generative communication and immaterial infrastructure

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1 La comunicazione “generativa” come infrastruttura immateriale: metodi, pratiche e modelli Raffaele Iannuzzi Indice tematico - Premessa analitica: sulle categorie di “Comunità sostenibile” e “Governance dell’ambiente” - Per un empirismo progettuale: un’ipotesi di lavoro - “Se vuoi vedere, impara ad agire”: l’imperativo estetico di Heinz von Foerster - La selezione/individuazione degli stakeholder: la governance applicata (I) - La selezione/individuazione degli stakeholder: una mappa mentale (II) - Fare cose con le parole: una proposta metodologica

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La comunicazione “generativa” comeinfrastruttura immateriale: metodi,pratiche e modelli

Raffaele Iannuzzi

Indice tematico

- Premessa analitica: sulle categorie di“Comunità sostenibile” e “Governancedell’ambiente”

- Per un empirismo progettuale: un’ipotesi dilavoro

- “Se vuoi vedere, impara ad agire”:l’imperativo estetico di Heinz von Foerster

- La selezione/individuazione degli stakeholder:la governance applicata (I)

- La selezione/individuazione degli stakeholder:una mappa mentale (II)

- Fare cose con le parole: una propostametodologica

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- Un inventario di strumenti e una cassettadegli attrezzi per comunicare creativamente

- Allegato I: L’idea di “modello”

- Allegato II: Il modello-twitter per lacomunità: spunti e paradossi

Premessa analitica: sulle categorie di“Comunità sostenibile” e “Governancedell’ambiente”

Aristotele, nel primo libro della Metafisica(α), afferma che l’essere si possa dire “inmolti modi”, aprendo, con ciò, la primavariabile della comunicazione, dettata dallapluralità dei significati e dallacontestualizzazione dei medesimi. Le parole,inscritte nelle cornici, producono-esprimonosignificati sottoponibili ad un debitovaglio semantico e linguistico (in qualchecaso, perfino filologico), talché le duerealtà – parola/cornice – non possano essere

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considerate in modo disgiunto o addiritturaseparato.

Si tratta di una connessione necessaria,affinché si possa fornire un vaglio criticoai termini-concetti usati nei singoli dominidisciplinari. Non si dà significato senzacornice e viceversa. Questo dato èparticolarmente importante se poniamo mentealla prima legge della comunicazione cheWatzlawick esprimeva così: “Non si può noncomunicare”. E’ questo il moto spontaneo eoriginario della “pragmatica dellacomunicazione umana”: si comunica sempre,anche quando, apparentemente, non si diaespressione alcuna, né sonora, né fisica.Ciò produce l’effetto trascinamento (come diun file trascinato sul desktop, secondo unospecifico uso operativo) di una parola,anche al di là della sua storia semantica edello stratificarsi dei significati che, viavia, si sono addensati sul suo “corpo”,rendendola, mediante l’uso, un multiverso disignificati e assonanze simboliche.

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Il significato di una parola – che veicolaun concetto, dunque la predicazione di unoggetto reale nel contesto di un dominioreale di indagine – non può mai essere datoper scontato. Nega, la scontatezza, propriola storicità e l’evoluzione semantica dellaparola stessa, con il portato di finalità epolitiche specifiche di volta in volta“ancorate” ad essa. Una parola è una storiaed ha una storia.

a) La “comunità sostenibile”: il terminus aquo

E’ a partire dall’ Agenda 21 (locale) che siapre la gigantesca partita delladefinizione, organizzazione e co-generazionedi “comunità sostenibili” sui singoliterritori. L’ Agenda 21 definisce appunto le“cose da fare nel XXI° secolo”, per quantoriguarda non soltanto l’ambiente come“natura”, in ogni suo aspetto, ma, ben piùradicalmente ed estensivamente, come “eco-

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nomia”, dunque οικός-νομία, legge-valore delluogo, del territorio. Di qui l’accentosull’aggettivo qualificativo “locale”, cheaccompagna appunto l’ Agenda 21.

Il Documento di Rio del 1992, che detta lecoordinate di quanto “da fare nel XXI°secolo”, recita, al capitolo 28: “ Ogniautorità locale deve aprire un dialogo con ipropri cittadini, con le associazioni localie con le imprese private e adottare unaAgenda 21 Locale. Attraverso la consultazione e lacostruzione di consenso, le autorità locali possono impararedalla comunità locale e dalle imprese e possono acquisire leinformazioni necessarie per la formulazione delle miglioristrategie. Il processo di consultazione puòaumentare la consapevolezza ambientale dellefamiglie. I programmi, le politiche e leleggi assunte dall’amministrazione localepotrebbero essere valutate e modificatesulla base dei nuovi piani locali cosìadottati. Queste strategie possono essereutilizzate anche per supportare le propostedi finanziamento locale, regionale edinternazionale “ (corsivo nostro).

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Siamo negli anni ’90 del secolo scorso.Alcuni anni prima, un vasto dibattitosull’effetto retroattivo di una serie dipolitiche di sviluppo dei Paesi occidentaliaveva dato l’avvio ad una sperimentazione,anche concettuale, di non piccolo momento.Pensiamo alla categoria di “qualità sociale”(Giorgio Ruffolo) e alla più capillareestensione della formula - attribuita albiologo e progettista e attivista socialescozzese Patrick Geddes, morto nei primianni Trenta del secolo scorso - “thinkglobally, act locally”. L’idea di un governotop-down delle aree territoriali svaniva conl’instaurarsi progressivo di un’economia-mondo e di comportamenti di massaascrivibili a tipologie antropologiche nonpiù codificabili con le categorie primo eperfino Novecento e, al suo posto,cominciava ad estendersi l’imperio di unconcetto che ha almeno 36 significati, adetta di molti autorevoli esperti, ma checertamente allude ad un unico e massiccioprocesso esemplificabile nei termini che

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diremo tra breve: la Governance. (Ci troviamoadesso nell’arena a dir poco pluralistica evariegata del bottom-up).

