epistemologia del diritto canonico - i parte
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Sul fondamento epistemologico del diritto canonicoTRANSCRIPT
CAPITOLO I
FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
1.1 L’ORDINAMENTO GIURIDICO CANONICO
La Chiesa, radicata nel tempo e nello spazio, coerentemente con la propria
fisionomia gerarchica, comunitaria e con fini soprannaturali, è attenta ad utilizzare tutti i
mezzi praticabili, compresi quelli giuridici, che le possano consentire una più incisiva,
proficua ed articolata presenza nella vita e nella storia degli uomini purché siano
garantiti e rispettati la propria peculiare identità carismatico-istituzionale e l’esperienza
che le diede origine1. La prospettiva ecclesiologica di riferimento, in questo senso, non
può che essere quella desunta dall’ultimo Magistero conciliare2, per mezzo del quale si
viene introdotti nel mistero più intimo della Chiesa come:
«Societas [...] organis hierarchicis instructa et mysticum Christi Corpus, coetus adspectabilis et communitas spiritualis, Ecclesia terrestris et Ecclesia coelestibus bonis ditata [in cui la dualità ontologica] non ut duae res considerandae sunt, sed unam realitatem complexam efformant, quae humano et divino coalescit elemento»3.
1 Cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni di Diritto canonico, 2ª ed., Torino, 2004, p. 15.2 «Similiter in iure canonico exponendo et in historia ecclesiastica tradenda respiciatur ad Mysterium
Ecclesiae, secundum Constitutionem dogmaticam “De Ecclesia” ab hac S. Synodo promulgatam». CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Decretum: Optatam Totius, 28 octobris 1965, in AAS, LVIII (1966), n. 16, p. 724. Abbreviato d’ora in poi con: OT.
3 CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Constitutio Dogmatica: Lumen Gentium, 21 novembris 1964, in AAS, LVII (1965), n. 8, p. 11. Abbreviato d’ora in poi con: LG. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].
In essa, un Ordinamento giuridico canonico4, tenuto conto che quest’ultimo è di
pertinenza della dimensione terrena, seppure sempre proteso a quella soprannaturale5, si
configurerebbe come la risposta ecclesiale, in termini positivi, all’ineludibile dato di
fatto che il vivere secondo il Diritto appartiene al mondo degli uomini in una maniera
ampia ed incisiva, tanto che «accompagna [...] tutte le forme della vita umana associata,
da sembrare quasi che con essa si identifichi»6. Esso si pone, quindi, nell’ordine della
necessità esistenziale.
Tale prospettiva dottrinale è quanto il Magistero ordinario dei pontefici del secolo
scorso ha tenuto a ribadire più volte, sottolineando, come non sarebbe né pensabile, né
tanto meno attuabile una convivenza ordinata, feconda e pacifica senza un organizzato
sistema di norme legali. Lo ha inteso dire Pio XII sostenendo che
«affinché la vita sociale, qual è voluta da Dio, ottenga il suo scopo, è essenziale un Ordinamento giuridico che le serva di esterno appoggio, di riparo e protezione; Ordinamento la cui funzione non è dominare, ma servire»7;
Giovanni XXIII nella Pacem in Terris:
«Neque dubium esse potest, quin iuridicialis reipublicae ordinatio, pariter cum iusti rectique normis, pariter cum progressa civitatis disciplina consentanea, summopere ad communes omnium utilitates conducat»8;
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4 «L’insieme delle norme giuridiche, poste o fatte valere dagli organi competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali è organizzata e opera essa Chiesa e dalle quali è regolata l’attività dei fedeli, in relazione ai fini che le sono propri». V. DEL GIUDICE, Nozioni di Diritto canonico, Milano, 1970, p. 15.
5 «Dato che il Diritto canonico positivo appartiene alla parte umana e storica della Chiesa, e, in questa parte, alla sfera sociale, ossia alla sfera più esterna, non deve apparire una stranezza affermare che il Diritto canonico riflette, forse come nessun altro fattore positivo della Chiesa, la condizione di pellegrina, storica, contingente e mobile che contrassegna questa stessa Chiesa, pur nella sua condizione di indefettibilità. Il Diritto canonico ricorda continuamente alla Chiesa che si trova immersa nel mondo, nel tempo e nello spazio, e che soffre le conseguenti connaturali pressioni e condizionamenti di tali fattori (Constitutio Dogmatica: “de Ecclesia”, n. 8, d). Insieme le ricorda che essa è debole ed ha bisogno di confrontarsi con la potenza della grazia di Dio per non venir meno alla sua fedeltà perfetta (Constitutio Dogmatica: “de Ecclesia”, n. 9 [...]». EDITORIALE, Verso nuove strutture ed un nuovo Codice di Diritto canonico, in Concilium, III (1967), n. 8, p. 16.
6 S. LENER, Sul concetto di Diritto oggi: equivocità, univocità o analogia?, in La Civiltà Cattolica, 131 (1980-III), p. 222.
7 Cfr. PIUS PP. XII, Nuntius radiophonicus: A Summo Pontifice die XXIV mensis decembris A. MCMXLII in pervigilio nativitatis D. N. Iesu Christi, universo orbi datus, 24 decembris 1942, in AAS, XXXV (1943), p. 13.
8 IOANNES PP. XXIII, Litterae Encyclicae: Pacem in Terris, 11 aprilis 1963, in AAS, LV (1963), n. 29, p. 277. Abbreviato d’ora in poi con: PT.
così come anche Paolo VI quando disse: «plus le droit est oublié, méprisé, foulé aux
pieds, plus deviennent évidentes sa grandeur, sa beauté, son absolue nécessité pour la
vie en commun ordonnée de la société»9.
È tenendo conto di questo orientamento che la Chiesa, nel corso della sua
bimillenaria esperienza, certamente in modo graduale e secondo la maturità giuridica
dei tempi, anche a fronte di correnti di pensiero di vero e proprio rigetto del Diritto10, si
è sempre adoperata perché potesse contare su di un sistema organizzato di norme
giuridiche, convinta che non solo esso non sia in contrasto con la sua essenza, ma
costituisce un fattore ineludibile per la sua stessa esistenza11:
«la Chiesa intesa quale comunità di persone che vivono nella storia, come insieme di individui che hanno accolto la Buona Novella del Vangelo e che nella storia cercano il proprio perfezionamento spirituale per raggiungere la salvezza, vive giuridicamente e del Diritto ha bisogno»12.
L’interdipendenza tra Diritto e vita comunitaria si pone, poi, alla base
dell’orientamento dottrinale secondo cui la ratio essendi del giuridico nella Chiesa non
può che essere quella «di promuovere la personale vocazione dei fedeli e di articolare i
beni tipici della comunità ecclesiale»13, operando a fronte del principio ‘istituzionale’
«il necessario distacco tra carisma personale e comunitario, espletando in misura
sufficiente l’oggettività della fede e della missione»14.
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9 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad Excellentissimos Viros e Legatorum Coetu apud Sedem Apostolicam, novo ineunte anno Beatissimo Patri fausta omnia ominatos, 7 ianuarii 1965, in AAS, LXV (1965), p. 231. [Il testo negli AAS è in francese nonostante l’intitolazione sia in latino].
10 Anche se con motivazioni diverse e partendo da presupposti filosofici-teologici differenti, hanno negato l’autorità ecclesiastica e la forza obbligatoria della tradizione disciplinare, cioè il Diritto ecclesiale, i movimenti ereticali dei primi secoli cristiani (Donatisti, Montanisti, Novaziani), quelli spirituali del Medioevo con il loro Cristianesimo in senso radicalmente ascetico (Catari, Valdesi e Albigesi). Nelle età più tarde, il profetismo escatologico di Gioacchino da Fiore e lo spiritualismo dei Fraticelli, quindi Wyclif, Hus, i sostenitori classici della Riforma protestante, seppure con posizioni differenziate, e, nel secolo scorso, soprattutto negli anni del Vaticano II, correnti di pensiero antigiuridiche all’interno della stessa Chiesa cattolica. Cfr. P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico. Un approccio storico-istituzionale, Torino, 1996, pp. 12-16; 49; J. S. DE LA TORRE, El Derecho en el misterio de la Iglesia, in Revista Española de Teologia, 14 (1954), pp. 212-213; A. MONTAN, Il Diritto nella vita e nella missione della Chiesa 1, 2ª ed., Bologna, 2006, p. 69.
11 Cfr. G. FELICIANI, Le basi del Diritto canonico, Bologna, 2002, pp. 62-63.12 G. DALLA TORRE, Lezioni, p. 15.13 M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, 4ª ed., Roma, 2001, p. 19.14 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p. 18.
Secondo questa prospettiva, quello canonico non si discosterebbe, in quanto a
definizione, da qualunque altro tipo di Ordinamento giuridico civile15 e, in linea con le
teorie giuridiche moderne, non se ne discosterebbe neanche per il suo carattere di
esclusività «nel duplice senso che prevale su altre eventuali leggi e [...] mutua da sé
stesso la propria legittimità: superiorem non recognoscens»16; benché non si tratti di un
prodotto realizzato ad imitazione di quelli secolari. Rispetto a questi ultimi, nonostante
venga garantita una positiva sinergia con essi (cfr. Can. 22), l’Ordinamento canonico
vanta una sostanziale differenza che determina la sua originalità, rinvenibile tanto nel
suo costante riferimento ad un orizzonte di senso soprannaturale che massimizza in esso
la tensione tra la legge dell’autorità e la libertà dell’uomo17, quanto nel fatto di non
essere un sistema di norme chiuso ed autosufficiente che riceve la propria efficacia
giuridica unicamente dalla volontà del Legislatore, ma salvaguarda l’autorevolezza e la
indiretta incidenza dei presupposti teologici18. Ciò significa che
«le norme canoniche positive non possono costituire un sistema chiuso, in cui non trovino posto, sempre e dovunque, i criteri dello scopo della Chiesa, cioè della salvezza delle anime e tutto quello che viene richiesto dalla “costituzione” visibile e di grazia della Chiesa voluta dal suo Fondatore»19.
Sulla base di queste prime considerazioni e tenuto conto che ogni Ordinamento
giuridico è espressione di particolari presupposti ideologici e culturali che lo
qualificano, frutto di una volontà iniziale e di una tradizione che lo caratterizzano e allo
stesso tempo lo differenziano da altri sistemi giuridici, ci si chiederà: che tipo di
Ordinamento giuridico è quello della Chiesa? Qual è la sua natura? Quali i riferimenti
da cui trae i propri contenuti?
A queste domande si cercherà di rispondere di seguito, trattando dei presupposti
metodologici e dei principi fondamentali che animano il Diritto canonico.
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15 «Ordinamento della convivenza sociale, operato dalla pubblica autorità secondo giustizia, finalizzato immediatamente al bene comune e terminalmente alla promozione integrale della persona umana». A. MARTINI, Il Diritto nella realtà umana, in G.I.D.D.C. (cur.), Il Diritto nel mistero della Chiesa, 2ª ed., vol. I, Roma, 1988, p. 26.
16 A. MONTAN, Il Diritto, p. 18.17 Cfr. S. BERLINGÒ, Diritto canonico, Torino, 1995, pp. 26-27.18 Cfr. A. MARTINI, Il Diritto, pp. 90-91.19 P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico, p. 44.
1.1.1 PRESUPPOSTI METODOLOGICI
1.1.1.1 Elementi di teoria generale del Diritto canonico
Per poter adeguatamente dire cosa sia il Diritto canonico, stando al principio Ius
sequitur vitam, il punto di partenza non può che essere la storia/storicità nella sua
particolare accezione di esperienza quotidiana,
«concreto vissuto degli uomini in ogni “qui” ed “oggi” che li ha visti insieme protagonisti di un “divenire comune”, che, pur originando dal vissuto di ciascun singolo soggetto, assume tuttavia un’inevitabile portata sociale, stabile e progressiva anche per coloro che verranno in seguito [...]. In altri termini [...] l’autentico “locus dell’umano”, la sua concreta e necessaria “collocazione” nell’esistenza»20.
In tal senso, esso non fa altro che essere funzionalmente adeguato alla natura
missionaria della Chiesa, al contempo umana e divina, la quale, affondando le proprie
radici nell’universalità della sua vocazione terrena e mossa interiormente dal dinamismo
dello Spirito Santo, che nella storia, attraverso i sacramenti e le istituzioni ecclesiali,
rende possibile la salvezza in Cristo, realizza la sua historia salutis21. Con la storia,
l’elemento giuridico si pone, quindi, in termini di stretta e necessaria reciprocità ed
identificazione:
«Il Diritto, [...] non si proietta dall’esterno, magari dall’alto, sulla storia usandole violenza o, comunque imprigionandola, ma è esso stesso storia, storia vivente, sua dimensione imprescindibile [...]. Non costringe la società, la esprime [...] non è un’invenzione dei palazzi del potere, ma appartiene al livello basso vitale della esperienza quotidiana [...]. Esso è da reperirsi nella struttura stessa della società, appartiene alla sua più elementare fisiologia»22.
La storia diviene, in tal senso, l’humus, il terreno fertile, il Sitz im Leben, da cui nasce e
cresce ciò che acquista rilevanza giuridica. Il contesto primario da cui il Diritto ricava la
propria origine, l’identità e il suo fine; non solo il luogo dove è chiamato ad agire23 e
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20 P. GHERRI, Relatività e storicità: la natura categoriale del Diritto canonico secondo T. Jiménez Urresti, in P. GHERRI (ed.), Categorialità e trascendentalità del Diritto. Atti della Giornata Canonistica Interdisciplinare (PUL, 23 marzo 2006), Città del Vaticano, 2007, p. 166.
21 Cfr. EDITORIALE, Il dinamismo del Diritto canonico che realizza storicamente il dinamismo intrastorico della Chiesa, in Concilium, V (1969), n. 8, pp. 17-18.
22 P. GROSSI, Storicità del Diritto, in P. GHERRI (ed.), Categorialità, p. 109.23 Cfr. P. GHERRI, Relatività, pp. 169-170.
che, per quanto attiene alla sua fisionomia strutturale, tenuto conto dello scarto
ineliminabile tra l’ideale e il reale proprio della storia, lo rende intrinsecamente relativo,
provvisorio, imperfetto e modificabile24.
Stando a quanto ci testimoniano le fontes cognoscendi25 ciò è quanto si è
verificato, al pari di qualunque altro Ordinamento giuridico, anche per la formazione di
quello canonico, sebbene, essendo quest’ultimo proprio di una compagine sociale con
origini divine e fini soprannaturali, la storia di riferimento è da intendersi anche come
storia della salvezza. La fonte più autorevole della cristianità, il Nuovo Testamento26,
riferisce per l’appunto lo stretto rapporto di causalità tra il vissuto della comunità
cristiana delle origini e la genesi delle norme ecclesiali già fin dal periodo
immediatamente post-pasquale27, cioè da quando la Chiesa vide vertiginosamente
aumentare il numero dei propri membri e avvertì l’urgenza di organizzarsi in senso
tanto strutturale gerarchico-comunionle che disciplinare28. Premesso che della Sacra
Scrittura non si vuole fare una lettura fondamentalista, quasi a voler trovare in Essa una
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24 «Relativo, in quanto legato ad una concreta situazione di vita in cui nasce e per cui nasce; provvisorio, perché soggetto ad essere trasceso dal futuro che irrompe nel presente; imperfetto, perché incapace a soddisfare ed esaurire in sé ogni esigenza dell’essere umano; modificabile, perché è proprio specifico del divenire della storia la novità che domanda un cambiamento». Cfr. A. MARTINI, Il Diritto, pp. 41-42.
25 «Nel linguaggio delle scienze giuridiche il termine “fonte” (sorgente; origine, causa) viene usato in senso metaforico e l’espressione “fonti del diritto” indica sia i fatti o gli organi che producono le norme o regole di condotta (fontes essendi), sia i documenti e le raccolte che consentono di conoscere le norme vigenti in un determinato momento storico (fontes cognoscendi)». A. MONTAN, Il Diritto, p. 95.
26 La Sacra Scrittura occupa un posto fondamentale per ogni tipo di istruzione cristiana. Deve essere considerata, quindi, “come l’anima” del Diritto della Chiesa e del suo studio. Cfr. CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Constitutio Dogmatica: Dei Verbum, 18 novembris 1965, in AAS, LVIII (1966), n. 24, pp. 828-829. Abbreviato d’ora in poi con: DV.
27 «L’organizzazione istituzionale e l’elaborazione di regole positive sia strutturali che di comportamento, cominciano a fare la loro apparizione nei secoli II e III. Comunione e disciplina si sviluppano con la crescita della Chiesa nel variare delle necessità e delle circostanze». A. MONTAN, Il Diritto, p. 67.
28 «[...] finché la Chiesa non ebbe una consistente dimensione numerica e si articolò intorno ad un Maestro e capo carismatico, non ci fu bisogno di un Diritto e di una struttura organizzativa, bisogno che invece emerse quando le comunità cristiane presero consistenza a livello di numero e di membri. Cominciano allora a formarsi comunità organizzate sotto la guida dei vescovi, assistiti dai presbiteri e diaconi, che devono porsi per risolvere tutta una serie di problemi organizzativi e disciplinari». L. MUSSELLI, Storia del Diritto canonico. Introduzione alla storia del Diritto e delle istituzioni ecclesiali, Torino, 1992, p. 18.
riserva di dicta probantia destinati a confermare le norme o le tesi giuridiche
canoniche29, soprattutto perché
«il Nuovo Testamento non ha intenzione di dare un quadro completo di leggi morali, quasi una soluzione pratica di ogni situazione dell’esistenza umana e cristiana [ma] produrre un ideale, facendone vedere molte applicazioni concrete concernenti le condizioni di vita della sua origine»30,
tornano tuttavia indicativi e preziosi alcuni riferimenti scritturistici. Ad esempio:
l’istituzione del gruppo dei sette in relazione ad una corretta modalità di gestione della
carità per un «servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente e in modo
ordinato»31 (At 6, 1-6); l’organizzazione e la strutturazione ministeriale delle comunità
(1Cor 12, 28); i criteri di ammissione ai diversi ministeri gerarchici (1Tm 3, 1-12);
l’estromissione dalla comunità (1Cor 5, 3-5; 1Tm 1, 20). Da questi, al di là della genesi
ed evoluzione della disciplina tipicamente ecclesiale a partire dal concreto vissuto delle
comunità cristiana, si è confermati anche del fatto che all’origine del giuridico nella
Chiesa, in qualità di soggetto agente, come istanza successiva alla sua istituzione, vi fu
la stessa comunità apostolica e sub-apostolica e non già la persona del suo Fondatore.
L’elemento giuridico è, pertanto, da ritenere postumo a quello istitutivo. L’intento di
Gesù Cristo, difatti, non è stato quello di dare vita ad un sistema organizzato di norme
giuridiche, ma consegnare ai suoi un mandato, un comando, che costituisse la stessa
ratio essendi della Chiesa: «Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando
voi» (Gv 20, 21); e ancora: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni
creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,15).
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29 Cfr. A. MONTAN, Il Diritto, p. 57. Tesi diametralmente opposta è quella sostenuta dal card. Albert Vanhoye il quale individua la presenza di testi propriamente giuridici negli scritti di san Paolo sostenendo che l’apostolo non si sarebbe accontentato di un semplice insegnamento generale, ma avrebbe dato alle sue comunità un’organizzazione propriamente giuridica. Ciò sarebbe da ravvisare: nella richiesta che le donne portino il velo nell’assemblea cristiana (cfr. 1Cor 11, 16); nei passi che si riferiscono all’uso dei carismi riguardanti l’organizzazione sociale della comunità (cfr. 1Cor 14, 26-33); in merito ai matrimoni e alle carni immolate (cfr. 1Cor 7;8;10); sul divieto di avere rapporti con i fratelli che siano impudichi, avari, idolatri, maldicenti, ubriaconi o ladri, e l’esclusione dalla comunità (cfr. 1Cor 5, 9-13); rispettando le regole giuridiche del giudizio, esercitando un vero e proprio potere penale, della sanzione del cristiano colpevole di grave immoralità (cfr. 1Cor 5,4-5). Cfr. A. VANHOYE, La legge, carismi e norme di Diritto secondo san Paolo, in AA. VV., Teologia e Diritto canonico, Città del Vaticano, 1984, pp. 63-64.
30 F. FESTORAZZI, La Sacra Scrittura anima del rinnovamento della Teologia morale, in La Scuola Cattolica, XCIV (1966), p. 104.
31 BENEDICTUS PP. XVI, Litterae Encyclicae: Deus caritas est, 25 decembris 2005, in AAS, XCVIII (2006), n. 21, p. 234.
Queste parole di Cristo, riportate dagli Evangelisti, si pongono certamente in
termini imperativi ma non per questo giuridici. La loro valenza è piuttosto dogmatica32
e hanno l’intento di esplicitare l’essenza e il fine della Chiesa, come universale missione
storico salvifica33 affidata da Dio Padre a Cristo e da questi trasmessa alla Chiesa; in
modo particolare ai suoi pastori ed in generale ad ogni cristiano, i quali, sotto l’azione
dello Spirito Santo, sono inviati nel mondo intero perché tutta l’umanità diventi l’unico
Popolo di Dio e il mistico Corpo di Cristo34. Il Vaticano II, poi, non ha tralasciato di
sottolineare a questo proposito l’intrinseca caratteristica di questa finalità-mandato, che
seppure si compirà pienamente nel mondo futuro, è già in atto sulla terra, rivestendo per
ciò stesso una specifica connotazione intra-mondana, cioè storica e pertanto garantita
della possibilità di adoperarsi di tutti i mezzi capaci di assicurare la propria unione
visibile e sociale35, compresi quelli giuridici.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
32 Cfr. P. GHERRI, Ius Administrativum Canonicum I. Introduzione generale: Teoria e Metodo, Dispensa del docente, Roma, A.A. 2007/2008, p. 4.
33 «Y el fin de la sociedad de la Iglesia, cual fundada por Cristo, es la misión que Cristo le encomendó: misión universal histórica salvífica. Es misión universal de destinatarios, tiempo y espacio, por ser predicar a todos los hombres hasta la consumación de los siglos y hasta los confines de la tierra”. Es misión historica, por cumplirse por actos sociales de predicar, bautizar y enseñar a observar. Es misión salvífica, pues “quien creyere y fuere bautizado se salvará; quien no creyere se condenará. Por esa su misión, la Iglesia es histórico-salvífica; y ejerciéndola, la Iglesia se edifica y crece en Iglesia histórico-salvífica, humano-divina». T. JIMÈNEZ URRESTI, De la Teología a la Canonistica, Salamanca, 1993, p. 250.
34 «Sicut enim Filius missus est a Patre, et Ipse Apostolos misit (cfr. Io 20,21), [...]. Quod solemne Christi mandatum annuntiandi veritatem salutarem Ecclesia ab Apostolis recepit adimplendum usque ad ultimum terrae (cfr. Act 1,8). Unde sua facit verba Apostoli: “Vae... mihi est, si non evangelizavero!” (1Cor 9,16), ideoque in mittendis praeconibus indesinenter pergit, usquedum novellae Ecclesiae plene constituantur atque opus evangelizandi et ipsae continuent. A Spiritu Sancto enim ad cooperandum compellitur, ut propositum Dei, qui Christum principium salutis pro universo mundo constituit, effectu compleatur. Praedicando Evangelium, Ecclesia audientes ad fidem confessionemque fidei allicit, ad baptismum disponit, a servitute erroris eripit, eosque Christo incorporat, ut per caritatem in Illum usque ad plenitudinem crescant. Opera autem sua efficit ut quidquid boni in corde menteque hominum vel in propriis ritibus et culturis populorum seminatum invenitur, non tantum non pereat, sed sanetur, elevetur et consummetur ad gloriam Dei, confusionem daemonis et beatitudinem hominis. Cuilibet discipulo Christi onus fidei disseminandae pro parte sua incumbit. [...]. Ita autem simul orat et laborat Ecclesia, ut in Populum Dei, Corpus Domini et Templum Spiritus Sancti, totius mundi transeat plenitudo, et in Christo, omnium Capite, reddatur universorum Creatori ac Patri omnis honor et gloria». LG, n. 17, pp. 20-21.
