fascismo e attualismo

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1 Fascismo e Attualismo Per il filosofo Ugo Spirito l’adesione all’attualismo gentiliano ed alla sua autocoscienza assoluta, significava concepire la vita come umanesimo assoluto, riscoprire l’uomo e “dare una ragione sicura alla propria esistenza” 1 . Gentile rappresentava al tempo stesso il maestro ed il profeta che lo aveva “letteralmente scoperto” ed iniziato al mondo della filosofia. 2 La nuova vita preconizzata da Gentile nel suo Proemio, al primo numero del Giornale Critico della filosofia italiana, aveva affascinato il giovane Spirito con il suo pathos argomentativo e la speranza nella palingenesi di una nuova era sia in campo speculativo che nella prassi concreta. Sin dal 1920 Gentile chiamò Spirito, con enorme sorpresa di quest’ultimo, a collaborare alla nuova rivista; Caro Spirito, sto per dare vita a una nuova rivista Giornale critico della filosofia italiana. Voglio che tu ne assuma la segreteria e che ne segua la sorte fin dall’inizio” 3 . Nella società italiana le vecchie logiche di governo basate sul potere di una ristretta oligarchia politico-capitalista erano ormai in crisi; l’irrompere delle masse sul proscenio politico 4 e gli sconvolgimenti bellici, avevano alterato i vecchi equilibri su cui si era sempre basata l’autorità delle elitès tradizionali. Dal paese saliva forte l’esigenza di una amministrazione dello Stato più equa e riformista, e questo spaventava i ceti dominanti che spingevano verso il consolidamento di uno Stato forte ed autoritario, capace di contenere queste aspirazioni, e gli idealisti rappresentavano ai loro occhi un ceto culturale capace di concretizzare tale modello di Stato. Spirito ricorda: “Negli anni dell’immediato dopoguerra gli idealisti assumessero un atteggiamento decisamente contrario alle forze democratiche e socialiste, come essi sentissero urgente il bisogno di uno Stato forte, capace di contenere le forze disgregatrici e di dare alla nazione l’impulso per una opera radicale di rinnovamento. 1 U. Spirito, Memorie di un incosciente, Edizioni Rusconi, Milano, 1977, p. 19. 2 Ivi, p. 36. 3 Ivi, p. 35. Su Gentile e la nuova rivista si veda M. Torrini, “Gentile e il Giornale Critico della filosofia italiana”, in P. Di Giovanni (a cura di), Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e antidealismo, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 306-314. 4 Dal giugno 1912 era stato introdotto il suffragio universale maschile.

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Fascismo e Attualismo

Per il filosofo Ugo Spirito l’adesione all’attualismo gentiliano ed alla sua

autocoscienza assoluta, significava concepire la vita come umanesimo assoluto,

riscoprire l’uomo e “dare una ragione sicura alla propria esistenza”1. Gentile

rappresentava al tempo stesso il maestro ed il profeta che lo aveva “letteralmente

scoperto” ed iniziato al mondo della filosofia.2 La nuova vita preconizzata da Gentile

nel suo Proemio, al primo numero del Giornale Critico della filosofia italiana, aveva

affascinato il giovane Spirito con il suo pathos argomentativo e la speranza nella

palingenesi di una nuova era sia in campo speculativo che nella prassi concreta. Sin

dal 1920 Gentile chiamò Spirito, con enorme sorpresa di quest’ultimo, a collaborare

alla nuova rivista; “Caro Spirito, sto per dare vita a una nuova rivista Giornale critico

della filosofia italiana. Voglio che tu ne assuma la segreteria e che ne segua la sorte

fin dall’inizio”3.

Nella società italiana le vecchie logiche di governo basate sul potere di una

ristretta oligarchia politico-capitalista erano ormai in crisi; l’irrompere delle masse

sul proscenio politico4 e gli sconvolgimenti bellici, avevano alterato i vecchi equilibri

su cui si era sempre basata l’autorità delle elitès tradizionali. Dal paese saliva forte

l’esigenza di una amministrazione dello Stato più equa e riformista, e questo

spaventava i ceti dominanti che spingevano verso il consolidamento di uno Stato

forte ed autoritario, capace di contenere queste aspirazioni, e gli idealisti

rappresentavano ai loro occhi un ceto culturale capace di concretizzare tale modello

di Stato. Spirito ricorda:

“Negli anni dell’immediato dopoguerra gli idealisti assumessero un

atteggiamento decisamente contrario alle forze democratiche e socialiste, come essi

sentissero urgente il bisogno di uno Stato forte, capace di contenere le forze

disgregatrici e di dare alla nazione l’impulso per una opera radicale di rinnovamento.

1 U. Spirito, Memorie di un incosciente, Edizioni Rusconi, Milano, 1977, p. 19. 2 Ivi, p. 36. 3 Ivi, p. 35. Su Gentile e la nuova rivista si veda M. Torrini, “Gentile e il Giornale Critico della filosofia italiana”, in P. Di Giovanni (a cura di), Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e antidealismo, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 306-314. 4 Dal giugno 1912 era stato introdotto il suffragio universale maschile.

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Ciò che essi avevano operato nel mondo della cultura, volevano che si estendesse a

tutta la vita politica, convinti come erano che l’Italia avesse raggiunto la maturità

politica sufficiente per uscire dalla retorica e per unificare virilmente il pensiero e

l’azione”5.

Pertanto attualismo e fascismo si ritrovarono sulla stessa strada con i

medesimi avversari, “i nemici erano comuni: socialisti e democrazia”6; ed il fascismo

secondo l’interpretazione che ne fecero gli attualisti e per le finalità dichiarate dallo

stesso movimento politico, si presentava come una alternativa nuova e valida alle due

opzioni ottocentesche di organizzazione statuale7. In particolare nella visione

monista neoidealista, il fascismo rappresentava la sintesi della contrapposizione delle

due ideologie, erede del liberalismo spaventiano e della destra storica ottocentesca:

“Gli idealisti, insomma, avevano la convinzione che la rivoluzione fascista fosse la

loro rivoluzione e cioè la conclusione politica del rinnovamento spirituale da essi

promosso”8. Il movimento fascista in quella fase critica della vita politica italiana,

abbandona quasi subito il programma sanselpocrino e rivoluzionario del 1919, per

caratterizzarsi invece per un marcato antibolscevismo9.

