da elemosiniere ad affuente, origine ed evoluzione del piatto da questua da donatello al gruppo folk...
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Da elemosiniere ad affuente, origine ed evoluzione del piatto da questua
da Donatello al gruppo folk
Seminario di studiRiflessioni sul piatto
“s’Affuente” di Ottana Centro Polivalente
Via E. Lussu, Ottana sabato 18 febbraio 2012
Mario GalassoEmail: [email protected] per l'Arte e il RestauroVia Maggio, 13 - 50125 FIRENZETel +39 055 213086 - 282951 Fax +39 055 217963http://www.spinelli.it
- IL PIATTO CHE SUONA -Da elemosiniere ad affuente, evoluzione del piatto da questua da Donatello al gruppo folk
"TUTTO E' SUONO"Ciclo di seminari musicali
Alghero - Torre Porta Terra , Marzo 2012
Organizzazione: Associazione Jana ProjectIn collaborazione con:Regione Autonoma della SardegnaFondazione Meta - Comune di Alghero Isola dei SuoniArchivi del Sud
Mario GalassoEmail: [email protected] per l'Arte e il RestauroVia Maggio, 13 - 50125 FIRENZETel +39 055 213086 - 282951 Fax +39 055 217963http://www.spinelli.it
- PIATTI DA AMMIRARE -- Elemosinieri, Piatti da Pompa e da Parata -Origine ed evoluzione del piatto da questua
da Donatello al gruppo folk
11 novembre 2012Ore 11 - Saletta Rosi
Mario GalassoEmail: [email protected] per l'Arte e il RestauroVia Maggio, 13 - 50125 FIRENZETel +39 055 213086 - 282951 Fax +39 055 217963http://www.spinelli.it
- PIATTI DA AMMIRARE -
- Elemosinieri, Piatti da Pompa e da Parata -Origine ed evoluzione del piatto da questua
da Donatello al gruppo folk
4 marzo 2015 ore 16.00
Università della Terza EtàCentro culturale S.FrancescoOzieri (Sassari)
Mario GalassoEmail: [email protected]
Visiting professor in Storia dell'archeologiaUniversità del Restauro - Flores - Firenzehttp://www.floresfirenze.it/Istituto per l'Arte e il Restauro - Firenze http://www.palazzospinelli.org/ita/page.asp?id=istituto-arte-restauro
Ma cos’è un elemosiniere e che collegamento ha con l’elemosina e la questua? E l’affuente cos’è?
Definizione:
Contenitore a forma di grande bacile,
solitamente decorato, per la raccolta delle
offerte (pro reponenda elemosina) presente
in tutta l’Europa meridionale dal tardo
medioevo (2° metà XV secolo) alla metà del
XVIII secolo e oltre, di iniziale produzione
fiamminga (area di Mechelen/Malines) e
tedesca (area di Norimberga), e poi di
produzione regionale allargata,
prevalentemente nordeuropea.
Alcuni esempi di piatti per le elemosine provenienti da chiese italiane, ed anche da confraternite per l’uso che le stesse ne hanno fatto nei secoli accompagnando le funzioni della Settimana Santa. Possono essere in oro, argento, bronzo, ottone, rame, legno ed anche cartapesta.
Costante è la presenza di decorazioni centrali fitomorfe o a girandola o con soggetti desunti dalla Bibbia, dai Vangeli o dalla storia antica e medievale e (raramente) scene profane.
Si dicono piattii contenitori con cavetto profondo in genere da 3 a 5 cm e con tesa piatta ed orizzontale o leggermente inclinata verso l’alto (massimo 15-20 gradi).
Si dicono bacilii contenitori nei quali la tesa è chiaramente inclinata verso l’alto (fra i 20 ed i 60 gradi).
Oltre questa inclinazione non sono più da considerare bacili ma vasi
Differenza fra piatti e bacili
Il grifone nella simbologia cristiana: S.Isidoro vi vide il simbolo delle due nature,divina ed umana di Cristo. Dante lo pose nel Paradiso terrestre come simbolo della chiesa (carro di Beatrice). Spesso, soprattutto nell’iconografia orientale antica, vengono rappresentati due grifoni affrontati a un albero, a un’anfora, a una fonte o a una pigna, tutti simboli di vita.
Dante (Purgatorio, XXXI):...la fiera ch’è sola una persona in due nature.
Differenza fra elemosinieri, piatti da pompa e piatti da parata ELEMOSINIERI
A destra: elemosiniere in ottonecon Adamo ed Eva, sec.XVII, Fiandre (Mechelen/Malines)
A sinistra: elemosiniere in peltrocon Adamo ed Eva, fine sec.XV, Fiandre (Mechelen/Malines)
Piatti da Pompa
In alto due piatti da pompa in ottone sbalzato:a sinistra in onore di Henry IV e di Maria de’Medici per le loro nozze del 17 dicembre 1600 e a destra in onore della nascita del loro primogenito Gastone, duca di Orléans e futuro re col nome di Louis XIII. Il ritratto nel piatto di sinistra è copiato dalla medaglia settecentesca del Duprè (diametro cm 20, a destra). All’estrema destra il piatto da pompa in bronzo celebrante l’ingresso trionfalea Parigi di Enrico IV il 22 marzo 1594 dopo la sua conversione al cattolicesimo (“Parigi val bene una messa”). Questi piatti furono fatti per i Legittimisti verso il 1820-1830 nel Delfinato per ricordare il “bon roi Henri” durante le lotte per la restaurazione reale.
A destra: desco da nozze con due scudi al centro dell’umbone, in ottone e argento, XVI secolo, Collezione Garrand, Museo del Bargello (Firenze).
Al contrario dei piatti da pompa celebrativi di nozze ma non regalati agli sposi, esisteva anche un particolare tipo di piatto da pompa, il desco da nozze, che, regalato in occasione del matrimonio, era un augurio per la nascita dei figli. Al centro dello stesso erano sempre riportati gli scudi ed insegne delle famiglie degli sposi. Col tempo i deschi in metallo sono divenuti piatti da pompa civili per ricordare l’unione delle due famiglie.
A destra: Piatto celebrativo in peltro per Francesco Giuseppe Carlo d'Asburgo-Lorena(Firenze 12-2-1768 Vienna 2-3-1835) , figlio di Leopoldo II e Imperatore dei Romani (come Francesco II) dal1792 al 1806, quando il titolo fu abolito. Imperatore d'Austria (con il nome di Francesco I) dal 1804 (anno di istituzione del nuovo titolo) fino alla morte. Dal 1792 al 1796 fu l'ultimo Duca di Milano. Databile fra il 1792 ed il 1806, dal catalogo d’asta Il Ponte del 18-11-2008
A sinistra: Piatto celebrativo ottocentesco, produzione tedesca o austriaca o balcanica, dal mercato antiquario francese, erroneamente descritto come elemosiniere (Plat à offrande 17ème en Laiton)
Piatti da pompa e copie contemporanee
A sinistra: Piatto da pompa in peltro di François Briot (Fiandre, Bréda, 1550 - 1620), Temperantia (serie delle Virtù),
cm.38,1, anno 1585, Victoria & Albert Museum, Londra, n. 2063-1855, Galleria Medieval and Renaissance, sala 62,
bacheca 12. “The model was further disseminated by polychrome pottery versions in Palissyware, of which the V&A has
an example (Mus. No. C.2316-1910), and this in turn was copied in the 19th century (Mus. No. 1080-1871)”. Ogni anno la
vincitrice del singolo femminile al Wimbledon Tennis Championships riceve una riproduzione del piatto della
Temperantia che si trova al Louvre, fatta nel XIX secolo dalla famosa ditta Elkington and Company. Per il singolo maschile
il trofeo è una riproduzione del piatto Marte.
A destra: Trofeo per la vincitrice del torneo di Tennis di Wimbledon, categoria Ladies, anno 1948, in silverplate e di misura
ridotta (cm.24,7) nell’immediato dopoguerra. La riproduzione si limita al tondo centrale.
Piatti da pompa e copie contemporaneeA sinistra: piatto da pompa in peltro. Dalcartellino: François Briot (Flanders, Bréda, 1550 - 1616) Dish for a Ewer, circa 1585 Metalwork, Pewter, Diameter: 15 in. (38.1 cm). Gift of the 1987 Collectors Committee (M.87.162). Decorative Arts and Design Department. In effetti Briot muore nel 1620 e questo piatto è stato chiamato Marte.
A destra: piatto in ferro fuso, copia di originale tardo seicentesco
che nel tondo centrale riprende da Briot la figura di Marte
e a destra una costruzione in fiamme.
Un armato orientale si accanisce su un guerriero occidentale atterrato, mentre nella fascia in basso una torma di armati orientali sbuca da un passaggio per attaccare alle spalle i combattenti cristiani.
La scena simbolica si lega all’avanzata ottomana verso l’Europa
ed all’assedio di Vienna del luglio-settembre 1683
Esempio di piatti da pompa ecclesiastici
Santa Trinità dei Pellegrini (Roma), 01/11/09, PONTIFICALE PER LA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI celebrato da sua Eminenza il
Cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Come nei grandi palazzi che esponevano i piatti più preziosi (detti "da pompa"), durante le Messe più solenni, nelle chiese importanti
capitava la stessa cosa: piatti e vasellami preziosi che componevano il "tesoro" della comunità erano disposti in vere e proprie credenze ai
lati dell'Altare. Molti di questi piatti e vasi avevano anche funzioni liturgiche. Numerosi piatti venivano donati da personaggi importanti
con puro scopo devozionale, altri, prodotti in serie, raffiguravano eventi importanti e Papi
Piatti da parataSono i piatti ed i vassoi utilizzati per pranzi e convivi, per esibire la potenza economica della famiglia in occasione di feste. In genere vengono conservati a vista su appositi ripiani. Utilizzati per le vivande, per la frutta, per servire fritture. Fra questi rientrano i piatti di supporto dei mesciroba. Come i piatti da pompa, sono in genere di ottone, ma anche in oro, argento, peltro, maiolica. Spesso è difficile stabilire la differenza fra questi (non meno ornati) ed i piatti da pompa che generalmente sono evocativi di avvenimenti o di titoli nobiliari o sono regalia per la Chiesa o per personaggi importanti. Spesso col tempo vengono usati come piatti da pompa appesi ai muri o sul ripiano superiore dei mobili di prestigio
A sinistra: piatto da parata in maiolica, XVI secolo, Italia C., Museo del Bargello (FI). In basso: piatto in bronzo dorato, diametro cm 30, mercato antiquario.
Esempi di piatti da parata civili
In alto da sinistra: bacile in ottone con agemina d’argento
sbalzato con figurazione di alberi frondosi, XV secolo; bacile
veneto-saraceno in ottone sbalzato e umbonato,con tracce di
agemina ed iscrizione “trionfante”, XVI secolo; piccolo bacile
(coppa nel cartellino) in argento, arte toscana del secolo XV.
Dalla collezione Garrand, Museo del Bargello (Firenze).
In basso a destra: grande piatto da parata veronese in rame,
primi decenni del sec. XVI, diametro cm.63,
collezione Pierino Navarini, Ravina (Trento).
Piatti da parata civili più recenti (XIX secolo)
A sinistra: piatto in lamina di ottone con figura di doge. A destra: piatto ovale in lamina di ottone con scena popolaresca. Ambedue sono in lamina molto sottile irrobustita da un tondino di ferro lungo il bordo. Tipici dell’area veneziana e veneta in genere, tutt’ora utilizzati per servire in tavola o in piedi pesciolini fritti o galani (frittelle zuccherate).
Deschi o piatti da parto e da battesimoUn desco da parto è in effetti un tondo dipinto su entrambi i lati che durante il Rinascimento veniva offerto come dono cerimoniale alle donne delle famiglie più abbienti che avevano appena partorito. Veniva usato come vassoio per portare le vivande alla nuova madre, finché si riposava a letto. Il desco da parto (stessa radice di "disco") era un oggetto della vita quotidiana di una donna dell'alta società, soprattutto a Firenze, assieme al cassone nuziale. In seguito il desco restava appeso in casa. Spesso il desco veniva dipinto da un grande pittore e le scene raffigurate erano legate alla nascitain chiave religiosa (della Vergine, di San Giovanni battista, ecc.) o profana, e non mancavano figure allegoriche, soggetti letterari (come I Trionfi del Petrarca). Il retro era di solito dipinto con simboli araldici o scene familiari. La forma era quasi sempre tonda, più rari sono i deschi poligonali.
Le famiglie meno abbienti che non si potevano permettere questi deschi optavano per i piatti in metallo, generalmente in ottone o rame che quindi costituiscono una categoria intermedia detta dei piatti da parto o da battesimo.
In queste due occasioni venivano regalati alla famiglia, ed utilizzati per presentare vivande ritenute idonee per le puerpere nonché regali per il neonato e la madre. Erano in effetti piatti da pompa più semplici, o piatti da parata meno ricchi di decorazioni, sempre quindi di uso civile anche se si trovano talvolta nel corredo di chiese per l’uso comunitario al fonte battesimale, come questo esemplare cinquecentesco dalla Badia di Vigesimo (Barberino del Mugello, Firenze).
E’ da dire che tali piatti, difficili da identificare, sono spesso chiamati piatti da mesciroba per l’usuale loro abbinamento ad un vaso monoansato contenente vino o acqua ed in quest’ultimo caso utilizzati nelle case ma anche in ambito battesimale.
Piatti da mescirobaPiatto da mesciroba nel Museo di arte sacra di S.Pietro in Mercato (Montespertoli, Firenze).
Lo stesso è stato erroneamente
schedato e pubblicato dalla
Soprintendenza come elemosiniere di
manifattura toscana e metà del secolo
XVII, mentre invece è un piatto da
mesciroba di produzione tipicamente
fiamminga (Mechelen) , fine XVII-inizi
XVIII secolo, utilizzato al fonte
battesimale della pieve fino all’inizio
del XX secolo.
Tipologia degli elemosinieriQuesti piatti si presentano in una serie di esecuzioni e dimensioni
standardizzate dovute ad una evidente produzione massiccia e di tipo
protoindustriale diffusa in tutta l’Europa continentale e meridionale, e
particolarmente nelle aree di influenza cattolica (sud della Germania,
Francia, Italia, Spagna e Fiandre) ma anche in aree protestanti continentali
ed in Russia, Grecia ed ex Yugoslavia, zone a cultura religiosa ortodossa.
Hanno sempre una serie di campiture concentriche occupate da umboni
piani o lavorati, baccellature a girandola quasi sempre destrorse o altorilievi
raffiguranti personaggi famosi dell’antichità, o scene vetero o
neotestamentarie, e spesso scritte anche su due fasce concentriche in gotico
di varie tipologie (dal fiorito all’unciale, dall’arcaico di Wulfila al romano), ma
anche in latino, glagolitico, cirillico e (negli esemplari più recenti) lettere
degli stessi alfabeti o perfino pseudo caratteri disposti a comporre parole
senza senso a puro scopo ornamentale. Infine motivi floreali a matrice,
incavi a cane corrente destrorso, serie di piccole punzonature a palmette o
altro, e orlo avvolto su un tondino di ferro per conferire robustezza al piatto,
in genere di spessore fra 0,5 e 1 millimetro.
I piatti con scene a soggetto
religioso neotestamentario sono
prodotti solo nelle aree in blu (a
maggioranza cattolica) in specie
dopo il Concilio di Trento.
I piatti con scene a soggetto
biblico sono prodotti in quelle a
maggioranza protestante (colore
viola).
I piatti e bacili con soggetti
zoomorfi e fitomorfi (grifoni,
colombe, leoni ecc.) sono
prodotti maggiormente in area
ortodossa (colore rosso).
In ognuna di queste aree
ovviamente ci sono molte altre
tipologie fra cui imperante la
girandola destrorsa.
In area musulmana (colore verde)
non sono attestati piatti o bacili
con soggetti religiosi, umani ed
animali, ma solo fitomorfi o
geometrici e versetti coranici.
