l'ipogeo di caivano. atti del convegno di caivano del 7 ottobre 2004, a cura di giacinto...

131
2

Upload: independent

Post on 31-Jan-2023

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

2

3

4

FONTI E DOCUMENTI PER LA STORIA ATELLANA COLLANA DIRETTA DA FRANCO PEZZELLA

───── 9 ─────

L’IPOGEO DI CAIVANO

ATTI DEL CONVEGNO DI CAIVANO DEL 7 OTTOBRE 2004

CENTRO DI ECCELLENZA

PER LA “RESTITUZIONE COMPUTERIZZATA DI MANOSCRITTI E MONUMENTI DELLA PITTURA ANTICA”

Direttore: Prof. Gioia Maria Rispoli, Sez.ne Archeologia – Responsabile: Prof. Giovanna Greco

Sez.ne Materiali – Responsabile: Prof. Carmine Colella Sez.ne Informatica – Responsabile: Prof. Mario Vento

A CURA DI GIACINTO LIBERTINI

Pubblicazione realizzata con il contributo del

COMUNE DI CAIVANO

ISTITUTO DI STUDI ATELLANI

NOVEMBRE 2005

In copertina: Gli affreschi della volta dell’ipogeo di Caivano nel disegno acquerellato, eseguito all’epoca del rinvenimento dal prof. Gennaro Luciano, disegnatore dell’Ufficio scavi di Pompei. Nel retrocopertina: Il vaso in terracotta (circa 340 a.C.) attribuito al cosiddetto Pittore di Caivano, trafugato da tombaroli e in mostra presso il Paul Getty Museum di Los Angeles (California).

5

INDICE

Presentazioni del Sindaco di Caivano (Domenico Semplice) e della Soprintendente ai Beni Archeologici (Maria Luisa Nava) Introduzione (Giacinto Libertini) Parte I - L’ipogeo di Caivano: inquadramento storico, tecniche di realizzazione, interpretazione (Mara Amodio, Giovanna Greco) 1. Storia del monumento (G. L.) 2. Il contesto territoriale: Caivano e l’agro atellano. Recenti acquisizioni (M. A.) 3. Architettura e tecnica costruttiva. Confronti e paralleli (M. A.). 4. Descrizione degli affreschi (M. A.) 5. La tecnica pittorica (M. A.) 6. Lettura e interpretazione (M. A.) 7. Bibliografia (M. A.) Parte II – Studio dei materiali (Carmine Colella, Maurizio de’ Gennaro, Ottavio Marino, Piergiulio Cappelletti, Abner Colella, Manlio Colella) 1. Premessa 2. Rilievo e stato di conservazione 3. Campionamento 4. Tecniche di analisi 5. I materiali 6. I pigmenti 7. Note conclusive 8. Bibliografia Parte III – Acquisizione e fruizione mediante musei virtuali e internet di opere d’arte (Mario Vento, Alessandro Limongiello, Pasquale Foggia) 1. Introduzione 2. L’ipogeo di Caivano e la tomba di Egnazia 3. L’acquisizione fotografica digitale 4. Elaborazione grafica delle immagini 5. Pubblicazione e fruizione in rete 6. Architettura del sistema per la fruizione di immagini 7. Conclusioni 8. Bibliografia e riferimenti

6

PRESENTAZIONI

Presentare questo nuovo lavoro, frutto di attenta e minuziosa ricerca storica , rappresenta per me l’occasione per ringraziare – ancora una volta - l’Istituto di Studi Atellani che, nel corso di questi anni di proficua collaborazione con il Comune di Caivano, tanto si è adoperato, attraverso una documentazione altamente attendibile, per squarciare i veli di una storia sconosciuta e per secoli quasi negletta. Nell’excursus storico, iniziato nel 2002, di grande rilievo è stato il porre l’accento sull’ipogeo romano, scoperto nel 1923 nei pressi della chiesa di S. Barbara e ricostruito in un cortile del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in quanto ha riportato alla memoria un passato quasi del tutto dimenticato e che, invece, dà ancora maggior lustro al nostro paese dimostrandone lo sviluppo che aveva già in epoca romana. Per l’Ipogeo di Caivano, a cui questo volume è dedicato, ciò è stato possibile per l’eccezionale e meritoria attività di studio svolta dagli studiosi del “CENTRO DI ECCELLENZA PER LA “RESTITUZIONE COMPUTERIZZATA DI MANOSCRITTI E MONUMENTI DELLA PITTURA ANTICA”, diretto dalla Prof. Gioia Maria Rispoli e dai Colleghi Giovanna Greco, Carmine Colella e Mario Vento. Un grazie particolare va peraltro al dott. Giacinto Libertini, nostro concittadino, per la passione e lo zelo che da anni dimostra nel ricercare, indagare e segnalare notizie e fatti documentati e di indiscutibile valore per una precisa e significativa ricostruzione della Storia di Caivano.

IL SINDACO (Ing. DOMENICO SEMPLICE)

L’ipogeo funerario, rinvenuto a Caivano nel 1923 e successivamente trasportato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è uno dei monumenti individuati come oggetto di studio e di ricerca nell’accordo stipulato nel 2002 tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta e il Centro di Eccellenza per la restituzione computerizzata di manoscritti e monumenti della pittura antica, della Università Federico II di Napoli. La struttura presenta una ricca ed articolata decorazione dipinta, che ben testimonia la pittura funeraria romana tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C. Sin dalla scoperta l’ipogeo e le sue pitture sono stati interessati da interventi che - in linea con le tendenze dell’epoca - ne hanno garantito la conservazione. Ricostruito all’interno del cortile del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è stato in seguito oggetto di un accurato studio effettuato da Olga Elia, arricchito da un pregevole apparato illustrativo e pubblicato nella serie dei Monumenti Antichi della Reale Accademia Nazionale dei Lincei del 1931. Lo studio, avviato dal Centro di Eccellenza, ha come fine la conoscenza approfondita del monumento e di tutti quei fattori che hanno contribuito al degrado al fine di individuare le modalità per un corretto e completo recupero. Il presente volume contiene l’illustrazione dei risultati preliminari della ricerca, coordinata per la sezione archeologica da Giovanna Greco, dell’Università Federico II di Napoli, che vi ha profuso il suo personale e generoso impegno, unito all’alta competenza scientifica. Ed è così che, ad un rigoroso inquadramento storico topografico - che inserisce il monumento nel vasto comprensorio archeologico del settore meridionale della piana

7

campana e analizza le relative dinamiche di occupazione - segue una attenta analisi tipologica e stilistica dell’ipogeo e del suo apparato decorativo. La parte archeologica è strettamente saldata all’aspetto più specificamente tecnico della ricerca, garantito da quelle che noi archeologi siamo soliti definire scienze ausiliarie, il cui apporto diventa sempre più fondamentale e complementare alla ricerca archeologica in senso stretto. Le moderne tecnologie impiegate hanno consentito una corretta ed esauriente analisi iconografica della decorazione pittorica del monumento; inoltre, si è potuto ricostruire il disegno preparatorio che era alla base della composizione. Tali analisi, unitamente all’approfondita valutazione dei fattori di degrado che ne consegue, consentirà pertanto una più efficace azione di restauro e tutela del monumento. I sofisticati mezzi e le diverse professionalità impiegate pongono in evidenza la rilevanza degli studi interdisciplinari per l’individuazione dei più appropriati interventi di conservazione; emerge altresì l’importanza fondamentale di una esauriente e completa documentazione delle evidenze, che è alla base sia dello studio storico-artistico sia di un’attenta diagnosi dei fattori di rischio. Quest’ultima circostanza impone una riflessione sui diversi aspetti dell’azione condotta dalle Soprintendenze in tema di tutela e conservazione. Essa comporta, da un lato, l’attività preventiva di tutela del territorio che si basa sull’analisi, lo studio e la documentazione delle componenti archeologiche in relazione alle profonde trasformazione ambientali, come dimostrano i recenti scavi condotti lungo la linea ferroviaria A.V. che hanno direttamente interessato il comune di Caivano. Dall’altro, non di minore importanza è la tutela e la conservazione dei monumenti già noti e la loro appropriata manutenzione, compito che risulta facilitato da una esatta conoscenza del bene; in questo quadro non si può non sottolineare l’importanza dell’iniziativa in questione. Infine, è occasione gradita per sottolineare l’interesse dell’Amministrazione Comunale a tale progetto e per auspicare che, anche per il futuro, si possa continuare ad operare in una stretta e capillare collaborazione per la tutela di tutto il territorio, il cui enorme interesse culturale è stato ancor più evidenziato dai recenti scavi, al fine non solo di conservarne le testimonianze storiche ed archeologiche, ma anche per far sì che i beni culturali divengano reale occasione di crescita sociale, culturale ed economica della comunità locale.

LA SOPRINTENDENTE AI BENI ARCHEOLOGICI (Dott. ssa Maria Luisa Nava)

8

INTRODUZIONE

Quando nel lontano gennaio del 1923 alcuni operai scoprirono fortunosamente una tomba romana nei pressi della chiesa di S. Barbara a Caivano, l’eccezionale rinvenimento sembrò qualcosa di diverso e poco pertinente alla realtà dei luoghi. Infatti, un grosso borgo agricolo, quale era allora Caivano, privo di testimonianze archeologiche di superficie e la cui memoria storica – per i pochi del luogo che vi porgevano attenzione - risaliva al basso Medioevo, che relazione aveva con una tomba romana riccamente decorata? Nel sentire comune, l’antica Roma, la gloriosa città di Augusto e di tanti altri imperatori, era un qualche cosa attinente a Pompei, Ercolano e altri importanti resti archeologici della zona ma non certo a Caivano, centro inesistente nei classici e dove al più si trovavano i resti di umili tombe sannitiche. Ciò che era stato scoperto, definito poi l’Ipogeo di Caivano, era un elemento estraneo e, pertanto, a tutti apparve naturale che andasse rimosso e portato in una sede più omogenea quale il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’entità “anomala” fu pertanto allontanata da Caivano, ricostruita in un cortile del suddetto Museo e qui quasi del tutto dimenticata per decenni dagli alieni Caivanesi …1

* * * Nei lunghi decenni successivi, man mano che si attenuava e quasi svaniva il peso di una secolare povertà di mezzi e di conoscenze – per Caivano, ma non solo -, nuovi elementi e iniziative ridavano ai Cittadini la memoria di un passato dimenticato.

Fig. 1: Zona di via Don Minzoni (già via Parrocchia S. Pietro) e via Capogrosso (già

via Sterbini) in una carta di fine ottocento. I cortili dove è riferito il ritrovamento di dolii sono indicati con asterischi. Sono evidenziati con punti le colonne di recupero

Alcuni anni dopo e a più riprese, l’ultima volta nel 1930, furono rinvenuti in quattro cortili della zona più antica di Caivano, fra le vie Don Minzoni e Capogrosso (v. Fig. 1), dei vasi (dolii) di

1 ELIA 1931. Una esauriente sintesi di questi eventi è esposta nella parte I di questa pubblicazione.

9

epoca tardo-sannitica, cioè forse del V sec. a.C., sicura testimonianza che il centro era abitato da tempi ben remoti2. Più volte successivamente furono trovate e per lo più distrutte e trafugate tombe di epoca sannitica ma anche strutture di epoche successive. Come esempi, fra i tanti: a) negli scavi per la realizzazione del distributore dell’Agip del corso Umberto furono trovate strutture prontamente cancellate; b) negli scavi della fogna di via Cavour il mezzo meccanico distrusse un grosso vaso con pareti spesse circa 10 cm; c) a Casolla Valenzano più volte negli scavi per costruzioni private furono scoperte e subito cancellate strutture murarie e altri resti di presumibile epoca romana; d) nella costruzione dell’autostrada del Sole, nei pressi della stessa Casolla, una volta una scavatrice addirittura sprofondò in una imprecisata cavità sottostante. Moltissime volte reperti antichi furono trafugati e venduti da tombaroli e alcuni di tali reperti di maggiore valore sono addirittura esposti in prestigiosi musei stranieri. Per un insieme di vasi la decorazione artistica è così caratteristica che fu coniato il termine di “pittore di Caivano” per designarne l’ignoto artefice (Figg. 2 e 3).

Fig. 2

Paul Getty Museum (California) Immagine ricavata dal sito internet del museo con la seguente dicitura: Attributed to the Caivano Painter, Greek, Campania, South Italy, about 340 B.C. Terracotta H: 25 in.; W [body]: 9 13/16 in. Non è stato chiesto il permesso di riproduzione dell’immagine dato che il reperto è stato trafugato ed esportato illegalmente.

Fig. 3: Immagine ricavata

da altro sito internet Solo una parte forse piccola dei ritrovamenti archeologici, è stata correttamente studiata e preservata3.

2 MARTINI 1987. 3 PEZZELLA 2002 e 2004.

10

A questa serie di ritrovamenti archeologici, si aggiunse poi un eccezionale lavoro di fotogrammetria archeologica che mostrò come nelle nostre zone fossero presenti ancor oggi i segni della massiccia colonizzazione agricola romana nella forma della persistenza di tracciati viari delle centuriazioni della zona (in particolare la Ager Campanus I e l’Acerrae-Atella I)4. Le fondamentali indicazioni di tale studio furono successivamente approfondite nei dettagli per la nostra zona e fu anche sottolineato che un importante studio di genetica umana indicava una forte continuità nella persistenza della popolazione risalente addirittura all’epoca neolitica e che i siti di varie chiese della zona (per Caivano: S. Maria di Campiglione e S. Barbara; per Cardito: S. Giovanni di Dio) sono in stretta relazione con strade della centuriazione e sono forse la continuazione e il rifacimento di strutture di epoca romana5. Fu anche rilevato che lo stesso ipogeo, a lato della chiesa di S. Barbara, era sito lungo una strada della centuriazione ed è ben noto che i romani usavano porre le tombe lungo le strade principali. In quegli stessi anni furono ritrovati a S. Arcangelo i resti di una villa romana dal nome ignoto (praedium Marcilianum?), continuatasi poi con il centro fortificato longobardo di S. Arcangelo, con un mosaico raffigurante un cavallo mitologico e vari animali marini6.

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Infine con i lavori della linea ferroviaria ad alta velocità, l’indagine accurata e sistematica condotta lungo una striscia di territorio di circa 6 km, ha portato fra l’altro alla scoperta di capanne neolitiche, anche organizzate in villaggio, di tre ville romane abitate fino al periodo delle invasioni germaniche, di tombe oltre che sannitiche anche di epoca tardo romana7. Tutto ciò, alimentato anche dalle iniziative e dalle pubblicazioni organizzate e attivate congiuntamente dall’Istituto di Studi Atellani e dal Comune di Caivano, ha sempre più reso evidente che il legame fra la storia antica e l’odierna Caivano non era un qualche cosa di artificioso ma che al contrario vi era una continuità di popolamento, coltivazione, civiltà e lingua che aveva radici antichissime. Caivano non era un borgo nato nel Medioevo dal nulla ma al contrario rappresentava la continuazione di una comunità le cui radici risalivano addirittura al

4 CHOUQUER 1987. 5 LIBERTINI 1999. 6 LIBERTINI 1999 e PEZZELLA 2002. 7 LA FORGIA 2004.

11

neolitico, vale a dire prima ancora della conquista della zona da parte degli Osci. E in questa continuità di civiltà l’epoca romana rappresentava una fase importantissima e lunga che in qualche modo oltre che nelle persistenze dei toponimi e della lingua si manifestava ancor oggi nella disposizione e posizione di varie strade, confini e luoghi. Ma anche non ricorrendo a quanto rinvenuto casualmente o ai risultati della ricerca archeologica, un osservatore attento non avrebbe potuto ignorare alcuni reperti antichi che erano sfacciatamente davanti agli occhi di tutti, che anzi erano in posizione evidente proprio perché ben conosciuti come antichi all’epoca del loro riutilizzo, ma che sono stati e sono ignorati dai più con una cecità di certo maggiore della loro eclatante evidenza.

Fig. 7

Fig. 8

Il riferimento è a quei frammenti di colonne antiche, verosimilmente sottratte alle rovine di Atella dopo il suo finale abbandono (X sec. d.C.) e collocate nella parte più antica di Caivano, tutte nei pressi della chiesa di S. Pietro: ad un angolo della chiesa di S. Pietro (Fig. 4); in via Don Minzoni ai due lati dell’inizio di via Mercadante e di fronte alla medesima chiesa (Figg. 5-6); in via Don Minzoni pochi metri più avanti (Fig. 7); nel cortile della proprietà Castaldo (in precedenza era posta, a pochi metri di distanza, in via Mercadante, v. Fig. 8). In tutto ciò l’ipogeo di Caivano non era più qualcosa di estraneo ma diventava l’elemento più vistoso di una memoria storica sempre più ricca ed articolata.

* * *

Nel corso del 2001 fu formalizzata l’istituzione del Centro di Eccellenza: Restituzione computerizzata di manoscritti e di monumenti della pittura antica, con il contributo finanziario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) e dell’Università Federico II di Napoli e con il concorso dei Dipartimenti di “Filologia Classica”, “Discipline Storiche”, “Informatica e Sistemistica”, “Ingegneria dei Materiali e della Produzione” e “Scienze della Terra” della stessa università federiciana. Il Centro, con sede amministrativa presso il Centro Studi della Magna Grecia (via Marina 33 - 80133 Napoli) fu organizzato nelle distinte sezioni di Archeologia, Materiali e Informatica. Il Centro si pose come obiettivo quello di accrescere il livello di conoscenza di testi manoscritti e di monumenti della pittura antica, pre-romana, romana tardo-antica e medioevale – con particolare riferimento alla Campania ed al Mezzogiorno – attraverso un’analisi mirata e integrata della materia pittorica e scrittoria residua, ed una restituzione computerizzata delle immagini, ai fini della corretta progettazione dell’intervento restaurativo. Strettamente connesso con tale indagine è lo studio dei materiali costituenti i substrati, quali lapidei naturali e artificiali

12

(ceramiche malte ed intonaci), carta e legno. Nell’ambito di tale programma, nel corso del 2002 fu stipulato un accordo formale con la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta, avente per fine lo studio di monumenti attinenti agli obiettivi del Centro. Fortuna volle che uno dei primi oggetti di studio del Centro fu proprio l’Ipogeo di Caivano per il quale furono pubblicati vari articoli e organizzati convegni. Orbene, non appena nella cerchia dell’Istituto di Studi Atellani si ebbe notizia di tale attività – per accorta segnalazione di un appassionato locale, l’Ing. Antimo Perfetto – immediatamente prendemmo contatto con l’Amministrazione di Caivano, egregiamente guidata dall’Ing. Domenico Semplice, e con il Prof. Carmine Colella in rappresentanza del Centro di Eccellenza, per organizzare un incontro di studio con l’obiettivo di far conoscere l’attività del Centro a riguardo dell’Ipogeo, di ravvivare la memoria quasi spenta a riguardo dello stesso e di sollecitare eventuali sponsorizzazioni tese al restauro ed alla salvaguardia di un monumento così importante. Il convegno, sostenuto dalla convinta adesione dell’Amministrazione Comunale e che ebbe notevole risonanza nei mezzi di comunicazione, fu celebrato in data 7 ottobre 2004 e gli eccellenti interventi dei qualificatissimi Relatori del Centro furono ascoltati da un pubblico attento e interessato. Ora a distanza di circa un anno da tale evento, con il sostegno rinnovato dell’Amministrazione Comunale, si è ritenuto opportuno e doveroso pubblicare gli atti di tale convegno, anche per avere una nuova occasione per ribadire e rafforzarne gli obiettivi. L’esito di tali azioni sarà nelle volontà di chi vorrà efficacemente perseguirli affinché si possa conseguire e rafforzare per noi stessi ma anche e soprattutto per i nostri discendenti la memoria e il valore della propria identità storica e culturale.

GIACINTO LIBERTINI

BIBLIOGRAFIA 1) G. Chouquer, M. Clavel-Lévêque, F. Favory, J. P. Vallat, Structures agraires en Italie centro-méridionale. Cadastres et paysage ruraux, (Collection Ecole Française de Rome, 100), Roma 1987. 2) O. Elia, L’ipogeo di Caivano, in Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXXIV, Milano 1931, coll. 421-492. 3) E. Laforgia, Rilevanza archeologica del territorio del Comune di Caivano, in Atti dei seminari: In cammino per le terre di Caivano e Crispano. La riconquista di una memoria storica e di un’identità, a cura di G. Libertini, Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore 2004. 4) G. Libertini, Persistenza di luoghi e toponimi nelle terre delle antiche città di Atella e Acerrae, Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore 1999. 5) S. M. Martini, Caivano. Storia, tradizioni e immagini, Nuove Edizioni, Napoli 1987. 6) F. Pezzella, Un secolo di ritrovamenti archeologici in tenimento di Caivano, in Rassegna storica dei Comuni, n. 114-115, n.s., settembre-dicembre 2002. 7) F. Pezzella, I vasi figurati di Caivano nel Museo Archeologico dell’Agro Atellano di Succivo, in Atti dei seminari: In cammino per le terre di Caivano e Crispano. La riconquista di una memoria storica e di un’identità, a cura di G. Libertini, Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore 2004.

13

Parte I – L’ipogeo di Caivano: inquadramento storico, tecniche di realizzazione, interpretazione (Mara Amodio, Giovanna Greco)

1. STORIA DEL MONUMENTO (G. G.)

Le circostanze del rinvenimento L’ipogeo di Caivano fu rinvenuto nel 1923 durante alcuni lavori di sterro nel giardino di proprietà del Sig. Simone Serrao in via Principessa Margherita n° 59, attualmente via Libertini. Si tratta di una tomba gentilizia, databile alla fine del I - inizi del II secolo d.C., che si configura come una camera a pianta quadrata, coperta con volta a botte su cornice aggettante, che presenta lungo le pareti tre letti funebri dove, secondo il rito dell’inumazione, erano deposti i defunti. L’interno è completamente affrescato ed è caratterizzato da un repertorio ricco e vario con paesaggi idillico-sacrali, vignette con nature morte (volatili associati a frutti, maschere, vasi agonistici), pinakes con coppie di volatili acquatici, oggetti vari sospesi ad esili nastri, balsamari, festoni, ghirlande, fiori, tralci vegetali (Figg. 1-25). La ricchezza della decorazione riflette l’elevato status sociale dei proprietari della tomba, di cui purtroppo non conosciamo l’identità, in quanto già al momento del rinvenimento non erano più leggibili le iscrizioni dipinte presenti sulla cornice aggettante della parete di fondo. La cospicua documentazione conservata nell’Archivio Corrente della Soprintendenza Archeologica delle province di Napoli e Caserta1, consente di ricostruire puntualmente la storia del monumento che, qualche anno dopo il rinvenimento, per ragioni conservative e di tutela, fu smontato e trasportato da Caivano a Napoli, dove fu rimontato nel cortile settentrionale del Museo Archeologico. Dalle comunicazioni ufficiali del Prefetto e del Maresciallo dei Carabinieri alla Soprintendenza, siamo informati sulle circostanze del rinvenimento. Il 30 gennaio del 1923, alcuni operai che lavoravano nel giardino di proprietà Serrao, a 1 metro e mezzo di profondità circa dal piano di calpestio, s’imbatterono in un muro che fu demolito e consentì così l’accesso ad una piccola scala in muratura che conduceva ad una tomba ipogea, posta a circa 5 m di profondità dal suolo2. La notizia del rinvenimento si diffuse immediatamente e subito dopo la camera funeraria fu visitata da numerosi curiosi. Quando, qualche ora dopo la scoperta, giunse sul posto il Maresciallo dei Carabinieri, erano già stati trafugati gli oggetti di corredo di cui, dopo accurate ricerche, furono recuperati tre balsamari in vetro ed una lucerna fittile, che però andò subito distrutta. Agli occhi del Maresciallo, quando entrò nell’ipogeo, oltre alle splendide pitture che decoravano le pareti e la volta a botte della camera sepolcrale, si presentarono dunque solo scarse tracce di tre cadaveri sui letti funebri che “mano a mano che penetrava l’aria nella tomba si polverizzavano”; uno degli scheletri (il primo a destra) aveva sul capo tracce di una corona d’alloro3. La notizia del rinvenimento fece scalpore, si diffusero “dicerie di ogni colore” relative al rinvenimento di vari sacchi di monete da parte dei primi scopritori; sui giornali arrivò la notizia che la tomba era appartenuta ad un attore delle famose commedie atellane4. Dati più attendibili e precisi sullo stato del monumento si ricavano dalla relazione tecnica redatta dal funzionario della Soprintendenza C. D’Avino che fu incaricato di effettuare il sopralluogo5. Furono inoltre realizzati, in scala 1:100, un rilievo planimetrico dell’ipogeo e alcune sezioni. Accanto alla descrizione dell’edificio, sono fornite, in tale resoconto, interessanti notazioni sulla tecnica costruttiva, sui materiali impiegati nonché qualche accenno alla stratigrafia. La costruzione era in opera incerta, composta da scaglie di tufo giallo vulcanico, rivestita da fine intonaco bianco; differivano i due stipiti del vano d’ingresso alla camera che erano costruiti in

1 Archivio Corrente della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta, Fasc. C1/1 (Caivano/Tomba antica in proprietà Simone Serrao) (d’ora in poi: ACSANC). 2 ACSANC, fasc. C1/1: Comunicazione del 17/2/1923 da parte del Prefetto alla Soprintendenza alle Antichità della Campania. 3 ACSANC, fasc. C1/1: Comunicazione del 15/2/1923 del Maresciallo dei Carabinieri della Stazione di Caivano alla Soprintendenza alle Antichità della Campania. 4 ACSANC, fasc. C1/1: Articolo del 14/2/1923 da “Il Mondo”. 5 ACSANC, fasc. C1/1: Lettera del 4/7/1923 di C. D’Avino al Direttore del Museo di Napoli con allegata la relazione tecnica sull’ipogeo.

14

pietre di tufo giallo squadrate e collocate a filari, e rivestiti di stucco bianco (spessore circa 2 mm). I tre letti addossati alle pareti, dove erano deposti gli scheletri, erano sempre in tufo, rivestiti esternamente da uno strato di mattoni pestati misti a calcina. Sulla sommità della gradinata da cui si accedeva alla camera, erano visibili le impronte degli stipiti di una porta in legno sulla scala; a ridosso di questa chiusura, dopo l’ultima inumazione, fu costruito un muro a secco (ovvero la struttura in cui si imbatterono i muratori al momento della scoperta) per proteggere la tomba dalla terra e per impedirne la profanazione; l’ipogeo dunque fu progressivamente interrato fino al piano di frequentazione dell’epoca. Nello scoprire dall’alto la camera sepolcrale si rilevò che la terra tra l’estradosso della volta e il piano di campagna era tutta rivoltata; per quanto riguarda i materiali, è menzionato solo un frammento di “piatto di terraglia con patina e manico”, con una figura femminile e sul retro un bollo, rinvenuto a circa 30 cm dalla sommità dell’ipogeo. Alcune indicazioni, per quanto sommarie, sulla stratigrafia, si possono ricavare da uno schizzo, allegato alla relazione tecnica, in cui è tracciata la sequenza accompagnata da una sintetica descrizione degli strati; il piano di frequentazione della tomba era caratterizzato da terra giallognola mista a lapilli, su cui si era depositato terreno sabbioso forse di origine alluvionale, e, in successione, due strati sottili di terra nera e poi scura, terra grigia mista a lapillo e infine uno spesso strato di terreno vegetale. La rimozione dell’ipogeo da Caivano e il trasporto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli Nei mesi successivi alla scoperta, per la preoccupazione della tutela e della conservazione del monumento, legata soprattutto al rischio di allagamento dell’ipogeo6, si decise di smontarlo e di trasportarlo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le modalità di esecuzione della complessa e ardita operazione di taglio e distacco delle pareti affrescate, si possono ricostruire puntualmente attraverso le note di pagamento dell’impresa incaricata dei lavori, i preventivi e i computi metrici ed estimativi7. Si ampliò innanzitutto lo scavo intorno all’ipogeo e fu necessario, per questo, intervenire sulla fondazione di un muro moderno che insisteva in parte sulla camera sepolcrale, costruendo due pilastri per sottofondazione. Un sistema ingegnoso fu messo a punto per effettuare il distacco degli affreschi. In primo luogo, all’interno dell’ipogeo, si posero dei teli sulle superfici affrescate per proteggere le pitture; si montarono poi delle casseforme di legno di abete sulle pareti, sulle lunette e sulla volta che fu centinata. Nello spazio tra gli affreschi (coperti dai teli) e l’ “impalcatura” lignea si effettuò una colata di gesso (di uno spessore medio all’incirca di 4 cm) per formare un sistema rigido con l’intonaco affrescato e renderne possibile il distacco dalla struttura muraria in tufo a cui aderiva. Si procedette poi, sul lato esterno, alla distruzione della muratura con scalpelli ben affilati, fino ad eliminare le irregolarità per creare una superficie liscia. Si collocarono anche all’esterno casseforme lignee e infine si effettuò il taglio delle murature, verosimilmente cominciando dalle due lunette, poi la volta e infine le pareti. I vari pezzi dell’ipogeo smontato, che raggiungeva il peso complessivo di circa 6 tonnellate, furono sistemati in 8 casse, e sollevate dal fondo del cavo mediante un castelletto in legno con il tiro verso l’alto dotato di una catena differenziale. Le casse furono caricate su due carri, ricoperte di Eternit per proteggerle eventualmente dalla pioggia durante il tragitto, all’epoca non breve, da Caivano a Napoli; esentate dalla visita doganale per la loro fragilità8, furono infine depositate nel Museo Nazionale di Napoli. Per i coniugi Serrao, che avevano ceduto alla Soprintendenza l’ipogeo rinvenuto nella loro proprietà9, fu proposto un indennizzo di 3000 lire, in proporzione al valore del monumento

6 ACSANC, fasc. C1/1: Lettera del 5/3/1923 della Soprintendenza alle Antichità della Campania al Ministero della Pubblica Istruzione; Lettera del 12/3/1923 della Soprintendenza al Sindaco di Caivano. 7 ACSANC, fasc. C1/1: Nota di pagamento del 14-4-1923 per i lavori eseguiti per la rimozione dell’ipogeo; Conto preventivo del 27/6/1923 per il distacco degli affreschi (minuta); Computo metrico ed estimativo del 20/12/1923 per i lavori suppletivi eseguiti per il distacco degli affreschi. 8 ACSANC, fasc. C1/1: Lettera del 18/5/1923 del Direttore del Museo di Napoli al Capo della Dogana. 9 ACSANC, fasc. C1/1: Contratto di cessione dell’ipogeo alla Soprintendenza alle Antichità della Campania risalente all’aprile 1924.

15

stimato intorno alle 8000 lire; fu inoltre accordato un risarcimento di 140 lire per i danni apportati al giardino durante le operazioni per la sua rimozione10.

Fig. 1: Volta

Fig. 2: Lunetta della parete d’ingresso

10 ACSANC, fasc. C1/1: Dichiarazione notarile del 25/6/1925 da parte dei coniugi Serrao in merito alla scoperta dell’ipogeo e alla sua valutazione con relativa richiesta di indennizzo; Richieste di indennizzo per i coniugi Serrao dell’ 11/9/1925 (per i danni apportati al giardino) e del 27/9/1925 (per la cessione dell’ipogeo).

16

Fig. 3: Lunetta della parete di fondo

Fig. 4: Parete d’ingresso

Fig. 5: Parete destra

17

Fig. 6: Parete sinistra

Fig. 7: Parete di fondo

Fig. 8: Restituzione grafica dello schema della volta

18

Fig. 9: Volta, paesaggio idillico-sacrale (C5)

Fig. 10: Volta, paesaggio idillico-sacrale (D5)

Figg. 11, a-c: Volta, volatili con frutta (C2, C4, C6)

Figg. 12, a-c: Volta, volatili con frutta (D2, D4, D6)

19

Figg. 13, a-b: Volta, maschere (C1, D1)

Figg. 14, a-b: Volta, vasi agonistici (C3, D3)

Fig. 15: Volta, pinax (C7b)

Fig. 16: Volta, pinax (D7b)

20

Fig. 17: Volta, pinax (B6b)

Fig. 18, a-b: Volta, pisside (B6a) e siringa (C7a)

Fig. 19: Volta, corno potorio (C7 c)

21

Fig. 20, a-b: Volta, motivi floreali (V4a, A5)

Fig. 21: Volta, ghirlande (V1)

Fig. 22: Volta, tralci vegetali (A2)

22

Fig. 23: Parete. Schema grafico del disegno

preparatorio realizzato ad incisione

Fig. 24: Volta. Schema grafico del disegno preparatorio realizzato ad incisione

23

Fig. 25: Volta. Schema grafico con distribuzione dei temi figurativi

La ricostruzione dell’ipogeo nel cortile del Museo Il progetto per la ricomposizione del monumento, con relativo preventivo, fu presentato nel mese di luglio dello stesso anno, ma fu approvato dal Ministero della Pubblica Istruzione, dopo un lungo iter burocratico, due anni dopo, nel luglio del 192511, grazie anche ai numerosi solleciti della Soprintendenza, dettati dalla preoccupazione per il deterioramento degli affreschi rinchiusi nelle casse12; passarono però quattro anni prima della concreta esecuzione del progetto, che avvenne tra i mesi di giugno e settembre del 1929 (Figg. 26-33, 40). Anche in questo caso dai preventivi e dalle note di pagamento si possono ricostruire le modalità e le fasi di ricostruzione dell’ipogeo13. Fu necessario innanzitutto sistemare il cortile del Museo dove furono abbattuti alcuni alberi ed effettuato uno scavo per realizzare il vano in cui collocare

11 ACSANC, fasc. C1/1: Comunicazione del 9/11/1925 da parte del Ministro della Pubblica Istruzione alla Soprintendenza alle Antichità della Campania in merito all’approvazione del progetto di ricostruzione dell’ipogeo. 12 ACSANC, fasc. C1/1: Biglietto urgente del 29/5/1923 al Ministro da parte del Soprintendente alle Antichità della Campania in merito al rischio di deterioramento degli affreschi dell’ipogeo stipati in casse di legno; Lettera del 20/8/1923 al Soprintendente da parte del Ministro che ritiene i lavori non urgenti e da fare in economia; Lettera del 15/9/1923 da parte della Soprintendenza al Ministro con richiesta di lavori di somma urgenza; Lettera del 9/10/1924 da parte del Soprintendente al Ministro per sollecitare l’approvazione del progetto per la ricostruzione dell’ipogeo, consegnato nel luglio 1923. 13 ACSANC, fasc. C1/1: Conto preventivo del 10/7/1923 per i lavori relativi alla ricostruzione dell’ipogeo; lettera del 14/7/1923 da parte del Direttore del Museo di Napoli al Genio Civile; Nota di pagamento del 14/6/1929 per i lavori eseguiti nel cortile del Museo; Nota di pagamento del 30/6/1929 per ulteriori lavori eseguiti nel cortile del Museo; Nota di pagamento del 24/9/1929 per i lavori eseguiti per la ricostruzione dell’ipogeo; Nota di pagamento del 28/9/1929 per lavori murari diversi eseguiti per la sistemazione della tomba detta di Caivano nel Museo Nazionale di Napoli e relativo collaudo.

24

la tomba. Sul fondo del cavo fu posta una platea di scheggioni vulcanici come base su cui erigere la camera sepolcrale, che sarebbe stata posta solo per metà sottoterra. Si costruirono dei muri perimetrali in tufo e all’interno di tale perimetro (creando un’intercapedine di 40 cm di larghezza) furono elevate le pareti della camera sepolcrale vera e propria realizzata con blocchi di tufo a due facce (stando al preventivo, provenienti da Casalnuovo); per isolare la camera e proteggerla dall’umidità, sui quattro muri del vano, furono poste lamine di piombo in corrispondenza dell’attacco delle parti di muratura originarie con le strutture moderne; si procedette poi al rimontaggio in opera completa degli stucchi e delle parti decorative con cemento a lenta presa.

Fig. 26: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Pianta

Fig. 27: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto della parete d’ingresso

25

Fig. 28: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto della parete destra

Fig. 29: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto della parete sinistra

Fig. 30: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto della parete di fondo

26

Fig. 31: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto del lato anteriore

Fig. 32: Pianta della struttura in cui è inglobato l’ipogeo di Caivano oggi

Fig. 33: Ipogeo di Caivano allo stato attuale. Prospetto del lato posteriore

27

Sono ben riconoscibili ancora oggi i punti di giunzione delle murature ricomposte, alle estremità laterali delle quattro pareti, presso le nicchie ricavate nello spessore della muratura e nella parte bassa dove, all’altezza dell’imposta dei letti funebri, sono visibili lamine di piombo; i tagli sono evidenti anche sull’arco delle due lunette e all’imposta della volta, dove fu rifatta ex novo, così come era in origine, la cornice aggettante in stucco. Anche i letti funebri addossati alle pareti e il banco con i tre gradini a destra dell’ingresso, furono ricostruiti in muratura di tufo e poi rivestiti con un battuto di cemento e cocciopesto; delle strutture originarie si conservarono solo il pulvino del letto di destra e parti di quelli degli altri due. Il piano pavimentale fu realizzato in battuto di cemento. Le strutture antistanti la camera sepolcrale da cui si accede al monumento, furono costruite ex novo in muratura di pietra e tufo e rivestite da intonaco bianco; la scala d’accesso all’ipogeo fu fatta in tufo; è invece originale la soglia della porta d’accesso con l’impronta del cardine. Fu infine impermeabilizzata la volta. La nicchia della parete di fondo fu trasformata in lucernario (Fig. 7). Il restauro degli affreschi negli anni ‘40 Gli unici interventi di cui abbiamo notizia dopo la sistemazione dell’ipogeo nel cortile del Museo risalgono al novembre del 1942 quando furono restaurati gli affreschi, che erano in cattivo stato di conservazione; si era verificata infatti una progressiva perdita del colore e in più punti l’intonaco era caduto. Si procedette dunque, secondo i metodi del tempo, al fissaggio delle pitture ponendo sulle superfici affrescate cera diluita con benzina, poi si eseguì il lavaggio con benzina assoluta sui fondi bianchi per sciogliere la patina di cera imbianchita e salnitro, che velava la decorazione; infine si spalmò uno strato di cera diluita con benzina14. La storia degli studi L’ipogeo di Caivano, negli anni immediatamente successivi al suo trasporto a Napoli, fu oggetto di un accurato studio da parte di Olga Elia, pubblicato nel 1931 nella serie dei Monumenti antichi della Real Accademia Nazionale dei Lincei15. Il contributo è ancora oggi fondamentale; infatti ad un’attenta analisi delle caratteristiche architettoniche e costruttive della camera sepolcrale e ad un’anatomica esegesi della decorazione (in cui si colgono rare imprecisioni), si accompagna un acuto inquadramento del monumento, supportato da un ampio ventaglio di confronti sia per l’architettura che per la decorazione dell’ipogeo. La datazione all’ultimo quarto del I sec. d.C., proposta dalla studiosa, è stata in seguito abbassata nell’ambito della prima metà del II secolo o poco oltre, in vari studi successivi a partire dagli anni ’30 fino a tempi recenti16. Il monumento però non è stato più oggetto di studi specifici ma è stato inserito in sintesi più ampie sulla pittura romana; è il caso ad esempio dell’opera di M. Napoli in cui l’ipogeo di Caivano, datato nell’ultimo ventennio del I sec. d.C., è considerato altamente rappresentativo dell’evoluzione della pittura allo scorcio del secolo, quando, pur conservandosi uno stretto legame con la tradizione pittorica ellenistico-romana, si preannuncia un nuova modalità espressiva caratterizzata dal progressivo allentarsi della sintassi compositiva, dal definitivo prevalere della pittura ad ampie macchie di colore e dall’emergere di un sostrato popolare17. Più di recente, pur nella stessa linea interpretativa, la cronologia è stata lievemente abbassata e circoscritta alla prima età traianea18. Alla luce del nostro studio, come vedremo, appare plausibile collocare la tomba negli anni finali del I secolo o al massimo agli inizi del successivo.

14 ACSANC, fasc. C1/1: Lettera del 24/11/1942 del Direttore del Museo Della Corte al Soprintendente con trasmissione della relazione del 20/11/1942 sui restauri agli affreschi dell’ipogeo effettuati da S. Uliano Conservatore di dipinti. 15 ELIA 1931, coll. 421-492. 16 Nel 1934 il Wirth propose una datazione oscillante tra il 130 e il 160 d.C. (WIRTH 1934, p. 88); la stessa Elia d’altra parte, quasi 20 anni dopo la pubblicazione del 1931, accennò all’ipogeo abbassandone la cronologia tra il 100 e il 150 d.C. (ELIA 1959, pp. 257-258). In anni più recenti è stata proposta una datazione ad età adrianea da H. Von Hesberg che menziona la tomba di Caivano nell’ambito della sua opera sui monumenti funerari romani (VON HESBERG 1989, p. 291 e pp. 94-112). 17 NAPOLI 1960, pp. 83-84. 18 BALDASSARRE et alii 2002, pp. 303-304. In tale pubblicazione si ipotizza una fase originaria, risalente ad età ellenistica, del sepolcro che sarebbe stato riutilizzato e completamente ridipinto in età romana; non vi sono dati che consentano, nel caso del monumento di Caivano, di supportare tale ipotesi, certamente suggestiva alla luce di un fenomeno ampiamente attestato ad esempio per gli ipogei napoletani (GRECO PONTRANDOLFO 1985, pp. 283-287).

28

Per la ricchezza e varietà del suo repertorio figurativo, l’ipogeo ha spesso attirato l’attenzione degli studiosi, in particolare per alcune peculiarità iconografiche come nel caso della scena di banchetto inserita nel paesaggio idillico-sacrale raffigurato nella lunetta della parete di fondo, ricca di molteplici valenze e variamente interpretata in relazione al contesto funerario in cui è inserita19. Manca invece una lettura complessiva del sistema decorativo dell’ipogeo che, per la scelta dei temi figurativi e per la loro posizione nello spazio, pone una serie di interessanti spunti rispetto alla vasta e complessa problematica del significato delle immagini nella pittura funeraria romana.

19 JASTRZEBOWSKA 1979, pp. 44-45; GHEDINI 1990, pp. 48-53; HOLS-MOORMAN 1993-94, p. 41.

29

2. IL CONTESTO TERRITORIALE: CAIVANO E L’AGRO ATELLANO (M. A.)

L’assenza di indagini più estese nell’area circostante il giardino dove fu casualmente rinvenuto, negli anni ’20, l’ipogeo di via Libertini a Caivano, impedisce di contestualizzare il monumento che si configura come una tomba gentilizia, appartenente ad una famiglia di notevole livello, collocata forse in un praedium privato (Figg. 34-35).

Fig. 34: Pianta di Caivano

Molto scarsi sono, in generale, i dati storici e archeologici relativi all’area in cui oggi sorge Caivano, cittadina a nord di Napoli posta nell’antico agro atellano1; è difficile dunque effettuare una ricostruzione puntuale delle vicende che interessarono il sito in età antica, per il cattivo stato della documentazione, dovuto all’assenza di indagini sistematiche e alla frequente dispersione, soprattutto in passato, di dati relativi a rinvenimenti casuali avvenuti in occasione di interventi edilizi o di lavori agricoli. In anni molto recenti notevoli progressi alle conoscenze sono stati però apportati dagli scavi stratigrafici effettuati nell’area, lungo la linea del Treno ad Alta Velocità (TAV) nella prima tratta che attraversa il Comune di Caivano. Le consistenti ed estese

1 Per le indagini archeologiche nell’area dell’antica Atella: BENCIVENGA TRILLMICH 1984; Ead. 1994.

30

indagini, eseguite dalla Soprintendenza Archeologica in collaborazione con la TAV a partire dal 2001, hanno fornito nuovi, interessanti dati per la ricostruzione della storia di questa porzione della piana campana2. Questi, ancora in corso di elaborazione, sono noti al momento solo in via preliminare.