35 «Procedens ex amore Patris aeterni, in tempore fundata a Christo Redemptore, coadunata in Spiritu Sancto. Ecclesia finem salutarem et eschatoligicam habet, qui nonnisi futuro saeculo plene attingi potest. Ipsa autem iam hic in terris adest, ex hominibus collecta, terrestris nempe civitatis membris quae ad hoc vocantur ut iam in generis humani historia familiam filiorum Dei, usque ad adventum Domini semper augendam, efforment. Unita quidem propter bona caelestia iisque ditata, haec familia a Christo «in hoc mundo ut societas constituta et ordinata» est, atque «aptis mediis unionis visibilis et socialis» instructa. Ita Ecclesia, insimul «coetus adspectabilis et communitas spiritualis», una cum tota humanitate incedit, eamdemque cum mundo sortem terrenam experitur, tamquam fermentum et veluti anima societatis humanae in Christo renovandae et in familiam Dei transformandae exsisitit». CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Constitutio Pastoralis: Gaudium et Spes, 7 decembris 1965, in AAS, LVIII (1966), n. 40, p. 1058. Abbreviato d’ora in poi con: GS.
Aver collocato la dimensione giuridica ecclesiale nell’alveo della storia, «poiché
prodotto dall’uomo intelligente e libero che vive ed agisce in un preciso tempo e spazio
[da cui se ne ricava la sua] concezione assolutamente categoriale»36, in diretta
opposizione ad altre correnti dottrinali della Canonistica che lo qualificherebbero
piuttosto come un a priori rispetto alla vita della comunità cristiana37 e/o un prodotto
della Grazia38, non consente di pervenire a nessuna sua mistificazione. Il Diritto
canonico compete alla socialità e alla visibilità della Chiesa. Per maggiore esattezza,
alla dimensione storica che si configura quale conditio sine qua non, intrinseca esigenza
della sua stessa esistenza, in quanto la Chiesa pellegrinante non esiste se non come
congregazione o associazione di credenti, eredi del universale compito di salvezza che
Cristo le ha affidato39. Non gli competono categorie sacramentali o quasi-sacramentali,
né indebiti riferimenti all’essenza sacramentale della Chiesa. Il reale contesto di genesi
del Diritto canonico è piuttosto quello della concretezza del vissuto terreno dei cristiani,
nel quale, le stesse istituzioni ecclesiastiche, hanno l’onere di predisporre e stabilire le
sue norme40. Detto ciò non si vuole identificare il Diritto della Chiesa con alcune forme
di storicismo o sociologismo. Tenuto conto della sua radicale giustificazione teologica,
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36 P. GHERRI, Relatività, p. 170. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].37 Considerare il Diritto canonico un a priori fa perdere di vista la sua dimensione evolutiva, come frutto
della storia, qualificandolo piuttosto, rispetto alla concreta vita di una comunità, come una realtà già strutturata, formalizzata, preconfezionata. Nella linea della considerazione del Diritto come un a priori cfr. F. COCCOPALMERIO, Fondare teologicamente il Diritto della Chiesa? in AA. VV., La Teologia italiana oggi. Ricerca dedicata a Carlo Colombo, Lecco, 1980, pp. 395-410.
38 Cfr. E. CORECCO, Ordinatio rationis o ordinatio fidei? Appunti sulla definizione della legge canonica, in Communio, 36 (1977), n. 36, p. 51.
39 «No hay necesidad de llegar a una “mistificación del Derecho canónico”. [...]. El Derecho Canónico pertenece a la socialidad, y por tanto a la visibilidad de la Iglesia, y, para ser más exactos a la historicidad de la Iglesia. Y, para aùn mayor exactitud: la historicidad es una nota de exigencia de la noción misma de la Iglesia peregrina, pero su historicidad real no es de su esencia, sino de si existencia: la Iglesia peregrina existe sólo como Iglesia histórica, como congregación o asociación de los creyentes en Cristo dotatos de la misión divina que Cristo le confió». T. JIMÉNEZ URRESTI, De la Teología, p. 390.
40 «El Derecho canónico no es sacramento, ni cuasi-sacramento, ni pertenece – absolutamente hablando – a la esencia sacramental de la Iglesia. El Derecho canónico se sitùa en la visibilidad de la Iglesia; o, por ser más exactos, en el ámbito de la historicidad de la Iglesia – lo histórico es siempre concreto por definición –, y en ese sector se sitùa la normatividad que ha de decidir la Iglesia misma». T. JIMÈNEZ URRESTI, La Ciencia del Derecho Canónico o Canonística:¿Es Ciencia teologica?, in Revista Española de Derecho Canónico, 41 (1985), pp. 26-27.
o per meglio dire ecclesiologica, ciò non sarebbe possibile neanche volendolo41.
L’intento sarebbe piuttosto quello di prendere le distanze soprattutto da quella corrente
dottrinale della Canonistica ispirata ad un certo monofisismo ecclesiologico, secondo la
quale
«la storicità non sarebbe [...] un elemento assolutamente caratterizzante la esistenza della Chiesa pellegrina sulla terra, ma ne sarebbe un semplice rivestimento, un involucro contingente e temporaneo, come la natura umana di Cristo per i neofisiti delle antiche dispute cristologiche»42.
Sulla base di queste considerazioni si arriverebbero a negare la natura e la portata
storica del Diritto canonico43.
Dagli stessi riferimenti neotestamentari suddetti si ricava, inoltre, che l’urgenza
normativa con cui la comunità cristiana delle origini si trovò a dover interagire non le si
presentò sotto l’habitus di pretese soggettive che attendevano risposte singole, quanto
piuttosto come esigenze comunitarie:
«ciò di cui la Chiesa apostolica e sub-apostolica si è preoccupata a livello istituzionale, aveva sempre un rilievo di carattere collettivo (o comunitario) [tanto che] le questioni normative all’interno del Nuovo Testamento non sono mai di carattere “individuale”»44.
Anche Sant’Agostino riferisce che nella Chiesa delle origini non esisteva vero
utile del singolo, che non si identificasse ipso facto con il bene di tutti, e parlando, di
conseguenza, dei pastori, riferisce di un governo profondamente improntato ad uno stile
di servizio teso all’utilità comune45.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
41 «La justificación radical del fenómeno canónico sólo puede ser teológica, más exactamente ecclesiológica. Toda otra razón, aunque goce de conveniencia o utilidad, es insuficiente, por no dar razón teológica. Ha de ser razón positiva requerida por la naturaleza-consistencia de la Iglesia. No razón propria de lo interno de la Iglesia, que es una dimensión intrínseca de ella; sino en la dimensión de su historicidad, que se realiza en lo exterior socio-histórico de la Iglesia y que es su otra dimensión intrínseca de su consistencia». T. JIMÈNEZ URRESTI, De la Teología, p. 248.
42 P. GHERRI, Relatività, p. 189.43 Cfr. P. GHERRI, Relatività, pp. 188-195.44 P. GHERRI, Ius Administrativum Canonicum I, p. 6. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla
citazione].45 «[...] doctrina vero illa sapientiae, quae a vulgi strepitu remotissima, in contemplatione veritatis dulci
delectatione defigitur, hanc popularem gloriam quantulamcumque non assequeretur, nisi per eos qui in mediis turbis agendo ac suadendo populis praesunt, non ut praesint, sed ut prosint: quia dum isti actuosi et negotiosi homines, per quos multitudinis administratur utilitas, et quorum auctoritas populis chara est [...]». AUGUSTINUS, Contra Faustum Manichaeum, lib. XXII, cap. LVI, in J. P. MIGNE (ed.), Patrologiae cursus completus. Series Latina, tomus XLII, Paris, 1886, col. 436. Abbreviato d’ora in poi con: PL.
Questa particolare caratteristica della giuridicità ecclesiale, di stampo e
orientamento comunitario, non era prerogativa solo della Chiesa dei primi secoli.
Stando, ad esempio, alle titolazioni delle sezioni dei libri dei Codici di cui la Chiesa
cattolica si è dotata, perdura ancora oggi46. A tal proposito Wernz, durante i lavori della
prima codificazione canonica, ribadì questo sostanziale stile del Diritto canonico e di
conseguenza del suo Codice a differenza di quanto avvenga in quelli civili47.
Lo stesso orientamento, è stato confermato e assunto anche nei lavori di
elaborazione dell’attuale Codice per la Chiesa latina sulla base del primo48, sesto49 e
settimo50 principio di revisione. Se in questi, difatti, si parla di spettanze giuridiche dei
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
46 In essi si parla di Diritto penale, Diritto processuale, Diritto del clero, degli Istituti religiosi, delle Società di vita apostolica, ecc.; cfr. CIC ’17; CIC; CCEO.
47 «Quae diversitas facile explicatur, si quis modice attendat ad modernos Codices civiles, quae solent esse Codices Iuris civilis privati sensu strictissimo, neque quidquam habent de Iure publico. Quare quamvis verba quandoque generalia sint eadem v.g. de personis, de rebus, tamen in Codicibus fori ecclesiastici et civilis sudstantialiter diversam habent significationem. Qua ratione v.g. in Codice gallico liber I inscribitur de personis; at de quibusnam personis? Evidenter omnes istae sunt personae privatae, individua privata, parentes, tutores; de magistratibus pubblicis nihil reperitur. Longe aliter in foro ecclesiastico. Personae libri primi Iuris Decretalium sunt personaeae publicae sive ratione potestatis ordinis sive potestatis iurisdictionis; de personis privatis nullus titulus continetur. Item ex ordinem Institutionum canonicarum pariter omnes fere personae sunt publicae et solummodo adduntur tituli. Et revera regolares ut regolares per se sunt extra utramque hierarchiam i.e. ordinis et iurisdictionis costituti et propterea a Iuris dispositionibus de hierarchia ordinis et iuridisctionis arcentur. Quibus ex disquisitionibus brevibus patet, quantopere cavendum sit in novo corpore Iuris canonici a servili quodam imitatione Codicum civilium». F. X. WERNZ, voto manoscritto, 26 aprilis 1904, in A.S.V., A.C.C., scatola 1, busta VIII, n. 29, pp. 4-5.
48 «Canonici quoque iuris obiectum praecipuum et essentiale est iura et obligationes uniuscuiusque hominis erga alios et erga societatem definire atque tueri, etsi eatenus fieri possit in Ecclesia quatenus ad Dei cultum et animarum salutem pertineant». PONTIFICIA COMMISSIO CIC RECOGNOSCENDO, Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem dirigant, in Communicationes, I (1969), p. 79.
49 «Quaestio eaque in futuro Codice solvenda proponitur, videlicet, qua ratione iura personarum definienda tuendaque sint. [...] Unicuique christifidelium iura agnoscenda ac tuenda sunt, et quae in lege naturali vel divina positiva continentur, et quae ex illis congruenter derivantur ob insitam socialem conditionem quam in Ecclesia acquirunt et possident. Et quoniam non omnes eamdem functionem in Ecclesia habent, neque idem statutum omnibus convenit, merito proponitur ut in futuro Codice ob radicalem aequalitatem quae inter omnes christifideles vigere debet, [...], statutum iuridicum omnibus commune condatur, antequam iura et officia recenseantur quae ad diversas ecclesiasticas functiones pertinent». PONTIFICIA COMMISSIO CIC RECOGNOSCENDO, Principia, pp. 82-83.
50 «[...] Agnoscenda enim sunt iura subiectiva vera et propria sine quibus ordinatio iuridica societatis vix concipitur. Proclamari idcirco oportet in iure canonico principium tutelae iuridicae aequo modo applicari superioribus et subditis, ita ut quaelibet arbitrarietatis suspicio in administratione ecclesiastica penitus evanescat. Haec finalitas obtineri solummodo potest mediantibus recursibus sapienter a iure dispositis ut ius suum quod quis ab inferiore instantia laesum reputet, in superiore restaurari efficaciter possit.[...]. Admiso hoc principio, potestatis ecclesiasticae clare distinguantur diversae functiones, videlicet legislativa, administrativa et iudicalis, atque apte definiatur a quibusdam organis singulae functiones exerceantur». PONTIFICIA COMMISSIO CIC RECOGNOSCENDO, Principia, p. 83.
singoli fedeli, lo si fa sempre «in relazione alla struttura gerarchica o comunque
‘istituzionale’ della Chiesa, mostrando l’irrilevanza del mero rapporto individuale»51.
Stando così le cose, si potrebbe obiettare che un Diritto canonico formulato
eminentemente in senso comunitario si disinteressi concretamente del singolo,
personalmente considerato. In realtà così non è, e una tale obiezione sarebbe solo frutto
di un’apparente aporia52, alla luce del fatto che i bisogni giuridici del fedele
nell’Ordinamento giuridico canonico non potranno mai essere disattesi in quanto la sua
vera peculiarità risiede proprio nell’inscindibilità dell’interesse ecclesiale da quello
della persona. L’utile, il bene del singolo è certamente garantito, perché si identifica con
il bene della collettività53. Bisogna prendere atto, però, che eventuali spettanze
giuridiche dei fedeli non sarebbero da intendere, secondo questa prospettiva, come
diritti soggettivi tout-court alla stregua dei «diritti fondamentali degli Ordinamenti
secolari, espressione e strumento della massima emancipazione dell’individuo da ogni
vincolo sociale o istituzionale di origine umana»54, quasi costituissero una sorta di
privato dominio che il fedele possa autonomamente gestire e far valere erga omnes in
senso democratico. Piuttosto dei mezzi offerti dalla stessa comunità per il bene
spirituale e personale di ciascuno. Sarebbero propriamente da intendere come
«sfere autonome di azione del fedele sempre protese al conseguimento del fine supremo della Chiesa, secondo un’antropologia teologica che concepisce il destino di salvezza di ciascun uomo come indissolubilmente legato a quello dell’intero Popolo di Dio, cui peraltro è chiamata a far parte l’intera umanità»55.
A questo proposito, varrà ricordare che il Diritto canonico, se, da un lato, non
ammette la privatizzazione degli elementi costitutivi da cui scaturisce la piena
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
51 P. GHERRI, Ius Administrativum Canonicum I, p. 8.52 «Anche se il rilievo assoluto accordato nella Chiesa alla singola persona – il christifidelis – non appare
come oggetto diretto dei Codici canonici, né più generalmente della normativa canonica come tale, questo rilievo s’impone tuttavia al Diritto canonico ed alla stessa vita ecclesiale attraverso il “valore” ontologico e fondativo riconosciuto alla persona stessa, valore che spesso risulta addirittura “derogatorio” rispetto al “sistema legale”». P. GHERRI, Corresponsabilità e Diritto: il Diritto amministrativo, in Apollinaris, LXXXII (2009), p. 249. [Il corsivo è proprio della citazione].
53 Cfr. R. COPPOLA, Pubblico e privato, in AA. VV., Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas Connubii”. Parte prima. I principi (Studi Giuridici LXXV), Città del Vaticano, 2007, pp. 315-318.
54 G. DALLA TORRE, Lezioni, p. 83.55 G. DALLA TORRE, Lezioni, p. 83.
appartenenza alla comunità cristiana, ossia i vincoli della professione di fede, dei
sacramenti e del governo ecclesiastico (cfr. Can. 205); dall’altro, con il Codice dell’83,
elenca tutta una serie di spettanze giuridiche singolari secondo lo stato di vita proprio
del fedele56, anche se il Legislatore canonico, con lo stesso Codice, non si è preoccupato
affatto di creare una distinzione netta tra ciò che potrebbe essere ritenuto pubblico e
quanto invece sarebbe privato. Optando, piuttosto, per l’utilizzo di entrambe le istanze
in maniera autonoma e con una certa elasticità spesso ha ignorato la presunta
bipolarità57.
1.1.1.2 Strumentalità del Diritto
Il mandato missionario, inteso come impegno storico salvifico universale58,
riguarda la Chiesa nella sua totalità, ogni cristiano59; poi, qualitativamente e secondo
uno specifico ruolo istituzionale ecclesiale, in solidum, i successori del collegio
apostolico60. Agli apostoli, infatti, non è stata conferita una missione distinta, tanto
meno fu data a ciascuno tutta la missione separatamente dagli altri, ma «cura
Evangelium ubique terrarum annuntiandi ad corpus Pastorum pertinet, quibus omnibus
in commune Christus mandatum dedit imponendo commune officium»61. Sulla base di
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
56 Per il fedele genericamente inteso: cfr. Cann. 211-221; 843; 991;1177; 1180. Come fedele laico: cfr. Cann. 225-227; 229; 231; 793. Se membro di un Istituto di vita consacrata o una Società di vita apostolica: cfr. Cann. 654; 670; 737.
57 Cfr. P. GHERRI, Ius Administrativum Canonicum I, p. 15.58 «Ad Gentes divinitus missa ut sit “universale salutis sacramentum” Ecclesia ex intimis propriae
catholicitatis exigentis, mandato sui Fundatoris oboediens (cfr. Mc. 16, 16), Evangelium omnibus hominibus nuntiare contendit. Ipsi enim Apostoli, in quibus Ecclesia est condita, vestigia Christi sequentes, “praedicaverunt verbum veritatis et genuerunt Ecclesias”. Eorum successorum officium est hoc opus perenne reddere, ut “sermo Dei currat et clarificetur” (2 Thess. 3, 1) et regnum Dei ubique terrarum annuntietur et instauretur». CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Decretum: Ad Gentes, 7 decembris 1965, in AAS, LVIII (1966), n. 1, p. 947. Abbreviato d’ora in poi con: AG.
59 Cfr. P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico, pp. 78-80.60 Cfr. T. JIMÈNEZ URRESTI, La missione divina nella storia e le missioni canoniche, in Concilium, IV
(1968), n. 8, pp. 98-105; P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico, pp. 80-84.61 LG, n. 23, p. 28.
ciò, il mandatum Christi viene a configurarsi come la ratio essendi di tutta la Chiesa62, a
tal punto, che nel momento in cui questo fosse disatteso, verrebbe tradita e messa in
discussione la sua stessa natura. Il compito missionario è il requisito determinante e
fondamentale, la chiave di lettura, di tutto ciò che è ecclesiale: la natura, la struttura
istituzionale e tutti i mezzi di cui la Chiesa si avvale per l’edificazione del Regno di
Dio; in altre parole, la naturale giustificazione di tutti e ciascuno i suoi «modos de
presencia»63 nel mondo. Come diretta conseguenza di ciò, la natura missionaria della
Chiesa o, altrimenti detta, norma missionis, è stata proposta come fondamento
radicale64, principio guida sintetico, chiave d’interpretazione del giuridico ecclesiale65.
Va detto però, che l’utilizzo dell’espressione norma missionis, non è tanto e
direttamente un modo per definire il Diritto canonico, quasi fossero sinonimi, quanto
piuttosto un concetto composito, che distingue al suo interno tanto il contenuto del
messaggio evangelico da annunziare, la norma fidei, quanto l’azione missionaria stessa
con i suoi effetti66. Tale distinzione consente di dire che la missione della Chiesa ha una
propria oggettività da tutelare, tanto sotto il profilo del contenuto, cioè la norma fidei –
che si è venuta ad identificare nel corso dei secoli con l’attività magisteriale e
dogmatica con cui la Chiesa intende approfondire e tutelare il contenuto del depositum
fidei affidatole dal suo Fondatore67 – quanto per ciò che concerne la norma
communionis, cioè tutto quanto possa avere attinenza con l’edificazione, la salvaguardia
e lo sviluppo disciplinare della vita della comunità ecclesiale. Premesso che il Diritto
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
62 Cfr. LG, n. 13, pp. 17-18; «“Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” [...]. Evangelizzare, infatti, è la Grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare». PAULUS PP. VI, Adhortatio Apotolica: Evangelii nuntiandi, 8 decembris 1975, in AAS, LXVIII (1976), n. 14, p. 13; nonché un pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1992: «Tali ex indole sacramentali derivatur Ecclesiam non esse clausam in seipsa, sed permanenter apertam impulsi missionario et oecumenico, utpote missam in mundum ad annuntiandum et testificandum mysterium communionis quo ipsa constituitur, ad idipsum actuale reddendum et expandendum: ut omnes et omnia coadunet in Christo; ut sit omnibus “inseparabile unitatis sacramentum”». CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae ad Catholicae Ecclesiae Episcopos de aliquibus aspectis Ecclesiae prout est communio: Communionis notio, in AAS, LXXXV (1993), p. 840.
63 M. J. ARROBA CONDE, “La Iglesia como presencia”, in Vida religiosa, LXXXVI (1999), p. 185.64 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, “La Iglesia como presencia”, p. 186. 65 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 297.66 «La “norma missionis” se traduce y se distingue en “norma fidei” (el anuncio de la posibilidad de
participar en la victoria de Cristo aceptando con fe su Palabra) y en “norma communionis” (la partecipación efectiva en la muerte y resurrección a través del Bauptismo, recuperando la unión con Dios en la comunión con los hermanos que tienen la misma fe)». M. J. ARROBA CONDE, “La Iglesia como presencia”, p. 186.
67 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 303.
non ha competenza nell’ambito della comprensione del depositum fidei, in qualità di
instrumentum communionis è proprio della norma communionis, che, a sua volta,
diventa «come la matrice dell’intera normatività comportamentale della Chiesa (morale,
liturgica e giuridica)»68.
La differenziazione degli ambiti di competenza non deve condurre all’erronea
conclusione che le due dimensioni dell’unica norma missionis non abbiano momenti
convergenti. Anche se la relazione norma fidei-norma communionis sarà affrontata in
maniera specifica a proposito dei fondamenti epistemologici del Diritto canonico, basti
per il momento dire che vige tra loro un profondo ed inscindibile legame, sebbene si
mantengano tecnicamente autonome. Felice ed eminente conferma di ciò viene offerta
dall’esperienza conciliare della Chiesa a qualunque livello. Sistematicamente, alle
affermazioni di natura dogmatica, che si sono succedute nel corso dei secoli, in modalità
strumentale si sono sempre legate disposizioni disciplinari, i Canones, quale attuazione
storicizzata e disciplinare delle prime, con linguaggio e tecnica giuridici69:
«sia i Concili locali e regionali, a partire dalla seconda metà del II secolo, sia quelli ecumenici, dal IV secolo in avanti, contribuiranno a regolare la vita e il governo della Chiesa ai diversi livelli organizzativi e diverranno (soprattutto quelli ecumenici) organi essenziali per la definizione dei dogmi della fede e per la produzione delle norme giuridiche più vincolanti sul piano del Diritto umano positivo. Inoltre, le decisioni più importanti dei Concili generali del secondo millennio avranno ripercussione sul sistema giuridico della Chiesa e provocheranno un movimento di riassetto delle fonti e delle collezioni canoniche»70.
Stando a questa prassi, il Diritto nella Chiesa, conseguentemente alla sua natura
missionaria, viene a qualificarsi come lo specifico strumento attraverso il quale i valori
desunti dalla riflessione teologica sono universalmente trasmessi alla comunità cristiana
per mezzo di una chiara normativa funzionale:
«Il Diritto della Chiesa è orientato a valori che costituiscono la comunità dei cristiani, oppure sono necessari o utili per la vita di questa. La norma di Diritto canonico deve configurare questi valori in modo da rendere possibile alla comunità di appropriarsene nella prassi. Questo fatto determina la relazione tra Diritto canonico e Teologia. Queste due attività della Chiesa costituiscono le parti di uno stesso processo. La fede richiede l’intelligenza (fides quaerens intellectum); a questo scopo serve la Teologia, che indaga e
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
68 P. GHERRI, Lezioni, p. 303.69 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 297.70 C. FANTAPPIÈ, Introduzione, p. 35; cfr. L. MUSSELLI, Storia, pp. 23-27.
illumina i misteri della fede. Ma allo stesso tempo la fede richiede anche l’azione (fides quaerens actionem). Lo scopo del Diritto canonico è l’orientamento delle azioni pratiche degli uomini. Nella sua formulazione non può esserci nulla di misterioso, ma devono essere chiaramente indicate e le situazioni e le forme di azione precise»71.
