le traduzioni italiane moderne delle bucoliche, "maia" 66, 2014, pp. 588-612

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MAIA ISSN 0025-0538 RIVISTA DI LETTERATURE CLASSICHE già diretta da FRANCESCO DELLA CORTE e ANTONIO LA PENNA (1965-1991) ANTONIO LA PENNA e FERRUCCIO BERTINI (1992-2006) FERRUCCIO BERTINI e GUIDO PADUANO (2007-2011) GUIDO PADUANO ed ELENA ZAFFAGNO (2012) nuova serie / anno LXVI / fascicolo III Settembre-Dicembre 2014 Quadrimestrale CAPPELLI EDITORE

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MAIA ISSN 0025-0538

RIVISTA DI LETTERATURE CLASSICHE

già diretta daFRANCESCO DELLA CORTE e ANTONIO LA PENNA (1965-1991)ANTONIO LA PENNA e FERRUCCIO BERTINI (1992-2006)FERRUCCIO BERTINI e GUIDO PADUANO (2007-2011)GUIDO PADUANO ed ELENA ZAFFAGNO (2012)

nuova serie / anno LXVI / fascicolo III Settembre-Dicembre 2014

Quadrimestrale

CAPPELLI EDITORE

MAIA Rivista di letterature classiche diretta da GUIDO PADUANO, ALESSANDRO SCHIESARO ed ELENA ZAFFAGNO––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

nuova serie / anno LXVI / fascicolo III Settembre-Dicembre 2014 ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Lucia Faedo Un filologo al servizio dell’arte. Ricordo di Roberto Guerrini 451Michael Paschalis Roman “Paradises”. At the Service of the Empire 457

Miscellanea Eva Anagnostou-Laoutides Zeus at Olympia and Political Ideals in Ancient Greece 478Vasileios Liotsakis Notes on Herodotus’ Sesostris (Hdt. II 102-110) 500Nina Almazova ARMATEIOS NOMOS 518Andrea Cucchiarelli Pulcherrima Roma. Fasi compositive e struttura nelle Georgiche di Virgilio 539Paola Gagliardi Le traduzioni italiane moderne delle Bucoliche 588Tommaso Ricchieri Colchi a Tomi. Ovidio trist. III 9, 11-12 613Giuseppe Pipitone Le “fragili” architetture di Troia nelle Troades senecane. Tra metafora e metateatro 619

Recensioni Stefano Poletti rec. a Beatrice Larosa (a cura di), P. Ovidii Nasonis Epistula ex Ponto III 1. Testo, traduzione e commento, de Gruyter, Berlin-Boston 2013 641

Schede Aviano, Bellum civile, Byblos lainee, Carmina medicalia, Persona ficta, poésie astrologique, Virgilio 646

Indice dell’annata 2014 667

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Redazione: Via Balbi 4, p. III, 16126 Genova

Maia 66 (3/2014) 588-612

LE TRADUZIONI ITALIANE MODERNE DELLE BUCOLICHE

Paola Gagliardi

1. Nell’idea stessa di traduzione – si sa – è insito il rischio costante del frainten-dimento, dell’arbitrio, dell’infedeltà, che aumenta in misura della distanza tempora-le e culturale dal testo di partenza: è questo che rende più problematico il rapporto con le opere antiche rispetto alle moderne. Se si tratta poi di poesia, alla difficoltà della resa testuale e – per quel che si può – stilistica, comune a tutti i testi letterari, si aggiunge quella metrica e “musicale” di riprodurre le sonorità e gli effetti voluti dall’autore. Il che innesca un meccanismo pericoloso, perché se è vero – come sosteneva Leopardi1 – che «senza esser poeta non si può tradurre un vero poeta», e che – come affermava Valéry2 – «opere di poesia ridotte in prosa, ossia alla loro sostanza significati va [...] sono preparati anatomici, uccelli morti», è pur vero che il tentativo di fare poesia sulla poesia che si traduce può risolversi nel fare versi propri che riecheggiano le sonorità, la musica dell’originale, ma non lo traducono. E più si è veri poeti, più questo rischio è alto, anche se la natura poetica dell’opera da tra-durre rende difficile ignorare le esigenze ritmiche e musicali nella lingua d’arrivo.

Basterebbero queste considerazioni a rendere evidenti i problemi dinanzi ai qua-li si trova qualsiasi traduttore delle Bucoliche virgiliane, capolavoro della poesia antica, creazione di uno dei poeti più musicali di tutti i tempi. Ma ci sono altri ele-menti che, a dispetto dell’apparente, fluida semplicità dell’espressione, fanno della raccolta virgiliana uno dei testi forse più ardui per qualsiasi traduttore. In primo luogo, la musicalità che pervade le ecloghe non è (o non è solo) quella peculiarità straordinaria del verso virgiliano, che trasforma la parola in canto: nel liber buco-lico l’effetto “musicale” è accuratamente ricercato, sia per imitare il modello teo-criteo (si pensi alle sonorità iniziali di buc. 1, che riproducono l’aJduv dell’incipit di Theocr. 1, il fruscio degli alberi, il mormorio dell’acqua e il suono della zampogna), sia per accompagnare la rappresentazione dei pastori, del loro mondo e del loro canto con l’impressione della loro musica. Sono effetti che nascono dalla succes-sione delle sillabe, dalla disposizione delle parole e che inevitabilmente si perdono in qualsiasi traduzione. In secondo luogo, il traduttore italiano deve necessariamen-te tener conto della lunga tradizione di poesia bucolica sviluppatasi lungo secoli nella letteratura italiana, infedele certamente allo spirito e alla visione di Virgilio,

1 G. Leopardi, Preambolo alla traduzione del libro secondo dell’ Eneide, in F. D’Intino (ed.), Poeti greci e latini, Roma-Salerno 1999, pp. 321-322.

2 P. Valéry, Variazioni sulle Bucoliche, in Virgilio, Bucolica. Traduzione francese di Paul Valéry, Les Bucoliques. Versione italiana, Le Bucoliche, a cura di C. Carena, Torino 1993, p. 134.

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ma responsabile del formarsi di un gusto e di una percezione di questo genere poe-tico difficili da ignorare. Ovviamente, poi, le traduzioni di un poeta risentono del gusto dell’epoca in cui nascono, e importanti sono infatti gli influssi delle correnti contemporanee sui traduttori: nel Novecento dapprima ha pesato la tradizione car-ducciana, poi l’Ermetismo ha contribuito non poco a liberare le traduzioni degli autori antichi dalle pastoie di un classicismo talora esasperato o fuori luogo. Non trascurabile, infine, è il peso dei condizionamenti politici nella percezione e nella valutazione di un autore, che nel caso di Virgilio, il classico dei classici, ha defor-mato spesso l’immagine del poeta e la comprensione della sua opera: da una vene-razione quasi paralizzante, che in epoca fascista induceva a tradurre anche i passi più piani e colloquiali con un’enfasi classicheggiante talora fastidiosa, si è giunti a un approccio più pacato e a una tendenza a traduzioni più sciolte (a volte anche troppo). Seguire questo cammino, sia pure rapidamente, dagli anni del fascismo ai nostri diventa così anche un’interessante occasione di ripercorrere la storia delle idee e del gusto, ma anche dell’educazione e – più ampiamente – della cultura in Italia in un secolo di grande travaglio storico.

2. L’appropriazione di Virgilio da parte del fascismo come cantore della glo-ria rinnovata della Roma augustea, resuscitata dal regime e incarnata in Mussolini “uomo della Provvidenza”, è un’operazione culturale fin troppo nota: la figura del poeta che fa sue e trasmette idee e direttive di grande peso politico diviene un co-modo e illustre paradigma del ruolo pensato per gli intellettuali entro il regime. Non solo: molti dei temi e dei valori esaltati nell’opera virgiliana vengono fatti coinci-dere, grazie a un recupero spesso distorto, con quelli propagandati dal fascismo (si pensi al tema della campagna, con la sua rilevanza etica, o all’imperialismo). Ciò spiega il risalto con cui il bimillenario della nascita del poeta viene celebrato nel 1930, in un’epoca in cui il fascismo vive uno dei suoi momenti migliori in termini di consensi all’interno e all’esterno dell’Italia. In questa visione dell’opera virgiliana e in quest’appropriazione della figura del poeta le Bucoliche restano un po’ ai margi-ni: l’epoca della composizione, infatti, precedente al coinvolgimento nel circolo di Mecenate e all’impegno «politico», e i temi poco utili alle finalità propagandistiche (la visione non utilitaristica della campagna, la poesia e il suo rapporto con il reale) ne fanno la meno considerata tra le opere di Virgilio, se non la più imbarazzante per certi temi (l’amore omosessuale in buc. 2, ad esempio) o per certe atmosfere langui-de e dolenti. Ma poiché, appartenendo al Poeta, non può essere ignorata, anche per via di una tradizione scolastica che ne prevedeva lo studio liceale, se ne recuperano e valorizzano gli aspetti meno scabrosi e si pone l’accento sull’idealizzazione della vita rustica, sul mondo di sogno dell’Arcadia, sulla semplicità dei pastori.

Non mancano i tentativi di inserire più profondamente anche le Bucoliche nella retorica del regime, come nell’introduzione a un’edizione dedicata «ai camerati del Dopolavoro», in cui l’esaltazione dei pregi dell’opera finisce per essere quella del Duce3, o nella dedica di un’antologia dalle Bucoliche e dalle Georgiche: «al Duce

3 Cfr. Le Ecloghe di Virgilio, (tradotte da) Mevio Gabellini, Como s.d. (ma dopo il 1930).

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che ama la campagna e la poesia / un Italiano d’oggi / offre il canto / d’un Italiano antico»4 (ma come si vede qui le ecloghe sono accostate alle Georgiche, che meglio giustificano il tenore della dedica). In generale però del libro bucolico virgiliano si propongono traduzioni che difficilmente riescono a coniugare l’intento divulgativo con la lingua pesante o antiquata nella pretesa di apparire classica. Anche la scelta prevalente del verso, che talora è l’endecasillabo, talaltra l’esametro, contribuisce a rendere di solito dure e faticose le versioni italiane e determina libertà a volte eccessive rispetto all’originale.

3. Tra le traduzioni delle Bucoliche del periodo fascista la più rinomata e duratura è quella di Giuseppe Albini5, in endecasillabi, sostanzialmente aderente al testo e di livello omogeneo, anche se qua e là impastoiata dal vincolo del verso (che costrin-ge, ad esempio, a troppi enjambement: cfr. buc. 5, 38: «per la vïola delicata, per il / porporino narciso»; buc. 7, 12-13: «orla il Mincio sue verdi rive, e da la / sacra querce è susurro d’alveari») o da latinismi pesanti in italiano (buc. 1, 5: «al bosco insegni / de la bella Amarillide echeggiare»; buc. 1, 16-17: «ricordo questo danno a noi sovente / [...] / querci (sic!) tocche dal fulmine predire»; buc. 2, 15: «Non era meglio [...] patir Menalca?»; buc. 2, 27: «gareggerei, te giudice, con Dafni»; buc. 3, 4: «e teme non a lui me preferisca»; buc. 4, 11: «Te, Pollïone, te console, questo / entrerà splendor d’evo», e a v. 13: «te duce»; buc. 4, 58-59: «Lo stesso Pan se, giu-dice l’Arcadia, / con me lottasse, giudice l’Arcadia»; buc. 5, 85: «Te prima noi rega-lerem di questa / sampogna»; buc. 8, 24: «Pan che primo / non patì muti i calami»; buc. 8, 35: «e ti credi non si dar pensiero / di nostre cose nessun Dio»; buc. 10, 6: «gli affannosi diciam di Gallo amori»; buc. 10, 70: «Tanto il vostro poeta aver cantato / basti»). La ricerca di un tono classicheggiante conduce talora alla scelta di arcaismi nelle parole (buc. 1, 39: «verzure»; buc. 1, 49: «le grevi pregnanti»; buc. 2, 54: «corrò»; buc. 3, 93: «acquattasi»; buc. 3, 99: «ùveri»; buc. 4, 41: «omai sciorrà»; buc. 8, 87: «ne l’ulva verde accàsciasi») e nei costrutti (buc. 1, 36: «Io non sapea [...] / [...] per amor di cui / pender lasciassi a’ loro alberi i frutti»), di contro a colloquialismi inattesi (buc. 2, 13: «le piantate» = arbusta; buc. 4, 25: «assirio amomo / farà dovunque» = Assyrium vulgo nascetur amomum; buc. 5, 37: «Ne’ sol-chi a cui fidammo elette spighe / fa il triste loglio»), a coniazioni inconsuete (buc. 2, 3: «tra densi faggi, / ombranti cime»; buc. 2, 71: «frascoso olmo»; buc. 3, 56: «ora ogni pianta è in parto»; buc. 6, 66: «assorse»; buc. 6, 73: «vàntisi»; buc. 7, 64: «il febeo lauro»; buc. 9, 12: «l’armi marzie»; buc. 10, 4: «a te scorrente sotto i flutti»), o a contorsioni della frase (buc. 1, 39: «e queste / richiamavano te verzure intorno»; buc. 2, 35: «proprio cotesto / per imparar, Aminta che non fece?»; buc. 3, 88-89: «Chi t’ama, Pollïon, venga ove gode / venuto te»; buc. 4, 23: «essa ti fiorirà gaia la culla» = ipsa tibi blandos fundent cunabula flores; buc. 5, 29-30: «Per primo / esso le armenie tigri imprese Dafni / a stringere in pariglia»; buc. 5, 77: «timo le

4 Si tratta di Virgilio, La poesia dei campi, scelta dalle Bucoliche e dalle Georgiche e tradotta in versi italiani da Paolo Nicosia, Comiso 1938.

