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Atlante della letteratura italiana 3

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Atlante della letteratura italiana 3

Comitato scientifico

Mauro Bersani, Amedeo De Vincentiis, Erminia IraceMichele Luzzatto, Sergio Luzzatto, Gabriele Pedullà, Domenico Scarpa

Piano dell’opera

iDalle origini al Rinascimento

iiDalla Controriforma alla Restaurazione

iiiDal Romanticismo a oggi

Atlante della letteratura italianaA cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà

Volume terzoDal Romanticismo a oggi

A cura di Domenico Scarpa

Giulio Einaudi editore

Redazione: Anna Maria Farcito

© 2012 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

www.einaudi.it

Traduzioni: Lorenzo Biagini, Lorenza Chiesara, Gualtiero De Marinis

La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera,rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito

ISBN 978-88-06-20244-6

La Préface alla prima edizione (1694) del Dictionnaire del-l’Académie Française dichiara che il dizionario stesso è sta-to realizzato e appare «dans le siecle le plus florissant de laLangue Française». In Italia, dove la prima edizione del Vo-cabolario della Crusca era apparsa ottant’anni prima, non so-lo le interminabili discussioni linguistiche si protraggono neisecoli ma – ancora in pieno Ottocento – affrontano, tra gli al-tri, un tema di fondo che ribalta l’orgogliosa affermazione del-l’Académie. Se il francese non solo esiste, ma comincia a es-sere descritto nel momento stesso della sua eccellenza, non c’èal contrario universale consenso sul fatto che l’italiano, puretitolare di una letteratura insigne e codificato in dizionari sem-pre più numerosi, esista a sua volta.

La concezione stessa alla base della Crusca – che isola co-me oggetto di attenzione la sola lingua letteraria, fissandone laperfezione non al presente, come gli accademici francesi, main un passato lontano e per definizione ineguagliabile – intro-duce una prospettiva destinata a incidere su ogni approccio fu-turo: la lingua è al tempo stesso un patrimonio e una meta; nonè un dato, ma una prescrizione; non è godimento di un pos-sesso, ma percorso di acquisizione. E su questa tensione la sto-ria linguistica italiana prende forma, misurandosi nei secoli conun oggetto dai confini mobili, insieme concreto e virtuale.

Lingua da raggiungere, dunque lingua assente. Il passag-gio non è immediato; ma a compierlo, con tormentata sotti-gliezza argomentativa, sarà Alessandro Manzoni. Attorno al1840, l’autore degli ormai conclusi Promessi sposi avvia la quin-ta redazione del saggio Della lingua italiana. Il testo, progetta-to (e mai concluso) come la summa di riflessioni inesauste sul-la questione della lingua, si apre negando l’esistenza del suooggetto: «il fatto generalissimo d’un intendersi, non è la pro-va del possedere una lingua in comune; […] se ogni lingua èun mezzo d’intendersi, non ogni mezzo d’intendersi è una lin-gua». Non un paradosso, ma parole pesanti come pietre, an-che se rimaste inedite e consegnate – al momento – alla let-tura dei soli intimi di casa Manzoni. Pubblicata e vivacemen-te discussa sarà però, trent’anni più tardi, la relazione Del-l’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868).

In questo suo ultimo scritto sul tema linguistico Manzoni– investito di pubblica autorità da un ministro del nuovo re-gno d’Italia – risponde a un quesito sociale e politico: quale

debba essere la lingua degli italiani, nello scritto e nel parla-to, per le necessità pratiche e culturali della vita associata. Ilpunto di partenza, però, non è cambiato: la lingua italiana, di-chiara il massimo rappresentante dei letterati italiani, non esi-ste. Il decennale dibattito che ne segue costituisce il segnalecronologicamente estremo della radicalità che la questione èdestinata ad assumere, perché non di mere divagazioni reto-riche si tratta, bensì del tema cruciale di dotare non solo laletteratura, ma il paese, di un mezzo di espressione che paresfuggire. Che questa esigenza, avvertita costantemente nei se-coli – e, a tratti, con drammaticità – venga affrontata per viadi retorica o di politica culturale, che coinvolga gli uomini dilettere o una fascia più ampia di parlanti, che elegga come stru-menti dizionari o libri di grammatica, trattati o discorsi, ap-partiene ai caratteri specifici delle epoche e degli attori. Quan-to rimane costante è il suo incombere sulla vicenda italiana,coinvolgendo la storia culturale e sociale del paese non menodi quella letteraria.

Non furono tuttavia dispute, bensì studi di impostazionestorica, alcuni dei testi più significativi tra quelli pubblicatiintorno alla lingua durante la prima metà del Settecento. Nuo-vi eruditi, nutriti di sapienza filologica, si impegnarono allo-ra in ricerche intese a sostituire un’ottica diacronica alla con-cezione metastorica della lingua ereditata dal classicismo cin-quecentesco. In questa direzione – che sembrò per un attimosottrarre il dibattito linguistico all’eterna questione della ri-cerca del proprio oggetto – si muovevano i lavori di Fontani-ni (1726), di Maffei (1732) e di Muratori (1739), che non siinterrogarono su quale fosse o dovesse essere la lingua, ma in-dagarono sul passaggio dal latino volgare all’italiano, inseren-do la storia linguistica e letteraria nel complesso delle vicendeculturali europee.

Un altro aspetto di novità che si manifesta fin dal primoSettecento è l’intensificarsi del rapporto dell’italiano con leculture e le parlate straniere, in particolare col francese. Nonsolo alcuni intellettuali viaggiano (come Algarotti) o vivonostabilmente all’estero (come Baretti, che alterna lunghi sog-giorni in Inghilterra con più brevi residenze tra Milano e Ve-nezia, o Denina, che dopo un periodo in Germania passa a Pa-rigi come bibliotecario di Napoleone e scrive in francese la suaClef des langues), acquisendo così una prospettiva culturale più

La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento

ampia. Accade anche, nella seconda metà del Settecento, cheil confronto serrato fra idiomi diversi assuma un posto di ri-lievo nelle riflessioni linguistiche. Domina, in queste compa-razioni, lo stereotipo che vuole il francese lingua della ragio-ne e l’italiano lingua della passione, mentre il prestigio inter-nazionale del francese genera atteggiamenti che svariano dalnetto rifiuto all’analisi empatica. L’antifrancesismo si coloradi sentire patriottico (come nel caso di Galeani Napione, 1791),il vaglio di contatti e discrepanze assume comunque aspetti didifesa. Così, dalle Considerazioni (1703) di Orsi passando at-traverso il Saggio sopra la lingua francese di Algarotti (1750) efino a Sur le caractère des langues (1785) di Denina, fiorisconotesti i quali, a fronte della proclamata supremazia del france-se, argomentano in favore dell’italiano.

Appare centrale, in questi interventi, il concetto di «ge-nio delle lingue», ossia l’insieme dei loro tratti originari e ca-ratterizzanti, destinato a trovare il suo più compiuto svilup-po nel saggio di Melchiorre Cesarotti del 1785. Ma il confron-to col francese stimola anche riflessioni che enfatizzano il di-fetto di una lingua italiana viva e disponibile attraverso l’ac-costamento all’opposta situazione d’oltralpe. Viene così antici-pata una linea di pensiero che Manzoni, a sua volta nutrito dicultura francese e di pensiero illuminista, approfondirà un se-colo più tardi. Esemplare in questo senso la diagnosi di Alga-rotti: affermando che «notre langue n’est, pour ainsi dire, nivivante ni morte», e definendo l’italiano «une langue pres-qu’idéale», egli esprime – pur in assenza di elaborazione teo-rica – la forma più radicale del disagio, quella che nega l’esi-stenza stessa della lingua su cui si dibatte.

Tra le sedi deputate alla riflessione linguistica restano co-munque decisivi, di secolo in secolo, i vocabolari. In Italia,l’attività e il dibattito lessicografici ruotano in larga parte in-torno, contro o a favore della Crusca, e sono schierati su op-posti fronti fautori e avversari del toscano, questi ultimi at-testati talora su posizioni la cui violenza si colora di munici-palismo (Gigli, 1717). Già entro i primi decenni del Sette-cento si contano interventi in polemica con il fiorentinismoarcaicizzante dell’Accademia, che pur risultava in parte tem-perato nella Terza impressione del Vocabolario (1691). A Mu-ratori (1706) e a Gravina (1708), sostenitori di una linguascritta comune e illustre alternativa al fiorentino, si contrap-pongono i tradizionalisti, tra i quali il veronese Becelli (1737)e il fiorentino Salvini (1724), ispiratore della Quarta impres-sione del Vocabolario (1729-38), dove la Crusca accentua ineffetti, rispetto alla versione precedente, i caratteri di classi-cismo toscanocentrico e arcaicizzante.

La pubblicazione della nuova Crusca genera nuove rea-zioni, in primis sul versante vocabolaristico, con raccolte che,pur esprimendo formale ossequio, puntano di fatto l’atten-zione su settori del lessico meno frequentati o negletti dagliaccademici. In queste direzioni si muovono i repertori di Pau-li (1740), attento a varianti toscane popolari e plebee; e quellidi Martignoni (1743-50) e di Bergantini (1745), dedicati allessico delle arti e dei mestieri, destinato a trasformarsi in og-

getto del fiorente filone ottocentesco dei vocabolari metodi-ci. Naturalmente alternativi per contenuto rispetto alla Cru-sca sono infine i dizionari dialettali, specialmente quando im-postati su una rivendicazione della qualità del loro oggetto,come accade con il Vocabolario siciliano di Pasqualino (1785-1795). Altrettanto alieni dall’impostazione della Crusca i di-zionari settoriali, che raccolgono voci relative a specifici am-biti del sapere o professioni: come quelle mediche nei reper-tori di Vallisnieri, del 1733, o di Pasta, del 1769.

Sull’incapacità che il lessico selezionato dalla Crusca ma-nifesta nel rispondere alle esigenze del presente discutono duetesti che – per ragioni diverse – contano tra i più significati-vi del secolo: la ben nota Rinunzia al vocabolario della Crusca(1764), goliardico pamphlet di Alessandro Verri maturato nelclima del giovane illuminismo lombardo; e il Saggio sopra lalingua italiana (1785) del padovano Cesarotti, fondato su unaconcezione generale del linguaggio di matrice sensista. Nel te-sto apparso sul «Caffè», Verri si dichiara paladino di quellalingua italiana «che s’intende dagli uomini colti da Reggio Ca-labria sino alle Alpi»; una lingua che, a dispetto delle costri-zioni normative cruscanti, può e deve essere via via adattabi-le alle esigenze moderne grazie al libero apporto di altre parla-te. A fronte di un episodio di scanzonato radicalismo come laRinunzia, gli estremi sviluppi in direzione classicheggiante del-la scrittura dello stesso Verri documentano però la difficoltà(non soltanto sua) di sfuggire all’influenza della tradizione e,ancora una volta, l’esistenza del problema cui l’autore avevaprovato a sottrarre importanza.

Anche il saggio di Cesarotti difende una visione alterna-tiva a quella della Crusca, bollando come scorretta l’opinioneche sia possibile fissare modelli espressivi nel passato; e giu-stificando, in base a una personale declinazione della teoriadel «genio della lingua», la regolata apertura a voci stranieree tecnico-scientifiche. L’auspicio con cui si chiude il Saggio so-pra la lingua italiana, di una nuova Accademia che assuma ilcompito di produrre un nuovo dizionario, segue l’effettivachiusura della Crusca: la quale, ritenuta ormai inadeguata aun’azione lessicografica al passo coi tempi e con i nuovi orien-tamenti negli studi, era stata fusa con l’Accademia Fiorenti-na nel 1783 per decreto del granduca di Toscana Pietro Leo-poldo, e che sarebbe stata restaurata solo nel 1811 da Napo-leone Bonaparte.

Attorno alla Quarta impressione della Crusca si sviluppa-no dunque nel corso del xviii secolo – spesso a firma di auto-ri non toscani – tentativi di apertura a settori del lessico tra-scurati, o sorgono dizionari più specialistici. Ma la relativascarsità di questa produzione sembra indicare che non si so-no ancora individuate alternative seriamente praticabili: l’ope-ra degli accademici può essere integrata, criticata, ma di fat-to non può essere sostituita, e nemmeno affiancata da testi dipari peso. Rappresenta finalmente una novità nel panoramalessicografico (e, per mole e autorevolezza, una concreta al-ternativa alla Crusca) il Dizionario universale critico-enciclope-dico di Francesco D’Alberti (1797-1805). Non è casuale la pre-

La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento 107

108 L’età di Torino

Venezia10

Roma10

Napoli7

Torino9

Milano25

Firenze22

Padova2

Lucca2

Nizza1

Palermo2

Brescia2

Bassano1

Guastalla 1

Modena 1 Faenza 1

RoccaS. Casciano

1

Parma 1

Verona5

Bologna6

Pasqualino, Vocabolario siciliano, 1785-95Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano, 1838-44

Gravina, Della ragion poetica, 1708Gigli, Vocabolario cateriniano, 1717Gigli, Regole per la toscana favella, 1721Fontanini, Dell’eloquenza italiana, 1726Mastrofini, Teoria e prospetto, 1814Azzocchi, Vocabolario domestico, 1839Gotti, Vocabolario metodico, 1883Rigutini, Neologismi buoni e cattivi, 1886Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, 1889«La vita italiana», 1897

Salvini, Annotazioni, 1724Vallisnieri, Saggio alfabetico, 1733Pauli, Modi di dire toscani, 1740Bergantini, Voci italiane, 1745Algarotti, Saggio sopra la necessità di scrivere

nella propria lingua, 1750Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, 1750«La Frusta letteraria», 1765Bazzarini, Ortografia enciclopedica, 1824-26Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, 1829Moise, Grammatica della lingua italiana, 1867

Orsi, Considerazioni, 1703Rabbi, Sinonimi ed aggiunti italiani, 1732Corticelli, Regole ed osservazioni, 1745Costa-Cardinali, Dizionario, 1819-28Ferrari, Vocabolario bolognese, 1820Rambelli, Vocabolario domestico, 1850

Gigli, Vocabolario cateriniano, 1717D’Alberti, Dizionario universale, 1797-1805

Pasta, Voci, maniere di dire, 1769Arrivabene, Dizionario domestico sistematico, 1809

Maffei, Verona illustrata, 1732Becelli, Se oggidì scrivendo si debba usare la lingua

italiana del buon secolo, 1737Cesari, Crusca veronese, 1806-11Cesari, Dissertazione, 1810Cesari, Le Grazie, 1813

Canevazzi-Marconi, Vocabolario di agricoltura,1871-92

Facciolati, Ortografia moderna, 1721Cesarotti, Saggio sopra la lingua italiana, 1785

Fanfani, La lingua italiana c’è, 1868

Crusca IV, 1729-38Manni, Lezioni di lingua toscana, 1737Tommaseo, Dizionario dei sinonimi, 1830Manuzzi, Vocabolario, 1833-42Vocabolario degli Accademici della Crusca, 1843-57Fanfani, Vocabolario della lingua italiana, 1855Viani, Dizionario di pretesi francesismi, 1858Fanfani, Vocabolario dell’uso toscano, 1863Crusca V, 1863-1923Glossario (Crusca V), 1867«Nuova Antologia», 1868-69 (Manzoni, Relazione; Lambruschini, Relazione;

Capponi, Fatti)Tabarrini, Rapporto generale, 1868Tommaseo, Intorno alla lingua italiana, 1868Giorgini-Broglio, Novo vocabolario, 1870-97Rigutini-Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, 1875Fornaciari, Grammatica dell’uso moderno, 1879Fornaciari, Sintassi dell’uso moderno, 1881Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo, 1881Collodi, La grammatica di Giannettino, 1883Manzoni-Capponi, Saggio di vocabolario italiano, 1957

Amenta, Della lingua nobile, 1723-24Mele, Saggio di nomenclatura, 1827Vocabolario universale, Tramater, 1829-40Puoti, Regole elementari, 1833Puoti, Vocabolario domestico, 1841Taranto-Guacci, Vocabolario domestico, 1850Manzoni, Gli sposi promessi per la prima volta pubblicati

nella loro integrità (Introduzione a «Fermo e Lucia»), 1915

Berlino2

Bettinelli, Risorgimento d’Italia, 1786

Muratori, Della perfetta poesia italiana, 1706

Soave, Grammatica ragionata, 1770

D’Alberti, Dizionario del cittadino, 1763

Muratori, Antiquitates Italicae MediiAevii, 1739

Martignoni, Nuovo metodo per la linguaitaliana, 1743-50

Branda, Della lingua toscana, 1759«il Caffè», 1764Bernardoni, Elenco, 1812Gherardini, Voci italiane ammissibili

benché proscritte, 1812Cherubini, Vocabolario Milanese-Italiano,

1814Monti, Proposta, 1817-26Gigli, Analisi del linguaggio, 1818Romani, Dizionario generale de’ sinonimi,

1825-27Romani, Teorica della lingua italiana, 1826Ambrosoli, Grammatica, 1828Gherardini, Voci e maniere di dire, 1838-41Gherardini, Lessicografia italiana, 1843Cattaneo, Applicazione dei principi

linguistici alle questioni letterarie, 1846Manzoni, Lettera a Giacinto Carena, 1850Gherardini, Supplimento, 1852-57«La Perseveranza», 1868Fanfani-Arlìa, Lessico della corrotta

italianità, 1877Petrocchi, Grammatica della lingua

italiana, 1887Petrocchi, Nòvo dizionàrio, 1887-91Manzoni, Della lingua italiana, 1891; 1898Panzini, Dizionario moderno, 1905Premoli, Vocabolario nomenclatore

illustrato, 1909-12Manzoni, «Sentir messa», 1923

Galeani Napione, Dell’uso e dei pregidella lingua italiana, 1791

Carena, Prontuario, 1846-60Zecchini, Dizionario dei sinonimi, 1848Boccardo, Dizionario della economia

politica, 1857-61Sant’Albino, Gran dizionario

piemontese-italiano, 1859Tommaseo-Bellini, Dizionario della

lingua italiana, 1861-79«Archivio glottologico italiano», 1873«Rivista di filologia e di istruzione

classica», 1873Morandi-Cappuccini, Grammatica

italiana, 1894

Valdastri, Corso teoretico, 1783

Denina, Sur le caractère des langues, 1785Denina, La clef des langues, 1804

senza, nel titolo, dell’aggettivo enciclopedico, che rimanda al-la familiarità dell’autore con la produzione inglese e francese,proponendo un’apertura europea ignota alla Crusca. Ma so-prattutto questo dizionario si mostra innovativo nella sele-zione lessicale, aperta da un lato ai vocaboli tecnico-scientifi-ci (secondo una linea avviata dai lavori di Bergantini e Mar-tignoni, ma portata qui a ben più consistenti risultati), cautasul versante opposto nell’ammettere arcaismi in eccesso. Bus-sola dell’operazione di D’Alberti è infatti il concetto di uso,proclamato garante della legittimità o indesiderabilità dei sin-goli lemmi e invocato, fin dal frontespizio, attraverso una ci-tazione dall’Ars poetica di Orazio in seguito frequentatissimadai lessicografi ottocenteschi: «Multa renascentur, quae iamcecidere, cadentque, | Quae nunc sunt in honore vocabula, sivolet usus, | Quem pene arbitrum est, ius, norma loquendi»(Molte parole che sono morte rinasceranno, e ne morirannoaltre che ora sono fortunate, se così vuole l’uso, che è arbitro,legge e norma delle lingue).

