la più antica ceramica in wild goat style da gela

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SicILIA antiqva An International Journal of Archaeology iii · 2006 PISA · ROMA FABRIZIO SERRA · EDITORE MMVII

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SicILIA antiqva

An International Journal of Archaeology

iii · 2006

PISA · ROMA

FABRIZIO SERRA · EDITORE

MMVII

sicilia antiqua

An International Journal of Archaeology

Rivista annuale

diretta da

Ernesto De Miro

Comitato scientifico

Nicola Bonacasa, Anna Calderone, Lina Di Stefano,

Antonino Di Vita, Graziella Fiorentini, Dieter Mertens,

Domenico Musti, Paola Pelagatti, Giovanni Rizza,

Vincenzo Tusa, Giuseppe Voza, Roger Wilson

Segretario di redazione

Gioacchino Francesco La Torre

SICILIA ANTIQUA

An International Journal of Archaeology

iii · 2006

PISA · ROMA

FABRIZIO SERRA · EDITORE

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S O M M A R I O

Davide Tanasi, Annotazioni sulla cultura di Thapsos. A margine di una rilettura dell’opera di A. De 9Gregorio

Caterina Ingoglia, La più antica ceramica in Wild Goat Style da Gela �9

Antonella Pautasso, Su un Eracle con leonté ed altri vasi configurati da Catania. Elementi di coro-plastica greco-orientale 39

Carlo Zoppi, Il muro di Temenos e l’altare del tempio D di Selinunte: alcune osservazioni 49

Graziella Fiorentini, Le fortificazioni di Agrigento alla luce dei recenti scavi 67

problematiche attuali

Francesco Gioacchino La Torre, Autonomia regionale, Beni Culturali e Università. Riflessionia margine di un anniversario �29

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impresso e rilegato in italia dalla

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LA PIÙ ANTICA CERAMICA IN WILD GOAT STYLE DA GELA*

Caterina Ingoglia

N el presente studio prenderemo in conside-razione i vasi più antichi decorati nello Stile

della Capra Selvatica attestati a Gela, databili nel periodo di fi oritura del Middle Wild Goat Style I,1 tra il 650 ed il 630 a.C. ca. 2

I vasi, tutti frammentari, sono stati restituiti dagli scavi condotti in punti vari della collina di Molino a Vento, tra gli anni ’50 e ’80 del secolo scorso, ad eccezione di uno che proviene dall’at-tuale area del Municipio.

La gran parte è costituita da frammenti di oino-choe, che, come è noto, è una delle forme preferite dai pittori del Wild Goat Style, ancor di più nelle fasi più antiche, quando il vaso è panciuto, con corpo schiacciato, collo cilindrico, svasato verso l’alto, orlo ingrossato, imboccatura circolare e ansa costolata. 3 Pochi i frammenti di forme aperte di grandi dimen-sioni, che, per la ridotta porzione conservata, non siamo in grado di assegnare a deinos o a cratere.

In numero complessivo di nove, provengono da diversi centri di produzione della Ionia : in base a considerazioni stilistiche, come vedremo, sia-mo in grado di attribuirne quattro a produzione sud-ionica di Mileto, distinta per altro verso dal-l’argilla abbastanza compatta, di colore rosa-mar-rone, micacea, con piccolissimi inclusi bianchi a

distribuzione media ; 4 due a fabbriche di incerta localizzazione della Ionia del Nord, mentre più dif-fi cile, come vedremo, appare determinare l’area di provenienza degli altri tre, in particolare del n. 9, per il quale attendiamo il soccorso dei risultati delle analisi archeometriche.

L’esemplare più antico è il frammento, inedito, di un’oinochoe (1) 5 restituito dagli scavi Fiorentini a Molino a Vento 6 (Tav. 1,1). È un prodotto di un artista milesio attivo tra la fase fi nale del SiA Ia e gli inizi del SiA Ib, come si evince dall’adozione di modi tipici dell’ Early Wild Goat Style – come il ren-dimento impacciato del corpo dello stambecco, la testa a silhouette e solo i dettagli a risparmio, 7 il reticolato campito con cerchielli come divisore, 8 la scelta dei riempitivi piccoli e pochi – ma anticipa peculiarità tipiche dello stile più tardo. La decora-zione non prevede il fregio con gli animali sulla spalla e i motivi geometrici sul resto del vaso, come era prassi nel periodo precedente, ma è articolata in tre stretti fregi separati da una fascia con due fi le di trattini verticali sfalsati tra cinque fi lettature.

Del fregio sulla spalla si conserva solo il pannel-lo che, con reticolato di losanghe campito, negli spazi, da cerchielli, probabilmente lo delimitava vicino l’ansa, mentre del fregio superiore della pancia, abbiamo una sequenza di stambecco, cane in corsa, zampa di ungulato a ds. e, come riempi-tivi, rade croci e gruppi di quattro triangoli pieni. Del fregio della base rimane parte di un motivo fi tomorfo con girali e palmetta in outline percorsi internamente da una teoria di punti. 9

La scena del fregio principale sul corpo rap-presenta indubbiamente l’inseguimento di stam-becchi da parte di cani, motivo caro ai pittori del Middle Wild Goat Style del quale il cane, disegna-to con una certa agilità e una discreta cura dei dettagli, presenta modi caratteristici. L’occhio a mandorla grande con una estremità allungata, in particolare può confrontarsi con altre oinochoai 10

* Questo lavoro costituisce il primo contributo di una più ampia ricerca che riguarda le ceramiche d’importazione a Gela dalla fondazione al vi sec. a.C., oggetto della mia tesi di dottorato. Sono grata al Prof. Ernesto De Miro e alla Prof.ssa Marina Martelli per i loro consigli innanzitutto, e per avermi incoraggiato sempre e stimolato a proseguire lungo un per-corso che non è stato sempre agevole. Desidero ringraziare il prof. P. Orlandini e la dott.ssa G. Fiorentini per aver messo a mia disposizione i materiali restituiti dai loro scavi. Un ringra-ziamento va al dott. M. Kerschner per i suoi generosi utilissimi suggerimenti. Infi ne, molte sono le persone, tra i dipendenti del Museo di Gela, che mi hanno supportato durante il lungo e complesso studio dei materiali : desidero ringraziarli tutti. In particolare voglio qui ricordare, Totò Biccini che mi ha spesso affi ancato con pazienza e disponibilita nelle ricerche in magazzino e Salvatore Burgio per la rara generosità d’animo, l’interesse e la competenza con cui mi ha sostenuto durante i soggiorni presso il Museo di Gela.

Il lavoro è stato presentato in occasione del Seminario In-ternazionale di Studi che si è tenuto a Gela il 9 dicembre 2006 a seguito della Mostra su “La ceramica greco-orientale del vii sec. a.C. I vasi di Wild Goat Style” (Gela, 27 aprile-26 maggio 2006; Bochum, 30 maggio-15 luglio 2006), di cui è in preparazione il catalogo a cura di M. C. Lentini.

1 Sul Middle Wild Goat Style I, vd. Cook 1992, p. 256, nn. 15,17 ; R. M. Cook in Cook-Dupont 1998, pp. 36-39 ; Käufler 1999, pp. 210-211. Sulla cronologia adottata nel nuovo sistema di classifi cazione, Kerschner-Schlotzauer 2005, pp. 5-9.

2 Kerschner-Schlotzauer 2005, pp. 4,8,17.3 Kerschner-Schlotzauer 2005, p. 18.

4 Sulle caratteristiche e analisi eff ettuate per l’identifi cazio-ne della fabbrica milesia vd. M. Kerschner, in Töpferzentren, pp. 37-47

5 Inv. 35874. Scavo 1973. Cm 8.4x13.6 Fiorentini 1976-77, p. 423 sgg.7 Cfr. Samos V, cat. 349 , tav. 59; cat. 501, tav. 90 ; CVA Bruxelles

1, tav. 2,6.8 Cfr. Samos V, cat. 502, tavv. 91-93.9 Sul fregio ornamentale con volute e palmette, vd. Ker-

schner 1997b, pp. 13-18. 10 In particolare per l’occhio a mandorla, cfr. von Graeve

1973-1974, p. 101, n. 80, tav. 26 ; La Rocca 1987, p. 44, n. 28.

20 caterina ingoglia

dello stesso periodo, mentre la coincidenza della parte superiore con il profi lo della testa rimanda all’Early Wild Goat Style.

L’adozione del fregio vegetale, alla base delle oinochoai, con fi ori di loto e boccioli, viene in-trodotta nel Middle e proseguirà anche più tardi ; tuttavia i fi ori di forma ampia, le volute ottenute con il disegno risparmiato e l’interno punteggia-to, sono generalmente tipici del Middle Wild Goat Style I, 1 la palmetta piccola che non sovrasta gli archi delle volute rimanda a una fase iniziale della sperimentazione del nuovo motivo decorativo. 2

Certamente prodotto dello stesso ambiente speri-mentatore milesio, ma opera di un ceramografo più maturo è il frammento di oinochoe 2 3 (Tav. 1,2), proveniente dai lavori di sistemazione del Giardi-no Castellano, nella parte centrale della Collina di Molino a Vento, nell’area dell’ex Hotel Venezia. 4 Anche questo, come vedremo, può assegnarsi alla fase iniziale dello stile della capra selvatica medio I, alla fase arcaica SiIb.

