diritto canonico

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 Lezioni di diritto canonico Problemi di definizione L’espress ione “diritto canonico” indica generalmente la manifestazione del diritto nella vita della Chiesa cattolica, un diritto che riguarda una grande comunità umana sparsa in tutto il mondo. Quindi questa espressione si può definire anche come “l’insieme delle norme giuridiche, poste o fatte valere dagli organ i competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali è organiz zata e opera essa Chiesa e dalle quali è regolata l’attività dei fedeli, in relazione ai fini che sono propri della Chiesa”. In maniera più sintetica possiamo dire che il diritto canonico è l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, cioè l’insieme di fattori che danno alla Chiesa la struttura di una società giuridicamente organizzata. Questa seconda definizione contiene la distinzione tra la giuridicità, che è insita nella Chiesa in quanto Corpo di Cristo che si incarna in un corpo sociale, ed il complesso delle norme poste dall’autorità ecclesiastica; distinzione ampiamente sottolineata anche da Giovanni Paolo II. Ma l’espressione “diritto canonico” può avere anche un altro significato: la scienza che studia la Chiesa nella sua dimensione giuridica e l’esperienza giuridica che essa produce, cioè la scienza che indaga il complesso di norme, che reggono la comunità ecclesiale, e le forme ed il funziona mento dell’organizz azione ecclesiastica . Si tratta infatti di una delle branche della scienza giuridica e quindi l’espressione “diritto canonico” si riferisce anche alla disciplina che è oggetto di insegnamento nelle istituzioni formative della Chiesa e nelle università secolari. In conclusione possiamo dire che l’espressione “diritto canonico” può riferirsi al diritto che disciplina la vita della Chiesa cattolica (quindi l’insieme delle regole o norme), l’organizzazione di questa comunità come realtà organizzata (quindi la società, la comunità umana ) e la scienza che studia questo diritto (l’interpretazione di queste norme). La questione terminologica Dal punto di vista etimologico il termine “canonico” deriva dal greco “ kánon” che significa regola. Inizialmente questo t ermine veniva utilizzato per indicare le leggi ecclesiastiche destinate a disciplinare la vita del popolo di Dio, in modo da poterle distinguere dalle leggi di diritto secolare, quindi in questo periodo del diritto romano. Fu il concilio di Nicea, nel 325 d.C., in cui si parlò delle norme giuridiche ecclesiastiche come “ canones disciplinares ” per distinguerle dai “canones fidei ” (principi dogma tici) e dai “canones morum” (principi morali). L’espressione “diritto canonico” iniziò a indicare il diritto della Chiesa solo dal secolo VIII e nel divenire della storia il diritto della Chiesa aveva preso diverse denominazioni: ius sacrum, per distinguerlo da quello profano cioè lo ius civile, ma con questo senso il diritto canonico non è l’unico ius sacrum (quello dell’islam, degli ebrei); ius decretalium, usato nell’età medievale perché il legislatore della Chiesa emanava le leggi nella forma delle “decretali”; ius pontificium, ma il diritto canonico non è posto solo dal Papa (legislatore massimo) ma anche da altri legislatori come il concilio ecumenico, inoltre nel diritto canonico è molto importante la consuetudine; ius ecclesiasticum è un espressione polisemica, in senso proprio indica quella parte di diritto canonico che non è di origine divina quindi le norme di origine umana che possono mutare nel tempo, mentre le norme di origine divina non possono mutare. Infatti una particolarità del diritto canonico è di durare da 2000 anni in modo continuo, ininterrotta mente, proprio perché non è un diritto di territorio o di lingua ma si rivolge a vari popoli ed essendo in parte di origine divina non può mutare. Si deve notare, comunque, che dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965) per indicare il diritto della Chiesa si preferisce l’espressione “diritto ecclesiale” o “ius ecclesiale” al posto di “diritto canonico” perché sembra rispondere meglio alle sue ragioni fondative. Dal punto di vista terminologico, invece, bisogna fare ulteriori distinzioni basandoci sulle fonti. Si suole parlare infatti di diritto meramen te ecclesiastic o (ius mere ecclesiasticum) o di diritto umano (ius humanarum) per le norme poste dalla competente autorità ecclesiastica; distinto dal diritto divino naturale o diritto naturale (ius naturale) per l’insieme delle norme poste all’atto della creazione e comuni a tutti gli uomini; distinto ancora dal diritto divino positivo (ius divinum positivum) promulgato per mezzo della Rivelazion e e contenuto nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Quindi il diritto della Chiesa ha un duplice elemento: umano e divino. Nel linguaggio giuridico l’espressione “diritto ecclesiastico” ha un altro significa to: le norme poste dal legislatore statale a disciplina del fenomeno religios o e delle confession i religiose. In questo senso sta a significare una parte del diritto statale, una branca del diritto pubblico inteso come insieme di norme che riguardano il fenomeno religioso e come la relativa scienza che le pone ad oggetto di studio. Le ragioni dello studio del diritto canonico Le ragioni per cui si studia il diritto canonico sono fondamentalmente tre: 1) Ragione cultural e : la formazione generale del giuri sta. Il giurista infatt i è chiamato a conoscere il diritto dello Stato per interpretare le norme in funzione di una loro corretta applicazione, ma per farlo ha bisogno di una solida formazione teorica. Da questo principio si può spiegare la presenza negli studi giuridici di insegnamen ti di base (ad es. il diritto romano ) e di insegnamenti affini o integrativi (appunto il diritto canonico ) ritenuti indispensa bili per la preparazione del giurista. Infatti è molto formativo anche lo studio del diritto comparato perché coglie gli elementi di somiglia nza e di diversità tra i vari sistemi e ha lo scopo di aprire la cultura del giurista alla consa pevolezza della pluralità. Dal punto di vista della comparazion e il diritto canonico appare molto interessante perché, a differenza di altri diritti religiosi, manifesta una grande somiglianza ai diritti secolari mantenendo comunque le sue caratteristiche peculiari essendo orientato ad una prospettiva del tutto diversa. Infatti il diritto canon ico è destinato a disciplinare la vita di una comunità di carattere universale, infatti è legato ad un elemento persona le poiché i destinata ri delle norme sono i battezzati della Chiesa cattolica . Inoltre lo studio del diritto canonico è utile per aprire le conoscenze alla realtà del diritto, per avere la consapevolezza della complessità delle esperienze giuridiche, per capire che il diritto non si esaurisce nel solo diritto della comunità politica. 1

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Lezioni di diritto canonico

Problemi di definizioneL’espressione “diritto canonico” indica generalmente la manifestazione del diritto nella vita della Chiesa cattolica, un diritto cheriguarda una grande comunità umana sparsa in tutto il mondo. Quindi questa espressione si può definire anche come “l’insieme

delle norme giuridiche, poste o fatte valere dagli organi competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali è organizzata eopera essa Chiesa e dalle quali è regolata l’attività dei fedeli, in relazione ai fini che sono propri della Chiesa”. In maniera piùsintetica possiamo dire che il diritto canonico è l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, cioè l’insieme di fattori che dannoalla Chiesa la struttura di una società giuridicamente organizzata. Questa seconda definizione contiene la distinzione tra lagiuridicità, che è insita nella Chiesa in quanto Corpo di Cristo che si incarna in un corpo sociale, ed il complesso delle normeposte dall’autorità ecclesiastica; distinzione ampiamente sottolineata anche da Giovanni Paolo II.Ma l’espressione “diritto canonico” può avere anche un altro significato: la scienza che studia la Chiesa nella sua dimensionegiuridica e l’esperienza giuridica che essa produce, cioè la scienza che indaga il complesso di norme, che reggono la comunitàecclesiale, e le forme ed il funzionamento dell’organizzazione ecclesiastica. Si tratta infatti di una delle branche della scienzagiuridica e quindi l’espressione “diritto canonico” si riferisce anche alla disciplina che è oggetto di insegnamento nelle istituzioniformative della Chiesa e nelle università secolari.

In conclusione possiamo dire che l’espressione “diritto canonico” può riferirsi al diritto che disciplina la vita della Chiesa cattolica(quindi l’insieme delle regole o norme), l’organizzazione di questa comunità come realtà organizzata (quindi la società, lacomunità umana) e la scienza che studia questo diritto (l’interpretazione di queste norme).

La questione terminologicaDal punto di vista etimologico il termine “canonico” deriva dal greco “kánon” che significa regola. Inizialmente questo termineveniva utilizzato per indicare le leggi ecclesiastiche destinate a disciplinare la vita del popolo di Dio, in modo da poterledistinguere dalle leggi di diritto secolare, quindi in questo periodo del diritto romano. Fu il concilio di Nicea, nel 325 d.C., in cui siparlò delle norme giuridiche ecclesiastiche come “canones disciplinares” per distinguerle dai “canones fidei ” (principi dogmatici)e dai “canones morum” (principi morali).L’espressione “diritto canonico” iniziò a indicare il diritto della Chiesa solo dal secolo VIII e nel divenire della storia il diritto dellaChiesa aveva preso diverse denominazioni: ius sacrum, per distinguerlo da quello profano cioè lo ius civile, ma con questosenso il diritto canonico non è l’unico ius sacrum (quello dell’islam, degli ebrei); ius decretalium, usato nell’età medievale perchéil legislatore della Chiesa emanava le leggi nella forma delle “decretali”; ius pontificium, ma il diritto canonico non è posto solodal Papa (legislatore massimo) ma anche da altri legislatori come il concilio ecumenico, inoltre nel diritto canonico è moltoimportante la consuetudine; ius ecclesiasticum è un espressione polisemica, in senso proprio indica quella parte di dirittocanonico che non è di origine divina quindi le norme di origine umana che possono mutare nel tempo, mentre le norme diorigine divina non possono mutare. Infatti una particolarità del diritto canonico è di durare da 2000 anni in modo continuo,ininterrottamente, proprio perché non è un diritto di territorio o di lingua ma si rivolge a vari popoli ed essendo in parte di originedivina non può mutare. Si deve notare, comunque, che dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965) per indicare il diritto dellaChiesa si preferisce l’espressione “diritto ecclesiale” o “ius ecclesiale” al posto di “diritto canonico” perché sembra risponderemeglio alle sue ragioni fondative.Dal punto di vista terminologico, invece, bisogna fare ulteriori distinzioni basandoci sulle fonti. Si suole parlare infatti di dirittomeramente ecclesiastico (ius mere ecclesiasticum) o di diritto umano (ius humanarum) per le norme poste dalla competenteautorità ecclesiastica; distinto dal diritto divino naturale o diritto naturale (ius naturale) per l’insieme delle norme poste all’attodella creazione e comuni a tutti gli uomini; distinto ancora dal diritto divino positivo (ius divinum positivum) promulgato per mezzo della Rivelazione e contenuto nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Quindi il diritto della Chiesa ha un dupliceelemento: umano e divino.Nel linguaggio giuridico l’espressione “diritto ecclesiastico” ha un altro significato: le norme poste dal legislatore statale adisciplina del fenomeno religioso e delle confessioni religiose. In questo senso sta a significare una parte del diritto statale, unabranca del diritto pubblico inteso come insieme di norme che riguardano il fenomeno religioso e come la relativa scienza che le

pone ad oggetto di studio.

Le ragioni dello studio del diritto canonicoLe ragioni per cui si studia il diritto canonico sono fondamentalmente tre:

1) Ragione culturale : la formazione generale del giurista. Il giurista infatti è chiamato a conoscere il diritto dello Stato per 

interpretare le norme in funzione di una loro corretta applicazione, ma per farlo ha bisogno di una solida formazioneteorica. Da questo principio si può spiegare la presenza negli studi giuridici di insegnamenti di base (ad es. il dirittoromano) e di insegnamenti affini o integrativi (appunto il diritto canonico) ritenuti indispensabili per la preparazione delgiurista. Infatti è molto formativo anche lo studio del diritto comparato perché coglie gli elementi di somiglianza e didiversità tra i vari sistemi e ha lo scopo di aprire la cultura del giurista alla consapevolezza della pluralità. Dal punto divista della comparazione il diritto canonico appare molto interessante perché, a differenza di altri diritti religiosi,manifesta una grande somiglianza ai diritti secolari mantenendo comunque le sue caratteristiche peculiari essendoorientato ad una prospettiva del tutto diversa. Infatti il diritto canonico è destinato a disciplinare la vita di una comunitàdi carattere universale, infatti è legato ad un elemento personale poiché i destinatari delle norme sono i battezzati dellaChiesa cattolica. Inoltre lo studio del diritto canonico è utile per aprire le conoscenze alla realtà del diritto, per avere laconsapevolezza della complessità delle esperienze giuridiche, per capire che il diritto non si esaurisce nel solo dirittodella comunità politica.

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2) Ragione storica : Nell’età medievale il diritto della Chiesa ha avuto un ruolo determinante nella formazione e nello

sviluppo della civiltà giuridica europea. In una comunità politica costruita sul legame della stessa fede cristiana si eraformato un connubio tra il diritto secolare (lex mundana) ed il diritto canonico (lex ecclesiastica), dando vitaall’esperienza giuridica detta “l’uno e l’altro diritto” (utrumque ius). Il tramonto del medioevo frantumò il sacro romanoimpero in una pluralità di Stati sovrani che svilupparono dei diritti nazionali, portando alla fine di uno ius commune. Inquesto contesto il diritto canonico ha influenzato enormemente la formazione dei diritti secolari. Infatti la Chiesa hadato un contributo fondamentale alla configurazione di principi che sono alla base dei moderni ordinamenti democraticicome le fondazioni teoriche del principio maggioritario e tutti i principali concetti del diritto pubblico occidentale. Comefu la “Rivoluzione pontificia” di Gregorio VII a generare lo Stato moderno occidentale, la Chiesa stessa fu il primoesempio attraverso la forte affermazione della propria indipendenza nei confronti dell’Impero e l’esercizio di un poterelegislativo autonomo. Nell’ambito del diritto privato, sono canonistiche le basi teoretiche della personalità giuridica, cioèla finzione per cui laddove esiste un insieme di persone o di beni destinati ad uno scopo l’ordinamento immaginasussistere una persona, e l’istituto del matrimonio civile non è nient’altro che la secolarizzazione del matrimoniocanonico. Se il diritto canonico ha inciso così profondamente nei diritti secolari, il suo studio appare molto utile perchéil giurista deve interpretare le norme e per coglierne appieno il contenuto a volte deve risalire all’origine di queste. Inquesta età di globalizzazione, inoltre, per il giurista è necessario conoscere gli altri ordinamenti giuridici secolari esapere che questi si suddividono in due grandi famiglie giuridiche: quella di civil law , come l’ordinamento italiano, equella di common law , gli ordinamenti anglo-americani. Tracce di diritto canonico si riscontrano sia nell’una chenell’altra famiglia perché il diritto della Chiesa ha influenzato il diritto secolare europeo da cui entrambe le famiglietraggono origine.

3) Ragione contemporanea : La realtà ordinamentale del nostro Paese. L’Italia è un paese a regime concordatario, cioè

disciplina i suoi rapporti con la Chiesa cattolica attraverso un concordato, stipulato nel 1984. Alcune norme sonoesclusivamente di diritto canonico (es. lo Stato riconosce il matrimonio canonico) e quindi è necessario avere delleconoscenze di questa materia. Uno studioso francese del diritto e delle istituzioni della Chiesa, Gabriel Le Bras, hapubblicato un volume intitolato “La Chiesa del diritto” in cui scrive che all’inizio del diciannovesimo secolo l’ordinegiuridico sembra ricostituito su fondamenta profane. La Chiesa, in effetti, aveva perso il potere che aveva durantel’ancien régime e il diritto delle Decretali era applicato solo in un organismo molto impoverito, quindi possiamo dire cheil dualismo di potenza era finito. Questa annotazione faceva luce sul declino della rilevanza del diritto canonico negliordinamenti giuridici secolari, ma subito dopo Le Bras mostra un fenomeno nuovo della risorgenza del diritto canonicoin questi ordinamenti poiché il diritto canonico produceva i suoi effetti non per diretta vigenza ma attraverso la volontàdel legislatore statale. Questo ha portato appunto a definire in termini concordatari i rapporti fra la Chiesa e gli Stati.Tra ottocento e novecento il diritto canonico sembra rientrare con sorprendente vitalità negli ordinamenti giuridicisecolari. Una prima causa è la crescente attività concordataria perché le norme concordatarie divengono normecanoniche particolari vigenti anche negli ordinamenti civili e perché le disposizioni concordatarie a volte rinviavanoesplicitamente a norme di diritto canonico. A seguito dei processi di globalizzazione, che mirano al superamento dei

principi che furono all’origine dell’estromissione del diritto della Chiesa (territorialità, nazionalità e statualità), il dirittocanonico conoscerà nel prossimo futuro una nuova vita. La globalizzazione esalterà i principi a favore del ritorno divigenza del diritto canonico negli ordinamenti secolari.

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Lo Spirito e la Carne

Perché il dirittoIl problema di che cosa sia il diritto risale sin dall’antichità poiché gli uomini vivono giuridicamente e non possono fare a meno di

vivere giuridicamente, quindi c’è sicuramente una stretta connessione tra condizione umana e diritto. L’esigenza del dirittoriflette il fatto che l’uomo ha dei limiti oggettivi che investono le capacità fisiche, intellettive o volitive. Ogni uomo ha innata in sél’idea di perfezione dell’uomo ed è consapevole di ciò che gli manca e di ciò che ha bisogno. Avendo questa consapevolezzal’uomo cerca di superare la propria condizione ovviando ai propri difetti e bisogni associandosi con gli altri. Un esempio èsicuramente il matrimonio perché l’uomo non è una totalità (o è maschio o è femmina) perciò cerca il completamento di sénell’altro attraverso appunto il matrimonio che fonde uomo e donna in una unità fisica, spirituale e affettiva. Un altro limitedell’uomo è temporale, cioè l’uomo è mortale anche se tende all’immortalità attraverso dei modi di prolungamento della propriaesistenza come procreare o creare entità capaci di durare nel tempo (persone giuridiche). Per superare questi limiti l’uomotende a vivere in relazione e proprio perché ha dei limiti ha bisogno dell’altro. La presenza dell’altro però è ambivalente perchégli altri possono essere una minaccia alla vita, all’integrità della persona, ai propri beni. In sostanza tutti gli uomini sono collocatiin una condizione di coesistenzialità, condizione alla quale non si può sottrarre. Quando l’uomo crea un rapporto con l’altro c’èdiritto perché il diritto è relazione, è il riconoscimento di sé nell’altro. Quindi la trama di relazioni sociali in cui ogni uomo è posto,lo colloca in una dimensione giuridica, “hominum causa omne ius constitutum est ”. Il diritto, cioè lo ius, non si deve confonderecon il diritto positivo, cioè la lex , perché lo ius fa riferimento al legislatore e la lex fa riferimento a delle norme di comportamentodell’uomo. Quindi lo ius fa riferimento a delle relazioni poiché è la regola della relazione dell’uomo con i suoi simili, animata dalvalore etico della giustizia che riconosce la dignità di persona umana. Nel corso del tempo non sempre si è avuta questasituazione perché ogni legge positiva sarà sempre imperfetta per la difficoltà di inseguire e catturare, nella fattispecie, lacomplessità del reale e per la volontà del legislatore di avvicinarsi ad un modello che però non sempre riesce a realizzarecompiutamente. Infatti ci sono stati dei casi in cui la lex è stata in contrasto con lo ius (come ad esempio le leggi naziste) ma inquesti casi l’agire secondo giustizia (legittimità) e l’agire secondo la legge (legalità) non coincidono più.Il diritto come ius quindi c’è sempre, non lo creiamo noi come la lex e quindi non si esaurisce nelle forme normative delleistituzioni politiche ma è presente in tutte le forme associative umane, come dicevano i romani “ubi societas, ibi ius”.

Perché il diritto canonicoLa Chiesa, in quanto realtà spirituale, sacramentale, carismatica, trascendente, le cui finalità sono rivolte al bene delle anime,non dovrebbe avere bisogno di diritto. Questo si rivolge all’uomo carnale poiché la dimensione propria del diritto è quella dellasecolarità, della socialità, dei rapporti esterni. All’interno della Chiesa sono nati diversi orientamenti di pensiero in discussione aldiritto canonico: dallo gnosticismo ai diversi movimenti spiritualisti medioevali, alla Riforma luterana, alla contestazioneantigiuridicista dell’età contemporanea. Negli ultimi secoli nell’ambito della teologia protestante c’è una contrapposizione tralegge e Vangelo, propria della dottrina di Lutero che ha una concezione della Chiesa come puramente carismatica e spirituale.Questa però è solo una visione parziale della realtà complessa della Chiesa. La Chiesa come comunità di puri spiriti non habisogno del diritto, la “Ecclesia triumphans” dei martiri e dei santi non ha bisogno del diritto, ma la Chiesa militante (“Ecclesiamilitans”) cioè la comunità di persone in carne ed ossa vive giuridicamente ed ha bisogno del diritto. Il diritto canonico, che hacome fine la salvezza delle anime (“salus animarum”), non può assicurare questo fine ma lo favorisce. La dimensione umana estorica della Chiesa non esaurisce la sua realtà ma ne rappresenta una piccola parte. La Chiesa organizzata in popolo di Dio,l’insieme dei battezzati, si presenta come fenomeno unico e peculiare e manifesta, dal punto di vista socio-giuridico, analogiecon le altre forme associative umane. In un documento del Concilio Vaticano II, la costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumengentium”, si parla di una analogia tra l’Incarnazione e la Chiesa, realtà spirituale, che si incarna in un corpo sociale che vivenella storia. Questa realtà divino-umana della Chiesa è congiunta alla realtà divino-umana di Cristo, infatti San Paolo parla dellaChiesa come Corpo di Cristo. Ma allora come il Corpo del Signore non era sottratto alle leggi biologiche e fisiologiche, così laChiesa non è sottratta a queste leggi proprie delle formazioni sociali. Se è naturale che ogni gruppo sociale umano si organizzi,è altrettanto naturale che la Chiesa in quanto gruppo umano organizzato produca diritto e viva secondo diritto. Questo nontoglie la differenza tra diritto canonico e i diritti secolari, ma il diritto canonico è diretto a disciplinare quella comunità umana che

è chiamata ad essere comunione. Se la saggezza giuridica, ponendo precise regole, manifesta la struttura gerarchica dellaChiesa, la spiritualità della comunione conferisce un’anima al dato istituzionale. Sin dalle origini la Chiesa si è organizzata edotata di un sistema di norme, anche se il diritto della Chiesa è venuto nel tempo a crescere e ad articolarsi. Le ragionidell’esistenza e la giustificazione del diritto della Chiesa si colgono nelle esigenze della sua stessa missione, cioè nel caratteredi missionarietà. La missione è l’unico vero scopo della società ecclesiale, un fine intrinseco ed immanente a tuttol’ordinamento; le esigenze della sua missione di evangelizzazione, promozione umana e santificazione danno contodell’organizzazione della società ecclesiale. Il diritto canonico non appare più soltanto come regola statica della vita interna diuna comunità religiosa, ma come un essenziale strumento che ne rende possibile e ne favorisce lo slancio apostolico senzarinnegare la ricchezza dei vari popoli e delle loro differenti tradizioni culturali.

Diritto canonico e altri diritti religiosiIl diritto non è solo il diritto dello Stato ma esistono altre espressioni della giuridicità, tante quante sono le forme di aggregazioneumana. Anche il diritto canonico, quindi, non è l’unico esempio di diritto religioso, ogni credenza religiosa che si esplicita in unacomunità umana organizzata produce diritto. C’è quindi una pluralità di diritti religiosi, cioè di nuclei di norme che si dirigono ai

rispettivi fedeli e ne disciplinano la vita. Ad esempio i tre grandi diritti religiosi prodotti dalle tre grandi religioni del Libro:ebraismo, cristianesimo, islam. Al contrario del diritto canonico, però, gli altri diritti religiosi non sono molto forti; il motivo èstrettamente culturale, cioè il periodo in cui è nato il cristianesimo ha favorito molto per la sua formazione (cultura latina).

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Dobbiamo però distinguere tra la fede come patrimonio culturale e la fede come incarnazione sociale perché non tutte lereligioni hanno un passaggio tra patrimonio dogmatico e organizzazione sociale.Il termine “chiesa” (deriva dal greco “ekklesia”) è strettamente legato al cristianesimo perché nasce appositamente per indicarele chiese cristiane. Il diritto dello Stato usa il termine “confessione religiosa” per indicare la comunità religiosa, ma il dirittocanonico usa il termine “comunità religiosa” per indicare l’insieme di uomini tenuti insieme da un’identità comune. In questosenso si può notare che c’è una differenza di terminologia. Possiamo dire che non tutte le fedi si strutturano in confessioni ocomunità religiose, come ad esempio le religioni asiatiche, ma se la fede non è strutturata socialmente non costituisce diritto,

come nella celebre frase “ubi societas ibi ius”, quindi se tutte le religioni non fossero anche comunità religiose, non avrebberodiritto. Diritto inteso sempre come organizzazione sociale e non come morale perché le leggi morali sono ben altro. Infatti nonsempre diritto e morale sono congruenti tra loro (ad esempio nelle questioni bioetiche), però le regole morali esistono anchesenza regole giuridiche.Secondo alcuni studiosi di diritto comparato, i diritti religiosi costituiscono una famiglia giuridica a sé: i diritti statali riguardanol’uomo qui ed ora, i diritti religiosi nella prospettiva ultramondana e ultratemporale. I primi sono costituiti dal diritto positivo, postodal legislatore umano, i secondi sono composti principalmente dal diritto divino, perciò i primi sono detti “laici” e gli altri“religiosi”. Quindi i diritti religiosi si differenziano da quelli statali sia per l’origine del loro diritto sia per la finalità. Ma questistudiosi ritengono che, oltre ad una diversità con i diritti statali, i diritti religiosi siano anche differenti tra loro. Altri studiosi invece(un esempio è René David) ritengono che la differenza ricorre tra diritti appartenenti a differenti universi culturali, perciò il dirittocanonico è più prossimo ai diritti secolari che non il diritto islamico. Ritengono inoltre che i diritti religiosi sono accomunati dalfondamento in una legge rivelata da Dio, però contengono anche molte diversità. Ad esempio nel diritto canonico, sulla base deldiritto divino, c’è un grande sviluppo del diritto umano che invece è più debole nelle altre due esperienze religiose. Inoltre i ldiritto canonico conosce il diritto naturale, sconosciuto nel diritto islamico e controverso nel diritto ebraico. Il diritto naturale

viene sempre da Dio ma riguarda in generale tutti gli uomini, non solo i cristiani quindi i battezzati; il diritto naturale non èprettamente cristiano ma è un’idea classica, infatti ne troviamo degli esempi nell’Antigone di Sofocle e con S.Tommaso. Quindiesistono due fasce di norme: le norme naturali e le norme rivelate. Gli altri due diritti religiosi non conoscono il diritto naturalema solo il diritto divino rivelato, infatti essi contestano i diritti umani, visti come espressione della cultura occidentale; in questomodo, però, tolgono una base comune e sotto una prospettiva relativista (secondo cui ogni cultura va rispettata) verrebberolegittimate situazioni come ad esempio la schiavitù. Il diritto naturale, invece, porta come conseguenza che anche il nonbattezzato ha rilevanza per la Chiesa, ad esempio con il diritto di libertà di culto.Possiamo dire, quindi, che per comparare i diritti delle tre grandi religioni monoteiste si può usare un canone interpretativo, cioènotare le somiglianze e le differenze. Un esempio sono i problemi che il divenire della storia pone in rapporto all’esigenza deidiritti religiosi di aggiornare il proprio sistema normativo, infatti i diritti secolari hanno la legittimazione di mutamento nel sensoche negli stessi ordinamenti giuridici degli Stati il legislatore ha posto i principi del rinnovamento normativo; viceversa i dirittireligiosi sono irrigiditi in ragione dell’origine della legge, il diritto divino. In realtà tutti hanno elaborato dei meccanismi per garantire l’adeguamento dei propri apparati normativi e ognuno in maniera diversa: nell’ordinamento ebraico e in quelloislamico, costituiti dal solo diritto divino, attraverso l’opera dell’interprete; nell’ordinamento canonico, costituito in buona parteanche dal diritto umano, attraverso la via legislativa, cioè la modifica di quella parte dell’ordinamento giuridico costituita danorme di diritto umano. Nel diritto canonico assume una certa evidenza anche l’attività interpretativa come uno strumento diadeguamento della legge, comunque il diritto canonico è più elastico degli altri diritti religiosi proprio perché costituito in granparte da diritto umano, che gli altri diritti religiosi non hanno.

Diritto canonico e diritto secolareIl diritto canonico indica con il termine diritto civile, “ius civile”, il diritto delle comunità politiche; il ricorso dell’espressione latinavuole indicare il diritto prodotto dal legislatore statale nel suo complesso. I canonisti utilizzano anche il termine diritto secolare,“ius saeculare”, più preciso perché non confonde l’insieme del diritto posto dal legislatore nella comunità con il diritto civile, cheregola quelle dimensioni dell’azione privata. Inoltre fa riferimento al “saeculum”, cioè al tempo storico, quindi indica conprecisione i diritti di quelle società le cui finalità sono limitate nel tempo, a differenza del diritto canonico. Esistono molti elementidi somiglianza perché il diritto canonico risulta essere prossimo ai diritti che fanno parte delle due grandi famiglie di civil law ecommon law . Esistono però anche alcuni elementi di differenziazione: un primo elemento è il carattere universale del dirittocanonico. La Chiesa è stata istituita dal suo Fondatore, Gesù Cristo, per portare in tutto il mondo e a tutti i popoli il messaggio disalvezza, quindi non è limitata ad un territorio. Di conseguenza è un ordinamento giuridico aperto, nel senso che almeno inpotenza tutto gli uomini ne fanno parte; anche se i l canone 96 del codice di diritto canonico dice che solo mediante il battesimol’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo, i non battezzati sono soggetti di diritto canonico nel senso che sono destinatari dinorme canoniche che gli conferiscono la titolarità di diritti (ad es. il diritto a ricevere il battesimo o l’annuncio del vangelo).Invece gli ordinamenti giuridici statali hanno alla base la distinzione tra cittadino e straniero, perciò si pongono in unatteggiamento di chiusura per proteggere il primo (amico) ed escludere l’altro (nemico) dall’appartenenza alla comunità politica.Mentre tutti gli uomini sono chiamati a far parte della Chiesa e quindi la qualità di fedele si acquista per libera determinazione, laqualità di cittadino si acquista grazie alla volontà dello Stato di concederla. Un altro elemento di diversità è il criterio ordinario efondamentale di individuazione dei destinatari, per il diritto canonico è quello personale, cioè le norme sono dirette ai battezzatidella Chiesa cattolica. Invece nei diritti statali il criterio ordinale è quello territoriale, cioè il diritto applicabile al cittadino o allostraniero è quello vigente sul territorio in cui l’individuo si trova. Questo carattere della personalità deriva dal passato, i grandiimperi raccoglievano al loro interno molti popoli diversi e quindi vigevano molti diritti personali, con la prima guerra mondialeperò questi imperi si disgregarono (ad es. l’impero austro-ungarico). Un esempio di questa pluralità dei diritti si può fare inmateria matrimoniale, infatti ogni religione ha le sue leggi. Un altro elemento ancora è l’origine delle norme, infatti il dirittocanonico fa una distinzione tra diritto divino e diritto umano, invece negli ordinamenti secolari il diritto è sempre di origine

umana, anche se ammette una rilevanza del diritto naturale (ad es. nell’art. 2 della Cost. “i diritti inviolabili dell’uomo sonoriconosciuti”, con questo termine si ritengono già esistenti). Sempre sconosciuta ai diritti secolari è la distinzione tra foroesterno e foro interno, ad opera di Graziano e disciplinata nel canone 130: nella Chiesa l’unica potestà di governo ènormalmente esercitata in maniera pubblica e notoria, con effetti conosciuti o conoscibili da parte della comunità dei fedeli (foro

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esterno, rapporti giuridici pubblici come il matrimonio) ma può essere esercitata in forma segreta e senza che i suoi effettivengano pubblicamente conosciuti (foro interno, propriamente giuridico come il vizio occulto in un matrimonio). Un altroesempio si può fare nell’ambito del diritto penale canonico poiché esistono delle pene che vengono attuate immediatamentedopo aver commesso il reato, quindi senza sentenza cioè senza un pubblico processo infatti sono dette “latae sententia”, perciòlo sa solo il diretto interessato. Infine, l’ultima caratteristica del diritto canonico è l’elasticità poiché è un diritto la cui forza è datadall’interiore adesione dei soggetti e non dal timore delle sanzioni, inoltre la finalità ultima è il bene spirituale delle anime quindise una norma canonica, in un caso concreto, dovesse divenire un impedimento al bene spirituale o addirittura causa di peccato,

la norma non deve essere applicata. Per questo motivo esistono degli istituti canonistici come la grazia, la dispensa, latolleranza, l’equità canonica che attenuano il rigore della legge per salvare l’interesse spirituale del fedele. Questi istitutiovviamente si applicano solo alle norme di diritto canonico poste dall’autorità umana per due ragioni: sia perché il diritto divinonon può essere in contrasto con il bene spirituale, sia perché l’autorità umana non può mai dispensare dall’osservanza di unadisposizione che non ha posto ma proviene da Dio. Al contrario, la rigidità del diritto secolare, cioè non può essereordinariamente mai derogato, è espressa dall’antica regola iuris “dura lex, sed lex ”. Questa rigidità trova la sua ragione nellacertezza del diritto, cioè quel bene superiore nella vita dei consociati dato dalla possibilità per i singoli di conoscere consicurezza ciò che la legge detta. Questo bene fondamentale però cede al bene supremo della salus animarum. In conclusione,il diritto canonico ha una pretesa infinitamente più alta rispetto a quella del diritto secolare.

Diritto canonico e teologiaIl termine “teologia” deriva dal greco “teos” Dio e “logos” discorso, quindi è l’indagine su Dio, il sapere speculativo relativo a Dio.Nei primi secoli della Chiesa questo termine era sconosciuto, il primo ad utilizzarlo fu Platone nella “Repubblica” in cui si pone ilproblema dell’esistenza di Dio e dopo ci fu Aristotele nella “Metafisica” dove parla della conoscenza di ciò che non è misurabile.

Nei primi testi cristiani al posto del termine teologia c’era “logos” oppure “gnosi ” cioè conoscenza, soltanto dall’età medievale siaffermerà il termine teologia che viene assunto per indicare non la fede ma la riflessione scientifica su Dio. Infatti nasce insiemealla riflessione scientifica sul diritto e alle grandi università, intese come comunità di docenti e studenti che insieme cercano diarricchire la loro conoscenza. Infatti a Bologna nasce l’università degli studi giuridici e a Parigi nasce la Sorbonne, l’universitàteologica; quindi come scienza nascono insieme ma anche la metodologia è simile: sia a Bologna che a Parigi utilizzano ilmetodo di Graziano, cioè del “sic et non”, raccogliere i documenti, cercare le discordanze e vedere come superarle. Tra il 1800e il 1900 la scienza canonistica ha diversi orientamenti: la più antica è la scuola esegetica, cioè dell’esegesi o interpretazione, èconcentrata nell’interpretazione canone per canone; la scuola dogmatica si rifà alla scuola degli studiosi del diritto che a lorovolta si rifacevano alla scuola tedesca, cioè partire dai fondamentali per costruire un sistema teorico in cui inquadrare lefattispecie. Il Concilio Vaticano II aumenta la diversità tra Stato e Chiesa, perché la Chiesa è comparabile ad uno Stato ma nonsi confronta con gli altri stati, ne ha solo le caratteristiche ma la finalità è diversa. Entra in crisi la concezione del diritto canonicocome il diritto di uno stato, la metodologia è giuridica o teologica?

Un problema sorto dopo il Concilio Vaticano II è quello dei rapporti tra diritto canonico e teologia. Tutti gli studiosi concordano

nell’ammettere la peculiarità del diritto canonico, nel sottolineare le differenze fra diritto canonico e diritti secolari e nelrichiamare i rapporti ineludibili fra diritto canonico e teologia. Il problema della fondazione del diritto canonico è studiatoall’interno di una teologia del diritto canonico poiché nessun dominio della Rivelazione può rimanere ignorato se si vuoleesprimere nella fede il mistero della Chiesa. Le posizioni della canonistica sono però molto diverse:

- la grande scuola canonistica laica italiana moderna, sviluppatasi dopo la codificazione canonica del 1917, reagisce in

modo esegetico partendo dal presupposto del diritto canonico come diritto dato, cioè come ordinamento giuridico; lapeculiarità del diritto canonico non starebbe nella sua natura bensì nella finalità, individuata nella salus animarum.

 Altre scuole tendono a valorizzare l’elemento teologico, infatti il diritto canonico non è generato dal dinamismo spontaneo dellaconvivenza umana, ma da quello specifico inerente alla natura stessa della comunione ecclesiale; partono da differentipresupposti: il mistero dell’incarnazione, la Parola e il sacramento, l’insieme di questi ed altri elementi, la communio.

- scuola di Monaco , ha individuato lo statuto ontologico del diritto canonico nella communio, cioè la specifica socialità

originata dalla grazia e non da una dinamica sociologica, individuando il principio epistemologico cioè la fides;

- scuola dell’Università Gregoriana , parte dal presupposto teologico per cui la Chiesa è una società umana elevata alla

sfera sovrannaturale, la realtà interna e sacramentale si esprime in una forma sociale e quindi in una dimensionegiuridica;

- scuola dell’Università di Navarra , in una prospettiva ecclesiologica parte dalla categoria del popolo di Dio ed elabora

una teoria generale del diritto canonico con contributi di diritto costituzionale; la chiave di comprensione è nellaconsiderazione per cui fra gli impulsi che scaturiscono dalla vita cristiana è necessario mettere in evidenza ladimensione comunitaria, la missione e la comune responsabilità, tutti questi impulsi postulano un principio di ordinesociale nel quale trovano equilibrio attraverso la realizzazione della giustizia.

Il dibattito sullo statuto epistemologico del diritto canonico si riflette nel dibattito sul metodo della relativa scienza e ciò haprodotto quattro grandi orientamenti:

1) scuola canonistica laica italiana , il diritto è in funzione della giustizia quindi la scienza canonistica deve avere

la stessa funzione della scienza giuridica, cioè il canonista deve far ricorso alle categorie concettuali ed agli strumentielaborati dalla scienza giuridica secolare; il diritto canonico è scienza giuridica da esplicitarsi con metodo giuridico;

2) scuola di Monaco , parte dalla visione della Chiesa come communio contrapposta a quella della Chiesa come

societas e ritiene impossibile l’uso di categorie della scienza giuridica secolare vista l’irriducibilità della Chiesa - mistero

a qualsiasi società umana; l’ordinamento canonico non può essere compreso con la ragione bensì con la fede, da quila legge canonica come “ordinatio fidei ”;

3) scuola dell’Università Gregoriana , ritiene che la scienza canonistica deve tener conto di un duplice piano:

quello naturale (l’uomo in tensione verso la redenzione) e quello soprannaturale, nel contesto di una pienezza

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escatologica già operante nella Chiesa visibile ma non ancora compiuta; da qui la necessità che la scienza canonisticaelabori un concetto di giustizia superando quello ricavabile sul piano naturale;

4) scuola spagnola di Navarra , anche le dimensioni della Chiesa più evidentemente lontane dall’esperienza

giuridica secolare si traducono in relazioni giuridiche ed atti di giustizia; il diritto canonico ha un vero carattere giuridicoche si manifesta negli aspetti che testimoniano la sua essenziale originalità.

Negli ultimi due orientamenti c’è uno sforzo di collegare la teologia al diritto, una profonda consapevolezza del carattere discienza sacra e pure una riaffermazione della giuridicità del diritto canonico e quindi la scienza canonistica non può che esserescienza giuridica.In conclusione il diritto canonico ha carattere teologico nel senso che solo la teologia può fornire ragioni di senso, ma larivendicazione del carattere teologico ci fornisce qualche indicazione ontologica ma non propriamente metodologica. Quindi ildiritto canonico, in quanto diritto, non può essere studiato che con metodo giuridico.

Il tempo e lo spazio

L’esperienza giuridica nel divenire della storiaParlare di esperienza giuridica nel divenire della storia significa parlare dell’evoluzione nel corso di venti secoli del dirittocanonico, inteso come insieme di norme (diritto scritto) interpretate e la giurisprudenza (diritto vivente) ma anche inteso comecomplesso di istituti giuridici ovvero strutture ecclesiali. La conoscenza e lo studio della storia del diritto canonico sonoimportanti per due ragioni: la prima è di carattere culturale. La storia del diritto canonico svolge una funzione nella formazionedella cultura del giurista, ha cioè lo scopo di far comprendere i forti nessi tra il diritto e la società che lo produce e di fargli

comprendere inoltre che diritto non è solo il diritto positivo dello Stato. Vuole quindi fare del giurista un cultore del diritto.La seconda ragione è prettamente storica. L’ordinamento canonico si è sviluppato dalle origini della Chiesa fino ai giorni nostrisenza soluzioni di continuità, gli stati invece si sono sempre modificati nel tempo e con loro i rispettivi ordinamenti giuridici. Lasoluzione di continuità può anche essere avvenuta per fattori diversi all’interno della realtà statuale; le moderne codificazionihanno rappresentato sempre una rottura con il passato e sono state l’espressione di far diventare “storico” il diritto vigentesostituendolo con un diritto nuovo. Ad esempio, nel senso della territorialità sono passati dal diritto universale ad un dirittolimitato al territorio; nel senso linguistico, dal diritto espresso in latino ad un diritto delle lingue volgari; nel senso culturale, da undiritto legato ad una visione religiosa del mondo e della vita, ad un diritto laico e neutrale. Nel caso del diritto canonico, laChiesa ha conosciuto mutamenti ed istituzionali ma si sono venuti producendo sempre all’interno dello stesso corpo sociale chenon ha conosciuto fratture. La codificazione canonica del 1917, infatti, non è stato un atto di rottura con il passato ma lariproposizione del vecchio diritto depurato di quanto era ormai superato e nella nuova forma di codificazione che serviva asistemare il diritto già in vigore. La conoscenza della storia non ha solo una valenza culturale ma è assolutamente necessariaper il lavoro del giurista, perché ai fini ermeneutica può risultare necessario o utile conoscere quali furono le ragioni storiche per le quali quella determinata norma fu posta. Il canone 17 del vigente codice detta i criteri dell’interpretazione e dice che le norme

sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto, inoltre se esse rimanesserodubbie o oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all’intendimento dellegislatore.