Con D’Alberti si apre una stagione di inaudita fertilità les-sicografica: lungo il corso dell’intero Ottocento non solo si mol-tiplicano i vocabolari, ma crescono gli interventi che ne indi-viduano ruoli, finalità e impostazione (nel 1836 Cesare Can-tù parla di «una vera furia di libri e libercoli dietro materieappartenenti alla lingua»). Tutto ciò mostra come ai vocabola-ri si demandi, nel nuovo secolo ancora più che in passato, unruolo decisivo – se pur non pacificamente individuato – nelprocesso di acquisizione della lingua nazionale. E in effetti lequestioni su cui soprattutto si accende il dibattito riguardanoil ruolo del vocabolario (storico o normativo), e la sua capa-cità di servire come strumento per propagare la competenzalinguistica.

Nel Saggio sopra la lingua italiana Cesarotti aveva stabili-to che il compito di un vocabolario è informare su quando eda chi una voce fosse stata impiegata, senza giudizi sulla suabellezza o opportunità. Se ai vocabolari tocchi censire il les-sico o legiferare sul suo uso è un problema che si sovrapponeinevitabilmente alla discussione sugli arcaismi, perché l’accu-mulo (senza indicazioni di registro) di voci disusate trasmet-te di fatto un canone lessicale coincidente con la totalità diquanto è stato registrato nel corso del tempo. Naturalmentenormativo appare l’atteggiamento dei puristi, realizzato neldizionario dell’abate Antonio Cesari (1806-11), che proponeall’uso moderno il patrimonio trecentesco; ma realizzato an-che, all’inverso, nei cosiddetti dizionari puristi, o raccolte di

barbarismi e voci corrotte: un vero fenomeno editoriale checonta varie decine di dizionari pubblicati a cadenza ravvicina-ta nel corso dell’intero xix secolo. Tali raccolte, da quelle diBernardoni e di Gherardini (entrambe del 1812) fino ai piùnoti lavori di Fanfani-Arlìa (Lessico della corrotta italianità,1877) e Rigutini (Neologismi buoni e cattivi più frequenti nel-l’uso odierno, 1886), costituiscono il risvolto speculare, e l’i-deale complemento, della Crusca veronese di Cesari: questa im-pone il modello positivo, quelle proscrivono il negativo; que-sta seleziona il bello, quelle il brutto, oggetto entrambi di va-lutazione senza appello.

Impiegando una metafora molto diffusa, nella sua Propo-sta di alcune aggiunte e correzioni al Vocabolario della Crusca(1817-26) Vincenzo Monti aveva accusato Cesari, responsabi-le di raccogliere senza indicazioni di registro una massa di an-ticaglie, di voler «sostituire il Vocabolario de’ morti a quellode’ vivi». Mezzo secolo più in là toccherà a Manzoni, nellaRelazione sull’unità della lingua e sui mezzi per diffonderla,impostare il problema su basi nuove, stabilendo che lo scopodi un vocabolario si biforca in due direzioni ben distinte: dauna parte «somministrare il mezzo d’intendere gli scrittori ditutti i tempi», dall’altra rappresentare «per quanto è possibi-le, l’uso attuale» di una lingua. Ciascuno dei due bisogni (permetafora: intendere i morti e guidare i vivi) necessita di unostrumento a sé. Il vocabolario che scaturirà dalle teorie man-zoniane, il Giorgini-Broglio (1870-97), è indirizzato alla gen-te, non agli studiosi, e raccoglie parole ed espresssioni dell’u-so fiorentino accompagnate da esempi tratti non dal patrimo-nio letterario, bensì dalla parlata quotidiana. Parametri, dun-que, opposti a quelli di Crusca, con una finalità, però, para-dossalmente sovrapponibile.

Nella concezione di Manzoni, il vocabolario è infatti unmezzo per la diffusione della lingua. Che viene così proposta(se non imposta), ancora una volta, come meta da raggiunge-re, attraverso un percorso di acquisizione su cui il vocabola-rio stesso è chiamato a legiferare. Proprio su questo tema siappunta un vivace filone di reazioni, che vede schierati, fragli altri, Niccolò Tommaseo (1868) e Gino Capponi (1869), eche culminerà nel più noto intervento di Graziadio Isaia Asco-li (1873), convinto che la lingua si sviluppi dal diffondersi diuna cultura condivisa, e che il vocabolario debba rappresen-tare non la norma, ma il sedimento di tale cultura. SecondoAscoli, Manzoni cade dunque in un inciampo paragonabile aquello dei cruscanti e dei puristi, perché originato da un ap-

La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento 109

Figura 1. Luoghi di edizione delle principali opere relative alla questione della lingua (1701-1912). Si attribuiscono alle varie città non solo ilibri, ma anche le riviste dove sono comparsi gli interventi (e all’intervento citato si riferisce l’anno che compare accanto a ciascuna rivista).In questo panorama, Manzoni rappresenta un caso a sé: perché egli usava dibattere le proprie riflessioni entro la cerchia degli amici letterati,realizzandone così una circolazione limitata, ma essenziale allo sviluppo del pensiero linguistico di un pur ristretto gruppo di intellettuali, eperché le prime edizioni a stampa – sempre ritardate di vari decenni – furono spesso parziali o inattendibili. In questa mappatura geograficadelle edizioni, gli scritti manzoniani sono collocati sotto le città dove furono stampati per la prima volta, in modo da segnalare quando final-mente (sia pure con i limiti filologici appena detti) entrarono nel dibattito generale.

proccio di tipo interventista: l’idea cioè che l’italiano, assen-te o insufficiente, vada individuato (dall’uno nel fiorentinovivo, dagli altri nella lingua scritta dei primi secoli) e inse-gnato, piuttosto che accettato, coltivato e diffuso.

La distinzione introdotta da Manzoni tra dizionari stori-ci e dizionari dell’uso si rivela comunque produttiva, e gene-ra nel secondo Ottocento una frattura: sulla linea della rac-colta del patrimonio storico stanno la Quinta impressione del-la Crusca, pubblicata tra il 1863 e il 1923, e il Tommaseo-Bel-lini, del 1861-79. Sul fronte dell’uso si contano fra gli altri ilNòvo dizionàrio di Policarpo Petrocchi, del 1887-91, e il Vo-cabolario della lingua parlata di Fanfani e Rigutini, del 1875.Tale bipartizione è tuttavia solo un aspetto di un altro feno-meno di grande rilevanza, cioè la frammentazione e la specia-lizzazione dei dizionari, il cui ruolo, al di là delle polemiche,viene ritenuto così essenziale da generare la fioritura di sotto-specie numerose. Significativo è in primo luogo il filone delleraccolte di sinonimi, anticipato dai Sinonimi ed aggiunti italia-ni (1732) di Rabbi e fiorente nell’Ottocento con testi di gran-de importanza, a partire dal Dizionario dei sinonimi di Tom-maseo, in prima edizione nel 1830 ma ampiamente ristampa-to fino al pieno Novecento. Laddove Rabbi indirizza il suo re-pertorio a retori, poeti e letterati, proponendo loro la varietàsinonimica come strumento per abbellire il discorso, il dizio-nario di Tommaseo, come quello di poco precedente di Gio-vanni Romani (1825-27), non intende fornire varianti con fi-nalità retorica, ma dettagliare le differenze tra parole, propo-nendosi come strumento non tanto per il bello scrivere, maper lo scrivere preciso.

Alla progressiva diffusione dell’opzione fiorentinocentri-ca vanno riportate invece due fortunate tipologie di diziona-ri, quelli dialettali e quelli metodici. I dizionari dialettali, chesi dichiarano immancabilmente nati per offrire un ponte fradialetto e lingua toscana, si limitano talvolta al settore prati-co e di uso quotidiano («domestico») del lessico, come acca-de nel Vocabolario domestico napoletano e toscano di BasilioPuoti (1841). Talvolta, però, rispondono al più ambizioso pro-getto di tramandare la tradizione dialettale, di cui si ribadiscein questo modo l’importanza (il Vocabolario milanese-italianodi Cherubini, in prima edizione nel 1814). Anche i dizionarimetodici (per esempio quelli di Carena, 1846-60, e di Taran-to e Guacci, 1850) si rivolgono a chi non possiede completa-mente il fiorentino, e lo agevolano proponendo una organiz-zazione del lemmario per famiglie di parole e per aree temati-che, utile per la ricerca di termini sconosciuti. Spesso in po-lemica con il purismo cruscante sono infine i dizionari setto-riali, come quelli del linguaggio economico di Boccardo (1857-1861), che ammette voci straniere, e del linguaggio ammini-strativo di Rezasco (1881), che pur raccogliendo voci antichele sceglie di provenienza non solo toscana.

La seconda serie di testi che entrano in relazione con laquestione della lingua è quella delle grammatiche, che rap-presentano peraltro un terreno di meno acceso dibattito ri-spetto ai vocabolari. Il Settecento vede un infittirsi e un rin-

novarsi dell’istituto delle grammatiche. Questo si deve ancheal fatto che per la prima volta questi testi sono pensati secon-do un impianto didattico, e dunque non sono rivolti unica-mente ai dotti, ma finalizzati all’apprendimento scolastico (sepur di studenti selezionati si tratta, perché la conoscenza dellatino rimane il presupposto per l’accesso alla grammatica ita-liana). I più fortunati testi del secolo, quelli di Corticelli (1745)e Soave (1770), si pongono – fin dai titoli: rispettivamente,Regole ed osservazioni di lingua toscana ridotte a metodo e Gram-matica ragionata della lingua italiana – il fine di sistematizza-re, organizzare e ridurre a metodo il sapere, profittando, nelcaso di Soave, del grande modello della grammatica ragiona-ta francese. Sul versante normativo i grammatici settecente-schi tendono alla conservazione, adottando come riferimentole regole codificate oltre due secoli prima da Pietro Bembo.La sintassi del periodo, tradizionalmente trascurata dalle trat-tazioni grammaticali che, spesso attingendo ai vocabolari, siconcentrano sui diversi usi dei termini senza descrivere in det-taglio la struttura dei periodi, trova per la prima volta uno spa-zio adeguato con Corticelli, che le dedica una delle tre partidi cui si compone il suo testo.

Il tema della sintassi si collega a quello del contrasto fral’ordine naturale del discorso, tipico della lingua francese, ela tendenza alle inversioni sintattiche, tipica invece dell’ita-liano. Corticelli, e prima di lui Facciolati (1721), ma anche unclassicista di stretta osservanza cruscante come Manni (1737),si schierano in favore dell’ordine logico o naturale (soggetto,verbo, oggetto), prendendo così le distanze dalla elaborata sin-tassi italiana dei primi secoli. La questione però va al di là del-le prescrizioni spesso frettolose dei grammatici, coinvolge let-terati e trattatisti. Algarotti e Baretti, per esempio, difendonoin sede teorica – e realizzano nei fatti – una prosa agile e spez-zata, lontana da involuzioni sintattiche ormai recepite comeobsolete. Sul versante trattatistico, Cesarotti riconosce come lasintassi diretta convenga alle lingue moderne che sono privedi casi. Ma dal momento che «gli scrittori di genio fanno in-docilire la loro lingua», non andrà condannato chi, manten-dendo ordine e chiarezza del dettato, riesca a cogliere anchei vantaggi della costruzione inversa.

È significativo di un orientamento che guarda alla linguacome patrimonio lessicale più che come struttura di pensieroil fatto che nel primo Ottocento, epoca percorsa da accesi di-battiti vocabolaristici, non abbondino nuove grammatiche, evengano piuttosto ristampati i maggiori successi del secolo pre-cedente, da Soave a Corticelli (sulla cui scia si muovono legrammatiche ragionate di Gigli, del 1818, e di Romani, del1826); e che il testo di Puoti (1833), saldamente conservati-vo e anche per questo organizzato con chiarezza didattica, do-mini quasi incontrastato. Diversa la situazione negli ultimi de-cenni del xix secolo. Allora le grammatiche vengono chiama-te a scelte militanti e i nuovi testi prendono atto del puntod’arrivo dei dibattiti sul fiorentino. Ma si registra anche, conla Grammatica dell’uso moderno di Raffaello Fornaciari (1879),un’attenzione finalmente agguerrita ai temi della sintassi.

110 L’età di Torino

La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento 111

Nizza

Lugano

Sebenico

Cherso

Rovigno

Gorizia

San Danieledel Friuli

Lendinara

Venezia2

Verona3

Padova

TorregliaTorino3

Carmagnola

Revello

Genova2

Piacenza

Milano8

Como

Griante

Agnadello

Casalmaggiore

Mantova

Bologna2

Savignano

ModenaReggioEmilia

RavennaLugo

Alfonsine

Vignola

Firenze5

Pomarance

Collesalvetti

Castel diCireglio

Lucca3

Siena

Valdicastello

Trassilico

Lucignano

Todi

Roma

MonteCompatri

CivitavecchiaLanciano

Recanati

Senigallia

Campobasso

Roggiano

Aiello

Napoli2

Palermo

Bergamo

Firenze: Salvini 1653-1729Manni 1690-1788Capponi 1792-1876Collodi 1826-90Gotti 1833-1904 (Roma)

Lucca: Pauli 1684-1751Giorgini 1818-1908 (Montignoso, Massa)Fornaciari 1837-1917 (Firenze)

Milano: Branda 1710-76Bettinelli 1718-1808Alessandro Verri 1741-1816 (Roma)Gherardini 1778-1861Manzoni 1785-1873Cherubini 1798-1851Cattaneo 1801-69 (Lugano)Broglio 1814-92 (Roma)

Torino: Baretti 1719-89 (Londra)Galeani Napione 1748-1830Grassi 1779-1831

Verona: Maffei 1675-1755Becelli 1686-1750Cesari 1760-1828 (Ravenna)

Agnadello: Premoli 1856-1917 (Milano)Aiello: Arlìa 1829-1915 (Firenze)Alfonsine: Monti 1754-1828 (Milano)Bergamo: Pasta 1706-82 (?)Bologna: Orsi 1652-1733 (Modena)

Rabbi ?-1746 (Roma)Campobasso: D’Ovidio 1849-1925 (Napoli)Carmagnola:Carena 1778-1859 (Torino)Casalmaggiore: Romani 1757-1822Castel di Cireglio: Petrocchi 1852-1902Cherso: Moise 1820-88Civitavecchia: Guglielmotti 1812-92 (Roma)Colle Salvetti: Fanfani 1815-79 (Firenze)Como: Ambrosoli 1797-1868 (Milano)Genova: Zecchini 1808-91 (Torino)

Boccardo 1829-1904 (Roma)Gorizia: Ascoli 1829-1907 (Milano)Griante: Bellini 1792-1876 (Torino)Lanciano: Liberatore 1787-1843 (Napoli)Lendinara: Boerio 1754-1832 (Venezia)Lucignano: Rigutini 1829-1903 (Firenze)Lugano: Soave 1743-1806 (Pavia)Lugo: Rambelli 1805-65Mantova: Arrivabene 1792-1849Modena: Valdastri 1762-1818 (Mantova)Monte Compatri: Mastrofini 1763-1843 (Roma)Napoli: Amenta 1659-1719

Puoti 1782-1847Nizza: D’Alberti 1737-1800 (Lucca)Padova: Cesarotti 1730-1808Palermo: Mortillaro 1806-88Piacenza: Corticelli 1690-1758 (Bologna)Pomarance: Tabarrini 1818-98 (Roma)Ravenna: Costa 1771-1836 (Bologna)Recanati: Mariano Gigli 1782-?Reggio Emilia: Viani 1812-92 (Firenze)Revello: Denina 1731-1813 (Parigi)Roggiano: Gravina 1664-1718 (Roma)Roma: Azzocchi 1791-1863Rovigno: Bazzarini 1782-1850 (Torino)San Daniele del Friuli: Fontanini 1666-1736 (Roma)Savignano: Perticari 1779-1822 (Pesaro)Sebenico: Tommaseo 1802-74 (Firenze)Senigallia: Panzini 1863-1939Siena: Girolamo Gigli 1660-1722 (Roma)Todi: Morandi 1844-1922 (Roma)Torreglia: Facciolati 1682-1769 (Padova)Trassilico: Vallisnieri 1661-1730 (Padova)Valdicastello: Carducci 1835-1907 (Bologna)Venezia: Bergantini 1685-1764

Algarotti 1712-64 (Pisa)Vignola: Muratori 1672-1750 (Modena)

Figura 2. Luoghi di nascita degli autori delle principali opere relative alla questione della lingua nel Settecento e nell’Ottocento. Accanto al-l’anno della morte, si indica il luogo solo se diverso da quello di nascita.