È un frammento di spalla di un’oinochoe a corpo schiacciato con decorazione disposta in due fregi, già assegnato da Walter alla fase ‘vorarchaisch’ dell’orientalizzante. 5

Del fregio superiore si conserva la metà poste-riore di una sfi nge alata a s. e la metà posteriore di un felino a ds. con animale sovrapposto ; pochi i riempitivi, costituiti esclusivamente da piccole croci con estremità ingrossata. Una fascia di tre fi le di punti sfalsati tra coppie di fi lettature costitui-sce la separazione dal fregio inferiore, che doveva disporsi nella parte superiore della pancia, e del quale rimangono l’estremità del muso di un cane a ds. e una svastica come riempitivo nel campo, mentre un gruppo di palmetta e fi ore di loto pende dal limite superiore.

Pur constatando elementi solitamente ricorren-ti dal Middle Wild Goat Style in poi, come la divisio-ne in due fregi e l’adozione di riempitivi complessi nel fregio inferiore, quali la palmetta pendente tra volute, notiamo che la composizione è anco-ra legata alla maniera dell’Early Wild Goat Style. 6 La sfi nge in particolare, per la parte conservata, trova riscontro in un’oinochoe ad un solo fregio 7 dell’Early Wild Goat Style dalla necropoli di Jalisos di Rodi : molto simili sono i dettagli della zampa,

il disegno del treno posteriore mentre l’ala con le piume alternatamente risparmiate e ornate di puntini 8 ha un confronto puntuale nei grifi della ben nota oinochoe di Villa Giulia. 9

Il felino a ds., inoltre, con la zampa risparmiata e il corpo tozzo, e soprattutto l’animale che gli si sovrappone, sono resi in un gruppo con una ridotta e, a dire il vero, poco chiara caratterizza-zione in particolare l’animale sovrastante non ha indicato alcun dettaglio, rendendo incerta la sua identifi cazione. È un tentativo di composizione di un gruppo, opera di un artigiano sperimenta-tore, certamente attratto dalle scene di gruppi di animali legati fra loro nel Tierkampf.

I riempitivi sullo sfondo, poi, ripetuti, distanziati e di piccole dimensioni sono ancora dell’Early Wild Goat Style e non risentono della maggiore varietà che caratterizza il Middle : la loro delicatezza rende aggraziato il frammento così come la separazione tra i fregi assegnata a tre fi le di punti alternati tra fi lettature, che trova confronto in 1 e in un’oinochoe da Samo. 10

Abbiamo ragione di credere dunque che anche questo frammento, come l’1, sia da collocare nella fase iniziale del Middle Wild Goat Style della pro-duzione milesia.

Nell’oinochoe 3 11 (Tav. 1,3), che proviene da uno strato ‘arcaico’ 12 individuato in un saggio nell’area intorno al basamento del monumento onorario F, 13 nel tratto orientale della collina di Molino a Vento, notiamo innanzitutto il cosiddetto cappio, caro al Middle Wild Goat Style I, come motivo di delimitazione del fregio. 14 Lo stile, poi, del cane all’inseguimento ed i riempitivi trovano confronto in un’oinochoe a San Pietroburgo, 15 elegantemente disegnata.

Il frammento inedito del deinos 4 16 (Tav. 1,4), pro-veniente da Molino a Vento, presenta un pannello a scacchiera campita alternatamente con punto al

1 Cfr. Samos V, cat. 492, tavv. 87-88; cat. 350, tav. 59. 2 Cfr. per esempio l’oinochoe di Naxos, attribuita agli inizi

del SiA Ib, in Lentini 2000, pp. 425-428. 3 Inv. G 369. Scavo 1953. Cm 8.4x6.2. D. Adamesteanu, in

Adamesteanu-Orlandini 1960, p. 114, n. 5 ; Samos V, cat. 349, tav. 59 ; Orlandini 1978, tav. liv, fi g. 9.

4 D. Adamesteanu, in Adamesteanu-Orlandini 1960, pp. 113-115.

5 Samos V, cat. 349, tav. 59. 6 Per l’evoluzione dello stile sulle oinochoai dall’Early al

Middle Wild Goat Style, La Rocca 1987. 7 ClRh X, 1941, pp. 190 sgg., fi g. 3 ; Schiering 1956, tav. 16,1 ;

Samos V, cat. 492, tav. 88.

8 Cfr. anche l’animale del poco più recente dinos da Me-taponto, caratteristico perché i puntini sono disposti alter-natamente su una metà o sull’altra delle piume risparmiate dell’ala : Guzzo 1978, tav. lxii, fi g. 5.

9 Giuliano 1975, pp. 165-167.10 Samos V, cat. 349, tav. 59.11 Inv. G 370. Scavo 1953. Cm 6,3x5,1. Orlandini 1960, fi g.

26bis a, p. 106. 12 I materiali in esso associati si datano dal vii a dopo la

metà del vi sec. a.C. : Orlandini 1960, p. 106.13 Il basamento, interpretato come di monumento onora-

rio, è della prima metà del v sec. a.C. : Orlandini 1960, pp. 103-107.

14 R. M. Cook in Cook-Dupont 1998, p. 38. Presente an-che, ad esempio, su un’oinochoe da Mileto, cfr. Käufler 1999, pp. 201-207, 211, abb.1-6; su un’oinochoe da Iasos, cfr. La Rocca 1987, tav. viii, fi gg. 3-4 ; sul dinos da Metaponto, cfr. Guzzo 1978, tav. lxii, fi g. 5 ; vedi anche Samos V, catt. 502-503, 508-510, 516-519, tavv. 92-98.

15 Samos V, cat. 503, tav. 93.16 S. inv. Scavo 1975. Cm 5.4x2.8. All’interno, vernice nera

scistosa.

la più antica ceramica in wild goat style da gela 21

centro e croci con triangoli negli interstizi. Il pan-nello doveva chiudere, su un lato, un fregio, il cui limite superiore era segnato da trattini verticali al-ternati tra cinque fi lettature. L’assenza di elementi della decorazione zoomorfa, dovuta alle ridotte dimensioni del frammento, non ci impedisce di assegnarlo al Middle Wild Goat Style I, cui riportano le caratteristiche della decorazione secondaria che trova riscontro in un frammento di Samos. 1

Il motivo del cappio ritorna, tra due coppie di fi lettature, nel frammento di cratere o deinos 5 (Tav. 1,5), 2 dallo scavo del lato ovest della trin-cea eseguita per le fondazioni nord del Museo. 3 Il fregio, che doveva occupare la parte superiore della parete, è decorato con due felini gradienti a ds. : del primo si conserva solo una zampa an-teriore sollevata, dell’altro la zampa posteriore. Sul fondo, come riempitivi, rosetta con punto in cerchio nei petali, e svastica uncinata. L’interno, verniciato, é di colore arancio.

La chiarezza del disegno, i riempitivi, l’adozione del cappio come elemento di delimitazione e la cura dei dettagli nelle zampe in outline dei cani in corsa concorrono ad assegnare il vaso – di ascen-denza sud-ionica – allo stesso ambiente che ha prodotto l’oinochoe a Berlino 4 in cui ritroviamo la stessa indicazione della zampa posteriore della sfi nge, nascosta con una linea più corta, paralle-la alla linea esterna che segna il profi lo dell’altra zampa. Tuttavia, l’oinochoe di Berlino e il nostro frammento presentano alcuni caratteri ‘provincia-li’ che ci inducono cautamente a ritenere al mo-mento incerto il loro centro produzione, 5 centro che indubbiamente risentì di modelli sud-ionici.

Il frammento 6 6 (Tav. 1,6), rinvenuto nel 1952-53, durante i lavori nell’area destinata al Museo, in uno strato rimescolato lungo il lato nord dell’Edi-fi cio A, 7 con stambecco in corsa a s. sotto una treccia semplice, che rivela nel profi lo sinuoso del corpo dell’ungulato, nella vistosa curva del collo, 8 nella cura dei dettagli della testa in outline, nell’uso

parco dei riempitivi la mano di un artigiano an-cora legato alla I fase dello Stile della Capra Sel-vatica ma che adotta, con la scelta dei bastoncelli pendenti campiti con una linea, come riempitivi, 9 un motivo tipico del Middle Wild Goat Style della Ionia settentrionale, inducendoci ad assegnarlo ad una fase stilistica anteriore al meglio noto Late, che potremmo denominare, analogamente a quanto è stato fatto da M. Kerschner e U. Schlotzauer per la Ionia del Sud, “NiA Ic” (Nord-ionico Arcaico Ic), datandola intorno al 620 a.C.

