che la notte sognano, la matina pongono in stampa, come se con Apolline, o con la Sibilla avessero ragionato, costretti dopo ben spesso, non senza grande loro vergogna, a mutar parere) […] ho pure fatto quello che giamai di prima non credea». Infine non manca l’ammonimento e l’esortazione al lettore che, pur avendo a disposizione testi medici, non dimentichi di consultarsi « quando sia bisogno, co ’l dottor fisico, che altri-menti sono troppo pericolose le cose della scienza di medicina mal intese».

Le prese di posizione polemiche di Fioravanti e Martinione delimitano gli estremi opposti del quadro culturale in cui si colloca il problema della medicina in volgare e le sue complesse implicazioni. La difesa della verità, il bene comune, i doveri del medico cristiano : questi gli argomenti che ricorrono nelle prefazioni delle traduzioni e delle opere mediche in volgare a partire dal Prologo di Mattioli.

In alcuni casi trova spazio una maggiore consapevolezza linguistica e anche una ri-vendicazione della libertà della scelta e dei legittimi diritti acquisiti dal volgare in quello scorcio di secolo ; è il caso del libro di Borgarucci che affida all’estensore della lettera « agli studiosi lettori» dell’edizione veneziana del 1564 queste considerazioni : « … lo ha voluto in lingua volgare italiana con elegante et chiaro stile comporre, acciocché molto più i studiosi possino quello con minor fatica, et leggere, et intendere. Né per questo debbe da alcuno essere giudicato, che a questa nobil scienza sia parte alcuna della di-gnità, et grandezza sua detratta. Perché non le lingue onorano le scienza, ma pe’ ‘l con-trario le scienze danno splendore, e autoritade alle lingue». E, in seguito, aggiunge una considerazione che richiama quelle analoghe di Mattioli e che può essere considerata anche una dichiarazione della legittimità e dell’autorevolezza raggiunta dal volgare, non solo in ambito letterario, ma anche in quello della comunicazione scientifica:

E se ben vogliamo con sincero giudizio la verità considerare, vedremo che questa nostra volgar lingua italiana è stata da dottissimi, et ornatissimi scrittori oggimai tanto coltivata, e arricchita, che si può alla Greca, et latina meritatamente eguagliare.1

Nel 1596 il Mercurio (Altieri Biagi, 1992, p. 12), alle ragioni della scelta di scrivere il suo trattato La commare, o raccoglitrice in volgare, aggiungeva anche una significativa ricapi-tolazione delle tappe fondamentali della sua estensione d’uso :

Non è forse tanta la maestà della lingua volgare che può ricevere ogni esquisito soggetto ? Mon-signor Rever. Panigarola vi pose dentro i maggiori misteri della teologia […] L’Eccell. Sig. Ales-sandro Piccolomini vi trovò quasi tutta la filosofia ; il Mattiolo vi adattò poco manco che tutta la medicina semplice, e il Valverde tutta l’anatomia.

2. Traduzione medica (e dintorni)

L’opportunità di confrontare due traduzioni coeve, rispettivamente di un medico e di un letterato, le prime che affrontano il difficile compito di far parlare in volgare un au-tore dell’antichità, suggerisce di privilegiare le traduzioni dell’opera di Dioscoride, nella ricognizione delle traduzioni cinquecentesche.

1 Giovanni Paulo Crasso firma la lettera « agli studiosi lettori» facendosi interprete delle volontà di Pro-spero Borgarucci.

prefazioni a traduzioni scientifiche 47I cinque libri del trattato di Dioscoride Pedacio Sulla materia medica (Peri; u{lh~ ia-

trikhv~) sono una rassegna delle proprietà farmacologiche e terapeutiche delle piante (i “semplici”) e degli animali : una summa della scienza antica di ininterrotta fortuna medievale, fino alla princeps per i tipi di Aldo Manuzio del 1499. La traduzione di Fau-sto da Longiano ebbe scarsa fortuna perché fu soppiantata due anni dopo da quella di Mattioli, più volte ristampata, arricchita nelle edizioni successive di splendide incisioni : insomma un vero successo europeo.1

Le tante difficoltà incontrate da Fausto nella traduzione sono esposte non nella prefa-zione (in questo caso una semplice lettera dedicatoria ad Argentina Pallavicino, vedova del suo protettore Guido Rangoni) ma in un fascicoletto, Il Fausto ai lettori, aggiunto alla fine del trattato Dioscoride fatto di greco italiano :