Nella sua autobiografia Memorie di un incosciente Spirito fa risalire la sua

adesione al fascismo alla data “storica, più o meno approssimativa. Si può parlare del

dopoguerra o di alcuni episodi del dopoguerra”10, in quanto “il fascismo non spunta

all’improvviso come un fungo imprevisto, ma è il frutto di un lungo processo che

5 U. Spirito, La riforma Gentile della scuola, in Id., Giovanni Gentile, Sansoni, Firenze, 1969, p. 146. 6 Ibidem. 7“Un liberalismo tra conservatore e reazionario, antidemocratico e antisocialistico, avverso all’illuminismo e al marxismo, all’individualismo e al classismo, al pacifismo e all’internazionalismo […] tanto il nazionalismo quanto il fascismo sono nient’altro che la rinascita del liberalismo della Destra”, S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p.7. 8 U. Spirito, La riforma Gentile della scuola, in Id., Giovanni Gentile, cit. p.147. 9 Cfr. R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1965, pp.500-511. Inoltre per De Felice lo studio che aveva tentato di cogliere un “minimo comune denominatore” tra i vari fascismi è rappresentato da E. Nolte, I Tre volti del fascismo, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1971, (titolo originale: Der Faschismus in seiner Epoche. Die Action francaise – Der Italienischer Faschismus – Der Nationalsozialismus, Piper, Munchen, 1963) che a p. 49 afferma: ”Il Fascismo è antimarxismo che tenta di distruggere l’avversario mediante l’elaborazione di una ideologia radicalmente contrapposta eppure limitrofa, e l’impiego di metodi quasi identici eppure dalle caratteristiche proprie, sempre però nei limiti insuperabili dell’autoaffermazione e dell’autonomia nazionali.” 10 U. Spirito, Memorie di un incosciente, cit. p. 45.

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occorre ripercorrere nella sua lunga formazione. Possiamo dire che le sue radici sono

nei principi del nuovo idealismo italiano, in antitesi col vecchio positivismo”11.

Per il giovane filosofo la sua adesione al fascismo è consustanziale al suo

divenire attualista. Fin dalla riforma gentiliana della dialettica hegeliana, definita la

“controriforma della dialettica”12, leggendovi un carattere politicamente reazionario,

tutta la costruzione attualista gentiliana si era caratterizzata per la tendenza a ridurre

tutte le pluralità in unità, del monismo di teoria e prassi. Il fascismo delle origini,

praticamente si appropria e strumentalizza per esigenze e fini politici, della dottrina

neoidealista, in quanto carente di una sua propria13. Contro gli astrattismi ed i

verbalismi della democrazia parlamentare, contro il pacifismo della “Italietta

pantofolaia”, il fascismo voleva contrapporre una nuova Italia forte e sicura, così che

potesse primeggiare nel consesso delle grandi nazionali occidentali: la dottrina

idealista poteva essere funzionale a tale scopo. Gentile vede o crede di riconoscere

nel nuovo movimento fascista l’erede ultimo della tradizione del liberalismo

conservatore italiano e del Risorgimento14, con il suo richiamo alla gerarchizzazione

della società, all’ordine ed alla disciplina, al nazionalismo, in un periodo come quello

dei primi anni venti caratterizzati dalla paura incombente della rivoluzione proletaria:

”movimento di popolo ansioso di conseguire un ordine nuovo provvido e benefico

verso la classe più umile della Nazione, verso quel quarto Stato che la rivoluzione

francese aveva sfruttato e al tempo stesso calpestato”15. Il fascismo si proponeva

dunque in netta opposizione al democratismo di derivazione illuminista nato con la

rivoluzione d’oltralpe.

11 Ibidem. 12 Cfr. F. Valentini, La controriforma della dialettica. Coscienza e storia nel neoidealismo italiano, Editori Riuniti, Roma, 1966. 13 Come ricorda lo stesso Spirito: “Fu così che, dopo la guerra, nel giro di qualche anno, tutta l’Italia si ritrovò fascista. Guida spirituale era, naturalmente, il neoidealismo. Il neoidealismo, tutto. Un neoidealismo al quale non era estranea la componente nazionalistica, né quella delle correnti filosofiche in crisi” U. Spirito, Critica della Democrazia, Luni Editrice, Trento, 1999, p.28 (1^ Edizione 1963). 14 Cfr. A. Negri, “L’interpretazione del Risorgimento di G. Gentile”, in Critica Storica, 1973, p. 3. In tale articolo Negri sottolinea particolarmente il mazzinianesimo di Gentile e il rapporto tra Risorgimento e Fascismo. 15 F. Gramatica, La dottrina del Fascismo. Idea e realtà nel pensiero di Mussolini, Rivista internazionale di filosofia politica e sociale, Genova, 1937-XV, p. 19.

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In un’epoca impregnata di irrazionalità e misticismo, l’attualismo gentiliano

ponendo la continuità tra risorgimento e fascismo, risale al liberalismo etico di

Giuseppe Mazzini.16 L’antindividualismo borghese mazziniano, unione di pensiero e

azione, con la sua concezione mistico-spiritualista dello Stato, rappresenta una tappa

fondamentale nella elaborazione politica gentiliana, che egli concretizza nell’opera I

profeti del Risorgimento italiano del 192317. Successivamente durante la campagna

elettorale del 1924 con la legge Acerbo, Gentile ribadirà che: “Del marxismo i

fascisti combattono poi quello che ne combatteva già Mazzini con apostolico ardore:

Mazzini profeta del nostro Risorgimento e, per molteplici aspetti della sua dottrina,

maestro dell’odierno fascismo: la concezione utilitaria, materialistica, e quindi

egoistica della vita, intesa come campo di diritti da rivendicare, anzi che come

palestra di doveri da compiere, col sacrificio di per sé per un ideale. Questo

marxismo che restringeva gli orizzonti del pensiero e del cuore umano e

rappresentava la storia come un gran teatro di interessi economici, la dottrina fascista

ha il merito di combatterlo col metodo appunto di Giuseppe Mazzini”18.

Attualismo e fascismo pur muovendo da presupposti lontani e

apparentemente divergenti si ritrovarono fatalmente a percorrere lo stesso percorso,

in quanto simile era il loro orizzonte culturale19. La dottrina filosofica (attualismo) ed

il movimento politico (fascismo) attraverso una serie di interrelazioni ed interazioni

16 Al riguardo si veda F. Gaeta, Il Nazionalismo italiano, cit., p. 43, dove in relazione a Gentile scrive: “Egli poteva anche parlare del fascismo come della più perfetta forma di liberalismo e della democrazia in conformità alla dottrina mazziniana”. 17 In relazione al pensiero risorgimentale gentiliano H. S. Harris ha osservato: “Gentile era, io credo, ossessionato dal fatto che il Risorgimento fosse ancora incompleto. La sua immagine dell’età eroica, precedente la sua nascita era ancora più romantica, ancora più idealizzata di quella a me imposta dai liberali vittoriani; ed aveva chiara consapevolezza di quanto fosse rimasto da fare per creare la vera coscienza nazionale, interpretare la quale è il compito ufficiale del filoso hegeliano”, H.S. Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, cit., p. 22. 18 Discorso tenuto nel Teatro Massimo di Palermo il 31 marzo 1924, in occasione delle elezioni generali politiche, ora in G. Gentile, Che cosa è il fascismo, Vallecchi Editore, Firenze, 1925, p. 43. 19 “L’esaltazione del fare contrapposto al contemplare, dell’atto proiettantesi in avanti di contro al

fatto legato al passato; l’esaltazione della onnipotenza dello spirito affrancantesi da qualsiasi limite: ecco i fomiti attualistici dell’attivismo e del retorico e ottimistico superomismo propri del fascismo. E, altresì la monistica negazione gentiliana dei molteplici soggetti a pro dell’unico atto apre la via all’autoritario e centralistico stato fascista. Ciò basta a far includere l’attualismo tra le matrici della mentalità fascistica”, S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, cit., p.166. Sul rapporto attualismo-fascismo è di parere opposto G. Sasso, Le due Italie, cit., che ritiene non vi sia nessun rapporto, e men che meno identità tra di loro. Egli ritiene che la filosofia dell’atto puro, come dottrina filosofica, abbia una sua autonomia ed una sua logica, che non può essere tradotta in una teoria politica fascista.