Circa le decorazioni utilizzate per gli elemosinieri nel centro dei piatti o bacili abbiamo diverse tipologie, ognuna delle quali permeata di doppi sensi e significati religiosi, mentre per le zone esterne si hanno in genere decorazioni a punzone ripetuto, ma solo per abbellimento. Al centro all'inizio predominano le raffigurazioni vegetali (melagrane, cardi, rose, carciofi, fronde) tutte strettamente collegate alla religione cristiana. Poi iniziano a comparire le girandole, di stretto riferimento al significato stesso della vita ma anche al sole, tutte o quasi destrorse. Quasi in contemporanea appaiono altre raffigurazioni: San Giorgio a cavallo mentre trafigge il drago, Adamo ed Eva con sfondo del Giardino dell’Eden, teste di Cicerone o Carlomagno, questo con riferimento al Sacro Romano Impero, l'altro di più oscuro significato. Questi piatti sono in ottone, rame, argento, oro e molto raramente in peltro, legno o cartapesta, e facevano parte del corredo delle chiese.
Non certo nati per raccogliere le offerte da inviare in Terra Santa come qualcuno ipotizzava, servivano principalmente per raccogliere le elemosine in chiesa durante le funzioni, per portare in processione gli strumenti della passione (chiodi, martello e tenaglie, come rilevato a Florinas (Sassari)) e durante le funzioni della Settimana santa, e in molte località in altre occasioni come a Tonara (NU) per S. Antonio il 16 e 17 gennaio. Circa l'origine non è provata l'origine bizantina (anche se c’è chi la da per probabile), dato che la sua nascita come suppellettile religiosa ha luogo nel XV secolo in questa forma. Prima si utilizzano piatti senza questi tipi di decorazioni.
Elemosinieri con figurazioni fitomorfe
Elemosiniere in ottone martellato con umbone centrale circondato da una fascia con 7 frutti (melagrane), un’altra con la scritta in gotico Ich Wart Geluk Alzeit (io conservo sempre la felicità) ed un’altra più interna da decifrare in goticofiorito. Presenta 4 marchi: «P» per l’anno, l’ «Ananas» di Augsburg, uno scudo coronato e la cifra «77». Datato dalla casa d’aste al XVI - XVII secolo coi seguenti dati: Germania - Augsburg, diam.39 cm, profondità 3 cm ( 1.180 gr. ). Ma mentre l’attribuzione ad Augsburg è corretta, la P è la lettera relativa agli anni 1761-63 o 1804, il 77 indica il numero di iscrizione dell’ottonaio alla gilda, lo scudo indica il controllo di qualità. Dalle dimensioni ridotte si escludeche sia una copia cinque-seicentesca e si data il piatto al 1761-1763.Cfr. Rijksmuseum di Amsterdam, p.174, n. 239, INV. : N.M. 5176
Elemosinieri con figure veterotestamentarieMuseo delle Arti decorative
di Barcellona, Tentazione di
Adamo. Adamo ed Eva nel
Giardino dell’Eden, ai lati
dell’albero del Bene edel
Male coi pomi e col serpente.
A destra un castello turrito,
rappresentante la porta
dell’Eden.
Identici piatti nella raccolta
del Castello Sforzesco di
Milano, inventario ZASTROW,
nn.10-11-12-13-14-15-16-17-
18-19-20-21 .
Questa iconografia è la più
riprodotta nei secoli dal XV
al XVII, spesso con fasce di
parole in gotico. Datazione di
questo esemplare alla
seconda metà del XV secolo.
La tentazione di Adamo
Questa iconografia ha avuto molto successo dal XV al XVII secolo, in funzione antifemminile (la donna
vista come causa di tutti i mali e della dannazione eterna) specie laddove funzionavano i roghi della
Santa Inquisizione. Scompare col secolo dei lumi. Ma alcuni rari piatti con rappresentazioni di tutt’altro
tipo mostrano invece il predominio della donna sull’uomo.
Predominio femminile come risposta
Un raro soggetto già nella collezione Albert Figdor (tav.CLXXX) mostra Aristotilesdraiato a pancia in giù coi pantaloni calati sulle ginocchia di Fillis che lo percuote sulle terga nude con un frustino. Accanto allo scienziato e nelle sue mani strumenti scientifici, accanto alla donna il fuso e la conocchia.
Due portatori di grappolo d’uvaLa tradizione ebraica indica la regione come Canaan nel periodo tra il diluvio e l'insediamento degli Israeliti. Nel Libro dei Numeri viene narrato l’episodio della esplorazione della "Terra promessa". Dopo molte traversie gli Israeliti dal Sinai giunsero all’oasi di Kades-Barnea ove sostarono a lungo. La regione del Negheb, che era il lembo meridionale della terra promessa, non era molto lontana. Il Signore disse a Mosé: "Manda un uomo per ogni tribù ad esplorare il paese di Canaan che sto per dare agli Israeliti". Mosé dunque inviò uomini ad esplorare il territorio dicendo loro: "Salite attraverso il Negheb alla regione montana ed osserverete che paese sia, che popolo l’abiti se forte o debole..... come sia il terreno, se fertile o sterile, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi e portate frutti dal paese". Era il tempo in cui stava maturando l’uva;
e gli esploratori “giunsero fino alla valle di Eschol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi “ e li portarono a Mosé riferendo come quel paese fosse ricco e fertile ma anche abitato da un popolo potente e come le città fossero ben fortificate. La tradizione identifica in Giosuè e Caleb i due portatori.
Antico Testamento, Libro dei Numeri 13-23A destra: in alto elemosiniere tedesco (tardo XVI secolo) in rame,
in basso copie moderne (tardo XX secolo) dallo stessoLa scritta è identica: WIS HN BI RAME (I saggi hanno con sé la forza)
Nell’asta portata dai due i Padri della Chiesa hanno voluto vedere il legno della Croce, da cui pende Cristo: “Figura Christi pendentis in ligno”mentre nei due portatori, uniti e separati da quel legno, hanno riconosciuto Israele e la Chiesa: “Subvectantes phalanguam, duorum populorum figuram ostendebant, unum priorem, scilicet vestrum, terga Christum dantem, alium posteriorem, racemum respicientem, scilicet noster populus intelligitur”in quanto essi marciano l’un dietro l’altro, chi precede guarda solo davanti a sé ed è perciò figura d’Israele, popolo della speranza e dell’attesa delle cose venienti e nuove, assicurate dalla promessa di Dio; chi viene dietro vede, invece, colui che gli sta davanti e l’orizzonte da questi abbracciato attraverso il grappolo appeso al legno ed è perciò figura della Chiesa, che ha in Cristo crocefisso la chiave di lettura anche dell’antico Israele e della promessa fatta ai padri. (Bruno Forte, 4-11-2004)
Elemosinieri con figure neotestamentarie Gli Agnus Dei
Sopra: da Saint Bonnet-Condat, Francia, prima metà XVI secolo, legenda in gotico
A sinistra : da Jabrun, Francia, XVI secolo
A sinistra: da mercato antiquario, con Agnus Dei, copia tedesca (metà XIX secolo) di elemosiniere di area mosana, XVI secolo, legenda in gotico
Copie contemporanee
Riproduzione contemporanea di elemosiniere con Agnus Dei, in lastra di ottone martellata, di esecuzione rozza e con scritta illeggibile (pseudo caratteri alfabetici).
Iconografia cristiana generica
Da correggere la nota del catalogo: non è bronzo ma ottone, e la datazione è troppo alta, da commutare al XVI secolo inoltrato in base all’incisione centrale. Inoltre la bibliografia va corretta: Alessandro Coppellotti, L’eredità riconosciuta, ed. Polistampa, Firenze 1996, p.59 n.25. Intorno alla scena incisa nel cavetto vi sono due fasce con scritte in gotico; la più interna non è leggibile nella foto, mentre nella fascia esterna si legge Ich Wart Der In Fride (Io lo conservo in pace).
SantiSan Cristoforo che trasporta
Il sacro viandante. Scritta ripetuta in
gotico ICH WART DER IN FRIDE
(IO LO CONSERVO IN PACE). L’iconografia è identica a quella incisa nel cavetto del precedente piatto del XVI secolo
San Sebastiano in un falsoelemosiniere del XX secolo, cioè copiato da un originale e solo in parte (escludendo la fascia scritta)
San Giorgio
Iconografia molto diffusa quella di San Giorgio ed il drago, per tutto l’arco della durata
degli elemosinieri (XV-XVIII secolo e poi con le copie ottocentesche e moderne).
Iconografia mariana - Madonna con bambinoMuseo delle Arti decorative di BarcellonaMadonna con Gesù in braccio, croce nella destra, su crescente lunare. Intorno la scritta in gotico WIS HN BI RAME(I saggi hanno con sé la forza).
Identico piatto nella raccolta del Castello Sforzesco di Milano (n.32 inventario ZASTROW)
Madonna con Bambino
In tedesco moderno è
Gott gebe uns den Frieden Amen,
e in italiano
Dio ci dà la pace Amen.
Elemosiniere di area tedesca cattolica,
secolo XVII. Dal mercato antiquario.
Stessa iconografia del piatto
precedente. La scritta in gotico è
GOT GEB UNS DEN FRID AMEN che si
legge GOT GEBE UNS DEN FRIDE AMEN
Elemosinieri con ritratti - Carlomagno
Raro ed importante piatto in rame con immagine di re barbato (Carlomagno) e legenda finora non tradotta
(non gotico ex Wulfila). XV secolo, area fiorentina (Borgo San Lorenzo), attualmente in restauro. Dimensioni:
diametro cm 44, spessore mm.0,3-0,4. Carlomagno è emblematicamente riconosciuto come fondatore del Sacro
Romano Impero e difensore della fede (defensor fidei).
Piatto con Cicerone
In esergo la scritta MARCUSTULIUS CIC ERO CONS Questa tipologia ha avuto una certa diffusione in Europa. Il piatto a sinistra è nel Museo di Arti decorative di Barcellona, XVI secolo, mentre quello a destra è forse una copia in rame di tardo ottocento da eBay (spacciata per originale). Ambedue copiati dalla stessa matrice per il tondo centrale.
Elemosinieri con girandole nel cavetto
Decorazione c.d.”a girandole”, tipica per glielemosinieri dalla loro comparsa a tutt’oggi nelle copie moderne. Qui sopra con e senza iscrizioni.
Riproduzioni moderne “a girandole”
La girandola, sempre destrorsa sui piatti, è formata da foglie stilizzate con nervatura centrale, che
partono come petali di un fiore dal tondino centrale. Questo simbolo cristianizzato ha radici molto
antiche e si ricollega alla swastika destrorsa che evoca il sacro simbolo tantrico 'shakti‘ beneaugurante,
mentre come carattere in Cina ed Asia orientale rappresenta l’eternità ed il Buddismo, ma solo se
destrorsa.
Elemosinieri con statue al centroUn particolare tipo di elemosiniere è costituito da un piatto, in
genere di misure contenute, con al centro una statuetta (talvolta su un leggero piedistallo circolare) e mai con decorazioni o iscrizioni.
E’ presente in Francia, Spagna, Portogallo e Sardegna. Nella zona più a nord (Francia) la statua rappresenta la Vergine
Maria, spesso benedicente, mentre in area spagnola è un santo (spesso Sant’Antonio col bambin Gesù in braccio) o un’anima del Purgatorio, che emerge fra le fiamme con le braccia aperte e sollevate in atto di preghiera.
Il piatto è in metallo (ottone o rame o peltro), la statuina in metallo o legno. In Sardegna è attestata la presenza di piatto e statuina di legno, talvolta in un solo pezzo, e in tal caso il piatto è di piccolo diametro. A Gadoni un esemplare seicentesco totalmente in legno dipinto di eccezionale interesse per la sua rarità.
Elemosiniere con statua (Francia)
Dal mercato antiquario: Piatto del XVIII-XIX secolo in ottone. Vergine col bambino in metallo argentato, di epoca più tarda(XIX o inizi XX secolo) con iscrizione N.D. de la Garde e sul retro della base Lequesre S.Q che indica il fabbricante e la località, presumibilmente Saint Quentin in Piccardia (Nord Ovest della Francia). Diametro del piatto 30 cm, altezza della statuetta 15,5 cm. Notre Dame de la Garde(Nostra Signora della Guardia, protettrice dei marinai), è venerata in Francia (Marsiglia e costa mediterranea ) e nei paesi francofoni ed anche in Italia (Val d’Aosta ecc.).
Elemosiniere con statua dai Paesi Baschi
Dal mercato antiquario: Piatto in ottone con statuetta di S. Antonio da Padova che regge
Gesù bambino. Provenienza: chiesa campestre della costa atlantica dei Pirenei lato francese,
paese basco; la resa popolaresca della statuetta la rende abbastanza indatabile, non certo al
XV secolo come dichiara il venditore, ma fra XVIII e XIX secolo, mentre per il piatto nato per
quest’uso la datazione qui data è del XVIII secolo. Diametro 33 cm, altezza 24 cm.
Elemosiniere spagnolo
Dal mercato antiquario: Piatto in ottone con statuetta lignea policroma di anima purgante che si leva da
una cortina di fiamme, con la mano destra levata e la sinistra abbassata. Provenienza indeterminata:
Spagna ma presumibilmente Catalogna. Databile al primo XVIII secolo se non all’ultimo quarto del XVII
per la resa dei dettagli e l’impostazione, ed anche per la tipologia del piatto, forse anteriore alla
statuetta. Dimensioni: diametro 35 cm, altezza 22 cm. In Spagna chiamato plato petitorio o limosnero.
Elemosinieri sardi con statuetta di anima purgante databili fra ultimo quarto del XVII e prima metà del XVIII secolo.
A sinistra: Elemosiniere (spagnolo?) in legno dalla chiesa di S.Agostino, Cagliari.Piatto probabilmente posteriore e locale.
Al centro ed a destra: idem, dalla chiesa della Beata Vergine Assunta, Galtellì (Nuoro). In quello centrale (sardo, XVIII secolo) si conserva il piatto in legno. Le tre statuine di bella fattura sono spagnole e leggermente più antiche (fine XVII-inizi XVIIIsecolo)
Elemosinieri di OzieriElemosiniere ascrivibile forse a fattura locale fra ultimo quarto del XVII secolo e prima metà del XVIII secolo; ma la torsione della testa e la resa generale possono anche indirizzare a una bottega non sarda (spagnola o campana?).
Nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Ozieri (Sassari) sono custoditi due elemosinieri in legno, rappresentanti ciascuno un’anima purgante (chiamata Animedda in logudorese) nuda e circondata da una corona di fiamme nella pare inferiore. Al collo è dipinto lo scapolare della Madonna del Carmelo (o Carmine), detto comunemente «abitino» e forma ridotta dell'abito dei religiosi carmelitani. Secondo la tradizione la Madonna raggiante di luce apparve il 16 luglio 1251 al vecchio generale dell'Ordine Carmelitano, San Simone Stock (che l’aveva pregata di dare un privilegio ai Carmelitani), e porgendogli uno scapolare gli disse «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. CHI MORRA’ RIVESTITO DI QUESTO ABITO NON SOFFRIRA IL FUOCO ETERNO; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno».
Perciò, a partire dal 23 giugno 1673,
secondo il Sommario,
coloro che otterranno il Privilegio
staranno in Purgatorio al massimo
una settimana, e se avranno la fortuna
di morire di sabato, la Madonna li porterà
subito in Paradiso!
Evidente il nesso fra scapolare
e anima purgante in attesa di
lasciare le fiamme del purgatorio
In questo elemosiniere di Ozieri di fattura locale post 1673 ma entro la prima metà del XVIII
secolo si è perso nel tempo il piatto di legno ed in tempi recenti la statuina è stata fissata ad un
elemosiniere di tipo a cassetta (fine XIX-XX secolo).
Il Privilegio Sabatino deriva il suo nome dalla apocrifa Bolla «Sacratissimo uti culmine» di Papa Giovanni
XXII del 3 marzo 1322 nella quale il papa dichiara che la Madre di Dio gli è apparsa comandandogli di
confermare in terra il Privilegio ottenuto da Lei in Cielo da suo figlio Gesù per i carmelitani e per chi indossa
questo scapolare. E’ una seconda Promessa in base alla quale, per l'intercessione speciale della Vergine
Maria che si esercita di preferenza il giorno consacrato a lei, Sabato, a chi era carmelitano o indossava lo
scapolare secondo la tradizione trecentesca si offriva la possibilità di entrare in Paradiso il primo
sabato dopo la morte nonché l’annullamento dei primi anni di Purgatorio.