Nello stesso momento del Wild Goat Style nord-ionico I collochiamo l’oinochoe 7 10 (Tav. 2,7a,b), di cui si conservano due frammenti, restituiti dalla fossa sacra rinvenuta all’interno dell’edifi cio vii. 11 Nel frammento a) si osservano una zampa poste-riore e la coda di felino a s. ed una zampa poste-riore di ungulato a ds., con triangolo verticale, spirale e svastica con estremità a spirale come riempitivi. Nel b) abbiamo l’estremità inferiore di tratti verticali ( ?) e tre fi lettature orizzontali che sovrastano una serie di grandi baccellature in outline impostate su una fascetta.

L’oinochoe doveva avere una decorazione orga-nizzata su tre registri : quello sulla spalla è perdu-to ; in quello della pancia era rappresentato uno dei soggetti tipici di questa fase stilistica, i cani in corsa che inseguono capri o stambecchi, forse chiusa ai lati forse da quei tratti verticali di cui, nel frammento b) restano le estremità inferiori. 12 In questo periodo la caccia vede tutti gli animali, ad eccezione di uno o due, rivolti nella stessa di-rezione, sia gli inseguitori che le prede. 13 Triplici fi lettature orizzontali delimitano la parte inferio-re del registro. La base dell’oinochoe é decorata a bastoncelli, 14 secondo l’uso dell’Early Wild Goat Style, uso che insieme con la decorazione a raggi prosegue per tutto il Middle I 15 (fi no alla sostitu-zione con il motivo a fi ori di loto, tipico del Middle II). Quanto rimane degli animali e dei riempitivi riporta certamente ad un pittore del Middle I, per l’eleganza e la chiarezza del tratto e per l’adozione di motivi tipici di quella fase.

1 Cfr. Samos V, cat. 520, tav. 99, p. 66 (terzo quarto del vii sec. a.C.)

2 Inv. 11410. Scavo 1953. Cm 4.8x6.2. 3 Durante lo scavo dello strato ‘arcaico’ (dalla fondazione

al 405 a.C.) fu distinto, a diretto « contatto con lo strato preisto-rico », il materiale più antico, che comprenderebbe ceramiche fi no al TPC : Orlandini 1962, pp. 397-399. In generale, sullo scavo della trincea nord, che individuò lo strato arcaico sol-tanto nella parte ovest, poiché nella parte est questo era stato tagliato dall’impianto di un edifi cio timoleonteo, ibidem, pp. 394-400.

4 Samos V, cat. 621, tav. 127. 5 Del resto lo stesso Walter in Samos V, p. 127, la ritiene di

produzione efesina ( ?). 6 Inv. 8365. Cm 5x5,2. Orlandini 1962, p. 357, fi g. 18 ; Or-

landini 1978, tav. liv, fi g. 10. 7 Sullo scavo di questo, Orlandini 1962, pp. 347-362. 8 Cfr. lo stambecco dell’oinochoe al Louvre in Samos V, cat.

596, tav. 118 (da Rodi).

9 Lo stesso motivo ricorre su un’oinochoe Middle I da Rodi, Samos V, cat. 598, tav. 119 ; ClRh vi-vii, 105 sgg., fi g. 116, ma è adottato anche, sulla linea di delimitazione inferiore del fregio, su più tarde oinochoai nordioniche, cfr. Samos VI.1, catt. 877, 879, 881, tav. 105-106,111.

10 Invv. 39376-35844. Scavo 1974. Cm a) 2,5x6,8. Cm b) 8,2x5,9

11 Fiorentini 1976, p. 108.12 Per i tratti verticali che delimitano un fregio, cfr. Samos

V, tav. 90, cat. 501, che però è sud-ionico Ia.13 R. M. Cook in Cook-Dupont, p. 38 ; Kerschner 2006,

p. 23.14 Cfr. Rallo 1984, p. 215, fi g. 19 (da Selinunte).15 Cfr. Robertson 1940, p. 10, tav. iii, f ; Kopcke 1968, tav.

97,5 ; Samos V, catt. 492, 502-503, 510,519, 524, tavv. 87, 93-99 ; Martelli Cristofani 1978, pp. 157-158, fi g. 10 (da Vulci), tav. lxxvii.

22 caterina ingoglia

La svastica uncinata e la disposizione dei riempi-tivi suggeriscono di attribuire al Middle Wild Goat Style I tardo anche il frammento di spalla 8 1 (Tav. 2,8), da Molino a Vento, con corna ed orecchio risparmiato di cervo a s. che, per le caratteristi-che tecniche (argilla poco compatta rispetto ai frammenti precedentemente analizzati, di colore grigio, ingubbiatura gialla, densa, spessa, vernice poco brillante) preferiamo genericamente asse-gnare a produzione nord-ionica, come peraltro ci indicherebbe l’uso dei raggi pendenti pieni che trovano riscontro in diverse oinochoai da Rodi. 2

Particolare è poi il deinos frammentario 9 3 (Tav. 2,9), proveniente dal pozzo n.1 dell’area dell’attua-le Municipio, 4 assegnabile per la fi nezza del duc-tus, la cura dei dettagli, la scelta e la disposizione ordinata dei riempitivi, al Middle Wild Goat Style I. I soggetti zoomorfi rappresentati –un drago a s. con lungo corpo che si avvolge in spire, le cui squame sono indicate a contorno, e un rapace con la testa rivolta indietro, caratterizzato dal corpo a squame e dalle piume della coda e delle ali divise in linee alternatamente nere e punteggiate- non trovano riscontro nella letteratura archeologica. Pochi gli esempi di rapace rappresentato su vasi in Wild Goat Style, certamente non confrontabili stili-sticamente con il nostro, anche perché in tecnica ‘a silhouette’, da Karabournaki nel golfo di Ther-mos, 5 da Rodi 6 ed uno inedito da Mileto ; pochis-simi quelli con serpente : una pisside da Efeso 7 ed un deinos da Sardi nella Lidia : 8 quest’ultimo, cer-tamente lidio, presenta l’indicazione delle squame come il nostro, che certamente lidio non é.

Non è facile riconoscere l’area di produzione di questo vaso, ‘strano’ per l’iconografi a, ma anche per lo stile ; né l’esame autoptico delle caratte-ristiche tecniche ci fornisce alcun suggerimento poiché il deinos ha assunto, anche in frattura, un colore rossastro uniforme, dovuto ad eccessiva os-sidazione in cottura. Non escludiamo che possa

provenire dalle purtroppo ancora poco note pro-duzioni del Nord dell’Egeo o da fabbrica eolica, ma sono ipotesi suscettibili di verifi ca.

I frammenti fi n qui considerati provengono dalla località Molino a Vento, concordemente ricono-sciuta dagli studiosi come sede dell’acropoli di Gela. Fa eccezione il framm. 9 rinvenuto nell’area ritenuta prossima ad un santuario di Hera, nella parte centrale dell’intera collina di Gela.

I contesti di rinvenimento dei materiali in que-stione, restituiti da scavi condotti tra gli anni ’50 e gli anni ’80 del secolo scorso, non sono par-ticolarmente specifi ci. Se alcuni dei nostri vasi provengono da riempimenti di buche variamente interpretate (fossa sacra per il framm. 7, pozzo per il framm. 9), altri sono stati restituiti o da ritrova-menti generici (da strati rimescolati il framm. 1, durante la sistemazione del Giardino Castellano il framm. 2) o dallo strato genericamente defi -nito ‘arcaico’ dell’Acropoli (framm. 3 e 5), la cui cronologia è stata fi ssata, sulla base dei materiali in associazione, tra il vii e la seconda metà del vi sec. a.C. 9

Certamente lo stato ancora parzialmente edito di diverse campagne di scavo 10 è un fattore che incide su una più approfondita interpretazione di tali contesti, ma è anche vero che, più in genera-le, dei livelli riferibili al primo cinquantennio di vita della colonia di Gela non sappiamo molto, essendo stati raggiunti dagli scavi, stando alla do-cumentazione edita, soltanto in punti di limitata estensione. 11

Ne consegue che, per un’interpretazione stori-co-sociale della più antica ceramica in Wild Goat Style da Gela, l’analisi contestuale non sembra particolarmente utile.

Tuttavia, un aspetto ci sembra importante sot-tolineare : non c’è alcuna relazione tra i contesti di provenienza dei nostri frammenti ed edifi ci o aree sacre. 12 La stessa fossa da cui proviene il framm. 7, anteriore alla costruzione dell’edifi cio VII, fossa che presenta un riempimento costituito da ossa di animali, bruciato e altra ceramica, non ci sembra 1 S. inv. Scavo 1973. Cm 2.7x3.1

2 Cfr. Samos VI.1, catt. 879, 881-883, tavv. 106, 111. 3 Inv. 8262. Scavo 1951. Museo Gela, p. 115, cat. ii.48 (al n.

inv. 6232) ; E. De Miro in De Miro-Fiorentini 1984, p. 87, fi g. 68.