5 Virgilio, Le Bucoliche. Testo latino e traduzione in versi italiani di Giuseppe Albini, Bologna 1926, ristampata nel 1943.

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api e rugiada le cicale / si ciberanno»; buc. 8, 85-87: «Tale amor Dafni qual quando per selve / cercando e cupe macchie il suo giovenco / stanca la vaccherella a un rivo d’acqua / ne l’ulva verde accasciasi»; buc. 10, 2: «al mio Gallo pochi versi / si hanno a dir, ma cui legga essa Licori»; buc. 10, 14-15: «lui sotto solinga rupe / il pinifero Menalo giacente / e i freddi sassi pianser del Liceo»). La fedeltà al testo latino sacrifica a tratti l’espressione italiana (buc. 1, 30: «dal tempo che Amarilli me governa / e Galatea lasciò»; buc. 1, 35: «la man grave di rame»; buc. 1, 83: «e l’ombre / dagli alti monti calano maggiori»; buc. 2, 67: «ed il sole / le crescenti par-tendo ombre raddoppia»; buc. 4, 11: «questo / entrerà splendor d’evo»; buc. 4, 38: «né merci muterà nuotante pino»; buc. 5, 37: «il triste loglio» = infelix lolium; buc. 5, 47: «[Tale il tuo canto a noi, divin poeta] qual tra l’arsura spengere la sete»; buc. 6, 84-85: «egli canta; / ne mandano le valli eco alle stelle: / fin che Vespero impose»; buc. 10, 52: «Son fermo / voler piuttosto in selve tra spelonche / patir di fiere»). Sostanzialmente corretta, la traduzione presenta raramente errori o frain-tendimenti, come a buc. 6, 46 («Pasìfäe consola / con l’amore del nivëo torello») o a buc. 9, 1 («Per dove, o Meri, i passi tuoi?» = Quo te, Moeri, pedes?), o, a buc. 10, 21, il poco persuasivo «Onde cotesto amore in te?» = Unde amor iste – rogant – tibi? Non mancano pagine gradevoli per vivacità, come il battibecco di buc. 3, 1-20, o per intensità di espressione, come buc. 8, 41 («e ti vidi e fui preso e mi scon-volse / malaugurata frenesia»), ma nel complesso il lavoro risente della temperie di gusto da cui nasce e degli inevitabili condizionamenti di una resa classicheggiante che rischia di tradire il testo virgiliano.

4. Della stessa epoca (1927) è la versione delle Bucoliche di Giuseppe Lippa-rini nella Collezione Romana diretta da Ettore Romagnoli6, più sciolta di quel-la dell’Albini grazie alla scelta della «prosa poetica», giustificata come «il giusto mezzo» per conciliare la fedeltà testuale con un’espressione artisticamente valida ed evitare le eccessive libertà, che della traduzione rischiano di fare una parafrasi, o un’aderenza al testo così stretta da risultare oscura: di fatto l’andamento dattilico sacrifica talvolta la linearità del testo (buc. 1, 26: «E che grande ragione a Roma veder ti condusse?») o determina discutibili inversioni (buc. 1, 33: «per quanto dai miei chiusi uscissero vittime molte»; buc. 2, 1: «ardea Coridone pastore»; buc. 8, 1: «La musa di Damone e di Alfesibeo pastori»). Costruzioni involute e traballanti nella forma si devono in realtà anche alla ricerca di aulicità, come a buc. 8, 1-5 («La musa di Damone e Alfesibeo pastori, cui dimentica dell’erbe mirò gareggiar la gio-venca, del cui canto restaron stupefatte le linci, e i fiumi, mutato il lor corso, davan-ti a loro ristettero: canteremo dunque la musa di Damone e Alfesibeo») o a buc. 8, 17-20 («mentr’io mi lagno, deluso da troppo amore per Nisa già mia, e, benché nul-la giovasse averli avuti testimoni dei suoi giuramenti, morendo, nell’ora estrema, invoco tuttavia gli dei»), e gli arcaismi dei termini (buc. 1, 20: «sogliamo»; buc. 2, 34: «labbruzzi»; buc. 2, 48: «fiore aulente»; buc. 2, 61: «costrusse»; buc. 3, 96: «ritraggi»; buc. 8, 37: «il mio verziere»; buc. 10, 9: «quali selvette»; buc. 10, 14:

6 Virgilii Bucolica et Georgica. Versione di Giuseppe Lipparini, Milano 1927.

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«roccia solinga»; buc. 10, 66: «verno sitonio») e delle espressioni (buc. 1, 18: «dim-mi cotesto tuo Iddio qual sia»; buc. 1, 49: «pecore dogliose pel parto») cozzano con i colloquialismi (buc. 3, 83: «le pecore grosse»; buc. 10, 59: «e mi godo a lanciare i dardi di Cidone»). A volte la fedeltà cieca al testo latino inficia la resa italiana (buc. 1, 35: «la destra grave di denaro»; buc. 1, 79: «Tuttavia tu potevi qui con me riposar questa notte»; buc. 2, 67: «il sol che si parte raddoppia più lunghe le ombre»); altre volte la traduzione si fa arbitraria (buc. 3, 88: «Chi ti ama, Pollione, possa raggiun-ger l’altezza dove gli è dolce vederti»; buc. 8, 32: «hai un marito che ti vale»; buc. 10, 23: «tra le nevi e gli accampamenti nei geli») o scorretta (buc. 3, 85: «Muse, per questo vostro lettore pascetegli una vitella»; buc. 4, 62: «chi non sorrise alla ma-dre», ma il testo latino a fronte è cui non risere parentes; buc. 7, 44: «tornate, se no è vergogna, tornate a la stalla, o giovenchi»; buc. 10, 21: «Dove cotesto amore ti ha preso?»; buc. 10, 43: «oh qui, con te, solo il tempo mi consumerebbe, che passa»). Nel complesso tuttavia la traduzione è limpida e rispettosa del latino e trova mo-menti pregevoli, quali il difficile incipit di buc. 1 («Titiro, tu riposando all’ombra di un faggio frondoso, studi su l’esile flauto una canzone silvestre») e l’altrettanto difficile finale, banco di prova per qualsiasi traduttore (buc. 1, 82-83: «E, vedi, già da lontano fumano i tetti delle capanne, e dall’alto dei monti più lunghe discendono l’ombre»), o il paesaggio meridiano di buc. 2, 12-13 («sotto il sole ardente [...] mi accompagnano il canto gli arbusti col grido delle lor rauche cicale»), o la scena del tramonto di buc. 9, 57-58 («Ed ora tutta ti tace distesa la pianura, e tutti, lo vedi?, son caduti i sussurri e gli aliti della brezza»).

5. Le traduzioni del dopoguerra segnano una fase per così dire di passaggio dall’aulica e talvolta stucchevole sostenutezza di quelle precedenti, influenzate dal-la roboante retorica fascista e dal classicismo carducciano, a un approccio più disin-volto al testo virgiliano. Due esempi degli anni ’50 potranno chiarire la situazione. La traduzione di Francesco Giancotti del 1952 è un ibrido tra prosa e versi, poiché mira a ottenere un ritmo esametrico, ma è stampata senza stichizzazione, anche se le righe sono numerate in coincidenza con i versi latini. Non sempre in realtà l’anda-mento dattilico è fluido, talora si avvertono alla lettura intoppi, iati o enjambement poco plausibili che l’assenza della divisione in versi non rende visibili all’occhio. Le necessità metriche e la fedeltà all’originale sono i criteri più rigidamente seguiti dal traduttore, che, essendo un latinista, professa al testo virgiliano la più stretta aderenza, talvolta ai limiti della traslitterazione (buc. 2, 45-46: «per te gigli in pieni cestelli ecco portan le Ninfe»; buc. 3, 9: «aeree palombe»; buc. 3, 89: «gli fluiscano mieli»; buc. 3, 99: «presseremo fra palme le poppe»; buc. 4, 32: «assillando a tentar Teti»; buc. 4, 38: «navigante pino»; buc. 4, 10: «rastri»; buc. 5, 49: «or secondo da lui tu sarai»; buc. 6, 3: «pugne»; buc. 6, 35: «il suolo prendesse [...] ad espellere Nereo»; buc. 6, 49-50: «taurini accoppiamenti»; buc. 7, 48: «palmite»; buc. 10, 22: «Licoride, l’ansia tua»; buc. 10, 25: «floride ferule»). Questa fedeltà conduce a tratti a una resa letterale impacciata in italiano (buc. 1, 57-58: «né tuttavia frattanto le rauche palombe, tuo amore, né cesserà di tubare la tortora»; buc. 1, 65: «all’Oasse che creta rapina»; buc. 1, 70-71: «Empio soldato si avrà questi campi [...], barbaro

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avrà queste messi»; buc. 1, 79: «Qui tuttavia tu potevi con me riposare»; buc. 2, 3-4: «Soltanto s’internava assiduo»; buc. 2, 15: «Non era meglio subire Menalca»; buc. 3, 56: «ora ogni albero dà creature a la luce»; buc. 3, 80: «Lutto è il lupo agli ovili»; buc. 4, 55: «Io non sarò vinto al canto»; buc. 5, 38-39: «là, dove un giorno la viola soave e il purpureo narciso, spunta ora il cardo»; buc. 5, 48: «Né a la zam-pogna soltanto: eguagli anche a la voce il maestro»; buc. 6, 6-7: «i vogliosi di dir la tua gloria»; buc. 6, 12: «il carme ch’ha in fronte il nome di Varo»; buc. 10, 72: «di ciò ammiratore farete voi Gallo»).

Altre volte il traduttore ricorre a sfumature di significato non necessarie (buc. 1, 20-21: «ove spesso meniamo giù [...] agnellini spoppati» = solemus ... depellere; buc. 6, 16: «Sol giù scorse dal capo, corone gli stavano accanto» = serta procul, tantum capiti delapsa, iacebant; buc. 8, 34: «la barba spiovuta»). Il materiale lin-guistico è spesso arcaizzante (buc. 1, 48: «il padule coi lutulenti suoi giunchi»; buc. 1, 49: «Stranie pasture»; buc. 1, 56: «per l’aure»; buc. 2, 4-5: «solingo s’ef-fondeva»; buc. 2, 8: «orezzi»; buc. 2, 11: «fortumi»; buc. 2, 22: «està»; buc. 2, 32: «primamente»; buc. 3, 84: «rusticale»; buc. 3, 100: «ervo»; buc. 4, 2: «olmaie»; buc. 4, 17: «appaciato»; buc. 5, 40: «O pastori, stellate la terra di foglie»; buc. 5, 64: «arboreti»; buc. 5, 71: «nappi»; buc. 5, 83: «fiotti»; buc. 5, 84: «dirocciano»; buc. 6, 48: «mugghi»; buc. 6, 53: «nevato»; buc. 6, 59: «uzzolito»; buc. 6, 63: «le ader-ge»; buc. 6, 81: «vòliti»; buc. 7, 8: «m’avveggo»; buc. 7, 10: «ristare»; buc. 7, 24: «sacrato»; buc. 7, 46: «ragnate»; buc. 7, 59: «verzicherà»; buc. 8, 2: «mirò tenzo-nare»; buc. 8, 40: «le fragili rame»; buc. 8, 87: «ulva»; buc. 9, 41: «albicante»; buc. 9, 43: «rabidi»; buc. 9, 49: «invaiolare»; buc. 10, 5: «commesca»; buc. 10, 67: «ali-disce»). Colpisce l’impiego anomalo di termini correnti (buc. 1, 49: «le fiacche pre-gnanti»; buc. 1, 53: «la siepe tua consueta»; buc. 5, 22: «il pietoso cadavere»; buc. 6, 28: «dure querce guizzare le chiome»; buc. 6, 33: «limpido fuoco»; buc. 6, 34: «il tenero cielo»; buc. 7, 1: «un’elce vocale»; buc. 7, 62: «Gode [...] del lauro, a lui intrinseco, Febo»; buc. 9, 46: «antiche ascensioni di stelle»). Vistosi sbalzi di tono e di stile derivano dai colloquialismi (buc. 1, 14-15: «or or figliò»; buc. 1, 16: «se non fosse stata storta la mente»; buc. 1, 21: «spoppati»; buc. 1, 35: «con la destra pesan-te di soldi»; buc. 1, 60: «e i mari [...] abbandoneran secchi i pesci»; buc. 3, 7: «Bada però, adagio con tali rinfacci a maschi»; buc. 3, 87: «sparpagli»; buc. 3, 94 «non vi inoltrate soverchio»; buc. 4, 35: «fiore d’eroi»; buc. 5, 12: «ai capretti pascenti avrà Titiro gli occhi»; buc. 7, 7: «il caprone, il capoccia del gregge»; buc. 7, 27: «a malincorpo»; buc. 7, 36: «in caso che a le figliate si rintegri il gregge»; buc. 8, 41: «come ti vidi fui morto»; buc. 9, 1: «ove drizzi i tuoi passi?»). Non mancano costru-zioni involute (buc. 1, 17: «Ricordo che fulminate le querce spesso annunziavan»; buc. 3, 35-36: «Ma, e tu stesso dovrai riconoscerle cosa di pregio molto più grande – giacché tu vuoi folleggiare – scommetto coppe di faggio»; buc. 3, 59: «Voi cante-rete alternando: alternar le Camene diletta»; buc. 4, 5: «dal suo principio rinasce la serie dei secoli grande»; buc. 4, 11: «Giusto nel tuo, Pollione, nel tuo consolato»; buc. 4, 14: «s’estinguerà dal perpetuo orrore sciogliendo le terre»; buc. 6, 4-5: «Le pecore, Titiro, grasse pascerle deve il pastore, il suo canto levarlo dimesso»; buc. 6, 45: «E Pasifase – sol che non fossero mai state mandrie, avventurata –»;