So io ben quanto malagevole sia trasportare d’uno in altro idioma, e quasi impossibile a seguire perpetuamente il consiglio de l’autore, che altri si propone ad spianare, e massime in medicina. Questa medesima fatica ha fatto sudare uomini, e ne le lingue, e ne le scienze approvatissimi, che hanno tradutto l’autore in latino. Tante varietà, che tra loro si veggono, e ripugnanze argui-scano la diversità de testi greci, come a me è avvenuto ancora, e forse in alcune cose l’infelicità de la lingua latina, che non sempre po’ arrivare a quel segno de la greca, tanto poi meno in cosi difficile, e cosi stretta materia. Oh se questi cosi fatti uomini non hanno potuto intieramente soddisfare : che deggio io credere di me stesso ? che mi è bisognato formar voci nove, o usarne di quelle del volgo, per essere meglio inteso : di che mi terrà forse alcuno o troppo ardito, o troppo trascurato, ma io risponderò loro ne i nostri commentari, de la lingua italiana. Ci siamo assai guardati di non giungere a l’autore, né sminuire, perché questo sarebbe argomento di falsità o di soperfluità, e quello d’ignoranza.

In queste dense righe vengono ricapitolati i punti nodali posti dall’acquisizione di testi scientifici, simili in alcuni punti a quelli posti dalle opere letterarie della tradizione clas-sica : il problema di stabilire un attendibile testo originale dal punto di vista filologico ; il problematico passaggio dal greco al latino ; la necessità di una traduzione che non si sovrapponga alla voce dell’originale, che non sia cioè una “esposizione” e, come accade spesso nei testi scientifici, il difficile ostacolo della terminologia.

L’attendibilità del testo da tradurre è un problema che riguarda tutti i volgarizza-menti : anche Mattioli nel Prologo spiega di aver emendato gli errori della tradizione, di avere ripulito le incrostazioni del testo dal punto di vista dei contenuti, al punto da doversi giustificare e aggiungere che le correzioni sono state fatte non con volontà po-lemica, « ma solamente per la verità in beneficio della vita degli uomini, la quale si deve sicuramente anteporre a tutti i tesori». Con elegante metafora, coerente con la materia trattata, Daniele Barbaro nella dedica della sua traduzione di Vitruvio (1561) scrive che, per ripristinare il testo originale dalle ingiurie del tempo e dei commentatori, ha cercato di « non essere troppo pesante di mano, e che la mia pomice non sia stata troppo aspra, e lo stuccare dove era corroso troppo differente dal vero, e il lustro poco dolce, e troppo artificioso».2 È un passaggio cruciale, quello del ripristino dei testi originali, che prelu-de allo sviluppo delle diverse discipline scientifiche in senso moderno, con il passaggio dalla correzione del dettato testuale, alla revisione dei contenuti delle autorità della scienza antica.3

1 Si è calcolato che il Dioscoride di Mattioli, nelle diverse edizioni, arricchito di numerose aggiunte, abbia venduto attorno alle 32.00 copie (Eisenstein, 1985, p. 555).

2 Girolamo Ruscelli, nella volgarizzazione di Tolomeo (1561), definisce le fonti greche come « incorrette» ; Buonacciuoli, volgarizzatore di Strabone, parlerà di « scorrezioni» degli originali.

3 L’aggiornamento della fonte, dovuta al progredire delle conoscenze e dalle esperienze contemporanee, è evidente nel caso della geografia ; scrive Girolamo Ruscelli, nella dedica all’imperatore Ferdinando I pre-

francesca gatta48Per quanto riguarda Dioscoride volgare, al letterato Fausto si pone la difficoltà di una

materia « stretta», cioè di materie scientifiche, difficoltà che risiede soprattutto in proble-mi di tipo terminologico. I quattro glossari che Fausto allega alla traduzione rendono conto dello sforzo compiuto dal traduttore nella ricerca di una terminologia univoca, indispensabile al lettore contemporaneo per metterlo in condizione di comprendere un testo scientifico antico :

De li pesi, e de le misure secondo Paulo, Oribasio e Dioscoride […] e Plinio.De li nomi antichi e moderni de le infermità, secondo la nostra isposizione.De la nostra intenzione in certe parole interpretate.In ultimo è posta la tavola de li nomi de semplici di Dioscoride : ad alcuno de quali è contrapposto il nome, secondo che hoggidì communemente si tiene ne le specierie di buona parte d’Italia.