La norma ecclesiastica, rispetto ai valori da tramandare nell’azione missionaria,
ha, pertanto, una triplice valenza strumentale: conservatrice, profetica ed ecclesiale. È
conservatrice in quanto la legge può arricchire le generazioni future preservando per
loro il discernimento e la saggezza del passato, anche se conserva la comprensione di un
valore così come esiste nel momento in cui la legge stessa è promulgata; acquista una
funzione profetica perché presentando ideali che la comunità è chiamata ad attuare e
sfide che ne stimolano la crescita diviene innovativa, si protende al futuro e sollecita
quanto di meglio vi è nella comunità, pur spronando la comunità a maggiore fedeltà72;
in ultimo è anche ecclesiale, in quanto
«ha una responsabilità unica nel suo genere: deve conservare la saggezza pastorale e i valori già acquisiti nel corso del pellegrinaggio del Popolo di Dio e deve facilitare in questa comunità l’opera dello Spirito che dimora nell’intimo dei cristiani. È un compito eminentemente pastorale e teologico, ma è anche particolarmente difficile, poiché si svolge in forme giuridiche e nella struttura di un preciso sistema legale. Quando questo sistema non è più in sintonia con l’esperienza di una maggioranza di fedeli, può essere difficile discernere nella legge quei valori perenni che vanno sempre rinnovati a mano a mano che cambiano i tempi e le circostanze»73.
La prospettiva di efficienza del compito strumentale della normatività ecclesiale
risulta, poi, tanto più complessa se si considera la valenza universale dell’annunzio del
Kerygma. Ciò vuol dire, in primo luogo, che il suo Ordinamento giuridico, in qualità di
instrumentum missionis, partecipa della stessa vocazione universale della Chiesa:
«allo stesso modo in cui la Chiesa è universale, cattolica perché è stata inviata da Cristo in missione per la totalità del genere umano, il Diritto canonico non ha lo scopo di regolare solo un territorio o una popolazione specifici; [ma] riguarda tutto il Popolo di Dio, e si dirige potenzialmente a tutta l’umanità, chiamata a farne parte»74.
In secondo luogo, sarà tanto più idoneo, quanto più saprà adattarsi alle varie circostanze
della cattolicità, offrendo soluzioni giuridicamente sempre appropriate.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
71 P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico, p. 41.72 J. PROVOST - K. WALF, Diritto canonico e realtà della Chiesa, in Concilium, XXII (1986), n. 3, p. 12.73 J. PROVOST - K. WALF, Diritto, pp. 12-13.74 D. CENALMOR - J. MIRAS, Il Diritto della Chiesa. Corso di Diritto canonico, Roma, 2005, p. 50. [Il
testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].
L’istanza universale ha permesso alla Chiesa, nella sua plurisecolare esperienza,
di acquisire una coscienza giuridica poliedrica ed elastica, formalizzata in un
«Ordinamento canonico [che] possiede una grande capacità di adattamento alle varie
circostanze personali, di luogo e di tempo»75. Dimostrazione di ciò sono: l’esistenza di
due Codici, uno per la Chiesa di rito latino (CIC)76 ed un altro per le Chiese orientali
(CCEO)77; istituzioni tipiche come la dispensa, il privilegio, l’aequitas canonica78, e
tutta la serie di “Diritti particolari”79. Questa ricchezza di forme e contenuti, lungi dal
compromettere l’unità della Chiesa, è propriamente segno di comunione ecclesiale80 nel
pieno rispetto della specifica connotazione universale della Chiesa di Cristo.
Occorre rilevare, comunque, che il confronto con la cattolicità non rappresenta
solo una ricchezza per il Diritto canonico, ma anche il rischio di poter incorrere in
tensioni di tale entità, che le facciano perdere la connotazione strumentale in favore
della communio e, più in generale, della norma missionis. In tali casi, il Diritto e le
istituzioni canoniche, più che essere strumenti di controllo necessitano essi stessi di
essere verificati nella loro idoneità a prestare la funzione per cui sono stati ideati81.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
75 D. CENALMOR - J. MIRAS, Il Diritto, p. 50. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].76 «Itaque divinae gratiae auxilio freti, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli auctoritate suffulti, certa
scientia atque votis Episcoporum universi orbis adnuentes, qui nobiscum collegiali affectu collaboraverunt, suprema qua pollemus auctoritates, Constitutione Nostra hac in posterum valitura, praesentem Codicem sic ut digestus et recognitus est, promulgamus, vim legis habere posthac pro universa Ecclesia latina iubemus ac omnium ad quos spectat custodiae ac vigilantiae tradimus servandum». IOANNES PAULUS PP. II, Constitutio Apostolica: Sacrae Disciplinae Leges, 25 ianuarii 1983, in AAS, LXXV (1983), II, pp. XIII-XIV. Abbreviato d’ora in poi con: SDL.
77 «Itaque, invocato divinae gratiae auxilio apostolorum auctoritate suffulti, certa scientia atque votis patriarcharum archiepiscoporum et episcoporum orientalium ecclesiarum adnuentes, qui nobiscum collegiali affectu collaboraverunt, apostolicae qua aucti sumus potestatis plenitudine usi constitutione hac nostra in posterum valitura praesentem Codicem, sic ut digestus et recognitus est, promulgamus, quem vim legis posthac obtinere pro omnibus ecclesiis orientalibus catholicis decernimus iubemus atque earundem ecclesiarum hierarchis tradimus custodia ac vigilantia servandum». IOANNES PAULUS PP. II, Constitutio Apostolica: Sacri Canones, 18 octobris 1990, in AAS, LXXXII (1990), p. 1043.
78 Cfr. D. CENALMOR - J. MIRAS, Il Diritto, p. 51.79 Cfr. Can. 20; Normativa: degli istituti di vita consacrata (cfr. Can. 587); delle Società di vita apostolica
(cfr. Can. 735); delle Società di vita comune (cfr. Can. 740); sulla costituzione e l’accettazione di Fondazioni (cfr. Can. 1304).
80 Cfr. A. MONTAN, Il Diritto, p. 90.81 «La fidelidad al Espíritu exige el respecto del Derecho; pero más que un instrumento de “orden” o
“control”, el Derecho y las insitituciones canónicas necesitan ser controlados, esto es, constantemente evaluados segùn los tres criterios que derivan de su naturaleza misional: su coherencia con el evangelio, su eficacia apostólica, su correspondencia con las necesidades de los fieles y de la sociedad». M. J. ARROBA CONDE, “La Iglesia como presencia”, p. 187.
1.1.1.3 Fondamenti epistemologici
Lo stretto rapporto che intercorre tra norma fidei e norma communionis, in quanto
scaturite dall’unica norma missionis, fa sì che l’attività legislativa nella Chiesa sia
«inscritta nel quadro di un ordine, creazionale e redentivo, ai cui principi è
funzionalmente piegata»82. Il professor Francesco D’Agostino, pronunziandosi
sull’argomento, chiarisce quali siano questi principi a cui l’Ordinamento giuridico
canonico fa riferimento:
«La verità del Diritto è al di fuori del Diritto stesso. […] È il kerygma, l’annunzio di salvezza, creatore di una nuova realtà: l’essere tutti figli di Dio e fratelli gli uni degli altri che offre l’orizzonte di senso al sapere dei giuristi»83.
Da qui procede la consapevolezza che il Diritto canonico non esiste né può
concepirsi senza un contenuto teologico, che è parte dell’Ecclesiologia:
«il canonista riceve ed assume questi dati teologici come postulati provenienti da un altro campo e da una Scienza superiore alla sua. [...] Sa dalla Teologia che questa “struttura fondamentale” o “sostanza” di Diritto divino fu istituita da Cristo in maniera generica, lasciando le sue forme concrete e il suo funzionamento pratico al potere della stessa gerarchia da lui fondata»84.
Sono verità di fede da intendersi in senso assoluto, per loro natura immutabili, ma
con valenza generica proprio perché dedotte dalla Rivelazione: la norma fidei, nel cui
alveo è contenuto anche ciò che viene definito Ius divinum, cioè «l’insieme di fattori
giuridici che hanno Dio come autore e che si pongono come metro di giudizio nei
confronti delle stesse norme canoniche»85. Sostenere lo stretto legame tra Teologia e
Diritto, come si è già avuto modo di dire, non significa affermare che quest’ultimo sia
una realtà divina o procedente direttamente da Dio, esso
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
82 Cfr. G. DALLA TORRE, La città sul monte. Contributo ad una teoria sulle relazioni fra Chiesa e Comunità politica, 2ª ed., Roma, 2002, p. 73.
83 Cfr. F. D’AGOSTINO, ”La Teologia del Diritto positivo: annuncio e verità del Diritto”, in PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS INTERPRETANDIS, “Evangelium Vitae” e Diritto. Acta Symposii internationalis (Civitate Vaticana, 23-25 maii 1996), Città del Vaticano, 1997, pp. 130-131.
84 T. JIMÉNEZ URRESTI, Diritto canonico e Teologia: due Scienze diverse, in Concilium, III (1967), n. 8, p. 30.
85 P. LOMBARDIA, Lezioni di Diritto canonico. Introduzione - Diritto Costituzionale - Parte Generale, Milano, 1984, p. 8.
«è e rimane una realtà, completamente e inequivocabilmente, umana, al servizio dei bisogni dei fedeli e dell’intera comunità ecclesiale di cui è espressione e manifestazione. […] uno strumento creato dalla Chiesa per essere fedele al suo Fondatore nel divenire concreto della storia»86.
Le verità di fede, a cui la Chiesa si riferisce per darsi una normativa giuridica, sono
pertanto pregiuridiche. Rappresentano la regola informante della vita giuridica del
Popolo di Dio, il paradigma necessario dal quale assumere i propri contenuti87. Non
possono essere proposte sic et simpliciter all’osservanza della comunità ecclesiale,
senza prima essere passate attraverso un’opera di presa di coscienza dei loro contenuti e
il formale inserimento, per disposizione della competente autorità ecclesiastica,
nell’Ordinamento giuridico. È ciò che Hervada definisce, con brevità di termini,
rispettivamente positivazione e formalizzazione dei principi e delle norme fondamentali
di Diritto divino88. A questo processo, prettamente storico, contribuisce anche il sensum
fidelium, cioè la coscienza viva della comunità ecclesiale89. Esso diventa l’ambito entro
il quale ciò che procede da Dio riceve, storicamente, forma e figura definitiva90. A tal
proposito il professor Arroba Conde afferma:
«normalmente s’intendono come di Diritto divino gli aspetti voluti da Dio per la Chiesa, che hanno conseguenze giuridiche. Una specie di Ordinamento che, in quanto voluto da Dio, si sottrae alla discrezionalità della Chiesa che non può cambiarlo. Bisogna però differenziare la volontà divina e la presa di coscienza ecclesiale circa il contenuto. La capacità ecclesiale di intendere il volere divino e di esprimerlo in norme, giuridiche e positive, è una capacità sottoposta all’evoluzione storica»91.
Il rapporto tra norma fidei e norma communionis non si caratterizza solo per la
precedenza temporale della prima rispetto alla seconda, ma anche per quella valoriale.
Nella gerarchia delle fonti, infatti, quanto procede da Dio con senso normativo –
altrimenti detto Diritto divino – rispetto alle mere norme ecclesiastiche, viene prima sia
in ordine di tempo sia di importanza. Lo Ius divinum, poi, non ammette di essere né
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
86 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p. 20.87 Cfr. P. A. BONNET, Le prove (artt. 155-216), in AA. VV., Il giudizio di nullità matrimoniale dopo
l’istruzione “Dignitas Connubii”. Parte terza. La parte dinamica del processo (Studi Giuridici LXXVII), Città del Vaticano, 2008, p. 165.
88 Cfr. J. HERVADA, Diritto costituzionale canonico, Milano, 1989, pp. 11-23.89 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p. 20.90 Cfr. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Documenti
Vaticani), Città del Vaticano, 1993, pp. 98-103.91 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, pp. 18-19.
derogato né contraddetto dallo Ius ecclesiae, pena l’assenza di qualunque fondamento
ontologico dei suoi canoni.
La fisionomia del Diritto canonico, così delineata, porta a dire che la Canonistica
è una: «scienza giuridica (deontica), con oggetto giuridico, [...] presupposto teologico
(ecclesiologico-sacramentale)»92.
A fronte della natura del Diritto canonico appena esposto, occorre aggiungere che
nella storia della Canonistica la varietà di indirizzi epistemologici è stata e continua ad
essere notevole e le rispettive posizioni teoretiche, con la formulazione di differenti
principi guida, salvo leggere sfumature, si differenziano in maniera consistente le une
dalle altre. Tale ricerca di senso si è posta in ambito canonico già nel momento in cui si
verificò la crisi d’identità della Canonistica registratasi in maniera chiara e decisiva nel
momento in cui, sulla base della nuova visione teologico-dogmatica conciliare della
Chiesa come Popolo di Dio e «fidei, spei et caritatis communitatem»93, venne scardinata
la concezione giusnaturalista della Chiesa come societas iuridice perfecta94. A questa si
aggiunse una certa inadeguatezza del Codice del ’17 che, a causa dell’abrogazione di
diverse norme in esso contenute e ad una certa produzione legislativa successiva alla
sua promulgazione, non era più totalmente rispondente alle esigenze giuridiche della
Chiesa95. Prima del Vaticano II era pacifico e unanimemente condiviso considerare il
Diritto canonico come scienza nell’alveo della Teologia pratica, improntata al metodo
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
92 P. GHERRI, Lezioni, p. 124.93 LG, n. 8, p. 11.94 Cfr. G. DALLA TORRE, La città sul monte, pp. 65-67. È possibile far risalire gli inizi della crisi del
concetto di societas iuridice perfecta, utilizzata con intento apologetico a favore della Chiesa di fronte agli Stati civili, già ai primi decenni del ventesimo secolo quando, nel campo della dogmatica giuridica-positivista, si formulò la teoria della socialità del Diritto e della pluralità degli Ordinamenti giuridici applicata esplicitamente al Diritto canonico per mezzo della quale «prospettiva si comprendeva perché una norma di condotta dovesse essere qualificata come giuridica, sempre che fosse imposta in un gruppo sociale, la cui organizzazione la garantisse istituzionalmente, e fosse generalmente considerata ed osservata come effettivamente vincolante nelle relazioni esterne di coloro che fanno parte dello stesso gruppo sociale. Sotto tale profilo è perfettamente comprensibile che nello stesso territorio siano presenti diversi Ordinamenti giuridici, con possibilità di relazioni reciproche, non necessariamente derivanti gli uni dagli altri». P. LOMBARDIA, Lezioni, p. 17.
95 M. VISIOLI, Il Diritto canonico nella vita della Chiesa, in G.I.D.D.C. (cur.), Corso istituzionale di Diritto canonico, Milano, 2005, pp. 41-43.
esegetico del Codice, finalizzata a dare indicazioni all’agire del cristiano, sulla base
della teoria generale della Chiesa come società giuridica perfetta96.
Gli antesignani di questo cammino di ricerca furono alcuni canonisti cattolici,
raccolti attorno al teologo e canonista tedesco Klaus Mörsdorf, presso la “Ludwig
Maximilians Universität”, che iniziarono un nuovo percorso di approccio al Diritto –
anche canonico – su base fondazionale, dando origine alla così detta “scuola di Monaco
di Baviera”97. La convinzione che li animava era quella che il Diritto della Chiesa, in
forza della sua natura, andasse inquadrato nel contesto teologico.
Collocando la Chiesa nel mistero dell’Incarnazione, come nuovo Popolo di Dio e
comunità che continua nella storia l’azione salvifica di Cristo, Mörsdorf la definisce
sacramento di Cristo e secondo questa stessa prospettiva giustificherà di conseguenza
anche la sua dimensione giuridica. Venne, pertanto, proposto un approccio di
comprensione del Diritto canonico che partendo dalla fede e tralasciando la sua
caratteristica fenomenologica arriverà a definirlo kerygmatico, sacramentale98 e la
Canonistica come scienza teologica, con metodo giuridico99.
Eugenio Corecco, uno dei discepoli più eminenti del teologo e canonista bavarese,
fondando la propria speculazione teoretica epistemologica del Diritto canonico sulla
centralità del concetto di communio, in cui risiederebbe lo statuto ontologico del Diritto
della Chiesa, andrà anche oltre il suo maestro. Convinto che «la tendenza di fondo della
canonistica postconciliare è quella di ridare alla scienza del Diritto canonico una
identità teologica più precisa»100, arriverà a definire la Canonistica non solo come
scienza teologica, ma perfino con metodo teologico101.
L’orientamento dottrinale della scuola bavarese ha suscitato molte critiche. Già gli
eredi dello Ius Publicum Ecclesiasticum videro con perplessità le posizioni teoretiche di
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
96 Cfr. P. GHERRI, Teologia del Diritto: il nome di una crisi? in Ius Canonicum, XLIII (2003), pp. 249-299.
97 Cfr. P. LOMBARDIA, Lezioni, p. 18; A. MONTAN, Il Diritto, pp. 75-76; P. GHERRI, Teologia, p. 340.98 Cfr. A. ROUCO VARELA, Evangelische Kirchenrechtstheologie heute. Möglichkeiten und Grenzen eines
Dialogs, in Archiv für katholisches Kirchenrecht, CXL (1971), p. 133.99 Cfr. P. LOMBARDIA, Lezioni, p. 18; A. MONTAN, Il Diritto, p. 75; P. GHERRI, Teologia, pp. 341-342.100 E. CORECCO, L’apporto della Teologia alla elaborazione di una teoria generale del Diritto, in E.
CORECCO, Ius et communio. Scritti di Diritto canonico, vol. I, Lugano – Casale Monferrato, 1997, p. 280.
101 Cfr. A. ROUCO VARELA - E. CORECCO, Sacramento e Diritto: antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una Teologia del Diritto canonico, Milano, 1971, pp. 52-53.
Mörsdorf in quanto, a loro giudizio, troppo astratte e soprattutto perché causa della
perdita del carattere giuridico del Diritto, ridotto, di fatto, ad una realtà limitatamente
etica tanto da non poter essere considerato neanche un vero Diritto102. A questo
proposito lo storico Jean Gaudement ha osservato che se non è contestabile che tra
Teologia e Diritto ci sono dei rapporti di dipendenza, visto che quest’ultimo desume i
propri presupposti dalla prima, è innegabile che già a partire da Graziano e Pietro
Lombardo le due discipline hanno affermato la loro piena autonomia103.
Dello stesso tenore sono anche i contributi pubblicati nella rivista Concilium. In
questa, pur sostenendosi il legame tra Teologia e Diritto canonico, non per questo si
fonda teologicamente la natura del Diritto ecclesiale. Anzi, proprio opponendosi
all’impostazione di pensiero della scuola tedesca, secondo la convinzione che
teologizzando il Diritto canonico si arriverebbe ad immobilizzare le verità teologiche,
trasmettendo poi questa stessa immobilità alla pastorale, che diventerebbe a sua volta
moralistica e giuridista, si pronuncia con uno slogan che qualificherà tutta la sua linea di
pensiero: “de-teologizzare il Diritto” e “de-giuridizzare la Teologia”104.
Altro orientamento dottrinale è quello della cosiddetta “scuola di Navarra”105. A
partire dagli anni trenta del XX secolo, P. Lombardia – fondatore della scuola – in senso
diametralmente opposto a quella di Monaco e volendo ridare piena natura giuridica al
Diritto della Chiesa, orientò la propria istanza teoretica con un carattere eminentemente
tecnico106. «L’orizzonte di riferimento della scuola di Navarra trova il proprio fulcro
nell’idea che il Diritto canonico è essenzialmente e sostanzialmente “Diritto” e nulla ha
a che vedere con la Teologia»107, cioè esperienza completamente umana, almeno dal
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
102 Cfr. M. VISIOLI, Il Diritto canonico, p. 43.103 Cfr. J. GAUDEMENT, Théologie et Droit canonique: Les Leçons de l’Histoire, in Revue de Droit
Canonique, XXXIX (1989), p. 8.104 Cfr. ÉDITORIAL, in Concilium, I (1965), n. 8, pp. 7-9. Si cita l’Éditorial della sezione di Diritto
canonico dell’edizione francese di Concilium in quanto questo contributo non è stato inserito nell’edizione italiana della medesima rivista.
105 Con il riferimento alla scuola di Navarra si ha l’intenzione di definire il quadro dottrinale giuridico della seconda metà del Novecento, secondo l’orientamento più comune: scuola di Monaco, scuola di Navarra, Concilium. Cfr. C. R. M. REDAELLI, Il concetto di Diritto della Chiesa nella riflessione Canonistica tra Concilio e Codice, Milano, 1991.
106 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 75-76.107 P. GHERRI, Lezioni, p. 77.
punto di vista tecnico, al pari di qualunque altro Diritto secolare e, pertanto, da
approcciare con categorie propriamente giuridiche:
«il concetto di Diritto proprio del Diritto canonico è lo stesso di quello del Diritto secolare: da qui la non differenza di metodo e la possibilità di applicare alla Chiesa le concettualizzazioni elaborate dalla scienza giuridica, salvo il riferimento alle sue peculiarità, che però sono di contenuto e non di formalità giuridica»108.
Il fondamento del Diritto canonico sarebbe da ricercare, quindi, nelle dimensioni
di socialità e di giustizia della comunità ecclesiale, che investono tutte le sue realtà,
fin’anche quelle sacramentali109, e nell’imperativo categorico che queste dimensioni
necessitano di essere integrate insieme. Verrebbe così attribuito al Diritto una «funzione
relazionale-unitiva»110 tanto importante quanto grande è la consapevolezza della
ricchezza carismatica interna della Chiesa, che non può ammettere il rischio di fratture o
pericolose dicotomie interne. La comunione ecclesiale, a cui il Diritto deve provvedere,
diventa in questo senso un imperativo categorico. Sulla base di tali premesse viene
formulato il programmatico principio della scuola, che qualifica il Diritto canonico
come «ordine sociale giusto del Popolo di Dio»111; cioè, principio di ordine sociale che
realizzi la giustizia.
L’orientamento dottrinale di Navarra, recupera la dimensione propriamente storica
del Diritto canonico ed esclude qualunque sua fondazione teologica. Il Diritto della
Chiesa «non è “qualcosa” in sé, ma una delle tante scienze legate all’attività
ecclesiale»112. La rivendicazione d’autonomia della Canonistica rispetto
all’Ecclesiologia, che consenta un approccio esclusivamente tecnico giuridico, è totale e
non ammette eccezioni, ed è sostenuta come rimedio alla crisi del Diritto:
«il Diritto nella Chiesa non è o non era in crisi perché troppo giuridico, troppo tecnico, ma, al contrario, per non essere studiato ed elaborato a un livello paragonabile a quello del Diritto secolare. In questo senso la soluzione non va cercata in una sua teologizzazione, con il rischio di perdere la sua giuridicità, ma in un suo rigoroso approccio giuridico, scientificamente convincente»113.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
108 C. R. M. REDAELLI, Il metodo esegetico applicato al Codice di Diritto canonico del 1917 e a quello del 1983, in Periodica de Re Canonica, 86 (1997), p. 87.
109 A. MONTAN, Il Diritto, p. 77.110 P. GHERRI, Lezioni, p. 78.111 A. MONTAN, Il Diritto, p. 78.112 P. GHERRI, Lezioni, p. 77.113 C. R. M. REDAELLI, Il metodo, p. 85.