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buc. 6, 80-81: «che volo volgesse ai deserti e, prima, che ali, infelice, nei vòliti sul tetto suo»; buc. 6, 62-63: «le Fetontiadi avvolge col musco [...] e le aderge dal suolo ontani»; buc. 7, 43: «se ormai questa giornata più lunga non m’è che un pieno anno»; buc. 9, 44-45: «E che del canto che udii cantato da te nella notte limpida solo?»). Qualche volta la resa è infelice (buc. 1, 11: «Non t’ho invidia già, sì stupi-sco»; buc. 1, 49: «Stranie pasture non insidieranno le fiacche pregnanti»; buc. 1, 56: «lo sfrondatore effonderà canti»; buc. 1, 82: «spandono fumo»; buc. 3, 22: «il capro che la zampogna mia aveva con sue melodie meritato»; buc. 4, 58-59: «Anche Pan, se, giudicando l’Arcadia, con me competesse, anche Pan, con giudicante l’Arcadia, darebbesi vinto»; buc. 6, 32-33: «cantava in qual modo si fossero conglomerati gli atomi [...], i terreni, gli aerei, i marini e in un quelli del limpido fuoco»; buc. 10, 3: «chi può versi a Gallo negare?») e certe aggiunte non sono richieste (buc. 1, 13: «Ecco, affranto, senza sostar sospingo le capre»; buc. 3, 16: «Che mai faranno i padroni, se i servi ladri osan tanto?»; buc. 3, 93: «giovani, via! Dà brividi! Un serpe è acquattato fra l’erba»; buc. 4, 47: «decreto del fato che mai non soffre crollo» = stabili fatorum numine; buc. 5, 75: «allorché renderemo a le Ninfe i ricorrenti lor voti»; buc. 6, 86: «e avanzò per il cielo insaziato di canto»; buc. 7, 53: «Sorgono vigoreggianti i ginepri»). In certi casi l’italiano appare forzato sintatticamente (buc. 4, 62-63: «a chi i genitori non ricambiarono il riso, lui né degnò della mensa un dio, né del letto una dea»; buc. 5, 5: «sia che fra l’ombre ondulanti al vibrare dei zefiri, sia che noi entriamo nell’antro»; buc. 5, 10-11: «Mopso, incomincia tu per primo, qualora conosca qualcuno che arda per Fillide o lodi d’Alcone o garriti di Codro»), ma alcune soluzioni appaiono realmente di pregio (buc. 1, 25: «quanto son soliti far tra i flessuosi viburni i cipressi»; buc. 1, 29: – scil. la libertà˗«pure si volse, e arrivò dopo scorrere lungo di tempo»; buc. 1, 83: «e dall’alte montagne più vaste discendono l’ombre»; buc. 3, 61: «è lui che dà ali ai miei canti»; buc. 3, 81: «furia di venti per gli alberi»; buc. 5, 82: «il fischio dell’Austro che s’impenna»; buc. 9, 57-58: «e ora innanzi a te posa in silenzio ogni piano e ogni respiro del vento che mormora – guarda – è caduto»).

6. La versione in esametri di Carlo Saggio del 19547 è un chiaro esempio del-l’oscillazione tra residui classicheggianti e concessioni a una lingua quotidiana. Sul piano metrico si rivela una delle traduzioni più scorrevoli e quasi mai sacrifica al ritmo la linearità dell’espressione; nelle scelte linguistiche la componente aulica è vistosamente ridotta (si segnalano «chiusi» a buc. 1, 33; «il padule» a buc. 1, 48; «anderemo» a buc. 1, 64; «ombria» a buc. 2, 8; «olezzante» a buc. 2, 48; «agni» a buc. 3, 82; «l’evo» a buc. 4, 52; «murmuri» a buc. 9, 58) e spesso il ricorso a ter-mini desueti è dettato da una fedeltà eccessiva al latino (si veda «sogliamo» a buc. 1, 20; «culmine» a buc. 1, 58; «copia di latte premuto» a buc. 1, 81; «pallenti» a buc. 2, 47; «agni» a buc. 3, 82; «le gemme turgono» a buc. 7, 48; «damme» a buc. 8, 28; «precipite» a buc. 8, 59). Numerosi invece i colloquialismi e le espressioni prosaiche (buc. 1, 10: «[scil. «ha permesso»] ch’io sull’agreste zampogna cantassi

7 Publio Virgilio Marone, Le Bucoliche e le Georgiche, tradotte da Carlo Saggio, Milano 1954.

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le cose che voglio»; buc. 1, 18: «Ma su, chi sia questo dio raccontalo, Titiro, a noi»; buc. 1, 23: «mettevo piccole cose con grandi»; buc. 1, 26: «E che ragione sì grande avesti d’andartene a Roma?»; buc. 1, 31: «finché Galatea mi teneva»; buc. 1, 33: «molta grazia di Dio»; buc. 3, 92: «fragole a terra mo’ nate»; buc. 4, 62: «cui babbo e mamma non risero»; buc. 7, 4: «fior di giovani entrambi»; buc. 7, 40: «vieni qua, se tu vuoi al tuo Coridone un po’ bene»; buc. 9, 6: «ma non gli menino buono» = quod nec vertat bene; buc. 10, 28: «Mai la finisci?» = Ecquis erit mo-dus?). In qualche punto l’accostamento dei due registri produce effetti spiazzanti (buc. 1, 33: «Se anche mi usciva dai chiusi molta grazia di Dio»; buc. 2, 10-11: «Testili frange l’aglio»; buc. 5, 82-83: «gioia così non mi porta sibilo d’Austro che sorge»). L’intento di attenersi all’originale, spesso ai limiti della trasposizione, con-duce a volte il traduttore a trascurare la fluidità della resa italiana: ciò fa perdere, ad esempio, la bellezza dell’incipit di buc. 1 («Titiro, tu riposando alla cupola vasta di un faggio») e ha per effetto inversioni (buc. 1, 49: «Non insoliti prati le gravide madri attrarranno»; buc. 2, 27: «Non io temo, te giudice, Dafni»; buc. 2, 40: «in una valle / male sicura»; buc. 4, 47: «dissero unite le Parche nel volere dei fati»), co-struzioni involute (buc. 1, 7-8: «e l’altare di lui / spesso un mio tenero agnello a lui bagnerà del suo sangue»; buc. 1, 9: «lui le mie vacche ha permesso che andassero in giro»; buc. 4, 15-16: «Vita avrà degli dei, vedrà mescolati con essi / lui gli eroi, e da loro sarà veduto egli stesso»; buc. 4, 45: «i pascolanti agnelli da sé vestirà lo scarlatto»; buc. 4, 58-59: «Anche Pane se meco, giudice Arcadia gareggi, / anche Pane sé vinto, giudice Arcadia, direbbe»; buc. 5, 5: «o ce n’andiamo fra l’ombre, scuotendole i zefiri, incerte») o poco scorrevoli (buc. 1, 71: «L’empio soldato in sue mani terrà così belle campagne? Queste messi un feroce?»; buc. 1, 77: «né al pascolo s’io vi conduca» = non me pascente; buc. 2, 26: «quando placido il mare giaceva nei venti»; buc. 3, 83: «salice lento»; buc. 3, 97: «quando sarà il momento, le lavo io stesso alla fonte»; buc. 6, 3: «Cantavo i re, le battaglie, e Cinzio mi tira l’orecchio»; buc. 9, 1: «Dove, Meri, tu vai? Forse in città, con la strada?»).

Vanno rilevate anche omissioni ed ellissi, normali in latino, ma talvolta oscure in italiano (buc. 3, 20: «“Titiro, aduna le bestie!”. Ma tu dietro i giunchi appiattato»; buc. 4, 39: «le navi / non scambieranno le merci; ma tutto da tutta la terra»; buc. 6, 70: «le Muse ti danno questa sampogna, / che prima al vecchio di Ascra»; buc. 8, 83: «Dafni cattivo me brucia, ed io questo alloro su Dafni»; buc. 10, 42-43: «Qui le gelide fonti, qui, Licoride, soffici prati; qui il bosco»). Allo stesso modo alcune rese letterali non sono lineari (buc. 1, 39: «O Titiro, i pini / te chiamavano e i fonti e te gli alberelli essi stessi»; buc. 2, 6: «nulla tu senti pietà?»; buc. 3, 57: «ora bellis-simo è l’anno»; buc. 4, 11: «come sia console tu»; buc. 4, 13: «come sia duce tu»; buc. 4, 32: «tentare Teti con navi»; buc. 4, 62: «Su ridi, piccolo bimbo: cui babbo e mamma non risero»; buc. 5, 46: «quale il sopore agli stanchi»; buc. 6, 41: «poi narra i sassi scagliati da Pirra»; buc. 8, 17: «Sorgi, Lucifero, e vieni, innanzi spin-gendoti il giorno»; buc. 10, 44: «ora me tiene alle armi, del duro Marte l’amore / folle»; buc. 10, 70-72: «che questo il vostro poeta abbia cantato [...] basti; voi fate sia questo gratissimo a Gallo»). Va segnalato qualche fraintendimento (buc. 3, 77: «Quando con una vitella fai sacrifizi; tu, vieni» = cum faciam vitula; buc. 6, 46: «Fa

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Pasifae godersi l’amore del niveo torello» = Pasiphaën nivei solatur amore iuven-ci), qualche arbitrio (buc. 1, 15: «e questa, o Titiro, a stento / me la trascino, che or ora [...] ha lasciato / due caprettini [...] sull’arida selce, / ahi nello sforzo contr’essa puntando le sue zampettine»), qualche libertà (buc. 2, 1: «Tanto Alessi era bello, che Coridone bruciava»), ma si gustano pure soluzioni riuscite, come il celeberrimo finale di buc. 1 («Già dai villaggi, lontano, fumano al cielo i camini, / e dalle alte montagne, più grandi scendono l’ombre») o la bella resa di umbrosa cacumina a buc. 2, 3 con «chiome che donano l’ombra», o la descrizione del tramonto nella stessa buc. 2 («Vedi, riportan sospesi gli aratri al giogo i giovenchi, / e declinando il sole duplica l’ombre allungate», vv. 66-67), o ancora la morbida immagine di buc. 9, 7-9 («dove cominciano i colli / a digradare in dolci declivii di gioghi più bassi / fino all’acqua ed ai faggi dalle cime spezzate»).

7. È degli anni ’60 la traduzione delle Bucoliche di Enzio Cetrangolo 8 (in cui in realtà sono riproposti e talora rimaneggiati saggi di traduzioni già pubblicati in un’antologia virgiliana del 19559): qui spesso la traduzione tende a farsi essa stessa poesia e l’influsso delle correnti poetiche del Novecento è al servizio della musicalità di Virgilio, spesso recuperata con una trasposizione libera, tesa a dare più il respiro autentico che la lettera del testo. La resa è in versi liberi, che non sono esametri, anche se a volte dell’esametro hanno il ritmo: il traduttore afferma (p. 2) di aver tentato di riprodurre la musica di Virgilio, seguendo nei limiti del possibile l’andamento della metrica latina e dunque snellendo gli accenti italiani dinanzi a versi in prevalenza dattilici e appesantendo l’espressione laddove in latino domi-nano gli spondei (un esempio per tutti del primo caso è buc. 1, 40-41: «Ma fare dovevo che cosa? Né lecito m’era di uscire / da servitù, né di conoscere altrove i potenti»; per il secondo si veda buc. 4, 28: «biondi i campi saranno di mobili spighe»). Il risultato è un testo scorrevole anche per la rinuncia a un linguaggio classicheggiante (poche le eccezioni, quasi sempre dovute a una resa letterale del latino: buc. 1, 33: «dai miei chiusi»; buc. 1, 44 e buc. 6, 1: «primamente»; buc. 1, 76: «balze dumose»; buc. 2, 48: «e l’aneto anche vi unisce / fiore odorato»; / buc. 4, 52: «l’evo che viene»; buc. 8, 22: «murmure»; buc. 10, 14: «lui sotto una rupe solinga giacente») e per la scelta spesso di colloquialismi che vivacizzano e sempli-ficano il dettato (buc. 1, 9-10: «Mi disse che bene i miei bovi potevano errare, / [...]; e disse pure che potevo / canti al mio piacimento comporre sul calamo»; buc. 1, 12-13: «io stesso, ecco, spingo via le mie capre, afflitto; / dove non so»; buc. 1, 16-17: «Adesso sì che ricordo le querce fulminate / quando il cielo mi annunziava la rovina»; buc. 1, 18: «Ma dimmi, Titiro: chi è mai questo dio?»; buc. 1, 49: «Le tue pecore gravide non prenderanno malanni»; buc. 2, 73: «Trovane un altro, di Alessi, se questo ti sdegna»; buc. 3, 3: «O gregge infelice, povere bestie!»; buc. 3, 14-15: «guardando quei doni al ragazzo, / t’affliggevi e quasi morivi a non farlo soffrire»; buc. 3, 25-26: «Tu l’hai vinto nel canto? Tu? E da quando possiedi / una

8 Virgilio, Tutte le opere. Versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo, con un saggio di Antonio La Penna, Firenze 1966.

9 Cfr. E. Cetrangolo, Il sonno di Palinuro. Traduzione da Virgilio, Firenze 1955.

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sampogna?»; buc. 4, 61: «dieci mesi tua madre ha penato»; buc. 6, 47: «Fanciulla infelice, che pazzia fu mai quella!»).