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si supportarono a vicenda. Essendosi il fascismo caratterizzato per il suo

transclassismo, coagulando intorno a sé ceti diversi e talvolta con interessi

contrastanti tra loro, utilizzò l’attualismo al suo interno in funzione catalizzatrice,

come collante di tutta quella borghesia medio-piccola, fornendo a questi ceti un

comune fattore ideologico. Nella fase di edificazione del regime la filosofia

neoidealista legittima e nobilita culturalmente il fascismo, che nel momento della sua

ascesa al potere aveva bisogno di intellettuali affermati20, che rassicurassero la

borghesia nel senso della continuità. Nello stesso tempo all’attualismo gentiliano

veniva data la possibilità di applicare concretamente i propri principi pedagogici,

attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione offerto a Gentile quale indipendente,

poteva rappresentare quello strumento principe per realizzare l’auspicata nuova

coscienza nazionale unitaria. Nell’immediato primo dopoguerra, Gentile unitamente

a Giuseppe Lombardo Radice e Bernardino Varisco, ed altri intellettuali aveva dato

vita al Fascio di Educazione Nazionale, definito l’”approccio idealistico

all’istruzione”, senza che non vi fosse però nessun collegamento con i Fasci di

Combattimento mussoliniani. In effetti il fascismo difettava di un suo programma

educativo autonomo e la nomina di Gentile a Ministro poteva quindi assolvere ad una

duplice finalità.

Dopo quasi un anno dalla nomina ministeriale di Gentile, in un articolo

apparso nella pagina culturale de Il giornale d’Italia, Ugo Spirito sintetizzava

l’importanza e la valenza di tale avvenimento, sottolineando particolarmente la

novità assoluta rappresentata da un filosofo alla guida di un ministero così

importante21. Il giovane studioso metteva in luce come fossero stereotipi ormai

consolidati nell’immaginario collettivo, il concepire la filosofia come un qualcosa di

trascendente e completamente avulsa dalla realtà, come le nuvole di aristofanea

20 Al riguardo del complesso rapporto Gentile-Fascismo, emblematico è il giudizio di Franco Gaeta:

“In realtà lo Stato Fascista quale risultò nelle pratiche attuazioni non fu gentiliano che sulla carta: Gentile fu la lustra che il fascismo si concesse (anche polemicamente verso il liberalismo rinnovato da Croce dopo il 1925) perché sentiva il bisogno di un ideologo di grido e di e di levatura internazionale […] la sua filosofia non era in realtà l'ispiratrice vera del fascismo” F. Gaeta, Il Nazionalismo Italiano, cit., p.249. Vedi anche S. Zappoli, “Gentile e il fascismo”, in P. Di Giovanni (a cura di), Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e antidealismo, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 147-167. 21 U. Spirito, “Un filosofo ministro – Giovanni Gentile”, in Il Giornale d’Italia, XXIII, n. 206, 30 agosto 1923, p. 3.

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memoria, così che “un filosofo ministro fa sorridere molti con aria incredula e

ironica”22. Tale giudizio si basava sull’erronea convinzione dell’esistenza di un

mondo intellettuale separato dalle problematiche del mondo empirico, riducendo il

pensiero filosofico ad una astratta contemplazione della realtà. L’intento spiritiano

era finalizzato al tentativo di spiegare come il costruendo Stato fascista avesse

bisogno della filosofia idealista, per dare un fondamento ai propri obiettivi di

costruzione di una Nazione nuova, non basata più sull’egoismo individualista e sul

particolarismo di tipo liberale, ma che fosse finalizzata all’edificazione di una inedita

comunità di popolo. L’uomo nuovo doveva superare la povertà spirituale dell’uomo

frazionario, diviso tra filosofia e politica, realizzando la sintesi ottimale dell’”uomo

intero”, in grado di superare i dualismi tra teoria e prassi, tra pensiero ed azione.

Tutta la filosofia attualista fin dai suoi esordi era finalizzata al superamento

dell’ennesimo intellettualismo, per unire filosofia e vita, in quanto “se astratta è la

filosofia che si aliena dalla vita, non meno astratta è la politica che prescinda da ogni

serio concetto della realtà”23. Per Spirito la principale innovazione nella storia della

filosofia nelle teoresi del Gentile, era di valore non inferiore ai grandi classici

filosofici di tutti i tempi. Essa si concretizzava nella nuova consapevolezza

dell’uomo moderno, che nella sua libera attività di soggetto pensante, non doveva

essere condizionato e spettatore passivo della datità della realtà sensibile, di un

mondo precostituito ed immutabile ab aeterno, a cui il soggetto poteva solo adattarsi.

L’uomo gentiliano è faber fortunae suae, artefice del proprio destino in piena

responsabilità, creatore della sua felicità e costruttore di un mondo nuovo, “pensiero

in atto, atto in atto e segna una svolta epocale nella storia del pensiero occidentale”24.

In termini politici questo si traduceva (nell’interpretazione di Spirito) in una attività

continua di superamento dell’esistente, di rivoluzione degli ordinamenti dati, che la

trasformazione fascista dello Stato sembrava realizzare attraverso quella che verrà

denominata “rivoluzione permanente”25. L’azione che scaturisce dal pensiero, sarà

tanto più grande quanto più grande sarà il pensiero. Così la filosofia diventava vita

22 Ibidem. 23 Ibidem. 24 A. Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all’antiscienza, cit., p. 51. 25 L’espressione è quella usata da V. Mathieu in relazione alla posizione filosofica di Giovanni Gentile, in V. Mathieu, Storia della filosofia. La filosofia del 900, Ed. Le Monnier, Firenze, 1978, vol. VII, Tomo I, p. 394.

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sociale, educazione politica, quindi: “cessa ogni significato astratto di politica: e

filosofo, educatore, politico diventano sinonimi di uomo – Giovanni Gentile che è

pervenuto a questo nuovo concetto della realtà, ci mostra con l’esempio della sua

vita, l’attuazione più alta e coerente della nuova idealità”26.