Per sostenere al meglio tutto questo orientamento di pensiero, in particolare
l’estraneità del Diritto ecclesiale rispetto alla sfera teologica, i canonisti di Navarra,
ritenendolo onnicomprensivo e sintesi perfetta, fanno proprio il concetto di
Ordinamento con l’intento di assicurare «la rispondenza tra Diritto divino, struttura e
funzionamento della Chiesa»114. In esso troverebbero riscontro il Diritto come forma
sostanziale del vivere sociale ed esperienza completamente umana; l’istanza della
giustizia intraecclesiale; l’esclusione di qualunque fondazione teologica del Diritto
canonico, in quanto auto-fondante ed auto-configurante; la capacità di rendere la
complessità della realtà ecclesiale con l’interazione di istituzioni ecclesiali e singoli
christifideles; la possibilità di fondarne l’autonomia dalle realtà statuali115.
Sebbene con questa impostazione teoretica non venga contemplata una diretta
incidenza della Teologia nel Diritto della Chiesa, essa non sarebbe totalmente esclusa.
Hervada, che ha spiegato la relazione tra Diritto divino e Diritto umano nella posizione
dottrinale spagnola, riaffermando la storicità del Diritto, sostiene che quello divino può
essere considerato Diritto solo nella misura in cui opera nella Chiesa terrestre. Il
passaggio dei contenuti di quest’ultimo alla loro vigenza storica si realizza nel momento
in cui la Chiesa, attraverso il contributo operativo del Magistero ecclesiastico, della
riflessione dottrinale teologica o canonica, della giurisprudenza, del sensum fidelium,
ecc., prende coscienza dei suoi contenuti concreti. In questo senso, tale presa di
consapevolezza definita positivazione, come si è già avuto modo di dire, è tuttavia, solo
il primo passo del processo che i paradigmi soprannaturali ad avere incidenza nel Diritto
canonico. Propedeutico a ciò sarebbe il loro inserimento nell’Ordinamento giuridico
canonico, vale a dire, la loro formalizzazione116.
Anche De La Hera, altro esponente della scuola spagnola, ammette una certa
incidenza della componente divina nel Diritto ecclesiale, sostenendo che il riferimento
al fine soprannaturale dei rapporti intersoggettivi di giustizia, voluti da Cristo nella
Chiesa, ne caratterizza il Diritto in quanto Ius sacrum117.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
114 P. GHERRI, Lezioni, p. 77.115 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 76-79.116 Cfr. J. HERVADA, Diritto costituzionale canonico, pp. 5-23.117 Cfr. A. DE LA HERA, “Liquet ius canonicum esse ius sacrum prorsus distinctum a iure civili”, in
Periodica de Re Canonica, 66 (1977), p. 484.
Il grande merito della scuola di Pamplona rispetto alle posizioni dottrinali
teologicamente fondate e giustificate, è stato quello di ridare natura propriamente
giuridica al Diritto canonico. Sintesi del loro pensiero e della loro elaborazione
dottrinale è l’idea chiave che ha ispirato la loro rivista, Ius Canonicum, con la quale si
definisce la Canonistica: scienza giuridica, con oggetto giuridico e metodo giuridico118.
1.1.1.4 Prospettiva metodologica
Parimenti a quella epistemologica, anche quella metodologica, a tutt’oggi, rimane
per la Canonistica una quaestio tutt’altro che evoluta, men che meno conclusa119 o
definita120. In questo senso si registra una profonda discrasia rispetto ad altre scienze o
discipline teologiche che per intervento del Magistero, tanto pontificio quanto
conciliare, hanno invece registrato in tale ambito una vera e propria evoluzione121.
La questione rimane pertanto aperta e da affrontare «secondo i criteri di una
corretta epistemologia che preveda una giusta interdisciplinarità tra le scienze che si
occupano, da differenti punti di vista, degli stessi “oggetti materiali” di ricerca»122.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
118 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 79.119 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 123-128; P. GHERRI, Teologia, pp. 265-275.120 Una delle motivazioni possibili che ha contribuito all’impoverimento della prospettiva canonistica dal
punto di vista scientifico sarebbe stata l’adozione dello strumento codiciale come unica fonte di Diritto. Questa scelta avrebbe pesantemente inciso tanto sulla forma del Diritto canonico che sul suo approccio teoretico e metodologico. Cfr. C. R. M. REDAELLI, L’adozione del principio di codificazione: significato ecclesiologico soprattutto in riferimento alla ricezione, in AA. VV., Recezione e comunione tra le Chiese. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca (Salamanca, 8-14 aprile 1996), Bologna, 1998, pp. 283; 284; 299. Ad arrestare la ricerca epistemologica della Canonistica, poi, sarebbe intervenuto, poco dopo la promulgazione del Codice, anche l’obbligo imposto dalla Santa Sede di applicare per il suo studio il metodo esegetico relegando ad altre scienze, come alla Storia del Diritto canonico, tutte le questioni in esso non comprese. Cfr. SACRA CONGREGATIO DE SEMINARIIS ET DE STUDIORUM UNIVERSITATIBUS, De Novo Iuris canonici Codice in scholis proponendo, 7 augusti 1917, in AAS, IX (1917), p. 439. Su queste premesse la Canonistica sarebbe diventata pura Codicistica, come ebbe a dire lo Stutz lamentando la rottura con il ricco contenuto dottrinale del passato, che con la codificazione del Diritto canonico si sarebbe determinata. Cfr. U. STUTZ, Der Geist des Codex Iuris Canonici. Eine Einführung in das auf Geheiβ Papst Pius X. Verfasste und von Papst Benedikt XV. Erlassene Gesetzbuch der katholischen Kirche, Stuttgart, 1918, pp. 168-169.
121 Basti ricordare gli interventi in merito alla Filosofia: LEO PP. XIII, Litterae Encyclicae: Aeterni Patris, 4 augusti 1879, in ASS, XII (1879), pp. 97-115; alla Teologia: PIUS PP. X, Litterae Encyclicae: Pascendi Dominici gregis, 8 septembris 1907, in ASS, XL (1940), pp. 593-650; PIUS PP. XII, Litterae Encyclicae: Humani generis, 12 augusti 1950, in AAS, XLII (1950), pp. 561-578; alla S. Scrittura: LEO PP. XIII, Litterae Encyclicae: Providentissimus Deus, 18 novembris 1893, in ASS, XXVI (1893-1894), pp. 269-292; PIUS PP. XII, Litterae Encyclicae: Divino afflante Spiritu, 30 septembris 1943, in AAS, XXXV (1943), pp. 297-325; e in un approccio generale anche se indiretto: IOANNES PAULUS PP. II, Litterae Encyclicae: Fides et Ratio, 14 septembris 1998, in AAS, XCI (1999), pp. 5-88.
122 P. GHERRI, Premessa metodologica alla Giornata Canonistica Interdisciplinare, in P. GHERRI (ed.), Categorialità, p. 48.
Nella storia più recente, in particolare quella del secolo scorso, dei tentativi
risolutivi circa la corretta prospettiva metodologica canonica sono stati comunque fatti.
Non si è trattato, tuttavia, di una scelta di valore o di una ricerca vera e propria, ma di
un processo prettamente deduttivo sulla base delle conclusioni epistemologiche a cui le
varie scuole sono pervenute. Da queste, in modalità consequenziale o di riflesso, è stato
definito il metodo. In altri termini, sulla base delle scelte adottate dai diversi
orientamenti dottrinali sulla natura del Diritto canonico, coerentemente ad essi, si è
delineata e configurata in maniera automatica la questione metodologica123.
In realtà, tale modo di procedere, che ha portato alla individuazione di una
pluralità di metodi, o, altrimenti, ad un metodo proprio e differente per ogni scuola in
riferimento alla stessa scienza, definiti metodo teologico, giuridico, o anche
«proprio»124, è a priori un grave errore;
«non esiste [infatti] una pluralità di metodi tautologicamente specifici (o “propri”) di ciascuna disciplina/scienza, ma più declinazioni e specializzazioni dell’unico metodo attraverso il quale l’uomo può giungere a conoscere ciò che lo circonda»125.
Il metodo, genericamente inteso, non ha altra valenza se non quella di essere uno
strumento intellettivo capace di rendere la verità di una scienza, veicolandone nella
realtà il suo contenuto. Dallo stesso termine, metodo (in greco meta-odos, cioè la
“strada verso il fine”), si può risalire alla sua consistenza concettuale: «si tratta di
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
123 Partendo dalla premessa che il Diritto canonico è in funzione della giustizia, cioè di un ordine sociale giusto conforme ai valori oggettivi della persona, avendo la Canonistica la stessa valenza di scienza giuridica così come qualsiasi altra scienza giuridica secolare, la scuola canonistica laica italiana, fatte salve alcune peculiarità, per il semplice fatto di essere una scienza al servizio di una comunità di credenti, ha optato per la scelta di un metodo squisitamente giuridico.
Diversamente, la scuola di Monaco, ponendo alla base del suo impianto teoretico la visione di Chiesa come communio, nettamente contrapposta a quella di Chiesa societas, nonché sulla base che la Canonistica è scienza teologica perché trova la propria giustificazione solo nella e dalla fede, definisce il suo metodo giuridico, ma solo nei limiti ammessi dalla sua epistemologia teologica, altrimenti nelle impostazioni più estreme sarebbe addirittura teologico.
La scuola di Navarra, di prospettiva diametralmente opposta a quest’ultima, partendo dalla constatazione che tutto nella Chiesa si traduce in relazioni giuridiche ed in atti di giustizia, persino i sacramenti, e che questa dimensione di giustizia è la causa determinante del fatto che la Chiesa ha un Diritto con vero carattere giuridico, qualifica il metodo proprio della Canonistica come giuridico. La differenza di quest’ultima prospettiva dottrinale rispetto a quella della scuola canonistica laica italiana si porrebbe nello sforzo comunque di collegare Teologia e Diritto.
In ultimo, l’orientamento di pensiero delineatosi con la rivista Concilium, che tratta la Canonistica – nel cui alveo prende forma il giuridico ecclesiale – come scienza giuridica, con oggetto giuridico, ma con presupposti teologici, sostiene con forza un metodo giuridico. Cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni, pp. 25-27; M. VISIOLI, Il Diritto canonico, p. 44.
124 Cfr. M. VISIOLI, Il Diritto canonico, p. 46.125 P. GHERRI, Premessa metodologica, p. 23.
percorso (per-cursus), attraverso cui si procede per conseguire la finalità stabilita»126.
«La bontà di un metodo si vede soprattutto nelle sue applicazioni e nei risultati»127.
In questo senso non è nessuna ingegnosa invenzione128, ma un itinerario
intellettivo da percorrere in vista di un fine; che, tuttavia, per rendere veramente onore
alla scienza verso la quale si pone al servizio, dovrà tenere in considerazione alcune
tecniche e strumenti specifici dell’ambito d’indagine.
A queste conclusioni sono ormai giunti ragguardevoli esponenti della scienza
giuridica129. Secondo tale prospettiva più corretto sarebbe quindi ricercare e definire
non tanto il metodo della scienza, atteso che questo è sempre uguale, o all’interno della
stessa disciplina i metodi in base agli orientamenti epistemologici prodotti, quanto,
invece, definire le tecniche, le procedure, le metodiche operative, propri e specifici per
ciascuna disciplina. Ciò è giustificato anche dalla distinzione teoretica tra “metodo
trascendentale” (il nucleo fondamentale e portante di ogni processo d’indagine e
conoscenza) e i “metodi categoriali” (gli strumenti intellettuali, articolati e propri di
ciascuna forma di conoscenza). In questo modo la metodologia si qualifica come una
disciplina autonoma all’interno del rapporto tra gnoseologia ed epistemologia130.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
126 P. GHERRI, Premessa metodologica, p. 26.127 V. DEL GIUDICE, Note conclusive circa la questione del metodo nello studio del Diritto canonico, in
Archivio di Diritto Ecclesiastico, II (1940), p. 3.128 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción al Derecho canónico, in AA. VV., Comentario
Exegético al Código de Derecho canónico, 3ª ed., vol. I, Pamplona, 2002, p. 71.129 «il metodo non è particolare a questa o a quella scienza ma è la via generalmente seguita dall’intelletto
umano per la conoscenza, l’insieme dei procedimenti mentali che alla conoscenza conducono». V. GUELI, Il Diritto singolare e il sistema giuridico, Milano, 1942, p. 20.
«Non v’è un metodo per studiare il Diritto italiano e un altro per studiare, poniamo il Diritto spagnolo, o qualsivoglia altro; non v’è una logica “particolare” da usare per l’uno o per l’altro. In questo senso affermai che una questione del metodo per lo studio del Diritto canonico non esiste. Uno il modo, una la forma logica, che deve a sua volta servire a determinare la logica specifica alla quale obbediscono gli istituti all’interno di ciascun sistema». V. DEL GIUDICE, Note conclusive, pp. 11-12.
«Come, infatti, si può parlare di un metodo particolare nello studio del Diritto canonico quando si pensa che il metodo, come non a torto è stato osservato, “non è particolare a questa o a quella scienza, ma è la via generale seguita dall’intelletto umano per la conoscenza, l’insieme dei procedimenti mentali che alla conoscenza conducono”? Ciò significa che non esiste un metodo qualificato dall’oggetto della conoscenza. Ritengo, pertanto, che si possa andare anche al di là di quanto ha affermato Del Giudice, cioè che “una questione del metodo nello studio del Diritto canonico non esiste”, poiché penso che non solo non esista un metodo peculiare per lo studio del Diritto canonico, cioè un metodo della Canonistica, ma che non esista neppure un metodo proprio per lo studio del Diritto in generale, cioè un metodo giuridico, come non esiste un metodo matematico, fisico, chimico, ecc. Il problema che si pone nello studio del Diritto canonico non è un problema di metodo, ma un problema di tecnica: è la tecnica giuridica, non già il metodo, che varia secondo che si versi nello studio del Diritto civile o nello studio del Diritto canonico, nel senso che varia, nello studio dell’uno o dell’altro, il particolare impiego dei generali metodi logici – induttivo, razionale o intuitivo, ecc. –, in relazione alla diversa natura dell’Ordinamento canonico e dell’Ordinamento civile». P. FEDELE, Lo spirito del Diritto canonico, Padova, 1962, pp. 49-50.
130 Cfr. P. GHERRI, Premessa metodologica, p. 28.
Aver offerto un sostanzioso contributo di precise metodiche operative alla
Canonistica è stata la scuola di Navarra. In questo senso ha proposto: la abstracción en
la técnica legislativa y en la ciencia jurídica; los conceptos jurídicos; las hipótesis y las
teorías; los tipos jurídicos; la reducción semplificadora; las equiparaciones formales y
ficciones jurídicas; formalismo y publicidad; el lenguaje jurídico; los principios básicos
para la interpretación del Derecho131.
Con la abstracción132, che informerebbe tanto la tecnica legislativa che la scienza
giuridica, si configurerebbe la possibilità materiale di esprimere un giudizio su fatti o
azioni singolari, riferendosi ad essi senza entrare in merito al caso particolare e
procedendo per situazioni tipo. Sarebbe questo il processo che renderebbe possibile
legiferare, altrimenti impossibile qualora si dovesse provvedere caso per caso con una
legge specifica. Allo stesso tempo, senza la abstracción, non sarebbe possibile
l’indagine scientifica.
Conseguente al procedere per astrazione sarebbe la necessità dell’uso di conceptos
jurídicos133. Questi si qualificherebbero come modi di rappresentazione intellettuale di
una res al fine di poterne rendere la realtà; quindi, aventi natura e carattere propriamente
tecnico e strumentale. Godrebbero anche di natura relativa, in quanto la scienza
giuridica, limitandosi a rilevare la funzione-valenza delle realtà di cui tratta nel proprio
sistema categoriale, non si esprimerebbe sul significato in sé di queste res, cioè su ciò
che tali realtà sarebbero in quanto tali – ad esempio non si pronuncia su cosa sia la
persona ontologicamente – ma integrando nel proprio sistema tale contenuto da altre
scienze, come la Filosofia, la Teologia e la Storia, di fatto si sottomette al grado di
conoscenza e approfondimento che di queste realtà sono riusciti a realizzare le suddette
scienze. Così facendo, i concetti giuridici non possono essere intesi in senso assoluto,
ma relativo, perché il loro contenuto non è da ritenersi definitivo e concluso, in quanto
suscettibile di ulteriori approfondimenti.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
131 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 76-91.132 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 76-78.133 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 78-81.
Quanto appena detto, riferendosi genericamente alla scienza giuridica, è di facile
intuizione per ciò che attiene all’ambito squisitamente canonico, se si considera che la
concettualizzazione delle disposizioni canoniche, ma in generale tutto il Diritto
ecclesiale, essendo informata nei contenuti dal depositum fidei, rende i conceptos
jurídicos, dal contenuto relativo in quanto subordinati alla conoscenza e coscienza che
si ha del dato teologico pre-giuridico, ‘indifferenti’ o ‘generici’ in rapporto
all’espressione strumentale concreta che è la norma canonica134. Questo processo
d’integrazione porta in sé almeno due conseguenze importanti: da un lato, consente alla
Canonistica di non scadere in una teologizzazione del Diritto canonico, che produrrebbe
norme assolute ed immutabili immobilizzando l’ambito di impiego di tali previsioni
giuridiche135, favorendo così, qualora se ne ravvisasse il bisogno, un sano e costante
processo di de-giuridizzazione della Teologia e di de-teologizzazione del Diritto
canonico136; dall’altro, impedisce che l’autonomia propria di cui la scienza giuridica
gode venga intesa come autosufficienza. Il carattere propriamente relativo delle leggi
ecclesiali, in definitiva, così come si è già avuto modo di dire, ha fatto sì che la
Canonistica fosse stata fatta appartenere storicamente, secondo la dottrina teologica
classica, alla Teologia pratica137.
I conceptos jurídicos si differenzierebbero per la loro origine e per il loro
contenuto: di natura propriamente canonica o desunti da altri contesti scientifici per
quanto riguarda la loro provenienza e, per il loro contenuto, distinti a seconda che si
fondino su di un valore etico (ad esempio la buona fede), su fenomeni sociali intrisi di
valori (il bonum coniugum), empirici (di cose aventi rilevanza sociale, come i beni
immobili), o altrettanto empirici, ma di indole tecnico-giuridica (l’atto amministrativo).
Obiettivo della scienza giuridica è anche quello di creare un’armonia interna al
proprio sapere. Non sarebbe sufficiente studiare in maniera asettica e quasi a
compartimento stagno i propri dati, ma questi dovranno essere composti in una visione
d’insieme che possa condurre ad una certa unità. Gli strumenti di cui ci si avvale per
raggiungere quest’obiettivo sarebbero le hipótesis y teorías138. Più dettagliatamente:
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
134 Cfr. ÉDITORIAL, p. 7.135 Cfr. ÉDITORIAL, p. 8.136 Cfr. ÉDITORIAL, p. 9.137 Cfr. P. GHERRI, Relatività, pp. 178-179.138 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 81.
l’ipotesi sarebbe una spiegazione provvisoria di dati osservati, il cui fine, attraverso gli
strumenti suoi propri (l’intuizione, la dissociazione e l’associazione dei gruppi di dati e
delle loro deduzioni), sarebbe quello di coordinarli in modo da realizzare un sistema
unitario. Qualora ciò non fosse possibile, perché in presenza di ipotesi insufficienti, ci si
avvarrebbe dell’altro criterio, definito teorías, che essendo un sapere già in sé completo,
preso come modello teoretico di riferimento, avrebbe la valenza di completare ciò che
mancherebbe alle ipotesi. Così è stato, ad esempio, per i costituzionalisti italiani che,
riferendosi alla teoria pura di Kelsen o alla teoria dell’Ordinamento giuridico, hanno
potuto costruire la propria scienza139.
Altri ricorsi tecnici sono los tipos jurídicos, intesi come espressioni tecniche
fondate su di un ideale normativo (per es. la figura ideale del cristiano, del religioso,
ecc.), o comportamentale (per es. la diligenza del buon padre di famiglia), che
rappresentano come degli archetipi della norma verso cui tendere, anche se mai
potranno essere pienamente e totalmente realizzati in quanto ritenuti ‘imagen-meta’. In
questo senso si configurano quali criteri di riferimento e valutazione della realtà, di
legittimità e applicazione del contenuto della legge. Non sono da confondere con los
conceptos jurídicos, in quanto i primi, a differenza di questi ultimi, sono la riproduzione
schematica della struttura di una realtà che si considera appunto tipica e non godono di
un grado di astrazione ampio, bensì molto limitato. Conservano, infatti, come
caratteristica immediata un riferimento diretto ed immediato alla realtà140.
La reducción semplificadora consiste nella definizione di conseguenze giuridiche,
per casi specifici, determinati non sulla base della considerazione puntuale delle
condizioni estrinseche del caso stesso, ma sulla base di una quantificazione orientativa.
Così operando, si realizza la sostituzione dell’elemento qualitativo con quello
quantitativo, del particolare con quello generale. Questa tecnica giuridica sarebbe
necessaria a partire dalla considerazione che la realtà sociale sarebbe intrinsecamente
talmente varia e fluttuante che difficilmente obbedisce a regole fisse. Il Diritto, che è
chiamato comunque a normare ogni situazione, di fronte alla varietà fenomenologica
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
139 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 81.140 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 82-83.
provvede con l’adozione di criteri determinati che si fondano, genericamente, su di una
quantificazione orientativa, piuttosto che sulla considerazione delle singole qualità di
ogni caso. È ciò che avviene, per esempio, a proposito del limite d’età previsto per la
presentazione della rinuncia dell’ufficio di vescovo diocesano fissato dal Codice di
Diritto canonico a settantacinque anni (cfr. Can. 401). La previsione anagrafica del
Codice rappresenta un’ipotetica quantificazione delle condizioni avanzate d’età o altre
gravi ragioni previste in Christus Dominus141, per le quali si renderebbero
cautelativamente, non per una reale incapacità, necessarie le dimissioni dall’ufficio142.
Nella tecnica giuridica, soprattutto in ambito codiciale, non di rado ci si imbatte in
espressioni del tipo: censeatur tamquam, aequiparantur, habeatur pro, ed espressioni
analoghe. In tali casi la tecnica giuridica, soprattutto in ambito legislativo, per evitare
inutili ripetizioni opera ciò che è stata definita equiparacion formal tramite la quale
situazioni di fatto differenti, venendo assimilate, avranno effetti giuridici uguali. In altri
termini: effetti giuridici previsti per un caso specifico vengono trasferiti ad altri di per sé
distinti. Un tipo speciale di equiparazione formale è rappresentato dalle ficciones
jurídicas143.
Formalismo y publicidad sono due mezzi di cui la tecnica del Diritto si
avvarrebbe per garantire e proteggere la sicurezza e la certezza nell’ordine giuridico.
Trovano fondamento nella socialità del Diritto e nell’esigenza che si manifesti
esternamente quanto sarebbe proprio della sfera volitiva, in modo tale che possa essere
oggetto di relazione o tutela giuridiche. In altri termini, le relazioni, i fatti o gli atti
sociali esigono una manifestazione concreta ed esterna perché possano esistere per il
Diritto. Non tutti i segni sono validi allo stesso modo per un Ordinamento giuridico. In
genere lo sono ad validitatem quelli che convenzionalmente sono stati definiti come tali
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
141 «Cum igitur pastorale Episcoporum munus tanti sit momenti tantaeque gravitatis, Episcopi dioecesani aliique in iure ipsis aequioarati, si ob ingravescentem aetatem aliamve causam, implendo suo officio minus apti evaserint, enixe rogantur, ut, vel sua ipsi sponte vel a competenti Auctoritate invitati, renuntiationem ab officio exhibeant». CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Decretum: Christus Dominus, 28 octobris 1965, in AAS, LVIII (1966), n. 21, p. 683. Abbreviato d’ora in poi con: CD.
142 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 84-85.143 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 85-86.
da prescrizioni legali e per questo ritenuti obbligatori, mentre altre forme potrebbero
essere ritenute facoltative, e solo ad liceitatem.