Questa caratteristica fu messa in rilievo dalla S. Congregazione delle indulgenze che il 27 giugno 1673
approvò un «Sommario delle indulgenze, favori e grazie concessi da molti Sommi Pontefici sì ai
religiosi e confratelli della Madonna del Carmine, come ancora a tutti i fedeli che visiteranno le chiese
dell'istesso Ordine». Il Sommario fu lo spunto per la produzione di «animedde» a partire da questa data.
Elemosiniere sardo
Scoperto casualmente nel piccolo museo parrocchiale di
Gadoni (Nu) questo raro (non solo per la Sardegna)
elemosiniere in legno dipinto di produzione locale, che
imita esemplari spagnoli in ottone e legno policromo.
Chiamato localmente s’animedda e non riconosciuto
come elemosiniere fino allo scorso dicembre 2011 è
ascrivibile fra l’ultimo quarto del XVII secolo e il primo del XVIII secolo; le fiamme sono rese in modo molto naif come il corpo dell’anima purgante che al collo porta un “abitino” con M (per Maria). Il piatto, il cui diametro è forzosamene limitato per le dimensioni del tronco d’origine, ha condizionato il riconoscimento essendo stato interpretato come semplice piedistallo. Esemplari simili sono presenti a Baressa (Diocesi di Ales), Parrocchia di S.Giorgio ed anche a Figu (frazione di Gonnosnò), Parrocchia di S.Maria.
Altezza cm 27, non 24 come riportato nel cartellino.
Alcuni elemosinieri esistenti in Sardegna
In alto da sinistra: Fonni, santuario della Madonna dei Martiri; Neoneli, Parrocchiale di S.Pietro Apostolo; area campidana (coll.privata).In basso da sinistra: Orani Chiesa parrocchiale (3 piatti);.
Orgosolo
Orgosolo conserva presso il museo parrocchiale e presso privati un certo numero di elemosinieri ben conservati e non pubblicati, di varie tipologie. Questo è il primo tentativo di catalogazione di questo corpus locale.
Ottana(Nuoro)
A sinistra: elemosiniere con al centro decorazione fitomorfa in rilievo, con 4 grappoli d’uva e 4 foglie di
vite. Nella fascia superiore corre l’iscrizione gotica tedesca abbreviata RAME WIS HN BI (Forza hanno con
sé i saggi). Prima metà del XVI, lega di rame, Ottana, coll. privata.
A destra: identico piatto in ottone dal mercato antiquario, cambia la scritta: GOT GEB UNS DEN FRID
AMEN (Dio ci darebbe la pace) sempre in gotico tedesco abbreviato, prima metà XVI secolo.
I grappoli simboleggiano Israele, popolo di Dio e sua proprietà. Nella cultura greca i pampini della vite e i grappoli sono attribuiti a Dioniso, dio dell'ebbrezza.
Ottana (Nuoro)
Elemosiniere con doppia serie di girandole e con iscrizione a rilievo nella fascia
esterna che recita in gotico tedesco WIS HN BI RAME ( I saggi hanno con sé la forza).
Fine secolo XV- prima metà del XVI, lega di rame e zinco.
Ottana, Cattedrale di San Nicola. Da questo esemplare sono state fatte molte copie
moderne per uso profano (accompagnamento al ballo e questua di carnevale).
Perché elemosinieri nordeuropei in Sardegna?E’ davvero strano che in un’isola sotto il dominio catalano-aragonese (1324-14 gennaio 1479),
quindi spagnolo fino al 1709 non ci siano che pochissimi elemosinieri spagnoli (finora 3 soli
rintracciati), a favore delle forse centinaia di piatti d’oltralpe.
Per migliore comprensione, con Oltralpe o Nordeuropeo (rispetto all’Italia) si indica qui la
parte centrale dell’Europa, escludendo i paesi baltici e scandinavi con la Danimarca, Regno
Unito e Irlanda, mentre la Polonia sarà interessata per la sua parte meridionale a questa
produzione a partire dal XVI secolo.
Questo è un filone di ricerca tutto da seguire, quindi qui ci si limita a constatare la situazione
senza commentarla.
L’arrivo nella seconda metà del XV secolo e durante tutto il XVI di elemosinieri nord europei o
“di tipo nordeuropeo” in Sardegna si deve a due fattori:
1) il potente influsso della moda delle nuove forme artistiche per comodità definite come “gotico
internazionale”, che prepotentemente pervade la cultura di ogni paese europeo già dall’inizio del
XV secolo;
2) le committenze, i doni e gli scambi che avvengono per:
- dotare di arredi sacri le chiese sarde, dalle sedi vescovili fino alle più umili chiese di campagna.
- grazie ricevute o da ricevere.
- ingraziarsi un prelato, o per ricambiare un dono.
- lasciare agli occhi della comunità un segno tangibile della potenza ed importanza del proprio
casato.
L’elemosiniere della cattedrale di OttanaE’ estremamente difficile capire come sia giunto nella disponibilità della Cattedrale di Ottana il suo elemosiniere, di fattura tardo quattrocentesca o inizi del XVI secolo. Il piatto anche se di produzione massificata era pur sempre un bene costoso e nella disponibilità di persone ricche. Ad Ottana di sicuramente abbiente c’era il vescovo.
Ma quale dei diversi prelati che si sono succeduti fra la metà del XV e la metà del XVI Secolo? I vescovi della sede di Ottana che ci possono interessare sono i seguenti:• Simone Mancha † (1429 - 1454)• Giovanni de Sallinis † (1454 - 1471)• Antonio di Alcala † (1471 - 1472)• Gerolamo di Setgi † (1474 - 1475)• Ludovico Camagni † (1481 - 1483)• Domenico di Milia † (1483 - 1493)• Giovanni Perez † (1501 - 1504)• Pietro Parente † (1504)
Era il 26 novembre 1503 quando il Papa Giulio II, acconsentendo alle pressanti richieste di Ferdinando II e Isabella d'Aragona, ma anche nel rispetto di quanto predisposto dal suo predecessore Alessandro VI, firmò la bolla con la quale nacque la "Diocesi di Alghero e Chiese Unite". L'atto papale stabiliva la fusione delle antichissime Diocesi di Castro, Bisarcio e Ottana e, contemporaneamente, il trasferimento della sede vescovile ad Alghero.La dimensione della Diocesi era veramente vastissima: andando quasi da mare a mare accorpava sotto il vescovo di Alghero una porzione notevole di centro-nord Sardegna, rendendo non poco difficoltoso il compito dell'alto prelato che, con i mezzi di allora, era costretto a trasferte faticose di diversi giorni. Per di più il territorio non aveva continuità: Alghero era una enclave staccatasi dalla Diocesi di Torres (Sassari), la quale non aveva affatto ceduto il resto del territorio confinante, tanto che la prima parrocchia fuori Alghero era Ardara!Il primo vescovo fu il successore dell'ultimo vescovo che resse la diocesi di Ottana, Mons. Pietro Parente, andaluso di origine e Inquisitore del Sant'Ufficio. Gli succedette nel 1514 Giovanni de Loysa, spagnolo già canonico di Zamorra e Segretario Apostolico a Roma. Negli anni si susseguirono, con poche eccezioni, vescovi di origine catalano-spagnola, ritenuti più "sicuri" dai sovrani iberici.
L’elemosiniere di Orani come tracciaSi è già presentato un elemosiniere da Orani, Chiesa di S. Andrea, praticamente identico nella decorazione a doppia
girandola a quello della Cattedrale di Ottana salvo che per l’iscrizione (WIS HN BI RAME invece di ICH WART
DER IN FRIDE ). La datazione è praticamente uguale, fra seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo.
Potrebbero essere arrivati insieme nella zona?
Massimo Pittau in un suo studio «ORANI E OROTELLI sedi estive dei Vescovi di Ottana. Un altro antico Vescovo»
ci fa sapere quanto segue: http://www.pittau.it/Sardo/diocesi_ottana.html)
«Piscopío è il nome di un vecchio rione di Orani: evidentemente esso deriva dal
greco bizantino episkopíon «episcopio, vescovado». A mio giudizio, questo
toponimo dice chiaramente che il vescovo dell’antica diocesi di Ottana, della
quale faceva parte anche Orani, secondo una comune usanza della Sardegna
antica, nel periodo estivo, al fine si sfuggire al caldo e soprattutto al pericolo
della malaria o, come si diceva allora, della “intemperie”, imperante nella piana
di Ottana, si rifugiava in una sua sede estiva di Orani. La qual cosa, lo sappiamo
per certo, faceva anche ad Orotelli. (omissis)
L’altro toponimo di Orani Barbaru Piscopu a mio giudizio fa riferimento al nome
personale di un vescovo della diocesi di Ottana.»
Dunque il vescovo di Ottana aveva terreni nell’agro del confinante paese di Orani
e, come già detto, anche nell’agro di Orotelli. Attualmente il secondo toponimo non figura nelle carte topografiche
dell’Istituto Geografico Militare e nemmeno nella tradizione orale del paese; esso è stato trovato in carte antiche dal
compianto Giacomino Zirottu, Orani – Storia e testimonianze di un popolo (Nùoro 2000, Edizioni Solinas, pagg. 190,
192). Pittau interpreta il toponimo Barbaru Piscopu come il nome del Vescovo Barbaro, anteriore a Giovanni, primo
vescovo conosciuto per Ottana (1112) e quello di Piscopío come il luogo ove sorgeva l’antico episcopio, rintracciato ad
Orani; la presenza di uno stemma IHS sormontato da una croce indica che lo stabile fu occupato da Gesuiti?
Al proposito Pittau scrive: Questa sigla o simbolo è molto comune, ma non è molto antico; se non ricordo male esso è
stato creato o, almeno, divulgato, dall’Ordine dei Gesuiti, e quindi dopo il XVI secolo. E per il nostro argomento
potrebbe indicare che, dopo che la sede vescovile di Ottana fu nel 1502 trasferita ad Alghero, la sede di Orani fu
occupata da qualche gruppo di Gesuiti.
In questo Pittau fa un errore di valutazione cronologica, mentre resta il fatto che un vescovo finora non ancora
identificato può aver ordinato i due piatti contemporaneamente, uno per Ottana e l’altro per Orani. O li ha avuti in
dono? Sarà interessante esplorare la possibilità della presenza di un terzo simile piatto ad Orotelli.
Vescovi di Alghero dal 1503, ma dove stavano?Da http://it.cathopedia.org/wiki/Diocesi_di_Alghero-BosaPedro Parente † (18 dicembre 1503 - 1514 deceduto) Juan Loaysa † (13 novembre 1514 - giugno 1524 nominato vescovo di Mondoñedo) Guillermo Casador † (19 giugno 1525 - 1527 deceduto)Domenico Pastorello, O.F.M.Conv. † (1528 - 1534 nominato arcivescovo di Cagliari) Juan Reina † (13 novembre 1534 - 5 giugno 1538 nominato vescovo di Pamplona) Durante Duranti † (28 giugno 1538 - 18 febbraio 1541 nominato vescovo di Cassano allo Ionio) Pedro Vaguer † (4 maggio 1541 - 1556 deceduto) Pedro del Frago Garcés † (2 dicembre 1566 - 26 novembre 1572 nominato vescovo di Jaca) Antioco Nin † (1572 - 1578 deceduto)
Da http://www.archivi.beniculturali.it/DGA-free/Strumenti/Strumenti_CLXXII.pdf« La nascita della diocesi di Alghero risale al 1503, quando Giulio II, nell’ambito di una vasta ristrutturazione territoriale delle
diocesi sarde, promuove Alghero a sede vescovile. La nuova diocesi risultò composta dai territori delle antiche diocesi di Castro e Bisarcio soppresse e unite alla diocesi di Ottana, la cui sede fu trasferita ad Alghero. Ci si trovò con una diocesi geograficamente spezzata in due tronconi: da una parte la sede, Alghero, e dall’altra il corpo della diocesi, con distanze che oscillavano dai 90 ai 150 km.
Questa anomalia ha pesato in maniera considerevole sui primi passi sia della diocesi come del Capitolo, i cui canonici furono per anni molto restii a trasferirsi da Ottana alla nuova sede. Il Capitolo comincia in qualche modo a funzionare con una certa stabilità e organicità a partire dal 1526, quando il vescovo Guglielmo Cassador, da Roma dove conservava gli incarichi nella curia romana ottenne la creazione di 6 canonicati di distribuzioni, uniti a sei chiesette campestri vicine alla città, e ai quali il vescovo assegnò una parte delle rendite della mensa vescovile.
Per decenni fu proprio il Capitolo ad avviare e garantire la vita amministrativa e pastorale della diocesi, data l’assenza quasi generalizzata dei vescovi che cominciarono a risiedere in sede solo dopo il Concilio di Trento. In seguito ai canonici di distribuzione si aggiunsero, come residenti abituali, anche quelli legati agli antichi benefici parrocchiali della vecchia diocesi di Ottana.»
Ad oggi non sappiamo chi portò il piatto ad OttanaMa non sono indiziati solo i vescovi. Potrebbe forse essere stato un dono inviato da o in nome di un ottanese lontano, Pietro di Sardegna detto Massaleno, nato ad Ottana verso il 1375 e morto a Murano (VE) in odore di santità il 20 dicembre 1453. Ancora ragazzo fu affidato per la sua educazione a Nicola, presbitero e poi vescovo di Ottana che lo avviò al sacerdozio , all’ordine minore e gli conferì l’ordine presbiteriale il 29 marzo 1400. Ma Pietro Massalenomancò da Ottana fin dal 1405 per andare prima a Venezia e poi in Palestina dove stette 5 anni per tornare poi a Venezia, e non risulta più ritornato in Sardegna. Ma dato che già nel 1453 esistevano gli elemosinieri potrebbe essere stato un dono post mortem del suo convento camaldolese come ricordo impetrato dalla comunità di Ottana che ancora oggi lo venera, anche perché la scritta in gotico sul piatto recita che i giusti hanno con sé la forza (d’animo).
Infine, chi governava il territorio di Ottana fra XV e XVI secolo?Da http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_81_20071203170820.pdf voce Ottana
“Nel 1410 fu incluso nei territori concessi in feudo a Nicolo` Turrigiti i cui discendenti pero` nel 1430 lo vendettero al marchese d’Oristano. Quando il marchesato nel 1477 fu sequestrato a Leonardo Alagon, il villaggio fu incluso nei territori riconosciuti ai Carroz del ramo di Mandas, eredi di Giovanni d’Arborea, che si estinsero nel 1479. Il villaggio allora passo` ai Mazade Liçana ed ebbe inizio una crisi anche in conseguenza dello spostamento della diocesi ad Alghero nel 1503. Estinti i Maza,dopo una lunga contesa giudiziaria conclusa nel 1571, divenne proprieta`dei Portugal; estinti anche i Portugalpasso` ai De Silva che lo inclusero nel feudo di Orani che rimase in possesso dei De Silva fino al riscatto dei feudi nel 1838”In sintesi, troppi nomi e troppe ipotesi senza documentazione probatoria! L’origine dell’elemosiniere della Cattedrale di San Nicola è destinata a restare un mistero fino a quando e se mai si rintraccerà un documento illuminante, che non pare esistere fra alcuni atti pervenuti dalle tre antiche diocesi di Ottana (1475), Castro (1420) e Bisarcio (1435) esistenti nell’ Archivio Capitolare della Diocesi di Alghero-Bosa.