La Conferenza di Salonicco del 1997 non ha fattoche ribadire quanto sopra accennato: “Per ilraggiungimento della sostenibilita' e'necessario un forte coordinamento ed un’integrazione delle iniziative in un numerodi settori cruciali, nonché un rapido eradicale cambiamento di comportamenti estili di vita, che includano cambiamenti diconsumi e modelli di produzione. Per questo,un’ adeguata educazione e sensibilizzazionedovra' essere riconosciuta come uno deipilastri della sostenibilita', insieme coninterventi di carattere legislativo,economico e tecnologico”.

La Conferenza mondiale Unesco sull’educazione allosviluppo sostenibile (Bonn, 31 marzo-2 aprile2009), allarga la cornice della governanceambientale, includendo la complessa estratificata fenomenologia degli eventi,anche locali, che gli anni ’90 avevano vistoemergere – lo schema Agenda 21 locale – eassumendo, infine, i parametri della crisifinanziaria mondiale e della necessità di

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allargare la rete di tutela-salvaguardiadell’ambiente, in un’ottica non meramenteinibitoria (cosa fare per NON danneggiarel’ambiente), ma generativa (cosa fare PERrendere l’ambiente un’eco-nomia sostenibiledi lunga durata in grado di affrontare lecriticità del sistema economico mondiale).Del resto, se facciamo un passo indietro, al2001, e rivisitiamo il 35° Rapporto Censis sullasituazione sociale del Paese, rinveniamo già, apertisverbis, il mutamento di paradigma o, meglio,la fatica di passare da una posizioneinibitoria (non danneggiare e, al più,salvaguardare l’ambiente) ad una generativa(concepire-governare l’ambiente come spazio-risorsa-cultura, fino ad una “digerita”gestione dello stesso). Al classico capitolo“Territorio e reti” del Rapporto, si legge:“Innanzitutto l’ambiente non è più un temacaldo. Più volte, in passato, si eraribadita l’importanza di “raffreddare”l’emotività che caratterizzava scelte eprese di posizione in materia ambientale, alfine di incoraggiare una ordinaria culturadella gestione ambientale. Il primoobiettivo è stato raggiunto essenzialmenteper motivi di progressiva assuefazione; ilsecondo è ancora là da venire”.

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Ecco, l’educazione ambientale serve proprioa raggiungere il secondo obiettivo indicato:un’ordinaria cultura della gestioneambientale. Negli spazi territorialideterminati in cui gli uomini vivono,lavorano e producono. Potremmo quasisovrapporre questa determinazione digovernance territoriale, che spinge, ancheattraverso un’adeguata cultura ambientale, afacilitare le coordinate essenziali di unacomunità sostenibile, al concetto di“distretto territoriale” di Marshall,ripreso genialmente, in Italia, daBecattini. Ma non è questa la sede indicataper tratteggiare analogie e differenze tra idue assi categoriali. Certo è chel’imperativo categorico “ritornare alterritorio” sia mosso da una stringenteserie di fatti e situazioni locali eglobali, tali per cui, ad ogni azioneinterna (in-put), corrisponde un riscontroesterno oggettivo (out-put), non piùinquadrabile nella rigida sistemazione dicausa-effetto. Anzi, il quadro sfugge allasistemazione analitica classica e può esseredescritto soltanto in termini a spirale,secondo i quali, ad una progressioneinterna, corrisponde un’elevazione di

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coscienza e consapevolezza individuale ecollettiva; sicché le conseguenze esterne diquesta massa critica di nuova generazioneconduce a nuove pratiche materiali eimmateriali, volte al ridisegnodell’ambiente umano, produttivo e culturale.Dunque, una comunità risulta sostenibile soltanto allafine di un processo, di una filiera di analisi,atti, approcci e pratiche, dettate da unagovernance complessa e a geometria variabiledell’ambiente determinato, considerato nellasua identità puntuale, nella sua specificafisionomia (è la ridefinizione del Thinkglobally, act globally, ovvero glocal).

L’Agenda 21 aveva una sua caratterizzazioneoperativa, così rappresentabile:

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All’interno di questa cornice epistemologicae operativa (performativa), una "comunitàsostenibile" è, di fatto, una comunità capace diagire in modo condiviso sul piano degli atteggiamenti e deicomportamenti individuali e collettivi.

Certo è che non possa dirsi a priori“sostenibile” una qualunque comunità umana eterritoriale, dotata di vincoli epossibilità, risorse e criticità. Ancheperché la condivisione di una filieracomplessa di processi non è mai un datoscontato, tale per cui si possa dire, inmaniera ipotetico-deduttiva, “se p, alloraq”.

Anzi, la processualità complessa, interna alsistema locale, non fa che enfatizzare lequalità di saggezza democratica epartecipativo-dialogica necessarie adeducare i cittadini e facilitare la co-generazione di scelte, queste sì condivise.

Per un empirismo progettuale: un’ipotesi dilavoro

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“Sostenibile”, dunque, una comunità lodiventa, soltanto alla fine di una filiera diprocessi concatenati e spesso noncostruttivisticamente coordinabili, secondola stretta categorizzazione di un vero eproprio “piano”. Non è ipotizzabile, in unsistema locale con sue puntualicaratterizzazioni, differenziazioni estoricità, un paradigma top-down applicabilecome un protocollo ad un tempo di indagine eoperativo. Un costruttivismo astratto eimproduttivo.