Quelli della sicurezza e pubblicità non sono gli unici principi che giustificano il
formalismo nel Diritto. Altro fattore sarebbe rappresentato dalla validità di un atto o di
un comportamento. La necessità dell’uso di segni convenzionali non è, comunque,
un’esclusiva del mondo giuridico, tutte le dimensioni dell’esistenza, religiosa o sociale
che sia, si servono di segni perché si possano instaurare legami e intrecciare relazioni. Il
Diritto in questo senso si manifesta pienamente nella sua categorialità144.
Come ogni scienza, anche quella giuridica, perché possa trasmettere e comunicare
il proprio contenuto, non può fare a meno del linguaggio. Esso si qualifica come mezzo
attraverso il quale il sapere può essere veicolato. Ogni disciplina utilizza una
terminologia propria e specifica, e in questo senso il Diritto utilizza un lenguaje
jurídico. Caratteristiche di questo lessico sono: la precisione, in modo da non vanificare
il fine del Diritto e stabilire un ordine capace di assicurare tutti gli interessi e le esigenze
del bene comune; la chiarezza, nel senso che dovrà delineare senza equivoci il senso
delle norme; la semplicità, affinché sia privo di ampollosità o complicazioni che
invaliderebbero la sua funzionalità145.
In ultimo, ma non certo per importanza, anzi proprio perché rappresentano il
nucleo più importante delle tecniche giuridiche, si annoverano los principios básicos
para la interpretación del Derecho. L’interpretazione si definisce come la
manifestazione del significato più genuino della legge, della consuetudine, dei negozi
giuridici e degli atti amministrativi. È un’operazione intellettiva di comprensione del
contenuto normativo del Diritto, avente la conseguenza di produrre un sapere
scientifico, la costruzione di un sistema e la sua applicabilità alla realtà. Tiene in
considerazione tre principi fondamentali: a) la relazione tra il Diritto e la realtà sociale;
b) la storicità del Diritto; c) la sua finalità. In altri termini, deve essere realizzata con
realismo, valore storico e teleologicamente146.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
144 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 86-88.145 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 88-89.146 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 90-91.
Tutte queste tecniche, proposte dalla scuola spagnola, sarebbero, comunque, da
applicare sulla base di due principi fondamentali della metodica giuridica canonica:
1) «El proceso de elaboración cientifica del Derecho canónico comprendiente dos
estadios consecutivos: la exégesis y la construcción sitemática o sistema»147;
2) «La ciencia del Derecho, por ser una ciencia fenoménica, exige en su
cultivador el espíritu científico y el espíritu positivo»148.
Per esegesi si intende lo studio analitico delle norme canoniche al fine di
scoprirne l’interpretazione più corretta; conseguentemente, con la costruzione
sistematica dei principi ottenuti, relazionandoli insieme e riducendoli ad unità, si
provvederebbe ad elaborare un sistema unitario. Sarebbero due le fasi che si richiamano
a vicenda, in quanto, un’esegesi senza una costruzione sistematica, sarebbe ridotta ad
uno stato scientifico rudimentale ed incompleto; un sistema giuridico senza l’esegesi
sarebbe impossibile149.
Nel secondo principio sarebbero da ritenere propri dello spirito scientifico
elementi quali: la objectividad; el rigor; el espíritu crítico come modalità d’indagine
capaci di far approcciare lo studio del Diritto canonico con la massima esattezza
possibile, garantendo così la formulazione di tesi valide e pienamente dimostrate. A
queste conclusioni ci si riferirà, comunque, con un sano spirito critico, nel senso che una
condizione imprescindibile della vera scienza sarebbe quella di saper dubitare. Dello
spirito positivo, invece, sarebbero caratteristici: la sumisión al dato; la redución a lo
operable; la idea de inteligibilidad funcional; la idea de suficiencia cientifica. Il
canonista, nell’approcciare il suo oggetto di studio, sarà mosso da uno spirito di
obbedienza al dato scientifico a cui perverrà. Provvederà a tradurre questi dati in
formule giuridiche, cosicché risultino applicabili al vissuto sociale e, nella misura in cui
queste faciliteranno l’operatività del diritto, saranno da ritenere validi. Saranno
comunque fenomeni giuridici da spiegare in senso prettamente scientifico, né
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
147 J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 73.148 J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 74.149 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 74.
filosoficamente, né teologicamente, nonostante non si rinunzi ai contributi di queste
scienze150.
1.1.2 PRINCIPI FONDAMENTALI
Ogni scienza è caratterizzata da un proprium costitutivo, da principi specifici, che
le afferiscono in modo peculiare rispetto a tutte le altre tanto da poter essere ritenuti
fondamentali. Sulla base di questi elementi si predispongono, idoneamente ed in
maniera appropriata, le precise tecniche metodologiche.
In altri termini, il canonista, quando si avvarrà delle indistinte metodiche
giuridiche valide per qualunque Ordinamento giuridico, non potrà non tenere in
considerazione che caratteristici del Diritto della Chiesa sono i principi: ‘istituzionale’,
‘personalistico’, ‘comunionale’, ‘pastorale’ e ‘sacramentale’. Nella misura in cui di
questi, se ne avrà una giusta comprensione, nel pieno rispetto della prospettiva
teleologica della Chiesa, le tecniche operative che ne conseguiranno potranno divenire
efficaci nel Diritto canonico.
1.1.2.1 Istituzionale
Con ‘istituzionale’ si indica, genericamente, una realtà stabile, permanente,
giuridicamente organizzata ed ordinata. Nello stesso tempo, l’azione con la quale tale
realtà viene fondata151.
Questa categoria fu adoperata, in ambito canonico, per la prima volta da Papa
Innocenzo IV, che la impiegò in riferimento alla personalità giuridica della Chiesa,
intendendola un’istituzione «che non dipende dalla libera volontà dei suoi membri, ma
che vive ed agisce in virtù di una volontà autoritativa che la guida dall’esterno e
dall’alto»152.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
150 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, pp. 74-76.151 Cfr. N. ZINGARELLI, Il nuovo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana, 11ª ed., Bologna, 1990, p.
1001.152 Cfr. F. RUFFINI, La classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi (Innocenzo IV) ed
in Federico Carlo di Savigny, in Scritti giuridici minori, vol. II, Milano, 1936, pp. 5-90.
In ambito sociologico, ‘istituzione’, oltre ad avere il significato di «una struttura
relativamente permanente, [ha anche la valenza di essere una realtà] anteriore agli
individui che trovano in essa un modello del loro comportamento e l’indicazione del
loro ruolo nel gruppo»153. Tale definizione, piuttosto ampia, sebbene con i necessari
adattamenti, è stata adottata da Santi Romano nel momento in cui spiega e definisce,
secondo le categorie del Diritto civile, la natura dello Stato. Disse, infatti, che si tratta
di:
«un’unità ferma e permanente, che cioè non perde la sua identità [...] per il mutarsi dei singoli suoi elementi: delle persone che ne fanno parte, del suo patrimonio, dei suoi mezzi, dei suoi interessi, dei suoi destinatari e così via. Essa può rinnovarsi, conservarsi la medesima e mantenere la propria individualità»154.
Una rilettura, per così dire in sinossi, di quanto appena detto consente di
individuare come elementi tipici e comuni dell’istituzionalità, alcuni requisiti
fondamentali: la permanenza o la stabilità; l’appartenenza ad una realtà già costituita; la
fisionomia organica preesistente ai membri dell’ente come elemento regolatore della
convivenza sociale da cui scaturiscono un’organizzazione interna che coordini ruoli,
compiti, poteri ed uffici. Sono tutte caratteristiche da intendere in senso strutturale e
che, a fronte del Magistero di Lumen Gentium, appartengono in modo sostanziale alla
Chiesa fin dalla sua fondazione155. Lo stesso documento conciliare ribadisce, inoltre,
che le competono per tutto il perdurare del suo pellegrinare terreno, fino a che non si
compirà l’attesa escatologica e che, proprio perché contrassegnate dall’essenziale
carattere della storicità, rivelano l’immanenza del dinamismo istituzionalizzante come
motore intra-storico del divenire delle forme visibili della vita ecclesiale156.
Riscontrare gli stessi requisiti non vuol dire, comunque, uguagliare in maniera
indistinta e generica la Chiesa a qualunque altra istituzione civile o sociale. A parte la
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
153 Cfr. A. LONGHITANO, Il Diritto nella realtà ecclesiale, in G.I.D.D.C. (cur.), Il Diritto, vol. I, p. 81. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].
154 S. ROMANO, L’Ordinamento giuridico, 3ª ed., Firenze, 1977, p. 39.155 «[…] plene Ecclesiae societati incorporantur, qui Spiritum Christi habentes, integram eius
ordinationem omniaque media salutis in ea instituta accipiunt, et in eiusdem compage visibili cum Christo, eam per Summum Pontificem atque Episcopos regente, iunguntur, vinculis nempe professionis fidei, sacramentorum et ecclesiastici regiminis ac communionis». LG, n. 14, pp. 18-19.
156 «Donec […] fuerint novi coeli et nova terra, in quibus iustitia habitat (cfr. 2 Pt 3,13), Ecclesia peregrinans, in suis sacramentis et institutionibus, quae ad hoc aevum pertinent, portat figuram huius saeculi quae praeterit et ipsa inter creaturas degit quae ingemiscunt et parturiunt usque adhuc et exspectant revelationem filiorum Dei (cfr. Rom 8,19-22)». LG, n. 48, p. 53.
somiglianza nelle forme strutturali, vige per la Chiesa una fondamentale differenza, un
elemento di distinguo già a partire dal carattere divino del suo atto fondativo che incide
in maniera determinante su tutta la sua realtà: «Unicus Mediator Christus Ecclesiam
suam sanctam [...] constituit»157.
Al documento conciliare fa eco il canone 204 del Codice di Diritto canonico
dell’83 che, muovendo dalla prospettiva del fedele, nei suoi due paragrafi, conferma
l’identità ‘istituzionale’ della Chiesa sulla base degli stessi elementi riportati da Lumen
Gentium, vale a dire: l’azione divina come atto fondativo; la preesistenza rispetto ai suoi
membri; un’appartenenza; un fine comune; un’organizzazione giuridica; una
dimensione mondana158. Nella stessa linea, anche il professor Javier Hervada definendo
la comunità ecclesiale
«un grupo social basado en un acto especial de fundacion y puesto al servicio de una obra social determinada, que trasciende a los intereses particulares de quienes la sirven y que funciona como un fin objetivo y permamente del grupo»159.
Parlare della Chiesa in termini istituzionali non è un approccio molto gradito a
quanti privilegiano una sua immagine eminentemente spirituale o carismatica160 e che
giudicano, di conseguenza, le istituzioni come soffocatrici della libera iniziativa dello
Spirito Santo. A tale proposito Paolo VI in un suo discorso al tribunale della Rota
Romana, diceva:
«Nessuno ignora oggi l’accentuata tendenza a svalutare l’autorità in nome della libertà: lo ha sottolineato il Concilio in un documento molto significativo, quello appunto sulla libertà religiosa, quando ha osservato che “non sembrano pochi coloro che, sotto pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza” (Dignitatis Humanae, n. 8). È la diffusa tendenza cosiddetta carismatica, che diventa antigerarchica: si sottolinea esclusivamente la difficilmente definibile funzione dello Spirito a scapito dell’autorità. In tal modo, si diffonde una mentalità, che vorrebbe
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
157 LG, n. 8, p. 11.158 Ǥ 1. Christifideles sunt qui, utpote per baptismum Christo incorporati, in populum Dei sunt constituti,
atque hac ratione muneris Christi sacerdotalis, prophetici et regalis suo modo participes facti, secundum propriam cuiusque condicionem, ad missionem exercendam vocantur, quam Deus Ecclesia in mundo adimplendam concredidit. § 2. Haec Ecclesia, in hoc mundo ut societas constituta et ordinata, subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius communione gubernata». Can. 204.
159 J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 39; cfr. J. HERVADA, Diritto costituzionale canonico, Milano, 1989, pp. 158-164.
160 Qui, si tenga presente quanto già detto al paragrafo 1.1, nota 10.
presentare come legittima e giustificata la disobbedienza, a tutela della libertà, di cui debbono godere i figli di Dio»161.
Dello stesso tenore anche un altro intervento del medesimo Pontefice.
Rivolgendosi ai partecipanti al II Congresso internazionale di Diritto canonico, mentre
ribadiva che quest’ultimo e il suo studio sono necessari alla Chiesa come via di accesso
alla suo concreto vissuto e che, come tale, è profondamente radicato nel suo stesso
mistero162, alla domanda come possa includere la Chiesa, essendo una società religiosa
con carattere soprannaturale, l’elemento ‘istituzionale’ rispose che
«la costituzione della Chiesa è insieme pneumatica e istituzionale: [...] è mistero di salvezza reso visibile dalla sua costituzione di vera società umana e dalla sua attività nella sfera esterna. [...] In tal modo [...] come unione sociale umana, gli uomini si uniscono in Cristo e, per mezzo di Lui, con Dio, raggiungendo così la salvezza; e lo Spirito Santo è in essa presente e operante in tutta l’estensione della vita di lei. Vale a dire, la Chiesa-Istituzione è allo stesso tempo intrinsecamente spirituale»163.
L’esclusività della sola dimensione carismatica sarebbe sostenuta e giustificata da
correnti anti-istituzionaliste, in forza della testimonianza del Vangelo che la Chiesa,
come comunità, è chiamata a rendere al mondo. In risposta a ciò bisogna dire che è
proprio la testimonianza della Buona Novella che impone la necessità che la Chiesa
contempli anche l’elemento istituzionale164. Infatti:
«la Chiesa è una realtà spirituale e uno dei suoi scopi principali consiste nel testimoniare il Vangelo al mondo. Ma questa testimonianza deve essere per forza comunitaria. Anche per questo la Chiesa è allo stesso tempo una realtà istituzionale»165.
Non bisogna, quindi, vedere tra carisma e istituzione una sorta di reciproca
esclusione, cosicché, prendendo in considerazione l’uno, debba mancare
automaticamente l’altro. Entrambi questi aspetti dell’unica Chiesa sono frutti dello
stesso Spirito, il quale non limita la propria azione alla santificazione e alla guida del
Popolo di Dio, ma provvede a quest’ultimo, in senso propriamente istituzionale,
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
161 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad Praelatos, Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae Rotae, a Beatissimo Patre novo litibus iudicandis ineunte anno coram admissos, 29 ianuarii 1970, in AAS, LXII (1970), n. 3, p. 113.
162 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes Congressus internationalis Iuris Canonici penes Universitatem Catolicam a S. Corde Mediolani habiti, 17 septembris 1973, in Communicationes, V (1973), p. 124.
163 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, p. 126.164 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p.17.165 P. ERDÖ, Teologia del Diritto canonico, p. 46.
suscitando uffici e persone capaci di assumersi l’onere del rinnovamento e della
missione della stessa Chiesa166. In forza di questa comune origine
«lo “Spirito” e il “Diritto” nella loro stessa fonte formano un’unione, in cui l’elemento spirituale è determinante; la Chiesa del “Diritto” e la Chiesa della “Carità” sono una sola realtà, della cui vita interna è segno esteriore la forma giuridica. È perciò evidente che questa unione dev’essere conservata nell’adempimento di ogni ufficio e potestà nella Chiesa»167.
Così proprio nella stessa natura del carisma si riscontra la presenza e la necessità
dell’istituzionalità, come garanzia di autenticità, di perpetuità e fruttuosità nel tempo e
nello spazio:
«se per istituzione si intende un insieme di rapporti intersoggettivi regolati da norme di condotta, un carisma porta in se stesso l’istituzione, in quanto è dallo stesso carisma, per opera dello Spirito Santo, che sorgono i doveri e i diritti intersoggettivi connessi con l’esercizio del carisma, moralmente obbliganti. L’istituzionalizzazione canonica è un passo ulteriore e si ha quando il carisma viene riconosciuto dalla Chiesa come conforme al suo fine salvifico e vengono date delle norme canoniche per regolarne l’esercizio e i rapporti intersoggettivi che sgorgano all’interno della comunità, affinché si perpetui con la sua purezza originaria nel tempo e nello spazio. A questo punto il carisma diventa un’istituzione canonica»168.
È quanto si verifica, ad esempio, a proposito delle forme canoniche di vita
consacrata. Prima che un carisma particolare possa essere fruibile da tutta la Chiesa, è
necessario che passi attraverso un processo di istituzionalizzazione che si compone
solitamente di due distinte fasi: la formalizzazione in una regola da parte di un
fondatore che, traducendolo in forme di vita concrete, immanenti, lo rende accessibile
alla collettività; il riconoscimento dell’utilità universale ad opera della competente
autorità ecclesiastica e l’approvazione della regola per mezzo della quale si eleva il
carisma collettivo ad istituto canonico169. In tal modo si esplica la funzione garantista
del depositum fidei da parte del Magistero.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
166 «[…] Spiritus Sanctus non tantum per sacramenta et ministeria Populum Dei sanctificat et ducit eumque virtutibus ornat, sed dona sua “dividens singulis prout vult” (1Cor 12,11), inter omnis fideles distribuit gratias quoque speciales, quibus illos aptos et promptos reddit ad sucipienda varia opera vel officia, pro renovatione et ampliore aedificatione Ecclesiae proficua, secundum illud “Unicuique datur manifestatio Spiritus ad utilitatem” (1Cor 12,7)». LG, n. 12, p. 16.
167 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, p. 130.168 Cfr. G. GHIRLANDA, Carisma, in AA.VV., Nuovo Dizionario di Diritto canonico, 2ª ed., Milano, 1993,
pp. 128-130.169 Cfr. G. GHIRLANDA, Carisma, p. 130.
Se poi per carisma si intende un dono di grazia, gratuito, che Dio fa a chi lui
chiama per adempiere un servizio, una missione, un ministero, nella e per la Chiesa,
questo, non può essere tuttavia esercitato in maniera autonoma o peggio ancora
arbitraria, ma il suo adempimento, affinché sia funzionale al bene della Chiesa, è
chiamato ad inserirsi nella complessa realtà delle differenti istituzioni ecclesiastiche
che, sotto l’azione dello Spirito Santo e la potestas dei successori degli apostoli,
mutuano la stessa vitale e sinergica dinamica di coordinamento che avviene in un corpo
tra tutte le sue membra170.
La Chiesa non può rinunciare, pertanto, nel foro esterno alle istituzioni. Queste,
anche se perfettibili, vengono canonicamente istituite al fine di comunicare la grazia
divina e favorire in tal modo, secondo i doni e la missione di ciascuno, il bene dei
fedeli171. È la missione evangelizzatrice, da rendere comunitariamente, che postula,
come si è già detto, il bisogno di istituzioni e leggi, qualificandoli come mezzi «per
scongiurare il rischio di cadere in una lettura relativistica ed individualista del carisma e
della missione»172; soprattutto in considerazione del fatto che il carisma, essendo
«sempre qualcosa di singolare»173, rimarrebbe limitato allo stesso singolo se non fosse
sottoposto ad un adeguato processo di oggettivazione, necessario per la sua
trasmissione. In questo senso, l’istituzionalità assume una chiara valenza strumentale al
fine di
«conservare l’esperienza che diede origine alla Chiesa, garantendo il necessario distacco tra carisma personale e comunitario, espletando in misura sufficiente l’oggettività della fede e della missione»174.
In ogni istituzione è presente, in questo senso, il Diritto – sia in senso sostanziale,
sia come insieme di regole giuridiche che concorrono a coordinare la vita ecclesiale –
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
170 «[…] licet multa sint, unum tamen corpus efformant, ita fideles in Christo (cfr. 1 Cor 12,12). Etiam in aedificatione corporis Christi diveristas viget membrorum et officiorum. Unus est Spiritus, qui varia sua dona, secundum divitias suas atque ministeriorum necessitates, ad Ecclesiae utilitatem disperit (cfr. 1 Cor 12,1-11). Inter quae dona praestat gratia Apostolorum, quorum auctoritati ipse Spiritus etiam charismaticos subdit (cfr. 1 Cor 14)». LG, n. 7, p. 10.
171 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, pp. 126-127.172 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p.18.173 Cfr. M. WEBER, Economia y sociedad, vol. I, Mexico, 1969, pp. 869-875.174 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p.18.
tanto che, all’interno della Chiesa, il secondo diventa il locus delle prime175, «definisce
le istituzioni, dispone le esigenze della vita mediante leggi e decreti, completa i tratti
essenziali dei rapporti giuridici fra i fedeli, pastori e laici»176. Sono, in altri termini, i
parametri normativi dettati dall’Ordinamento giuridico che provvedono a delineare
l’identità, i fini e le modalità d’esercizio della funzione pubblica delle istituzioni
ecclesiastiche. Queste ultime poi, dal canto loro, rappresentano in tal modo la «prima e
originaria manifestazione del Diritto»177. Nell’ottica del bene comune da realizzare e
della tutela personale dei fedeli da garantire, cioè spirituale e terrena allo stesso tempo,
sono da considerarsi istituzioni ecclesiali anche i processi178, seppure con una valenza
specifica.
Bisogna dire, a onor del vero, che non tutte le istituzioni nella Chiesa hanno lo
stesso valore. È fondamentale, per il rispetto e la natura delle cose, distinguere tra
istituzioni che provengono non
«da un libero accordo raggiunto dagli uomini tra di loro, ma dalla volontà dello stesso Signore, come compresa e attuata dagli apostoli, espressa nella Scrittura e nella Tradizione viva della Chiesa [e quelle] che [quest’ultima] ha fatto nascere in continuità e prolungamento con le istituzioni di Cristo e della Chiesa apostolica»179.
In altri termini, la distinzione sarebbe da rinvenire tra istituzioni di Ius divinum180,
appartenenti alla struttura fondamentale e organica della comunità cristiana, cioè quelle
ontologicamente imprescindibili e che furono stabilite dal suo Fondatore, e di Ius
humanum181, nate contestualmente alla sua azione missionaria come risposta a questioni
pastorali specifiche di una determinata epoca oppure in quanto necessarie alla stessa
fisionomia e organizzazione ecclesiastica182. Tra queste due categorie istituzionali
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
175 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 225.176 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, p. 131.177 S. ROMANO, L’Ordinamento, p. 39.178 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p.18.179 A. MONTAN, Il Diritto, p. 82. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].180 «La Parola, il Battesimo, l’Eucarestia e gli altri sacramenti, i ministeri e i carismi, le comunità locali
presiedute dai vescovi in comunione tra loro e con il vescovo di Roma». A. MONTAN, Il Diritto, p. 82.181 «L’evangelizzazione, la catechesi, i simboli, gli organismi di controllo dottrinale, l’individuazione dei
sacramenti con i requisiti par la loro validità ed effetti, i riti liturgici, l’anno liturgico, i ministeri ordinati, il celibato ecclesiastico, il governo della Chiesa, la comunione delle Chiese tra di loro e con la Chiesa di Roma, i vescovi e la loro missione, il ministero di unità del vescovo di Roma, l’ordine delle vergini, la vita eremitica, monastica, gli istituti religiosi e secolari e altre forme di sequela». A. MONTAN, Il Diritto, p. 83.
182 Cfr. J. I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, Milano, 1997, p. 15.
intercorrono almeno due tipi di rapporti: a) di dipendenza, in quanto le istituzioni di Ius
divinum esistono e si attuano storicamente nelle forme dello Ius humanum183; b) di
gerarchia, perché quelle istituite dalla Chiesa sono da considerarsi certamente di grado
inferiore rispetto a quelle d’origine divina ed il valore delle prime sarebbe direttamente
proporzionale alla fedeltà e alla capacità di tradurre e rendere operose, nell’ambito
sociale della Chiesa, le seconde.
Carisma ed istituzionalità, per concludere, non sono, quindi, in contrapposizione e
non danno vita a due chiese differenti, ma sono due aspetti dell’unica Chiesa, entrambi
immanenti, indispensabili e condotti ad unità dal fatto che l’’istituzionale’ «nel foro
esterno e nell’ordine gerarchico non ostacola, anzi piuttosto tutela, promuove ed esalta
una prevalenza dell’ordine spirituale-soprannaturale»184.