L’originalità e la consapevolezza di Fausto nel risolvere con glossari i problemi termi-nologici brillano nel confronto con una traduzione di Galeno ad opera del letterato Giovanni Tarcagnota (1549), che risolve il problema della terminologia disseminando la traduzione di grecismi e glosse ; opzione osteggiata dal Castelvetro che prediligeva l’uso di voci volgari alle voci “barbare” :

E chiamano rattenere il fiato, quando attesando tutti i muscoli del petto, che sono d’intorno alle costate, freniamo, e ratteniamo il respirare, perché lo spirito […] ne va furibondo nel Septo tra-verso (che chiamano Diaphragma i Greci) et è cagione, che ciò che è sotto al Diaphragma, come è il fegato, la milza […] insieme con lui si alzino, e gonfino. (c. 62v)coloro che si trovano molto stanchi, o travagliati dalla siccità, o dalla atrophia, che così chiamano i Greci quando il corpo non sente frutto dal nudrimento. (c. 83v)1

Il difficile problema della terminologia medica volgare riguarda non solo le traduzioni di letterati che mettono mano a volgarizzamenti scientifici, ma anche le opere conce-pite in volgare dagli stessi medici, come è evidente nella Contemplazione anatomica di Borgarucci, che inizia ogni capitolo richiamando la terminologia nelle lingue antiche e moderne :2

Volendo quivi trattare l’historia del ventricolo perfettamente, necessario sarà di dichiarare che cosa noi intendiamo per questa voce Ventricolo. […] Hora quanto al suo nome, noi siamo soliti anche alle volte per chiamarlo per nome intero, cioè ventre, e alle volte per diminutivo, come di sopra, e come per l’avvenire s’intenderà : altri de nostri lo chiamano stomaco, secondo che più

posta alla sua traduzione della geografia di Tolomeo (1561), che non solo ha cercato di tradurre ed esporre il testo greco, « ma ancora di venir per tutto aggiungendovi quelle cose, che mi son parute utili e necessarie, e parte non dette, e ancora (per parlar ingenuamente) parte non sapute da Tolomeo, non essendo ancora in quei tempi suoi ridotta questa mobilissima professione alla perfettione sua». E aggiunge che, « essendo il mondo tanto mutato da quello che era ne’ tempi suoi, viene la maggior parte de’ luoghi particolari da lui descritti ad essere come annullata» ; di qui il proponimento di dare alle stampe una sua geografia, adeguata al mondo contemporaneo.

1 Da notare che ‘diaframma’ (diagragma o diaframa ; lat. diafragma) era già in uso nel lessico medico vol-gare (si veda Altieri Biagi, 1970).

2 Scelta apprezzata da Fioravanti che loda in più punti il carattere pratico dell’opera del Borgarucci e scrive (1568, c. 234 r) : « se qualcuno volesse sapere la scienza e pratica dell’anatomia, potrà vedere la Con-templatione anatomica dell’Eccellente dottore M. Prospero Borgarucci, la qual a mio giudicio è la più bella, e più utile opera di quante se ne trovi : percioche è benissimo intesa, e dichiara tutte le parti del corpo in dodici lingue». Come Borgarucci, anche Giovanni Andrea Della Croce nel suo Della cirugia (1574, p. 204) espone nel testo la terminologia in uso : ad esempio, introducendo la trattazione delle ferite al petto, scrive nel capitolo intitolato Segni del meri ferito : « Quella parte situata fra li fauci, e la bocca del stomaco, fu chia-mata da Greci esophago, da arabi meri, e da latini gula : è adunque la gola quel vaso per il qual passa il cibo e bere al stomaco».

prefazioni a traduzioni scientifiche 49gli torna a profitto. I Greci medesimamente tanto questi, quanto quegli lo chiamano gastir e gastiridion, e anche con diverso nome chilia. I latini, si come noi facciamo ad imitazione di detti greci, sogliono chiamarlo ventriculus, e ventre e stomacus. Gli Hebrei, parmi che lo domandino istomacho. I mori, rhoro, li francesi le stomach, gli spagnoli, estomago. Gli inglesi the stomach. I Tedeschi, mage. I Fiamminghi maeghen. (cap. xiii)1

Diverse anche le scelte traduttorie compiute da Mattioli nel suo Dioscoride, utili per contrasto a sottolineare l’abilità del letterato Fausto alle prese con un testo scientifico, e a far emergere problemi linguistici di ordine diverso.