Fig. 35: Territorio di Caivano

Le stratigrafie originali sono state purtroppo profondamente alterate dal continuo lavoro dei campi; i livelli di accumulo sono infatti scarsi in tutta l’area che è sostanzialmente pianeggiante. Si conservano dunque solo le evidenze archeologiche che hanno inciso di più nel sottosuolo come i grandi canali, le tombe e le fondazioni delle strutture; raramente si rinvengono muri in elevato o pavimenti. I risultati più interessanti riguardano la fase preistorica, puntualmente documentata nell’area grazie alla presenza di vari livelli eruttivi che hanno sigillato gli strati databili a tale epoca. E’ stato possibile, grazie alla collaborazione tra vulcanologi e archeologi, datare con maggiore precisione le eruzioni, e restringere spesso in archi di centinaia d’anni la datazione di reperti preistorici. Tra l’eruzione delle pomici di Avellino (1700 a.C.) e quella di Agnano-Montespina

2 LAFORGIA 2004, pp. 111-123.

31

(2400 a.C.) sono stati individuati livelli eruttivi intermedi che hanno consentito un’accurata periodizzazione dei livelli di frequentazione. Ben documentate le fasi del Bronzo Antico e del Bronzo Medio, quando il territorio era interessato da una frequentazione sparsa ma intensa. Le evidenze, presenti lungo tutto il tracciato, sono di vario tipo: un nucleo di tre capanne con un piccolo focolare e una macina in pietra; un fossato, a pareti inclinate e a fondo piano, con una serie di buche circolari in cui è stato rinvenuto materiale ceramico integro, forse deposto con funzione rituale; un villaggio dalla considerevole estensione, esplorato nell’area di S. Arcangelo, con capanne di forma rettangolare (12x5 m), orientate N-O/S-E, strutture circolari e numerosi focolari; nella stessa zona, a 200 m dal suddetto sito, sono state individuate altre due capanne rettangolari (6x9 m; 6 x10 m); nella parte nord del tracciato sono state rinvenute capanne di forma ellittica; ancora, un pozzo che presentava nel riempimento resti faunistici e abbondante materiale ceramico, e, in prossimità del fondo, 14 vasi integri, anche in questo caso probabilmente deposti con funzione rituale. Un altro insediamento esteso è stato localizzato più a sud dove sono stati rilevati resti di un abitato e probabilmente anche un quartiere di lavorazione con strutture circolari, tre grandi focolari, numerosi frammenti d’industria litica, ossa d’animali e macine3. Più lacunoso e discontinuo è il quadro delle conoscenze per le epoche successive. Una frequentazione dell’area alla fine del VI sec. a.C. è documentata solo da materiale residuo; nel riempimento di pozzi e canali d’età romana sono stati rinvenuti infatti oggetti votivi databili dall’età arcaica a quella ellenistica. Al V sec. a.C. furono datati alcuni materiali ceramici rinvenuti, nella prima metà del ‘900, nella zona più antica di Caivano, racchiusa tra le mura medievali, la cosiddetta Terra Murata (precisamente in quattro cortili adiacenti situati tra le attuali vie don Minzoni e Capogrosso)4. In quest’area dunque si è voluto localizzare un nucleo abitativo osco che si sarebbe insediato nel sito di Caivano, di cui non è noto il nome in antico. Il toponimo è attestato per la prima volta solo nel X secolo, epoca a cui risale il più antico documento di cui possediamo la trascrizione (datato precisamente al 943), in cui si fa riferimento a Caivano (in loco qui vocatur calbanum, in nominato loco calbanum)5. L’attendibilità della cronologia dei suddetti vasi, oggi purtroppo dispersi, non è verificabile. Una documentazione più ampia attesta invece la frequentazione del territorio nel IV secolo a.C., epoca a cui risalgono le necropoli rinvenute in più punti sul territorio, come quelle in contrada Padula, Cantaro, Fossa del Lupo, che hanno restituito ricchi corredi vascolari, con esemplari di produzione capuana e cumana6. Scarsi sono i dati sulle tombe rinvenute agli inizi del ‘900 nelle località “Cantaro” e Carditello; in quest’ultima, in particolare, alcuni contadini esplorarono un nucleo di 13 sepolture, a cassa in lastroni di tufo, con corredo di vasi figurati7. Meglio documentate le tombe esplorate nelle contrade Fossa del Lupo e Padula, i cui corredi, a lungo conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sono attualmente esposti nel Museo Archeologico dell’Agro Atellano a Succivo, di recente istituzione8. In località Fossa del Lupo, a nord-est dell’abitato di Caivano, una tomba a cassa di tufo fu rinvenuta, nel gennaio 1958, durante il lavori di pulizia del lago comunale, sulla sponda destra. Orientata est-ovest e profonda più di 2 m, presentava tra i materiali del corredo un frammento di cratere a campana attico a figure rosse, databile al secondo quarto del IV sec. a.C.; fu molto probabilmente violata in età romana9. Più consistenti le evidenze in località Padula (a 3 km da Acerra e 4 km da Orta d’Atella), dove una necropoli, composta da 21 sepolture, fu scoperta fortuitamente nel febbraio 1928, in un fondo di proprietà Cav. A. Cafaro. Sei tombe furono scavate clandestinamente prima dell’intervento della Soprintendenza alle Antichità della Campania, che riuscì però a recuperare i corredi funerari e completò l’indagine, esplorando altre 15 sepolture. Le tombe, rinvenute a 1,75 m di profondità dal piano di campagna, erano disposte su due linee parallele, con orientamento est-ovest. Varie erano le tipologie sepolcrali: a cassa, composte di lastroni di tufo

3 LAFORGIA 2004, pp. 116-118. 4 LIBERTINI 1999, p. 35; PEZZELLA 2002, pp. 1-2. 5 LIBERTINI 1999, pp. 35-36. 6 ELIA 1959, pp. 257-258; PEZZELLA 2002, pp. 1, 9-21. 7 ELIA 1931a, p. 577 nt. 1. 8 PEZZELLA 2004, pp. 124-129. 9 JOHANNOWSKY 1985, p. 328; PEZZELLA 2002, pp. 20-21; Id. 2004, pp. 127-128.

32

giallo e nero di provenienza locale (cave di Cardito o di Frattamaggiore); a fossa, con copertura con lastre di tufo o con tegole; o ancora con cassa e copertura in tegole. I defunti erano deposti direttamente sul terreno o sui lastroni, e accanto era posto il corredo funebre, composto da vasi e materiali in bronzo e in ferro. In base ai corredi, la necropoli è stata datata tra il 350 e il 330/320 a. C. I vasi figurati rinvenuti nelle tombe sono in gran parte attribuibili alla prima fabbrica di Capua; in due sepolture si rinvennero vasi figurati di origine cumana, segno dell’influenza culturale che la non lontana Cuma esercitava su Caivano, pur gravitando questa in ambito capuano10. L’insediamento d’altra parte si trovava lungo l’itinerario commerciale che dal Sannio Centrale (attuale beneventano) conduceva, passando per Suessula (presso l’odierna Cancello) e per il sito dell’attuale ponte di Casolla, proprio fino a Cuma. Caivano faceva parte del territorio di Atella, di cui seguì le alterne sorti. Tale centro infatti, nel corso del IV secolo a.C., assunse una connotazione urbana e visse una progressiva ascesa, in un momento storico in cui era ormai consolidata l’egemonia sannitica nell’area gravitante intorno alla polis di Capua: Atella, insieme agli altri centri del territorio, si legò a questa città in una confederazione. Nel corso della seconda metà del secolo, lo scontro con la politica espansionistica di Roma ebbe conseguenze negative per Atella che nel 338 a.C. fu ridotta in municipium e, in seguito, fu teatro di aspre battaglie dopo che nel 315/314 a.C., durante la seconda guerra sannitica, si schierò con i Sanniti contro Roma. Più tardi, durante la seconda guerra punica, la città pagò duramente, insieme con Capua e Calatia, la defezione da Roma, episodio che si concluse con la loro capitolazione nel 211 a. C. e che comportò la perdita per tali centri dell’autonomia amministrativa, la confisca dei territori e, nel caso di Atella, il trasferimento forzato di parte della popolazione a Calatia. A tali eventi è stata, in via di ipotesi, connessa l’etimologia del toponimo di Caivano (attestato, come abbiamo visto, solo nel X secolo), che sarebbe riconducibile al praedium Calavianum o Calvanium, ovvero podere della gens Calavia, famiglia di origine osca tra le più importanti a Capua nel IV-III secolo a. C., cui forse fu assegnata la proprietà del preesistente villaggio o di terre vicine, per la fedeltà mostrata a Roma durante la seconda guerra punica. Come racconta Livio (Ab urbe condita, XXIII, 2-10), infatti, al momento dell’alleanza tra Annibale e Capua, retta da Pacuvius membro della gens Calavia, molti capuani (tra cui alcuni membri della sua famiglia con suo figlio) si erano dichiarati contrari all’alleanza con Annibale ed erano rimasti dalla parte dei romani11. Non sono note le vicende che coinvolsero l’area negli ultimi secoli della repubblica; alla metà del I secolo a.C. ritroviamo Atella, organizzata amministrativamente come municipium, che ha riacquistato vitalità in virtù anche della sua favorevole posizione nella rete viaria campana che dall'interno conduceva alla costa, sulla via Capua-Neapolim. Pochissimo sappiamo sulla città in età imperiale (fonti di età tiberiana citano l’esistenza di un anfiteatro non ancora però individuato). Ancor meno si conosce di Caivano, anche se gli scavi recenti della TAV hanno fornito vari dati per l’età repubblicana, nonostante gli interventi di età imperiale abbiano nella maggior parte dei casi distrutto i livelli risalenti a quest’epoca. Le evidenze infatti consistono in canali che hanno inciso il banco cineritico dell’eruzione di Avellino (1700 a.C.) o in materiali ceramici databili tra il III e il II secolo a.C., rinvenuti nel terreno di riempimento di alcuni pozzi più tardi. I canali, individuati in più punti del tracciato, sono orientati in genere NO/SE; stretti e caratterizzati da pareti inclinate e fondo piatto, avevano la funzione di captare le acque superficiali per l’irrigazione dei campi coltivati. Equidistanti, paralleli e in parte collegati, costituivano un’importante rete per lo sfruttamento agricolo dei terreni ed erano forse realizzati secondo un modulo per la parcellizzazione del territorio, come si è riscontrato nella parte nord della piana campana. Negli strati di riempimento sono stati rinvenuti materiali di fine II-I secolo a.C. Uno dei canali, un lungo fossato di forma trapezoidale, è stato seguito per 200 m; il riempimento, databile al I secolo a.C., era costituito da terreno scuro, con sostanze organiche e abbondante ceramica, tra cui frammenti di ceramica campana a vernice nera12. Sappiamo d’altra parte che all’epoca dei Gracchi il territorio caivanese fu oggetto di un intervento di centuriazione (Ager Campanus I, circa 133 a. C.) che sembra aver influenzato,

10 ELIA 1931a, pp. 577-614; D’HENRY 1985, pp. 321-327; GIAMPAOLA-D’HENRY 1986, pp. 277-279; PEZZELLA 2002, pp. 9-20; Id. 2004, pp. 124-127. 11 LIBERTINI 1999, p. 35; PEZZELLA 2002, pp. 1-2. 12 LAFORGIA 2004, pp. 115-116.

33

successivamente, la collocazione delle chiese e della torre del castello; una seconda centuriazione fu effettuata in età augustea (Acerrae-Atella I)13. In prossimità di uno dei cardini della centuriazione d’età graccana14 si colloca l’ipogeo di via Libertini, databile alla fine del I-inizi del II secolo, che ora, grazie ai recenti scavi della TAV, è possibile inserire in un contesto di evidenze più articolate nel territorio. Le indagini recenti hanno consentito infatti di intercettare lungo tutto il tracciato una serie di ville rustiche, sorte in età repubblicana, ristrutturate in età alto-imperiale, e con una continuità d’uso fino in età tardo-antica, quando talora si utilizza solo una parte dei complessi abitativi, alcuni ambienti sono spogliati degli arredi, in altri si trovano sepolture; l’abbandono definitivo delle strutture si colloca in genere nel VII-VIII secolo15. Al II-I sec. a.C. si datano i resti di una villa rustica che presenta la fase più consistente nel I sec. d.C. ed è distrutta poi da un incendio nel III sec. d.C. Restano vasche colmate con materiale costruttivo, frammenti di pavimenti in signinum e ceramica, tra cui anfore vinarie campane del I sec. d.C. All’ultima fase risalgono 7 sepolture rinvenute nelle aree circostanti, del tipo a enchytrismòs per bambini, e a cappuccina per gli adulti. Un insieme di strutture pertinenti sempre ad un insediamento rustico è stato indagato in località S. Arcangelo, a 2 km a nord-est di Caivano. Un ambiente rettangolare e una struttura circolare, di 21 m di diametro, in opera incerta di tufo giallo, erano probabilmente parte di un’area a cielo aperto, forse destinata agli animali. Sono stati rinvenuti altri ambienti, di cui tre collegati tra loro da una canaletta, ma purtroppo la lettura è compromessa dai lavori agricoli; una serie di stratificazioni hanno inoltre alterato le strutture e in più punti la muratura è distrutta per la realizzazione di fossi e canali. L’abbandono del complesso si data anche in questo caso al VII secolo d.C. in base ai materiali rinvenuti nel riempimento dei pozzi. Non è più dunque un episodio isolato il complesso indagato alcuni anni fa, non lontano, nei pressi dei ruderi del castello longobardo di Sant’Arcangelo, dove sono stati rinvenuti i resti di una villa che, sorta nella prima metà del II secolo d.C., presenta varie fasi di ristrutturazione in età medio e tardo-imperiale fino all’abbandono nel VI-VII secolo16. Un’altra villa è stata individuata al confine con Afragola (nel settore sud del lotto 11). Una prima fase di frequentazione è collocabile nel I sec. d.C. in base a materiali ceramici residuali. La fase dell’edificio meglio documentata è quella della ristrutturazione tardo-antica, quando sono attestati apprestamenti produttivi, come una vasca rivestita di cocciopesto per la decantazione dell’olio e un pozzo che ha restituito nel riempimento materiale di IV-V d.C.; le strutture sono poi spogliate, in una fase successiva, quando si realizza un ambiente destinato a contenere dolii (di cui resta solo impronta sul terreno) e si utilizzano pozzi realizzati in strutture preesistenti. L’abbandono avviene tra VI e VII secolo come mostra il rinvenimento di ceramica dipinta a bande e ceramica comune steccata di produzione campana. Legata a questa villa è una piccola necropoli, composta da 32 tombe, sorta intorno al IV-V secolo, quando il complesso è ormai in disuso. Le sepolture di bambini sono anche in questo caso a enchytrismòs, in anfore olearie di produzione africana, quelle di adulti in fossa terragna o a cassa di tegole. I corredi poveri ed omogenei, sono in ceramica comune databile al IV-VI sec. d.C., talora associati a monete di bronzo o a lucerne. L’utilizzo della necropoli comincia quando la villa è in disuso, intorno al IV-V secolo. I recenti rinvenimenti forniscono nuovi elementi per tentare di ricostruire l’assetto topografico del territorio caivanese in età romana (e non solo). Monumenti rinvenuti in passato come la villa di S. Arcangelo o l’ipogeo di Caivano non risultano dunque più isolati ma si collocano in un contesto di ville rustiche, che erano frequenti e distribuite nell’intero agro atellano. Accanto a questi complessi abitativi e produttivi, sono attestate nell’area tombe a camera, come quella di via Libertini, caratterizzata da una lussuosa decorazione dipinta, o gli altri ipogei simili rinvenuti in località “Masseria Scarrupata” o a S. Arpino17 (cfr. infra cap. 3). Le pregiate tombe e le ricche dimore restituiscono un quadro sociale in cui un ruolo rilevante è rivestito da agiati proprietari terrieri, che traevano evidentemente ingenti ricchezze dalla produzione e dallo scambio dei prodotti agricoli provenienti dai loro fondi.

13 LIBERTINI 1999, pp. 35-41; CHOUQUER et alii 1987, pp. 198-209, 224-231. 14 LIBERTINI 1999, p. 37. 15 LAFORGIA 2004, pp. 112-116. 16 PEZZELLA 2002, pp. 21-25. 17 ELIA 1931a, p. 577 nt. 1; BENCIVENGA TRILLMICH 1984, pp. 8-10.

34

3. ARCHITETTURA E TECNICA COSTRUTTIVA. CONFRONTI E PARALLELI (M. A.)

L’ipogeo di via Libertini a Caivano è una tomba privata familiare, caratterizzata da una struttura architettonica molto semplice. A cella unica, vi si accedeva attraverso una porta in legno (di cui furono trovate le impronte degli stipiti) ed un corridoio a gradinata in due piani, ricoperti da due piccole volte digradanti; nell’originaria posizione, tale scala metteva in comunicazione l’interno del sepolcro con l’antico piano di campagna. Al momento del rinvenimento l’accesso alla camera era ostruito da un muretto a secco eretto davanti alla porta, dopo che fu effettuata l’ultima sepoltura. Al suo stato attuale l’ipogeo, trasferito da Caivano a Napoli e ricostruito nel cortile del Museo Archeologico, rispecchia la forma e le dimensioni originarie del monumento1 (Figg. 26-30). La camera ha pianta quadrata (lato: 3,60 m) e volta a botte (3,30 m di h dal piano pavimentale), impostata su una cornice di stucco aggettante (per 0,05 m circa) dalla sagoma semplicissima, che corre su tutti e quattro i lati. L’ambiente in origine era costruito, così come il corridoio d’accesso, in opera incerta di scaglie di tufo giallo, eccetto i due stipiti del vano d’ingresso, eseguiti a filari regolari di conci di tufo; il pavimento era in cocciopesto. Tre letti funerari sono addossati alle pareti, ad eccezione di quella d’ingresso; in corrispondenza di ciascuno di essi, è visibile in alto una nicchia quadrata (misura: largh. 0,45 cm; profondità 0, 27 cm), tagliata nello spessore della muratura (a 0,80 m circa dal piano dei letti); questa termina al di sotto della cornice aggettante e interrompe così la fascia orizzontale dipinta che inquadra in alto le pareti. I letti (h da terra 0,50 m x lungh. 2,40/2,50 m x largh. 1,10 m), su cui erano direttamente collocati i corpi dei defunti, erano in tufo, rivestiti da uno strato di cocciopesto e calce; di sagoma semplicissima, presentano ciascuno un rialzo in forma di pulvino. Sulla parete a destra di chi entra, è addossato al letto un podio di tufo (lungh. 1,30 x largh. 0,70 m x h 0,80 m) che presenta, a lato, tre gradini; tale banco era utilizzato come piano di posa per la suppellettile adoperata nelle cerimonie funebri2. Sul margine esterno dei letti che si fronteggiano, addossati alle pareti a sinistra (C) e a destra (D) di chi entra, erano presenti degli incavi, non riprodotti nella ricostruzione del monumento; questi, di forma quadrata, erano collocati alla stessa altezza e costituivano probabilmente incassature per due sbarre lignee disposte nello spazio libero tra i letti, adoperate per sostenere una tavola asportabile forse utilizzata come mensa3. L’ipogeo di Caivano, databile alla fine del I secolo d.C., rientra nel tipo della tomba a camera con letti funebri, che ha una lunga tradizione in Campania, in età ellenistica e romana, e gode di fortuna fino ad età imperiale, conservando immutati nel tempo alcuni caratteri formali e tettonici. Varie attestazioni si ritrovano in età alto-imperiale, quando un confronto particolarmente stringente si può istituire con una camera sepolcrale rinvenuta nei dintorni di Caivano, nella via verso Cardito, in località “Masseria scarrupata”, databile nel I secolo; si tratta di un ambiente funerario, in opera reticolata, molto simile per dimensioni e struttura alla tomba di via Libertini. A pianta quadrata (lato: 3,65 m), presentava tre letti funebri ed una mensa ed era coperto da una volta impostata su una cornice aggettante; interessante il particolare del rinvenimento sulla cornice, adoperata come mensola, di balsamari in ceramica pseudo-aretina e in vetro, e di alcune lucerne4. Non sappiamo se la cornice dell’ipogeo di via Libertini avesse la stessa funzione in quanto questo, subito dopo la scoperta, fu violato e manomesso da numerosi curiosi. L’uso di tali cornici come mensole è comunque diffuso ed è una tradizione che risale sino ad età ellenistica, come mostrano alcuni ipogei napoletani, su cui torneremo, databili tra l’ultimo

1 All’epoca del rinvenimento, quando l’ipogeo era ancora in situ, furono realizzati una planimetria e alcune sezioni pubblicate poi da O. Elia (ELIA 1931, figg. 1-3). Nel 2002 è stata effettuata una nuova e completa documentazione grafica del monumento come si presenta attualmente dopo il suo trasferimento a Napoli nel cortile del Museo; si tratta di una pianta e quattro sezioni prospettiche dell’interno, una pianta dell’ipogeo e della struttura in cui è inserito e quattro prospetti esterni. 2 Si veda: ELIA 1931, col. 461. 3 Sono presenti nel rilievo pubblicato da O. Elia: Ead. 1931, fig. 1; per una breve descrizione di tali incavi ed un’ipotesi sulla loro funzione si veda: ibidem, coll. 427, 460-461. 4 Si dà notizia della tomba in: ELIA 1931, col. 422 nota 2.

35

quarto del IV e la metà del III secolo a.C.; statuette fittili erano poggiate infatti sulle cornici nelle camere sepolcrali in via S. Giovanni a Carbonara e vicino Porta S. Gennaro5, mentre melograni, mele e pere in terracotta furono rinvenuti nella stessa posizione in uno degli ambienti funerari di via Cristallini6; anche a Cuma, nell’ipogeo del fondo Palumbo in contrada Palombara la suppellettile funebre era deposta sulla cornice-mensola7. Si ricollega a tale usanza, come vedremo, la rappresentazione figurata di frutti di vario tipo nelle fasce al di sopra della cornice, motivo diffuso nelle tombe figurate di pieno IV secolo a.C. rinvenute a Capua, Paestum, Nola, Cuma e attestato a Napoli in una delle camere funerarie ellenistiche scoperte in via S. Maria Antesaecula e nell’ipogeo di Epilutos in via Foria (su cui torneremo)8. In tale tradizione si inserisce la tomba di Caivano dove, nel fregio dipinto che corre al di sopra della cornice, sono raffigurate coppie di frutti aurei. Un ipogeo simile a quello di via Libertini, sempre in territorio atellano, è attestato a S. Arpino, subito a sud dell’antica Atella, non lontano dal moderno cimitero, ed è datato tra l’inoltrato I secolo d.C. e la prima metà del II. La camera in opera reticolata, con accesso mediante un corridoio a gradinata, ha pianta quadrata (lato 3 m), volta a botte, e presenta presso le pareti due banchine di deposizione in conglomerato cementizio rivestito di cocciopesto; le pareti, intonacate di bianco, hanno lo zoccolo dipinto in azzurro9 (Fig. 36).

Fig. 36: Ipogeo di S. Arpino (da Bencivenga Trillmich 1984)

Alcune tombe a camera d’età imperiale sono attestate nel tratto tra Capua e S. Maria Capua Vetere, presso il cimitero di Capua, in un’area a sinistra della via Appia, e costituiscono un interessante termine di confronto per l’ipogeo di via Libertini. Analogie dal punto di vista architettonico si rilevano in particolare in una tomba che ha pianta quadrata (lato: 2,38 m), volta

5 VECCHIO 1985, n. 78, pp. 288-289; n. 81, p. 290. 6 VECCHIO 1985, n. 82, pp. 290-291. 7 ELIA 1931, coll, 454-455. 8 VECCHIO 1985, n. 79 a p. 289, e n. 84 a p. 292. 9 BENCIVENGA TRILLMICH 1984, pp. 8-10.

36

a botte ed un letto funebre addossato alla parete di fondo su cui, come a Caivano, furono rinvenuti i resti del defunto deposto direttamente sulla kline. Altro elemento in comune è la piccola nicchia (h 0,52 x largh. 0,42 x profondità 0,42 m) che si apre, sopra al letto, al centro della parete; di forma arcuata, conteneva i resti di un’olla cineraria; altre olle con ceneri erano deposte sul letto accanto al defunto, lungo la parete (Fig. 37).

Fig. 37: Tomba a camera rinvenuta tra Capua e S. Maria Capua Vetere (da Carettoni 1943)

Non sappiamo se anche le nicchie presenti sopra i tre letti funebri nell’ipogeo di via Libertini fossero destinate ad accogliere cinerari; in realtà, all’epoca del rinvenimento, non fu riscontrata alcuna traccia di urne o ceneri per cui, considerata anche la loro minore profondità, appare più probabile che in esse, secondo un’usanza diffusa, fosse deposta suppellettile votiva10. Tale funzione rivestivano le nicchie delle tombe a camera della necropoli di fondo Gradavola a Teano, databili tra l’ultimo quarto del IV secolo a.C. e i primi decenni del III a.C. (nella tomba 67, un po’ più tarda, vari oggetti furono rinvenuti ancora in situ)11, quelle della tomba a tholos di fondo Artiaco a Cuma datata agli inizi del III a.C.12, e probabilmente anche le nicchie della tomba a camera di S. Antonio Abbate, su cui torneremo, collocabile in età imperiale13. In genere però, in epoca romana, in tali spazi si ritrovano cinerari come nella tomba di Capua che, a differenza di quella caivanese, non è ipogea ed è priva di decorazione all’interno; un semplice strato d’intonaco rivestiva la struttura muraria in opera cementizia. Non vi sono elementi cronologici precisi per datare il monumento (è perduta infatti l’iscrizione che, posta all’esterno, ne ricordava i proprietari), collocato dallo scopritore in età imperiale, non prima del II secolo d.C.14

10 Si veda a tal proposito: ELIA 1931, coll. 460-461. 11 GABRICI 1910, coll. 5-151, part. coll. 22-25. 12 PELLEGRINI 1903, coll. 210-225. 13 ELIA 1961, pp. 184-188. 14 CARETTONI 1943, pp. 143-144.

37

Al I secolo è stata datata invece un’altra camera funeraria rinvenuta nella stessa zona (a un centinaio di metri dalla prima), purtroppo interamente spoglia perché violata e devastata in passato. La tomba è ipogea, ha pianta rettangolare (4,20 x 3,30 m), coperta da una volta impostata su una cornice a stucco in rilievo. Una nicchia arcuata, destinata ad accogliere l’olla cineraria, si apre al centro delle pareti laterali, mentre nella parete di fondo le nicchie sono due e si trovano ai lati di una piccola finestra. Una peculiarità architettonica è costituita dal vestibolo che dà accesso alla camera, ovvero un vano lungo e stretto con ripida scala (ipogeo o semi-ipogeo) in cui era ricavato un pozzetto da cui trarre l’acqua per le cerimonie funebri che vi si svolgevano. Il monumento era costruito in opera cementizia a grosse scaglie di pietra, con stipiti e piattabanda della porta in laterizi, e un muro in reticolato a cui era addossata la scala; presentava all’interno, come l’ipogeo di Caivano, una decorazione dipinta di cui restano varie tracce. Una fascia rossa corre sopra la cornice e, nella parte sottostante, pannelli a fondo rosso alternati a fasce gialle scandiscono la parete, delimitata in basso da un’ampia zoccolatura nera; in due pannelli sono visibili due figure stanti di cui è perduto il volto15 (Fig. 38).

Fig. 38: Ipogeo rinvenuto tra Capua e S. Maria Capua Vetere (da Carettoni 1943)

Una decorazione dipinta all’interno è attestata anche nella tomba a camera rinvenuta a S. Antonio Abbate, nel napoletano, collocabile sempre in epoca imperiale, forse in età adrianea. Si tratta, come nel caso dell’ipogeo di Caivano, di una tomba privata familiare, costituita da una camera quadrata (lato: 4,52 m), con volta a sesto ribassato in cui erano collocate due casse in blocchi di tufo con copertura ‘a schiena’. Su ciascuna parete sono presenti tre nicchie (tranne in quella d’ingresso dove ve ne sono due), una centrale di forma rettangolare, che conteneva l’urna cineraria, due laterali arcuate, poco profonde (0, 30 m), destinate, come si è ipotizzato per le nicchie dell’ipogeo di via Libertini, ad accogliere oggetti votivi. La tomba, costruita in opera incerta con paramenti in laterizi alternati a filari di tufelli, conserva scarse tracce della decorazione dipinta; sono visibili ramoscelli con melograni nella volta e, alle pareti, festoni a cui sono sospesi reticula con noci di cocco, probabile allusione ad un legame del defunto con l’Africa16. A questi esempi campani d’età alto-imperiale, possiamo aggiungere la documentazione delle necropoli extra-urbane di Pompei, dove tale tipologia funeraria è più rara, mentre sono più diffusi i colombari. Alcune attestazioni si ritrovano nella necropoli di Porta Nocera, con il gruppo di camere del fondo Pacifico Arpaia17 e la tomba 2 EN18. Quest’ultima, datata in età

15 CARETTONI 1943, pp. 144-146. 16 ELIA 1961, pp. 184-188. 17 SOGLIANO 1886, pp. 33-41, 452-458; Id. 1887, pp. 334-337.

38

tardo neroniano-flavia, si configura come una camera rettangolare, semi-ipogea, con volta a botte impostata su una mensola; presenta tre nicchie in ognuno dei lati lunghi e due sul lato corto opposto all’ingresso, destinate ad ossuari (in una di esse ne furono trovati frammenti). La decorazione delle superfici interne, rivestite di intonaco bianco e dipinte, costituisce, come vedremo, un interessante confronto con gli affreschi di Caivano, in particolare per la volta (Fig. 48).

Fig. 39: Ipogeo di Caivano. Ricostruzione tridimensionale

Gli esempi citati mostrano come, nei primi secoli dell’Impero, sia diffuso nella regione il tipo della tomba a camera con pianta quadrata o rettangolare, volta a botte (o, più raramente, a sesto ribassato), cornice aggettante, letti funebri (in alcuni casi sarcofagi) e nicchie alle pareti (in numero variabile da una a tre per lato). Questa tipologia sepolcrale, di cui l’ipogeo di via Libertini rispecchia a pieno le caratteristiche, è diffusa in Campania sin dal IV-III secolo a.C. come mostrano gli esempi di Napoli e di Cuma, in cui sono già presenti alcuni caratteri formali che ritroveremo poi in età romana.

Figg. 40, a-c: Museo Archeologico Nazionale di Napoli, cortile settentrionale. Ipogeo di Caivano, la volta dall’esterno.

Camere funerarie, a pianta rettangolare coperte da una volta a botte che si innesta al di sopra di una cornice a listello, sono ampiamente attestate a Napoli dalla fine del IV secolo a.C. e si concentrano in particolare nell’area extra-urbana settentrionale (fuori Porta S. Gennaro, a via Foria, nel borgo dei Vergini e alla Sanità). Si tratta di ipogei, a deposizione plurima, con inumati collocati in sarcofagi incavati nel tufo, disposti in numero variabile lungo le pareti; mediante un dromos a gradoni si accede alla camera sepolcrale, che può essere preceduta da un vestibolo; in alcuni casi, questo è sovrapposto alla cella e non è in asse con essa, come in via Cristallini dove la camera superiore appare destinata alle offerte e alle cerimonie funebri. Spesso i sepolcri sono composti da più celle funerarie; decorazioni pittoriche non figurate sono presenti talora sulle pareti tra i letti e il listello di imposta della volta. Questi ipogei, realizzati tra l’ultimo quarto del IV sec. a.C. e la metà del III sec. a.C., sono riutilizzati fino ad età romana, fase a cui risalgono

18 D’AMBROSIO-DE CARO 1983, scheda 2 EN.

39

numerose iscrizioni, rilievi con scene di commiato, urne cinerarie collocate in nicchie ricavate successivamente nelle pareti19. Non è possibile istituire un confronto immediato tra queste tombe napoletane e l’ipogeo di via Libertini per la distanza cronologica e le evidenti differenze nella tecnica costruttiva, A Napoli infatti gli ipogei sono in genere scavati nel banco tufaceo o, più raramente, costruiti in muratura di blocchi di tufo, come la tomba rinvenuta in via Fuori Porta S. Gennaro n° 1020 o quella posta in Largo S. Maria La Nova (che si trova isolata in un’area fuori le mura ad ovest), realizzata in blocchi parallelepipedi messi in opera senza malta21. Per la semplicità della struttura planimetrica della cella associata ad un androne con scala, però, la tomba di Caivano richiama alla mente gli ipogei di vico Traetta e quelli rinvenuti negli anni ’20 in via Foria n° 3, durante gli scavi della Direttissima Napoli-Roma22. Le tre tombe meglio conservate dell’ampia rete di camere sepolcrali scavate nel banco tufaceo in vico Traetta, presentano pianta rettangolare, volta a botte a sesto ribassato, cornice all’imposta della volta, sarcofagi ricavati nel tufo, allineati lungo le pareti, ed un ingresso preceduto da un portico e una scala23. Le due camere sepolcrali in via Foria n° 3, scavate anch’esse nel tufo, hanno entrambe pianta rettangolare, volta a botte e una cornice all’imposta della volta; 6 o 8 sarcofagi, scavati nel tufo, erano disposti lungo le pareti; tramite 9 gradini si accedeva all’ipogeo cd. “di Epichares”, dal nome della proprietaria della tomba ricordata in un’iscrizione graffita e dipinta datata al IV sec. a.C., riferibile al primo momento d’uso del sepolcro. Una scala di 7 gradini ed un breve dromos costituivano invece l’entrata all’ipogeo cd. “di Epilutos”, sacerdote di Cesare Augusto, ricordato in un’iscrizione che, insieme ad altre evidenze, testimonia il riutilizzo di queste tombe fino ad età imperiale; sopra la cornice, come abbiamo già accennato, correva un fregio dipinto con frutti e offerte varie (grappoli d’uva, melograni, pigne, pomi, uova), motivo iconografico ripreso poi a Caivano24. La persistenza nel tempo di alcuni elementi architettonici e decorativi comporta una certa difficoltà a datare questi monumenti, in assenza di elementi cronologici precisi. Nel caso di Napoli per molto tempo tali tombe a camera, riutilizzate a lungo in antico, sono state considerate d’età romana, in base all’epigrafia e ai materiali in esse rinvenuti. Un riesame complessivo della documentazione, che ha tenuto conto di vari aspetti e ne ha correlato l’analisi (architettura, tecnica costruttiva, programma decorativo, iscrizioni, corredi), ha consentito di fissare l’introduzione di questa tipologia sepolcrale in città intorno all’ultimo quarto del IV secolo a.C. e di datare l’originario impianto di gran parte degli ipogei appunto tra la fine del IV secolo e la metà del III secolo a.C.25 In altri casi, invece, per camere sepolcrali scoperte a fine ‘800 in altre zone di Napoli e poi distrutte, è difficile, sulla base dei pochi elementi noti, verificare le datazioni proposte in passato, all’epoca degli scavi. Talora accenni ai materiali in esse rinvenuti forniscono alcuni indizi cronologici che possono riportare però, come abbiamo visto, a fasi di utilizzo anche successivo delle tombe e non risalgono necessariamente al momento della fondazione. Ad età augusteo-tiberiana si data una tazza con bollo in sigillata aretina ricordata, insieme a vasi in vetro e ad una figurina femminile, tra i materiali scoperti in un ipogeo scavato nel tufo, scoperto nel 1893 a Capodimonte in borgata Moiariello, nella villa dell’On. Comin. La tomba, che fu attribuita alla fine dell’età repubblicana, era a pianta trapezoidale e aveva un androne ed un vestibolo d’accesso sopraelevato rispetto alla camera funeraria; nella cella era un’alcova con due tombe su un podio, di cui una sola era stata utilizzata; una nicchia quadrata era visibile nella parete26. Di altri ipogei scavati nel tufo, dello stesso tipo, che furono scoperti nei dintorni, si ha solo una vaga notizia. Lungo il versante sud-orientale della città, nell’attuale corso Umberto I,

19 Sugli ipogei napoletani: GRECO PONTRANDOLFO 1985, pp. 283-287; PONTRANDOLFO 1986, pp. 255-271, part. 267-271. 20 VECCHIO 1985, n. 80, pp. 289-290. 21 VECCHIO 1985, n. 77, pp. 287-288. 22 Si veda a tal proposito: ELIA 1931, col. 460. 23 VECCHIO 1985, n. 83, pp. 291-292. 24 VECCHIO 1985, n. 79, p. 289. 25 Si vedano i contributi già citati: GRECO PONTRANDOLFO 1985, pp. 283-287; PONTRANDOLFO 1986, pp. 255-271, part. 267-271. 26 VIOLA 1893, pp. 525-526. L’attribuzione alla fine dell’età repubblicana si deve a E. Gabrici; si veda in proposito: ELIA 1931, col. 457 nt. 1.

40

sono inoltre attestate varie camere sepolcrali, purtroppo non ben documentate, costruite in muratura di tufo, in tecniche diverse, come quelle scoperte sotto la chiesa dell’Annunziata nel XVIII secolo, o quelle in via della Maddalena, di cui solo due furono esplorate27. Una di esse era costruita in opera isodoma con quadrelli di tufo regolarmente disposti e coperta da volta a botte, realizzata con piccole pietre irregolari di tufo. Le pareti interne erano rivestite di intonaco bianco e suddivise in riquadri da fasce verticali rosse. Alle pareti già dipinte si addossarono tre tombe in muratura, in corrispondenza delle quali erano le iscrizioni funerarie (conservate in due casi ancora in situ), che sono state datate di recente tra la fine del I e il II sec.d.C.28 Incertezza nelle attribuzioni cronologiche si riscontra nella necropoli di Cuma, che ha una lunga e complessa stratificazione; qui il tipo di tomba a camera a pianta rettangolare, con volta a botte e letti funebri alle pareti è ampiamente attestato; anche in questo caso, però, le tombe sono state riutilizzate in antico, e spesso violate e manomesse fino ad epoche recenti29. L’ipogeo del fondo Palumbo, in contrada Palombara, scavato a fine ‘800, segnerebbe l’introduzione a Cuma di questa tipologia funeraria. La camera ha pianta quadrata, volta a botte e cornice aggettante, su cui, come abbiamo già accennato, era deposta la suppellettile funebre. Avanzi di scheletri inumati e di ossa cremate furono rinvenuti sui due letti addossati alle pareti, forniti all’estremità di un pulvino. La camera, costruita in lastroni di tufo connessi senza cemento, era rivestita d’intonaco bianco e presentava sulla lunetta un rosone o un clipeo dipinto30. La datazione dell’ipogeo, collocata da E. Stevens che lo scavò, nella metà del II secolo a.C., è stata poi anticipata agli inizi del III secolo a.C. in base al confronto nella tecnica costruttiva con un altro esemplare cumano, la famosa tomba a cupola del fondo Artiaco31. Costruita in filari di blocchi di tufo, a pianta circolare e con vano d’ingresso ad arco, la tomba presenta, al di sotto del piano d’imposta della volta, nove nicchie alle pareti, poco profonde (h 0,45 x largh. 0,35 x profondità 0,10 m), sotto alle quali corre una cornice aggettante. Per la singolarità della struttura planimetrica, la tomba a tholos di fondo Artiaco costituisce un’eccezione nella necropoli cumana, dove il tipo più frequente è la tomba a camera del tipo “a schiena”, ovvero con tetto displuviato, pianta rettangolare, letti funebri ed ingresso ad arco. E’ caratteristica la tecnica di costruzione in blocchi di tufo connessi senza malta. Anche nella necropoli di fondo Gradavola a Teano, la cui fase principale si colloca tra l’ultimo quarto del IV secolo a.C. e i primi decenni del III a.C., è caratteristica un tipo di tomba a camera a pianta rettangolare, con copertura a tetto, una cornice all’imposta della volta, nicchie alle pareti poco profonde (circa 0,25 m) ed una risega in basso. Un caso a parte è costituito dalla tomba 67, probabilmente più tarda, che conserva immutati alcuni elementi (pianta rettangolare, risega in basso) ma si distingue dalle altre camere sepolcrali della necropoli però per la presenza della volta a botte; al di sopra della risega, come di consueto, si aprono due nicchie rettangolari, una di fronte all’altra (h 1,32 x largh. 0,62 x profond. 0,42), in cui al momento dello scavo era ancora deposta suppellettile varia. La tomba, costruita in pietre squadrate senza malta, presenta all’interno due muretti divisori trasversali (realizzati in calce e piccoli mattoni), che formavano tre compartimenti o sarcofagi, aggiunti in una fase successiva quando il sepolcro fu riutilizzato in piena età romana32. L’ipogeo di Caivano appartiene dunque ad una tipologia funeraria molto diffusa in Campania che conserva immutati nel tempo alcuni caratteri formali, anche se variano le tecniche costruttive, il gusto decorativo e si evolvono gli usi funerari. Non vi sono riferimenti cronologici precisi per la datazione della tomba di via Libertini; non sono noti i nomi dei proprietari che, dipinti sulla cornice aggettante, non erano leggibili già al momento della scoperta. L’analisi stilistica degli affreschi consente però di ancorare la cronologia del monumento tra lo scorcio del I secolo e gli inizi del II; rientra nello spirito di quest’epoca il contrasto tra la semplicità ed essenzialità della struttura architettonica della tomba e la ricchezza della decorazione dipinta all’interno. Con l’inoltrarsi del I secolo e poi nel II secolo, nei monumenti funerari si accentua infatti l’enfasi per il lusso all’interno, in linea con

27SOGLIANO 1884, pp. 359-363. 28 LEIWO 1994, pp. 94-97. 29 Si veda: PELLEGRINI 1903, coll. 202-225; STEVENS 1883, pp. 270-284. Si veda anche: ELIA 1931, coll. 453-455. 30 PELLEGRINI 1903,coll. 205-210; ELIA 1931, coll. 454-455. 31 PELLEGRINI 1903,coll. 202-225. 32 GABRICI 1910, coll. 5-151, part. coll. 22-25; si veda anche: ELIA 1931, coll. 455-456.

41

una trasformazione dei valori collettivi che investe anche l’architettura domestica, con la costruzione di case che all’esterno si presentano in semplice laterizio e sono riccamente decorate all’interno33. Alla proiezione verso l’esterno del sepolcro, caratteristica dell’età repubblicana, quando le immagini dei monumenti funerari avevano l’obiettivo di catturare l’attenzione dei passanti in strada, si sostituisce ora, come vedremo, un crescente interesse verso l’apparato decorativo all’interno delle camere funerarie; le immagini non sono più rivolte all’intera società ma a gruppi ristretti, i membri della famiglia o del collegio che appartengono allo stesso ceto sociale e condividono i medesimi valori34.

4. DESCRIZIONE DEGLI AFFRESCHI (M. A.) Le pareti Le pareti a fondo chiaro, inquadrate da una fascia rossa orizzontale nella parte superiore e da due fasce rosse verticali alle estremità, sono suddivise al loro interno in 5 pannelli rettangolari (4 nel lato dell’ingresso per la presenza della porta) da fasce verticali gialle con contorni in rosso campite all’interno da una successione di placchette verdi rettangolari unite a catena da tondini verdi e da calici diritti e rovesci alternati, di colore violaceo (Figg. 4-7). Nel riquadro al centro di ogni parete, ad eccezione di quello del lato d’ingresso dove c’è la porta, è ricavata nello spessore del muro una nicchia quadrata al di sotto della quale è raffigurato un festone sospeso ai suoi angoli. Sulle pareti a sinistra (C) e a destra (D) di chi entra, si ripete lo stesso motivo (poco visibile sulla parete D), ovvero un festone composto da un intreccio di fiori violacei, gialli e verdi, che inquadra, nel campo libero al di sopra di esso, tre balsamari, forse in vetro, quello centrale, di dimensioni maggiori, in rosso con ritocchi in bianco, quelli laterali in azzurro (Figg. 5-6). E’ perduta la decorazione del pannello centrale della parete di fondo (B) dove era raffigurato un festone intrecciato con fiori rosei, sul quale era gettato di traverso un secondo festone i cui capi ricadevano liberi35 (Fig. 7). Nei pannelli laterali delle pareti sono raffigurati oggetti vari (vasi, corni potori, cembali, il gruppo di pedum e syringa) sospesi ad un sottile nastro rosso (che scende dal centro del lato superiore) e, al di sotto, una decorazione vegetale composta da uno stelo orizzontale in rosso, a cui si intrecciano tralci ravvivati da fiorellini in giallo ocra e foglioline verdi (il motivo è ben visibile nel primo pannello a sinistra della parete di fondo B) (Fig. 7). Gli oggetti sospesi sono ormai riconoscibili solo in pochi casi. Nella parete d’ingresso (A) e in quella di fondo (B), i motivi decorativi sono quasi del tutto scomparsi; si ripetevano, come si evince dalle foto realizzate all’epoca della scoperta36, nei due pannelli alle estremità, un cembalo (interpretato da O. Elia come una patera ornata da globuletti sull’orlo), attualmente appena visibile solo sulla parete di fondo; nei due riquadri subito ai lati della nicchia era raffigurato invece il gruppo di pedum e syringa (conservato solo nel secondo pannello della parete di fondo). Le immagini sulla parete d’ingresso sono attualmente ormai del tutto perdute (Figg. 4, 7). Nelle pareti a sinistra (C) e a destra (D) di chi entra, si alternavano un corno potorio con ansa quadrata, adorno di nastri, e un cestello, con ansa sormontante, corpo emisferico e piede a tromba, da cui fuoriescono lunghi ramoscelli verdi. Tali oggetti sono ben riconoscibili rispettivamente nel quarto e quinto pannello della parete sinistra e nel primo e secondo della parete destra; a stento visibili negli altri casi (Figg. 5, 6). Le lunette Nella lunetta della parete d’ingresso (A) è visibile un paesaggio idillico-sacrale articolato in tre nuclei su fondo bianco37 (Fig. 2). In primo piano, a sinistra, su un rialzo di terreno in marrone si eleva, su un basamento in verde, una struttura sacra, in rosso scuro, composta da due imponenti colonne sostenenti un alto epistilio, coronato da una ricca cornice e da un frontone arcuato; addossata ad una delle colonne, un’alta ara rotonda, in verde come il basamento, si erge su una

33 VON HESBERG 1989, pp. 94-112, part. p. 106; ZANKER 2004, pp. 29-33, 145-154. 34 ZANKER 2004, p. 24 e sgg., p. 145 e sgg. 35 ELIA 1931, col. 433 e tav. II. 36 Si veda: ELIA 1931 col. 432. 37 La decorazione è indicata erroneamente come perduta in: BALDASSARRE et alii 2002, p. 303.