Piatti, bacili ed elemosinieri in chiese collezioni e musei in SardegnaL’elenco, largamente incompleto, è un primo passo per la costituzione di un database di questa classe di monumentiI nomi evidenziati in neretto sono stati censiti e fotografati.AidomaggioreAlghero, collezione Galasso, molti elemosinieri e qualche piatto da parata e da pompa.Allai, Parrocchiale, 2 piatti da questua dal distrutto villaggio medievale di Lodduo, uno con scritta RAMEWISTANBI e rosone, l’altro con 2 portatori di grappolo d’uva e scritta “in strani caratteri gotici indecifrabili”, v. AAVV1988ArzanaBarumini, parrocchiale, 1 piatto identico a quello di Savona, v. AAVV1988.Bortigali, Parrocchiale di S. Maria degli Angeli, 1 piatto con scritta illeggibile, in *DETTORI 2003, inventariato come SBAAAS Sassarin.20/000115029Cagliari, Pinacoteca Nazionale, 3 piatti da questua in rame datati XVI secolo, di cui 1 (inv. 582, cm 35) con Adamo ed Eva., uno (inv.584 cm 37,5) con angelo come quello di Savona e come quello di Barumini, uno (inv.583 cm. 28,5) con testa di Cicerone e legenda,; v. A.A.V.V. 1988 Vol I; p.125CuglieriFlorinas, Chiesa di S.Croce, 1 piatto in ottone con iscrizione gotica doppia, con strumenti della passione (2 tenaglie, 2 martelli, 2 soli chiodi, sec. XVIII, “artigianato sardo”, in in *MONTEVECCHI, VASCO ROCCA 1988 p.415 n.106Fonni, Santuario Madonna dei Martiri, 1 bacile con iscrizione in teca di vetroGadoni, Museo parrocchiale, elemosiniere in legno dipinto di tipo catalano-midi della Francia, cioè una statuetta di purgante emergente dalla fiamme con abitino di Maria (M) ed al di sotto un supporto che si eleva da un piccolo bacile, di fattura probabilmente locale (Sardegna?).Gavoi, Museo etnografico, 1 affuente esposto, non pubblicato.Ghilarza, 1 affuente (copia tarda) in uso dal Gruppo folk di Ghilarza.Laconi, Museo parrocchiale, 1 piatto con Adamo ed Eva, v. AAVV1988.Modolo, Parrocchiale di S. Andrea apostolo, 1 piatto a girandola.Neoneli, Parrocchiale di S.Pietro Apostolo (XVII sec.), 1 “Piatto delle offerte” (DESOGUS 2010, p.43 n. 64).NulviOllolaiOlzaiOrani, Parrocchia S. Andrea Apostolo, 3 “piatti del sabato” in ottone: piatto con portatori di un grappolo d’uva, iscriz. Ehrwart Der In Friede, altro con iscriz. e altro
senza iscriz. V. *PIRODDA 2000 con errori e senza foto.Orgosolo, Museo diocesano, 5 bacili in ottone di cui 3 con iscrizione. Uno è con S.Giorgio e il drago. Non pubblicati.Ottana, in dotazione alla cattedrale 1 bacile, parzialmente pubblicato in Sonos 1998, e 1 affuente (copia tarda) del Gruppo folk s’affuente, non pubblicato. Molte
affuentes riprodotte nel quarto quarto del XXsecolo dall’elemosiniere della Cattedrale di Ottana.Scano MontiferruSassari, Museo diocesano di Sassari, 1 piatto da parata in argento.Tonara, cattedrale, 1 piatto con S.Giorgio e il drago, e iscrizione gotica.Tonara, 1 affuente (copia tarda) fotografato nel 1998 nella mostra dietro il busto di Peppino Mereu un lunedi di Pasqua; foto finora non rintracciata
Stato degli studi in SardegnaSemplicemente non ci sono studi specifici tranne questo. La bibliografia si limita ad alcune citazioni sulla presenza di questi piatti e ad alcune schedature incomplete e quasi tutte errate su provenienza, datazione, ermeneutica e traduzione delle iscrizioni.
Bibliografia sarda su piatti, bacili ed elemosinieri
**A.A.V.V. 1988 – AA.VV., Pinacoteca Nazionale di Cagliari, Catalogo, Vol. I; p.125, 3 piatti da questua, di cui 1 (inv. 582) con Adamo ed Eva.*SABA 2000 – Armando Saba, Antichi monumenti ad Allai, in Sardegna antica culture mediterraneen.17, anno IX, 2000, pp.27-28. A p.28 colonna a dx 2 elemosinieri (is affuentes).*DETTORI 2003 – Maria Paola Dettori, Argenti sacri delle chiese di Bortigali, catalogo della suppellettile ecclesiastica, Comune di Bortigali Biblioteca Comunale, Nuoro 2003, p.18-19, 1 “piatto per elemosine” in ottone.*PIRODDA 2000 – Francesca Pirodda (a cura di), Seda, Prata e Oro, Arte Sacra ad Orani, Chiesa di S. Croce, 30 novembre – 4 Dicembre Anno Giubilare 2000; pp. 17-18, senza foto.*PORCU GAIAS 2000 – Marisa Porcu Gaias, Gli inventari della sacrestia, i libri di amministrazione, gli atti capitolari e le relazioni delle visite pastorali quale fonte per la cronologia degli arredi liturgici d’argento della cattedrale di Sassari, in Memoria Ecclesiae, XVI, Asociacion des Archiveros de la Iglesia en Espana, Oviedo 2000, pp.55-78, pp.63 e fig. 24, piatto da parata in argento da Valladolid, 1762-65.*PORCU GAIAS 2002 – Marisa Porcu Gaias, 4. Piatto da parata 1550-75. Argentiere spagnolo, in Il Museo diocesano di Sassari, Nuoro 2002, p.52-53
Etimologia sarda• *CASU 2002 – Pietro Casu, Dizionario logudorese, manoscritto conservato dalla
Regione Sardegna, s.d. Pubblicato col titolo di Vocabolario sardo logudorese –italiano, a cura di Giulio Paulis, ISSRE Ilisso, Nuoro 2002. Estratto trascritto.
• *ESPA 2008 – Enzo Espa, Dizionario Sardo-Italiano dei parlanti la lingua logudorese, in La Grande Enciclopedia della Sardegna, vol.15 A-Com, p.83, voce affuènte, Editoriale la Nuova Sardegna S.p.A., Moncalieri (To) 2008.
• *RUBATTU 2002-4 – Antonino Rubattu, DULS Dizionario Universale della Lingua di Sardegna, Voll.1-5 ed. Edes, Sassari 2002. Vol.6,3-4 e I, 3-4 Aggiornamento, Sassari 2004. Estratto trascritto
• *SPANO 1851 – Can. Giuseppe Spano, Vocabolario Italiano –Sardo e Sardo –Italiano, Ed. Tipografia Nazionale, Cagliari 1851, rist. anastatica Forni Editore, Sala Bolognese 1981, p.223 voce fundùdu.
• WAGNER 1951 – Max Leopold Wagner, La lingua sarda, Berna 1951.
• *WAGNER 2008 – Max Leopold Wagner, DES Dizionario Etimologico Sardo a cura di Giulio Paulis, 2 voll., ed. Ilisso, Nuoro 2008, ried. dell’opera omonima, Heidelberg 1960-1962, 2 voll.; Vol. I, p.84, voce affuènte. Località citate: Bonorva, Mores, Gallura ind.,
Citazioni su bibliografia sarda*ZASTROW 1981 p.540 n. 40 per le 7 melegrane, metà XV secolo).
Foto di elemosiniere da Ottana con scritta in gotico tedesco antico. Chiave del XX secolo (senza foro).
Da *BOSCOLO 2003 a p. 477 e 478, parlando della festa della Madonna del Miracolo a Fonni (1885) “davanti a un piccolo altare si trovava una
cortina, a fianco della quale stava un prete con un piatto nelle maniper raccogliere le lire e i centesimi che per l’occasione vi venivano deposti.”
Da *CASU 2002
Affuènte s.m. In affuent’e prata piatto d’argento (C.Pop.C.N.)> Appuente
Appuènte s.m. recipiente per l’acqua da mettere accanto al letto
Nel manoscritto riportato in fondo al libro
Affuente= recipiente.
Nota: C.Pop.C.N. sta per Canti popolari sardi di Vittorio Cian e Pietro Nurra, in G. Pitrè, Curiosità popolari tradizionali Voll. XI e XIV, Palermo
1893, in Biblioteca Comunale di Alghero)
Da *RUBATTU 2002
Affuente = cabaré, vassoio
Appuente = vassoio
Da *SABA 2000 p.28 3° colonna
“Molto interessanti sono anche due piatti dorati, in rame o bronzo, (detti is affuentes), usati sia per la questua sia come strumenti
musicali(venivano battuti con due grosse chiavi di ferro, una del portone della chiesa e l’altra dell’annesso cimitero) nei r iti della Settimana
santa, che attestano di provenire da una bottega di Norimberga, come si
evince dalle iscrizioni in tedesco, stampigliate con caratteri gotici sul fondo di entrambi: in uno in stampatello e nell’altro in corsivo.”
Da *SPANO 1851, p.223, voce Fundùdu, ag. Log., Fungùfu, Mer. profondo, alto.
Da *WAGNER 2008, Vol.I, p.84, voce affuènte.
f. log. ‘piatto grande, vassoio’ (Bonorva: Ferraro, Canti 110; Mores; gallur. L’affuenti (Maria Azara, Trad.pop. della Gallura, p.64); log. sett.
anche appùente (Casu), = sp. (la) fuente ‘plato grande’.Nota bene:
Per Bonorva citata da Ferraro vol. IX, p.110, XXX, Po ninnare, Bonorva (la Siena logudorese) verso 14, si parla di una Affuente, apuente,
vassoio contenente acqua presso il letto
Iscrizioni in rilievoSi tratta di un ristretto numero di iscrizioni ripetute
con diverse varianti nelle fasce (una o due) che circondano la parte illustrata del cavetto. Generalmente sono su una sola fascia, ma speso su due con due tipi diversi di caratteri. Finora molto poche di esse sono state traslitterate e tradotte.
L’alfabeto usato è quasi sempre quello goticorisalente a Wulfila, il vescovo goto di ascendenze bizantine. Ma non manca quasi mai il gotico fiorito, quello internazionale, altri alfabeti dell’est Europa, il burgundo, il sassone, il latino, il cirillico, il glagolitico(area balcanica medievale) e tutte le varianti dei precedenti alfabeti. Questo la dice lunga sulle difficoltà incontrate in questo studio che è ovviamente ancora da completare e tutto in salita.
Alcuni alfabeti possibili
Dall’alto a sinistra: bizantino, gotico maiuscolo, gotico artistico,
gotico dell’est, gotico di Wulfila, ebraico, greco, slavo, gaelico,
latino, gotico tedesco, onciale, runico, gotico fiorito, burgundo,
ecc. ecc.
Il gotico di WulfilaI nonni di Ulfila erano bizantini che, tra il 258 e il 267 vennero catturati come schiavi dai Goti in Cappadocia. Essi
erano cristiani, parlavano il greco ed erano di cultura ellenica. Fu probabilmente tramite prigionieri come loro che si diffuse per la prima volta il cristianesimo tra i Goti, allora stanziati nell'area tra la costa nord-occidentale del Mar Nero e il Danubio. Nel 311 si sa che i genitori di Ulfila erano in una regione a nord del Danubio, in territorio visigoto.
Ulfila (in gotico letteralmente Lupacchiotto) conosceva più lingue per questo pare che venne inviato più volte a Costantinopoli come ambasciatore, dove aveva preso contatti con l'ala più moderata degli ariani. Nel 348 fu scelto come vescovo presso i goti da Eusebio di Nicomedia. Inizialmente la sua missione di evangelizzazione non ebbe successo, infatti Atalarico promosse una persecuzione contro i goti cristiani, che per questo migrarono con Ulfilanell'area oggi corrispondente al confine tra Romania e Bulgaria col benestare dell'imperatore Costanzo II.
Lo storico bizantino Iordanes, nel suo De origine actibusque Getarum del 551, scrive (libro LI, 267): « Erant si quidem et alii Gothi, qui dicuntur minores, populus inmensus, cum suo pontifice ipsoque primate Vulfila, qui eis dicitur et litteras instituisse »« Ci furono anche altri Goti, detti minori, un popolo immenso il cui vescovo e capo fu Vulfila, che si dice li avesseistruiti nelle lettere »
Grazie alla sua predicazione convertì molti goti al Cristianesimo ariano. Tradusse con estrema difficoltà la Bibbia dal greco in gotico antico, di cui creò l'alfabeto (detto appunto gotico): tutto questo prima ancora che venisse realizzata la Vulgata, la traduzione in latino dell'intera Bibbia, da parte di Girolamo. Grazie a lui i Goti furono il primo popolo d'Europa a disporre di una Bibbia in volgare (detta Bibbia gotica). Il testo greco della Bibbia su cui Ulfila operò la sua traduzione è andato perduto e non corrisponde perfettamente a nessuno dei testi in lingua greco-bizantinarimasti.
Tuttavia già nel 325 l'arianesimo venne giudicato eretico dal Concilio di Nicea (a cui partecipò lo stesso Eusebio di Nicomedia in difesa della concezione ariana del cristianesimo), così Ulfila ed il suo testo in seguito furono accusati di eresia.Morì a Costantinopoli nel 388, quando la maggioranza dei goti era ormai convertita al cristianesimo.
Traslitterazione e traduzione dei testi
Anzitutto, utilizzando il programma informatico Illustrator di Adobe si è lavorato sulle foto mettendo in evidenza i contorni delle lettere e poi staccandole stesse dal contesto ed effettuandone la campitura in nero. Quindi si sono stese le scritte in senso rettilineo, si sono cercati i caratteri ripetitivi e si è tentato di capire se si trattasse di testi sensati, di gruppi di caratteri concatenati o solo di caratteri senza rispondenza con alfabeti conosciuti ed utilizzati a solo scopo ornamentale .
Si ricorda che stiamo parlando di alfabeti utilizzati fra il 1450 ed il 1700 in una vasta area dalla Francia e dalle Fiandre fino alla Russia in senso orizzontale e dalla Germania del Nord-Polonia fino alla Turchia.
Inoltre per l’ambiente religioso è usuale l’utilizzo di stili arcaizzanti che indicano continuità. Perciò sono stati presi in considerazione anche alfabeti in uso prima del XVsecolo. Una volta identificato l’alfabeto in uso su un determinato elemosiniere si è esaminata la scritta in relazione allo stile del piatto ed alle raffigurazioni della parte centrale per individuare l’area di fabbricazione. Quindi si è tentato di dare un senso alle lettere identificate.
Spesso si tratta di parole abbreviate, il che ha reso molto difficile la traduzione e comprensione in linguaggio moderno. Ad oggi il lavoro è in continua evoluzione.
Esempi di traduzioni effettuate
WIS HN BI RAME in gotico abbreviato. E’ comune e compare su molti piatti. Traduzione:WIS = der Weise, der Kluge al plurale die Weisen, die Klugen= i saggi; HN = haben(mediev.haban), sein, warden = hanno, sono; BI= bei, mit, dadurch= con sé, presso di, per questo = con sè; RAME = stark = forza (ram-, got., Adj. (a): nhd. stark; ne. strong; Q.: PN, Schönfeld s. u. Ramis; E.: ? germ. *ramma-, *rammaz, *rama-, *ramaz, Adj., stark, scharf riechend; idg.? cf. il lemma nel http://www.koeblergerhard.de/germanistischewoerterbuecher/gotischeswoerterbuch/ .Rame = proviene probabilmente da rams, burgundo: rams (2), burg., Adj.: nhd. stark; ne. strong). Ricomposta, la scritta è WEISEN HABAN BEI RAME con due significati: I saggi hanno con sé la forza oppure I saggi diventano (sono) forti per questo (Kluge haben dadurch stark)
DI DAL WVИDI, dal nimbo di S.Pietro del Vecchietta
DI DAL WVИDI (DI DAL WUNDI) sul Nimbo in lega di rame della statua di S.Pietro scolpita da Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta (1410-1480) fra il 1460 ed il 1462, ma questa si trova anche su molti elemosinieri. La traduzione è:DI = saugen o säugen = succhiare o allattare o aspirare.DAL = Tal, Delle, Grube, Schlucht, Höhle = valle o tutto quello ch'é arcata sul basso.WUNDI da wundan = verwunden, schlagen, geißeln = ferire, battere, flagellare. La forma sembra di essere 2.pers.sing imperfetto,cioè tu battevi, ferivi etc.cfr. http://lexicon.ff.cuni.cz/DAL può nominare anche il seno femminile e "DI DAL" sarebbe un' allitterazione, cioé "succhiare dal seno" ed il senso in tal caso è "ferivi succhiando il seno, aulico per Ferivi nutrendoti di me". Allusione esplicita al tradimento di S.Pietro verso Gesù.Non ancora traslitterato il testo della fascia interna, per la difficoltà di ottenere foto leggibili.