Come molti colleghi, il medico senese non si limita alla traduzione di Dioscoride, ma aggiunge ad essa l’esposizione (il commento alle singole voci), che arricchisce il testo delle sue osservazioni e in cui sono affrontati anche i problemi terminologici. Nella pagina di Mattioli, come nella Poetica di Castelvetro, il testo originale e il commento sono ben distinti graficamente : alle poche righe del capitolo sul miglio (libr. ii, cap. lxxxviii), per esempio, Mattioli aggiunge una lunga illustrazione che aggiorna i suoi usi alimentari e terapeutici ; in questa affiora l’esperienza diretta del medico, al punto che la voce si chiude con la testimonianza dei « boscatori» della valle dell’Anania sulla ricchezza energetica del miglio cotto nel latte. Nello spazio libero del commento sono relegati anche i problemi terminologici : « L’Eruo si chiama volgarmente nelle spetiarie Orobo, e così lo chiamano anchora i Greci» ; « L’Amido così volgarmente chiamato nelle spetiarie à tempi nostri, è notissimo a tutti» ; « Notissime a tutta Italia sono le Chioccio-le, le quali chi chiama lumache, chi bugoni, e chi buovali» ; « La portulaca si chiama in toscana procaccia et in altri luoghi d’Italia porcellana», e così via.

Questa distinzione netta fra testo e commento di Mattioli, comune ad altri volgariz-zamenti (per esempio al Vitruvio del Barbaro, al Tolomeo del Ruscelli), non è comune ad altre traduzioni coeve fatte da medici, che inseriscono le loro annotazioni nel testo, spesso senza segnalarne la presenza o dichiarandola in modo generico : come fa France-sco Imperiale nella sua traduzione di Galeno (1560) : « e vi ho ancora alcune mie piccole dichiarazioni, ma tutt’il rimanente, cioè il corpo, lo spirito, la midolla, e la sustanza istessa è di quel divinissimo ingegno». Analogo l’atteggiamento del medico Girolamo Sacchetto, sempre in una traduzione di Galeno (1562), che interpola il testo originale con aggiunte, discussioni terminologiche, spunti polemici e così via.

Erano queste traduzioni, « a facoltà scientifiche appartenenti», che lasciavano insod-disfatto Piccolomini, che le considerava piuttosto esposizioni o parafrasi ; e aggiungeva : « spesse volte ancora la stessa sententia alla propria lor opinione cercano d’accomodare, e quasi a tirar a forza, con aggiungervi spesso parole loro, e talvolta membri, e perio-di anche interi» (1575, c. 3v). E tuttavia questi volgarizzamenti, se condannabili in una prospettiva traduttoria, illustrano in modo esemplare uno dei percorsi attraverso i quali si affermeranno la scienza moderna e le discipline scientifiche : i commentatori, impe-gnati in un primo tempo nell’edizione dei testi classici che uscivano dalle tipografie veneziane, passano successivamente ad annotare i contenuti dei testi arricchendoli di osservazioni tratte dell’esperienza contemporanea, per poi progressivamente distaccar-sene. Il Dioscoride di Mattioli, con la distinzione fra testo e commento, trasporta sulla pagina stampata la dinamica di una lezione universitaria.2

Pur annotando il testo e discutendo nel commento la terminologia utilizzata, anche Mattioli allega sin dalla prima edizione del suo Dioscoride un glossario di voci che già

1 Francesco Sansovino nel suo L’edificio del corpo humano (1560), libro 3, Del ventricolo volgarmente appellato lo stomaco, parla della non corrispondenza di ‘ventricolo’ nella medicina antica e in quella moderna.

2 Su questo importante passaggio, Eisenstein (1985) e Montecchi (2001).

francesca gatta50il titolo rivela essere un elenco disomogeneo di parole, la cui funzione non è quella proporre equivalenti terminologici in volgare, ma di appianare le difficoltà del lettore, fornendogli, in un medesimo elenco alfabetico, la spiegazione di vocaboli toscani e di termini medici :

Acchetare, acquietare, fermareAcetabolo, è il peso di 15 drammeAcopi, unguento et impiastri, che si fanno per la lassitudine delle membra[…]Allettare, chiamare a se con carezzeAlphi, ulcerazioni simili a volaticheAllignare, crescere, vivere[…]Angoloso, fatto a cantoni, quadratoAngustie d’orina, dolori per non poter orinare[…]Antidoti, medicine contra li veleni1