4 Nell’area è stata ipotizzata l’esistenza, durante una prima fase di frequentazione (vi-v sec. a.C.), di un santuario dedicato ad Hera, mentre ad una seconda fase di frequentazione, di età timoleontea, apparterrebbero i tre pozzi e le due cister-ne realizzati in funzione della nuova destinazione dell’area, quella abitativa : L. Cavagnera-M. Pizzo in Museo Gela, p. 109 ; D. Adamesteanu in Adamesteanu-Orlandini 1956, pp. 264-273 ; D. Adamesteanu in Adamesteanu-Orlandini 1960, pp. 113-137.

5 Tsiafakis 1999, p. 419, fi g. 303. 6 Schiering 1957, tav. 11,2. 7 Kerschner 1997, p. 214, fi g. 20, tav. 13, n. 94. 8 Jr. C. H. Greenawalt, C. Ratté, M. L. Rautman, The

Sardis campaigns of 1990 and 1991, « aasor », 52, 1995, pp. 1-36 (in part. fi g. 16-17).

9 Vd. supra, p. 20, nota 12.10 Ci riferiamo in particolare agli scavi degli anni ’70 e ’80

dell’Acropoli, per i quali vd. le comunicazioni preliminari in Fiorentini in De Miro-Fiorentini 1976-77 ; per qualche approfondimento sulle fasi più antiche vd. Fiorentini 1977, pp. 105-112 ; De Miro-Fiorentini 1978 ; De Miro-Fiorentini 1983. Vd. anche Fiorentini 1984, pp. 9-21.

11 Ciononostante, pare che “recenti indagini” abbiano rive-lato l’esistenza di un impianto urbanistico regolare già nel vii sec. a.C. con una scansione a maglia regolare nord-sud che prevede moduli ampi m 4,942, ruotati di circa 20° rispetto al Nord e di un abbastanza probabile asse trasversale est-ovest che, almeno sulla collina di Molino a Vento, separerebbe il set-tore collinare sud con destinazione religiosa dal settore nord per il quale appare più evidente una connotazione edilizia di tipo urbano : F. Tomasello, in Museo Gela, pp. 51-53.

12 Per la caratterizzazione delle aree di provenienza della

la più antica ceramica in wild goat style da gela 23

particolarmente caratterizzata nel senso di uno ‘deposito sacro’. 1 Con ciò non si può escludere ovviamente la possibilità che i vasi possano essere stati utilizzati per l’attività cultuale che si svolgeva sull’acropoli, ma, è ovvio, si tratta di un’ipotesi non dimostrabile.

I contesti di provenienza dei nostri vasi, inoltre, non forniscono alcun elemento signifi cativo ai fi ni delle datazioni : l’ampiezza dell’arco cronologico assegnata dagli scavatori agli strati e l’assenza di dati che possano essere importanti circa la giaci-tura dei materiali condiziona inevitabilmente la valutazione cronologica. I nostri frammenti per-tanto non sono stati datati con il conforto dei dati di scavo quanto piuttosto con quello dell’analisi stilistica. Fa eccezione il framm. 5, che proviene dal lato Ovest della trincea eseguita per le fonda-zioni Nord del Museo, in cui sono stati distinti, perché “a contatto con lo strato preistorico”, i ma-teriali più antichi dello strato ‘arcaico’ che non andrebbero, sulla base delle argomentazioni stili-stiche, oltre il tardo protocorinzio, 2 confermando le datazioni su proposte.

Ciononostante resta un dato da considerare, a nostro avviso il più signifi cativo, quello quantita-tivo : osservando in generale la ridotta estensione dei livelli di vii sec. a.C. scavati a Gela, 3 il numero di 9 frammenti riferibili ad un ventennio, rinve-nuti in uno spazio limitato quale la zona di Mo-lino a Vento (ad eccezione, come abbiamo visto del frammento 9) non ci sembra aff atto privo di signifi cato ; tanto più che, come ha già osserva-to Cook, 4 in questo periodo la ceramica in Wild Goat Style non è molto esportata in Occidente. Se aggiungiamo poi le altre attestazioni geloe di ceramiche greco-orientali prodotte fi no al 630 a.C. ca., il dato quantitativo della ceramica in Wild Goat Style, valutato in rapporto « all’intensità/qualità della ricerca » nota sino ad ora, emerge ancora di più.

A Gela, infatti, è stato rinvenuto un discreto nu-mero di coppe a calotta greco-orientali, 5 databili dal momento della fondazione sino al periodo da noi preso in considerazione e oltre. Tra queste, più

numerose sono le kotylai ad uccello, documentate in numero di nove esemplari (10-18), databili entro la prima metà del vii sec. a.C. ; mentre le coppe sono soltanto due (19-20) entrambe “Standardfa-brikat” del subgeometrico nord-ionico 6 prodotte dalla seconda metà dell’viii sec. a.C. in offi cine di una o più città non ancora individuate con sicurezza.

Tra le kotylai segnaliamo 10-12 7 (Tav. 3,10-12) : la loro argilla, non molto compatta, granulosa, ricca d’inclusi bianchi, la superfi cie non lucidata, lo stile ordinato e regolare del disegno distingue una bottega non altrimenti attestata in letteratu-ra archeologica e che diffi cilmente defi niremmo locale, piuttosto sud-ionica o insulare (Samos ?). 13 8-14 9-15 10 (Tav. 4,13-15), con orlo rientrato, e di piccole dimensioni hanno una forma che possia-mo defi nire di transizione alla coppa, e sono ca-ratterizzate dal fregio con quattro metope che, insieme alla serie dei diaboloi in 13 e 14 (del tipo IV-V Kerschner), 11 ne determina l’assegnazione ai decenni posteriori alla fondazione della città di Gela, non oltre la metà del vii sec. a.C. 13 dall’ar-gilla di colore grigiastro, micacea è attribuibile alla fabbrica “standard”, mentre 14 e 15 sono da considerare di fabbrica incerta per la presenza di un’ingubbiatura estranea alle produzioni fi nora ri-

ceramica greco-orientale in Magna Grecia, vd. Gras 1999, p. 136 ; G. Semeraro in D’Andria-Semeraro 1999, p. 489.

1 Fiorentini 1978, p. 108. 2 Vd. supra, p. 21, nota 3. 3 Fiorentini 1977, pp. 105-106 ; De Miro-Fiorentini 1978,

pp. 91-99 ; Fiorentini in De Miro-Fiorentini 1983, pp. 65-70.

4 R. M. Cook in Cook-Dupont 1998, p. 38. 5 Il termine, introdotto da Kerschner 2002, pp. 63-65,

comprende tutte le coppe per bere di produzione greco-orien-tale, la cui vasca ha la forma emisferica, indipendentemente dalla decorazione da cui fi nora sono state denominate. Le coppe, per lungo tempo ritenute rodie (Coldstream 1968, pp. 277-279 e 298-301, tav. 61) sono state, grazie alle analisi archeometriche, riportate ad origine nord-ionica (Dupont 1983, pp. e, più recentemente Kerschner 2002, pp. 63-72).

6 Per lo ‘Standardfabrikat’ vd. Kerschner et alii 1993, p. 199 ; Kerschner 1999, pp. 15-17. Per la storia degli studi e per i risultati delle analisi chimiche (attivazione neutronica) con-dotte su esemplari da Mileto, Efeso e Smirne, cfr. Töpferzen-tren, pp. 63-73.

7 Inv. 10779-10780. Dagli scavi del Tempio dorico, 1951 (10a-10b). I due frammenti inv. 10965-10986 (11a-11b) dagli scavi per le fondazioni del Museo del 1953 (Adamesteanu-Orlandini 1962, p. 393, 398, fi g. 72 b-c ; Coldstream 1968, p. 279, nota 2 ; Orlandini 1978, pp. 93-94, tav. liii, fi g. 3 ; De Miro-Fiorenti-ni 1984, pp. 75-76, fi g. 24) e i due framm. s. inv. (12a-12b) (dagli scavi per le fondazioni del Museo, 1953) potrebbero appartene-re allo stesso vaso per l’identità dell’argilla e della decorazione ; tuttavia la diversità della superfi cie, ossidata negli ultimi due, l’assenza di attacchi e l’indicazione di provenienza, invitano alla prudenza. Sugli scavi per le fondazioni del Museo, vd. Orlandini-Adamesteanu 1962, p. 392 sgg.

8 S. inv. Dalla sistemazione del Giardino Castellano. Cm. 4.8x3.3. D. Adamesteanu in Adamesteanu-Orlandini 1960, p. 106, fi g.26bis ; Coldstream 1968, p. 279, n. 2 ; Orlandini 1978, p. 94, tav. liii, fi g.2 ; De Miro-Fiorentini 1984, pp. 75-76, fi g. 24a. Per il meandro spezzato, un confronto anche se non puntuale, in Samos V, cat. 243, tav. 42 ; catt. 254-255, 258; tav. 43 : il tratteggio dei bracci del meandro con lineette oblique e parallele incrociate da una sola linea continua non trova, al momento, confronti nella letteratura archeologica.