112 L’età di Torino

I grammatici si schierano talvolta sul versante di un cultodel parlato toscano di matrice manzoniana, non immune daeccessi in direzione popolaresca (questo accade nella Gram-matica di Giannettino di Collodi, del 1883, nella grammaticadi Policarpo Petrocchi, del 1887, e anche, ma con maggioreequilibrio, nella grammatica approntata per i ginnasi da Mo-randi e Cappuccini, del 1894). Altre volte, però, gli autori siesprimono a favore della lingua scritta e del debito con latradizione (Moise, 1867). Entro questo scenario assumono va-lore segnaletico le prese di posizione che accettano, rifiutanoo articolano alcune delle scelte manzoniane più caratteristichein tema di microsintassi. Per esempio Morandi e Cappucciniclassificano come desueto l’imperfetto etimologico in -a (ioamava), e ammettono gli obliqui lui/lei/loro come soggetto, maesclusivamente in caso di enfasi, assestandosi quindi su po-sizioni più moderate rispetto a quelle applicate nei Promessisposi. In nome dell’uso fiorentino, Petrocchi autorizza inveceil pronome personale la come soggetto.

Un punto di arrivo si può individuare, anche in questo sen-so, nella Grammatica di Fornaciari che, conciliando un duali-smo secolare, propone un concetto di norma centrato sull’in-terazione fra storia della lingua letteraria e uso toscano mo-derno. Alla sintassi lo stesso Fornaciari dedica nel 1881, conscelta innovativa, un intero volume parallelo alla sua Gram-matica. Aggiornato sui moderni studi linguistici di area tede-sca, l’autore rende esplicita la distinzione tra il ruolo dei vo-cabolari – cui spetta esaminare in dettaglio le proprietà di pa-role ed espressioni – e il campo proprio della sintassi, che iso-la le regole «con cui il parlatore di una lingua deve formula-re i suoi pensieri». Il lucchese Fornaciari consegna così all’Ita-lia unita quella che è destinata a rimanere per decenni la piùcompiuta sistemazione, grammaticale e sintattica, della sualingua.

mariarosa bricchi

f. algarotti, lettera dedicatoria Au Roi datata 14 novembre 1752 epremessa all’ed. berlinese del 1752 del Newtonianismo per le dame (1ªed. 1737, col titolo Dialoghi sopra l’ottica newtoniana), citata da Illu-ministi italiani, tomo II, Opere di Francesco Algarotti e di Saverio Bet-tinelli, a cura di E. Bonora, Ricciardi, Milano-Napoli 1969; c. cantú,Di due recenti vocabolari italiani e di varii altri punti intorno alla lin-gua, in «Ricoglitore italiano e straniero», marzo, aprile e maggio 1836(in tre puntate); c. trabalza, Storia della grammatica italiana, Hoe-pli, Milano 1908; m. vitale, La questione della lingua, Palumbo, Pa-lermo 1960; a. manzoni, Introduzione a Fermo e Lucia, in id., I Pro-messi Sposi, a cura di L. Caretti, in L’officina dei classici, I/1, Fermoe Lucia, Einaudi, Torino 1971; a. manzoni, Tutte le opere, a cura diA. Chiari e F. Ghisalberti, vol. V, Scritti linguistici e letterari, tomo I,a cura di L. Poma e A. Stella, Mondadori, Milano 1974, e tomo II, acura di A. Stella e L. Danzi, Mondadori, Milano 1990; l. serianni,Il primo Ottocento: dall’età giacobina all’Unità, in Storia della linguaitaliana, a cura di F. Bruni, il Mulino, Bologna 1980; l. formigari(a cura di), Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento, il Mu-lino, Bologna 1984; l. serianni, Il secondo Ottocento: dall’Unità allaprima guerra mondiale, il Mulino, Bologna 1990; t. matarrese, Il Set-tecento, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, il Mulino,Bologna 1993; Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P.Trifone, vol. I, I luoghi della codificazione, Einaudi, Torino 1993 (inparticolare, v. della valle, La lessicografia, pp. 29-91; g. patota,I percorsi grammaticali, pp. 93-137; c. marazzini, Le teorie, pp. 231-329); c. marazzini, La lingua italiana. Profilo storico, il Mulino, Bo-logna 1994; m. bricchi, La roca trombazza. Lessico arcaico e letterarionella prosa narrativa dell’Ottocento italiano, Edizioni dell’Orso, Ales-sandria 2000; l. serianni (a cura di), La lingua nella storia d’Italia,Società Dante Alighieri, Roma 2001; a. manzoni, I promessi sposi,ed. critica diretta da D. Isella, Prima minuta (1821-1823). Fermo eLucia, a cura di B. Colli, P. Italia e G. Raboni, voll. I/1, Testo, e I/2,Apparato critico, Casa del Manzoni, Milano 2006; m. bricchi, A FewPoints on Italian Lexicography in the 19th Century, in s. bruti, r. cel-la e m. foschi albert (a cura di), Perspectives on Lexicograhy in Italyand Europe, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne2009, pp. 151-74; c. marazzini, L’ordine delle parole. Storia di voca-bolari italiani, il Mulino, Bologna 2009.

Cronologia

G opera di interesse grammaticale G-N opera di interesse grammaticale-normativoL opera di interesse lessicograficoO opera di interesse ortograficoS-L opera di interesse storico-linguisticoT-L opera di interesse teorico-linguistico

1703 Giovanni Giuseppe Orsi, Considerazioni sopra un famoso li-bro franzese intitolato La maniere de bien penser dans les ouvrages d’es-prit cioè La maniera di ben pensare ne’ componimenti divise in sette dia-loghi ne’ quali s’agitano alcune quistioni rettoriche, e poetiche, e si di-fendono molti passi di poeti, e di prosatori italiani condannati dall’autorfranzese, Pisarri, Bologna S-LScritto nato come replica alle tesi del gesuita francese DominiqueBouhours, che sosteneva il primato del francese come lingua di cul-tura europea, e fondava le sue argomentazioni su una critica alle al-tre lingue. Dell’italiano in particolare si bollavano le inversioni sin-tattiche, ritenute contrarie all’ordine logico del pensiero e adatte uni-camente alla poesia. Orsi, come altri letterati insorti in difesa dellalingua italiana, insiste al contrario sul valore dei caratteri specificidell’italiano (metafore e costruzione inversa in particolare), che lo av-vicinano al latino, rendendolo una lingua ideale per la poesia.

1706 Ludovico Antonio Muratori, Della perfetta poesia italiana, So-liani, Modena S-LTrattato in polemica con la scelta, da parte della Crusca, del fioren-tino trecentesco come unico modello per l’italiano. La lingua moder-na dovrebbe invece rifarsi al «comun parlare grammaticale», diffusoin tutto il paese nei testi scritti e nel parlato di registro alto, e secondoquesto modello i dialetti devono correggersi e purificarsi.

1708 Gian Vincenzo Gravina, Della ragion poetica, Gonzaga, Ro-ma S-LTrattato che, in polemica con il fiorentinismo cruscante, sostiene lateoria di una lingua comune e illustre, che partecipi dei caratteri ditutte le parlate italiane.

1717 Girolamo Gigli, Vocabolario cateriniano, Leonardo Venturi-ni, Lucca; e Francesco Gonzaga, Roma LRaccolta di vocaboli senesi trecenteschi utilizzati negli scritti di San-ta Caterina, realizzata con intento polemico verso la scelta della Cru-sca di escluderli dalla terza edizione del suo Vocabolario (1691). Stam-pata contemporaneamente a Lucca e a Roma, la prima edizione diquesto vocabolario, priva di frontespizio e interrotta alla lettera R,ebbe tuttavia circolazione fra i letterati, suscitando riprovazione perla violenza della polemica antifiorentina e per la graffiante satira aidanni dell’Accademia. Mentre Gigli veniva espulso dalla Crusca, indifesa dell’Accademia intervenne il granduca di Toscana Cosimo III,che proibì la circolazione del libro e decretò quindi che le copie repe-ribili a Firenze fossero bruciate sulla pubblica piazza: il che accadde,al suono della campana del Bargello, il 9 settembre 1717. A seguitodel rogo (esempio forse unico di censura applicata a un vocabolario),Gigli continuò tuttavia il suo lavoro, che venne completato e stampa-to a Lucca – ma con la falsa indicazione «A Manilla, nell’Isole Filippi-ne» – solo dopo la sua morte (avvenuta nel 1722; l’anno di edizione,invece, resta imprecisato), da parte di un anonimo curatore che vaprobabilmente identificato col commediografo senese Iacopo Nelli.Nato dalla duplice spinta dell’insofferenza per la chiusura della Cru-

sca e dell’orgoglio municipale, il Vocabolario cateriniano raccoglie ma-teriali storicamente fondati sull’evoluzione e diffusione del dialettosenese, alternandoli con testimonianze scarsamente attendibili o deltutto inventate, e con continue frecciate satiriche contro i cruscanti«criminalisti del ben parlare», e contro il fiorentino, pesantementesbeffeggiato per le sue caratteristiche, a cominciare dalla gorgia.

1721 Jacopo Facciolati, Ortografia moderna italiana con qualche altracosa di lingua per uso del Seminario di Padova, Manfre, Padova G-NTesto rivolto alle scuole, composto da un dizionario di voci accom-pagnate dalla traduzione latina e da marche d’uso; e da una sezionedi Avvertimenti grammaticali. Nelle successive edizioni l’opera si ar-ricchisce di altri materiali, tra cui un Vocabolario domestico.

1721 Girolamo Gigli, Regole per la toscana favella, De’ Rossi, Ro-ma G-NLibro di grammatica realizzato grazie all’esperienza dell’autore comedocente di «toscana favella» per stranieri presso lo Studio di Siena.Alle esplicite finalità didattiche si devono gli esercizi, modellati suquelli per l’apprendimento del latino, e gli specchietti riassuntivi sul-le forme verbali.

1723-24 Nicolò Amenta, Della lingua nobile d’Italia e del modo dileggiadramente scrivere in essa, non che di perfettamente parlare, Muzio,Napoli G-NGrammatica di impianto tradizionale, dunque rivolta ai soli lettera-ti e slegata da qualunque attenzione alla finalità didattica. Rispettoal (pur riconosciuto) modello di Bembo, Amenta mostra maggiore at-tenzione ai registri d’uso, e sconsiglia le forme toscane più antiche epopolari.

1724 Anton Maria Salvini, Annotazioni alla «Perfetta poesia italia-na» di Muratori, Coleti, Venezia S-LReplica di impostazione tradizionalista alle posizioni di Muratori (→1706). Salvini nega che le lingue progrediscano di pari passo con lacultura, e prende posizione contro il concetto di una lingua comunediversa dal fiorentino, che egli difende, anche contro i francesismi el’immissione di parole straniere.

1726 Giusto Fontanini, Dell’eloquenza italiana, Mainardi, RomaS-LBibliografia ragionata della letteratura italiana, pubblicata per la pri-ma volta nel 1706. In questa terza edizione, realizzata vent’anni piùtardi, si inserisce un saggio sull’origine della lingua italiana, che saràripreso e ritoccato per una successiva edizione, apparsa postuma nel1736. Fontanini, un letterato di impostazione classicista e conserva-trice, individua nelle invasioni barbariche il punto di rottura che de-termina la frammentazione linguistica medievale, e imputa all’in-fluenza del francese la corruzione della lingua moderna.

1729-38 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quarta impres-sione, Manni, Firenze LOpera in sei volumi che presenta elementi di novità, ma anche di ar-retramento rispetto alla Terza impressione della Crusca, stampata aFirenze, in tre volumi, nel 1691. La nuova edizione viene promossae ispirata da Anton Maria Salvini, fiorentino, assertore della supe-riorità linguistica del toscano e paladino del principio di imitazionedei modelli del passato ancora incorrotti («Non serve parlar corretto[…] bisogna parlar puro»). L’aumento di mole rispetto alla prece-dente edizione si spiega con l’inserimento di numerosi termini anti-chi, la cui presenza è giustificata con la necessità di rendere com-prensibili le scritture del passato; con l’apertura a parole ed espres-

La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento

Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it

sioni di area giocosa e rusticale, anche popolaresche o plebee, purchéprovenienti da testi toscani fino al Seicento; con l’immissione di esem-pi da nuovi autori, soprattutto fiorentini dei primi secoli.Per contro, vengono esclusi dalle schedature scrittori non toscani giàpresenti nella terza Crusca, mentre la chiusura verso le voci scienti-fiche e tecniche – e verso gli autori che ne hanno fatto uso – diven-ta più rigida. Continua l’uso delle definizioni cosiddette prescienti-fiche, che classificano i nomi di piante e animali (ossia, quel tanto discientifico che un dizionario non può ignorare) con riferimento a com-petenze supposte nel lettore: «animal noto», «erba nota». La nuovaedizione si distingue dalle precedenti anche per la sua accresciuta at-tenzione a segnalare, a scopo storico-documentario, i livelli diafasi-ci. In particolare, cresce il numero di termini classificati come «anti-chi» e si fanno più sottili le stratificazioni interne: si distingue peresempio, tra voci antiquate (ma ancora utilizzabili dai poeti) e vociarcaiche, definitivamente uscite dall’uso.

1732 Carlo Costanzo Rabbi, Sinonimi ed aggiunti italiani, Pisarri,Bologna LVocabolario dei sinonimi nato dall’intento di mostrare ai lettori laricchezza della lingua italiana e di «allettarli colla copia de’ vocabolie la facilità di valersene». Rabbi arricchisce la limitata proposta di si-nonimi fornita dalla Crusca in due direzioni: aumenta le voci, non li-mitandosi a quelle ricavate dagli autori; e affianca ai sinonimi i co-siddetti aggiunti, o «proprietà e guise del soggetto», elementi cioè chedeterminano la voce e possono, nell’uso, accompagnarla. Per esem-pio, alla voce «gelosia», compaiono tra i sinonimi sospetto, cura, af-fetto geloso; tra gli aggiunti troviamo cieca, occhiuta, piena di solleci-tudine, miserabile. La selezione dei vocaboli ne include di antichi, uti-li per conferire dignità allo scritto, ma si rivolge soprattutto a vocimoderne, di uso comune. Il vocabolario è accompagnato da un Trat-tato de’ sinonimi, degli aggiunti e delle similitudini, che propone le re-gole per il corretto utilizzo dei materiali forniti. La concezione pro-posta da Rabbi è quella retorica, che collega l’uso dei sinonimi allabellezza del periodare («Spesso ci gioviamo de’ sinonimi per vaghez-za»), perché l’abbondanza e la varietà di voci genera piacere. Di fron-te al problema dell’esistenza o meno dei sinonimi, Rabbi distinguetra i «sinonimi da filosofo», rintracciabili nei pochissimi casi in cuiil significato delle due parole è perfettamente identico; e i «sinonimida umanista», cioè quelli proposti dal suo vocabolario, che s’indiriz-za non ai filosofi, bensì ai retori, ai poeti, agli oratori.

1732 Scipione Maffei, Verona illustrata, Vallarsi e Berno, VeronaS-LTrattato dedicato alla storia della città dell’autore, che si soffermaanche su temi storico-linguistici generali. Da questo punto di vista,Maffei sottolinea gli elementi di continuità fra latino volgare e italia-no, e attribuisce un ruolo significativo all’influenza delle lingue par-late nell’Italia pre-romana, anticipando così il concetto di sostrato.

1733 Antonio Vallisnieri, Saggio alfabetico d’Istoria medica e natu-rale, Coleti, Venezia LDizionario specialistico, pubblicato postumo (l’autore era scomparsotre anni prima), nato per sostenere l’autorevolezza e la legittimità delvolgare in rapporto al latino, ancora dominante nella comunicazionescientifica, e per creare in volgare un lessico distinto da quello lette-rario. Circa metà dei lemmi censiti sono assenti nella Terza impres-sione della Crusca (1691), e le definizioni di Crusca vengono spessocorrette. Compaiono di frequente le varianti di uno stesso nome, so-prattutto botanico o zoologico, nei diversi dialetti della penisola.

1737 Domenico Maria Manni, Lezioni di lingua toscana, Viviani,Firenze G-NIl libro, nato dai corsi tenuti dall’autore presso il Seminario Arcive-scovile di Firenze, è organizzato in dieci parti, o lezioni, ciascuna del-le quali tocca un aspetto della grammatica. Manni, collaboratore delVocabolario della Crusca (→ 1729-38), è allineato sulle posizioni pu-riste e fiorentiniste di Salvini, e si occupa unicamente della linguascritta, cui applica un sistema normativo che risale a Bembo. Scarsaattenzione è dedicata alla sintassi, trattata secondo una concezioneretorica che fonda il periodo sull’eleganza delle scelte lessicali. Vie-ne tuttavia raccomandato l’ordine naturale della frase (secondo la se-quenza soggetto-verbo-oggetto), da cui Manni ritiene discendano so-norità e chiarezza.