Al contrario - dopo una lunga serie direpliche della storia, che hanno spintol’intelligenza analitica e la stessagovernance sociale e ambientale a ripensare sestessa e le sue misura di intervento -, ègiunto il momento di tematizzare edapplicare un metodo che definiremo empirismoprogettuale, capace di muoversi plasticamenteper tentativi ed errori, con un approccioflessibile e non ideologico (aprioristico),interessato a vagliare, verificare e

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“resettare” dati e pratiche degli individuie delle collettività locali, onde ripensarsicome soggettività auto-educantesi ededucante. Una strategia e, insieme, un’arte.

Lo spostamento del baricentro analitico estrategico dagli anni ’90 e inizi XXI°secolo ad oggi è proprio segnato da undiffuso disincanto nei confronti di unapproccio top-down e, contestualmente, da unequivoco e, dunque, disomogeneoatteggiamento nei confronti del bottom-up,concepito e vissuto come la galleria deitentativi “poveri” determinati dalleristrettezze e dalle contingenze materialidella crisi, oggi mondiale, ma ieri giàvistosamente emergente a macchia di leopardoin molte aree macro-regionali.

Dobbiamo, così, muoverci tra il chiarodisincanto verso il top-down e l’equivocoatteggiamento verso il bottom-up.

Ma, si badi, il tema non è appena unmovimento inibitorio e per così dire“depressivo” della strategia comunicativa e

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operativa sul territorio, bensì, ben piùradicalmente, la necessità di una bonificainterna delle stesse traiettorie e categorieambientali. E’ necessaria una nuova“ecologia della mente umana”, per dirla conBateson, in questo caso applicata allacomunicazione integrata sul territorio,coinvolto in un processo complesso diorganizzazione – bottom-up – di economia“sostenibile”.

Questo passaggio – dal territorio allacomunità “sostenibile” – non può esserecompiuto “come se” bastasse impiantare unplanning di tecniche comunicative atte a“coinvolgere” i cittadini, in primo luogo, equindi gli stakeholder interessati allosviluppo eco-sostenibile di un determinatoterritorio.

Perché la questione cruciale è definitadall’urgenza di non sottoporreideologicamente le “teorie” e/o i “piani” aduna cura autoimmunizzante, come direbbePopper, secondo la quale è sempre megliosalvare la teoria piuttosto che pensare ai

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fatti concreti, cioè alle persone, aiterritori, ai bisogni reali di questi ultimie, infine, alla sostenibilità di un’economiae di un territorio.

“Se vuoi vedere, impara ad agire”:l’imperativo estetico di Heinz von Foerster

Per cambiare la realtà, non la si deve prima“vedere”, per poi pianificare l’azione, ma,al contrario, come sosteneva il grandecibernetico Heinz von Foerster: “Se vuoivedere, impara ad agire”. Abbiamo fatto lastoria delle precedenti immagini linearidell’idea di “comunità sostenibile” e diricerca della “sostenibilità” proprio permostrare come, in realtà, esse siamo ilfrutto di una visione lineare e progressivadi un fenomeno, secondo la quale “laconoscenza dell’origine e dell’evoluzione diun problema nel passato sia la pre-

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condizione per la sua soluzione nelpresente”1.

Abbiamo, così, fatto la storia - nel primoparagrafo di questo lavoro - di puntualitentativi errati di soluzione di problemi(tentate soluzioni), proprio al fine dimostrare come la linearità progressiva, conil connettivo logico afferente (se p, alloraq: p = q) sia non solo inadeguata alloscopo, ma addirittura ostacoli la stessaperformatività e, di conseguenza, azionepratica volta a creare sui territori lemodalità di coinvolgimento attivo eproduttivo degli stakeholder.

Facciamo nostra in questo contesto l’idea-forza del regista e studioso statunitenseRichard Schechner, secondo la quale laperformance è quella serie di interrelazioniumane (in senso antropologico-culturale) chesi determinano nell’evento teatrale. Questapotente categoria, così illustrata, puòessere traslata efficacemente sul terreno

1 G. Nardone, P. Watzlawick, L’arte del cambiamento, TEA, Milano, sec. ediz., 2010 (prima ediz. Ponte alle Grazie, Firenze, 1990), p. 13.

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delle azioni umane complesse indirizzate, inprima battuta, a costruire la mappa deglistakeholder e, in seconda battuta, a definireuna prassi comunicativa in actu exercito, ossiarealmente “performativa”, empirica estrategica quel tanto che basta a realizzarelo scopo comune. Un metodo bottom-up nonaprioristico e costruito in laboratorio,spacciato per “universale”, ma unorientamento flessibile tanto più efficacequanto più passibile di cambiamenti interni.L’esatta applicazione del principio esteticodel “se vuoi vedere, impara ad agire”.

Si tratta di un processo di “learning-by-doing” (imparare facendo), perché si capiscefacendo e si migliora l’azione, rendendolaefficace, soltanto confrontandosi e,talvolta, scontrandosi, con le realtà localideterminate, con i gruppi di pressione e leforze che fanno, per così dire, “massacritica”.

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La selezione/individuazione deglistakeholder: la governance applicata (I)

Dopo aver compreso che una comunità umanadiventa “sostenibile” solo alla fine di unprocesso fatto di atti performativistrategici, che facilitano la comprensionedella realtà proprio mediante l’azione, ènecessario ora porsi una domanda: comeselezionare gli stakeholder adeguati allacostruzione di una comunità sostenibile?

Intanto, non è superfluo né ridondantestabilire chi sia uno “stakeholder”.

Letteralmente “stakeholder” ("to hold astake") significa possedere o portare uninteresse, un titolo, inteso (quasi) nelsenso di un "diritto".  In sostanza, lostakeholder è un soggetto (una persona,un'organizzazione o un gruppo di persone)che ritiene di detenere un "titolo" per

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entrare in relazione con una determinataorganizzazione. Un soggetto le cui opinionio decisioni, i cui atteggiamenti ocomportamenti, possono oggettivamentefavorire od ostacolare il raggiungimento diuno specifico obiettivodell'organizzazione2. 