42

base quadrata. Un alto albero dai lunghi rami, si intravede alle spalle di tale sacello rustico che è animato da tre figure. A sinistra, infatti, un uomo, con tunica succinta che regge nella sinistra un lungo bastone, è raffigurato mentre si allontana dalla piattaforma, e, dal lato opposto, due figure femminili di diversa grandezza rivolgono a lui l’attenzione; la maggiore è chiusa in una lunga veste che arriva fino ai piedi e volge indietro la testa, la minore invece, tutta avvolta in un mantello, sembra avviarsi verso l’ara. In un piano molto più lontano si ergeva, alle spalle del sacello, la massa bicuspidata di un’alta roccia, oggi ormai visibile a stento. Al centro del quadro, in corrispondenza della porta d’ingresso all’ipogeo, in secondo piano sono raffigurate due imbarcazioni che procedono ciascuna sulla propria rotta incrociandosi. A sinistra è ben visibile una nave, in rosso con ritocchi in verde, che solca le acque rese con rapide pennellate azzurre, riprodotta fedelmente nei particolari, con le vele rigonfie dal vento, tese all’albero da cui ricade il sartiame, lo scafo largo e piatto e la poppa ricurva; appena abbozzate le tre figure che ne compongono l’equipaggio, disposte una a poppa, una al centro e la terza, ormai appena visibile, a prua. Quasi del tutto perduta l’altra imbarcazione posta su un piano più lontano, di cui si intravede la poppa ricurva e i remi, mentre non è più visibile la grottesca figura con cappello conico che ne era alla guida, descritta al momento del rinvenimento dell’ipogeo. Il paesaggio è completato da un terzo nucleo raffigurato in primo piano, alla destra della porta d’ingresso, in cui su un suolo pianeggiante indicato da pennellate verdi e giallo ocra si staglia un altro edificio sacro in rosso-violaceo, cilindrico, a tetto cuspidato; questo presenta, nella parte anteriore, un piccolo portico formato da due colonne di sostegno e da una tettoia sormontata da una sfinge alata come acroterio, a cui si accede da una breve gradinata; alle colonne è sospeso un clipeo. Al lato posteriore di tale sacello rustico è addossata un’ara rotonda, ombreggiata da un alto albero frondoso, accanto alla quale sono visibili due figure abbozzate in rosso, ovvero un uomo in tunica succinta, cadente nell’aspetto, rivolto ad un fanciullo che gli porge un corno potorio. Dal lato opposto, davanti all’edificio, una donna compie un sacrificio presso una piccola ara rotonda, accompagnata da una fanciulla. Il paesaggio idillico-sacrale raffigurato nella lunetta della parete di fondo (B) è più complesso e comprende varie scene, indipendenti tra loro, poste su diversi piani prospettici (Fig. 3). In primo piano, partendo da sinistra sono raffigurati due caproni, ormai poco visibili, che pascolano su un declivio erboso, e accanto, sul suolo formato da una sottile fascia in verde e giallo ocra, una piccola ara a cui era poggiato uno strumento agricolo, oggi non più riconoscibile, così come il rilievo montuoso (su cui si innalzava forse un colonnato) che si intravedeva in alto, in lontananza, al momento della scoperta dell’ipogeo. Un’alta massa rocciosa, resa con sfumature di verde, giallo ocra e marrone, separa questo primo nucleo figurativo dalla scena principale del quadro in cui è rappresentato un banchetto che si apre con un tavolo a tre piedi, le cui dimensioni maggiorate tradiscono un intento prospettico poco riuscito; sulla mensa è poggiato un servizio di tre vasi (una situla e due coppe). Non lontano un piccolo servitore (in rosso scuro coi particolari della veste e degli oggetti in verde), reca nella destra un vaso e nella sinistra un attingitoio (infundibulum) e si dirige verso il gruppo dei sei banchettanti adagiati sull’erba, disposti a sigma intorno ad una mensa circolare (in rosso con i particolari in verde e bianco). Il personaggio principale, il primo da sinistra, è raffigurato di prospetto, col capo coronato di foglie, le gambe coperte da un mantello verde, la destra levata in alto e una coppa nella sinistra; l’uomo è dunque rivolto verso lo spettatore a differenza della figura posta di fronte che, realizzata negli stessi toni di rosso con i particolari in verde, è stesa invece di spalle e regge nella sinistra un corno potorio. Accanto ad essa un altro personaggio adagiato sull’erba è appena abbozzato, così come non sono caratterizzate le altre tre figure sedute che completano il gruppo, appena accennate con pochi tratti di colore e ritocchi in giallo ocra. Non distante, sulla destra, un promontorio roccioso animato da vari personaggi, delimita la scena di banchetto che risulta così, in posizione di rilievo, come isolata tra le due rocce. La stessa funzione sembra rivestire la scena di navigazione raffigurata in alto, dove, in lontananza, su un’imbarcazione dall’alta poppa ricurva sono visibili tre rematori armati di uno scudo rotondo, così come la quarta figura posta a prua. Rapide pennellate verde/azzurro rendono lo specchio d’acqua solcato dalla navicella e infranto dall’affondare dei remi. Più in alto ancora, dall’orizzonte nebuloso compare, nei toni sfumati del verde e del bianco-crema, su una sorta di promontorio, un edificio quadrangolare a tetto piano, con due finestre, a cui è annesso un giardino cinto da un basso muro, con una fitta vegetazione da cui svettano cipressi; al momento del rinvenimento era visibile anche una figura femminile presso una piccola ara. Ritornando alle scene in primo piano, alla destra del

43

banchetto, su una piattaforma dalla base erosa si erge un alto albero dalle verdi foglie e un’imponente colonna con capitello ionico, che reca sul fusto un clipeo ed è coronata, sulla sommità, da una grande olla. Sulla sinistra un simulacro ligneo di Priapo col capo coperto da un pileo, posto su una base di forma conica, è addossato alla colonna; accanto, un altare quadrangolare su cui sono poggiate delle offerte e una figura di vecchia donna ricurva che si volge verso la divinità agreste. Sull’altro versante, su una sporgenza della roccia, un magro pescatore, coperto da una fascia ai fianchi e con un cappello conico sul capo, regge nella sinistra la rete e nella destra la lunga canna che reca nell’amo un pesce. L’intera scena è realizzata nei toni del rosso e del verde. Conclude il quadro a destra, sempre in primo piano, un pastore, disteso all’ombra di un albero ricco di foglie, su un declivio erboso dove pascola un caprone; l’insieme è ormai poco visibile. A stento si riconosce infine l’alto edificio a colonne posto su un altura, in lontananza sullo sfondo, descritto all’epoca del rinvenimento dell’ipogeo. La volta Lo schema decorativo della volta38, costituito da fasce rosse su fondo bianco, è impostato su un rettangolo che delimita il campo, riquadrato, sui quattro lati, da una larga fascia suddivisa in pannelli di diverse dimensioni; sui lati corti si sovrappone alla prima, una seconda fascia anch’essa divisa in riquadri; nelle vignette così formate sono raffigurate scene complesse come paesaggi idillico-sacrali, nature morte variate (uccelli beccanti frutta, maschere, vasi agonistici) o più semplici motivi fitomorfi (A1-6; B1-5; C 1-6; D 1-6) (Figg. 1, 8). Al centro della volta è visibile un quadrato (V), contornato in rosso, in cui si staglia sul fondo bianco una cerva in corsa. Un esile tralcio vegetale in verde cinge il corpo dell’animale, realizzato in toni chiari di marrone e violaceo39. Dal riquadro centrale partono quattro fasce diagonali (V 1-4), costituite da ghirlande tese filiformi in verde, campite all’interno da una successione di cerchi tangenti, che si configurano come tralci vegetali, in giallo ocra e verde, contenenti palmette di colore violaceo unite a catena da uno stelo sempre in giallo40 (Fig. 21). Tali fasce si configurano come una sorta di pennacchi che movimentano la superficie curva della volta a botte, simulando una crociera; l’effetto decorativo e il senso di leggerezza e ariosità delle esili ghirlande e dei tralci, sono accentuati da fiorellini gialli con foglioline verdi che si stagliano tutt’intorno sul fondo, conferendo all’insieme l’aspetto di un pergolato. Le fasce diagonali terminano, ai quattro angoli, su archetti in rosso che formano spicchi campiti da un fiore giallo a otto petali, tipo margherita (Fig. 20a). I quattro spazi triangolari formatisi dall’incrocio delle diagonali (A6, B6, C7, D7) presentano, sul fondo bianco, tra fiorellini gialli (dello stesso tipo presente nei pennacchi), oggetti decorativi sospesi, mediante esili nastri, al riquadro della chiave di volta; al di sotto di essi, sono visibili pinakes a fondo verde, contornati da una sottile cornice in giallo, in cui sono raffigurati coppie di volatili in uno specchio d’acqua (Figg. 1, 15-17). Gli oggetti sospesi si ripetono simmetricamente nei campi contrapposti, per cui nei triangoli corrispondenti alle pareti d’ingresso (A: riquadro A6) e di fondo (B: riquadro B6), ritroviamo, in entrambi i casi (A6a, B6a), sospesa al quadrato centrale, una pisside, col coperchio semiaperto, da cui fuoriescono due steli violacei (visibili solo in B6a; fig. 18). Il recipiente, realizzato nei toni del giallo e del violaceo con ritocchi in giallo più chiaro, pende al di sopra di un quadretto verde, sostenuto da un supporto in arancio, simile ad un manico di specchio. Le scene raffigurate nei due pinakes sono ormai riconoscibili a stento; in un caso (B6b; fig. 17) sono appena visibili due cigni affrontati, dal becco rosso e il lungo collo, nell’altro (A6b) la decorazione è quasi totalmente perduta (si intravedono appena macchie di colore violaceo, bianco e giallo). Negli altri due campi triangolari (C7, D7) una siringa, con le canne in giallo tenute insieme da una corda verde o viola scuro, è sospesa al di sopra di un quadretto a fondo verde privo di sostegno (C7a: fig. 18; D7a). Nel campo rimasto libero nella parte sottostante, un corno potorio, in giallo e violaceo, è sospeso, mediante l’ansa quadrata, ad un sottile festone vegetale, incurvato ad arco e retto alle estremità da due esili nastri (C7 c: fig. 19; D7 c). Nei pinakes sono visibili uccelli acquatici affrontati in uno stagno, di cui è difficile riconoscere le specie per il

38 Si vedano le foto pubblicate da O Elia: Ead. 1931, figg. 7, 8, 10; tav. I, III, IV, V;e l’acquerello a tav. VII. 39 Si veda: ELIA 1931, tav. V. 40 Si veda: ELIA 1931, fig. 7.

44

cattivo stato di conservazione. In un caso (C7b: fig. 15) i volatili hanno testa e collo rosso scuro e corpo nei toni del giallo e del crema; uno dei due ha le ali aperte e protende il collo verso l’altro, nell’altro (D7b: fig. 16) gli uccelli (forse paperi) tra ciuffi d’erba in bianco, sono raffigurati in movimento, con le ali aperte, hanno becco rosso, collo viola e corpo giallo con ritocchi viola41. Alla leggerezza e ariosità del campo centrale della volta, si contrappone la pesantezza delle bande rosse che inquadrano il soffitto e formano lungo i margini una serie di pannelli di diverse dimensioni. Le fasce ai margini della volta in corrispondenza delle pareti d’ingresso (A) e di fondo (B) sono suddivise in due rettangoli allungati ai lati (A2, A4; B2, B4) e in un riquadro più piccolo al centro (A3, B3); nei pannelli si ripetono simmetricamente i medesimi motivi vegetali. E’ perduta quasi del tutto la decorazione nei due quadrati centrali; del cespo di frutta e foglie visibile ai tempi del rinvenimento dell’ipogeo, restano qualche fogliolina verde e tracce di colore giallo. Nei rettangoli ai lati si ripete, su entrambi le pareti, un elegante motivo vegetale, composto da un tralcio curvilineo in giallo circondato da fiorellini gialli con foglioline verdi, dello stesso tipo presente nel campo centrale del soffitto (Fig. 22: A2). Ai quattro angoli della volta si replica, in un quadrato, un fiore stilizzato violaceo, in forma di stella a quattro punte (A1, A5; B1, B5) (Fig. 20b). Più complessa è la decorazione dei riquadri sulle altre due pareti (C-D), organizzate su due ordini suddivisi ciascuno in tre pannelli di diversa grandezza, che si corrispondono simmetricamente sui due lati per temi figurativi e dimensioni. Nelle fasce inferiori, infatti, il riquadro centrale è più piccolo e vi è raffigurato un volatile; ai lati, invece, due rettangoli allungati sono decorati da maschere e vasi agonistici che si ripetono, in posizione chiastica, sulle due pareti. Nelle fasce superiori, all’inverso, ritroviamo un rettangolo allungato al centro, con una scena di paesaggio idillico-sacrale, e due pannelli più piccoli ai lati in cui uccelli di diverse specie sono associati a frutti42 (Figg. 1, 25). Sulla parete a sinistra di chi entra (C), nella fascia inferiore, nel primo riquadro a sinistra (C1: fig. 13, a) su un piano in giallo è raffigurata una maschera di calvo sileno43, poggiata ad una sagoma azzurra, forse un’ara. Della maschera non si riconoscono più con precisione i contorni ma sono visibili solo macchie di colore in marrone e giallo ocra e alcuni petali violacei; un corno potorio in giallo con i particolari in rosso scuro, posto alla sua destra, la separa da una seconda maschera, meglio conservata, ravvivata da foglioline verdi che ornano la lunga chioma. Presso la maschera di sinistra e sul fondo sono presenti tracce di pennellate rosse, che sono da attribuire ad una esecuzione corrente. Al centro della fascia una vignetta (C2: fig. 11, a) con un uccellino in verde e rosso che reca nel becco un elemento in giallo, forse un fiore o una farfalla. Nel pannello a destra (C3: fig. 14, a) su un piano in rosso sono raffigurati vari oggetti legati al mondo della palestra: un labrum di fontana giallo ocra con acqua zampillante, al centro un’hydria panciuta monoansata, metallica, a cui è poggiato un cerchio, il trochus, gioco in voga tra i giovani44, due oggetti azzurri di dimensioni diverse, forse recipienti vitrei, e, infine, una mensa in verde su cui è poggiata una cista in giallo ocra e, accanto, un lungo ramo di palma dello stesso colore. Nella fascia superiore della stessa parete, nei due pannelli più piccoli ai lati si ripete il motivo dei volatili associati a frutti; nel riquadro a sinistra (C4: fig. 11, b), su un piano in rosso chiaro quasi scomparso, un pettirosso in verde chiaro, con becco e zampe rosse, è proteso verso due gruppetti di ciliegie rosse con foglioline verdi; a destra (C6: fig. 11, c) un volatile dalla lunga coda e dal lungo becco (forse una tortorella), realizzata nei delicati toni del verde chiaro e del grigio, con ritocchi violacei, è raffigurato accanto a due pesche (in giallo con ritocchi in rosso) legate da un rametto oggi non più visibile45. Nel riquadro più grande al centro (C5: fig. 9), come dal lato opposto, è presente una scena di paesaggio idillico-sacrale in cui, partendo da sinistra, si distinguono una figura di pescatore con gobba, che regge una lunga canna e, alle sue spalle, su un rialzo di terreno, una struttura ad arco su due pilastri, in viola con ritocchi in verde, all’ombra di un alto albero; al pilastro di sinistra è affisso un clipeo, e accanto a quello di destra è

41 Si veda: ELIA 1931, tav. III. 42 Si veda: ELIA 1931, figg. 8, 10; tav. III, IV. 43 ELIA 1931, col. 448 e fig. 8. 44 O. Elia suppone invece, erroneamente, che si tratti di una patera posta di taglio (ELIA 1931, col. 449). 45 ELIA 1931, col. 447.

45

abbozzata una sagoma, forse un rozzo simulacro ligneo. Alle spalle del primo edificio colonnato, compare, in secondo piano, una barca con un pescatore con un copricapo conico, che affonda nell’acqua il lungo remo e si dirige verso destra; sul fondo, una massa indistinta di edifici lontani. Tornando in primo piano, non distante dal primo nucleo narrativo, si svolge una seconda scena animata da una figura maschile, che reca sulla spalla una specie di asta, e si avvicina a gran passi ad una statua di Priapo46 che si erge su un basamento, addossato ad un’alta colonna con epithema (realizzata in rosso scuro-violaceo con ritocchi azzurri). Più a destra un altro gruppo, ormai poco visibile, è composto da due figure, di cui la più piccola in verde e la maggiore in viola, rivolte verso un altare in verde a cui è appoggiata forse una fiaccola. Conclude la scena un viandante che si regge ad un bastone e reca sulla spalla un fardello sospeso ad una lunga asta. Lontano, dall’orizzonte nebuloso emerge un promontorio su cui si intravede una struttura a due colonne, in grigio. Sulla parete opposta dell’ipogeo, a destra di chi entra (D), nella fascia inferiore, nel primo riquadro a sinistra (D1: fig. 13, b), su un piano indicato da una fascia in verde, sono raffigurate due maschere tragiche, una maschile, l’altra femminile, poste accanto a due are cilindriche47. La maschera posta a sinistra, realizzata nei toni del marrone e del viola, è appena riconoscibile; solo tracce di colore restano di quella di destra (rosso) e delle due are (color crema, azzurro). Nella vignetta accanto (D2: fig. 12, a) un volatile dai colori vivaci, con becco rosso e il corpo dalla lunga coda in verde e giallo, è raffigurato su un piano in rosso accanto a due fichi di colore violaceo. Nel riquadro di destra (D3: fig. 14, b) su un unico piano si susseguono vari oggetti agonistici: una piccola ara in azzurro, un labrum di fontana, di colore marrone, a cui è poggiato un trochus; segue un un’hydria metallica rovesciata (in marrone con ritocchi di verde), con ansa quadrata, a cui è poggiato un ramo di palma appena visibile. A destra vi sono tracce di colore azzurro per cui era forse ripetuto l’oggetto che apre la scena. Nella fascia superiore le due vignette ai lati presentano il motivo variato del volatile con frutti. Nel riquadro a sinistra (D4: fig. 12, b) su un piano in verde, un uccello realizzato in toni sobri (verde scuro, viola scuro, arancio) volge il becco verso l’alto ed è associato a due frutti di colore violaceo e giallo ocra, forse due susine48; nel quadro a destra (D6: 12, c) un vivace uccellino giallo con becco e zampe rosse, è rivolto verso due fichi verdi con ritocchi in rosso. Nel pannello centrale (D5: fig. 10) un paesaggio idillico-sacrale è articolato in varie scene su un fondo bianco. In primo piano, a sinistra la veduta posteriore di un edificio quadrato con tetto piano di cui si intravede il lato d’accesso caratterizzato da un breve portico; alle spalle dell’edificio, in giallo ocra con i particolari in verde e violaceo, è visibile un giardino recintato da cui emerge una fitta vegetazione di alberi e cespugli. Al centro della scena su una sporgenza rocciosa si stagliano tre figure, appena abbozzate in rosso scuro, di cui quella al centro (forse femminile) di dimensioni maggiori. Sullo stesso piano ma un po’ distante, si svolge una scena cultuale presso edifici sacri. Una figura in rosso, con copricapo conico e tunica succinta, si curva su un’ara rotonda (sempre in rosso) nell’atto di deporre un’offerta; assistono alla scena due figure, più piccole, in viola e verde, di cui una ha il capo coperto da un cappuccio. Alle spalle del sacrificante, su un rialzo del terreno, vi è un’alta colonna con epithema in forma di tripode, a cui si appoggia un’ala di tettoia che reca sulla sommità un vaso metallico ed è sostenuta da una colonna minore, al cui fusto è sospeso un clipeo; in basso due are all’ombra di un albero frondoso ormai quasi scomparso. Si dirige verso tale complesso, realizzato in vari toni di rosso, una magra figura di vecchio con bastone, appena abbozzato in viola, che reca sulle spalle un fardello (o forse un mantello svolazzante) ed è seguito da una capretta49. Sul fondo nebuloso, tra la sporgenza rocciosa e la scena di sacrificio, si intravedono un’imbarcazione rossa dotata di un alto albero con la vela issata50 e, più lontano ancora, un gruppo di edifici con colonne, sfumati in grigio e celeste, su un promontorio roccioso. Alla base della volta, sopra la cornice aggettante in stucco che segna il passaggio alle pareti, corre un fregio dipinto in cui su fondo verde-azzurro (oggi poco conservato) si ripetono coppie di frutti, verisimilmente mele cotogne, in giallo ocra con ritocchi in rosso, e foglioline verdi.

46 Elia la definisce genericamente una figura di culto, rivestita di lunghi indumenti che si ravvolgono intorno ai piedi e con un braccio disteso (ELIA 1931, col. 446). 47 ELIA 1931, col. 451, fig. 10. 48 O. Elia le definisce pere (Ead. 1931, col. 449). 49 Elia identifica erroneamente la capretta con un cagnolino scodinzolante (Ead. 1931, col. 451). 50 Visibile è la vela della nave ritenuta assente da O. Elia (Ead. 1931, col. 450).

46

Nelle pareti d’ingresso (A) e di fondo (B) tale fregio costituisce la cornice inferiore dei quadri delle lunette, da cui è distinto da una sottile fascia nera.

47

5. LA TECNICA PITTORICA (M. A.) Nell’ipogeo di Caivano la decorazione fu eseguita adoperando la tecnica a fresco. Il distacco delle pitture effettuato per il trasporto a Napoli, e la successiva ricostruzione dell’ipogeo nel cortile del Museo Archeologico, ha provocato la perdita di gran parte dei dati relativi al supporto su cui era posto l’intonaco dipinto. Non è possibile infatti ricostruire puntualmente le fasi di preparazione della parete che precedevano la stesura della pittura; queste, come si ricava dalle fonti letterarie e dalle evidenze archeologiche, erano molto accurate ed elaborate. Vitruvio in particolare si sofferma sul numero, lo spessore e la composizione degli strati di preparazione del supporto e suggerisce alcune precauzioni contro l’umidità e le crepe; non sempre i dettami vitruviani erano seguiti alla lettera dagli artigiani che, come si è verificato, nella pratica, adattavano le proprie conoscenze tecniche alle singole situazioni1. In linee generali comunque uno strato più grossolano di malta era posto a contatto diretto con le murature, seguito poi da un numero variabile di strati più raffinati fino ad arrivare all’intonaco sottile su cui erano applicati i colori. Vari tipi di calce impiegati per realizzare i diversi strati sono stati rinvenuti, in anfore o in cumuli poggiati sul pavimento, in una casa in via dell’Abbondanza a Pompei (Regio IX, Ins. 12), fonte di interessanti informazioni sui materiali e sugli strumenti di lavoro utilizzati; fu distrutta infatti mentre era all’opera un cantiere di pittori2. Non conosciamo, per l’ipogeo di Caivano, il numero e le caratteristiche degli strati che componevano il supporto pittorico, in parte scalpellato insieme alla muratura in opera incerta di tufo a cui aderiva, per effettuare il distacco degli affreschi. Come è visibile ad occhio nudo, in alcuni casi si conservano uno o due strati di malta di colore grigio (di spessore variabile da 1 a 5 cm), residuo del supporto originario, a cui aderisce l’intonaco bianco su cui era applicata la pittura; in altri casi, invece, l’intonaco dipinto poggia direttamente sulla struttura moderna3. In base ai risultati delle analisi archeometriche effettuate su micro-campioni di intonaci già distaccati dalle pareti, questo strato, a grana molto sottile, ha la composizione tipica di malte a base di calce, realizzate utilizzando come aggregati materiali di natura vulcanica o sedimentaria4. La preparazione della parete: il disegno preliminare Maggiori informazioni si possono ricavare sulle modalità di esecuzione della decorazione pittorica. Dagli studi effettuati sull’argomento5 sappiamo che, nella tecnica a fresco, la campitura delle superfici procedeva cominciando dall’alto per fasce orizzontali (prima la volta poi le pareti) e poi per fasce verticali; lo stacco tra le varie parti era poi dissimulato con la decorazione pittorica che quindi era progettata con grande accuratezza sin dall’inizio del lavoro. Le superfici erano ripartite secondo precisi calcoli geometrici e a priori si stabiliva la posizione dei vari elementi figurativi, sulla base verosimilmente di un disegno ridotto, eseguito in accordo con il committente. Man mano che si stendeva l’intonaco fresco sulle pareti, l’artigiano prendeva le misure e, servendosi di righe, leggere traverse in legno, fettucce o compassi, tracciava dei punti di riferimento in base ai quali poi era eseguita la decorazione pittorica. Questi erano in genere incisi con una punta molto sottile, in bronzo o in osso, talora indicati dall’impronta cava di una corda che si lasciava cadere sull’intonaco ancora fresco e malleabile, o da tracce di colore marrone ocra, lasciate forse da una scheggia di minerale con componenti ferrose usata come lapis; più spesso il disegno preparatorio era dipinto in ocra rossa con un pennello sottile, impiegato per indicare le linee generali della decorazione o anche figurazioni più dettagliate. Sulla base di tale disegno preliminare i pittori, preparando i colori estemporaneamente, procedevano alla dipintura e alla realizzazione degli ornati e delle figurazioni, completati poi con sovradipinture, ben evidenti al tatto oltre che alla vista.

1 Sulla tecnica pittorica romana, fondamentale lo studio di: BARBET-ALLAG 1972, pp. 935-1069; sulle fasi di preparazione del supporto si vedano in particolare le pp. 937-938, 963 e sgg. Si vedano anche le osservazioni in: BRAGANTINI-DE VOS 1982, p. 65. 2 VARONE- BEARAT 1997, pp. 199-214. 3 Per i dati relativi al supporto si veda infra Parte II, 5, con i risultati di analisi in parte presentate in via preliminare in: DE GENNARO et alii 2003, pp. 74-83. 4 DE GENNARO et alii 2003, part. p. 81. 5 Fondamentale: BARBET-ALLAG 1972, pp. 983-1044; si veda anche: VARONE-BEARAT 1997, pp. 199-214.

48

Nel caso dell’ipogeo di Caivano si riescono a ricostruire abbastanza agevolmente i procedimenti di preparazione delle superfici alla decorazione, anche perché in più punti sono visibili ad occhio nudo le tracce incise del disegno preliminare. Le pareti presentano uno schema decorativo molto semplice: inquadrate alle estremità da fasce rosse (di 6 cm di larghezza quella orizzontale superiore, di 4,5/5 cm quelle verticali ai lati), sono suddivise da fasce verticali (largh. 8 cm) in pannelli di dimensioni più o meno costanti (quelli laterali oscillano tra i 62 e i 70 cm, quelli centrali tra i 56 e i 60 cm). All’interno dei riquadri i motivi decorativi, ovvero un oggetto sospeso ad un nastro e, al di sotto, dei tralci vegetali, sono posizionati in base ad alcune linee-guida incise nell’intonaco, ben visibili. Ciascun pannello è suddiviso a metà da un asse verticale su cui è dipinto il nastro che regge l’oggetto, disegnato sempre alla stessa altezza, all’incirca a tre quarti del riquadro; al di sotto, una linea orizzontale è incisa lungo tutta la parete e, nei quattro pannelli laterali, è campita di rosso e costituisce lo stelo a cui si intrecciano i girali, tracciati a loro volta col compasso6; nel riquadro centrale invece tale incisione, non dipinta, segna il punto in cui parte l’intreccio di fiori che compone il festone (Fig. 23). Più complesso è il sistema geometrico su cui è imperniata la decorazione della volta. Se proiettiamo in piano la superficie curva del soffitto, lo schema di base appare costituito da un rettangolo all’interno del quale è iscritto un secondo rettangolo di dimensioni minori; nello spazio tra i due, si crea una fascia suddivisa, su ciascun lato, in tre riquadri, quello centrale più piccolo e i due laterali più grandi; gli angoli sono contrassegnati da quattro quadrati. Sugli assi minori una seconda fascia è sovrapposta alla prima, a sua volta suddivisa in pannelli, di cui sono invertite le dimensioni rispetto a quella sottostante (quello centrale è più grande, i laterali più piccoli). Nel campo centrale della volta l’intersezione delle due diagonali del rettangolo forma quattro spazi triangolari e indica il punto centrale del soffitto, la chiave di volta, dove è presente un riquadro. Ben visibili sono in questo caso le linee delle diagonali incise sull’intonaco fresco come guida per la decorazione, poi ornate con tralci e palmette; dalla posizione degli elementi figurativi all’interno dei triangoli (equidistanti tra loro) si deduce inoltre che il rettangolo della volta era stato suddiviso ulteriormente in quattro parti uguali da due segmenti (non visibili ad occhio nudo) che partivano dalla metà di ciascun lato del rettangolo della volta e s’intersecavano al centro; su questi due assi si collocano infatti le figurazioni, ovvero i nastri con gli oggetti sospesi e i quadretti a fondo verde (Fig. 24). Tale rigida costruzione presuppone dunque una serie di calcoli preliminari per la ripartizione degli spazi che erano poi dipinti, in cui si doveva tener conto anche dell’andamento curvo della superficie del soffitto; quelli che noi abbiamo definito i lati maggiori del rettangolo, infatti, sono in realtà la proiezione in piano degli archi terminali della volta a botte (ovvero la parte superiore delle lunette). Sono evidenti in più punti, sia nelle linee generali della decorazione che nei singoli riquadri, le tracce del disegno geometrico lineare fatto ad incisione che costituiva il punto di riferimento per i pittori. Nel campo centrale, sugli assi delle diagonali, incisi e poi campiti in giallo, sono tracciati col compasso i cerchi tangenti in cui sono affrescate palmette viola dell’altezza all’incirca di un raggio7. Negli spazi triangolari sui lati minori del rettangolo, è visibile l’incisione della semicirconferenza su cui è dipinto il festone vegetale ad arco, posto sotto i pinakes. Sui lati maggiori, nei pannelli laterali con il tralcio vegetale, una linea orizzontale incisa a metà del riquadro per tutta la sua lunghezza, costituisce la guida per le curve dei tralci disegnati a partire da semicerchi eseguiti con un compasso e poi campiti di colore8. I soggetti figurativi all’interno delle vignette nelle due fasce sovrapposte sui lati opposti, non avevano probabilmente uno schizzo preparatorio9. Molto semplici le nature morte in cui i volatili con la frutta, le maschere, i vasi agonistici sono collocati su una linea di suolo tracciata alla stessa altezza nei vari riquadri allineati. Più complessi i due paesaggi idillico-sacrali in cui però lo stile compendiario, la rapidità dei tocchi di colore con cui sono abbozzate le figure in una superficie ridotta, fanno escludere, anche in questo caso, la presenza di uno schizzo preparatorio dettagliato; probabilmente erano solo indicati dei sommari punti di riferimento per l’insieme, che orientavano per la collocazione dei vari elementi nello spazio.

6 Per la modalità di esecuzione di un motivo simile si veda: BARBET-ALLAG 1972, pp. 1015- 1016, fig. 38. 7 Per la fascia con cerchi tangenti: BARBET-ALLAG 1972, p. 1010, fig. 33, 9. 8 Per lo schema grafico del motivo si veda: BARBET-ALLAG 1972, p. 1015, fig. 39. 9 BARBET-ALLAG 1972, pp. 1023-1025.

49

Lo stesso tipo di pittura ‘a macchie di colore’, priva della linea di contorno, è presente nei grandi quadri di paesaggio delle lunette, che erano però più impegnativi e richiedevano maggiore accuratezza nella preparazione del disegno, anche per la loro posizione preminente nell’ipogeo. Nella lunetta della parete d’ingresso, più semplice per composizione, i tre nuclei narrativi sono posizionati rispetto all’apertura della porta, che invade e sfonda il campo decorativo al centro e al contempo costituisce un punto di riferimento per la decorazione (Fig. 2). Più ricco il quadro sulla parete di fronte in cui su vari piani prospettici sono raffigurati temi tipici del paesaggio idillico-sacrale. In realtà anche in questo caso la composizione è alquanto semplice, in quanto una fascia tracciata in basso, lungo tutta la lunetta, indica un piano che è il punto di riferimento per la collocazione delle varie scene nello spazio (Fig. 3). In entrambi i quadri, per quanto non siano evidenti ad occhio nudo, dobbiamo immaginare però la presenza di schizzi preparatori, forse in ocra (labili tracce si intravedono nella lunetta di fondo), per la mise en place dell’insieme figurativo: si posizionavano dunque almeno gli elementi principali della composizione (come le due rocce che inquadrano la scena di banchetto) e forse, in alcuni casi, la silhouette delle figure; la pittura era poi completata a mano libera. Per l’iconografia dei singoli nuclei narrativi, che riproducono schemi consueti (si pensi al banchetto o al pastore adagiato sotto l’albero), ci si ispirava poi evidentemente a repertori. L’esecuzione della decorazione dipinta: la preparazione dei colori Dopo aver predisposto la parete, si procedeva infine all’applicazione dei colori che erano preparati sul posto, come conferma il rinvenimento a Pompei, nella casa già citata in via dell’Abbondanza, di coppette con colori e di un mortaio con il pestello per la polverizzazione delle terre10. Dalle fonti letterarie ricaviamo una serie di interessanti informazioni sui tipi di pigmenti utilizzati dagli artigiani romani (in numero oscillante dai 24 indicati da Vitruvio ai 35 menzionati da Plinio), sulla loro origine e denominazione; analisi di laboratorio effettuate su campioni provenienti da Pompei e da siti romani della Svizzera, hanno consentito di distinguere 28 diversi pigmenti (7 impiegati per ottenere il bianco, 7 per il rosso, 5 per il verde, 3 per il giallo, 3 per il nero, 1 per il blu, 1 per il marrone e 1 per il grigio)11. Non sempre però è possibile stabilire una corrispondenza con quelli menzionati dalle fonti, anche per la presenza di una certa confusione nella terminologia. Nell’ipogeo di Caivano la gamma dei colori utilizzati non è molto ampia; questi erano diluiti o resi più intensi a seconda delle esigenze della decorazione, o mescolati per ottenerne nuovi. Analisi specifiche hanno consentito di individuare la natura dei vari pigmenti con cui erano realizzati: il rosso scuro è a base di ematite, l’azzurro fatto con azzurrite, il verde con malachite, le varie tonalità di viola forse con l’ametista, nel giallo sono state individuate una modesta presenza di ematite e tracce di cromo, queste ultime dovute probabilmente a interventi di restauro alle pitture eseguiti all’epoca della scoperta dell’ipogeo o negli anni ’40 (cfr. supra Parte I, 1). In alcuni campioni è stata riscontrata la presenza di aragonite, associabile a residui di gusci di lamellibranchi nelle malte, utilizzata verisimilmente tra i pigmenti bianchi12. Preparati i colori era infine eseguita la decorazione pittorica a mano libera, sulla base del disegno preparatorio; vari pittori lavoravano contemporaneamente e vi era una spartizione delle competenze tra coloro che si occupavano delle parti ornamentali e dei motivi più semplici e chi era incaricato di eseguire le composizioni più impegnative, come i grandi quadri di paesaggio.

10 VARONE- BEARAT 1997, pp. 199-214. 11 BEARAT 1997, pp. 11-34. Costituisce ancora un caposaldo per lo studio dei colori nella pittura romana l’opera di S. Augusti pubblicata alla fine degli anni ’60, basata sull’analisi delle testimonianze pompeiane (AUGUSTI 1967). 12 Per i dati relativi ai pigmenti, si veda infra Parte II, 6 e DE GENNARO et alii 2003, pp. 82-83.

50

6. LETTURA E INTERPRETAZIONE (M. A.) Di notevole interesse sono gli affreschi dell’ipogeo di Caivano che, databili tra la fine del I e gli inizi del II secolo, documentano una fase importante nell’evoluzione della pittura romana dal punto di vista stilistico, iconografico e compositivo. Un denso e ricco programma figurativo si sviluppa sulle pareti e sulla volta, caratterizzato da una grande varietà di temi e motivi ornamentali, ampiamente diffusi nel repertorio della pittura romana e in particolare in quella campana. Questi sono accostati e distribuiti nello spazio secondo schemi compositivi ora più semplici ora più complessi, e rivelano così un gioco di relazioni non scontate tra l’architettura reale e l’ “architettura delle superfici dipinte”1. La decorazione contribuisce infatti alla percezione volumetrica dell’ambiente, rispetta talora la reale scansione architettonica delle superfici (come nelle fasce alle pareti) oppure crea delle articolazioni fittizie (come accade nella volta), e stabilisce in ogni caso una gerarchia tra le varie parti della struttura. Entrando nell’ipogeo infatti l’attenzione è immediatamente catturata dal grande quadro nella lunetta della parete di fondo, a cui fa da pendant la scena simile raffigurata nella lunetta di fronte, dal lato dell’ingresso. Lo sguardo poi si leva in alto, alla ricca decorazione della volta, in cui i tralci, le esili ghirlande, i fiorellini e i motivi decorativi vari, conferiscono all’insieme un tono gioioso e leggero; in secondo piano passa la decorazione delle pareti che è più sobria e monotona.

Fig. 41: Ipogeo di Caivano (da Jastrzebowska 1979)

Le pareti dell’ipogeo presentano uno schema decorativo molto semplice: inquadrate alle estremità da fasce rosse, sono suddivise in pannelli di eguali dimensioni mediante bande verticali gialle; pochi motivi ornamentali (ovvero un oggetto sospeso e tralci vegetali) si dispongono sul fondo bianco, neutro, dei riquadri, che prevale sugli spunti decorativi (Figg. 4-7). L’uniformità cromatica fa apparire la parete come una superficie piatta, continua, priva di profondità, e la riduce alla sua semplice entità reale senza giochi prospettici o sfondamenti illusionistici; al contempo la scansione modulare della divisione in riquadri dà la percezione dei valori dimensionali del vano. La continuità della parete è spezzata nella realtà, su un lato, dalla porta, sugli altri tre dalla nicchia ricavata al centro, nello spessore della muratura; in corrispondenza di tali aperture si interrompe la fascia orizzontale rossa che inquadra in alto le pareti. In questo caso dunque la decorazione pittorica non tiene conto delle strutture architettoniche, e, come accade di frequente già nel IV stile, è indipendente da esse. Nel caso delle nicchie però, in basso, al contrario la decorazione si armonizza con l’architettura, anzi sfrutta la presenza sulla parete dei vani quadrati, ai cui angoli inferiori appaiono idealmente sospesi i festoni dipinti che racchiudono balsamari.

1 Sul rapporto tra spazio e decorazione si veda l’interessante contributo di D. Corlàita Scagliarini: Ead. 1974-76, pp. 3-44.

51

I motivi raffigurati al centro delle pareti (ghirlande e balsamari), per i toni vivaci e la resa realistica, risaltano sul tono generale della decorazione che è per il resto alquanto sommesso e monotono; nei pannelli laterali si ripetono i medesimi intrecci vegetali e si alternano un numero limitato di elementi, ovvero cembali, corni potori, cesti con ramoscelli, siringhe, che sono riprodotti in modo stilizzato e miniaturistico. Questi oggetti, sospesi a nastri, che ritroviamo anche nella volta dell’ipogeo, sono frequenti nella pittura funeraria di I secolo d.C. e, per il loro valore ornamentale, sono molto diffusi nella decorazione delle case, soprattutto nel III e IV stile. Non hanno dunque una specifica connotazione funeraria, ma evocano più genericamente offerte o oggetti decorativi che contribuiscono a rendere ameno il sepolcro. Diverso è il discorso per i balsamari e le ghirlande dipinte al di sotto delle nicchie in cui erano deposte le suppellettili funebri, che, raffigurati, come abbiamo accennato, con vivace realismo e senza alcuna stilizzazione, riproducono oggetti adoperati nella realtà in ambito funerario. L’uso di balsamari nelle cerimonie funebri è ampiamente attestato nel mondo romano ed un riscontro immediato si ritrova nello stesso ipogeo di Caivano dove ne furono rinvenuti alcuni esemplari in vetro. La presenza di ghirlande come ornamento delle tombe rimanda, allo stesso modo, ad un’antica consuetudine di cui in alcuni casi vi sono anche evidenze archeologiche2, ma che è soprattutto rievocata dalla frequente raffigurazione di festoni e ghirlande nei monumenti funerari in un continuum che va dal primo ellenismo alla tarda età romana. In Campania vi sono innumerevoli esempi, dagli ipogei ellenistici napoletani della fine del IV- prima metà del III secolo a.C. (festoni sono raffigurati nelle camere sepolcrali in via Foria, in via S. Maria Antesaecula, in vico Cristallini, in vico Traetta, in via S. Maria La Nova)3 agli esempi di età romana, tra cui citiamo, in area vesuviana, la Tomba delle ghirlande fuori Porta Ercolano a Pompei, datata in età augustea, o sempre a Pompei, un sepolcro a nicchia in cui sono dipinti festoni sospesi a vittae, collocabile nell’ultima fase di vita della città4. Nel II secolo ritroviamo festoni da cui pendono noci di cocco nell’ipogeo rinvenuto a S. Antonio Abate, nel napoletano5.

Fig. 42: Colombario di Villa Doria Pamphili a Roma (da Jastrzebowska 1979)

Un richiamo ad un’usanza reale si può individuare anche nel fregio dipinto con coppie di frutti aurei posto sulla cornice aggettante all’imposta della volta, che appare così come una mensola su cui sono poggiate offerte secondo un costume diffuso sin dall’età ellenistica; ne abbiamo esempi a Napoli, dove in una delle camere sepolcrali in via Cristallini, furono rinvenuti ancora in situ melograni, mele e pere in terracotta6; in altri casi nella stessa posizione erano collocate statuette fittili (come negli ipogei in via S. Giovanni a Carbonara e vicino Porta S. Gennaro, sempre a Napoli)7 oppure suppellettile funebre (come nella tomba del fondo Palumbo in contrada Palombara a Cuma)8. Il fregio con frutti nell’ipogeo di Caivano rappresenta dunque la traduzione pittorica di tale usanza e trova numerosi confronti in Campania già in età ellenistica, quando è ben attestato nelle tombe figurate di pieno IV secolo a. C. rinvenute a Capua, Paestum, Nola, Cuma. Interessanti confronti si ritrovano anche a Napoli dove in una delle camere

2 Numerosi chiodi adoperati per sospendere festoni e ghirlande furono rinvenuti nella tomba a tholos del Fondo Artiaco a Cuma, databile agli inizi del III secolo a.C. (PELLEGRINI 1903, coll. 210-225). 3 GRECO PONTRANDOLFO 1985, pp. 286-287; VECCHIO 1985, nn.79, 82, 83, 84 alle pp. 289-292. 4 DE CARO 1983, pp. 41-48. 5 ELIA 1961, pp. 184-188. 6 VECCHIO 1985, n. 82, pp. 290-291. 7 VECCHIO 1985, n. 78, pp. 288-289; n. 81, p. 290. 8 ELIA 1931, coll. 454-455.