ICH BART (WART) GELUK AL ZEIT
ICH BART (variante WART) GELUK AL ZEIT da leggere ICH WART GELUK ALL ZEIT,
in tedesco moderno ICH WART GLÜCK ALL ZEIT. Traduzione: Io conservo (custodisco, guardiano, vigilo, dò, preservo) sempre la felicità.Geluk = glück, da tradurre con beatitudine, contentezza, felicità, fortuna prospettiva, sorte, ventura, prosperità.
GOT GEB UNS DEN FRID AMEN
GOT GEB UNS DEN FRID AMEN
da leggere GOT GEBE UNS DEN FRIDE AMEN, in tedesco moderno GOTT GEBE UNS DEN FRIEDEN AMEN.
Traduzione: Dio ci darebbe la pace. Cfr: a Sx Piatto con Madonna e Gesù bambino da collezione privata italiana
a Dx piatto con grappoli di vite da collezione privata, Ottana
ICH WART DER IN FRIDE
Ci sono molte varianti ma il senso augurale non cambia: ICH WART DER IN FRIDE
ER WART DER IN FRID(E)
GEHWART DER IN FRIDE
CH WART DER IN FRIDE
GH WART DER I NFRIR (tardo)ICH WART DER IN FRIDE
Traduzione: Io vi preservo (vigilo, conservo) in paceER WART DER IN FRID(E) Traduzione: Egli vi preservi (vigili, conservi) in pace
GOT SEI MIT UNS
GOT SEI MIT UNS
Traduzione:Dio sarebbe con noi (condizionale, forma più comune), oppure: Dio sii con noi (imperativo)
MARIA IOSEPH IHS e variante
Dal territorio tedesco cattolicoMARIA IOSEP IHS MARIA IHS
Traduzione: Maria Giuseppe Cristo Maria CristoMa si trova anche questa scritta:HILFS IHS UND S.MARIA in latino con monogramma cristologico, collezione privata. Traduzione: Aiutaci Gesù Cristo e S.Maria
MARCUSTULIUS CIC=ERO CONS
MARCUS TULIUS CIC ERO CONS in latino, da completare in Marcus Tullius Cicero Consule
Traduzione: Marco Tullio Cicerone Console. Nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari esiste un piatto simile con la legenda MARCU IUS CICERO CONS, interpretato erroneamente come Marcus IuliusCicero Consule nel catalogo della Soprintendenza.
Scritte meno comuni
In alto: WUþU in gotico fiorito ma arabosciita (al wuþu/wuzu/wudhoo') Traduzione: abluzione leggeraNimbo di S. Giovannino, Museo del Bargello, Firenze
A destra: 1762 CA marchio datario da elemosiniere della zona di Cagliari, collezione privata). Importantissimo per la datazione di questa serie di media grandezza del XVIII secolo. Diametro 36 cm.
I numeri indicano l'anno di produzione 1762, la sigla CA potrebbe sembrare quella di Cagliari (e non è detto che non lo sia) ma più probabilmente sono le iniziali dell'artigiano non ancora individuato.Interessante ricordare che data e punzone in lettere gotiche (il trattino centrale della A è rappresentato da due segmenti collegati fra loro con angolo ottuso e vertice in basso) vengono utilizzati in questa forma dagli argentieri cagliaritani fino al 1768 e sostituiti poi dal punzone dell'assaggiatore piemontese. Per il periodo intorno al 1762 non sono menzionati argentieri sardi con queste iniziali (Pisolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna dal Medioevo all'Ottocento, in Biblioteca Francescana Sarda, VII, pp.319-335).
L'oggetto presenta quindi sia il cd. sole delle Alpi di uso comune fra i ramai isilesi (vedi Franco Carcangiu, L'artigianato del rame, Zonza editori, Sestu (CA) 2003, che mostra parecchi esempi di questo tipo di decorazione centrale sui rami sardi d'uso comune) sia la girandola che ha un chiaro riferimento religioso e che è costantemente presente sugli elemosinieri sardi o pervenuti in passato nell'isola. Sembra quindi che l'artigiano abbia voluto coscientemente indicare sia la destinazione d'uso che la provenienza locale del piatto, e quindi questo piatto segna il punto di incontro fra l'antico ed il nuovo. Si notino i punti sulla estremità dei petali della girandola, a cui l'esecutore del più vecchio affuentu di Ghilarza ha fatto riferimento nella esecuzione delle coppelle mammellonate.
Questo piatto non presenta particolari tracce d'uso e di deterioramento oltre alla normale patina del tempo, segno evidente che è stato poco utilizzato (in occasioni religiose) ed è sempre stato conservato con molta cura; si è trattato probabilmente di un bene conservato fino alla morte da un appartenente a qualche confraternita religiosa e poi passato al mercato antiquario senza essere stato riconosciuto.
Cronologia e storia degli elemosinieriL’arco temporale di produzione dell’elemosiniere si estende dalla metà del XV alla fine del
XVIII secolo. Il suo utilizzo primario in ambito ecclesiastico come piatto da questua copre lo stesso periodo ma nel XIX e XX secolo la sua funzione cambia per l’utilizzo o mera esibizione durante le funzioni religiose di particolare importanza, in specie in ambito processionale durante la Settimana Santa quando si usa per mostrare ai fedeli gli strumenti della passione di Cristo (3 chiodi, tenaglie e martello). La moderna concezione dei beni culturali e la più marcata attenzione alle opere di arte minore hanno rivalutato questi manufatti che pian piano sono confluiti in musei parrocchiali e musei civici, mentre una cospicua parte ha raggiunto il mercato antiquario a causa delle vendite fatte da miopi parroci nei decenni passati.
Alcuni musei ne hanno pregevoli esemplari, fino all’eclatante raccolta del Museo del Castello sforzesco di Milano che ne suoi magazzini ne conserva centinaia, fra i più antichi e più belli, di tutte le tipologie e tipi decorativi, purtroppo mettendone in mostra permanente solo pochi per mancanza di spazi espositivi. Su 101 piatti pubblicati da Oleg Zastrow nel 1981 (con datazioni che lasciano perplessi e che sono da rivalutare in senso recenziore) ben 82 di questi provengono da un lascito di 120 elemosinieri effettuato da Francesco Ponti (legato Ponti del 24 febbraio 1896) mentre purtroppo 38 pezzi sono andati dispersi da quella data.
Dalla seconda metà dell’ottocento le famiglie che crescono nella scala sociale ma non tanto da permettersi opere d’arte originali danno vita ad una fiorente produzione di copie quando non di falsi elemosinieri che oggi è difficile distinguere dagli antichi per la bravura degli artigiani. Lo stesso accade oggi ma con un marcato scadimento artistico. Ormai questi piatti vengono riprodotti in Oriente in pressofusione di ottone e non hanno più alcun interesse artistico. Ma visto quando, la domanda è come dove e perché sono nati nel XV secolo .
Come, dove e perché nascono gli elemosinieriGli elemosinieri in questa forma (piatto di grandi dimensioni fra i 60 ed i 45 cm di diametro,
con altorilievi o graffiti riconducenti alla sfera religiosa) compaiono alla metà del XV secolo in
Germania ed hanno una rapida diffusione in Italia, Francia, Fiandre, e nei paesi dell’Europa
dell’est. Prima di questi i bacili ed i piatti utilizzati non avevano particolarità specifiche,
limitando usualmente le ornamentazioni a croci. Finora pochissimi si sono posti la domanda
lasciata finora senza una adeguata risposta. Una svolta si è avuta nel riconoscere sulla testa di
una statua marmorea del 1463 un nimbo metallico che aveva un aspetto familiare e che
all’ingrandimento si è palesato essere un elemosiniere capovolto e spianato, ma con tutte le
ornamentazioni e scritte usuali. Questo risulta essere il più antico piatto datato con certezza!
La statua in questione è un San Pietro eseguito fra il 1462 ed il 1463 da Lorenzo di Pietro
detto il Vecchietta (1412-1480) per conto del Comune di Siena che il 22 febbraio del 1463
la pose nel tabernacolo sul fronte del primo pilastro da sinistra della Loggia della
Mercanzia, luogo simbolico della città, insieme con altre statue fra cui un San Paolo fatto
3 anni prima dal Vecchietta e posto all’altra estremità della Loggia. La statua, alta cm 178,
è in marmo di Carrara, impugna le chiavi in bronzo dorato ed ha una aureola in lega di
rame; da qualche anno è stata posta nel museo di S.Maria della Scala. Solo recentemente in
occasione della compilazione di una scheda per il catalogo di una mostra (2006) uno storico
dell’arte, Gabriele Fattorini si è reso conto che l’aureola era in realtà un elemosiniere.
Nimbo=Elemosiniere
Fascia esterna: fra le parole un fiore a 5 petali, a fine frase un punto in rilievo.
DI DAL WVИDI ripetuto 5 volte, + alla fine (unendo) WVNDIDI cioè · DI (fiore) DАL (fiore)
WVИDI · DI (fiore) DАL (fiore) WVИDIDI (fiore) DАLWVИDI · (fiore) DI (fiore) DАL
Traduzione: (Mi) ferivi nutrendoti di me con allusione al tradimento di S.Pietro verso Gesù.
Fascia interna: in gotico fiorito attualmente non leggibile per intero e non ancora tradotta
L’elemosiniere era già usato e consunto al momento del riutilizzo, quando è stato martellato nella fascia del bordo per essere appiattito ed usato come nimbo
Statuaria del XV secolo a Siena e Firenze
La ricerca di altre statue con elemosinieri sul capo ha restituito una messe di dati
interessanti: finora nessun altro piatto riutilizzato come nimbo è stato ancora rintracciato,
ma sono state focalizzate una serie di statue finora non messe in relazione fra loro per
questo particolare. Tutte all’interno del XV secolo, con addensamento fra 1425 e 1475
Antonio Federighi (Siena 1423 circa-1483), San Vittore,1459; marmo, altezza cm 183. Nimbo in rame sbalzato a cesello e dorato, spada in ferro. Il nimbo fu fatto dall’orafo Francesco di Pietro, pagato il 14 luglio 1459. Scritta: Vi(c)torius Miles .Avochat(us Sene)nsis (Vittorio soldato difensore di Siena) in lettere capitali all’antica. Fra le parole punzoni a forma di fiore a sei petali. Loggia della Mercanzia, poi Museo di S.Maria della Scala, Siena.
Un caso interessante…
Antonio Gamberelli detto Rossellino (1427-1478 o 1481), San Giovannino (circa 1477), Museo del Bargello (Firenze)dal
Palazzo dell’Opera di S.Giovanni Battista.
WUþU in gotico fiorito ma arabo sciita, Traduzione: abluzione leggera (al-wuþu/wuzu/wudhoo'). L'abluzione è
un lavaggio rituale a scopo di purificazione spirituale. La purificazione rituale prende la forma dell'abluzione, in un
forma minore (wudu') e forma maggiore (ghusl), a seconda della circostanza. L'abluzione maggiore, che comprende
l'immersione totale del corpo, è obbligatoria per le donne dopo le mestruazioni, per i cadaveri (non morti durante una
battaglia), e dopo l'attività sessuale, e opzionalmente è praticata in altre occasioni.
Indietro nel tempo con DonatelloMa chi fu il primo ad usare questo modo di porre un nimbo metallico sulla testa delle
statue dei santi? Probabilmente Donatello, e se si osservano le sue opere andando a
ritroso nel tempo si capisce anche da quando: da sinistra
S.Giovanni Battista, 1457, bronzo (Siena, Cattedrale)
Crocifissione, 1444-49, bronzo (Padova, Basilica S.Antonio)
S.Giovanni Battista, 1442, legno policromo (Firenze, Museo Bargello)
Reliquiario S.Rossore,1424-27, bronzo dorato (Pisa, Museo S.Matteo)
S.Marco, 1411-13, marmo e tracce d’oro (Firenze, Orsanmichele)
Il nimbo nella pitturaChiesa di Sagginale (Borgo San Lorenzo, Firenze), nimbi dorati 1390
(Maestro della Madonna Strauss)
Bicci di Lorenzo (Firenze 1368-1452), 1435 e 1440
La pittura in Sardegna
Da sinistra in alto: Maestro di Castelsardo, Retablo di Tuili, 1498-1500 e a destra in basso:Maestro della Carità, Pisa (1330-1345) 1340, a Ploaghe (particolare di S.Domenico).
Resa del nimbo fra XV e XVI secolo in Sardegna
Da sinistra:Cerchia di Lorenzo Cavaro, Dormizio Virginis (fine XV secolo), Selargius (CA), Chiesa di S.Paolo.Aut. ignoto di Maiorca, retablo di S.Pantaleo, ante 1503, Dolianova (Ca), Cattedrale S.Pantaleo, Giovanni Muru e due aiuti, retablo maggiore di Ardara, 1515
Il gotico internazionaleNel corso dei primi decenni del quattrocento Bicci di Lorenzo nella pittura e
Donatello nella scultura (per non parlare degli altri artisti sommi che la
Toscana ha in quegli anni) sono influenzati ed influenzano a loro volta le
nuove mode e correnti artistiche del gotico internazionale che arrivano in
Toscana e nel resto d’Italia. Il problema che si pone è quindi capire se gli
artisti italiani (e in particolare i toscani) con i loro nimbi dorati e le aureole
metalliche sulle statue dei santi hanno provocato in quegli anni la nascita di
una nuova tipologia di elemosinieri in Germania e nelle Fiandre o se sono
stati questi piatti tedeschi a spingere Donatello a metterli sulla testa delle
sue statue.
Si ritiene vera la prima ipotesi, altrimenti non sarebbe un unicum il San
Pietro del Vecchietta a Siena. D’altronde è ben visibile l’evoluzione della resa
dei nimbi nella pittura e nella scultura.
Questi piatti sono nati direttamente oltralpe. I centri di produzione sono
conosciuti per i primi 150 anni, e poi si è ancora nel buio.
Centri di produzione fra il XV e la fine del XVI secolo
La ricerca ha ormai accertato che la produzione di questi piatti nasce nel bacino del Reno dove ci sono buoni giacimenti di zinco che hanno dato vita a fiorenti produzioni di ottoni lavorati che sono sempre stati esportati in Europa e quindi anche in Italia .
Notevole fu questa attività anche a Dinant (Liegi) sulla Mosa, fino al saccheggio a cui fu assoggettata nel 1466 da Carlo il Temerario. Nel medioevo Dinant si era specializzata nella lavorazione dei metalli, producendo fini oggetti in una lega di ottone argentato (chiamati per questo dinanderie) e nella fornitura di acquamanili, candelieri, patene e altri oggetti per gli altari di tutta la valle della Mosa, la Renania e altre regioni. Dopo la distruzione di Dinant la sua produzione fu decentralizzata ed i centri dei Paesi Bassi specializzati nella lavorazione dell’ottone furono Bouvignes, Namur, Tournai, Malines, Huy, Middelburg, che erano zone protestanti, mentre Aachen e Colonia in Renania restarono cattoliche dopo la Controriforma, come Lubecca in Polonia.
Un centro molto importante fu Norimberga dove fin dal 1373 era certamente
attivo un gruppo di ottonai, che probabilmente lavoravano in città da decenni prima e che sicuramente esportarono direttamente o indirettamente in Italia attraverso il Brennero e la Repubblica Veneta
Circa la presunta produzione regionale diffusa in Italia in
quei centocinquanta anni tutto nasce da un equivoco in cui
cadde Francesco Savini (1846-1940) nel 1929, studiando un
gruppo di piatti a Teramo, L’ Aquila e alcune zone del Veneto.
Lo studioso suppose l’immigrazione a Teramo di un gruppo di
ottonai da Norimberga avendo rintracciato sei di questi piatti
in quella città. Ma Savini sbagliava, ed il suo errore ha
condizionato lo studio della produzione degli elemosinieri
per oltre 50 anni!
E’ stato poi accertato senza ombra di dubbio l’utilizzo di stessi punzoni per piatti
esistenti in differenti nazioni, con consunzioni di caratteri e di particolari coincidenti,
ed essendo impensabile il prestito di punzoni da un paese all’altro per via delle
ferree regole protezionistiche occorre supporre che se vi fu produzione italiana
ancora la stessa non è stata identificata e localizzata geograficamente.
Centri di produzione fra XVII e fine del XVIII secoloDal seicento per gli elemosinieri si può iniziare a parlare di produzioni regionali
anche in Italia.