1.1.2.2 Personalistico
Se le considerazioni fatte nel precedente paragrafo hanno cercato di mettere in
luce le coordinate strutturanti e strutturali della Chiesa in quanto Istituzione, e la
peculiare modalità con la quale Essa custodisce la dimensione carismatica nel divenire
della storia, a fronte di affermazioni quali: «omnia [...] in terra sunt ad hominem,
tamquam ad centrum suum et culmen, ordinanda sunt»185 e «principium, subiectum et
finis omnium institutorum socialium est et esse debet humana persona»186, quanto detto
non è tuttavia sufficiente e non consente di per sé di evidenziare ed approfondire la reale
valenza che alla persona viene riconosciuta ed attribuita nell’Ordinamento giuridico
canonico. Di conseguenza, cosa significhi che «il Diritto canonico [...] è caratterizzato
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
183 Questo processo di storicizzazione delle istituzioni di Diritto divino in istituzioni di Diritto umano, non deve essere considerato alla stregua di un processo meramente sociologico. Le istituzioni ecclesiastiche sono, nonostante i limiti delle realtà umane, frutti dello Spirito Santo che «Ecclesiam, quam in omnem veritatem inducit et in communione et ministratione unificat, diversis donis hierarchicis et charismaticis intruit ac dirigit, et fructibus suis adornat. Virtute Evangelii iuvenescere facit Ecclesiam eamque perpetuo renovat». LG, n. 4, p. 7.
184 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, p. 130.185 GS, n. 12, p. 1034.186 GS, n. 25, p. 1045.
da una spiccatissima sensibilità personalista»187. Perché ciò sia possibile è necessario
pervenire al reale significato di persona per la Canonistica e all’accezione personalista
del suo Ordinamento giuridico.
In tale ricerca, un generico rimando o semplice confronto con altri Ordinamenti
legislativi non torna per nulla utile. La storia, infatti, testimonia che non tutti i sistemi
giuridici hanno posto a loro fondamento la persona. A tal proposito basti ricordare che il
Diritto ebraico, ha come fondante il popolo; quello comunista come anche quello
socialista la classe sociale e l’islamico la religione188. L’istanza “uomo”, poi, dove
presente, non è necessariamente intesa come nel Diritto canonico. Potrebbe trattarsi
infatti dell’individuo dei sistemi giuridici liberali o socialdemocratici189, del cittadino
scaturito dalla Rivoluzione francese, del maschio circonciso del Diritto islamico o del
membro appartenente alla casta dell’Induismo190. Assolutamente non proficuo sarebbe
ovviamente riferirsi a tutti quei sistemi giuridici che non sono affatto personalistici e
che fondano la propria ratio essendi su altre istanze, come ad esempio: la legge posta
dalla pubblica autorità nel Positivismo giuridico; la norma appartenente
all’Ordinamento giuridico, indipendentemente dal suo contenuto, nel Normativismo;
l’insieme dei principi che presiedono all’istituirsi e allo strutturarsi di una pluralità di
persone in un gruppo sociale stabilmente organizzato, nell’Istituzionalismo; il contratto
– cioè l’incontro e l’accordo di due o più volontà – nel Contrattualismo; il
comportamento intersoggettivo attualizzante la norma, nel Realismo giuridico191.
In questa povertà di orizzonti di senso ad extra, il campo di ricerca più proficuo
non può che essere quello ab intra, riferendosi alla Teologia cattolica e al Magistero sia
conciliare sia pontificio, persuasi che «l’origine più vera della concezione della persona
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
187 P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, in P. GHERRI (ed.), Diritto canonico, Antropologia e Personalismo. Atti della II Giornata Canonistica Interdisciplinare (PUL, 6-7 marzo 2007), Città del Vaticano, 2008, p. 14.
188 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, pp. 16-17.189 Cfr. S. GHERRO, Diritto canonico. Nozioni e riflessioni, 3ª ed., Padova, 2006, pp. 55-56.190 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, p. 17.191 Cfr. A. MARTINI, Il Diritto, pp. 19-23.
[...] è teologica»192 e particolarmente trinitaria e cristologica insieme193; nonostante,
come si è già avuto modo di dire nell’introduzione, con la secolarizzazione tale
consapevolezza sia andata perdendosi194.
Recuperando la prospettiva ermeneutica cristiana non verranno trascurate, semmai
ampliate ed arricchite, quelle che sono le definizioni classiche di persona, per di più
nella loro sostanza sempre attuali, come quella di Boezio che, basandosi su un
prevalente costitutivo ontologico, la definisce «naturae rationalis individua
substantia»195; quella ampliata di Riccardo di San Vittore, con l’aggiunta della nozione
di ex-sistentia: «existens per se solum iuxta singularem quemdam rationalis existentiae
modum»196; quella della riflessione teologica posteriore, con la quale si coglie
l’elemento relazionale dell’essere umano197; senza tralasciare la definizione di San
Tommaso: «subsistens in rationali natura»198. Secondo tale percorso teoretico si potrà
motivare, fornendo un contenuto dottrinale appropriato, la specifica dimensione
personalista dell’ecclesiologia conciliare199. Parallelamente si potrà specificare nel suo
contenuto propriamente canonico, la comune definizione della persona data dai giuristi
e genericamente intesa quale soggetto le cui azioni sono suscettibili d’imputazione200.
La ricerca ab intra è necessaria e si giustifica anche per il fatto che nel contesto
della post-modernità e con l’avvento del pensiero debole, per cui la natura umana è
considerata strumentalizzabile dalla biotecnologia, si sperimenta una vera e propria crisi
dell’assoluto metafisico Uomo. Di quest’ultimo, alla luce di una scienza senza
coscienza che lo ridurrebbe a semplice materiale biologico, non si riesce a cogliere
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
192 I. SANNA, L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Brescia, 2006, p. 372.193 Cfr. L. F. LADARIA, Antropologia teologica, 3ª ed., Casale Monferrato, 2002, p. 158; C. DOTOLO, La
centralità della persona nel magistero di Giovanni Paolo II, in Rivista di Teologia Asprenas, 53 (2006), pp. 69-70.
194 Cfr. A. GUGGEMBERGER, Persona, p. 637.195 M. S. BOETIUS, Liber de persona et duabus naturis. Contra Eutychen et Nestorium, ad Joannem
diaconum Ecclesiae Romanae, cap. III, in PL, tomus LXIV, Paris, 1891, col. 1343.196 RICHARDUS S. VICTORIS, De Trinitate libri sex., lib. IV, cap. XXIV, in PL, tomus CXCVI, Paris, 1880,
col. 946.197 Cfr. I. SANNA, L’identità, p. 363.198 THOMAS AQUINAS, Summa Theologiae, pars I, quaest. 29, art. 3, ad. 2, in Opera Omnia, iussu Leonis
XIII P. M. edita, cura et studio Fratrum Praedicatorum, tomus IV, Roma, 1888, pp. 331-332. Abbreviato d’ora in poi con: STh.
199 Cfr. IOANNES PAULUS PP. II, Allocutio: Ad Pontificium Consilium de Legum Textibus, 24 ianuarii 2003, in AAS, XCV (2003), n. 3, pp. 334-335.
200 Cfr. F. D’AGOSTINO, Parole di giustizia, Torino, 2006, p. 14.
l’umanità, l’elemento specifico che ne costituisce il quid proprium ed
incontrovertibile201 del suo essere:
«l’uomo è ridotto a materia prima [...]. L’individualità della vita personale è diluita nella genericità della vita biologica, nella pura materia biologica, nella funzionalità organica delle “parti separate” dell’uomo. La vita umana è diventata un materiale biologico, una materia di ricambio, una riserva di donazione di organi. Se l’uomo è ridotto a un prodotto della biologia, tutti lo possono manipolare e non è più inviolabile, mentre se è una persona, rimane un mistero che tutti devono rispettare nella sua trascendenza»202.
Si prenderanno le distanze anche da concezioni etiche che, alla domanda: «chi è
persona? A chi si deve attribuire la qualità di persona e, quindi, a chi sono dovuti il
rispetto e l’inviolabilità che si devono alla persona?»203, scardinano l’equazione che
persona è ogni essere umano e solo l’essere umano, arrivando ad affermare, come
Engelhart, che
«non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità sono membri della specie umana. Non hanno status, in sé e per sé, nella comunità morale. Non sono partecipanti primari all’impresa morale. Solo le persone umane hanno questo status»204.
Persona sarebbe, secondo questa prospettiva, solo quell’individuo dotato di
autocoscienza, razionalità, senso morale, almeno in grado minimo e verificabili
empiricamente, cioè posseduti in atto; altrimenti, pur facendo parte del genere umano,
questi esseri non sarebbero da considerare persone e non si potrebbero attribuire loro il
rispetto e l’inviolabilità, propri dell’essere umano. Il valore ‘personalistico’ non sarebbe
quindi ontologico, bensì convenzionale, cioè frutto di una libera decisione della
collettività, dei genitori o in generale della società, che dovrebbe decidere, di volta in
volta, se farli vivere o morire, sulla base del calcolo tra vantaggi e svantaggi, tra costi e
ricavi205. Ancora più estrema, su questa stessa linea, è la posizione di Singer che,
fondando l’essere personale sulla compresenza di due elementi quali la razionalità e
l’autocoscienza, arriva a definire persona soltanto ogni essere razionale ed
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
201 Cfr. I. SANNA, L’identità, pp. 357-358.202 I. SANNA, L’identità, p. 358.203 EDITORIALE, «Chi» è persona? Persona umana e bioetica, in La Civiltà Cattolica, 143 (1992-IV), p.
547.204 EDITORIALE, «Chi» è persona?, p. 547.205 Cfr. EDITORIALE, «Chi» è persona?, pp. 548-549.
autocosciente, anche se non appartenente alla specie homo sapiens206. Da qui «non ogni
persona sarebbe un essere umano e non ogni essere umano sarebbe persona»207.
Sarebbero persone anche:
«alcuni animali che sono coscienti, hanno un linguaggio e sono capaci di pensare, come gli scimpanzé e i gorilla, le balene e i delfini, i maiali, i cani e i gatti; mentre non sono persone gli esseri umani che non sono coscienti e sono incapaci di razionalità, come gli esseri umani mentalmente ritardati»208.
Con Engelhart e Singer siamo ovviamente su posizioni diametralmente opposte a
quanti ribadiscono con forza che
«l’essere umano è persona in virtù della natura razionale, non diventa persona in forza del possesso attuale di certe priorità, dell’esercizio effettivo di certe funzioni, del compimento accertabile empiricamente di certe azioni»209.
Il problema sostanziale di queste correnti bioetiche odierne, dove non esiste il
concetto di persona e dove il massimo a cui si è giunti è di aver accettato l’espressione
di individuo umano, sarebbe secondo Schockenhoff la loro completa carenza filosofica.
Questa convinzione farebbe dire a questo autore che
«non è possibile saltare semplicemente a piè pari le problematiche filosofiche collegate con il concetto di persona, senza che questo porti oggettivamente a correre il pericolo di dare delle interpretazioni riduttive dell’uomo. A ciò si aggiunge il fatto che il punto di vista di una dimenticanza filosofica consapevole dei problemi rimane pur sempre prigioniero di una determinata posizione filosofica. Un concetto metafisico di persona non si distingue da una concezione meramente empirica per il fatto che esso fa delle presupposizioni filosofiche, mentre quest’ultima sarebbe evidente da qualsiasi punto di vista. La differenza sta piuttosto nel fatto che tali presupposti in un caso sono dimostrati e verificabili, mentre nell’altro si evita la questione della precomprensione addotta già mediante un divieto di addentrarsi in controversie filosofiche»210.
A ridurre la persona alle sue capacità-possibilità esterne e a non consentire di
coglierne, in quanto tale, il suo valore ontologico, contribuirebbe nelle suddette
impostazioni bioetiche l’incapacità di distinguere tra persona e personalità. Per meglio
dire, mancherebbe la distinzione filosofica secondo la quale si dovrebbe intendere,
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
206 Cfr. EDITORIALE, «Chi» è persona?, p. 550.207 P. SINGER, Etica pratica, Napoli, 1989, p. 102.208 EDITORIALE, «Chi» è persona?, p. 550.209 L. PALAZZINI, Il concetto di persona tra Bioetica e Diritto, Torino, 1996, p. 239.210 E. SCHOCKENHOFF, Etica della vita. Un compendio teologico, Brescia, 1997, pp. 39-40.
ontologicamente, ‘persona’: la personalità in potenza, che deve attuarsi attraverso atti
personali; mentre con ‘personalità’: la persona in atto, cioè la persona che mediante gli
atti personali si è evoluta nel modo che è conforme alla sua natura intima e a seconda di
come è da questa richiesto211. Non si è persona solo quando si è nel pieno possesso delle
proprie facoltà psico-fisiche, ma sempre, indipendentemente dagli atti che si compiono,
perché l’essere persona coincide con la sostanza, la struttura ontologica dell’uomo, e
non con gli atti che si compiono che, invece, caratterizzano la personalità di un
individuo, il suo modo di essere.
Secondo la prospettiva cattolica, che si sceglie come l’orizzonte di senso
originario e più qualificato per comprendere il concetto di persona nel Diritto canonico,
il mistero dell’uomo va decifrato alla luce del mistero di Dio rivelato in Cristo:
«per capire l’essere personale dell’uomo bisogna partire dall’essere personale di Dio, [anche perché se] l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, la sua persona, come pure la sua natura, porta il riflesso di ciò che esiste in Dio»212.
In termini più ampi: «secondo il messaggio cristiano la Teologia è antropologia e
l’antropologia è Teologia: Dio e l’umanità non possono essere pensati
separatamente»213, anche perché
«sganciato dalla sua nativa, strutturale relazione con Dio, l’uomo viene a trovarsi in un’atea solitudine, padrone o peggio, tiranno manipolatore del mondo, esposto al rischio di venire risucchiato egli stesso e dissolto nella cosalità bruta della realtà materiale e perciò consegnato al naufragio del nulla»214.
Nello scenario dottrinale dell’ultimo magistero conciliare, particolarmente nella
costituzione pastorale Gaudium et Spes, la persona è intesa in tutta la sua complessità
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
211 «Minime per se intelligitur, personam vere et plene personaliter agere; quare personalitas non necessario ex persona sequitur, sed proprio fundatum attingit, quod propterea etiam proprio nomine designatur. Hinc persona est personalitas in potentia, quae actibus personalibus actuanda est. Correspondenter personalitas est persona in actu, i.e. persona actibus personalibus evoluta modo, qui eius indoli intimae conformis est et ab eadem exigitur -. Hodierno termino dici potest, personalitatem esse “existentiam” sensu huius vocis pleno seu personam modo “existentiali” realizatam». J. B. LOTZ, Ontologia, Romae, 1963, p. 315.
212 I. SANNA, L’identità, p. 373. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].213 D. MONGILLO, La condizione umana: struttura trinitaria e cristologica, in AA. VV., Iniziazione alla
pratica della Teologia. Dogmatica II, vol. III, Brescia, 1986, p. 610.214 A. MILANO, Persona, in G. BARBAGLIO – G. BOF – S. DIANICH (curr.), Teologia, Milano, 2002, p.
1141.
«unus ac totus, cum corpore et anima, corde et coscientia, mente et voluntate»215, in
senso positivo, stimmatizzando così, come illegittimo, qualunque atteggiamento di
disprezzo della dimensione corporea a favore della sola dimensione spirituale: «Vitam
[...] corporalem homini despicere non licet, sed e contra ipse corpus suum, bonum, et
honore dignum habere tenetur»216. Nella prospettiva del Figlio, l’uomo, in quanto
creato ad immagine e somiglianza di Dio e capace di trascendere l’universo, diviene
persona elevata al di sopra di qualunque altra cosa terrena217, tanto da non consentire
una sua benché minima riduzione come «particulam naturae aut anonymum elementum
civitatis humanae»218. È l’essere che si «autocomprende come soggetto spirituale dotato
di valori eterni, capace di entrare in rapporto dialogico con un Dio trascendente»219.
Proprio la capacità di autotrascendenza sarebbe da intendersi in un certo senso l’altro
nome di persona220, ciò che gli consentirebbe di aprirsi verso l’infinito e verso tutti gli
essere creati. Quando Dio crea l’uomo, porta a compimento la creazione, che ritrova in
lui il suo «coronamento, non a modo di abbellimento, ma come il senso cui mira
intrinsecamente tutta la creazione. Senza l’uomo, la terra è come in attesa, in stato di
incompiutezza»221. Alla luce di questa realtà è proprio l’essere creato ad immagine e
somiglianza di Dio che costituisce per l’uomo il suo riferimento antropologico:
«Dio è il tu dell’uomo, così come l’uomo è il tu di Dio. È Dio che dice l’uomo, e ciò costituisce il fondamento ultimo della sua dignità è l’essere chiamato a vivere e ad agire come il tu di Dio»222.
Il Concilio Vaticano II, fornendo dell’uomo un quadro ricco ed innovativo, senza
rinnegare le acquisizioni filosofiche e teologiche frutto della storia, mette in evidenza
alcune sue caratteristiche fondamentali.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
215 GS, n. 3, p. 1026.216 GS, n. 14, p. 1035.217 «Sacrae enim Litterae docent hominem “ad imaginem Dei” creatum esse, capacem suum Creatorem
cognoscendi et amandi, ab eo tamquam dominum super omnes creaturas terrenas constitutum, ut eas regeret, eisque uteretur, glorificans Deum. “Quid est homo quod memor es eius? aut filius hominis, quoniam visitas eum? Minuisti eum paulo minus ab angelis, gloria et honore coronasti eum, et constituisti eum super opera manuum tuarum. Omnia subiecisti sub pedibus eius” (Ps 8,5-7)». GS, n. 12, p. 1034.
218 GS, n. 14, p. 1036.219 I. SANNA, L’identità, p. 374.220 Cfr. K. WOJTYŁA, La persona: soggetto e comunità, in G. REALE - T. STYCZEŃ (curr.), Metafisica della
persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Milano, 2003, p. 1346.221 I. SANNA, L’identità, p. 375.222 I. SANNA, L’identità, p. 375.
Innanzitutto, la sua natura intellettuale che ne segnerebbe la superiorità rispetto a
tutto il creato. L’intelligenza per mezzo della quale, con l’ausilio dello Spirito Santo,
«divinae mentis lumen participans»223. In tal modo, l’attività della mente umana non è
solo scienza che si ferma e si limita ai fenomeni esterni, ma è anche sapienza che giunge
al non fenomeno, al non sensibile, cosicché l’uomo può raggiungere la perfezione,
passando dal visibile all’invisibile, attratto dalla ricerca del vero e del bene224.
La coscienza, definita il sacrario dell’uomo, la parte più intima dell’essere umano,
il luogo esclusivo dell’incontro con Dio, dove la persona trova l’occasione di vivere in
pienezza la propria dignità umana, nell’obbedienza alla legge che Dio stesso vi ha
inscritto225. Non si tratta di una coscienza intesa in senso individualistico, in quanto, già
a livello etimologico, coscienza - cum scire, è istanza di comunione in forza della quale
«christiani cum ceteris hominibus coniunguntur ad veritatem inquirendam»226.
La libertà, condizione imprescindibile perché si possa compiere il bene e che,
secondo l’ottica della fede, rappresenta il segno eminente dell’essere a immagine e
somiglianza di Dio stesso227, sarebbe poi da considerarsi un’ulteriore caratteristica
personale. Una libertà che fa appello alla responsabilità di scelte consapevoli e libere e
che possano rendere merito all’altissima dignità umana, liberando l’uomo dalla
schiavitù di passioni fuorvianti ed orientandolo, con l’aiuto della Grazia, al suo fine
divino228.
L’uomo così inteso, imago Dei, dotato di intelligenza, libertà, coscienza, con
vocazione divina, diviene l’interlocutore principale di Dio, l’unica creatura che Dio
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
223 GS, n. 15, p. 1036.224 «Humanae [...] personae intellectualis natura per sapientiam perficitur et perficienda est, quae
mentem hominis ad vera bonaque inquirenda ac diligenda suaviter attrahit, et qua imbutus homo per visibilia ad invisibilia adducitur». GS, n. 15, p. 1036.
225 «Nam homo legem in corde suo a Deo inscriptam habet, cui parere ipsa dignitas eius est et secundum quam ipse iudicabitur. Conscientia est nucleus secretissimus atque sacrarium hominis, in quo solus est cum Deo, cuius vox resonat in intimo eius». GS, n. 16, p. 1037.
226 GS, n. 16, p. 1037.227 «Vera autem libertas eximium est divinae imaginis in homine signum». GS, n. 17, p. 1037.228 «Dignitas igitur hominis requirit ut secundum consciam et liberam electionem agat, personaliter
scilicet ab intra motus et inductus, et non sub caeco impulsu interno vel sub mera externa coactione. Talem vero dignitatem obtinet homo cum, sese ab omni passionum captivitate liberans, finem suum in boni libera electione persequitur et apta subsidia efficaciter ac sollerti industria sibi procurat. Quam ordinationem ad Deum libertas hominis, a peccato vulnerata, nonnisi gratia Dei adiuvante, plene actuosam efficere potest». GS, n. 17, pp. 1037-1038.
abbia voluto per se stessa229. Un «essere che si auto-possiede, un soggetto padrone di sé,
[...], capace di configurare la sua esistenza in modo creativo»230 e secondo
l’orientamento della Teologia contemporanea ‒ in cui si subordina la creazione
all’alleanza sostenendo la creazione del mondo e dell’uomo come presupposti
all’alleanza storica tra Dio e l’uomo e affermando, indirettamente, che tutte le cose
create sono finalizzate all’uomo231 ‒ l’essere «unico ed irripetibile; [...] un valore a sé e
per sé»232. Così la persona, ogni persona, diviene un unicum al cospetto di Dio; occupa
un posto centrale nel piano della creazione e della redenzione. Persona fatta di anima e
corpo, pensata e chiamata all’esistenza. Inserita pienamente nel mistero della salvezza e
depositaria di un’universale vocazione alla santità233. Un valore assoluto che si impone
come criterio tanto da non poter essere posto in funzione di nessuna altra realtà, sia essa
la produzione economica, la classe, lo stato, la religione, la società:
«l’uomo, come persona, è un valore assoluto, perché Dio lo considera in modo assoluto. Cristo, uomo fra gli uomini, con la sua vita e la sua opera di redenzione, ha confermato il valore assoluto della persona umana, perché è morto per ogni uomo»234.
Secondo questa prospettiva persona è ogni uomo che porta in sé la propria ragione
d’essere, cioè dotato di una dignità235 e che diviene, veramente, la «prima e
fondamentale via della Chiesa»236. Realtà filosofica e teologica insieme, nei confronti di
cui si pone a servizio l’Ordinamento giuridico della Chiesa, perché possa esserne
esplicitata, garantita e difesa la sua peculiarità e centralità e che diventa,
contemporaneamente, come ebbe a dire Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, la stessa
causa fondante del Diritto:
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
229 «Immo Dominus Iesus, quando Patrem orat ut “omnes unum sint..., sicut et nos unum sumus” (Io 17,21-22), prospectus praebens humanae rationi impervios, aliquam similitudinem innuit inter unionem personarum divinarum et unionem filiorum Dei in veritate et caritate. Haec similitudo manifestat hominem, qui in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit, plene seipsum invenire non posse nisi per sincerum sui ipsius donum». GS, n. 24, p. 1045.