52

funerarie scoperte in via S. Maria Antesaecula, la cornice che corre all’imposta della volta è ornata con pomi e melograni9, mentre grappoli d’uva, melograni, pigne, pomi e uova sono dipinti nell’ipogeo cd. di Epilutos in via Foria10. La comparsa di motivi a connotazione funeraria, accanto agli elementi diffusi nel repertorio decorativo domestico, preannunzia la progressiva specializzazione dei temi nella decorazione delle tombe che si verificherà in età medio e tardo-imperiale. A tal proposito un confronto interessante con l’ipogeo di Caivano è costituito dal colombario 1 di via Taranto a Roma, di recente datato alla prima età traianea, dove sono raffigurati sulle pareti motivi più generici come cembali e corni potori sospesi con nastri tra festoni vegetali, accanto a ramoscelli di melograno caratterizzati da un forte valore simbolico in senso funerario. Affinità tra i due monumenti si rilevano inoltre nella riduzione degli spunti decorativi che si appiattiscono sul fondo neutro e nell’estrema semplificazione della partizione geometrica delle pareti, a cui si contrappone in entrambi i casi la ricca ornamentazione floreale della volta11. L’attenzione dello spettatore nell’ipogeo di Caivano è immediatamente attirata dai due grandi quadri di paesaggio raffigurati nelle lunette dell’ipogeo, per la loro posizione e per le dimensioni notevoli (largh. 3,60 x h 1,40 m); questi hanno un ruolo di rilievo, come vedremo, per l’interpretazione del significato dell’intera decorazione (Figg. 2-3). Il tema figurativo, identico nelle due lunette, rientra nel genere del paesaggio idillico-sacrale in cui in un’ambientazione bucolica sono raffigurate piccole architetture sacre ravvivate da personaggi intenti in attività quotidiane (pescatori, pastori, viandanti ...) o in atto di fare sacrifici o offerte alla divinità. E’ la rappresentazione di una natura felice, di cui è partecipe l’uomo, sotto la benedizione divina. In sintonia con il gusto letterario dell’epoca12, il genere ha una grandissima fortuna nelle arti figurative soprattutto a partire dall’età augustea e ancor più in età neroniano-flavia13. Rappresentazioni di questo tipo sono infatti molto frequenti nel III e IV stile, sia in contesti funerari (come nel colombario di Villa Pamphili a Roma)14 che nelle decorazioni di case dove ricorrono in genere nella parte alta o mediana delle pareti, come è ampiamente documentato nell’area vesuviana (Figg. 44, 46). La scelta, nell’ipogeo di Caivano, delle lunette per i paesaggi è inconsueta. Un esempio di II stile si ritrova nella Villa di Oplontis15, mentre non vi sono confronti a Pompei, dove non sono attestate scene di questo tipo in tali spazi, destinati in genere a raffigurazioni più generiche come nature morte16, animali fantastici17, maschere18, motivi architettonici e vegetali19. Un tema di maggiore rilievo invece è visibile nella lunetta della tomba 2 EN della necropoli di Porta Nocera, in cui, sulla parete di fondo, è raffigurata una scena di caccia con un personaggio, vestito di corta tunica e armato di pugnale e lancia, che affronta un cinghiale20 (Fig. 48). La camera funeraria, in questo caso, è simile nella struttura architettonica e decorativa all’ipogeo di Caivano con il quale presenta una notevole affinità, come vedremo, oltre che per la posizione di rilievo delle immagini nella lunetta, per le caratteristiche degli affreschi della volta. Datata in età tardo neroniano-flavia, la tomba pompeiana riflette la tendenza, affermatasi in quest’epoca, allo spostamento verso l’alto, nelle lunette e nel soffitto, della parte più importante della decorazione, fenomeno che, evidente nell’ipogeo di via Libertini (come vedremo un po’ più tardo), si accrescerà in età medio e tardo-imperiale. Il soggetto scelto a Caivano si adatta bene alla superficie curva della lunetta su cui si distribuiscono con grande semplicità gli elementi tipici del genere idillico-sacrale, figure di

9 VECCHIO 1985, n. 84, p. 292. 10 VECCHIO 1985, n. 79 a p. 289. 11 PALLOTTINO 1934, pp. 41-63; MANCIOLI 1997, pp. 4-9. Di recente la datazione in età giulio-claudia proposta nei contributi appena citati, è stata in modo convincente spostata alla prima età traianea: BALDASSARRE et alii 2002, pp. 304-305. Si veda anche: FERAUDI –GRUENAIS 2001, p. 87. 12 CROISILLE 1982, pp. 192-195, 644, 674-675; LEACH 1988, pp. 197-259. 13 PETERS 1963; SILBERBERG 1980. 14 BENDINELLI 1941; LING 1993, pp. 127-135. Id. 1998, pp. 45-47. 15 CLARKE 1996, p. 105 e fig. 12. 16 PPM, vol. I, Casa di M. Fabius Amandio (I, 7, 2.3), fig. 34; PPM, vol. V, (VI, 14, 20), fig. 57. 17 PPM, vol. I, Casa dell’Efebo (I, 7, 11), fig. 80. 18 PPM, vol. II, Caupona di Sotericus (I, 12, 3), fig. 20. 19 PPM, vol. III, Casa della Soffitta (V, 3, 4), fig. 32. 20 D’AMBROSIO-DE CARO 1983, Tomba 2 EN.

53

adulti e bambini accanto a strutture sacre, offerenti presso altari, una scena di sacrificio a Priapo, pastori, viandanti, pescatori, barche con rematori, capri pascolanti; accanto a questi trovano spazio alcuni temi meno canonici, come la scena di banchetto nella parete di fondo che assume, come vedremo, un significato particolare rispetto al contesto funerario. I personaggi si muovono in uno scenario naturalistico tratteggiato mediante pochi accenni a rocce, alberi, specchi d’acqua, architetture, immersi in un’atmosfera nebulosa ed irreale. La luce e i colori non suggeriscono un particolare momento del giorno, una stagione dell’anno o condizioni atmosferiche specifiche21, ma la tonalità luminosa e neutra del fondo prevale sugli elementi figurati. Questi emergono dal piano nei toni caldi del rosso mattone, ravvivato da ritocchi in verde, che caratterizzano le figure umane o le architetture, o nelle delicate sfumature di verde e grigio delle rocce o degli edifici in lontananza. I personaggi, gli elementi paesaggistici e le strutture architettoniche, privi di consistenza disegnativa, sono delineati con rapidità di tratto, a macchie di colore, secondo un gusto impressionistico che caratterizza con crescente forza i paesaggi di III e IV stile. Le singole figure sono appena abbozzate e animate da intonazioni vivaci e talora grottesche, e su di esse prevale il paesaggio nel suo insieme, percepito e reso in maniera sintetica ed immediata. Rispetto alle composizioni armoniche e complesse caratterizzate da figure disposte organicamente su diversi piani prospettici, di cui vi è ampia attestazione nelle pitture di III e IV stile a Roma e a Pompei22, si nota, nei paesaggi caivanesi, una tendenza alla semplificazione della sintassi compositiva e il profilarsi di un principio di disgregamento per cui i vari nuclei narrativi appaiono isolati su un fondo unico, neutro, e non più rigidamente coordinati in una composizione organica. Questa nuova sensibilità spaziale, che si afferma a partire dagli ultimi due decenni del I secolo, è particolarmente evidente nella lunetta della parete d’ingresso in cui la scena figurativa è estremamente semplificata e si riduce a pochi elementi che appaiono astratti da ogni realtà spaziale e come “dispersi” in superficie23. Nel quadro al di sopra della porta (fig. 2), la composizione infatti si articola in tre nuclei narrativi separati e presenta, al centro, due imbarcazioni che incrociano le loro rotte e, ai lati, figurine umane in varie pose raffigurate accanto a strutture architettoniche sacre, che riproducono tipi attestati nell’area del Mediterraneo o specifici dell’Egitto. Il motivo delle barche è frequente nel paesaggio idillico-sacrale, che assimila spunti e motivi da diversi generi e, nel caso specifico, si rifà alle rappresentazioni di paesaggi fluviali, di ville marittime o di porti con sfondi di battaglie navali24. Sulla destra è raffigurato un tempietto che si configura come un edificio circolare con copertura conica, tipico dei paesaggi egizio-ellenistici, di cui vi sono innumerevoli confronti25. Davanti al portico d’ingresso sono due figure (un adulto e un bambino) che compiono un sacrificio presso un’ara, altro motivo ricorrente di cui vari esempi si ritrovano nei paesaggi idillico-sacrali del colombario di Villa Pamphili a Roma26; più vivace la posa dei personaggi nella scena simile che si ripete nella parte retrostante del tempio. Nel gruppo a sinistra è raffigurata invece una ‘porta sacra’, struttura distila in questo caso con architrave arcuato, associata ad un albero sacro; è un tipo di costruzione che poteva avere varie funzioni, ovvero sacello campestre, edicola votiva, segnacolo funerario, ma, a differenza di vari altri edifici e monumenti raffigurati nelle scene di paesaggio, non trova riscontro diretto nei ritrovamenti archeologici e nelle fonti letterarie27. Numerosissime le attestazioni nei quadri di paesaggio a Roma (nella Villa della Farnesina, nella Domus Aurea)28, a Pompei dove, tra i vari

21 PETERS 1963, p. 193. 22 Per gli esempi pompeiani si veda: PETERS 1963; Id. 1991; si veda anche: SILBERBERG 1980. Per Roma ricordiamo, tra gli esempi più significativi, i paesaggi della Villa della Farnesina (BRAGANTINI-DE VOS 1982, passim) e il colombario di Villa Pamphilii (BENDINELLI 1941; LING 1993, pp. 127-135; Id. 1998, pp. 45-47). 23 Si veda a tal proposito: NAPOLI 1960, pp. 78-79, 83-84. 24 PETERS 1963, pp. 192-193. Sul tema nello specifico si veda: PENSA 1999. 25 Ricordiamo alcuni esempi pompeiani: PPM, vol. VIII, Tempio di Iside (VIII, 7, 28), fig. 42; PPM, vol. I, , Casa di M. Fabius Amandio (I, 7, 2.3), fig. 10. 26 BENDINELLI 1941, tav. III, 3; tav. V, 1; tav. VII, 3 ; tav. X, 1. 27 Si è tentato di indagare i rapporti con l’architettura reale di tale tipo di struttura che è stato dunque messo in relazione con le basi votive a due colonne note a Delfi nella seconda metà del III a.C. e a Delo agli inizi del II a.C.; richiama inoltre alcuni segnacoli funerari siriani molto più tardi, databili al II secolo d.C. (DALL’OLIO 1989). 28 Per un catalogo delle attestazioni: DALL’OLIO 1989, pp. 526-531.

54

esempi29, menzioniamo un tipo con epistilio arcuato simile a quello di Caivano, in un quadro conservato al Museo Nazionale di Napoli30. Il paesaggio nella lunetta della parete di fondo (fig. 3) è invece più ricco e affollato di figure, collocate su diversi piani prospettici e presenta, rispetto all’altro, una maggiore organicità nella composizione. Anche in questo caso, però, il riflesso della nuova sensibilità si coglie nel ruolo preminente del fondo neutro e nella sostanziale semplicità di costruzione della scena. Le figure sono infatti distribuite nello spazio in rapporto ad una linea di suolo orizzontale che corre lungo il lato inferiore della lunetta; tale fascia è a sua volta scandita da una serie di elementi verticali (i due promontori rocciosi e l’albero in fondo a destra) che delimitano gli spazi in cui sono collocati al centro, su un asse verticale, in primo piano la scena di banchetto, in secondo piano la nave coi rematori, sullo sfondo edifici tra cipressi. Agli estremi, invece, presso gli angoli della lunetta, sono visibili da un lato dei capri pascolanti, dall’altro un pastore adagiato sotto l’ombra di un albero.

Fig. 43: Tomba di C. Vestorius Priscus a Pompei (da Jastrzebowska 1979)

Le figure poste alle estremità forniscono l’inquadramento bucolico alla scena; all’ambientazione naturalistica contribuiscono anche lo specchio d’acqua solcato dall’imbarcazione e, in lontananza, il promontorio su cui si ergono edifici circondati da cipressi31. In primo piano, invece, sono raffigurati un pescatore con la canna e una donna che compie un sacrificio a Priapo, scenograficamente separati da un’alta colonna e posti sulla superficie ridotta di una roccia, che ha una base ristretta e appare quasi ‘traballante’. Sono tutti motivi tipici del repertorio idillico-sacrale di cui si ritrovano numerosi riscontri nei paesaggi attestati a Pompei32 e a Roma, nel colombario di Villa Pamphili33 e nella Villa della Farnesina34. Nel paesaggio caivanese è inserita una scena di banchetto che, isolata tra i due promontori rocciosi, è in una posizione di rilievo e, pur non essendo al centro del quadro, costituisce il punto focale della raffigurazione (Figg. 3, 41). Il momento conviviale, in cui si assaporano e condividono i piaceri della vita in armonia con la natura, si intona bene con l’atmosfera del paesaggio idillico-sacrale, che rappresenta un’esistenza felice, pacifica, priva di fatiche, un mondo alternativo di godimento e felicità. Il tema del banchetto, d’altra parte, ha una lunga tradizione nell’iconografia funeraria e gode di particolare fortuna nel mondo romano dall’età tardo-repubblicana fino a tutto il I sec. d.C.; dopo una fase di calo delle attestazioni, avrà poi un vero e proprio boom nel III e IV secolo d.C.

29 PPM, vol. VII, Casa di M. Castricius (VII, 16, Ins. Occ.), figg. 105, 107; PPM, vol. VII, (VII, 16, Ins. Occ.), fig. 341; PPM, vol. II, Casa dei Cubicoli Floreali o del Frutteto (I, 9, 5), figg. 90, 94. 30 DALL’OLIO 1989, n° 46 p. 529. 31 Sulla funzione del cipresso, non solo simbolica in senso funerario, ma anche pratica e ornamentale: PIACENTE 1978, pp. 387-390. 32 PPM vol. VII, Casa di M. Castricius (VII, 16, Ins. Occ., 17), figg. 105-107; PPM , vol. II, Casa dei Cubicoli Floreali o del Frutteto (I, 9, 5), fig. 124. 33 BENDINELLI 1941, tav. X, 1; tav. VII, 3 ; tav. XI, 2. 34 BRAGANTINI-DE VOS 1982, tav.222.

55

quando, con la diffusione del cristianesimo, si caricherà di nuovi significati35. Restando in ambito pagano, il successo del soggetto si spiega in primo luogo in relazione all’importante ruolo del banchetto nelle cerimonie funebri; pranzi commemorativi, a cui prendevano parte i familiari del defunto, si svolgevano periodicamente presso le tombe; durante i funerali inoltre spesso erano offerti banchetti evergetici che assumevano un forte valore auto-rappresentativo, ed erano un momento di esibizione del livello sociale ed economico raggiunto da parte della famiglia dell’estinto36.

Fig. 44: Disegno di una parete della Villa romana della Farnesina (da Elia 1931)

Lo stesso valore di status symbol assume la rappresentazione, nelle case, di pranzi all’aria aperta ambientati in scenari naturalistici ameni; tali conviti, simbolo di agiatezza domestica e di piacere, si svolgevano effettivamente nella realtà secondo una moda, riflessa nelle arti figurative, che si diffuse a partire dall’età tardo-repubblicana, quando, ad imitazione del lusso delle corti ellenistiche, si allestivano triclini all’aperto, in una progressiva integrazione tra banchetto e natura37. A Pompei abbiamo un’ampia attestazione di mense e triclini in orti e peristili38, come nella Casa dell’Efebo dove nel giardino sono stati rinvenuti letti tricliniari; su questi erano dipinte scene di pranzi all’aperto, quasi a ribadirne la funzione per i commensali che vi si adagiavano39. In un’abitazione in via dell’Abbondanza un banchetto en plein air inoltre è inserito in un paesaggio idillico-sacrale molto scarno, evocato da una figura di viandante e da pochi accenni ad architetture40. A tale costume conviviale si ricollega la scena raffigurata a Caivano che, piuttosto che alludere ad un pranzo rituale, commemorativo, a cui partecipano i familiari del defunto, rappresenta invece un semplice banchetto privato, un ‘déjeuner sur l’herbe’, di cui un altro esempio in ambito funerario si ritrova nel già citato colombario di Villa Doria Pamphilii, in età augustea, in uno dei pannelli che decorano la parte sottostante le nicchie con le urne cinerarie41, accanto a soggetti molto vari (paesaggi nilotici, idillico-sacrali, scene mitiche o aneddotiche, nature morte) (Figg. 43, 45). In entrambi i casi non vi sono riferimenti espliciti ad una cerimonialità funeraria o ad un’ambientazione nell’aldilà, ma per la grande freschezza e spontaneità narrativa

35 Sul tema iconografico del banchetto: GHEDINI 1990, pp. 35-62; COMPOSTELLA 1992, pp. 659-689; si veda anche: JASTRZEBOWSKA 1979, pp. 3-90. 36 Si veda: GHEDINI 1990, pp. 35-45. 37 GHEDINI 1990, pp. 48-53. 38 SOPRANO 1950, pp. 288-310. 39 PPM, vol. I, Casa dell’Efebo (I, 7, 11), figg. 179b, 181; si veda anche: SOPRANO 1950, pp. 309-310. 40 PPM, vol. I, ( I, 7, 5), figg. 7-8. 41 BENDINELLI 1941, Tav. II, 1 (parete A, IX). Sul colombario: BENDINELLI 1941; LING 1993, pp. 127-135; Id. 1998, pp. 45-47.

56

tali scene si inseriscono nella tradizione del banchetto “edonistico” ben documentata in età tardo-repubblicana e imperiale42.

Fig. 45: Roma. Colombario di Vigna Codini. Volta

Figg. 46, a-b: Roma. Colombario di Villa Doria Pamphili. Paesaggi idillico-sacrali

L’affresco romano costituisce uno stretto confronto per la scena caivanese per lo schema iconografico (Fig. 42). Sei convitati sono disposti intorno ad una mensa a sigma (si tratta di una delle prime rappresentazioni di uno schema che diventerà diffusissimo soprattutto in età tardo-antica), su cui è visibile un vassoio di vivande e, accanto, due vasi; questi sono molto simili anche nelle posture ai personaggi che partecipano al banchetto raffigurato nell’ipogeo. Una variazione significativa si rileva solo per una delle figure e assume un valore notevole per l’interpretazione complessiva della scena. Il primo personaggio a sinistra infatti nel colombario è raffigurato di spalle, volto verso gli altri convitati, mentre nell’ipogeo è rappresentato di prospetto e rivolge lo sguardo allo spettatore levando in alto una coppa. La figura, caratterizzata nei particolari, è posta in grande rilievo rispetto agli altri commensali, che sono appena abbozzati e, privi di consistenza disegnativa, si riducono a semplici macchie di colore; l’uomo, verosimilmente il proprietario della tomba, volge a loro le spalle e, come in una posa fotografica, è ritratto in un gesto teatrale e ostentativo mentre si gode il banchetto. Emerge dunque il forte intento auto-rappresentativo della raffigurazione, confermato anche dalla presenza, in primo piano, accanto all’inserviente, della mensa tripes, di dimensioni maggiorate,

42 Per l’interpretazione delle due scene si veda: GHEDINI 1990, pp. 48-53. Sui conviti ambientati nei Campi Elisi: Ibidem, pp. 45-48.

57

su cui è esibito il vasellame, segno di luxuria. Un confronto significativo, sotto quest’aspetto, è dato dalla tomba di C. Vestorio Prisco a Pompei dove, tra le varie scene che rappresentano i momenti salienti della vita e della carriera dell’edile defunto, è inserito anche un banchetto en plein air dipinto sul basamento su cui posava l’altare funerario; sotto un ampio velario, cinque commensali, sono distesi su un divano a sigma intorno ad una mensa su cui è poggiato prezioso vasellame, raffigurato anche, a lato, su una tavola a due piani dove è al lavoro un servitore43 (Fig. 43). Conferma la lettura della scena in chiave di auto-rappresentazione sociale, un altro affresco nella stessa tomba in cui, contro un drappo rosso ornato di ricami, è visibile una tavola gialla (forse in bronzo dorato) su cui è esposto un lussuoso servizio di argentum potorium composto da 19 pezzi44.

Fig. 47: Roma. Colombario di Villa Doria Pamphili (da Bendinelli 1941)

Il proprietario della tomba di Caivano quindi si fa rappresentare in un momento di otium e di gioia, mentre si gode i piaceri della vita emblematicamente rappresentati dal banchetto, simbolo di agiatezza e lusso, che si svolge in uno scenario naturalistico. La connotazione idillico-sacrale del paesaggio, perduto l’originario riferimento religioso della tradizione cultuale dei paesaggi ellenistici e divenuto ormai maniera45, rimanda infatti, immediatamente, nell’immaginario collettivo ad un mondo alternativo, sereno, privo di fatiche, fatto di godimento e di felicità. Questo è l’obiettivo a cui aspira ogni uomo e su tale etica del piacere si fonda l’idea di una vita ben realizzata; in questi termini dunque si configura anche l’immagine di una vita gradevole del defunto nella memoria dei sopravvissuti46. La forte valenza semantica del paesaggio idillico-sacrale nella mentalità romana, spiega anche la centralità, nel programma figurativo dell’ipogeo, di tale soggetto, ripetuto nella lunetta all’ingresso e poi ancora in due quadretti nella volta. Risalta sugli altri, però l’affresco della lunetta della parete di fondo che, proprio attraverso la scena del banchetto, fornisce la chiave di lettura della decorazione dell’intero ipogeo, il messaggio del committente circa le proprie idee sulla vita e sulla morte. Per quanto dunque, come è stato sottolineato, la scena conviviale non costituisca il soggetto principale della decorazione ma il vero protagonista sia il paesaggio47, questa non ha un ruolo affatto marginale dal punto di vista semantico, perché il committente ad essa riserva l’immagine di sé che vuole affidare ai vivi, alla sua famiglia, alla società. La decorazione dell’ipogeo culmina nella volta a botte, che è imperniata sul riquadro centrale con la cerva in corsa; questo fa da cardine alla ricca ed elegante ornamentazione di ghirlande, fiori e oggetti decorativi vari che si svolge sulla curvatura del soffitto ed è inquadrata ai margini da una pesante ripartizione linearistica in rosso che percorre la parte bassa della volta (Fig. 1).

43 Per le diverse interpretazioni della decorazione della tomba e in particolare del banchetto: GHEDINI 1990, p. 37 e sgg.; COMPOSTELLA 1992, p. 679 e sgg.; HOLS- MOORMANN 1993-94, pp. 15-52. 44 DE CARO 2001, cat. 117, pp. 109-111. 45 GHEDINI 1990, part. p. 53; CROISILLE 1982, pp. 674-675. 46 Su tali temi si veda: ZANKER 2004, p. 24 e sgg., e p. 145 e sgg. 47 GHEDINI 1990, pp. 52-53.

58

L’importanza del soffitto nel sistema decorativo della tomba di Caivano è in linea, come abbiamo già accennato, con una tendenza affermatasi a partire dal IV stile, fase in cui si rileva al contempo una particolare sensibilità per la decorazione delle superfici curve. Nelle volte a botte dunque lo schema compositivo si organizza in un’alternanza di linee ortogonali e curve, adattandosi felicemente al carattere mistilineo di tale copertura48. Nell’ipogeo di via Libertini, un accurato sistema geometrico scandisce la superficie in una serie di spazi in cui sono inseriti soggetti figurati e ornamentali molto vari. Fasce rosse delimitano alla base la volta e formano un rettangolo, all’interno del quale è inscritto un secondo rettangolo; quest’ultimo presenta al centro il riquadro con la cerva ed è suddiviso in quattro spazi triangolari da fasce diagonali vegetalizzate, che terminano su archetti posti negli angoli. Nello spazio tra i due rettangoli, si forma una fascia suddivisa, su ciascun lato, in tre pannelli di diversa lunghezza, a cui nei lati corti se ne sovrappone una seconda simile. Gli angoli sono contrassegnati da quattro quadrati.

Figg. 48, a-b: Pompei. Necropoli di Porta Nocera. Tomba 2 EN Su tale schema s’innesta la decorazione pittorica che in alcuni casi enfatizza in altri attenua la rigidità della partizione geometrica. Lungo i margini le spesse fasce rosse sottolineano la scansione della superficie in pannelli e conferiscono una certa pesantezza all’insieme, accentuata dalla simmetrica alternanza delle dimensioni dei riquadri. Nella fascia inferiore, infatti, su ciascun lato si dispongono, al centro un riquadro più piccolo e ai lati due rettangoli allungati; nella fascia superiore sui lati corti, la posizione è invertita e al centro è il pannello più grande e ai lati quelli minori. Nel campo centrale invece la rigida scansione geometrica delle diagonali è fortemente modulata dall’aerea leggerezza delle fasce ornamentali composte da ghirlande filiformi ed esili tralci. La pittura opera, in questo caso, una ‘correzione’ ottica e riproduce in modo illusionistico, una ripartizione a crociera animando la superficie curva della volta a botte che appare articolata in pennacchi. La profusione di intrecci vegetali e fiori, inoltre, conferisce all’insieme l’aspetto di una pergola in cui si armonizzano perfettamente i pinakes e gli oggetti sospesi, grazie anche alla delicatezza dei pochi toni di colore impiegati. Il forte senso della simmetria che si rileva nello schema compositivo, si ritrova anche nella distribuzione dei soggetti figurativi nelle vignette lungo i margini: fiori agli angoli, cespo di frutti al centro e tralci vegetali ai lati, si ripetono invariati negli assi maggiori del rettangolo; sui lati corti, nelle due fasce superiori si ritrova al centro una scena di paesaggio e ai lati un volatile con frutta, in quelle inferiori si susseguono invece una coppia di maschere, un volatile e oggetti vari legati al mondo della palestra; le maschere e i vasi agonistici sono disposti a chiasmo nelle due pareti che si fronteggiano (Fig. 25). La ripetitività dei temi è ravvivata dalla variazione sistematica, all’interno delle singole vignette, delle specie di volatili e frutti, degli oggetti pertinenti ai ludi, degli elementi che compongono i due quadretti paesaggistici. Anche nel

48 CORLÀITA SCAGLIARINI 1974-76, pp. 13-17.

59

campo centrale della volta una stretta simmetria regola la distribuzione dei motivi decorativi, che si ripetono negli spazi triangolari contrapposti: pissidi e quadretti con supporto sui lati lunghi; siringhe, quadretti e corni potori sui lati corti. Le variazioni sono quasi impercettibili, come nel caso delle coppie di volatili raffigurati, nei pinakes, su un omogeneo fondo verde. Nella volta dell’ipogeo di Caivano colpisce comunque, in primo luogo, la molteplicità di temi e di spunti decorativi che sono riuniti in una soluzione compositiva articolata ed eclettica. Per il forte carattere ornamentale della decorazione, un interessante confronto si può istituire con la volta del più antico colombario di Vigna Codini a Roma, che presenta notevoli affinità con l’ipogeo nella composizione e nei motivi figurativi (Fig. 45). La superficie, ripartita da esili linee ortogonali, presenta al centro un motivo animalistico in un rombo, iscritto a sua volta in un tondo; intorno al medaglione centrale una decorazione mistilinea, ravvivata da eleganti tralci vegetali e da volatili, crea esili e accennate architetture a cui sono sospesi con nastri oggetti decorativi; al di sotto di questi si dispongono, come nell’ipogeo, quattro pinakes49. La raffinatezza e l’equilibrio compositivo che caratterizzano l’affresco romano non si ritrova, però, nella volta di Caivano in cui si nota un certo squilibrio per il contrasto tra la leggerezza della soluzione presente nel campo centrale e la pesantezza della decorazione linearistica in rosso. Strette affinità con l’ipogeo presenta anche la già citata Tomba 2 EN della necropoli di Porta Nocera a Pompei, datata all’età tardo-neroniana/flavia. La volta a botte della camera funeraria è infatti suddivisa, mediante spesse fasce rosse e gialle, in scomparti quadrangolari in cui sono raffigurati esili tralci vegetali e volatili, e presenta al centro un tondo in cui è dipinto un gorgoneion50 (Fig. 48, b). Rispetto all’ipogeo, il repertorio decorativo della tomba è meno ricco e lo schema compositivo più semplice; non si ritrova infatti l’articolazione a crociera che poi avrà grande fortuna nella decorazione delle volte, soprattutto a partire dal II secolo. In ambito funerario, un interessante riscontro tematico si ritrova nella decorazione del colombario di Villa Doria Pamphili a Roma, già citato a proposito dei quadri paesaggistici nelle lunette. I lunghi fregi che corrono sotto le nicchie disposte in file lungo le pareti, sono suddivisi in pannelli in cui sono inseriti soggetti molto vari; volatili associati a frutti si alternano, nella parte alta, a paesaggi idillico-sacrali, nella parte bassa a paesaggi nilotici. La disposizione non è però rigorosa ma talora gli stessi temi si ripetono in pannelli vicini o la sequenza è interrotta da episodi mitologici, aneddotici o di vita quotidiana (scene teatrali, di banchetto, di scuola, di danza)51 (Fig. 47). La destinazione collettiva del colombario spiega le anomalie nella distribuzione dei soggetti e la presenza di temi particolari; per quanto infatti si colga un piano generale per la decorazione del sepolcro, riconducibile ad un committente più influente, la famiglia dominante, alcune scelte decorative peculiari appaiono legate a volontà individuali. Al contrario nell’ipogeo di Caivano, tomba monofamiliare, la molteplicità di temi e la loro rigida disposizione nello spazio, in un gioco di corrispondenze e parallelismi, è frutto di un programma figurativo unitario che risponde al gusto del committente e della sua famiglia. E’ interessante sottolineare però come il repertorio figurativo, in entrambi i casi, non abbia connotazioni specificamente funerarie, ma sia ampiamente diffuso in abitazioni private. La cerva in corsa raffigurata nella chiave di volta, si ritrova talora nelle case pompeiane come elemento ornamentale al centro delle pareti52. Animali reali o fantastici, con funzione prettamente decorativa, sono tipici, d’altra parte, del repertorio non solo domestico ma anche funerario, come mostra il già citato colombario di Vigna Codini a Roma, e avranno fortuna fino in età medio e tardo-imperiale. Lo attestano ad esempio, a Napoli, tra la fine del II e gli inizi del III secolo, gli affreschi dell’ipogeo gentilizio che diverrà poi il vestibolo d’accesso al piano inferiore delle catacombe di San Gennaro53, o a Roma da un lato le pitture delle fasi più antiche delle catacombe romane (si pensi al cubicolo del Buon Pastore nel cimitero di Domitilla) dall’altro la decorazione della cd. Villa piccola sotto il complesso di S. Sebastiano54.

49 FERAUDI –GRUENAIS 2001, p. 94, fig. 96. Il colombario, di età giulio-caludia, è utilizzato ancora nella prima metà del II secolo, in epoca traianea e adrianea. 50 D’AMBROSIO-DE CARO 1983, scheda 2 EN. 51 BENDINELLI 1941; LING 1993; Id. 1998. 52 Si veda ad esempio: PPM Vol. I , Casa dell’Efebo (I, 7, 11), fig. 83; PPM, Vol. II, Casa dei Pittori (I, 12, 11), fig. 32; PPM Vol. II, (I, 16, 3), fig. 3. 53 FASOLA 1975, tav. I. Si veda anche la decorazione del cd. vestibolo superiore nello stesso cimitero: ibidem, tav. II. 54 BISCONTI 1998, figg. 99-100.

60

Nelle fasce alla base della volta acquistano rilievo, per la loro posizione centrale, i due quadretti paesaggistici, che sono circondati da vignette con nature morte (Figg. 9-10). Gli elementi tipici del genere idillico-sacrale, che erano distribuiti con maggiore ariosità sull’ampia superficie delle lunette, sono qui inseriti in un piccolo riquadro rettangolare. Le architetture e i personaggi, di ridotte dimensioni, sono appena accennati e resi con grande sommarietà e rapidità di tratto; prevale sulle singole figure una visione sintetica dell’insieme, l’attenzione si focalizza sull’atmosfera generale del paesaggio, caratterizzato da un’intonazione coloristica più fredda rispetto alle lunette, per l’uso di toni verdi, azzurri, violacei sul fondo neutro. Si rileva, anche in questo caso, come nei due grandi quadri, una tendenza alla semplificazione e alla riduzione dei piani prospettici; su una linea di suolo principale sono disposte in primo piano figure presso strutture sacre o rocce, mentre dallo sfondo emergono barche e edifici in lontananza su promontori. Più semplice e sobria, nella distribuzione dei nuclei narrativi e nella scelta dei colori, è la vignetta posta in corrispondenza della parete sinistra di chi entra nell’ipogeo (Fig. 9), in cui si ritrovano i motivi tipici del genere: due figure accanto ad una ‘porta sacra’, un offerente rivolto ad una statua di Priapo addossata ad un’alta colonna, una scena di sacrificio presso un’ara, un viandante, una barca col pescatore. Nel quadretto sul lato opposto (Fig. 10) la scena è più vivace e ricca di figure ed è animata dall’uso di toni più caldi come il giallo ocra dell’edificio con il fitto giardino recintato a sinistra, il rosso mattone che caratterizza, nel gruppo a destra, il personaggio chino sull’ara e la struttura sacra. Al centro ritroviamo la roccia dalla base ristretta presente nella lunetta della parete di fondo, che qui appare come un semplice spunto figurativo e non è in organica connessione col paesaggio. Completano la scena il viandante con la capretta a destra, la barca e gli edifici in lontananza. I quadretti della volta richiamano i paesaggi raffigurati nel più antico colombario di Villa Doria Pamphili (Figg. 46, a-b); nei pannelli rettangolari figure di ridotte dimensioni sono ritratte nelle pose tipiche del genere idillico-sacrale. Ritroviamo dunque l’uomo curvo che compie un sacrificio presso l’ara, il gruppo di donna e bambino, il vecchio, il viandante col fardello, così come l’edificio con il folto giardino sul retro, la colonna votiva, la porta architravata associata all’albero sacro55. Gli stessi nuclei narrativi sono però inseriti in uno scenario più complesso, caratterizzato da architetture più ricche e articolate. L’insistenza sul tema idillico-sacrale in entrambi i monumenti, ripetuto nei fregi del colombario e nella volta e nelle lunette dell’ipogeo, si configura come generica e diffusa evocazione di un mondo alternativo e immaginario di felicità e pace, reso attraverso un paesaggio ormai manierato e artificioso. A Caivano, in particolare, si stabilisce un rapporto gerarchico tra i grandi quadri paesaggistici nelle pareti d’ingresso e di fondo, e le vignette nella volta, poste simmetricamente in corrispondenza delle pareti laterali. In tale sistema decorativo le lunette, come abbiamo visto, acquistano un ruolo preminente dal punto di vista semantico. Nella volta, ai lati dei quadretti di paesaggio sono raffigurati volatili associati a frutti, secondo una disposizione già presente, come abbiamo accennato, nel colombario di Villa Pamphili. Un confronto interessante per la selezione e l’accostamento dei temi figurativi può essere istituito con alcuni ambienti della Villa romana della Farnesina56. Nel corridoio rettilineo e nel corridoio anulare, infatti, la parte alta della parete è suddivisa in riquadri rettangolari in cui si alternano, come nell’ipogeo, paesaggi idillico-sacrali57 e nature morte; si tratta nel caso specifico di maschere e oggetti votivi58, che a Caivano sono trasferiti invece nella fascia inferiore, ai lati di un riquadro con un volatile (Fig. 44). Ancora una volta si rileva l’omogeneità del repertorio decorativo domestico e funerario, attestato ulteriormente dai numerosi esempi di case pompeiane, soprattutto di IV stile, in cui sono presenti nei diversi ambienti i vari soggetti che nell’ipogeo sono riuniti nella volta (paesaggi sacrali, maschere, vasi agonistici, volatili con frutti, animali)59.

55 BENDINELLI 1941, fig. 3 a p. 9 (parete A, XIV); fig. 10 (parete F, III, V, VI) ; tav. V, 1 ; tav. VII, 3 (parete C, X). 56 BRAGANTINI- DE VOS 1982, tavv. 207-222 (corridoio rettilineo F); tavv. 223-240 (corridoio anulare G). 57 Alcuni motivi presenti nei paesaggi della Farnesina si ritrovano nelle vignette di Caivano; si veda ad esempio: BRAGANTINI- DE VOS 1982, tavv. 222, 238, 233. 58 BRAGANTINI- DE VOS 1982, tavv. 209, 211, 217, 231, 234. 59 Si veda ad esempio: PPM, Vol. VII, (VII, 16 Ins. Occ., 22), figg. 113, 134, 179, 180, 185, 190, 198, 341.

61

Nell’ipogeo le nature morte, animate e inanimate, sono condizionate dalla struttura a rettangolo allungato della vignetta e presentate in posizione paratattica su un fondo neutro in cui l’unica notazione spaziale è data una semplice fascia di colore che funge da base per gli elementi figurativi, rappresentati in modo corsivo e vivace con rapidi tratti di colore60. I pannelli coi volatili appaiono ormai quadretti di genere in cui però si rileva una certa freschezza e vivacità di toni. Si riconoscono, tra le varie specie di uccelli, un pettirosso, una tortorella, un cardellino associati a frutti tra cui ciliegie, fichi di diverse qualità, mele cotogne o pesche61 (figg. 11-12). E’ solo una lontana eco delle rigogliose rappresentazioni della natura diffuse nella pittura di giardino, di cui il massimo esempio è costituito dagli affreschi della Villa di Livia a Roma caratterizzati da una grande varietà di volatili e di alberi da frutto62; tra questi si riconoscono alcune specie presenti nell’ipogeo63, dove tali motivi figurativi sono però decontestualizzati e, inseriti in quadretti, assumono una funzione prettamente decorativa, secondo un gusto ampiamente attestato in area vesuviana, a Pompei ed Oplontis64. Allo stesso modo le maschere65 e i vasi agonistici66 (Figg. 13, 14), altrettanto frequenti nelle case pompeiane soprattutto nel IV stile67, riflettono il gusto estetico per la descrizione degli oggetti che coinvolge non solo l’arte figurativa ma anche la poesia del tempo68, e confermano l’assimilazione di tematiche tra i due ambiti già riscontrata per i paesaggi idillico-sacrali. Privi di una specifica valenza funeraria o di un simbolismo religioso, hanno un forte valore ornamentale e connotano come luoghi piacevoli e ameni gli ambienti sepolcrali e domestici, che diventano così segno di prestigio per il proprietario. I vasi in metalli preziosi offerti ai vincitori dei ludi, le maschere tragiche associate al corno potorio, resi con grande semplicità nello schema compositivo e nel disegno, indicano l’appartenenza ad un mondo, evocano un determinato status sociale, economico nonché culturale; elementi di luxuria, alludono alla gioia del possesso delle cose e riportano dunque ad un simbolismo terreno, laico, volto al raggiungimento e al godimento del benessere della vita nell’aldiqua69. Alla rappresentazione dell’amenità del luogo contribuiscono i volatili coi frutti, che rimandano alla bellezza della natura e alla varietà dei suoi prodotti, ribadite dalla decorazione vegetale nelle fasce sui lati maggiori; un forte valore esornativo in questo senso hanno infatti i cespi di fiori e frutti nei riquadri centrali, i tralci vegetali circondati da fiorellini nei pannelli laterali, così come i motivi floreali schematizzati, negli spicchi nel campo centrale e negli angoli del soffitto (Figg. 20, 21). Il gusto vegetale e ornamentale esplode nel campo centrale della volta dove il pergolato composto da ghirlande e tralci che formano, con forte geometrismo, cerchi tangenti decorati con palmette, è ravvivato dai fiorellini sparsi disordinatamente sul fondo neutro (Figg. 1, 21). Il forte decorativismo è accentuato dai vari oggetti sospesi a nastri e dai pinakes, che conferiscono un tono sontuoso alla decorazione (Figg. 15-19). La composizione ricorda, come abbiamo già sottolineato, la volta del colombario di Vigna Codini, anche se ghirlande e oscilla sono motivi molto diffusi soprattutto nella decorazione delle case, come attesta l’ampia documentazione pompeiana70. I corni potori, le siringhe, le pissidi da cui fuoriescono ramoscelli, nei toni

60 DE CARO 1991, pp. 257-262. Sull’evoluzione dello spazio nella natura morta pompeiana: SGATTI 1957. Sulle nature morte si veda inoltre: CROISILLE 1965; DE CARO 1991; Id. 2001. 61 Sull’identificazione delle specie di frutti e di volatili: CASELLA 1950; JASHEMSKY 1979; Ead. 1993. 62 Sulla pittura di giardino e, in particolare sulla Villa di Livia, si veda: SETTIS 2002; sulle testimonianze pompeiane: DE CARO 1991, pp. 262-265. 63 Si vedano a titolo esemplificativo gli uccelli raffigurati nel contributo di S. Settis citato alla nota precedente: SETTIS 2002, pp. 26, 30, 72. 64 Si vedano tra gli innumerevoli esempi in particolare: DE CARO 2001, catt. 77, 78, 79; PPM, Vol. II, (I, 16, 3), fig. 19; PPM, Vol. III, Casa detta di Trebius Valens (III, 2,1), figg. 28, 29, 33; PPM, Vol. VII, (VII, 16 Ins. Occ., 22), figg. 179-180. 65 Sulle maschere si veda: ALLROGEN BEDEL 1974. 66 Sugli oggetti pertinenti ai ludi: MAIURI 1950. 67 Si veda ad esempio: PPM, Vol. III, Complesso dei riti magici (II, 1.12), fig. 21; PPM, Vol. VII, (VII, 16 Ins. Occ., 22), figg. 113, 134, 135. 68 CROISILLE 1982, pp. 271-289, 647-648. 69 DE CARO 1991, pp. 261-262. 70 Tra gli innumerevoli esempi ricordiamo: PPM, Vol. VI, Casa di Sirico (VII, Ins. I, 25, 47), fig. 25; PPM, Vol. VIII, Casa di Championnet I (VIII, 2, 1), fig. 13; PPM, Vol. I, Casa dell’Efebo (I, 7, 11), fig.

62

prevalenti del giallo ocra, caratterizzati da una resa stilizzata e miniaturistica, sono concepiti per una visione sintetica, non ravvicinata, così come accade per i quadretti in cui l’omogeneità del fondo verde prevale sui motivi figurativi; si distinguono infatti a stento le coppie di uccelli acquatici che si fronteggiano in pose variate, nei quattro pinakes. I volatili, tratti dal repertorio delle scene nilotiche, diffusi nelle pitture domestiche in quadretti71 o in più articolati paesaggi palustri, sono presenti anche in contesti funerari, come attesta il già citato colombario di Villa Doria Pamphili72. I vari elementi decorativi e soprattutto i tralci vegetali e i fiorellini sparsi, allietano e ravvivano il sepolcro, che si configura come locus amoenus, ultima gioia per il defunto dopo quelle che ha assaporato durante la sua vita. Una conferma esplicita a tale interpretazione è data dall’epigramma che accompagnava la decorazione della tomba del medico Patron sulla via Latina non lontano da Roma73. I dipinti, oggi perduti, rappresentavano un giardino con alberi e volatili, scenario ideale e consueto per un sepolcro, come attestano i numerosi esempi di giardini che sorgevano presso le tombe (kepotaphia) documentati dalle fonti letterarie, archeologiche e iconografiche74. Nei versi il defunto descrive la propria tomba come un luogo piacevole, circondato da alberi rigogliosi e ricchi di frutti ed allietato dal canto soave degli uccelli, giusto premio per una vita vissuta nella pienezza del piacere. L’immagine negativa della tomba, che Patron rifiuta per sé, si configura dunque, all’opposto, come un luogo abbandonato, invaso da rovi e infestato da pipistrelli75. In tale linea interpretativa si spiega dunque la presenza delle esili ghirlande vegetali che ravvivano le volte del colombario di Vigna Codini a Roma e la tomba 2EN della necropoli di Porta Nocera a Pompei, la distesa di rose che campiscono i riquadri dell’esile cassettonato dipinto sul soffitto del colombario 1 di via Taranto a Roma, ed infine il pergolato vegetale dell’ipogeo di Caivano.

7. BIBLIOGRAFIA (M. A.) 1) A. Allrogen–Bedel, Maskendarstellungen in der römisch-kampanischen Wandermalerei, München 1974. 2) T. Ashby - D. Litt, F. S. A., The Columbarium of Pomponium Hylas, in Papers of the British School at Rome, vol. V, n. 8, Londra 1910, pp. 461-471. 3) S. Augusti, I colori pompeiani, Roma 1967. 4) I. Baldassarre -A. Pontrandolfo - A. Rouveret - M. Salvadori, Pittura romana. Dall’ellenismo al tardo-antico, Milano 2002, pp. 303-304. 5) A. Barbet, A propos de la colléction de peintures romaines du Louvre, in Revue Archéologique, 1977, 1, pp. 109-114. 6) A. Barbet, A propos de la colléction de peintures romaines du Louvre, in Revue Archéologique, 1978, 1, pp. 83-112. 7) A. Barbet - C. Allag, Techniques de préparation des parois dans la peinture murale romaine, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, 84, 1972, 2, pp. 935-1069.