Le stagioni del diritto canonicoL’esperienza giuridica canonistica si divide in quattro grandi periodi. Questa periodizzazione mette in evidenza un singolarefenomeno di accelerazione, cioè i periodi non hanno la stessa lunghezza temporale ma sono segmenti di tempo sempre piùbrevi. Il primo periodo è detto pregrazianeo e abbraccia il primo millennio di vita della Chiesa, il secondo è detto classico e vadal XII al XVI secolo, il terzo è detto moderno e riguarda dal secolo XVII al secolo XIX, il quarto è detto periodocontemporaneo e si estende per tutto il secolo XX fino ai giorni nostri. Questa accelerazione dipende sicuramente dallanecessità per l’ordinamento giuridico della Chiesa di adeguarsi, ma anche l’espressione di società umane in sempre più rapidatrasformazione.Il primo millennio è chiamato periodo pregrazianeo perché precede l’opera di Graziano. Nei primi tre secoli, dalle origini dellaChiesa all’Editto di Costantino (313), grazie a quest’ultimo cessarono le persecuzioni contro i cristiani e il cristianesimo divenne

“religio licita” nell’impero romano, inoltre le basi fondamentali del diritto canonico sono costituite dal diritto divino ricavabile dallaSacra Scrittura e dagli altri scritti neotestamentari. Una rappresentazione della vita della primitiva comunità cristiana e le sueregole non scritte si trova negli Atti degli Apostoli, testo degli anni 80 d.C. Altre fonti scritte si trovano nella letteratura antica, daiPadri apostolici ai Padri della Chiesa. Un’altra importantissima fonte è la Tradizione, cioè gli insegnamenti degli Apostoli e deiloro successori. Il diritto delle prime comunità cristiane era essenziale, poco normato, debitore in molte parti del diritto ebraico.Ma le diverse comunità cristiane sparse in Medio Oriente iniziarono subito ad avere proprie tradizioni liturgiche e propri stili divita, basta ricordare la famosa controversia sull’ammissibilità dei pagani nella Chiesa che vide convergere le posizioni di Pietroe di Paolo nel primo Concilio, il Concilio di Gerusalemme fra il 48 ed il 50 d.C. L’espansione del cristianesimo in Occidente loporta a contatto con il mondo romano e il diritto canonico iniziò ad acquisire elementi giuridici tratti dall’esperienza romanistica.La strutturazione della Chiesa in Chiese particolari territorialmente individuate porta ai primi nuclei di una legislazione locale adopera dei Vescovi. Le prime opere per poter ricostruire la disciplina della comunità ecclesiale sono per l’Oriente la Didaché oDoctrina duodecim apostolorum del II secolo (si ricorda anche la Didascalia nella seconda metà del III secolo) e per l’Occidentela Traditio Apostolica di s. Ippolito scritta in greco a Roma intorno al 218. Queste opere furono un modello per altre ed eranotutte caratterizzate dagli stessi elementi: una non distinzione tra norme giuridiche e norme morali; l’attenzione verso il culto e isacramenti; la convivenza fra Chiesa carismatica e Chiesa istituzionale. A partire dall’editto di Teodosio o Costantinopoli (380)la religione cristiana divenne la religione ufficiale dell’impero romano, si attiva allora una importante esperienza conciliare per far fronte alle nuove esigenze di una comunità cristiana progressivamente crescente. I Concili sono riunioni di Vescovi di unadeterminata regione o addirittura di tutti i vescovi (Concili ecumenici) chiamati a risolvere questioni dottrinali e disciplinari.Proprio in questi Concili dal IV secolo si fissa il “credo”, cioè la formulazione esatta del dogma cristiano, e anche le regole

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giuridiche dette “canoni ”. Le prime raccolte di decisioni conciliari e di canoni iniziarono in questo periodo, una delle piùimportanti fu quella commissionata a Dionigi il Piccolo dal Papa e redatta tra la fine del V secolo ed i primi decenni del VI,chiamata Codex canonum o Corpus canonum, più tardi nel VIII secolo detta Collectio Dionisio – Hadriana perché raccoglie tuttele decisioni conciliari e tutte le lettere decretali dei pontefici romani. Dimostrava inoltre il primato sia di onore sia di giurisdizionedel Papa su tutta la Chiesa, attraverso provvedimenti pontifici sia amministrativi sia normativi detti le decretales. Alla fine del VIIsecolo, con il Concilio Trullano (692), si attiva il processo di separazione tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente. Lo sviluppodel diritto canonico in Occidente vede nella fine del VI secolo e l’inizio del seguente la nascita dei Canones poenitentiales

apostolorum in Irlanda e in Inghilterra, pur non avendo ancora chiara la distinzione tra morale e diritto e quindi fra peccato ereato fu molto importante per il diritto penale moderno perché introdusse i sistemi di classificazione dei peccati e dei crimini aseconda della gravità, con conseguente graduazione delle pene.Il periodo classico inizia nella metà del XIII secolo grazie all’apporto dato sia alla scienza sia alla pratica del diritto dalDecretum di Graziano (1140 circa), monaco camaldolese e professore all’Università di Bologna, che per ragioni didatticheraccolse una molteplicità di fonti canoniche delle quali, di volta in volta, cercava di offrire un’interpretazione coerente. Per taleragione l’opera fu denominata anche Concordia discordantium canonum, proprio perché cercava di rimediare alle contraddizionitra le varie fonti. L’opera ebbe talmente tanto successo che fu poi incorporata nel Corpus Iuris Canonici , la compilazione di testinormativi come fonte ufficiale del diritto della Chiesa fino alla codificazione canonica del 1917. Il Corpus Iuris Canonici eradunque formato: dal Decretum, dalle Decretales Gregorii  IX  (1234) o anche dette Liber Extra (raccolta di decretali pontificie incinque libri curata da s. Raimondo di Penyafort), dal Liber Sextus di Bonifacio VIII (1298), dalle Clementinae cioè le decretali diClemente V (promulgate da Giovanni XXII nel 1317) e da due compilazioni di origine privata dette le Extravagantes Ioannis XXII e le Extravagantes communes (la prima costituzioni di Giovanni XXII e la seconda decretali di diversi pontefici). Questecollezioni furono oggetto di glosse, cioè di annotazioni a margine, da parte della dottrina giuridica. La nascita e lo sviluppo delle

università nell’età medioevale favorì un rigoglioso sviluppo della scienza giuridica in generale, sviluppando anche un’ampialetteratura giuridica: decretisti (commentatori del Decretum), decretalisti (commentatori delle decretali pontificie), glossatori ecommentatori dei testi del diritto romano. Si nota in questo periodo l’affermarsi progressivo di un ruolo fondamentale del dirittodi origine pontificia, con il parallelo restringersi del diritto particolare cioè dei Vescovi diocesani, dei sinodi e dei conciliprovinciali. Si afferma anche la categoria delle “causae maiores” cioè le questioni di maggior momento riservate allacompetenza esclusiva del Pontefice.Il periodo moderno è caratterizzato dalle riforme del Concilio di Trento (1545 – 1565), convocato per rispondere alla gravefrattura operata nella Chiesa d’Occidente dal moto riformatore di Martin Lutero (1517). Il Concilio vuole rispondere alla Riformaprotestante con una Riforma cattolica o Controriforma, adottare cioè una serie di provvedimenti sia di carattere dottrinale sia dicarattere disciplinare. Vengono emanati perciò una serie di decreti destinati a riformare profondamente la vita della Chiesa, aquesti si aggiungono gli atti dei Pontefici raccolti in serie cronologica dette “Bullarii ”, le disposizioni amministrative e le decisionigiurisdizionali emanate dai dicasteri e dai tribunali della Curia romana (attraverso i quali, dopo le riforme di Sisto V nel 1588, iPapi governano la Chiesa universale). Il carattere di questo periodo, che va dal XVI al XVIII secolo, è l’attrazione della vitagiuridica della Chiesa a livello romano. Si riducono le autonomie delle Chiese locali e dei Vescovi, il diritto canonico diventasempre più diritto pontificio. Anche sul piano dell’organizzazione ecclesiastica assistiamo ad un processo di centralizzazione aRoma per difendere l’unità della Chiesa dai pericoli sia dall’interno sia dall’esterno, cioè dallo Stato sovrano che pretende diessere sopra alla Chiesa. Contro la politica e la legislazione ecclesiastica posta in essere dagli Stati per controllare la Chiesa(giurisdizionalismo), i canonisti rispondono difendendo le libertà ecclesiastiche, la non soggezione della Chiesa al potere politicoanzi la sua indipendenza da esso poiché società giuridicamente perfetta (societas iuridice perfecta) come lo Stato. Si sviluppauna nuova branca della scienza giuridica canonistica detta diritto pubblico ecclesiastico esterno (ius publicum ecclesiasticumexternum) che afferma che Stato e Chiesa sono una temporale e l’altra spirituale, società giuridicamente perfette per cui unaindipendente dall’altra e i loro rapporti devono essere regolati su basi di parità. Il conflitto e poi il distacco tra Chiesa e Stati siriflette in una progressiva separazione del diritto canonico dal diritto secolare che culmina dopo la rivoluzione francese. Infatti ildiritto canonico perde il sostegno dei diritti secolari, da questo scaturisce il ricorso del legislatore canonico al moderno istitutodella codificazione, già auspicata nel Concilio Vaticano I, voluta da Pio X e promulgata nel 1917 da Benedetto XV. L’avventodel codex è il segno della fine della solidarietà tra diritto canonico e diritto degli Stati. Dopo l’esperienza della christianitasmedioevale, nei moderni Stati assolutistici il diritto canonico si era venuto sviluppando in simbiosi con il diritto statale; ilgiurisdizionalismo confessionista di quegli Stati aveva nonostante tutto dato appoggio al diritto canonico. La fine dell’ancienrégime e l’avvento dello Stato liberale, separatista, laico aveva marginalizzato ed estromesso il diritto della Chiesa, questo

processo negativo si era prodotto proprio con i l processo di codificazione. Gli effetti erano stai gravemente negativi. Lacodificazione per la Chiesa significa una riformulazione del diritto canonico senza la collaborazione del diritto secolare (etsiamsi Respublica non daretur ), infatti il pontificato di Pio X segna il massimo isolamento della Santa Sede nelle relazioniinternazionali. Il codex esprime un diritto canonico tutto orientato all’interno della società ecclesiale e tutto riposto nella propriaforza interiore, inoltre costituisce il presupposto necessario, insieme alla politica concordataria, perché il diritto canonicotornasse ad essere vigente negli ordinamenti statali. Si compiva una sua reviviscenza nel diritto degli Stati che poco a pocorestituivano al diritto canonico il loro appoggio.Il periodo contemporaneo è caratterizzato soprattutto dal Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII (1958 – 1963) insiemealla revisione del codice di diritto canonico. Questa revisione fu manifestata da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinaliriuniti presso la basilica di San Paolo fuori le mura, l’annuncio veniva poco tempo dopo l’elezione del cardinale Roncalli al sogliopontificio e fu avvertito come espressione di un pontificato non destinato alla gestione come si era pensato vista l’età avanzatadel nuovo Pontefice. Al momento dell’annuncio Giovanni XXIII aveva parlato di revisione del codice, non di una nuovacodificazione tanto che l’organismo appositamente costituito il 28 marzo 1963 fu denominato Pontificia Commissione per larevisione del codice di diritto canonico. A conclusione della prima sessione plenaria della Commissione, avvenuta il 12

novembre 1963, i cardinali avvertirono la necessità di differire i lavori formali per la revisione del codice a dopo la conclusionedel Concilio per la previsione che i deliberati conciliari avrebbero potuto incidere. Una delle caratteristiche nel codice di dirittocanonico promulgato il 25 gennaio 1983 da Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges (in vigoredal 27 novembre dello stesso anno) era la diversità rispetto al codice precedente. Una diversità non solo formale ma anche

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sostanziale. Il distacco tra nuove e vecchie norme appare più accentuato tra la codificazione del 1983 e quella del 1917 che nontra questa ed il diritto previdente perché la funzione del codice del 1917 era trasformare nel moderno strumento del codice ilcomplesso delle norme canoniche, viceversa il legislatore del 1983 ha dovuto procedere all’armonizzazione del diritto canonicocon i principi del Vaticano II. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel corso della cerimonia ufficiale di presentazione del nuovo codice, il3 febbraio 1983, osservava che i postulati conciliari trovano nel nuovo codice esatti e puntuali riscontri. Nella costituzioneapostolica Sacrae disciplinae leges, lo stesso Giovanni Paolo II scriveva: “questo nuovo Codice potrebbe intendersi come ungrande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare, inoltre c’è un carattere

di complementarità tra il Codice e le due Costituzioni, dogmatica Lumen Gentium e pastorale Gaudium et spes”. Lo sforzod’armonizzazione del diritto canonico ai principi conciliari ha portato un’accentuazione delle distinzioni e delle particolarità delcodice canonico rispetto alle moderne codificazioni civili. I codificatori del 1917 aveva piuttosto avvicinato il diritto canonico aidiritti secolari, con l’effetto di segnare il punto storico di più netta separazione tra la teologia ed il diritto canonico, quindiall’opposto un periodo di maggior avvicinamento del diritto canonico ai diritti secolari. L’armonizzazione seguiva alcune lineedirettive individuate dalla Commissione per la revisione del codice di diritto canonico e sottoposte, per ordine di Paolo VI, allostudio del Sinodo dei Vescovi del 1967. Si tratta dei Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem proponuntur , approvatidall’assemblea sinodale il 7 ottobre 1967. La revisione del codice avrebbe dovuto: tenere l’indole giuridica del codice;assicurare uno stretto coordinamento tra foro esterno e foro interno; accentuare il carattere pastorale del diritto della Chiesa;conferire in via ordinaria ai Vescovi diocesani della facoltà di dispensa dalle leggi generali, riservando alla suprema autoritàdella Chiesa universale e alle altre autorità superiori quelle cause che esigano un’eccezione al principio della concessione;applicare nella Chiesa il principio di sussidiarietà; migliorare la definizione e la tutela dei diritti della persona; distinguere megliole funzioni della potestà ecclesiastica e curare particolarmente il diritto processuale; rivedere il principio della permanenzadell’indole territoriale nell’esercizio del governo ecclesiastico; mantenere il diritto penale, ma con generale riduzione delle

sanzioni canoniche a pene ferendae sententiae, da infliggersi solo nel foro esterno, ed eliminazione al massimo delle penelatae sententiae. Il testo del nuovo codice promulgato nel 1983 manifesta una sostanziale e rigorosa fedeltà a queste lineedirettive.

Occidente ed OrienteIl diritto canonico contiene due grandi tradizioni: quella Occidentale, la Chiesa latina, e quella Orientale, le Chiese sui iurisorientali cattoliche. Queste ultime sono state riconosciute in epoche diverse dalla suprema autorità della Chiesa cattolica. Daqueste si distinguono le Chiese ortodosse, cioè quelle Chiese cristiane che non sono in comunione con la Chiesa cattolica,dalla quale si staccarono con lo scisma del 1054, dopo le reciproche scomuniche di papa Leone IX e del patriarca diCostantinopoli Michele Cerulario. In realtà lo scisma fu il punto di arrivo di un processo di allontanamento iniziato già nel VIIsecolo, quando la Chiesa bizantina riunita nel concilio Trullano (691 – 692) emanò delle disposizioni che non furono recepite inOccidente. Inoltre influì la vicenda storico politica della divisione dell’impero romano nelle due espressioni d’Occidente e diOriente, la prima destinata ad avere vita breve (crollo nel 476 d.C.) la seconda invece vita molto più lunga (crollo 1453). Lafrantumazione dell’unità politica dell’impero romano divenuto cristiano poneva però in crisi l’idea che all’unico regno celeste

dovesse corrispondere un unico regno terrestre, ma dal punto di vista pratico avviava i processi di riorganizzazione istituzionalee giuridico - politica tra le due realtà del sacro romano impero in Occidente e l’impero bizantino in Oriente. La Chiesa cattolicadunque esprime al proprio interno due tradizioni: la Chiesa latina, come organismo unitario e centralizzato, in Oriente unapluralità di Chiese ognuna delle quali si distingue per rito, cioè per patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare. Nellungo corso della storia determinate comunità di fedeli hanno strutturato un proprio modo di vivere ed esprimere la comune fedecristiana producendo di conseguenza un diritto canonico proprio. Le tradizioni cui le ventuno Chiese cattoliche di rito orientale siriallacciano sono sostanzialmente cinque: Alessandrina, Antiochena, Costantinopolitana, Armena e Caldea. I riti si strutturanogiuridicamente in Chiese dette sui iuris o autonome avente ciascuna il proprio diritto, questi diritti particolari trovano riferimentocomune nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium promulgato da Giovanni Paolo II il primo ottobre 1990. Per capire ilrapporto tra Chiesa latina e Chiese orientali richiamiamo alcuni documenti del Concilio Vaticano II. Ad esempio nel decretoOrientalium Ecclesiarum (1964) si dice che la Chiesa santa e cattolica si compone di fedeli, uniti nello Spirito Santo dalla stessafede, dagli stessi sacramenti e dallo stesso governo. Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (1964) si diceche per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, durante i secoli, si sono costituite in molti gruppi, i quali godono di unaproprio disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Le antiche Chiese patriarcali nehanno generato altre che sono come loro figlie. Il rapporto tra unità e pluralismo ecclesiale è evidenziato dai due documentidove si afferma che nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente delle Chiese particolari che godono di proprietradizioni; nella loro particolarità esse sono tuttavia ugualmente affidate al pastorale governo del Romano Pontefice. La Chiesacattolica universale nella propria unità si distingue in riti e quindi in Chiese sui iuris. All’interno di questo sistema il codex iuriscanonici riguarda la sola Chiesa latina, il codex canonum ecclesiarum orentalium riguarda tutte e sole le Chiese orientalicattoliche.

Unità e varietàL’azione missionaria o “implantatio Ecclesiae”, che segue le grandi scoperte geografiche dell’inizio dell’era moderna (1492), haun influsso sugli sviluppi del diritto canonico. Le scoperte geografiche segnano il passaggio dall’età di mezzo all’età moderna ecreano una nuova espansione missionaria, dopo la prima dell’età cristiana ad opera di Paolo verso i “gentili” e la secondadell’età medioevale verso gli anglosassoni e gli slavi. I metodi missionari della terza erano nuovi perché legati a differenticondizioni ambientali, sociali, culturali e politiche, perciò nuovi erano anche gli strumenti giuridico – istituzionali. La vita internadella Chiesa, insieme all’accentramento romano del governo, vede due diverse modalità di reggimento del popolo di Dio: una

tradizionale, nei Paesi d’antica cristianità; l’altra più innovativa ed elastica, nei Paesi di missione. Nascono nuove prassi digoverno sia per la produzione normativa sia per l’amministrazione, favorendo la nascita di nuove norme e nuovi istituti. Si formaquindi una branca specialistica del diritto canonico denominata diritto canonico missionario (ius missionarium). Un esempio èl’istituzione dei vicari apostolici, figura istituzionale per poter provvedere al governo ecclesiastico delle Chiese particolari neiterritori di missione. Questi prelati hanno la stessa dignità e potestà dei Vescovi diocesani, potevano essere nominati

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direttamente dalla Santa Sede senza formale violazione delle prerogative regie. Al governo della Chiesa locale attraversol’ordinaria gerarchia si sostituiva un governo accentrato nella Sede Apolitica che non poteva essere soggetto alla giurisdizioneregia e che veniva espletato attraverso vicari. La progressiva accentuazione di una concezione personalistica e nonterritorialistica delle Chiese locali nei territori di missione, da un punto di vista storico rispondeva all’esigenza di emancipazionee dal punto di vista ecclesiologico e giuridico veniva ad introdurre significativi elementi di novità. L’introduzione nei territori dimissione di forme governo diverse ed originali immette nel diritto canonico e nella stessa ecclesiologia quell’idea della Chiesalocale come comunità di persone, anziché come realtà istituzionale legata ad un territorio. Un altro esempio dell’influenza del

diritto missionario è il regime giuridico delle persone fisiche. Infatti nasce una nuova attenzione ai problemi del reclutamento edella formazione del clero, motivata dalla reazione ai condizionamenti delle grandi potenze coloniali che tendevano ad averenelle missioni un clero nazionale, fedele al proprio Paese. Viceversa alla Chiesa interessava favorire l’impegno missionario diun clero che fosse zelante nell’opera apostolica e fedele alla Santa Sede, da qui l’avvento del clero indigeno considerato anchepiù idoneo per portare il messaggio evangelico. Inoltre si parla anche della condizione giuridica dei non battezzati che venivanochiamati ancora “infedeli”.Dal punto di vista istituzionale l’espansione missionaria, che inizia alla fine del XV secolo, porta delle modifiche negli organi digoverno della Chiesa universale. Con la costituzione apostolica Inscrutabili divinae Providentiae del 22 giugno 1622, GregorioXV istituisce la Congregazione “de Propaganda fide” destinata ad organizzare e sostenere la propagazione della fede cristiana. Aveva una duplice funzione: diffondere la religione cattolica presso gli infedeli (missio ad gentes) e tutelare il sacro patrimoniodella fede nelle regioni europee devastate dall’eresia (missio ad intra). Ha sviluppato essenzialmente la prima. Sin dal 1623comincerà ad esercitare il governo delle missioni in maniera esclusiva, assommando tutte le funzioni ordinariamente ripartite,ecco perché questo dicastero è detto “ceteras Congregationes habet in ventre”. Le attribuzioni della Congregazione non silimitavano all’esercizio di funzioni amministrative ma si estendevano anche alla funzione legislativa, avendo il potere di emanare

decreti generali aventi forza di legge. L’attribuzione di poteri senza la contestuale revoca dei privilegi concessi precedentementealle corone spagnola e portoghese portò un conflitto con il Patronato, il complesso di diritti e di obblighi che la Santa Sedeaveva dato loro dalla metà del XV secolo affidando la parte orientale al Portogallo e la parte occidentale alla Spagna. Si creainsomma una situazione di concorrenza tra due diverse autorità: quella ecclesiastica e quella regia. Gli argomenti principali delconflitto erano: la libertà di accesso dei rappresentanti di Propaganda e dei missionari nelle terre di missione; il placet regio agliatti dell’autorità ecclesiastica; lo ius nominandi dei Vescovi da parte del sovrano; l’estensione dei privilegi concessi dai Ponteficiai sovrani iberici. All’inizio si cercò di armonizzare le due differenti competenze ma quest’esperienza di collaborazione duròpoco. Il conflitto tra le due autorità era in realtà sussistente in re ipsa, non potendosi armonizzare due potestà concorrenti. LaCongregazione, pur nel formale rispetto degli jura maiestatica circa sacra, reagisce con l’emancipazione dell’azione missionariae della vita delle giovani Chiese nei Paesi extraeuropei dai limiti e dagli impedimenti di Patronato. Queste controversie portanoquindi la nascita di un nuovo diritto canonico. Certamente questi avvenimenti accentuano il passaggio del diritto canonico aprevalente diritto pontificio. Dopo l’età medioevale, con il principio della “ plenitudo potestatis ”, e dopo la svolta Tridentina, cheaccentua la teologia dell’universalità della Chiesa e l’accentramento del suo governo, l’esperienza missionaria costituisce lafrontiera avanzata della sperimentazione di un diritto canonico di produzione pontificia. Lo ius missionarium nasco come dirittospeciale rispetto al diritto generale e comune, il diritto canonico. Le sue norme ed i suoi istituti però hanno una notevoleinfluenza sul diritto generale, infatti quest’ultimo risulta essere l’estensione alla generalità della comunità dei fedeli di norme edistituti nati nell’ambito dello ius canonicum missionarium. Questo segna una prima svolta in senso spiritualista del diritto, laseconda sarà con la codificazione del 1917 e con la codificazione latina del 1983, con quest’ultima il diritto missionario sembrascomparire dando luogo alla più generale estensione di un diritto comune divenuto poi più missionario. Le controversiegiurisdizionalistiche del Patronato costituiscono un ripensamento sul senso e sul fine del diritto nella Chiesa: quello della suafinalizzazione pastorale, della sua strumentalità alla salus animarum.

Diritto divino e diritto umano

Le fonti del diritto canonicoCon il termine fonti si possono indicare varie realtà: fonti di produzione, fonti di cognizione, fonti storiche.Le fonti di produzione, o “fontes existendi ”, sono sia gli organi e le procedure attraverso le quali vengono prodotte le normecanoniche, sia le forme che tali norme assumono. Quindi la posizione di assoluta preminenza è tenuta dalle leggi, che possono

distinguersi:a) per autore : pontificie (Papa), conciliari (concilio ecumenico), sinodali, episcopali (vescovo), capitolari;

 b) per tipologia : universali (dirette a tutti i fedeli cattolici) e particolari (dirette ad una categoria di persone o ad un luogo),

generali (norme per tutti) e speciali (riguardano una materia nello specifico), territoriali (le circostanze territoriali sono lediocesi con a capo il vescovo) e personali (nella Chiesa esistono delle situazioni particolari di cui l’ordinamento devetener conto, ad esempio tra cattolici di rito diverso che vivono nella stesso territorio la legge si applica in base al rito diappartenenza).

 Alla legge si aggiunge la consuetudine (diritto oggettivo non scritto), è prodotta da una determinata comunità organizzataattraverso la perenne osservanza (elemento oggettivo), rafforzata dal convincimento generale della sua giuridicità e della suanecessità, “opinio iuris ac necessitatis” (elemento soggettivo). Si concede ampio spazio alla consuetudine che non deve esserecontro il diritto divino ma “secundum legem” o “ praeter legem” cioè al di là del diritto se il diritto non c’è.Tra le fonti si aggiunge anche la giurisprudenza, cioè le sentenza pronunciate dai competenti organi giudiziari della Chiesaovvero la Segnatura Apostolica, la Rota romana, i Tribunali ecclesiastici diocesani e metropolitani. Il giudice è chiamato adapplicare la legge, non potendo creare nuove norme, ma opera in un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo,quindi il giudice ecclesiastico non è legato solo al diritto formalmente prodotto dal legislatore ma è tenuto ad applicare nelproprio giudizio il diritto divino. Questo può condurre fino alla disapplicazione di una norma di diritto positivo, il caso della“aequitas canonica”, istituto che ha una funzione correttiva della legge quando la sua applicazione in casi concreti è produttricedi ingiustizia o contrasta con lo spirito di carità e le esigenze spirituali dell’ordinamento canonico. Quindi la giurisprudenza,

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intesa come interpretare ed applicare la legge canonica ai casi concreti, ha una certa rilevanza normativa; infatti il dirittocanonico si avvicina molto alla regola giurisprudenziale tipica degli ordinamenti giuridici di common law . In particolare sono itribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rota romana ad avere questa rilevanza normativa. Anche la dottrina canonistica può diventare fonte normativa sussidiaria, nel caso di lacune dell’ordinamento il parere costante ecomune dei canonisti (insieme all’analogia, ai principi generali del diritto, alla giurisprudenza, alla prassi della Curia romana)può costituire criterio per decidere una causa purché non sia un giudizio penale.Le fonti di cognizione, invece, sono le raccolte e i documenti nei quali sono contenute le norme canoniche; le raccolte più

importanti sono il codice di diritto canonico ed il codice dei canoni delle Chiese orientali.Le fonti storiche sono le raccolte nelle quali sono contenute le norme canoniche prodotte via via nel corso del tempo ma nonpiù in vigore (ius vetus); le raccolte più importanti sono il Corpus Iuris Canonici e il codice di diritto canonico del 1917. Nel dirittocanonico le leggi previgenti sono molto importanti perché l’ordinamento giuridico della Chiesa si è venuto evolvendo senzasoluzione di continuità e molto spesso per interpretare correttamente una disposizione risulta utile conoscerne le ragionioriginarie.

Il diritto divino naturale e positivoLa particolarità dell’ordinamento giuridico della Chiesa è che ha alla sua base il diritto divino, cioè un complesso di norme chenon sono state poste dal legislatore ecclesiastico, cioè da un’autorità umana, ma da questa sono fatte valere. In ragione dellemodalità con le quali queste norme sono state prodotte e dei destinatari, le possiamo distinguere in diritto divino naturale, odiritto naturale, e diritto divino positivo, o diritto divino rivelato.Il diritto naturale è dato dall’insieme di principi non scritti che sono stati impressi da Dio nella coscienza dell’uomo e che hannovalore universale. Questo diritto è caratterizzato dalla meta-positività, cioè la sussistenza prima ed a prescindere da qualsiasi

legislatore positivo, dalla intrinseca validità, vige a prescindere da tutto, dalla assiologia superiorità rispetto al diritto positivo, dauna superiore obbligatorietà derivante dalla sua origine divina e non umana. Il diritto naturale non può non riguardare anchequella società di uomini costituita dai battezzati nella Chiesa cattolica, chiamata necessariamente a vivere secondo le regolenaturali d’ogni formazione sociale. La Chiesa quindi è realtà spirituale che si incarna in un organismo sociale e non è sottrattaalle norme che per natura caratterizzano la vita dei corpi sociali. Un esempio di diritto naturale sono sicuramente i diritti umani,cioè le spettanze che ad ogni uomo vanno riconosciute in ragione della dignità della persona umana, come il diritto ad essereimmuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita o dal diritto al buon nome e alla salvaguardia della vita privata(can. 219 e can. 220), altro caso è quello del riconoscimento dello “ius connubii ” cioè diritto di contrarre matrimonio (can. 1058).Il diritto divino positivo è costituito dalle norme che sono state manifestate dalla Rivelazione divina e sono quindi ricavabilidall’Antico e dal Nuovo Testamento, nonché dalla Tradizione Apostolica. Tra diritto naturale e diritto divino positivo può esserciun nesso poiché il secondo ribadisce ed esplicita precetti che sono propri del primo, come ad esempio l’indissolubilità delmatrimonio è un precetto di diritto naturale ma nel matrimonio-sacramento l’indissolubilità diviene assoluta per un precetto didiritto divino positivo. Questo è un insegnamento tratto direttamente dal racconto della creazione contenuto nell’AnticoTestamento nel libro della Genesi, qui la parola della fede illumina la realtà naturale, sottolinea la valenza unitiva del matrimonio

e ne evidenzia le essenziali proprietà dell’unità e dell’indissolubilità. Nell’Antico Testamento la previsione della legislazionemosaica, che ammetteva in alcuni casi il ripudio, risulta un parziale abbandono del rigore del progetto originario causato dalladurezza del cuore. Dal complesso dei testi che toccano la questione emerge la coscienza nel popolo ebraico della mancatafede al progetto originario e una sensibilità per il divorzio che viene avvertito come un male tollerato. Tutto il contesto èdominato dall’idea dell’una caro contenuta nel racconto biblico che offre il senso della struttura esistenziale del matrimonio. IVangeli invece sono categorici nella condanna del divorzio, ma è bene notare che la predicazione di Gesù non era volta adaffermare una normativa più rigorosa in materia, in realtà tende a riaffermare l’originale progetto del Creatore sul matrimonio,cioè restaurare il precetto di diritto naturale sull’indissolubilità del matrimonio (lettere di Paolo). Tra diritto naturale e diritto divinopositivo possono anche non esserci nessi nel senso che il diritto divino positivo non vuole innovare il diritto naturale ma porreprincipi che vanno al di là di questo. Un caso sono le norme che riguardano la Chiesa e la conformano secondo la volontà delsuo Divino Fondatore, come ad esempio il carattere gerarchico che vede due soggetti di suprema autorità congiunti in un’unitàorganica: il Romano Pontefice e il Collegio episcopale (composto dai Vescovi) il cui capo è il Pontefice (cann. 330, 331, 336). Aldiritto divino positivo attiene anche la missione della Chiesa cioè annunciare la verità rivelata (can. 747), ovvero i mezzi con cuila Chiesa è chiamata ad operare cioè i sacramenti che sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita. Al diritto divino positivo si riconducono il complesso di diritti e doveri soprannaturali che si riferiscono non alla persona in quantotale ma in quanto incorporata a Cristo mediante il battesimo (can. 96). Dunque il diritto divino positivo è dato dall’insieme diprincipi che sono intimamente e strutturalmente connessi con la Chiesa in quanto entità fondata da Cristo, il quale ha datoprecise finalità da perseguire nel tempo, i mezzi da utilizzare, le regole fondamentali di governo ed i criteri di appartenenza.Questi principi sono essenziali perché determinano la struttura e il funzionamento della costituzione della Chiesa, irriformabiliperché posti dal legislatore divino.La Chiesa non è inquadrabile nelle due grandi configurazioni in cui la dottrina giuridica riconduce la realtà artificiale dellepersone morali, associazione e fondazione, ma partecipa sia ad una sia all’altra senza essere né l’una né l’altra. In parte èriconducibile alla figura dell’associazione perché sociologicamente è costituita da un gruppo organizzato di persone ma la suaesistenza, le sue finalità, i mezzi, le condizioni per farne parte, le regole di organizzazione, non sono determinate dalla volontàdegli associati; è in parte una fondazione perché è un ente che ha finalità e mezzi determinati dalla figura del Fondatore ma ècaratterizzata da una base personale e non patrimoniale.Il diritto divino positivo è immodificabile, ma ciò non significa che non possa essere oggetto di approfondimenti, compito chespetta al Magistero ecclesiastico (can. 750) che segue la Tradizione apostolica e tiene conto della prassi secolare della Chiesa,dello stesso convincimento diffuso nella comunità ecclesiale (sensus fidei ). Il problema si pone quando il diritto divino (naturale

e rivelato) viene ad avere vigenza nell’ordinamento canonico. In passato con la concezione positivistica si riteneva che i principie le disposizioni di diritto divino entrassero a far parte dell’ordinamento tramite un atto di volontà del legislatore ecclesiastico(canonizzazione). Questa concezione è in realtà infondata perché il diritto divino vige in quanto tale a prescindere daqualsivoglia volontà di legislatore umano. Il diritto divino e il diritto umano non devono essere inquadrati come due ordini

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giuridici distinti ma in termini di esplicitazione sul piano del diritto umano dei principi di diritto divino, cioè il diritto umano è unasorta di trasposizione dei principi del diritto divino, il quale è vigente, sovraordinato al diritto umano e dotato di una superioreobbligatorietà. Il Concilio Vaticano II esprime un ripensamento delle tradizionali teoriche dottrinali dando vita a due fondamentaliorientamenti: la scuola canonistica di ispirazione teologica e la scuola spagnola di Navarra. La prima pone una nettaseparazione tra diritto divino e diritto umano ecclesiastico ma in direzione opposta rispetto alla tesi della canonizzazione,assorbendo interamente il diritto divino nella teologia. La seconda pone una teoria che prospetta il rapporto tra diritto divino ediritto umano come un processo di progressivo approfondimento e recezione dei contenuti del primo delle norme positive

attraverso il passaggio da una prima fase (positivazione) caratterizzata dalla presa di coscienza ecclesiale dei contenuti deldiritto divino, ad una successiva in cui tali contenuti vengono formalmente inseriti nell’ordinamento giuridico (formalizzazione).Il diritto umano rappresentata nel divenire della storia la perenne tensione del legislatore ecclesiastico ad uniformarsi “modello”,cioè il costante tentativo di realizzare modalità di esercizio dei diritti e dei doveri che da esso derivano.

Il diritto umano o ecclesiastico Altra fonte del diritto canonico è il diritto umano o ecclesiastico, cioè il diritto posto dai soggetti competenti nella Chiesa. Inquanto posto dall’autorità umana è storicamente contingente e mutevole; è sempre perfettibile ma risulta vincolato al rispettoassoluto del diritto divino naturale e positivo, infatti nel caso in cui lo contraddice sarebbe una disposizione illegittima, da far venir meno. Solo alle disposizioni di diritto umano si applicano gli istituti che rendono elastico il diritto canonico, cioè la grazia, ladispensa, la tolleranza, l’equità canonica. Se il diritto umano di produzione umana dovesse divenire nel caso concretoimpedimento al bene spirituale o addirittura occasione di peccato, l’autorità che ha posto la norma non solo può ma devedisapplicarla perché ci sarebbe la violazione da parte del diritto canonico della finalità suprema della Chiesa (salus animarum).Quindi gli istituti che danno elasticità al diritto canonico non potranno mai trovare applicazione nel diritto divino. Il diritto umano o

ecclesiastico è posto ordinariamente nelle leggi ecclesiastiche (can. 7 ss) anche con altri atti come i decreti generali legislativi(can. 29). Queste leggi si distinguono in leggi generali, universali e quindi comuni a tutti, e leggi particolari o speciali. Leprime sono poste dal supremo legislatore nella Chiesa; le seconde sono ordinariamente poste dal Vescovo diocesano, dallaConferenza episcopale o dal Concilio particolare, infatti la loro efficacia è limitata ad un territorio o ad una specifica comunità dipersone. Ma anche il supremo legislatore può emanare leggi particolari, come per disciplinare una specifica materia con dellenorme speciali: ad esempio i processi di beatificazione e canonizzazione, che non sono disciplinati dalle norme generali ma dauna legge pontificia particolare (can. 1403). Il rapporto tra leggi universali e leggi particolari è regolato secondo un rigorosoprincipio di gerarchia: se le leggi particolari sono poste dal supremo legislatore ecclesiastico, esse prevalgono; se invece lalegge particolare è posta dal legislatore inferiore, non può abrogare né derogare la legge universale che prevale. Nel can. 135infatti si precisa che da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore.Per quanto riguarda le leggi gerarchicamente pariordinate vale il principio secondo cui la legge posteriore abroga la precedenteo deroga alla medesima (can. 20). Le leggi canoniche normalmente sono territoriali, cioè i destinatari vengono ordinariamenteindividuati secondo il criterio territoriale (secondo i canoni 12 – 13 le norme universali sono rivolte a tutti, le norme particolarisono rivolte in un determinato territorio), tuttavia esistono leggi personali i cui destinatari sono individuati con il criterio

personale. Le leggi canoniche devono essere promulgate (rese pubbliche) ed entrano in vigore dopo un periodo di tempo dettovacatio legis; le leggi universali, cioè poste dal Pontefice, sono pubblicate sul bollettino ufficiale denominato Acta ApostolicaeSedis e dopo un periodo di vacatio legis di tre mesi entrano in vigore. La consuetudine può avere forza di legge ma ènecessario che la condotta in cui si attualizza sia stata osservata da una comunità capace almeno di ricevere una legge (can.25), che sia ragionevole e non in contrasto con il diritto divino (can. 24), che non sia stata espressamente approvata dallegislatore (can. 23) e che il comportamento, ritenuto giusto e dovuto, sia osservato per tempo stabilito (can. 26). Inoltre laconsuetudine ha forza di legge quando è “ praeter legem”, cioè quando disciplina una materia non normata dal legislatore, infattila consuetudine “contra legem” è considerata illegittima mentre la consuetudine “secundum legem” è considerata come ilmigliore interprete della legge (can. 27).

Se la Chiesa abbia una Costituzione A livello giuridico le costituzioni sono ciò che attiene alle grandi rivoluzioni (americana e francese) che segnano la reazione alloStato assoluto, cioè lo Stato nella figura del re (l’état c’est moi ) al di sopra della legge (legibus solutus) senza divisione deipoteri. Nell’antichità non era così poiché si riconoscevano dei limiti alla legge (es. Antigone). A livello di pensiero invece la

società reagisce in due modi diversi: con il giusnaturalismo, cioè l’esistenza del diritto naturale come diritto razionale, aprescindere dall’esistenza di Dio (ragionare come se Dio non fosse), e con l’illuminismo giuridico, nato con l’idea del contrattosociale di Rousseau secondo cui l’autorità ha il potere che il popolo – sovrano gli delega. In questo secondo orientamentotroviamo un autore molto importante, Cesare Beccaria che scrisse “Dei delitti e delle pene” in cui vuole arrivare al diritto penalemoderno per cui la legge predetermina i reati e la rispettiva sanzione; inoltre parla della pena di morte e si pone contro poiché loStato non ha il diritto di uccidere perché il popolo non gli ha concesso questo diritto e lo Stato non ha più potere assoluto. Abbiamo detto invece che a livello giuridico appaiono le costituzioni con l’idea di una legge fondamentale nella quale sonogarantiti i diritti della persona e sono delineati i termini della procedura, cioè la divisione dei tre poteri. Tutto questo per costituireun limite al potere dello Stato, ora diventato persona giuridica.