La semplificazione è, d’altronde, una costante di questa traduzione, che libe-randosi della difficoltà di una resa letterale, talvolta faticosa in italiano, recupera limpidezza al testo: così l’ipotassi di buc. 1, 14-15 è risolta con una costruzione paratattica di grande semplicità («poco fa due gemelli ha qui partorito fra dense / avellane; ha dovuto lasciarli sopra una pietra / nuda, ed erano la speranza del greg-ge») e a buc. 2, 65 trahit sua quemque voluptas diventa «ognuno rincorre le sue gioie». A buc. 4, 3 si canimus silvas, silvae sint consule dignae è reso con «E allora cantiamo le selve /e siano le selve degne d’un console», mentre a buc. 8, 22-23 il mutamento di soggetto è in funzione del pathos: «Sul Mènalo intesi il murmure dei boschi / sempre e la voce segreta dei pini / e dei pastori sempre i canti d’amore». La libertà della traduzione mira a effetti poetici (buc. 1, 34: «e buoni formaggi ven-devo / all’avara città; ma tornavo, poi, senza un soldo»; buc. 2, 13: «viene dai rami il canto roco delle cicale»; buc. 2, 58-59: «Folle sono e d’amore / sconvolto, come fiori esposti a scirocco, / come limpidi fonti se i cinghiali vi guazzano»; buc. 3, 59: «Direte a vicenda: nel modo che piace alle Muse»; buc. 3, 94-95: «La riva del fiu-me cede»; buc. 5, 4-6: «andiamo sotto l’ombra incerta, mossa dal vento, / se vuoi. O forse è più quieto il riparo / qui della grotta»; buc. 5, 38-39: «e dove / il narciso splendeva tra viole morbide / s’innalza il cardo e la marruca ispida»; buc. 5, 60-61: «e vagano liberi i cervi»; buc. 5, 70-71: «al fuoco d’inverno e all’ombra d’estate / nettare nuovo d’Ariusio io verserò dalle coppe»; buc. 5, 82-84: «Vorrei donarti – e forse non basta – / il sibilo del vento che ora si leva, / i lidi battuti dal mare, / la voce dei fiumi su le petraie delle valli»; buc. 6, 80-81: «Filomela [...] volò / con triste bàttito d’ali intorno ai suoi tetti / a lungo e [...] poi fuggì sui deserti»; buc. 7, 13: «e come un susurro dalle querce / sacre viene il ronzio delle api»; buc. 7, 60: «e una pioggia lunga farà lieta la terra»; buc. 8, 24: «e Pane modulava tra le canne il vento meridiano»; buc. 8, 58: «Or tutto per me sia mare profondo»; buc. 9, 51-52: «ripenso quando ragazzo cantavo / spesso ai lunghi tramonti»; buc. 9, 60-61: «Cantiamo qui tra questi alberi, o Meri, / dove più folte sono ai potatori le fronde»; buc. 10, 47-48: «tu senza di me, tu sola, vai per le nevi dell’Alpi»).

A volte la trasposizione di un aggettivo dà risonanze profonde (a buc. 1, 1 l’attri-buzione di «larghi» ai rami e non al faggio amplifica la risonanza dell’epiteto, posto in ulteriore rilievo dall’enjambement: «Titiro, sicuro tu giaci qui sotto i rami / larghi del faggio»; buc. 2, 51: «Cotogne io coglierò di sottile bianca lanugine»); in altri casi le aggiunte rafforzano l’effetto (buc. 2, 4-5: «spargeva senz’arte / ai monti e alle selve parole nascenti / dall’ardore suo vano»; buc. 2, 26: «quando giaceva / senza vento il mare tranquillo»; buc. 8, 18: «mentre lamento, ingannato, l’amore di Nisa / indegna»; buc. 9, 64: «Sarà più lieve, così nell’ombra, la via» = minus via laedet) o fanno da commento alla traduzione (ad buc. 1, 11 l’inserzione «Sei così calmo» in-tensifica il contrasto tra la serenità di Titiro e lo sconvolgimento che lo circonda: «Sei così calmo, / mentre intorno nei campi c’è tanto scompiglio»; a buc. 2, 47 «lie-ve» accresce l’atmosfera sognante: «e lieve stacca di papaveri / alti steli»; a buc. 4, 13-14 perpetua formidine è risolto con «la terra / scioglierà da paura che sembrava

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perpetua», a buc. 4, 24 fallax herba veneni diventa «l’erba che nutre veleni»; a buc. 9, 40 la visione della primavera si tinge di un lampo purpureo: «qui primavera è tornata / ed è tutta sentieri di porpora»; a buc. 10, 20 si spiega perché Menalca sia bagnato: «e viene Menalca bagnato dalle ghiande / invernali scrollate nel bosco»; a buc. 10, 41 l’amplificazione prolunga la scena di sogno: «per me / coglierebbe Filli-de fiori a intrecciare ghirlande, / Aminta i suoi canti per me canterebbe»).

Non manca qualche fraintendimento (buc. 7, 33-34: «Ogni anno, Priapo, ti basta guardare un vaso di latte»; buc. 8, 17: «Nasci, o Lucifero; reca anzi tempo il giorno benefico»; buc. 8, 63: «non tutto posso cantare»; buc. 10, 60-61: «sia questo un ri-medio / al male o diventi più mite quel Dio verso i cuori / umani»), qualche sciatteria (buc. 2, 26-27: «Non temo, / te giudice, Dafni»; buc. 4, 58-59: «Se meco gareggi anche Pane, giudice Arcadia, / si darebbe anche Pane, giudice Arcadia, per vinto»; buc. 5, 21: «testi voi delle Ninfe, alberi e fonti, / eravate»; buc. 10, 68: «nemmeno se [...] / spingiamo le pecore Etiopiche»), qualche involuzione (buc. 1, 61-63: «an-dranno èsuli prima fuor dei confini / i Parti in riva dell’Arar e i Germani del Tigri / che dal mio petto il volto di lui si cancelli»; buc. 4, 11: «questa vedremo luce del tempo»; buc. 5, 20-21: «Spento le Ninfe da morte crudele Dafni / piangevano»), qualche soluzione discutibile (buc. 4, 38: «si terrà il navigante dal mare» per cedet et ipse mari vector; buc. 6, 1-2: «A me si degnò primamente Talia di cantare / nei Siculi modi e d’abitare nei boschi»), ma nel complesso la lettura è piacevole, anche se per il lettore non è sempre facile distinguere fin dove si tratti di uno sforzo autentico di resa e dove invece il traduttore abbia sovrapposto la sua voce a quella di Virgilio.

Ancora qualche esempio basterà a ribadirlo: il finale di buc. 1 («E già dai casolari lontani fumano i tetti / e cade più scura dai monti alti la sera»), o l’altro tramonto famoso, quello di buc. 2 («Ecco, guarda: adesso i giovenchi riportano / dai campi gli aratri al giogo sospesi / e il sole al tramonto allunga le ombre», vv. 66-67), o la scioltezza di buc. 3, 56-57 («Fiorisce ogni campo, germoglia ogni pianta. La sel-va frondeggia, la stagione è bellissima») e di buc. 4, 50-51 («Guarda in suo peso convesso il mondo, le terre, / i mari, i cieli profondi oscillare di gioia»). E ancora buc. 5, 22-23 («la madre sul misero corpo / chinata dice crudeli gli Dei e le stelle»); buc. 5, 45-47 («O poeta divino, il tuo canto per noi / è come il sonno su l’erba a chi è stanco; / come d’estate da un rivo che sgorga / dolce acqua spegne la sete»); buc. 6, 35-40 («Quindi comincia il suolo a indurirsi e dall’acqua / a dividersi le cose e ad assumere lente le forme; / il mondo stupisce del sole recente che brilla, / cadon le piogge dai nembi levatisi in alto / e nascono allora le selve ed errano ai monti / ignorati i primi animali»); buc. 7, 45-48 («Fonti muscosi, erbe più molli del sonno; / un’ombra rara di foglie lontane e di rami / alti vi copre; calmate nel verde l’arsura del gregge. / Viene l’estate e gonfia le gemme sul tralcio ridente»); buc. 8, 2-5 («immemore d’erba, ferma stava la mandria / a guardare; le linci stupivano al canto / e i fiumi commossi arrestarono il corso»); buc. 8, 37-42 («Tu eri una bimba quando ti vidi nei boschi, / coglievi tu con la madre le mele / umide ancora, ch’io v’indicavo. / Avevo l’undicesimo anno allora compiuto, ma potevo / già toccare da terra i fragili rami. Ti vidi; e un male strinse il mio cuore / folle, come di morte; e ti amai.»); buc. 9, 39-43 («Tanto ti piace il gioco dell’onda marina? / Vieni, Galatea:

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qui primavera è tornata / ed è tutta sentieri di porpora; la terra tinge di fiori la ghiaia del fiume, / su la grotta pendono i rami bianchi del pioppo / e le viti flessuose in-trecciano ombre. Vieni, / lascia che sui lidi le folli onde si rompano.»); buc. 9, 57-58 («Ed ora l’ultimo soffio del vento è caduto, / guarda: il silenzio incanta la pianura»).

8. Negli anni ’70 si segnalano due traduzioni, entrambe tuttora ristampate: quel-la di Carlo Carena del 197110 e quella di Luca Canali del 1978, caratterizzate dalla ricerca di una semplicità e fluidità di espressione che giovano alla comprensione del testo latino e alla resa delle peculiarità stilistiche dell’opera. La scelta della prosa da parte di Carena è motivata in premessa con l’esigenza di precisione e fedeltà all’originale, tanto più in un’edizione con testo a fronte, e con l’intento di mantenere il più possibile la struttura, la disposizione delle parole, le caratteristiche sintattiche, le sonorità del testo latino. Tutto ciò non è possibile in una traduzione in versi, che paradossalmente rischia di sfociare in una grande durezza proprio mentre cerca di restare fedele all’originale. Tuttavia la sua traduzione, per il resto limpida e a tratti segnata da un afflato di poesia (buc. 1, 2: «ricerchi i canti del bosco»; buc. 1, 58: «e gemerà nell’aria la tortora, dall’olmo»; buc. 1, 82-83: «e di lontano già fuma-no i tetti delle cascine e più grandi scendono dagli alti monti le ombre»; buc. 4, 42: «non imparerà la menzogna dei molti colori la lana»; buc. 4, 50-52: «Guarda il sus-sulto della curva massa del mondo e le terre e gli spazi del mare e l’abisso del cielo; guarda, come si allieta ogni cosa per il secolo che viene»), rischia l’innaturalezza e l’oscurità quando tenta di mantenere in italiano la struttura della frase o la disposi-zione delle parole del latino: ciò costringe infatti il lettore a “tradurre” la traduzione italiana o a ricorrere al latino per capirla. Qualche esempio: buc. 1, 70: «Empio que-sti maggesi venerati avrà un soldato»; buc. 2, 71: «Almeno, piuttosto, qualcosa che ti occorre perché non prepari?»; buc. 3, 3-5: «Lui, mentre Neera corteggia, [...] qui un estraneo mandriano le pecore munge»; buc. 3, 98: «se il latte sottrae la calura»; buc. 4, 17: «e pacificato dalle virtù di suo padre reggerà il mondo» (= pacatumque reget patriis virtutibus orbem); buc. 5, 1-3: «Perché no, Mopso, noi bravi, poiché ci siamo ritrovati entrambi [...], non ci sediamo insieme?»; buc. 5, 6-7: «Guarda come l’antro una vite selvatica l’ha punteggiato di radi grappoli»; buc. 5, 21: «voi testimoni per le ninfe, o noccioli e ruscelli»; buc. 5, 25-26: «nessuna bestia neppure il fiume gustò»; buc. 6, 45: «e la felice, se mai non fossero stati gli armenti, Pasi-fae»; buc. 6, 64-65: «Poi canta come Gallo [...] sui monti d’Aonia trasse una delle sorelle»; buc. 7, 61-62: «Il pioppo all’Alcide è il più caro [...], alla bella il mirto, a Venere»; buc. 8, 35: «per la tua convinzione che fra gli dèi si curi delle faccende mortali nessuno»; buc. 8, 71: «freddo sui prati l’incantesimo schianta il serpente»; buc. 9, 57-58: «e tutti, guarda, i turbini mormoranti sono caduti dei soffi dell’aria»; buc. 9, 64: «continuiamo, però cantando – la strada meno affatica – il cammino»; buc. 10, 18: «anche il bell’Adone fu di pecore lungo i fiumi pastore»; buc. 10, 23: «fra le nevi un altro e fra gli orridi accampamenti ha seguito»; buc. 10, 37-38: «se per me Fillide fosse [...] la mia furiosa passione».