83; PPM, Vol. I, Casa dei Quattro Stili (I, 8, 17), fig. 68; PPM, Vol. II, Casa dei Pittori (I, 12, 11), fig. 26; Vol. IV, Casa di Nettuno (VI, 5, 3), fig. 18. 71 Un pinax a fondo viola con una coppia di anatre è raffigurato ad esempio a Pompei, nella Casa degli Amanti (PPM, Vol. II, Casa degli Amanti (I, 10, 10.11), fig. 70). 72 BENDINELLI 1941, tav. IX. 73 SETTIS 2002, p. 24 e sgg. Sul tema si veda anche: GHEDINI-SALVADORI 1999, pp. 82-93; GHEDINI-SALVADORI 2001, pp. 93-98. Sulla tomba di Patron: BLANC- MARTINEZ 1998, pp. 82-84 ; FERAUDI –GRUENAIS 2001, p. 102. 74 JASHEMSKY 1979, pp. 141-153. 75 Il testo dell’epigramma, nella traduzione di S. Settis, recita: “Non rovi, non trifogli spinosi circondano la mia tomba,/né le svolazza intorno, ululando, il pipistrello; / Ma alberi graziosi s’ergono da ogni parte intorno a me, al mio loculo, / che tutt’intorno s’allieta di ramoscelli carichi di frutti. / E vola in giro il soave usignolo dal flebile canto, / e la cicala che dalle dolci labbra spande suoni delicati. / E la saggia rondine cinguettante e la stridula/locusta che si cava dal petto un dolce canto. / Io, Patron, tutto quel ch’ è caro ai mortali, ho compiutamente vissuto, / fino ad avere anche in morte un luogo piacevole; / E ogni altra cosa ho lasciato, [tutto ciò che] ho avuto in gioventù/se n’è andato, salvo i frutti che già in vita ho colto.” (SETTIS 2002, p. 25).

63

8) A. Barbet - N. Blanc, Peinture et architecture, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 14-19. 9) H. Béarat, Quelle est la gamme exacte des pigments romains? Confrontation des resultats d’analyse et des textes de Vitruve et de Pline, in Roman Wall Painting. Materials, Techniques, Analysis and Conservation. Proceedings of the International Workshop. Fribourg, 7-9 March 1996, a cura di H. Béarat, M. Fuchs, M. Maggetti, D. Paunier, Fribourg 1997, pp. 11-34. 10) C. Bencivenga Trillmich, Risultati delle più recenti indagini archeologiche nell’area dell’antica Atella, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli, n.s., vol. LIX, 1984, pp. 3-26. 11) C. Bencivenga Trillmich, s.v. Atella, in Enciclopedia dell’Arte Antica, classica e orientale. Secondo supplemento (1971-1994), I, Roma 1994, p. 494. 12) G. Bendinelli, Le pitture del colombario di Villa Pamphili. Monumenti della pittura antica scoperti in Italia. Sezione terza, fasc. V, Roma 1941. 13) F. Bisconti, La decorazione delle catacombe romane, in Le catacombe cristiane di Roma. Origini, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Regensburg 1998, pp. 71-144. 14) N. Blanc - J. L. Martinez, La tombe de Patron à Rome, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 82-84. 15) I. Bragantini, Problemi di pittura romana, in Annali di archeologia e storia antica. Istituto Universitario Orientale. Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo antico, n.s., n° 2, 1995, pp. 175-197. 16) I. Bragantini, La decorazione delle tombe romane in età imperiale, in Journal of Roman Archaeology, 16, 2003, pp. 516-520. 17) I. Bragantini - M. De Vos (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le pitture, II, 1. Le decorazioni della villa romana della Farnesina, Roma 1982. 18) G. Carettoni, S. Maria Capua Vetere. Rinvenimenti nella necropoli romana, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1943, pp. 137-154. 19) D. Casella, La frutta nella pittura pompeiana, in Pompeiana. Raccolta di studi per il secondo centenario degli scavi di Pompei, Napoli 1950, pp. 355-386. 20) G. Chouquer, M. Clavel-Lévêque, F. Favory, J. P. Vallat, Structures agraires en Italie centro-méridionale. Cadastres et paysage ruraux, (Collection Ecole Française de Rome, 100), Roma 1987. 21) J. R. Clarke, Landscape paintings in the Villa of Oplontis, in Journal of Roman Archaeology, 9, 1996, pp. 81-107. 22) C. Compostella, Banchetti pubblici e banchetti privati nell’iconografia funeraria romana del I secolo d.C., in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, t. 104,2, 1992, pp. 659-689. 23) D. Corlàita Scagliarini, Spazio e decorazione nella pittura pompeiana, in Palladio. Rivista di storia dell’architettura, a. XXIII-XXV, 1974-76, pp. 3-44. 24) J. M. Croisille, Les natures mortes campaniennes. Répertoire descriptif des peintures de nature morte du Musée National de Naples de Pompéi, Herculanum et Stabies (Collection Latomus, LXXVI), Bruxelles 1965. 25) J. M. Croisille, Poésie et art figuré de Néron aux Flaviens. Recherches sur l’iconographie et la correspondance des arts à l’époque imperiale, (Colléction Latomus, 179), Bruxelles 1982. 26) A. D’Ambrosio - S. De Caro, Fotopiano e documentazione della necropoli di Porta Nocera, Milano 1983. 27) G. D’Henry, Caivano-località Padula, in Napoli antica, Napoli 1985, pp. 321-327. 28) L. Dall’Olio, Il motivo della ‘porta sacra’ nella pittura romana di paesaggio, in Latomus, 1989, 2, pp. 513-531. 29) S. De Caro, Notizie di vecchi scavi. Una tomba antica nel cimitero di Pompei, in Pompei Herculaneum Stabiae. Bollettino dell’Associazione Internazionale Amici di Pompei, I, 1983, pp. 41-48. 30) S. De Caro, Due «generi» nella pittura pompeiana: la natura morta e la pittura di giardino, in La pittura di Pompei. Testimonianze dell’arte romana nella zona sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., 1991, pp. 257-265. 31) S. De Caro, La natura morta nelle pitture e nei mosaici delle città vesuviane, Napoli 2001.

64

32) M. de’ Gennaro et alii, I materiali dell’Ipogeo di Caivano (I sec. d.C.): rilievo e stato di conservazione, in Atti III Convegno: Restauro e conservazione dei beni culturali: materiali e tecniche (Cassino, 3-4 ottobre 2003), a cura di G. Mascolo, Cassino 2003, pp. 74-83. 33) O. Elia, L’ipogeo di Caivano, in Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XXXIV, Milano 1931, coll. 421-492. 34) O. Elia, Caivano. Necropoli pre-romana, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. VII, 1931, pp. 577-614. 35) O. Elia, s.v. Caivano, in Enciclopedia dell’Arte Antica, classica e orientale, II, Roma 1959, pp. 257-258. 36) O. Elia, S. Antonio Abbate. Tomba a camera di età romana imperiale, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1961, s. VIII, vol. XV, 1961, pp. 184-188. 37) U. M. Fasola, Le catacombe di San Gennaro a Capodimonte, Roma 1975. 38) F. Feraudi – Gruénais, Ubi diutius nobis habitandum est. Die Innendekoration der Kaiserzeitlichen Gräber Roms (Palilia 9), Wiesbaden 2001. 39) F. Feraudi – Gruénais, Inschriften und ‘Selbstardarstellung’ in Stadtrömischen Grabbauten, Roma 2003. 40) E. Gabrici, Necropoli di età ellenistica a Teano dei Sidicini, in Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol . XX, Milano 1910, coll. 5-151. 41) F. Ghedini, Raffigurazioni conviviali nei monumenti funerari romani, in Rivista di Archeologia, a. XIV, 1990, pp. 35-62. 42) F. Ghedini, Caccia e banchetto: un rapporto difficile, in Rivista di Archeologia, XVI, 1992, pp. 72-88. 43) F. Ghedini - M. Salvadori, Vigne e verzieri nel repertorio funerario romano: fra tradizione e innovazione, in Rivista di Archeologia, a. XXIII, 1999, pp. 82-93. 44) F. Ghedini - M. Salvadori, Tradizione e innovazione nelle pitture di vigne e giardini nel repertorio funerario romano, in La peinture funéraire antique. IV siècle av. J.C.-IV siècle aprés J.C. Actes du VIIe Colloque de l’Association Internationale pour la peinture murale antique (AIPMA). 6-10 octobre 1998, Saint Roman-en-Gal – Vienne, a cura di A. Barbet, Paris 2001, pp. 93-98. 45) D. Giampaola - G. D’Henry, Il territorio, in Neapolis. Atti del venticinquesimo convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 3-7 ottobre 1985), Taranto 1986, pp. 273-284. 46) A. Greco Pontrandolfo, Gli ipogei funerari, in A.A.V.V. Napoli antica, Napoli 1985 pp. 283-287. 47) S. T. A. Hols - E. M. Moormann, Ex parvo crevit. Proposta per una lettura iconografica della tomba di Vestorius Priscus fuori Porta Vesuvio a Pompei, in Rivista di Studi Pompeiani, VI, 1993-94, pp. 15-52. (a p. 41 cita ipogeo di Caivano: I sec. d.C.). 49) S. V. Iodice - M. Raimondi, Puteoli, via Celle. Colombario con ipogeo. Mausoleo con esedra, in La peinture funéraire antique. IVe siècle av. J.C.-IVe siècle aprés J.C. Actes du VIIe Colloque de l’Association Internationale pour la peinture murale antique (AIPMA). 6-10 octobre 1998, Saint Roman-en-Gal – Vienne, a cura di A. Barbet, Paris 2001, pp. 287-294. 49) V. Iorio, La decorazione pittorica in contesti funerari e non funerari: l’esempio di Pompei, in La peinture funéraire antique. IVe siècle av. J.C.-IVe siècle aprés J.C. Actes du VIIe Colloque de l’Association Internationale pour la peinture murale antique (AIPMA). 6-10 octobre 1998, Saint Roman-en-Gal – Vienne, a cura di A. Barbet, Paris 2001, pp. 61-67. 50) W. F. Jashemsky, The Gardens of Pompeii Herculaneum and the Villas Destroyed by Vesuvius, New Rochelle-New York 1979. 51) W. F. Jashemsky, The Gardens of Pompeii Herculaneum and the Villas Destroyed by Vesuvius, II. Appendices, New Rochelle-New York 1993. 52) E. Jastrzebowska, Les scènes de banquet dans les peintures et sculptures chrétiennes des IIIe et IVe siècles, in Recherches augustiniennes, XIV, 1979, pp. 3-90. 53) W. Johannowsky, Caivano-Fossa del Lupo, in A.A.V.V. Napoli antica, Napoli 1985, p. 328. 54) E. Laforgia, Rilevanza archeologica del territorio del Comune di Caivano, in Atti dei seminari: In cammino per le terre di Caivano e Crispano. La riconquista di una memoria

65

storica e di un’identità, (Fonti e documenti per la storia atellana, 7), a cura di G. Libertini, Frattamaggiore 2004, pp. 111-123. 55) E. W. Leach, The Rhetoric of Space: Literary and Artistic Representations of Landscape in Republican and Augustan Rome, Princeton 1988. 56) M. Leiwo, Neapolitana. A Study of Population and Language in Graeco-Roman Naples (Commentationes Humanarum Litterarum 102 1994), Helsinki 1994. 57) G. Libertini, Persistenza di luoghi e toponimi nelle terre delle antiche città di Atella e Acerrae (Istituto di Studi Atellani, Paesi e uomini nel tempo, Collana di monografie di storia, scienze ed arti diretta da Sosio Capasso, 15), Frattamaggiore 1999 (su Caivano: pp. 35- 40). 58) R. Ling, The paintings of the Columbarium of Villa Doria Pamphili in Rome, Functional and Spatial Analysis of Wall Painting. Proceedings of the Fifth International Congress of Ancient Wall Painting. Amsterdam, 8-12 September 1992, a cura di E. M. Moormann, Leiden 1993, pp. 127-135. 59) R. Ling, Le columbarium de la villa Doria Pamphili à Rome, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 45-47. 60) R. Ling, Les thèmes figurés et le problème du symbolisme funéraire, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 76-81. 61) B. Maiuri, Ludi ginnico-atletici a Pompei, in Pompeiana. Raccolta di studi per il secondo centenario degli scavi di Pompei, Napoli 1950, pp. 167-205. 62) D. Mancioli, I colombari di via Taranto, in Forma Urbis, a. II., n. 10, ottobre 1997, pp. 4-9. 63) J. L. Martinez, Reliefs et inscriptions trouvés avec la tombe de Patron, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 85-86. 64) E. M. Moormann, Le tombeau de Caius Vestorius Priscus à Pompei, in Au royaume des ombres. La peinture funéraire antique IVe siècle avant J.C.-IVe siècle après J.C., sous la diréction de N. Blanc, Paris 1998, pp. 96-99. 65) M. Napoli, Pittura antica in Italia, Bergamo 1960. 66) M. Pallottino, I colombari romani di via Taranto, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, a. LXII, 1934, pp. 41-63. 67) G. Pellegrini, Tombe greche arcaiche e tomba greco-sannitica a tholos della necropoli di Cuma, in Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XIII, Milano 1903, coll. 202-294. 68) M. Pensa, Moli, fari e pescatori: la tradizione iconografica della città portuale in età romana, in Rivista di Archeologia, XXIII, 1999, pp. 94-130. 69) W. J. Th. Peters, Landscape in Romano-Campanian Mural Painting, Assen 1963. 70) W. J. Th. Peters, Il paesaggio nella pittura parietale della Campania, in La pittura di Pompei. Testimonianze dell’arte romana nella zona sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., 1991, pp. 243-255. 71) F. Pezzella, Un secolo di ritrovamenti archeologici in tenimento di Caivano, in Rassegna storica dei Comuni. Bimestrale di studi e ricerche storiche locali. Organo ufficiale dell’Istituto di Studi Atellani fondato e diretto da Sosio Capasso, anno XXVIII, n. 114-115, n.s., settembre-dicembre 2002, pp. 1-25. 72) F. Pezzella, Atella e gli Atellani nella documentazione epigrafica antica e medievale (Fonti e documenti per la storia atellana, 2), Frattamaggiore 2002. 73) F. Pezzella, I vasi figurati di Caivano nel Museo Archeologico dell’Agro Atellano di Succivo, in Atti dei seminari: In cammino per le terre di Caivano e Crispano. La riconquista di una memoria storica e di un’identità (Fonti e documenti per la storia atellana, 7), a cura di G. Libertini, Frattamaggiore 2004, pp. 124-129. 74) L. Piacente, Per la simbologia del cipresso nella Roma antica, in Athenaeum, n.s. vol. 56, 1978, pp. 387-390. 75) A. Pontrandolfo, Le necropoli urbane di Neapolis, in Neapolis. Atti del venticinquesimo convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 3-7 ottobre 1985), Taranto 1986, pp. 255-271. 76) Pompei. Pitture e mosaici, coordinamento I. Baldassarre, Milano, 1990-1999. 77) M. L. Raimondi, Puteoli: simbologia ed allegoria funeraria in due ipogei, in I temi figurativi nella pittura parietale antica (IV sec. a.C.-IV sec. d.C.). Atti del VI convegno

66

internazionale sulla Pittura Parietale Antica, a cura di D. Scagliarini Corlàita, Bologna 1997, pp. 275-277. 78) C. Ravara, La pittura parietale di II secolo d.C. nella Domus di Palazzo Diotallevi a Rimini, in Studi e documenti di archeologia, VII, 1991-1992, pp. 85-109. 79) A. Rouveret - A. Greco Pontrandolfo, Pittura funeraria in Lucania e Campania. Puntualizzazioni cronologiche e proposte di lettura, in Dialoghi di Archeologia, 1983, n° 2, pp. 91-130. 80) F. B. Sear, Roman Wall and Vault Mosaics, Heidelberg 1977. 81) S. Settis, Le pareti ingannevoli. La Villa di Livia e la pittura di giardino, Milano 2002. 82) G. Sgatti, Caratteri della “natura morta” pompeiana. L’interpretazione dello spazio, in Archeologia Classica, vol. IX, 1957, pp. 174-192. 83) S. R. Silberberg, A Corpus of the Sacral-Idyllic Landscape Paintings in Roman Art (A Dissertation submitted in Partial Satisfaction of the Requirements for the Degree Doctor of Philosophy in Art History), Los Angeles 1980. 84) A. Sogliano, Relazione del prof. A. Sogliano, sopra un sepolcreto scoperto in via della Maddalena, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1884, pp. 359-363. 85) A. Sogliano, Pompei, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1886, pp. 334-337. 86) A. Sogliano, Sepolcri scoperti a Valle di Pompei, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1887, pp. 33-41, 452-458. 87) P. Soprano, I triclini all’aperto di Pompei, in Pompeiana. Raccolta di studi per il secondo centenario degli scavi di Pompei, Napoli 1950, pp. 288-310. 88) E. Stevens, Cuma, in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, a. 1883, pp. 270-284. 89) A. Varone - H. Béarat, Pittori romani al lavoro. Materiali, strumenti, tecniche: evidenze archeologiche e dati analitici di un recente scavo pompeiano lungo via dell’Abbondanza (Reg. IX Ins. 12), in Roman Wall Painting. Materials, Techniques, Analysis and Conservation. Proceedings of the International Workshop. Fribourg, 7-9 March 1996, a cura di H. Béarat, M. Fuchs, M. Maggetti, D. Paunier, Fribourg 1997, pp. 199-214. 90) G. Vecchio, Gli ipogei funerari, schede cat. 77-84, pp. 287-292, in A.A.V.V., Napoli antica, Napoli 1985. 91) F. Viola, Napoli. Nuove scoperte di antichità. Sezione S. Carlo all’Arena., in Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei comunicate alla R. Accademia Nazionale dei Lincei, 1893, s. V, vol. CCXC, pp. 525-526. 92) H. Von Hesberg, Monumenta. I sepolcri romani e la loro architettura, Milano 1994. 93) F. Wirth, Römische Wandmalerei vom Untergang Pompejis bis ans Ende des 3. Jh., Berlin 1934. 94) P. Zanker, Un’arte per l’impero. Funzione e intenzione delle immagini nel mondo romano, Milano 2004.

67

Parte II – Studio dei materiali (Carmine Colella, Maurizio de’ Gennaro, Ottavio Marino, Piergiulio Cappelletti, Abner Colella,

Manlio Colella)

1. PREMESSA La presente relazione riporta i principali risultati dell’indagine sulla natura e sullo stato di conservazione dei materiali che costituiscono il cosiddetto Ipogeo di Caivano. Trattasi di una costruzione funeraria del tipo delle cosiddette tombe a camera, databile nell’ultimo quarto del I secolo d.C.. Fu rinvenuto in modo fortuito nel 1923 nel corso di lavori di scavo eseguiti in una proprietà privata nel comune di Caivano, in un territorio che in epoca romana competeva alla città sannitica di Atella. Ritenendo impraticabile la conservazione del monumento nel sito di ritrovamento, la Soprintendenza alle Antichità della Campania decise, nel 1929, di trasferirlo nel Museo Archeologico di Napoli. Il monumento fu così “smontato” e ricostruito nel cortile settentrionale del Museo dov’è tuttora situato, seppure non aperto al pubblico.

2. RILIEVO E STATO DI CONSERVAZIONE DELL’IPOGEO L’indagine sui materiali che costituiscono i rivestimenti delle pareti, interne ed esterne, dell’ipogeo di Caivano è stata preceduta da operazioni di rilievo e di valutazione dello stato di conservazione dei manufatti, utilizzando come base cartografica il rilievo architettonico, effettuato per conto del Centro di Eccellenza dallo studio Lithos di Roma.

Fig. 1: Vista della parte emersa dell’ipogeo (cfr. con le successive Figg. 3, 4 e 6) Le foto della Figura 1 mostrano che la parte emersa del monumento, sovrastante il livello del giardino, si trova in uno stato di grave deterioramento, causato sia dall’ambiente fortemente umido che da un’inefficace protezione dalle acque piovane e aggravato dalla mancanza di significativi interventi di manutenzione. Le uniche misure di prevenzione adottate consistono in una camera d’aria tra la muratura interna ed esterna e nello sbarramento all’umidità ascendente realizzato mediante taglio meccanico con lastre di piombo (Fig. 2). La struttura esterna del monumento è realizzata in conci di tufo giallo napoletano, in accordo con quanto riportato dalla Elia1, rivestito esternamente da uno strato di intonaco dello spessore

1 ELIA 1931.

68

di circa un centimetro. Al di sotto di un sottile strato di finitura l’intonaco si presenta a matrice grigia con aggregati sia sedimentari che vulcanici. I processi di degrado interessano una percentuale elevata della superficie esterna con forme di alterazione2 che vanno dalla lacuna, alla patina biologica, alla presenza di vegetazione. Occasionalmente si notano aree caratterizzate da profonde fessurazioni, che potrebbero determinare distacchi di placche di intonaco (Fig. 3-4). Sulla copertura esterna della volta si rinvengono numerose fratture, che agevolano l’accesso delle acque meteoriche all’interno dell’ipogeo e favoriscono l’attecchimento di forme vegetative, anche di ordine superiore. Queste sono a loro volta causa di ulteriore allargamento delle fratture.

Fig. 2: Taglio meccanico con lastre di piombo (a sinistra) e camera d’aria (a destra)

per la protezione dell’ipogeo dall’umidità Le superfici interne, oggetto di più ampia trattazione nel prosieguo della relazione, sono rivestite da un intonaco con strato di finitura di pochi millimetri, di colore bianco, a grana molto sottile, che funge da supporto a decorazioni pittoriche policrome. Le superfici interne appaiono meglio conservate di quelle esterne, pur tuttavia non mancano aree, anche estese, interessate da diverse forme di alterazione quali, ad esempio, lacune, alterazioni cromatiche, fessurazioni, vegetazione, macchie ed efflorescenze (Figg. 5-6)3. Anche se, come detto, le condizioni generali di conservazione degli affreschi si possono considerare ancora soddisfacenti, pur tuttavia il cattivo stato dell’intonaco esterno, la mancanza di una barriera a bassa permeabilità, l’elevata porosità del tufo della muratura lasciano temere un rapido quanto grave deterioramento della struttura nel suo complesso e, in particolare, una decisa riduzione della leggibilità degli affreschi. Tali timori sono comprovati dalla presenza di estese macchie di umidità e di efflorescenze, sulle pareti del corridoio di accesso e della stessa camera funebre e da fenomeni di distacco di intonaco. Anche la struttura appare in pericolo per la presenza di un’estesa lesione, probabilmente legata a cedimenti del substrato di fondazione, che interessa il paramento di destra e si estende fino alla volta.

2 NORMAL 1/88. 3 Ibidem.

69

Fig. 3: Mappe del degrado dei prospetti EE ed FF, sovrapposte ai rilievi effettuati dallo

studio Lithos di Roma

70

Fig. 4: Mappa del degrado del prospetto GG, sovrapposte ai rilievi effettuati dallo studio

Lithos di Roma

Fig. 5: Processi di degrado (distacchi, lesioni, ecc.) in atto dell’interno all’ipogeo

71

Fig. 6: Prospetti CC (in alto) e DD (in basso) con mappatura delle lacune e indicazione dei punti di prelievo dei campioni C6, C7 e C14 (Tab. 1). Rilievi architettonici effettuati dallo

studio Lithos di Roma

72

3. CAMPIONAMENTO

Dopo attenta valutazione dello stato di conservazione dell’ipogeo e al fine di acquisire dati sufficienti per l’individuazione delle cause e dei meccanismi del degrado, si è proceduto alla selezione dei tipi di materiali da sottoporre ad analisi di laboratorio e dei relativi punti di prelievo di campioni (Figg. 6-7). Il campionamento è stato eseguito con il consenso dei responsabili del Museo Archeologico Nazionale e nel pieno rispetto della normativa vigente4 che impone di arrecare il minimo danno al manufatto.

Fig. 7: Prospetto BB con indicazione dei punti di prelievo dei campioni C4, C8 e C9 (Tab.

1). Rilievi architettonici effettuati dallo studio Lithos di Roma Nel contempo sono stati individuati i punti delle superfici affrescate per l’acquisizione in situ, mediante spettrometro XRD e XRF portatile, di dati sulla composizione chimica dei diversi tipi di pigmenti. In particolare, le indagini analitiche hanno mirato a valutare: - i tipi fondamentali di materiali impiegati nel manufatto (rocce vulcaniche, sedimentarie, laterizi, intonaci e/o stucchi e malte); - le differenze costituzionali riscontrate nell’ambito di uno stesso materiale; - le tessiture dei tipi litologici riconosciuti; - il colore ed le altre eventuali caratteristiche dei materiali (ad esempio la granulometria, se apprezzabile visivamente); - le varie forme e gli stati di degrado, anche in relazione alla quota e all’esposizione. Per il campionamento di materiale in opera, sono stati eseguiti prelievi in superficie con pennelli a setola morbida per il materiale pulverulento (efflorescenze, ecc.) e con bisturi per il materiale più o meno coerente (tufo, malte ed intonaci con pigmenti pittorici), in modo da arrecare il minimo danno evitando in ogni caso di inficiare l’estetica del manufatto. A tale scopo, le dimensioni delle parti asportate, sono state inferiori, o tutt’al più eguali, a quelle dei frammenti che naturalmente si staccano a seguito dei processi alterativi che interessano l’opera5. Criteri analoghi di modalità di prelievo sono stati adottati per il campionamento di materiale non più in opera e non più reintegrabile al manufatto. Peraltro, il recupero di tali frammenti ha

4 NORMAL 3/80. 5 Ibidem.

73

consentito l’esecuzione di indagini di tipo distruttivo, indispensabili per lo studio dei processi di alterazione e il controllo degli interventi di recupero e conservazione. Il campionamento è stato dettagliatamente documentato con fotografie di insieme e di dettaglio, localizzando i prelievi sulle piante e sui prospetti del manufatto, e indicando, ove possibile, la posizione e l’orientamento dei campioni già distaccati, sulla base dei contorni del frammento. Sono stati così prelevati diciotto campioni (Tabella 1), rappresentativi degli intonaci interni ed esterni e delle efflorescenze presenti sulle pareti del corridoio di accesso alla camera funebre, e un campione di tufo giallo napoletano da un concio della muratura. Gli intonaci avevano in genere lo strato di finitura e spesso conservavano traccia degli elementi pittorici che li ricoprivano.

74

Tabella 1 – Descrizione dei campioni e dei loro caratteri fisici e mineralogici.

Campione Tipologia Ubicazione Colore Coesione/ aspetto

Composizione mineralogica*

C 1 Intonaco affrescato

A terra - interno Rosso Discreta Ca, Ge, Ar, Em, Qz, (Ru)

C 2 Intonaco affrescato

A terra - interno Rosso / bianco

Discreta Ca, Do, Ge, (Ru), (Em)

C 3 Intonaco su malta

A terra - interno Bianco Buona Ca, Ge, Fel, (Ha), (Wa), (Ru)

C 4 Efflorescenza

Porta di accesso – Prosp. BB

Bianco Aciculare Mi, Te

C 5 Intonaco Esterno - Prosp. FF

Rosa chiaro Buona Ca, Ge, Fel, An, Qz, Fl

C 6 Intonaco affrescato

Interno – Prosp. CC

Arancione Discreta Ca, Do, Di, Fel, Em, Ha, B

C 7 Intonaco affrescato

Interno – Prosp. CC

Grigio e bianco

Discreta Ca, Do, Ar, Go

C 8 Efflorescenza

Scale di accesso – Prosp. BB

Bianco A fiocchi Mi, Te

C 9 Croste e concrezioni

Scale di accesso – Prosp. BB

Grigio / bianco

- Ca, Ge, (Miz)

C 10 Intonaco su malta

Volta esterna – Prosp. EE

Grigio Buona Ca, Fel, An, B, Ge, (Qz)

C 11a Intonaco su malta/matton

e

Volta esterna – Prosp. EE

Grigio Buona Ca, Qz, Fel, B, Plag, (Ge)

C 11b Intonaco su malta

Volta esterna – Prosp. EE

Grigio Buona Ca, Fel, B, Plag, (Ge)

C 12 Intonaco su malta

Volta esterna – Prosp. EE

Grigio Buona Ca, Fel, An, B, Di, (Ge)

C 13 Intonaco affrescato

Interno – Prosp. DD

Grigio Discreta Ca, Do, Ar

C 14 Intonaco affrescato

Interno – Prosp. DD

Rosso e bianco

Discreta / buona

Ca, Do, Di, Fel, Em

C 15 Malta cementizia

Parete a destra dell’ingresso – Prospetto AA

Grigio / bianco

Buona Ca, Sa, Di, B

C 16 Intonaco affrescato

Adagiato sul letto a destra

dell’ingresso - interno

Rosa Discreta Do, Ca, Plag, Feld, Di, B, (Qz)

C 17 Intonaco affrescato

Letto funerario a sinistra

dell’ingresso - interno

Grigio Discreta Ca, Fel, Do, Di, An, B, (Ha)

C 18 Intonaco Volta di copertura -

esterno

Grigio / rosso

Discreta Ca, An, Fel, Plag, Di

75

C 19 Tufo giallo napoletano

Interno – Prosp. CC

Giallo-marroncino

- Fel, Phi, Cha, Sm, An, B

*An=analcime; Ar=aragonite; B=biotite; Ca=calcite; Cha=cabasite; Di=diopside; Do=dolomite; Em=ematite; Fel=feldspato; Fl=flogopite; Ge=gesso; Go=goethite; Ha=halite; Mi=mirabilite; Miz=mizzonite; Plag=plagioclasio; Phi=phillipsite; Qz=quarzo; Ru=rutilo; Sm=smectite; Sy=silvite; Te=tenardite; Wa=wavellite. (-)=tracce.

4. TECNICHE DI ANALISI La caratterizzazione dei materiali prelevati è stata eseguita utilizzando le tecniche di analisi micro-distruttive e/o non distruttive appresso indicate. I dati di dettaglio sui prelievi fatti e sulle indagini effettuate, sia in situ che in laboratorio, sono rinvenibili in precedenti specifiche pubblicazioni6. 1. Analisi chimica per via umida Tale tecnica viene utilizzata per la caratterizzazione delle malte. In particolare si provvede alla separazione dei componenti insolubili (aggregati silicatici) da quelli solubili in ambiente acido (frazione legante e aggregati carbonatici). Poiché gli aggregati presenti nelle malte esaminate sono di tipo vulcanico, la separazione delle fasi insolubili consente di valutare il rapporto legante/aggregato utilizzato nel loro confezionamento. L’eliminazione della fase legante consente inoltre una più agevole caratterizzazione mineralogica del residuo insolubile. Sulla frazione liquida derivante dalla filtrazione è possibile, se necessario, effettuare l’analisi qualitativa e quantitativa degli ioni in soluzione mediante tecniche analitiche per via umida e strumentale (es.: la spettrofotometria in assorbimento atomico). 2. Analisi in microscopia ottica di sezioni sottili (Apparecchiatura Leitz Laborlux POL12) La microscopia ottica in luce polarizzata trasmessa è una tecnica che consente la determinazione di singole fasi minerali ed associazioni di fasi, l’analisi delle loro relazioni microstrutturali, la classificazione ed interpretazione genetica dei materiali. Le osservazioni vengono effettuate su campioni preparati in sezione sottile, lucida e non. L’analisi delle sezioni sottili è fondamentale al fine di verificare le caratteristiche composizionali e tessiturali di malte, intonaci, laterizi e materiali lapidei. 3. Analisi in microscopia stereoscopica (Apparecchiatura Nikon SMZ1500) La microscopia stereoscopica è mirata allo studio preliminare dei campioni ed alla preparazione degli stessi per analisi di approfondimento successive. L’osservazione macroscopica permette di evidenziare le caratteristiche composizionali, cromatiche, di coesione e di adesione degli strati superficiali. L’analisi microstratigrafica su sezioni sottili lucide permette, inoltre, di stabilire gli spessori dei singoli strati e i rapporti reciproci. 4. Analisi in microscopia elettronica a scansione (SEM) con microanalisi EDS (Apparecchiatura Jeol JSM 5310–AN10000) Tale tecnica consente, in particolare, di caratterizzare la macro- e microstruttura di un campione e di riconoscerne le fasi cristalline, prevalenti e in tracce (non rilevabili attraverso la diffrattometria RX). Le osservazioni vengono effettuate sia su frammenti di campioni sia, in alcuni casi, su sezioni sottili preparate per la microscopia ottica. 5. Analisi qualitativa in diffrattometria RX (XRD) (Apparecchiatura Philips PW 1730/3710) La diffrattometria RX, impiegando una piccola quantità di materiale preliminarmente ridotto in

6 DE GENNARO et al. 2003; COLELLA et al. 2004.

76

polvere sottile, consente il riconoscimento delle fasi cristalline presenti. È anche possibile valutare, con una certa approssimazione, le percentuali relative delle specie mineralogiche individuate (vedi punto successivo). Le modalità di rilevazione dei dati sperimentali nel presente studio sono state: rad. CuKα, 40 kV, 30 mA, intervallo esplorato: 3-50°2θ, step size: 0.02°2θ, 4 sec. per step). 6. Analisi quantitativa in diffrattometria RX (XRD) (Apparecchiatura Philips PW 1730/3710) Le analisi quantitative XRD sono state effettuate su polveri di granulometria inferiore a 10 μm, ottenute mediante un micronizzatore McCrone (macinazione ad umido con cilindri di agata per un tempo di 15 min). Ad ogni campione è stato aggiunto uno standard interno di allumina (α-Al2O3 in polvere da 1 μm, prodotta dalla Buehler Micropolish) in ragione del 20% in peso. Le modalità di rilevazione dei dati sperimentali sono state: rad. CuKα, 40 kV, 30 mA, intervallo esplorato: 3-50°2θ, step size: 0.02°2θ, 10 sec. per step). 7. Analisi termogravimetriche (TG) e termiche differenziali (DTA) in simultanea (Apparecchiatura NETZSCH mod. STA 409 PC) Le analisi TG e DTA in simultanea consentono di rilevare le variazioni di peso e/o di temperatura che, a seguito di un trattamento termico, si verificano in un campione, a causa di trasformazioni chimiche e fisiche, nonché le temperature o gli intervalli di temperatura in cui esse avvengono. I dati raccolti sono particolarmente utili per la caratterizzazione chimica e mineralogica di un materiale. Per le singole misure sono stati utilizzati circa 15 mg di campione, preventivamente ridotto in polvere, in crogiolo di allumina. Le prove sono state effettuate in ambiente di N2 e con una velocità di riscaldamento di 10°C/min.

Fig. 8: Apparato sperimentale portatile ASX-DUST (Assing SpA, Roma) per analisi XRD e XRF, in funzione all’interno dell’ipogeo per l’acquisizione di dati in situ

8. Analisi in diffrattometria RX e in spettrofotometria di fluorescenza RX (XRF) (Apparato sperimentale portatile per analisi non distruttive ASX-DUST della Assing S.p.A. di Roma) L’apparecchiatura, che si può vedere in Fig. 8, offre la possibilità di effettuare in situ l’analisi mineralogica e spettrochimica dei materiali, riunendo in sé le caratteristiche di un diffrattometro da laboratorio con la flessibilità di uno strumento portatile di peso e ingombro ridotti. In particolare il DUST si è rivelato di fondamentale importanza nello studio dei pigmenti pittorici degli elementi decorativi interni all’ipogeo. Utilizzando una geometria a fuoco fisso di tipo theta-theta, che non comporta movimento del campione, è stato possibile analizzare, senza manipolazioni o campionature, oggetti anche di grandi dimensioni. Poiché il campione è posto all’esterno del cerchio di focalizzazione, la rotazione del sistema non può essere completa, per cui l’angolo minimo di lettura si aggira sui 10° θ (20° 2θ). Questo inconveniente, che costituisce una limitazione nel caso di analisi di sostanze con riflessi significativi a basso angolo, viene in parte eliminato dall’adozione di una radiazione a

77

lunghezza d’onda maggiore di quelle usate normalmente nei diffrattometri classici. Attraverso una telecamera CCD a colori è possibile osservare ed eventualmente registrare l’immagine dell’oggetto analizzato. Le modalità di acquisizione dei dati sperimentali nel presente studio sono state: rad. FeKα, geometria θ-θ, intervallo esplorato: 12-50° 2θ, area investigabile: da 5 mm2 ad 1 cm2.

5. I MATERIALI Valutazioni preliminari Il trasferimento cui è stato oggetto il monumento alla fine degli anni venti dello scorso secolo ha notevolmente mutato il quadro complessivo dei materiali. Di quelli originari restano di fatto solo gli intonaci che fanno da substrato agli affreschi (peraltro con ampie lacune, colmate da intonaci cementizi) e forse i tre letti funerari, sebbene nella malta a pozzolana dello strato superficiale, contrariamente a quanto riportato in letteratura7, non sia stata evidenziata presenza di cocciopesto. Malte interne Le pareti interne della camera funebre sono in gran parte rivestite da intonaco a tre strati. Quello di finitura, avente uno spessore medio di circa 2,5 mm, appare a grana sottile, di colore bianco e funge da supporto alle decorazioni pittoriche. La composizione mineralogica dell’intonaco è quella tipica di malte a base di calce, realizzate utilizzando come aggregati materiali di natura vulcanica, come si deduce dalla presenza di sanidino, diopside, mica e frammenti di pomici (Fig. 9), o sedimentaria, come la dolomite identificata in molti campioni e nelle polveri ottenute per raschiatura con bisturi delle superfici bianche.

Fig. 9: Micrografia elettronica a scansione. Campione C6:

evidenza di aggregati di frammenti di pomici

È da escludere che la presenza di dolomite sia connessa all’uso di questo minerale quale materia prima per la fabbricazione del legante. Occorre considerare, infatti, che sia l’ossido che l’idrossido di magnesio sono molto meno reattivi nei confronti, rispettivamente, dell’acqua e dell’anidride carbonica rispetto ai corrispondenti composti del calcio8. Ne consegue che le rocce carbonatiche contenenti tenori elevati di Mg (come quelle dolomitiche) non sono idonee alla fabbricazione di un grassello di calce di qualità adeguata alla realizzazione di un intonaco da affresco. È molto improbabile, dunque, che chi ha costruito l’ipogeo, sapendo ben valutare la bontà di un grassello di calce in relazione al valore intrinseco dell’opera che stava realizzando, abbia potuto utilizzarne uno di scarsa qualità. È anche sperimentalmente provato che una miscela equimolecolare di idrossidi di calcio e di magnesio non è idonea a formare dolomite, CaMg(CO3)2, per effetto di carbonatazione9.

7 ELIA 1931. 8 MARIANI 1976. 9 GOTTARDI 1984.

78

Fig. 10: Micrografie elettroniche a scansione. Campione C1 (a sinistra): tipica struttura di

gusci di ostracodi; campione C2 (a destra): tipica struttura di molluschi bivalvi Di un certo interesse è il rinvenimento di aragonite, nei campioni C1, C7 e C13 (Tabella 1). Essa è senza dubbio associabile alla presenza di residui di gusci di lamellibranchi nelle malte, rilevata mediante osservazioni in microscopia elettronica (Fig. 10). Le indagini finora eseguite non consentono di stabilire se tale presenza sia casuale (dovuta cioè alla presenza di inclusi di organismi fossili in calcari o dolomie usati come aggregati) o se sia deliberata. In quest’ultimo caso si potrebbe ipotizzare che per la realizzazione di alcuni impasti (forse di alcuni strati di finitura) sia stata utilizzata polvere ottenuta per triturazione di gusci di molluschi, al fine di conferire lucentezza superficiale al manufatto. L’ipotesi più probabile è, però, che siamo in presenza di un pigmento bianco. È noto infatti che pigmenti bianchi, quali il paraetonium o le “crete calcaree”, contenenti organismi fossili di origine marina, venivano usate dai Romani sia per ottenere decorazioni, sia per stemperare l’intensità cromatica di altri pigmenti o anche quale fondo sui quali ottenere un miglior fissaggio del colore10.

Fig. 11: Micrografie elettroniche a scansione. Campione C1 (superficie decorata in rosso):

a sinistra aggregati di cristalli di gesso dall’abito allungato; a destra gesso in masse compatte

Di non facile interpretazione è la presenza di gesso nelle aree superficiali interessate da decorazioni di colore rosso, rilevata anche al microscopio elettronico (Fig. 11), sia sotto forma di aggregati cristallini con elementi allungati di dimensioni anche superiori ai 10 µm (Fig. 11, sinistra) sia in masse compatte (Fig. 11, destra). Ulteriori valutazioni sui campioni di malte interne C16, C17 e C15

10 ADAM, 1994.

79

Campione C16 Il campione C16 è rappresentativo di una malta interna di ottima fattura (Fig. 12a), composta da due strati di rinzaffo e da uno strato di finitura bianco. Entrambi gli strati di rinzaffo sono stati realizzati utilizzando la stessa miscela di calce e materiale ad attività pozzolanica (Fig 12b) (presenza di pomici vacuolari, feldspato, biotite e pirosseno). Lo strato superficiale bianco di finitura è stato confezionato con calce e inerte, costituito da clasti di dolomite. La composizione chimica di tali clasti (Tabella 2) è significativamente simile a quella dei calcari dolomitici della collina di S. Iorio nei pressi di S. Angelo in Formis (Caserta), una formazione ben nota e utilizzata all’epoca11, non molto distante dal luogo in cui era situato l’ipogeo.

Fig. 12: Campione C16. a) I tre strati della malta ; b) osservazione al microscopio mineralogico a nicol paralleli: zona di contatto tra lo strato I e lo strato II; Dol=dolomite, P=pomice Tabella 2 - Campione C16. Composizione chimica (%) dei clasti di dolomite dello strato I (Fig. 12), ottenuta tramite microanalisi quantitativa in EDS su sezione sottile e di calcari

dolomitici di letteratura

Ossidi Clasti di Dolomite

Pietra di Bellona Cava S. Iorio S. Angelo in Formis

SiO2 0.18 0.23 0.09 Al2O3 0.23 0.48 0.03 TiO2 0.02 <0.01 <0.01

Fe2O3 0.05 0.04 0.01 MgO 18.68 18.77 20.35 CaO 28.86 34.60 32.48 MnO 0.03 <0.01 <0.01 Na2O 0.07 0.01 <0.01 K2O 0.03 0.05 0.01

*F. Allocca, “Recupero, salvaguardia e valorizzazione degli antichi siti di estrazione e delle pietre ornamentali utilizzate nell’architettura storica della Campania”, Tesi di Dottorato, Università Federico II, Napoli, 2003. Le curve di analisi termica (Fig. 13) mostrano chiaramente le differenze tra gli strati di finitura (malta di calce aerea con aggregato dolomitico) e di rinzaffo (malta di calce aerea con aggregato pozzolanico) (cfr. Fig. 12). Per quanto riguarda il rinzaffo, la curva derivata della TG (DTG) mostra, infatti, effetti con minimi a 766 e a 883°C, caratteristici della decomposizione della dolomite presente come aggregato. Alla perdita a temperatura più alta contribuisce, in misura predominante, la decomposizione del carbonato di calcio della frazione legante. La curva TG dello strato di rinzaffo evidenzia invece un perdita di peso graduale da 100 fino a 600°C, tipica delle fasi idrate derivanti dalle reazioni tra calce e pozzolana, e una perdita più vistosa tra 600 e 900°, attribuibile alla decomposizione termica del carbonato di calcio formatosi per carbonatazione della calce in eccesso.

11 PENTA e IPPOLITO 1937.

80

Fig. 13: Campione C16. Curve termogravimetriche TG (rosso) e termodifferenziale DTG (blu) relative allo strato di finitura (sopra) e al rinzaffo (sotto) (cfr. Fig. 12) Osservazioni in sezione sottile secondo lo schema NORMAL 12/8312

I strato

Intonaco bianco con aggregati carbonatici di spessore di circa 2,5 mm, adagiato senza soluzione di continuità su quello sottostante; - caratteristiche dei clasti: inerti di composizione dolomitica, moderatamente classati con granulometrie da siltoso fine (1/64-1/128 mm) ad arenaceo molto grossolano (1-2 mm), di aspetto angoloso e sfericità bassa; l’addensamento è piuttosto elevato (∼50%); - caratteristiche della matrice: carbonatica micritica, molto fine (non risolvibile al microscopio ottico), di struttura omogenea, con porosità <20%, derivante da processi di essiccamento della calce.