Iniziano a comparire in varie regioni del nord e del centro Italia piccoli gruppi di
maestranze che lavorano non solo l’ottone, da noi meno utilizzato per minore
disponibilità di zinco, ma anche il rame; in particolare Trentino,Veneto, Lombardia,
Toscana ed Emilia (ed ora anche Sardegna) sono le regioni nelle quali gli studi hanno
portato un po’ di bibliografia su questa classe di materiali e sugli altri tipi di piatti e
bacili necessari per la casa e gli usi suntuari. In funzione delle possibilità ridotte dalle
continue guerre si continuano a produrre quegli elemosinieri in ottone che vengono
oggi ritrovati nelle chiese di praticamente tutta l’Italia.
Dimensioni degli elemosinieri nel tempoNel XVIII secolo cambia il modulo dimensionale: dagli usuali 45 cm di diametro si scende a 36 cm fino a oltre la metà del XVIII secolo (vedi elemosiniere datato e marcato 1762 CA) per scendere ulteriormente a 30 cm a fine settecento (almeno per il Piemonte). Il diametro ritornerà maggiore solo con le falsificazioni-riproduzioni del revival ottocentesco e le brutte copie del XX secolo.
Si può quindi affermare che già il diametro
di un elemosiniere è un buon punto di partenza per tentare un inquadramento cronologico plausibile anche se largo.
Il caso sardoIn Sardegna sono presenti molti elemosinieri sia nelle chiese che nelle
confraternite che presso privati, e quasi tutti sono di ottone e di modulo sia grande (45 cm) che medio (37 cm).
Manca praticamente il modulo piccolo (30 cm). Chi li ha fatti? Un solo centro di produzione (ad esempio Isili) o diversi? E per le chiese importanti erano gli orefici o gli argentieri a produrli, o semplici ramai ed ottonai (pochi in verità questi ultimi)?
Come mai si trovano (anche rari) elemosinieri di modulo medio, di ottima fattura, con data e probabile monogramma dell’artefice quando non era previsto per i lavori in rame ed ottone? Forse perché chi l’ha fatto era un argentiere?
Per questa regione ci si deve inoltre porre una domanda: con 3 secoli di dominazione spagnola dal secondo quarto del XIV secolo al 1709 come mai sono praticamente assenti gli elemosinieri di tipo spagnolo (rintracciati solo 6 ad oggi) mentre sono abbondantemente presenti quelli di tipo tedesco o fiammingo, cioè con iscrizioni in lingue germaniche? Come e perché entra la cultura tedesca in una regione dove è obbligatorio parlare spagnolo per 3 secoli?
Ovviamente la ricerca è sempre in itinere e quel che oggi è ignoto probabilmente sarà conosciuto domani…
Uso improprio dell’elemosiniereOggi gli elemosinieri sono in massima parte custoditi con attenzione in musei o
sacrestie e sono considerati oggetti artistici di valore. Un tempo chi li maneggiava
era spesso e quasi solo il sacrestano che passava fra i fedeli a chiedere l’elemosina e
l’obolo per la chiesa. Gli stessi sono stati usati fino all’ottocento e gradualmente
sostituiti da elemosinieri a sacco con apertura a fessura. Segno che dalle offerte
anche in natura si è passati alle sole dazioni in denaro contante? Non certo solo per
questo. Si può ipotizzare una necessità di riservatezza nell’elemosina onde non
esporre in pubblico la propria povertà.
E’ attestato storicamente in Sardegna che il sacrestano fino al settecento in
molti villaggi era a carico della comunità, ed era uso che ogni lunedì girasse per il
paese facendo la questua “per le anime del purgatorio” ( come si faceva in Spagna
col limosnero/plato petitorio) ma in effetti era per il proprio sostentamento. Se il
sacerdote è il tramite fra Dio e gli uomini, il sacrestano è il tramite fra il sacerdote e
la comunità. Lui ha tutt’ora in consegna le chiavi della sacrestia dove si conservano
i beni mobili e preziosi della chiesa, che non possono essere venduti, ceduti o
prestati a nessuno senza l’autorizzazione del sacerdote titolare della chiesa. Tanto
meno gli oggetti necessari al culto e fra questi gli elemosinieri.
Le chiavi del sacrestanoOccorre specificare che il sacrestano era in possesso di un numero definito
di chiavi: quelle del portone della chiesa, della sacrestia, della canonica che usualmente era comunicante con la chiesa, quella dell’annesso cimitero ed infine anche quelle sue, di casa e di eventuali mobili da riposto. Raramente aveva altre chiavi in più. E si tramanda che nel fare la questua sia in chiesa che per le case del paese il sacrestano usasse battere una chiave sull’elemosiniere per richiamare l’attenzione dei fedeli e dei compaesani.
Quindi mediamente 5-7 chiavi.
Come erano fatte queste chiavi? Tralasciando le più antiche di tipo gotico e rinascimentale le chiavi che tramandano questo utilizzo sono a cannello cavo fino a circa il 1890, e poi a fusto pieno fino alla quasi totale scomparsa di questa tipologia a favore delle Yale e simili.
Chiavi
Parti della chiave I tipi fondamentali di chiavi sono due: 1) Impugnatura, anello o testa a fusto (maschie) ed a canna (femmine)2) Base, capitello o ghiera Domanda: con che chiave il sacrestano 3) Asta (canna e fusto) percuoteva l’elemosiniere?4) Pettine, ingegno o castello 5) Fronte6) Intagli o pertugi
Con che chiave il sacrestano percuoteva l’elemosiniere?
La domanda può sembrare oziosa e la risposta difficile, ma si può arrivare a restringere la rosa delle chiavi che il sacrestano poteva usare per battere sull’elemosiniere. Si dovrebbero escludere quelle troppo piccole per la difficoltà di impugnatura (chiavi dei mobili di casa e della sacrestia) e quelle troppo grosse che avrebbero ammaccato il piatto (chiave del portone della chiesa). Restano quelle della canonica, del cancello del cimitero, della sacrestia e di casa propria.
In genere le chiavi femmine sono usate per porte mediamente pesanti in modo che si possano infilare sullo spinotto della serratura e girare bene; le chiavi piene sono per porte medio piccole dove non occorre tanto sforzo, e infine le serrature piccole sono indifferentemente per i due tipi di chiave. Le lunghezze sono di circa 15 cm per le porte mediamente pesanti (casa, canonica e sacrestia) mentre il cancello del cimitero in genere non ha bisogno di grosse serrature e quindi si può pensare ad una chiave a fusto pieno e di misura più piccola. D’altronde per battere un piatto occorre poter impugnare la chiave in modo che batta bene, e la lunghezza ottimale è proprio quella di 15 cm. Che si accorda bene con le chiavi femmine a cannello della casa, canonica e sacrestia.
Ma sarà vero? Il riscontro materiale
Nell’elemosiniere della Cattedrale di Ottana che storicamente è stato utilizzato come strumento musicale a percussione sono evidenti due tipologia di segni lasciati da uno strumento contundente. A sinistra una serie molto fitta di colpi ha lasciato ammaccature oblunghe e ovalari, segno dei colpi di una chiave a fusto, a destra i segni in un altro punto del cavetto sono molto stretti, come dati dalla percussione di uno strumento sottile, e compatibili con l’orlo del cannello di chiavi femmine.I colpi in questi due esempi sono dati sulla faccia anteriore del piatto, ma vi sono serie di infossature (negative) date dall’utilizzo in misura minore della parte posteriore. Le ammaccature larghe sono relative all’uso posteriore al 1880 (datazione più lontana per le chiavi a fusto) mentre quelle a taglio sono precedenti. Ma non si può datare l’inizio dell’utilizzo del piatto come strumento musicale.
Il caso di AlgheroDa L’Alguer, anno V, n.23, Luglio-agosto 1992, p.23. L’anonimo autore dell’articolo in catalano (variante algherese) parla di un bòtul o “una safata de metall” cioè un barattolo o un piatto di metallo col quale il sacrestano chiedeva le offerte in monete metalliche, facendo muovere il piatto con “escuts o francs” in modo che tutti si rendessero conto che stava arrivando e così preparassero i soldi. Quindi non uso di chiave per percuotere l’elemosiniere ma frottamentodel denaro metallico per richiamare l’attenzione in chiesa. Meglio che usare una chiave.
SAFATA f. Plat molt planer, de metall, per a portar dolços, licors o altra cosa fina; cast. bandeja. Sobre d'una safata y gerro de plata, doc. a. 1695 (arx. mun. Valls). Dues safates de llauna enxarolades, doc. a. 1789 (Aguiló Dicc.). Ab las safatas de la xacolateria sota aixella, a tall de llibres, Pons Auca 105.
FON.: səfátə (or., men.); safáta (occ., val.).ETIM.: de l'àrab sáfaṭ, ‘paneret de palmes’, potser per conducte del castellà azafate, mat. sign.
La festa ed il balloPerché tanto interesse per il sacrestano e le sue chiavi? Perché in antico
come oggi esistevano le occasioni della festa e del ballo comunitario, date da
matrimoni, nascite, fine dell’annata agraria, ricorrenze religiose e quant’altro.
La necessità di accompagnare la danza con una o più voci umane (canto
singolo o a tenores in senso lato), uno strumento musicale o, in mancanza di
cantanti o musicisti nel villaggio, con qualunque cosa potesse essere la fonte
di un suono ritmato per muovere a tempo i piedi dei danzatori ha fatto
sempre ed ovunque nella storia dell’umanità sorgere nuove tipologia di fonti
sonore e nuove figure di musicisti, in genere cantanti solisti o a piccoli gruppi,
o percussionisti.
Tralasciando il canto e la voce umana, in Sardegna non abbiamo finora
rintracciato documentazione scritta su questo tema per il periodo anteriore
all’inizio dell’Ottocento. I primi “resoconti” sull’uso di strumenti musicali
“impropri” per l’accompagnamento del ballo parlano di campane,
campanacci, tamburi, coperchi di rame e piatti metallici percossi
ritmicamente; ricordate le matraccas ma non la trunfa pure molto diffusa
geograficamente.
Strumenti per accompagnare il balloEscludendo gli strumenti usuali in Sardegna (launeddas, pipaiolu e sulittu, benas, organetto, ghiterra, trunfa, triangolo ecc.) :
Canto e coroPer Ghilarza, vol. I p.543, l’Angius scrive: “I balli più solenni si fanno all’armonia del canto o in ottava o in sestina, con ritornello. A cantare tali canzoni sono
spesso invitate le donzelle, ed esse se ne tengono molto onorate.”
Per Tonara Vol.III p.1705 l’Angius scrive “Hanno gran passione per i balli e questi si fanno all’armonia del canto, non potendosi che di rado avere uno
zampognatore.”
CampanePer Mores, l’Angius scrive alla voce Mores, p.907 “I moresi ballano nelle maggiori solennità all’armonia strepitosa delle campane battute ne’ soliti numeri della
danza nazionale”.
San Vero Milis (sa regula)
Assemini (arrepiccu)
ZampognaPer Tonara Vol.III p.1705 l’Angius scrive “Hanno gran passione per i balli e questi si fanno all’armonia del canto, non potendosi che di rado avere uno
zampognatore.”
TamburoPer Gavoi Vol.I p.534, l’Angius scrive: “Il ballo è il divertimento comune e si fa o al concento del coro o al suon del tamburo, o alla melodia delle canne (sas
launeddas).”
CampanacciMamoiada (mamuthones)
Da ORRÙ 1999, p. 97-98, e 145 2) campanacci (Domusnovas)
Coperchi di rameDa ORRÙ 1999, p. 97-98, e 145 4) coperchi di rame (Gavoi, Ollolai)
Barattoli coperchi ecc. Da ORRÙ 1999, p. 97-98, e 145 2.2.10. Accompagnamento dei balli tradizionali, b) Sono segnalati i seguenti strumenti musicali: 3.2.10 Azioni del corteo3.2.10°
Suoni, canti, Danze. Le maschere o i componenti del corteo, durante il giro per il paese, suonano strumenti musicali propri, launeddas, e impropri (barattoli,
coperchi, etc)per provocare quanto più baccano possibile omissis suonano cantano e ballano ad Ottana e Quartu Sant’Elena omissis.
Una visione completa degli strumenti utilizzati in Sardegna è nel libro SONOS e nel CD allegato, editi a cura di Gian Nicola Spanu
dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, Ilisso edizioni, Nuoro 1994.
E i grossi piatti metallici?Per Ghilarza, vol. I p.543, l’Angius scrive: “I ghilarzesi non usano zampogne ne’ loro balli;
invece battono con una chiave sopra un gran piatto di ottone scolpito a fiori e a varie figure,
e ne traggono la conveniente armonia pel ballo e per la danza. I balli più solenni si fanno
all’armonia del canto o in ottava o in sestina, con ritornello. A cantare tali canzoni sono spesso
invitate le donzelle, ed esse se ne tengono molto onorate.”
Da *ANGIONI 1994,
Informatore Marcello Marras, Ghilarza. Disegno dell’affuente di Ghilarza a 7 coppelle
mammellonate. (Cfr . *ZASTROW 1981 p.540 n. 40 per le 7 melegrane, metà XV secolo),
con foto di un altro elemosiniere da Ottana con scritta in gotico tedesco antico (di Wulfila),
con chiave del XX secolo, maschia a fusto.
Da *SABA 2000 p.28 3° colonna
Per Allai (OR): “Molto interessanti sono anche due piatti dorati, in rame o bronzo, (detti is
affuentes), usati sia per la questua sia come strumenti musicali venivano battuti con due
grosse chiavi di ferro, (una del portone della chiesa e l’altra dell’annesso cimitero) nei riti
della Settimana santa, che attestano di provenire da una bottega di Norimberga, come si
evince dalle iscrizioni in tedesco, stampigliate con caratteri gotici sul fondo di entrambi: in uno
in stampatello e nell’altro in corsivo.”
Piatto di ottone ad OttanaDa DORE 1976, pp.173-174 e da *DORE 1988, Vol III p.202 34. Affuente. Congegno fonico, costituito da un grosso piatto
di rame sbalzato, che viene percosso con una chiave metallica. In passato accompagnava canti e danze in diverse zone
dell’isola. Attualmente sopravvive solo ad Ottana, dove accompagna l’incedere ritmico delle maschere carnevalesche, i
merdules e i boes.
Da *TURCHI 1998/2011 pp.200-201: “Uno strumento caratteristico che si usava nelle danze di carnevale lo si conserva
ancora ad Ottana nella chiesa di S.Nicola. E’ detto affuente. Con molta probabilità un tempo veniva usato per la danza
che descrive il Cherchi Paba. “S’affuente” è un grande piatto metallico, che ricorda molto i manufatti del Medio Oriente.
Non si sa esattamente da dove provenga, né in che periodo sia stato introdotto in Sardegna, ma quasi certamente
sostituisce o imita uno strumento molto più antico del quale non si ha più memoria. Il termine afués in greco significa
semplice, stupido, incapace per natura (cfr Vocabolario Lorenzo Rocci Greco italiano ultima ed. 2011). Se questo è il
significato della parola affuente, appare chiaro il suo uso. Era lo strumento che accompagnava la danza che la vittima, il
buono a nulla, doveva eseguire prima della sua morte.” (sic).
Da ORRÙ 1999, p. 97-98, e 145
2.2.10. Accompagnamento dei balli tradizionali, b) Sono segnalati i seguenti strumenti musicali: 8) piatto di rame
(Ottana): 3.2.10 Azioni del corteo3.2.10° Suoni, canti, Danze. Le maschere o i componenti del corteo, durante il giro per il
paese, suonano strumenti musicali propri, launeddas, e impropri (barattoli, coperchi, etc)per provocare quanto più
baccano possibile omissis suonano cantano e ballano ad Ottana e Quartu Sant’Elena omissis.
Da *ESPA 2008 vol.15 A-Com, p.83, voce affuènte s.m. piatto di rame per richiamare le maschere; vassoio – grosso
piatto di bronzo sbalzato sul fondo a sei piccoli piatti che toccati con una grossa chiave in maniera
particolare e ritmica danno il suono del ballo sardo (Ischiglia, aprile 1981); Chentzas s’affuènte non comintzas ballu,
senza l’affuente non comincia il ballo (Ottana).