Dunque: a) non tutti i soggetti attiviportatori di interessi sono “stakeholder”;b) è “stakeholder” chi si senta tale eritenga di poterlo essere sulla base di“titoli”, che non sono semplicementel’elenco delle “buone pratiche”, ma lecaratteristiche di congruenza certa everificabile di linguaggi, comportamenti efinalità; c) di conseguenza, ponendosi comepotenziali “stakeholder” si comunicaun’identità precisa, la propria, e si gettaun ponte dialogico-comunicativo con l’altro,il referente, che può accogliere o meno laproposta.

Fatto sta che – ecco il nodo da acclarareimmediatamente – lo “stakeholding” è già di2 Tratto dal cap. 7 del lavoro, Gorel. Governare le relazioni, Ferpi, Primavera 2002.

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per sé una faccenda di comunicazionecreativa e integrata, talmente complessa estratificata da comportare vicende e momentidi negoziazione e dialettica su punticruciali, dunque conflitti.

Occorre precisare questo concetto, perché sirischia di pensare – erroneamente – che visia, da un lato, la “comunicazione creativae integrata” finalizzata a coinvolgereattivamente gli “stakeholder”, dimenticandoche, in primis, non vi sarà mai coinvolgimentoattivo da parte di nessun soggetto che nonsia già, all’origine, coinvolto in unprocesso di integrazione delle sue risorse edei suoi obiettivi in un progettocomunitario in grado di valorizzare edenfatizzare il suo ruolo, ben più di quantoegli stesso non possa fare. La comunicazioneè già in atto quando si diventa stake-holder,perché lo stake-holding rispecchia la matriceoriginaria imprescindibile in una societàaperta, complessa e di mercato, che sichiama inter-esse, ovvero essere e stareinsieme agli altri per massimizzare idee,

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progetti, risorse, profitti e utili socialie non soltanto tali.

Questo è il modello – di cui in allegato,descriveremo le caratteristiche genealogiche– al quale fare riferimento nel corso diquesto lavoro.

La governance – altro concetto assai discussoe di larghissimo spettro semantico – è,così, la mediazione tra linguaggiperformativi, con l’obiettivo dichiarato direndere questo processo produttivo nellaesatta misura delle possibilità locali delsistema economico-ambientale di riferimento.Dunque, non si tratta di una sfera astrattadel dominio “tecnico” qualificato come“avalutativo”, ma, al contrario, siamo inpresenza di un’arte della mediazionepragmatica volta a ridefinire, di volta involta, obiettivi e strategie. Così, lamediazione sarà sempre al rialzo e mai alribasso, una mortificante svendita di unterritorio a questo o a quell’altro nucleodi potere/i e interessi (vs l’inter-esse).

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La selezione/individuazione deglistakeholder: una mappa mentale (II)

Dal sito www.urp/gov.it:

Gli stakeholder possono essere suddivisi in tre macro-categorie:

istituzioni pubbliche: enti locali territoriali(comuni, province, regioni, comunità montane, ecc.),agenzie funzionali (consorzi, camere di commercio,aziende sanitarie, agenzie ambientali, università,ecc.), aziende controllate e partecipate;

gruppi organizzati: gruppi di pressione (sindacati,associazioni di categoria, partiti e movimentipolitici, mass media), associazioni del territorio(associazioni culturali, ambientali, di consumatori,sociali, gruppi sportivi o ricreativi, ecc.);

gruppi non organizzati: cittadini e collettività(l'insieme dei cittadini componenti la comunitàlocale).

Gli stakeholder rappresentano quindi una molteplicitàcomplessa e variegata di "soggetti portatori di interessedella comunità". Per rilevare le categorie deglistakeholder è necessario analizzarne il contesto e la

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collettività di riferimento che l'Amministrazione sitrova a governare.

Dopo questa fase di "mappatura dell'esistente", occorreindividuare gli stakeholder che si vogliono coinvolgerenell'ambito dell'intervento considerato. Tale scelta devetener conto del livello decisionale da utilizzare; lasegmentazione delle classi degli stakeholder va pertantodefinita rispetto al grado di coinvolgimento degli stessinella formulazione delle politiche considerate.

Si possono individuare gli stakeholder attraverso diversemetodologie; una di queste indica come principi per laloro identificazione la capacità di influenza e quelladi interesse che essi sono in grado di esercitare:

occorre definire i "fattori di influenza" di ciascunstakeholder individuato. La capacità di influenza deisingoli portatori di interesse è determinata dallaloro: dimensione, rappresentatività, risorse attuali epotenziali, conoscenze e competenze specifiche,collocazionestrategica;

occorre stabilire il "livello di interesse" diciascun stakeholder rispetto alla sua l'incidenza ealla sua "capacità di pressione". Il "livello diinteresse" è stabilito da due fattori:l'incidenza della politica considerata rispetto allasfera di azione e agli obiettivi del portatore diinteresse individuato e dalle iniziative di pressione chegli stakeholder possono mettere in campo perpromuovere o rivendicare i propri interessi o perfavorire una propria partecipazione al processodecisionale.

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Incrociando in una matrice influenza e interesse si ottengonotre categorie di stakeholder:

 

Interesse

Influenza

  Bassa Alta

Basso  

Stakeholderappetibili

categorie che èopportunocoinvolgere

Alto

Stakeholder deboli

categorie che è doverosocoinvolgere

Stakeholderessenziali

categorie che ènecessariocoinvolgere

 

gli stakeholder essenziali, cioè coloro che ènecessario coinvolgere perché hanno alto interesse ealta influenza rispetto alla politica di riferimentoe, quindi, forte capacità di intervento sulledecisioni che l’Amministrazione vuole adottare;

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gli stakeholder appetibili, cioè coloro cheopportuno coinvolgere poiché hanno basso interesse maalta influenza. Questa categoria può essererappresentata da gruppi di pressione o da opinionleader in grado di influenzare l’opinione pubblicarispetto a determinate tematiche;

gli stakeholder deboli, cioè coloro che hannoalto interesse, ma bassa influenza. Questa categoria èrappresentata da soggetti che non hanno i mezzi egli strumenti per poter esprimere in modo forte eomogeneo i propri interessi; questi soggetticoincidono spesso con le fasce destinatarie dellepolitiche dell’Amministrazione ed è quindiopportuno coinvolgerle nella formulazione dellepolitiche stesse.