Il diritto canonico è caratterizzato da un lato dalla rigidità del “corpus legum”, la meta finale determina e condizional’ordinamento giuridico, dall’altro dall’estrema adattabilità alle esigenze di tempo e luogo. Potrebbe apparire come un contrastoinsanabile tra “l’immobilità statuaria della meta e la voluta mobilità delle forme della carovana” (Le Bras) ma se osserviamo conattenzione svela la singolare economia fra divino ed umano che tutto pervade. Il passaggio dalla piccola comunità diGerusalemme delle origini all’immensa congregatio fidelium e communio ecclesiarum che compongono oggi la Chiesa avvienenel tempo attraverso complessi sviluppi giuridici che non possono sfuggire all’attenzione del canonista e dello storico, chiamatia cogliere i punti di equilibrio tra l’immobilità statuaria della meta e la mobilità delle forme della carovana. A questo punto sipone il quesito se la Chiesa abbia o meno una Costituzione. Se per Costituzione si intende, in una prospettiva ideologico –politica, la legge fondamentale che ha tra i suoi caratteri la partecipazione popolare alla sua formazione, allora la risposta sarà

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negativa. Infatti la Chiesa è una comunità di fedeli, ma la sua istituzione, le sue finalità e i mezzi non provengono dalla volontàdel popolo dei fedeli ma da quella del suo Fondatore. Se invece per Costituzione si intende, dal punto di vista giuridico –formale, l’insieme dei principi che sono al vertice del sistema normativo di un ordinamento primario, allora la risposta saràpositiva. Questa Costituzione della Chiesa presenta alcune caratteristiche: innanzitutto è non scritta o materiale. Infatti le fontidel diritto canonico positivo sono numerose, ma il loro nucleo essenziale è dato dalle norme di diritto divino positivo contenutenella Rivelazione. Questo carattere però è assolutamente originale perché attualmente la maggior parte delle Costituzioni sonoscritte, il caso più celebre di Costituzione non scritta è quello dell’Inghilterra. Durante il Concilio Vaticano II nasce il problema di

una formalizzazione della Costituzione promossa da Paolo VI nel 1965 richiamando la singolarità dell’ordinamento giuridicodella Chiesa data la sussistenza di due codici: quello latino e quello orientale. Si pensò quindi di elaborare un testo comune efondamentale ma la preoccupazione era quella di garantire una cornice giuridica unitaria. Vennero elaborati una serie di progettidi legge fondamentale della Chiesa, Lex Ecclesiae fundamentalis, che però ricevettero molte critiche per vari motivi: lapossibilità di trasferire al diritto canonico uno strumento ideologicamente caratterizzato come quello della Costituzione, chenasce sul presupposto di una sovranità popolare; la compatibilità del carattere rigido delle costituzioni contemporanee con ilpeculiare aspetto gerarchico della Chiesa; il fondamento teologico e giuridico della Lex ; l’inserimento in essa del solo dirittodivino o anche del diritto umano; la configurabilità di diritti e doveri fondamentali dei fedeli. Giovanni Paolo II decise di nonproseguire con il progetto ed una parte dei canoni (relativa ai diritti e doveri dei fedeli) furono inseriti nel codice del 1983.Un’altra caratteristica della Costituzione della Chiesa è la sua particolarità sotto il profilo della modificabilità. Le Costituzionidegli Stati possono essere flessibili, cioè modificabili con la legge ordinaria, o rigide, cioè modificabili solo attraverso unprocedimento speciale ed aggravato. In altre parole, quando la Costituzione è al vertice nella gerarchia delle fonti e ha unaprocedura speciale per essere modificata è detta rigida, se invece la Costituzione è sempre al vertice ma ha la stessa forzadella norma ordinaria è detta flessibile perché si basa sull’interpretazione di una norma che ad esempio abroga una norma

costituzionale. Ad esempio la Costituzione italiana è rigida poiché l’art. 138 dispone per le leggi di revisione costituzionaleprocedure più complesse. La Costituzione della Chiesa cattolica è in parte rigida e in parte flessibile: è rigida nella parte diprincipi e norme di diritto divino; è flessibile nella parte di norme poste dal legislatore ecclesiastico. Nella parte rigida troviamoad esempio le norme che regolano la condizione del Papa come Vescovo della Chiesa di Roma, capo del Collegio dei Vescovi,Vicario di Cristo e Pastore in terra della Chiesa universale, per cui il Papa in forza del suo ufficio ha potestà ordinaria suprema,piena, immediata e universale sulla Chiesa (can. 331). Un altro esempio sono le disposizioni sul collegio episcopale, il cui capoè il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi, collegio che è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesauniversale (can. 336) che esercita in modo solenne nel Concilio Ecumenico (can. 337). I principi posti dal Divino Fondatore dellaChiesa sono irreformabili (non modificabili), da qui l’assoluta diversità della Costituzione della Chiesa rispetto alle costituzionirigide degli Stati: infatti la rigidità di queste ultime è relativa giacché possono essere modificate attraverso dei procedimentispeciali, viceversa la rigidità della Costituzione ecclesiale è assoluta perché i suoi contenuti fondamentali non possono esseremodificati dal legislatore umano. Invece alla parte flessibile appartengono ad esempio le norme riguardanti le Conferenzeepiscopali, cioè forme di organizzazione dell’episcopato di una nazione, affermatesi tra il XIX ed il XX secolo, aventi la funzionedi esercitare congiuntamente alcune funzioni pastorali (can. 447). Un altro esempio sono le norme del Sinodo dei Vescovi,organismo rappresentativo del collegio episcopale creato dopo il Concilio Vaticano II per favorire una stretta unione fra ilRomano Pontefice e i Vescovi (can. 342). Si tratta quindi di strutture organizzative che sono sorte nel corso della storia per volontà del legislatore umano e possono quindi da questo essere nel tempo modificate o soppresse.

Diritto canonico e “ius civile”Partendo dal presupposto che gli Stati sovrani negano l’esistenza di un’altra autorità sul popolo e sul territorio, diciamo che ogniordinamento si costruisce attorno a dei valori che lo tengono insieme e lo rendono chiuso alla penetrazione di valori chevengono dall’esterno, altrimenti si potrebbe creare contrasto nell’ordine pubblico, cioè una norma non segue quei valori. Adesempio, in passato in Italia non esistevano norme che regolarizzavano il divorzio, introdotte nel 1970, ma bastava andareall’estero per poter ottenere il divorzio ed ecco che si aveva una situazione di contrasto. Infatti esistono diversi modelli didivorzio: divorzio sanzione, lo chiedeva il coniuge incolpevole ed è un modello rigoroso; divorzio per mutuo consenso, i coniugicome hanno espresso insieme la volontà di sposarsi ora insieme esprimono la volontà di separarsi; divorzio rimedio, impostodal giudice che si rende conto che ricorrono le circostanze previste dalla legge; divorzio ripudio, è un modello repressivo econsiste nell’allontanamento da parte dell’uomo nei confronti della donna, quindi è unilaterale e rientra solo nel diritto ebraico edislamico. Ma questi modelli possono essere considerati validi (delibati)? L’organo destinato a deliberare le sentenze di divorzioesterne, che ovviamente non devono essere in contrasto con l’ordinamento italiano, è la Corte d’Appello (ad esempio il divorzioripudio non è considerato valido secondo l’art. 3 della Cost. che sancisce il principio di eguaglianza davanti alla legge). Anche il diritto canonico è autoreferenziale e chiuso per quanto riguarda le norme, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sonoregolati dai concordati, cioè degli accordi, oppure dalle norme di diritto internazionale privato.

Nel diritto canonico sono frequenti i richiamo allo ius civile o lex civilis, insomma allo ius saeculare, cioè il diritto postodall’autorità secolare, in particolare da parte dello Stato. Le ragioni di questi richiami sono diverse. La prima riguarda il problemanei rapporti tra ordinamenti giuridici primari, cioè la disciplina da parte di un ordinamento di rapporti che presentano unelemento di estraneità: ad esempio, il caso dei rapporti tra privati che presentano un elemento di estraneità perché intercorronotra stranieri sul territorio statale o perché hanno ad oggetto beni situati all’estero. Si tratta perciò dei rapporti che sono oggetto didisciplina del diritto internazionale privato. Anche nei rapporti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali si possono porreproblemi di questo tipo, quando non sono risolti in via bilaterale convenzionale, il diritto canonico dispone unilateralmente lemodalità con cui disciplinare quel determinato rapporto e nel far questo il legislatore canonico può richiamare una disposizionevigente nell’ordinamento dello Stato e farle avere effetti nell’ordinamento canonico. La seconda ragione del richiamo è data da

una differenza: mentre i contatti tra gli ordinamenti statali presuppongono sovranità che insistono su territori diversi e sudditidiversi ma aventi competenza nelle medesime materie, per i contatti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali siamo difronte a due sovranità che si trovano sul medesimo territorio e agiscono su soggetti in parte comuni ma con competenze inmaterie diverse (materie spirituali per la Chiesa e materie temporali per lo Stato). La Chiesa, società sovrana nel suo ordine,

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riconosce la sovranità dello Stato nell’ordine che a questo è proprio, infatti non disciplina materie che attengono allo Stato marinvia al diritto secolare. Esistono però delle materie che oggettivamente hanno una valenza sia nel piano temporale sia nelpiano spirituale, le cosiddette materie miste (res mixtae o res mixti fori ); un esempio tipico è dato dal matrimonio, istitutocivilmente rilevante ma che se contratto tra battezzati è sacramento. Ultima ragione dei rinvii al diritto statale si trova in alcunicasi in cui il diritto canonico rinuncia a disciplinare con proprie norme per evitare i l rischio che tale disciplina non produca effettianche nell’ordinamento dello Stato sul cui territorio si pone tale situazione. Se la Chiesa avesse interesse che quanto posto nelproprio ordinamento valga anche nell’ordinamento statale e questo problema non si sia risolto con degli accordi, la Chiesa

preferisce utilizzare il diritto statale avendo in questo modo la medesima disciplina in entrambi gli ordinamenti. Ad esempio ilcan. 1290 dispone che le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti e sui pagamenti, siano ugualmente osservateper diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa. In questo modo le norme civili divengono anchenorme canoniche. Quando il diritto canonico richiama lo ius civile fa riferimento all’ordinamento giuridico secolare richiamatonella sua totalità, quindi anche norme giuridiche che sono entrate a far parte di questo ordinamento, cioè non sono state postedal legislatore. Il richiamo delle norme secolari può avvenire con diverse modalità:

a) rinvio formale o rinvio non ricettizio, si ha nei casi in cui l’ordinamento canonico è incompetente a disciplinare una

certa materia di competenza propria dello Stato e riconosce effetti giuridici alle norme poste da questa. Ad esempio ilcan. 1059 dispone che il matrimonio dei cattolici è retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico,salva la competenza dell’autorità civile circa gli effetti puramente civili del matrimonio.

 b) presupposizione della legge civile da parte del diritto canonico, quando l’ordinamento canonico prende atto di

quanto è stato prodotto nell’ordinamento secolare e a questo riconduce effetti giuridici. Ad esempio il can. 1405sancisce che il Romano Pontefice ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause spirituali o annesse alle spirituali i capidi Stato, ciò significa che il diritto canonico riconosce dalle norme costituzionali chi è il Capo dello Stato.

c) canonizzazione delle leggi civili, cioè le norme civili richiamate vengono assunte come norme canoniche. A

differenza del rinvio formale, questo comporta un rinvio mobile alle norme così che se queste mutano nell’ordinamentooriginario, muta anche l’ordinamento canonico adeguandosi. Le norme civili canonizzate sono assunte nello stessosignificato che hanno nell’ordinamento di origine ma con un preciso limite dettato dal can. 22 secondo cui le leggi civilivengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, purché non siamo contrarie al diritto divino e se il dirittocanonico non dispone altrimenti.

Nel diritto canonico esiste anche la presupposizione, cioè quando il diritto canonico non si ricollega ad una norma ma all’effetto:ad esempio, i figli adottati secondo le norme civili sono riconosciuti anche dal diritto canonico.

Nel caso di richiami tra diversi ordinamenti statali le modalità sono:

a) rinvio materiale : quando lo Stato A prende le norme di uno stato B e le nazionalizza facendole proprie; si ricorre a

questo sistema perché porta una fissità della legge.

 b) rinvio mobile o formale : la norma rimane esterna ma il rinvio alla norma è costante.

c) presupposizione : fa discendere effetti giuridici nell’ordinamento dello Stato A con la legge dello Stato B.

Il diritto canonico non conosce distinzione tra rinvio materiale e rinvio formale ma le accomuna in un unico istituto detto“canonizzazione”.In passato ci si pose un problema: le norme di diritto divino (naturale o rivelato) come entrano nell’ordinamento? Le norme didiritto divino sono riconosciute vigenti senza essere nell’ordinamento perché non serve che il legislatore le introduca.

Il popolo di Dio

La struttura sociale: la Chiesa come popolo di DioUna delle più importanti operazioni effettuate dal legislatore canonico è la traduzione sul piano del diritto positivo di unacategoria del tutto estranea alla tradizione culturale del giurista: la categoria di “popolo di Dio” assunta dalla codificazionecanonica del 1983. All’inizio il giurista vedeva con diffidenza la trasposizione nel codice di una categoria di derivazione biblico –patristica, eppure tale categoria fu addirittura assunta tra i principi fondamentali del diritto costituzionale della Chiesa: Libro II

del codice canonico del 1983, le norme relative ai fedeli, alla costituzione gerarchica della Chiesa, agli istituti di vita consacrataed alle società di vita apostolica, è intitolato “De populo Dei ”. La riflessione dottrinale e l’esperienza giuridica hanno messo inevidenza le potenzialità sul piano giuridico, infatti la nozione di popolo di Dio non nega la dimensione giuridica della Chiesa econtribuisce a porre in evidenza le particolarità che distinguono l’ordinamento giuridico della Chiesa dagli ordinamenti giuridicisecolari. Il termine “popolo” fa riferimento all’elemento sociale; il riferimento a Dio sta a significare che non si tratta di un popoloqualunque, ma di un popolo costituitosi in seguito alla chiamata divina, nella quale erano predeterminate le finalità, i mezzi concui perseguirle e l’autorità costituita. La Chiesa, quindi, è di istituzione divina. Con l’assunzione di questa categoria, il legislatorecanonico applica l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II (Lumen gentium). Questa categoria comporta una serie diconseguenze: innanzitutto il carattere strumentale o funzionale che il diritto della Chiesa ha, connesso con la dimensione storicaed escatologica di un popolo che vive nella storia ma è chiamato a trascenderla. L’universalità di questo popolo, aperto a tutti,ciò comporta per il diritto la singolarità data dal riconoscimento di diritti anche in capo a chi non è ancora incorporato nellaChiesa (can. 96); infatti ai non battezzati e ai catecumeni sono riconosciuti alcuni diritti, ad esempio il diritto di libertà religiosa(can. 748) o il diritto all’istruzione cristiana (can. 788) o ancora il diritto a ricevere il battesimo (can. 843). L’unità di questopopolo, che non nasce da fattori sociologicamente ricorrenti nelle altre società, ma dalla fede e dalla partecipazione alla vita

divina attraverso l’azione sacramentale; questo particolare fondamento dà ragione delle diverse condizioni personali e disciplinegiuridiche. La nozione di popolo di Dio dà ragione dell’eguaglianza sostanziale e della diversità funzionale che caratterizza lacondizione giuridica delle persone: uguaglianza sul piano della fede, del battesimo, della comune dignità di redenti; diversità sulpiano dei carismi, dei ministeri, dell’esperienza di fede, sia pure nel quadro di una comune responsabilità nella missione della

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Chiesa, sulla corresponsabilità di tutti i componenti del popolo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Dalla diversitàsussistente tra i fedeli, sul piano funzionale discende di conseguenza la diversità di diritti e di doveri.

I “Christifideles” e i diversi stati di vitaI richiami al Concilio Vaticano II sono essenziali per comprendere l’impostazione data dal codice vigente alle norme sullepersone. Il libro secondo del codice intitolato “Il popolo di Dio” si apre con una disposizione che pone una nozionefondamentale: la nozione di “christifidelis” o fedele. Si trova nel can. 204 e dice che i fedeli sono coloro che sono statiincorporati a Cristo mediante il battesimo e sono costituiti popolo di Dio, inoltre sono chiamati ad attuare, secondo la condizionegiuridica di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa. Connesso a questo è il can. 96 secondo cui mediante ilbattesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo, con i doveri e i diritti che ai cristiani sono propri. In passato parteprevalente della dottrina riteneva che il termine “persona” adottato dal legislatore volesse dire “soggetto di diritto”; in realtàindica l’individuo umano membro della Chiesa. Questo termine quindi non è assunto dal legislatore canonico in un sensostrettamente tecnico – giuridico, in effetti dal punto di vista formale il can. 96 parla di “persona nella Chiesa di Cristo” e non di“persona in diritto canonico”, quindi il soggetto di diritto nell’ordinamento canonico non è solo il battezzato. I non battezzati nongodono della piena capacità giuridica nell’ordinamento canonico ma tuttavia hanno una soggettività giuridica canonica perchésono destinatari di norme canoniche: ad esempio richiedere e ricevere il battesimo, che riflette la volontà di Cristo a che tutti gliuomini siano salvi (can. 864). Esistono poi delle situazioni particolari all’interno dell’ordinamento, un primo caso è dato dallepersone che hanno ricevuto il battesimo ma non fanno parte della Chiesa cattolica, disciplinato dal can. 205 che pone i criteri

per accertare la piena comunione con la Chiesa, costituiti dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governoecclesiastico. Queste persone sono il battezzato che non professa la fede cattolica, il battezzato che non accetta uno o più deisette sacramenti, cioè i mezzi di salvezza istituiti nella Chiesa, e il battezzato che non accetta il vincolo del governoecclesiastico. Nel primo caso si parla di eresia (ostinata negazione ad una verità), nel secondo di scisma (rifiuto allasottomissione al Papa o alla comunione dei membri della Chiesa) (can. 751). Il can. 205 determina l’ambito dell’obbligatorietàdella legge ecclesiastica che non si applica ai cristiani non cattolici, cioè ai battezzati che non appartengono alla Chiesacattolica. Un secondo caso è dato da coloro che non sono battezzati, in generale non sono soggetti all’ordinamento canonicopoiché non hanno il presupposto essenziale per far parte di questa società. Tuttavia, come ogni uomo sono soggetti alla leggenaturale e quindi possono essere destinatari di norme canoniche in determinate circostanze, in particolare qualora entrino inrapporti giuridici con persona battezzata: ad esempio il matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. Il non battezzato èlegittimato però ad amministrare il sacramento del battesimo, purché intenda fare ciò che fa la Chiesa e qualora il ministroordinario del battesimo mancasse o fosse impedito (can. 861). Il codice contiene una esplicita previsione normativa riguardantei catecumeni che sono uniti con vincoli speciali alla Chiesa (can. 206), è una disposizione importante perché disciplina la vita diun consistente numero di persone che intendono entrare nella Chiesa e prevede esplicitamente che i non battezzati possano

essere attualmente destinatari di diritti e doveri, come da interpretazione del canone 96. A differenza di molti legislatori civili, ildiritto canonico prende giusnaturalisticamente atto della sussistenza di una persona umana, ai fini giuridici, sin dal momento delconcepimento, infatti il can. 871 prevede che i feti abortivi, se vivi, siano battezzati e il can. 1398 punisce chi procura l’aborto.Un terzo caso riguarda la distinzione tra chierici, laici e religiosi. Il canone 207 afferma che per istituzione divina vi sono nellaChiesa i ministri sacri, detti chierici; gli altri fedeli sono chiamati laici, dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, mediante ivoti o altri vincoli sacri riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio, ma il loro stato non riguardala struttura gerarchica della Chiesa ma tuttavia appartiene alla sua vita ed alla sua santità. Nella Chiesa sussisteun’ineguaglianza funzionale tra i fedeli ed una diversità per stati di vita. La prima diversità è data dalla struttura gerarchica chenon è solo una forma di organizzazione del governo della società ecclesiastica ma comporta una partecipazione specifica alsacerdozio di Cristo. Nella costituzione del Concilio Vaticano II Lumen gentium, vediamo che esiste un sacerdozio comune ditutti i fedeli ed un sacerdozio ministeriale o gerarchico. Quindi esiste una differenza nella condizione giuridica tra fedeli laici efedeli chierici, solo a questi ult imi è dato un potere sulla Chiesa – Corpo mistico di Cristo (cioè potere di insegnare, santificare ereggere) radicato nel potere sacramentale sul corpo stesso di Cristo. Le basi della Chiesa sono state costituite dal suoFondatore con l’istituzione del Collegio degli Apostoli, con a capo Pietro, che avevano il potere per governare il popolo di Dio;oggi questo potere è esercitato dal Collegio dei Vescovi con a capo il Pontefice. La Chiesa, quindi, è caratterizzata da unprincipio gerarchico, secondo il quale vi sono funzioni e ministeri che sono esercitati in nome ed in rappresentanza di Cristodalla gerarchia. Tutti i fedeli sono giuridicamente uguali in quanto battezzati e hanno i medesimi diritti e i medesimi doveri nellamissione della Chiesa. In ragione del sacramento dell’ordine sacro, si distinguono le posizioni dei ministri sacri da un lato e deilaici dall’altro. Ad esempio, per il can. 129 solo i chierici sono abili alla potestà di governo o potestà di giurisdizione; infatti èproprio dei fedeli laici, che per vocazione e condivisione vivono nel mondo esercitando azioni mondane, cercare il Regno di Diotrattando e ordinando le cose temporali. Cioè mentre i chierici amministrano la Parola di Dio ed i sacramenti, i fedeli laicianimano cristianamente le realtà temporali. La seconda diversità è data dalla struttura carismatica e istituzionale, nonassistiamo più ad una bipartizione ma ad una tripartizione: chierici, religiosi e laici. Se si guarda sotto l’ottica del carisma, cioèdel dono gratuito dello Spirito, si possono distinguere i chierici, coloro che sono chiamati a svolgere il ministero sacro; i religiosi,cioè coloro che professando i consigli evangelici (povertà, castità, obbedienza) ed emettendo i voti, rinunciano spontaneamentea ciò che è buono nella condizione umana; i laici, cioè coloro che vivono da cristiani nel mondo. Quindi i religiosi sono o chiericio laici. Mentre nel can. 207 i chierici e i religiosi hanno una definizione in positivo, i laici vengono definiti in negativo, cioè la lorodefinizione viene ricavata individuando coloro che non sono né chierici né religiosi. Quindi il canone 207 permette ladistinguibilità di forme di vita che danno luogo ad uno statuto canonico particolare.

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Lo statuto giuridico comune: i doveri e diritti fondamentaliDal canone 208 al canone 223 viene delineato lo stato comune a tutti i fedeli, cioè il legislatore ha formulato una catalogo didoveri e diritti comuni sotto il titolo “Obblighi e diritti di tutti i fedeli” o “De omnium christifidelium obligationibus et iuribus”. Inquesta parte del codice sono confluite le disposizioni contenute nel progetto “Lex Ecclesiae fundamentalis” mai portato atermine. Queste disposizioni aprono con l’affermazione del principio di eguaglianza che è formalmente entrato nella legislazioneecclesiastica solo con il codice ora in vigore; infatti in passato si preferiva il principio dell’ineguaglianza, presente nella Chiesada un punto di vista sacramentale – ministeriale. Il can. 208 invece afferma che fra tutti i fedeli c’è una vera uguaglianza nelladignità e nell’agire, grazie alla rigenerazione in Cristo, e dunque tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo. Questorisponde anche ai principi dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II e specialmente nella Lumen gentium dove troviamo che unosolo è il popolo eletto da Dio, esiste un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, quindi non c’è nessuna ineguaglianza inCristo e nella Chiesa. Questa affermazione del principio di eguaglianza è la premessa al manipolo di libertà, diritti e doverifondamentali di tutti i fedeli che troviamo al canone 208 poiché non vi possono essere libertà, diritti e doveri comuni a tutti ifedeli se questi non godono di una posizione di eguaglianza all’interno dell’ordinamento. In passato invece la Chiesa eraorganizzata come una società giuridicamente organizzata per ceti, cioè una società in cui l’appartenenza ai vari ceti comportavala titolarità di uno status e di diritti e doveri propri. Oggi invece l’ordinamento canonico ha fatto proprio il principio di eguaglianza

per cui le differenze di trattamento giuridico non derivano da uno status ma dalle differenti funzioni che ciascuno è chiamato asvolgere. A questo principio sono connessi i diritti e doveri fondamentali del cristiano ovvero i canoni 209 – 222, che possiamoriassumere così: dovere di mantenere la comunione della Chiesa e soddisfare le obbligazioni personali verso la Chiesa (can.209); dovere di condurre una vita santa e di contribuire all’incremento ed alla santificazione della Chiesa (can. 210); diritto –dovere di partecipare all’opera di diffusione del messaggio evangelico (can. 211); dovere dei fedeli di obbedire ai propri pastori,nonché il diritto – dovere di manifestazione del pensiero nella Chiesa su questioni concernenti il bene comune (can. 212); dirittoai sacramenti e agli altri beni spirituali (can. 213); diritto all’esercizio di culto ed alla propria spiritualità (can. 214); diritto allalibertà di associazione e di riunione nella Chiesa (can. 215); diritto di esercitare personalmente l’apostolato (can. 216); dirittoall’educazione cristiana (can. 217); diritto alla libertà di ricerca nelle sacre discipline (can. 218); diritto alla l ibera scelta dellostato di vita (can. 219); diritto al buon nome nella comunità ecclesiastica (can. 220); diritto alla tutela dei propri diritti e alla difesain giudizio, nonché diritto a non essere colpiti da sanzioni penali non a norma di legge (can. 221); l’obbligo di sovvenire allenecessità della Chiesa provvedendo alle necessità dei poveri e degli emarginati (can. 222). A differenza di quanto accade negliordinamenti giuridici secolari, il legislatore canonico contempla, quasi prima dei diritti, i doveri fondamentali del fedele; nel sensoche il legislatore della Chiesa ha preferito esplicitare i doveri mentre negli ordinamenti statali sono impliciti nella formulazione

dei diritti, basta pensare al principio di reciprocità o al principio dei limiti che la libertà di ciascuno incontra nella libertà dell’altro.Si tratta di una differenza che nasce dalla concezione canonistica fortemente tributaria dei diritti fondamentali. Inoltre si devenotare l’eterogeneità dei diritti fondamentali del cristiano nell’ordinamento canonico rispetto ai diritti dell’uomo e del cittadinoracchiusi nelle costituzioni contemporanee, non solo perché esistono diritti sanciti dal codice che non hanno alcun riscontronegli ordinamenti giuridici secolari, ma anche perché, pure se si tratta di diritti rinvenibili negli ordinamenti secolari, il loro ambitodi operatività e le modalità del loro esercizio nella Chiesa non possono che essere particolari. Un esempio è il diritto di libertà diassociazione, per rendersi conto che tali diritti devono essere intesi in maniera coerente con le caratteristiche strutturali efinalistiche della Chiesa. Il can. 223 infatti afferma che ad ogni fedele incombe il diritto di tener conto sia del bene comune dellaChiesa, sia dei diritti degli altri e dei propri doveri verso gli altri. Queste disposizioni sono la diretta traduzione del principio dellacomunione (communio) già affermato nel can. 209 in cui si dice che i fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre lacomunione con la Chiesa. Questo principio appartiene da sempre all’esperienza della Chiesa ma è stato ulteriormenterafforzato dal Concilio Vaticano II per sottolineare il passaggio da una ecclesiologia societaria (principio della societas) ad unaecclesiologia di comunione intenta a recuperare l’intera realtà divino - umana della Chiesa ponendo in rilievo elementi(sacramenti, parola di Dio, carismi) irriducibili all’esperienza giuridica secolare. Senza dover aderire all’impostazione teoricadella scuola canonistica di orientamento teologico, il can. 209 afferma che il principio di comunione rappresenta uno deglielementi che più distingue la logica dell’ordinamento canonico da quella degli ordinamenti secolari, imponendo una diversaconcezione sia dei rapporti tra le varie istanze gerarchiche all’interno della Chiesa sia degli stessi diritti soggettivi. Ma alcontrario dei diritti fondamentali degli ordinamenti secolari, i diritti dei fedeli non rappresentano espressione e strumento dellamassima emancipazione dell’individuo da ogni vincolo sociale o istituzionale ma piuttosto costituiscono delle sfere autonome diazione del fedele sempre protese al conseguimento del fine supremo della Chiesa. Questo elenco di diritti e doveri non sembraesaustivo per due motivi: per la genericità in cui sono formulati alcuni canoni, perché l’ordinamento canonico è un ordinamentoaperto al diritto divino naturale e positivo. Esistono poi dei diritti fondamentali che esprimono istanze proprie del diritto naturale,ad esempio il diritto di libertà religiosa, dichiarato inviolabile nella dichiarazione “Dignitatis humanae” dal Concilio Vaticano II.Questo diritto ha un senso se si pone nello Stato, società ad appartenenza necessaria, mentre ha poco senso considerarlonella Chiesa, società ad appartenenza volontaria. Infatti troviamo il can. 748 il quale afferma che non è mai lecito indurre gliuomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza e il can. 865 il quale afferma che un adulto,per poter essere battezzato, deve manifestare la volontà di ricevere il battesimo. In conclusione si deve osservare che solo ibattezzati che sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica hanno attualmente ed effettivamente la pienezza dei diritti edei doveri.

Appunti: Nell’ordinamento canonico sono contemplati i diritti fondamentali?E’ una questione ambigua perché si può essere d’accordo sulla loro applicazione ma non sul loro fondamento. Negli anni ’40appare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo da parte dell’ONU; Jacques Maritain, filosofo, credeva che si sarebberaggiunto un compromesso tramite un contratto e che non si sarebbe giunti a niente partendo dai fondamenti. La società si

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divide in due posizioni: concezione giusnaturalista, cioè ritiene che i diritti fondamentali si trovano nell’etica naturale e spettanoa tutti (ad es. dignità della persona umana) ed è la concezione dell’ordinamento italiano che all’art. 2 della Costituzionericonosce i diritti umani; concezione giuspositivista, cioè ritiene che i diritti umani non sono naturali ma sono riconosciuti dallegislatore quindi sono diritti storici e mutevoli. Dalla concezione giuspositivista emergono altri due filoni di pensiero: ilgiuspositivismo statalistico, ritiene che lo Stato può dare e togliere, è la concezione comunista – Marxista dei paesi dell’est deglianni ’60; giuspositivismo individualista, ritiene che la posizione dell’individuo deve essere protetta dal legislatore ogni volta chevoglia imporre se stesso. Una parte della cultura islamica si pone in modo polemico nei confronti dei diritti umani ritenendoli

frutto della cultura occidentale e soprattutto cristiana. Anche se il mondo occidentale viene aggredito da questa posizione, latollera perché ha una visione relativista secondo cui ogni posizione deve essere tollerata perché ha la stessa dignità delle altre.Nel dibattito avvenuto nel corso dell’avvento del codice (1983) non si parla di diritti fondamentali anche se il termine viene usatospesso. Nel diritto canonico troviamo una concezione giusnaturalistica, cioè anche laddove non fossero positivizzate esistono idiritti umani. Nel diritto canonico esiste una seconda categoria di diritti fondamentali, cioè dei diritti fondamentali che peròprendono in considerazione non l’uomo in quanto tale ma l’uomo in quanto fedele (ad es. il can. 213) detto diritto fondamentaledel cristiano.

I fedeli laiciUn famoso testo di s. Girolamo, riportato nel Decretum di Graziano, inizia precisando che esistono due categorie di fedeli (“Duosunt genera christianorum”). Questo manifesta la radicalizzazione, nell’età medievale, della distinzione fra chierici e laici el’accentuazione del processo di “clericalizzazione” poiché il Decretum di Graziano viene inserito nel Corpus Iuris Canonici ,entrando a far parte delle fonti del diritto canonico del tempo. Il testo spiega che i cristiani si dividono in due categorie: nellaprima troviamo sia i deputati al culto divino (chierici) sia coloro che ricercano il miglioramento dei propri costumi attraverso la

scelta di un preciso stato di vita (monaci); nella seconda troviamo i fedeli laici che, come spiega san Girolamo, solo coloro a cuiè permesso possedere beni temporali per i propri bisogni, sono autorizzati a sposarsi… possono essere salvati se evitano i vizie fanno del bene. Questo testo mostra una concezione clericale della Chiesa quindi manifesta una riaffermazione della Chiesacome società ineguale; al tempo stesso riflette una gerarchia di valori, mostrando una concezione restrittiva del fedele laicopoiché vista come concessione alle umane debolezze e quindi non come la condizione migliore. Ci sono molte ragioni per questo modo di pensare ai fedeli laici ma principalmente sono due. Nel medioevo la rivendicazione della libertà della Chiesa(libertas Ecclesiae) da parte del Papato nei confronti del potere civile ebbe un forte influsso nella distinzione tra chierici e laici; insostanza l’istituzione ecclesiastica lottò col potere imperiale per emanciparsi dalla sudditanza e riacquistare la propriaautonomia. Questo ha portato ad un processo di identificazione della Chiesa con il ceto clericale perché la libertà della Chiesadal potere secolare fu perseguita attraverso la progressiva emarginazione dei laici. Nell’età moderna, invece, ci fu il Concilio diTrento che dovette reagire alla riforma protestante di Martin Lutero, riaffermando l’importanza della mediazione ecclesiale tra ilfedele e Dio. Per questo si è dovuta rimarcare l’esistenza di un sacerdozio ordinato e distinto dalla comunità dei fedeli; infatti ilConcilio si occupò quasi esclusivamente del clero. Dopo Trento la distinzione tra chierici e laici si accentuò fino al codice del1917 compreso. In conclusione alla prima età della Chiesa chierici e laici svolgono un ruolo attivo nella comunità ecclesiale,

segue un lungo periodo in cui si radicalizza la distinzione tra chierici e laici, i primi chiamati a svolgere un ruolo attivo nellaChiesa ( populus ducens), i secondi chiamati a svolgere un ruolo passivo ( populus ductus). Questa separazione si prolunga finoal Concilio Vaticano II il quale opera una rivalutazione del laicato, attraverso un approfondimento della natura della Chiesa. IlConcilio, senza negare le concezioni gerarchico – giuridiche della Chiesa come istituzione e carismatico – spirituale comeCorpo Mistico di Cristo, presenta la Chiesa come popolo di Dio, cioè comunità dei fedeli. Nella Lumen gentium, con il terminelaici si intendono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa. Nel decretoconciliare sull’apostolato dei laici “ Apostolicam actuositatem” si dice che nella Chiesa c’è diversità di ministero ma unità dimissione, cioè anche i laici hanno il proprio compito nella missione del popolo di Dio. Quindi la missione della Chiesa non èesclusiva né si identifica con quella dei chierici ma è propria di tutto il popolo di Dio. Ovviamente il fedele laico ha un ministerodiverso da quello dei chierici in ragione della sua condizione secolare, ovviamente la sua vocazione è cercare il Regno di Diotrattando le cose temporali, deve santificare sé stesso ed il mondo in cui vive. Dopo il Concilio Vaticano II il laico viene intesocome la Chiesa stessa nel mondo. Il codice di diritto canonico disciplina lo stato dei fedeli laici con una serie di disposizioni chepossono essere sistematizzate secondo una triplice prospettiva (cann. 224 – 231). Innanzitutto le disposizioni che riguardano lapartecipazione dei fedeli laici all’unica missione della Chiesa, ad esempio can. 225 per il quale i fedeli laici hanno il diritto e ildovere di lavorare perché il messaggio di salvezza sia conosciuto e fatto proprio da tutti gli uomini, soprattutto in quellecircostanze concrete nelle quali l’azione dei chierici è difficile o impossibile. Perciò i fedeli laici godono nell’ordinamento giuridicodi una vera eguaglianza sostanziale, che comporta la titolarità dei diritti e dei doveri relativi a tutti i fedeli (can. 224). Lacaratteristica dei fedeli laici è data dal compito di ordinare le cose temporali in conformità con lo spirito evangelico e di renderetestimonianza di Cristo nella trattazione delle cose temporali (can. 225). I fedeli laici hanno anche una specifica funzioneall’interno della Chiesa, ad esempio i laici possono presiedere associazioni pubbliche di fedeli (can. 317), possono partecipareai concili particolari e provinciali (can. 443), possono prendere parte al sinodo diocesano (can. 460), entrano a comporre ilconsiglio pastorale diocesano e parrocchiale (can. 512), possono essere consultati sulla nomina dei Vescovi e dei parroci (can.377), sono chiamati a cooperare col parroco (can. 519), possono essere uditi dall’Ordinario del luogo per la predisposizionepastorale della famiglia (can. 1064). Per quanto riguarda la funzione dei laici nel mondo, cioè contribuire alla santificazione delmondo, anche qui ci sono diversi canoni. Ad esempio il can. 226 dispone che coloro che vivono nello stato coniugale sonotenuti all’obbligo di lavorare ad edificare il popolo di Dio attraverso il matrimonio e la famiglia; nel can. 227 viene riconosciuta aifedeli laici la libertà nelle cose civili che spetta a tutti i cittadini. Si tratta di norme di principio chiamate a costituire criteri diinterpretazione delle più specifiche disposizioni riguardanti i fedeli laici. A proposito del matrimonio il diritto canonico non tendea definire il fedele laico in relazione allo status coniugale, poiché il matrimonio è la condizione di vita più comune tra i laici. Il

diritto vigente nella disciplina di matrimonio e famiglia tiene conto di una duplice prospettiva, interna ed esterna. All’interno dellafamiglia i coniugi devono essere apostoli reciprocamente e devono essere i primi annunciatori di Cristo ai propri figli, versol’esterno devono offrire viva testimonianza della santità e della indissolubilità del matrimonio cristiano. Il codice contieneun’ampia parte dedicata al matrimonio sacramento, ma prevede anche disposizioni relative alla famiglia che riguardano profili

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più attinenti alle competenze della Chiesa. In relazione ai rapporti tra genitori e figli, mantenendo l’antico primatodell’eguaglianza tra i coniugi, pone a carico di entrambi i genitori l’obbligo di formare i figli nella fede cristiana (can. 774); inoltre igenitori hanno il diritto – dovere di educare la prole e hanno il diritto di ricevere un aiuto dalla società civile per provvedereall’educazione cattolica dei figli (can. 793); hanno il diritto di scegliere liberamente la scuola per i propri figli (can. 797) ma hannoil dovere di scegliere una scuola che dia un’educazione cattolica ai propri figli (can. 796). Soprattutto su entrambi i genitori graval’obbligo di seguire i propri figli per ricevere a tempo debito i sacramenti.

La cooperazione dei laici alle funzioni gerarchicheI fedeli laici possono essere chiamati a collaborare con i ministri sacri (chierici) all’esercizio delle loro tre funzioni. Per quantoriguarda la funzione profetica, o di insegnare, appartiene a tutto il popolo di Dio in ragione del carattere missionario dellaChiesa. Esistono infatti modi diversi di partecipare alla funzione di insegnare (munus docendi ): è esercitata in modo ufficiale,autentico, autorevole, pubblico dai chierici; in modo non ufficiale e privato dai fedeli comuni. Esistono dei casi però in cui i fedelilaici sono chiamati a cooperare al munus docendi della gerarchia, come si afferma nel can. 759. Si configura unapartecipazione del laicato all’insegnamento pubblico della Rivelazione divina, ad esempio il can. 766 dispone che i fedeli laicipossono in certe circostanze predicare in una chiesa o in un oratorio, escludendo l’omelia che è riservata ai chierici. Invece ilcan. 776 afferma che la formazione catechetica è funzione del parroco ma può farsi aiutare anche dai fedeli laici, in particolaredai catechisti che sono chiamati in modo speciale alla prima predicazione del cristianesimo ai non cristiani (can. 784). Un altrocaso si ha nelle associazioni pubbliche di fedeli con lo scopo di insegnare la dottrina cristiana (can. 301), poiché questeassociazioni possono essere presiedute da laici (can. 317) ma hanno finalità che si connettono con il munus docendi dellagerarchia, quindi sono di diritto pubblico, vengono costituite dalla competente autorità e ricevono la missio per i fini che sipropongono di conseguire. Una modalità di insegnamento della gerarchia è l’insegnamento scientifico o dottorale di scienzasacra e secondo il can. 229 anche i laici idonei possono insegnare le scienze sacre. La funzione di santificare gli uomini

(munus sanctificandi ), per renderli partecipi della santità di Cristo, è partecipata da ogni fedele in virtù del sacerdozio comune;una speciale funzione di santificazione (es. celebrazione dei sacramenti) spetta solo ai chierici. Questa funzione si trova nelcan. 835 in cui sono precisate le varie funzioni che spettano alla gerarchia, in particolare ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, epoi è distinta la particolare forma in cui tutti i fedeli partecipano a questa funzione. Il diritto canonico prevede anche casi in cui ifedeli comuni possono cooperare alla funzione di santificare propria della gerarchia. Il can. 230 dispone ad esempio che i laici disesso maschile, con l’età e le doti giuste, possono essere stabilmente assunti, mediante rito liturgico, ai ministeri di lettori e diaccoliti, cioè dei ministeri istituiti (ufficialmente determinati per speciali compiti e mansioni) distinti dai ministeri di fatto (categoriaaperta di servizi alla comunità ecclesiale). Lo stesso canone permette ai laici di svolgere temporaneamente delle funzioni comelettore, commentatore o cantore, nonché, in caso di mancanza di chierici, di svolgere uffici non richiedenti l’ordine sacro. I laicipossono inoltre assistere alla celebrazione del matrimonio e amministrare alcuni sacramentali. Più complessa la cooperazionedei laici alla funzione regale o di governo della Chiesa (munus regendi ). Nel can. 129 troviamo che sono abili alla potestà digoverno (nella Chiesa per istituzione divina) coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro, cioè i chierici, aggiungendo che i fedelipossono cooperare a norma del diritto. A questa disposizione occorre aggiungere il can. 228 secondo cui i laici che risultanoidonei sono giuridicamente abili ad essere assunti in quegli uffici ecclesiastici secondo le disposizioni del diritto. Poi sulla base

del can. 145, l’ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito per disposizione sia di diritto divino sia di diritto umano, daesercitarsi per un fine spirituale. Nel diritto canonico vigente gli uffici ecclesiastici non sono riservati ai chierici ma possonoessere conferiti anche ai laici, dunque tra gli uffici si devono distinguere quelli strettamente clericali (stricte clericalia) e quellimeramente laicali per i quali non è richiesto l’ordine sacro. Esistono casi nei quali il diritto canonico configura la possibilità diconferire ai laici uffici ecclesiastici che comportano la titolarità della potestas regiminis , sia nell’ambito amministrativo che inquello giudiziario. Ad esempio nell’ambito amministrativo la partecipazione dei laici ai consigli pastorali (can. 512), ai consigliper gli affari economici (can. 492) e ai consigli in genere (can. 228); nell’ambito giudiziario i laici possono essere assuntiall’ufficio di giudice (can. 1421) così come possono svolgere l’ufficio di assessore (can. 1424). Non è facile quindi comprendereil canone 274 secondo il quale solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà digoverno, perché sembra contraddire le altre disposizioni. Per risolvere questo problema la dottrina ha trovato varie soluzioni.Secondo alcuni solo i chierici avrebbero un’abilità permanente alla potestas regiminis e i laici possono solo collaborare con ichierici titolari. Secondo altri nella Chiesa esiste una duplice giurisdizione: una sacramentale e l’altra non sacramentale, dettaecclesiale, che potrebbe essere conferita anche a chi non ha l’ordine sacro. Altri ancora sostengono che solo gli ordinati insacris avrebbero una pretesa giuridicamente tutelata nell’ordinamento ad ottenere uffici ecclesiastici e i laici di conseguenzapotrebbero ottenere uffici ecclesiastici con tale potestà senza che ciò risponda ad un preciso diritto. Si potrebbe piùsemplicemente dire che in via generale gli uffici ecclesiastici che comportano esercizio della potestà di governo sono riservati aisoli chierici, fatta eccezione per i casi in cui il diritto ammette anche i fedeli laici. In questi casi si tratta di una potestà di governoper il cui esercizio non è necessaria la sussistenza del presupposto dell’ordine sacro. In conclusione possiamo dire che lacooperazione dei fedeli laici alle funzioni dei ministri sacri possono essere considerate come forme di supplenza.