1737 Giulio Cesare Becelli, Se oggidì scrivendo si debba usare la lin-gua italiana del buon secolo. Dialoghi cinque, Ramanzini, Verona S-LTrattato di impostazione classicista, che riconosce nella situazionelinguistica italiana due aree distinte: quella della comunicazione ci-vile, per la quale è lecito servirsi dei diversi dialetti; e quella lettera-ria, fissata nella sua perfezione dai grandi trecentisti toscani, cui co-me modello si deve attingere. Becelli ritiene dunque che l’italiano siauna lingua morta («L’Italiana lingua, in cui si scrive, si può dir lin-gua morta»), da apprendere per imitazione, appoggiandosi all’auto-rità della Crusca.

1739 Ludovico Antonio Muratori, Dell’origine della lingua italiana.Dissertazione XXXII sopra le antichità italiane, in Antiquitates ItalicaeMedii Aevii, Ex typographia Societatis Palatinae, Mediolani S-LPubblicato originariamente in latino come parte delle Antiquitates Ita-licae Medii Aevii, il saggio fu poi tradotto in italiano dall’autore stes-so e, in questa forma, apparve postumo nel 1751. È uno dei primi –e il più scientificamente fondato – tra i tentativi di ricostruire la sto-ria linguistica italiana dalle origini. Muratori indica nel x secolo il mo-mento di frattura tra latino e volgare, e vede nel volgare il prodottodi un’azione esercitata sul latino da due diverse direzioni: i sostratiitalici e le influenze germaniche giunte con le invasioni barbariche.

1740 Sebastiano Pauli, Modi di dire toscani ricercati nella loro origi-ne, Occhi, Venezia LRaccolta di parole ricavate in parte dalla Crusca, ma anche attinte dascrittori, soprattutto della toscanità popolare, non considerati nellaQuarta Impressione (→ 1729-38). Vengono inoltre registrati modi didire toscani sprovvisti di attestazione d’autore. E Pauli è attento afornire le varianti diatopiche, soprattutto delle voci di uso quotidia-no, affiancando al termine toscano le versioni di altre regioni.

1743-50 Gerolamo Andrea Martignoni, Nuovo metodo per la linguaitaliana la più scelta, estensivo a tutte le lingue, col quale si possono age-volmente ricercare, e rinvenire ordinatamente i vocaboli espressivi di pres-soché tutte le cose fisiche, spirituali e scientifiche, cavati dal Vocabola-rio de’ signori Accademici della Crusca, Malatesta, Milano LRepertorio in due volumi di termini della scienza, della tecnica, del-l’artigianato, che anticipa l’interesse per il settore pratico e quoti-diano del lessico destinato a svilupparsi nei dizionari metodici del-l’Ottocento. Martignoni non entra in polemica con la Crusca, neiconfronti della quale dichiara anzi il suo debito e la sua deferenza,ma seleziona, soprattutto dalla Quarta Impressione (→ 1729-38), pa-role della medicina, dell’agricoltura, della guerra, dei mestieri, e leorganizza per categorie.

1745 Giovampietro Bergantini, Voci italiane d’autori approvati dal-la Crusca, nel Vocabolario d’essa non registrate, con altre molte apparte-

Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it

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nenti per lo più ad arti e scienze che ci sono somministrate similementeda buoni autori, Battaglia, Venezia LIntegrazione della Crusca per gli ambiti delle arti e delle scienze, cheprocede però aggiungendo soprattutto derivati o corradicali di vocipresenti; neologismi ricavati per prefissazione e suffissazione; greci-smi. Il criterio di scelta si basa sull’attestazione scritta, e sono pre-senti, tra quelli schedati, anche testi scientifici.

1745 Salvatore Corticelli, Regole ed osservazioni di lingua toscana ri-dotte a metodo, Lelio dalla Volpe, Bologna G-NPrima grammatica italiana pensata per la scuola (per uso del seminariodi Bologna), fortunata e ampiamente ristampata fino a metà Ottocen-to, anche grazie all’impianto ordinato e agilmente consultabile, che fa-cilita l’assimilazione: Corticelli si propone infatti, indicando il suo sco-po fin dal titolo, di ridurre le regole a metodo, organizzandole in unastruttura chiara, scandita in brevi capitoli. L’opera è suddivisa in trelibri (morfologia; sintassi; pronuncia e ortografia) e la scelta di dedica-re un ampio spazio alla sintassi risponde all’intento di colmare una la-cuna delle grammatiche precedenti. In tema di architettura del perio-do, Corticelli sostiene l’ordine naturale (secondo la sequenza soggetto,verbo, oggetto) contro l’uso delle inversioni sul modello latino. Comefonte di esempi viene spesso impiegato il Vocabolario della Crusca,che diventa il quarto «autore» di riferimento dopo le «tre corone».

1750 Francesco Algarotti, Saggio sopra la necessità di scrivere nellapropria lingua, in Opere varie, Pasquali, Venezia 1757 S-LIn questo breve saggio, che la lettera dedicatoria a Saverio Bettinel-li data al 1750, Algarotti condanna la consuetudine umanistica di scri-vere in latino, adattando artificiosamente una lingua morta alle esi-genze del presente. Ugualmente artificioso risulta l’adoperare una lin-gua moderna diversa da quella materna, anche quando la scelta siagiustificata dal maggior prestigio dell’idioma prescelto. Infatti è pos-sibile raggiungere autenticità e naturalezza solo nella lingua nativa,perché ciascuna parlata si caratterizza per un diverso «genio della lin-gua», che è il risultato di fattori geografici, storici, sociali e cultura-li: «Diversi sono appresso nazioni diverse i pensamenti, i concetti, lefantasie; diversi i modi di apprendere le cose, di ordinarle, di espri-merle». L’ideale che emerge da queste posizioni è una lingua moder-na e duttile, che risponda alle esigenze di una cultura fondata sul pen-siero piuttosto che sulla retorica della forma. Discende da queste esi-genze l’avversione per l’arcaismo fiorentinizzante della Crusca, checonvive però con il rifiuto dei francesismi e la difesa della superioritàdell’italiano rispetto al francese.

1750 Francesco Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, in Operevarie, Pasquali, Venezia 1757 S-LBreve saggio che analizza le diverse storie della lingua francese e diquella italiana, e al loro difforme sviluppo rapporta le differenti fun-zioni assolte rispettivamente dall’Accademia della Crusca e dall’Ac-cademia francese.

1759 Onofrio Branda, Della lingua toscana, Mazzucchelli, MilanoS-LDialogo in difesa del fiorentino vivo, cui si attribuisce dignità di lin-gua, in contrasto con le altre parlate d’Italia, classificabili solo comedialetti (in quest’ottica, Branda censura il dialetto milanese). Il fio-rentino dell’uso, verificato sugli scrittori ma non limitato al modelloarcaizzante della Crusca, possiede infatti doti di naturalezza che lorendono una lingua ideale per armonia e sprezzatura.

1763 Francesco D’Alberti di Villanuova, Dizionario del cittadino osia ristretto istorico, teorico e pratico del commerzio, Floteront, Nizza L

Adattamento italiano del Dictionnaiere du Citoyen, ou Abrégé histo-rique, théorique et pratique du commerce di Honoré Lacombe de Prézel,pubblicato a Parigi nel 1761. Originario di Nizza, Alberti dichiara diavere appreso l’italiano attraverso lo studio – «una lingua, che nonper altro posso dir mia se non perché m’invaghì di sé fin dagli annipiù teneri, e la quale sovra ogn’altra mi piacque studiare» – e di ave-re fronteggiato problemi non facili nel tradurre termini talvolta pri-vi di un equivalente italiano. Sono infatti segnalate le parole che l’au-tore stesso definisce «italianizzate», cioè forestierismi mantenuti se-condo la forma francese. Il Dizionario non si limita tuttavia a tradurrel’originale ma, utilizzando come fonte opere italiane (e, forse, perso-nali inchieste sul campo), interviene sulle definizioni e inserisce an-che nuovi vocaboli, pur mantenendo immutata l’impostazione di fon-do. La novità del testo risiede nella scelta del lessico pratico e tecni-co, delle scienze, delle arti, dei mestieri e del commercio (la cui pre-senza sarà un carattere distintivo dell’opera maggiore di Alberti, ilDizionario universale critico-enciclopedico della lingua italiana del 1797-1805), nonché nel rapporto diretto con la cultura lessicografica ed en-ciclopedica francese che costituisce, in questo caso, l’origine stessadel suo Dizionario.

1764 A. [Alessandro] Verri, Rinunzia avanti Nodaro, degli Autoridel presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca, in «il Caffè»,Milano, foglio IV S-LIl più celebre degli scritti pubblicati dalla rivista «il Caffè» (1764-66;i suoi «fogli» apparivano all’incirca ogni dieci giorni; il primo è del1º giugno 1764) contro le costrizioni retoriche cruscanti e in favo-re di una lingua libera, chiara e funzionale. La Rinunzia è un brevepamphlet che denuncia lo spazio eccessivo tradizionalmente accorda-to dalla cultura italiana alle questioni formali («pedantismo») a dannodelle esigenze concrete di comunicazione. Emblema della scelta del-le «idee» invece delle «parole» è il rifiuto delle imposizioni normati-ve della Crusca, respinte con formula goliardicamente solenne: «gliAutori […] sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinun-zia alla pretesa purezza della Toscana favella». Saranno dunque beneaccette tutte le parole, italiane o straniere, vecchie o nuove, che sap-piano esprimere al meglio un’idea. Unico discrimine, «quel giudizio,che non muta a capriccio la lingua, ma l’arricchisce, e la fa migliore».

1765 Giuseppe Baretti, Diceria di Aristarco Scannabue, da recitarsinell’Accademia della Crusca il dì che sarà ricevuto accademico, in «LaFrusta letteraria», Venezia, 15 gennaio S-LIl più noto dei numerosi interventi in cui Baretti tocca il tema dellalingua, affrontandolo sempre secondo una prospettiva letteraria. Inuna prosa immediata, dal vivace piglio polemico, Aristarco (alter egodell’autore) dichiara di accettare il toscano come modello linguisticoautorizzato dalla storia letteraria, ma si oppone al conservatorismodella Crusca, colpevole di avere raccolto arcaismi e voci plebee in ec-cesso. L’esclusiva concentrazione sul fiorentino contrasta inoltre conla convinzione che le lingue scritte non devono essere «dialetti par-ticolari di questa o quella città, ma devono veramente essere lingueuniversali». Convinto che l’assunzione di Boccaccio a modello sia ilmotivo della mancanza di una lingua prosastica italiana moderna, Ba-retti è contrario alla costruzione inversa in nome di una scrittura chia-ra e naturale, che elegge a modello la prosa di Cellini.

1769 Andrea Pasta, Voci maniere di dire e osservazioni di toscani scrit-tori e per la maggior parte del Redi raccolte e corredate di note, Rizzar-di, Brescia LRepertorio di voci mediche realizzato secondo un’impostazione tra-dizionalista e toscaneggiante che mostra l’influenza della Crusca. Le

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voci realmente scientifiche compaiono, tuttavia, in numero limitato(Pasta mostra avversione per grecismi e latinismi, ritenuti troppo spe-cialistici) e convivono con termini e forme di uso corrente; si regi-strano inoltre numerose varianti arcaiche, e voci alterate in direzio-ne affettiva.

1770 Francesco Soave, Grammatica ragionata della lingua italiana,Faure, Parma G-NNato nel clima delle riforme dell’istruzione promosse nel ducato diParma, questo testo è il maggiore esempio di grammatica razionaleitaliana, che risente l’influenza degli enciclopedisti francesi e dellaGrammaire générale et raisonnée di Port-Royal, realizzata nel 1660 daClaude Lancelot e Antoine Arnauld. Secondo la lezione di Port-Royal, data l’esistenza di principî comuni universali alla base di ognilingua, al grammatico compete di fissare le regole della lingua parti-colare presa in esame, distinguendo ciò che deriva dall’arbitrarietàdell’uso e ciò che deriva invece da quei principî universali. Decadeperciò la necessità di rifarsi al canone degli autori come modello nor-mativo. Benché Soave dichiari di volere non soltanto offrire indica-zioni e regole, ma indagare le ragioni che stanno dietro i fenomeni,di fatto la Grammatica assume un atteggiamento soprattutto norma-tivo, e rifiuta ogni apertura all’uso parlato.

1783 Ildefonso Valdastri, Corso teoretico di logica e lingua italianapremesso un discorso sulla metafisica delle lingue, Costa, Guastalla G-NTesto di grammatica rivolto agli insegnanti che si occupano dell’e-ducazione dei giovani. Formatosi sul pensiero sensista, Valdastri iden-tifica l’essenza delle lingue nel rapporto fra le parole e le idee. Ne di-scende un’impostazione metodologica induttiva, che parte dall’os-servazione degli usi linguistici e ne ricava la regola.

1785 Melchiorre Cesarotti, Saggio sopra la lingua italiana, Penada,Padova S-LIl testo fu ristampato nel 1788 e quindi nel 1800 col titolo definiti-vo Saggio sulla filosofia delle lingue, che rimanda all’impostazione rea-le del libro che, pur riferito in particolare alla situazione italiana, pro-pone una concezione generale del linguaggio, fondata sulle idee delsensismo francese. I presupposti su cui si basa il sistema di Cesarot-ti, applicabili universalmente, sono: la situazione impura delle lingue,che nascono, in modo casuale, dalla combinazione di vari elementi;la loro perpetua perfettibilità, anche grazie all’apporto di altre lin-gue; la non uniformità, perché ogni lingua è parlata in modi diversiall’interno della stessa nazione; la superiorità della lingua scritta sul-la parlata e il fatto che la lingua scritta non può dipendere meccani-camente dall’esempio degli autori, né unicamente da regole fissatedai grammatici, né dal solo valore dell’uso. Piuttosto, i tre parametridevono concorrere, così che la lingua scritta abbia «per base l’uso,per consigliere l’esempio e per direttrice la ragione». Neologismi eparole straniere (dialettismi, francesismi, grecismi e latinismi) sonoammessi, ma si propongono norme per regolamentarne l’accesso, cheè accettato per parole derivate da quelle già esistenti per analogia, persuffissazione o per composizione. A sostegno della sua apertura aicontributi di altre lingue, Cesarotti riprende il concetto di «genio del-la lingua» già invocato da coloro che, in suo nome, avversavano l’in-troduzione di parole straniere, e lo declina in due diverse forme: ilgenio, o struttura grammaticale delle lingue, è inalterabile; laddoveil genio retorico, relativo al lessico e alle figure del discorso, è mute-vole, in quanto collegato al divenire di sentimenti e giudizi. Dunque,l’immissione di termini stranieri, in quanto agisce solo sull’aspettoretorico e mai su quello grammaticale, è lecita perché non può cau-

sare alterazioni profonde. Nell’ultima parte del Saggio si affronta inparticolare il tema della lessicografia, di cui Cesarotti auspica un rin-novamento che porti maggiore attenzione ai termini tecnici e scien-tifici, che dovrebbero non solo essere schedati attraverso i testi scrit-ti, ma raccolti dalla viva voce dei parlanti nelle varie regioni italiane.Esito ultimo di tale processo dovrebbe essere un vocabolario, com-pilato a cura di un Consiglio nazionale della lingua, che prenda il po-sto della Crusca.

1785 Carlo Denina, Sur le caractère des langues et particulièrementdes modernes Nouveaux Mémoires de l’Académie Royale des Sciences etBelles-Lettres, Berlino S-LRisposta al saggio di Antoine de Rivarol De l’universalité de la languefrancaise (1784), che sosteneva il primato qualitativo del francese suogni altra lingua. Denina riconosce il livello di eccellenza raggiuntodal francese nel Settecento, ma argomenta che tale risultato non ri-manda a una superiorità intrinseca di questa lingua, ma si lega a ra-gioni storiche e sociali. Nessuna lingua è per natura migliore delle al-tre, e la naturalezza non appartiene tanto alla costruzione sintattica,ma all’abitudine dei parlanti. Denina istituisce inoltre un rapportofra la costruzione della frase e l’organizzazione interna delle lingue,così che la maggiore libertà sintattica dell’italiano dipende dalla pre-senza di elementi morfologici che segnalano la funzione delle paroleindipendentemente dal loro ordine.

1785-95 Michele Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico, ita-liano e latino, Reale Stamperia, Palermo LRepertorio in cinque volumi che raduna voci del siciliano colto, let-terario e scientifico. L’opera ha anche l’intento di legittimare il sici-liano come lingua di cultura, esibendo la ricchezza del suo patrimo-nio lessicale.

1786 Saverio Bettinelli, Risorgimento d’Italia dopo il Mille, Re-mondini, Bassano S-LTrattato di matrice antifiorentinista, dove l’autore auspica una lin-gua italiana formata selezionando l’«ottimo» di ogni dialetto.

1791 Gianfrancesco Galeani Napione, Dell’uso e dei pregi della lin-gua italiana, Balbino e Prato, Torino S-LTrattato in tre libri che collega la questione linguistica a quella nazio-nale – «la lingua è uno dei più forti vincoli che stringa alla patria» –e sostiene la tesi di una lingua colta e moderna derivata dagli appor-ti di diverse parlate italiane. Avverso all’influenza francese in politi-ca, Napione condanna di conseguenza l’uso di questa lingua.