Ecco, secondo il modello aperto, con un altotasso di variabilità applicativa e unaltrettanto alto tasso di empirismostrategico e progettuale, da noi proposto,questo schema costituito da una matricedominante è deficitario, perché ancora unavolta rigidamente coinvolto in un processoaprioristico e costruttivistico (nel sensohayekiano del termine) del tipo top-down.Tant’è vero che si reputano “deboli” glistakeholder principi, per così dire, che sono

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i cittadini. Trascurando, del resto, cosaancora più grave che essi non sono soltantostakeholder, ma anche share-holder, perchécondividono fin dall’origine progetti edopere pensate ed eventualmente costruite suiterritori da loro abitati, per la semplicema decisiva ragione che questi progetti equeste opere sono finanziati con le lorotasse. Di conseguenza, essi sono glistakeholder originari, addiritturaindipendentemente dalla loro effettiva forzadi persuasione e influenza economica,politica e finanziaria. Non si dà, infatti,alcun progetto che non sia per i cittadini el’idea di cittadinanza attiva è appuntolegata a questa matrice soggettiva giuridicadi natura costituzionale, poi rifinita eridefinita dal diritto pubblico.

D’altro canto, proprio l’idea che glistakeholder non siano, quasi per diritto“naturale”, essenziali, potenziali o minori,deriva dall’effetto decisivo e dominante chelo stake-holding ha, in origine, come linguaggioe mediazione, strumento qualificante ogni

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governance che voglia dirsi e porsi comeefficace e applicabile.

Senza voler entrare in polemiche o giudiziriguardanti l’attualità politica e socialedel nostro Paese, ma è del tutto evidenteche i casi definiti nel mondo anglosassonecome Nimby, ovvero Not-in-my-backyard (Non-nel-mio-cortile), frutto spesso di localismiinterpretati ideologicamente e dialtrettanti schemi inefficaci di governanceterritoriale siano sempre più numerosi e chesi tratti di varianti in qualche modolinguistiche e comunicative da affrontarecaso-per-caso e con un’attenzioneparticolare (che non vuol dire a maglielarghe oltre ogni misura accettabile) aicittadini ed alla cittadinanza attiva.

Una cittadinanza attiva concepita comemodello radicale3 di gestione del territoriosi ispira prevalentemente ad uno schemacomunicativo di tipo inibitorio,descrivibile come “via-da”, teso ad3 Sullo schema radicale di azione pragmatica e dialettica, è fondamentale Saul D. Alinsky, Radicals. A Pragmatic Primer for Realistic Radicals, Vintage Books, Random House, New York, 1989.

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allontanare presunti “pericoli” dalterritorio, anziché affrontare questiultimi, letti come risorse, in opportunità.In quest’ultimo caso, avremo, invece, ilmodello comunicativo “andare-verso”, dinatura prevalentemente generativa4. Cambiatutto e non si può facilitare questocambiamento utilizzando il diagramma di cuisopra.

L’analisi del contesto, necessaria, perindividuare gli stakeholder, dunque, devetenere presente non tanto o soltanto ilclassico diagramma swot, che isola glielementi in gioco, in qualche modofissandoli ad obiettivi predeterminati, ma,in misura da giudicare caso per caso, lerelazioni intercorrenti fra stakeholder semprepotenziali, finché non si faciliti l’accessoalle risorse territoriali ed alle risorseconoscitive. Il punto fermo deve, così,essere situato nella linea mediana e spessonella zona grigia dei rapporti, talché, allafine, tutto si giocherà facilitando e4 Cfr. Robert Dilts, I livelli di pensiero, NLP ITALY, Alessio Roberti Editore, Urgnano (BG), 2003.

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favorendo un vantaggio non unilaterale dei“forti” (o presunti tali) e una potenzialitàin più a vantaggio dei “deboli” (o presuntitali). Evitare il gioco a somma zero: eccol’imperativo estetico e categorico dellamediazione-comunicazione in area stake-holding.Così, la governance diventa fattorefacilitante le libertà dei singoli e deigruppi e non una sommatoria di strumentiatti a mettere in moto forze a priorideterminanti, sulla base di schemi oraideologici, ora patentemente collusivi.

L’area degli stakeholder è, dunque, già di persé, per sua propria intima natura, unospazio retorico (nel senso tecnico deltermine), argomentativo, performativo e,infine, comunicativo. Non c’è bisogno diaggiungere ad esso un carico ulteriore distrumenti linguistici e comunicativi, dinatura “tecnica”, quasi a rafforzare un’areaaltrimenti estranea alla comunicazione siapubblica, sia generativa (nel senso dell’“andare-verso”).

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Stabilito questo punto fondamentale – l’areadegli stakeholder come intrinsecamente eoriginariamente comunicativa e generativa -,occorre ora discernere il “che fare”affinché quest’area variegata e stratificataper definizione possa sentirsioggettivamente coinvolta non solo perché“titolata”, ma anche in quanto “co-generativa”, “creativa”, desiderosa dirimanere come “attraccata” al porto comunedell’inter-esse, di quel modo comune disentire, vivere e partecipare alla socialitàe alla sussidiarietà orizzontale. Alla“soggettività della società”, come indicamolta buona analisi della sociologiaanglosassone ed europea continentale.