Le associazioni di fedeliCon il diritto di libertà di associazione riconosciuto dal can. 215, il codice detta un’ampia disciplina al fenomeno associativo nellaChiesa. In particolare nei canoni 298 – 299 è sancito il diritto dei fedeli di formare associazioni con fini di pietà, culto,apostolato, carità, che possono essere erette dalla competente autorità ecclesiastica. Il codice distingue due tipi di associazioni:

- associazioni private: sono costituite per iniziativa dei fedeli (can. 299)

- associazioni pubbliche: costituite direttamente dall’autorità ecclesiastica o aventi lo scopo di insegnare la dottrina

cristiana in nome della Chiesa, di incrementare il culto pubblico (can. 301).Questa distinzione si ricollega alla più generale distinzione operata dal codice canonico tra persone giuridiche private e

pubbliche (can. 116), le persone giuridiche private nascono per libera iniziativa dei fedeli e agiscono in nome propria per ilperseguimento delle finalità proprie della Chiesa, le persone giuridiche pubbliche sono costituite dall’autorità competente eagiscono in nome di questa, esercitando funzioni autoritative. Questa distinzione si riflette sul regime giuridico delleassociazioni, in particolare i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche entrano a comporre il patrimonio ecclesiastico

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(bona ecclesiastica). Tra le disposizioni di carattere generale troviamo la necessità di avere il consenso da parte dellacompetente autorità per poter dire che l’associazione è cattolica (can. 300); la necessità di avere propri statuti, propriadenominazione e prevedere le modalità di iscrizione e dimissione dei soci (can. 305). Le associazioni senza personalitàgiuridica possono possedere beni con l’effetto di far sorgere diritti in capo ai consociati intesi come comproprietari (can. 310). Alle associazioni di fedeli laici si applicano anche alcune norme speciali, in particolare è incoraggiata la loro costituzione per ilperseguimento di fini spirituali. In altre parole il diritto positivo viene a favorire la formazione di quelle associazioni cherispondono alla funzione dei fedeli laici nel mondo e che si ispirano al Concilio Vaticano II, secondo cui esistono azioni che i

fedeli compiono individualmente in nome proprio e azioni che compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori.Coloro che presiedono a queste associazioni devono favorire la cooperazione con altre associazioni affinché siano di aiuto alleopere cristiane (can. 328). Soprattutto i responsabili devono curare la formazione dei consociati, non solo una formazionecristiana e generale in relazione alle finalità dell’associazione ma anche una preparazione professionale specifica sulle attivitàdell’associazione (il cosiddetto volontariato). Possiamo dire che il canone 215 positivizza un diritto naturale proprio di ogniuomo, ma sarebbe riduttivo poiché se è vero che il diritto di associazione non è mai fine a sé stesso, ma trova riconoscimento edisciplina nella misura in cui l’associazione persegue le finalità, ciò è tanto più vero in relazione all’ordinamento canonico nelquale si realizza una compenetrazione della vita e del destino del singolo con la vita ed il destino del tutto e viceversa. Ilfondamento del diritto di associazione in realtà è duplice: naturale e soprannaturale. Quest’ultimo è individuato nel ConcilioVaticano II che guarda alla Chiesa come popolo di Dio. La missione della Chiesa non è propria ed esclusiva della gerarchia madi tutto il popolo di Dio, perciò l’associarsi dei membri della comunità ecclesiale è opportuno. In questo diritto di associazione siriflette la duplice missione dei laici: nella Chiesa e nel mondo e nella cooperazione al ministero gerarchico. Nella figuradell’associazione si trova lo strumento tecnico giuridico con cui realizzare strutture più complesse per esplicitare le funzionipropriamente laicali (associazioni private) o le funzioni derivate dal ministero gerarchico (associazioni pubbliche).

Il Governo della Chiesa

La Chiesa è una societas gerarchicamente ordinata, ha ricevuto dal suo Fondatore il compito di predicare il Vangelo a tutte legenti (munus docendi ) e di amministrare i sacramenti (munus santificandi ). La parola di Dio e i sacramenti sono dunque il benepiù prezioso e la fonte più autentica dell’ordinamento ecclesiale e della sua organizzazione. Questa missione e i mezzi disalvezza differenziano la Chiesa da qualsiasi altra società o associazione. Infatti la Chiesa non solo fonda e organizza suquesta base la sua struttura gerarchica e la potestas sacra, ma costituisce una comunità di persone legate tra loro da vincoli dicomunione. La Chiesa quindi vista come comunione istituzionale gerarchicamente ordinata, nata dalla chiamata del suoFondatore.

La “sacra potestas”La predicazione del Vangelo, l’amministrazione dei sacramenti e la finalità suprema della salvezza delle anime (suprema lex ,can. 1752), manifestano una dimensione di giustizia nei rapporti interpersonali all’interno della Chiesa. Nel Concilio Vaticano II

infatti si dice che Cristo ha stabilito nella sua Chiesa i vari ministeri, i ministri sono rivestiti di sacra potestà e servono i lorofratelli. La sacra potestas discende dall’originario mandato apostolico e ne sono titolari supremi il Collegio episcopale e ilPontefice. Si distingue in potestà di ordine (munus sanctificandi ), potestà di magistero (munus docendi ) e potestà digiurisdizione (munus regendi ), dette tria munera Ecclesiae, corrispondenti al triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale diCristo. Infatti in questa triplice potestà si manifesta il prolungamento dell’azione di Cristo nella Chiesa. Si può entrare a far partedel Collegio episcopale in virtù della consacrazione episcopale (la pienezza dell’ordine) e con la comunione gerarchica con ilCapo del Collegio e con gli altri membri. Nella consacrazione troviamo un’ontologica partecipazione dei sacri uffici o munera,ma per essere liberi nell’esercizio della potestà (ad actum expedita) deve accedere la canonica o giuridica determinazione(iuridica determinatio) o missio canonica. Quest’ultima può consistere nella concessione di un particolare ufficio onell’assegnazione di una parte di fedeli per il loro governo pastorale. Dunque il potere della Chiesa ha carattere personale inforza della consacrazione (la persona ordinata in sacris), ma presenta anche una forte dimensione istituzionale in virtù deglistretti vincoli di comunione. L’ordinato compimento dei tria munera richiede una complessa organizzazione ecclesiastica, nellaquale tali funzioni sono divise in distinte sfere di competenza, con un’unità elementare detta “ufficio ecclesiastico”, definito come“qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale”

(can. 145). L’assegnazione di un ufficio avviene mediante libero conferimento, istituzione, conferma o ammissione, per liberaelezione, per accettazione dell’eletto (can. 146 ss).

La potestà di ordineLa potestà di ordine è ordinata alla santificazione degli uomini mediante l’azione liturgica e l’amministrazione dei sacramenti(can. 834). Viene conferita mediante il sacramento dell’ordine e ha carattere personale perché viene conferita ad una personaimprimendole un carattere indelebile. Essa conferisce al suo titolare la facoltà di compiere segni sacramentali o segni sensibiliistituiti da Cristo, che producono la grazia ex opere operato. Questi segni realizzano alcune funzioni specifiche dell’azione diCristo come capo della Chiesa, infatti il culmine di queste funzioni è agire impersonando Cristo nell’eucarestia (in personaChristi Capitis). Si tratta di una facoltà che si traduce in capacità di carattere ontologico a realizzare atti capaci di generare lavita soprannaturale.

La potestà di magisteroLa potestà di magistero è il compito di predicare il Vangelo a tutte le genti e di annunciare sempre e dovunque i principi morali,è ricevuto dalla Chiesa e affidato agli Apostoli e ai suoi successori. Si tratta quindi di un duplice compito: l’annuncio della veritàrivelata o depositum fidei ; la riaffermazione di quei principi morali, insiti nella natura dell’uomo (diritto divino naturale). Nel

passato si rivolgeva essenzialmente ai credenti per insegnare loro le verità di fede, contrastare gli errori dottrinali e richiamarliall’osservanza dei precetti della morale cristiana. Oggi il magistero della Chiesa si rivolge anche all’esterno della comunità deicredenti per riaffermare i principi morali insiti nell’uomo, quindi vincolanti per tutti gli uomini a prescindere dall’adesione di fedealla verità rivelata (per questo oggi vengono attenuati gli originari caratteri di potestas). Tutti i fedeli hanno il diritto e il dovere di

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contribuire all’annuncio della salvezza (can. 211), questo vale soprattutto per i laici, impegnati nei vari ambiti della realtàtemporale. L’ufficio di insegnare, o munus docendi , è esercitato dalla gerarchia e assume carattere vincolante per i fedeli, cioèsono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come maestri della fede o dispongonocome capi della Chiesa (can. 212). Esistono diverse gradazioni: il livello supremo è l’infallibilità di cui gode il Pontefice in forzadel suo ufficio; analoga prerogativa spetta al Collegio episcopale quando i Vescovi si riuniscono in Concilio Ecumenico edichiarano in un’unica sentenza da tenersi come definitiva per tutta la Chiesa una dottrina sulla fede o sui costumi (can. 749).Nessuna dottrina è infatti infallibilmente definita se ciò non consta manifestamente (can. 749). Oggetto della fede sono tutte

quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte come divinamente rivelate sia dalmagistero solenne della Chiesa (verità infallibile divina e cattolica) che dal suo magistero ordinario e universale (verità divina ecattolica) (can. 750). La fede è adesione piena dell’intelletto e della volontà a Dio, ha dunque un duplice fondamento: larivelazione e il magistero della Chiesa. Ad un gradino inferiore troviamo il magistero autentico del Pontefice e del Collegio deiVescovi, ossia l’insegnamento circa la fede e i costumi impartito senza proclamarlo con atto definitivo; in questo caso i fedelisono tenuti a prestare un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà (can. 752). Quindi questo è un magistero ordinario manon infallibile. I Vescovi non godono dell’infallibilità ma, in comunione con il Capo e i membri del Collegio, sono autentici dottorie maestri della fede per i fedeli a loro affidati (can. 753).

La potestà di giurisdizioneLa potestà di giurisdizione, o potestas regiminis , è il potere di governare i fedeli nella vita sociale della Chiesa ed esiste per istituzione divina (can. 129). In passato, a causa del processo di assimilazione della Chiesa agli Stati, si era affievolita lacoscienza dell’unitarietà della potestas sacra, portando ad una divaricazione tra potestà di ordine (riservata agli ordinati insacris) e potestà di giurisdizione, ritenuta funzionale alle esigenze di governo della societas cristiana. Il Vaticano II opera unrecupero della duplice e inscindibile natura misterico-sacramentale e gerarchico-istituzionale della Chiesa, ciò ha comportato la

riaffermazione dell’unitarietà della sacra potestas e del fondamento sacramentale del potere della Chiesa. L’origine della sacra potestas discende dall’appartenenza al Collegio episcopale; una partecipazione ontologica spetta ai presbiteri in forza delsacramento dell’ordine, che li costituisce principali collaboratori del Vescovo. Anche la potestà di giurisdizione risulta quindiindissolubilmente legata alla dimensione ontologica del sacramento dell’ordine, l’ordinamento stesso della Chiesa si sviluppasulla base del sacramento dell’ordine. Infatti riserva agli ordinati in sacris gli uffici con potestà di governo a cui i fedeli laicipossono solo cooperare a norma del diritto (can. 129). Una tecnica di trasferimento di funzioni è l’istituto della delega dei poteri,cioè una parte delle funzioni inerenti ad un ufficio di governo vengono affidate, dal diritto stesso o dal titolare del potere, ad unaltro soggetto perché le svolga in nome o per conto del primo. Si fa quindi una distinzione tra potestà ordinaria e potestàdelegata. La potestà ordinaria è quella che dallo stesso diritto è annessa a un ufficio (can. 131) e può definirsi propria se èesercitata dalla persona titolare dell’ufficio, o vicaria se è esercitata in rappresentanza di altri (es. il vicario generale nella curiadiocesana). La potestà esecutiva ordinaria è ipso iure riconosciuta ad una serie di soggetti destinati unitariamente con il terminedi Ordinario (can. 134), questi soggetti sono: a) il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani e quelli preposti ad una chiesaparticolare; b) coloro che godono di una potestà esecutiva ordinaria generale, ossia i vicari generali ed episcopali; c) per i proprimembri, i superiori maggiori degli istituti religiosi e della società di vita apostolica, dotati almeno di potestà esecutiva ordinaria.

Per Ordinario del luogo si intendono tutti quelli sopra elencati eccetto la lettera c) (can. 134). La potestà delegata vienetrasferita per ragioni di urgenza, utilità o necessità, ad una persona o ad un ufficio avente carattere transitorio (delegato); è unmandato conferito alla persona stessa, non in ragione dell’ufficio (can. 131).

La tripartizione dei poteriIl codice ha introdotto ex novo la distinzione della potestas regiminis in potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria (can. 135). Anche se non è stato recepito il principio della separazione dei poteri a distinti apparati e organi di governo, identificano unaserie di attività e funzioni omogenee per meglio precisarne il regime di esercizio. Infatti il can. 135 afferma che:

- la potestà legislativa, destinata alla produzione di norme generali gerarchicamente superiori, è da esercitarsi nel

modo stabilito dal diritto, ne gode il legislatore, non può essere validamente delegata (perché spetta solo al SommoPontefice e ai Vescovi) se non è disposto esplicitamente altro dal diritto;

- la potestà giudiziale, destinata alla risoluzione delle controversie mediante l’applicazione del diritto al caso concreto,

ne godono i giudici e i collegi giudiziari (potestà vicaria), è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, non può esseredelegata (perché teoricamente è già delegata);

- la potestà esecutiva ordinaria, destinata al perseguimento dei fini dell’amministrazione ecclesiastica mediante

l’applicazione delle leggi, può essere delegata sia per un atto (delega speciale) che per un insieme di casi (delegagenerale) a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto (can. 137).

Collegialità e primato: la dinamica del potere nella ChiesaNella costituzione conciliare “Lumen gentium” si dice che Gesù Cristo ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli,inoltre volle che i loro successori, i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Agli Apostoli prepose ilbeato Pietro e in lui stabilì il principio dell’unità della fede e della comunione. La costituzione gerarchica della Chiesa è quindi diistituzione divina ed è fondata sul Collegio dei Vescovi e sul primato del Pontefice; ha quindi natura collegiale e insiemeprimaziale. Il Collegio dei Vescovi è l’organo che succede all’originario Collegio apostolico; è una successione organica e nonpersonale poiché ogni nuovo Vescovo dal momento della consacrazione entra a far parte del Collegio e non succedesingolarmente ad uno dei dodici apostoli. Al contrario per l’ufficio del Pontefice abbiamo una successione personale all’apostoloPietro, avendo anche come riferimento un passo di Matteo. Il rapporto tra la collegialità e il primato è l’asse portante del sistemadi governo della Chiesa. Mentre prima le principali definizioni dottrinali furono il frutto di importanti concili orientali, nei secolisuccessivi l’autorità del Pontefice si consolidò. Nei primi secoli del secondo millennio la rivendicazione del primato pontificiovide il suo culmine teorico prima nel “dictatus papae” di Gregorio VII (1073 – 1085) e poi nel successivo pontificato di InnocenzoIII fino alla bolla “Unam sanctam” di Bonifacio VIII (1294 – 1303). Questo determinò una grave crisi nel delicato equilibriocostituzionale che comportò il trasferimento per alcuni decenni della sede dei Papi in Francia, ad Avignone. Il Concilio diCostanza (1414 – 1418) rappresentò la massima affermazione di questa tendenza, anche se i deliberati furono approvati dal

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Pontefice. La questione del primato pontificio fu anche al centro delle tensioni che furono all’origine dello scisma d’Oriente(1054) e poi della Riforma protestante (1517). La Riforma cattolica portò un processo di centralizzazione del governo dellaChiesa universale attorno al Pontefice in difesa all’interno della sua dottrina sacramentale contro le eresie, all’esterno a tuteladelle sue prerogative contro le rivendicazioni giurisdizionalistiche degli Stati moderni. Questo processo ebbe inizio con ilConcilio di Trento (1545 – 1563) e il suo culmine con il Concilio Vaticano I (1870), nel quale fu affermato il principiodell’infallibilità del Papa in materia dottrinale quando egli parla ex cathedra. Il Concilio Vaticano II ha precisato la dottrina suiVescovi e sulla Chiesa particolare, fondata sulla natura collegiale e sacramentale dell’episcopato. La suprema autorità della

Chiesa è costituita dal Romano pontefice e dal Collegio dei Vescovi (can. 330). Entrambi godono della potestà suprema, ma ilprimo può esercitarla liberamente e il Collegio dei Vescovi deve sempre intendersi con il suo capo. La “nota explicativa praevia”alla Lumen gentium precisa che l’espressione “collegio” non è da intendersi in senso strettamente giuridico, cioè di un gruppo dieguali, ma di un gruppo stabile. Infatti il Collegio necessariamente e sempre cointende il suo Capo, il quale nel Collegioconserva integro il suo ufficio di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale. La rivalutazione operata dal Concilio dellacollegialità episcopale corrisponde alla natura originaria della Chiesa. Nella Chiesa il potere o potestas sacra proviene sempredall’alto. Il metodo collegiale ispira il funzionamento e la stessa istituzione di nuove strutture all’interno della Chiesa, non puòassimilarsi dunque alla logica democratica degli Stati ma va considerata come espressione della natura della Chiesa comecomunione. Questa complessa costruzione costituzionale non ha eguali e ha suscitato una serie di tesi dottrinali che mirano aspiegarne il fondamento teorico. La tesi più convincente è quella dei due soggetti inadeguatamente distinti titolari di potestàsuprema sulla Chiesa universale (Betrams, Lo Castro), poiché ha il merito di risolvere la contraddizione della loro esistenzarecuperando l’unità del potere nella Chiesa a livello teologico.

Gli organi di governo della Chiesa universale

- Il Collegio dei VescoviIl Collegio dei Vescovi è formato da tutti i Vescovi in forza della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica con ilcapo, il Sommo Pontefice, e con i membri, poiché in esso permane perennemente il corpo apostolico (can. 336). Il Collegio deiVescovi esercita la sua potestà, piena e suprema, sulla Chiesa universale nel Concilio ecumenico ovvero l’azione congiuntadei Vescovi sparsi nel mondo, indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice (can. 337). Il Concilio ecumenico è lamassima espressione della collegialità episcopale, infatti ne sono stati celebrati in tutto 21 dalle origini del cristianesimo ad oggi.Vi partecipano con voto deliberativo tutti e soli i Vescovi membri del Collegio episcopale, anche se possono essere chiamatianche altri soggetti (can. 339). Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio, presiedendolo o personalmente oattraverso dei delegati, trasferire il Concilio, sospenderlo, scioglierlo e approvarne i decreti (can. 338). Inoltre sempre alPontefice spetta il compito di determinare le questioni da trattare nel Concilio, anche se i Padri conciliari possono aggiungerealtre questioni che dovranno essere approvate dal Pontefice (can. 338). Il rapporto tra il Concilio e il Pontefice è così stretto che,in caso di vacanza della Sede apostolica, il Concilio viene interrotto ipso iure (can. 340). I decreti del Concilio hanno forzavincolante solo se sono approvati dal Pontefice, da lui confermati e promulgati. Questa stessa conferma vale anche per i decretiche il Collegio dei Vescovi emana al di fuori del Concilio (can. 341). Il funzionamento e l’operatività del Concilio ecumenico non

dipendono però dall’applicazione del mero principio di maggioranza, perché ogni espressione della collegialità episcopale vaintesa con la concezione della Chiesa come comunione, forte aspirazione all’unità che si esprime con la ricerca all’interno delCollegio dell’unanimità.

- Il Romano PonteficeIl Romano Pontefice è il Vescovo della Chiesa di Roma, l’ufficio concesso dal Signore a Pietro e trasmesso ai suoi successori(can. 331). Il Papa è titolare dell’ufficio episcopale sulla diocesi di Roma, che esercita attraverso il Cardinale vicario e gli ufficidel Vicariato di Roma. In quanto successore di Pietro, è anche capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore in terradella Chiesa universale (can. 331). Come capo del Collegio episcopale svolge dei compiti già esaminati; come vicario diCristo, in quanto capo visibile della comunità dei credenti, è titolare di una potestà ordinaria vicaria o ministeriale, che ha il suofondamento in una diretta concessione divina che va distinta dalla suprema potestà di governo su tutta la Chiesa universale;come Pastore della Chiesa universale, ha potestà ordinaria suprema, piena immediata e universale sulla Chiesa che puòsempre esercitare liberamente (can. 331). E’ una potestà ordinaria perché è annessa ad un ufficio, suprema perché è al verticedell’ordinamento, piena perché non riguarda solo la dottrina, immediata perché non necessita di intermediari e universaleperché si estende a tutti. Il fatto che questa potestà sia esercitata liberamente significa che non incontra limiti in nessuna

autorità umana (can. 333) ma non che sia una potestà illimitata perché incontra i limiti del diritto divino, naturale e rivelato. Ilprimato della potestà ordinaria si estende su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti, inoltre viene rafforzata la potestàche i vescovi hanno sulle Chiese particolari (can. 333). Come supremo Pastore della Chiesa è sempre congiunto nellacomunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa salvo il diritto di determinare il modo di esercitare tale ufficio (can. 333).L’ufficio di Sommo Pontefice ha carattere elettivo, ottiene quindi la potestà piena e suprema con l’elezione legittima, da luiaccettata, insieme alla consacrazione episcopale; se è gia stato conferito del carattere episcopale ottiene la potestà al momentodell’accettazione (can. 332). Il compito di eleggere il Papa spetta al collegio dei cardinali riuniti in conclave, al quale hannodiritto di partecipare tutti i cardinali che non hanno compiuto ottant’anni. La costituzione apostolica “Romano Pontifici eligendo”oggi in vigore e promulgata nel 1975, esclude qualsiasi intervento nel conclave di altre autorità e prevede che gli elettori,sottoposti a clausura fino alla proclamazione dell’eletto (“cum clave”), devono mantenere il segreto sulle vicende del conclave.In caso di vacanza della Sede apostolica, quindi in caso di morte del pontefice o per sua legittima rinuncia all’ufficio, il governodella Chiesa è affidato al Collegio cardinalizio, che però non deve apportare nessuna modifica o innovazione (can. 335).L’eventuale rinuncia all’ufficio, per essere valida, deve essere fatta liberamente e debitamente manifestata (can. 332).

- La Curia romanaIl Pontefice, nell’esercizio delle funzioni di governo sulla Chiesa universale, è assistito dalla Curia romana. Questa è costituitada una serie di dicasteri e organismi coordinati dalla Segreteria di Stato, cui presiede il cardinale Segretario di Stato, nominatodal Pontefice e suo principale collaboratore. Venne istituita da Papa Sisto V con la costituzione apostolica “Immensa aeterni Dei ” del 1588; nel corso del tempo ha subito quattro ristrutturazioni e l’ultima è la costituzione apostolica “Pastor Bonus”.

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La costituzione apostolica “Pastor Bonus” del 1988 individua due caratteristiche: l’indole strumentale o ministerialità, cioè nonha alcuna autorità o potere al di fuori di quelli che riceve dal Pontefice; carattere vicario, cioè essa non agisce per proprio dirittoo per propria iniziativa. La “Pastor Bonus” inoltre attua un processo di internazionalizzazione della Curia romana, già inauguratoda Paolo VI (cost. ap. “Regimini Ecclesiae universae” 1967), e insiste sul carattere di diaconia al servizio del ministeropersonale dei Vescovi, come membri del collegio episcopale e come pastori delle Chiese particolari. I dicasteri della Curiaromana si suddividono in:

a) Segreteria di Stato, coadiuva il Pontefice, coordina gli altri dicasteri e cura i rapporti con gli Stati, è presieduta da un

cardinale prefetto, è composta di due sezioni: la sezione per i rapporti con gli Stati e la sezione per gli affari generali.

 b) Congregazioni , rappresentano una sorta di ministeri, sono nove in tutto: Congregazione per la dottrina della fede

(tutela la dottrina sulla fede e i costumi in tutta la Chiesa), Congregazione per i Vescovi (nomina dei Vescovi per leChiese particolari), Congregazione per le Chiese orientali, del culto divino, della disciplina dei sacramenti, per le causedei santi, per l’evangelizzazione dei popoli, per il clero, per gli istituti di vita consacrata, per l’educazione cattolica.

c) Tribunali  , in particolare la Penitenzieria apostolica, competente per il foro interno e le indulgenze e presieduta da un

cardinale penitenzierie, non è un tribunale in senso proprio poiché non si chiede giustizia ma si implora una grazia; ilSupremo Tribunale della Segnatura apostolica, la massima istanza della giustizia amministrativa nella Chiesa,composta da due sezioni: una giudica la validità degli atti amministrativi canonici, l’altra giudica i conflitti di competenzatra i vari dicasteri; il Tribunale della Rota romana, organo superiore di giustizia nell’ordinamento della Chiesa, ha duecompetenze: in 2° e 3° istanza è un tribunale ordinario per gli appelli; in 1° istanza è un tribunale per le cause deiVescovi.

d) Pontifici Consigli  , dalla “Pastor Bonus” sappiamo che sono dodici, ricordiamo il Pontificio Consiglio per i laici, per 

l’unità dei cristiani, per la famiglia, per il dialogo interreligioso.e) Uffici  , come la Camera Apostolica, che amministra il patrimonio del Pontefice, o l’APSA che amministra il patrimonio

della Sede Apostolica.Questi dicasteri si differenziano anche per il tipo di potestà esercitata, per le Congregazioni è quella esecutiva, per i Tribunali èquella giudiziaria, per i Pontifici Consigli il potere è meramente consultivo e promozionale. Nonostante ciò tutti i dicasteri dellaCuria si trovano in una situazione di parità giuridica e agiscono in nome del Pontefice con potestà ordinaria vicaria. Questosignifica che i loro atti non sono imputabili direttamente al Pontefice o alla Santa Sede anche se soggetti titolari della potestà.Per evitare questo inconveniente sono stati introdotti due criteri generali:

- riguardo alla potestà esecutiva e giudiziaria, le decisioni di maggiore importanza sono soggette all’approvazione delPontefice con due eccezioni: quelle per cui sono state attribuite speciali facoltà, le sentenze dei Tribunali della Rota edella Segnatura apostolica pronunciate entro i limiti di competenza; perciò queste due eccezioni sono direttamenteimputabili ai dicasteri.

- riguardo alla potestà legislativa, i dicasteri non possono emanare leggi o decreti generali aventi forza di legge, néderogare alle prescrizioni del diritto universale vigente, se non in singoli casi e con specifica approvazione del Sommo

Pontefice.Per quanto riguarda la diplomazia della Chiesa, una funzione importante è svolta dai legati pontifici che hanno il compito dirappresentare il Pontefice presso le Chiese particolari per rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità (can. 364).Inoltre esistono dei legati particolari detti nunzi, che hanno il compito di rappresentare il Pontefice presso gli Stati e le autoritàpubbliche presso cui sono inviati per promuovere e sostenere le relazioni con le autorità civili dei singoli Stati (can. 365).

- Il Sinodo dei VescoviIl Sinodo dei Vescovi è uno dei vari modi con cui i Vescovi cooperano con il Pontefice, esso realizza una forma dipartecipazione dell’episcopato alle funzioni di governo sulla Chiesa universale (can. 334). Il Sinodo dei Vescovi è un’istituzionedi diritto umano istituita da Paolo VI con la “ Apostolica Sollicitudo ” del 1965 per associare una rappresentanza dei Vescoviall’esercizio del governo supremo della Chiesa da parte del Papa. E’ un’assemblea di Vescovi scelti dalle diverse regioni delmondo che si riuniscono per favorire una stretta unione tra il Romano Pontefice e i Vescovi, per prestare aiuto con il loroconsiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, per studiare i problemi riguardantil’attività della Chiesa nel mondo (can. 342). Ha una funzione di carattere consultivo poiché deve discutere delle questioniproposte ed esprimere dei voti, non può però emanare decreti salvo nei casi in cui non sia il Pontefice a concedergli tale

potestà (can. 343). Il Sinodo è interamente sottoposto all’autorità del Pontefice, cui spetta di convocarlo (non è un istitutopermanente), di ratificare l’elezione dei suoi membri elettivi e procedere alla nomina degli altri, di stabilirne gli argomenti didiscussione, di definirne l’ordine dei lavori, di presiederlo, di concluderlo, trasferirlo, sospenderlo o scioglierlo (can. 344). Lacomposizione di questa assemblea varia a seconda degli argomenti da trattare e delle circostanze. Si riunisce in assembleagenerale quando si trattano argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale. A sua volta l’assembleagenerale si suddivide in ordinaria e speciale: nel caso di assemblea generale ordinaria la maggior parte dei membri sono elettidalle singole conferenze episcopali, altri sono membri in ragione della loro funzione (es. membri di dicasteri competenti dellaCuria romana), altri sono nominati dal Pontefice, altri sono eletti da istituti religiosi clericali; nel caso di assemblea generalestraordinaria la maggior parte dei membri sono designati dal diritto stesso in ragione della loro funzione, altri sono nominati dalPontefice e altri sono eletti da istituti religiosi clericali (can. 346). La differenza sta nel fatto che si convoca un’assembleagenerale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita. Quando invece si tratta di affari che riguardanodirettamente una o più regioni determinate il Sinodo si riunisce in assemblea speciale (can. 345) e i membri sono scelti dalleconferenze episcopali del luogo per il quale viene convocata l’assemblea. Quando il Pontefice dichiara conclusa l’assemblea,cessa l’incarico per i suoi membri. Ma il Sinodo è dotato di una segreteria generale permanente presieduta dal Segretario

generale, nominato dal Pontefice e assistito da un consiglio di segreteria composto di Vescovi, il cui incarico cessa con unanuova assemblea; per ogni assemblea il Pontefice nomina dei segretari speciali che restano in carica fino al terminedell’assemblea (can. 348).

- I Cardinali

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Il Collegio cardinalizio è stato istituito con il Sinodo romano del 1150 perciò è un’istituzione di diritto umano a cui competel’elezione del Pontefice. Oltre a questa funzione i Cardinali assistono il Romano Pontefice, sia collegialmente quando siriuniscono per trattare le questioni di maggiore importanza (concistori), sia singolarmente nei diversi uffici dove prestano la loroopera nella cura quotidiana della Chiesa universale (can. 349). Hanno origine da quei chierici che fin dai primi secolicollaboravano a vario titolo con il vescovo di Roma. In base a questa origine si suddividono in tre ordini (can. 350): i Cardinalivescovi , stavano alla guida delle diocesi suburbicarie (come Ostia e Velletri) ed eleggono al loro interno il Decano che presiedecome primus inter pares il Collegio cardinalizio (can. 352); i Cardinali preti , i sacerdoti incardinati nelle più antiche chiese

romane (o titoli cardinalizi); i Cardinali diaconi , titolari di altre chiese romane (o diaconie cardinalizie). La nomina o promozionedei membri spetta al Pontefice, che sceglie liberamente uomini costituiti almeno dell’ordine del presbiterato e che si sianodistinti in modo eminente per dottrina, costumi, pietà e prudenza; chi non è Vescovo riceve la consacrazione episcopale (can.351). Il Pontefice procede alla nomina mediante proprio decreto, reso pubblico davanti al Collegio cardinalizio (nomina in pectore) riservandosi il nome quando ad esempio potrebbe esporre la persona a pericolo. I Cardinali agiscono principalmente inmodo collegiale attraverso i Concistori , nei quali si riuniscono su convocazione del Papa e sotto la sua presidenza. Esistonodue tipi di concistori: il Concistoro ordinario in cui vengono convocati tutti i cardinali che si trovano a Roma per trattare questionidi più comune accadimento o per compiere atti della massima solennità, ed in quest’ultimo caso esso può essere anchepubblico; il Concistoro straordinario in cui vengono convocati tutti i cardinali, quando lo suggeriscono peculiari necessità o sidevono trattare questioni particolarmente gravi (can. 353). In forza dell’obbligo di collaborazione assidua con il Pontefice, tutt i iCardinali che non sono Vescovi diocesani e che ricoprono un ufficio nella Curia romana sono tenuti all’obbligo di risiederenell’Urbe; i Cardinali che invece hanno la cura di una Diocesi devono recarsi a Roma quando sono convocati dal Pontefice (can.356).

Le Chiese particolariLa dottrina della collegialità e sacramentalità dell’ufficio dei Vescovi e la visione della Chiesa come popolo di Dio, portano unarinnovata concezione dei rapporti tra Chiesa universale e Chiese particolari. In particolare anche per la forte valorizzazione delleChiese particolari da parte del Concilio Vaticano II, che le definisce come formate ad immagine della Chiesa universale,espressione ripresa poi nel canone 368. Le Chiese particolari tendono oggi ad assumere la dignità di veri e propri soggetticostituzionali, ispirando un processo di adeguamento giuridico – canonico, esaltando il carattere di comunione della Chiesa e ilmetodo collegiale nel governo della stessa. Poiché la valorizzazione delle Chiese particolari si fonda anche sulla riscopertadella centralità dell’elemento personale, implica un processo di maggiore coinvolgimento di tutte le componenti del popolo di Dionel governo pastorale della Chiesa particolare; ad esempio la previsione di alcuni consigli consultivi, rappresentativi dei fedeli,all’interno delle diocesi (consiglio pastorale diocesano) e delle parrocchie (consiglio pastorale parrocchiale). La natura dellaChiesa particolare è connessa all’ufficio dei Vescovi, il cui compito è reggere la porzione del popolo di Dio loro singolarmenteaffidata. Fin dai primi secoli le esigenze della evangelizzazione su territori sempre più estesi hanno portato ad una progressivasuddivisione territoriale in più Chiese particolari, la cui erezione spetta oggi unicamente al Papa (can. 373). Il modello assunto èla diocesi, definita come la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la collaborazione

del presbiterio (can. 369). La diocesi è costituita da un elemento personale (il popolo di Dio), da uno gerarchico – istituzionale(la potestas del Vescovo) e da un nucleo costitutivo rappresentato dalla parola di Dio e dall’eucarestia. Alla diocesi oggi sono assimilate altri tipi di Chiese particolari:

a) la prelatura territoriale o l’abbazia territoriale: una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta

territorialmente, la cura della quale viene affidata ad un Prelato o ad un Abate che la governa come suo pastore (can.370);

 b) il vicariato apostolico o la prefettura apostolica: una determinata porzione del popolo di Dio la quale non è stata

ancora costituita come diocesi ed è affidata alla cura pastorale di un Vicario apostolico o di un Prefetto apostolico, chela governa in nome del Sommo Pontefice (can. 371);

c) l’amministrazione apostolica: una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e gravi, non viene

eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratoreapostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice (can. 371).

Le Chiese particolari sono individuate in base ad un criterio territoriale, tuttavia nello stesso territorio possono essere erettechiese particolari sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi (can. 372).Le prelature personali sono organizzazioni formate da presbiteri e diaconi del clero secolare, erette dalla Santa Sede che neforma anche gli statuti, per promuovere o attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diversecategorie sociali (can. 294). Viene proposto un Prelato come ordinario proprio, che ha il diritto di erigere un seminario nazionaleo internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini del servizio della prelatura (can. 295). Anche i laici possonodedicarsi alle opere apostoliche della prelatura mediante delle convenzioni (can. 296). Un esempio di prelatura è l’Opus Dei .

L’ufficio dei VescoviE’ un istituto di diritto divino in quanto i Vescovi sono successori degli Apostoli (successione apostolica), la loro autoritàdiscende dall’appartenenza al Collegio episcopale. Nella costituzione “Lumen Gentium” troviamo che i Vescovi assunsero ilservizio della comunità con i loro collaboratori presiedendo in luogo di Dio al gregge quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacroculto, ministri del governo (i tria munera).

La nominaI requisiti per essere nominati Vescovi sono: aver raggiunto almeno 35 anni di età e la posizione di chierico, una buona

reputazione, una fede salda, doti morali, avere un dottorato o una licenza in Teologia, diritto canonico o Sacra scrittura. Il codiceprevede che i Vescovi sono nominati liberamente dal Pontefice, oppure da lui confermati se eletti in base a legittimeconsuetudini (can. 377). Le relative pratiche sono istruite all’interno della Curia romana dalla Congregazione per i vescovi, conuna procedura definita dal codice (can. 377). Con la consacrazione episcopale i Vescovi ricevono l’ufficio di santificare e l’ufficiodi insegnare e governare, questi ultimi però non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e con

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gli altri membri del Collegio (can. 375). Oltre alla consacrazione episcopale occorre che intervenga anche la missione canonica(missio canonica) da parte dell’autorità gerarchica (il Pontefice). Questo ulteriore requisito è richiesto ex natura rei , trattandosi diuffici che devono essere esercitati da più soggetti, per volontà di Cristo gerarchicamente cooperanti; senza la comunionegerarchica l’ufficio sacramentale – ontologico non può essere esercitato. Sono detti Vescovi diocesani quelli a cui vieneaffidata la cura di una diocesi; gli altri sono detti Vescovi titolari (can. 376) a cui viene assegnato il titolo di una diocesisoppressa e a cui sono affidati incarichi che non comportano di regola la cura delle anime. Fanno parte di quest’ultima categoriaanche i Vescovi coadiutori e i Vescovi ausiliari. I Vescovi coadiutori sono costituiti d’ufficio dalla Santa Sede quando lo ritiene

opportuno, sono forniti di speciali facoltà e godono ipso iure del diritto di successione al Vescovo diocesano (can. 403) infatti incaso di vacanza della sede episcopale il Vescovo coadiutore diviene immediatamente Vescovo della diocesi (can. 409). IVescovi ausiliari sono privi del diritto di successione, vengono costituiti su richiesta del Vescovo diocesano quando losuggeriscono le necessità pastorali della diocesi, salvo che circostanze gravi suggeriscano l’assegnazione di un Vescovoausiliare fornito di speciali facoltà (can. 403). Entrambi prendono possesso del loro ufficio mostrando la lettera apostolica dinomina al Vescovo diocesano (can. 404). Inoltre sono i principali collaboratori del Vescovo diocesano, che li consulta nellequestioni di maggiore importanza, ad essi spetta la funzione di vicario generale della diocesi o, per i Vescovi ausiliari, quella divicari episcopali (can. 405 – 407).

I poteri del Vescovo diocesanoIl Vescovo diocesano gode nella sua diocesi di tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, fatta eccezione per quelle causeche dal diritto o da un decreto del Pontefice sono riservate alla suprema o ad altra autorità ecclesiastica (can. 381). Sonogiuridicamente equiparati al Vescovo diocesano coloro che presiedono le altre Chiese particolari (can. 381). Per poter esercitare l’ufficio deve prima prendere possesso canonico della diocesi cioè il momento in cui esibisce (personalmente otramite procuratore) la lettera apostolica al collegio dei consultori a cui compete il governo della diocesi durante il periodo di

vacanza e alla presenza del cancelliere della curia che ne redige un verbale; ciò deve avvenire entro quattro mesi dallaricezione della lettera apostolica se non è già stato consacrato Vescovo ed entro due mesi se è gia stato consacrato. Nel casodi una diocesi di nuova erezione, la presa di possesso canonico avviene mediante comunicazione di tale lettera al clero e alpopolo presenti in cattedrale, con verbalizzazione da parte del presbitero più anziano, inoltre secondo il codex tutto deveavvenire durante un atto liturgico in cattedrale (can. 382). Il Vescovo diocesano deve mostrarsi sollecito nei confronti di tutti ifedeli, come pure deve mostrare umanità e carità nei confronti dei fratelli che non sono in piena comunione con la Chiesacattolica e dei non battezzati (can. 383). Inoltre deve rivolgere particolare attenzione ai suoi presbiteri (can. 384). Fra i principalidoveri troviamo: proporre e spiegare ai fedeli le verità della fede, predicando personalmente e curando che il ministero dellaparola venga opportunamente assicurato all’interno della diocesi (munus docendi , can. 386); offrire un esempio di santità nellacarità, nell’umiltà e nella semplicità di vita promuovendo con ogni mezzo la santità dei fedeli (can. 387); celebrarefrequentemente la messa per il popolo (cann. 388 – 389); è tenuto a visitare la diocesi (visita pastorale) in modo da visitarlatutta almeno ogni cinque anni (can. 396). Ogni cinque anni deve presentare una relazione al Pontefice sullo stato della diocesi erecarsi a Roma per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e presentarsi al Romano Pontefice (visita ad limina) (cann.399 – 400). Nell’ambito della sua funzione di governo (munus regendi ) esercita la funzione legislativa personalmente, quella

esecutiva sia personalmente che mediante i vicari generali o episcopali, quella giudiziaria sia personalmente che mediante ilvicario giudiziale e i giudici (can. 391). In forza dei vincoli di comunione che lo legano al Pontefice e agli altri membri delcollegio, è tenuto a difendere l’unità della Chiesa universale promuovendo la disciplina comune ed esigendo l’osservanza ditutte le leggi ecclesiastiche, deve inoltre vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica (can. 392). Quantoall’apostolato, deve favorire nella diocesi le sue diverse forme e curare che le diverse opere di apostolato siano coordinate sottola sua direzione (can. 394). Inoltre è tenuto per legge alla residenza personale nella diocesi (can. 395) e una volta compiuti isettantacinque anni è invitato a presentare la rinuncia all’ufficio del Sommo Pontefice che provvederà ad accettarla (can. 401).

La vacanza della sede episcopaleLa sede episcopale diviene vacante con la morte del Vescovo diocesano, con la rinuncia accettata dal Pontefice, con iltrasferimento o la privazione. Se manca il Vescovo coadiutore, cui compete la successione ipso iure, il governo della diocesipassa, fino alla costituzione dell’amministratore diocesano, al Vescovo ausiliare o se manca quest’ultimo al collegio deiconsultori (can. 419). Entro otto giorni dalla notizia, il collegio dei consultori deve eleggere l’  Amministratore diocesano, che ha ilcompito di reggere la diocesi fino alla presa di possesso del nuovo Vescovo. Se questo termine decorre la sua nomina spetta alMetropolita (can. 421). A tale ufficio si può candidare solo un sacerdote con almeno trentacinque anni di età (can. 425).L’amministratore diocesano è tenuto agli stessi obblighi e ha la potestà del Vescovo diocesano, escluso ciò che non gli competeex natura rei o per il diritto (can. 427). Ottiene la relativa potestà dal momento in cui accetta l’elezione (can. 427). La suaeventuale rimozione è riservata alla Santa Sede (can. 430). La frase “Sede vacante nihil innoventur ” significa a coloro cheprovvedono interinalmente al governo della diocesi è proibito compiere qualsiasi atto che possa arrecare pregiudizio alladiocesi, in particolare di sottrarre, distruggere o modificare qualsiasi documento della curia diocesana (can. 428).