1797-1805 Francesco D’Alberti di Villanuova, Dizionario univer-sale critico-enciclopedico della lingua italiana, Marescandoli, Lucca LOpera in sei volumi, pubblicata in parte postuma (l’autore morì nel1801), che introduce elementi innovativi rispetto al panorama dellalessicografia settecentesca. Infatti D’Alberti, in nome del postulatodella perpetua mobilità della lingua, prende posizione contro l’eccessodi arcaismi che snervano la parlata vivente, e in favore del concettodi uso; e ammette, per primo, voci avversate dai cruscanti come quel-le tecnico-scientifiche, anche di conio recente, e i francesismi. In op-posizione all’imperante culto degli antichi, D’Alberti dichiara aper-tamente nella Prefazione di rivolgersi alla lingua moderna: «se agliAntichi si dee la venerazione e la riconoscenza, a’ moderni si ha dafar capo per chiarirsi dell’uso». Localizzato il concetto di uso in unaideale comunità di uomini dotti, D’Alberti costruisce il suo Diziona-rio come documento orientato verso la lingua moderna: gli arcaismisono dunque registrati, ma li accompagna sistematicamente una mar-ca («voce antica», ma anche «disusata» o «rancida»), ed è prevista

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l’offerta di un’alternativa in italiano corrente. Vengono introdottevoci tecnico-scientifiche e voci dall’ambito delle arti e dei mestieri(le une e le altre accompagnate dalle corrispondenti marche, come«Alchimisti», «Anatomici», oppure «Bottai», «Gioiellieri»). Si am-mettono neologismi, anche di conio recente (come il tecnicismo «areo-stato», inventato dai fratelli Montgolfier nel 1782); sono registrati,senza condanna ma con eventuale alternativa toscana, numerosi fran-cesismi di larga diffusione (D’Alberti, originario di Nizza e bilingue,aveva pubblicato, nel 1771-72, un dizionario francese-italiano). Ta-le allargamento di orizzonti implica un diverso uso dell’esemplifica-zione: il Dizionario affianca alla fraseologia d’autore, in buona partetratta dalla Crusca, nuovi spogli, che provengono sia da trattati di te-ma scientifico trascurati dagli accademici, sia dalla viva voce dei par-lanti, toscani o di altre regioni (raccolta dall’autore in viaggi di in-chiesta sul territorio), purché si tratti di parole già circolanti entroun registro civile e borghese.

1804 Carlo Denina, La clef des langues, Mettra-Umlang-Quien, Ber-lino S-LTrattato di linguistica comparata di un autore di formazione illumi-nista, nemico della tesi fiorentinocentrica della Crusca e sostenitoredi una lingua cortigiana. La clef des langues, scritta in francese du-rante un soggiorno in Germania, tratta dell’origine delle lingue in ge-nerale, e quindi delle lingue neolatine, fra le quali l’italiano; il sotto-titolo recita: ou Observations sur l’origine et la formation des principa-les langues qu’on parle et qu’on écrit en Europe. Denina nega che il vol-gare italiano si sia sviluppato a seguito della corruzione del latino,perché non di corruzione si tratta, ma di un processo di sviluppo sto-rico nato dalla necessità della lingua di adattarsi alle nuove esigenzedei tempi.

1806-11 Vocabolario degli Accademici della Crusca. Oltre le giuntefatteci finora, cresciuto d’assai migliaja di voci e modi de’ classici, le piùtrovate da Veronesi, Ramanzini, Verona (Crusca veronese) LAmpliamento, a opera dell’abate Antonio Cesari, della Quarta im-pressione del Vocabolario della Crusca, realizzato secondo i principîpuristi di cui Cesari è fautore. Dati i postulati della perfezione dellalingua antica – che non perde ma acquista qualità col divenire del-la storia –, e data l’autorità assoluta di coloro che se ne sono serviti, laCrusca veronese interviene sulla versione precedente con incremen-to non di modernità, bensì di antichità, estendendo gli spogli degliaccademici ad altri autori del Trecento e del Cinquecento (fra le li-mitatissime incursioni in secoli successivi, Paolo Sègneri). Le aggiuntecomprendono derivati o varianti grafiche e fonetiche di parole giàpresenti, ma anche esempi d’autore per quelle voci che ne erano pri-ve, e modi idiomatici non ancora registrati. Poiché il sistema lingui-stico teorizzato da Cesari fa coincidere passato e futuro, in modo ta-le che il recupero dell’antico sia tutt’uno con il canone del presente,il Vocabolario si pone esplicitamente non soltanto quale documentodella tradizione, ma quale custode della norma.

1809 Gaetano Arrivabene, Dizionario domestico sistematico, Bet-toni, Brescia LBreve dizionario metodico, con prefazione di Francesco D’Alberti diVillanuova, realizzato da un giovanissimo autore che seleziona lem-mi del lessico fondamentale (domestico) dai dizionari del Martignoni(→ 1743-50), dello stesso D’Alberti (→ 1797-1805) e dalla Crusca,organizzandoli in elenchi per materia. Il testo è destinato alla scuola.

1810 Antonio Cesari, Dissertazione sopra lo stato presente della lin-gua italiana, Ramanzini, Verona T-L

Opera vincitrice nel 1809, l’anno precedente la sua pubblicazione, diun concorso bandito dall’Accademia italiana di Scienze, Lettere e Ar-ti di Livorno, che aveva stabilito il tema «Determinare lo stato pre-sente della lingua italiana, e specialmente toscana: indicar le causeche portar la possono verso la sua decadenza, ed i mezzi acconci perimpedirlo». Il testo propone una sistemazione teorica della dottrinapurista destinata a larga diffusione almeno fino a metà Ottocento.Cardini del purismo sono: il culto del ben parlare, che accomuna cor-rettezza e bellezza; il concetto classico dell’imitazione di modelli ec-cellenti; l’individuazione di tali modelli in un momento storico e inun’area geografica determinati, eletti indipendentemente dalla qua-lità stilistica e culturale degli scritti, o da qualunque legame con ilcontesto storico e politico. L’età aurea della lingua italiana coincide– e si esaurisce, secondo Cesari – con il Trecento toscano, non limi-tato alle opere dei maggiori autori ma aperto a qualsiasi testo, inclu-si i più semplici e popolari: «Tutti in quel benedetto tempo del 1300parlavano e scrivevano bene». Scaturisce da questa posizione un si-stema oppositivo binario, dove tutto ciò che è buono risiede nei mo-delli trecenteschi, ed è cattivo quanto se ne discosta. Cesari fornisceesempi dell’uno e dell’altro campo, proponendo così, accanto alle pa-role ed espressioni da imitare, un repertorio al negativo, che includeprincipalmente francesismi e termini di area burocratica. Dalla Dis-sertazione si ricava un sistema di regole di facile apprendimento. Ta-le semplicità, insieme con la rivendicazione di italianità nativa im-plicita nelle posizioni puriste, contribuì alla diffusione del modello.

1812 Giuseppe Bernardoni, Elenco di alcune parole oggidì frequen-temente in uso, le quali non sono ne’ vocabolari italiani, Bernardoni,Milano LIl primo dei molti dizionari puristici pubblicati nell’Ottocento con loscopo di registrare non le parole usate dagli scrittori o dai parlantiper consegnarle al patrimonio linguistico nazionale, ma quei vocabo-li che, pur diffusi, vanno disprezzati ed evitati. Bernardoni, un fun-zionario ministeriale del Regno italico, seleziona neologismi, preva-lentemente di ambito burocratico, mai censiti prima in nessun voca-bolario. Molte di queste forme sono bollate come corrotte, e vieneconsigliata un’alternativa. Alcune, che l’autore riconosce ormai entra-te nell’uso, andrebbero invece incluse nei vocabolari generali; altresono indispensabili nel linguaggio burocratico.

1812 Giovanni Gherardini, Voci italiane ammissibili benché pro-scritte dall’Elenco del sig. Bernardoni, Pirotta, Milano LReplica di impostazione moderata all’Elenco di Bernardoni. Gherar-dini analizza le voci bollate come indegne da Bernardoni e difende lalegittimità di alcune tra esse, spesso fornendo esempi d’autore. Ma,a documento di una posizione comunque orientata al purismo, for-nisce a sua volta una lista di errori non segnalati da Bernardoni.

1813 Antonio Cesari, Le Grazie, Ramanzini, Verona T-LDialogo tra un gruppo di letterati, che si finge avvenuto nella villaLe Grazie presso Rovereto. Uno dei temi essenziali è il rapporto fraarcaismi e rinnovamento lessicale: convinto che le voci antiche e di-menticate possano tornare in circolazione grazie al sapiente recupe-ro operato dagli scrittori, Cesari sancisce una separazione definitivafra la categoria dell’uso (cara ai fautori del rinnovamento linguistico)e la capacità delle parole di adattarsi al presente: non è l’uso a stabi-lire la legittimità delle parole, ma solo la loro bellezza o bruttezza:«la bellezza [è], come alle cose, così alle parole intrinseca, non accat-tata dall’uso». E la bellezza appartiene, naturalmente, a tutte le pa-role impiegate nell’aureo Trecento, e solo a quelle.

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1814 Marco Mastrofini, Teoria e prospetto, ossia Dizionario criticode’ verbi italiani coniugati, De Romanis, Roma GRepertorio di verbi che dispone le varianti delle forme coniugate inquattro colonne, corrispondenti ai livelli di uso: regolare, antico, poe-tico, incerto o erroneo.

1814 Francesco Cherubini, Vocabolario Milanese-Italiano, Stampe-ria Reale, Milano LRistampato in una seconda edizione molto ampliata nel 1839-56, ilVocabolario si propone come strumento di accesso al toscano par-tendo dal dialetto lombardo, con lo scopo di «ajutar a voltare l’idio-ma nostro vernacolo nella lingua scritta della nazione». Fondato sulpresupposto della dignità, anche letteraria, del milanese, il testo diCherubini registra e traduce parole dialettali provenienti non soltantoall’ambito della vita quotidiana o delle arti e mestieri, ma anche dalvocabolario colto, astratto o scientifico. La ricca fraseologia che spes-so accompagna i vocaboli risponde all’intento di tramandare memo-ria della letteratura in dialetto milanese, proponendo le sue parole emodi all’attenzione dei «cultori della lingua nazionale».

1817-26 Vincenzo Monti, Proposta di alcune aggiunte e correzioni alVocabolario della Crusca, dall’Imperial Regia Stamperia, Milano Le T-LOpera redatta da Monti insieme ad altri autori (tra i quali GiuseppeGrassi, Giovanni Gherardini, Giulio Perticari e Paride Zaiotti) dalui scelti e coordinati. La Proposta nasce dalla volontà di denunciare,avvalendosi degli strumenti della filologia e della lessicografia, gli er-rori compiuti dai cruscanti. Bersagli concreti sono la Crusca verone-se di Cesari, e la Quarta impressione del Vocabolario (in una ristam-pa pubblicata a Venezia, presso Pitteri, nel 1763), accusate di avereaccolto voci inesistenti, derivate da letture scorrette dei manoscrittio dalla consultazione di fonti filologicamente non verificate. Il nu-cleo dell’opera è dunque costituito dall’esame di termini registrati nelVocabolario che, secondo l’analisi di Monti, non avrebbero mai do-vuto figurarvi. Pur proponendosi come serie di chiose lessicografichee non come un sistema teorico compiuto, la Proposta rimanda a unaposizione linguistica precisa, che rifiuta il modello toscano trecente-sco eletto dai puristi a vantaggio di una ideale lingua letteraria cherisulti dal contributo degli scrittori, dei filosofi e degli scienziati diogni parte d’Italia. Favorevole quindi all’inclusione nel vocabolariodei termini scientifici e tecnici trascurati dalla Crusca, Monti lamentaanche l’eccessivo ingombro di arcaismi di qualità deteriore – per esem-pio le varianti fonetiche, anche popolari, scherzose o corrotte, di unostesso termine –, l’abbondanza dei quali ritiene un modo di «risto-rare colla ruggine degli antichi le mancanze del Vocabolario».

1818 Mariano Gigli, Lingua Filosofico-Universale pei dotti precedu-ta dalla Analisi del linguaggio, Società tipografica de’ Classici italiani,Milano GGrammatica di impostazione razionale sulla scia della Grammaire diPort-Royal (1660) e, in Italia, di quella dovuta a Francesco Soave (→1770), rispetto al quale però Gigli applica maggior rigore nel model-lare la sua trattazione sulla teoria linguistica dell’universalità del lin-guaggio. Rinunciando agli schemi classificatori della tradizione, e aqualunque intento normativo, Gigli descrive la lingua a livello teori-co, secondo criteri semantici.

1819-28 Paolo Costa e Francesco Cardinali, Dizionario della linguaitaliana, Masi, Bologna LDizionario dedicato a Vincenzo Monti, la cui Proposta viene esplici-tamente assunta come guida, in alternativa ai modelli di D’Alberti,

cui si rimprovera un eccesso di licenza nell’ammettere voci plebee, edella Crusca veronese, colpevole di una non selettiva passione per leanticaglie.

1820 Claudio Ferrari, Vocabolario bolognese co’ sinonimi italiani efranzesi, Nobili, Bologna LRepertorio dialettale concepito come ponte dal dialetto bologneseverso la lingua nazionale.

1823 Alessandro Manzoni, seconda Introduzione a Fermo e Lucia,inedita; prima pubblicazione in Id., Gli sposi promessi per la prima vol-ta pubblicati nella loro integrità di sull’autografo da Giuseppe Lesca, 2voll., Perrella, Napoli 1915-16 T-LPer la prima minuta del suo romanzo, nota col titolo Fermo e Lucia,Manzoni scrisse due diverse introduzioni. La prima, composta quan-do il libro era appena avviato, contiene un programma di lavoro. Ri-levante dal punto di vista teorico-linguistico è però la seconda intro-duzione, scritta a conclusione della stesura di Fermo e Lucia e rima-sta inedita insieme con l’intero testo. Questa Introduzione rappre-senta, con alcune lettere a Claude Fauriel, la prima individuazionecompiuta del problema linguistico che ogni romanziere italiano è co-stretto immancabilmente ad affrontare. Manzoni dichiara di scrive-re male, e definisce il concetto opposto: scrivere bene significa «sce-gliere quelle parole e quelle frasi, che per convenzione generale, ditutti gli scrittori, e di tutti i favellatori (moralmente parlando) han-no quel tale significato; parole e frasi che o nate nel popolo, o in-ventate dagli scrittori, o derivate da un’altra lingua, quando che sia,sono generalmente ricevute e usate». Condizione necessaria è che ta-li parole e frasi esistano e che siano riconosciute come esistenti: «Sein Italia vi sia una lingua che abbia questa condizione – concludeManzoni –, è una quistione su la quale non ardisco dire il mio pare-re». Documento dell’insoddisfazione che spinse l’autore a sospen-dere la pubblicazione del romanzo, la seconda Introduzione accom-pagna la decisione di Manzoni di concentrare i suoi studi sul proble-ma della lingua, e la nascita del progetto di un libro autonomo a es-so dedicato (l’incompiuto saggio Della lingua italiana, → 1830-59).

1824-26 Antonio Bazzarini, Ortografia enciclopedica universale del-la lingua italiana, Tasso, Venezia LDizionario che include un ampio numero di voci mai registrate in pre-cedenza, in parte termini di ambito famigliare, in parte arcaismi, tra-scurando però di inserire qualunque marca d’uso.

1825-27 Giovanni Romani, Dizionario generale de’ sinonimi italia-ni, Silvestri, Milano LDizionario pubblicato postumo (Romani era morto nel 1822), in pa-rallelo con il saggio Teorica de’ sinonimi italiani (Silvestri, Milano1825), dove sono raccolte le riflessioni che erano state alla base del-la sua composizione. Secondo il modello dei grandi dizionari di si-nonimi del Settecento francese (Girard, Roubaud, Beauzée), Roma-ni respinge l’uso della sinonimia come mezzo per variare e abbellireil dettato, e individua come finalità del suo lavoro quella di distin-guere i sinonimi reali dai presunti. Viene tuttavia introdotta una du-plice distinzione: tra sinonimi di valore realmente identico e altri so-lo presunti tali; e tra due tipi di linguaggio, quello degli oratori e deipoeti, e quello dottrinale. Se alle esigenze di precisione del secondogenere si addicono solo sinonimi in senso proprio, al linguaggio deipoeti possono giovare anche sinonimi vaghi e imprecisi, purché utilia rendere più armonico il discorso.

1826 Giovanni Romani, Teorica della lingua italiana, Silvestri, Mi-lano G-N

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Grammatica di impostazione razionale, pubblicata in parallelo al Di-zionario generale de’ sinonimi italiani (1825-27), che si propone di chia-rire, da un punto di vista filosofico, i principî che regolano il funzio-namento della lingua, per rendere possibile in tal modo un appren-dimento sistematico. Le due parti, dedicate rispettivamente allamorfologia e alla sintassi, propongono una minuziosa catalogazionedi forme, ordinate in base alla loro funzione logico-semantica.

1827 Carlo Mele, Saggio di nomenclatura familiare col frequente ri-scontro delle voci napoletane alle italiane, Napoli LOpuscolo concepito come appendice alla Introduzione alla grammati-ca italiana (1825) di Giovanni Gherardini, una facile esposizione «peruso della classe seconda delle scuole elementari». Dal canto suo, Me-le raccoglie alcune centinaia di lemmi selezionati tra quanti, nell’ita-liano letterario, suonano molto diversi dall’analogo napoletano. De-stinato anch’esso alla scuola, il testo vuole far sì che gli studenti im-parino le parole italiane prima delle corrispondenti dialettali.

1828 Francesco Ambrosoli, Grammatica della lingua italiana, Fon-tana, Milano G-NTesto fortunato e diffuso, che combina i principî della grammaticaragionata – con la sua attenzione all’analisi logica in quanto descri-zione della lingua come manifestazione dei meccanismi del pensiero –con quelli della grammatica tradizionale, pur applicata secondo prin-cipî non rigorosamente puristi.

1829 Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Santini,Venezia LVocabolario che si dichiara nato per agevolare il passaggio dal dia-letto al toscano. L’autore insiste tuttavia sul ruolo dei dizionari dialet-tali nell’arricchimento della lingua nazionale, che dovrebbe mutua-re dai diversi dialetti «i migliori e i più comuni termini» facendolipropri.