La filosofia gentiliana era una filosofia dell’azione che non accettava nessuna

realtà precostituita: pertanto lo stesso concetto di italianità non era un diritto ma un

dovere. Spirito teorizzava il non doversi beare sugli allori del nostro passato, ma al

contrario dovevamo invece noi stessi fare la nostra storia per essere degni delle

nostre tradizioni italiche. Gentile aveva impegnato tutta la sua vita di filosofo e

storico per rivalutare il pensiero italiano, ed egli stesso era diventato il simbolo della

nuova Italia, appunto l’”uomo intero” che “senta come pensa, e operi come parla,

uno, saldo, con la fede che spiana i monti perché fonda la volontà nel dovere, e le dà

tempra di acciaio”27, in quanto presi singolarmente nei loro particolarismi “il puro

filosofo e il puro politico sono due astrazioni egualmente deleterie”28. Bisogna aprirsi

al mondo e sintetizzarsi nell’universale quale “uomo intero” che “vive realizzandosi

nella nazione”29.

Al termine del primo anno dell’era del nuovo regime, lo sviluppo del

fascismo spiritiano si declina attraverso lo studio dei temi fondamentali che sono

necessari per l’edificazione dello Stato nuovo: “la riforma della scuola, la

Enciclopedia Italiana, gli studi di economia politica e di diritto penale, i principali

problemi legati al nuovo assetto sociale e statale”30. Liberandosi da tutte le “pastoie e

di tutto il marciume di una fiacca coscienza falsamente democratica” che avevano

fino a quel momento frenato il libero sviluppo della nazione italiana31. Spirito dal

febbraio 1923 al giugno 1924 dirige la rivista “L Educazione Nazionale”, quindi nel

solco della sua adesione al fascismo per l’attuazione deli principi attualisti, si

26 U. Spirito, “Un filosofo ministro – Giovanni Gentile”, art. cit., p. 3. 27 G. Gentile, Il problema della scolastica e il pensiero italiano, cit., p. 213. 28 U. Spirito, “Un filosofo ministro – Giovanni Gentile”, art. cit., p. 3 29 Ibidem. 30 A. Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all’antiscienza, Edizioni Guerrini, Associati, Milano, 1999, p. 54. 31 U. Spirito, Un filosofo ministro – Giovanni Gentile, art. cit., p. 3

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impegna a fondo nella difesa della “più fascista delle riforme”32 con una fede

intransigente.

Il primo storico in Italia ad avere avuto un approccio diverso ed inedito nello

studio e sull’interpretazione del fascismo è stato Renzo De Felice, che ha avuto il

merito, di aver evidenziato le difficoltà interpretative del “paradigma antifascista”33,

32 Alla famosa affermazione mussoliniana, un parere completamente avverso ed isolato, tra i giovani intellettuali, alla riforma gentiliana, fu quello di Gobetti: “Gentile ha imposto alla scuola un abito lugubre, clericale, bigotto, un dottrinarismo saraceno”, P. Gobetti, “Gentile usurpatore”, cit. in Enciclopedia dell’antifascismo e della resistenza, Ed. La Pietra, 1987, Vol. V (R-S), (Fascistizzazione della scuola), p. 444. 33 Tale paradigma ha dominato la storiografia politico-filosofica sul fascismo e si è articolata su tre filoni principali: conservatore – liberalradicale - marxista. La prima è quella rappresentata da Croce, dell’interpretazione parentetica del fascismo come invasione degli Hyksos, che non può e non deve intaccare la nobile tradizione culturale secolare italiana, caratterizzata da una grande civiltà filosofico-letteraria di rilevanza mondiale, e di cui i venti anni fascisti rappresentano solo una “parentesi” dominata da barbari replicanti. Per il filosofo napoletano il fascismo non aveva una sua cultura propria, né una sua propria dottrina politica, nè un suo retroterra culturale originale, ma era stato e si era caratterizzato assorbendo varie istanze pre-esistenti quali, il futurismo, il fiumanesimo, il nazionalismo, etc. In sintesi il fascismo era stato una “malattia morale” che l’Italia doveva e poteva superare per riprendere il suo cammino di progresso nell’ambito della comunità internazionale. Questa tesi fu espressa da Croce in un articolo per il New York Times nel novembre 1943 (ora in B. Croce, Scritti e discorsi politici (1943-1947), Laterza, Bari, 1963) e ribadita in un discorso tenuto il 28 gennaio 1944 al congresso di Bari dei Comitati di liberazione, completata inoltre da affermazioni sul fascismo come “smarrimento di coscienza” e “depressione civile.” Sulla stessa linea ermeneutica è Norberto Bobbio secondo il quale il fascismo non possedeva nessuna dottrina nè progetto culturale, per cui fosse possibile collocarlo in una corrente di pensiero politico novecentesco ben definito. Il fascismo all’opposto del mazzinianesimo era “azione senza pensiero”, in quanto l’unica ideologia del fascismo era la “violenza in corpo” assorbita attraverso la paternità spirituale del misticismo dannunziano la cui opera “è un repertorio inesauribile dei motivi più triti del decadentismo, dell’irrazionalismo alleato all’adorazione della violenza, del nichilismo e del nietzscheanesimo più volgare”, Per il filosofo torinese il fascismo ha rappresentato una “ideologia negativa” nella quale sono “confluite concezioni del mondo e della storia, idee politiche e sociali, etiche e giuridiche, modi di pensare, atteggiamenti spirituali, umori ed argomenti polemici, che già si erano manifestati con forza suggestiva se non proprio dirompente, nel quarto di secolo precedente. Un pensiero politico pertanto caratterizzato da un “vacuum ideologico”. N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia. I regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche, Edizioni CDE, Milano, 1997, pp. 40-61 ed anche G. Quazza, (a cura di), Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino, 1973, p. 220. L’interpretazione liberal-radicale si rifà all’analisi di Piero Gobetti del fascismo come continuazione dell’Italia liberale, con tutti i suoi mali secolari: paternalismo, nepotismo, clientelismo, trasformismo ed autoritarismo. Per il filosofo torinese la vita politica italiana attraverso i secoli, si era caratterizzata per un difetto di autonomia, che era stato l’ostacolo fondamentale alla creazione di una classe dirigente adeguata e di una economia moderna. La riforma religiosa italiana si identifica con Machiavelli, filosofo moderno che teorizza uno stato non trascendente, basato su una religione civile che vada oltre il parassitismo delle corti, ma in età moderna il ritardo culturale ed economico italiano si accentua. Il fascismo per Gobetti rappresenta l’”autobiografia della nazione”, l’apoteosi di tutte le aporie della nazione, perché conferma nel popolo italiano l’abito cortigiano, la mancanza di senso civico e la propensione al compromesso con l’attesa costante in un capo, deus ex machina, che risolva tutti i suoi problemi. P. Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino, 1924. Per converso l’interpretazione della storiografia marxista ha sempre basato tutti i suoi assunti sulla definizione togliattiana del fascismo, come

9

legato a semplificazioni di tipo ideologico34. Inoltre un’altra peculiarità dello storico

reatino è stata quella di aver sottolineato l’evoluzione del fascismo attraverso le sue

differenti fasi nell’arco del ventennio, fattore che lo ha portato a teorizzare

l’esistenza non di un solo fenomeno fascista ma di più fascismi durante il suo

periodo al potere. La sua ermeneutica non è stata esente da critiche in quanto definita

“revisionista” se non “giustificazionista”35. Inoltre De Felice è stato il primo studioso

che ha posto la differenza tra il fascismo come movimento ed il fascismo come

regime, che sarà oggetto di approfondimento nel prossimo paragrafo.