I raggruppamenti di Chiese particolariLa costituzione “Lumen gentium” dice che l’unione collegiale appare anche nelle relazioni tra i singoli Vescovi e le Chieseparticolari e la Chiesa universale; poi aggiunge che varie Chiese, in vari luoghi, si sono costituite in vari raggruppamenti(“coetus”) organicamente congiunti che godono di una propria disciplina. La natura collegiale dell’episcopato è incompatibilecon la concezione individualistica di tale ministero, esercitato dal suo titolare per il bene della Chiesa. Il Vaticano II dice che isingoli Vescovi esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra lealtre Chiese né sopra la Chiesa universale; ma in quanto membri del Collegio episcopale sono tenuti ad avere per tutta laChiesa una sollecitudine che contribuisce al bene della Chiesa universale. Nel corso della storia la coscienza della naturacollegiale dell’episcopato e le esigenze di un più efficace svolgimento delle funzioni pastorali e di governo, hanno portato allosviluppo di forme di esercizio congiunto dando vita a raggruppamenti di Chiese. Questi raggruppamenti non sono espressionedi collegialità in senso stretto o perfetta poiché vi partecipano solo i Vescovi di un determinato territorio e sono prive di quegliattributi e prerogative di governo supremo della Chiesa. Come sono anche privi delle prerogative del singolo Vescovo, che per istituzione divina è all’interno della diocesi l’esclusivo titolare della potestà di governo (can. 135). Si tratta quindi di istituzioni di

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diritto ecclesiastico che manifestano la permanente operatività nel sistema di governo della Chiesa di un’affectio collegialis, unadelle sue peculiarità, in grado di conformare l’esercizio individuale del potere secondo le esigenze della comunione ecclesiale. Iprincipali raggruppamenti o “coetus” sono le province e regioni ecclesiastiche, le diocesi suffraganee raccolte attorno alMetropolita, i concili particolari e le conferenze episcopali.

- Le province e le regioni ecclesiasticheLe province ecclesiastiche sono circoscrizioni territoriali, dotate ipso iure di personalità giuridica, che riuniscono le diocesi traloro più vicine al fine di promuovere un’azione pastorale comune e per favorire i rapporti dei Vescovi diocesani (can. 431).

Ciascuna diocesi inclusa all’interno del territorio deve far parte della provincia, che può essere costituita, soppressa o modificatasolo dalla suprema autorità della Chiesa (can. 431). Le province ecclesiastiche più vicine possono essere congiunte dalla SantaSede in regioni ecclesiastiche, su proposta della Conferenza episcopale e a cui può essere attribuita personalità giuridica. Aquesto istituto spetta favorire la cooperazione e l’attività pastorale comune (cann. 433 – 434). Presiede la provinciaecclesiastica il Metropolita, che è l’Arcivescovo della diocesi in cui è preposto, in genere la sede episcopale, determinata oapprovata dal Pontefice (can. 435) che poi corrisponde alla città più importante del territorio (sede metropolitana). Per le altrediocesi, dette suffraganee, spetta al Metropolita vigilare sull’osservanza della fede e della disciplina ecclesiastica e di informareil Pontefice su eventuali abusi, senza poter interferire direttamente sulla diocesi (can. 436).

- I concili particolariSono istituzioni dotate di potestà di governo, soprattutto legislativa, che riuniscono i Vescovi di un determinato territorio quandole circostanze lo suggeriscono. Possono essere di due tipi: plenari e provinciali. Il concilio plenario riunisce i Vescovi di tutte leChiese particolari della medesima Conferenza episcopale, a cui competono vari compiti: convocarlo con l’approvazione dellaSede Apostolica, scegliere il luogo, eleggerne il presidente approvato dalla Santa Sede, determinarne la procedura, le questionida trattare, l’inizio e la durata e il suo scioglimento (cann. 439, 441). Il concilio provinciale raccoglie le diverse Chiese

particolari della medesima provincia ecclesiastica, viene celebrato ogni volta che risulti opportuno alla maggioranza dei Vescovidiocesani (can. 440). Il Metropolita presiede il concilio e, col consenso della maggioranza dei Vescovi suffraganei, ha il compitodi convocarlo, scegliere il luogo, determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l’apertura e la durata, trasferirlo,prorogarlo o scioglierlo (can. 442). A questi concili devono essere convocati e hanno voto deliberativo tutti i Vescovi del territorio(diocesani, coadiutori, ausiliari, titolari); devono essere chiamati ma con voto consultivo i vicari generali e episcopali delleChiese particolari del territorio, una rappresentanza dei superiori maggiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica, irettori delle università ecclesiastiche e cattoliche, i decani delle facoltà di teologia e diritto canonico del territorio; possonoessere chiamati con voto meramente consultivo anche i presbiteri e altri fedeli (can. 443). I concili particolari hanno competenzadi carattere generale, cioè cura che si provveda nel proprio territorio alle necessità pastorali del popolo di Dio e per questoscopo dispone di potestà di governo, soprattutto legislativa, cioè per decidere ciò che risulta opportuno per l’incremento dellafede, per ordinare l’attività pastorale comune, per regolare i costumi e per conservare, introdurre, difendere la disciplinaecclesiastica (can. 445). Il Vescovo diocesano gode, all’interno della diocesi, di ampi poteri di dispensa dall’osservanza delleleggi disciplinari emanate dalla suprema autorità della Chiesa (can. 87) e inoltre lo stesso Ordinario del luogo può dispensarevalidamente dalle leggi diocesane, dei concili particolari o della conferenza episcopale (can. 88). Una volta concluso, i relativi

atti del concilio devono essere trasmessi alla Sede Apostolica, che deve concedere la recognitio dei decreti da esso emanati,prima della loro promulgazione (can. 446).

- Le conferenze episcopaliRivestono un ruolo fondamentale nella strutturazione e nell’azione della Chiesa nel mondo. Sono sorte spontaneamente giànella seconda metà del XIX secolo, poi con il Concilio Vaticano II (il decreto “Christus Dominus”) e il codice del 1983 hannoavuto una disciplina di diritto comune per tutta la Chiesa. Organismo permanente, consiste in un’assemblea dei Vescovi di unanazione o di un territorio, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio (can. 447). Ilcodice esprime un favore per la dimensione nazionale delle conferenze episcopali, ma prevede esplicitamente anche territori diampiezza minore o maggiore (can. 448). La loro erezione, soppressione o modifica spetta unicamente alla suprema autoritàdella Chiesa e godono ipso iure della personalità giuridica (can. 449). Ne sono membri di diritto tutti i Vescovi diocesani delterritorio e coloro ad essi equiparati, i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi titolari che svolgono nel territoriouno speciale incarico; possono essere invitati anche gli Ordinari di un altro rito con voto solo consultivo (can. 450). Questeconferenze godono di autonomia statuaria, cioè elaborano i propri statuti, soggetti alla recognitio da parte della Santa Sede,dove sono regolati i principali organi interni: riunione plenaria, consiglio permanente, segreteria generale. Ogni conferenzaelegge al suo interno il proprio presidente e il segretario generale (can. 452). L’organo deliberativo è la riunione plenaria, puòinfatti emanare decreti generali aventi valore legislativo; si tiene almeno una volta l’anno o secondo le necessità; ne fanno partecon voto deliberativo i Vescovi diocesani, quelli ad essi equiparati e i Vescovi coadiutori, invece i Vescovi ausiliari e i Vescovititolari hanno voto deliberativo o consultivo a seconda dello statuto (can. 454). Il consiglio permanente è l’organo esecutivo, lasua composizione è stabilita negli statuti, ha il compito di portare ad esecuzione le delibere assunte nella riunione plenaria epreparare le questioni da trattare in quella sede (can. 457). La segreteria generale ha una funzione di ausilio e di redazionedegli atti, provvede inoltre a comunicare alle conferenze episcopali confinanti gli atti e i documenti secondo le indicazioniricevute. La potestà deliberativa però incontra un doppio limite, di materia e di quorum deliberativo, inoltre i decreti sonosoggetti ad un controllo preventivo da parte della Santa Sede. Quindi possono emanare decreti solo nelle materie in cui lo abbiadisposto il diritto universale o se lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio sia su richiesta (can.455); nelle altre materie rimane la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la conferenza episcopale non può agire innome di tutti i Vescovi se non con il loro consenso unanime (can. 455). Per l’approvazione dei decreti generali si richiede nellariunione plenaria il voto di almeno 2/3 dei membri con voto deliberativo, infine questi decreti sono soggetti alla recognitio dellaSanta Sede (can. 455). Questo procedimento ha lo scopo di non pregiudicare le prerogative dei singoli Vescovi diocesani el’autonomia della Chiesa particolare. Infatti da un lato le conferenze episcopali rappresentano la sede più adeguata per 

affrontare efficacemente delle questioni, dall’altro esse sono semplici organismi la cui istituzione non può alterare l’originariacostituzione divina della Chiesa, che assegna ai singoli Vescovi il compito di pastori.

La struttura interna delle Chiese particolari

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- La curia diocesanaLa curia diocesana ha il compito di assistere il Vescovo nella direzione dell’attività pastorale, nell’amministrazione della diocesie nell’esercizio della potestà giudiziaria. Al vertice della curia c’è il vicario generale, nominato dal Vescovo, a cui spetta didiritto la stessa potestà esecutiva su tutta la diocesi che spetta al Vescovo, cioè la potestà di porre tutti gli atti amministrativisalvo quelli che il Vescovo si sia riservato (can. 479). E’ una facoltà del Vescovo costituire uno o più vicari episcopali, di sualibera nomina, con la stessa potestà ordinaria che spetta al vicario generale ma circoscritta ad una parte determinata delladiocesi, per un determinato genere di affari, per i fedeli di un determinato rito o per un gruppo di persone (cann. 476, 479).

Entrambi questi vicari possono essere liberamente rimossi dal Vescovo (can. 477), devono mantenerlo informato sulle attività enon agire mai contro la sua volontà e il suo intendimento (can. 480). Spetta al Vescovo diocesano coordinare l’attività pastoraledei vicari, curando che l’intera amministrazione risponda al bene della porzione del popolo di Dio che gli è affidata (can. 473). Ilcancelliere, invece, provvede alla compiuta redazione degli atti della curia e alla loro custodia nell’archivio o tabulariumdiocesano (can. 486). Il consiglio per gli affari economici, presieduto dal Vescovo, è composto da almeno tre fedeli esperti ineconomia e in diritto civile nominati dal Vescovo per un quinquennio (can. 492); ha il compito ogni anno di predisporre, sotto leindicazioni del Vescovo, il bilancio preventivo della diocesi per l’anno successivo e approvare alla fine dell’anno il bilancioconsuntivo delle entrate e delle uscite (can. 493); inoltre è richiesto il suo parere obbligatorio (“consilium”) sugli atti diamministrazione della diocesi di maggiore importanza e il suo consenso (“consensus”) per quelli di amministrazionestraordinaria (can. 1277). L’economo, nominato dal Vescovo sempre per un quinquennio, amministra i beni della diocesi sottol’autorità del Vescovo, effettua le spese che il Vescovo abbia ordinato e presenta nel corso dell’anno il bilancio delle entrate edelle uscite al consiglio per gli affari economici (can. 494).

- Il consiglio presbiterale e il collegio dei consultoriSono due organismi presbiterali che hanno un ruolo nel governo della diocesi, sono previsti dal codice del 1983 e sostituiscono

quello che un tempo era il capitolo cattedrale. Il fondamento di questi istituti risiede nel sacramento dell’ordine, in forza del qualei presbiteri sono intimamente associati all’ordine episcopale e chiamati a cooperare con il ministero del Vescovo. Pertanto isacerdoti costituiscono insieme al loro Vescovo un unico presbiterio destinato a diversi uffici, inoltre nelle singole comunità localirendono presente il Vescovo e ne prendono gli uffici. In passato esisteva il capitolo cattedrale, composto dai presbiteri più coltie di maggiore prestigio all’interno della diocesi, a cui veniva concesso l’ufficio di canonico della chiesa cattedrale, realizzandouna forma elitaria di senato del Vescovo che aveva importanti funzioni durante la vacanza della sede episcopale e in alcuni casiil compito di eleggere il Vescovo diocesano previa approvazione della Santa Sede. Il codice del 1983 ha introdotto organismi dipartecipazione e supplenza al governo fondati su una maggiore rappresentatività del presbiterio. Il consiglio presbiterale è ungruppo di sacerdoti che, in rappresentanza del presbiterio, formano una sorta di “senato del Vescovo”, cui spetta di coadiuvarlonell’interesse del bene pastorale dei fedeli (can. 495). E’ un organismo necessario e dotato di propri statuti approvati dalVescovo, è composto da sacerdoti per la metà eletti dagli stessi sacerdoti della diocesi, altri membri di diritto in virtù del loroufficio e altri liberamente nominati dal Vescovo (can. 497). La durata in carica è stabilita negli statuti, in modo che il consiglio sirinnovi interamente nel corso di un quinquennio (can. 501). E’ il Vescovo che convoca il consiglio, lo presiede e stabilisce lequestioni da trattare. Le funzioni del consiglio sono consultive: il Vescovo deve ascoltarlo negli affari di maggiore importanza e

chiede il suo consenso solo in casi espressamente previsti (can. 500). Fra i membri di questo consiglio il Vescovo nominaliberamente fra i sei e i dodici sacerdoti che per un quinquennio costituiranno il collegio dei consultori. Questo collegio èpresieduto dallo stesso Vescovo, ha delle funzioni fondamentali indicate dal diritto, ad es. in caso di vacanza della sedeepiscopale e per i principali atti di amministrazione dei beni della diocesi. Al capitolo dei canonici, invece, si accede mediantedesignazione del Vescovo, ha funzioni minori come assolvere alle funzioni liturgiche più solenni e le altre affidateglispecificamente dal Vescovo (can. 503, 509).

- Il consiglio pastorale diocesanoE’ un organismo di rappresentanza dell’intero popolo di Dio, il codice prevede la sua costituzione in ogni diocesi ed è sottol’autorità del Vescovo. Le sue funzioni sono studiare, valutare e proporre conclusioni operativa su quanto riguarda le attivitàpastorali della diocesi (can. 511); ha una competenza di carattere generale ma con funzioni meramente consultive (can. 514).Trova il suo fondamento nel sacerdozio comune dei fedeli, che rende corresponsabile l’intero popolo di Dio della missione disalvezza della Chiesa. E’ composto da fedeli in piena comunione con la Chiesa, chierici, religiosi e soprattutto laici, membri per un tempo determinato, scelti per rappresentare tutta la porzione del popolo di Dio tenendo conto delle varie zone del territorio,delle condizioni sociali, delle professioni e delle varie forme di apostolato (can. 512). Solo il Vescovo ha il compito di convocaree presiedere il consiglio pastorale, almeno una volta all’anno, e di rendere di pubblica ragione le materie trattate (can. 514).Questo organismo porta un rinnovamento conciliare (la Chiesa come popolo di Dio) ma nella nuova codificazione non ha avutomolta considerazione a causa della previsione della sua stessa facoltatività, rendendo opzionale l’istituzione della sola sede dirappresentanza effettiva del popolo di Dio. Il terminale operativo della funzione di governo pastorale della diocesi è laparrocchia, cioè una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare, la cuicura pastorale è affidata ad un parroco quale suo pastore proprio, sotto l’autorità del Vescovo diocesano (can. 515).

- Il sinodo diocesanoE’ uno strumento di ausilio all’esercizio della funzione legislativa del Vescovo diocesano e, secondo il Vaticano II, meriterebbedi essere maggiormente utilizzato. Nel concilio di Trento si stabilì che il sinodo diocesano doveva essere convocato ogni treanni, ma col tempo cadde in disuso. E’ l’assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, per prestare aiuto alVescovo (can. 460); viene convocato dal Vescovo diocesano, che lo presiede personalmente o tramite il vicario generale oepiscopale (cann. 461 – 462). Si tratta quindi di un organismo temporaneo, destinato a cessare una volta esaurita la suafunzione. Sono membri di diritto, oltre ai vari Vescovi e vicari, i membri del consiglio presbiterale, una rappresentanza di laicieletti dal consiglio pastorale diocesano e alcuni superiori di istituti religiosi, possono essere chiamati anche altri fedeli (can.463). Il codice prevede che tutte le questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri (can. 465) ma

aggiunge anche che nel sinodo diocesano l’unico legislatore è il Vescovo diocesano, infatti gli altri membri hanno solo un votoconsultivo ed è solo lui che sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono essere resi pubblici per la sua autorità(can. 466). Spetta sempre al Vescovo diocesano sospendere o sciogliere il sinodo diocesano (can. 468). Le finalità di questoorganismo possono essere: adattare l’applicazione delle leggi generali della Chiesa alle circostanze locali, emanare norme per 

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l’azione pastorale e per il governo della diocesi, stimolare le varie attività e iniziative, correggere gli errori nella dottrina e neicostumi. Vi è un evidente analogia tra il sinodo diocesano e il sinodo dei vescovi, poiché entrambi sono strumenti di ausilioall’esercizio di un ministero conferito ad una persona ma che deve essere svolto al servizio dell’intera comunità ecclesiale odetta communio ecclesiarum.

Il regime degli attiNel regime degli atti prende concretamente forma l’attività di governo del popolo di Dio. Il codice ha cercato di razionalizzarlotenendo conto delle peculiarità del sistema di governo ecclesiale. Il Libro I del codice individua, dopo le leggi ecclesiastiche e laconsuetudine (fonti del diritto, cann. 19, 23), i decreti generali e le istruzioni (cann. 29 – 34) e la categoria degli attiamministrativi singolari (cann. 35 – 93), al cui interno troviamo altri atti non sempre omogenei: i decreti e i precetti singolari, irescritti, i privilegi e le dispense.

Decreti generali e istruzioniI decreti generali e le istruzioni hanno in comune l’essere atti subordinati alle leggi e rivolti ad una generalità di destinatari (attiamministrativi generali), ma non tutti sono espressione di potestà esecutiva. Tra i decreti generali infatti distinguiamo quelliaventi natura legislativa, in quanto emanati dal legislatore competente (can. 29) o da chi disponga di un’espressa concessioneda parte del legislatore (legislazione delegata) (can. 30), dai decreti generali esecutivi, emanati da coloro che godono di potestàesecutiva, entro i limiti della loro competenza, che determinano i modi da osservare nell’applicare la legge o con cui si urgel’osservanza delle leggi (can. 31). Questi ultimi sono sottoposti al principio di legalità (non derogano alle leggi e le lorodisposizioni che siano contrarie alle leggi sono prive di ogni vigore) e sono assimilabili ai regolamenti amministrativi negliordinamenti secolari o disposizioni generali “esterne”. Le istruzioni provengono anch’esse da soggetti che godono di potestàesecutiva e rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell’eseguirle, quindi sono

destinate a chi cura che le leggi siano mandate ad esecuzione (can. 34). Per questo loro carattere interno vengono denominatedisposizioni generali “interne” e sono anch’esse sottoposte al principio di legalità.

Gli atti amministrativi singolariSono una categoria eterogenea di atti che hanno un destinatario concreto (“singolare”). Non sono sempre espressione dipotestà esecutiva in quanto sono veri e propri atti del legislatore. Si distingue tra gli atti amministrativi singolari in senso stretto,che sono espressione di potestà esecutiva e quindi soggetti al principio di legalità (can. 38) e alla possibilità di ricorso (ca.1732), e le norme singolari, di competenza del legislatore. Sul piano normativo a questa distinzione non corrisponde unadistinzione degli atti sulla base del loro nomen iuris, perché uno stesso atto può avere natura di atto amministrativo o di normasingolare. Questo minore rigore formale trova ragione nell’elasticità del diritto canonico, poiché il primato è il fine della salvezzadella anime (can. 1752). Perciò se la regola generale configge nel caso concreto con il fine della salvezza del singolo,l’ordinamento canonico mette a disposizione degli istituti (privilegi, dispense, equità canonica) per poter derogare la norma. Intal caso atti singolari posso assumere natura formale di vere e proprie norme singolari, cioè aventi efficacia sul piano legislativo.Nella categoria degli atti amministrativi singolari fanno parte (can. 35):

- il decreto singolare, un atto amministrativo emesso dalla competente autorità esecutiva mediante il quale è data per 

un caso particolare una decisione o viene fatta una provvisione (can. 48), pertanto è dato su iniziativa della autorità;

- il precetto singolare, un decreto decisorio, avente quindi natura imperativa, con cui si impone direttamente e

legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere per osservare il contenuto diuna legge (can. 49); nel caso in cui con un precetto siano imposti obblighi cui il destinatario non era previamenteobbligato, avrebbe efficacia innovativa e quindi si qualificherebbe come norma singolare;

- il rescritto, un atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorità esecutiva tramite il quale, su domanda di

qualcuno, è concesso un privilegio, una dispensa o un’altra grazia (can. 59); alcuni rescritti possono provenire dallegislatore o concernere materie aventi natura legislativa, quindi non avrebbero natura formale di atti amministrativi madi norme singolari.

Il rescritto era definito in passato come “responsum principis ad instantiam petentis”, è la risposta data dalla Santa Sede o da unOrdinario con la quale si comunica una decisione o informazione dietro richiesta, o la concessione di un favore o dispensa.Oggi esso indica non solo l’atto conclusivo ma lo stesso procedimento amministrativo di esame e valutazione. La naturacomplessa dell’atto si riflette sul contenuto composto di tre elementi: la richiesta da parte del fedele, i motivi che la sorreggono,

la risposta dell’autorità superiore.Le norme singolariSono una serie di atti che possono derogare a quanto stabilito nelle norme generali, per rispondere alle esigenze poste dal finedella salvezza delle anime. Tra di esse troviamo il precetto, il privilegio e la dispensa.

- il privilegio, una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per mezzo di un atto

concesso dal legislatore o dall’autorità esecutiva (can. 76), quindi ha natura legislativa; può avere carattere personale,se viene concesso ad una persona e dunque segue sempre la persona e si estingue con il suo decesso, caratterereale se concesso direttamente e immediatamente ad una cosa e quindi cessa con la distruzione totale della cosa odel luogo (can. 78);

- la dispensa, un’esenzione (relaxatio) da una legge meramente ecclesiastica in un caso particolare, concessa da

coloro che godono di potestà esecutiva e da quelli cui compete di dispensare esplicitamente o implicitamente (can.85).

Il codice prevede un duplice limite generale per la dispensa:a) non sono dispensabili le leggi in quanto definiscono gli elementi costitutivi essenziali degli istituti o degli atti giuridici

(can. 86)b) non si dispensi senza giusta e ragionevole causa (can. 90)

Quest’ultimo limite dipende dall’autorità che ha concesso la dispensa, se il legislatore o altro organo dotato di potestà esecutiva:nel primo caso la sua inosservanza incide solo sulla liceità dell’atto, nel secondo sulla sua validità.

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 Anche la dispensa si presenta a volte come norma singolare poiché proviene da un’autorità dotata di potestà legislativa (can.87). Questo istituto riflette al massimo la caratteristica del diritto canonico di piegare la certezza formale del diritto al fine dellasalvezza delle anime, che può portare anche la disapplicazione di una norma (can. 135). Un esempio è il can. 87 in cui sonorafforzati i poteri di dispensa del Vescovo diocesano, che ha la facoltà di dispensare validamente i fedeli dalle leggi disciplinariogni qualvolta giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, questa facoltà non riguarda però le leggi processuali o penali. Incaso vi sia difficoltà di ricorrere alla Santa Sede e pericolo di danno grave nell’attesa, dalle stesse leggi può dispensarequalunque Ordinario, purché solitamente la Santa Sede la conceda nelle medesime circostanze. Lo stesso Ordinario del luogo

può dispensare validamente dalle leggi diocesane e dalle leggi date dal Concilio plenario o provinciale e dalla ConferenzaEpiscopale (can. 88). Il can. 89 inoltre prevede che anche il parroco, gli altri presbiteri o i diaconi possano dispensarevalidamente da una legge universale e da una particolare, a condizione che tale potestà sia stata loro espressamenteconcessa.

Il matrimonio

La Chiesa, per il raggiungimento del suo fine, utilizza mezzi che si classificano in due diversi ordini: l’insegnamento e lasantificazione. Con l’insegnamento vengono trasmesse le verità rivelate e i principi morali, costituisce un vero diritto e doveredella Chiesa, definito “nativo” perché originario e coessenziale alla stessa natura dell’istituzione ecclesiastica (can. 747). Questocomporta la predicazione evangelica a tutte le genti, l’annuncio dei precetti morali, l’espressione del giudizio morale su qualsiasirealtà umana. La funzione di insegnare (munus docendi ) costituisce una manifestazione della potestà di magistero o potestasmagisterii ; essa viene esercitata attraversi il magistero ecclesiastico, cioè l’ufficio di interpretare ed esporre la parola di Dio conautorità da parte del Papa e dei Vescovi. Questa funzione viene esplicitata in modi diversi: con la predicazione, la catechesi,l’azione missionaria, l’educazione cattolica nella famiglia, nelle scuole e nelle università cattoliche, attraverso le pubblicazioni egli altri mezzi di comunicazione sociale. Tutto questo viene disciplinato nel Libro III del codice di diritto canonico. L’altrafunzione, di santificazione o munus sanctificandi , si riferisce alla potestà d’ordine o potestas ordinis . Si esplicita attraversol’amministrazione dei mezzi soprannaturali che Cristo ha affidato alla Chiesa, cioè i sacramenti: battesimo, confermazione(cresima), eucaristia, penitenza (confessione), unzione degli infermi, ordine sacro, matrimonio. Attraverso i sacramenti si rendeculto a Dio e si opera la santificazione degli uomini; insieme ai sacramenti abbiamo poi i sacramentali, le esequieecclesiastiche, il culto dei santi. Tutto questo viene disciplinato nel Libro IV del codice.Il sacramento del matrimonio è sempre quello oggetto di speciale attenzione poiché è l’unico preesistente all’istituto di questimezzi di grazia. Si tratta infatti di un istituto naturale, che tra i battezzati è stato elevato da Cristo alla dignità di sacramento(can. 1055). Lo stato matrimoniale è lo stato di vita più diffuso tra i fedeli, da qui l’interesse della Chiesa per un sacramento chesostiene quei christifideles (laici) che sono chiamati a santificarsi nel mondo e ad animare cristianamente l’ordine temporale.

Il matrimonio come istituto naturaleUn istituto naturale, una società durevole tra uomo e donna voluta da entrambi allo scopo di dar vita ad altri individui e diaiutarsi reciprocamente. Il matrimonio è un istituto comune a tutti gli uomini e ha una struttura essenziale non mutevole. Ilmutare della storia, infatti, incide sulla concreta configurazione socio-giuridica di questo istituto ma solo in elementi nonessenziali e di contorno. Per comprendere meglio la struttura del matrimonio possiamo fare riferimento alla Sacra Scrittura, untesto scritto per un popolo semplice, e in particolare al libro della Genesi in cui troviamo la struttura del matrimonio come istitutonaturale in quattro passaggi:

a) “non è bene che l’uomo sia solo”: mette in evidenza la consapevolezza della propria difettività e

debolezza, quindi l’esigenza di rapportarsi con gli altri; manifesta la natura relazionale dell’uomo nel senso chenessuno è capace di piena autonomia ma tutti hanno bisogno dell’aiuto e della solidarietà degli altri; questo passo apreil racconto della creazione della donna e indica il superamento della condizione di difettività in una relazione uomo-donna caratterizzata dalla complementarietà; quindi la relazione nuziale tra l’uomo e la donna è la relazionefondamentale.

 b) “i due formeranno una sola carne”: “una caro”, carne della stessa carne, ossa delle stesse ossa;

sottolinea il superamento del limite individuale e l’aspetto donativo del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio; èuna relazione che va sino alla più profonda intimità, nella quale si supera il limite di ciascun individuo nel vicendevolecompletamento tra marito e moglie; il matrimonio deve essere considerato come una liberazione dai limiti che segnanola condizione di ogni individuo.

c) “crescete e moltiplicatevi ”: indica la continuità nel tempo; il processo di approfondimento della

coscienza di se stessi, detto personalizzazione, non è completo se resta in balia del tempo ma deve affermarsi oltre iltempo, che quindi è oggettivamente un limite; la finalità procreativa del matrimonio indica il soddisfacimento delbisogno di ogni uomo di durare nel tempo.

d) “ per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre”: acquisita la maturità, l’uomo va incontro al

mare grande della vita, ma lasciare suo padre e sua madre lo metterà nella condizione di essere solo e gli faràavvertire la debolezza dell’essere solo e il bisogno dell’altro; il circolo si chiude.

Dunque il Libro Sacro svela in parole semplici la struttura fondamentale del matrimonio. Come istituto naturale, è disciplinato daldiritto naturale ed integrato dal diritto secolare o dalle consuetudini sociali. Il diritto secolare, però, non può riformare omodificare le basi naturali dell’istituto. Il matrimonio canonisticamente denominato matrimonio legittimo (matrimonium legitimum)

è considerato vero dalla Chiesa se contratto da non battezzati; su di esso la Chiesa non ha competenza giuridica perciò rientranell’ambito del munus docendi , cioè la funzione di insegnare la verità oggettiva del matrimonio.

Il matrimonio sacramento

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Il matrimonio sacramento è un patto mediante il quale l’uomo e la donna pongono in essere un consorzio per tutta la vita. Se ilmatrimonio è elevato a sacramento significa che il matrimonio validamente contratto tra battezzati produce gli effetti della graziasacramentale. La dottrina sul matrimonio è stata elaborata dal Concilio di Trento, essa indica che tra i battezzati non puòsussistere un valido contratto matrimoniale che non sia esso stesso un sacramento (can. 1055). Quindi contratto e sacramentonon sono opposti ma dal contratto scaturiscono effetti sacramentali. Il matrimonio è l’alleanza fra un uomo ed una donna chedanno vita ad una comunità di vita e di amore, ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione dei figli (can.1055). Per assumere pienamente queste finalità, le caratteristiche essenziali del matrimonio sono: l’unità, esclusione della

poligamia, e l’indissolubilità, l’impossibilità di scioglimento del vincolo matrimoniale durante la vita dei coniugi. I fini e leproprietà del matrimonio sono considerati i “bona matrimonii ”, espressione derivata da s. Agostino che parla di “bonum prolis,fidei et sacramenti ” cioè i tria bona, che nello specifico riguardano la sostanza del matrimonio: il “bonum prolis“ attiene allaprocreazione ed educazione della prole; il “bonum fidei ” alla fedeltà vicendevole tra i coniugi; il “bonum sacramenti ” allaindissolubilità. Il Concilio Vaticano II con la costituzione pastorale “Gaudium et spes” parla del matrimonio come intima comunitàdi vita e di amore e ha rivalorizzato il rapporto interpersonale, sottolineando la connessione tra la felicità dell’individuo nellasocietà e il buon rapporto coniugale.Quindi, se il matrimonio è sia contratto sia sacramento, ne deriva che qualora il contratto sia valido sussiste anche ilsacramento, se invece il contratto fosse invalido sarà invalido anche il sacramento. Per il matrimonio fra battezzati, lacompetenza a disciplinarlo giuridicamente spetta alla Chiesa, competenza che ha sempre rivendicato rispetto ai poteri civili,soprattutto dalla fine del Settecento in poi quando gli Stato hanno iniziato ad intromettersi con una disciplina propria (matrimoniocivile). La Chiesa rivendica in particolare la competenza a disciplinare il matrimonio dei battezzati cattolici, infatti il can. 1059afferma che il matrimonio dei cattolici è retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salva la competenzadell’autorità civile circa gli effetti puramente civili. Le fonti normative che regolano il matrimonio canonico sono: il diritto divino

naturale, che forgia la struttura del matrimonio in maniera comune a tutti gli uomini (la diversità sessuale, l’unità el’indissolubilità, le finalità del bene dei coniugi e della procreazione ed educazione dei figli; il diritto divino positivo o rivelato, cheriguarda tutti i battezzati e indica ad esempio la peculiare stabilità in ragione del sacramento (can. 1056), in questo senso si puòanche intendere il precetto evangelico “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito (Marco); il diritto ecclesiastico, l’insieme dellenorme che hanno la funzione di regolamentare dettagliatamente l’istituto matrimoniale; il diritto civile, poiché il diritto canonicoriconosce che il matrimonio produce anche effetti meramente civili. A questo proposito il can. 1061 afferma che il matrimoniovalidamente contratto tra battezzati si dice “matrimonio rato” (matrimonium ratum) e una volta che sia intervenuta laconsumazione, cioè gli atti sessuali, si dice “matrimonio rato e consumato” (matrimonium ratum et consummatum). Secondo ildiritto canonico la consumazione deve avvenire in modo umano (can. 1061) cioè secondo natura e con libera accettazione e siconfigura anche nel caso in cui all’atto non segua la procreazione. Si chiama invece “matrimonio canonico” quello celebrato anorma dal diritto canonico da due battezzati nella Chiesa cattolica o da un cattolico e un non cattolico. La dottrina distingueinoltre tra “matrimonium in fieri ”, quindi come atto costitutivo della famiglia, e il “matrimonium in facto esse” cioè il rapportomatrimoniale che dura nel tempo o famiglia. Per il diritto canonico è prevalente il suo interesse per l’atto costitutivo dellafamiglia, nel quale tutto il vissuto successivo è voluto dagli sposi, minore invece è l’attenzione per la famiglia come insieme dirapporti. Bisogna precisare che il diritto canonico coglie soltanto alcuni aspetti, attinenti alla validità del contratto, lasciando glialtri all’attenzione e cura dell’attività pastorale della Chiesa.

Struttura giuridica del matrimonio canonicoIl matrimonio canonico è un patto (foedus) o contratto, che sorge esclusivamente dalla libera volontà dei soggetti contraenti,cioè gli sposi; volontà che non può essere supplita da nessuna potestà umana, neppure ecclesiastica (can. 1057), quindinessuno può vincolare altri al matrimonio. Il consenso contrattuale è la causa efficiente del sacramento; il sacerdote che assisteallo scambio del consenso è solo un testimone pubblico (testis qualificatus). Materia e forma del matrimonio sono nelle parole onei segni (can. 1101) con cui gli sposi esprimono il consenso, cioè l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con pattoirrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (can. 1057). La materia è costituita dallareciproca dazione di se, mentre la forma è la manifestazione della reciproca accettazione del dono di sé. Per esserevalidamente celebrato il matrimonio ha bisogno di tre elementi: un consenso prestato da persona giuridicamente abile, nonviziato né nella sua formazione né nella sua manifestazione; l’assenza di impedimenti; la forma prescritta.

Il consensoIl matrimonio è costituito dal libero consenso delle parti. Per il diritto sono irrilevanti i motivi che possono aver indotto l’individuoa sposarsi, ciò che conta è la volontà di entrambi. La struttura essenziale del matrimonio è predefinita, la libertà dei soggetticontraenti si esaurisce nella libera adesione al modello giuridicamente predeterminato; in particolare le parti non possonoalterare il carattere eterosessuale del matrimonio o modificarne le proprietà e le finalità. Vista la centralità del consenso, undifetto o vizio di quest’ultimo produce l’invalidità del matrimonio anche se, per essere rilevante in foro esterno, deve essereaccertata dal competente giudice ecclesiastico. La validità del consenso, dunque, dipende dalla capacità di coloro che debbonoprestarlo, dalla conoscenza oggettiva di ciò che vogliono, dalla libertà di cui devono godere, dai reali contenuti della volontàesternamente manifestata. Un difetto o vizio del consenso rende invalido il matrimonio: l’incapacità di contrarre matrimonio,l’ignoranza, l’errore, il dolo, la violenza e il timore, la simulazione, la condizione. Per capacità si intende l’idoneità del soggetto avalutare il proprio comportamento determinandosi coscientemente ad esso, quindi la capacità di contrarre matrimonio significaavere una conoscenza sufficiente della natura e dei fini del matrimonio e l’idoneità a volerlo. Quindi l’incapacità è la mancanzadi tale idoneità, che può riguardare la sfera intellettiva e della conoscenza, quella volitiva, quella attuativa o operativa.

I vizi del consenso:

a) L’incapacità a contrarre matrimonioSecondo il can. 1095 sono incapaci a contrarre matrimonio:

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- coloro che per ragioni diverse, temporanee o permanenti, mancano di sufficiente uso di ragione e quindi non sono in

grado di raggiungere una seppur minima conoscenza di che cosa sia il matrimonio, questi sono i casi delle alterazionimentali temporanee contingenti come ad esempio l’alcool e l’ ipnosi.

- coloro che, per immaturità o per cause patologiche, difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i

doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente, riguarda quindi soggetti che non sono portatori divere e proprie affezioni psicotiche ma che per ragioni permanenti o temporanee della loro personalità non sono in

grado di avere sufficiente consapevolezza e libertà nell’assumersi obblighi, questi sono i casi in cui anche se l’individuosa di contrarre matrimonio non può discernere gli obblighi per alterazioni di carattere o anche detti conflitti dipersonalità (isterico, narcisista, immaturo psichico-affettivo).

- coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, poiché non

essendo in grado di adempiere gli obblighi non possono assumerli con la celebrazione del matrimonio; questaincapacità è simile al caso precedente ma attiene a casi psicofisici nell’ambito della sfera sessuale (omosessuale,ninfomane e satiro, sadico e masochista) perché sono incapaci di condurre una sana vita coniugale, ad esempio nonsono in grado di assumersi il dovere della fedeltà.

b) L’ignoranzaL’ignoranza è l’insufficiente conoscenza di cos’è il matrimonio e cosa comporta. Secondo il can. 1096 è necessario che icontraenti sappiano almeno che il matrimonio è la comunità permanente tra l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione dellaprole mediante una qualche cooperazione sessuale. Essendo il matrimonio un rapporto al quale l’uomo è incline per natura,

acquisisce in via autonoma la conoscenza essenziale di che cosa il matrimonio sia e comporti. Quindi è richiesta unaconsapevolezza non specifica ma solo degli elementi essenziali: l’unione solidale tra uomo e donna, la sua durata nel tempo, lasua apertura alla procreazione attraverso il rapporto sessuale. E’ una conoscenza minimale ma sufficiente ad individuarel’oggetto specifico che si presume sussistere in ogni persona dopo la pubertà, cioè dopo la pubertà (14 anni per la donna, 16anni per l’uomo) non c’è più ignoranza ma una piccola conoscenza.

c) L’erroreEsiste il vizio per errore di diritto (error iuris) o per errore di fatto (error facti ). L’errore di diritto riguarda le proprietà essenziali ela sacramentalità del matrimonio. Il can. 1099 afferma che l’errore circa l’unità o l’indissolubilità o la dignità sacramentale delmatrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non ne determini la volontà. Quindi se l’errore riguarda solo laconoscenza delle proprietà e dei fini del matrimonio è irrilevante giuridicamente. Diviene causa di invalidità quando, dalla sferaintellettiva, si passa in quella volitiva determinando così il consenso. Ad esempio l’erronea convinzione che il matrimonio siadissolubile incide se viene ad oggettivarsi nella volontà, allora l’errore diviene rilevante invalidando il consenso. L’errore di fattoinvece riguarda la persona dell’altro contraente il matrimonio, ad esempio è l’errore sull’identità fisica della persona che rendeinvalido il matrimonio (can. 1097) perché il consenso è viziato in ragione del fatto che il matrimonio riguarda una persona

concreta e determinata. Più complesso è il caso dell’errore su una qualità della persona, perché in genere questo errore nonincide sulla validità. Qualora la qualità della persona sia voluta direttamente e principalmente all’atto di esprimere il consenso, ilmatrimonio è nullo (can. 1097), in questo caso la qualità diventa l’oggetto del consenso matrimoniale. Un caso particolare èl’error redundans in errorem personae, cioè errore sulle qualità della persona che diviene errore di persona; è una fattispeciecontemplata nel codice del 1917 ma non più in quello vigente anche se è tuttora giuridicamente configurabile.

d) Il doloIl dolo (can. 1098) è stato inserito nell’ultimo Codice (1983) perché in passato non si riteneva opportuno dare importanza aquesto vizio poiché la maggior parte dei matrimoni erano basati su questo. Il consenso è viziato quando si pone in esseredolosamente un inganno, cioè il contraente venga indotto in errore su una qualità dell’altra parte e per ciò presti il consenso. Laqualità può essere fisica, morale, sociale ecc. ma deve essere essenziale per il matrimonio o deve avere una natura tale daturbare gravemente la vita coniugale. Il dolo può essere posto dall’altra parte contraente o da una terza persona, può consisterein un comportamento attivo o anche passivo od omissivo, purché esplicitamente diretto ad indurre in errore. Un esempio puòessere il caso di sterilità taciuta con inganno all’altra parte per evitare il sottrarsi di quest’ultima al matrimonio. E’ unadisposizione di diritto umano o di diritto divino? Esistono due teorie: di diritto umano perché posta dal legislatore, di diritto

naturale perché il consenso non è prestato validamente.e) La violenza e il timoreNessuno può validamente obbligarsi se non liberamente, questo principio si collega al diritto fondamentale del fedele ad essereimmune da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita (can. 219). Di conseguenza un consenso matrimoniale estortocon violenza o timore non è valido. Nel caso della violenza fisica, il consenso viene addirittura a mancare (can. 125). Piùfrequente è il caso della violenza morale o del timore (metus), qui il consenso sussiste ma è viziato (can. 125). Per provarel’invalidità occorre che la violenza sia: oggettivamente grave, tale da annullare la libertà di determinazione; incussa dall’esterno;prodotta dal comportamento volontario di un’altra persona e non da eventi naturali; efficace, cioè colui il quale subisce laviolenza ha come unica via per sottrarsi ad essa il matrimonio. Una fattispecie particolare è il timore reverenziale (metusreverentialis), che si produce in un rapporto caratterizzato da vincoli di dipendenza affettiva o psicologica. La caratteristica diquesto metus è che non produce elementi di violenza fisica o morale, ma condizionamenti del consenso derivanti da ricattiaffettivi o da abusi di autorità. Le preghiere, le suppliche, le espressioni di dolore o di disappunto, i ricatti psicologici, sono fattoriche costringono un soggetto a contrarre matrimonio. Ordinariamente questi fattori non invalidano un matrimonio, ma quandooggettivamente diventano forme di pressione gravi e soggettivamente vengono da persone con forte personalità allora possonoinvalidare un matrimonio.

f) La simulazioneSi parla di simulazione (can. 1101) quando ricorra una divergenza tra la manifestazione esterna del consenso matrimoniale el’interno volere, esternamente si esprime la volontà di contrarre matrimonio ma internamente non si vuole. In questo caso ilnubente vuole un matrimonio diverso rispetto a quello che intende la Chiesa, quindi vi è una finzione del consenso. La

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simulazione può essere totale o parziale: totale quando non si vuole il matrimonio o si vuole per finalità diverse; parzialequando la volontà del soggetto è diretta a costituire il matrimonio ma con esclusione di elementi essenziali. La fattispecie siverifica quando esternamente il nubente esprime il consenso matrimoniale, ma internamente esclude l’unità del matrimonio(bonum fidei ), o la sua indissolubilità (bonum sacramenti ), o il bene dei coniugi (bonum coniugum), o la generazione della prole(bonum prolis), o il valore della sacramentalità. La simulazione può essere bilaterale o unilaterale (riserva mentale); lasimulazione unilaterale è giuridicamente irrilevante in diritto civile, lo è invece in diritto canonico. Perché il matrimonio siainvalido per simulazione non è sufficiente una generica intenzione contro il matrimonio, bensì ci vuole un atto positivo di volontà

diretto ad escludere il matrimonio stesso. Secondo il can. 1101 il consenso interno dell’animo si presume conforme alle parole oai segni adoperati nel celebrare il matrimonio, si ha cioè la presunzione di conformità della dichiarazione esterna alla volontàinterna. Si tratta di una praesumptio iuris, cioè una congettura probabile di un fatto incerto stabilito dalla legge, inoltre è unapresunzione iuris tantum poiché ammette la prova contraria. La presunzione è da collegare al can. 1060 in cui è consacrato ilprincipio del favor matrimonii , cioè in caso di dubbio si debba stare, fino a prova contraria, per la validità del matrimonio. Lapresunzione risponde ad un dato di comune esperienza, poiché normalmente c’è coincidenza tra manifestazione esterna edinterno volere, quindi qualunque consenso si deve ritenere conforme alla sua manifestazione esterna, purché sia intervenuta laspecies seu figura matrimonii .

g) La condizioneIl consenso si può viziare a causa di una condizione, per cui la validità o meno del contratto matrimoniale dipende dallasussistenza di una determinata circostanza (can. 1102). Il diritto canonico esclude la validità del matrimonio contratto concondizione propria, cioè condizione de futuro con effetti sospensivi , perché non si possono lasciare in sospeso gli effetti

giuridici e spirituali del matrimonio-sacramento al verificarsi futuro ed incerto di un determinato fatto. Un caso particolare èquello della condizione potestativa, la quale riguarda un fatto la cui realizzazione dipende dalla volontà dell’altra parte. Invece ilcaso della condizione de futuro con effetti risolutivi è una condizione al verificarsi della quale il matrimonio verrebbe meno,quindi in realtà si verserebbe in una simulazione per esclusione della indissolubilità. Viceversa il diritto canonico ammette lacelebrazione del matrimonio sotto condizione passata o presente, per cui il matrimonio è valido o meno a seconda se sussista omeno il fatto dedotto in condizione (can. 1102). La ragione per cui il diritto canonico ammette rilievo giuridico alla condizione è digarantire il reale consenso degli sposi. L’apposizione di condizioni de praeterito o de praesenti costituisce tuttavia un elementodi grave turbativa del consenso e del bene spirituale degli sposi, per questo esiste una disposizione nello stesso can. 1102secondo cui non si può porre la condizione se non con la licenza scritta dell’Ordinario del luogo. Tale licenza è richiesta ad liceitatem e non ad validitatem, quindi il matrimonio contratto sotto condizione passata o presente senza detta licenza sarebbeillecito ma non invalido.