1829-40 Vocabolario universale italiano, Società Tipografica Tra-mater, Napoli LDizionario in sette volumi, abitualmente citato col nome del tipo-grafo (sarà detto, per l’appunto, «il Tramater»), realizzato sotto ladirezione dell’abruzzese Raffaele Liberatore. Pur rimproverando al-la Crusca di avere «locata in trono l’arcaiologia», il Tramater registraarcaismi e voci disusate, ma segnalandone la qualità e il valore tra-mite marche d’uso. Si introducono però con larghezza termini di am-bito scientifico e tecnico, ricavati da nuovi spogli di testi ottocente-schi, sia letterari sia tecnici. Una novità significativa è nella defini-zione delle voci scientifiche, per la prima volta costituita non dal sem-plice rimando alle conoscenze presupposte nel lettore – «animale no-to» –, ma con l’intento di fornire effettive coordinate scientifiche.

1830 Niccolò Tommaseo, Dizionario dei sinonimi, Pezzati, Firen-ze LDizionario fortunatissimo e frequentemente ristampato (a partire dauna «Seconda edizione con correzioni ed aggiunte dell’autore», Cre-spi, Milano 1833, e da una terza edizione con ampia prefazione teo-rica: Vieusseux, Firenze 1838) fino al Novecento. Il Dizionario si ri-ferisce unicamente alla lingua dell’uso (suo scopo è «dare le diffe-renze delle voci ancor vive»), trascurando varietà dialettali da un la-to e arcaismi dall’altro, ma attingendo largamente al toscano del tem-po. Sulla scorta delle riflessioni di coloro che, nel Settecento france-se, avevano compilato dizionari dei sinonimi (Gabriel Girard in par-ticolare: un precedente che già aveva indirizzato il lavoro di GiovanniRomani, 1825-27), Tommaseo rifiuta la concezione retorica della si-nonimia come ornamento del discorso e condanna l’idea che vocaboli

diversi si possano considerare intercambiabili a seconda delle esigenzeretoriche dello scrivente. Al contrario, non esiste sinonimia perfettae compito di un vocabolario dei sinonimi non è fornire alternative,bensì indicare le differenze fra termini di area affine. Ne deriva un’at-tenzione minuziosa a distinguere gradazioni e registri d’uso e a det-tagliare le sfumature di significato che separano vocaboli solo in ap-parenza sovrapponibili.

1830-59 Alessandro Manzoni, Della lingua italiana, inedito; pub-blicato per la prima volta in Opere inedite o rare di Alessandro Man-zoni pubblicate per cura di Pietro Brambilla, da Ruggero Bonghi, vo-lume IV, Rechiedei, Milano 1891 (dove compaiono una Prima minu-ta e una Seconda minuta); e in Opere inedite o rare di Alessandro Man-zoni pubblicate per cura di Pietro Brambilla, da Ruggero Bonghi eGiovanni Sforza, volume V, Rechiedei, Milano 1898 (dove si rac-colgono nuovi frammenti relativi alla Prima minuta e una serie di scrit-ti sul tema della lingua, alcuni dei quali i curatori ritennero destinatia entrare nel disegno complessivo del libro) T-LScritto a fasi alterne nell’arco di un trentennio, a partire dal 1830,incompiuto e mai pubblicato in vita dall’autore, il saggio doveva rap-presentare la summa del pensiero linguistico manzoniano. Si conser-vano cinque redazioni, tutte lacunose, la prima composta fra il 1830e il 1835, l’ultima cominciata nel 1840-42, una volta conclusa la ri-scrittura dei Promessi sposi. Fin dalla prima redazione, che prende av-vio dalla riflessione sulle opere di Antonio Cesari, si stabilisce unodei cardini della concezione di Manzoni, cioè il fatto che la questio-ne della lingua è un problema non letterario ma sociale, evidenzian-do così la debolezza della posizione dell’avversario proprio nel suoignorare questo aspetto: «Invece d’indicare ciò che possa costituiree far essere, direm così, la lingua italiana, cerca il sistema com’ellapossa essere buona». Anche la soluzione toscano-fiorentina risultagià acquisita nella prima redazione, così come la difesa del principiodell’uso: «non c’è nessuna regola grammaticale positiva la quale nonpossa essere mutata ad arbitrio dell’uso». Rispetto al disegno origi-nario in tre libri, furono realizzati, nella quinta e ultima redazione,quattro capitoli del primo libro e altri materiali più frammentari. Ilprimo capitolo contesta l’opinione di chi ritiene che già esista una lin-gua comune in Italia, e dimostra l’insussistenza di tale lingua e la ne-cessità di ricercarla. Il secondo capitolo propone il fiorentino vivo co-me lingua italiana e difende, con argomentazioni teoriche e abbon-danza di esempi, l’importanza dell’uso come arbitro dell’accettabi-lità delle parole in una lingua. Nel terzo capitolo si considerano le re-gole grammaticali, dipendenti, come i vocaboli, dalla legge dell’uso,«sola causa efficiente delle lingue, in ogni loro parte». Il quarto ca-pitolo contesta il principio di analogia proposto dai grammatici-filo-sofi francesi riguardo ai mezzi grammaticali.

1833 Basilio Puoti, Regole elementari della lingua italiana, Fibreno,Napoli G-NLibro di grammatica rivolto agli studenti della scuola napoletana del-l’autore e, in generale, ai giovani e ai loro insegnanti. Il testo, fortu-nato e più volte ristampato, si articola in due sezioni: la prima offreun panorama generale della struttura dell’italiano; la seconda, rivol-ta a utenti più avanzati, affronta particolarità e temi controversi, trat-tando anche della sintassi, che era esclusa dalla prima parte. Il mo-dello normativo è tradizionale e l’autore prende sistematicamente po-sizione contro l’uso moderno. Tuttavia, rispetto alla lezione di Ce-sari, Puoti si distingue perché il suo canone include, accanto al to-scano trecentesco, gli scrittori del Cinquecento; e perché dedica unapiù severa attenzione al rapporto fra selezione lessicale e registro sti-

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listico, ammettendo per esempio termini popolari o plebei – seppuretrecenteschi – solo in scritture di stile comico o famigliare.

1833-42 Giuseppe Manuzzi, Vocabolario della lingua italiana, Pas-sigli, Firenze LVersione accresciuta della Quarta impressione del Vocabolario dellaCrusca, realizzata secondo criteri di osservanza purista. Rispetto al-la Crusca veronese, tuttavia, Manuzzi inserisce sistematicamente ilmarchio del disuso accanto ai termini non più in circolazione; e regi-stra parole e modi di dire «adottati dall’uso». Alcune nuove voci furo-no fornite da Giacomo Leopardi, che figura anche tra gli autori citati.

1835-36 Alessandro Manzoni, «Sentir messa», inedito; prima pub-blicazione: «Sentir messa». Libro della lingua d’Italia contemporaneodei Promessi sposi. Inedito, Introduzione e appendici critiche di Do-menico Bulferetti, Bottega di Poesia, Milano 1923 T-LRiflessione, incompiuta e pubblicata postuma, occasionata da una re-censione del 1835 in cui il letterato Michele Ponza criticava le sceltelinguistiche del romanzo Marco Visconti di Tommaso Grossi, editol’anno precedente. Il titolo nasce dalla discussione sulla differenzatra le due espressioni «sentir messa» e «udir messa», da cui prendeavvio il discorso manzoniano. Ponza aveva infatti censurato l’espres-sione di Grossi «sentir messa» ritenendola dialettale, e Manzoni re-plicò che si trattava di uso comune, schierandosi quindi in difesa del-l’uso, arbitro e signore delle lingue. E perché la lingua di cui si ser-vono per intendersi gli italiani delle diverse regioni è la toscana, Man-zoni conclude che «l’Uso toscano d’oggidì avrà a essere […] l’Usodella lingua d’Italia».

1838-44 Vincenzo Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano,Tipografia del Giornale letterario, Palermo LRepertorio dialettale con vasta presenza di lessico colto e di fraseo-logia e modi di dire del dialetto siciliano.

1838-41 Giovanni Gherardini, Voci e maniere di dire additate a’ fu-turi vocabolaristi, Bianchi, Milano L e GRaccolta di vocaboli ed espressioni corredati di esempi e osservazio-ni grammaticali, realizzata attraverso lo spoglio di autori del Trecentoe del Cinquecento, che ammette però anche termini di conio più re-cente («Ché alle cose nuove è pur forza accomodar nuovi termini chele rappresentino»); voci dalla lingua parlata; arcaismi che si ritienepotrebbero rientrare in circolazione. In seguito Gherardini estrasseda quest’opera e riordinò, ampliandola, una ricca serie di note gram-maticali, che pubblicò quindi in volume autonomo sotto il titolo Ap-pendice alle grammatiche italiane o sia Note grammaticali estratte dal-l’opera initolata Voci e maniere di dire additate a’ futuri vocabolaristi(Bianchi, Milano 1843).

1839 Tommaso Azzocchi, Vocabolario domestico della lingua italia-na, Aureli, Roma LRepertorio purista di voci da evitare. Fu pubblicato dapprima, sottoil titolo Picciol vocabolario domestico, come appendice di poche pa-gine a un’opera grammaticale dello stesso autore (Avvertimenti a chiscrive in italiano, 1828), quindi, ampliato, come volume in due suc-cessive edizioni (1839 e 1846). Ammiratore di Cesari, Azzocchi esi-bisce una posizione di massimo rigore nel proscrivere francesismi, la-tinismi, neologismi, voci dialettali soprattutto romanesche.

1841 Basilio Puoti, Vocabolario domestico napoletano-toscano, Si-moniana, Napoli LRepertorio di vocaboli dialettali con traduzione italiana, nato per age-volare i dialettofoni nel passaggio al toscano, «quasi ponte per pas-

sare all’altra ripa». Le parole, disposte non secondo l’ordine siste-matico dei dizionari metodici ma in sequenza alfabetica, provengo-no da un ambito terminologico limitato, quello degli attrezzi dome-stici, delle arti e dei mestieri.

1843 Giovanni Gherardini, Lessicografia italiana o sia Maniera discrivere le parole italiane, Bianchi, Milano L e OTrattato inteso a propugnare le idee ortografiche dell’autore, studiosodi impostazione classicista, già tra i collaboratori della Proposta diMonti. Gherardini ritiene che la lingua scritta debba allontananrsidalla pronuncia del popolo per rifondarsi su basi etimologiche. Sullascorta di tale teoria, influenzata dalle riflessioni di lessicografi stra-nieri come Samuel Johnson, ma in esplicito contrasto con le sceltedella Crusca, viene dunque proposto un sistema di varianti ortogra-fiche di origine latina (per esempio: abondare invece di abbondare;aqua invece di acqua). Le teorie di Gherardini, pur apprezzate – e,in qualche misura, applicate – da alcuni contemporanei (tra i qualiCarlo Cattaneo), non ebbero seguito duraturo.

1843-57 Vocabolario degli accademici della Crusca, Nelle Stanze del-l’Accademia, Firenze LRisultato dei lavori avviati per la nuova edizione del Vocabolario findal 1812, proseguiti a rilento e culminati nell’uscita di soli sette fa-scicoli, dopo i quali la pubblicazione fu interrotta.

1846 Carlo Cattaneo, Applicazione dei principi linguistici alle que-stioni letterarie, in Alcuni scritti, Borroni e Scotti, Milano S-LTesto in tre parti (i. Dell’uso di nuovi toscanesimi; ii. Dell’uso di nuo-ve voci greche; iii. Della riforma dell’ortografia), la prima delle qualirappresenta la più compiuta presa di posizione dell’autore sulla que-stione della lingua. Cattaneo, che si era anche dedicato a studi di lin-guistica generale, riconosce il fondamento fiorentino della lingua let-teraria, ma ritiene necessario distinguere tra voci adatte a diventarenazionali, perché largamente comprese e accolte dall’uso, e altre chel’uso respinge. Sono dunque da condannare sia il tentativo acriticodi «rannicchiare la lingua d’una nazione entro il dialetto d’una città»,sia la scelta dei cruscanti e dei puristi di accogliere nei vocabolari, im-mettendole nella parlata nazionale, parole antiquate, oppure rintrac-ciate in un’unica testimonianza. Discriminante nelle questioni di lin-gua è infatti l’uso, che «non è ciò che si fa una volta da uno solo o dapochi, ma è ripetizione, consenso, generalità». La lingua che si au-spica è dunque fatta di parole condivise e circolanti, autorizzate dal-la tradizione ma garantite dalla civile consuetudine.

1846-60 Giacinto Carena, Prontuario di vocaboli attinenti a parec-chie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche e altre di uso comune, persaggio di un Vocabolario metodico della lingua italiana, Fontana, To-rino LDizionario metodico in tre parti (pubblicate nel 1846, nel 1853 e, po-stuma, nel 1860) che raccoglie lemmi di ambito domestico, o legatialle arti e ai mestieri, ricorrendo come fonte non soltanto a testi scrit-ti, ma alla viva voce degli artigiani e dei bottegai fiorentini, così daregistrare un repertorio rimasto precluso alla Crusca, non solo per ilsuo carattere tecnico, ma perché non documentato dalla lingua scrit-ta. Il materiale lessicale è ordinato secondo affinità concettuali, permacro-aree collegate a uno stesso soggetto, secondo l’impostazionepropria dei vocabolari metodici, che si rivolgono a chi cerchi una pa-rola che non conosce, e guidano il lettore a trovarla accanto ad altrerelative alla stessa materia.

1848 Stefano Pietro Zecchini, Dizionario dei sinonimi della linguaitaliana, Pomba, Torino L

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Raccolta di sinonimi che esplicita fin dal sottotitolo il suo legame conle posizioni più aggiornate in materia di riflessione sulla sinonimia:Con l’aggiunta di molti vocaboli oltre quelli esistenti nel Nuovo Dizio-nario de’ Sinonimi del Tommaseo edito nel 1838 da G.P. Vieusseux,compilato da S. P. Zecchini colla scorta di quelli del Tommaseo, del Ro-mani, del Grossi e degli altri lavori filologici più recenti sulla lingua ita-liana. In sintonia con i suoi modelli, Zecchini dichiara che unico sco-po del dizionario è far conoscere le differenze tra le voci che in pas-sato erano considerate sinonime, e che egli ritiene invece opportunodefinire «pseudosinonimi» o «parole di significazione affine». Il di-zionario fu riproposto nel 1860 (Unione Tipografica Editrice, To-rino) in una seconda edizione ampliata nei contenuti ma a prezzo ri-dotto, dedicata «Alla gioventù studiosa di tutte le scuole d’Italia», equindi più volte ristampato fino agli anni venti del Novecento.

1850 Alessandro Manzoni, Sulla lingua italiana. Lettera a GiacintoCarena, Redaelli, Milano T-LPrimo intervento pubblico in cui Manzoni delinea la sua posizioneteorica in fatto di lingua, dando ragione delle scelte operate nella se-conda edizione dei Promessi sposi, pubblicata tra il 1840 e il 1842.Nato come una lettera privata, il testo fu quindi stampato, con qual-che correzione, nel fascicolo VI (1850) delle Opere varie, che Man-zoni andava pubblicando a partire dal 1845. Occasione dello scrittofu l’uscita, nel 1846, del Vocabolario domestico di Giacinto Carena,che attingeva alla parlata viva toscana. Ricevuto il Vocabolario, Man-zoni scrisse all’autore, dichiarando il suo disaccordo con la scelta diregistrare vocaboli non esclusivamente fiorentini, e dunque affer-mando esplicitamente il principio del fiorentino vivo come lingua co-mune italiana: «io sono in quella scomunicata, derisa, compatita opi-nione, che la lingua italiana è in Firenze, come la lingua latina era inRoma, come la francese è in Parigi». La Lettera introduce anche conchiarezza la concezione manzoniana di lingua come mezzo di comu-nicazione legato al presente, o «istrumento sociale», in alternativa aldiffuso ma inaccettabile «concetto indeterminato e confuso d’un nonso che di letterario».

1850 Gianfrancesco Rambelli, Vocabolario domestico, Tiocchi, Bo-logna LRaccolta di voci tratte dai dizionari della Crusca e del D’Alberti; davari lessici di arti e mestieri; da vocabolari francesi; da spogli di au-tori, anche viventi; dalle parlate dialettali, non solo toscane. L’ideadi fondo è che scopo dei vocabolari non è insegnare la lingua o det-tare norme ma, semplicemente, spiegare i significati delle voci.

1850 Francesco Taranto e Carlo Guacci, Vocabolario domestico ita-liano ad uso de’ giovani, ordinato per categorie, Napoli LVocabolario metodico realizzato da due allievi della scuola napoleta-na di Basilio Puoti. Nato dalla consapevolezza della difficoltà di acce-dere a un lessico nazionale comune per la lingua pratica e quotidiana(trascurata dalla Crusca), il repertorio si differenzia da quello di Ca-rena (1846-60) per l’attenzione a definire il registro e la sfera d’usodei termini, sistematicamente accompagnati da esempi d’autore. Pa-role e locuzioni toscane sono spesso tradotte in dialetto napoletano,con l’intento non di autorizzare l’uso dialettale ma di aiutare l’ap-prendimento dei non toscani.

1852-57 Giovanni Gherardini, Supplimento a’ vocabolarj italiani,Bernardoni, Milano LVocabolario che si caratterizza per la presenza di una Appendice do-ve sono radunate parole eterogenee accomunate dalla loro margina-lità, o addirittura indesiderabilità – «Voci dismesse o sospette, o d’in-

certo significato, o non ricevute ancora dalla lingua letteraria e co-mune all’intera nazione, oltre ad alcune appartenenti alla geografiaed alla mitologia, ed a poche andate disperse nello stampare il Suppli-mento» –, nonché dal fatto che la Crusca, come precisa polemica-mente il curatore, le «sparge a man piene nel corpo del suo Vocabola-rio». In questo modo Gherardini accoglie di fatto la posizione cru-scante del vocabolario come deposito universale e non selettivo dellalingua, ma introduce altresì, per la prima volta, una distinzione fisica,di massima visibilità, tra parole in uso e parole in disuso. La respon-sabilità della scelta finale spetterà comunque, secondo quanto dichiaraGherardini, non al lessicografo ma all’utente del vocabolario.