10 Virgilio, Opere, a cura di Carlo Carena, Torino 1971.

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Talora la sintassi italiana risulta sconvolta: buc. 3, 14: «le frecce che tu [...] al vederle donare al fanciullo gemevi»; buc. 3, 59: «A vicenda canterete: piace a vi-cenda alle Camene»; buc. 3, 72: «Oh le volte, e le cose che Galatea mi disse!»; buc. 5, 29-30: «Dafnide mostrò ad aggiogare al carro persino le tigri d’Armenia»; buc. 5, 45: «Tale i tuoi versi per noi [...], quale il sonno agli stanchi sull’erba, quale nella calura al vivo zampillo dell’acqua la sete si estingue»; buc. 7, 12: «qui verdeggian-ti, le sue rive di tenere canne orla il Mincio»; buc. 8, 52-53: «dorati, le dure, i pomi producano le querce»; buc. 8, 58: «tutto, anche mare profondo diventi»; buc. 8, 85-88: «L’amore Dafnide, come la vaccherella [...] si abbatte [...]: così lo afferri»; buc. 9, 6: «questi qui per lui [...] spingiamo innanzi, i capretti»; buc. 10, 49: «Ah, che a te le lame del ghiaccio le tenere non fendano le piante dei piedi»; buc. 10, 60-61: «quasi questo fosse un rimedio al mio furore o quel dio sappia ammansirsi». I risultati migliori il traduttore ottiene invece quando, rinunciando a un’assoluta fe-deltà, si affida a una resa più libera e nella semplificazione delle strutture sintattiche ottiene una pregevole chiarezza: si vedano, ad esempio, buc. 1, 5: «insegni all’eco silvestre il nome di Amarillide bella»; buc. 1, 11-12: «ovunque freme la campagna turbata»11; buc. 1, 55: «spesso con lieve sussurro t’inviterà a sognare»; buc. 2, 25-26: «or ora sul lido mi vidi, placato dai venti immobile il mare giaceva»; buc. 2, 51: «coglierò cotogne di candido velluto»; buc. 2, 73: «ne troverai un altro, se questo ti sdegna, di Alessi»; buc. 4, 45: «da sé lo scarlatto sui pascoli tingerà gli agnelli»; buc. 4, 61: «la madre lungamente, dieci mesi ha penato»; buc. 5, 27-28: «persino i leoni punici piansero per la tua morte, i monti selvaggi e le foreste ancora ne echeg-giano»; buc. 5, 84: «grata a me più [...] della corrente dei fiumi giù fra i sassi della valle»; buc. 6, 86: «al richiamo di Vespero, asceso a dispetto del cielo»; buc. 9, 36: «sono strepiti d’oca fra melodie di cigni»; buc. 9, 41-42: «qui un pioppo del suo candore avvolge l’antro e flessuose intessono ombre le viti»; buc. 10, 43: «qui con te mi lascerei consumare dal solo fluire del tempo».

Ci sono in questa traduzione diversi fraintendimenti del latino (buc. 1, 70: «mag-gesi venerati» = tam culta novalia; buc. 3, 65: «e vuol essere vista per prima» = et se cupit ante videri; buc. 3, 62: «E io a Febo sono diletta» = Et me Phoebus amat, detto da Menalca; buc. 5, 9: «E che non farebbe, se gareggiasse per vincere anche Febo al canto?» = Quid, si idem certet Phoebum superare canendo?; buc. 7, 19: «alterni le Muse comporli volevano»; buc. 9, 62: «giungeranno ugualmente in città» = tamen veniemus in urbem; buc. 10, 17: «Immote anche le pecore intorno, e nessuna vergogna ci prende di esse» = stant et oves circum; nostri nec paenitet illas), alcune trascuratezze (buc. 1, 30: «quando ormai io sono di Amarillide»; buc. 1, 37: «per chi penzoloni lasciavi sugli alberi i pomi»; buc. 1, 56: «canterà chi foglia al vento»; buc. 3, 32: «Del gregge non oserei mettere nulla con te»; buc. 3, 69: «ho notato io stesso il luogo nell’aria dove usano nidificare le colombe»; buc. 3, 92: «Raccoglitori di fiori e di fragole»; buc. 4, 32: «indurranno a tentare Tetide»; buc. 4, 36: «e nuovamente a Troia l’invio del grande Achille»; buc. 6, 54:

11 Una soluzione, questa, criticata da A. Traina, Un esperimento di traduzione. I vv. 1-18 della pri-ma egloga virgiliana, «Aufidus» 65-66 (2008), p. 39.

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«sotto un leccio scuro chiara rumina l’erba»; buc. 9, 17-18: «per poco insieme con te il conforto che abbiamo da te non ci fu tolto»; buc. 10, 13-14: «Di lui anche gli allori, anche piansero i tamerischi e i pini anche»; buc. 10, 35: «Ma, oh se tra voi io fossi uno»). Qualche libertà è forse di troppo (buc. 4, 23: «Da sé il suolo ove giaci effonderà morbidi fiori»), ma a volte d’effetto (buc. 5, 40: «Seminate la terra di fiori»; buc. 7, 47-48: «Già viene l’estate torrida, già gonfia sul tralcio flessuoso le gemme»; buc. 10, 67: «nei giorni in cui muore la corteccia inaridendo sugli alti olmi»), e discutibile è l’uso di certi termini (buc. 4, 22: «grandiosi leoni»; buc. 4, 35: «eroi squisiti»; buc. 5, 32-34: «Come la vite onora gli alberi [...], tu sei l’onore inte-ro dei tuoi»; buc. 5, 56: «Fulgido, la strana soglia osserva d’Olimpo»), laddove po-chissimi sono gli arcaismi (buc. 1, 8: «latteo»; buc. 1, 52: «rezzo»; buc. 6, 47 e 52: «donzella»; buc. 8, 87: «ulva»).

9. La traduzione di Luca Canali12 coniuga solitamente una fedeltà rigorosa fin nei dettagli al testo latino (buc. 1, 29-30: «mi guardò tuttavia e venne dopo lungo tempo, / da quando mi tiene Amarillide e mi lasciò Galatea»; buc. 1, 82-83: «E già lontano fumano i tetti dei casolari / e più lunghe dall’alto dei monti discendono le ombre»; buc. 7, 45-48: «Fonti muscose ed erba più dolce del sonno, / e ombra del verde corbezzolo che rada vi copre, / proteggete il bestiame dalla calura; già viene la torrida / estate, già sul flessibile tralcio si inturgidiscono le gemme»; buc. 10, 77: «Tornate sazie alle stalle, capre, Espero sorge») con una semplicità espressiva che ricorre talora a una certa libertà, giovevole per l’italiano (buc. 1, 35: «non tornavo mai a casa con danaro che mi gravasse la mano»; buc. 1, 53: «la siepe sul vicino confine di sempre»; buc. 2, 12-13: «mi accompagna dagli arbusti / sotto il sole rovente il canto delle rauche cicale»; buc. 2, 38: «Ha un degno secondo padrone»; buc. 4, 43-44: «con la porpora che rosseggia soave, con il giallo che svaria nell’o-ro»; buc. 5, 27-28: «Dafni, per la tua morte piansero persino i leoni africani, / ne parlano persino gli impervi monti e le selve»; buc. 5, 83-84: «il fluire / fragoroso dei fiumi che discendono tra le rocce delle valli»; buc. 6, 62-63: «e narra come le sorelle di Fetonte si racchiusero nel muschio / di un’amara corteccia e si eressero dal suolo dritti ontani»; buc. 6, 80-81: «e con quale / sbattere d’ali l’infelice sorvolò prima la sua casa»; buc. 6, 86: «e avanzò nel cielo che lo accolse a malincuore»; buc. 8, 85-88: «Amore prenda Dafni, qual è quello della mucca / che stanca di cercare per i boschi e per le selve profonde / il giovenco, si lascia cadere affranta presso un ruscello / sull’erba palustre e non pensa a ritrarsi dalla notte che avanza»; buc. 9, 1: «Dove ti dirigi, o Meri, per la via che porta in città?»; buc. 10, 43: «qui mi consumerei con te nel trascorrere del tempo»).

A tratti la traduzione si fa commento (buc. 7, 4: «ambedue nel fiore dell’età, esperti nelle arti di Arcadia»; buc. 8, 18: «deluso da eccessivo amore per Nisa»; buc. 10, 10: «Gallo moriva per eccesso d’amore»; buc. 10, 20: «Menalca bagnato dal cogliere ghiande d’inverno»). Poche le soluzioni infelici (buc. 2, 26-27: «non

12 Virgilio, Bucoliche, introduzione di Antonio La Penna, traduzione e note di Luca Canali, Mila-no 1978.

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temerei / il confronto con Dafni, te giudice»; buc. 2, 45-46: «le Ninfe ti recano gigli a pieni canestri»; buc. 2, 47: «il colmo / dei papaveri»; buc. 3, 15: «se non gli nuocevi comunque, ne saresti morto»; buc. 3, 85: «Muse, per questo vostro lettore, pascetegli una vitella»; buc. 4, 3: «se cantiamo le selve, siano selve da console»; buc. 4, 32: «faranno affrontare Teti»; buc. 5, 46: «quale il sonno sull’erba agli stan-chi»; buc. 6, 34: «il molle orbe»; buc. 6, 80: «volando ella fuggì nelle solitudini»; buc. 8, 30: «sposo, le noci»; buc. 8, 41: «Come ti vidi, perii»; buc. 9, 52: «da fan-ciullo spesso cantando passavo intere giornate»; buc. 10, 22: «O Gallo, perché ti stravolgi?») e le oscurità (buc. 4, 55-56: «non potranno vincermi nel canto né Orfeo di Tracia, / né Lino, sebbene l’uno assista la madre, e l’altro / il padre»; buc. 6, 73: «Canta con essa l’origine della selva grinèa e perché / non vi sia bosco di cui non si vanti di più Apollo»), pochissimi gli arcaismi (buc. 2, 61: «costrusse»; buc. 4, 21: «uberi»). Ci sono però dei fraintendimenti (buc. 3, 36: «voglio folleggiare con te» = insanire libet quoniam tibi; buc. 8, 4: «e mutato il corso dei fiumi si immobilizzò davanti a loro» = et mutata suos requierunt flumina cursus; buc. 8, 55-56: «e Titiro sia un Orfeo, / e Orfeo sia nelle selve»; buc. 8, 83: «brucio quest’albero di Dafni» = ego (scil. uro) in Dafnide laurum) e alcune scelte inspiegabili, frutto forse di errori di stampa, non corretti però nelle edizioni successive (buc. 6, 57: «si offrano in qualche luogo ai vostri archi» = si qua forte ferant oculis sese [...] nostris; buc. 6, 77: «coi carri marini» = canibus ... marinis). In generale tuttavia il testo italiano scorre lineare, come illustra bene qualche esempio: buc. 1, 53-55: «la siepe [...] / delibata dalle api iblee nel fiore del salice, / spesso con lieve sussurro ti concilierà il sonno»; buc. 2, 65: «ognuno è tratto / dal suo desiderio»; buc. 3, 92-93: «Voi che cogliete i fiori e le fragole che nascono sul suolo, / fuggite, o ragazzi, il freddo serpente si nasconde tra l’erba»; buc. 4, 40-41: «Il suolo non patirà rastrelli, né la vigna la falce; / anche il robusto aratore scioglierà i tori dal giogo»; buc. 7, 53-54: «Si ergono ginepri e castagni dai ricci spinosi; / giacciono sparsi sotto le piante i loro frutti; tutto ora ride»; buc. 10, 75-76: «Alziamoci. L’ombra di solito nuoce a coloro che cantano, / nociva è l’ombra del ginepro. L’ombra nuoce alle messi». Ciò che forse manca a questa versione è un respiro lirico, un afflato poetico almeno nei momenti più significativi: buc. 1, 77-78: «non sarò il pastore, o capre, / quando brucherete il citiso in fiore e gli amari salici»; buc. 2, 66-67: «Guarda, i giovenchi riportano gli aratri / sospesi al giogo, e il sole al tramonto raddoppia le ombre»; buc. 4, 24-25: «Svanirà il serpente, svanirà l’erba insidiosa / di veleno, e dovunque nascerà l’amomo di Assiria»; buc. 6, 52-54: «Ah sventurata fanciulla, tu erri pei monti, / e quello adagiato il niveo fianco sul molle giacinto / sotto una bruna elce rumina le pallide erbe»; buc. 8, 59-60: «Tutto diventi alto mare; addio, o selve! / Mi getterò a capofitto nelle onde dalla vetta di un alto monte».

10. All’inizio degli anni ’80 la traduzione delle Bucoliche di Mario Geymonat13 ha lo scopo dichiarato di stimolare nel lettore l’accostamento al testo di Virgilio, li-mitandosi a renderlo in italiano senza alcuna pretesa letteraria. Il lavoro si presenta

13 Virgilio, Bucoliche. Introduzione, traduzione e note di M. Geymonat, Milano 1981.

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come una versione attentissima all’originale, rispetto al quale non si concede alcu-na libertà: qualche scelta meno perspicua (buc. 3, 8: «guardando biecamente con gli angoli degli occhi» = transversa tuentibus hirquis; buc. 2, 24: «sull’Aracinto di Atteone»; buc. 3, 34: «e quella persino i capretti» = alter et haedos; buc. 7, 31: «se questo dono durerà»; buc. 8, 39: «Ero già entrato allora nel tredicesimo anno») è sempre motivata in nota, solitamente con la preferenza data a interpretazioni di scoliasti o commentatori antichi. Anche la bellezza di certi brani è riprodotta in italiano attraverso la fedeltà assoluta al testo (buc. 1, 82-83: «e già di lontano fu-mano i tetti delle cascine e più grandi scendono dagli alti monti le ombre»; buc. 2, 12-13: «attorno a me invece, mentre seguo le tue orme, risuonano dagli alberi sotto il sole ardente le stridule cicale»; buc. 5, 45-47: «Tale è il tuo canto per noi, divino poeta, come il sonno per coloro che giacciono stanchi sull’erba, come spegnere la sete durante la calura ad un rivo zampillante di acqua dolce»; buc. 5, 82-84: «che altrettanto non giungono a piacermi né il sibilo dell’Austro che si leva, né le spiag-ge battute dai flutti, né i fiumi che scorrono per le valli sassose»; buc. 8, 58-60: «Si trasformi pure ogni cosa in mare profondo. Addio, selve: a capofitto dalla sommità di un alto monte mi getterò nelle onde»; buc. 10, 13-15: «Per lui piansero anche i lauri, anche i tamerischi, per lui che giaceva sotto una rupe solitaria piansero anche il Menalo ricco di pini e le rocce del freddissimo Liceo»; una rarissima eccezione è buc. 1, 53-55: «da questa parte con lieve sussurro spesso ti inviterà come sempre ad assopirti la siepe che qui presso delimita il confine e offre alle api iblee il pasto dei fiori di salice»).