L’intento di Mattioli nel rendere comprensibili le voci toscane è analogo a quello dei compilatori di elenchi di parole che glossano con corrispondenti settentrionali voci e locuzioni toscane delle Tre corone : « A chi sono destinati gli orridi formari del Liburnio o del Minerbi ?» si chiede Trovato (1990, p. 59), leggendo in essi non una conseguenza della soluzione bembesca, ma la risposta ad una domanda proveniente da un pubblico nuovo, non letterato e appartenente ad un’ area linguistica diversa da quella toscana. È sicuramente questa la funzione del glossario che Francesco Sansovino aggiunge al suo volgarizzamento di Palladio (1560, c. 3r n.n) : un elenco di voci toscane, un « vocabolario pienissimo di quelle voci che sono sparse per l’opera, e le quali io ho usate secondo il costume di Fiorenza mia patria», aggiungendo la promessa di illustrazioni che identifi-chino il referente perché alcuni termini, « altre volte state interpretate da alcuni lombar-di ne gli autori toscani, hanno detto cose le più strane del mondo e da ridere».2

Chi volgarizza ha evidentemente la percezione di poter raggiungere più persone di quante non avrebbe raggiunte scrivendo in latino (« mi pare, che avendo scritto io in lingua volgare, abbia soddisfatto in Italia generalmente a tutti, dove alla minor parte arei soddisfatto, se avesse in tal facoltà scritto in latino» spiega Mattioli nel Prologo), ma nello stesso tempo ha la percezione che alcune voci (non solo termini) necessitino di essere spiegate a lettori non toscani. La necessità di glossare le voci toscane da parte del medico senese è testimonianza di una visione realistica della realtà linguistica penin-sulare, non turbata da valutazioni estetiche o “qualitative”, in cui la priorità è rendere accessibile un testo “utile” ; se il toscano è una scelta obbligata per il medico senese, questa “varietà” tuttavia non viene considerata prioritaria o “modellizzante” rispetto alle altre.

Altrettanto significative le dichiarazioni del medico bresciano Girolamo Sacchetto nel Proemio della sua traduzione di Galeno (1562), perché riecheggiano il dibattito lin-

1 Il glossario ricompare nel plagio dell’opera di Mattioli da parte di Francesco Sansovino (Della materia medicinale, Venezia, 1562).

2 L’edizione consultata non contiene le illustrazioni promesse. Di seguito si riportano alcune voci del glossario a mo’ di esempio : « ‘Azzuffare’, verbo formato da questa voce zuffa che significa briga e questione, venir alle mani, far romor con qualcuno et darsi delle botte ; ‘Allignare’, quasi appiccarsi al legno e val il medesimo ch’appigliarsi e mettere le radici, e è voce propria degli alberi e delle viti ; ‘Caldano’, cosa di ferro, ove si tien fuoco per scaldarsi, id est la fogara ; ‘Doccioni’, sono quelle cose di pietra, o di terra, che si metto-no in cima alle case, per le quali corre l’acqua, che in Lombardia son chiamate gorne, e si dice doccia».

prefazioni a traduzioni scientifiche 51guistico contemporaneo, risolvendolo però in modo contrario a quello letterario, pro-clamando l’inadeguatezza del toscano in questo contesto comunicativo :

Nella quale traduzione in vero non mi son obbligato alla Toscana favella, ma ho usato la comu-ne, come a sto soggetto, al parer mio, più conforme. Parendomi ancora, giusto che quella fattica la quale è comune utilità fosse fatta, dovesse più presto in lingua comune essere esplicata, che in qualunque altra di qual si voglia nazione propria. (c. 3r)

Scelta a più ripresa giustificata nel testo :

Non si scrivono queste cose a quelli c’hanno più che ogni altra cosa caro l’essere toscani nel parlare […] conoscendo io adunque il parlar semplice […] uso i nomi gli quali essi intendono, etiandio che non siano agli antichi toscani consueto. (c. 42v)

Al medico bresciano si può affiancare l’analoga presa di posizione del gentiluomo fer-rarese Alfonso Buonacciuoli, nella dedica del suo Strabone al cardinal Gonzaga (1562) : dopo aver giustificato la sua traduzione, opera inutile ovviamente per il dottissimo car-dinale, aggiunge di averla portata a termine :