1855 Pietro Fanfani, Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier,Firenze LVocabolario a destinazione scolastica e dal dichiarato intento divul-gativo. Nonostante le premesse, il testo concede poco spazio al lessi-co e alla fraseologia dell’uso, e accoglie invece numerosi arcaismi, an-che assenti nella Crusca, accompagnati da esempi d’autore.

1856 Alessandro Manzoni e Gino Capponi, Saggio di vocabolarioitaliano secondo l’uso di Firenze compilato in collaborazione a Varra-mista nel 1856, inedito; prima pubblicazione, col titolo di cui sopra,a cura di Guglielmo Macchia presso Le Monnier, Firenze 1957 LRaccolta di un centinaio di lemmi (da «A» ad «Abbenché») registratida Manzoni e Capponi durante un soggiorno estivo a Varramista,presso Pisa, interrotta e pubblicata postuma. L’esperimento vienecondotto partendo dai vocabolari della Crusca e dell’Académie françai-se, dai quali sono selezionate le voci che quindi si traducono in fio-rentino. Benché la fonte sia costituita non dall’uso vivo ma da altrilessici, la scelta del fiorentino e la struttura degli esempi anticipanola concezione del Novo vocabolario di Giorgini e Broglio (→ 1870-97).

1857-61 Gerolamo Boccardo, Dizionario della economia politica edel commercio, Franco, Torino LDizionario settoriale riservato a vocaboli di area economico-com-merciale che, lontano da ogni preoccupazione puristica, accoglie an-che termini stranieri appartenenti a «quella lingua tecnica, che oggiè divenuta europea e quasi direi mondiale».

1858 Prospero Viani, Dizionario di pretesi francesismi e pretese vocie forme erronee della lingua italiana, Le Monnier, Firenze LRaccolta di francesismi, barbarismi e altre voci tacciate come erro-nee che l’autore dimostra invece appartenere all’italiano antico ed es-sere state usate dai migliori scrittori. Pur entro una impostazione pu-rista (il Dizionario include anche una tavola di voci e maniere addi-tate come effettivamente «aliene o guaste»), Viani si dimostra aper-to agli influssi stranieri quando la parola sia stata «dimesticata», oassimilata, e accolta dagli autori dei buoni secoli.

1859 Vittorio di Sant’Albino, Gran dizionario piemontese-italiano,Società Unione Tipografico-Editrice, Torino LRepertorio dialettale di lessico colto, di fraseologia e modi di dire deldialetto piemontese, con ampia introduzione del compilatore.

1861-79 Dizionario della lingua italiana, nuovamente compilato daisignori Nicolò [sic] Tommaseo e cav. Professore Bernardo Bellini, conoltre 100 000 giunte ai precedenti dizionari raccolte da Nicolò Tom-maseo, Gius. Campi, Gius. Meini, Pietro Fanfani e da molti altri di-stinti filologi e scienziati, Pomba, Torino LRealizzato, sotto la direzione di Niccolò Tommaseo, da un gruppo dicollaboratori che includeva Bernardo Bellini, Pietro Fanfani, Giu-seppe Meini, Giuseppe Campi, questo celeberrimo Dizionario fu con-

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cepito dal tipografo torinese Giuseppe Pomba a partire dal 1856. Pre-sentato nel 1858 con il saggio di una voce – «chiamare» fu la parolaprescelta – e con un Programma steso da Tommaseo, fu pubblicato indispense nell’arco di quasi un ventennio. La partecipazione di Tom-maseo è determinante fino all’anno della morte (1874), dopo la qua-le assume maggiore rilievo il ruolo di Giuseppe Meini. Sono caratte-ristici del vocabolario da un lato scompensi dovuti alle molte mani,dall’altro il peso delle opinioni, delle insofferenze e dei gusti di Tom-maseo, le cui definizioni (siglate con la lettera T) sono riconoscibilinon solo per acuminata sensibilità linguistica, ma per umoralità e per-sonalismo. Nel Tommaseo-Bellini si realizza un equilibrio mai rag-giunto prima fra lingua della tradizione – censita attraverso scheda-ture di opere, sia letterarie che tecnico-scientifiche, fino all’Ottocen-to – e lingua dell’uso toscano-fiorentino coevo, registrata con ricchez-za di esempi. I termini fuori dall’uso sono accolti in quanto parte delpatrimonio linguistico nazionale, ma anche perché le parole addor-mentate possono risorgere: «Si può dire […] che un vocabolo è di-susato; ma non si può dire che sarà disusato in perpetuo», scrive Tom-maseo nel Programma di presentazione. Stabilito che il vocabolariodeve assumere un ruolo di guida per gli utenti della lingua italiana, ilproblema di distinguere le parole vive dalle morte viene risolto at-traverso il contrassegno di una croce riservato ai termini fuori dal-l’uso, ma anche con i frequenti commenti sul registro delle parole esul loro impiego, carattere distintivo di questo Dizionario.

1863 Pietro Fanfani, Vocabolario dell’uso toscano, Barbera, Fi-renze LRepertorio di voci toscane di ogni epoca e registro, che accoglie pa-role dell’uso parlato assieme ad altre letterarie e arcaiche, tecnicismidelle arti e dei mestieri, termini fiorentini ma anche provenienti dapiccolissimi centri della Toscana.

1863-1923 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quinta im-pressione, Cellini, Firenze LAvviato ufficialmente alla fine del 1857, il vocabolario fu realizzatocon lentezza e, a cinquant’anni dall’inizio della pubblicazione – do-po l’uscita del volume XI (che si chiudeva alla lettera O) –, la stam-pa fu sospesa per decreto del ministro Gentile. Nonostante la man-cata conclusione, il Vocabolario è importante per le innovazioni chepresenta rispetto alle precedenti edizioni della Crusca, e in partico-lare per la decisa opzione in favore della lingua in uso. Si accolgonoinfatti parole prelevate da autori di tutti i secoli fino al presente, nonesclusivamente toscani; e si sceglie di riunire gli arcaismi e i terminiplebei in un Glossario (1867) separato fisicamente dal corpo del Vo-cabolario, che registra in questo modo solo «lo stato dell’idioma pu-ro e vivente». Si conferma invece la tradizionale assenza della ter-minologia tecnico-scientifica.

1867 Glossario. Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quintaimpressione, Cellini, Firenze LRaccolta di parole arcaiche, corrotte o plebee realizzata in abbina-mento alla Quinta impressione della Crusca (1863-1923), ma fisica-mente staccata dal corpo del Vocabolario. Il Glossario, incompiuto,si interrompe dopo la lettera B. La decisione di separare gli arcaismidalle voci in uso (o, come si esprime la Prefazione al Vocabolario, di«non affogare il buon grano tra il loglio»), ampiamente commentatae giustificata dagli accademici, poggia sulla convinzione che spetti alvocabolario un ruolo non solo descrittivo, ma normativo, e che deb-ba essere demandata ai compilatori la responsabilità di indicare qua-li siano le parole in corso, passibili di utilizzazione moderna, sepa-randole da «ciò che fu deliberatamente abbandonato dalla gente cul-

ta, o perché sconcio e difforme dalla maniera toscana, o perché tri-viale ed inetto».

1867 Giovanni Moise, Grammatica della lingua italiana, Stabili-mento nazionale, Venezia G-NAmpia grammatica in tre libri (ortografia; pronuncia ed etimologia;sintassi) redatta da un insegnante e dedicata ai giovani. Nel 1874 l’au-tore stesso ne avrebbe realizzato un fortunato compendio dal titoloGrammatichetta della lingua italiana. Intento dichiarato dell’autoreera proporre una grammatica filosofica che illustrasse, oltre alle re-gole, le loro ragioni, ma in effetti il testo risulta soprattutto una mi-nuziosa casistica normativa. Fedele a un’impostazione tradizionale,e più orientato verso la lingua scritta, Moise utilizza esempi d’auto-re ma accoglie anche i moderni, senza trascurare l’uso parlato.

1868 Alessandro Manzoni, Dell’unità della lingua e dei mezzi didiffonderla. Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione, in «Nuo-va Antologia» (Firenze), marzo; in «La Perseveranza» (Milano), 5marzo S-LEstrema occasione pubblica in cui Manzoni espone le sue teorie lin-guistiche. Diventato ministro della Pubblica Istruzione nel 1867, ilmilanese Emilio Broglio, sostenitore delle idee linguistiche manzo-niane, nomina nel gennaio 1868 una commissione (suddivisa in unabranca milanese e in una fiorentina) incaricata di «ricercare e di pro-porre tutti i provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare a ren-dere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della buo-na lingua e della buona pronunzia», e chiama Manzoni a dirigere lasottocommissione milanese. Il breve testo prodotto da quest’ultimo,che compendia posizioni già espresse in scritti anteriori – e messe inpratica nella seconda stesura dei Promessi sposi –, parte dalla consta-tazione che la lingua italiana non esiste né nella forma parlata (il cuispazio è occupato dai diversi dialetti) né in quella scritta (poiché lalingua letteraria è insufficiente a coprire tutte le esigenze comunica-tive). Manzoni si propone quindi due scopi: a) dimostrare che il mez-zo più efficace per sostituire ai diversi dialetti una lingua comune èl’adozione di un idioma esistente, da individuarsi nel fiorentino vi-vo, già diffuso attraverso la tradizione letteraria; b) indicare comemezzo per ottenere tale effetto l’allestimento di un vocabolario chesi costituisca come norma della parlata fiorentina. Strutturata in for-ma argomentativa, come affermazione di tesi successive e risposta al-le possibili obiezioni che contro tali tesi potrebbero sollevarsi, la Re-lazione non è un testo teorico, ma una proposta di politica linguisti-ca, e il maggiore documento dell’attività pubblica di Manzoni e delsuo rapporto col potere politico. In quest’ottica è essenziale la ripre-sa di un punto già da lui ampiamente chiarito nei suoi interventi pre-cedenti, cioè che non alla lingua letteraria l’autore rivolge la sua at-tenzione ma allo strumento comunicativo di una nazione, come si pre-cisa in apertura: «il signor Ministro ha sostituita la questione socia-le e nazionale a un fascio di questioni letterarie».Nel maggio 1868, a poche settimane dall’apparizione della Relazio-ne, un membro della sottocommissione fiorentina, il genovese Raf-faello Lambruschini, pubblicò a sua volta (sempre nella «Nuova An-tologia») una sua propria Relazione, che confutava alcuni principî difondo di quella manzoniana. Lambruschini, contrario all’adozionedel fiorentino come lingua nazionale, riteneva invece che l’italianoesistesse – «v’è una lingua italiana da conoscere, da rispettare e dastudiare, non da inventare» – e che il vero problema fosse difender-lo da corruttele e imbarbarimenti. Lambruschni, dunque, considera-va negativamente il fatto che il progettato vocabolario dovesse limi-tarsi a registrare parole di uso comune e quotidiano, ignorando la tra-

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dizione letteraria. Manzoni replicò con una Appendice alla Relazio-ne, pubblicata nel maggio 1869 a Milano presso Rechiedei, dove con-densava e ribadiva i concetti-chiave della sua meditazione linguisti-ca. In particolare, lo scrittore insisteva sul fatto che la norma fonda-mentale per un vocabolario non poteva che essere l’uso vivo e parla-to, e che il vocabolario avrebbe dovuto rivolgersi indistintamente ailetterati e alle persone del popolo.

1868 Marco Tabarrini, Rapporto generale sui lavori dell’Accademianell’anno corrente, in Adunanza solenne della R. Accademia della Cru-sca tenuta il 13 settembre del 1868, Cellini, Firenze S-LNella sua qualità di arciconsolo della Crusca, Tabarrini informa sul-l’andamento dei lavori della Quinta impressione del Vocabolario(1863-1923), evidenziando le novità di metodo rispetto alle prece-denti edizioni, e ribadisce la posizione ufficiale dell’Accademia, lon-tana da qualunque disputa linguistica perché convinta di avere già ri-solto la questione nei fatti, attraverso la creazione stessa del Voca-bolario. Sul tema del ruolo del vocabolario, Tabarrini ribadisce chela Crusca è stata concepita come una biblioteca della lingua – capacedi fornire regole per le voci e i modi registrati – e non come una se-lezione al di fuori della quale ogni forma s’intenda disapprovata. Inevidente contrapposizione alla tesi manzoniana, Tabarrini dichiarainfine che un vocabolario deve essere «scorta sicura a bene usare lalingua, non ad insegnarla a chi non la sa».

1868 Niccolò Tommaseo, Intorno all’unità della lingua italiana. Di-scorso, in Adunanza solenne della R. Accademia della Crusca tenuta il13 settembre del 1868, Cellini, Firenze S-LDiscorso sulla lingua pronunciato a un’adunanza solenne dell’Acca-demia della Crusca, a pochi mesi della Relazione di Manzoni, alla qua-le Tommaseo fa indiretto ma continuo riferimento. Respinta l’ideache la lingua italiana non esista – «la disposizione dei più a bene in-tendersi è, ancora meglio che necessità prudentemente avvertita, fat-to irrecusabilmente avverato» –, Tommaseo insiste sul fatto che laquantità di termini e locuzioni condivise tra il fiorentino e gli altridialetti italiani è tale da garantire ampia possibilità di comunicazio-ne in tutto il paese. Un’unità linguistica più profonda potrà realiz-zarsi solo col tempo, non per azione di un dizionario, ma attraversola condivisione sociale e civile: «non fu il Dizionario che fece ai Fran-cesi l’unità della lingua; fu la lingua formata che rendette possibileun dizionario». Poiché il settore del lessico meno ampiamente con-diviso è quello legato alla vita materiale, Tommaseo auspica invecela creazione di una serie di dizionari dei principali dialetti dedicatialle voci di uso quotidiano.

1868 Pietro Fanfani, La lingua italiana c’è stata, c’è, e si muove, Ma-rabini, Faenza S-LOpuscolo che reagisce alla Relazione di Manzoni con una appassio-nata difesa della tradizione letteraria italiana, che assicura alla linguala sua grandezza. Il concetto di fondo, ripreso quindi da Fanfani insedi diverse, si compendia nell’affermazione dell’esistenza della lin-gua italiana: «per carità non si faccia all’Italia la vergogna di dire chela lingua fin’ora non c’è stata, e che per opera della Commissione cisarà e si muoverà; ché la lingua italiana, benedetto Dio, c’è stata, c’è,e si muove».

1869 Gino Capponi, Fatti relativi alla storia della nostra lingua, in«Nuova Antologia» (Firenze), agosto S-LTesto concepito in dialogo con la Relazione manzoniana pubblicatal’anno precedente e organizzato secondo una prospettiva storica. Ri-percorrendo le vicende secolari dell’italiano, piuttosto che negare l’e-

sistenza di una lingua comune Capponi ne avverte la frammentazio-ne in generi e registri. Si sofferma dunque sulla distinzione fra poe-sia (titolare di un linguaggio uniforme e immutato nel corso dei se-coli) e prosa letteraria, storicamente congelata nell’imitazione degliantichi: «fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si cre-desse dovere attingere dal trecento». Da ciò discende il divario fraparola e scrittura, l’una consegnata all’evolversi dei tempi, l’altra con-finata nei circoli letterari. Mentre è solo dall’interazione fra scrittoe parlato, fra lingua del popolo e lingua degli scrittori che deriva, se-condo Capponi, l’ideale risultato di una lingua che non disgiunga let-teratura e vita. Quello che manca, prosegue Capponi, non è la linguain assoluto ma, tra le varietà linguistiche, una lingua per la piana co-municazione in prosa. E questo accade perché, a partire dal Cinque-cento, si è accresciuto il divario fra lingua e scrittura, e la scrittura siè fatta dominio dei letterati – «vennero fuori i letterati, sparve il cit-tadino». Manca insomma la lingua del «cittadino»: ed è questa, in-fine, la lingua di cui si serve un romanziere e di cui Manzoni per pri-mo aveva avvertito la drammatica assenza. Ma, a differenza di Man-zoni, Capponi è attento a non identificare la lingua del cittadino conla lingua tout court.

1870-97 Novo vocabolario della lingua italiana ordinato dal Mini-stero della Pubblica Istruzione, compilato sotto la presidenza delcomm. Emilio Broglio dai Signori Bianciardi S., Dazzi P., FanfaniP., Gelli A., Giorgini G. B., Gotti A., Meini G., Ricci M., Cellini,Firenze LMassimo esempio del filone tardo-ottocentesco dei dizionari della lin-gua d’uso, concepito secondo le idee esposte da Manzoni nella rela-zione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868) e confor-me alle sue posizioni in materia lessicografica. I lavori prendono av-vio nel 1868, quando il ministro della Pubblica Istruzione Emilio Bro-glio istituisce una giunta incaricata della compilazione del vocabola-rio. Ne assume la presidenza e affida la vicepresidenza al versilieseGiovan Battista Giorgini, genero di Manzoni e portavoce delle sueposizioni, e recluta un gruppo di studiosi, tra i quali Pietro Fanfani(dimissionario entro breve), Giuseppe Meini, Agenore Gelli. Il No-vo vocabolario, sulla scia delle riflessioni manzoniane, stabilisce cheil compito di conservare il tesoro storico della lingua appartiene alVocabolario della Crusca. Ciò concesso, individua invece il proprioscopo nella raccolta di voci e modi dell’uso fiorentino coevo, desti-nata al pubblico colto e non agli studiosi: i vocabolari dell’uso devo-no andare in mano alla gente, per propagare la buona lingua, laddo-ve gli altri sono riservati ai dotti, che se ne servono per i loro studi.Dunque, il vocabolario accoglie pochissimi arcaismi (scelti tra quelliancora utilizzabili nel linguaggio letterario dell’epoca); seleziona, trale voci di ambito scientifico e tecnico, «quelle adoperate da tutti»; siconcentra sui vocaboli necessari al parlare e allo scrivere quotidiani(«un vocabolario dove si trovi l’uso, e niente altro che l’uso»), cor-redati da puntuali indicazioni di registro e accompagnati non da esem-pi d’autore, ma da un’ampia fraseologia attinta al parlato. La dire-zione fiorentina è marcata nelle scelte lessicali e nelle espressioni idio-matiche che accompagnano le parole, ma non appare significativa inambito fonetico (per esempio, le forme non dittongate, come l’ag-gettivo Novo del titolo, si riducono a una dozzina) e nemmeno perl’aspetto grammaticale. Le posizioni teoriche alla base del Vocabola-rio sono espresse dalla prefazione al primo volume, a firma di Gior-gini (un testo largamente elaborato su materiali manzoniani che il vec-chio scrittore mise a disposizione del genero), e da quella al terzo vo-lume, a firma di Broglio.