Oltre che nella sua autobiografia, Spirito aveva già esposto il suo pensiero

riguardo alla questione del fascismo come erede del liberalismo della Destra Storica,

ancora nella sua opera del 1956, La riforma della scuola, in particolare nel paragrafo

intitolato Idealismo e Fascismo affermando che: “Fascisti o filofascisti furono nei

primi tempi tutti gli idealisti, convinti che il nuovo movimento potesse

sostanzialmente coincidere col liberalismo come essi lo intendevano”36.

Ecco che si pone ancora una volta il parallelismo tra la rivoluzione teoretica,

che l’attualismo vuole porre in essere in campo speculativo, intesa come

rinnovamento spirituale del popolo italiano dilaniato dal virus della lotta di classe,

“regime reazionario di massa”, che trova la sua enunciazione classica nella definizione di Georgi Dimitrov, segretario del comitato della terza internazionale, che considerava i totalitarismi fascisti come “la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti, e più imperialisti del capitale finanziario.” Tale analisi che vede in tali regimi lo scontro decisivo tra capitalismo e rivoluzione proletaria, dove all’interno delle forze capitaliste convergono e si uniscono i differenti strati della borghesia, e liquida il fascismo come mero regime reazionario è a nostro avviso riduttiva in quanto esclude altri fattori importanti al fine della comprensione della sua genesi. 34 De Felice ha ben evidenziato che: “La inadeguatezza di tutte e tre queste interpretazioni singolarmente prese e, al tempo stesso, di ogni tentativo – per suggestivo che a prima vista possa apparire – di conciliarle tra di loro […] quando cioè le grandi ideologie che avevano dominato la prima metà del nostro secolo e avevano espresso le tre interpretazioni classiche del fascismo stavano entrando in crisi, se non erano proprio al tramonto come qualcuno sosteneva, certo diventavano di anno in anno meno monolitiche e politicamente meno esclusiviste.” R. De Felice, Le interpretazioni del Fascismo, Laterza, Bari, 1969, pp.14-15. Inoltre anche Cfr. N. Baldassarre, “La costruzione del paradigma antifascista e la costituzione repubblicana”, in Fascismo ed antifascismo negli anni della Repubblica, Problemi del socialismo, 7, 1986, pp. 11-33. 35 Si veda tra gli altri quanto ha scritto Enzo Collotti ritenendo che in De Felice vi sia la “ossessiva preoccupazione “ al di sopra di ogni altra cosa di : “allontanare dal fascismo italiano il peso dei gravi crimini di cui si è macchiato il nazismo, a costo di rischiare una sorta di caricatura del fascismo buono al confronto di quello cattivo[…]Il De Felice è stato spinto dalla volontà di attenuare ad ogni costo gli aspetti oppressivi del regime fascista a correre il rischio di fare, al limite, del puro e semplice giustificazionismo”, E. Collotti, Fascismo, Fascismi, Biblioteca Universale Sansoni, Firenze, 1989, p. 11. 36 U. Spirito, La riforma della scuola, Sansoni, Firenze, 1956, p. 119.

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instillato dai movimenti socialisti, e la rivoluzione politica perorata dal fascismo, che

viene vista appunto come l’anticorpo che quel virus è in grado di distruggere. Nello

stesso paragrafo Spirito cita un articolo pubblicato da Gentile sull’ Idea nazionale del

28 ottobre 1923, intitolato “La marcia su Roma”, dove il filosofo di Castelvetrano

vedeva proprio in questo avvenimento dirompente della vita politica italiana lo

sbocco di tutto il movimento idealista del Ventesimo secolo, inteso come lotta alla

democrazia, al socialismo, all’illuminismo ed alla sua derivazione positivista.

L’elemento di tale reazione era una sintesi di filosofia idealista, sentimento religioso,

sindacalismo rivoluzionario e guerra37.

Spirito, attualista e gentiliano, poneva inoltre una netta dicotomia tra il

liberalismo germanico-hegeliano-spaventiano ed il classico liberalismo materialista

settecentesco, nato in Inghilterra, basato sul laissez faire e sul non-intervento statale,

caratterizzato dalla smithiana “mano invisibile” che doveva garantire l’andamento

naturale e positivo delle cose. Questo vecchio liberalismo di derivazione

contrattualista-giusnaturalista, era ancora fondato sulla contrapposizione tra

individuo e stato, in quanto appunto lo Stato trascendente era guardato con

diffidenza, e si preferiva l’iniziativa privata dei singoli. Invece la nuova concezione

liberale diffusasi in Germania con l’hegelismo durante l’Ottocento post-

rivoluzionario, basato sulla concezione dello Stato etico, “ha nel fascismo il suo

unico erede e prosecutore”38. In tal modo tra cittadino e Stato non vi è lotta ma unità

d’intenti, per cui tutte le differenze si annullano e progressivamente Stato ed

individuo si identificano. Lo Stato non è al di sopra dei cittadini inter homines ma è

invece in interiore homine39, cioè si concretizza dentro noi stessi, attraverso l’azione

e l’opera di tutti suoi componenti come di un'unica comunità spirituale. L’hegeliano

Stato etico trovava nel fascismo la sua realizzazione pratica, attuando il superamento

di tutti i particolarismi individuali nel tutto, nell’unità spirituale dello Stato. Dopo

l’avvento al potere del fascismo, Gentile e Carmelo Licitra fondano nel dicembre del

37 Ivi, p. 120 38 S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, cit., p. 164. 39 Harris sottolinea che l’espressione gentiliana in interiore homine che riecheggia frequentemente nei suoi scritti è ripresa da S. Agostino: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitas veritas”, S. Agostino, De vera religione, 39, Migne, P.L., XXXIV, 154; H.S. Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, cit., p. 40. Contro questa interpretazione si veda G. Solari, “Stato corporativo e Stato etico”, in Nuovi Studi di diritto, economia e politica, 1930, III, p. 119.

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1922 una nuova rivista bimestrale di studi politici, destinata ad un buon successo,

cambiando vari nomi durante tutto il ventennio: La nuova politica liberale. Tra i

collaboratori fondatori compaiono oltre ad Antonio Anzillotti, Benedetto Croce,

Giuseppe Lombardo Radice, Gioacchino Volpe, anche Ugo Spirito40.