Gli impedimentiGli impedimenti sono fatti o circostanze che rendono la persona inabile a contrarre matrimonio validamente (can. 1073). Si

classificano in dirimenti (rendono invalido il matrimonio) e impedienti (lo rendono illecito ma non invalido), il codice del 1983contempla però solo i dirimenti. Si distinguono in impedimenti di diritto divino o di diritto ecclesiastico: i primi sono dichiarati talidalla suprema autorità della Chiesa (can. 1075) e non possono mai essere dispensati; i secondi sono sempre posti dalla stessaautorità suprema (can. 1075) però possono essere dispensati. Nel primo caso la suprema autorità svolge una funzionemagisteriale (munus docendi ) cioè l’insegnamento dei limiti posti dal legislatore divino, nel secondo caso svolge il propriomunus regendi ponendo ulteriori ostacoli alla celebrazione del matrimonio. Il potere di stabilire impedimenti è riservato allasuprema autorità ecclesiastica, quindi gli impedimenti sono legislativamente predefiniti e le norme che li contemplano sonosoggette ad interpretazione restrittiva così il legislatore canonico particolare non può porre nuovi impedimenti o derogareimpedimenti vigenti (cann. 1075 e 1077); per lo stesso motivo non è ammessa in materia di impedimenti la consuetudine (can.1076). L’Ordinario del luogo può soltanto stabilire un divieto temporaneo al matrimonio per un caso peculiare, per una causagrave e limitatamente alla permanenza di questa; tale divieto ha forza impediente e non dirimente quindi il matrimonio è illecitoma non invalido. Gli impedimenti, da un punto di vista probatorio, si distinguono in pubblici e occulti: sono pubblici quelli chepossono essere provati in foro esterno (can. 1074), gli altri sono detti occulti. Il potere di dispensa per gli impedimenti di dirittoecclesiastico spetta alla Santa Sede e all’Ordinario del luogo (cann. 1078 – 1082): la Santa Sede ha potere generale di

dispensa, l’Ordinario invece può dispensare limitatamente al territorio da tutti gli impedimenti, tranne quelli riservati alla SantaSede (l’ordine sacro, il voto pubblico di castità, il crimine). C’è un ampliamento delle competenze dell’Ordinario nel caso diurgente pericolo di morte e nel caso che la sussistenza di un impedimento dispensabile risulti quando già è tutto pronto e non èpossibile attendere la dispensa dalla Santa Sede. Infatti per avere la dispensa è necessario che ricorra una causa giusta eragionevole. Gli impedimenti sono suddivisi nel codice in tre categorie: capacità personale, comportamento delittuoso,vincoli di parentela. Della prima categoria fanno parte l’età, l’impotenza, il precedente matrimonio, la disparità di culto e l’ordinesacro; della seconda fanno parte il coniugicidio e il ratto; della terza fanno parte la parentela, l’affinità, la pubblica onestà el’adozione.

- L’etàSecondo il can. 1083 non possono contrarre validamente matrimonio l’uomo che non abbia compiuto i sedici anni e la donnache non ne abbia compiuto quattordici. Questo impedimento nasce con l’esigenza di garantire che i nubendi abbiano raggiuntola maturità biologica e psicologica necessaria, quindi il legislatore ha fissato un limite minimo che ovviamente può noncoincidere con l’effettiva maturazione del singolo, da qui la possibilità di dispensa dall’impedimento. Il legislatore canonico haanche previsto che le Conferenze episcopali possono fissare un’età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio (can.1083) altrimenti il matrimonio sarebbe valido ma illecito. Ad esempio la Conferenza episcopale italiana ha fatto uso di talefacoltà in considerazione dell’età nuziale fissata dal legislatore civile (art. 84 CC) e grazie all’art. 8 del Concordato fra la SantaSede e l’Italia i matrimoni canonici possono conseguire effetti civili. Perciò viene considerato un impedimento di diritto divinofino alla pubertà, dopo la pubertà invece di diritto umano.

- L’impotenza

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L’impedimento di impotenza può essere di due tipi: impotentia coeundi , cioè l’incapacità di avere rapporti sessuali causata damalformazioni fisiche o cause psicologiche, e impotentia generandi , cioè l’individuo non è in grado di procreare ma solo dicompiere l’atto. L’impotentia coeundi è quindi l’impossibilità di compiere, per anomalie organiche o psichiche, la copulaconiugale, cioè l’atto con cui i coniugi divengono una caro. Può essere dell’uomo o della donna, può essere assoluta, cioè neiconfronti di tutti, o relativa, solo nei confronti di una persona determinata. E’ un impedimento di diritto divino naturale e quindinon può essere dispensato. Per rendere nullo il matrimonio l’impotenza deve essere (can. 1084) precedente al matrimonio, cioèsussistente al momento del consenso, e perpetua, cioè non curabile; se l’impedimento è dubbio, il matrimonio non può essere

impedito (can. 1084). L’impotentia generandi o sterilità, invece, che può riguardare sia l’uomo che la donna, non impedisce ilmatrimonio né lo rende invalido (can. 1084) poiché la sterilità non impedisce ai coniugi di porre in essere l’atto sessualenaturale.

- Il precedente matrimonioL’impedimento del precedente vincolo matrimoniale (can. 1085) vuole tutelare le proprietà del matrimonio: l’unità, quindil’esclusività del rapporto fra i coniugi, e l’indissolubilità, per cui il matrimonio si scioglie solo con la morte di uno dei due coniugi.Quindi è un impedimento di diritto divino e non può mai essere dispensato. Per far sì che l’impedimento sussista è necessarioche ci sia un matrimonio validamente contratto. L’eventuale divorzio civile non fa venire meno l’impedimento perché ilmatrimonio per la dottrina cattolica è indissolubile; l’impedimento viene meno se il precedente matrimonio sia stato dichiaratonullo o nei casi specifici in cui il diritto canonico ammette lo scioglimento (dispensa dal matrimonio rato e non consumato,privilegio paolino e petrino).

- La disparità di cultoL’impedimento è fra una persona battezzata nella Chiesa cattolica e una persona non battezzata (can. 1086). Questoimpedimento nasce dalle difficoltà che possono insorgere nei matrimoni misti sia per la fede, sia per l’educazione cattolica dei

figli (can. 226; can. 793). E’ un impedimento di diritto ecclesiastico perciò è dispensabile, ma ad alcune condizioni tra cui lapromessa sincera della parte cattolica di fare quanto è in suo potere perché i figli siano battezzati ed educati nella Chiesacattolica (can. 1125).

- L’ordine sacro e il voto religioso perpetuoL’impedimento per ordine sacro (can. 1087) deriva dall’obbligo del celibato previsto nella Chiesa (can. 277), si tratta quindi di unobbligo di non sposare che si è affermato nell’età medievale per due ragioni: una ragione spirituale, per una piena ed indivisaadesione a Cristo, e una ragione pratico-pastorale, per una maggiore disponibilità al servizio divino e dei fedeli. E’ dispensabilema solo dalla Santa Sede in caso di vocazione viziata o nel caso in cui il chierico abbia abbandonato la vita sacerdotale.L’impedimento per voto religioso perpetuo riguarda coloro che hanno emesso il voto pubblico e perpetuo di castità in un istitutoreligioso (can. 1088). In questo caso il divieto non deriva da un obbligo esterno ma è la conseguenza della libera scelta delsoggetto che rinuncia all’esercizio della sessualità (can. 573). E’ un impedimento di diritto ecclesiastico per cui è dispensabilema solo dal Pontefice.

- Il rattoQuesto impedimento è diretto a garantire pienamente la libertà della donna a contrarre matrimonio e a sposare una persona

determinata, inserito all’epoca del concilio per tutelare il sesso debole da questa usanza. Secondo il can. 1089 non è possibilecostituire un valido matrimonio fra l’uomo e la donna rapita purché ciò sia fatto allo scopo di contrarre matrimonio.L’impedimento non è dispensabile, ma viene meno una volta che la donna separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro,abbia la libertà di determinarsi e scegliere spontaneamente di contrarre matrimonio con l’uomo che l’ha rapita. Ci sono duerequisiti: è la donna che deve essere rapita, l’autore deve agire con l’intento di contrarre matrimonio.

- Il crimineQuesto impedimento sorge nel caso di coniugicidio. Per il can. 1090 esistono due diverse fattispecie: il caso di chi uccide (o fauccidere) il coniuge di un’altra persona con cui vuole contrarre matrimonio o il proprio; il caso di coloro che hanno cooperatofisicamente o moralmente all’uccisione del coniuge di uno dei due, anche se non al fine di sposarsi. La ragione di questoimpedimento è la tutela della vita e la salvaguardia della positività del modello matrimoniale. E’ un impedimento di dirittoecclesiastico e quindi è dispensabile, ma la gravità ha indotto il legislatore a riservare alla Santa Sede il potere di dispensa.

- La consanguineità e l’affettivitàL’impedimento di consanguineità riguarda tutti coloro che discendono da un antenato comune. Secondo il can. 1091 è nullo ilmatrimonio contratto tra consanguinei in linea retta, in qualsiasi grado; quello contratto tra consanguinei in linea collaterale è

nullo fino al quarto grado incluso (fratelli, zio e nipote, cugini primi). E’ un impedimento di diritto divino e quindi non dispensabile.Secondo il can. 1094 c’è il divieto di contrarre matrimonio a coloro che sono uniti, in linea retta o nel secondo grado della lineacollaterale, da parentela sorta da adozione. Questo impedimento è detto di parentela legale e nasce dal fatto che l’adozioneconferisce all’adottato lo stato di figlio legittimo riconosciuto dal diritto canonico; è un impedimento di diritto umano quindidispensabile anche se è molto difficile. L’affinità è il vincolo che sussiste tra i l coniuge e i consanguinei dell’altro coniuge. E’riservato in linea retta ai consanguinei dell’altro coniuge legati a quest’ultimo da un rapporto di discendenza l’uno dall’altro,altrimenti è in linea collaterale. Per il can. 1092 l’affinità in linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado; è unimpedimento di diritto ecclesiastico e quindi è dispensabile.Il sistema romanistico ci ha tramandato che l’impedimento di consanguineità è infinito in linea retta (padre, figlio, nonno) mentrein linea collaterale fino al quarto grado incluso (dal codice del 1983) e indica tutti quelli che hanno in comune un capostipite.

- La pubblica onestàLa pubblica onestà ( publica honestas) è un impedimento che nasce dal matrimonio invalido in cui c’è stata vita comune, cioè ilmatrimonio putativo, o da concubinato pubblico e notorio (can. 1093). Questo impedimento è sorto perché quando vi è unasentenza di nullità di un matrimonio cessa anche l’affinità, allora la Chiesa ha previsto questo impedimento perché riteneva

sconveniente un matrimonio con il consanguineo di una persona con la quale si sia intrattenuta una relazione intima.L’impedimento di pubblica onestà rende nulle le nozze nel primo grado della linea retta tra il coniuge e i consanguinei dell’altro;è di diritto ecclesiastico e perciò può essere dispensato.

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La forma canonica di celebrazioneIl matrimonio è un negozio a forma vincolante, quindi l’inosservanza della forma di celebrazione comporta l’invalidità delmatrimonio. Ovviamente si tratta della forma giuridica o canonica che si distingue dalla forma liturgica, la quale non è unrequisito di validità del matrimonio. L’obbligo di scambiare il consenso matrimoniale in una forma giuridica predeterminata ad valitatem è stato introdotto dal Concilio di Trento, con il decreto Tametsi del 1563. Prima del Concilio bastava lo scambio diconsensi e non era obbligatoria la pubblicità quindi era nato il problema dei matrimoni clandestini, cioè quei matrimoni celebratial di fuori di qualunque forma solenne e pubblica. Questi matrimoni portavano delle conseguenze negative sul piano morale esociale anche perché risultavano di difficile o impossibile prova, lasciando incerto lo stato giuridico delle persone coinvolte nelrapporto. In particolare era difficile l’accertamento della effettiva volontà delle parti: il matrimonio, con la nascita di una legittimaconvivenza, l’acquisto dello status giuridico di coniugi e la legittimità dei figli eventualmente generati; o solo una promessa dimatrimonio, con conseguente illegittimità di convivenza e della prole e non acquisto dello stato coniugale. Con il decreto Valenzi fu stabilito che i matrimoni celebrati fino a quel momento erano considerati validi anche se celebrati in altre forme, mentre daquel momento in poi i matrimoni per essere validi dovevano essere celebrati con la forma stabilita dalla Chiesa. L’entrata invigore di questo decreto era prevista entro trenta giorni ma non fu subito pubblicato in tutte le diocesi quindi troviamo unasituazione di incertezza poiché i luoghi tridentini avevano ricevuto il decreto e gli altri invece no. Dal 1907 invece questo decretovenne esteso a tutta la Chiesa.Sono obbligati alle disposizioni canoniche tutti i battezzati nella Chiesa cattolica (can. 1117). La forma ordinaria (can. 1108)consiste nello scambio del consenso tra gli sposi alla presenza di un testimone qualificato (testis qualificatus), l’Ordinariodel luogo o il parroco (o un sacerdote o un diacono se delegati), e di almeno due testimoni comuni (testes communes). Ilministro sacro assiste alla celebrazione, in quanto chiede la manifestazione del consenso e la riceve in nome della Chiesa, manon amministra il sacramento perché a farlo sono gli stessi sposi. Lo scambio del consenso deve avvenire con parole alla

contemporanea presenza degli sposi , sia di persona che tramite procuratore (can. 1104). Prima della celebrazione sonoeffettuate le pubblicazioni, con cui si accerta che nulla impedisca che il matrimonio sia contratto lecitamente e validamente(cann. 1066 – 1067). Le pubblicazioni sono sostituibili con altri mezzi di accertamento.Vi sono anche forme straordinarie di celebrazione:

- lo scambio del consenso davanti ai soli testimoni comuni (coram solis testibus) senza la presenza del ministro sacro

(can. 1116) in caso di pericolo di morte di uno o di entrambi gli sposi e non è possibile avere la presenza di un ministrodi culto entro un mese; questo caso ricorre in particolare nei territori di missione

- il matrimonio segreto (omissis denunciationibus et secreto) (cann. 1130 – 1133), al quale si ricorre per ragioni

pastorali, cioè per togliere da una situazione di peccato, ad esempio, due concubini o due persone conviventi da anni eche tutti ritengono sposati; infatti la pubblica celebrazione potrebbe suscitare disappunto o addirittura scandalo, di quila segretezza della celebrazione alla presenza del ministro sacro e dei due testimoni ma senza le previe pubblicazionie con il vincolo di segretezza per coloro che intervengono; il matrimonio così celebrato non viene annotato nel registroparrocchiale dei matrimoni ma in uno speciale registro conservato presso la curia della diocesi

- matrimoni misti tra un battezzato e un non battezzato (cann. 1124 ss), in questo caso l’autorità ecclesiastica puòpersino dispensare dall’obbligo della forma canonica purché rimanga la necessità della celebrazione del matrimonio inuna qualche forma pubblica (can. 1127) e il consenso venga espresso contemporaneamente; questa potrebbe esserela forma del matrimonio civile che in tal caso sarebbe matrimonio canonico.

Gli effetti del matrimonioSacramento è il matrimonio come atto, non il rapporto che dura nel tempo. Per questa ragione il diritto canonico si occupadell’atto e non del rapporto. Infatti nei cann. 1134 – 1140 il legislatore canonico si limita a dettare alcune disposizioni precisandoche una volta celebrato il matrimonio sorge tra gli sposi un vincolo perpetuo ed esclusivo, e che gli stessi sposi sono sostenutidalla speciale grazia conferita loro dal sacramento. E’ posto il principio dell’eguaglianza in quanto a doveri e diritti dei coniugi; ildiritto dovere di curare l’educazione non solo fisica, sociale e culturale, ma anche morale e religiosa della prole; l’attribuzionedello stato di figlio legittimo a chi è nato da matrimonio valido. Il diritto canonico considera padre il legittimo marito della donnache ha partorito e presume come legittimi i figli nati almeno 180 giorni dopo la celebrazione del matrimonio o entro 300 giornidallo scioglimento della vita coniugale; è una presunzione iuris tantum quindi ammette una prova contraria. Il diritto canonicoprevede anche l’istituto della legittimazione del figlio nato fuori dal matrimonio, che può avvenire qualora i genitori naturali sisposino (legittimazione per susseguente matrimonio) o per provvedimento della Santa Sede (con rescritto pontificio). I figlilegittimati sono del tutto equiparati ai legittimi perché l’ordinamento canonico non pone trattamenti giuridici discriminatori.Per quanto riguarda gli effetti civili, se gli Stati hanno ritenuto di istituire un proprio matrimonio (matrimonio civile) non tutti gliStati hanno ritenuto di doverlo rendere obbligatorio per tutti (come la Francia); più precisamente non sempre gli Stati hannoritenuto di dover considerare esclusivamente il proprio matrimonio come atto capace di far conseguire gli status familiari, mariconoscono giuridica rilevanza al matrimonio religioso, in particolare al matrimonio canonico. A volte ciò è avvenuto per iniziativa unilaterale statale, altre volte per via di accordi dell’autorità statale con la Chiesa. Un esempio del primo caso è nell’art.163 della Costituzione del Brasile (1967) in ossequio al principio della libertà di coscienza e del libero esercizio di culto ègarantita la libertà di contrarre matrimonio in forma religiosa o in forma civile, precisando che il matrimonio religioso ha effetticivili; ancora negli Stati Uniti è riconosciuta agli sposi la libertà di celebrare il matrimonio in forma religiosa o in forma civile,fermo restando che agli effetti del riconoscimento civile il matrimonio è regolato dalla legge civile sia per i requisiti materiali siaper la forma. Un esempio del secondo caso è l’art. 8 del Concordato italiano, che riconosce gli effetti civili ai matrimoni contrattisecondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile; inoltre aggiungeche le sentenze di nullità di matrimonio dei tribunali ecclesiastici sono dichiarate efficaci nella Repubblica italiana.

Nullità e convalidazione del matrimonioIl matrimonio è contratto invalidamente se c’è un vizio del consenso, un impedimento non dispensabile o non dispensato, unvizio di forma. A differenza del diritto civile, che contempla la nullità (anomalia radicale dell’atto che coinvolge la sua essenza

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ontologica) e l’annullabilità (anomalia più limitata e relativa che non coinvolge l’atto nella sua essenza), il diritto canonicocontempla solo casi di nullità. Il contratto matrimoniale, quindi, è inefficace e senza effetto sin dall’origine e la relativa nullità puòessere giudizialmente accertata in ogni tempo. Infatti la sentenza di nullità produce effetti retroattivamente (ex tunc ) fatti salvi glieffetti del cosiddetto matrimonio putativo, che si ha quando sia stato celebrato in buona fede da almeno una delle parti efintanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità (can. 1061). Quindi il matrimonio putativo produce glistessi effetti del matrimonio validamente contratto per quanto riguarda la legittimità dei figli (can. 1137) o la loro legittimazioneper susseguente matrimonio (can. 1139). Il matrimonio canonico è considerato inesistente qualora manchi addirittura l’atto o

esso si presenti anomalo rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore; ad esempio il caso del consenso matrimoniale postoper scherzo (ioci causa) o sulla scena teatrale da due attori. Il matrimonio è oggetto di particolare favore nell’ordinamentocanonico (favor matrimonii ), che si esprime nella presunzione (iuris tantum) per cui nel dubbio il matrimonio si deve ritenerevalido fino a prova contraria (can. 1060) e che si manifesta nella possibilità offerta dall’ordinamento agli sposi di convalidare ilmatrimonio, solo nel caso in cui venga meno il motivo che ha prodotto l’invalidità. Questo principio non si applica sempre, comead esempio nel matrimonio legittimo tra infedeli, perché la salus animarum (favor fidei ) è considerata più importante del favor matrimonii . Dunque in presenza di vizi i coniugi possono scegliere se: chiedere l’annullamento, continuare a convivere comefratello e sorella, chiedere la convalida.La convalidazione del matrimonio si ha nella forma della convalidazione semplice (convalidatio simplex ) (cann. 1156 – 1160)cioè la rinnovazione del consenso di entrambe o almeno una delle parti purché l’altra perseveri nel consenso dato all’atto dellacelebrazione. Se il matrimonio è nullo a causa di un impedimento, il consenso può essere rinnovato solo se l’impedimento èvenuto meno o è stato dispensato; se è nullo a causa di un vizio del consenso, chi è stato causa della nullità deve rinnovare ilconsenso e l’altra parte deve perseverare il suo; se il vizio deriva dalla forma, il consenso deve essere rinnovato secondo lemodalità prescritte dal diritto. La convalidazione semplice può avvenire in modalità diverse, a seconda se il motivo sia pubblico

o occulto (can. 1074): se il motivo è pubblico, la volontà matrimoniale deve essere nuovamente espressa in forma pubblica; se ilmotivo è occulto, è sufficiente il rinnovo del consenso in segreto. Un altro t ipo di convalida è la sanazione in radice (sanatio inradice) mediante la quale, quando il matrimonio è invalido per un impedimento o vizio di forma ma il consenso era valido, puòessere sanato per concessione dell’autorità ecclesiastica competente. Questa concessione può essere data anche all’insaputadelle due parti o di una di esse, purché perseveri il consenso e l’impedimento sia venuto meno o sia stato dispensato. E’ quindiun atto amministrativo che comporta la dispensa dell’impedimento o del vizio. La sanatio in radice non può applicarsi nel caso dimatrimonio nullo per mancanza o per vizio del consenso perché per il diritto canonico il consenso delle parti non può esseresupplito da nessuna potestà (can. 1057).

Separazione e scioglimento del matrimonioL’essenza della condizione matrimoniale è data dalla comunità per tutta la vita (consortium totius vitae: can. 1055) checomporta il dovere di osservare la coabitazione tra gli sposi, quindi la comunanza di letto, di mensa e di abitazione (communiotori, mensae et habitationis). Questo dovere può venire meno solo per: adulterio, grave compromissione del bene spirituale ocorporale di uno dei coniugi o della prole, la durezza della vita comune (cann. 1151 – 1155). La separazione consiste nella

possibilità di vivere separatamente per cause legittime mantenendo fermo il vincolo coniugale. Il diritto canonico tende a favoriresia il perdono sia la riconciliazione tra i coniugi, ferma restando che la separazione non fa venire meno l’obbligo della fedeltà edella indissolubilità come gli obblighi per il sostentamento e l’educazione dei figli. La separazione personale dei coniugibattezzati è di competenza dell’autorità ecclesiastica (can. 1692) anche se non esclude una competenza dell’autorità civile (can.1692). Tuttavia la possibilità di deferimento della causa al giudice civile non legittima i coniugi cattolici a separarsi a condizionidiverse da quelle previste dal diritto canonico. Il matrimonio canonico è perpetuo e indissolubile, una volta che sia rato econsumato non può essere sciolto per nessuna ragione e da nessuna autorità, pertanto viene meno solo con la morte di uno deiconiugi (can. 1141). Esistono tuttavia due casi di scioglimento del vincolo matrimoniale, la ragione è che solo il matrimonio ratoe consumato è per diritto divino assolutamente indissolubile, gli altri matrimoni non godono di una indissolubilità estrinsecaassoluta mancando l’elemento della consumazione o della sacramentalità.Il primo caso è quello del matrimonio rato e non consumato tra battezzati o tra una parte battezzata ed una non battezzata,viene detta dispensa dal matrimonio rato e non consumato (can. 1142; per il procedimento cann. 1697 – 1706). Se è veroche il matrimonio canonico ha come unica causa efficiente il consenso, è anche vero che solo con la consumazione si realizzaquell’una caro in cui gli sposi divengono integralmente una cosa sola e si compie radicalmente il dono reciproco di sé, dono chenon può più essere ripetuto. Nella dispensa super rato la mancata consumazione impedisce l’attuazione nella sua pienezza delsegno sacramentale dell’unione fra Cristo e la Chiesa. La non consumazione, per poter essere causa dello scioglimento, nondeve derivare da anomalie fisiche o psichiche che impediscono la copula perché si rientrerebbe nella fattispecie tipicadell’impotenza. Per poter ottenere lo scioglimento la non consumazione deve verificarsi dopo la celebrazione del matrimonio,deve essere debitamente accertata dalla Santa Sede e deve inoltre sussistere una giusta causa: ad es. l’odio tra i due coniugi,se è stata chiesta la separazione civile ecc. Lo scioglimento avviene con provvedimento pontificio di dispensa che può essererichiesto da entrambi i coniugi o da uno solo anche se l’altro sia contrario; è un provvedimento di carattere amministrativo cheviene concesso dal Pontefice e si dice dato “graziosamente” cioè come grazia per cui i coniugi non hanno un diritto soggettivoad ottenerlo ma una mera aspettativa. La facoltà pontificia di sciogliere si estende al di là del solo matrimonio rato; la dispensasi può avere infatti anche nel caso di matrimonio tra un battezzato e un non battezzato.L’altro caso è il cosiddetto privilegio paolino, perché trova fondamento teologico nella prima lettera ai Corinti di s. Paolo. Il can.1143 prevede le condizioni per sciogliere un matrimonio naturale anche se sia stato consumato ma che sia contratto: tra nonbattezzati; se successivamente uno dei coniugi ha ricevuto il battesimo; se la parte non battezzata non voglia farsi battezzare enon viva pacificamente con il coniuge. Lo scioglimento avviene quando la parte battezzata celebra a norma del diritto canonicoun nuovo matrimonio. A questa fattispecie ne viene assimilata un’altra detta privilegio petrino (cann. 1148 – 1149), cioè

quando il pagano poligamo riceve il battesimo e non può o gli è gravoso rimanere solo con il primo coniuge, può scegliere unofra i vari coniugi e sposarlo canonicamente; oppure quando il pagano che riceve il battesimo non può ristabilire la convivenzacon il coniuge naturale a causa della prigionia o della persecuzione. Nel privilegio paolino lo scioglimento è giustificato dal fattoche il bene della fede prevale sull’indissolubilità; è una rescissione del contratto matrimoniale perché concluso a condizioni

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inique fra i soggetti che erano ottenebrati dall’intelletto in quanto si trovavano in infidelitate; cioè essi da non battezzati nonpotevano percepire il primato assoluto del bene della fede. Nel caso della dispensa super rato è una risoluzione del contrattoper un vizio attinente al funzionamento dello stesso: la mancata consumazione, la dissociatio animorum.

I beni della Chiesa

Un problema di legittimazione

Con il precedente codice del 1917, la dottrina canonistica ricercava i principi legittimanti il godimento di quei beni temporali, dicui rivendicava il diritto della Chiesa ad acquisirli e amministrarli liberamente (can. 1495 codice pio-benedettino). Questo per l’esigenza etica di evitare un irragionevole accumulo di beni temporali al di là delle obbiettive esigenze ed evitare un loro utilizzoper finalità estranee alla Chiesa. Il ricorso ai beni terreni si giustifica solo nella misura in cui è strettamente necessario alla vitadella comunità e all’aiuto dei poveri. I beni della Chiesa, diceva s. Ambrogio, sono “ patrimonia pauperum ” cioè bene dei poveri.Sul piano tecnico – giuridico questa ricerca è volta alla precisa individuazione delle finalità proprie del patrimonio ecclesiastico,da queste si passa poi alla elaborazione di criteri per una sana amministrazione e per un corretto esercizio dei poteri di controlloe vigilanza. Il legislatore del codice vigente, consapevole di questa esigenza, ha colmato la lacuna. Infatti il can. 1254, che apreil libro V intitolato “I beni temporali della Chiesa”, afferma che la Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dalpotere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri; cioèquesti beni sono destinati ad ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero, esercitare opere diapostolato sacro e di carità, specialmente al servizio dei poveri. Questo sensibile miglioramento della tecnica di legiferazione èun’applicazione di quanto prescritto dal Concilio Vaticano II costituendo il criterio di legittimazione della disponibilità e delgodimento dei beni temporali da parte di una Chiesa che vuole essere povera.

I beni ecclesiasticiIl codice non detta una definizione chiara, ma nel can. 1257 troviamo due parametri per individuare i beni detti ecclesiastici: inprimo luogo sono beni temporali , distinti dai beni spirituali; in secondo luogo sono beni appartenenti alla Chiesa, alla Sede Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nell’ordinamento canonico. Nel can. 1257 e 1254 troviamo precisamente ilconcetto giuridico di “beni ecclesiastici” sia sotto il profilo soggettivo, quei beni appartenenti a persone giuridiche pubbliche nellaChiesa, sia sotto il profilo oggettivo, quei beni temporali la cui destinazione è vincolata alle individuate finalità della Chiesa. Aquesta categoria possiamo ricondurre beni di diverso genere: beni materiali (res corporales) cioè le parti del mondo sensibileaventi un valore economico, e beni immateriali (res incorporales); i beni immobili e i beni mobili; le res sacrae, cioè quelle coseche con la consacrazione o con la benedizione sono immediatamente destinate al culto divino. Fra i beni ecclesiastici e le ressacrae non c’è identificazione, infatti i beni ecclesiastici non sono costituiti solo da res sacrae e queste ultime possono trovarsiin proprietà di privati. Le res sacrae, anche in proprietà di privati, non sono oggetto del diritto canonico. Ad es. nel can. 1205sono dettate norme minuziose sui luoghi sacri, cioè quei luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedelimediante la dedicazione o la benedizione. Il codice parla genericamente di beni temporali della Chiesa, senza ulterioridistinzioni. Il patrimonio ecclesiastico è costituito dunque dai beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche, cioè secondo ilcan. 116, quegli insiemi di persone o cose (universitates personarum aut rerum) costituite dalla competente autoritàecclesiastica perché compiano in nome della Chiesa il compito ad essa affidato. Esse acquistano la personalità giuridica o ipsoiure, cioè per disposizione di legge, o con provvedimento amministrativo della competente autorità ecclesiastica (can. 116).Sono persone giuridiche pubbliche ipso iure: le Chiese particolari (can. 373); le province ecclesiastiche (can. 432); leconferenze episcopali (can. 449); le parrocchie (can. 515); i seminari (can. 238); gli istituti religiosi, le loro province e case (can.634). E’ da considerarsi conservata la personalità giuridica ipso iure del collegio cardinalizio (cann. 349 – 359) e dei capitoli deicanonici (cann. 503 – 510). Possono acquistare personalità giuridica con decreto dell’autorità ecclesiastica: le regioniecclesiastiche (can. 433); le conferenze dei superiori maggiori (can. 709); le Università cattoliche (can. 807) e le Università eFacoltà ecclesiastiche (cann. 815 – 816); le associazioni pubbliche di fedeli (can. 301); le pie fondazioni autonome (can. 1303).Il codice conferisce la qualificazione di “persone morali” alla Sede Apostolica e alla Chiesa universale (can. 113) ponendole al disopra delle altre per la loro origine divina.

La costituzione del patrimonio ecclesiasticoEsistono due modi di acquisto dei beni temporali da parte della Chiesa: uno di diritto privato (can. 1259), cioè facendo ricorsoagli istituti giuridici previsti dai diritti secolari per l’acquisto del diritto di proprietà; l’altro di diritto pubblico, cioè attraversol’esercizio del potere di imperio della Chiesa, che può imporre alle persone fisiche e giuridiche ad essa soggette di devolvereparte dei loro redditi agli enti ecclesiastici. La Chiesa ha infatti il diritto di esigere dai fedeli quanto le è necessario per le finalitàsue proprie (can. 1260) e i fedeli sono invitati a contribuire alle necessità della Chiesa (can. 1262). Dobbiamo quindi distinguere

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tra: i tributi , cioè le prestazioni dovute al mero titolo di appartenenza ad una Chiesa; le tasse, cioè le prestazioni dovute incompenso di atti della potestà esecutiva a vantaggio dei singoli fedeli; le oblazioni o offerte, da farsi in occasionedell’amministrazione dei sacramenti e sacramentali. Nell’ultimo caso si tratta di prestazioni avente una certa doverosità macomunque volontarie, per evitare ogni erronea impressione che la prestazione pecuniaria del singolo fedele corrispondesse alvalore del sacramento o peggio che i sacramenti fossero amministrati a pagamento (simonia). Per quanto riguarda leacquisizioni di carattere pubblico invece distinguiamo tra: le questue (can. 1265), cioè le offerte di fedeli per un fine religioso,raccolte attraverso inviti generalizzati e che possono essere effettuate solo previa autorizzazione, fatta eccezione per i religiosi

mendicanti; le collette speciali (can. 1266), da effettuarsi nelle chiese e negli oratori aperti al pubblico, disposte dallacompetente autorità ecclesiastica. A differenza del passato, si è cercato di ridurre l’esercizio del potere di imposizione per accentuare l’aspetto della libera e responsabile partecipazione. Tra i doveri e i diritti fondamentali dei fedeli c’è anche l’obbligodi sovvenire alle necessità della Chiesa, perché questa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere diapostolato e di carità, per il sostentamento del clero (can. 222).

L’amministrazione dei beni ecclesiasticiIl diritto canonico precisa quali sono gli organi legittimati a porre in essere gli atti necessari all’incremento, alla conservazione,alla fruizione e all’alienazione del patrimonio ecclesiastico. Amministratore della persona giuridica pubblica è colui che presiedea norma di legge o per disposizioni statuarie o fondazionali (can. 1279). Esempi di amministratori ex lege sono il Vescovo per ladiocesi (can. 393) e il parroco per la parrocchia (can. 532); esempi di amministratori determinati dagli statuti o dalle tavole difondazione sono quelli dei capitoli (cann. 505 – 506), delle associazioni pubbliche di fedeli (can. 319), delle fondazioni pieautonome (can. 1303). Gli amministratori sono tenuti ad adempiere ai loro compiti in nome della Chiesa (can. 1282) ed èescluso che essi possano agire come titolari di un mandato senza rappresentanza (art. 1705 CC). E’ impedita la regolare

amministrazione del patrimonio: nei casi di difetto o di negligenza dei legittimi organi di amministrazione, allora il potere èattribuito all’autorità gerarchicamente sovraordinata (il Pontefice, can, 1273; l’Ordinario diocesano, can. 1279); nel caso in cuiné la legge, né gli statuti, né le tavole di fondazione determinino gli organi di amministrazione, spetta all’Ordinario nominarecome amministratori persone idonee che restano in carica per un triennio, con possibilità di essere confermate (can. 1279).Ogni persona giuridica deve avere un consiglio per gli affari economici, composto da fedeli esperti in materia economica econoscitori del diritto secolare per dare un adeguato sostegno all’amministratore (can. 1280). Prima dell’assunzione dell’incarico(can. 1283) è richiesto agli amministratori di prestare giuramento di svolgere le proprie funzioni onestamente, fedelmente, con ladiligenza del buon padre di famiglia (can. 1284) e di sottoscrivere un inventario dei beni aventi rilevante valore economico oculturale, la cui copia viene conservata nell’archivio della Curia diocesana. I compiti degli amministratori sono contemplati neicanoni 1284 – 1287 e sono: curare la conservazione del patrimonio; predisporre tutele della proprietà in forme valide; attenersiscrupolosamente alle norme canoniche e civili; esigere, conservare ed erogare i redditi e proventi secondo gli statuti, le tavole difondazione e le disposizioni di legge; versare le quote di interesse e di capitale connesse a mutui o ipoteche; impiegare leattività di bilancio per fini propri della Chiesa; curare la regolare tenuta dei libri contabili, la custodia dei documenti e deglistrumenti, la redazione del bilancio preventivo e l’elaborazione del rendiconto annuale; osservare le leggi in materia di lavoro,

concedendo un onesto compenso ai propri dipendenti; non agire nel foro civile senza autorizzazione della competente autorità;non abbandonare arbitrariamente le proprie funzioni; non procedere a donazioni che nei limiti dell’ordinaria amministrazione esolo per fini di pietà o carità. I compiti di vigilanza e di controllo sull’amministrazione dei beni sono attribuiti alla Santa Sede eall’Ordinario. Mentre la Santa Sede è organo generale ed universale di vigilanza e di controllo secondo il can. 1273, per il qualeil Pontefice è supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici, l’Ordinario è il normale ed immediato organo divigilanza e di controllo (can. 1276). L’attività di vigilanza riguarda la costante verifica della corrispondenza della vita e dell’attivitàdella persona giuridica; in particolare riguarda l’operato degli organi di governo e l ’utilizzazione dei beni delle persone giuridiche.L’attività di controllo attiene agli atti di straordinaria amministrazione e all’autorizzazione a stare in giudizio; in quest’ultimo casoil diritto canonico prevede che la capacità dell’amministratore della persona giuridica debba essere integrata dall’interventodell’autorità ecclesiastica che ha poteri di controllo. Per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione si intendono quelli cheproducono sostanziali innovazioni alla situazione patrimoniale della persona giuridica, sia in positivo sia in negativo. I criteri per determinare quali atti sono definiti straordinari sono: negli statuti sono stabiliti quali sono gli atti “straordinari”; in caso di silenziodegli statuti, spetta al Vescovo diocesano determinare tali atti (can. 1281), per gli istituti religiosi spetta ai propri competentiorganismi (can. 368). Sul patrimonio della diocesi la competenza in materia è della Conferenza episcopale (can. 1277). Nelcaso di atti posti in essere illegittimamente, la persona giuridica risponde solo nei limiti in cui l’atto posto invalidamente siatornato a suo vantaggio o nel caso di atti validi ma illeciti. Gli amministratori rispondono sia nel caso di atti posti invalidamente,che siano andati a svantaggio, sia nel caso di atti validi ma illeciti che abbiano recato danni alla persona giuridica: in entrambi icasi quest’ultima può rifarsi contro gli amministratori che le abbiano recato danno (can. 1281). L’aver posto o omessoillegittimamente atti relativi all’amministrazione del patrimonio, può portare persino ad una fattispecie criminosa, prevista dalcan. 1389, e all’irrogazione di un’adeguata sanzione penale nei confronti dell’amministratore responsabile dell’atto.

Una categoria particolare: i beni culturaliI beni culturali sono una categoria unitaria di beni considerati degni di una particolare protezione perché connessi allo sviluppointegrale della persona umana; sono le cose di interesse storico o artistico, o le bellezze naturali, i beni ambientali, o beni direcente creazione. In questa categoria rientrano tutti i beni che costituiscono testimonianza materiale di un valore di civiltà o sipongono come strumenti di civilizzazione. Possono entrare in evidenza dal punto di vista giuridico per tre motivi: in relazionealla proprietà; in relazione alla sua tutela e conservazione; in relazione alla sua destinazione. In particolare i beni culturaliecclesiastici sono quei beni culturali che sono in proprietà di persone giuridiche canoniche pubbliche e non hannonecessariamente un carattere religioso né necessariamente devono essere costituiti da materiali preziosi. Solo dopo il ConcilioVaticano II è cresciuto il rilievo di questa categoria, anche se il diritto particolare prende in considerazione i beni culturali condisposizioni frammentarie. Il can. 1283 menziona i beni da inventariare e non ci sono solo le cose preziose ma anche i beniculturali: ad esempio oltre i beni destinati al culto sono anche le testimonianze della pietà popolare, gli archivi ecclesiastici e le

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biblioteche ecclesiastiche. Il diritto canonico universale pone alcune norme per la loro conservazione, per il restauro, per la lorodestinazione a scopi profani, per le autorizzazioni alla loro alienazione.

Il sostentamento del cleroIl sistema di sostentamento del clero è stato profondamente modificato nel corso del tempo. Tradizionalmente era imperniatosul sistema beneficiale, in sostanza accanto ad ogni ufficio ecclesiastico si costituiva una massa patrimoniale, detta beneficio,avente personalità giuridica e su cui si sosteneva il chierico. Il cambiamento è avvenuto con il Concilio Vaticano II che, neldecreto sul ministero e la vita sacerdotale “Presbyterorum Ordinis”, dispose che il sistema beneficiale deve essere riformato inmodo che la parte beneficiale sia trattata come cosa secondaria e venga messo in primo piano l’ufficio stesso. Il codice prevedeuna disposizione transitoria (can. 1272) in sostituzione del sistema beneficiario e tre diversi istituti attraverso i quali garantire ilsostentamento dei chierici, favorire un’eguaglianza tra loro, promuovere azioni di solidarietà (can. 1274).