9 S. inv. Scavi 1974. Saggio 1 tra edifi cio 1 e muretto orto-gonale. Cm 4.3x2.5 ; 2,4x2.2 ; 3.5x2.6.

10 S. inv. Scavi 1973. Cm 2,1x2,3. 11 Kerschner et alii 1993, p. 199 ; Kerschner 1999, pp. 15-17.

Cfr. Troy IV, p. 278, tav. 303, 9-10 (da Troia VIII) ; Eilmann 1933, p. 69, fi g. 18,b ; Samos V, catt. 240-242, 245, tav. 42 ; Thera II, p. 30, fi g. 80 ; Délos XV, tav. 47,11,13,14 ; Johnson-Andreiomenou 1989, pp. 217-220, tav. 41 (Eretria) ; Ält-Agina II, I, tav. 2,2, p. 10 ; Tüchelt 1971, p. 66, tav. 7, 68 ; Özgünel 1978, p. 23, tav. iii, fi g. 8-9,12,16 (da Bayrakli) ; Pithecussai I, p. 219, tavv. 72-73, cxxvi-cxxviii.

24 caterina ingoglia

conosciute. Allo stesso periodo datiamo 16 1 (Tav. 4,16), e per la forma e per i materiali associati in contesto. Probabilmente al tipo vi-viii Kerschner è invece attribuibile 17 (tav. 4,17), con fi la di punti sotto il fregio, 2 mentre il motivo dello zig-zag con-tinuo delimita in basso la decorazione di 18 3 (Tav. 5,18), di tipo vi-vii. Più recenti, della seconda metà del vii sec. a.C., le coppe 19 4-20 5 (Tav. 5, 19-20) dalla vasca più bassa, dal profi lo più curvo.

Tutte provengono dagli scavi della Collina di Molino a Vento e, anche in questo caso, lo stato della documentazione non ci consente particola-ri considerazioni sulla specifi cità dei contesti di provenienza, 6 a parte che, come per i vasi in Wild Goat Style, nessuna è attestata in necropoli. Il fat-to non ci sorprende, poiché l’assenza, abbastan-za comune a tutti i contesti funerari occidentali, è dovuta alla ‘selezione’ del rito funerario per il quale certamente, in questo periodo, i contenitori per unguenti greco-orientali, probabilmente con il loro contenuto, saranno stati più funzionali.

E da Gela proviene una gran quantità di un-guentari importati dalla Grecia orientale. Abbia-mo censito quarantuno aryballoi rodii : di questi soltanto una decina è di produzione incerta, 7 mentre venti circa, d’importazione, sono datati

dai materiali associati in contesto ai decenni di poco posteriori alla fondazione 8 e intorno alla metà del vii sec. a.C. 9 A fi anco della maggioranza di forma A Johansen, 10 acromi (Tav. 6,24), sono attestati due esemplari con decorazione nel Kreis- und Wellenbandstil 11 (Tav. 6,21) e, imitazioni rodie di forme levantine, un’esemplare con imboccatu-ra androposopa 12 dal santuario di Bitalemi (Tav. 6,23) e due di tipo B Johansen 13 con collarino 14 (Tav. 6,22), la cui datazione non scende oltre la metà del vii sec. a.C.

L’importazione costante, dalla fondazione della città alla metà del vi sec. a. C, attestata dai nu-merosi specimina geloi, si confi gura come indizio importante di rapporti privilegiati continui della colonia con la madrepatria Rodi nonché del ruo-lo svolto dall’isola e dalla ”sua operosa comunità orientale”, 15 cui bisogna attribuire la produzione ed il commercio degli unguentari, 16 nella circola-zione dei beni greco-orientali in Occidente.

In questo quadro vanno considerati anche gli alabastra grezzi a punta, con collarino alla base dell’imboccatura, dalla necropoli di Gela 17 (Tav.

1 Inv. 35757. Scavo 1980. Edifi cio I, vano 2, fossetta 2, str. 5b2. Fiorentini 1984, pp. 63-64, fi g.1. Cm 2.4x2,9. Dallo stesso contesto proviene l’aryballos protocorinzio con decorazione a losanghe sulla spalla attribuito da Neeft 1987, p. 100, list xlviii, size-class x, e p. 312, alla fase tarda del periodo conico, alla fi ne cioè del protocorinzio medio I e datato intorno al 670-665 a.C.

2 S. inv. Da Molino a Vento, scavo 1973. Cfr. per i punti sotto il fregio, da Mileto : von Graeve 1973/74, p. 96, tav. 23, n. 54 ; da Herakleia sul Latmos : Brommer 1979, p. 39 sgg., tav. 10 ; da Metauros : Sabbione 1981, pp. 283-284, fi gg. 6-7 consi-derata intermedia tra le kotylai più recenti e le prime coppe ad uccello.

3 S. inv. Scavo 1973. Cm 4.9x5.0. Per lo zig-zag, cfr. Cold-stream 1968, p. 279 ; Eilmann 1933, p. 69, fi g. 18a, tav. xliii,3 ; Samos V, tav. 43, 259-260 ; 44, 268 ; von Graeve 1973-74, pp. 96-97, tav. 23, nn. 47,53,55,57 ; Délos XV, tav. 46, 6-9 ; Troy IV, p. 256, tav. 308, 16-17 ; Ält-Agina II,I, tav. 1,3-4, p. 10 ; Özgünel 1978, p. 24, tav. iii, fi g. 14-15. (da Bayrakli) ; Kerschner 1999, pp. 15-17,20,40, fi g. 10, n. 27

4 S. inv. Scavo 1973. Str.3. Dimens. 6.3x5. Per la decorazione, attribuibile al 2° gruppo Coldstream (Coldstream 1968, p. 299). Cfr. per la banda sotto il fregio e la base verniciata, Orsi 1918, col. 940, fi g. 82 ; Orsi 1925, p. 202, fi g. 37 (da Siracusa) ; Samos V, catt. 476, 482, tav. 85 ; Tüchelt 1971, p. 67, tav. 7,72 (da Dydima) ; Gjerstad 1977, p. 30, 106, tav. 10,7 (da Cipro) ; Calvet-Yon 1977, p. 13, tav. iv,35 (da Salamina di Cipro) ; Cold-stream 1987, p. 29, tav. ix,xv (da Amatunte) ; Kerschner 1997, p. 190, fi g. 31, cat. 54 datata tra il 640 ed il 620 (tipo IIb).

5 S. inv. Da un recupero in discarica. Cm. 3,7x7. Cfr. per la decorazione e per la forma, dalla vasca più bassa, in Ker-schner 1997, p. 147, n. 74, fi g. 34, tav. 10 ; Töpferzentren, fi g. 20, p. 165, cat. 29, p. 100 (tipo IV c), attribuita al gruppo chimico B/C (Teos ?) e datata tra il 650 ed il 590 a.C.

6 Giova ricordare però, anche per il dibattito sull’even-tuale identifi cazione della Lindioi di cui parla Tucidide, con un insediamento anteriore alla data di fondazione di Gela, la fossetta da cui proviene 17, su cui v.di supra, p. 24, nota 1.

7 CVA Gela 2, tav. 33, 1-2.

8 Gli esemplari dalla t. di Spinasanta, sulla quale Adame-steanu-Orlandini 1960, p. 225,2, non rintracciati nel Museo di Gela, sono associati in contesto con un aryballos a lungo ritenuto il più antico del territorio geloo e adesso assegnato con valide argomentazioni da Neeft 1987, p. 45, list XIV, size-class l-m, 3 agli anni posteriori alla fondazione della città.

9 Inv. 8652 (Villa Garibaldi, sep. 1 : Adamesteanu-Orlan-dini 1956, p. 292, fi g. 4) ; invv. 8656, 8952, 8953, 11860, 11861, 11905-11911, 11922-11923 (Villa Garibaldi, sep. 7 (esterno). Ada-mesteanu-Orlandini 1956, p. 293-4, fi g. 6). Più recenti alcuni esemplari dallo strato più antico del santuario del Predio Sola e di Bitalemi (inv. 7692, 29235, 20119) ed altri con corpo tronco-conico rinvenuti in corredi della necropoli del Borgo (Orsi 1906, col. 40, t. 28 ; col. 49, t. 60; col. 58, t. 76, fi g. 30; col. 71, t. 100; col. 97, t. 134; col. 144, t. 291; col. 191, t. 444; col. 374, t. 16.

10 Exochi, pp. 157 sgg. Defi nitivamente attribuiti a fabbrica rodia da Martelli 1988, p. 105 ; Martelli 1991, p. 1050 sgg.

11 Inv. 8607 (Villa Garibaldi, sep. ?) ; G115 (dalla Collezione Navarra) : CVA Gela 2, IID, p. 3, tav. 3,1-2.

12 Sull’imitazione rodia della forma levantina, Cold-stream 1969, p. 3 ; Martelli 1988, p. 106 con riferimenti.

13 Exochi, pp. 155 sgg. Finora denominati “levantini” sono stati considerati importazioni nord-siriane. Per la defi nitiva attribuzione a fabbrica rodia vd. invece Martelli 1988, p. 105 ; Martelli 1991, p. 1050 sgg.