Pur modificando successivamente negli anni il suo nome, in Educazione

Politica, Educazione Fascista, ed infine in Civiltà Fascista, tale rivista sarà

pubblicata per tutto l’arco del regime. Nel primo numero del Gennaio 1923 vi è un

interessante articolo di Gentile intitolato “Il mio Liberalismo”, dove egli pone

nettamente la distinzione trai due tipi di liberalismo che abbiamo osservato

precedentemente:

“C’è un altro liberalismo, nato nel secolo XIX nella piena maturità dello

stesso pensiero della Rivoluzione […] che afferma rigorosamente lo stato come

realtà etica”41. Infatti Gentile ribadisce che “un liberalismo senza stato è un

liberalismo senza libertà” in quanto “afferma rigorosamente lo stato come realtà

etica.” Proseguendo il filosofo siciliano prendeva le distanze sia dal “liberalismo

giacobino e antistorico del secolo XVIII”, in quanto ancora basato sul dualismo e

sulla contrapposizione tra individuo e stato, presupponendo l’individuo e negando lo

stato, sia dal socialismo che commetteva invece l’errore inverso, affermando una

volta per sempre lo stato e negando di conseguenza l’individuo42. Lo Stato non è

concepibile esterno e contrapposto all’individuo e questi non può esistere fuori dallo

Stato.

Pertanto Gentile auspicava la “necessità suprema di uno Stato forte” e di una

“disciplina ferrea, che sia scuola rigorosa di volontà e di caratteri politici.”43, che

rompesse con la posticcia democrazia dei politicanti di professione, massoni e

radicali che atomizzavano e dividevano gli individui attraverso il suffragio

40 Zeppi ritiene che in questa fase iniziale della nuova rivista politica, il ruolo di Spirito sia: “Ancora ai suoi primi passi sui terreni della filosofia e della politica ed ancora – su entrambi – discepolo ortodosso del Gentile, è, negli anni qui considerati, U. Spirito, […] Per il momento egli è soltanto uno dei più fervidi e fedeli collaboratori del Gentile nella rivista La nuova politica liberale da questi fondata nel 1922, ove sostiene l’identità di idealismo e fascismo…” S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 171. 41 G. Gentile, “Il mio liberalismo”, in La nuova politica liberale, p.1, Gennaio 1923, p. 9. 42 Ivi, p. 10. 43 Ivi, p. 11.

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universale. Quindi per Gentile, il liberalismo neoidealista sviluppatosi in Italia lungo

la linea Spaventa – Crispi – Sonnino – Salandra, era un liberalismo superiore a quello

classico anglosassone di derivazione empirista, un liberalismo “come l’intendevano

gli uomini della vecchia Destra che guidò l’Italia” un liberalismo “nella legge e nello

stato forte e nello stato concepito come realtà etica” e di cui il fascismo rappresenta

la sintesi, un liberalismo che conteneva al suo interno tali istanze, e che era

rappresentato da Mussolini44. Nei confronti dell’emergente fascismo e del

nazionalismo, “nessuno dei seguaci del metodo filosofico avviato da Gentile, può

dirsi effettivo oppositore di quelle due forze politiche”45.

Il 28 novembre 1903 Gentile esordisce a Pisa, dove aveva ottenuto un

corso di filosofia teoretica, con la prolusione “La rinascita dell’idealismo”, che può

considerarsi il vero manifesto programmatico dell’attualismo, un programma

completo46. Quindi è indiscutibile che il binomio fascismo – attualismo, in quanto

unità sostanziale di carattere speculativo, non consentiva di separare la sorte

dell’attualismo da quella del fascismo. Il giovane Spirito vedeva nel fascismo la

realizzazione politica degli ideali attualisti, la rivoluzione fascista poteva

concretamente realizzare gli assunti di tale filosofia. Non vi sono dubbi nell’adesione

di Spirito al fascismo, la scelta politica è precisa e contemporanea alla scelta

speculativa47. Il fascismo spiritiano è assolutamente trasparente, attualismo

significava accettazione tout cort del regime, fascismo e attualismo “coincidevano

senza limiti e senza riserve”. L’influenza del carisma gentiliano ha avuto un ruolo

significativo sulle scelte del giovane filosofo, carisma culturale che influenzò anche

altri intellettuali italiani48.

44 Cfr. Lettera aperta di Gentile a Mussolini del 31 maggio 1923, in H.S. Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, cit., p. 249. 45 S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, cit., p.175. 46 Giovanni Gentile. Opere Filosofiche, a cura di E. Garin, Garzanti, Milano, 1991, pp. 250-252. 47 “Credemmo nel fascismo perché esso era appoggiato a una filosofia, e noi, prima di essere fascisti, eravamo idealisti, attualisti” U. Spirito, Dall’attualismo al problematicismo, Sansoni, Firenze, 1976, p. 13. 48 Bobbio, filosofo non sospetto certamente di simpatie neoidealiste, ricordava: “Anch’io, durante gli anni universitari […] avevo avuto il mio periodo d’infatuazione gentiliana […] Mi pareva impossibile che, poiché Gentile era fascista, il fascismo avesse torto…”, N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, Ediizioni C.D.E., Milano, 1997, pp. 191-192.

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Il fascismo come movimento ed il fascismo come sistema

Un altro fattore da valutare attentamente proseguendo nell’analisi dei

collegamenti esistenti tra attualismo e fascismo, è la definizione defeliciana tra il

fascismo–movimento prima del 1922 ed il fascismo-regime49 della fase successiva,

che ha utilizzato anche Antimo Negri per porre un parallelismo tra il cammino del

movimento politico mussoliniano e la filosofia attualista.

Premettendo che la costruzione teoretica dell’attualismo è anteriore alla

marcia su Roma “non è azzardato ammettere che l’attualismo, se per filosofia del

fascismo – movimento più che del fascismo – regime[…] l’attualismo non può non

privilegiare posto che ne sia la filosofia, il fascismo-movimento in forza della stessa

riforma che esso opera della dialettica hegeliana[…] Riformatore di questa dialettica,

Gentile opta per la conservazione della <inquetudine> del <divenire>, anche di quel

<divenire> etico-politico che è lo stato”50. Oltre alla interpretazione che vuole la

filosofia attualista codificata antecedentemente alla nascita del fascismo, lo stesso

Gentile aveva affermato al riguardo di Mussolini che:

“noi non conoscevamo ancora nel suo intimo lo spirito del fascismo, e non

l’avevamo visto in azione come lo vedemmo da che esso fu al governo, e sopra tutto

non conoscevamo la persona che ne è l’anima e nel cui cuore è il segreto della sua

forza, dè suoi metodi e delle sue fortune, poiché, quanto a me, prima del 29 ottobre

1922 non avevo mai visto il Mussolini e devo confessare che non avevo tanto seguito

la sua opera personale da potermene fare un concetto mio”51.

La “compromissione” di Gentile con il fascismo deve essere intesa come

adesione ad un partito, che pur ponendo al centro l’idea di uno Stato forte ed

autoritario, aveva però nel contempo un programma politico-economico nettamente

49 Cfr. R. De Felice, Intervista sul fascismo, a cura di M.A. Leden. Laterza, Bari, 1975. 50 A. Negri, L’inquietudine del divenire, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1992, p.63. 51 G. Gentile, “Dal liberalismo al fascismo” in Che cosa è il fascismo, Vallecchi editore, Firenze, 1924, p. 172. (I Corsivi e la sottolineatura sono nostri). D’altronde per lo stesso Mussolini gli autori di riferimento pre-fascismo erano stati altri: Sorel, Pareto, Michels, Peguy, Lagardelle, al riguardo Cfr. Z. Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, Ed. Baldini & Castoldi, Milano. 1993. (Titolo originale, Naissance de l’ideologie fasciste, Libraire Artheme Fayard, 1989).