- istituto per il sostentamento del clero, da istituirsi in ogni diocesi, il patrimonio è costituito dai patrimoni dei benefici

soppressi, dai beni e offerte dei fedeli; provvede al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore delladiocesi.

- fondo per la previdenza sociale del clero, costituito dai beni forniti dagli stessi appartenenti al clero e dalle liberalità

dei fedeli; ha il compito di provvedere all’assistenza sanitaria del clero, alle pensioni di invalidità e vecchiaia; da istituirein ogni diocesi qualora nella realtà nazionale non esistano già forme di sicurezza sociale.

- fondo comune, costituito con fondi individuati dal diritto locale e dalle liberalità dei fedeli, per sovvenire alle necessità

di quanti prestano servizio a favore della Chiesa (cann. 230 – 231).Il codice non dispone che tali istituti abbiano personalità giuridica canonica, ma si presume debba sussistere.

Disciplinare e punire

Nozioni generaliIl can. 1311 afferma che la Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commessodelitti; dunque la Chiesa ha un proprio diritto penale al quale è dedicato il libro sesto del codice intitolato “le sanzioni nellaChiesa”. Questa disposizione ha una ragione verso l’esterno, cioè a fronte della pretesa dello Stato moderno di avere inesclusiva la titolarità della funzione penale, la Chiesa rivendica un’azione coercitiva che esplicita nelle forme del diritto penale.Diritto che è nativo della Chiesa, originario, scaturente dalla sua stessa natura, e proprio, non derivato da altre autorità.L’ordinamento canonico è originario e sovrano, non trae esistenza e legittimazione da altro ordinamento, perciò ha in sé anchel’idoneità e la legittimazione a ricorrere alla coercizione. Il can. 1311 vuole sottolineare l’indipendenza della potestà coattivadella Chiesa nei confronti di ogni autorità umana, che non può interdirne l’esercizio né porsi quale garante dei diritti dellapersona all’interno della comunità ecclesiastica e giudice cui ricorrere nel caso di una loro pretesa lesione (appello per abuso).

Esiste poi una ragione interna, diretta a sottolineare che nella misura in cui il popolo di Dio si pone come società umanagiuridicamente organizzata non può fare a meno di un diritto penale. Si è dubitato però della necessità di un diritto penalecanonico, poiché sarebbe in contraddizione con la Chiesa come comunità volontaria e la costrizione penale contrasterebbe conla libertà religiosa e di coscienza. Secondo altri invece lo strumento penalistico non contrasta con lo spirito del diritto canonico.In realtà la Chiesa ha sempre esercitato questa funzione punitiva, nella forma più severa con la separazione dalla comunità(scomunica) di chi si è reso responsabile di fatti gravi. Sin dai testi del Nuovo Testamento troviamo misure con finalità diprotezione della comunità ecclesiale e di emenda del caduto in una colpa particolarmente grave; ad esempio troviamo ilpresupposto del fatto grave e notorio, la contumacia, le previe ammonizioni, la sentenza, la finalità medicinale, l’esclusione dallacomunità, il divieto di rapporti con il reo, la necessità del pentimento. Si deve considerare che la misericordia non puòprescindere dal perseguimento della giustizia, o diventerebbe oggettiva complice del male e quindi cattiva pedagoga nel far discernere le azioni virtuose da quelle malvage. Dunque la Chiesa è legittimata a reagire anche con sanzioni penali e ilcarattere volontario e non necessario della società ecclesiastica rafforza la ragione di un diritto penale, al quale si assoggettacon libertà chi liberamente è entrato a far parte della Chiesa. Infatti proprio il carattere di società volontaria dà ragione di unapeculiarità del diritto penale canonico, che poggia sul principio di legalità (“nullum crimen sine lege”) giacché il can. 221afferma che i fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche se non a norma di legge. Questo principio ètemperato dal can. 1399 secondo cui la violazione esterna di una legge divina o canonica può essere punita con una giustapena solo quando la speciale gravità della violazione esige una punizione e urge la necessità di prevenire o riparare gliscandali. Secondo il diritto canonico può emanare leggi penali chiunque abbia potestà legislativa (can. 135): quindi sia illegislatore universale sia i legislatori particolari, i quali possono anche statuire sanzioni per la violazione di norme poste da altrolegislatore (cann. 1315 – 1318). Inoltre chiunque abbia potestà legislativa può emanare pure precetti penali, cioè comandi direttinon alla generalità ma a soggetti determinati (can. 49 e 1319). Per le leggi penali vige il principio della territorialità (can. 13) ameno che non si tratti di leggi personali, destinate ad una particolare categoria di fedeli; sono irretroattive e nel caso disuccessioni di leggi nel tempo si applica la legge più favorevole al reo. Il diritto canonico pone divieto di interpretazioneestensiva della legge penale (can. 18) ed esclude il ricorso all’analogia in materia penale (can. 19). Viceversa non esclude chela consuetudine possa abrogare una norma penale, introdurre esimenti, produrre un interpretazione secundum legem; mentre èda escludere che con una consuetudine possano essere introdotte nuove fattispecie criminose. Infatti il can. 1399 legittima ilsuperiore ecclesiastico ad irrogare una pena quand’anche questa non sia stata prevista ma sia stata violata una legge.

Elementi del delittoIl codice non fornisce una definizione ma può essere ricavata dal can. 1321 che individua il soggetto passivo nelle sanzionipenali: si ha delitto quando vi sia la violazione esterna e gravemente imputabile, per dolo o per colpa, di una legge o di unprecetto, che stabiliscano qualche pena per i trasgressori. Perché vi sia un delitto occorrono quindi tre elementi: uno oggettivo, ilfatto; uno soggettivo o psicologico, l’atteggiamento mentale del soggetto agente; l’antigiuridicità del fatto.

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L’elemento oggettivo è il comportamento dell’agente e l’evento che ne deriva, legati da un rapporto causale; l’azione dell’agentelede interessi giuridicamente protetti di persone fisiche o giuridiche e l’interesse generale della comunità ecclesiale (soggettipassivi del delitto). L’elemento soggettivo è l’atteggiamento psicologico dell’agente nel momento in cui pone in essere ilcomportamento scatenante l’evento, un comportamento non meramente attribuibile all’agente ma a lui imputabile in quanto attoumano e libero. Questo elemento si può configurare come dolo o come colpa: sia ha dolo quando la violazione della legge odel precetto è deliberata; si ha colpa quando la violazione deriva dalla omissione della dovuta diligenza nella produzionedell’atto che dà luogo alla violazione della legge, quindi l’evento dannoso non è voluto dall’agente ma si verifica per la sua

imprudenza, negligenza o imperizia. La sussistenza del delitto può mancare per cause oggettive o soggettive (can. 1323). Trale cause oggettive troviamo: l’aver agito per timore grave, o per necessità o per grave incomodo purché non sia un attointrinsecamente illecito o che si risolva in un danno spirituale per le anime; l’aver agito con la debita moderazione per legittimadifesa contro un ingiusto aggressore. Tra le cause soggettive troviamo: l’aver agito per violenza fisica o per caso fortuito nonprevedibile o non rimediabile; l’aver agito nell’ignoranza incolpevole della legge o del precetto, o per inavvertenza ed errore;l’aver agito per mancanza dell’uso di ragione al momento del delitto, quindi una mancanza non abituale. Il singolo delitto puòessere caratterizzato da alcuni elementi detti circostanze del delitto, che comportano un aumento o una diminuzione dellagravità dello stesso che si riflette sull’entità della pena. Le circostanze aggravanti (can. 1326) sono: la recidiva, l’essere ildelinquente rivestito di particolare dignità, aver commesso il fatto con abuso di autorità o di ufficio, l’aver commesso il fattocome delitto colposo nonostante la previsione dell’evento e senza aver adottato le necessarie precauzioni per evitarlo. Sonocircostanze attenuanti (can. 1324): la passione non volontariamente provocata e che non tolga la capacità di volere ma laattenui; il timore grave, il grave incomodo o lo stato di necessità se si tratta di atto illecito di per sé o torni a danno delle anime;l’eccesso colposo nella legittima difesa; la grave e ingiusta provocazione altrui. Le cause attenuanti sono ricollegabili alle causeoggettive ma rimane sempre una responsabilità penale dell’agente. A queste circostanze possono poi aggiungersi delle altre;

mentre le circostanze aggravanti possono essere prese in considerazione, le circostanze attenuanti devono determinarel’applicazione di una pena meno grave. E’ un aspetto del principio penalistico del favor rei , secondo cui si deve sempreconsiderare la condizione più favorevole a chi pure ha commesso un delitto. Esiste una distinzione tra il delitto consumato e ildelitto tentato: il delitto è consumato quando gli atti posti in essere dal delinquente risultano produttivi del fatto; il delitto ètentato quando per un motivo qualsiasi l’evento delittuoso non si produce. In questo caso non si dà luogo a sanzione a menoche non si debba sanzionare l’eventuale scandalo o ne sia derivato un grave danno o pericolo (can. 1328).

Il soggetto attivo del delittoSoggetti attivi del delitto sono solo i fedeli cattolici. Infatti se da un lato si afferma che la Chiesa ha il diritto nativo e proprio diirrogare sanzioni penali, si precisa anche che solo i battezzati nella Chiesa cattolica sono tenuti alle leggi puramenteecclesiastiche. Questo vale per i delitti comuni, vi sono però dei casi in cui soggetto attivo del delitto può essere solo il fedelecon delle determinate qualità: ad esempio, il can. 1394 riguarda solo il chierico perché tratta della violazione dell’obbligo delcelibato proprio del suo stato; il can. 1366 riguarda solo i genitori qualora facciano battezzare o educare i figli in una Chiesa ocomunità cristiana non cattolica. Una situazione particolare è quella del Pontefice, che gode di immunità personali strettamente

attinenti e funzionali al suo altissimo ufficio; egli infatti non può essere soggetto attivo di delitto perché le norme promanano dalui stesso. Il codice ribadisce un principio classico, formulato nel “Dictatus Papae” di Gregorio VII, secondo cui la Santa Sedenon è giudicata da nessuno (can. 1404). Perché il fedele sia responsabile è necessario che sia imputabile, cioè che abbia lacapacità di intendere e di volere uniti alla responsabilità morale. L’imputabilità può mancare o attenuarsi a seconda dellecircostanze: non è imputabile il minore di anni sedici (can. 1323), è una presunzione iuris et de iure (non ammette provacontraria) poiché al di sotto di tale età non sussiste maturità psicologica; chi ha compiuto sedici anni ma non ancora diciotto èpunito con una pena minore o con una penitenza (can. 1324); l’imputabilità può venire meno per ragioni patologiche comel’infermità di mente o per gli effetti involontari di alcool o droga (cann. 1322 e 1323) a meno che questa condizione non siavoluta per commettere il delitto o avere una giustificazione (can. 1325). Inoltre più persone possono concorrere nellacommissione del medesimo delitto, come coautori o come complici (can. 1329).

Le peneLe pene canoniche consistono nella privazione di un bene spirituale o temporale. Si distinguono in due tipi: pene medicinali ocensure e pene espiatorie (can. 1321). Le pene medicinali sono le più gravi e hanno lo scopo di favorire l’emenda del reo e di

farlo recedere dalla sua condotta illecita. Le pene espiatorie hanno invece lo scopo di punire il delinquente. In generale tutte lepene canoniche hanno lo scopo di restaurare la giustizia, ricomporre l’ordine pubblico leso, riparare lo scandalo e promuovere ilpentimento e l’emenda del reo. Le pene si distinguono anche “ferendae sententiae” e “latae sententiae”: le prime sono irrogatedopo la condanna da parte della competente autorità; le seconde sono quelle in cui incorre il reo automaticamente per ilsemplice fatto di aver commesso il delitto (can. 1314). Le pene medicinali sono tre: la scomunica, l’interdetto e la sospensione.La scomunica è la pena più grave e comporta l’esclusione del delinquente dalla comunione ecclesiastica: non può parteciparecome ministro a nessun atto di culto, non può celebrare né ricevere sacramenti e sacramentali, non può esercitare qualsiasiufficio, funzione, ministero o incarico nella Chiesa (can. 1331). L’interdetto produce gli stessi effetti, ma solo limitatamente allapartecipazione al culto (can. 1332). La sospensione può essere irrogata soltanto ai chierici ed è i l divieto totale o parziale di attirelativi alla potestà d’ordine, o di governo, o all’esercizio di diritti o funzioni inerenti ad un ufficio ecclesiastico (cann. 1333 –1334). Le pene espiatorie sono più numerose ma possiamo ricordare (can. 1336): la proibizione o l’obbligo di dimorare in uncerto luogo; la privazione della potestà, dell’ufficio, dell’incarico, di un diritto, di un privilegio, di una facoltà, di una grazia, di untitolo; il trasferimento; la dimissione. Inoltre secondo il can. 1312 la legge può stabilire altre pene espiatorie che privino il fedeledi qualche bene spirituale e temporale, congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa. Sono poi contemplatenell’ordinamento misure penali diverse dalle pene, come ad esempio i rimedi penali (can. 1339) dove troviamo l’ammonizione,un atto che ha valore di diffida (tipo preventivo) o di sanzione di chi si ritiene prossimo al compimento di un delitto; lariprensione, a chi con il proprio comportamento ha causato scandalo; le penitenze (can. 1340) consistono nell’obbligo fatto alfedele di esercitare le opere di religione, pietà o carità. Non sono atti che però vanno confusi con le penitenze che il confessoreimpone durante il sacramento della penitenza.

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L’applicazione delle peneIl diritto canonico è ispirato al principio secondo cui il ricorso alla coazione penale deve costituire l’ultima ratio, per questol’applicazione delle pene ha una disciplina molto articolata (cann. 1341 – 1353), ispirata al principio di gradualità ediscrezionalità. Prima di ricorrere all’imposizione di una pena si tentano altre misure di carattere pastorale, inoltre il giudice puòvalutare le circostanze per mitigare la pena, sospenderla, sostituirla con adeguate penitenze. Per determinati delitti la leggeprevede una certa pena come obbligatoria. Il delitto viene comunque sanzionato nel caso di pene latae sententiae. La pena puòcessare per l’espiazione, ovvero una legge penale che sopprime quella fattispecie, per la morte del delinquente, per laprescrizione dell’azione penale (can. 1362). Ma la pena può cessare anche per cause esterne, cioè per l’intervento dellalegittima autorità ecclesiastica con un atto che si chiama remissione della pena (cann. 1353 – 1361).

Le fattispecie delittuoseIl codice classifica i delitti in sei categorie diverse, a seconda della natura dell’interesse che l’azione delittuosa lede. Un primogruppo sono i delitti contro la religione e l’unità della Chiesa (cann. 1364 – 1369) come l’eresia, l ’apostasia, lo scisma, ilsacrilegio contro le sacre specie, lo spergiuro, alcuni tipi di bestemmia, di oltraggio al pudore, di vilipendio della Chiesa. Poi cisono i delitti contro le autorità ecclesiastiche e la libertà della Chiesa (cann. 1370 – 1377) come la violenza fisica contro ilPontefice, i Vescovi, i chierici, i religiosi; la pertinace deviazione dottrinale o la disobbedienza alle autorità ecclesiastiche; ilricorso al Concilio ecumenico contro gli atti del Romano Pontefice; l’adesione ad associazioni che tramino contro la Chiesa; laviolazione della libertà della Chiesa; il sacrilegio. Un altro gruppo sono i delitti di usurpazione degli uffici ecclesiastici enell’esercizio degli stessi (cann. 1378 – 1389) come la celebrazione simulata dei sacramenti o per simonia, la consacrazionedi un Vescovo senza mandato della Santa Sede, l’ordinazione sacra amministrata in violazione delle prescrizioni canoniche, laviolazione del sigillo sacramentale, la corruzione attiva e passiva per atto contrario ai doveri di ufficio, l’abuso generico di ufficio.Sono poi contemplati i delitti di falsità (cann. 1390 – 1391) come la calunnia, la diffamazione, la falsità nei documenti. Seguonoi delitti contro obblighi speciali (cann. 1392 – 1396) come l’esercizio del commercio da parte di ecclesiastici e religiosi, laviolazione degli obblighi derivanti da una pena, la violazione degli obblighi del celibato e della castità, la violazione di altriobblighi speciali degli ecclesiastici. Infine i delitti contro la vita e la libertà umana (cann. 1397 – 1398) l’omicidio, il rapimento,le lesioni gravi, l’aborto. Questi sono i delitti esplicitamente previsti nel libro del codice relativo alle sanzioni nella Chiesa (LibroVI).

L’amministrazione della giustizia

La soluzione delle controversie nella Chiesa Anche nella comunità ecclesiale possono insorgere dei conflitti fra i consociati, che devono essere risolti per assicurare lagiustizia e la pacifica convivenza. La direttiva dell’ordinamento canonico consiste nel fare di tutto pur di superare i conflitti senza

dover ricorrere al giudice. Nella “Decretales Gregorii  IX ” troviamo che il giudice deve prodigarsi per favorire la transazione tra leparti, ad eccezione dei casi nei quali non è ammesso, come nel matrimonio. Il favor iuris, di cui l’ordinamento canonico hasempre goduto, è inteso nel senso che per disposizione canonica il giudice ecclesiastico non solo è legittimato a indurre le partia superare di comune accordo il conflitto che le divide ma è tenuto a fare ogni sforzo per raggiungere questo fine. Se nellamateria matrimoniale, come in quella penale, il diritto della Chiesa non può ammettere la transazione per porre fine al processoo evitarlo, la riconciliazione costituisce finalità primaria dell’ordinamento canonico. La direttiva di valore, la pacificazionepiuttosto che il giudizio, ha un paradigma nella pagina del Vangelo di Matteo (“trova al più presto l’accordo con il tuocontendente mentre ancora vai con lui in tribunale”) dove troviamo elementi di saggezza popolare come l’invito a correre al piùpresto ad accordarsi col contendente, che svela la diffidenza popolare di sempre per una giustizia umana incerta. Le pagineevangeliche hanno una radicalità innovatrice delle tradizionali esperienze umane e mostrano l’impossibilità di sperimentare veracomunione con Dio al di fuori di una fraternità ecclesiale, segnalando la capacità naturale di ciascuno di cercare giustizia.Troviamo anche un passo di Paolo che invita i cristiani a non adire i tribunali pagani (“non lasciarsi vincere dal male ma vincereil male con il bene”); l’atteggiamento di Paolo non è di critica ma intende sottolineare che tra fratelli nella fede è possibile trovarenuovi modi di relazione interpersonale. Qualora non si riuscisse a risolvere pacificamente le liti, si devono trovare all’interno

della comunità le modalità alternative (“tra di voi non c’è una persona saggia capace di giudicare tra fratelli”); in queste paroletroviamo una sorta di correzione fraterna, per aiutare il fratello che cade nel peccato. Questi testi fondano una triplice direttiva:la preferenza o la riserva di una giurisdizione domestica, perché i christifideles ricorrano al giudice ecclesiastico e non a quellosecolare; il consiglio ad evitare o a risolvere in via extraprocessuale ogni controversia; l’invito ad una riconciliazione che superiogni dimensione giuridica. Queste direttive si trovavano un tempo tutte insieme nell’antico istituto dell’episcopalis audientia, mavia via si sono separate.

Lo spirito della giustizia canonicaLa Chiesa ha un diritto originario e proprio di assicurare davanti ad un giudice la tutela dei diritti e dei relativi doveri contemplatidal diritto canonico. Troviamo quindi anche una potestà giudiziaria a comporre la funzione di governo o munus regendi .Nell’ordinamento canonico la potestà di governo, detta anche potestà di giurisdizione, si struttura nei tre poteri legislativo,esecutivo e giudiziario, che non sono separati ma fanno capo ad un’unica autorità: il Pontefice, per la Chiesa universale, iVescovi, per le Chiese particolari. Anche se i poteri sono uniti, il loro esercizio è comunque distinto e soggetto alla legge; inparticolare la funzione giudiziaria deve essere esercitata in base al diritto vigente. Il legislatore ecclesiastico è comunque

soggetto ad una legge superiore (diritto divino) che non può abrogare né derogare. Anche la funzione di rendere giustizia nellaChiesa è segnata dal fine salvifico, infatti la giustizia canonica non si accontenta della verità processuale ma tende alla veritàoggettiva, non si accontenta di applicare il diritto ma persegue l’attuazione della giustizia, non si limita alla repressione del malee alla punizione del delinquente ma tende alla sua emenda. Esistono poi alcune particolarità, come le cause che riguardano lostato delle persone non passano mai in giudicato (can. 1643); le cause matrimoniali, in rapporto al bene spirituale del fedele

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non è indifferente il matrimonio erroneamente dichiarato nullo dal giudice ecclesiastico ma in realtà oggettivamente valido oviceversa. Ecco perché anche a distanza di molto tempo la questione può essere riesaminata; non è lecito alla Chiesatrattenere nel vincolo coniugale chi effettivamente non abbia contratto valido matrimonio, né lasciar andare chi al contrario èvalidamente sposato. Lo spirito che anima la giustizia nella Chiesa è l’istituto dell’aequitas canonica, distinta dall’aequitasnaturalis o dall’aequitas civilis. Essa ha la preoccupazione di garantire la giustizia nel caso concreto ed evitare che laformalistica applicazione della legge si risolva in una violazione della giustizia. L’istanza all’equità si oppone a quell’idea deldiritto positivo “dura lex, sed lex ”. Il diritto canonico va oltre e tende, attraverso il ricorso all’equità, ad evitare il pericolo per il

bene spirituale. Di qui una giustizia temperata dalla misericordia, una misericordia che costituisce l’incarnazione più perfettadella giustizia. Nella prospettiva di un’applicazione della legge che aiuti il fedele sulla via della perfezione spirituale, il giudice èchiamato a ricercare la giustizia avendo il modello di perfezione della giustizia divina. Altro elemento è il ruolo dellagiurisprudenza. Anche per il diritto canonico il giudice è soggetto alla legge, nel senso che deve applicarne le disposizioni quindinon si sostituisce al legislatore ma è chiamato ad attuarne le volontà. Il giudice però non opera una mera trasposizione dellanorma al caso, ma è chiamato ad un’opera di interpretazione della legge (can. 16) e si avvale degli stessi criteri utilizzati neidiritti secolari ma che nel diritto canonico significa una valutazione di quella che risulta essere maggiormente conforme al dirittodivino. Nell’attività interpretativa il giudice ecclesiastico esplicita e integra il dato normativo, dando luogo al “diritto vivente”, cioèquel diritto scritto così come interpretato ed integrato dalla giurisprudenza. La sua attività si estende sulla produzione di talediritto, infatti in base al can. 19 (purché non si tratti di causa penale) il giudice ecclesiastico è legittimato a dirimere la causaricorrendo all’analogia. Dunque la giurisprudenza, cioè l’orientamento assunto dai giudici nell’interpretare ed applicare la legge,acquisisce una certa rilevanza “normativa”, in particolare sono i tribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rotaromana. Alla Rota romana la costituzione apostolica “Pastor bonus” del 1988 attribuisce il compito di provvedere all’unità dellagiurisprudenza aiutando con le proprie sentenze i tribunali di grado inferiore.

Giurisdizione e competenzaIl termine giurisdizione, o potestas iudicialis, indica il potere conferito al giudice ecclesiastico di giudicare controversie e diapplicare le norme canoniche. Il termine competenza indica la misura del potere di giudicare attribuita a ciascun giudiceecclesiastico. La giurisdizione è delineata nel can. 1401, secondo il quale la Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica lecause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali, la violazione delle leggi ecclesiastiche e ciò che è ragione dipeccato. Questa disposizione rivendica una potestà propria della Chiesa ed esclusiva; ciò significa non solo che il giudiceecclesiastico è i l giudice competente ma anche che è il solo giudice competente con esclusione di ogni altro giudice. Si trattadell’applicazione sul terreno processuale del principio dualista cristiano: se le res spirituales spettano al giudice ecclesiastico,quelle temporales spettano al giudice statale. Le cause riservate alla giurisdizione ecclesiastica sono quelle che riguardano lecose spirituali , ad esempio il can. 1671 dispone che le cause matrimoniali dei battezzati per diritto proprio spettano al giudiceecclesiastico, mentre il can. 1672 dispone che le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al giudice statale.Le cause in materie connesse con l’ordine spirituale spettano al giudice ecclesiastico, ad esempio i legati pii, cioè lacontroversia che riguardi beni lasciati mortis causa per fini che sono propri della Chiesa. Rientrano infine nella competenza

ecclesiastica le cause penali, quando si tratti di delitti propriamente canonici , come ad esempio l’eresia. In alcuni casi si trattadi reati perseguiti anche dal diritto dello Stato, nella misura in cui un determinato fatto venga considerato come autonoma figuradelittuosa anche dal diritto canonico, come ad esempio il caso dell’omicidio. Per la competenza, cioè l’individuazione di qualefra i diversi giudici ecclesiastici sia legittimato a pronunciarsi, c’è il criterio territoriale, ovvero competente a giudicare è dinorma il giudice del territorio in cui abita la parte. Questa regola non è assoluta ma ci sono diverse eccezioni, come la materiadel contendere, il domicilio delle parti, il grado di giudizio (can. 1407). La competenza è riservata ad una determinata autoritàgiudiziaria, per cui sussiste una assoluta incompetenza di ogni altro giudice ecclesiastico. Così al giudizio esclusivo delPontefice sono riservate le cause riguardanti i capi di Stato, i cardinali, i legati pontifici, i Vescovi nelle cause penali (can. 1405).Il Papa inoltre può avocare a sé il giudizio su ogni altra causa; è sancita l’incompetenza assoluta di qualsiasi giudiceecclesiastico a giudicare atti o strumenti confermati in forma specifica dal Pontefice, a meno che non vi sia uno specificomandato pontificio. Questo sistema di riserva o di avocazione pontificia è espressione del primato di giurisdizione del Ponteficee si giustifica per la necessità di garantire la piena libertà della formazione del giudizio canonico. Si tratta infatti di casi, per ragione delle persone o delle materie, per cui il giudice inferiore potrebbe trovarsi in una situazione di soggezione o di difficoltà.Sono riservati alla Rota romana i procedimenti che hanno come parti i Vescovi o i superiori di congregazioni monastiche o diistituti religiosi di diritto pontificio (can. 1405), si giustifica poiché costoro sono titolari della potestà giudiziaria nell’ambito dellapropria diocesi (can. 1419) e sarebbero giudici di sé stessi. Nel diritto canonico inoltre è assicurato ad ogni fedele il diritto diricorrere al giudizio del Pontefice, giudice supremo nell’ordinamento della Chiesa, in qualsiasi causa ed in qualunque momento(can. 1417). Ribadendo un antico principio di Gregorio VII nel “Dictatus Papae”, il can. 1404 dispone che la prima Sede non ègiudicata da nessuno; questo principio riflette il primato di giurisdizione del Pontefice su tutta la Chiesa e ha una dupliceapplicazione: l’immunità personale di cui gode il Papa, la non impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali e amministrativi.Essendo il Pontefice al vertice della struttura gerarchica della Chiesa, non può conseguentemente essere giudicato da autoritàinferiori.

L’ordinamento giudiziarioE’ strutturato in tribunali di prima istanza (can. 1419), istituiti in ogni diocesi, e di seconda istanza (can. 1438) istituiti pressol’arcidiocesi, infatti l’appello si propone al tribunale del Vescovo Metropolita. L’ordinamento è completato dai tribunali dellaSanta Sede, la Rota romana e il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica: la prima è il tribunale pontificio di appellodei fedeli e giudice competente per alcuni tipi di cause; il secondo è il supremo tribunale della Chiesa che giudica i ricorsi controle sentenze rotali, le controversie amministrative, risolve i conflitti di competenza tra tribunali ecclesiastici ed ha funzioni divigilanza e di controllo sui tribunali inferiori. Ci sono poi altri tribunali della Santa Sede con leggi proprie, da ricordare laPenitenzieria Apostolica, che ha competenza per le materie che attengono al foro interno. Anche le Conferenze episcopalipossono costituire tribunali di secondo grado, nel proprio territorio e con il consenso della Santa Sede. In casi particolaril’organizzazione può essere strutturata in modo diverso: in Italia, ad esempio, in base al motu proprio “Qua cura” di Pio XI

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(1938), le cause matrimoniali sono giudicate dai tribunali regionali. Per l’organizzazione interna dei tribunali, il codice prevedeche il giudice può essere monocratico o collegiale, se collegiale composto da tre o cinque giudici (can. 1425); la diversacomposizione dipende dall’importanza e dalla gravità delle materie da trattare. Nel tribunale di prima istanza giudice è ilVescovo, che esercita la funzione attraverso un Vicario giudiziale o un Officiale (can. 1420). Esistono poi i giudici diocesani cheformano, quando richiesto, il collegio giudicante. Le funzioni istruttorie possono essere affidate ad un uditore (can. 1428). Nelcaso del tribunale collegiale, il presidente del collegio designa tra i componenti un ponente o giudice relatore, il cui compito èrelazionare il collegio sui vari aspetti della causa e a redigere la sentenza. In ogni tribunale è presente il Promotore di giustizia

(can. 1430), un pubblico ministero tenuto ad intervenire in ogni causa sul bene pubblico e le cause penali; il Difensore delvincolo, che interviene nelle cause di nullità della sacra ordinazione e di nullità o scioglimento del matrimonio, per porre tutti gliargomenti possibili contro la nullità o lo scioglimento (can. 1432); un notaio che svolge le funzioni di cancelliere redigendo esottoscrivendo gli atti processuali (can. 1437). A queste funzioni sono chiamati dei chierici competenti in diritto canonico, adalcune di esse anche dei fedeli laici.

Il giudizio ordinario e i giudizi specialiIl sistema processuale canonico è costituito da un unico modello di processo detto giudizio contenzioso ordinario. Questo tipodi processo, che normalmente avviene per iscritto, è costituito da una fase introduttiva (can. 1501) aperta dalla presentazioneal giudice competente del libello introduttivo della lite, nel quale è indicato l’oggetto e i punti di diritto su cui si basa la domanda.

Se il giudice adito ritiene di dover accogliere la domanda, citerà in giudizio l’altra parte (can. 1507) per la contestazione dellalite, cioè per definirne i termini sulla base delle richieste di parte attrice e delle repliche della parte convenuta (can. 1513). Poic’è la fase istruttoria (can. 1526) con la raccolta delle prove fornite dalla parte che asserisce un determinato fatto. Le provepossono essere: le dichiarazioni delle parti, le deposizioni dei testimoni, documenti, perizie, l’ispezione di luoghi o cose. Nelleprove possono rientrare anche le presunzioni, cioè le deduzioni probabili su una cosa incerta ma a partire da un fatto certo. Sidistinguono in presunzioni hominis, cioè formulate dal giudice, e presunzioni iuris, cioè stabilite dalla legge. Queste ultime a lorovolta si suddividono in presunzioni iuris tantum, cioè ammettono la prova contraria, e presunzioni iuris et de iure, che nonammettono la prova contraria. Un esempio di presunzione iuris tantum è il favor matrimonii contenuto nel can. 1060 secondo cuiil matrimonio, nel dubbio, si deve ritenere valido fino a che non sia provato il contrario; un esempio di presunzione iuris et deiure lo troviamo nel can. 1322 che in materia penale esclude imputabilità e punibilità, cioè coloro che non hanno abitualmentel’uso della ragione sono ritenuti incapaci di delitto. Segue poi la pubblicazione degli atti, in modo che le parti possanoprenderne visione e decidere la loro difesa anche con la richiesta di presentazione di nuove prove. La fase istruttoria siconclude con il decreto del giudice di conclusione in causa che segna il passaggio alla fase della discussione, che di regolaavviene per iscritto (can. 1598). Il processo è chiuso con la sentenza definitiva che decide la causa (can. 1607); se invece il

giudice deve decidere su una questione preliminare pronuncia una sentenza interlocutoria. La sentenza deve rispondere a tutti idubbi formulati nel libello e deve essere motivata. Essa può essere impugnata dalla parte che la ritiene non giusta, attraversotre strumenti di tutela concessi dal diritto canonico: l’appello, che è la forma ordinaria, la querela di nullità e la restitutio inintegrum.L’appello (can. 1628) si limita alla conferma o alla riforma della sentenza impugnata, può essere proposto fino a che lasentenza non sia passata in giudicato (res iudicata). Ciò avviene quando per legge non è più possibile un ulteriore giudizio oquando sono trascorsi i termini per proporre l’appello. La res iudicata produce diritto tra le parti con la conseguenza che lasentenza diviene immediatamente eseguibile, inoltre preclude la possibilità di investire nuovamente il giudice della questione ameno che non si tratti di causa relativa allo stato delle persone poiché non passano mai in giudicato.La querela di nullità (can. 1619) è un rimedio processuale tendente ad invalidare la sentenza perché inficiata da una nullitàinsanabile o sanabile. Quindi non attiene al contenuto della sentenza ma alla sua validità formale, a ragione di irregolaritàparticolarmente gravi verificatesi nel corso del processo: ad esempio nel caso di nullità insanabili l’incompetenza assoluta delgiudice (can. 1620) oppure nel caso di nullità sanabili la non motivazione della sentenza (can. 1622).La restitutio in integrum si ha contro una sentenza che sia passata in giudicato ma consti palesemente della sua ingiustizia(can. 1645). E’ un rimedio giuridico straordinario a cui si ricorre in caso di manifesta ingiustizia relativamente all’impiantoprobatorio, alle parti o allo stesso diritto.Tra i processi speciali ricordiamo le cause relative al matrimonio che si distinguono in: cause per la dichiarazione di nullità dimatrimonio (can. 1671); cause di separazione personale dei coniugi (can. 1692); la dispensa dal matrimonio rato e nonconsumato (can. 1697); la dichiarazione di morte presunta del coniuge (can. 1707). Nei processi speciali troviamo poi le causeper la dichiarazione della nullità della sacra ordinazione, riservate alla Santa Sede e possono essere trattate in viaamministrativa presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, o in via giudiziaria presso un tribunaledesignato dalla Congregazione (can. 1708). Particolari peculiarità si trovano nei processi penali (can. 1717), diretti ad accertarel’eventuale commissione di un delitto; a questo accertamento segue l’azione criminale, cioè l’atto pubblico diretto ad infliggere odichiarare la pena (can. 1362). Si deve ricordare poi i processi che integrano la giustizia amministrativa nella Chiesa (can.1732). Infatti se un atto dell’autorità ecclesiastica lede un diritto del fedele costui ha assicurati dall’ordinamento canonico precisistrumenti di tutela: ricorso gerarchico (ricorso amministrativo gerarchico) all’autorità ecclesiastica immediatamente superiore;davanti al tribunale amministrativo (ricorso contenzioso amministrativo) (can. 1400). Quest’ultimo si svolge davanti al tribunalepontificio della Segnatura Apostolica (can. 1445). Infine vanno ricordati tra i processi speciali le cause di beatificazione ecanonizzazione, che non sono disciplinate dal codice ma da una legge speciale data da Giovanni Paolo II con la costituzione

apostolica “Divinus perfectionis Magister ” del 25 gennaio 1983.

Demografia celeste

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La santità canonizzataCon il termine “santità canonizzata” si indica la solenne proclamazione, da parte della competente autorità ecclesiastica, chedeterminati fedeli, nel corso della loro vita terrena, hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla graziadi Dio. Il Concilio Vaticano II afferma che nella vita di quelli perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo, Dio manifesta lasua presenza. La santità canonizzata è una delle espressioni più singolari della solidarietà e del rapporto esistenti tra la realtàmisterica della Chiesa e la sua espressione sociale ed istituzionale, nel senso che attraverso atti giuridici si attinge la Chiesa dicoloro che sono già nella visione beatifica di Dio. Tutti i battezzati sono chiamati alla santità ma non tutti sono destinati allasantità canonizzata. Esiste un’unità sostanziale della santità, una profonda identità tra santità comune e santità canonizzata,perciò si può parlare per entrambe di un’unità nell’unica santità ontologica, anche se esistono delle differenze. Il santocanonizzabile deve essere portatore di un messaggio divino all’umanità, collaudatore e maestro di un itinerario spirituale diperfezione, testimone peculiare delle realtà soprannaturali, modello di vita cristiana, pedagogo sapiente e stimolante a camminidi santità. Gli atti che strutturano e costituiscono i processi di beatificazione e canonizzazione si trovano nella cosiddetta“demografia celeste”. Non sono provvedimenti giuridici costitutivi di uno stato, non creano un santo, ma la loro funzione èmeramente dichiarativa ed i loro effetti non si producono sui fedeli ma su coloro che sono ancora pellegrini sulla terra,legittimandone il culto ( promotio ad cultum). Il provvedimento che conclude il processo di canonizzazione ne proclamasolennemente le virtù e lo propone ai fedeli come esempio. Oggetto dei processi di beatificazione e canonizzazione èl’accertamento di quell’amore eroico, di quella pietas verso Dio e verso gli uomini, indice di una perfezione superiore,l’accertamento dell’esercizio in grado eroico delle virtù teologali o morali di una persona, del martirio eventualmente sofferto per amore di Dio, dei miracoli operati da Dio per sua intercessione, della fama di santità in vita o dopo la morte. La beatificazione èun provvedimento della suprema autorità della Chiesa, con il quale viene permesso il culto pubblico di un fedele che visse emorì in concetto di santità e viene perciò indicato come “servo di Dio”. E’ un provvedimento preparatorio e non definitivo, limitato

nel tempo e territorialmente. La canonizzazione è il provvedimento col quale la stessa suprema autorità decreta che un servodi Dio venga iscritto nell’elenco dei santi e sia venerato in tutta la Chiesa. Entrambi i provvedimenti vengono emanati aconclusione di un complesso di operazioni dirette all’accertamento della santità e strutturate in forma processuale. Solo lacanonizzazione è un atto definitivo, irrevocabile, infallibile. La santità canonizzata non può essere teologicamente definita comeoggetto di fede divina ma solo come oggetto di fede ecclesiastica. Anche se il Concilio Vaticano I non ricomprese lacanonizzazione come oggetto dell’infallibilità pontificia, per dottrina comune il Pontefice gode veramente di infallibilità. Labeatificazione è carente del carattere di definitività ed è destinata al perfezionamento; ciò non significa che possa essere messoin dubbio il principio di non erranza della suprema autorità ecclesiastica. Esistono delle differenze anche sul piano giuridico,infatti l’atto di beatificazione ha un carattere permissivo o concessivo presentandosi come un indulto, cioè un provvedimentocanonico che esime i fedeli dall’obbligo di osservare la norma che vieta atti di culto ecclesiastico e pubblico a persone (can.1187). Viceversa l’atto di canonizzazione ha carattere precettivo, nel senso che ascrive il fedele nel catalogo dei santi e nepromuove il culto nell’intero orbe cattolico, per far sì che i fedeli seguano il suo esempio e siano sostenuti dalla suaintercessione (can. 1186). L’atto pontificio concessivo del culto pubblico (beatificazione) o dichiarativo della santità(canonizzazione) costituisce esercizio della potestà di giurisdizione o potestas regiminis . Più precisamente si tratta di un atto

che è espressione della potestà legislativa e non giudiziale, per la ricorrenza di quegli elementi (generalità, astrattezza, novità)caratterizzanti la funzione legislativa, anche se il procedimento assume la forma del processo. Si tratta di un caso singolare incui non esiste separazione di poteri e la giurisdizione è unitaria. Nel diritto canonico esistono casi nei quali l’esercizio dellafunzione legislativa o di quella amministrativa presuppone accertamenti di fatti, per i quali si utilizzano strumenti tipicamenteprocessuali. La disciplina della beatificazione e canonizzazione esprime un interessante caso di bilanciamento fra poteri: da unlato quello del popolo cristiano, che ha il compito di esprimere un giudizio, giacché nessuna causa può essere introdotta senzala cosiddetta “fama di santità”, cioè la profonda, spontanea, genuina convinzione diffusa tra molti fedeli che una personadefunta vive nella Chiesa celeste; dall’altro lato quello della istituzione, con la funzione di controllare, verificare e confermare ilgiudizio popolare espresso. La canonizzazione non è mai espressione del potere ecclesiastico, nel senso che non ha maiorigine dalla potestà pontificia, ma è sempre espressione del populus fidelis, che discerne la santità con la formazione dellafama sanctitatis e ne promuove il riconoscimento ufficiale.

Le evoluzioni storicheLa venerazione dei fedeli è presente sin dai primi tempi della Chiesa, viceversa la disciplina di particolari forme processuali

comincia a svilupparsi solo agli albori del secondo millennio: nel tempo si giunge da forme più semplici ad un complesso earticolato sistema processuale. Si possono distinguere sei grandi periodi.Il primo periodo va dalle origini al V secolo, è caratterizzato dal culto dei martiri, cioè coloro che avevano reso testimonianzaa Cristo con la propria vita. E’ un culto che nasce spontaneamente e non è sottoposto ad autorizzazioni dell’autoritàecclesiastica, dal momento che il martirio era un fatto di dominio pubblico. Insieme a questo culto nascono i martirologi, cioè icataloghi dei martiri, dove si annotava il nome, la data del martirio o dies natalis (giorno della nascita al Paradiso), il luogo dellasepoltura, il culto presso il sepolcro. Finita l’età delle persecuzioni con la pace costantiniana (313) e divenuto il cristianesimoreligione ufficiale dell’impero (380), si aggiunse il culto dei confessori, cioè quei fedeli che avevano patito la violenza dellepersecuzioni senza arrivare alla morte o quei fedeli che si erano assolutamente distinti per la conformazione a Cristo dellapropria vita terrena: per le esperienze di penitenza, di ascesi, di fuga dal mondo, di lotta contro gli errori e le eresie. Si trattavadi esperienze che avevano provato quanti le avevano sperimentate ad una sorta di incruento martirio. Anche questo culto nasceda spontanei moti del popolo e non si danno ancora interventi dell’autorità ecclesiastica poiché anche qui si trattava diesperienze di dominio pubblico. Dunque nel primo periodo non vi sono ancora formalizzazioni processuali poiché manca lanecessità di un accertamento pubblico ed autorevole di santità.Un secondo periodo va dal VI all’XI secolo, comincia a formarsi progressivamente l’istituto della canonizzazione come attoformale di autorizzazione al culto di nuovi santi posto dal Vescovo locale, previo accertamento. Si parla di “canonizzazionevescovile” perché la legittimità viene legata ad un previo atto autorizzativi del Vescovo diocesano che segue ad un’inchiesta edalla redazione della Vita del santo. Tra il popolo si avvia un fenomeno di peculiare considerazione delle doti taumaturgiche deisanti, considerati come intercessori di grazie, nasce cioè quell’assoluta rilevanza del miracolo che diviene prova per eccellenza

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della santità ed esprime gli orientamenti di una cultura popolare che cerca la via semplice e facile per ottenere i favori divini. Lacanonizzazione è anche espressione di collegialità dell’episcopato locale riunito in un sinodo o in un concilio; a volte èparticolarmente qualificata per autorevolezza e solennità dalla presenza del Pontefice alla elevatio del corpo del canonizzato dalluogo della sepoltura ed alla sua traslatio in una chiesa, che diventerà la sede di celebrazione della festa liturgica annuale delnuovo santo. Gli elementi essenziali della procedura vengono stabiliti dall’età merovingica e carolingia: la fissazione delrequisito della pubblica fama di santità e della sussistenza di miracoli, o del martirio; la stesura di una vita del canonizzando; lapresentazione di questa composizione al giudizio del Vescovo diocesano o del sinodo; la loro approvazione del culto pubblico.