Fare cose con le parole: una propostametodologica

Il linguaggio comunica realizzando gesti ematerializzando proposizioni linguistiche inazioni.

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Se io dico: a) “Sì, prendo questa donna comemia legittima sposa”; oppure: b) “Battezzoquesta nave Regina Elena”; o, ancora: c)“Lascio questo mio orologio a mio fratello”(in un testamento); infine: d) “Scommettodieci euro che domani pioverà”, in realtà ionon descrivo un’azione, ma agiscodirettamente, la frase stessa costituiscel’esecuzione dell’azione5.

Ecco, questi moduli linguistici sono“performativi”, nel senso che dire puòessere fare.

Applicando questo paradigma performativoalla comunicazione pubblica, comprenderemosubito che frasi della natura di quellesopra riportate sono dei “classici”, in ognifaccenda di coinvolgimento attivo deglistakeholder in un progetto di comunitàsostenibile.

Abbiamo, così, immediatamente a che fare conproposizioni del tipo: “Delego questa partedel progetto alla sua competenza”; “Prendo5 John L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti 1820, Genova-Milano, IX rist. 2008.

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quest’area come legittimo spazio di azione”,e via discorrendo. Sono tutti“performativi”. Sono azioni e promesse.Dunque: sono elementi della stessagovernance.

Domandiamoci, a questo punto: come possiamorendere certo, stabile e generativo per ilmaggior numero di persone attive sulterritorio “x” questi “performativi”, ossiaqueste azioni e queste promesse?

Se siamo d’accordo che questo sia ilproblema, allora l’impegno deve spostarsisul fronte dell’accettazione sociale dellosviluppo di un progetto territoriale dicomunità sostenibile. Quest’ultimo deveessere pensato ed accettato come ilvantaggio e l’identità di ciascuno deisoggetti coinvolti. In modo che questa massacritica diventi il collante e l’espansionedell’identità anche di tutti coloro che osono critici o si ritengo esclusi se nondanneggiati dal progetto medesimo.

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E’ un’operazione di inclusività sistematica e diallargamento della stessa sfera pubblica,centrando il tutto su un determinatoprogetto territoriale. Ecco che la governanceambientale diventa sperimentazione politica e culturale adun tempo. Torniamo al “se vuoi vedere, imparaad agire”.

Il primo livello dell’azione è il linguaggio performativo. Adesso deve seguire l’apertura di uno spaziocomunicativo di accettazione elegittimazione del progetto. Questo spaziodeve essere percepito come occasione diallargamento della sfera pubblica tout court.Occorre che un’azione pubblica ecomunicativo-strategica di questa naturalasci tracce su un territorio, ne facciagerminare ricchezze e valori, ne interpretil’anima e la storia. Soltanto così undisegno comunicativo potrà trasformarsi inoccasione di allargamento della libertà deisoggetti coinvolti e della democrazia, comesfera di attivazione delle responsabilità edelle competenze individuali.

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Un inventario di strumenti e una cassettadegli attrezzi per comunicare creativamente

Alla fine di questo percorso ideativo estrategico fondamentale, ci troviamo inpieno confronto pubblico. Nel cuore dellalogistica performativa: il linguaggio devediventare vettore strategico di inclusionedei soggetti coinvolti. Stabilito, infine, la cifra specificadell’asset immateriale del linguaggio echiariti i tratti performativi del medesimo,si tratta ora di coagulare e organizzare ilconfronto, rendendolo produttivo, efficace,intelligente (nel senso etimologico dell’“intus-legere”: penetrare dentro i problemie la realtà delle cose discusse),facilitante l’apertura creativa di chiaderisce al progetto e anche di chi per oranon aderisce, non “ci sta”, ma, in unsecondo momento, a certe condizioni,potrebbe starci.

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1. Gli stakeholder nel senso sopradescritto (niente top-down), convocati inun’area apposita, un vero luogo diincontro e non un anonimo spaziometropolitano o di quartiere, discutono -adeguatamente guidati ed orientati daiprogettisti e da una rappresentanza dicittadini qualificati - sul puntogenerale e generativo del progetto: ilvalore e i vantaggi della realizzazionedi una certa idea di comunità sostenibile su quelterritorio.

2. L’uso della tecnologia – che troppospesso diventa l’oggetto del contendere,come se non fosse, invece, una risorsa,certo importante, da investire in undisegno strategico di medio-lungo periodo- non deve assorbire la mente deirelatori, che deve invece rimaneconcentrata sulla missione storicaveicolata dal progetto e sui contenutistrategici di quest’ultimo.

3. L’incontro deve essere preparato concura servendosi di agenzie apposite, di

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curatori di eventi, ma senza trascurarela viralità dei rapporti e soprattutto dei“legami deboli” (Mark Granovetter), fontedi integrazione degli individui nellecomunità, laddove i “legami forti”rappresentano spesso condizioni diframmentazione a livello generale. Anchein questo caso, il bottom-up di quartiere,il passa-parola e l’uso di mailing listassociate ad attività di bloggerappassionati a specifici progettifacilita l’azione sovente assai piùefficacemente di un convegno patinato,con i soliti “esperti” a “spiegare” senzadis-piegare passioni e intelligenzacreativa, e magari sponsorizzato dallalocale associazione industriali. Unacasistica di dati documenta questarealtà.