14 Orsi 1906, col. 211, fi g. 168 ; De Miro 1984, p. 79, fi g. 37. 15 Martelli 1991, p. 1049 sgg. ; Martelli 1994, p. 89.16 Coldstream 1969, p. 1 sgg. ; Coldstream 1977, p. 249 ;

Boardman 1994, p. 97 ; Peserico 1996, pp. 899-924 ; Cyprus-Dodecanes-Crete, pp. 255-263 ; E. Acquaro, Per un portolano fe-nicio, in Archeologia del Mediterraneo, Roma, 2003, pp. 22-23 ; J. Boardman, Copies of Pottery : By and for Whom ?, in Greek identity in the Western Mediterranean. Papers in honour of Brian Shefton”, a cura di C. Lomas, suppl. a « Mnemosyne », 2004, pp. 149-162, ritiene che “Greek potters, probably in Rhodes, perceived a market conditioned by Cypriot rather than Phoe-nician export”, perché la decorazione è cipriota e non fenicia come è, invece, la forma « determined by commodity, and by no means foreign to a Greek environment and behaviour with oil. The decoration proclaims a presumably desiderable and prestigious source » (pp. 154-155).

17 Orsi 1906, coll. 42 (Via Pecorari, t. 34, fi g. 12) e 131 (Via

la più antica ceramica in wild goat style da gela 25

7,25-26), defi niti da P. Orsi ‘a fuso acuminato’, che per la forma e le caratteristiche tecniche – argilla grezza di colore rosato con numerosi piccolissi-mi inclusi bianchi e neri, superfi cie più o meno lisciata, identica a quella degli aryballoi – sono da assegnare anch’essi 1 a quelle fabbriche di metoikoi orientali impiantati a Rodi per produrre ed espor-tare in tutto il Mediterraneo vasi per unguenti che si ispirano, nel caso specifi co dell’alabastron grezzo, alla forma levantina dell’alabastron ‘Pel-tenburg’. 2

Da Gela proviene infi ne l’unico lotto attual-mente noto di ceramica cipriota 3 nell’Occidente greco, 4 databile nella prima metà del vii sec. a.C. (Tav. 7,27-28) : si tratta di frammenti, in numero di ventidue, attribuibili a brocche, fi asche da pel-legrino o coppe della classe ‘Bichrome’ IV del Gjerstad. 5

E vogliamo ricordare, tra le importazioni esoti-che, un brocchetta con orlo a fungo fenicia degli ultimi decenni dell’viii sec. a.C.-inizi vii sec. a.C. 6

(Tav. 8,29), di cui facciamo notare la particolare in-crostazione che lo riveste, estranea ai ritrovamenti gelesi, certamente dono di un off erente nelle pri-me fasi di frequentazione del santuario di Bita-lemi ; 7 la patera bronzea ricondotta da alcuni ad ambiente fenicio o cipriota, 8 e la gran quantità di lucerne di tradizione fenicio-cipriota dal santuario del Predio Sola, 9 di produzione incerta, forse lo-cale, forse greco-orientale, anch’esse databili dalla metà del vii sino al vi sec. a.C. 10 Senza trascu-rare gli aegyptiaca restituiti dagli scavi di Gela : 11 ricordiamo l’interessantissimo scarabeo egizio 12 (Tav. 8,30) – dallo strato più antico del Predio Sola, datato ai primi decenni dopo la metà del vii sec. a.C. – la cui produzione può ascriversi alla metà-seconda metà dell’viii sec. a.C. e che molto avrà

Salerno, t. 234) ; inv. 11941 : Orlandini 1956, p. 309 (Villa Ga-ribaldi, sep. 36 della fi ne del vii sec. a.C., per l’associazione in contesto con un alabastron corinzio con fi le di punti). Un quarto esemplare s. inv. proviene da un recupero eff ettuato in una discarica nel 1972 (tav. 7, 25).

1 Attestati a Rodi, (ClRh III, p. 46, fi g. 33 (sep. xix ; 6) ; ClRh IV, p. 47, fi g. 13 (sep. iii da Macri Langoni) ; Martelli 1988, p. 106), e a Troia (Troy IV, p. 265, 36.723, tav. 292) sono esportati in Occidente. In Sicilia, oltre a Gela, sono noti a Siracusa, dalla necropoli del Fusco (Orsi 1893, p. 468 (t. 76) ; Orsi 1895, p. 132 (t. 204), p. 177 (t. 450) ; Martelli Cristofani 1978, p. 175) e a Monte Casale (esemplare inedito, v.di Museo Archeolog.di Siracusa inv. 46119, vetr. 229). In Etruria, a Caere e a Vulci (Martelli Cristofani 1978, pp. 175-176 ; A. M. Sgubini Mo-retti, Ricerche archeologiche a Vulci, in Thyrrenoi philotechnoi, Atti della Giornata di Studio in occasione della mostra “Il mondo degli Etruschi. Testimonianze dai Musei di Berlino e dell’Europa orientale”. Viterbo 13 ott. 1990, Roma 1994, a cura di M. Martelli, p. 26, tav. ix, 24). La forma è attestata fi no in area nord-siriana, cfr. Sendschirli V, pp. 44,46.153, fi g. 41, tav. 26 sgg. e Tarsus III, pp. 136, 248, 1079-1081, tav. 84.

2 Il tipo assegnato a produzione rodia da F. von Bissing, Zeit und Herkunft der in Cerveteri gefunden Gefässe aus ägyptischer Fayence, Monaco 1941, p. 48 sgg. e da Coldstream 1969, p. 5, è stato studiato da E. Peltenburg, Al Mina Glazed Pottery and its relations, « Levant », 1, 1969, pp. 73 sgg. che l’attribuisce ad area siro-fenicia.

3 Cinque frammenti provengono dalla cosiddetta stipe dell’Athenaion: di questi, due hanno i nn. inv. 10507-10508 (cfr. Åström 1968-69, p. 332, tav. xlix, fi g. 1) ; sei provengono dagli strati II-III del saggio 3 eseguito nel 1953 sull’Acropoli : di questi quattro hanno i nn. d’inv. da 10915 a 10918 (cfr. Åström, 1968-1969, p. 332, tav. xlix, fi g. 2 ; De Miro 1984, p. 82, fi g. 51) ; uno (inv. 11770), da uno scarico di fronte casa Castellano, sulla collina di Molino a Vento ; dieci dagli scavi della collina di Molino a Vento 1973 (s. inv.), 1975 (s. inv.), 1977-80 (inv. 35829 dall’edifi cio II) ; uno da Bosco Littorio (scavo 1985).

4 Altre attestazioni dello stesso orizzonte in Occidente provengono da Malta (Rabat) e dalla Spagna meridionale (Toscanos, Mogador) : vd. E. M. C. Groenewoud-P. Vidal Gonzalez, Malta, a phoenician port of trade ?, in Actas del iv Congreso Internazionale de Estudios fenicios y pùnicos, (Cadiz, 2-6- Oct. 1995), Cadiz 2000, i, p. 371 con riferimenti.

5 Gjerstad 1948, pp. 62-65, tavv. xxxiii-xxxiv. 6 Inv. 23642 da Bitalemi. Il tipo, attestato nello strato III-

II di Tiro, datato tra il 740 ed 700 a C. (cfr. P. M. Bikai, The Pottery of Tyre, Nicosia, 1978, tav. 5, 19-23), si rinviene a Cipro in strati di qualche decennio più recenti (cfr. P. M. Bikai, The Phoenician Imports, in Karageorghis V. et alii, Excavations at Kition. iv. The non-cypriote pottery, Nicosia, 1981, p. 27, n. 65, tav. xxii,4 ; P. M. Bikai, La nécropole d’Amathonte. Tombe 113-367.ii. Céramiques non chypriotes. Etudes chypriotes vii, Nicosia 1987, p. 5, tav. iii, 16). Più in generale, vd. Peserico 1996.

7 Orlandini P., Il Thesmophorion di Bitalemi (Gela). Nuove scoperte e osservazioni, in Archeologia del Mediterraneo, pp. 507-513.

8 Orsi 1906, coll. 224-227, fi g. 178 ; P. Zancani Montuoro, Necropoli di Macchiabate : coppa di bronzo smaltata, in « asmg », 11-12, 1970-1971, pp. 30-32 ; G. Rizza, S. Angelo Muxaro e il proble-ma delle infl uenze micenee in Sicilia, « CronAstArt », 18, 1979, pp. 232-24, fi g.5. Altri la attribuiscono a maestranze del territorio geloo-agrigentino, che sarebbero permeate di cultura fi gura-tiva cretese : P. Ducati, Di una patera bronzea gelese, « ArchStor Sicilia » 10, 1913, pp. 377-389 ; E. De Miro in De Miro-Fioren-tini 1984, pp. 102-104, fi gg. 113-114.

9 Orlandini 1963, coll. 48-50, tav. xiii, con periodizzazio-ne. P. Bartoloni, La necropoli di Bithia, i, Roma, 1996, p. 85, sottolinea che stabilire una tipologia basata sulla forma non è possibile.