Solo ogni tanto la traduzione si permette la libertà di un commento (buc. 3, 16: «Che cosa potrebbero fare i signori, quando i servi ladri hanno tanta impudenza?»; buc. 6, 67: «gli disse con canto profetico» = divino carmine pastor; buc. 10, 10: «di un amore non meritato Gallo periva»; buc. 10, 20: «giunse Menalca bagnato dal-l’aver raccolto le ghiande invernali»); la fedeltà al testo evita anche, a volte, il rischio di una resa involuta: buc. 1, 74: «Avanti mio gregge un tempo felice, avanti caprette»; buc. 2, 3-5: «Veniva soltanto assai spesso tra i folti faggi dalle cime ombrose; qui so-litario rivolgeva con vana passione ai monti e alle selve queste rotte parole»; buc. 2, 26-27: «neppure a confronto con Dafni temerei il tuo giudizio»; buc. 3, 25-27: «non solevi tu, ignorante, storpiare nei trivii con un fischietto assordante una canzone che faceva pietà?»; buc. 3, 88: «Chi ama te, Pollione, giunga fin là dove ha piacere che anche tu sia giunto»; buc. 4, 58-59: «Anche Pan se gareggiasse con me davanti al giudizio d’Arcadia, anche Pan si dichiarerebbe vinto davanti al giudizio d’Arcadia»; buc. 5, 62-64: «Anche i monti selvosi lanciano grida di gioia alle stelle, anche le rupi alzano ora canti, anche gli alberi esclamano»; buc. 6, 35: «a separare il mare nella distesa delle acque»; buc. 9, 1: «Dove ti dirigi, Meri? Forse in città, dove porta la strada?»; buc. 10, 49: «ah, che il ghiaccio pungente non ferisca i tuoi piedi delicati!».

Le rese poco felici in italiano dipendono perlopiù da una fedeltà al latino addirit-tura letterale: buc. 1, 2: «canzone boschereccia»; buc. 1, 34: «la città che non ricom-pensa»; buc. 1, 52: «qui prenderai il fresco ombroso»; buc. 1, 66: «ai Britanni del tutto fuori dal mondo»; buc. 1, 69: «Accadrà mai che [...] io possa rivedere e ammi-rare i confini patrii»; buc. 1, 77-78: «e non più con me pastore, caprette, brucherete»;

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buc. 2, 38: «Questa zampogna ha te come secondo padrone»; buc. 3, 3: «O gregge sempre disgraziato, pecore!»; buc. 3, 11: «il falcetto cattivo»; buc. 4, 11: «E proprio sotto il tuo, il tuo consolato, Pollione»; buc. 5, 21: «voi testimoni per le Ninfe, noc-ciòli e fiumi»; buc. 6, 81: «e con quali ali [...] l’infelice svolazzasse»; buc. 7, 19: «le Muse volevano che li ricordassero alterni»; buc. 8, 66-67: «perché io provi [...] a cat-turare i sensi sani del promesso sposo»; buc. 8, 108: «o si fingono da sé i propri sogni coloro che amano?»; buc. 10, 16-17: «esse non ci evitano, tu non evitare il gregge»; buc. 10, 41: «coglierebbe per me mazzi di fiori Filli». Rarissimi i fraintendimenti (buc. 4, 23: «come culla spontaneamente produrrà per te fiori delicati»; buc. 8, 4: «i fiumi mutato aspetto fermarono il loro corso» = et mutata suos requierunt flumina cursus) e le forme italiane poco lineari (buc. 3, 28-29: «Vuoi dunque che facciamo reciprocamente la prova di che cosa ciascuno di noi è capace?»; buc. 3, 70-71: «Ciò che ho potuto, ho mandato al ragazzo dieci mele»; buc. 6, 84-86: «le riportano alle stelle, finché sopraggiunse»; buc. 10, 21-22: «Giunse Apollo, e dice»). La rinuncia a ogni eleganza poetica finisce tuttavia per rendere scialbi anche momenti di grande poesia (buc. 6, 83-86: «le valli facendo eco le riportano alle stelle, finché soprag-giunse Vespro malgrado il disappunto dell’Olimpo, e comandò di spingere le pecore alle stalle e di farne la conta»; buc. 8, 41: «Come ti vidi, così mi sentii perduto, così mi rapì un triste smarrimento!»; buc. 9, 51-52: «ricordo che spesso da ragazzo tra-scorrevo cantando lunghe giornate»; buc. 10, 42-43: «Qui fresche fonti, qui soffici prati, Licoride, qui bosco; qui con te sarei consunto solo dal trascorrere del tempo»). La traduzione di Geymonat si fa notare nel panorama novecentesco soprattutto per l’attenzione sorvegliatissima per la lettera del testo.

11. Quello di Marina Cavalli del 199014 è uno degli esperimenti più singolari tra le traduzioni italiane moderne delle Bucoliche: l’intento è quello di rispondere all’esigenza, sempre più avvertita, di uno stile semplice e sciolto dagli impacci di un malinteso classicismo o di una solennità fuori posto nella concezione dell’opera (rarissime eccezioni sono buc. 1, 3: «noi la patria terra lasciamo»; buc. 9, 12: «in mezzo alle armi marzie»). Vi si riscontrano momenti di grande finezza (buc. 1, 6: «O Melibeo, questa gran pace me l’ha donata un dio»; buc. 1, 56-58: «Di là, sotto l’alta rupe, canterà al vento il potatore; / e intanto né le rauche colombe, che tu ami, / né la tortora in cima all’alto olmo cesserà il suo pianto»; buc. 1, 82-83: «e in lontananza fumano ormai i camini delle case, / e giù dai monti più lunghe calano le ombre»; buc. 2, 25-26: «mi sono visto, prima, dalla riva, / mentre il mare posava senza vento»; buc. 4, 13-14: «Se dei nostri delitti resta traccia, / svanirà, scioglien-do il mondo dal terrore senza fine»; buc. 4, 50-52: «Guarda: annuisce la gran volta del mondo, / e le terre e il mare aperto e il profondo cielo; / guarda come tutto si allieta per il secolo che viene»; buc. 5, 82-84: «Non mi dà tanta gioia il soffio dell’Austro / che si leva, né la riva percossa dalle onde, / né i torrenti che discen-dono per sassose valli»; buc. 7, 12-13: «qui il Mincio copre di flessuose canne / le sue verdi rive, e dalla sacra quercia risuola l’alveare»; buc. 8, 44-45: «o il Tmaro

14 Virgilio, Bucoliche, a cura di Marina Cavalli, Milano 1990.

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o il Ròdope o i remoti Garamanti / l’han generato, di un’altra razza, di un altro sangue»; buc. 9, 19-20: «E chi il terreno / cospargerebbe d’erbe fiorite e i fonti / di verde ombra velerebbe?»; buc. 9, 57-58: «Tutta la piana, guarda, è una distesa di silenzio / e son caduti tutti i mormorii del vento»).

Di contro, talvolta si notano sciatterie (buc. 4, 11: «Sotto il tuo consolato, Pol-lione, proprio il tuo»; buc. 5, 85-86: «voglio darti questo [...] flauto: / è lui che mi insegnò: “Coridone ardeva”»; buc. 8, 80: «quest’argilla si addura»; buc. 8, 108: «o sono i sogni che si fingono gli amanti?»; buc. 10, 10: «mentre d’ingiusto amore Gallo si moriva»), in certicasi accostate bruscamente a soluzioni pregevoli (buc. 1, 14-15: «tra i folti nocciòli, proprio adesso, / due gemelli, ahimé, speranza del gregge, ha partorito / sulla nuda roccia, e lì sono rimasti»; buc. 1, 52-55: «Qui tra i fiumi di sempre [...] / prenderai il fresco e l’ombra. Di qui la siepe – quella di sempre – / [...] / ti sedurrà col suo sussurro a abbandonarti al sonno»; buc. 6, 69: «Prendi questa zampogna, è un dono delle Muse. / [...] con lei, quando cantava, / gli inflessibili orni traeva giù dai monti»; buc. 9, 11-13: «ma i nostri canti / in mezzo alle armi marzie valgono, sai, quanto colombe / caonie, se un’aquila già incombe»).

La stessa oscillazione si avverte nelle libertà, talora vistose, che la traduzione si concede rispetto all’originale: a volte sono soluzioni riuscite (buc. 1, 27-28: «La libertà! Che si voltò a guardarmi, anche se tardi, / anche se niente ho fatto per aver-la»; buc. 1, 44: «Là al mio pregare egli subito rispose»; buc. 2, 1-5: «Coridone il pa-store ardeva per il bell’Alessi, / gioia del padrone, senza speranza alcuna: / si con-tentava di recarsi spesso in mezzo ai densi faggi, / alti ed ombrosi; qui, tutto solo, improvvisava un canto, / al monte e al bosco – invano! – diceva il suo dolore»; buc. 2, 13: «dai filari, / [...] rauche cicale rispondono al mio canto»; buc. 2 67: «e il sole che declina fa più grandi le ombre lunghe della sera»; buc. 5, 21: «voi lo sapete, fiumi, e voi, nocciòli»; buc. 7, 60: «il deserto e le ali trepide / con cui volava – ahi misera! – sopra il suo tetto»; buc. 6, 84: «e l’eco delle valli le ripeteva agli astri»; buc. 8, 1-4: «Dirò [...] / come la giovenca si scordò dell’erba per ascoltare stupita / quella gara, e le linci si fermarono attonite a quel canto / e mutarono corso i fiumi e si arrestarono»; buc. 8, 41: «Ti vidi, fui perduto e mi travolse il mio fatale ingan-no»; buc. 9, 1: «Dove, o Meri, te ne vai? Segui la strada, forse – alla città?»; buc. 9, 32-33: «Anch’io sono poeta, / per dono delle Muse»; buc. 9, 63: «Ma se temi che la notte ci colga prima, gravida di pioggia»; buc. 10, 33: «Che dolce quiete avranno le mie ossa»; buc. 10, 67: «al tempo che la scorza in cima all’olmo inaridisce e muo-re»). In altri casi però gli arbitrii sembrano meno perspicui (buc. 1, 12: «Guarda: da solo spingo avanti / le mie capre»; buc. 1, 35: «mai una volta ritornavo a casa con la mano pesante di monete»; buc. 6, 85-86: «Poi venne l’ora di far la conta e riportare / il gregge nella stalla: Espero sorge nel cielo rattristato»; buc. 7, 20: «Ecco di fila i versi di Coridone, e poi di Tirsi»; buc. 9, 51-52: «quand’ero giovane / passavo le lunghe giornate cantando»; buc. 10, 70-72: «Il vostro poeta, dee di Pièria, così ha cantato, / [...]. / E basterà: per Gallo voi lo farete grande»). Poche volte la traduttrice inserisce un commento (buc. 5, 13-14: «Voglio provare invece questi versi, che pro-prio adesso / ho inciso sulla verde corteccia di un faggio, e vi ho segnato / il ritmo delle strofe»; buc. 10, 53: «e incidere sugli alberi novelli il nome del mio amore»).

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Rinunciando ai vincoli del verso (anche se la versione italiana rispetta il numero e la disposizione dei versi latini e ha spesso un andamento dattilico molto musi-cale), il tono preferito è quello colloquiale, una scelta pienamente condivisibile, soprattutto per le ecloghe “dialogiche” come la 3 e la 7, ma anche la 1 e la 9: pure su questo piano, però, le soluzioni variano: si apprezza un’ammirevole limpidità (buc. 3, 14-15: «dei doni fatti a lui ne avevi a male: / saresti morto, se non te la paga-va!»; buc. 3, 25-27: «Non eri tu, ignorante, / che nei trivi con lo stridio del piffero / storpiavi una canzone da far pena?»; buc. 3, 88: «Chi ti ama, Pollione, possa giun-gere / dove anche tu, per la sua gioia, sei arrivato»), ma a tratti le scelte appaiono banali (buc. 3, 28: «Vuoi che facciamo a gara? Vediamo chi è il più bravo!»; buc. 3, 68: «Per la mia Venere ho pronto già il regalo»; buc. 6, 5: «un pastore deve far grasso il gregge, ma leggero il canto!»; buc. 6, 24: «Slegatemi, ragazzi; d’accordo: avete vinto!»; buc. 6, 47 e 52: «Bimba infelice»; buc. 8, 32: «O tu che ti sei unita all’uomo giusto»; buc. 9, 2: «Licida mio»; buc. 10, 28: «Dice: “Basta, finisci!”» = Ecquis erit modus?; buc. 10, 46: «cosa darei perché non fosse vero!»; buc. 10, 59-60: «scagliare frecce di Cidone con l’arco parto, / è bello!»).