II strato

Malta di colore grigio dello spessore di 1 cm con inerti di tipo vulcanico, in prevalenza pomici

12 NORMAL 12/83.

81

vacuolari; - caratteristiche dei clasti: inerti, moderatamente classati, di aspetto sub-angoloso e sfericità media con pomici grossolane (diametro massimo 3 mm), clasti carbonatici, scarsi cristalli (plagioclasi, biotite e rari pirosseni); addensamento elevato (>50%); - caratteristiche della matrice: carbonatica, ma più grossolana di quella del I livello, con porosità media (20-40%) per ritiro della matrice.

III strato Malta di colore grigio con inerti di tipo vulcanico, ben aderente al II livello e ad esso affine per composizione e caratteristiche sia del legante che degli inerti (potrebbe rappresentare una porzione di uno strato originario, successivamente ripreso); - caratteristiche dei clasti: analoghe a quelle del II livello; - caratteristiche della matrice: simili a quella del II livello, ma con tessitura leggermente più fine; si nota anche la presenza di “bottaccioli” fratturati per contrazione, a causa di una incompleta miscelazione della calce. Campione C17 Anche in questo caso si tratta di una malta composta da calce e pozzolana (rivelata dalla presenza di feldspato e pirosseno) con un livello corticale sottilissimo (Figg. 14-15), che ha impregnato, fino ad una profondità di circa 0,5 mm, la malta sottostante. L’assenza di aggregati derivanti dalla macinazione di mattoni laterizi esclude quanto riferito dalla Elia13, che la descrive come una malta a cocciopesto. È ipotizzabile che, all’epoca del trasferimento dell’ipogeo, i letti originari furono distrutti e ricostruiti ex-novo nel Museo Archeologico di Napoli.

Fig. 14: Campione C17. A sinistra: tal quale; a destra: evidenza allo stereoscopio, in

sezione sottile, del sottile strato corticale della malta, di colore più scuro

Fig. 15: Campione C17. Micrografie al microscopio mineralogico: particolare del livello

corticale superiore a nicols paralleli (sinistra) e a nicols incrociati (a destra)

13 ELIA 1931.

82

Osservazioni in sezione sottile secondo lo schema NORMAL 12/8314 - Caratteristiche dei clasti: pomici grossolane (diametro massimo 2,5 mm), cristalli di feldspato, rari ortopirosseni anche euedrali in prevalenza arenacei, fini (1/4-1/8 mm), moderatamente classati, di aspetto sub-angoloso e sfericità media; l’addensamento è medio-elevato (30-50%); - caratteristiche della matrice: carbonatica fine (non risolvibile al microscopio ottico), nel complesso omogenea, con porosità bassa (<20%), derivante da processi di ritiro. Campione C15 È un frammento (Fig. 16) del cordolo, a doppio strato, che corre internamente all’ipogeo lungo tutto il perimetro e funge da raccordo tra le pareti laterali e la volta. Lo strato superficiale, bianco, è stato realizzato con calce e aggregato calcareo, mentre lo strato interno è stato confezionato miscelando aggregato di natura vulcanica ad una moderna pasta cementizia. La curve termogravimetriche di Figura 17 mostrano, infatti, chiaramente che lo strato di finitura ha un’unica perdita ponderale tra 600 e 900°C dovuta alla decarbonatazione del CaCO3, caratteristica di una malta di calce aerea, mentre lo strato di rinzaffo ha una perdita di peso continua in tutto l’intervallo di temperatura esaminato, ascrivibile alla rimozione di acqua dalla portlandite e dai silico-alluminati idrati, tipici di una malta cementizia.

Fig. 16: Campione C15. A sinistra: tal quale; a destra: sezione sottile allo stereoscopio

Fig. 17: Curve termogravimetriche dello strato di rinzaffo (blu) e di quello di finitura (rosso)

14 NORMAL 12/83.

83

E’ evidente che il cordolo è stato realizzato durante la ricostruzione dell’ipogeo all’interno del Museo Archeologico di Napoli. Osservazioni in sezione sottile secondo lo schema NORMAL 12/8315

I livello

È un intonaco bianco di spessore variabile (max 2 mm) con clasti calcitici ben cristallizzati; - caratteristiche dei clasti: prevalentemente arenacei, fini (1/4-1/8 mm) e con diametro massimo di 2 mm; l’aggregato è moderatamente classato, di aspetto angoloso e bassa sfericità; l’addensamento è piuttosto elevato (≈50%); - caratteristiche della matrice: carbonatica micritica molto fine (Fig. 18), nel complesso si presenta omogenea, con porosità <20%, derivante da processi di essiccamento della calce.

Fig. 18: Campione C15. Micrografie al microscopio mineralogico dei due livelli (Fig. 16) a nicols paralleli (a sinistra) e a nicols incrociati (a destra)

II livello

Di colore grigio con inerti vulcanici, in prevalenza pomici; non sono presenti soluzioni di continuità con l’intonaco soprastante; - caratteristiche dei clasti: pomici (con diametro massimo 1,5 mm), cristalli di feldspato, pirosseni, biotite, clasti lavici rachitici; granulometria siltoso grossolana (1/16-1/32 mm); inerti moderatamente classati, di aspetto sub-angoloso e bassa sfericità; il rapporto clasti/matrice è alto (> 50%); - caratteristiche della matrice: carbonatica, meno fine dello strato superiore, a struttura grumiforme, con porosità media (20-40%) per ritiro della matrice, con zone sostanzialmente prive di aggregato (a causa di una scarsa miscelazione della calce). Malte esterne Sulla base delle osservazioni dirette sul monumento e delle risultanze sperimentali sulla composizione mineralogica e chimica e sulla microstruttura dei campioni di malta analizzati è possibile affermare che per la realizzazione degli impasti sono stati utilizzati calce ed inerti di natura vulcanica (pozzolana) e cocciopesto (campioni C11 e C18 di Tabella 1). In particolare è stata rilevata la presenza di sanidino e analcime. È noto che l’analcime può essere messa in relazione a vulcanoclastiti interessate da processi minerogenetici secondari riferibili probabilmente alla formazione del tufo giallo napoletano. Le analisi XRD su campioni rappresentativi dell’intonaco esterno (campioni C5 e C10-C12 di tabella 1) hanno evidenziato la presenza di gesso (Fig. 19), originato da processi alterativi derivanti dall’azione delle acque meteoriche. Il gesso, infatti, è il prodotto finale della reazione tra la calcite e acque, in cui siano presenti solfati16. Analoga è l’origine del gesso rinvenuto nelle croste nere presenti sull’intonaco delle pareti del corridoio di accesso alla camera funebre. La

15 Ibidem. 16 AMOROSO 1995; DE GENNARO 1993.

84

natura solfatica dei minerali, tenardite e mirabilite nel campione C4, rilevati nelle efflorescenze raccolte sulle medesime pareti, conferma i suddetti meccanismi di degrado (Fig. 20). Poiché è da ritenere che questi intonaci siano stati posti in opera successivamente al trasferimento del monumento al Museo Nazionale di Napoli, è auspicabile che essi siano sostituiti con materiali più idonei a garantire una migliore protezione del monumento dall’infiltrazione delle acque meteoriche. Ulteriori valutazioni sui campioni di malte esterne C11 e C18

Fig. 19: Diffrattogramma XRD del campione C5

Fig. 20: Diffrattogramma XRD del campione C4

85

Fig. 21: Campione C11. Micrografie al microscopio mineralogico a nicols incrociati; cristallo di pirosseno (a sinistra ) e cristallo di plagioclasio (a destra)

Campione C11 È rappresentativo di un intonaco moderno di malta pozzolanica a due strati, aventi la stessa composizione ma applicati in due momenti successivi con funzioni, rispettivamente, di aggrappo (strato più interno con inerti più grossolani) e di finitura. La presenza di minerali di origine vulcanica (Fig. 21) quali plagioclasio, analcime, pirosseno, leucite e biotite, indicano la natura pozzolanica dell’aggregato utilizzato nell’impasto. Anche in questo campione è stato riscontrata l’esistenza di gesso derivante da fenomeni di solfatazione della calcite a causa dell’ambiente inquinato. Campione C18 Il campione appare disomogeneo ed incoerente ed è anch’esso rappresentativo di un intonaco a calce con aggregato di natura vulcanica (feldspato, scarso pirosseno e rare pomici) (Fig. 22). Sono anche visibili granelli di terracotta che permettono di classificare la malta come una malta a cocciopesto, applicata con funzioni di impermeabilizzazione della volta e protezione delle murature interne.

Fig. 22: Campione C18. A sinistra: tal quale; a destra: sezione sottile allo stereoscopio

Osservazioni in sezione sottile secondo lo schema NORMAL 12/8317 Probabile laterizio con matrice di colore rosso-bruno e clasti rappresentati in prevalenza da cristalli di feldspato. - caratteristiche dei clasti: fenocristalli di feldspati e pirosseni, poche pomici vulcaniche, di granulometria prevalentemente arenaceo-fine (1/4-1/8mm) con diametro massimo 1,5 mm; l’addensamento è medio (<30%). - caratteristiche della matrice: nel complesso si presenta disomogenea (Fig. 23), con porosità medio-elevata (>30%), con porzioni decoese e diffusamente attraversate da un reticolo di ritiro

17 NORMAL 12/83.

86

(prevalentemente nelle porzioni in cui c’è minore presenza di aggregato).

Fig. 23: Campione C18. Micrografie al microscopio mineralogico. A sinistra (nicols

paralleli): fessure da ritiro della matrice; a destra (nicols incrociati): clasti immersi nella matrice

Materiali lapidei

Campione C19 È rappresentativo sia della muratura esterna che di quella interna e ha la tipica composizione mineralogica del Tufo Giallo Napoletano18, costituito da fasi di neoformazione quali phillipsite, cabasite, analcime e smectite, oltre a feldspato e a una fase prevalentemente vetrosa. Nella Tabella 3 sono riportati i dati della composizione mineralogica, valutata secondo la tecnica RIR (Reference Intensity Ratio)19.

Tabella 3 – Analisi quantitativa XRD del campione di tufo C19

Minerale Smectite Biotite Feldspato Phillipsite Cabasite Analcime Totale

Contenuto (%)

13

-

23

43

12

5

96 Deviazione standard %

2

-

3

1

1

0

7

6. I PIGMENTI Le indagini in spettrofotometria di fluorescenza RX, eseguite in situ nelle zone affrescate, hanno consentito di individuare gli elementi chimici presenti nelle decorazioni pittoriche e di desumere pertanto i pigmenti utilizzati per la loro realizzazione20. I risultati sono riassunti nella Tabella 4. Il calcio riscontrato in tutte le analisi è da attribuire sia all’intonaco di supporto agli affreschi sia al grassello di calce utilizzato come componente di base del pigmento. Pigmento rosso scuro Pigmenti di colore rosso scuro sono stati utilizzati per la realizzazione delle fasce che delimitano superiormente i riquadri rettangolari (specchi) delle pareti laterali e del fondo. Dello stesso colore è la striscia che delimita le fasce verticali che contornano ciascuno specchio. La presenza di Fe come elemento cromoforo prevalente indica che per la preparazione del pigmento è stata usata ematite (Fe2O3), ovverosia ocra rossa, rubrica per i latini, già nota ai Greci e a civiltà precedenti21. Tutte le altre parti decorate in rosso e sulle quali è stato possibile eseguire l’analisi spettrofotometrica hanno mostrato la stessa composizione.

18 DE GENNARO et al. 2000. 19 CHIPERA e BISH 1995. 20 AUGUSTI 1967; MONTAGNA 1993 e KÜHN e CURRAN 1986. 21 AUGUSTI 1967; MONTAGNA 1993.

87

Pigmento giallo Le fasce che delimitano gli specchi sono di colore giallo. A parte la modesta presenza di Fe (ematite), l’elemento rinvenuto in concentrazione maggiore è il Cr, che notoriamente dà colorazioni gialle nel suo stato di ossidazione massimo (VI). In letteratura non sono riportati minerali di Cr esavalente impiegati allo scopo22; essi sono peraltro molto rari (ad esempio, crocoite, PbCrO4, e tarapacaite, K2CrO4) e sono presenti in contesti geologici all’epoca sconosciuti (Americhe, Monti Urali). È oltretutto estremamente probabile che i Romani non conoscessero minerali di cromo, per cui la sua presenza nel pigmento può essere solo posta in relazione ad interventi di restauro pregressi.

Tabella 4 – Probabili pigmenti impiegati nella decorazione pittorica desunti dagli elementi prevalenti in essi individuati*

*Le parentesi indicano che l’elemento è presente in quantità subordinata. Pigmento azzurro Per la realizzazione delle parti colorate in azzurro, colore impiegato in decorazioni e figure presenti soprattutto nei riquadri delle fasce superiori e inferiori che delimitano il campo della volta, la rilevante presenza di Cu all’analisi in spettrofotometria RX (Fig. 24) e la simultanea assenza di Si fa propendere per l’impiego di azzurrite (2CuCO3·Cu(OH)2), un pigmento naturale già noto agli Egizi e ai Greci23, che i Romani chiamavano caeruleum cyprium per distinguerlo dall’aegyptium, che era invece artificiale e costituito di silicati di rame e di calcio24. Pigmento verde Il rame è stato rinvenuto anche nello spettro di fluorescenza RX (Fig. 25), eseguito sulla veste di colore verde della figura di donna presente, a sinistra, nella lunetta della parete di fondo e nell’elemento posto alla base della colonna sulla stessa parete. In questo caso il pigmento utilizzato dovrebbe essere stato la malachite (CuCO3·Cu(OH)2), la chrysocolla latina, anch’essa già utilizzata dagli antichi Egizi e Greci25. Non si può comunque escludere che possa trattarsi del più comune “verderame”, il latino aerugo, un pigmento artificiale a base di acetato e carbonato di rame26. Pigmento viola Le tonalità violacee, utilizzate per la realizzazione della figura di un vecchio con bastone e di tre figure ravvicinate presenti nella parete di destra dell’ipogeo (a destra, nel riquadro centrale della fascia superiore), potrebbero essere state ottenute utilizzando ametista27, forma colorata del

22 KÜHN e CURRAN 1986. 23 MONTAGNA 1993. 24 AUGUSTI 1967. 25 MONTAGNA 1993. 26 AUGUSTI 1967. 27 MONTAGNA 1993.

88

quarzo (SiO2), alla quale sarebbe così da ascrivere la presenza del picco di diffrazione del silicio (Tabella 4). Non si può escludere peraltro che sia stata impiegata una lacca a base di purpurissimum, un pigmento di origine animale, prodotto da conchiglie marine del genere Murex, con una base inorganica di farina fossile (da cui il riflesso del Si). Sembra, comunque, accertato che questo pigmento, anche se ben noto in epoca romana, non venisse impiegato nella realizzazione di decorazioni pittoriche28.

Fig. 24: Spettro di fluorescenza a raggi X di un pigmento azzurro

Fig. 25: Spettro di fluorescenza a raggi X di un pigmento verde

28 AUGUSTI 1967.

89

7. NOTE CONCLUSIVE Il complesso dei dati archeometrici raccolti nel corso dei rilievi sull’Ipogeo di Caivano inquadra compiutamente il monumento nel suo contesto storico (prossimo a quello delle città vesuviane sepolte nel corso dell’eruzione del 79 d.C.), sia per quanto concerne le tecniche costruttive (intonaci multistrati) che per i materiali utilizzati (leganti, inerti, pigmenti)29. La ricerca ha permesso di evidenziare che il rilevante stato di degrado del monumento è causato sia da infiltrazioni d’acqua di origine meteorica sia da umidità d’invasione. Pur stimando che le risultanze acquisite e descritte nella presente relazione siano esaurienti ai fini della completa “interpretazione” della costruzione funeraria, si ritiene tuttavia che ulteriori specifici approfondimenti si renderanno necessari quando, come è auspicabile per non vanificare le motivazioni per le quali nel 1929 fu deciso il trasferimento dell’ipogeo presso il Museo Nazionale di Napoli, si debba passare dalla fase conoscitiva alla corretta formulazione di un concreto progetto per il recupero e la conservazione del monumento.

8. BIBLIOGRAFIA 1) J.-P. Adam, L’arte di costruire presso i Romani, Longanesi, Milano, 1994. 2) G. G. Amoroso, Il restauro della pietra nell’architettura monumentale, Flaccovio Editore, Palermo, 1995, 220 pp. 3) S. Augusti, I colori pompeiani, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, Studi e Documentazioni I, De Luca, Roma, 1967, 163 pp. 4) S. J. Chipera, D. L. Bish, Multireflection RIR and intensity normalizations for quantitative analyses: applications to feldspar and zeolites, Powder Diffr., 10 (1) (1995), 47-55. 5) C. Colella, M. de’ Gennaro, O. Marino, M. Colella, P. Cappelletti e A. Colella, in Atti 7° Congresso Nazionale AIMAT (CD-Rom, Paper # 25), AIMAT (Associazione Italiana d’Ingegneria dei Materiali), 2004, 6 pp. 6) M. de’ Gennaro, M. D. Fuscaldo, C. Colella, Weathering mechanisms of monumental tuff-stone masonries in downtown Naples, Science and Technology for Cultural Heritage, 2 (1993), 53-62. 7) M. de’Gennaro, P. Cappelletti, A. Langella, A. Perrotta e C. Scarpati, Genesis of zeolites in the Neapolitan Yellow Tuff: geological, volcanological and mineralogical evidences, Contribution to Mineralogy and Petrology, 139 (1) (2000), 17-35. 8) M. de’ Gennaro, C. Colella, P. Cappelletti, A. Colella, F. Allocca, O. Marino e M. Colella, in Atti III Convegno Restauro e conservazione dei beni culturali: Materiali e tecniche, G. Mascolo ed., Univ. Cassino, 2003, pp. 74-83. 9) O. Elia, L’Ipogeo di Caivano, Monumenti Antichi dei Lincei, Roma, XXXIV (1931), 421-492 (oltre a VI tavv. f. t.). 10) G. Gottardi, I minerali, Boringhieri, Torino, 1984, p. 164. 11) H. Kühn e M. Curran, in Artists’ Pigments, a Handbook of Their History and Characteristics, R. F. Feller ed., Vol. 1, National Gallery of Art, Washington, D.C., 1986, p. 187 e segg. 12) E. Mariani, Leganti aerei e idraulici, Quaderni di Chimica Applicata, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1976, pp. 16-17. 13) NORMAL 3/80, Materiali lapidei: campionamento, Istituto Centrale del Restauro, Roma, 1980. 14) NORMAL 12/83, Aggregati artificiali di clasti e matrice legante non argillosa: schema di descrizione, Istituto Centrale del Restauro, Roma, 1983. 15) NORMAL 1/88, Alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei: lessico, Istituto Centrale del Restauro, Roma, 1988. 16) F. Penta e F. Ippolito, Marmi, pietre e graniti, XV(2) (1937), 3-30. 17) G. Montagna, I pigmenti, Cardini Editore, Firenze, 1993, 264 pp.

29 ADAM 1994.

90

Parte III – Acquisizione e fruizione mediante musei virtuali e internet di opere d’arte (Mario Vento, Alessandro Limongiello, Pasquale

Foggia)

1. INTRODUZIONE Il presente lavoro si inquadra nel contesto delle attività finalizzate alla costituzione di musei virtuali. Per museo virtuale si intende, generalmente, una collezione di risorse digitali di ambito artistico-culturale, accessibile mediante strumenti telematici. Dal punto di vista dei contenuti, un museo virtuale può essere costituito dalle immagini digitali di quadri, disegni, diagrammi, fotografie, video, siti archeologici, ambienti architettonici. In questa definizione rientrano sia i sistemi informativi accessibili in modo locale, ad esempio all'interno delle sale di un museo tradizionale, sia risorse realizzate per essere accessibili pubblicamente mediante la rete Internet. In quest’ultimo caso si parla anche di Web Museum1. Un museo virtuale affianca le tradizionali istituzioni museali nello svolgimento dei loro compiti didattici ed espositivi: attraverso i sistemi multimediali, coinvolge nella lettura dell'opera e stimola ad approfondirne la conoscenza, a esplorarla, sia visivamente sia concettualmente. Consente di organizzare le collezioni museali raggruppando oggetti decontestualizzati, attraverso la navigazione per contenuti, e contribuisce a contestualizzare nuovamente elementi in una rete di relazioni logiche e cronologiche2. Permette la deterritorialità, in modo che l’informazione museale non appartenga ad alcun territorio, se non alla rete e al contesto di riferimento. Garantisce la salvaguardia del nostro patrimonio artistico-culturale e rappresenta una promozione del museo stesso3. La realizzazione di un museo virtuale prevede le fasi di acquisizione, elaborazione delle immagini e pubblicazione in rete. Dal punto di vista tecnico, la realizzazione di un museo virtuale prevede la gestione di immagini di grosse dimensioni e ad alta risoluzione, che rendono critiche le fasi di acquisizione4, elaborazione e fruizione. Prevede inoltre l’adeguamento dell’immagine alle risorse dell’elaboratore (client) che si connette via Internet al sito (server) dove sono disponibili le immagini, in modo da avere comportamenti differenti se la fruizione è destinata a palmari, cellulari o, in generale, a monitor con differenti caratteristiche grafiche (risoluzione, profondità di colore, resa cromatica). Infine deve essere prevista la fornitura di servizi da remoto ai client per l’elaborazione delle immagini e la possibilità per il gestore del database di immagini di proteggerle con marchi di copyright (watermarking) oppure di aumentare la risoluzione su richiesta. Attualmente, in rete, le immagini ad alta risoluzione devono essere scaricate sul client integralmente per poi essere visionate; non c’è la possibilità di una richiesta dell’immagine in relazione alle specifiche del client: per un utilizzo a bassa risoluzione delle immagini si prevede solo la possibilità di scaricare versioni compresse delle immagini. Inoltre non viene gestita la fedeltà cromatica dell’immagine, l’applicazione di filtri è possibile solo sul client a valle del salvataggio del file di immagine e non sono messi a disposizione servizi per il gestore del database di immagini. Per soddisfare queste esigenze di qualità, efficienza e potenzialità è necessario aggiungere “intelligenza” dal lato server. Una risposta tecnologica a queste esigenze è data dai cosiddetti image server che consentono agli utenti Internet di visualizzare immagini ad alta risoluzione rapidamente ed in maniera interattiva, con alta fedeltà cromatica e tutela del copyright. Le principali funzionalità di un image server sono: alta velocità di visualizzazione, anche con connessioni ad Internet via modem grazie ad una organizzazione piramidale delle immagini, nessuna necessità di specifici programmi sul client e gestione della resa cromatica dell’immagine. In questo lavoro viene descritta l’implementazione e l’utilizzo di un image server per la realizzazione di un museo virtuale che contiene immagini di opere d’arte acquisite ad elevata risoluzione e vengono illustrate le elaborazioni effettuate su tali immagini, attraverso algoritmi

1 BEARMAN 1995. 2 GARZOTTO et al. 1995. 3 JACKSON et al. 1998. 4 VOYATZIS et al. 1998.

91

di mosaicizzazione, per poterne migliorare ulteriormente la risoluzione e permetterne una fruizione a differenti livelli di dettaglio. Le opere d’arte considerate sono due affreschi conservati presso il Museo Nazionale di Napoli ed alcuni dipinti di un ipogeo funerario romano rinvenuto a Caivano.

2. L’IPOGEO DI CAIVANO E LA TOMBA DI EGNAZIA La realizzazione di un museo virtuale prevede, come detto, le fasi di acquisizione, elaborazione e pubblicazione su rete, così come descritto dalla Fig. 1, a cui segue la fase di fruizione su rete da parte degli utenti. Nel seguito verranno descritte tali fasi, così come realizzate nell’ambito del Centro di Eccellenza per la “Restituzione Computerizzata di Manoscritti e di Monumenti della Pittura Antica”. In particolare, l’acquisizione ha riguardato 3 opere d’arte, due affreschi che decoravano una tomba rinvenuta ad Egnazia (il dipinto del Cavaliere e quello della Medusa) conservati presso il Museo Nazionale di Napoli, ed alcuni dipinti di una tomba romana, l’Ipogeo di Caivano (si veda Fig. 2). I due affreschi sono in esposizione al secondo piano del Museo Nazionale, ma attualmente la sala che li ospita non è accessibile al pubblico. Dell’ipogeo di Caivano, rinvenuto nel 1923 e negli anni successivi trasferito integralmente al Museo Nazionale di Napoli, sono stati per ora presi in considerazione i dipinti della volta a botte, anche per i particolari problemi che la sua geometria poneva. I dipinti che decorano i lati ed il fondo dell’ipogeo saranno oggetto di una successiva campagna di acquisizione. L’ipogeo è sito nel cortile settentrionale del Museo Nazionale di Napoli e non è accessibile al pubblico. Tale opera, come gli altri dipinti, ha bisogno di restauro e di interventi architettonici che salvaguardino la sua conservazione nel tempo.

Fig. 1: Schema per la realizzazione di un museo virtuale fruibile attraverso Internet

a)

b)

c)

Fig. 2: Le opere d’arte considerate: a) Il dipinto del Cavaliere, b) Il dipinto della Medusa, c) L’ipogeo di Caivano

L’acquisizione digitale delle immagini in esame, allo scopo di ottenere una risoluzione più elevata di quella raggiungibile con una singola operazione, è stata effettuata suddividendo l’opera in parti (tiles), che sono state acquisite separatamente. Il sistema di acquisizione utilizzato comprende apparecchiature sofisticate: una macchina fotografica Hasselblad 503CW 6x6 con obiettivi da 80 e 120 mm, dotata di dorso digitale ad alta risoluzione (2.032 x 3.056 pixel) Phase One H5, collegata ad un computer portatile attraverso un interfaccia IEEE 1394; un esposimetro fotografico digitale Minolta che misura la luce della scena inquadrata attraverso

92

i suoi sensori e dà informazioni di riferimento per la regolazione di tempo e diaframma del sistema fotografico; un parco luci costituito da speciali illuminatori a scarica (HMI) a temperatura di colore solare, filtrati in maniera da abbattere la componente ultravioletta dello spettro che potrebbe essere nociva per oggetti estremamente delicati, con cavalletti regolabili in altezza; una carta dei colori Gretag Macbeth, necessaria per la rappresentazione delle scale colorimetriche, permettendo una successiva correzione digitale del colore. Le tiles sono state poi composte in un'unica immagine attraverso la tecnica della mosaicizzazione, così come descritto nel prossimo paragrafo.

Fig. 3: Il sistema di acquisizione utilizzato

3. L’ACQUISIZIONE FOTOGRAFICA DIGITALE LA SCELTA DIGITALE Nell'ambito della fotografia professionale, il passaggio dalla registrazione chimica dell’immagine all'acquisizione digitale è avvenuto più rapidamente del previsto: oggigiorno, l'immagine può essere acquisita con un mezzo di registrazione digitale e trasferita direttamente ad un computer per l'ulteriore gestione o elaborazione. Anche se è improbabile che l'acquisizione digitale sostituisca completamente la pellicola nella fotografia ad altissima risoluzione, bisogna rilevare che la tecnologia dell'acquisizione digitale si è affermata in molti settori della fotografia professionale. L’elemento discriminante con l’approccio tradizionale é costituito dal processo di acquisizione stesso che consiste nella “digitalizzazione” dell'oggetto, vale a dire nella riduzione a modello numerico discreto del continuum costituente l'opera. La discretizzazione del continuum implica, in generale, il concetto di risoluzione del più piccolo volume solido e di fedeltà nella riproduzione del colore. Con le attuali tecnologie, occorre distinguere tra acquisizioni finalizzate alla "fotografia" di un particolare stato di conservazione dell'opera ed acquisizioni destinate a fornire un'accettabile rappresentazione dell'originale utilizzate per fini divulgativi in sostituzione dell'opera stessa. Da queste considerazioni nasce l'idea di creare banche dati volte a costituire un riferimento perenne dello stato di conservazione del bene. Tali informazioni consentono di valutare con accuratezza il profilo di invecchiamento di un opera d'arte soggetta a frequenti spostamenti o condizioni ambientali disagiate, in altri casi possono essere utilizzate per simulare operazioni di restauro "virtuale". Nasce parimenti il discusso concetto di "originale digitale" a significare un clone dell'opera in grado di preservare l'originale sostituendovisi nell'uso quotidiano. Si evince, quindi, la necessità di ogni istituzione museale di disporre di una documentazione fotografica completa e rigorosa delle proprie collezioni. L’ATTIVITÀ DI ACQUISIZIONE SVOLTA Il nostro lavoro di acquisizione fotografica delle opere d’arte, eseguito nel Museo Nazionale di Napoli, ha occupato la prima fase di attività del gruppo ed è durato circa 3 mesi. Sono state eseguite oltre 900 prese digitali affrontando in maniera scientifica i problemi che di volta in volta si sono presentati, al fine di creare una banca dati di immagini ad alta risoluzione.

93

La tecniche di acquisizione utilizzate hanno consentito la presa di immagini ad una maggior risoluzione e con un più alto grado di accuratezza colorimetrica e geometrica rispetto alla fotografia tradizionale. Nel passato la metodologia di acquisizione era diversa: si convertivano in formato digitale le immagini fotografiche esistenti su carta fotografica attraverso degli scanner. Con questo procedimento, pur utilizzando scanner professionali, si introducevano errori, distorsioni e alterazioni cromatiche sull’immagine digitale ottenuta. La presa di immagini, direttamente in digitale, elimina questi rischi e assicura la massima fedeltà all’opera d’arte. L’uso di foto digitali è vantaggioso per: - la conservazione delle opere d’arte; - la possibilità di esposizione attraverso il web; - la possibilità di marchiare digitalmente l’immagine. L'immagine digitale è inalterabile nel tempo ed è molto versatile per la maggior parte degli impieghi attuali e pertanto il suo uso è destinato a crescere sempre più nel futuro. Avvicinarsi alla fotografia digitale richiede l'approfondimento di alcuni concetti che sono nuovi per chi è abituato alla fotografia chimica: bisogna acquisire un bagaglio tecnico necessario a lavorare con attrezzatura digitale, utilizzare strumenti nuovi imparando un nuovo linguaggio ricco di termini legati al mondo dell’informatica. LA STRUMENTAZIONE UTILIZZATA La presa delle immagini è avvenuta mediante apparecchi della miglior qualità disponibili sul mercato:

Fotocamera Hasselblad 503 CW con dorso digitale Phase

One H5

PC Portatile – Acer Travelmate 630

Esposimetro Minolta Autometer V

Fig. 4: Strumentazione utilizzata

Parco Luci

Carta dei colori Gretag Macbeth

Fig. 5: Ulteriori ausili strumentali

94

L’Hasselblad 503 CW è una macchina fotografica di medio formato, che ricopre il mercato della fotografia professionale. E’ equipaggiata con un obiettivo di 80 mm e monta nella parte posteriore il dorso digitale che ha le stesse dimensioni del magazzino che contiene il rullino fotografico. I dorsi digitali della casa danese Phase One, in dotazione alla nostra strumentazione, sono di ottima qualità. La focheggiatura di precisione della fotocamera è assistita da un sofisticato software (Capture One prodotto sempre da Phase One) che analizza più punti dell’immagine da fotografare, garantendo quindi la massima nitidezza ed escludendo qualsiasi errore in fase di acquisizione fotografica. Il grado di risoluzione del dorso a scatto singolo H5 è di 2.032 x 3.056 pixel. I file di immagine prodotti, da ogni singolo scatto fotografico (17Mb circa), vengono salvati automaticamente dal software di cattura in un formato proprietario e successivamente vengono convertiti in formato TIFF RGB. LE OPERE D’ARTE ACQUISITE Il notebook utilizzato garantisce le prestazioni e le funzionalità di un desktop. E’ provvisto di porta firewire (IEEE 1394) per la connessione con periferiche multimediali: per l’attività di acquisizione c’è bisogno proprio di questa interfaccia che permette la connessione del computer al dorso digitale della macchina fotografica. L’hard-disk in dotazione è di soli 20 GB e risulta piccolo come memoria di massa per il lavoro a cui è sottoposto: si pensi che un solo set di fotografie (circa 120 foto) va a occupare all’incirca 2 GB di spazio. Per questo motivo tutto il materiale acquisito quotidianamente , è stato di volta in volta scaricato su altri hardisk di computer del nostro laboratorio. Un altro parametro critico per questo computer è stata la memoria RAM in quanto il software di acquisizione utilizzato avrebbe bisogno di 384 Mb (da quanto si legge sulla scheda tecnica della casa produttrice di questo software), e in dotazione il notebook ne ha soltanto 256. L'esposimetro fotografico digitale misura la luce della scena inquadrata ed è uno strumento "essenziale" per le acquisizioni fotografiche. Tale strumento in base alla luce catturata attraverso i suoi sensori, da informazioni di riferimento per la regolazione dei tempi di posa e dei diaframmi del sistema fotografico. Il parco luci è costituito da speciali illuminatori a scarica (HMI) a temperatura di colore solare. Questi illuminatori sono filtranti in maniera da abbattere la componente ultravioletta dello spettro che potrebbe essere nociva per oggetti estremamente delicati. Sono dotati di cavalletti regolabili in altezza e alimentati da una tensione di 220 Volt. Prima di ciascuna acquisizione i sensori digitali vengono calibrati sulle scale colorimetriche standard Kodak e Gretag Macbeth, che sono incorporate in ciascuna immagine per riferimenti futuri. Questo fa sì che venga garantita la perfetta fedeltà cromatica all'originale. A valle della ripresa fotografica si possono effettuare le dovute elaborazioni grafiche sulle foto in base alle informazioni sul colore date da questo accessorio. Le opere d’arte oggetto di acquisizioni sono state 3: - il dipinto del Cavaliere (tomba di Egnazia) - il dipinto della Medusa (tomba di Egnazia); - la volta dell’Ipogeo di Caivano. I primi due dipinti sono in esposizione al secondo piano del Museo Nazionale di Napoli. Attualmente la sala che li ospita non è accessibile al pubblico. Si presume che in futuro le immagini digitali che riproducono tali opere, frutto del nostro lavoro di acquisizione, saranno utilizzate anche per uno studio sul restauro automatico delle opere d’arte. L’ipogeo di Caivano, tomba a camera romana, d’età alto-imperiale, attualmente ricostruito nel cortile settentrionale del Museo Nazionale di Napoli, completamente dipinto all’interno, non è accessibile al pubblico. Il suo stato di conservazione rende urgente un intervento di restauro ai dipinti e alla struttura. LE METODOLOGIE DI ACQUISIZIONE Le tecniche utilizzate per l’acquisizione dei dipinti e della volta dell’Ipogeo sono state studiate e applicate in maniera scrupolosa seguendo un approccio scientifico e metodologie di tipo tecnico propriamente ingegneristiche.

95

I dipinti (Medusa e Cavaliere) e la volta dell’ipogeo sono stati trattati utilizzando metodi di acquisizione diversi in base alla diversa configurazione geometrico-architettonica in cui si presentano le opere: i dipinti si estendono su un piano, la volta dell’Ipogeo è una sezione cilindrica deformata. I passi comuni seguiti nell’opera di presa fotografica delle immagini sono stati: - Osservazione dell’ambiente di lavoro; - Rilevazione delle problematiche di presa delle immagini; - Pianificazione dei passi da seguire per effettuare un’acquisizione ottimale. Nella fase di acquisizione fotografica bisogna sempre cercare di ottenere delle immagini finali quanto più risolute a livello pixel. Per aumentare la risoluzione di un immagine fotografica basterà banalmente avvicinare il sistema fotografico al soggetto da fotografare (nel nostro caso, ad esempio, i dipinti), nei limiti consentiti dall’obiettivo fotografico montato sulla fotocamera (il nostro è un 80 mm). Così facendo, però, in genere, si perde la visione di insieme dell’opera d’arte, poiché l’angolo di campo della fotocamera è limitato. Il vantaggio è dato dal fatto, però, di ottenere delle foto a più alte risoluzioni sui particolari della stessa opera. La soluzione al problema della perdita di visione d’insieme dell’opera d’arte consta nel “mosaicizzare” le immagini fotografiche ad alta risoluzione che ritraggono i diversi pezzi dell’opera d’arte in un’unica grande foto. Questa tecnica è chiamata mosaicing ed è stata utilizzata sia per i dipinti che per la volta dell’Ipogeo. In alcuni casi, l’uso della tecnica del mosaicing rappresenta l’unica strada per acquisire un‘immagine e ciò dipende , in genere, dalla configurazione geometrica dell’opera d’arte. Nel caso della volta dell’ipogeo, ad esempio, per le sue dimensioni e la sua forma architettonica non pensiamo che ci siano, tuttora, altre metodologie di acquisizioni. Dopo aver sistemato il sistema fotografico alla giusta distanza dall’oggetto di acquisizione, bisogna procedere a disporre il parco luci nel migliore dei modi in maniera che la luce sia diffusa uniformemente e con un’intensità prestabilita sull’intero piano fotografato. Le luci si dispongono in base alle rilevazione fatte con l’esposimetro digitale in dotazione. In tutte le acquisizioni si è scelto di posizionare gli illuminatori in modo che la luce fosse ottimizzata per il sistema fotografico con un tempo di posa di 1/60 e un apertura del diaframma 4. Tali parametri sono stati settati seguendo la consulenza tecnica di un fotografo esperto. A tal punto si è pronti allo scatto fotografico. In ogni foto è stata incorporata la scala colorimetrica standard Gretag Macbeth (carta dei colori) per garantire la fedeltà cromatica della foto rispetto all’originale. La messa a fuoco di ogni foto è stata scrupolosamente controllata on-line sul notebook in dotazione, scatto dopo scatto, al fine di arrivare con la fotocamera alla distanza focale ottimale. In genere sono state scattate all’incirca 10 foto nell’intorno della messa a fuoco ottimale. La scelta della foto meglio messa a fuoco è stata fatta successivamente, nel nostro laboratorio all’Università.

Fig. 6: Il dipinto del Cavaliere

IL DIPINTO DEL CAVALIERE L’acquisizione del dipinto del Cavaliere è stata effettuata in 3 soluzioni diverse:

96

- con unica foto dalla distanza di 4 metri; - con 4 foto dalla distanza di 2 metri; - con 12 foto dalla distanza di 1 metro. Negli ultimi due casi le foto coprono in diverse parti l’intera superficie del dipinto e il sistema fotografico è stato sempre spostato unicamente con traslazioni orizzontali o verticali all’interno di un piano parallelo a quello del dipinto, evitando rotazioni. Bisogna tener conto che le immagini contigue acquisite devono necessariamente sovrapporsi di almeno il 30%, in modo da permettere un efficiente mosaicizzazione.

Tipo foto Icona Distanza dal

dipinto DPI

(x stampa su A4) DPI

(dimensioni reali) unica

4 m 260 42

4 foto

2,2 m 470* 73

12 foto

1,5 m 809* 126

Fig. 7: Processo di acquisizione per il Dipinto del Cavaliere

Fig. 8: Schema di acquisizione dell’immagine

97

IL DIPINTO DI MEDUSA L’acquisizione del dipinto di Medusa è stata effettuata in 2 soluzioni diverse: - con unica foto dalla distanza di 4 metri; - con 4 foto dalla distanza di 2 metri; Nell’ultimo caso le foto coprono in diverse parti l’intera superficie del dipinto e il sistema fotografico è stato sempre spostato unicamente con traslazioni orizzontali o verticali all’interno di un piano parallelo a quello del dipinto, evitando rotazioni. Bisogna tener conto che le immagini contigue acquisite devono necessariamente sovrapporsi di almeno il 30%, in modo da permettere un efficiente mosaicizzazione.

Fig. 9: Dipinto di medusa

Tipo foto Icona Distanza dal

dipinto DPI

(x stampa su A4) DPI

(dimensioni reali) unica

4 m 260 42

4 foto

2 m 424 68

Fig. 10: Processo di acquisizione per il Dipinto di medusa

Fig. 11: Schema di acquisizione dell’immagine

98

LA VOLTA DELL’IPOGEO DI CAIVANO L’approccio seguito nell’acquisizione della volta dell’Ipogeo cambia completamente rispetto a quello adottato per i dipinti. In questo caso, infatti, ci troviamo dinanzi a una superficie non piana: una volta a botte (un settore cilindrico).

Pianta

Sezione

Fig. 12: Pianta e sezione dell’ipogeo di Caivano L’obiettivo che ci è prefigurato è stato quello di “srotolare” il settore cilindrico della volta in modo da poterlo presentare su un piano.

Fig. 13: Obiettivo Finale: trasformazione della volta

L’acquisizione completa della volta è stata ottenuta effettuando 99 prese digitali, divise in 7 strisce (settori cilindrici) parallele.

Fig. 14: Divisione in strisce della volta

Ogni striscia è stata fotografata operando una rotazione del sistema fotografico intorno all’asse della volta. Le acquisizioni sono state sempre attuate in modo tale che la retta passante per il fuoco della camera sia stata ortogonale al piano tangente alla volta nel centro dell’immagine fotografata.

99

La tecnica utilizzata in questa sede è stata pensata ad hoc ed è del tutto originale: una volta calcolata l’asse centrale della volta in base a rilievi fatti a monte della campagna fotografica si è pensato di utilizzare un puntatore laser passante per quest’asse. Questo sistema ha permesso sempre di posizionare e spostare la fotocamera velocemente e di controllare eventuali spostamenti non volontari dell’apparato fotografico.

a)

b)

Fig. 15: a) Puntatore laser usato come riferimento nelle acquisizioni; b) Misure impiegate nell’acquisizione di una striscia (angolo min 16°, angolo max 164°)

Le immagini contigue acquisite si sovrappongono di circa il 30%, e la distanza del sistema fotografico dal centro dell’immagine fotografata è di 1,86m.

Volta dell’ipogeo di Caivano Id. striscia Numero di foto Distanza dal dipinto DPI (dimensioni reali)

1 14

1.86 m 104

2 13 3 13 4 15 5 14 6 15

ALTRE TECNICHE DI ACQUISIZIONE Un’interessante tecnica di acquisizione ad alta risoluzione di dipinti è stata messa a punto da ricercatori del Dipartimento di Informatica dall’Università di Thessaloniki in Grecia. Lo scopo di questo gruppo di ricerca è stato quello di costruire un sistema automatico per la acquisizione digitale di dipinti di grandi dimensioni. Tutto il sistema è controllato da un PC e l’intera procedura di acquisizione è automatica. Il sistema è composto da una video camera analogica collegata al PC attraverso un frame scrabber. La videocamera può essere spostata automaticamente lungo due assi complanari paralleli al dipinto da acquisire, attraverso dei motorini elettrici pilotati da un controller. La scansione delle immagini è sincronizzata dal PC a cui è collegato anche il controller dei motorini. Poiché l’acquisizione dell’intero dipinto è fatta per parti, sullo stesso PC a cui è collegata la videocamera e il controller, è caricato anche un modulo software di mosaicizzazione che on line

100

costruisce l’immagine completa del dipinto. I risultati che hanno pubblicato sembrano essere soddisfacenti.

Fig. 16: Le 99 prese digitali della volta dell’ipogeo

Fig. 17: Sistema automatico di acquisizione

POSSIBILI MIGLIORAMENTI Nelle prime acquisizioni fatte, per inesperienza o per inadeguatezza dell’attrezzatura in dotazione, sono stati rilevati effetti indesiderati sulle foto acquisite. Ad esempio, per il dipinto di

101

Medusa si è riscontrato nella versione a 4 foto che le immagini che ricoprono tale dipinto sono zoomate diversamente e leggermente ruotate tra di loro. Ciò produce complicazioni nella fase di mosaicizzazione delle immagini e ciò preclude la composizione in immagini mosaicizzate di alta qualità. Di sicuro quindi, bisognerebbe investire in attrezzatura più precisa e efficiente per un lavoro davvero professionale e per garantire risoluzioni molto alte per le immagini acquisite. Utilizzando cavalletti più stabili e sistemi di riferimento più precisi sicuramente non sarebbero emersi tali inconvenienti. Uno strumento che potrebbe essere utilizzato per misurare in maniera impeccabile le distanze e sarebbe opportuno, quindi, includere nella strumentazione in dotazione è senz’altro un distanziometro laser. Nel nostro caso è stato utilizzato, invece, un metro a rullo. Nel caso di acquisizione di dipinti, poiché nell’effettuare le traslazioni è facile cadere in errore (sia nel tenere la distanza fissa dal dipinto che per le rotazioni) si potrebbe usare un sistema “carrello + binari” su cui montare un cavalletto per la macchina fotografica: un esempio di tale sistema esiste già in commercio ed è prodotto da una azienda milanese. Altro accessorio utile potrebbe essere un “autolivello laser” montabile su cavalletto: questo strumento è utilizzato nell’edilizia come strumento per livellare le superfici a diverse quote. Nel nostro caso per livellare il sistema fotografico ci siamo serviti invece di una semplice livella “da cantiere”, e di un puntatore laser “giocattolo” montato con semplice nastro adesivo. Infine, per rendere più “fluido” il software di acquisizione, si dovrebbe aggiungere al notebook altra memoria RAM e magari sostituire l’unità DVD integrata nel sistema con un’unità COMBO che permetta di archiviare sul campo le acquisizioni fatte.