4. Gli stakeholder che avviano un progetto– uno start-up al pari di un micro-progettoindustriale: altro punto generativo datenere presente - sono chiamati adiventare dei veri e propri leader,

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esercitando la leadership con un ampiomargine di delega, comunicando (tutto ècomunicazione e la prima legge della“pragmatica della comunicazione” èappunto: “Non si può non comunicare”,soprattutto con il linguaggio nonverbale, paraverbale, gesti ecomportamenti, che esprimono assai di piùdi assise “tecniche” sulle issues a tema)la volontà di co-generare e strutturareun movimento ben più vasto del singoloprogetto. Una realtà territoriale ingrado di creare un polo di riferimentostabile e flessibile, con aperture einclusioni di centri studi, soggetti delterzo settore, spezzoni della societàcivile sensibile alla crescita e allosviluppo sostenibile della comunità nellaquale vivono e lavorano. L’utilità diavere un audit stabile sul territorio,dotato di collegamenti con le realtà vivee, dunque, con l’ambiente nel sensoantropico e sociale, non sarà maiabbastanza sottolineata. Un luogo di

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verifica delle strategie e, insieme, dire-immaginazione collettiva dell’idea dicomunità all’altezza della sostenibilitàambientale e sociale. Nessuno ha in manola bacchetta magica per risolvere iproblemi dello sviluppo sostenibile diuna comunità, per la semplice ragione chequella comunità è, oggi, parte integrantedi una macro-regione e, a sua volta,questa macro-regione si inscrive nellatessitura “random” di una globalizzazionesempre più territorializzata, pur nellavaporosità degli scambi e delleinterrelazioni fra uomini e merci e,soprattutto, fra uomini e idee-merci. Re-immaginare6 gli strumenti in vista dinuovi orientamenti ed obiettivicomunitari è, dunque, il primo imperativocategorico dei nuovi comunicatoristrategici impegnati sul campo dellacostruzione e implementazione di una

6 Cfr. Tom Peters, Re-imagine!, pdf, scaricabile sul sito www.tompeters.com

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fabbrica delle idee. Delle idee dicomunità sostenibile.

5. Per creare, in ogni campo, bisognaessere strutturati. Confondere la“creatività” o con l’improvvisazioneistantanea o con la disarticolazione diqualsivoglia impianto metodologico è ungrave errore. Bisogna essere strutturatiper poter essere creativi. Innovare,infatti, non significa semplicementerealizzare qualcosa di completamentenuovo, ma anche combinare l’esistente in altromodo, inventando così qualcosa che primanon c’era. Per innovare è necessariostudiare molto, avere disciplina edessere competenti. Anche il timore cheun’ idea non sia altro che unaricombinazione di idee già esistenti èoggettivamente infondato: se il mix - benriuscito - è inedito, si tratteràcomunque una novità. A ben guardare, poi,siamo circondati da idee che non sonoaltro che la combinazione di altre idee.Questi criteri di ricerca valgono per

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tutti gli ambiti dell’esplorazione umana,inclusa, ovviamente, la comunicazione. Lastessa materia ecologica e ambientale,con i suoi sviluppi di “sostenibilità”socioeconomica, non è esclusa da questoalveo di strumenti di ricombinazionedell’esistente: in fondo, non si trattache di un nuovo modo per ricombinare lacrescita equa, la qualità sociale e lapartecipazione democratica in un unicoasset, trasferibile come modelloinclusivo. Dunque, la ricombinazionedegli elementi gioca in manieradeterminante, in questa sfera umana edambientale di “nuova generazione”, percosì dire.

6. Ma come si fa a ricombinare glielementi creativamente? Intanto, unacitazione del filosofo tedescoSchopenhauer può aiutare: “Il compito non èvedere quanto nessuno ha visto ancora, ma pensarequello che ancora nessuno ha pensato su ciò che tuttivedono”. Pensare “altrimenti” è la verasvolta, al di là degli esiti immediati

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partoriti dal pensiero stesso. La libertàdall’esito allarga gli orizzontiesperienziali, conoscitivi e, alla fine,applicativi.

7. Si tratta di un mix, ma non si devepensare alla mera somma di proprietà,bensì alla considerazione di ognipossibilità combinatoria (un’arscombinatoria di nuova generazione). Così,è possibile sottrarre una cosa adun’altra, invertirne una, cambiarel’ordine o magari considerare solo alcunecaratteristiche dei componenti originali.Si giungerà, così, molto probabilmente adun risultato di spariglia mento dellesolite carte da gioco della comunicazionestrategica: la “mucca viola” di cui parlada anni lo studioso di marketing ecomunicazione americano Seth Godin. Una“mucca viola” non esiste in natura,evidentemente, ma può essere il risultatodi una ricombinazione inedita dielementi, tale da ridefinire una nuovarealtà mai vista prima (eppure semprepotenzialmente visibile…).

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8. Un geniale fisico svizzero, FritzZwicky, ha strutturato un metodo perinnovare ricombinando ed ha battezzato lasua tecnica con il nome di “scatolemorfologiche”.

9. Il metodo funziona così:

a) definite precisamente l’argomento dellavostra esplorazione: in che campo voleteinnovare? Auto? Alimentazione? Socialnetwork? Infrastrutture? Ambiente?Comunicazione?b) Bene, una volta individuata un’area dainnovare, devono essere parimentiindividuati dei parametri rilevanti – nelmaggior numero possibile – e riguardanti ilfuturo da produrre nonché il presente giànoto;c) A questo punto, per ogni parametro sideve trovare una serie di valori possibili(anche improbabili!);d) Quindi, si disegna una tabella disponendoall’inizio di ogni riga il parametro e,nelle successive caselle della riga, ivalori;e) Si individuano dei casi esistenti e sidiagrammano come nelle figure seguenti.

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Supponiamo, ad esempio, di voler trovare unnuovo mezzo di trasporto urbano. Cerco unaserie di parametri e valori e li rappresentosu una matrice.

Matrice "vergine", pronta per l'uso

Quindi analizziamo e diagrammiamo alcunicasi noti.