Citazioni su bibliografia sarda*ZASTROW 1981 p.540 n. 40 per le 7 melegrane, metà XV secolo).Foto di elemosiniere da Ottana con scritta in gotico
tedesco antico. Chiave del XX secolo (senza foro).
Da *BOSCOLO 2003 a p. 477 e 478, parlando della festa della Madonna del Miracolo a Fonni (1885) “davanti a un piccolo
altare si trovava una cortina, a fianco della quale stava un prete con un piatto nelle mani per raccogliere le lire e i
centesimi che per l’occasione vi venivano deposti.”
Da *CASU 2002
Affuènte s.m. In affuent’e prata piatto d’argento (C.Pop.C.N.)> Appuente
Appuènte s.m. recipiente per l’acqua da mettere accanto al letto
Nel manoscritto riportato in fondo al libro
Affuente= recipiente.
Nota: C.Pop.C.N. sta per Canti popolari sardi di Vittorio Cian e Pietro Nurra, in G. Pitrè, Curiosità popolari tradizionali
Voll. XI e XIV, Palermo 1893, in Biblioteca Comunale di Alghero)
Da *RUBATTU 2002
Affuente = cabaré, vassoio. Appuente = vassoio
Da *SABA 2000 p.28 3° colonna
“Molto interessanti sono anche due piatti dorati, in rame o bronzo, (detti is affuentes), usati sia per la questua sia come
strumenti musicali(venivano battuti con due grosse chiavi di ferro, una del portone della chiesa e l’altra dell’annesso
cimitero) nei riti della Settimana santa, che attestano di provenire da una bottega di Norimberga, come si evince dalle
iscrizioni in tedesco, stampigliate con caratteri gotici sul fondo di entrambi: in uno in stampatello e nell’altro in
corsivo.”
Da *SPANO 1851, p.223, voce Fundùdu, ag. Log., Fungùfu, Mer. profondo, alto.
Da *WAGNER 2008, Vol.I, p.84, voce affuènte.f. log. ‘piatto grande, vassoio’ (Bonorva: Ferraro, Canti 110; Mores; gallur.
L’affuenti (Maria Azara, Trad.pop. della Gallura, p.64); log. sett. anche appùente (Casu), = sp. (la) fuente ‘plato
grande’. Nota bene: Per Bonorva citata da Ferraro vol. IX, p.110, XXX, Po ninnare, Bonorva (la Siena logudorese), verso
14, si parla di una Affuente, apuente, vassoio contenente acqua presso il letto
Il sacrestano e l’elemosinierePer tutta questa serie di considerazioni sembra di poter
affermare che proprio il sacrestano e solo lui sia stato colui
che avendo la possibilità di avere fra le mani un bel piatto di
buon metallo risonante abbia iniziato a percuoterlo a ritmo di
danza con quello che aveva a portata di mano, probabilmente
una delle chiavi di cui era in possesso, salvo poi cederlo ad altri
più musicalmente dotati, col beneplacito del canonico.
Quando ciò ha avuto inizio è difficile a dirsi perché
elemosinieri di foggia diversa da quelli esaminati sono stati in
uso nella liturgia fin dal II secolo d.C..
Ma probabilmente con l’arrivo di questo tipo di elemosinieri
nella seconda metà del XV secolo è anche iniziato il loro utilizzo
profano come strumento musicale. Ma solo con quelli in
ottone, dal suono simile a quello del bronzo delle campane.
Bacile di bronzo dell’XI-XII secolo
Questo bacile con l’effigie di Carlo Magno in trono al centro di una croce a quattro braccia uguali, legato alla sfera religiosa ed al culto, probabilmente ha avuto anche l’uso di elemosiniere. Ma non di strumento musicale per la sua forma ed il poco spessore.
Trovato nel 1936 nel greto dell’Arno presso Empoli (FI), diametro 26 cm, datazione ante 1106
Bacile di bronzo dorato con medaglione di Carlo Magno, nel Museo di Montelupo(FI). Si tratta di uno dei cosiddetti “bacili Hansa”, rinvenuti soprattutto nella Germania settentrionale, ma fabbricati con ogni probabilità nell’isola baltica di Gotland, che fu un importante centro metallurgico medievale. Il bacile di Montelupo appartiene ad una serie assai ristretta (solo tre esemplari sinora noti, uno rinvenuto ad Halle, l’altro a Riga), che mostrano al centro un medaglione con l’effigie di un imperatore; mentre gli altri due si riferiscono ad Ottone I, l’esemplare di Montelupo – unico al mondo – mostra invece Carlo Magno.
Affuente
Il testo di riferimento per capire cosa venga indicato con
la parola affuente è il libro di Don Giovanni Dore (1975)
grande studioso di etnografia ed etnomusicologia sarda
Definizione di affuenteDal Diccionario.com
fuente (pronuncia: fuen in castigliano) traduzione in catalano: Font ; nombre femenino1 Lugar donde brota una corriente de agua, ya sea del suelo, de entre las rocas, de un caño o de una llave: el pobladodisponía de un aljibe o cisterna en la que se almacenaba el agua traída de una fuente próxima.2 Construcción de piedra, hierro o ladrillos con uno o varios caños o espitas por donde sale agua: bebió agua de lafuente mientras esperaba.3 Recipiente, generalmente de piedra, cóncavo y provisto de un pedestal que se encuentra en las iglesias y sirve paraadministrar el bautismo.
SINÓNIMO: pila bautismal.4 Origen, principio o fundamento de una cosa: el comercio al por menor es el que puede convertir mejor la
accesibilidad en fuente de beneficios; el Sol es fuente de calor.
SINÓNIMO: manantial.5 Documento, obra o persona que proporciona datos o información: fuentes cercanas al presidente han desmentido suenfermedad; el cotejo de fuentes permite fechar el texto entre los siglos xii y xiii.6 Cuerpo, sistema o dispositivo que emite algún tipo de radiación o vibración: fuente de alimentación; el sonido es unaenergía que se transmite sin apenas desplazamiento de la fuente sonora.
7 Recipiente en forma de plato grande, generalmente ovalado o redondo, que seusa para servir alimentos: colocó la fruta en la fuente de cristal.
8 Cantidad de comida que cabe en este recipiente: se comió una fuente de langostinos él solito.9 Conjunto de letras y caracteres tipográficos que tienen características propias: en el menú de su tratamiento de
textos, en la opción de diseño, seleccione la fuente deseada; actualice la información de la impresora para quereconozca las nuevas fuentes de su computadora.
Dizionari sardi
Da *CASU 2002Affuènte s.m. In affuent’e prata piatto d’argento (C.Pop.C.N.)> AppuenteAppuènte s.m. recipiente per l’acqua da mettere accanto al lettoNel manoscritto riportato in fondo al libroAffuente= recipiente.Nota: C.Pop.C.N. sta per Canti popolari sardi di Vittorio Cian e Pietro Nurra, in G. Pitrè, Curiosità popolari tradizionali Voll. XI e XIV, Palermo 1893, in Biblioteca Comunale di Alghero)
Altre definizioni per affuenteDa *ESPA 2008 vol.15 A-Com, p.83, voce affuèntes.m. piatto di rame per richiamare le maschere; vassoio – grosso piatto di bronzo sbalzato sul fondo a sei piccoli piatti che toccati con una grossa chiave in maniera particolare e ritmica danno il suono del ballo sardo (Ischiglia, aprile 1981); Chentzas s’affuènte non comintzas ballu, senza l’affuente non comincia il ballo (Ottana); un affuente de amarettes e de pilichittos, un vassoio di amaretti e di “pilichittos”.
Da *RUBATTU 2002Affuente = cabaré, vassoioAppuente = vassoio
Da *SPANO 1851, p.223, voce Fundùdu, ag. Log., Fungùfu, Mer. profondo, alto.
Da *WAGNER 2008, Vol.I, p.84, voce affuènte.f. log. ‘piatto grande, vassoio’ (Bonorva: Ferraro, Canti 110; Mores; gallur. L’affuenti (Maria Azara, Trad.pop. della Gallura, p.64); log. sett. anche appùente (Casu), = sp. (la) fuente ‘plato grande’.
Nota bene: Per Bonorva citata da Ferraro vol. IX, p.110, XXX, Po ninnare, Bonorva (la Siena logudorese) verso 14, si parla di una Affuente, apuente, vassoio contenente acqua presso il letto
Quindi la parola affuente indica un recipiente basso, largo e con tesa utilizzato in cucina ed in camera da letto (pieno d’acqua per i bisogni notturni).
Solo il recentissimo Espa ne dà una etimologia legata soltanto al ballo, riferendosi ai piatti esistenti (in copia da originali antichi) a Ghilarza, Gavoi e Tonara e non a quelli di Ottana.
Interpretazioni erratePer tutte, quella che si trova in un fortunato libro di Dolores Turchi,
Maschere, Miti e feste della Sardegna, collana Tradizioni italiane Newton
n.105, Newton Compton ed., 2° edizione (1° ed. 1990), Ariccia (Roma) 2011.
Citato l’affuente di Ottana alle pp. 200-201 con errori talmente grossolani
di definizione che ovviamente non giovano alla conoscenza della cultura
etnografica sarda. L’unica cosa giusta è probabilmente l’accenno alla danza,
ma perché ha riportato un passo di altro autore!
“Uno strumento caratteristico che si usava nelle danze di carnevale lo si conserva ancora ad Ottana nella chiesa di S.Nicola. E’ detto affuente. Con molta probabilità un tempo veniva usato per la danza che descrive il Cherchi Paba. “S’affuente” è un grande piatto metallico, che ricorda molto i manufatti del Medio Oriente. Non si sa esattamente da dove provenga, né in che periodo sia stato introdotto in Sardegna, ma quasi certamente sostituisce o imita uno strumento molto più antico del quale non si ha più memoria. Il termine afués in greco significa semplice, stupido, incapace per natura (cfr. Vocabolario Lorenzo Rocci Greco italiano ultima ed. 2011). Se questo è il significato della parola affuente, appare chiaro il suo uso. Era lo strumento che accompagnava la danza che la vittima, il buono a nulla, doveva eseguire prima della sua morte.”
Semplicemente ridicolo identificare nel greco antico l’etimologia per un
semplice caso di convergenza fonetica!
Idee poco chiare in materiaUn’altra svista proviene da Marisa Porcu Gaias, brava storica dell’arte, nel proporre una provenienza orientale per elemosinieri delle Fiandre (per l’esattezza Mechelen) o della Stiria. Questo dimostra che c’è ancora molto da studiare in materia.
Quello con la data e le iniziali C A è forse il più vicino ad alcuni esemplari che troviamo in Sardegna per via della baccellatura a "girandola", che compare in quelli delle parrocchiali di Bortigali e di Modolo. Questi piatti da elemosina hanno una buona diffusione nelle chiese della Sardegna e, di varie fogge, con o senza le scritte in falso cirillico, con o senza elementi figurativi, ne troviamo, ad esempio, oltreché a Florinas, a Nulvi, Tonara, Ollolai, Olzai, Aidomaggiore, Scano Montiferro, Cuglieri. Non ho documentazione per il capo di Cagliari ma nella Pinacoteca cagliaritana si trovano tre esemplari: uno con la raffigurazione di Adamo ed Eva, punzonato, simile in tutto ad un altro presente a Laconi, uno con l'arcangelo Michele, di cui esiste un simile esemplare a Barumini, e uno con un ritratto di profilo di Cicerone, anch'esso punzonato.
Direi che per tutti questi esemplari si può ragionevolmente ipotizzare la provenienza dall'Europa settentrionale, da Norimberga o più in generale dalla Germania, mentre per uno dei suoi piatti, quello con le bugne ovali di vario formato, azzarderei una provenienza dall'area orientale. Orientale mi pare anche la bella decorazione a leoni alati, viti etc. dell'altro suo bel piatto.(IN EFFETTI IL BACILE A CUI SI RIFERISCE E’ DI AREA BALCANICA)
AFFUENTE – BIBLIOGRAFIA specificaMario Galasso, Versione 7-2-2012
• Nota: i titoli in blu ed asteriscati sono già acquisiti
• *ANGIONI 1994 – Giulio Angioni, Affuente, in Sonos, Strumenti della musica popolare sarda - Gli strepiti del triduo pasquale, ISSRE Ilisso, Nuoro 1994, ristampa 1998, pp. 20, 35, 44-45.
• *ANGIUS 2006 – Vittorio Angius, Città e Villaggi della Sardegna dell’Ottocento, Abbasanta Guspini, a cura di Luciano Carta,ed. Ilisso, Nuoro 2006, riedizione di CASALIS 1833-1856, Voll.1-28 (selezione dei lemmi relativi alla Sardegna con l’aggiunta della voce Savoja), voce Ghilarza, p.543. Vedi Mores per campane, p.907
• *AZARA 1940 - Maria Azara, Tradizioni popolari della Gallura. Dalla culla alla tomba, tesi di laurea, rel. Paolo Toschi, Roma 1940, in Paolo Toschi, Studi e testi di tradizioni popolari, vol I, p.64, Roma 1943. Ed. anastatica a cura di Luigi Mulas, 2005. Copie alla Biblioteca Universitaria di Sassari ed alla CCIAA di Sassari. Fotocopia. Ordinato
• CASALIS 1841 – Sac. Goffredo Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico -commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Vol. VIII, Torino 1841, p.37, Voce Ghilarza.(Vedi *ANGIUS 2006)
• *CIAN NURRA 1893 - Vittorio Cian e Pietro Nurra, Canti popolari sardi, in G. Pitrè, Curiosità popolari tradizionali Voll. XI e XIV, Palermo 1893, in Biblioteca Comunale di Alghero, estratto.
• *DORE 1976 – Don Giovanni Dore, Gli strumenti della musica popolare della Sardegna, ed. 3T, Cagliari 1976, pp.173-174.• *DORE 1988 - Don Giovanni Dore, Gli strumenti della musica popolare, in Mario Brigaglia (a cura di), La Sardegna
Enciclopedia, III, Cagliari 1988, pp.199-203. Fotocopia.• *FERRARO 1891 – Giuseppe Ferraro, Canti popolari in dialetto logudorese, Torino 1891, in Domenico Comparetti e
Alessandro D’Ancona (a cura di), Canti e racconti del popolo italiano, vol. IX, p.110, XXX, Po ninnare, Bonorva (la Siena logudorese) verso 14, rist. anastatica, GIA editrice, Cagliari 1989.
• Ischiglia, aprile 1981• ORRÙ 1999 – Luisa Orrù, Maschere e doni, Musiche e balli, a cura di Fulvia Putzolu e Teresa Usala, University Press,
Antropologia 1, ed. CUEC, Cagliari 1999, pp.422 in 8°. • *SABA 2000 – Armando Saba, Antichi monumenti ad Allai, in Sardegna antica culture mediterranee n.17, anno IX, 2000,
pp.27-28. A p.28 colonna a dx 2 elemosinieri (is affuentes).• SARDU 2000 – Salvatore Sardu (regia di) Danze sarde, documentario VHS 44’ 39” colore, sonoro; fra gli altri: Gruppo folk "San
Nicola" di Ottana (NU), a s’affuente: Gonario Denti. Prod. SAR Film, Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Cineteca Sarda, Alghero.
• *TURCHI 2011 – Dolores Turchi, Maschere, Miti e feste della Sardegna, collana Tradizioni italiane Newton n.105, Newton Compton ed., 2° edizione (1° ed. 1990), Ariccia (Roma) 2011. Citata l’affuente di Ottana alle pp. 200-201 con errori grossolani di definizione.