Fig. 18: Particolare dell’ipogeo di Caivano a diverse risoluzioni

4. ELABORAZIONE GRAFICA DELLE IMMAGINI INTRODUZIONE AL PROBLEMA L’elaborazione grafica delle immagini interessa diverse discipline che ricoprono svariati campi nella vita reale. Con tale terminologia si intende la manipolazione e il trattamento di immagini digitali, attraverso le molteplici funzionalità offerte da software specifici di tale settore. Nel tempo questa materia è divenuta un supporto per altre branche: in primo luogo per la fotografia, ma anche per l’ingegneria, l’architettura, il restauro e persino la medicina. L’elaborazione grafica delle immagini digitali ha seguito la campagna di acquisizione foto delle opere d’arte. Tale fase si è identificata essenzialmente nelle operazioni di:

102

- correzione luce e colore; - “mosaicing” delle immagini. Le correzioni della luce e del colore sono state effettuate con i software Adobe Photoshop e Capture One. Al fine di avere delle immagini digitali di elevata qualità ci si è avvalsi della tecnica del mosaicing. Questa procedura permette di ottenere immagini ad alte risoluzioni. In tale contesto è stato implementato un modulo software scritto in linguaggio C/Matlab. LE CARATTERISTICHE DELL'IMMAGINE DIGITALE Le immagini digitali sono costituite da una griglia di quadratini detti pixel (picture element - elemento dell'immagine); a ciascun pixel può essere assegnato un certo numero di colori. Maggiore è il numero di pixel, maggiore è il numero dei colori assegnati a ogni pixel, tanto più è alta la risoluzione dell'immagine. La griglia di pixel si definisce bitmap (o mappa di bit) e il numero di colori di ogni pixel dipende dal numero di bit utilizzati per rappresentare lo spazio dei colori. Nella fotografia tradizionale è possibile cambiare la pellicola per adeguarsi alle diverse situazioni, nella fotografia digitale invece questo non è possibile, per cui la risoluzione dell'immagine dipenderà anche dal tipo di fotocamera o di scanner che si sceglie. Gli elementi che caratterizzano un'immagine digitale sono: a) la risoluzione; b) le dimensioni; c) la densità di bit; d) il sistema (o spazio) dei colori. Il formato che è stato usato per le immagini digitali dopo l’acquisizione è il TIFF (Tagged Image File Format). Tale formato di file è usato moltissimo negli ambienti tipografici per la stampa digitale di qualità e garantisce, nella conversione, che non ci sia perdita di risoluzione nell’immagine. Il metodo di memorizzazione delle immagini usato segue un modello di tipo bitmap (a matrice di punti o mappa di pixel). Il formato TIFF è abbastanza generico da poter descrivere qualsiasi tipo d'immagine bitmap, indipendentemente dal tipo di computer su cui è stata generata, in compenso presenta complessità per chi deve scrivere software che lo utilizzano. Secondo le specifiche di tale formato, l'immagine viene scomposta in elementi chiamati tag ognuno dei quali descrive un particolare attributo dell'immagine (altezza, ampiezza, eventuale metodo di compressione, offset pixel dell’immagine). LA RISOLUZIONE DELLE IMMAGINI DIGITALI La risoluzione dell'immagine digitale bitmap è espressa dal numero di pixel per pollice (dpi); in taluni casi viene usata la sigla ppi. Poiché le immagini bitmap contengono un numero fisso di pixel, la loro risoluzione dipende dalle dimensioni a cui l'immagine viene stampata o riprodotta. Nel nostro caso il dorso digitale collegato alla camera fotografica ha un sensore CCD di dimensioni 36,9 x 24,6 mm, con 2.032 x 3.056 pixel e permette di arrivare a risoluzioni molto alte per le foto acquisite. Chiaramente, per stimare la massima risoluzione che si può ottenere nelle nostre foto, entra in gioco un altro determinante fattore: il tipo di obiettivo utilizzato nel sistema fotografico. Nel nostro caso utilizziamo un obiettivo di 80 mm su Hasselblad. Le risoluzioni ottenute nelle nostre acquisizioni fotografiche sono state indicate nel capitolo precedente. LA SELEZIONE DELLE IMMAGINI E IL DEVELOP Nella fase di acquisizione, come già indicato nel capitolo precedente, sono state effettuate oltre 900 prese digitali: per ogni “posa fotografica” sono stati eseguite fino a 10 acquisizioni nell’intorno della messa a fuoco ottimale della fotocamera. Tale ridondanza di materiale ha permesso a seguito dell’operazione di selezione di costruire un database visivo di pregevole qualità. L’attività di selezione delle immagini è stata eseguita su una workstation grafica all’interno del laboratorio di Visione Artificiale del Dipartimento di Informatica e Sistemistica della nostra Università. Nel lavoro svolto sono state prescelte: - 5 immagini per il dipinto di Medusa; - 17 immagini per il dipinto del Cavaliere; - 99 immagini per la volta dell’Ipogeo di Caivano. La selezione delle immagini è stata effettuata visualizzando sul monitor del computer la qualità della messa a fuoco di ogni singola foto, utilizzando lo stesso software usato per cattura

103

(Capture One). Questo programma offre anche la possibilità di compiere il develop delle acquisizioni. Tale operazione consiste nella conversione di formato dell’immagine, non alterando il profilo di lavoro incorporato (Phase One H5 Product Flash). CORREZIONE DEL COLORE E DELLA LUMINOSITÀ Tutte le immagini selezionate sono state corrette nella luce e nel colore in base alle informazioni cromatiche date dalle scale colorimetriche Gretag Macbeth incluse in ogni immagine acquisita. Questo metodo garantisce che vi sia la perfetta fedeltà cromatica rispetto all'originale. La strumentazione utilizzata ha consentito di ridurre al massimo la distorsione cromatica delle immagini acquisite. Il dorso digitale Phase-One della macchina fotografica è corredato da un modulo software di acquisizione che fornisce un profilo ICC del dispositivo di input per tutte prese digitali. Un profilo ICC (International Color Consortium) è un file di dati che descrive le caratteristiche cromatiche di un dispositivo con lo scopo di consentire ai software di color management di mantenere la coerenza del colore lungo un intero processo di lavorazione, dall'acquisizione fino alla stampa o visualizzazione. Un rimarchevole sito, dove è possibile trovare documentazione su come preservare il colore attraverso processi e dispositivi eterogenei, è www.color.org, il sito dell'International Color Consortium.

Fig. 19: Immagine da elaborare

In generale se utilizzati dei dispositivi di input e output di cui non si conoscono i profili ICC, si possono utilizzare degli applicativi software che usano i colori di riferimento delle scale colorimetriche e quelli misurati per calcolare il profilo ICC di dispositivi di input (come scanner e fotocamere digitali) e di output (come monitor e stampanti). Uno di questi prodotti è ProfileMaker 4.0 Pro ed è commercializzato dalla stessa GretagMacbeth. Per la correzione della luce e del colore si presta alquanto bene lo stesso software di cattura delle foto (Capture One), ma nel nostro caso si è preferito utilizzate Adobe Photoshop, considerato più flessibile con tutte le funzionalità che offre nel suo ambiente grafico. In tale fase non sono stati applicati filtri artistici sulle nostre immagini ma si è cercato di restituire ad esse il colore e la brillantezza eventualmente perso nell’acquisizione. Ecco i passi seguiti nel processo di correzione della luminosità: 1. Si seleziona un’immagine nel set di foto contenente la scala colorimetrica Gretag Macbeth. 2. La regolazione della luminosità e del colore nei tre canali distinti R (red),G (green) e B(blue) avviene elaborando opportunamente l’istogramma associato all’immagine.

104

Fig. 20: Una fase dell’elaborazione dell’immagine

3. Dopo il completamento di questa procedura l’immagine è bilanciata nel grigio senza la perdita o la distorsione dei colori originali.

Fig. 21: L’immagine dopo l’elaborazione

IL MOSAICING Il termine mosaicing è un termine generico utilizzato per indicare il procedimento necessario per ricavare un’unica immagine da una serie di immagini parzialmente sovrapposte. In particolare si parla di mosaicing quando la sovrapposizione tra le immagini vicine è elevata e si parla di stitching quando la sovrapposizione è bassa, in particolare è localizzata solo sui bordi5. Si ricorre all’utilizzo di questa tecnica quando la dimensione di un dipinto, o in generale di qualsiasi opera d’arte, è troppo grande rispetto alla capacità del device di acquisizione. La nostra strumentazione, ad esempio, non ha permesso l’acquisizione in un singolo scatto fotografico della volta dell’Ipogeo, che oltre ad essere di grandi dimensioni si estende anche su una superficie curva. In questi casi è necessario ripetere il processo di acquisizione in diverse parti del dipinto e poi unire le sub-immagini ottenute nell’ordine per mettere insieme i pezzi dell’intero dipinto. La composizione dei diversi pezzi in una singola immagine viene detta “mosaico”.

5 SZELISKI, 1996 e 1997.

105

Dalla composizione delle seguenti immagini:

si ottiene:

Fig. 22 e 23: Esempio di mosaico

LE TECNICHE DI MOSAICING In letteratura troviamo approcci diversi per le tecniche di mosaicing. Nell’operazione di mosaicizzazione le immagini sono soggette a trasformazioni geometriche. Le più utilizzate sono quelle rappresentate in figura:

Fig. 24: Trasformazioni geometriche delle immagini

Sul lato sinistro è rappresentata l’immagine base, e sul lato destro le tre trasformazioni. Quando il mosaico viene composto deve essere proiettato su una superficie. Tale superficie può essere piana nel caso più semplice, ma in molti casi la qualità della riproduzione è migliore nel caso in cui si considerino altre superfici. In particolare, la proiezione dell’immagine mosaicizzata su un piano è ragionevole soltanto se non ci sono notevoli differenze di profondità nella scena e quando la macchina fotografica trasla o ruota intorno all’asse ottico. In letteratura esistono innumerevoli approcci per affrontare tale problema6. In alcuni casi, gli stessi algoritmi utilizzati per la mosaicizzazione di dipinti che si estendono su superfici piane si possono utilizzare anche per le superfici curve. Ciò è lecito quando la superficie curva fotografata si può approssimare, entro certi limiti, alla sua proiezione sulla superficie piana tangente. Nel caso della volta dell’ipogeo di Caivano, ci siamo trovati in tale ipotesi, ed è stato possibile utilizzare per esso lo stesso algoritmo di mosaicizzazione usato per i due dipinti trattati. Descriviamo brevemente di seguito la teoria di base sulla tecnica di mosaicing. La trasformazione delle immagini che porta alla composizione del mosaico è una trasformazione lineare dello spazio proiettivo P2, chiamato collineazione o omografia. Il termine omografia è usato sia nel caso di un set di immagini ottenuti da una traslazione planare, sia quando abbiamo un set di immagini di una scena 3D ottenuto ruotando intorno ad un unico centro ottico (quello della fotocamera). Le immagini ottenute dalla trasformazione omografica sono dette “mosaici 2D” in quanto nel processo di costruzione del mosaico viene scelta un’immagine di riferimento e tutte le altre sono soggette ad una azione di deformazione nel sistema di coordinate 2D di tale immagine. Nella fase di composizione del mosaico, esiste anche la possibilità data dall’uso di una proiezione cilindrica delle immagini. Vediamo ora come è possibile definire, in maniera analitica, l’omografia tra due immagini. Per rappresentare un punto di un’immagine da mosaicizzare usiamo le coordinate omogenee: tale

6 CORSINI 2001; KUMAR 1995; ZOGHLAMI 1994.

106

punto è rappresentato dal vettore (x y z)t e le sue coordinate sono cartesiane (x/z y/z)t. L’omografia H, quindi, relaziona due immagini di un piano visto da due punti diversi. Consideriamo due punti corrispondenti appartenenti alla zona di overlap delle due immagini: m1 appartenente alla prima immagine, m2 alla seconda. Il punto m1 (x1 y1 z1)t è legato al punto m2 (x2 y2 z2)t dalla relazione:

==

1

1

1

222120

121110

020100

12 **zyx

hhhhhhhhh

mHm

Le omografie e i punti sono definiti su scalari diversi da zero, e abbiamo 8 gradi di libertà per H in quanto h22, in genere, è posto a zero (se lo si pone uguale a 1 i punti avranno coordinate omogenee (x/z y/z 1)t ). Da ogni corrispondenza (m1,m2) ricaviamo due equazioni

++++

=

++++

=

1

1

121120

1211111022

121120

0210110022

yhxhhyhxh

zy

yhxhhyhxh

zx

Fig. 25: La mosaicizzazione della volta dell’ipogeo di Caivano: a) uso della matrice di

omografia per ottenere un immagine mosaicizzata, b) dai 99 scatti singoli all’immagine mosaicizzata dell’intera volta.

Nel nostro lavoro per la mosaicizzazione è stato realizzato un apposito modulo software scritto in C/Matlab, utilizzato sia per la stima dell’omografia che per la costruzione di un’immagine mosaico. L’algoritmo può essere riassunto nei seguenti 4 passi: 1. Caricamento dell’immagine e inizializzazione dei parametri di ingresso. 2. Selezione dei 4 punti di omografia nelle due immagini: inizialmente si è utilizzata la libreria Matlab KLC, che consente di selezionare i punti in un immagine a livelli di grigi (in base a informazioni sulle variazioni di luminosità). Vista la criticità di questo passo e il costo computazionale eccessivo dato dall’utilizzo di questa libreria, successivamente, si è passati alla selezione manuale dei punti.

107

3. Calcolo della funzione di omografia tra i quattro punti delle due immagine: viene calcolata in base alle equazione 2. 4. Costruzione del mosaico: viene calcolata la dimensione del mosaico e in una matrice di tali dimensioni viene copiata la prima immagine (di riferimento) e la seconda in base all’omografia calcolata. In Fig. 25 è riportato il risultato dell’algoritmo di mosaicizzazione applicato alle 99 tiles in cui era stata suddivisa la volta dell’Ipogeo di Caivano durante la fase di acquisizione. Le Fig. 26 e 27 descrivono risultati sul dipinto del Cavaliere.

Fig. 26: Esempio di mosaico ottenuto da 6 foto (3548 x 5868 pixel)

Foto mosaicizzata (versione 12 foto)

Foto non mosaicizzata (Versione foto singola)

Fig. 27: Particolare del dipinto del cavaliere

108

POSSIBILI MIGLIORAMENTI Tutti gli algoritmi presenti in letteratura falliscono nella mosaicizzazione nel caso in cui le immagini di partenza sono state soggette, in fase di acquisizione, ad un errore di parallasse o a effetti di rotazione. Gli errori di parallasse sono rilevabili sulle foto come errori locali che somigliano a piccole parti sfocate. L’effetto è che localmente i contorni possono apparire sdoppiati o opachi o semplicemente può esserci una perdita di dettaglio.

Fig. 28: Errori di parallasse

Se il mosaicing è di poche immagini, allora si può pensare di scegliere un’immagine base e deformare (warping) le altre immagini localmente per risolvere l’allineamento locale. Tuttavia quest’approccio non dà risultati interessanti se il mosaico è composto da molte immagini. Un approccio alternativo sarebbe quello di calcolare le discrepanze di ogni coppia di immagini e quindi di scegliere localmente (iterativamente) quale deve essere base per le altre.

Fig. 29: Mosaicing di una parete dell’ipogeo di Caivano

109

6. PUBBLICAZIONE E FRUIZIONE IN RETE IL CONCETTO DI MUSEO VIRTUALE In generale per museo virtuale si intende una collezione di risorse digitali di ambito artistico-culturale accessibile mediante strumenti telematici. Dal punto di vista dei contenuti un museo virtuale può essere costituito dalle digitalizzazioni di quadri, disegni, diagrammi, fotografie, video, siti archeologici e ambienti architettonici. In questa definizione rientrano sia i sistemi informativi accessibili in modo locale, ad esempio all'interno delle sale di un museo tradizionale, sia risorse realizzate per essere accessibili pubblicamente mediante la rete Internet7. In quest'ultimo caso si parla anche di Web Museum. Molti musei reali di tutto il mondo, in ogni ambito disciplinare, sono attrezzati di spazi su World Wide Web. Si tratta di siti che, nella maggior parte dei casi, costituiscono una rappresentazione digitale del museo reale e che da esso mutuano direttamente struttura e contenuti. I siti svincolati da istituzioni museali reali, invece, sono più rari. I REQUISITI DI UN WEB MUSEUM Analizzando i molteplici siti museali dal punto di vista dei contenuti, delle tecnologie e delle interfacce, pur rilevando una notevole varietà, si possono individuare alcune caratteristiche comuni. Di solito sul piano dei contenuti un museo virtuale on-line è composto dalle seguenti aree: 1. informazioni pratiche relative all'accesso, alla collocazione, agli orari e ai servizi in loco, cui talvolta sono affiancati dei servizi di prenotazione o di acquisto a distanza dei biglietti di accesso; 2. informazioni relative al museo stesso, sia dal punto di vista storiografico, sia da quello istituzionale, sia da quello logistico e spaziale (spesso corredate da mappe e fotografie); 3. informazioni relative alle collezioni permanenti, costituite in genere da cataloghi tematici delle opere e dei reperti o da cataloghi logistici collegati alle mappe in pianta del museo (di norma per ciascuna opera sono fornite descrizioni catalografiche in senso stretto, notizie di commento e di spiegazione);

Fig. 30: Museo virtuale con interfaccia web standard

4. informazioni relative alle mostre non permanenti di norma dotate delle medesime caratteristiche di quelle relative alle collezioni a cui si aggiungono note relative agli scopi e ai fondamenti teorici della mostra, che possono ricalcare o riassumere il contenuto dei cataloghi a stampa;

7 GARZOTTO 1998.

110

5. strumenti didattici specificamente pensati per fini divulgativi ed educativi, che aiutano a comprendere un'opera o un reperto, o ad effettuarne una analisi approfondita (si tratta di risorse che sono frequenti nei musei di ambito tecnico scientifico e che sono più rare in quelli artistici); 6. lezioni che si occupano delle attività di merchandising, talvolta sviluppate fino ad essere dotate di sistemi di commercio elettronico. Dal punto di vista tecnico, collegato direttamente alle tipologie di interfacce di navigazione, la maggior parte dei siti museali si basa su tecnologie Web standard. Molto diffuse sono le metafore di navigazione del sito basate su mappe sensibili, utilizzate per rappresentare la topologia del museo reale. Non mancano esempi di siti più complessi, che adottano sistemi di catalogazione delle collezioni basati su database e che sperimentano soluzioni di realtà virtuale con VRML o di visualizzazione fotografica 3D come Quicktime VR. Il concetto di museo virtuale si sviluppa, quindi, sulla base di una raccolta multimediale di informazioni digitali accessibili da una rete, che risponde a requisiti di multimedialità e interattività, multidisciplinarietà e contestualizzazione dei dati. In un certo qual modo, il museo virtuale deve ricreare una dimensione interamente nuova rispetto a quello reale.

Fig. 31: Museo virtuale con esempio di “Quicktime VR”

Le collezioni dei musei on-line devono essere organizzate raggruppando oggetti decontestualizzati. Un quadro spostato dall'altare di una chiesa alla parete di una galleria, nel momento stesso in cui è inserito in una collezione, viene deviato dalla sua funzione strettamente religiosa. In tal caso il museo virtuale dovrebbe contribuire a contestualizzare nuovamente questi elementi in una rete di relazioni logiche, cronologiche, fra ogni singolo oggetto. Le nuove tecnologie consentono una ricomposizione multipla, e anche la simultanea presenza di più ipotesi alternative fra cui scegliere. Inoltre, un museo virtuale dovrebbe essere deterritorializzato, nel senso che l’informazione museale non appartiene ad alcun territorio se non alla rete e al contesto. Questo concetto esteso di museo virtuale, sino ad oggi attribuito principalmente alle applicazioni telematiche (siti web, network), alle ricostruzioni tridimensionali, con particolare riferimento alla rappresentazioni metaforiche e simboliche della realtà fisica, quasi mai è stato associato ad un allestimento museografico che potesse mediare fra installazioni virtuali e modelli espositivi. In questo senso il museo virtuale diventava sinonimo di museo diffuso, emanazione digitale di un pattern espositivo. Questo tipo di virtualizzazione, infatti, può abbracciare contesti, opere o reperti disseminati nello spazio geografico, nel tempo (opere scomparse, danneggiate o siti modificati dall’evoluzione del territorio) ma anche in un non-territorio ontologicamente codificato dal virtuale stesso: pensiamo ad esempio ad un museo ideale che possa includere solo le informazioni tematiche e le connessioni ad esso afferenti. E’ riduttivo pensare al museo virtuale come una semplice declinazione del museo tradizionale nella quale vi sia solamente un maggior numero di gradi di libertà nell'allestimento della collezione.

111

A cambiare radicalmente deve essere il concetto stesso di museo, che deve modificare il proprio status da centro di conservazione della cultura, organizzata e classificata secondo principi coerenti, a centro di propulsione della cultura. La nuova creatività favorita dalla rete impone che le forze dinamiche che attraversano la cultura artistica contemporanea si allontanino da una tradizionale dimensione centripeta e massimizzino invece la spinta centrifuga alla connessione tipica dell'ambiente di rete. Il museo deve quindi aprirsi, i tradizionali luoghi della fruizione artistica devono essere rivisti in una direzione di apertura connettiva verso l'esterno. In questo senso si viene definendo, in questi ultimi anni, il concetto di network museum inteso come entità aperta alla circolazione, distribuzione, connessione delle varie forme di conoscenza e creatività, nel quale la dimensione sociale della fruizione acquista un ruolo decisamente preponderante: i nodi interconnessi del museo acquistano un significato ulteriore dalla profonda valenza sociale dei legami istituiti tra essi da parte dei "visitatori", i quali giungono a creare una zona di senso comunemente definita in costante evoluzione e ridefinizione.

Fig. 32: Esempio di museo virtuale 3D in VRML

Musealizzare il virtuale significa descrivere nuovi spazi di geometrie composite, in parte fisiche e in parte virtuali; l’interazione fisica avviene con l’ambiente, l’interazione virtuale si compie solo all’interno dello spazio multi-interattivo, compiendo cioè azioni remote rispetto al contesto dell’informazione digitale. Ciò che vediamo all’interno di un monitor è remoto rispetto allo spazio che ci circonda, ma molto vicino rispetto al coinvolgimento sensoriale, di qui la deterritorializzazione dello spazio da fisico a virtuale. Ciò che conta nella definizione del nuovo concetto di museo, completamente svincolato da una tradizione di conservazione ormai superata dalle nuove tecnologie, è l'impostazione culturale di base definita sulle categorie di: - fruizione - distribuzione - valore Con questo tipo di premesse è possibile attuare un programma culturale fortemente vincolato ad una concezione sociale, aperta, rizomatica, della cultura e della creatività che vada al di là delle manifestazioni in cui si sostanzia. I VANTAGGI OFFERTI Uno dei fattori che impediscono ai musei “reali” di svolgere una funzione culturale più incisiva deriva dalla difficoltà materiale di fornire l'insieme delle informazioni necessarie per la piena comprensione delle opere esposte da parte di utenti che parlano lingue diverse e possiedono livelli di curiosità e di conoscenza non omogenei. La funzione di informare e coinvolgere i visitatori nei musei rimane essenzialmente affidata a pannelli, didascalie, visite guidate o audioguide, depliant e soprattutto cataloghi. D'altra parte, non si possono tappezzare le pareti di pannelli esplicativi, né tanto meno moltiplicarli nelle lingue principali.

112

Tutti questi strumenti di informazione partono solitamente dall'idea del museo come hortus conclusus, unità microcosmica perfetta. Descrivono cioè soltanto gli oggetti che vi sono esposti, trascurando non solo le opere conservate nei depositi, ma soprattutto evitando i confronti con opere, testimonianze e documenti congruenti conservati altrove. Le informazioni fornite al visitatore si limitano poi di solito a descrivere l'oggetto, a datarlo, ad attribuirlo ad un autore. Le nuove tecnologie multimediali e telematiche permettono, viceversa, di presentare ogni singola opera all'interno del reticolo delle relazioni fattuali e intellettuali capaci di illuminarne il significato, di collegarla alla biografia del suo autore, di spiegarne la tecnica esecutiva e la composizione, la storia, le motivazioni del committente, mostrando contestualmente i documenti collegati alla sua genesi e alla sua fortuna, i disegni preparatori, i modelli dai quali ha tratto ispirazione, le imitazioni che ne sono derivate, ecc. Si può così far "esplodere" l'opera nel suo contesto, premessa fondamentale perché la visita produca un genuino arricchimento culturale. Per attirare l'attenzione del pubblico e informarlo convenientemente occorrono non solo o non tanto schede catalografiche dei singoli oggetti, ma piuttosto sistemi multimediali capaci di coinvolgerlo nella lettura dell'opera o della testimonianza materiale, di stimolarlo ad approfondirne la conoscenza, a esplorarla, sia visivamente sia concettualmente, aprendo i collegamenti tematici e intellettuali necessari per coglierne l'importanza e per situarla in una determinata stagione culturale. L'entrata in scena e la sempre più larga adozione delle nuove tecnologie informatiche rappresenta dunque potenzialmente un fenomeno dalla portata rivoluzionaria per la funzione culturale dei musei di ogni tipo. Questo fenomeno prefigura scenari di trasformazione ancora più radicali di quelli prodotti in passato dall'introduzione delle tecniche di riproduzione delle immagini attraverso l'incisione e, più tardi, mediante i procedimenti fotografici. Non devono, soprattutto, sfuggire le prospettive aperte dalla possibilità di diffondere informazioni relative ai musei attraverso le reti telematiche. I dati disponibili presso i musei che hanno da tempo intrapreso questa strada sono al proposito eloquenti. Basterà citare il caso del Louvre (www.louvre.fr) il cui web-site registra 2.500.000 accessi al mese. Se il numero di visitatori 'virtuali' già oggi supera spesso di gran lunga quello dei visitatori reali, con la velocizzazione delle reti, con la crescita di qualità dell'offerta e con la capillare diffusione delle tecnologie per il collegamento a distanza, il numero degli utenti virtuali diventerà in pochissimi anni incomparabilmente superiore a quello dei visitatori reali. L’obiettivo della virtualizzazione dei musei non deve essere quello di sostituire con la navigazione via web la visita diretta, ma deve piuttosto contribuire alla diffusione della conoscenza dei musei stessi e del loro patrimonio, oltre che garantire la salvaguardia delle opere d’arte. Il museo virtuale va immaginato come uno strumento che affianca le tradizionali istituzioni museali nello svolgimento dei loro compiti didattici ed espositivi, oltre che come mezzo di promozione del museo stesso. Si vengono così a creare le condizioni ideali per lo sviluppo della creatività in rete: uno spazio sociale di condivisione dell'informazione e del processo creativo, soggetto ai contributi di chiunque sia interessato, che consente di elaborare in continuazione ogni stimolo, conferendo ai processi artistici quella caratteristica di work in progress delineata anche all'interno del già citato concetto di opera aperta. La natura interattiva e ipermediale del Web, infatti, si presta a fornire agli utenti tutte quelle informazioni di contesto che facilitano la comprensione storica di un reperto o di un'opera. A questo livello anche una tecnologia di ricostruzione virtuale come quella consentita dal VRML può risultare utile per dare un'idea, ad esempio, dell'ambiente originale in cui un reperto archeologico si collocava. Tale informazione risulta del tutto persa nella gran parte delle situazioni espositive dei musei, dove i reperti sono in genere collocati all'interno di bacheche o teche. LA SITUAZIONE ATTUALE DEI MUSEI VIRTUALI Il numero di siti museali presenti su Internet ammonta ormai a diverse migliaia. Il modo più facile per individuarli è rappresentato dai diversi repertori di siti museali presenti sulla rete. Tra questi vi sono ovviamente gli elenchi di musei virtuali realizzati dai cataloghi sistematici generali delle risorse Web come Yahoo!, Excite e Magellan. Ma, come per le biblioteche, non mancano alcuni repertori specializzati, che sono di norma più esaustivi ed efficienti, anche se in alcuni casi si riducono a puri e semplici elenchi privi di descrizioni o di recensioni. Il più

113

conosciuto di tali repertori è rappresentato dal Virtual Library museum pages (VLmp, www.icom.org/vlmp), promosso dall'International Council of Museums (ICOM), un ente no-profit legato all'UNESCO, che ha come scopo la promozione e lo sviluppo dei musei nel mondo. Un carattere tipico della recente evoluzione dei musei, che si è venuto manifestando con particolare evidenza in Italia, è costituito dall'intensificarsi delle discussioni sul valore economico dei Musei e dal crescente ricorso a competenze manageriali e di marketing per ottimizzarne la gestione e farne crescere la redditività. L'imporsi di queste problematiche viene producendo una rivoluzione silenziosa. Soprattutto in conseguenza del fatto che i criteri di valutazione pubblica dell'efficacia del Museo risultano sempre più calibrati su parametri di natura economica e gestionale stanno infatti progressivamente mutando le funzioni e le responsabilità dei curatori dei musei. E' insomma in atto un processo di trasformazione, che è stato finora subìto in maniera passiva dagli operatori. Nel dibattito attuale non assume, infatti, il rilievo che meriterebbe l'esigenza di stabilire un equilibrio bilanciato tra l'essenziale missione culturale ed educativa dei musei, da un lato, e il bisogno di garantire più elevati standard di economicità e redditività, dall'altro. Per raggiungere questo delicato punto di equilibrio è necessario che l'attuazione di più efficaci modelli di gestione e l'adozione di rigorose strategie di marketing vengano considerati non come obiettivi fini a se stessi, ma come strumenti per dilatare le risorse da destinare conservazione del patrimonio e al potenziamento dell'azione culturale ed educativa dei musei. Il nuovo scenario dell'economia della cultura minaccia dunque di accentuare i limiti tradizionali della funzione culturale ed educativa dei musei. Limiti costitutivi, cioè non propri di questo o di quel museo, ma intrinseci alla Forma-Museo, così come è venuta storicamente definendosi in Europa e nel mondo Occidentale. Infatti, la produzione di sistemi informativi multimediali da parte dei musei è ancora limitata. L'offerta relativa ai Beni Culturali disponibile in Internet appare nel complesso deludente, mostrando i limiti di un impiego delle nuove tecnologie non guidato da criteri e consapevolezze precise circa gli obiettivi da perseguire. Di questo ritardo possono essere fornite molteplici giustificazioni: il primato assoluto della tutela, che spinge a privilegiare la catalogazione; la carenza di mezzi per acquisire e aggiornare le tecnologie; la scarsità o addirittura l'assenza negli organici dei musei di figure professionali, capaci di utilizzare questi nuovi strumenti. Questa diffusa pratica di superficializzazione non va tuttavia considerata intrinseca ai nuovi strumenti. Essa deriva infatti semplicemente dal fatto che finora ha prevalso l'atteggiamento di offrire dimostrazioni 'spinte' delle loro caratteristiche prestazionali piuttosto che l'esigenza di riflettere sul modo più efficace di utilizzarli per finalità culturali delle quali si abbiano chiari opportunità, obiettivi e metodi attuativi. Proprio per questa ragione è assolutamente indispensabile e urgente lo stabilirsi di collaborazioni paritetiche tra chi domina i nuovi linguaggi e gli esperti della comunicazione multimediale, da un lato, e coloro che sanno cosa si deve comunicare e che sono coscienti della necessità di non prestare passivamente ascolto solo alle sirene dell'audience, dall'altro. ESEMPI DI MUSEI VIRTUALI IN ITALIA L'Italia rispetto agli altri Paesi europei e in particolare all'America è decisamente indietro.Un esempio: su tremila siti museali presenti nel sito The virtual Library of Museums, soltanto 22 sono italiani. Un dato, questo, che mette in evidenza il grande ritardo del nostro Paese nell'adeguamento tecnologico degli allestimenti museali. Il gap culturale che in parte si è tentato di colmare sta innescando la proliferazione dei siti museali in rete. Una diagnosi chiara, questa, che mette in evidenza l'urgenza di un impegno in questo campo. La questione, però, è capire quale strategia adottare: insistere sul ritardo tecnologico e sulla necessità di colmarlo il più rapidamente possibile si traduce con facilità in una posizione strumentale. Il rischio in cui si incorre è quello di confondere la quantità con la qualità. In generale, i siti museali realizzati dalle istituzioni del nostro paese, oltre ad essere piuttosto pochi, non brillano di certo per qualità della comunicazione e per livello delle soluzioni tecnologiche adottate. Manca ancora una cultura tecnologica e comunicativa adeguata tra i responsabili della gestione del patrimonio culturale più grande del mondo, come dimostra peraltro la mancanza di un catalogo unico informatizzato dei tantissimi tesori nascosti nei vari angoli del paese. Di conseguenza, i vari tentativi di utilizzare la rete come strumento di comunicazione museale soffrono di scarsi investimenti tanto progettuali quanto economici.

114

Ne è un esempio il sito di uno dei musei più famosi e ricchi del mondo, la Galleria degli Uffizi di Firenze (www.uffizi.firenze.it). Il sito degli Uffizi, infatti, pur essendo stato uno dei primi musei virtuali italiani, non ha avuto pressoché alcuno sviluppo successivamente alla sua prima realizzazione, sia dal punto di vista della grafica (piuttosto rudimentale) sia da quello dei contenuti. L'altra grande istituzione museale italiana, i Musei Vaticani, sono per il momento in una situazione ancora peggiore. In mancanza di un sito museale ufficiale, per l’esposizione in rete delle immagini di alcuni dei capolavori dei Musei Vaticani si può accedere ad un sito privato di carattere religioso, il cui indirizzo è www.christusrex.org. In tale sito è possibile accedere a circa 1.400 immagini di discreta qualità ma prive di ogni informazione di contesto, divise in quattro sezioni: una sui Musei Vaticani veri e propri, una sulla Cappella Sistina, una sulle Stanze di Raffaello e una sulla Città del Vaticano. Ha un suo sito anche la Galleria Nazionale di Arte Moderna (www.benuculturali.it/gnamco.htm), con varie sezioni dedicate alle collezioni permanenti e alle mostre temporanee, corredate da schede introduttive e immagini di media qualità delle opere esposte. I due musei di Galleria Borghese e di Palazzo Barberini hanno un sito unificato (www.galleriaborghese.it), dotato di buone schede su opere e autori. Un buon sito museale italiano è quello del veneziano Palazzo Grassi (www.palazzograssi.it). Tutte le mostre allestite negli ultimi anni hanno delle sezioni curate sia dal punto di vista della grafica sia da quello dei contenuti, anche se quasi mai sono presenti immagini e informazioni esaustive su tutte le opere. Molto ben fatto è invece il museo virtuale del Castello di Rivoli di Torino, uno di maggiori musei italiani di arte contemporanea (www.castellodirivoli.torino.it). La pagina principale permette di accedere alle varie sezioni informative relative al museo e alle sue attività espositive e scientifiche. ESEMPI DI MUSEI VIRTUALI NEL MONDO Il più importante in assoluto tra i grandi siti di musei di fama internazionale è il Louvre. Quella parigina è stata la prima fra le grandi istituzioni museali ad affacciarsi su Internet e attualmente il suo è uno dei migliori servizi Web presenti in rete. Lo sviluppo del sito, il cui indirizzo è www.louvre.fr, è stato probabilmente accelerato dal successo riportato alcuni anni or sono da Virtual Louvre, un sito che diffondeva le immagini di alcuni fra i capolavori del museo parigino. Il museo virtuale del Louvre è articolato in numerose sezioni di cui è impossibile fornire una descrizione esaustiva. Un altro grande museo presente in rete è il Prado di Madrid (www.museoprado.mcu.es), il cui sito è uno tra i migliori per la quantità e per la qualità dei servizi offerti. Infatti, accanto alle copiose informazioni storiche e logistiche, il sito permette di effettuare ricerche su un database delle sue collezioni, fornendo chiavi come nome dell'artista, titolo dell'opera o temi, stili e correnti artistiche. Passando ai grandi musei britannici, iniziamo con il sito della National Gallery (www.nationalgallery.org.uk). Anche qui troviamo la classica ripartizione in sezioni di informazione generali e sezioni dedicate alle mostre temporanee e alle collezioni. Assai più ricco è il sito unificato delle Tate Gallery (www.tate.org.uk), di cui la più importante è senza dubbio quella londinese, il maggiore museo di arte contemporanea britannico. Il sito, con una grafica semplice ma raffinata, permette di accedere ad informazioni sui vari musei che afferiscono alla fondazione, e ad un catalogo unificato per autori che contiene schede di oltre 8 mila opere corredate di immagini in dimensioni allargate e didascalie esplicative. Per quanto riguarda l'area nordamericana, come ci si può aspettare, vi si riscontra la maggiore concentrazione di musei virtuali on-line. Tra questi spiccano i siti delle grandi istituzioni museali statunitensi. Il Metropolitan Museum di New York (www.metmuseum.org) ha un sito molto ben fatto in cui si distingue la sezione dedicata alla didattica, che offre informazioni su come progettare delle visite tematiche in base a varie esigenze formative, oltre ad un serie di notizie e informazioni divulgative. Senza dubbio il più suggestivo sito museale di ambito statunitense è il sito unificato dei musei della Guggenheim Foundation (www.guggenheim.org). Basato su una interfaccia animata (realizzata con la tecnologia Flash) esso permette di accedere alle sezioni dedicate a tutti i

115

musei che fanno capo alla fondazione. Ciascuna sezione è a sua volta articolata in varie pagine informative relative ai singoli musei e alle importanti mostre che vi si tengono. LA CREAZIONE DI UN MUSEO VIRTUALE Un ambiente virtuale che espone in rete delle immagini artistiche ha bisogno, per la sua realizzazione, di diverse competenze in campi professionali che ricoprono sia l’area umanistica che quella scientifico-tecnologica. In generale, il lavoro di equipe prevede esperti in archeologia, storia, architettura, fotografia, ingegneria e informatica. Tali figure si devono integrare, dando l’apporto consono alle proprie cognizioni, in modo da poter dare luogo ad una comune base di conoscenza. In una prima fase di progetto, dopo aver distinto i requisiti target del museo virtuale che si intende costruire, è opportuno definire in maniera schematica i diversi punti atti alla sua realizzazione. Uno studio sistematico permette di inquadrare in maniera più semplice quali sono i passi da seguire nella sua attuazione, permettendo al tempo stesso di soddisfare le specifiche prefissate. Volendo esplicitare quanto detto possiamo distinguere essenzialmente tre fasi per la creazione di un museo virtuale: 1. Analisi requisiti utente Progettazione sistema di gestione dell'informazione Campagna di acquisizione digitale 2. Elaborazione grafica delle immagini digitalizzate Marchiatura digitale delle immagini Archiviazione delle immagini su supporti ottici (CD-DVD) 3. Allestimento sistemi di browsing delle immagini Allestimento sistemi di distribuzione delle immagini con relativo sistema di e-commerce.

Fig. 33: Processo di realizzazione di un Web Museum

FRUIZIONE IN RETE DI OPERE D’ARTE AD ALTA RISOLUZIONE Al termine dell’operazione di mosaicizzazione, è stata ottenuta, per ciascuna opera, un’immagine completa ad elevata risoluzione e ad alta fedeltà cromatica. Per consentire una fruizione di queste immagini (le cui dimensioni, come già accennato, sono dell’ordine delle centinaia di megabyte) mediante le attuali tecnologie di connessione ad Internet, caratterizzate da una banda assolutamente inadeguata al trasferimento dell’intera immagine, sì è realizzato un image server, che utilizza una rappresentazione piramidale dell’immagine (l’immagine è archiviata in diversi piani a risoluzione via via decrescente). L’image server consente agli utenti Internet di vedere immagini ad altissima risoluzione velocemente e in modo interattivo. Tale applicativo ha ottime prestazioni anche con collegamenti a bassa velocità (modem, GPRS) e permette la visualizzazione attraverso i browser più comuni senza bisogno di ulteriori programmi applicativi. Inoltre, esso integra la tecnologia

116

di marchiatura elettronica (watermarking) per la protezione del contenuto, sia per le immagini che risiedono sul server che per le immagini visualizzate dagli utenti. L’image server è in grado di offrire ad un utente che utilizzi un normale web browser una navigazione all’interno dell’immagine ad una risoluzione consona ai limiti di banda e di capacità di visualizzazione del client, mantenendo la possibilità di esaminare ad un livello di dettaglio maggiore i particolari a cui l’utente è interessato, attraverso un apposito navigatore (si veda Fig. 34).

Fig. 34: Il formato piramidale utilizzato dall’image server e l’interfaccia Web realizzata Infine, per una più realistica fruizione di pitture incluse in strutture architettoniche peculiari (come l’ipogeo di Caivano) è stata realizzata una rappresentazione tridimensionale, basata sullo standard VRML 2.0, che consente all’utente una navigazione virtuale all’interno dell’opera. FRUIZIONE IN RETE DI UN MUSEO VIRTUALE Il progetto di un sito web sviluppato nel corso delle nostre attività di ricerca, costituisce un caso pilota di “itinerario del virtuale”, un tentativo di descrivere un percorso di scambio e assimilazione culturale attraverso una esposizione virtuale.

Fig. 35: Ipogeo vrml

E’ stato implementato, inoltre, un museo 3D in VRML che ripropone un ambiente renderizzato in cui si possono ammirare le stesse opere d’arte. la realizzazione di ambienti virtuali 3D in VRML per l’esplorazione interattiva. Ad oggi è già stata realizzata una riproduzione virtuale 3D dell’ipogeo di Caivano (conservato presso il museo nazionale di Napoli).

117

Si è proposta la realizzazione di un modello virtuale di museo 3D utilizzando il VRML. Questo linguaggio di programmazione consente la simulazione di mondi virtuali tridimensionali. Con il VRML si cerca di interagire con un mondo 3D avendo a disposizione degli strumenti di navigazione 2D. Spostarsi all’interno di una pagina HTML utilizzando un mouse è immediato; richiede invece un po’ di tempo in più imparare a navigare in uno spazio 3D con una periferica nata per il 2D. Il nostro esempio di museo 3D, navigabile in una tipica interfaccia web (con plug-in), consente di visualizzare le opere d’arte acquisite nel Museo Nazionale di Napoli, vagando in questo ambiente immaginario. E’ stato possibile descrivere ambienti virtuali contenenti oggetti, sorgenti luminose e immagini. Questi mondi, inoltre, possono essere animati e presentare caratteristiche anche complesse di interattività. Cliccando sui dipinti presenti all’interno della sala si dà la possibilità di visualizzare tali opere artistiche in una finestra alternativa del browser. All’interno dell’ambiente si è provveduto ad inserire alcune telecamere (punti di vista “preconfezionati”) in punti principali, ed adottando gli strumenti del tool del plug-in si permette di passare da un punto di vista all'altro.