Senza però volere restringermi a questa sottile osservazione dello scrivere toscano, che forse da qualch’uno si desiderebbe. Perciò ch’io sono del parere (e così veggo usato da uomini giudiziosi) che in simili soggetti, dove più s’hanno a mirar le cose, che le parole, sia più lodevole il parlar comune, et ordinario, pur che sia (per così dir) espressivo, che il troppo artificioso e esquisito, si ch’avviluppi, molte volte, l’intelletto de’ Lettori. I quali mi sono sforzato di condurre, per questa piana strada, a quella maggior intelligenza, et chiarezza che m’è stata possibile…

Si ritrova espressa, in queste poche righe, la distinzione di Fausto da Longiano fra libri che « parlano di cose» (e in cui la materia è « stretta») e libri che trattano solo di parole. Come aveva già chiaramente detto il medico bresciano, il modello linguistico toscano, vincente in ambito letterario, non lo è in ambito scientifico.

Su posizioni analoghe anche il medico Bartolomeo Boldo, bresciano, « medico di Pra-to Alboino», traduttore e curatore di un’edizione del Libro della natura e virtù delle cose che nutriscono di Michele Savonarola (1572), nelle cui dichiarazioni affiora, affievolita ma distinta, l’eco del dibattito sulla questione della lingua ; la scelta di non seguire il tosca-no si arricchisce di una legittimazione e di un modello prestigioso, orgogliosamente vantato :

Ma in questa raccolta da me fatta, m’è stato forza tradurre in lingua comune della Italia, in strut-to però dal Cortegiano del Conte Baldasar Castellione : non obbligandomi in questo di scriver toscano, ma solamente in quella lingua che dal naturale ho imparata. (c. 2r)

Altri traduttori, come Pietro Marino da Foligno, nel suo volgarizzamento del De Agri cul-tura di Palladio (1538)1 si erano scusati per non aver adottato il toscano ; nei casi sopra cita-ti, tuttavia, sembra di intravedere una consapevolezza maggiore nel rigetto del toscano, imputabile non solo – come nel caso del volgarizzatore di Palladio – a vicende biografi-che, ma ad una valutazione pragmatica delle traduzioni, in cui l’adozione del modello toscano appariva non coerente con lo scopo dell’ampia « utilità» del testo tradotto.2

1 Citato in Trovato (1990, p. 59). Scrive il volgarizzatore : « me son sforzato con chiare parole vulgare tra-sferirla : nella quale, se non sarò puro toscano, ogni lettore mi perdoni, perché essendo io nato et allevato in Umbra (hoggi chiamata el Ducato), la lingua inveterata mi ha costretto usare quello idioma che dai miei teneri anni fo avezzo».

2 Fra le tante dichiarazioni in tal senso, si vedano le seguenti, del volgarizzatore di Savonarola (1576, c. 2v, corsivo nostro) : « m’ho disposto con ogni mio potere e diligenza di far cosa tale, che vi sia grata e utile, della quale ancora molti altri potranno avere essa utilità con animo grato».

francesca gatta52Le voci toscane glossate da Mattioli, il consapevole distacco dal modello toscano che

emerge in modo diverso nelle prefazioni di traduzioni non letterarie documentano una realtà linguistica fluida, diversificata a seconda dei contenuti e dei destinatari dell’opera, che registra alla lontana gli echi del dibattito linguistico in corso, estraneo ai problemi concreti che si ponevano ai volgarizzatori.

Nel 1639, in un contesto linguistico più delineato e più rigido, nel Proemio a De’ mali ipocondriaci (1639, p. 3) del medico pontificio Paolo Zacchia si ritrova un’esplicita insoffe-renza per una lingua letteraria di stampo classicistico, lontana dalle necessità funzionali della comunicazione scientifica : « Ma qual infortunio è questo della nostra lingua che non le abbia ad essere lecito servirsi di alcune voci filosofiche o medicinali, perché non siano da altri scrittori usate ?».1

4. Le traduzioni mediche (e quelle altre discipline, qui sommariamente richiamate) sono materiali preziosi sotto molti punti di vista. I glossari e i volgarizzamenti in gene-rale si confermano un serbatoio inesauribile di informazioni sulla terminologia medica e sul suo consolidamento. Il loro essere traduzioni funzionali all’acquisizione di un sa-pere necessario, in cui la materia « stretta» obbliga ad una fedeltà assoluta ai contenuti dei testi, offre a Fausto da Longiano l’occasione di riflettere sulla traduzione mettendo in evidenza problemi e idee che si ritroveranno pienamente espressi, da Piccolomini e da Castelvetro, quando la traduzione, ben al di là delle valutazioni estetiche, sarà vista come modalità per acquisire conoscenze nuove e per estendere l’uso del volgare.