Ci sono fraintendimenti (buc. 3, 11: «col falcetto sbagliato» = mala ... falce; buc. 3, 36: «per te, voglio fare una pazzia» = insanire libet quoniam tibi; buc. 6, 17: «e sul consunto manico si appoggia la pesante coppa»), imprecisioni (buc. 2, 33: «Pan ama il gregge e il suo pastore»; buc. 5, 85: «questo fremente flauto» = fragili ... ci-cuta; buc. 6, 16: «A terra è la ghirlanda cadutagli dal capo»; buc. 6, 27-28: «avresti visto / [...] le severe querce dondolare in punta»; buc. 6, 46: «Piange Pasifae per l’amore del giovenco»; buc. 7, 13: «sussurra l’alveare» = resonant examina; buc. 7, 52: «il fiume in piena» = torrentia flumina; buc. 9, 51: «Tutto porta via il tem-po, anche il ricordo» = animum quoque; buc. 10, 21: «E chiedono: “Perché tanto amore?”» = “Unde amor iste?” rogant; ). Certe soluzioni appaiono anomale (buc. 1, 55: «a abbandonarti»; buc. 1, 62: «berrà l’Arari il Parto e la Germania il Tigri»; buc. 2, 51: «cotogne incanutite di tenera lanugine»; buc. 4, 32: «affrontare Teti sul-le navi»; buc. 5, 63: «gli intatti monti»; buc. 5, 69: «allieterò il convito con molto bacco»; buc. 6, 1: «verso siracosio»; buc. 10, 13-15: «Per lui, anche l’alloro, anche i merischi han pianto / e ha pianto il Mènalo e i suoi pini e i gelidi sassi del Liceo, / lui che giaceva ai piedi di una deserta roccia»; buc. 10, 45: «esposto ai colpi e col nemico in fronte»; buc. 10, 57: «correre coi cani le gole del Partenio»; buc. 10, 66: «le nevi e le bufere del Sitone»). Non sempre la sintassi è rispettata (buc. 1, 5: «inse-gni al bosco a risonare il nome di Amarillide»; buc. 1, 26: «E che ragione avevi così grande da veder Roma?»; buc. 1, 43: «ho visto il giovane al cui onore / dodici giorni all’anno fumano i nostri altari»; buc. 3, 5-6: «munge due volte all’ora le sue pecore / e gli sottrae la linfa»; buc. 6, 20: «si aggiunge a loro, / gli dà manforte»; buc. 10, 68: «i greggi d’Etiopia»); di una soluzione inusitata (buc. 1, 69: «guardando infine questo mio regno, dopo tanti altri») la traduttrice dà conto nelle note.

12. Anche negli anni più recenti gli studiosi italiani hanno continuato a confron-tarsi con le Bucoliche: lo hanno fatto anche illustri filologi, come Giorgio Bernardi Perini e Alfonso Traina, che con intenti ed esiti molto diversi hanno riproposto il

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capolavoro virgiliano quasi a coronamento di una vita di studi. Un posto senza dubbio a sé occupa nella storia delle traduzioni delle Bucoliche il lavoro di Giorgio Bernardi Perini15, che nel 2007 ne ha pubblicato una versione sui generis, in cui più che di traduzione si deve parlare – come lo stesso autore precisa – di «sovrascrittu-ra» (p. XXVIII): il procedimento, che ambiziosamente mira a riprendere il vertere dei poeti latini rispetto ai modelli greci, consiste di fatto in una rielaborazione al tempo stesso libera e fedele, che rispettando il senso e i concetti dell’originale, ne modi-fica la sintassi e le espressioni, dando vita a un testo diverso da quello di partenza. Virgilio diventa cioè in qualche modo il canovaccio su cui si crea una poesia nuova, il tema da cui si sviluppa una serie di variazioni e il risultato, fruibile per chi abbia familiarità con l’opera, ma non sempre per chi voglia farsene un’idea, finisce per mettere in luce più l’abilità del traduttore che le peculiarità del testo latino. I mecca-nismi più consueti sono la semplificazione della sintassi, con lo scioglimento delle proposizioni subordinate, e una vistosa preferenza per la paratassi (buc. 2, 66-67: «Ecco: i giovenchi tornano, dal giogo / pende l’aratro, che non tocchi terra; / tra-monta il sole, e prolunga le ombre»; buc. 5, 21-23: «Voi c’eravate, o macchie di avellana, / e voi, fluenti acque, / e sentivate il pianto delle ninfe / per Dafni estinto, per la crudeltà / del suo morire. / E intanto, avvinghiata al figliolo / miseramente inerte, ecco la madre / scagliare il suo dolore contro il cielo»; buc. 9, 17-18: «Un orrendo misfatto: è mai possibile / solo pensarci? Con la tua persona / strapparci via, Menalca, / anche il conforto delle tue canzoni?»; buc. 10, 13-15: «In solitudine sotto una rupe / lui giaceva, e per lui / anche i lauri piangevano, anche le tamerici, / anche i pini del Mènalo e le rocce / del gelido Liceo»). Spesso è privilegiata l’ellissi (buc. 1, 1-4: «Per te la quiete, Titiro, adagiato / nell’ampia ombra del faggio, / e sul tuo flauto lieve / la melodia dei boschi: / noi, fuggiaschi dalla terra dei padri, / dai nostri campi amati. / In fuga dalla patria noi»; buc. 1, 38-39: «e anche i pini Titiro, e anche le sorgenti e questi arbusti, / anche loro a invocarti!»; buc. 4, 32-36: «ancora barche ad affrontare il mare / e mura a circondare le città / e solchi a ferire la terra. / Ci sarà un altro Tifi, un’altra nave / trasporterà un manipolo di eroi; / un’altra guer-ra, e ancora un grande Achille / per le sciagure d’una nuova Troia»; buc. 6, 74-77: «Cantò di Scilla, la figlia di Niso, / e quanto di lei fu narrato: / sul candore dell’in-guine la turpe / cintura di mostri latranti, / e poi le navi di Ulisse sconvolte, / e nel liquido abisso / l’orrore dei cani marini /che sbranano le ciurme sbigottite»; buc. 10, 62-63: «Ma ancora una volta no, né Amadriadi / né canti: non fanno per me; / ancora una volta, voi selve, via, / via, lontano da me»). La riuscita, che non può essere naturalmente giudicata in termini di resa letterale, conosce momenti di felice ispirazione, talora nel rispetto del testo (buc. 1, 82-83: «E laggiù nel villaggio / già fumano i comignoli, / dalle cime dei monti cala l’ombra, / sempre più lunga»; buc. 4, 11: «verrà con te, Pollione, questa gloria dei tempi, / verranno i Grandi Mesi con il tuo consolato»; buc. 4, 19-20: «intreccerà i vaghi giri dell’edera / col profumo del nardo, / le ninfee col sorriso dell’acanto»; buc. 5, 27: «alla tua morte anche il leoni d’Africa / ruggirono con voce di lamento»; buc. 6, 10-12: «Allora, Varo, ti cele-

15 Virgilio, Il libro delle Bucoliche nella versione di Giorgio Bernardi Perini, Mantova 2007.

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breranno / le nostre tamerici e il bosco tutto; / e Apollo gradirà sopra ogni altra / la pagina segnata dal tuo nome»; buc. 7, 45-47: «O muscose sorgenti, / morbidi prati, più del sonno soffici, / e tu, verde corbezzolo / che con ricami d’ombra li proteggi»; buc. 8, 38-41: «Ero io vostra guida, già ragazzo / nel pieno fiore dell’adolescenza, / che dritto in piedi arrivavo a toccare / i rami delicati. / Fu un punto solo vederti e mo-rirne / e finire travolto nel delirio»). In altri casi la libertà è quasi parafrasi (buc. 2, 2-5: «per Coridone non c’era speranza; / altro non gli restava che rifugiarsi / nel folto dei faggi dall’alta cima, generosi d’ombra. / Lì, solitario, soleva mandare / a monti e selve i confusi lamenti / dell’anima frustrata»; buc. 2, 54-55: «e dal vicino mirto spiccherò ramoscelli / che disporrò in un fascio: esaleranno / i loro aromi in soave armonia»; buc. 2, 58-59: «sui fiori ho scatenato la furia di Scirocco / per mia rovina, e sulle fonti limpide / l’insulto dei cinghiali»; buc. 3, 38-39: «su di esse / la flessuosa eleganza di un vitigno, / ben tornito sull’orlo, / investe la cascata dei corimbi / pendenti dall’edera pallida»; buc. 4, 23: «dal legno della culla / rampolle-ranno fiori a carezzarti»; buc. 5, 5: «qui, dove le folate degli zefiri / fanno instabile l’ombra»; buc. 8, 18: «mentre io con il cuore spezzato da Nisa, / sposa promessa amata e traditrice, / io mi lamento e vado a morire»; buc. 10, 8: «Non si perde nel nulla il nostro canto, / sopravvive nell’eco delle selve»; buc. 10, 33-34: «Ah, sopra le mie ossa scenderà / una pace dolcissima quel giorno / che la vostra zampogna ridirà / le mie pene d’amore»; buc. 10, 58-60: «Mi vedo già vagare / tra i dirupi e le macchie risonanti, / già accarezzo il piacere / dell’arco teso e delle frecce rapide: / medicina, chissà, dei miei spasimi d’amore»; buc. 10, 75-77: «Su, alziamoci: ai cantori l’ombra fa male; / fa male l’ombra del ginepro; nuocciono / ai raccolti le ombre. / E voi a casa, ben pasciute capre: / andate a casa, ormai / scende la sera»).

Di contro, certe soluzioni e certe libertà appaiono banalizzanti: buc. 2, 15-16: «meglio era Menalca, pur con la pelle bruna. / Ah la tua pelle, Alessi, così candi-da!»; buc. 2, 56: «Sei uno di campagna, Coridone, / e Alessi non è uno che bada a regalìe»; buc. 3, 25-26: «una zampogna come si deve»; buc. 3, 28: «Io del gregge non oserei rischiare / neanche un’unghia»; buc. 3, 43 e 47: «me le tengo da parte come un tesoro»; buc. 3, 67: «per lui scodinzola il mio cane / anche più che per Delia»; buc. 3, 68: «Per il mio amore ho già in mente il regalo»; buc. 5, 1-2: «Bello incontrarci così, caro Mopso, / quasi per un convegno: tu sapiente / nel dare fiato alle gracili canne, / io nel cantare»; buc. 6, 1-4: «È Talìa la mia musa. Lei dappri-ma / mi guidò sulle orme di Teocrito / (è musa permissiva: non l’adonta / l’umile vita dei boschi). / Volevo, io, tentare corde eroiche / ma fu immediato il richiamo di Apollo / dalla vetta del Cinto»; buc. 7 60: «e padre Giove manderà dal cielo / pioggia su pioggia, a nostro beneficio»; buc. 8, 29: «Su, Mopso, intaglia rami per fiaccole nuove: / è pronta una moglie per te»; buc. 10, 31: «Ma lui, con la morte nel cuore»; buc. 10, 66: «e in mezzo alla tormenta scalare i monti di Tracia»). Sul piano dello stile prevalgono i colloquialismi, che si fanno però a volte eccessivi (buc. 1, 45: «Bene, ragazzi; tutto come prima»; buc. 1, 72-73: «per gente così / abbiamo seminato i nostri campi! / e bravo Melibeo: innesta i peri»; buc. 2, 17: «ma attento: non fidarti del colore, / bellezza mia»; buc. 2, 39: «così disse Dameta; e Aminta, sciocco, / non se la prese bene»; buc. 3, 7: «Tu però vacci piano / a lanciare calunnie

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così»; buc. 3, 49: «Oggi non hai più scampo. Non ti mollo»; buc. 10, 21: «tutti a chiedergli conto del suo dramma d’amore»; buc. 10, 23: «Licori, la tua bella, / va dietro a un altro») o trasandati (buc. 1, 33: «Per quanto fior di vittime / uscissero dal chiuso dei miei stazzi»; buc. 1, 35: «mai che la mano mi tornasse a casa / gravida di monete»; buc. 1, 36: «E io tra me a chiedermi»; buc. 1, 81: «formaggio finché vuoi»; buc. 2, 19: «ma tu, Alessi, non sai chi sono io. / Sappilo dunque»; buc. 3, 40: «l’altra è quello là ... come si chiama ...»; buc. 3, 99: «sarà inutile / mettere mano a mungere»; buc. 4, 1: «Mie bucoliche Muse, alziamo i toni»; buc. 5, 55: «e dei tuoi versi mi parlò entusiasta / un caro amico»; buc. 6, 23: «Non se la prende, lui. Ci ride sopra»; buc. 7, 16: «c’era la bella gara tra Coridone e Tirsi. / Grande occasione, questa»; buc. 8, 80: «Come per un sol fuoco / questa cera si squaglia / e questo limo caglia»; buc. 10, 10: «mentre Gallo moriva / di malamore»; buc. 10, 38: «scuro è il corpo di Aminta, ma con ciò? / brune anche le viole, anche i giacinti»; buc. 10, 70: «E qui deve finire, sante Muse, / il canto del vostro poeta»).