6. ARCHITETTURA DEL SISTEMA PER LA FRUIZIONE DI IMMAGINI

Oggi attraverso la rete Internet si accede ad un numero praticamente illimitato di informazioni che riguardano i settori più diversi: arte, affari, politica, salute, passatempi, scienze, viaggi e tanti altri argomenti. Qualunque sia il settore che si sta esplorando, è difficile trovare una pagina Web che non utilizzi immagini. I siti web tradizionali però non sono progettati per la fruizione di immagini ad alta risoluzione, non forniscono strumenti per la visualizzazione selettiva e la scelta della risoluzione, tutto quello che consentono di fare è scaricare un’immagine per intera per poi visualizzarla. Questo tipo di operazione è proibitiva nel caso di elevata risoluzione, a causa delle dimensioni elevate delle immagini; e poiché in alcuni casi, si è interessati a visualizzare solo una piccola parte di un’immagine, oppure ci si accontenta di vederla ad una risoluzione minore, una tale operazione costituirebbe un’inutile perdita di tempo. In alcuni casi le immagini sono il fine ultimo di un’applicazione, che consiste proprio nello studio delle stesse; in questi casi è necessario corredare le immagini di metadati, informazioni che descrivono le proprietà e il contenuto informativo relative alle stesse, che un utente deve poter consultare. Nasce quindi l’esigenza di avere un sistema che consenta la fruizione di immagini ad elevata risoluzione, e delle informazioni ad esse relative, attraverso la rete, abolendo le limitazioni attualmente esistenti per la gestione delle immagini, e fornendo una serie di funzionalità avanzate che in molti casi è desiderabile applicare. UN SISTEMA DISTRIBUITO PER LA FRUIZIONE DI IMMAGINI Un sistema per la fruizione di immagini attraverso la rete è un sistema distribuito, in cui ci sono più processi che cooperano all’interno di una stessa applicazione per fornire un servizio. In particolare il modello di sistema che si utilizza, è il modello Client-Server: c’è un processo client (utente), che gira su una macchina client, con il quale interagisce l’utente, e nel cui contesto viene eseguito un programma chiamante. Questo chiede, ad un’altra applicazione, di eseguire un certo lavoro (nel caso specifico richiede un’immagine o dei metadati); quest’altra applicazione è il processo server, che gira su una macchina server, riceve le richieste, le elabora e sviluppata le conseguenti azioni elaborative, per poi restituire al client i risultati dell’elaborazione. Il modello Client-Server serve per mettere in comune il processo servitore a più processi clienti: il processo servitore è il gestore delle risorse (nel caso specifico immagini e metadati) che permette la condivisione di risorse proprietarie tra più clienti. Dunque nell’architettura del sistema si possono individuare tre componenti fondamentali che sono: - Il database di immagini, che costituisce la fonte delle immagini e dei metadati relativi ad esse. - Il server, che costituisce l’applicazione che elabora opportunamente immagini e metadati allo scopo di soddisfare le richieste del client.

118

- Il client, che è l’applicazione con la quale l’utente interagisce, attraverso la quale formula le richieste e visualizza le risposte. IL DATABASE DI IMMAGINI Un componente fondamentale del sistema per la fruizione delle immagini è il database di informazioni, immagini e metadati, disponibili. Questa informazioni vanno organizzate in maniera opportuna sia dal punto di vista logico che dal punto di vista fisico, allo scopo di ottimizzare l’accesso ad esse, sia in termini di spazio che di tempo. Per quanto riguarda l’organizzazione fisica delle informazioni, numerose trattazioni suggeriscono l’utilizzo del parallelismo, ovvero utilizzare più nodi, dotati di un proprio processore e di un proprio disco, e suddividere ogni immagine su più dischi in modo da caricarla il più velocemente possibile. Il documento8 si propone di trovare il numero ottimale di dischi e la giusta politica di distribuzione in funzione delle dimensioni delle immagini, del formato di visualizzazione e dei canali disponibili; e mostra mediante simulazioni come le prestazioni in un primo momento aumentano notevolmente, ma superato un certo numero di nodi (dipendente dalle interconnessioni e dai formati delle immagini) non si ottengono più miglioramenti. Il parallelismo oltre che per scopi di ottimizzazione può essere utilizzato anche per la sicurezza, infatti replicando le informazioni su più nodi si rende il sistema più Fault-Tolerant. Lo stesso approccio ha portato una soluzione intermedia nel documento di Asami et al. (1999), che per applicazioni meno critiche prevede una ridondanza minore, che dia comunque al sistema la possibilità di funzionare bene in presenza di fault di uno dei suoi componenti. In definitiva per un database di immagini valgono le stesse considerazioni che valgono per gli altri database: c’è un guadagno in prestazioni con la ridondanza, pagandone un costo economico. Bisogna dunque valutare in base al singolo caso, tenendo conto della disponibilità hardware e della criticità delle operazioni, per stabilire fino a che punto spingere l’ottimizzazione. Per quanto riguarda invece l’organizzazione logica del database, hanno notevoli ripercussioni pratiche le politiche di archiviazione utilizzate, in questo caso bisogna trovare un compromesso tra spazio occupato e tempo di accesso. In Rydland et al. (2001) vengono confrontate due soluzioni alternative rispetto al problema di fornire al client diversi formati della stessa immagine (nel caso specifico si tratta di formati di compressione, ma la stessa logica è applicabile a diverse risoluzioni, esigenza particolarmente sentita in un’applicazione in cui sono frequenti gli zoom in entrambi i sensi), le possibilità sono archiviare ogni possibile formato, complicando il database e occupando più spazio oppure implementare delle funzioni di transcodifica, rendendo il sistema più flessibile. Gli esperimenti fatti dimostrano che questo secondo approccio è 24 volte più lento, risulta quindi che l’approccio migliore è quello di conservare più informazioni in memoria piuttosto che appesantire l’elaborazione, in quanto la velocità di visualizzazione è un parametro che influenza moltissimo il giudizio dell’utente. FORMATO DI STORING DELLE IMMAGINI Alla luce di quanto riportato precedentemente è del tutto giustificata l'esigenza di archivi ridondanti; in particolare per applicazioni con frequenti e ripetuti zoom, una possibile soluzione è il formato piramidale. Esso prescinde dal formato di compressione delle immagini, e consiste nell'archiviare la stessa immagine a diverse risoluzioni, ricavate offline ed una tantum da quella a maggior dettaglio, allo scopo di minimizzare le operazioni del server. Lo storing delle immagini è organizzato in modo che ogni immagine è immagazzinata sia nel formato originale, sia a tutte le risoluzioni ottenute dividendo a metà la misura di lati (Fig. 36), fino ad ottenere un’immagine che abbia almeno un lato di un solo pixel; ciò comporta un overhead in termini di spazio di circa il 33%, eliminando però dal server il problema del ridimensionamento dell’immagine. Il client potrà scegliere tra la risoluzione originaria e tutte quelle con fattore di scala pari ad una potenza di 2. Nello storing delle immagini si deve tener conto di un altro aspetto, se l’immagine originaria è ad elevatissima risoluzione, ed il client ne richiede una parte ridotta, non ha senso che il server la carichi per intero, in quanto si avrebbe una notevole caduta di prestazioni, si adotta dunque il

8 HERSCH 1993.

119

formato tiled. Il formato tiled consiste nel dividere l’immagine in tante tiles (mattonelle) in base ad una griglia immaginaria (Fig. 37), ognuna di esse è poi salvata separatamente, e un protocollo apposito stabilisce quali sono le tiles da aprire per ogni porzione di immagine; le tiles hanno tutte uguale dimensione tranne la colonna più a destra e la riga più in basso, che terminano al terminare delle immagini.

Fig. 36: Un’immagine salvata in formato piramidale

In base a quanto detto ogni risoluzione sarà salvata in formato tiled (Fig. 38), inoltre, ogni tile potrà essere salvata nel formato che si ritiene più opportuno, in base all’applicazione e all’interesse della zona nell’ambito dell’immagine. Infine è bene precisare che le dimensioni delle tiles non sono fisse; tiles di dimensioni troppo elevate infatti possono portare ad aprire pezzi che si useranno in minima parte, tiles troppo piccole inducono ad aprire troppi file. E’ quindi opportuno stabilire immagine per immagine la dimensione delle tiles, in rapporto all’applicazione, alla dimensione dell’immagine intera e alla dimensione della regione di interesse che si presume venga mediamente richiesta.

Fig. 37: Un’immagine salvata in formato tiled

Fig. 38: Un’immagine salvata in formato piramidale tiled

In base a questi semplici accorgimenti si ha una notevole flessibilità, nasce però la necessità di conservare da qualche parte le informazioni relative alla dimensione delle tiles e al loro formato, ciò avviene mediante i metadati, in essi saranno conservate, in base a un protocollo opportuno,

120

le notizie relative alla dimensione dell’immagine, alla dimensione delle tile, al numero di risoluzioni disponibili e al formato di ogni singola tile. FORMATO DI STORING DEI METADATI I metadati hanno come scopo quello di conservare informazioni di ogni genere, correlate in qualche modo alle immagini; innanzitutto essi devono conservare, come precedentemente detto, informazioni di tipo tecnico, ma possono anche conservare informazioni relative al paziente per immagini mediche, oppure sull’autore e sull’ubicazione nel caso di opere d’arte. Si è scelto di immagazzinare nei metadati tutto ciò che si desidera, lasciandone l’interpretazione al client, l’unica parte del server che deve avere una conoscenza, seppur minima della struttura dei metadati deve essere quella che si occupa di selezionarli mediante “viste”. In generale i metadati sono costituiti da un dizionario, in cui le chiavi sono stringhe, mentre gli oggetti possono essere stringhe, liste o dizionari, a loro volta contenenti liste o dizionari annidati ricorsivamente. Osservando il seguente esempio: Nome opera: “Natura morta: vaso con quindici girasoli” Anno: 1889 Dimensioni: cm 95x73 Museo: Rijksmuseum Vincent Van Gogh Autore Nome: Vincent Van Gogh Data di nascita: 30 marzo 1853 Data di morte: 29 luglio 1890 Stile: Impressionismo Principali opere: Autoritratto con cappello in feltro Mangiatori di patate La camera di Van Gogh Natura morta: vaso con 15 girasoli La chiesa di Auveis

si può vedere come il primo dizionario, contiene le informazioni specifiche del quadro, a sua volta alla voce “autore” richiama un nuovo dizionario, contenente le informazioni relative ad esso, quest’ultimo poi chiama, mediante la voce “principali opere”, una lista in cui sono inserite le opere. L’IMAGE SERVER Un ImageServer è un sistema che si propone di fornire immagini via web, ottimizzandone il traffico mediante la visualizzazione selettiva e la scelta della risoluzione, ed eventualmente fornendo filtri e conversioni verso formati di output scelti dall’utente. Si utilizza, per la realizzazione del sistema di fruizione delle immagini, un ImageServer che mette a disposizione queste funzioni, ma che differisce dagli altri prodotti analoghi, fornendo funzionalità più avanzate, quali il supporto flessibile ai metadati e la possibilità di visualizzare immagini multilayer. In primo luogo è opportuno avere una visione generale di quella che è un'architettura concettuale di un ImageServer, esso è costituito da due moduli fondamentali: il modulo (o i moduli) che lo interfacciano verso il database di immagini e quello (quelli) che lo interfacciano ai molteplici client che ne richiedono i servizi. Questi moduli hanno funzioni di ottimizzazione nell'accesso al database, ma possono svolgere anche compiti di manipolazione immagini (questi ultimi ovviamente sono specifici della singola applicazione). Un esempio di questa architettura si può osservare in Wong and Huang (1996), nel caso specifico si tratta di applicazioni di tipo medico, quindi la base di dati è un HI-PACS (il PACS costituisce lo standard di archiviazione e comunicazione di immagini mediche dall'inizio degli anni 80, ed ha implementazioni in molti stati tra cui USA e Germania), ed è presente un ulteriore modulo per elaborazioni avanzate (Fig. 39).

121

Fig. 39: Modello Architetturale di Wong and Huang, 1996

A partire da questa architettura teorica, che appare del tutto idonea allo scopo che perseguiamo, si passa ora ad analizzare l’architettura del server utilizzato e le funzionalità dei singoli moduli che lo costituiscono. ARCHITETTURA DEL SERVER L’architettura di un ImageServer è costituita fondamentalmente dal modulo di interfacciamento con la memoria di massa, che si occupa di prelevare le immagini necessarie dai dischi; dal modulo di comunicazione mediante rete, che si occupa di trasmettere informazioni e immagini; a questi due componenti indispensabili è possibile aggiungere altri moduli in base alle ulteriori funzioni del server. Quello che si utilizza è un server in cui è stato inserito un terzo livello, intermedio rispetto ai due precedenti, il cui scopo è trattare i dati prelevati dalla memoria, immagini o metadati, in base alle richieste dell’utente (ad esempio mediante filtri per la manipolazione del colore) oppure in base a politiche decise dal server.

Fig. 40: I tre livelli costituenti l’Image Server

L’ImageServer che si utilizza è costituito da tre livelli (Fig. 40), funzionalmente distinti: il più interno è lo Storage Management Layer che si occupa di recuperare i dati dalle memorie, poi c’è l’Image Processing Layer che li modifica opportunamente e il Front-End Layer che gestisce il rapporto con la rete. STORAGE MANAGEMENT LAYER

122

Questo layer è attivato dall'Image Processing per prelevare l'immagine e i metadati, lo scopo è di astrarre i dati dal supporto utilizzato per la memorizzazione; ad esempio, i dati potrebbero essere memorizzati nel file system, oppure in un RDBMS, oppure in una combinazione dei due; ciò non deve essere visibile all'Image Processing layer. Il compito dello Storage Management è di tradurre la rappresentazione "fisica" dei dati in una rappresentazione interna usata dal livello Image Processing. Quest’ultimo livello accede allo Storage Management attraverso un oggetto "facciata", il quale deve attivare, che nel caso in cui coesistano all’interno del Server più implementazioni dello Storage Management Layer , tramite un apposito file di configurazione, quello opportuno. Per il trattamento delle immagini piramidali questo livello è stato scisso in due parti separate, anche esse gestite con la logica plug-in, mediante interfacce fisse, file di configurazione ed oggetti “facciata” e sono: la Retrieve Subsystem e l’Unification Subsystem (Fig. 41). Il Retrieve Subsystem si occupa, mediante un apposito protocollo, di capire quali sono i file da aprire (nel caso di interazione col file system), quali query effettuare (nel caso di un RDMS), fornisce la lista delle tiles da decodificare, e il formato in cui esse sono codificate. Nell’ambito del formato piramidale tiled, quindi, al variare del protocollo e/o del supporto basterà sostituire questo componente o aggiungerne un altro, senza ulteriori modifiche allo storage management layer; infine questo livello si occuperà del retrieve dei metadati. L’Unification Subsystem si occupa della decodifica vera e propria dal formato fisico a quello interno, ciò avviene mediante decoder richiamati con la logica plug-in; poiché ogni tile potrà essere codificata in modo diverso, esso riceverà anche l’informazione su come esse sono codificate, ed in base a ciò richiamerà il decoder più opportuno. E’ compito di questo livello, unire le tiles in modo da ricomporre la regione di immagine da cui sarà ritagliata la porzione di interesse; fatto ciò restituisce alla “facciata” dello Storage Management Layer, la parte di immagine richiesta. Questo sotto livello prescinde totalmente dal supporto, e può decodificare tiles immagazzinate mediante file system o mediante RDBMS indifferentemente.

Fig. 41: Composizione Interna dello Storage Management Layer

IMAGE PROCESSING LAYER Questo layer una volta ricevuta dallo Storage Management Layer l’immagine, nel formato interno utilizzato, deve prelevarne la porzione di interesse, eventualmente composta da più livelli sovrapposti, deve applicare ad essa i filtri richiesti dal client, nonché altri filtri che possano essere specificati dall'amministratore in un file di configurazione. Infine deve applicare un codificatore richiesto dal client per trasmettere l'immagine su uno stream di uscita. Per la gestione dei metadati, questo layer fornisce opportuni "filtri per metadati", che a partire dalla versione completa dei metadati ne estraggono la parte di interesse, sempre lavorando sulla rappresentazione interna.

123

Si noti che nel caso dei metadati l’Image Processing restituisce al Front End un oggetto Java, sarà compito del livello superiore la transcodifica nel formato di uscita, mentre nel caso dell’immagine se ne occuperà questo livello. Questa asimmetria potrebbe apparire strana, la spiegazione è che il Front End tra le altre cose può aver bisogno a sua volta di accedere ai metadati in formato Java, sarebbe quindi inopportuno codificarli al livello più basso per poi decodificarli al livello superiore. Questo livello è sicuramente quello più soggetto ad ampliamenti, in quanto la collezione di filtri per immagini potrà essere arricchita in base alle necessità, e le viste sui metadati saranno via via create in base al tipo di metadati trattati. La logica plug-in adottata per il Server rende queste operazioni migliorative notevolmente facili, facendo sì che l’ImageServer abbia margini di sviluppo estremamente ampi. Relativamente alla struttura interna del layer, è costituito da un oggetto “facciata”, che implementa l’interfaccia di comunicazione con il Front End; quest’ultimo sceglie quale implementazione richiamare in base ad appositi file di configurazione; è poi l’oggetto “facciata” richiamato ad utilizzare tutte le altre componenti del modulo. FRONT END LAYER Questo layer si occupa dell'interfacciamento con i client. Il suo compito è di ricevere le richieste del client, tradurne i parametri in un'opportuna struttura dati indipendente dal protocollo usato per la comunicazione con il client, e trasferire la richiesta con gli opportuni parametri all’Image Processing Layer. Quando quest’ultimo soddisfa la richiesta, il Front End Layer procede con l’operazione inversa: converte i dati dal formato interno a quello di comunicazione con il client. Il Front End Layer accetta le seguenti richieste: fornitura di un'immagine, di cui il client specifica l'identità, lo zoom, i livelli di interesse (qualora l’immagine sia dotata di più livelli), la porzione di interesse e una serie di filtri con parametri opportunamente codificati (es. per effettuare la gamma correction), nonché il tipo di codifica desiderato (es. JPEG) con relativi parametri, fornitura dei metadati associati a un'immagine, per i quali si specifica invece la vista e il formato desiderato. In questo modulo è definita una rappresentazione interna dei dati, basata sugli strumenti messi a disposizione dal linguaggio di programmazione scelto, e una rappresentazione esterna, per le richieste e le risposte, questo livello allora si occupa della traduzione tra di esse, in modo da “nascondere” agli altri livelli la codifica esterna. IL CLIENT In un sistema per la fruizione di immagini attraverso la rete il componete con cui l’utente si interfaccia è il Client, ossia l’applicazione che si utilizza per fare le richieste al server e visualizzare le conseguenti risposte. I dispositivi che un utente oggi può utilizzare per collegarsi alla rete Internet sono numerosi e molto diversi tra di loro per dimensioni, modalità di accesso alla rete, potenza di calcolo, disponibilità di memoria, caratteristiche del display, basta pensare a quanto sono diversi tra di loro: PC, notebook, palmari, cellulari. Tutti questi dispositivi hanno oltre al supporto per l’accesso ad Internet, anche quello per la visualizzazione delle immagini, anche se supportano formati diversi per le immagini e gli strumenti per la visualizzazione hanno prestazioni diverse, quindi sono tutti dispositivi su cui è desiderabile far girare il Client. A tale scopo una delle caratteristiche fondamentali che l’applicazione deve avere è la portabilità, in modo tale che un Client scritto per una determinata piattaforma con semplici adattamenti sia riutilizzabile su un’altra piattaforma. Questo è un obiettivo abbastanza ambizioso, ma oggi ci sono linguaggi di programmazione che si propongono come obiettivo proprio la portabilità del codice, in particolare il linguaggio Java. Oltre a garantire la portabilità, esso risulta particolarmente adatto allo sviluppo del Client perché dà la possibilità di sviluppare applicazioni che possono essere trasmesse su Internet ed eseguite in un browser Web compatibile con Java, dà inoltre la possibilità di sviluppare applicazioni che possono essere installate e fatte girare su dispositivi wireless. Il Client però non deve avere come obiettivo la semplice visualizzazione di immagini e metadati, ma deve fornire tutta una serie di funzionalità che rendono più efficiente l’interazione con il server, permettono l’elaborazione in locale di immagini e metadati, consentono di applicare alle immagini e ai metadati funzioni complesse, prevedendo anche di tenere memoria di esse sul server. Di seguito verranno presentate le tecnologie utilizzate per lo sviluppo, la progettazione e l’implementazione del client per i dispositivi wireless e wired, inoltre verranno presentate le

124

varie applicazioni nelle quali il client può essere utilizzato. In questo paragrafo invece si descriverà il protocollo di comunicazione utilizzato dal client e dal server, perché fortemente dipendente dal tipo di server utilizzato. PROTOCOLLO DI COMUNICAZIONE TRA CLIENT E SERVER Il protocollo di comunicazione utilizzato tra client e server si basa sull’HyperText Transfer Protocol (HTTP), si è scelto di utilizzare questo protocollo e non di implementarne uno ad hoc, per l’estrema flessibilità che lo caratterizza e perché è un protocollo supportato anche dalle librerie limitate che si utilizzano per scrivere l’applicazione per i dispositivi wireless. Il protocollo di comunicazione deve essere flessibile in previsione di usi futuri. Esso trasmettere tutte le informazioni necessarie al Front End Layer per capire il tipo di richiesta che viene dal client, e inoltrarla al livello sottostante del server. Sarà necessario in una richiesta fornire i seguenti parametri: - Tipo di servizio, cioè immagini o metadati - Identificativo immagine - Regione di interesse (nel caso dell’immagine) - Risoluzione (nel caso dell’immagine) - Lista Filtri (opzionale nel caso di immagini) contenente per ogni filtro nome e parametri. - Vista (nel caso dei metadati) - Formato di output, con relativi parametri - Livelli (opzionale in entrambi i casi) In risposta invece saranno inviati mediante servlet l’immagine nel formato specificato dall’utente, oppure i metadati anche essi in un’opportuna codifica. TECNOLOGIE PER LO SVILUPPO E IL TESTING Quello che si vuole sviluppare è un client per le fruizione di immagini ad elevata risoluzione su dispositivi wireless e wired; uno degli obiettivi con cui si deve sviluppare questa applicazione è che essa sia fruibile dal maggior numero possibile di dispositivi. Occorre un linguaggio di programmazione che possa garantire un’elevatissima portabilità, ovvero il poter eseguire gli applicativi sviluppati con esso, su quanti più dispositivi possibile. Deve consentire di sviluppare codice modulare, offrire la disponibilità di strumenti che permettano di scrivere agevolmente codice per le interfacce utente e per le connessioni con la rete, e strumenti per scrivere funzioni complesse da applicare ad immagini e metadati. Il linguaggio di programmazione più adatto per il perseguimento di questi obiettivi è Java, noto per la sua peculiare predisposizione per la scrittura di applicazioni per il web e perché è disponibile in varie versioni che permettono di scrivere applicazioni sia per dispositivi wireless che wired, e quindi con un po’ di attenzione e qualche adattamento si possono scrivere utilizzando questo linguaggio applicazioni che poi possono girare su dispositivi completamente diversi. Per il testing dell’applicazione bisogna invece distinguere tra l’applicazione per dispositivi wireless e quella per dispositivi wired. Infatti nel primo caso essendo l’applicazione un’applet, programma auto-avviante che viene scaricato ed eseguito insieme ad una pagina Web, può essere testata utilizzando un qualunque visualizzatore di applet o browser Internet compatibile con Java. Nel secondo caso, invece si sceglie di testare l’applicazione, che sarà una midlet, applicazione Java installabile su dispositivi wireless, con un emulatore di dispositivi wireless. Mentre per il testing del client sulle stazioni desktop si può utilizzare un qualunque visualizzatore di applet o browser Internet compatibile con Java, per il testing dell’applicazione per i dispositivi wireless, Sun Microsystem fornisce due implementazioni di riferimento di MIDP e sono: - MIDP e CLDC, per la applicazioni compilate ed eseguite a linea di comando. - J2ME Wireless Toolkit, per le applicazioni compilate ed eseguite in un ambiente minimo di sviluppo. Questi pacchetti software sono a disposizione degli sviluppatori a scopo di test, anche se quando si utilizzano gli emulatori si deve tener conto del fatto che l’aspetto reale dei componenti MIDP può variare a seconda delle implementazioni e/o dei dispositivi. Questo perché MIDP non parla dell’aspetto visuale dei componenti, ma specifica piuttosto le funzionalità che essi devono fornire.

125

In particolare la prima versione del client per dispositivi wireless si vuole che giri su dispositivi dotati di sistema Palm Os, per provare le applicazioni per questa piattaforma bisogna scaricare l’emulatore Palm Os (POSE). PROGETTAZIONE DEL CLIENT La prima fase dello sviluppo del client è quella di progettazione del software, durante la quale si devono analizzare i requisiti che il sistema deve avere per rispondere alle esigenze degli utenti, e sulla base di essi si deve poi definire l’architettura del client. Posti come obiettivi quello di realizzare un software portabile e flessibile, in modo che sia aperto a più tipi di applicazioni, sono stati fissati i criteri di bontà del progetto e cioè: la modularità e la logica plug-in. La modularità, in particolare, consente lo sviluppo del client in parallelo per le diverse piattaforme, perché basta cambiare solo l’interfaccia utente e l’interfaccia verso il server nelle varie versioni del client, e mantenere invece inalterata tutta la logica del sistema, per raggiungere questo obiettivo. La logica plug-in invece consente la specializzazione del client simultaneamente per diverse applicazioni, facendo coesistere funzionalità diverse che vengono attivate opportunamente durante le esecuzioni. In seguito questi stessi criteri consentiranno di estendere il client, applicando facilmente tutti i miglioramenti necessari e facendo cooperare funzioni vecchie e nuove. Nella progettazione si è utilizzato un approccio Object-Oriented, organizzando il software in un insieme di oggetti discreti, che racchiudono sia le strutture dati che il loro comportamento. Lo sviluppo ad oggetti del software consta delle seguenti fasi: - Analisi orientata agli oggetti: in questa fase vengono analizzati i requisiti che il sistema software deve avere e se ne definiscono le specifiche. - Progettazione orientata agli oggetti: in questa fase viene definita la soluzione per l’implementazione del client, la decomposizione del software in moduli funzionali e le interfacce tra i vari moduli, ed infine la struttura dei singoli moduli. - Programmazione orientata agli oggetti: in questa fase gli oggetti del modello costruito in fase di progettazione, diventano oggetti software concreti, scritti utilizzando un linguaggio di programmazione, naturalmente ad oggetti. Il linguaggio utilizzato per la modellazione del sistema software è lo Unified Modelling Language (UML), il quale fornisce metafore semiformali per rappresentare concetti object-oriented, mette a disposizione diagrammi che descrivono il sistema a diversi livelli di astrazione. In questo capitolo verranno analizzate nel dettaglio la fase di analisi e di progettazione, mentre all’implementazione sarà dedicato un intero capitolo in seguito. ANALISI DEI REQUISITI Il primo passo, nella progettazione di una qualunque applicazione, è analizzare i requisiti che essa deve avere, per rispondere alle esigenze degli utenti che la dovranno utilizzare. L’analista del sistema deve quindi interagire con gli utenti allo scopo di definire un modello concettuale, che esprima gli aspetti statici (cioè la struttura) e gli aspetti dinamici (cioè il comportamento) del sistema che si vuole progettare. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL CASO DI STUDIO Per modellare i requisiti che l’applicazione deve avere, ricavati dall’interazione dell’analista con gli utenti, si utilizzano gli Use Case Diagram. Questi diagrammi catturano il comportamento esterno del client da sviluppare, senza dover specificare come tale comportamento viene realizzato (client = black-box), forniscono una descrizione delle “modalità” di utilizzo del client da parte di un utilizzatore (attore). Gli attori sono coloro che interagiscono con il sistema, e possono essere degli umani, un altro sistema software o anche un dispositivo hardware; nel nostro caso gli attori del sistema sono gli utenti che utilizzano l’applicazione, allo scopo di accedere alle immagini e ai metadati ad esse relativi.

126

I casi d’uso sono invece le interazioni tra il sistema e l’utente, descrivono le funzionalità del sistema così come vengono percepite dagli utenti. L’utente nella sua interazione con l’applicativo deve poter selezionare la categoria d’immagine a cui vuole accedere, e all’interno di essa deve poter scegliere un’immagine, e poi individuare il servizio a cui vuole accedere, cioè metadati oppure immagine. Se l’utente sceglie di visualizzare i metadati, otterrà queste informazioni filtrate mediante un’opportuna vista e in un certo formato di output; deve però avere la possibilità di variare sia la vista sui metadati che il formato di uscita in cui essi gli vengono forniti. Se invece sceglie di visualizzare l’immagine, l’utente otterrà da subito una porzione dell’immagine richiesta, ma allo stesso tempo gli devono essere forniti gli strumenti per la navigazione completa dell’immagine, per l’applicazione dei filtri e per la scelta del layer, perché un’immagine potrebbe essere costituita da più layer. Ogni caso d’uso oltre ad avere un nome significativo è caratterizzato da una descrizione testuale e una descrizione grafica. Per la nostra applicazione, il caso d’uso più complesso, che merita un approfondimento è il caso d’uso “Navigation Image”, e per esso viene fornita una descrizione dettagliata. La navigazione dell’immagine deve permettere a partire dalla porzione d’immagine visualizzata correntemente, di spostarsi su di essa nelle quattro direzioni possibili, destra, sinistra, su e giù, di selezionare una porzione di interesse all’interno dell’immagine completa, di variare la risoluzione della parte visualizzata. Per tutte queste funzionalità devono essere forniti all’utente semplici strumenti per la loro applicazione: delle frecce direzionali per gli spostamenti, dei comandi, con le icone di zoom-in e zoom-out, per gli scali di risoluzione, un’anteprima dell’intera immagine su cui poter andare a selezionare un particolare di interesse. SPECIFICHE FUNZIONALI DEL SISTEMA Definiti gli obiettivi del lavoro, e cioè realizzare un’applicazione client che consenta ad un utente di interagire in maniera amichevole ed efficiente con il sistema per la fruizione di immagini da diverse piattaforme, si devono definire le funzionalità che questo client deve fornire all’utente, che possono essere suddivise per livelli di complessità: - funzionalità di base: consentono all’utente che interagisce con il client, di fare delle richieste di immagini e/o metadati al server, e di ricevere le conseguenti informazioni. - funzionalità intermedie: consentono al client di gestire in maniera efficiente la comunicazione con il server. - funzionalità avanzate: permettono all’utente di applicare funzioni complesse alle immagini e ai metadati. Il criterio base adottato nella progettazione del client è quello di realizzare una applicazione che guidi l’utente nell’esplorazione e nell’utilizzo di tutte le funzionalità messe a disposizione dalla stessa, garantendo l’efficienza anche quando si vanno ad applicare alle immagini e ai metadati funzioni complesse. Le funzionalità di base del client sono quelle che si occupano dell’interfacciamento da una parte con l’utente e dall’altra con il server. Esse devono consentire all’utente di accedere alle immagini e ai metadati, indipendentemente dalla loro dimensione. Per poter far questo deve essere gestita la comunicazione con il server, che avviene attraverso la rete Internet utilizzando il protocollo http, e rispettando le specifiche del protocollo di trasmissione. L’applicazione che l’utente va ad utilizzare deve essere anche efficiente. Essendo uno dei principali parametri di valutazione di un’applicazione il tempo da essa impiagato per l’accesso alle informazioni, ed essendo inoltre le immagini che si vogliono fruire di dimensioni, che possono avvicinarsi e a volte anche superare i gigabyte, è necessario che il client preveda un meccanismo di caching delle informazioni accedute più di recente. Prevedere una cache per il salvataggio delle immagini che vengono scaricate dal server, facilita e minimizza i tempi di attesa in operazioni quali lo scrolling. Infatti se ci si sposta di poco sull’immagine non si dovrà scaricare nuovamente l’intera immagine che si va a visualizzare, ma solo la parte non ancora acceduta, e nel caso di scroll a sinistra e poi subito dopo a destra non si dovrà scaricare nessun immagine dal server. Le funzionalità avanzate, di cui si vuole dotare il client, sono quelle che permettono l’applicazione di filtri alle informazioni a cui l’utente vuole accedere. In particolare per quanto riguarda le immagini si deve permettere l’applicazione del filtro che consente la selezione di

127

un’area all’interno dell’immagine e quella del filtro che permette di applicare all’immagine una determinata gamma di colori. Inoltre se le immagini sono multilayer l’utente deve poter scegliere il livello che vuole visualizzare. Per quanto riguarda invece i metadati, si deve dare la possibilità all’utente di scegliere la vista che si vuole applicare ad essi. DECOMPOSIZIONE FUNZIONALE DEL SOFTWARE Quando si sviluppa un software un obiettivo che ci si pone è fare in modo che esso resista sul mercato a lungo; affinché ciò sia possibile si deve progettare e poi implementare un software aperto ai miglioramenti e agli ampliamenti che si rendono necessari con il passare del tempo. Un software che ha una struttura a livelli, e per il quale ogni livello è costituito da uno o più moduli funzionali può avere un arco di vita molto lungo. Ogni livello espleta una determinata funzione, ed interagisce con il livello superiore ed inferiore attraverso delle interfacce. In questo modo, quando si rende necessaria la revisione oppure l’ampliamento di un determinato livello si dovrà lavorare solo su di esso, e se si mantengono inalterate le interfacce i restanti moduli possono anche non essere minimamente intaccati dai cambiamenti. Se ad un certo punto si rende necessaria la definizione di un nuovo livello, non bisogna riprogettare tutto, ma solo il nuovo livello e le interfacce con i livelli con cui questo comunica. Inoltre utilizzando l’approccio modulare non solo nella definizione dei livelli, ma anche nella struttura interna di ognuno di essi, si possono far convivere all’interno di un livello funzionalità diverse legata da una logica comune. Nella decomposizione funzionale del software si procederà col descrivere i vari livelli da cui è costituito il client, e si analizzeranno le interfacce tra i livelli. Si esaminerà quindi la decomposizione in moduli funzionali del progetto e le interazioni tra i vari moduli. LA STRUTTURA A LIVELLI DEL CLIENT Il client è l’applicazione che interagisce da una parte con l’utente e dall’altra con il server. Esso inoltra le richieste opportunamente filtrate e formulate provenienti dall’utente al server, e da esso riceve poi le informazioni richieste. Queste informazioni vengono poi elaborate dal client e restituite all’utente. La struttura del client è costituita da tre livelli, come mostrato in Fig.42, che sono: - Lo User Interface Layer: questo livello si occupa dell’interfacciamento con l’utente, da esso vengono fornite le funzionalità attraverso cui l’utente effettua le sue richieste, e quelle attraverso cui l’utente visualizza i risultati di tali richieste.

Fig. 42: La struttura a livelli del client

- L’Information Management Layer: è il livello in cui è concentrata tutta la logica del sistema, qui vengono elaborate le richieste dell’utente, viene stabilito il modo in cui esse dovranno essere soddisfatte, e vengono elaborate le informazioni provenienti dal server prima che esse siano restituite all’utente.

128

- Il Communication Managenent Layer: è il livello che si occupa della gestione della comunicazione con il server attraverso la rete. Una volta definita la struttura a livelli del client bisogna definire le interfacce tra i livelli, e cioè le informazioni che i vari livelli si devono scambiare, affinché le funzionalità offerte da ognuno di essi contribuiscano alla funzionalità e all’efficienza del sistema globale. Quando l’utente interagisce con il sistema, ad un certo punto effettua una richiesta di informazioni, siano esse immagini o metadati. Tale richiesta viene passata dall’interfaccia utente al modulo di gestione, il quale la esamina e verifica se sul client sono disponibili i dati necessari a soddisfare la richiesta; se sì restituisce direttamente le informazioni all’utente. In caso contrario elabora la richiesta, e la passa opportunamente riformulata al livello che gestisce la comunicazione con il server. Qui essa verrà trasformata in una richiesta di dati da fare al server, che giungerà al Front End Layer. Quando le informazioni mancanti, provenienti dal server, arrivano al livello gestione della comunicazione, vengono passate al livello superiore dove saranno opportunamente elaborate, in modo da costituire con i dati già presenti sul client un’informazione unitaria. Questa può essere ora passata al modulo interfaccia, in modo che l’utente la possa consultare. SETTORI DI APPLICAZIONE Scaricare da Internet e vedere sul proprio personal computer, sul proprio palmare, e, in un futuro prossimo, sul proprio telefonino, immagini di grosse dimensioni è un’esigenza di un gran numero di persone, in quanto tale pratica ha notevoli applicazioni in moltissimi campi: la medicina, l’arte, la cartografia ecc. … Il settore con la platea più vasta è di sicuro quello del commercio elettronico, quando il bene da acquistare è particolarmente prezioso è improbabile che l’acquirente si accontenti di una visione superficiale, per convincere il compratore è necessario guadagnare la sua fiducia e la sua attenzione, un’immagine grande e dettagliata probabilmente in questo caso può fare la differenza. Ci sono tuttavia anche degli utilizzi tecnici, di un sistema per la fruizione di immagini, da non sottovalutare: ad esempio l’utilizzo di palmari collegati alla rete potrebbe agevolare rilevazioni di ogni tipo, l’incaricato una volta sul posto potrebbe infatti confrontare ciò che vede con piante, disegni o fotografie del luogo scaricate da Internet alla massima definizione e in tempo reale. In campo artistico, l’intenzione è quella di consentire ad un appassionato di vedere opere in formato digitale, che non potrebbe vedere di persona per motivi quali la distanza geografica o la difficoltà di accesso ai siti dove i capolavori sono custoditi. Ovviamente nessuno accetterebbe di vedere un’opera d’arte privata dei propri dettagli a causa di limiti di banda; è fondamentale per questo servizio garantire la massima qualità, che attualmente significa immagini anche di centinaia di megabyte. Un'altra applicazione artistica dell’informatica è quella di conservare e mostrare in formato digitale oggetti che se non conservati opportunamente sono soggetti a deterioramento. Un esempio possono essere le mappe e gli scritti risalenti a secoli o millenni fa, che una volta digitalizzati possono essere visualizzati da una vasta platea di appassionati in formato elettronico, mentre l’originale può essere conservato nel modo migliore senza andare soggetto ad usura; anche in questo caso la massima fedeltà all’originale è d’obbligo. Un altro settore nel quale si è interessati alla fruizione di immagini è quello medico, è infatti un obiettivo ambizioso pensare ad un medico che dovendo formulare una diagnosi, può collegarsi alla rete o con il computer della sua scrivania, o con il palmare mentre magari si trova in corsia, ed avere in pochi minuti un quadro completo della situazione clinica del paziente che sta visitando, usando gli esami clinici che egli ha effettuato corredati da immagini. UTILITY PER IL TRATTAMENTO DELLE IMMAGINI ARTISTICHE Per fruizione di immagine non si intende il semplice scaricamento e visualizzazione di immagini attraverso la rete, bensì l’applicazione client deve mettere a disposizione dell’utente una serie di funzionalità specifiche per il trattamento delle singole categorie di immagini, e se da una parte ci sono funzionalità utilizzabili per varie categorie di immagini, ce ne sono invece altre altamente specializzate per le singole categorie. In particolare per la fruizione di immagini artistiche le funzionalità che si rendono strettamente necessarie sono: la disponibilità di una mappa di navigazione che permetta di spostarsi all’interno dell’immagine, funzionalità che in realtà si rende necessaria ogni qualvolta si devono visualizzare immagini le cui dimensioni

129

superano quelle di visualizzazione sullo schermo; e delle interfacce attraverso le quali definire i filtri da applicare alle immagini sul server. In particolare esistendo sul server un filtro per la variazione cromatica delle immagini (vedere Appendice A), occorre sul client un’interfaccia utente per la richiesta di applicazione della Gamma Correction alle immagini sul server. Osserviamo che questa è già una funzionalità molto specifica perché per esempio per alcune immagini mediche, come le radiografie, non ha alcun senso applicare una variazione cromatica. La Navigation Map che è stata implementata per il client è mostrata in Fig. 43, relativamente all’immagine del Cavaliere: essa mostra l’immagine che si sta fruendo, ed incornicia in un rettangolo rosso la porzione di immagine che si sta visualizzando, a partire da essa utilizzando le quattro frecce ci si può spostare nelle rispettive direzioni. Se poi si vuole visualizzare un particolare dell’immagine basta puntarlo con il mouse e cliccarvi su affinché esso sia visualizzato alla risoluzione corrente. Nella Navigation Map ci sono poi i comandi per fare lo zoom, in e out, della parte d’immagine di interesse.

Fig. 43: La Navigation Map

Per l’applicazione della Gamma Correction, è stata implementata una apposita interfaccia, che permette di settare la gamma di colori che si vuole venga applicata alle immagini dal server.

7. CONCLUSIONI Sono state descritte alcune delle attività sviluppate nell’ambito del Centro di Eccellenza per la “Restituzione Computerizzata di Manoscritti e di Monumenti della Pittura Antica”, che hanno portato alla messa a punto di tecniche e strumenti per la realizzazione di database di immagini di opere d’arte, fruibili attraverso Internet (http://centroeccellenza.diiie.unisa.it/centroeccellenza). La possibilità di accedere ad un database di immagini di opere d’arte potrà permettere, come passo successivo, di effettuare anche attività di ricerca ed analisi. Le immagini ottenute potranno essere utilizzate per la sperimentazione di metodi di restauro interattivo ed automatico, per l’analisi dello stato di conservazione delle opere artistiche e per l’eventuale ricostruzione di ambienti tridimensionali. Un esempio di restauro digitale è presentato nella Fig. 44.

a) b) Fig. 44: Esempio di restauro digitale: a) prima; b) dopo

130

8. BIBLIOGRAFIA E RIFERIMENTI 1) Asami S., Talagala N., Patterson D., “Designing a Self Maintaining Storage System”, Proceedings of the IEEE Symposium on Mass Storage Systems, 1999. 2) D. Bearman, Museum Strategies for Success on the Internet. Ed. Giskin Day: Museum Collections and the Information Highway. Proceedings of a Conference on Museums and the Internet, London, 1995, published on Spectra, 22 (4), 1995, pp. 18-24. 3) M. Corsini, F. Bartolini, V. Cappellini, Mosaicing for High Resolution Acquisition Paintings - Proceedings of the Seventh International Conference on Virtual Systems and Multimedia, 2001. 4) F. Garzotto, L. Mainetti, P. Paolini, in Proc. ICHIM’95 (4th International Conference on Hypermedia and Interactivity in Museums), D. Bearman ed., Archives & Museum Informatics, Pittsburgh, PA, 1995, pp. 217-234. 5) F. Garzotto, M. Matera, P. Paolini, To Use or Not to Use? Evaluating Usability of Museum Web Sites - Proc. of M&W '98 - International Conference on Museums and Web, Toronto, Canada, 1998. 6) Hersch, R. D., “Parallel Storage and Retrieval of Pixmap Images”, 12th IEEE Symposium on Mass Storage Systems, Montherey CA, Digest of papers, IEEE Computer Society Press, pp. 221-226, 1993. 7) R. Jackson, M. Bazley, D. Patten, M. King, in Proc. of “Museums and the Web: An International Conference”, D. Bearman, J. Trant eds., Archives & Museum Informatics, Pittsburgh, PA, 1998, pp. 193-202. 8) R. Kumar, P. Anandan, M. Irani, Representation of Scenes From Collection of Images - Proc. IEEE Workshop Representation of Visual Scenes, 1995. 9) Rydland K., Midtstraum R., Zoric J., “Transcoding Versus Multiple Image Versions in Image Servers with QoS”, Proceedings of Norsk Informatikkonferanse, Tromsø, Norway, November 2001. 10) R. Szeliski, Video mosaics for virtual environments, IEEE Computer Graphics and Application, 16 (2), 22-30 (1996). 11) R. Szeliski, H. Y. Shum, Creating full view panoramic image mosaics and texture-mapped models, in Proc. of Siggraph 97, in Computer Graphics Proceedings, Annual Conference Series, ACM SIGGRAPH Press, New York, 1997, pp. 251-258. 12) G. Voyatzis, G. Angelopoulos, A. Bors, I. Pitas, “A System for Capturing High Resolution Image” in Proc. of the Conference on Technology and Automatics, Thessaloniki, Greece, 1998, pp. 238-242. 13) Wong S.T. and, Huang H.K. “Design methods and architectural issues of integrated medical image data base systems”, Computerized Medical Imaging and Graphics, Vol. 20, No. 4, pp. 285-299, 1996. 14) I. Zoghlami, O. Faugeras, R. Deriche, Using geometric corners to build a 2D mosaic from a set of images. In Proceedings of the IEEE Conference on Computer Vision and Pattern Recognition, pp. 420-425, 1994. PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE 1) D. Conte, L. P. Cordella, P. Foggia, A. Limongiello, C. Sansone, M. Vento, Acquisizione e Fruizione su Internet di Opere d’arte, in Atti del Convegno “Contesti virtuali e fruizione dei beni culturali”, AIIA (Associazione Italiana Intelligenza Artificiale), Napoli, 2003, (CD-Rom, Paper # 5), 6pp. 2) P. Foggia, C. Guidobaldi, A. Limongiello, M. Vento, An Image Server for the realization of Web Museums, in Atti IX Convegno della Associazione Italiana Intelligenza Artificiale, Perugia, 2004, p. 23-34. 3) P. Foggia, A. Limongiello, M. Vento, Virtual museums: methodologies, tools and open issues, in Atti del IX Convegno della Associazione Italiana Intelligenza Artificiale, Perugia, 2004, p. 45-54.

131

132