Citazioni sardeDa *ANGIONI 1994, Informatore Marcello Marras, Ghilarza. Disegno dell’affuente di Ghilarza a 7 coppelle mammellonate. (Cfr . *ZASTROW 1981 p.540 n. 40 per le 7 melegrane, metà XV secolo).Foto di elemosiniere da Ottana con scritta in gotico tedesco antico. Chiave del XX secolo (senza foro).Da *ANGIUS 2006Per Mores, l’Angius scrive alla voce Mores, p.907 I moresi ballano nelle maggiori solennità all’armonia strepitosa delle campane battute ne’ soliti numeri della danza nazionale. Non parla di affuente.Per Ghilarza, vol. I p.543, l’Angius scrive: “I ghilarzesi non usano zampogne ne’ loro balli; invece battono con una chiave sopra un gran piatto di ottone scolpito a fiori e a varie figure, e ne traggono la Convenientearmonia pel ballo e per la danza. I balli più solenni si fanno all’armonia del canto o in ottava o in sestina, con ritornello. A cantare tali canzoni sono spesso invitate le donzelle, ed esse se ne tengono molto onorate.”Per Ottana non nomina l’affuentePer Gavoi Vol.I p.534, non si nomina l’affuente. “Il ballo è il divertimento comune e si fa o al concento del coro o al suon del tamburo, o alla melodia delle canne (sas launeddas).”Per Tonara Vol.III p.1705 non si nomina l’affuente. “Hanno gran passione per i balli e questi si fanno all’armonia del canto, non potendosi che di rado avere uno zampognatore .”Da AZARA 1943, p. 64 da cercareDa *CASU 2002Affuènte s.m. In affuent’e prata piatto d’argento (C.Pop.C.N.)> AppuenteAppuènte s.m. recipiente per l’acqua da mettere accanto al lettoNel manoscritto riportato in fondo al libroAffuente= recipiente.Nota: C.Pop.C.N. sta per Canti popolari sardi di Vittorio Cian e Pietro Nurra, in G. Pitrè, Curiosità popolari tradizionali Voll. XI e XIV, Palermo 1893, in Biblioteca Comunale di Alghero)Da *DORE 1976, pp.173-174Da *DORE 1988, Vol III p.202 34. Affuente. Congegno fonico, costituito da un grosso piatto di rame sbalzato, che viene percosso con una chiave metallica. In passato accompagnava canti e danze in diverse zone dell’isola. Attualmente opravvive solo ad Ottana, dove accompagna l’incedere ritmico delle maschere carnevalesche, i merdules e i boes.Da *ESPA 2008 vol.15 A-Com, p.83, voce affuèntes.m. piatto di rame per richiamare le maschere; vassoio – grosso piatto di bronzo sbalzato sul fondo a sei piccoli piatti che toccati con una grossa chiave in maniera particolare e ritmica danno il suono del ballo sardo (Ischiglia, aprile 1981); Chentzas s’affuènte non comintzas ballu, senza l’affuente non comincia il ballo (Ottana); un affuente de amarettes e de pilichittos, un vassoio di amaretti e di “pilichittos”.Da *FERRARO 1891, vol. IX, p.110, XXX, Po ninnare, Bonorva (la Siena logudorese)“Lassa su malumore – Intro ‘e s’affuente 4Ti mande finzas in domo – Sa pramma su RettoreMorte mai non t’inganne(de) – Intro ‘e s’affuente,Sa pramma e su Rettore - Finzas in domo ti mande(de)”Ed a nota 4: Affuente, apuente, vassoio contenente acqua presso il letto.Da ORRÙ 1999, p. 97-98, e 1452.2.10. Accompagnamento dei balli tradizionali, b) Sono segnalati i seguenti strumenti musicali: omissis2) campanacci (Domusnovas) omissis4) coperchi di rame (Gavoi, Ollolai) Omissis8) piatto di rame (Ottana): omissis3.2.10 Azioni del corteo3.2.10° Suoni, canti, danzeLe maschere o i componenti del corteo, durante il giro per il paese, suonano strumenti musicali propri, launeddas, e impropri (barattoli, coperchi, etc)per provocare quanto più baccano possibile omissis suonano cantano e ballano ad Ottana e Quartu Sant’Elena omissis.Da *SABA 2000 p.28 3° colonna“Molto interessanti sono anche due piatti dorati, in rame o bronzo, (detti is affuentes), usati sia per la questua sia come strumenti musicali(venivano battuti con due grosse chiavi di ferro, una del portone della chiesa e l’altra dell’annesso cimitero) nei riti della Settimana santa, che attestano di provenire da una bottega di Norimberga, come si evince dalle iscrizioni in tedesco, stampigliate con caratteri gotici sul fondo di entrambi: in uno in stampatello e nell’altro in corsivo.” Da *TURCHI 2011 pp.200-201: “Uno strumento caratteristico che si usava nelle danze di carnevale lo si conserva ancora ad Ottana nella chiesa di S.Nicola. E’ detto affuente. Con molta probabilità un tempo veniva usato per la danza che descrive il Cherchi Paba. “S’affuente” è un grande piatto metallico, che ricorda molto i manufatti del Medio Oriente. Non si sa esattamente da dove provenga, né in che periodo sia stato introdotto in Sardegna, ma quasi certamente sostituisce o imita uno strumento molto più antico del quale non si ha più memoria. Il termine afués in greco significa semplice, stupido, incapace per natura (cfr Vocabolario Lorenzo Rocci Greco italiano ultima ed. 2011). Se questo è il significato della parola affuente, appare chiaro il suo uso. Era lo strumento che accompagnava la danza che la vittima, il buono a nulla, doveva eseguire prima della sua morte.”
Allo stato attuale della ricerca risultano essere pochi i
luoghi dove ci sono o sono stati degli affuentes, in
originale o in copia recente.
Ottana
Ghilarza
Gavoi
Tonara
Allai
Dalla ricerca emerge che l’areale di utilizzo di questo
“piatto che suona” è una zona limitata del centro della
Sardegna, e le cinque località indicate sono disposte
come in un “cerchio magico”.
Affuentes in Sardegna
Ottana, elemosinieri originali
Elemosiniere con doppia serie di girandole e con iscrizione a rilievo nella fascia
esterna che recita WIS HN BI RAME ( I saggi hanno con sé la forza) . Fine secolo
XV- prima metà del XVI, lega di rame e zinco.
Ottana, Cattedrale di San Nicola. Da questo esemplare sono state fatte molte copie
moderne per uso profano (accompagnamento al ballo e questua di carnevale).
OTTANA, affuentes (copie)
Due copie dell’elemosiniere originale di fine XV-inizi XVI sec. della Cattedrale di Ottana . Quello in alto al centro è la copia più accurata anche se manca della scritta in gotico. Il sig. Valentino Fadda oltre a questo piatto ha fatto in tutto sei copie, personalizzate col suo nome. L’originale è a destra in alto e in basso. La prima a sinistra è una libera interpretazione dell’originale.
Al centro un esemplare dal Castello Sforzesco di Milano (Zastrow 981, p.547, foto 47 , datato «al primo scorcio del XVI secolo»)Questa affuente proviene da Ghilarza, ed è stato portato dal sig. Ciantra, costruttore di organetti diatonici che risiede a Ghilarza,
all'evento Maistros de Nugoro, tenutosi a Nuoro fra il 18 ed il 20 novembre 2011. Appeso senza alcun cartellino esplicativo accanto alla collezione di organetti di Carlo Boeddu, ma si conosce bene questo esemplare per l’uso che ne viene fatto come strumento musicale. Anzitutto è un piatto fatto abbastanza recentemente da un artigiano sardo che non conosce evidentemente la tecnica utilizzata per fare gli originali elemosinieri, ed che ha quindi cercato di interpretare secondo le sue possibilità la richiesta del gruppo di Ghilarza che lo utilizza. L’originale da cui è stata fatta questa copia è custodito nella parrocchiale di Ghilarza.
Per capirsi, gli elemosinieri non hanno mai una decorazione centrale a coppelle su fondo picchiettato di bugnature lineari, nè sulla tesa hanno una decorazione a denti di lupo (triangoli con vertice verso l'interno). Inoltre le dimensioni degli elemosinieri antichi fino al settecento hanno un diametro maggiore, da 40 fino a 50 cm mentre dall'inizi-metà del XVIII secolo il diametro si riduce a 36 cm per poi arrivare anche a 30 cm. Circa il foro sulla tesa, lo stesso è presente in molti piatti per la sospensione ad un chiodo, ma lo stesso è più ampio per far passare la capocchia. Si trovano spesso due o tre fori nei quali passavano 3 ribattini che fermavano un anello di sospensione. Negli affuentes si è spesso attaccato al bordo della tesa un anello onde evitare che il bordo del foro tagliasse il laccio di sospensione.
GHILARZA
.
Affuente di Ghilarza
Questa affuente in rame, di Ghilarza, di fattura più arcaizzante, è in possesso del Gruppo Folk
Onnigala ed è stato fatto da Figus, artista di Macomer, nel 1992. Questo bacile (non piatto!) presenta una lavorazione a file intervallate di 5 puntini lungo il bordo del cavetto, ed a piccole linee diagonali ottenute con un bulino a scalpello lungo i bordi delle 7 coppelle; sulle stesse è
stato fatto un puntino a rilevo che ricorda da vicino una mammella, mentre sulla coppella centrale i puntini a rilievo formano una decorazione metopale. Il fondo del cavetto è ribattuto a
martello per ottenerne l'indurimento. Nella posizione delle 7 coppette ricorda la figurazione del c.d. sole delle Alpi, motivo molto usato fin dal medioevo in Sardegna e di utilizzo corrente nelle decorazioni dei ramai isilesi. Data la presenza di due coppie di fori contrapposti sulla tesa si potrebbe pensare all'esistenza di due prese a maniglia, per cui l'oggetto parrebbe costruito ed usato non come elemosiniere ma come contenitore di altre cose. Invece erano i fori per un anello di sospensione poi sostituito da un semplice legaccio di cuoio.
L’archetipo dell’affuente di Ghilarza
Tornando al bacile di Ghilarza, abbiamo visto dapprima un piatto recente, poi uno più vecchio, ma di quanto? Ambedue presentano 6 coppelle al centro del cavetto, con una centrale. Il piatto più recente mostra solo 7 emisfere, quello più vecchio mostra 6 emisfere mammellonate e una serie di puntini su quella centrale. Ma chi lo ha fatto, da dove ha tratto l’ispirazione? O è stata una invenzione figurativa? In effetti esiste un modello precedente, molto più antico e diprovenienza tedesca, un elemosiniere che presenta una serie di sei melegrane circondate da tralci e disposte intorno ad un umbone centrale. I frutti sono tutti semiaperti e mostrano i chicchi all’interno. Questo piatto è nella collezione del Museo del Castello Sforzesco di Milano, e fu pubblicato da Oleg Zastrow nella Rassegna di Studi e di Notizie, Vol.IX, Anno VIII, a pagina 540 del Catalogo fra diecine di altri elemosinieri. L’autore lo datò alla seconda metà del XV secolo senza darne la provenienza. Ci sono ancora due elemosinieri nel catalogo milanese coi nn.2 e 3 alle pagine 496 e 497, che invece delle melegrane hanno 4 e 5 cardi, stessa datazione, senza provenienza. In questi piatti sono evidenti i motivi rotondeggianti che intervallano quelli fitomorfi. Manca un esempio con sei cardi ma è facile supporre che sia stato eseguito a suo tempo. A 30 anni da questa pubblicazione gli studi hanno potuto stabilire che questi piatti sono stati prodotti verso la fine del XV secolo-inizi del XVI nella zona di Norimberga, in grandissima quantità ed in modo ripetitivo, raggiungendo così anche luoghi lontani come appunto la Sardegna. Con grande probabilità nella zona di Ghilarza almeno uno di questi elemosinieri era nella dotazione di una chiesa ed è servito da modello per riproduzioni successive sempre meno attente alla resa dei particolari, perché mentre negli originali tedeschi la produzione si avvaleva di punzoni che rendevano il lavoro preciso e ripetitivo, nelle riproduzioni diventava difficile rifare fedelmente tutte le rappresentazioni fitomorfe e le scritte gotiche. Ovviamente non si può dire quanti stadi intermedi ci siano stati fra un originale della finedel XV secolo e il piatto del gruppo folk Onnigala.
Circa poi la presenza di vari puntini a sbalzo sull'emisfero centrale del piatto "vecchio" di Ghilarza c'è un confronto stringente con un elemosiniere della Chiesa di S. Andrea di Orani che qui si presenta scusandosi della pessima qualità della foto fatta attraverso il vetro della bacheca e con un vecchio cellulare nel 2006 durante una mostra. La legenda in bacheca riporta:
Bottega tedesca? XVI sec. Ottone dorato Sbalzo e cesello
ma le indicazioni vanno corrette in quanto la bottega molto probabilmente non è tedesca ma sarda, il secolo è il XVIII, l'ottone non è dorato e la lavorazione è a punzone (vari) e martello.Malauguratamente i 3 elemosinieri oranesi non furono pubblicati nel libriccino a cura di Francesca Pirodda Seda, Prata e Oro, Arte Sacra ad Orani, edito in occasione dell'Anno Giubilare 2000 per cui sono sfuggiti all'attenzione degli studiosi
GAVOI
Nel museo etnografico degli strumenti musicali
è esposto sotto vetro questa affuente. Ma non si
sa se è originaria di Gavoi o no, né se a Gavoi oggi
si usa questo piatto con funzioni musicali. Molto
simile agli esemplari di XV-XVI secolo (in alto a
destra) il motivo centrale pare rilevato dal piatto
in basso a destra.
GAVOI (Nuoro)
TONARA (Nuoro)Nel 1998 fu esposto un affuente con chiave in una piccola mostra temporanea per la Sagra del Torrone, simile a quello di Ottana.
ALLAI (Oristano)Allai (OR), Parrocchiale, 2 piatti da questua dal distrutto villaggio medievale di Lodduo, uno con scritta letta come “RAMEWISTANBI” (ma da leggere RAME WIS HN BI) e rosone, l’altro con 2 portatori di grappolo d’uva e scritta “in strani caratteri gotici indecifrabili”, v. A.A.V.V. 1988
Da *SABA 2000 p.28 3° colonna“Molto interessanti sono anche due piatti dorati, in rame o bronzo, (detti is affuentes), usati sia per la questua sia come strumenti musicali (venivano battuti con due grosse chiavi di ferro, una del portone della chiesa e l’altra dell’annesso cimitero) nei riti della Settimana santa, che attestano di provenire da una bottega di Norimberga, come si evince dalle iscrizioni in tedesco, stampigliate con caratteri gotici sul fondo di entrambi: in uno in stampatello e nell’altro in corsivo.”
Impugnatura e uso dell’affuenteDa rilevare la lunghezza del laccio che deve essere impugnato infilando
il pollice sinistro nello stesso, stringendo il tratto doppio col pugno ma arrivando col mignolo alla tesa del piatto, che con la mano deve necessariamente essere bloccabile in qualche modo durante l'uso altrimenti inizia a ruotare, impedendo l'esecuzione dello sfregamento della chiave sul cavetto. Questo sfregamento deve essere fatto in due modi: o sulla parte liscia, ottenendo un suono uniforme, o facendo scorrere la chiave sulle parti in altorilievo, il che dà un suono più ronzante, ritmato.
Importante rilevare che il piatto viene generalmente utilizzato dalla parte posteriore, mentre per la parte anteriore si deve sfregare solo nel cavetto e non sugli altorilievi del fondo, che non darebbero una resa cromatica buona come quella data dalle cavità posteriori. L'esecuzione dei suoni è ritmata ma monocorde, intervallata da picchiettii della chiave (tenuta nella destra) contro la tesa o l'interno. Il ritmo per il ballo è quindi ottenuto variando la lunghezza dello sfregamento e il numero dei rintocchi. Il risultato è in qualche modo un accompagnamento ritmico senza altri suoni che possano formare una melodia. Solo ultimamente si sono avuti dei tentativi di inserimento dell'affuente in piccoli gruppi musicali con la presenza contemporanea o alternata di sonettos, ghiterra, trunfa e pipiolu.
Documentazione della musica per affuente
Ballu tzoppu (Ottana)
La trascrizione segue il metodo usato per le percussioni in genere, ed è molto comoda. I punti indicano quando si batte con la chiave, i numeri quando si struscia.
Ballu nostru (Ottana)
Queste per ora sono le uniche due trascrizioni trovate (ad Ottana)in quanto finora l’affuente è stato utilizzato per due soli balli, ma già si intravedono esperimenti per ballu tundu, passu torrau, ed in genere per i balli dell’area fra il Guilcer e la Barbagia di Nuoro.
Ballu de s’AffuenteIl brano presentato è il ballo
tradizionale di Ottana edito
nel CD Talinos nell’estate 2011.
E’ eseguito da Gonario Denti
su un affuente costruito da
Valentino Fadda verso il 2000
utilizzando uno stampo in gesso
dell’elemosiniere esistente nella
cattedrale di S. Nicola di Ottana