10 Sull’evoluzione della lucerna, vd. P. Cintas, Manuel d’ar-cheologie punique, Paris 1976, pp. 520-526.

11 Desidero esprimere un sincero ringraziamento al Prof. Güther Hölbl per la disponibilità e i preziosi consigli.

12 Inv. 8075. Orlandini 1963, coll. 72-74, tav. xxx h,i. Per altri scarabei dalla Sicilia cfr. G. Matthiae Scandone, Sca-rabei egiziani del Museo di Palermo, « OxfJA », 10, 1971 ; Idem, Gli scarabei egiziani ed egittizzanti del Museo di Mozia « RStFen », 3, 1975 ; S. Verga, Scarabei e scaraboidi nel Museo Nazionale Pepoli di Trapani, « SicA », 40, 1979 ; L. Guzzardi, Importazioni dal Vicino Oriente in Sicilia fi no all’età orientalizzante, in Atti del Congr. Intern. di Studi Fenici e Punici, Roma, 9-14 novem-bre 1987, Roma 1991, iii, pp. 941-954 ; G. Hölb, Vorbericht über die Arbeiten and en ägyptisierenden Funde im Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” von Syrakus im März 1997, « Papyri », 2, 1997, 49-74 ; Idem, I rapporti culturali della Sicilia orientale con l’Egitto in età arcaica visti attraverso gli Aegyptiaca del territorio siracusano, in La Sicilia antica nei rapporti con l’Egitto. Atti del Convegno internazionale, Siracusa 1999, Siracusa, 2001, pp. 31-47 (= « Quaderni del Museo del Papiro », 10). Sugli scarabei attestati nel Mediterraneo vd. A. F. Gorton, Egyptian and egyp-tianizing scarabs. A typology of steatite, faience and paste scarabs from punic and other mediterranea sites, Oxford, 1996 che non menziona lo scarabeo geloo. Vogliamo qui ricordare inoltre, i due scarabei egittizzanti dalla necropoli di Butera, databili per contesto intorno alla metà del vii sec. a.C. per i quali si può ipotizzare una veicolazione geloa, cfr. Adamesteanu 1958, col. 325, fi g. 80 ; S. Amata, in Museo Gela, p. 227, cat. vi.31.

26 caterina ingoglia

circolato prima di giungere a Gela ; la statuetta di Iside dall’Athenaion 1 e la conchiglia cauri, cioè una ciprea, in faience da Bitalemi 2 prodotti tra la metà del vii e gli inizi del vi sec. a.C. Non pos-siamo non menzionare, infi ne, le statuette e gli oggetti egittizzanti in faience di produzione egea, sempre dalla necropoli -il coperchio (di pisside ?) con foglie e ranocchietto, della metà circa del vii sec. a.C. 3 e la statuetta di lepre prodotta nel vii sec. a.C., restituita da una sepoltura della metà-seconda metà del vi sec. a.C. 4 –, e dal santuario di Bitalemi, il poco più tardo suonatore di doppio fl auto. 5

Non ci sembra, dunque, a questo punto, che la ceramica g.o. fi gurata importata a Gela tra il 650 ed il 620 a.C. circa sia un ‘indicatore tenue’ : il numero di nove vasi in Wild Goat Style da un’area così limitata è, a nostro avviso, un’evidenza si-gnifi cativa di contatti, tanto più se considerata insieme con la gran quantità e varietà, come ab-biamo visto, di prodotti greco-orientali attestati sin dalla fondazione della colonia. Il dato emerge ancora di più se si guarda la documentazione nota dalle altre colonie : nessuna colonia siceliota ha restituito ceramica del Middle Wild Goat Style I, ad eccezione di Naxos, da cui proviene un’oinochoe frammentaria 6 e, forse di Siracusa da dove pro-viene un frammento di collo di oinochoe. 7 Pur consapevoli che le assenze spesso sono dovute alle condizioni della ricerca, 8 in questo caso ci sembra che le diff erenze tra Gela e le altre colonie d’Occidente siano dovute invece a fatti signifi ca-tivi. Del resto la rarità di queste ceramiche in Occidente 9 fi no al 630-620 a.C. ca. potrebbe essere dovuta a scelte economiche, poiché i prodotti del-le fabbriche sud-ioniche e di Mileto in particolare – che in questi decenni fa la parte del leone nella produzione del Wild Goat Style – ancora non si sono imposti sul mercato occidentale, ma potreb-be essere dovuta più semplicemente al fatto che queste ceramiche fi gurate non riscontrassero il gusto degli occidentali.

Nei manufatti in Middle Wild Goat Style I da Gela potremmo invece riconoscere degli indicatori (ar-

cheologici) di esibizione nello stile di vita e nei consumi delle aristocrazie cittadine. 10 Il quadro generale restituito da Gela, è un quadro di grande vivacità economica, nel quale è facile collocare processi di defi nizione dell’oligarchia cittadina, ma anche, nel breve periodo, l’innescarsi di mani-festazioni competitive e di rapporti di forza all’in-terno della stessa èlite, 11 che ben si sposerebbe con la tipologia dei prodotti e dei probabili usi collega-ti alle ceramiche d’importazione greco-orientale (profumi, essenze, vasi fi ni di forme – oinochoai, deinoi, coppe – legate al simposio 12).

È evidente che Gela fu un fondamentale punto di arrivo di mercanzie che provenivano dalla Grecia orientale in un periodo in cui alla componente euboica nei traffi ci del Mediterraneo si sostituisce defi nitivamente quella greco-orientale, già signi-fi cativamente attiva in Occidente da tempo con gli agenti di Rodi, come è stato dimostrato dai rinvenimenti archeologici. 13

Geografi camente vicina alla costa dell’Anatolia, ma anche all’isola di Cipro e alle coste siro-pa-lestinesi, l’isola con i Levantini legati all’insedia-mento ivi installato, 14 giocò il ruolo di luogo di ridistribuzione delle merci provenienti dai centri di produzione del Mediterraneo orientale.

In una navigazione di cabotaggio lungo circuiti segmentati, come era in quel periodo, Gela avreb-be costituito una tappa fondamentale lungo la co-sta meridionale della Sicilia, 15 un mercato privi-legiato dei prodotti greco-orientali ridistribuiti da Rodi, i cui interessi, intrecciati da tempo con quelli dei Fenici-Ciprioti, 16 toccavano, nella segmenta-

1 Inv. 8311. 2 Inv. 31335. 3 Acquistato da P. Orsi e proveniente dalla zona di necro-

poli antistante il Giardino Pubblico (Orsi 1906, col. 207, fi g. 163 ; Webb 1978, p. 43, n. 175)

4 Tomba 31 del Predio Lauricella (Orsi 1906, col. 292, fi g. 216) il cui corredo ha restituito vasi a f.n. databili presumibil-mente nella seconda metà del vi sec. a.C.

5 Orsi 1906, col. 720, fi g. 553 ; Webb 1978, p. 89, n. 393. 6 Purtroppo non in contesto, essa proviene dall’area della

necropoli : Lentini 2000, pp. 425-428. 7 P. Pelagatti, Siracusa. Le ultima ricerche in Ortigia, in

«ASAtebe», 60 (1982), p. 141, fi g. 23 (scavi della Prefettura). 8 M. Gras, Les grands courants commerciaux. Epoques ar-

chaïque et classique, in La Magna Grecia e il mare. Studi di storia marittima, Taranto 1996, p. 125.

9 Vd. Kerschner 2000, p. 490.

10 Sul possibile signifi cato della presenza di alcune produzio-ni greco-orientali a Gela, cfr. Kerschner 2000, p. 490.

11 Cfr. E. Lepore, Classi e ordini in Magna Grecia, ora in Colonie greche dell’Occidente Antico, Roma, 1989 (ma Paris, 1970), p. 139 sgg. ; N. Luraghi, Tirannidi arcaiche in Sicilia e Magna Grecia, pp. 120-125 ; E. Stein-Hölkeskamp, Tirannidi e ricerca dell’economia, in I Greci. Storia Cultura Arte Società, 2. Una storia greca, i. Formazione, a cura di S. Settis, Torino, 1996, pp. 653-680.

12 Sul problema del simposio con particolare riferimento a Gela, vd. Raccuia 2003.

13 Martelli 1988, pp. 104-120 ; Martelli 1991, pp.1049-1072 ; Martelli 1994a, pp. 75-97 ; Martelli 1994b, pp. 11-13. A livello storiografi co, si coglie la problematica relativa alle navigazioni rodie in Occidente anteriori alla prima Olimpiade in Strab. xiv, 2, 10 : cfr. L. Marton, La tradizione sui Rodii in Occidente in età pre-olimpiadica : tra realtà storica e propaganda, in Il dinamismo della colonizzazione greca. Atti della tavola rotonda, Venezia, 10-11 novembre 1995, a cura di L. Antonetti, Napoli 1997, pp. 135-144 ; R. Sammartano, I Rodii ad Elpie, « Hesperìa », 15, 2002, pp. 219-239 ; Raccuia 2000, pp. 87, 94-95.