Gli arcaismi risultano alquanto fuori luogo (buc. 1, 51: «riviere»; buc. 1, 52: «rezzo»; buc. 1, 57-58: «mentre / durerà delle rauche / colombe, tua passione!, e della tortora / lassù dall’olmo il gemito»; buc. 1, 76: «pencolare»; buc. 2, 14: «Meglio era subire di Amarilli / gli scoppi d’ira»; buc. 3, 80: «stabbi»; buc. 4, 10: «ora che regna, a te fratello, il Sole»; buc. 6, 50: «orrendo concubito»; buc. 10, 20: «umidore di ghiande»; buc. 6, 73: «di nessun’altra numinosa selva / andrà più fiero Apollo»; buc. 8, 37: «brolo»). Certe scelte sono discutibili: buc. 1, 49: «erbe straniere»; buc. 1, 61-62: «prima Parti e Germani esuleranno / fino a scambiarsi le terre / e a dissetarsi i Parti con l’acqua dell’Arar, / con l’acqua del Tigri i Germani»; buc. 2, 13: «la ciarla stridula delle cicale»; buc. 2, 52: «e i frutti del castagno (così cari / alla cara Amarilli!)»; buc. 3, 20: «intanto stavi chiotto dietro i càrici»; buc. 3, 42: «l’aratore ingobbito»; buc. 4, 48: «assumi gli alti gradi!»; buc. 5, 36: «I solchi che ci davano fiducia / nel rigoglio dell’orzo»; buc. 6, 5: «filiforme il canto»; buc. 7, 55: «la natura è / tutta un sorriso»; buc. 8, 21 ecc.: «Incomincia, mio flauto, con me, / la triste canzone del monte»; buc. 8, 43: «figliato su un letto di pietra»; buc. 8, 63: «potere tutto, non è in nostro potere»; buc. 9, 35: «perché finora so di non valere / un Vario o un Cinna»; buc. 9, 41-42: «il pioppo bianco / monta la guardia»; buc. 10, 24-25: «Anche Silvano è arrivato, portava / il blasone dei campi sopra il capo»; buc. 10, 46: «le rabbrividenti giogaie»; buc. 10, 68: «pascolare le pecore d’Etiopia»). Talora l’intento di riprodurre uno stile ‘parlato’ e informale dà luogo ad aggiunte (buc. 3, 21: «Ma come, cosa dici!»; buc. 3, 25: «Oh, questa è buona»; buc. 3, 28: «E va bene. Mettiamola così»; buc. 5, 8: «E bravo Mopso!»; buc. 6, 6: «E perciò, Varo, / abbi pazienza»; buc. 10, 50: «Ma via, voltiamo pagina») e a frasi fin troppo colloquiali: buc. 1, 26: «E che ragione avevi / così importante da vedere Roma?»; buc. 1, 27-28: «Io neghittoso, / che già la barba mi cadeva bianca / sotto le sforbiciate»; buc. 2, 23-24: «Ciò che cantava Anfìone tebano / [...] / bene: lo canto anch’io»; buc. 2, 25-26: «mi sono appena visto sulla spiaggia, / che il mare calmo, senza un filo di vento, / mi faceva da specchio»; buc. 3, 9: «che quella volta le Ninfe, per quanto di manica larga, / come ridevano!»; buc. 3, 17-19: «Coi miei occhi t’ho visto, farabutto!, / intrappolare il becco del gregge di Damone, / che il

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cane non finiva di abbaiare / e io gridavo»; buc. 9, 67: «Cantare, canteremo; e sarà bello. / Ma insieme a lui». Sui generis è anche la scelta di suddividere le ecloghe in sezioni a cui viene assegnato un titolo.

13. Di taglio diametralmente opposto è la traduzione recente di Alfonso Trai-na16, impostata su una fedeltà pressoché assoluta all’originale: dei criteri seguiti lo studioso ha dato conto in un lavoro preliminare17, sostenendo di voler dare una traduzione attenta allo «statuto poetico dell’originale», vale a dire non «un’auto-referenziale bella infedele»18, ma una versione “poetica” nel senso di una scrittura libera dalle regole rigide di un metro, ma «che nella libertà delle sue soluzioni e del-le sue cadenze conservi una sia pur pallida eco del ritmo originale»19. Proprio con la ricerca di musicalità lo studioso, che del procedimento rigoroso e attento a ogni scelta lessicale ha dato un valido saggio per buc. 1, 1-1820, giustifica le «piccole in-fedeltà semantiche, sintattiche, strutturali che non incidano sul senso complessivo dell’originale»21 e che nella maggior parte dei casi si rivelano opportune (buc. 1, 30: «da quando sono di Amarillide e mi ha lasciato Galatea»; buc. 1, 69: «stupito di tro-vare ancora, nel mio regno, una spiga»; buc. 4, 23: «Da sé la culla ti farà un cuscino di fiori»; buc. 5, 27-28: «Lamentarono, Dafni, la tua morte anche i leoni africani: / ne parlano ancora i monti selvaggi e le selve»; buc. 6, 1: «Dapprima la nostra Musa non sdegnò i versi leggeri / di Siracusa»; buc. 8, 60: «sia questo il mio ultimo dono per te, la mia morte»; buc. 9, 40-43: «Qui brilla la primavera, qui intorno ai rivi la terra / è tutta un tappeto di fiori, qui un bianco pioppo sovrasta / la grotta, e viti fles-suose tessono un velo d’ombra. / Vieni qui, lascia che i flutti furenti battano il lido»; buc. 10, 46: «tu lontano dalla patria – come crederci? –»), ma talora non belle (buc. 2, 5: «sfogava coi monti e coi boschi il suo amore infelice»; buc. 3, 80: «Male è il lupo alle stalle»; buc. 3, 82: «Bene è l’acqua ai coltivi»); di qui anche rese a volte contorte in italiano, per rispettare l’ordo verborum latino (buc. 1, 16-17: «Spesso di questa disgrazia, ma la mia mente era cieca, / mi diedero annunzio, ricordo, le querce colpite dal cielo»; buc. 1, 19-20: «La città che chiamano Roma, Melibeo, la pensavo, / simile, ingenuo, alla nostra»; buc. 1, 38-39: «Te, Titiro, erano anche i pini, / anche le fonti a chiamarti, anche questi albereti»; buc. 2, 26-27: «non io di Dafni / avrei, a tuo giudizio, paura»; buc. 2, 61-62: «Pallade, le rocche che ha fondato, / sia lei a frequentarle»; buc. 5, 20-21: «Piangevano Dafni le Ninfe, rapito da morte crudele / (voi, nocciòli, voi, fiumi, testimoni alle Ninfe)»; buc. 9, 60-61: «qui, dove folte le fronde / portano i contadini»; buc. 9, 67: «I canti, è meglio aspettare che lui sia venuto, a cantarli»; buc. 10, 2-3: «Pochi versi al mio Gallo, ma che legga la stessa Licoride, / da dedicare»). Quasi sempre le soluzioni poco felici

16 Publio Virgilio Marone, Le Bucoliche. Introduzione e commento di Andrea Cucchiarelli. Tradu-zione di Alfonso Traina, Roma 2012.

17 A. Traina, Un esperimento, cit., pp. 33-41.18 Ibi, p. 33.19 Ibi, pp. 33-34.20 Ibi, pp. 34-41.21 Ibi, p. 34.

Le traduzioni italiane moderne delle Bucoliche 611

dipendono dalla fedeltà al testo (buc. 1, 35: «mai mi tornava a casa la mano pesante di rame»; buc. 1, 58: «aereo olmo»; buc. 1, 62: «il Parto berrà l’Árari o il Germano il Tigri»; buc. 1, 77: «non me pastore, caprette, / brucherete il trifoglio in fiore e i salici amari»; buc. 1, 81: «formaggio quanto ne vuoi»; buc. 2, 70: «Semipotata ti resta la vite sull’olmo»; buc. 3, 21-22: «O non doveva rendermi, lui da me vinto nel canto, / il capro guadagnato dai canti della mia zampogna?»; buc. 3, 108: «Non è affar nostro dirimere tanta contesa»; buc. 4, 11: «avrà inizio questo splendore di tempo»; buc. 4, 26-27: «Ma appena sarai in grado di leggere [...] / i fatti paterni»; buc. 5, 35: «Pales, lei stessa, ha abbandonato i campi, Apollo, lui stesso»; buc. 6, 4-5: «Un pastore, Titiro, è bene / che grasse abbia pecore al pascolo, ma scarno sia il canto che intoni»; buc. 6, 9: «Canto a comando»; buc. 7, 59-60: «verzicherà tutto il bosco, / e verrà giù il cielo, largo di pioggia feconda»; buc. 8, 17: «il giorno di vita»; buc. 10, 21-22: «E venne Apollo / [...] dice»). Certe ellissi oscurano il senso: buc. 7, 29-30: «Questo capo d’irsuto cinghiale e le corna ramose / di un cervo an-noso a te, Delia, Micone, il ragazzo»; buc. 8, 62-63: «Questo Damone; la risposta di Alfesibeo / ditela voi, Pieridi»; buc. 8, 32: «O unita a un degno marito»; buc. 9, 1: «Dove, Meri, ti portano i piedi? Dove la strada, in città?». In compenso, molto rare sono le violazioni della sintassi (buc. 1, 42-43: «quel giovane [...], in cui onore / [...] fuma il mio altare»; buc. 3, 70: «Quel che potevo, ho mandato al ragazzo dieci mele»; buc. 5, 58-59: «Un fremito di gioia corre per boschi e campagne, / e Pan, e i pastori e le giovani Driadi»; buc. 6, 3: «Volendo cantare i re e le battaglie, Apollo l’orecchio / mi tirò»; buc. 9, 21: «il canto che poc’anzi ti ascoltai di nascosto»); il rispetto per il testo si spinge all’occasione finanche alle sonorità (buc. 1, 55: «con-cilierà il tuo sonno col suo sommesso sussurro»; buc. 3, 27: «strapazzare un povero canto sullo stridulo zufolo»). Gli sporadici colloquialismi non disturbano, anzi vi-vacizzano l’insieme (buc. 2, 38: «e in punto di morte mi disse: “Tu sei il secondo ad averla”»; buc. 2, 73: «Se questo non vuol saperne di te, troverai una altro Alessi»; buc. 3, 19: «Dove se la svigna quello?»; buc. 3, 30: «non dire no»; buc. 3, 51: «ti farò passare la voglia di sfidare qualcuno nel canto»; buc. 3, 54: «mettici tutto te stesso, non è questione da poco») e molte scelte danno limpidezza all’espressione (buc. 1, 6: «O Melibeo, è opera di un dio questa pace»; buc. 1, 27: «La libertà, che rivolse lo sguardo, benché tardi, alla mia inerzia»; buc. 1, 52: «cercherai il fresco dell’ombra»buc. 4, 58-59: «Anche Pan se davanti all’Arcadia gareggiasse con me, / anche Pan a giudizio dell’Arcadia si direbbe vinto»; buc. 5, 5: «sia che ci inoltriamo sotto le ombre che oscillano al vento»; buc. 5, 13-14: «tenterò questo canto che ho inciso poc’anzi / sulla verde corteccia di un faggio, alternando note e parole»; buc. 5, 56: «Raggiante di luce contempla la soglia a lui nuova d’Olimpo»; buc. 6, 81: «le valli ne rimandano l’eco alle stelle»; buc. 6, 86: «Espero, e si avanzò con disap-punto del cielo»; buc. 8, 4: «e i fiumi contro natura riposarono la loro corsa»; buc. 8, 41: «Ti vidi, e fui perso, e fui preda di folle passione»; buc. 8, 85-88: «Sia tale l’amore di Dafni, quale quello della giovenca, / quando stanca di cercare il vitello per pascoli e boschi, / si lascia cadere sulla verde riva di un fiume, / smarrita, e non pensa che è tardi, che avanza la notte»). Per contro, la rinuncia a soluzioni personali infiacchisce momenti di alta poesia con rese perfettamente fedeli, ma scialbe: buc.

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1, 83: «e si allungano giù dagli alti monti le ombre»; buc. 2, 13: «gli arbusti / sotto l’ardente sole risuonano di roche cicale»; buc. 2, 67: «e il sole calando raddoppia le ombre crescenti»; buc. 9, 52: «ricordo / che da ragazzo spesso passavo i giorni a cantare»; buc. 10, 42-43: «Qui fresche fonti, qui morbidi prati, Licoride, / qui boschi: qui passerei tutta la vita con te».

14. A conclusione di questa rassegna delle traduzioni italiane delle Bucoliche in un arco di tempo abbastanza ampio e significativo per tanti aspetti della storia italiana, non ultimo il mutamento del gusto e del rapporto con i classici, un bilan-cio appare doveroso. Dal modo di accostarsi all’opera virgiliana appare evidente il diverso approccio alla poesia e alla cultura classica, influenzato dalle correnti poetiche più incisive e dal rapporto dei poeti stessi con gli antichi. Dalla ricerca classicheggiante delle traduzioni degli anni ’20, animata dall’intento di dare a Vir-gilio, il classico per eccellenza, una patina di solennità aulica (talora esasperata o fuori luogo) anche nel genere humilis della bucolica, ma influenzata anche dal tenace influsso carducciano, il cammino è stato lungo e articolato. Ancora negli anni ’50 si risentono echi di quel gusto, nonostante l’esigenza di semplicità sempre più avvertita, che crea contrasti di tono talora stridenti nelle traduzioni; più avanti nel tempo si afferma sempre più decisamente uno stile semplice e colloquiale, che negli ultimi anni appare influenzato vistosamente dal parlato quotidiano e dal lin-guaggio dei mass-media. Si sfiora qui l’eccesso opposto rispetto al passato, quello di banalizzare troppo il testo virgiliano in nome di una scorrevolezza talora sciatta e senz’anima. Indubbiamente dinanzi a un’opera come le Bucoliche è difficile rag-giungere un equilibrio capace di renderne da una parte la limpidezza e la sempli-cità, dall’altra la struggente bellezza e la musicalità; difficile è anche resistere alla tendenza di sovrapporsi al poeta e fare del testo l’occasione per un’altra poesia. Ogni traduttore intelligente ha indubbiamente affrontato questi problemi e li ha ri-solti a suo modo; ogni traduzione, a ben guardare, mostra il dilemma di confrontarsi con un capolavoro, ma attesta anche l’amore per il poeta e la necessità di riproporlo ai contemporanei. Il che, in fondo, è un’ulteriore dimostrazione della modernità sempre viva dell’opera virgiliana e del bisogno che ancora oggi, nell’era di Internet e dei viaggi interplanetari, gli uomini sentono della grande poesia.

Abstract: Translating Virgil’s Bucolics is a hard challenge for the Italian translators, both for the inherent musicality of the text and because of the long literary tradition of Arcadia. The analysis of the different approaches to the text during the 20th century and the comparison among the solutions can give a measure of these difficulties, but also illuminate historical and ideological influences.

Keywords: Virgil’s Bucolics, Translation, Italian literary taste in the 20th century, Fascism.