Skate

RollerBlade

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Ora proviamo ad inventare toccando dellearee “scoperte”:

Cosa c’è di nuovo? Per procedere sistematicamente eproduttivamente, si dovrebbero individuaretutte le soluzioni attualmente esistenti equindi cercare quella soluzione che sidifferenzia da tutte le altre. Allora,quella soluzione sarà veramente “creativa”,ma in misura direttamente proporzionale alla

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strutturazione di un sistema capace di generare dall’internodelle sue matrici le ricombinazioni possibili e utili ari-creare dal già-noto.

Applichiamo questa metodologia allacomunicazione strategica e avremo un potentestrumento di ricognizione e modellamentodelle “best practices” sul territorio, talida garantire ad ogni audit e luogo operativoun archivio imponente di soluzioni elogistica applicata.

Allegato I

L’idea di “modello”

I modelli non servono a trovare rispostepreconfezionate, per poi “blindarle”facendole diventare ideologie, cioègiustificazioni per prassi convenzionali eprotocolli astratti e burocratici. I modelli

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aiutano a trovare le domande giuste per inuovi problemi. Dunque, non sono direttivesecondo le quali si deve pensare, in pratica“indirizzi di pensiero” (=ideo-logie; nellavisione del pensiero strategico di Nardone-Watzlawick: distorsioni cognitive e/otentate soluzioni), ma sono, al contrario,il risultato del pensiero attivo.

Ciò ridefinisce l’area della comunicazione edelle cosiddette “tecniche di comunicazionestrategica e integrata”, perché si affermala necessità di ricombinare gli elementipresenti nei singoli sistemi, come descrittosopra, lasciando carta bianca ad unametodologia basata sulla strutturazione flessibile esulla flessibilità strutturata.

Un modello ha le seguenti caratteristiche:

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1. E’ semplificatore e riguarda solo gliaspetti più rilevanti della realtà;

2. E’ pragmatico e tendente a strutturareuna dimensione performativa eperformante: serve per fare e per farecose utili;

3. E’ sintetico: riassume praticamente leconnessioni più complesse;

4. E’ visivo: spiega attraverso leimmagini ciò che è difficile dire con leparole;

5. E’ schematico: organizza e mette inordine i pensieri;

6. E’ stimolante e suggestivo: nonfornisce risposte in default, ma ponedomande, spesso inedite. Solo quando siusa il modello, si ottengono le risposte,e sempre rielaborate (come per un testo,che cresce e si sviluppa in manieraoriginale, a seconda dell’originalità dellettore).

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Allegato II

Il modello-twitter per la comunità: spunti eparadossi

Il metodo è imposto dall’oggetto.

Dunque, l’oggetto-twitter impone un metodoad hoc.

Abbiamo di fronte a noi un “pubblico” chenon rispetta un target, almeno in primabattuta. Si rimodella come target solamentedopo aver “saggiato” le proposte che unapiattaforma twitter sulla governanceambientale può avanzare. Questo fatto

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alimenta la libertà di iniziativa, perchémeno vincoli mettiamo alla prima iniziativa,più in profondità si può arrivare.

1. Non esiste dibattito sulla “governanceambientale” e sulla “comunitàsostenibile”, si tratta di temi lasciatiessenzialmente ai cosiddetti “addetti ailavori”, i quali, poi, discettano diqueste materie scegliendo un target ad hoc,ad uso e consumo di certe direttive oculturali o politico-strategicheconsiderate, a torto o a ragione,imprescindibili. Dunque, si può avanzareun primo nucleo di suggestioni miranti apotenziare i luoghi comuni sull’ambientee sulla comunità sostenibile: quanto piùideologica sarà la posizione, tanto piùinteressante potrà essere la discussione,perché ciò servirà a scaldare gli animi.Twitter, come tutti i cosiddetti socialnetwork è una palestra retorica, da unlato, e, dall’altro, un rischio per lasana intelligenza, dacché l’usoscriteriato di questi strumenti sta

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diventando una vera e propria narrazionedel nostro tempo. Allora, operare secondola tecnica della comunicazioneparadossale, che mira ad attizzare ilfuoco nei punti caldi – dal nimby, di cuisi è detto, alla crisi che investe anchei territori, soprattutto nel Mezzogiorno-, significa attizzare il fuoco nei puntistrategici e, in questo senso, “caldi”, focali e inevitabili.Ciò servirà a estrarre dal fronte internodella polemica qualche punto e momentoessenziale, utile a testare gli umori e isentimenti prevalenti sui territori.

2. Operare secondo il “learning-by-doing”è un altro possibile approcciostrategico. Mettendo in piedi una sortadi piattaforma di e-learning nondichiarata, con documenti e materialiscaricabili, in modo che la conoscenza sidiffonda e si possa, con una serie ditweet successivi alla “scarica” direport, stimolare l’avanzata di una,magari sparuta, ma tenace pattuglia diappassionati alla materia, come dei

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cultori della materia senza cattedra. Isocial network hanno un potenziale diviralità anche sui temi a vasta “gittata”pedagogica, basta centrare e “sparare”rapporti su temi scottanti, come irifiuti solidi urbani; le Fenr e iproblemi che comportano, nello stalloenergetico italiano; il tema energia,cara in Italia e senza aperture oggettiveal nucleare, ma con ritardinell’implementazione strutturale esostitutiva delle Fenr. Sono alcuni temie possono essere lanciati comespartiacque, con la dovuta flessibilità,perché il tweet non è un content comevoleva la classica prima-secondagenerazione della Rete, secondo la quale“the Content is the King” (il contenuto èil re, deve dominare).

3. Passare al setaccio i siti digovernance ambientale internazionale, coni quali si può avere un link e, attraversoesso, allargare il raggio di azione: quic’è tutto un mondo da scoprire ed

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esplorare e parla soprattutto inglese.Seguire con il “Follow” siti e personaggidi questi ambienti, per poi magari, sepossibile, farsi seguire, è già di per séun contributo non banale. Sia culturaleche strategico.