14 Coldstream 1969, pp. 1-8.15 Sulla rotta meridionale della Sicilia, vd. De Miro 1993,

pp. 517-539. Per Gela in particolare, vd. Sammartano 1999, p. 475.

16 Per un orientamento in senso cipriota piuttosto che feni-cio, vd. A. M. Bisi, Atelier phéniciens dans le mond égèen, « Studia Phoenicia », v, p. 229 sgg. I Fenici, in questo periodo in cui è ormai abbondantemente superata la fase dei prospectors, non appaiono a Gela, come anche altrove nelle colonie greche

la più antica ceramica in wild goat style da gela 27

zione del commercio, anche l’isola di Creta, « scalo ideale tra sud e nord, fra Oriente e Occidente », lungo « le rotte tracciate dalla natura ». 1 Anche qui certamente, dove è attestata almeno dalla secon-da metà del ix sec. a.C. l’esistenza di artigiani e mercanti fenici originari di Cipro, 2 le navi prove-nienti da Est vendevano e scambiavano, caricando, tra la merce cretese, pure la ceramica del luogo, anch’essa apprezzata nella colonia di Gela 3 (Tav. 8,31-32), a tal punto da essere largamente imitata. 4

E le due isole, Rodi e Creta, accomunate da stretti contatti con i Fenici (Fenici-Ciprioti ?), certamente avranno considerato nell’avventura coloniale ver-so Gela, tra le altre cose, la convenienza di una « localizzazione opportuna in funzione di naviga-zioni verso il Mediterraneo centro-occidentale ». 5 Non è da trascurare a tal proposito Zenobio, 6 che, nel ricordare un proverbio, racconta dell’inganno subito dai due ecisti di Gela, Antifemo ed Entimo, per opera di un socio di origine orientale, presup-ponendo « un rapporto originariamente non con-fl ittuale », anzi fi duciario, tra i diversi ‘operatori’ rodii, cretesi e fenici, nell’area della colonia. 7

In conclusione, riteniamo che le richieste ed il gusto della clientela di Gela avranno sì contribui-to nel determinare il contenuto dell’emporìa che andava verso Occidente, ma al contempo che, un peso importante debbano aver avuto proprio Rodi e la sua rete di contatti, particolarmente interessati alla costa della Sicilia meridionale. 8

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1 Di Vita 1998, p. 203. Per un aggiornamento sulla naviga-zione nel Mediterraneo, P. Horden, N. Purcel, The corrup-ting sea, London 2001

2 Una sintesi dei ritrovamenti che attestano la presenza feni-cia a Creta in età alto-arcaica in N. Kourou, Phoenician presence in Early Iron Age Crete reconsidered, pp. 1067-1081 in Actas del IV Congreso Internacionale de Estudio fenicios y punicos, (Cadiz, 2-6 Oct. 1995) iii, 2000, pp. 1067-1081 (Kommos, Antro Ideo, Knos-sos, Eleutherna), cui adde A. Di Vita 1998, pp. 182-183 con riferi-menti (in particolare sui troni di Phalasarna). P. Bernardini, I Phoinikes verso Occidente : una rifl essione, « RStFen », 28, 2000, pp. 13-33, ritiene che già nel periodo compreso tra il xii ed il ix sec. a.C., si coglie una situazione fl uida, complessa, articolata, dif-fi cile da decifrare, che lascerebbe spazio ad un’identifi cazione dei Phoinikes delle fonti, non tanto con i Fenici, quanto piutto-sto, nella psicologia e nella percezione dei popoli occidentali, con degli stranieri dalla pelle rossa, antichi conoscenti delle coste e delle isole mediterranee : Phoinikes sono gli Aramei di Pithecusa, i Filistei di Sant’Imbenia, i naviganti euboici delle coste africane. Per il ruolo di Malta nelle rotte fenicie verso Occidente, ruolo meglio caratterizzato a partire dalle prime fondazioni di colonie in Sicilia, vd. E. M. C. Groenewoud, P. Vidal Gonzalez, Malta, a phoenician port of trade ?, in Actas del iv Congreso Internacionale de Estudios fenicios y pùnicos, (Cadiz, 2-6- Oct. 1995), i, Cadiz 2000, pp. 369-373.

3 Cfr. De Miro-Fiorentini 1984, pp. 67-68, 80-81, fi gg. 13-14, 44-48.

4 E. De Miro in De Miro-Fiorentini 1984, pp. 92-98, fi gg. 86-102.

5 Raccuia 2000, p. 130. Sui rapporti rodio-cretesi, v.di recen-temente anche M. Martelli, Armi miniaturistiche da Ialysos, in Archeologia del Mediterraneo, pp. 467-472.

6 Zenob. i, 547 Raccuia 1992, pp. 281-285 ; Raccuia 2000, p. 111 ; Sammar-

tano 1999, p. 476. Per la presenza di Punici a Gela nel iv sec. a.C., vd. A. M. Bisi, I dischi fi ttili punici sardi e siciliani, in Serafad 1968.

8 Sulla problematica recente a proposito dei rapporti tra colonia e madrepatria, v.di da un parte, J. Osborne, A Early Greek Colonization ? The Nature of Greek Settlement in the West from Archaic Greece, in Archaic Greece, a cura di N. Fisher, H. van Wees), London, 1998, dall’altra G. Tsetskhladze, Greek Colonization. An Account of Greek Colonies and Other Settlements Overseas, pp. xiii-lxxxiii.

28 caterina ingogliaColdstream 1977 : J. N. Coldstream, Geometric Gree-

ce, London, 1977.Cook 1992 : R. M. Cook, The Wild Goat Style and Fikel-

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30 caterina ingoglia

Tavola 1.

1. Oinochoe in Wild Goat Syle (SiA Ia/b) da Molino a Vento (scavo 1973).

2. Oinochoe in Wild Goat Syle (Si A Ib) da Molino a Vento (sistemazione Giar-

dino Castellano, scavo 1953).

3. Oinochoe in Wild Goat Syle (SiA Ia/Ib) da Molino a Vento (scavo 1953).

4. Deinos in Wild Goat Syle (SiA Ia/Ib) da Molino a

Vento (scavo 1975).

5. Cratere o deinos in Wild Goat Syle (sud-io-nico?) da Molino a Vento (scavi fondazione

Museo, 1953).

6. Oinochoe in Wild Goat Syle (NiA Ic) da Molino a Vento (scavi fondazione Museo,

1953).

la più antica ceramica in wild goat style da gela 31

Tavola 2.

7

8. Oinochoe in Wild Goat Syle (NiA I) da Molino a Vento (scavo, 1973).

9. Deinos in Wild Goat Syle dell’arca del Municipio (riempimento pozzo n. 1, scavo, 1951).

7. Oinochoe in Wild Goat Syle (NiA Ic) da Molino a Vento (fossa edifi cio vii, 1974).

32 caterina ingoglia

Tavola 3.

11

12

(scala 1:1,5)

(scala 1:1)

(scala 1:1)

11-12. Kotylai ad uccello da Molino a Vento (scavi per le fondazioni del Museo, 1953).

10 . Kotylai ad uccello da Molino a Vento (scavo Tempio dorico, 1951).

la più antica ceramica in wild goat style da gela 33

Tavola 4.

13

14

15

16

17

(scala 1:1)

(scala 1:2)

(scala 1:2)

(scala 1:2)

14-15-16-17. Kotylai - coppe ad uccello greco-orientali da punti vari della collina di Molino a Vento (scavi 1973, 1974, 1980).

13. Kotylai coppa ad uccello (standard fabrikat) da Mulino a Vento (sistemazione Giardino Castellano, scavo 1953).

34 caterina ingoglia

Tavola 5.

18. Kotyle - coppa ad uccello da Molino scavo (1973).

19

20

(scala 1:1)

(scala 1:2)

19-20. Kotyle - coppe ad uccello (standard fabrikat) da Molino a Vento (scavo 1973) e da una discarica.

la più antica ceramica in wild goat style da gela 35

Tavola 6.

23. Aryballos rodio con imboccatura androposopa da Bitalemi.

24. Aryballosi rodii dalla necropoli di Villa Garibaldi.

21. Aryballos rodio “a spaghetti” dalla Collezione Na-varra.

22. Aryballos rodio con collarino dalla necropoli.

36 caterina ingoglia

Tavola 7.

25 26

27 28

27-28. Ceramica cipriota dalla Collina di Molino a Vento.

25-26. Alabastron a punta dalla necropoli (Orsi 1906, fi g. 12) e di una discarica.

la più antica ceramica in wild goat style da gela 37

Tavola 8.

29. Brocchetta fenicia da Bitalemi.

30. Scarabeo egizio dal Predio Sola.

31 32

31-32. Ceramica cretese dalla necropoli (31) e dalla collina di Molino a Vento (32).

composto, in carattere dante monotype,

impresso e rilegato in italia dalla

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, pisa · roma

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Giugno 2007(cz2/fg9)

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