230 L. F. LADARIA, Antropologia, p. 158.231 Cfr. I. SANNA, L’identità, pp. 374-375.232 I. SANNA, L’identità, p. 377.233 Cfr. LG, nn. 39-42, pp. 44-49.234 I. SANNA, L’identità, p. 377; cfr. U. GALEAZZI, Persona, in AA. VV., Dizionario teologico
interdisciplinare, vol. II, Torino, 1977, pp. 707-709.235 Cfr. F. D’AGOSTINO, Parole, p. 14.236 IOANNES PAULUS PP. II, Litterae Encyclica: Redemptor Hominis, 4 martii 1979, in AAS, LXXI (1979),
n. 14, p. 284. Abbreviato d’ora in poi con: RH.
«Omnem hominem personae induere proprietatem; atque adeo, ipsum per se iura et officia habere, a sua ipsius natura directo et una simul profluentia. Quae propterea, ut generalia et inviolabilia sunt, ita mancipari nullo modo possunt»237.
Ciò genera un Diritto canonico che della persona ha una ricca e alta
considerazione e contemporaneamente capace di coglierne la concretezza della
singolarità (la persona), e non solo la categoria teoretica in quanto tale (l’uomo)238. In
questo modo non perde di vista «questo soggetto storico-sociale, per non incorrere in
una visione idealistico-trascendentale, perché l’uomo lo si può intendere pienamente
[...] soltanto nella sua dimensione storico-sociale»239.
Aver evidenziato la presenza di un bagaglio di valori intrinseci alla persona
umana, che il Diritto non può assolutamente disattendere, determina un ordine valoriale
fisso e rigido che nessuna istituzione umana, men che meno quella ecclesiastica e per
quanto riguarda il presente studio quella processuale, può sovvertire. Affermava a tal
proposito Pio XII: «Il compito essenziale di ogni pubblico potere è quello di tutelare
l’intangibile campo dei diritti della persona e renderle agevole il compimento dei suoi
doveri»240. Concretamente, ciò significa che ogni norma positiva deve sempre essere
esplicitazione concreta del suddetto riferimento antropologico, come suo elemento a
priori, altrimenti scadrebbe nel positivismo giuridico241 smarrendo la sua origine, cioè la
persona, e venendo finalizzata a se stessa. In altre parole, il Diritto canonico riceve la
sua capacità vincolante nel momento in cui sancisce ed esprime l’inviolabilità della
dignità dell’essere umano. Detto diversamente, il dettato normativo è obbligante in
quanto è al servizio della piena promozione e realizzazione del fedele e, in questo senso,
si mette in evidenza il carattere trascendente dell’uomo rispetto all’Ordinamento
positivo. Ciò non significa insinuare che la norma positiva sia inutile o dannosa per
l’uomo e per il cristiano ma che è
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
237 PT, n. 5, p. 259.238 P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, pp. 14-15.239 Cfr. S. PIÉ-NINOT, La Teologia fondamentale, Brescia, 2002, p. 140. [Il corsivo è proprio della
citazione].240 PIUS PP. XII, Radiomessaggio: Per Universum orbem emissus, quinquagesimo exeunte anno a Litteris
encyclicis “Rerum Novarum” a Leone Papa XIII, 1 iunii 1941, in AAS, XXXIII (1941), p. 200.241 Cfr. A. MARTINI, Il Diritto, pp. 19-20.
«la persona stessa [...] ad esigere la norma e a conferirle significato e valore; la esige perché il cristiano continua in quanto uomo ad avere bisogno di positività e di certezza per raggiungere una salvezza concepita da Dio stesso in termini umani; le dà valore perché attraverso le norme positive vengono esplicitate le difese e le esigenze di autonomia, di libertà, di responsabilità, di comunione dei fedeli e vengono coordinati opportunamente i compiti di tutti nella edificazione del corpo di Cristo»242.
Secondo questa prospettiva, cambia il rapporto tra la norma positiva e il
christifidelis, che non dovrà caratterizzarsi dall’obbedienza, bensì dall’osservanza: «la
regola non viene seguita in modo passivo, come l’assolutismo giuridico moderno
vorrebbe insegnare, ma nella cosciente consapevolezza del suo significato»243 ed in
modo attivo.
Oltre ad essere l’elemento fondante e la forza vincolante, la persona è anche il
fine del Diritto. Proprio in ragione di ciò, suo scopo sarebbe quello di predisporre tutto
in modo che si possa realizzare e garantire il bene comune, che è proprio «quae
summam complectitur earum vitae socialis condicionum, quibus homines suam ipsorum
perfectionem possint plenius atque expeditius consequi»244.
Va esplicitato ancora che il Diritto canonico, contempla una prospettiva della
persona, che rientra nell’ordine delle realtà soprannaturali, nel senso che, per mezzo del
sacramento del battesimo validamente amministrato, ogni uomo realizza il proprio
essere personale nella sua massima accezione, cioè elevato in modo eccezionale, tanto
da poter tendere efficacemente a Dio-Trinità, suo fine ultimo245. E per mezzo dello
stesso sacramento, in considerazione della dimensione ‘istituzionale’ della Chiesa, che
l’essere persona viene a configurarsi anche in chiave tecnico-positiva (cfr. Can. 96). Ciò
significa che nessun uomo può vantare a priori, nei confronti della Chiesa e del suo
Diritto, un innato e previo riconoscimento della propria personalità giuridica, con
conseguenze propriamente tali, se non dopo aver ricevuto il battesimo, inteso come via
d’accesso esclusiva in Ecclesia. Finché non si è battezzati, il Diritto canonico riconosce
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
242 A. MARTINI, Il Diritto, p. 115.243 P. BUSELLI MONDIN, Il Personalismo cristiano di Giovanni Paolo II: Quale significato giuridico?, in
P. GHERRI (ed.), Diritto canonico, p. 77.244 IOANNES PP. XXIII, Litterae Encyclicae: Mater et Magistra, 15 maii 1961, in AAS, LIII (1961), n. 51,
p. 417. Abbreviato d’ora in poi MM.245 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad participes, p. 127.
una personalità solo extra Ecclesiam; solo potenzialmente capace in senso giuridico, e
ciò perché fondata nel Diritto naturale da cui provengono all’uomo, ad ogni uomo,
diritti naturali, originari ed essenziali, fondamentali e pertanto rispettati anche
dall’Ordinamento giuridico della Chiesa246.
L’accoglienza e la tutela di questa capacità giuridica dei non battezzati, seppure
limitata a casi specifici, costituisce e rappresenta comunque, la più eminente prova della
tensione sempre attuale e reale che esiste nel Diritto canonico tra la considerazione del
valore assoluto della persona e l’elasticità delle sue forme. È, tra l’altro, ulteriore
conferma «della rinnovata concezione esplicitata dal vigente Codice riguardo alla
persona fisica ed alla sua condizione giuridica canonica»247 sulla scia dell’auspicio
espresso dal Concilio Vaticano II contro ogni discriminazione248. Ciò si ravvisa quando
il
«Codex ammette [...] che un non battezzato possa essere ministro del battesimo (cfr. Can. 861, § 2); [...] testimone del matrimonio (cfr. Can. 1108); [...] contrarre matrimonio canonico seppure non sacramentale (cfr. Can. 1118); [...] ricevere alcune benedizioni dalla Chiesa (cfr. Can. 1170)»249,
e anche quando si riconosce ai non battezzati, nel caso in cui la loro situazione giuridica
personale venga in qualche modo intaccata o fosse bisognosa di essere ristabilita in
chiarezza, la capacità di essere titolare di diritti processuali250.
Quanto è stato messo in evidenza del valore e del riconoscimento della persona,
attraverso cui il Diritto canonico supererebbe «qualsiasi attitudine individualista o
totalizzante che dissolva la singolare coscienza della persona-membro nella impersonale
volontà della società»251, costituirebbe il fattore princeps secondo il quale
l’Ordinamento giuridico della Chiesa, così come ebbe a dire Giovanni Paolo II, in
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
246 Cfr. L. VELA, Persona fisica, in AA. VV., Nuovo Dizionario di Diritto canonico, 2ª ed., Milano, 1993, pp. 791-792.
247 C. DE DIEGO–LORA, De partibus in causa, in J. I. ARRIETA (cur.), Codice di Diritto canonico e leggi complementari commentato, 2ª ed., Roma, 2007, p. 988.
248 Cfr. GS, n. 29, pp. 1048-1049.249 L. VELA, Persona, p. 792.250 Cfr. Can. 1476.251 P. BUSELLI MONDIN, Il Personalismo cristiano, p. 73.
occasione del Simposio internazionale di Diritto canonico del 1993, si porrebbe su di un
piano di vera e propria esemplarità rispetto ai sistemi giuridici delle società civili252.
1.1.2.3 Comunionale
Il principio ‘personalistico’, che ha permesso di inquadrare la centralità della
persona nell’ambito dell’Ordinamento canonico e di qualificare il suo sistema giuridico
come strumentale al bene del christifidelis in considerazione del bagaglio valoriale
ontologico, soprattutto se si tiene fede alla sua valenza di instrumentum communionis
rispetto alla norma missionis253, rimarrebbe incompleto se non si facesse riferimento al
principio ‘comunionale’ del Diritto ecclesiale. Il punto di partenza, in questo senso, è
prodotto dalla riflessione teologica dell’ultimo Concilio ecumenico che, stando al
Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, sostiene che quello della comunione «idea
centralis ac fundamentalis in documentis concilii est»254. Il Vaticano II, infatti, tra tutte
le prospettive teoretiche ecclesiologiche che ha offerto a proposito della natura della
Chiesa ricorda che: «Unicus Mediator Christus Ecclesiam suam sanctam, fidei, spei et
caritatis communitatem constituit»255. In tal senso la dimensione ‘comunionale’ non è
da considerarsi un elemento secondario della Chiesa, ma riguarda la sua stessa
esistenza, tanto in senso ‘verticale’256 quanto ‘orizzontale’257. La «verticalità
dell’unione con Dio incarnandosi nell’orizzontalità dell’umano si fa molteplicità
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
252 «Il Diritto canonico [...] acquista una dimensione di esemplarità per le società civili perché le spinge a considerare il potere ed i loro Ordinamenti come un servizio alla comunità, nel supremo interesse della persona umana. Come al centro dell’Ordinamento canonico c’è l’uomo redento da Cristo e divenuto con il Battesimo persona nella Chiesa [...] così le società civili sono invitate dall’esempio della Chiesa a porre la persona umana al centro dei loro Ordinamenti, mai sottraendosi ai postulati del Diritto naturale». IOANNES PAULUS PP. II, Discorso: Il Diritto canonico può essere d’esempio ad una società civile che non voglia cadere in pericoli d’arbitrio e di false ideologie. Ai partecipanti al simposio internazionale di Diritto canonico, 23 aprile 1993, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVI/1, Città del Vaticano, 1995, p. 984.
253 Qui, si tenga presente quanto già detto ai paragrafi 1.1.1.1 e 1.1.1.2.254 EXEUNTE COETU SECUNDO, Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, 7
decembris 1985, in Enchiridion Vaticanum, IX (1987), n. 1800, p. 1761.255 LG, n. 8, p. 11.256 Cfr. H. MÜLLER, Comunione ecclesiale e strutture di corresponsabilità: dal Vaticano II al Codice di
Diritto canonico, Roma, 1990, pp. 19-21; V. DE PAOLIS, La disciplina ecclesiale al servizio della comunione, in AA. VV., Comunione e disciplina ecclesiale (Studi Giuridici XXVI), Città del Vaticano, 1991, p. 23.
257 Cfr. H. MÜLLER, Comunione ecclesiale, pp. 22-26; V. DE PAOLIS, La disciplina ecclesiale, pp. 23-26.
pluralisticamente diversificata»258 cosicché l’annunzio dovrà essere accolto da un
popolo che, nella sostanza, è una molteplicità differenziata in tante individualità
personali e, tra l’altro, di diverse culture259.
La valenza specifica del Diritto canonico inteso, quindi, come instrumentum
communionis non appartiene in quanto tale a Dio e alla sua essenza: la comunione
intratrinitaria non si fonda su uno Ius, ma sulla donazione dell’amore vicendevole tra le
persone divine260. Così rimane estraneo anche al rapporto Dio-uomo di Genesi che non
risulta essere di carattere giuridico ma interpersonale e fondato sulla richiesta/
concessione della reciproca fiducia261. La norma giuridica appare e diventa necessaria
quando, superando questi livelli, si perviene a quei rapporti che assumono una
dimensione sociale262. In altri termini, quando si passa dai rapporti relazionali primari,
tipici di Genesi, a quelli secondari, con l’introduzione del concetto di Alleanza e la
dimensione della socialità, dell’Esodo263. Proiettando questa stessa prospettiva ai
rapporti relazionali intraecclesiali, in senso meramente orizzontale, la necessità del
Diritto prende corpo, quindi, quando si instaura una relazione intersoggettiva
«col “terzo”, dove la communio deve spesso supplire la fraternitas concretamente non esperibile sia per l’alto grado di – inevitabile – istituzionalizzazione ormai assunto dalla vita ecclesiale, sia per i livelli sempre più scarsi di effettiva adesione ecclesiale da parte di molti battezzati[...]. È il “terzo” infatti che, nella sua genericità/universalità, inaugura la dimensione propriamente giuridica della relazionalità intersoggettiva, relazionalità radicalmente diversa da quella interpersonale che configura ontologicamente la persona umana»264.
Il Diritto punta a realizzare una reciprocità che permette a ciascuno di darsi e
ricevere l’altro spontaneamente come ‘persona’; indirizzandosi verso il ‘terzo’, che
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
258 P. A. BONNET, Comunione ecclesiale Diritto e Potere. Studi di Diritto canonico, Torino, 1993, p. 13. [Il corsivo è proprio della citazione].
259 Cfr. P. A. BONNET, Comunione ecclesiale, p. 13.260 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 150-151.261 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 151.262 «Come l’essenza “uomo” non può pensarsi senza storicità (il che è oggi colto da chicchessia), così
anche, quale essere sociale, è impensabile senza la sfera del diritto (ciò che spesso non è oggetto di adeguata considerazione sul piano teologico). L’incarnazione di Dio, qualora non vi fosse impegnata questa sfera, non potrebbe valere come inserzione piena nel mondo degli uomini». H. U. VON BALTHASAR, Esistenza sacerdotale, in Sponsa Verbi (Saggi teologici II), 2ª ed., Brescia, 1972, p. 381.
263 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 152.264 P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, pp. 35-36.
nella sua genericità ed astrattezza, deve essere ‘condotto’ ad una possibile relazione solo
potenzialmente ‘reciproca’265.
Ciò significa che il principio ‘comunionale’, ponendosi per il Diritto canonico
come «criterio di salvaguardia della vita cristiana e della stessa comunità di fede»266
sottindenderebbe a quell’itinerario prettamente cristiano secondo il quale ciascun
christifidelis da “semplice uomo/terzo/lontano” passa ad essere considerato come “vero
fratello/tu/prossimo”267, tenuto conto che
«nella relazione tra gli uomini, instaurata in Cristo e nella Chiesa, vi è una nuova fraternità, frutto della condizione comune di figli di Dio Padre in Cristo e [che] dal punto di vista dell’agire la prima esigenza di quell’essere fratelli e sorelle in Cristo consiste nell’amore, nel vincolo di carità, nel quale risultano inseparabili l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo»268.
Il principio ‘comunionale’ abbraccia, come si è già accennato, tanto il livello
orizzontale della Chiesa – i rapporti di coesione tra i fedeli – quanto quello verticale – la
vita di fede dei cristiani –. Ciò spiega e giustifica, ad esempio, tutta la normativa
codiciale che si riferisce al munus santificandi269, e quella processuale, dove la
risoluzione delle liti e il ristabilimento delle situazioni soggettive oggettivamente
mancanti o carenti di comunione significa proprio rimettere i fedeli in grado di godere
pienamente della comunione ecclesiale e quindi anche della vita spirituale. Le due
accezioni di comunione considerate non possono sussistere separatamente e sono legate
tra di loro da un vincolo di necessità, di causa ed effetto: «haec relatio invisibilia inter
et visibilia communionis ecclesialis elementa ad fundamentum pertinet constitutivum
Ecclesiae prout est Sacramentum salutis»270. Una comunione intesa solamente in senso
verticale, che prescindesse dal rapporto tra i consociati, non sarebbe vera, non
risponderebbe alla verità ontologica della Chiesa: «communio ecclesialis est simul
invisibilis et visibilis»271. In questa prospettiva la «communio uniuscuiusque hominis
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
265 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, p. 36.266 P. GHERRI, Lezioni, p. 308.267 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, p. 36.268 C. J. ERRÁZURIZ M., Il Diritto e la giustizia nella Chiesa. Per una teoria fondamentale del Diritto
canonico, Milano, 2000, pp. 112-113.269 Cfr. CIC, De Ecclesiae munere sanctificandi, liber IV.270 CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae, p. 840.271 CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae, p. 839.
cum Patre per Christum in Spiritu Sancto»272, offre l’opportunità di mettere in evidenza
due peculiarità della Chiesa come “Popolo di Dio”273 che l’Ordinamento canonico
recepisce e tutela: l’uguaglianza ontologica dei christifideles seppure nella loro diversità
funzionale e la salvaguardia dell’autonomia dei singoli.
Innanzitutto – prima peculiarità – vige fra i battezzati «vera aequalitas quoad
dignitatem et actionem cunctis fidelibus communem circa aedificationem Corporis
Christi»274. Questa risiede nell’essere tutti figli dello stesso Dio, rigenerati in Cristo
(modus essendi) e chiamati, senza eccezione alcuna, tutti alla stessa missio (modus
agendi). Da qui nasce la comune responsabilità di partecipare attivamente alla missione
salvifica che Cristo ha affidato alla Chiesa275. Essendo radicata nel battesimo, questa
uguaglianza fondamentale non è la giustificazione dottrinale di una concezione
democratica della Chiesa, bensì il fondamento ontologico della communio ecclesiastica.
Essa precede le diverse condizioni giuridiche e le diversità soggettive sorte in base
all’ordine sacro o agli altri sacramenti, nonché alle varie missioni canoniche, uffici,
ministeri o funzioni ecclesiali. Questi ultimi, conferiti per l’utilità comune, con
l’affermazione positiva del diritto-dovere di esercitarli, si pongono sul piano funzionale
e non essenziale. Tra dignità comune e specifiche istanze personali istituzionalizzate si
realizza una dinamica tensione che può, se correttamente intesa e sviluppata, contribuire
nella prassi al buon funzionamento delle strutture ecclesiali e alla piena realizzazione
della vocazione soprannaturale dei fedeli e loro partecipazione alla missione della
Chiesa276.
La comunione in Ecclesia – seconda peculiarità – non comporta, dall’altro, la
perdita dell’autonomia dei singoli. Nella Chiesa il bene di questi ultimi e il bene della
comunità nel suo complesso, sono entrambi tutelati e garantiti allo stesso modo e il
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
272 CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Litterae, p. 839.273 Cfr. LG, cap. II, pp. 12-21.274 LG, n. 32, p. 38.275 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 308-309.276 «contribute not only to the development of sound ecclesiological reflection, but also, in a very
practical way, to the good working of the various structures wich enable the faithful to respond with fidelity to their supernatural calling and to share fully in the Church’s mission». IOANNES PAULUS PP. II, Allocutio: Canon Law Society of Great Britain and Ireland, in Communicationes, XXIV (1992), n. 2, p. 10.
Diritto canonico è fedele al suo mandato proprio nel momento in cui regola le suddette
istanze promuovendo ed armonizzando una loro costruttiva visione d’insieme.
Certamente, affinché l’iniziativa privata non leda la salute della comunità, la
normatività giuridica svolge anche una funzione di controllo dell’autonomia dei singoli,
senza tuttavia mortificare, o addirittura rendere vana, l’azione dello Spirito Santo. Si
realizza così la funzione strumentale-unitiva del Diritto canonico, che, da un lato,
promuove la personale vocazione dei fedeli e, dall’altro, articola i beni tipici della
comunità ecclesiale. Sulla base, poi, della propria coerenza al Vangelo, dell’efficacia
apostolica, del suo adattamento ai bisogni correlati dei fedeli e della comunità, il
sistema giuridico canonico, da “strumento di controllo” diviene uno “strumento
controllato”277.
Il principio ‘comunionale’, illuminato dal principio ‘personalista’, ha permesso
alla Chiesa di operare un vero ritorno alle sue origini bibliche e teologiche. Ha
consentito, come affermava Hoffmann, di superare una certa ‘gerarcologia’278 di cui era
vittima la mentalità giuridica ecclesiale prima del Vaticano II, riducendo la realtà
giuridica ecclesiale, preminentemente, a garanzia della potestas ierarchiae intesa
principalmente come auctoritas. Il secondo libro del Codice di Diritto canonico è per la
Chiesa latina quello che meglio esprime, nella sua impostazione e attraverso il
contenuto dei suoi canoni, la nuova dottrina conciliare della Chiesa come realtà di
comunione e di superamento della visione esclusivamente gerarchico-istituzionale. Lo
stesso titolo, “De Populo Dei”, lascia intendere che i soggetti fondamentali
dell’Ordinamento canonico non sono più, in primis, i chierici, i consacrati e i laici, ma
la communitas christifidelium, ed è solo a partire da questa che si prendono in
considerazione i singoli gruppi di fedeli e le loro differenze funzionali, fermo restando:
la medesima dignità, la comune condivisione della stessa fede, la partecipazione agli
stessi sacramenti, l’attiva collaborazione all’edificazione del Regno di Dio, l’adesione e
l’obbedienza ai pastori279.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
277 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto, pp. 18-19.278 J. HOFFMANN, “La Chiesa e la sua origine”, in AA. VV., Iniziazione alla pratica della Teologia.
Dogmatica II, vol. III, Brescia, 1986, pp. 74-75.279 Cfr. V. DE PAOLIS, La disciplina ecclesiale, pp. 28-29.
L’accezione ‘comunionale’ se per un verso non ha soppiantato la dimensione
societaria dall’Ecclesiologia280, tanto che «il Concilio [...] insegna decisamente il
carattere di “societas” della Chiesa»281, ha tuttavia «sottolineato l’unità e l’inseparabilità
della società terrestre e della comunione di Grazia»282. In tal modo ha introdotto una
nuova prospettiva ermeneutica, secondo la quale la natura societaria sarebbe da
intendere alla luce dell’aspetto ‘istituzionale’ della comunità cristiana perché
«la nozione “comunità”, continua a contenere tanto la visibilità che l’organizzazione-istituzione, pur lasciando spazio anche alla presenza di fattori meno “formali” e più personali di quanto non risultasse dalla rigida interpretazione della categoria societaria assunta in chiave giuridica anziché antropologica»283.
Tra l’altro, con l’adozione della categoria ‘comunionale’ e il superamento di
quella di societas iuridice perfecta, si rifugge da qualunque narcisismo ecclesiologico
che affermerebbe la doppia valenza di perfezione della Chiesa. Ab intra per quanto
concerne le sue istituzioni, strutture e leggi tramandate da Cristo e ad extra in
riferimento alla sua organizzazione ritenuta autosufficiente nei confronti di qualunque
altra società. In questo modo sono recuperati, come elementi indispensabili della
missione ecclesiale nei confronti del mondo, la capacità di ascolto, d’inculturazione e di
discernimento dello Spirito Santo donato nel battesimo ai fedeli perché siano guidate le
loro coscienze per meglio rispondere alla vocazione cristiana, comprendere i segni dei
tempi. Così come anche l’evoluzione delle leggi e delle istituzioni ecclesiali che,
contravvenendo a qualunque vera sensibilità teologico pastorale, sarebbero
erroneamente ritenuti immutabili284.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
280 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 229.281 P. ERDÖ, Teologia, p. 21.282 P. ERDÖ, Teologia, p. 21.283 P. GHERRI, Lezioni, nota 14, p. 229.284 Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto, pp. 15-16.