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liberale52. Lo stesso discepolo attualista Ugo Spirito nell’articolo “Idealismo e

Fascismo”, che abbiamo già osservato precedentemente, supporta tale tesi. Egli

afferma:

“Abbandonate rigidamente le prime istanze repubblicane, antiradicali e

socialistiche, il fascismo fece suo il concetto di Stato liberale forte, rispettoso della

tradizione italiana e prosecutore del Risorgimento. E tendenzialmente liberale fu il

regime economico dei primi anni, diretto […] a restituire all’iniziativa privata

l’autonomia e la libertà di una volta”53.

Quindi, senza ambagi, lo stesso Spirito pone una netta dicotomia tra il

fascismo delle origini, movimentista ed impregnato di sindacalismo rivoluzionario, e

quello successivo, della fase del consolidamento del potere afferente al fascismo

regime. La distinzione del fascismo come movimento rivoluzionario e del fascismo

come sistema-regime, resta un tema politico-filosofico non ancora sufficientemente

studiato. Renzo De Felice è stato appunto il primo storico italiano, che ha

sottolineato come nel fascismo movimento vi fosse un “filo rosso” che collegava il

programma sansepolcrino del 1919 al fascismo dell’aprile del 1945, in quanto il

fascismo movimento è stato una costante nella storia del ventennio: ”una costante

che perde via via di importanza, di egemonia, che diventa sempre più secondaria, ma

che è sempre presente”54. Nella concezione spiritiana il fascismo movimento era

inteso come “vitalità”, come fenomeno rivoluzionario, frattura rispetto al passato.

Egli aveva sempre avversato quelle frangie del regime che miravano alla

stabilizzazione ed alla normalizzazione. Il fascismo regime era invece “negatività”,

continuità rispetto al passato, principalmente concepito come stabilizzazione, ed in

sostanza come ostacolo alla “rivoluzione permanente”55. Differentemente dalle

interpretazioni classiche basate sul “paradigma antifascista”, l’impostazione

defeliciana individua la classe protagonista del movimento fascista come una classe

non in decadenza, ma come un “ceto medio emergente” in ascesa, la piccola

borghesia, che cercava la sua rappresentanza politica “in prima persona”, per

52 A. Negri, L’inquietudine del divenire, cit., p.63. Inoltre al riguardo si veda anche . A.J. Gregor, L’ideologia del fascismo, Ed. Del Borghese, Milano, 1974, pp. 196-198. (Titolo originale: The ideology of Fascism: The rationale of Totalitarism, The free Press, New York, 1969). 53 U. Spirito, La riforma della scuola, Sansoni, Firenze, 1956, pp.120-121. 54 R. De Felice, Intervista sul fascismo, cit. p. 28. 55 Ibidem.

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affermarsi come forza nuova, terzo incomodo, in contrapposizione al capitalismo ed

al proletariato56. Questo nuovo ceto medio, causa la crisi economica del primo

dopoguerra, era socialmente chiuso ad ogni aspettativa sociale. Non era pagato

quanto un operaio specializzato, né poteva aspirare a divenire borghesia, non aveva

rappresentanza nei partiti politici tradizionali, comprendeva classi sociali molto

diverse quali giovani insoddisfatti, studenti, sottoproletari, intellettuali senza lavoro e

reduci di guerra.

La liquidazione del fascismo come mero regime reazionario è riduttiva nella

interpretazione defeliciana in quanto:”esso non ha nulla in comune con i regimi

conservatori che erano esistiti prima del fascismo e con i regimi reazionari che si

sono avuti dopo”57, per la mobilitazione e la partecipazione di masse fortemente

politicizzate. Individui che prima di allora non avevano mai partecipato alla politica

attiva, senza una comune e specifica coscienza di classe, cioè rappresentavano in

pratica soggetti nuovi nell’ambito della lotta politica58, che vedevano nel fascismo-

movimento un nuovo modo di declinare i tempi moderni. “Il modernismo fascista

mirava a realizzare una nuova sintesi tra tradizione e modernità, senza rinunciare alla

modernizzazione per realizzare i fini di potenza della nazione”59. Una visione

56 Cfr. R. De Felice, Intervista sul fascismo, cit., p. 30. Qui De Felice riconosce in Luigi Salvatorelli il primo studioso del pensiero politico che aveva acutamente ben descritto, fin dal 1923, le caratteristiche di questa classe sociale, parlando del fascismo come di una “rivoluzione della piccola borghesia” e più propriamente “piccola borghesia umanistica” dogmatica ed intollerante distinta dalla piccola borghesia tecnica. La forma mentis di tale frangia della società era basata sulla “retorica” e sulla “cosiddetta cultura generale, che potrebbe definirsi l’analfabetismo degli alfabeti.” Inoltre Salvatorelli descrive i punti cardine di questa mentalità: l’esaltazione della romanità, “il racconto del Risorgimento ad usum Delphini,” e la “tendenza alla affermazione dogmatica, alla credulità nell’ipse dixit.” L. Salvatorelli, Nazionalfascismo, Ed. Gobetti, Torino, 1923, pp. 13-26, in R. De Felice, Il Fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Laterza, Milano, 1998, pp. 54-63. 57 R. De Felice, Intervista sul fascismo, cit. p. 40. 58 “I movimenti totalitari europei […] reclutarono i loro membri da questa massa di gente manifestamente indifferente, che tutti gli altri partiti avevano lasciato da parte perché troppo apatica o troppo stupida. Il risultato fu che in maggioranza essi furono composti da persone che non erano mai apparse prima sulla scena politica”, H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni CDE, Milano, 1996, p. 431, traduzione italiana di Amerigo Guadagnin. (Titolo originale: The origin of Totalitarianism, Harcourt, Brace & World, Inc., New York, 1966). Si veda anche G.L. Mosse, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 153. (Titolo originale: Masses and man. Nationalist and fascist perceptions of reality, Howard Fertig, Inc., New York, 1980), Id., La Cultura dell’Europa occidentale nell’ottocento e nel novecento, Mondadori, Milano, 1986, (Titolo originale: The Culture of Western Europe. The Nineteenth and Twentieh Centuries, McNally, Chicago, 1961). 59 E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista.1918-1925, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 42.

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totalizzante della società anche in un contesto di sacrificio e perdita della libertà, una

modernità “sana” contrapposta ad una modernità “perversa” che bisognava avversare

in quanto simbolo sia dell’individualismo e del materialismo liberale sia del

collettivismo comunista60, che minavano alla base i fini di grandezza e di potenza

dell’Italia.