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1871-92 Eugenio Canevazzi e Francesco Marconi, Vocabolario diagricoltura, Cappelli, Rocca San Casciano LDizionario specialistico che raccoglie termini dell’ambito dell’agri-coltura accompagnati da esempi di scrittori. Sono frequenti le vociarcaiche, fiorentine e più genericamente toscane, di provenienza nonsolo letteraria.

1873 Graziadio Isaia Ascoli, Proemio all’«Archivio glottologico ita-liano», n. 1, Loescher, Torino S-LDatato dal suo autore «Milano, 10 settembre 1872», il testo fu con-cepito a seguito dell’uscita, nel 1870, del primo fascicolo del Novovocabolario della lingua italiana, che realizzava concretamente l’au-spicio manzoniano di un vocabolario del fiorentino vivo quale stru-mento di unificazione linguistica nazionale. L’argomentazione diAscoli prende avvio dal rilievo di una falla nella teoria linguistica diManzoni: se è vero che la lingua della tradizione letteraria italianacoincide in gran parte col fiorentino trecentesco, tale lingua non vatuttavia confusa col fiorentino moderno, diverso dall’antico perchérisultato delle trasformazioni cui, nel tempo, qualsiasi lingua va sog-getta (il Novo del titolo, citato da Ascoli in apertura del suo scritto,è appunto un esempio di tale discrepanza, visto che la riduzione deldittongo uo in o è fenomeno relativamente recente, comunque as-sente nel fiorentino dei primi secoli). La candidatura del fiorentinocoevo a lingua nazionale non può dunque poggiare, come sostenevaManzoni, sull’autorità della tradizione letteraria. Propenso a coglie-re, con strumentazione scientifica, tendenze e direzioni storiche,Ascoli sostiene che l’unità linguistica dovrebbe realizzarsi secondoun processo naturale di aggregazione attorno a modelli linguistici eculturali forti, così come è accaduto in Germania (dove, in assenzadi unità politica nazionale, il volgare tedesco ha preso forma attornoalla traduzione della Bibbia di Lutero, diffusa grazie alla Riforma pro-testante). Ascoli nega dunque efficacia, in campo linguistico, a qual-siasi imposizione normativa. La secolare questione della lingua saràrisolta solo quando l’Italia avrà rimosso le ragioni che l’hanno deter-minata, cioè la «scarsità del moto complessivo delle menti, che è a untempo effetto e causa del sapere concentrato nei pochi»; e le «esi-genze schifiltose del delicato e instabile e irrequieto sentimento del-la forma». Le teorie manzoniane corrono invece il rischio, volendocancellare la vecchia retorica, di imporne una nuova, sostituendo almodello della tradizione un ideale popolano-fiorentineggiante nonmeno falso e affettato. Per quanto riguarda il vocabolario, il Proemiorifiuta la possibilità di una sua funzione normativa, insistendo inve-ce sulla sua responsabilità di collettore e testimone della lingua: «co-sicché il vocabolario ivi risulta, come vuole la natura della cosa, benpiuttosto il sedimento che non la norma dell’attività civile e lettera-ria della parola nazionale».

1873 Francesco D’Ovidio, Lingua e dialetto, in «Rivista di filolo-gia e di istruzione classica» (Loescher, Torino), n. 1 S-LIntervento – datato dall’autore «Bologna», maggio 1873 – che ten-ta una mediazione tra le posizioni della Relazione di Manzoni e quel-le del Proemio all’«Archivio glottologico italiano» di Ascoli. D’Ovi-dio si dichiara «manzoniano arrabbiato» per un verso, riconoscendoperaltro fondatezza e solidità alle obiezioni mosse da Ascoli. Postoche, in termini di lingua, si è spesso confusa in Italia la questione sto-rica con la questione pratica, D’Ovidio dedica il suo intervento a di-stinguere tra i due ambiti e a dimostrarne la relativa indipendenzareciproca. La mancanza di una lingua italiana denunciata da Manzo-ni va ritenuta «un’esagerazione»; esiste invece un uso attuale lette-rario, nato dal consenso degli uomini di cultura. D’Ovidio riconosce

però, con Manzoni, la sostanziale fiorentinità dell’italiano letterariodella tradizione, benché questo dato storico non autorizzi a eleggereil fiorentino come lingua nazionale e tanto meno, in caso di discor-danza tra il fiorentino e l’uso invalso nella penisola, a sostituire il se-condo con il primo. Il dialetto vivo di Firenze non andrà dunque as-sunto a norma universale, specialmente quando diverga dall’uso let-terario, ma rimane tuttavia un apporto fondamentale per la lingualetteraria della nazione. Dopo la pubblicazione in rivista, il saggio fuincluso nel volume dei Saggi critici (Morano, Napoli 1878) e quindiampiamente riversato in un capitolo del maggior intervento dedica-to da D’Ovidio a Manzoni, Le correzioni ai «Promessi Sposi» e la que-stione della lingua (Morano, Napoli 1893).

1875 Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, Vocabolario italiano del-la lingua parlata, Tipografia cenniniana, Firenze LVocabolario della lingua d’uso, discendente dal Giorgini-Broglio. No-nostante alcuni dissensi teorici con il modello, espressi in sede di pre-fazione, il Rigutini-Fanfani si proclama pensato per rispondere all’e-sigenza di «vocabolari ordinati espressamente a raccogliere la sola lin-gua dell’uso parlato», e riprende le più vistose innovazioni in dire-zione della lingua comune introdotte dal Novo vocabolario (→ 1870-1897), a partire dall’eliminazione degli esempi d’autore. Di fatto,però, il Rigutini-Fanfani realizza un compromesso con la tradizione,scegliendo da un lato di reintrodurre le etimologie, dall’altro rifiu-tando molte delle voci d’uso accolte nel Giorgini-Broglio.

1877 Pietro Fanfani e Costantino Arlìa, Lessico della corrotta ita-lianità, Carrara, Milano LFortunato repertorio di barbarismi, ristampato fino ai primi anni delNovecento (a partire dalla seconda edizione, uscita – per cura del so-lo Arlìa – nel 1881, dopo la morte di Fanfani, il titolo diventa Lessi-co dell’infima e corrotta italianità). Malgrado la dichiarazione pro-grammatica – «Noi non siamo puristi» –, il dizionario è dedicato al-la raccolta di voci proscritte, fra le quali figurano i tradizionali ber-sagli del purismo: francesismi, parole di provenienza non toscana, vo-ci di ambito burocratico, latinismi.

1879 Raffaello Fornaciari, Grammatica dell’uso moderno, Sansoni,Firenze G-NOpera complementare alla Sintassi dell’uso moderno, pubblicata nel1881. La grammatica è suddivisa in quattro parti: ortografia e pro-nuncia, morfologia, formazione delle parole, metrica.

1881 Raffaello Fornaciari, Sintassi dell’uso moderno, Sansoni, Fi-renze G-NComplementare alla Grammatica dell’uso moderno, pubblicata dueanni prima, questa Sintassi è suddivisa in tre parti: uso delle parti deldiscorso, uso della proposizione, collocazione delle parole. In parti-colare, la seconda e la terza parte trattano temi mai affrontati con al-trettanta ampiezza dai grammatici precedenti. Anche l’impostazionedi fondo dei due volumi (Grammatica e Sintassi) è innovativa, so-prattutto per l’elaborazione del concetto di uso moderno su cui è im-postata la trattazione. Fornaciari colloca l’uso nella parlata del po-polo toscano, quando questa sia autorizzata dall’accordo con gli scrit-tori. Si propone in tal modo un modello di lingua che tiene conto del-la secolare tradizione dell’italiano, ma accoglie anche l’autorità deiparlanti moderni. I numerosi esempi – forniti non semplicemente perconvalidare le regole ma per giustificarne l’esistenza e renderle piùchiare – provengono tanto da scrittori italiani di tutti i secoli quan-to dalla lingua parlata. Caratteristica è infine l’attenzione ai registri,con la ricca serie di segnalazioni che attribuiscono di volta in volta

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forme e costrutti alla lingua scritta, oppure a quella orale, o ancora al«parlar familiare».

1881 Giulio Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed am-ministrativo, Le Monnier, Firenze LDizionario specialistico che raccoglie termini di ambito amministra-tivo selezionati da spogli di documenti non solo toscani. L’imposta-zione è storica, dunque non compaiono parole del linguaggio con-temporaneo, bensì le voci antiche corrispondenti.

1883 Aurelio Gotti, Vocabolario metodico della lingua italiana. Ca-sa, Paravia, Roma LRaccolta di voci, tratte da scrittori toscani e dall’uso popolare, orga-nizzate per famiglie semantiche e accompagnate dalla segnalazionedell’ambito d’uso (lingua scritta o parlata, prosa o poesia).

1883 Carlo Collodi, La grammatica di Giannettino, Paggi, FirenzeG-NGrammatica «per le scuole elementari» strutturata in forma di dia-logo, come una serie di domande poste dallo scolaro Giannettino edi risposte del suo maestro. Giannettino era il protagonista di una se-rie di libri per ragazzi firmata dall’autore di Pinocchio (che usciva inquello stesso anno, mentre il primo volume della serie, Giannettino.Libro per i ragazzi, è del 1877). La prima parte della Grammatica è de-dicata a questioni di pronuncia e ortografia, la seconda esamina leparti del discorso. L’impostazione è manzoniana, dunque orientataall’uso vivo fiorentino, ma si sconsigliano le forme plebee e spiccata-mente popolari. Nel 1885 sarebbe apparso L’abbaco di Giannettino,preceduto e seguito da varie altre operine didattiche ispirate al me-desimo personaggio.

1886 Giuseppe Rigutini, Neologismi buoni e cattivi più frequenti nel-l’uso odierno, Verdesi, Roma LFortunato repertorio di voci da evitare, selezionate secondo un mo-dello che dichiara di allontanarsi dalle posizioni puriste, ma di fat-to ne mutua l’avversione per i neologismi. Rigutini ammette tuttaviale neoformazioni che rispettano i meccanismi derivativi dell’italiano.

1887 Policarpo Petrocchi, Grammatica della lingua italiana, Treves,Milano G-NGrammatica di impostazione manzoniana, fondata sull’uso vivo diFirenze. Sono aboliti gli esempi d’autore e tutte le citazioni proven-gono dalla parlata fiorentina, con particolare attenzione al livello col-loquiale.

1887-91 Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionàrio universale della lin-gua italiana, Treves, Milano LDizionario dell’uso che propone, in relazione al problema del lessicoarcaico, una soluzione diversa da quella dei predecessori. Invece diescludere le parole uscite dall’uso, Petrocchi – riprendendo una scel-ta già nobilitata dal Glossario della Crusca – sceglie non di esclude-re, bensì di separare, le parole in disuso da quelle in uso. La divisionesi realizza a livello grafico, in modo tale che nella stessa pagina tro-veranno posto, in una fascia alta, le parole in corso, in una fascia bas-sa quelle arcaiche (ma anche termini toscani diversi dai fiorentini evoci tecnico-scientifiche). In questo modo diventa possibile una per-cezione sinottica dei due strati della lingua e, piuttosto che una con-trapposizione, un continuo interscambio fra l’uno e l’altro: sono in-fatti frequenti i lemmi comuni alle due fasce, per i quali il discrimi-ne tra uso e disuso è costituito dalla singola accezione, dalla situa-zione di impiego o dalle varianti morfologiche. Un altro elemento dinovità, destinato a rimanere senza seguito, è l’adozione di un siste-

ma grafico volto a facilitare la corretta pronuncia, con indicazionedell’accento su ogni parola che non sia piana.

1889 Alberto Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, Voghe-ra, Roma LDizionario specialistico che raccoglie termini di contesto marino emilitare provenienti in gran parte da testi antichi o dal Vocabolariodella Crusca. Abbondano anche le parole non immediatamente lega-te agli ambiti di pertinenza del vocabolario.

1894 Luigi Morandi e Giulio Cappuccini, Grammatica italiana peruso delle scuole ginnasiali tecniche e normali, Paravia, Torino G-NGrammatica di impostazione manzoniana, orientata all’uso vivo to-scano e alle caratteristiche della lingua parlata («preso come normal’uso civile fiorentino») ma ancora aperta verso la tradizione lettera-ria, al punto da affiancare agli esempi tratti dal fiorentino quotidia-no anche citazioni di autori. In qualche caso, l’opera appare ricetti-va verso forme non toscane purché di larga diffusione nazionale. Ti-pico esempio di un’applicazione non rigorosa dell’eredità manzonia-na è la posizione cauta assunta dagli autori verso il pronome lui infunzione di soggetto, ammesso solo in poche situazioni.

1897 Giosue Carducci, Mosche cocchiere, in «La vita italiana» (Ro-ma), 16 marzo S-LTesto steso nella primavera del 1896 in risposta a uno scritto di UgoOjetti (Quelques littérateurs italiens, in «Revue de Paris», febbraio1896), mai esplicitamente citato ma ripreso e controbattuto pun-tualmente, a partire dall’incipit: «Dunque siamo avvertiti: letteratu-ra italiana non esiste e non può esistere…» L’allora venticinquenneOjetti, giornalista e romanziere, aveva infatti sostenuto – ripren-dendo il tema della distanza fra lingua scritta e lingua parlata – chenon poteva darsi una letteratura italiana contemporanea per man-canza di una capitale culturale e di una lingua letteraria condivisa datutti gli scrittori. Al primo articolo francese Ojetti aveva fatto seguireun secondo scritto, pubblicato proprio in «La vita italiana» (maggio1896) col titolo L’avvenire della letteratura in Italia. La replica di Car-ducci a Ojetti è in buona parte dedicata appunto alla «maledetta eoziosa» questione della lingua, a suo parere risolta nei fatti a metàOttocento dall’innesto di modi toscani nella tradizione classica del-la prosa, ma poi riaperta dal toscaneggiare lezioso dei mediocri imi-tatori di Manzoni. La lingua italiana, sia quella comune sia la lette-raria, esiste da sempre, argomenta Carducci, e non c’è bisogno di in-ventarne una nuova, quanto piuttosto di rinfrescarla continuamenteattingendo alla fonte viva del parlato. Ojetti risponde sulla rivista fio-rentina «Il Marzocco» (II/8, 28 marzo 1897) con l’articolo polemicoLa cenciata di Giosué Carducci. Più avanti s’inserirà nella discussioneanche Giovanni Pascoli: Letteratura italiana o italo-europea?, in «Lavita italiana», 1º maggio.

1905 Alfredo Panzini, Dizionario moderno: supplemento ai diziona-ri italiani, Hoepli, Milano LFortunato dizionario che totalizzerà, tra il 1905 e il 1935, ben setteedizioni, cui si agigungono, postume, una ottava edizione (1942), cor-redata da un’Appendice «di ottomila voci» compilata dallo storicodella lingua Bruno Migliorini; e una nona edizione (1950) accompa-gnata da un Proemio del linguista Alfredo Schiaffini. Nato come «unacollezione di anomalie e di brutture» selezionate con atteggiamentodi riprovazione purista, il Dizionario moderno di Panzini, ai suoi tem-pi romanziere di grande successo, andò trasformandosi nel corso dellavoro preparatorio – e quindi di edizione in edizione – in una vastissi-ma raccolta di parole nuove, vagliate sulla base della curiosità e del

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piacere di scoperte sempre diverse. Abbandonata via via ogni formadi censura, Panzini si assunse dunque il compito di registrare, data-re e spiegare vocaboli (spesso non immediatamente comprensibili) ap-partenenti di fatto all’uso, ma che gli altri dizionari evitavano di ac-cogliere. Si realizzava in questo modo un passaggio da una raccoltafinalizzata alla riprovazione a un repertorio finalizzato alla testimo-nianza: «io tutte accolsi queste parole con benevolenza, non comepurista ma come filosofo».

1909-12 Palmiro Premoli, Vocabolario nomenclatore illustrato, Ma-nuzio, Milano L

Opera che rappresenta, per concezione e per l’interesse dei suoi ri-sultati, un punto d’arrivo nel secolare percorso dei repertori metodi-ci. Il Vocabolario nomenclatore non ordina i lemmi per aree temati-che bensì in sequenza alfabetica, proponendo però parole e locuzio-ni che si trovino in rapporto di affinità tematica o di analogia a se-guito di ciascun termine registrato. Si forniscono inoltre con ampiezzalocuzioni ed esempi che collegano la parola ai suoi contesti d’uso. Laselezione lessicale non è limitata a termini del lessico materiale e do-mestico, ma si apre all’intero patrimonio dell’italiano. Sono accoltinumerosi neologismi, parole straniere e (nonostante il dichiarato fi-lotoscanismo dell’autore) parole di provenienza regionale.

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