Le prefazioni – come già quelle di testi non letterari segnalate da Trovato (1990) – offrono infine elementi utili a restituire al quadro linguistico contemporaneo, spesso limitato al primo piano delle vicende letterarie, la profondità, cioè il quadro d’assieme della comunicazione in volgare, divenuta stratificata e composita, come imponeva e permetteva la stampa. Le scarne pagine in cui si condensa la dedica o la ratio transferen-di seguita confermano che le questioni discusse nel dibattito linguistico erano lontane perché estranee ai problemi concreti che si ponevano ai traduttori. Rivolte per lo più ad un pubblico ampio, « sanza lettere», le traduzioni erano necessariamente orientate ver-so una lingua che potesse raggiungere i più, perché utili a tutti e necessarie agli addetti ai lavori. L’adozione del modello toscano, in questo ambito comunicativo, viene vista come ostacolo inutile, che avrebbe riproposto, in alcuni casi, una distanza analoga a quella delle lingue classiche, in particolare al latino ; meglio dunque avvicinarsi a quella lingua comune, di difficile definizione, ma che tuttavia non coincideva appieno con il toscano.

Dall’altra parte, i volgarizzatori di testi scientifici, in lotta per l’acquisizione di un lessico e di una terminologia che fosse in grado di dare conto di nuove, importanti, conquiste di un sapere necessario, erano costituzionalmente estranei all’adozione di modelli linguistici in cui un ruolo importante era svolto dalla teoria dell’imitazione. La tensione e la ricerca del traduttore, così ben rappresentate dalle parole del Castelvetro quando parla di « voci nuove» e di una lingua che possa confrontarsi alla pari con sen-tenze gravi e ambiti nuovi, implica una concezione della lingua ben lontana da qualsiasi idea di “riuso”.

1 Da notare che, anche a quest’altezza, il medico, a cui si devono le Quaestionum medico-legalium, si giusti-fica lungamente per la scelta del volgare, difendendo con convinzione la sua scelta : « Ma che non si possono queste cose spiegare nella nostra lingua, a me pare altamente, e mi dà pur l’animo di spiegarle sì acconcia-mente in questa, come nella latina farei, perche quelle voci, e quei termini, che non si son mai nella nostra lingua usati, si possono pure con altre voci, e con altri termini per si fatto modo spiegare».

prefazioni a traduzioni scientifiche 53Questo particolare sguardo sulle vicende linguistiche del secolo sembra offrire argo-

menti al ridimensionamento dell’influenza delle diverse teorie linguistiche cinquecen-tesche al di fuori dall’ambito letterario, e sembra portare ulteriori argomenti, se mai ce ne fosse ancora bisogno, a favore del ruolo decisivo svolto dalla stampa nell’affermazio-ne del volgare, nel consolidamento e nella stabilizzazione delle strutture del volgare : il ferrarese Buonacciuli argomenta con buone ragioni la scelta di non seguire il modello toscano, ma il suo volgarizzamento di Strabone, in modo analogo a quanto accadeva ai testi letterari, esce “toscanissimo” dai tipi di Francesco Senese.

Non a caso l’estroverso Leonardo Fioravanti, nel dare alle stampe la sua Cirugia (1570), rivolge un grato pensiero anche al correttore Borgheruccio Borgherucci, riconoscendo che « senza la correzione de’ correttori, molte opere sarieno cosi scorrette, che con dif-fucultà si potrieno intendere, come ben dall’esperienza si può vedere, da qui libri che sono usciti in luce senza esser corretti».1

Bibliografia

Testi

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1 Magnificate le capacità del correttore (« dedito alla professione di correger libri, in tutte le scienze, così greci, come latini e nella nostra lingua materna »), Fioravanti aggiunge : « e perché io vi sono amico, e desi-deroso di servirvi, ho voluto farne menzione in questo luoco, acciò il mondo lo sappi e si possi valere delle vostre rare e divine virtù, in tal professione, così come molti fanno nel presente».

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composto in carattere dante monotype dallafabriz io serra editore, p i sa · roma.

stampato e r ilegato nellatipo grafia di agnano, agnano p i sano (p i sa) .

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Dicembre 2011

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