Un terzo periodo va dal XII secolo al XVI secolo, la canonizzazione viene progressivamente attratta nelle causae maioresEcclesiae, cioè quelle cause riservate alla competenza dell’autorità pontificia. Il pontificato di Urbano II (1088 – 1099) pose lepremesse per l’elaborazione di questa disciplina disponendo un’accurata investigazione dei fatti anche attraverso l’assunzionedi prove testimoniali come condizione per poter procedere alla canonizzazione da parte del Pontefice. Con la decretale“ Audivimus” del 1170, Papa Alessandro III affermò il principio per cui le cause di canonizzazione erano riservate al Pontefice(riserva papale); la decretale era in realtà un provvedimento singolare, ma la sua successiva inserzione nelle “DecretalesGregorii  IX ” e quindi nel Corpus Iuris Canonici ne farà un testo normativo. Con la riserva alla Santa Sede, il processo dicanonizzazione inizia a formarsi come processo canonico speciale. E’ caratterizzato dall’integrazione di forme processualicanoniche comuni e forme processuali peculiari, che nel tempo si arricchisce di nuove figure come il Promotor fidei , istituito daLeone X (1513 – 1521) per garantire una migliore tutela degli interessi della fede e dell’osservanza del diritto. La traduzionedella canonizzazione a fatto giuridico e quindi ai formalismi del processo giudiziario, risponde all’esigenza di evitare i semprepiù frequenti abusi, caratterizzati dall’abbandono del culto dei santi più antichi, dei martiri e dei confessori, a vantaggio del cultodei santi nuovi. Alla Santa Sede premeva recuperare l’equilibrio tra il modello di santità taumaturgica ed il modello della santitàcome esempio di virtù e condotta di vita. Lo sviluppo rigoglioso della scienza canonistica, anche grazie alla nascita delle

Università, ha avuto un ruolo importante visto che, davanti alla necessità di accertamento dei fatti dai quali evincere la santità(fama di santità, virtù, miracoli), solo il diritto poteva fornire strumenti adeguati per l’acquisizione della documentazionenecessaria e per la sua analisi.Il quarto periodo va dal XVII al XIX secolo, a livello istituzionale nasce la sacra Congregazione dei riti ad opera di Sisto V conla costituzione “Immensa” del 1588; a livello normativo, gli interventi di Urbano VIII contenuti nel “Coelestis Hierusalem cives”del 1634 resero più rigorosa la procedura. Papa Barberini distingue tra beatificazione e canonizzazione in due diverseprocedure: la beatificazione nella diocesi del Vescovo, la canonizzazione dal Sommo Pontefice. Inoltre impone il divieto delculto pubblico previo all’intervento pontificio, la cui violazione comporta un impedimento all’introduzione della causa. Labeatificazione fu definita più precisamente da Alessandro VII con il “Decretum super cultu beatis non canonizatis praestando”del 1659. Benedetto XIV (1740 – 1758) scrisse un’importante opera dottrinale sulla beatificazione e canonizzazione, il “Deservorum Dei ”, in materia probatoria e di miracoli.Il quinto periodo è costituito dal XX secolo. Le disposizioni dettate nel tempo rimasero fino alla codificazione del 1917, nellaquale furono trasfuse nei canoni 1999 – 2141. In questi 142 canoni la distinzione tra beati e santi è assolutamente chiara, comeanche i ruoli e le competenze in ogni parte del processo, processo sull’effettiva esistenza di una fama sanctitalis e sulriconoscimento del grado eroico delle virtù e dell’autenticità dei miracoli. Con il codice piano-benedettino troviamo una sorta dipositivismo giuridico, temperato sotto il pontificato di Pio XI dall’erezione presso la Congregazione dei riti di una Sezione storica(1930) e sotto il pontificato di Pio XII di una Consulta medica (1948). L’utilizzo della metodologia storica e della scienza medicatende a ridurre il ruolo del diritto, segnando l’inizio di un’evoluzione. Il ricorso al metodo storico-critico fu limitato alle causestoriche, per cui non poteva costituirsi un apparato probatorio con i tradizionali mezzi processuali. Successivamente venneadottato sempre più ampiamente al punto da essere oggi la base del procedimento.Il sesto periodo parte dal Concilio Vaticano II. Tre sembravano essere le caratteristiche negative del codice del 1917: lariduzione in minimi termini del ruolo dei vescovi diocesani; l’assenza di sinodalità nella formazione del giudizio da sottoporre alPapa; l’eccessiva lunghezza e complessità delle procedure. Per queste ragioni il Concilio propone una riforma radicale. Aseguito del Concilio, da un punto di vista istituzionale arrivano le riforme di Paolo VI, con il motu proprio “Sacra RituumCongregatio” del 1969 viene creata la s. Congregazione per le cause dei santi creando un distacco dalla s. Congregazionedei riti. Da un punto di vista processuale, con il m.p. “Sanctitas clarior ” del 1969 si ha una riforma delle procedure: si semplifica ilprocesso riducendolo ad uno articolato in due fasi, una istruttoria a livello locale, una dibattimentale a livello romano. In questomodo si recupera un significativo ruolo del Vescovo locale e della dimensione sinodale. Giovanni Paolo II, con la costituzioneapostolica “Divinus Perfectionis Magister ” del 1983, detta le regole generali, rafforza quei ruoli mettendo in luce i fondamenti

teologici affermando che ogni fedele è chiamato alla santità. Ricordiamo il “Congressus peculiaris”, un canone che rimanda aduna legge speciale, riguardante il grado eroico delle virtù e la fama signorum. Si aggiungono poi le “Normae servandae ininquisitionibus ab Episcopis faciendis”, date dalla Congregazione per le cause dei santi nel 1983, che forniscono maggioridettagli su tutta la materia. Il codice di diritto canonico del 1983 rinvia alla legge speciale costituita dal provvedimento diGiovanni Paolo II; quindi abbandona la pretesa di vedere nel codice un’unica legge ma rinvia in più punti al diritto speciale ed aquello particolare. Questo favorisce il formarsi di una cultura nuova che pensa alle investigazioni sulla santità canonizzata intermini teologici, storici e medico-scientifici. Allo straordinario crescere del numero di beatificazioni e canonizzazioni sembrarispondere la progressiva riduzione dell’utilizzo dello strumento giuridico.

Peculiarità del processo di beatificazione e canonizzazione Alcuni elementi del diritto secolare entrano a comporre le procedure canoniche, come elementi canonistici vengono ceduti aldiritto secolare. In particolare ha contribuito il diritto romano, infatti il processo canonico si costruisce, in età medievale, sullastruttura dell’ordo giustinianeo. Contribuisce inoltre il diritto germanico per quanto attiene al regime delle prove e a certeinflessioni inquisitoriali del processo. Il processo di canonizzazione assume elementi del processo canonico ordinario e del

processo canonico criminale, ma al tempo stesso influisce sull’evoluzione di entrambi. Anche il processo penale delle societàsecolarizzate è stato influenzato dal processo di canonizzazione, basti pensare alle procedure inquisitoriali del S. Uffizio quandovenivano ad essere la controfaccia delle procedure davanti alla Congregazione dei riti. Il moderno diritto secolare haun’influenza sul processo di canonizzazione per l’incidenza dell’ideologia illuministica della codificazione sulla dimensione

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dell’esperienza giuridica canonistica. Nel tempo il processo di beatificazione e canonizzazione viene a configurarsi con uncentro indice di particolarità.

L’odierna disciplinaTutto il procedimento assume carattere inquisitorio; tende alla valutazione della vita e delle virtù, o del martirio, del servo di Dio,all’esame dei suoi scritti per la loro coerenza col dogma e con la morale, all’accertamento dei miracoli. Vengono suddivise lecause “recenti” da quelle “antiche”. La distinzione è data dalla possibilità di provare l’esercizio in grado eroico delle virtù o ilmartirio attraverso testimoni oculari o testimoni de auditu a videntibus, oppure soltanto a fonti scritte. Nel primo caso ilprocedimento avverrà secondo le regole processuali, nel secondo caso l’accertamento dei fatti avverrà con l’utilizzo delle piùmoderne metodologie della critica storica. Competente ad istruire il processo è l’Ordinario diocesano, della diocesi in cui il servodi Dio è deceduto, oppure previa autorizzazione della Congregazione per le cause dei santi un altro Ordinario locale.L’istruttoria sui miracoli è fatta invece dall’Ordinario del luogo in cui i l fatto miracoloso è avvenuto. Quindi la prima fase delprocesso, la raccolta delle prove, spetta alla Diocesi. Alla Congregazione per le cause dei santi spetta la seconda fase, cioè lostudio del materiale e il dibattimento sugli atti di causa per l’accoglimento dell’istanza o per la sua archiviazione. Al Ponteficespetta di pronunciare la decisione definitiva. Gli attori della causa, cioè i soggetti privati del processo, possono essere singolifedeli, associazioni, persone giuridiche ecclesiastiche o civili, autorizzati dalla competente autorità ecclesiastica (l’Ordinariodiocesano). A loro spetta l’onere di sostenere le spese della causa e possono agire soltanto attraverso un procuratoredenominato “postulatore”, anch’esso approvato dall’Ordinario diocesano. Il postulatore ha la rappresentanza processuale degliattori e svolge le funzioni di avvocato della causa. Nel processo interviene anche una parte pubblica, nel senso che la suafunzione è posta a tutela del bene pubblico, ed è il Promotore di giustizia nel tribunale diocesano e il Promotore della fedepresso la Congregazione per le cause dei santi; essi intervengono nel processo  pro rei veritate, cioè per l’accertamento del

vero. In particolare devono tutelare i diritti della fede e l’osservanza delle norme processuali. Un ruolo importante è svolto daitestimoni, addotti dagli attori o d’ufficio. Tra i testimoni vengono compresi coloro che fossero eventualmente contrari alla causao avessero a deporre contro. Ampio spazio è dato all’ausilio dei periti: i censori teologi, che debbono valutare che negli scrittidel servo di Dio non ricorrano errori; i periti in ricerche storico – archivistiche, che devono raccogliere e valutare tutto ilmateriale; i periti medici, che devono valutare i miracoli.Il processo si svolge in due fasi: la fase istruttoria a livello locale, la fase dibattimentale e decisionale presso la Congregazioneper le cause dei santi. Il procedimento è aperto dal supplex libellus, cioè l’istanza rivolta dall’attore tramite il postulatore perchési inizi il giudizio e si istruisca la causa. Accolta l’istanza, il Vescovo diocesano consulta la Conferenza episcopale e notifica atutti i fedeli la petizione. Questa fase si può chiudere con il rigetto dell’istanza o con l’accoglimento, in quest’ultimo caso inizia lafase istruttoria vera e propria in cui vengono valutati gli scritti del servo di Dio, raccolte le deposizioni testimoniali sulle virtù o sulmartirio, si apre l’inchiesta sui miracoli, si verifica che non vi siano segni di culto in onore del servo di Dio. Finita l’istruttoriadiocesana, i relativi atti (detti transunto) sono trasmessi in duplice copia autenticata alla Congregazione per le cause dei santi egli originali restano nell’archivio della curia diocesana. La fase dibattimentale e decisionale si apre con un previo controllo dilegittimità da parte del sottosegretario del dicastero e con la nomina di un relatore, un sacerdote che prepara la positio sulle

virtù o sul martirio ( positio super virtutibus vel super martyrio) cioè la raccolta delle prove documentali e testimoniale e degli attidel processo. Intervengono poi i consultori teologi e il promotore della fede che si pronunciano sulla causa, cioè se esiste omeno una fama di santità e se questa è sostanziale. I loro voti sono sottoposti al collegio dei cardinali e dei vescovi dellaCongregazione a cui è rimessa la decisione. I miracoli sono oggetto di una specifica procedura in cui intervengono periti eteologi, prima di essere portati in discussione. Le sentenze pronunciate sono rimesse al Pontefice, cui unicamente spetta didecretare il culto pubblico ecclesiastico. Perciò le conclusioni del processo di beatificazione e canonizzazione costituiscono ilpresupposto del successivo provvedimento pontificio che investe il munus regendi e il munus docendi del Pontefice, essendoinsieme atto di governo ed atto di magistero.

Chiesa e realtà temporali

Il dualismo cristianoI rapporti fra religione e politica si sono definiti secondo assetti riconducibili alla fondamentale distinzione tra sistemi monisti esistemi dualisti. Nei sistemi monisti rientrano quelle realtà socio-politiche caratterizzate dal fatto di non conoscere distinzionefra temporale e spirituale, ma anzi credere in una profonda compenetrazione dell’elemento religioso con l’elemento politico. Ilmondo antico precristiano era caratterizzato dal sistema monista poiché la distinzione tra cittadino e fedele era del tuttoimpensabile; la religione infatti era considerata un elemento fondamentale nell’edificazione della società politica ed un fattore dicoesione sociale e di identità nazionale. I sistemi monisti nel tempo hanno conosciuto diverse esplicitazioni. Una è la ierocrazia,o governo della classe sacerdotale, in cui l’elemento religioso e spirituale prevale su quello politico e sociale; un esempio è loStato di Israele del Vecchio Testamento, l’organizzazione politica del popolo ebraico era funzionale al rispetto dell’Alleanza diDio con Abramo e la legge religiosa era anche legge civile. Un’altra esplicitazione si ha nella Chiesa di Stato, dove il principiopolitico predominò su quello religioso e l’attività religiosa fu considerata come una parte dell’attività statale. Anche a Roma lareligione era fattore di identificazione e coesione civile, infatti il culto degli dei era funzionale alla grandezza politica di Roma:l’imperatore era anche pontifex maximus. La divinizzazione degli imperatori rappresentò il punto più alto di sacralizzazione dellapolitica. I sistemi monisti sono stati tipici di società non toccate dal cristianesimo, come nelle società islamiche, ma nelle societàgià cristianizzate si è ricaduti nei sistemi monisti ogni qual volta il cristianesimo si sia affievolito e le istituzioni politiche si sianoaffermate (come il nazismo e il marxismo). Il sistema dualista è stato portato dal cristianesimo. Nell’episodio evangelico deltributo tratto dalle pagine di Marco (“rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”) mostra proprio questo

principio dualistico e trova riscontro anche in altre pagine del Vangelo, come nel processo a Gesù dinnanzi a Pilato dalle paginedi Giovanni (“il mio regno non viene da questo mondo”). Esiste quindi una sovranità distinta dalle sovranità temporali. Conl’ammonimento a distinguere Dio da Cesare si distinse conseguentemente tra società civile e società religiosa, tra autorità civilee autorità religiosa, tra legge civile e legge religiosa; si venne inoltre a creare il problema della doppia fedeltà del cittadino-

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fedele. Il principio dualistico cristiano ha messo in moto un processo di secolarizzazione della politica, riportandola all’interno deisuoi limiti. Esso tuttavia non sempre è stato di semplice attuazione, a causa delle diversità di condizioni ambientali e territoriali,ma ha dovuto trovare diversi modi e forme. Si sono infatti avute diverse modalità di realizzazione concreta del principio dualista.Innanzitutto i cosiddetti sistemi dualisti embrionali , nel millennio che va dal IV al XIV secolo, caratterizzati dalla tornantetendenza ad un ricongiungimento fra potere religioso e potere politico. Una prima espressione si trova nel periodo del bassoimpero romano e nell’alto medioevo, con il cosiddetto cesaropapismo, cioè quell’orientamento volto a restituire un primatodell’autorità civile (Cesare) sull’autorità religiosa (il Papa). Altra espressione della medesima tendenza si trova nell’età

medievale con la riforma gregoriana e dopo la vittoria del papato sull’impero nella lotta per le investiture, rappresentata dallateoria della potestà giuridica diretta della Chiesa sulla realtà temporale ( potestas directa Ecclesiae in temporalibus). Le difficoltàdi attuazione del principio dualista in questo periodo emersero non sul piano della distinzione fra leggi o fra società, ma delleautorità o potestà. Diverso sistema fu espresso dalla teoria canonistica della potestà giuridica indiretta della Chiesa sullarealtà temporale ( potestas indirecta Ecclesiae in temporalibus), all’epoca della Controriforma e osservata fino alle soglie delVaticano II, in base alla quale sussisteva un primato dell’autorità ecclesiastica su quella politica solo in alcune materie (resmixtae). Ad essa si contrappose, da parte statale, il sistema giurisdizionalista confessionista, proprio delle monarchie assolute(sec. XVII – XVIII), caratterizzato da un duplice orientamento degli Stati: la tutela del cattolicesimo assunto come religioneufficiale, la sottoposizione della Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche a pesanti controlli. Questi due sistemi furono accomunatidalla considerazione della distinzione fra Cesare e Dio anche come distinzione di società giuridicamente organizzate. Da questomomento si cominciò a pensare al rapporto tra Chiesa e Stato in termini di due ordinamenti paralleli. Fra XIX e XX secoloprevalsero altri due sistemi: il sistema separatista integrale, espressione della dottrina liberale che riconduce il fenomenoreligioso a fatto privato; il sistema giurisdizionalista agnostico e separatista, in tutti gli Stati liberali nell’Ottocento e negli Statimarxisti nel Novecento, caratterizzato da un regime di pesanti controlli e condizionamenti nei confronti di tutte le organizzazioni

religiose, partendo dall’agnosticismo dello Stato o addirittura dall’ateismo e dall’anticlericalismo. Questo spiega la forte reazionedella Chiesa e le aspre controversie con gli Stati. A questi sistemi separatisti si è opposto il sistema concordatario o dicollaborazione fra le due autorità, che presuppone la distinzione fra leggi, autorità e società. Questo sistema ha avuto unadiversa connotazione: nel caso di Stati totalitari o autoritari, ha lo scopo di garantire alle Chiese locali più o meno ampi spazi dilibertà; nel caso di Stati democratici, serve a favorire la sana collaborazione fra la Chiesa e la comunità politica.

Principi canonistici sui rapporti fra Chiesa e comunità politicaUna teoria canonistica dei rapporti fra Chiesa e comunità politica si può elaborare sulla base di due testi del Concilio VaticanoII: la costituzione pastorale “Gaudium et spes” e la dichiarazione “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa. Esistono poi altridocumenti, come il decreto “  Apostolicam actuositatem” sull’apostolato dei laici, il decreto “Christus Dominus” sull’ufficiopastorale dei vescovi, la costituzione dogmatica “Lumen gentium”, perché per elaborare una teoria dei rapporti tra Chiesa ecomunità politica, sarà preliminarmente necessario avere ben presente che cos’è la Chiesa. E’ rilevante anche il patrimoniocostituito dalla dottrina sociale della Chiesa, sia in quanto delinea una società politica conformata al disegno divino sia in quantoindica obbiettivi, vie, mezzi di presenza della Chiesa nella società politica. Si possono dunque desumere i principi direttivi sui

rapporti fra Chiesa e comunità politica: l’indipendenza e l’autonomia della Chiesa e della comunità politica; la libertà religiosa,individuale e collettiva; la rinuncia da parte della Chiesa a trattamenti di privilegio e a diritti qualora il loro esercizio possaoffuscare la testimonianza della Chiesa; la libertas Ecclesiae, cioè la rivendicazione di poter godere nell’ordinamento statale ditanta libertà quanta è richiesta dalla sua missione; la sana collaborazione con la comunità politica. Tale collaborazione èrichiesta dal fatto che entrambe sono a servizio della stessa persona umana, quindi il vero bene di quest’ultima può essereperseguito solo in un regime di collaborazione fra le due autorità. Non si nota però un atteggiamento né di favore né contrarionei confronti dei concordati, cioè accordi di diritto internazionale, perché come affermato dal Vaticano II l’auspicata e sanacollaborazione fra Chiesa e comunità politica deve trovare attuazione secondo le modalità adatte e il concordato può essereuno dei modi ma non è detto che sia il migliore. Nell’età contemporanea distinguiamo tre grandi periodi. Dal Concordatonapoleonico (1801) alla prima guerra mondiale, gli accordi sono marcati dal rapporto personale tra il Papa e il capo dello Statocontraente. Dopo la prima guerra mondiale e a seguito della rinnovata politica internazionale di Benedetto XV, si apre unanuova stagione concordataria, segnata da accordi con Stati totalitari o autoritari e con moderne democrazie. Nel 1936 unapronuncia della Corte di Giustizia dell’Aia definisce tali accordi come veri trattati di carattere internazionale. Il Concilio VaticanoII dedica un intero paragrafo della “Gaudium et spes” ai rapporti fra Chiesa e comunità politica e auspica che si persegua unasana collaborazione. L’attività convenzionale della Santa Sede conosce delle significative innovazioni. Le relazioniconvenzionali infatti si pongono anche con Stati di orientamento ideologico o con tradizioni religiose molto lontane oppure conOrganizzazioni ed Organismi Intergovernativi. Inoltre nuove materie entrano a formare oggetto di disciplina concordata: i beniculturali, la bioetica, l’obiezione di coscienza, la privacy; segno che le frontiere che marcano l’ordine della Chiesa e l’ordine degliStati sono storicamente mobili. Una particolarissima attenzione della Santa Sede va nei confronti degli Stati dell’Europa centraleed orientale, questo gruppo di accordi chiude l’arco temporale di due secoli e richiama il primo accordo, quello napoleonico, nelsenso che anche gli accordi in questione sono chiamati spesso a restaurare la Chiesa nei rispettivi Paesi. Infatti ricorronoquestioni analoghe a quelle risolte dal cardinale Con salvi nell’elaborazione del concordato napoleonico. Per altri aspetti inveceappaiono radicalmente nuovi, nei contenuti normativi e nei contesti culturali e spirituali, contesti che sono immediatamentericollegabili al ruolo svolto dalla Chiesa nel passaggio dalla dittatura alla democrazia. Tornando ai principi direttivi, essi sonoinquadrati nel contesto della potestà di insegnamento che la Chiesa rivendica nel modo più pieno nella società, una potestà nongiuridica ma morale che non costituisce una illegittima intromissione nell’autonomia propria del secolare. La potestà diinsegnamento si ricollega al munus docendi della gerarchia e si esplicita nel dare il giudizio morale su cose che riguardanol’ordine temporale; la Chiesa non ha il potere di annullare o abrogare le leggi ma ha il diritto di esprimere un giudizio morale sutale legislazione, in questa prospettiva si pone l’enciclica “Evangelium vitae” (1995). La dottrina canonistica sulla potestas

magisterii ha avuto un grande sviluppo dopo il Vaticano II, si pensi agli insegnamenti conciliari in materia di autonomiadell’ordine temporale o alla costituzione “Gaudium et spes” dove si afferma che nei rapporti con la comunità politica la Chiesaha sempre e dovunque il diritto di predicare con vera libertà la fede e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardanol’ordine politico. La potestà di magistero implica di esprimere liberamente il giudizio su qualsiasi realtà umana e questo diritto

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entra a qualificare e comporre la libertas Ecclesiae. In quanto diritto suo proprio e originario, sussiste anche qualora, in undeterminato ordinamento statale, venisse disconosciuto o negato; infatti l’esercizio della potestà di magistero prescinde daqualsiasi riconoscimento.

In particolare: il principio di libertà religiosaLa libertà religiosa venne recisamente condannata nel 1864 da Pio IX nel “Sillabo” e un secolo dopo fu riconosciuta dalConcilio Vaticano II nella dichiarazione “Dignitatis humanae” del 1965. Dal punto di vista storico la libertà religiosa nasce comerivendicazione del diritto dei credenti di poter professare liberamente la propria fede religiosa, con esclusione di qualsivogliaimpedimento proveniente dall’esterno; quindi la libertà religiosa ha una valenza propriamente giuridica. Ma la libertà religiosapuò essere oggetto di valutazione anche in altri ambiti come quello filosofico e teologico, dove i caratteri salienti sono il rapportotra verità ed errore e la doverosità o meno di aderire alla verità una volta che sia stata conosciuta. Diversa dalla libertà religiosaè la libertà di coscienza, che costituisce uno dei contenuti della libertà religiosa, ma si può anche dire che è la libertà dicoscienza a comprendere quella religiosa se si intende la prima come libertà di avere o meno un credo religioso mentre laseconda l’esercizio della libertà di coscienza nello specifico ambito religioso. La libertà religiosa è da distinguersi anche dallalibertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) e dalla libertà cristiana. La prima si pone sul piano giuridico ed è la libertà di cui laChiesa deve godere nell’ordine temporale; la seconda si pone sul piano teologico e consiste nel moto spontaneo verso il benedella persona, è la libertà di andare verso la verità e comporta il superamento della legge esteriore per intima adesione allalegge di Dio, la carità. Si deve distinguere inoltre dalla tolleranza religiosa, che evoca il non perseguire un fenomeno religiosoche si vorrebbe represso. Nella “Mirari vos” e nel “Sillabo” veniva condannata la concezione filosofica della libertà religiosa, taleconcezione importava di conseguenza il relativismo, il sincretismo e l’indifferentismo in materia religiosa. E’ ovvio che taliposizioni sono incompatibili con l’essere stesso della Chiesa, per cui non può essere indifferente credere o non credere.

Ovviamente il Concilio Vaticano II ha ribadito questi insegnamenti affermando che sul piano morale sussiste l’obbligo di cercaree seguire la verità, poiché verità ed errore non sono sullo stesso piano. Viceversa la dichiarazione conciliare affronta laquestione della libertà religiosa dal punto di vista giuridico. Tratta infatti delle responsabilità che incombono sullo Statonell’assicurare a tutti quella piena libertà grazie alla quale ciascuno può soddisfare l’obbligo morale di conoscere e seguire laverità. Quindi interlocutore del documento conciliare è l’autorità pubblica che non deve obbligare le coscienze ma garantireciascuno da eventuali coazioni. Nella “Dignitatis humanae” la libertà religiosa è considerata come un diritto naturale, fondatosulla dignità della stessa persona umana, che si definisce diritto ad essere immuni da coercizioni esterne in materia religiosa.Sono titolari di questo diritto tutti gli uomini, infatti a motivo della loro dignità tutti quanti gli uomini sono spinti dalla loro stessanatura a cercare la verità, soprattutto quella concernente la religione. Però gli uomini non sono in grado di soddisfare a questoobbligo se non godono della libertà psicologica e dell’immunità dalla coercizione esterna. Si tratta dunque di un diritto pubblicosoggettivo, cioè un diritto del soggetto che si esprime nei rapporti per i quali si manifesta il potere di comando (imperium), ed èal contempo un diritto individuale ed un diritto collettivo, che spetta in primo luogo ad ogni uomo ma di cui possono esseretitolari anche formazioni sociali. La libertà religiosa comporta il diritto di non essere impediti ad agire in conformità della propriacoscienza, ma ciò può incontrare dei limiti. Infatti nell’esercizio di tutte le libertà si deve osservare il principio morale della

responsabilità personale e sociale: quindi tener conto tanto dei diritti altrui quanto dei propri doveri verso gli altri, quindi agiresecondo giustizia e umanità. Poiché la società civile ha il diritto di tutelarsi contro gli abusi, spetta soprattutto al potere civileprovvedere a tale protezione secondo norme giuridiche conformi all’ordine morale oggettivo. Limite legittimo al diritto di libertàreligiosa è quello che si uniforma rigorosamente ai diritti umani o diritti naturali. Nella Chiesa è sempre stato costantel’insegnamento per cui l’atto di fede non può che essere libero. Il Vaticano II afferma che l’uomo deve risponderevolontariamente a Dio credendo, perciò nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Il dirittointerno della Chiesa vieta ogni coazione nell’opera di evangelizzazione e nell’amministrazione del battesimo (cann. 748 ed 865).Con il pontificato di Giovanni Paolo II il magistero sulla libertà religiosa è stato approfondito. Sicuramente con la Lettera ai Capidi Stato sulla libertà religiosa e sul documento finale di Helsinki, del primo settembre 1980, nella quale è chiarito il pensierodella Chiesa sulla libertà religiosa come diritto dell’uomo, individuale e collettivo, in particolare come diritto delle singoleconfessioni religiose. Si dilunga nell’individuare e definire i singoli contenuti del diritto di libertà religiosa, evidenziando comenella moderna società non possa essere più ristretto nella classica libertà di professare la propria credenza religiosa, nellalibertà di culto o nella libertà di proselitismo. E’ precisato che sul piano personale libertà religiosa significa anche libertà dieducazione religiosa dei figli; la libertà delle persone di beneficiare dell’assistenza religiosa; libertà di non essere costretti acompiere degli atti contrari alla propria fede; libertà di non subire limitazioni e discriminazioni nelle diverse manifestazioni di vita.Sul piano comunitario libertà religiosa è la libertà che ad ogni comunità religiosa deve essere assicurata di scegliereliberamente i propri ministri, di esercizio del ministero, di avere istituti di formazione religiosa, di pubblicare libri religiosi, dicomunicare ed insegnare la fede con ogni mezzo, di svolgere attività di educazione, di beneficenza, di assistenza. Nella misurain cui la libertà religiosa raggiunge la sfera più intima dello spirito, essa sostiene la ragion d’essere delle altre libertà, cioè èmatrice e fondamento di tutte le altre libertà. Rispetto alla “Dignitatis humanae”, che parte da una definizione in negativo dellalibertà religiosa, Giovanni Paolo II la colloca in un contesto positivo, relativamente alle responsabilità nel rimuovere tutti gliostacoli che impediscono il pieno sviluppo della vita religiosa a livello individuale e a livello collettivo.

I concordati e gli altri accordiLa tradizionale forma di collaborazione sono i concordati, ovvero accordi di diritto internazionale. E’ stato favorevole lo sviluppodell’esperienza giuridica internazionale, condiviso dalla dottrina canonistica. Ad esempio nel can. 362 il Pontefice esercita lo iuslegationis nei confronti dei governi civili nel rispetto delle norme di diritto internazionale. E’ da ricordare l’allocuzioneconcistoriale “In hac quidem” del 1921, con cui Benedetto XV delineò la politica concordataria dopo i grandi sconvolgimentidella prima guerra mondiale. Lo Stato è parte contraente del concordato, ma in futuro non è da escludere che si possanostipulare anche con altri soggetti internazionali. Per l ’individuazione dei soggetti competenti è necessario rifarsi alle normecostituzionali dei diversi Stati. Per parte della Chiesa il soggetto competente a stipulare un concordato è la Santa Sede, chegode di soggettività giuridica internazionale, alla quale per il diritto canonico spetta lo ius legationis e lo ius tractandi . Laformazione segue la procedura tipica delle convenzioni internazionali (Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati 1969): i

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negoziati ufficiosi, la nomina dei plenipotenziari con relativa verifica dei poteri, la redazione e la firma dell’accordo da parte deiplenipotenziari e infine lo scambio delle ratifiche. Senza la ratifica l’accordo non acquista forza vincolante e non produce effettigiuridici. La ratifica è atto unilaterale con cui ciascuna parte approva l’operato dei suoi plenipotenziari, spetta quindi al Ponteficee al capo dello Stato, autorizzato dal competente organo costituzionale. Perché possa produrre effetti è necessaria anchel’esecuzione; questa avviene automaticamente per l’ordinamento canonico perché l’accordo viene pubblicato sugli “ Acta Apostolicae Sedis”. Più complessa la situazione per gli ordinamenti statali: in alcuni casi l’adattamento è automatico (sistemamonista), in altri casi è necessaria una legge di esecuzione (sistema dualista) senza la quale il concordato non produce effetti

giuridici interni. Le disposizioni concordatarie vigono contestualmente nei due ordinamenti, oltre ad essere in vigorenell’ordinamento internazionale. Esiste poi il problema dell’interpretazione poiché da un lato è frutto di un avvicinamento delledue parti da posizioni originarie diverse sicché la formulazione si può prestare ad interpretazioni differenti; dall’altro lato ledisposizioni creano un diritto oggettivo comune, quindi interpretato ed applicato allo stesso modo. L’interpretazione di cui siparla non è quella della dottrina (interpretazione dottrinale), ma quella autentica compiuta dalle parti o in via unilaterale(interpretazione unilaterale) o in via bilaterale (interpretazione bilaterale). La prima è sempre legittima purché in buona fede; laseconda è stabilita d’accordo fra le due parti. Ad esempio nell’articolo 14 del concordato italiano è stabilito che se in avveniresorgessero difficoltà di interpretazione, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzionead una Commissione paritetica da loro nominata. Per l’estinzione dei concordati valgono le regole generali relative ai trattatiinternazionali. Una prima causa è data dal consenso reciproco delle parti contraenti; un esempio è l’accordo di Villa Madamadel 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica italiana nelle quali sono apportate delle modifiche al Concordato lateranense del1929. Altra causa è la scadenza dei termini, posti originariamente all’accordo; ad esempio nell’art. 20 della convenzione del1957 con la Bolivia troviamo che questa Convenzione avrà la durata di dieci anni dalla ratifica, che si considera tacitamenterinnovata di dieci anni in dieci anni, a meno che sei mesi prima che termini il mandato una delle due Alte Parti dichiari il

contrario. C’è poi il caso per il verificarsi di una clausola risolutoria prevista nell’accordo. Infine l’estinzione per denunciaunilaterale che deve essere contemplata nell’accordo; ad esempio la convenzione con la Repubblica di El Salvador (1968)afferma che questa convenzione resterà in vigore a meno che una delle Alte Parti la denunci con un anno di anticipo. C’è anchela possibilità dell’estinzione per la denuncia da parte di uno dei contraenti per violazione di una o più disposizioni; è tradizionedella Santa Sede non fare ricorso a questa forma. Un problema nasce dalla possibilità di accordi tra Chiese particolari ecomunità politica. Fino al Concilio Vaticano II c’era l’esclusiva competenza della Santa Sede, anche se nel tempo non sonomancati casi di accordi fra le Chiese particolari e corrispondenti autorità politiche. Tale teoria e tale prassi discendevano daragioni politiche e giuridiche: da un lato si è sempre considerato che il papato fosse più libero rispetto all’autorità politica equindi più capace di far valere le ragioni della libertas della Chiesa particolare, senza contare i sempre rinascenti sospetti per ilpericolo del formarsi di Chiese nazionali assoggettate allo Stato; dall’altro si rafforzava l’idea della esclusiva competenza dellaSanta Sede, in ragione della sua indiscussa soggettività giuridica internazionale. Ora la situazione appare mutata, comeconseguenza del Vaticano II. Nel decreto conciliare sull’ufficio pastorale dei vescovi “Christus Dominus” è attribuito al Vescovodiocesano il munus di promuovere e curare i rapporti con l’autorità civile. Il problema appare più politico, cioè attiene più aquestioni di opportunità e di convenienza. Non è affatto vero che oggi la Chiesa sia più libera che in passato, anche se in molticasi l’azione della Santa Sede è più incisiva nella difesa della libertas Ecclesiae. Il problema di maggior rilievo è quello dellaquantificazione degli accordi in questione. Non hanno natura concordataria poiché la Chiesa particolare non è soggetto di dirittointernazionale e spesso anche l’altra parte non lo è. Si possono individuare tre diverse fattispecie:

- la prima è data dagli accordi fra episcopato ed autorità politica, con un carattere meramente politico; per far sì chel’autorità politica competente adotti nell’ambito dell’ordinamento civile quei provvedimenti di natura normativa oamministrativa che sono attuazione di quanto convenuto con l’autorità ecclesiastica.

- la seconda è data dagli accordi con carattere meramente amministrativo, interno all’ordinamento statale; ad esempiol’intesa fra Vescovo diocesano e competente autorità scolastica per la nomina dei docenti di religione.

- la terza è data dagli accordi aventi un contenuto normativo, cioè volti ad innovare l’ordinamento giuridico statale.Non hanno la natura di accordi internazionali né possono qualificarsi come concordati, però si tratta pur sempre di accordi chenascono in un ordinamento giuridico terzo, nel quale le due autorità contraenti si incontrano su un piano di parità. E’ evidenteche i contenuti dell’accordo devono poi trovare esecuzione nell’ordinamento civile e in quello canonico. Si deve anchecontemplare il caso che singoli Vescovi o le conferenze episcopali, con il consenso e con il mandato della Santa Sede, stipulinoaccordi con l’autorità statale; in questo caso si rientrerebbe nella fattispecie concordataria e rientrano i “concordati quadro”,quelli contenenti i principi informatori dei rapporti, e gli accordi attuativi sulle singole materie. L’Accordo di modificazione del

concordato lateranense del 18 febbraio 1984, da un lato pone delle norme quadro in determinate materie: insegnamento dellareligione nelle scuole pubbliche; di assistenza spirituale nelle forze armate, nelle carceri, negli ospedali e negli istituti di ricovero;di tutela del patrimonio storico ed artistico. Dall’altro prevede una clausola generale secondo cui ulteriori materie potrannoessere regolate sia da nuovi accordi sia da intese con le competenti autorità. Nel primo caso si tratta di un mandato della SantaSede a convenire con l’autorità statale, nel secondo sembra un rapporto di sostituzione della Conferenza episcopale italianaalla Santa Sede.

La Chiesa e la comunità internazionaleLa presenza della Chiesa nella vita della comunità internazionale è un dato storico incontrovertibile. Dall’origine della comunitàinternazionale è stato presente anche il papato. Le ragioni storiche sono da ricavare nella sovranità temporale dei Papi enell’indiscussa posizione di primato sulle sovranità temporali che il papato aveva. La vera ragione di tale presenza è daricercarsi nell’evolvere della prima esperienza dello Stato moderno verso forme di giurisdizionalismo, cioè quella politica equella legislazione in materia ecclesiastica tendente a sottomettere la Chiesa sempre più direttamente al controllo dell’autoritàcivile. Il giurisdizionalismo univa la rivendicazione di una serie di diritti nei riguardi della istituzione ecclesiastica (iura

maiestatica circa sacra) che finivano sostanzialmente per violare in maniera grave la libertas Ecclesiae e per soggiogarepesantemente la Chiesa allo Stato. Questa politica trovava un ostacolo nel carattere sopranazionale della Chiesa; questo fu unelemento che sorresse l’altra tendenza a favorire la nascita di Chiese nazionali cioè avente un’organizzazione autonoma

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rispetto al papato. La politica di presenza della Santa Sede nell’ordinamento internazionale risponde ad un’esigenza politica benprecisa: sottrarre leChiese locali alla giurisdizione nazionale dei moderni Stati sovrani e trattare con gli Stati la regolamentazione delle materie diinteresse ecclesiastico, partendo da un piano di parità. In sostanza la Santa Sede perseguiva un duplice scopo,l’emancipazione dal giurisdizionalismo statale e la garanzia dell’unità della Chiesa. Oggi le ragioni sono mutate. L’intensa ecrescente partecipazione a partire dal secondo dopoguerra fu soprattutto da parte di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Si tratta di unfenomeno di estremo rilievo che porta ad una sempre più incisiva presenza della Santa Sede che contribuisce a produrre

trasformazioni che hanno riflessi all’interno delle stesse società statali. La Chiesa ha seguito e favorito molti processi ditrasformazione e ha sospinto verso modelli democratici, contribuendo alla creazione di quel clima di moderazione che ha evitatoforme di violenza e ha favorito l’evolversi delle relazioni internazionali verso modelli più consoni alle esigenze di giustizia e dipace. Nel passato l’attività internazionale era costituita da attività concordataria, con oggetto la garanzia volta ad assicurare lalibertas Ecclesiae. Ora la Santa Sede non è più solo produttrice e destinataria di norme nascenti dai singoli accordi, ma siasotto il profilo dei suoi rapporti con le Organizzazioni Internazionali Governative, sia sotto quello della sua partecipazione aconvenzioni multilaterali, la Santa Sede ora partecipa alla stessa produzione delle norme di diritto internazionale. E’ unfenomeno nuovo per cui la Santa Sede partecipa a pari t itolo con gli Stati alla produzione delle norme di diritto internazionalegenerale codificato, di cui gli stessi Stati saranno poi destinatari. La manifestazione più evidente ci fu alla firma dell’atto finaledella Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (C.S.C.E.) con il trattato di Helsinki del 1975. Quest’accordo haintrodotto il principio del rispetto dei diritti umani negli ordinamenti comunisti dell’Est, offrendo il significato della partecipazionedella Santa Sede nella vita della comunità internazionale. Questa è qualificata dalla rivendicazione delle libertà che alla Chiesasono necessarie e dall’affermazione dei diritti umani, da riconoscersi e garantirsi ovunque, nonché dal perseguimento dellapace tra i popoli e di relazioni internazionali improntate a giustizia. Il mutato atteggiamento della Santa Sede è dovuto anche ad

un mutamento della vita della comunità internazionale: dal “modello di Westfalia”, affermatosi dalle origini della comunità stessa,al “modello della Carta delle Nazioni Unite”, sotteso allo spirito di un nuovo ordine internazionale. Il primo fondato sullaconcezione del diritto internazionale in termini di regole poste dalle grandi potenze; il secondo qualificato dalla pace come finesupremo. Viene dunque rifiutata la forza come principio ordinatore delle relazioni internazionali, inoltre vengono assunti qualiprincipi fondamentali: il rispetto dei diritti umani, l’autodeterminazione dei popoli, l’eguaglianza fra gli Stati, la giustizia e l’equitànei loro rapporti, la solidarietà e la cooperazione internazionale, la buona fede. Essi coincidono con il magistero ecclesiasticosui rapporti internazionali. Il modello di Westfalia era ispirato a principi inaccettabili come il diritto della forza (ius quia iussum)che contrasta con la condizione ontologica dell’uomo e del vivere giuridico in quanto ordine di giustizia ( ius quia iustum). LaChiesa non può accettare una concezione del diritto contraria ai capisaldi del magistero ecclesiastico, quindi come strumento dipotenza e non come strumento di giustizia.

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