La filosofia attualista in virtù della sua dinamicità e del suo carattere

dialettico continuamente evolventesi, non poteva che di fatto legarsi al fascismo-

movimento quale “frattura” rispetto all’Italia prefascista. Il fascismo regime

rappresentava invece la “continuità” rispetto al passato. La presenza di queste due

anime all’interno del fascismo, cioè di un anima “tradizionalista” ed un'altra

“socialista ed eversiva”, comportava che “il fascismo è la piena realizzazione e il

completo scacco di quel socialismo rivoluzionario che ha accolto la critica idealistica

(in senso ampio) del materialismo naturalistico e dello scientismo senza supporre la

reale posizione di Marx”61.

Nel suo saggio La crisi dei giovani, Spirito scriveva al riguardo

dell’atmosfera dell’epoca del primo dopoguerra e dell’adesione dei giovani al nuovo

movimento politico, cercando di trasmettere lo spirito del tempo e l’entusiasmo con

cui molti si rivolsero verso tale rivoluzione politico sociale. Esso si proponeva come

valida alternativa, particolarmente alle nuove generazioni non compromesse e non

corrotte dall’”Italietta liberale”, sottolineando la voglia di partecipazione politica dei

giovani ricordando il ruolo da loro rivestito: “fondammo riviste, fondammo giornali,

creammo nuove società editrici: eravamo i protagonisti della vita di allora, eravamo

gli artefici di un nuovo modo di vivere. Dal 1922 al 1935, nel periodo di un

dodicennio, cambiammo la realtà del nostro paese con una fede e un entusiasmo che

non sono più risorti”62. Infatti il filosofo aretino, notava come l’attualismo avesse

prodotto in moltissimi giovani un “senso di mobilitazione, di frenesia intellettuale

”difficilmente contestabile, e di conseguenza l’adesione dei filosofi attualisti al

fascismo nella declinazione del fascismo-movimento appariva come un passaggio

60 Ivi, p. 43. 61 A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna, 1964 in R. De Felice, Il Fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, cit., p. 655. 62 U. Spirito, “La crisi dei giovani”, in Nuovi Studi politici,1, gennaio-marzo 1975, p. 7. Al riguardo si

veda anche E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista.1918-1925, cit., pp. 405-406.

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assolutamente obbligato e naturale in quanto “il binomio attualismo-fascismo era per

me indiscutibile”63. Per il giovane Spirito l’identificazione attualismo-fascismo era

un dato di fatto incontrovertibile, una coincidenza assoluta; è stato anche osservato

che: “La conversione all’attualismo da parte di Spirito implica, quindi, più o meno

contemporaneamente, l’adesione senza riserva anche allo stesso fascismo, visto in un

altro intervento, come il germe di una nuova era sociale”64. La “rivoluzione

filosofica” doveva coincidere con la “rivoluzione politica” che solo il fascismo

movimento, capace di liberarsi del parlamentarismo e delle vecchie ideologie

democratiche, poteva attuare. Il passaggio ad una filosofia della prassi, nettamente

antividualistica, critica del liberalismo borghese, del riformismo socialista, e della

trascendenza religiosa, sarà la condizione necessaria per il superamento dello stesso

fascismo in un ideale di Stato superiore allo stesso fascismo, perché questo

rappresentava solo “la prima manifestazione politica del nuovo pensiero

idealistico”65.

Lo stesso duce del fascismo dopo la presa del potere, aveva messo la sordina

alle sue simpatie verso il sindacalismo rivoluzionario erede del marxismo66, e messo

in pratica quelli che erano comunque i cardini del suo pensiero politico. Fin dalle

origini Mussolini aveva ben chiara la distinzione tra il sindacato che “di mestiere

doveva essere considerato del tutto diverso – come entità sociale – dal partito, entità

politica”67. Per il consolidamento del fascismo-regime erano necessari alcuni

compromessi che erano in diacronia con il fascismo-movimento. Ecco quindi che le

istanze anarco-sindalistiche vengono sacrificate in direzione di un hegelismo, che

Mussolini mutua da Gentile, e le due dottrine lontane sia culturalmente che

geograficamente, si trovano riunificate a percorrere la stessa strada. Nolte ha rilevato

appunto come: “Servendosi della terminologia hegeliana mediatagli da Gentile […]

Mussolini riesce a conseguire una notevole mistificazione, ma così facendo separa il

63 U. Spirito, Memorie di un incosciente, cit., p. 60. 64 A. Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all’antiscienza, cit., p. 54. 65 U. Spirito, “Il concetto di libertà ed i diritti dell’opposizione”, in “L”Educazione Nazionale”, VI, 1924, pp. 267-268, cit. in A. Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all’antiscienza, cit., p. 55. 66 “Certamente, noi eravamo sindacalisti di azione diretta, sindacalisti alla Sorel, alla Arturo Labriola, alla Walter Mocchi, alla Alceste De Ambris. Ma credevamo che al socialismo nostro fossero da demandarsi le mete che il sindacalismo rivoluzionario riteneva esclusivamente riservate alla propria lotta”, Yvon De Begnac, Taccuini Mussoliniani, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 4. 67 Ivi, pp. 10-11.

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fascismo dalla sua peculiare importanza di pensiero (importanza che va cercata nel

suo rapporto con Nietzsche e con Marx) […] Nei casi in cui l’hegelismo aiuta ad

esprimere tendenze originali di Mussolini, esso è comprensibile solo come un

travestimento puramente terminologico di idee proprie di una filosofia della pratica:

è il caso dell’antitesi spiritualistica al materialismo economico del cosiddetto

socialismo scientifico o marxista”68.

In pratica il fascismo regime compirebbe un passo indietro nella storia del

pensiero filosofico, usando l’hegelismo e spogliandolo dei concetti fondamentali di

libertà e di civiltà, privilegiando nello stesso solo gli aspetti funzionali al regime,

quali quelli dello Stato forte e del rifiuto del disordine e dell’anarchia. Mussolini

stesso privilegia nell’attualismo il recupero delle istanze liberali risorgimentali, del

mazzinianesimo, che nella fase regime sono più funzionali alla creazione di una

dottrina fascista, unificatrice, che faccia da coagulo delle varie istanze

nazionalistiche e conservatrici. Nel passaggio dal fascismo-movimento al fascismo-

regime, (puntualizzando che ambedue coesisteranno durante l’intero ventennio)69,

l’adozione del pensiero neoidealista da parte del regime, deve essere interpretato

come una distorsione di quello che tale filosofia realmente rappresentava, in quanto

non esiste nulla di meno statico dell’attualismo.

68 E. Nolte, I tre volti del fascismo, cit., pp.351-352. 69 Contraria a questa interpretazione è quella di Emilio Gentile che afferma che con la chiusura in Roma, il 22 giugno del 1925, del quarto ed ultimo congresso del P.N.F.: “si chiudeva dunque il periodo del fascismo movimento e si iniziava l’era del regime. La fase tumultuosa delle origini, prolungatasi nel travaglio ideologico dopo la conquista del potere, si era conclusa”, E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista.1918-1925, cit., p. 492.