1.1.2.4 Pastorale
Dando per assodato l’intrinseco rapporto tra Teologia e Canonistica, o altrimenti
detto tra norma fidei e norma communionis285, secondo cui alla prima spetterebbe il
compito di offrire alla seconda, attraverso lo studio e l’elaborazione sistematici della
Rivelazione biblica, della Tradizione ed del Magistero ecclesiale, i dati pre-giuridici,
cioè i contenuti o valori soteriologici, perché questa li traduca in linguaggio giuridico in
vista della missione286, non rimane che chiarire la valenza per il Diritto canonico del
principio ‘pastorale’, tenuto conto che con quest’ultimo termine si intende, nella sua più
ampia accezione, praticamente la missione stessa287.
La Chiesa, come si è già detto288, esiste in funzione della missio ad gentes sia ad
extra sia ab intra; cioè nei confronti «dei non credenti vicini o lontani e la pastorale
cosiddetta interna, la cura delle pecore raccolte nell’ovile ed affidate alla sollecitudine
dei pastori»289. Cristo l’ha fondata affinché il Vangelo abbia ad incarnarsi nella sua
verità perenne, in seno alla quotidianità della storia degli uomini, perché, in diretta
conseguenza della volontà di Dio Padre affidata al Figlio e da questi trasmessa agli
apostoli, per tutti sia operante il dono della salvezza290. Nella linea di sviluppo di questo
mandato, perché venga realmente favorita l’applicazione dei suddetti contenuti
soprannaturali nella vita dei singoli fedeli e dell’intera comunità come traduzione
operativa in vista della loro maggiore efficacia possibile, diventa necessario che il
Diritto canonico fissi gli elementi irrinunciabili della missione stessa e del coerente e
ordinato modo di procedere; cioè la regolamentazione generale del concreto “modus
operandi”291. Scrive, a riguardo, il professor Arroba Conde:
«la missione determina le istituzioni della Chiesa, che si struttura in funzione del Regno di Dio nel mondo. I suoi “modi praesentiae” sono inseparabili da questo obiettivo ultimo:
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
285 Qui, si tenga presenta quanto già detto ai paragrafi 1.1.1.1-1.1.1.3.286 P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, p. 109.287 Cfr. P. WINNINGER, Codificazione con finalità pastorale, in Concilium, V (1969), n. 8, p. 72288 Qui, si tenga presenta quanto già detto al paragrafo 1.1.1.1.289 P. WINNINGER, Codificazione, pp. 72-73.290 «Sicut enim Filius missus est a Patre, et Ipse Apostolos misit (cfr. Io 20,21) dicens: “Euntes ergo
docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis”». LG, n. 17, pp. 20-21.
291 Cfr. P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, p. 109.
rendere presente l’evento della salvezza di cui è portatrice. La sua realtà giuridica si presenta fin dalle sue origini come “norma missionis”. […] La centralità della missione salvifica consente un avvicinamento dinamico alle strutture e norme canoniche […] davanti alle necessità cangianti ed eterogenee delle diverse realtà pastorali, non basta assumere una posizione soggettiva, aperta e rispettosa dell’azione dello Spirito. È necessario che quest’apertura si traduca istituzionalmente, secondo il principio “Ius sequitur vitam”»292.
Così l’azione missionaria, come causa e finalità imprescindibile della Chiesa, di
cui si fa carico in maniera diretta e concreta l’attività pastorale, è ciò che non solo rende
il Diritto canonico strumentale a questo fine ma che, ancora di più, farebbe in modo che
diventi, ontologicamente, per sua natura, ‘pastorale’, elemento costitutivo della Chiesa
del Verbo Incarnato, espressione della sua apostolicità293. In questo senso si realizzano
in pieno le regole della Deontica secondo cui:
«ogni società ha la propria giustificazione, natura e funzione, ragion d’essere e principio normativo o norma originaria o fondamentale, nella propria finalità, secondo il principio della logica normativa: “il principio è il fine”. Ed il fine della Chiesa è la missione che Cristo le affidò: missione universale storica salvifica»294.
Giovanni Paolo II, affrontando questa stessa tematica, in una allocuzione alla Rota
Romana disse che la pastorale e il Diritto, secondo questa prospettiva, non solo non si
distinguerebbero ma, soprattutto in vista della loro comune finalità, la salus animarum,
si uniscono a tal punto da essere in un certo qual senso reciprocamente assimilabili,
anche se non coincidenti, in quanto non tutti gli aspetti pastorali sono tuttavia di natura
giuridica295. Diventa chiaro così che la disciplina canonica non è fine a se stessa, ma va
sempre vista in collegamento con il mistero di Cristo e della Chiesa, per loro natura
missionari e, d’altro canto, quasi paradossalmente, visto che la dimensione ‘pastorale’ è
stata intesa come punto culminante e di arrivo dell’iter d’azione dell’instrumentum
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
292 M. J. ARROBA CONDE, “La Iglesia como presencia”, pp. 185-187.293 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad Praelatos, Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae
Rotae, a Beatissimo Patre novo litibus iudicandis ineunte anno coram admissos, 8 februarii 1973, in AAS, LXV (1973), p. 96.
294 T. JIMÉNEZ URRESTI, De la Teología, p. 250.295 «[...] la dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite nella Chiesa pellegrina su
questa terra. Anzitutto, vi è una loro armonia derivante dalla comune finalità: la salvezza delle anime. Ma vi è di più. L’attività giuridico-canonica è per sua natura pastorale. Essa costituisce una peculiare partecipazione alla missione di Cristo Pastore, e consiste nell’attualizzare l’ordine di giustizia intraecclesiale voluto dallo stesso Cristo. A sua volta, l’attività pastorale, pur superando di gran lunga i soli aspetti giuridici, comporta sempre una dimensione di giustizia». IOANNES PAULUS PP. II, Allocutio: Ad Romanae Rotae Praelatos, auditores, officiales et advocatos anno iudiciali ineunte, 18 ianuarii 1990, in AAS, LXXXII (1990), n. 4, p. 874.
communionis, secondo il percorso Teologia-Diritto-Vita Ecclesiale, è sollecitata nel suo
processo normogenetico proprio dalla dimensione ‘pastorale’. È quest’ultima infatti che
pone problemi concreti a cui il Diritto deve dare delle risoluzioni legislative adeguate,
non senza aver prima esaurito adeguatamente il confronto con il depositum fidei296. Il
meccanismo che si genera è quello ormai consolidato dalla bimillenaria vita conciliare
della Chiesa e che nel primo, quello gerosolimitano, riferito dagli Atti degli Apostoli
(cfr. At 15), trova la sua protoregola procedurale: l’esperienza quotidiana della vita della
nascente Chiesa pone degli interrogativi, dei problemi pratici, a cui il Diritto deve far
fronte tramite delle disposizioni disciplinari prodotte sulla base delle conclusioni
dell’Assise in cui si riflette teologicamente. Concretamente: in forza del divieto ebraico
di comunione di mensa coi pagani, per la Chiesa nascente, si pose la questione pratica
della possibile comune partecipazione eucaristica tra coloro che provenivano al
Cristianesimo dal mondo ebraico, i circoncisi, e quelli dal paganesimo, i non-circoncisi.
La conflittualità pratica (‘pastorale’) interpellò la riflessione teologica (l’assise dei padri
di Gerusalemme) circa il fondamento teologico della partecipazione eucaristica; chiarito
che la salvezza viene solo dalla fede in Cristo e non dalla circoncisione, si definì,
attraverso la formalizzazione di una precisa disposizione comportamentale, in perfetta
coerenza con il principio ‘comunionale’ del Diritto canonico, che la mensa eucaristica
dovesse essere una sola per i tutti i christifideles297.
Secondo questo modo di coordinare le differenti istanze-discipline ecclesiastiche
«l’agire ecclesiale appare così come un “pendolo” continuo tra pastorale e Teologia, in un ciclo che ha come prima fase (semionda negativa) la problematica differenza tra i diversi modelli di azione pastorale - passaggio dalla prassi pastorale alla Teologia - e come seconda fase (semionda positiva) la soluzione “unitaria” indicata attraverso la norma canonica - passaggio alla prassi pastorale»298.
Tenuto conto di questo modo di procedere non si può certamente dire che il
Diritto nella Chiesa sia un’istanza autonoma ed indipendente da tutto il resto, anzi «il
regime della Chiesa è giuridico e pastorale allo stesso tempo»: anche «le questioni in
apparenza più tecniche (poteri e doveri, dispense, impedimenti, pene, ecc.) vanno
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
296 «L’esperienza di tutti, e la storia del fenomeno giuridico lungo i millenni, non lasciano dubbi in merito: [...] il diritto serve soltanto a risolvere problemi». P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, p. 109.
297 Cfr. P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, pp. 111-114.298 P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, p. 114. [Il corsivo è proprio della citazione].
riferite al Vangelo, alla morale, all’edificazione del Popolo di Dio»299 e più in generale
alla norma caritatis, l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr. Mt 22,37-40), come
sua propria sorgente:
«Siamo arrivati alle sorgenti del Diritto canonico, che dovrà giustificarsi dal riferimento a questo principio evangelico, del quale tutta la legislazione ecclesiastica dovrà essere permeata, anche se l’ordine della comunità cristiana e la supremazia della persona, a cui tutto il Diritto canonico è rivolto, esigeranno l’espressione razionale e tecnica propria del linguaggio giuridico»300.
Tutti gli istituti di Diritto canonico sono dunque al servizio dei pastori della
Chiesa e quest’ultimi sono la ragion d’essere dei primi301 perché, attraverso un fedele
riferimento alla normativa canonica, che consenta di non scadere in presunte soluzioni
pastorali, altrimenti definite pastoralismo, siano evitati il disordine e l’arbitrarietà: «une
communauté sans la loi, loin d’être, en ce monde, la communauté de la charité, n’y a
jamais été et n’y sera jamais rien d’autre que la communauté de l’arbitraire»302. Se un
ministro sacro trascurasse il Diritto nell’esercizio del suo ministero, dimenticherebbe un
importante presupposto teologico: che qualsiasi funzione nella Chiesa comporta sempre
una partecipazione ai tria munera Christi, la cui unità organica richiede
contemporaneamente l’esercizio di ognuna di queste tre funzioni.
Va ricordato, a questo punto, che tra la dimensione legislativa, di cui si è parlato
sopra, e la reale e concreta applicazione delle norme canoniche nella vita della Chiesa,
specifico della missione, si rende necessaria un’opera di declinazione della generalità ed
astrattezza della prima in modo da essere confacente alla particolarità e specificità della
seconda. In altri termini: la pastorale pone sempre problemi concreti e singolari; la
norma è invece formulata sempre in termini generali ed astratti, cioè valevole per una
maggioranza di casi e destinata a disciplinare tutti i rapporti e le situazioni suscettibili di
rientrare nel modello prefigurato303. In riferimento alla dimensione personalista del
Diritto canonico, la persona del livello legislativo, è quella tipizzata secondo gli estremi
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
299 P. WINNINGER, Codificazione, p. 74.300 PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad Praelatos, Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae Rotae, a
Beatissimo Patre novo litibus iudicandis ineunte anno coram admissos, 28 ianuarii 1972, in AAS, LXIV (1972), p. 204.
301 Cfr. P. WINNINGER, Codificazione, p. 74.302 L. BOUYER, L’Église de Dieu, Paris, 1970, p. 596.303 Qui, si tenga presente quanto si dirà al paragrafo 1.3.
di generalità della riflessione teologica-filosofica prodotta a riguardo, ma a livello
pastorale, dove si incontra la concretezza della vita con le sue reali forme ed
espressioni, secondo un processo che si potrebbe definire di identificazione o altrimenti
detto d’applicazione, questa perde la sua dimensione di anonimia per rivestire quella di
singolarità e specificità di ogni e ciascun fedele304 a cui restituisce il bagaglio valoriale
e personale che gli afferisce. Allo stesso modo, ad esempio, avviene nell’ambito
processuale ad opera dell’interpretazione della norma al caso concreto.
Per quanto riguarda ancora il livello codiciale canonico, si tenga in considerazione
che lo spirito pastorale, informa tutto ciò che lo riguarda: ogni istituzione o norma. Si
dovrà, pertanto, rifuggire dal cadere nell’equivoco di intendere pastorali soltanto alcuni
elementi giuridici e non piuttosto il Codice nella sua interezza; è un errore considerare
tali solamente: le eccezioni alle leggi, l’eventuale non ricorso ai processi ed alle
sanzioni canoniche, lo snellimento delle formalità giuridiche
«con i quali la caritas pastoralis del Legislatore, del giudice o dell’amministratore ecclesiastico manifesta una volontà di giustizia temperata dalla prudenza, dalla benignità e dalla comprensione verso le singole persone, sempre per il loro bene spirituale»305.
Se ciò accadesse il Codice in tutti i suoi ambiti: norme generali, munus santificandi e
docendi, processi, ecc., perderebbe la sua propria valenza di instrumentum communionis
finalizzata al bene personale e soprannaturale del christifidelis. In questo senso sono
intrinsecamente pervasi dal carattere ‘pastorale’:
«la positivizzazione giuridica – con la conseguente protezione e tutela – di molti diritti personali che formalizzano il Diritto fondamentale dei fedeli di ricevere abbondandemente dai sacri Pastori – e non soltanto “ex caritate” ma “ex iustitia” – i beni spirituali della Chiesa, “praesertim ex verbo Dei et sacramentis” (cfr. Can. 213); la riduzione al minimo delle leggi sulla nullità degli atti giuridici o sulla incapacità delle persone; la maggiore agilità dei processi, salva la primaria esigenza pastorale della verità; la notevole riduzione di norme intese ad assicurare il compimento del servizio dei sacri
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
304 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, pp. 14; «[...] il Diritto nella sua componente normativa risolve problemi relazionali generali in modo preventivo, concreto ed impersonale, curandosi più dell’equilibrio relazionale generale che della “condizione attuale” di ogni e ciascun soggetto; condizione che rileverà nella fase applicativa del Diritto (l’esercizio del governo) più che in quella “costitutiva” (la creazione delle norme) [...]». P. GHERRI, Quali istanze istituzionali, pp. 109-110. [Il corsivo è proprio della citazione].
305 J. HERRANZ, Salus animarum, principio dell’Ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, 12 (2000), p. 300.
Pastori in bonum animarum nel modo più efficace ed adeguato alle odierne necessità spirituali, apostoliche e missionarie»306.
Concludendo, si può dire che la contrapposizione tra pastorale e Diritto, frutto nel
passato di una concezione di quest’ultimo ridotto a insieme di leggi ecclesiastiche o,
peggio ancora, dell’esasperazione di tale impostazione di pensiero, cioè come Diritto
fortemente segnato da un positivismo della norma umana fondata nella volontà di
coloro che detenevano l’autorità gerarchica307, è fuorviante e fuori luogo. Il vero Diritto
nella Chiesa merita sempre l’attributo qualificativo di ‘pastorale’. Non può esserci un
autentico munus pastoralis che non tenga conto di quanto si è detto.
1.1.2.5 Sacramentale
Al Diritto canonico Paolo VI attribuiva anche il «valore di segno e strumento di
salvezza»308. Ciò equivarrebbe a dire che il Diritto canonico avrebbe natura
‘sacramentale’, come la Chiesa. Un’affermazione del genere, a fronte della natura
categoriale del Diritto canonico309, certamente crea qualche disagio. Un chiarimento
appare necessario anche alla luce di affermazioni di questo calibro:
«Il giuridico ecclesiale […]: trova la sua origine in Dio, nella rivelazione, nella natura, nella storia, in Cristo, si avvale delle intermediazioni umane, è pienamente comprensibile soltanto nel “sacramentale” ecclesiale»310.
Per poter approfondire il senso di tale affermazione è necessario prima di tutto
capire in che senso la Chiesa è sacramento, per poi successivamente dedurre i giusti
parametri del carattere della sacramentalità del Diritto canonico.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
306 J. HERRANZ, Salus animarum, p. 300.307 Cfr. C. J. ERRÁZURIZ M., Il Diritto e la giustizia, pp. 57-59.308 Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio: Ad Praelatos, Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae
Rotae, 8 februarii 1973, p. 98.309 Qui, si rinvia a quanto già detto al paragrafo 1.1.1.1.310 A. MONTAN, Il Diritto, p. 81.
Il già citato testo conciliare di Lumen Gentium, in cui si afferma l’unitarietà della
composita realtà, celeste-terrena, della Chiesa311, offre l’adeguato contesto teologico di
comprensione. In questo si mette in evidenza che la Chiesa gode di una natura
teandrica, cioè della presenza di due nature, umana e divina, come nel Verbo Incarnato.
Ma la compresenza nella Chiesa delle stesse due nature di Cristo Gesù è da intendersi
solo in senso analogico.
Essendo l’analogia una relazione logica che si pone tra l’identità e la differenza –
nel senso che sono un poco uguali ma in ogni modo in misura minore di quanto
rimangano diversi – le due realtà poste a confronto non solo non sono identificabili,
assimilabili, ma dissimili.
In Cristo Gesù la natura umana e quella divina sono entrambe presenti in maniera
‘ipostatica’; nella Chiesa, invece, sono sempre compresenti (elemento di similitudine),
ma non in maniera ‘ipostatica’ (elemento di differenza). Si tratta di un’analogia diretta
ed indiretta, allo stesso tempo:
«indiretta dal punto di vista dell’unità inscindibile dell’elemento umano e di quello divino. Sotto questo aspetto la somiglianza sta soprattutto nel fatto che i due elementi non si possono separare né in Cristo né nella Chiesa. La differenza sta invece nel fatto che nel Verbo incarnato l’elemento umano e quello divino formano un’unità ipostatica (unio hypostatica), essendo le due nature unite in un’unica persona; nel corpo mistico possiamo invece parlare di unità mistica tra lo spirito della Chiesa cioè lo Spirito Santo (cfr. LG, n. 7), ed i credenti. È dovuto a questo che le istituzioni della Chiesa sono vivificate dallo Spirito (cfr. AG, n. 4). D’altro canto, tra queste stesse realtà sussiste anche un’analogia diretta, precisamente dal punto di vista che, sia nel caso del Verbo incarnato che nel caso del Corpo mistico, l’elemento umano è una realtà vivente, organica, che serve per la salvezza degli uomini. Tale ruolo viene svolto dal Corpo mistico in un rapporto di dipendenza dallo stesso Cristo, partecipando alla sua forza salvifica»312.
Nella Chiesa l’elemento umano non scompare perché assorbito da quello divino
anche se le due dimensioni formano un’unica complessa realtà, nella quale l’elemento
visibile costituisce lo strumento attraverso cui si rende visibile ed esistenzialmente
sperimentabile l’azione salvifica del Cristo, il quale è l’unico mediatore tra Dio e
l’uomo mediante il mistero pasquale, l’autore della salvezza, il principio dell’unità e
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
311 «Ecclesia terrestris et Ecclesia coelestibus bonis dilata, non ut duae res considerandae sunt, sed unam realitatem complexam efformant, quae humano et divino coalescit elemento. Ideo ob non mediocrem analogiam incarnati Verbi mysterio assimilatur. Sicut enim natura assumpta Verbo divino ut vivum organum salutis, Ei indissolubiliter unitum, inservit, non dissimili modo socialis compago Ecclesiae Spiritui Christi, eam vivificanti, ad augmentum corporis inservit». LG, n. 8, p. 11.
312 P. ERDÖ, Teologia, p. 98.
della pace313. In tal senso la Chiesa «è il sacramento visibile di questa unità
salvifica»314. Il rapporto che si instaura tra la realtà visibile e l’azione divina è, quindi,
diverso a seconda che ci si riferisca al Verbo Incarnato o alla Chiesa:
«per Cristo, infatti si parla di “unione ipostatica” delle due nature (divina ed umana) secondo la nozione più propria di Incarnazione: il Verbo di Dio ha assunto l’umanità di Gesù di Nazareth, per la Chiesa – invece – si fa riferimento ad una “natura teandrica” in cui il principio d’Incarnazione opera in modo “attenuato” poiché la Chiesa è unita al Verbo di Dio spiritualmente e nella misura in cui gli rimane fedele»315.
La categoria ‘sacramentale’ si riferisce, pertanto, alla Chiesa in termini di
struttura, nel senso che l’elemento umano e quello divino, andros ed theos, sono
indissolubilmente uniti, anche se ciò «non permette di assorbire l’elemento creaturale
(la socialità umana) in quello divino, dissolvendone le caratteristiche ontologiche […];
la Chiesa è vera “realtà umana”»316. Ciò giustifica la differenza che si viene a generare a
livello funzionale, in quanto
«le azioni di Cristo appartenevano al Verbo di Dio, quelle della Chiesa, pur dipendendo da un principio divino, non potranno e non dovranno essere attribuite sempre e necessariamente a Dio stesso317.La Chiesa è congiunta a Dio, non nell’essere, ma soltanto nell’operazione in qualità di strumento. Ora, lo strumento può sempre mediare non fedelmente l’azione della causa principale. L’umanità di Cristo invece è unita a Dio per unione ipostatica, è unita nell’essere e nell’agire. Per la stessa ragione la Chiesa, in quanto realtà visibile, conserva la sua realtà, la sua natura creaturale anche quando viene assunta come segno e strumento di salvezza. Cioè lo Spirito Santo non prende il posto degli uomini che operano nella Chiesa, né questa è lo Spirito Santo operante sotto le apparenze della gerarchia o della comunità dei fedeli»318.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
313 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, pp. 231-233; 242.314 P. GHERRI, Lezioni, p. 242.315 P. GHERRI, Lezioni, p. 243.316 P. GHERRI, Lezioni, pp. 233-234.317 P. GHERRI, Lezioni, pp. 243-244.318 A. G. URRU, Introduzione generale al Diritto canonico, Roma, 1999, pp. 7-8.
Secondo questo ordine di idee sono superate le impostazioni eretiche dei primi
secoli della Chiesa, come: il dualismo ecclesiologico di Nestorio319 e il monofisismo di
Eutiche320. La categoria della sacramentalità non acquista, di per sé, una sua propria
consistenza sostanziale, come se fosse una substantiam rerum, ma rimane a livello di
concetto relativo, nel senso che ha bisogno sempre di un terminus ad quem, cioè di una
realtà a cui far riferimento, per essere definito nel suo contenuto321. Il Magistero
conciliare consente di individuare tale realtà nell’intima unione con Dio e di tutto il
genere umano in Cristo Gesù322, ad opera dell’azione dello Spirito Santo. In altri
termini, la costituzione dogmatica Lumen Gentium, con l’applicazione della categoria di
sacramento nei confronti della Chiesa, mette in evidenza il senso e l’essenza del mistero
ecclesiale come missione storico salvifica di fronte al mondo, in quanto segno di
comunione con Dio e con ogni uomo, per l’instaurazione del Regno323. Secondo questa
prospettiva si può parlare di sacramentalità a proposito del Diritto canonico, in quanto
parte integrante dell’elemento visibile della Chiesa, come instrumentum communionis,
finché è capace di rendere, come già detto, funzionalmente ed esistenzialmente la
salvezza e le sue attribuzioni secondo la logica sacramentale:
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
319 Nestorio, nato nel IV secolo in Siria, prima monaco presso il convento di Euprepios, poi prete ad Antiochia. Inviato nel 428 dall’imperatore Teodosio II a diventare patriarca di Costantinopoli, si segnalò fin dall’inizio per la sua lotta contro gli Ariani e contro i discepoli di Apollinare. Le difficoltà che alla fine gli causarono la deposizioni e l’esilio iniziarono con l’aver appoggiato uno dei suoi preti accusato di contestare l’ortodossia del titolo Madre di Dio dato a Maria. Preoccupato di salvaguardare la trascendenza del Verbo, Figlio di Dio, come di distinguere senza alcun compromesso in Gesù l’umanità e la divinità, rifiutava l’utilizzo di ogni espressione che ponesse in comunicazione le proprietà delle nature tra loro. Così, nello stesso tempo, compromette l’integrità delle due nature e pone una dualità di soggetti concreti, Gesù e il Verbo. Cfr. G. LANGEVIN, Nestorianesimo, in P. CODA (cur.), Dizionario critico di Teologia, Roma, 2005, pp. 914-916.
320 Il monofisismo trovò la sua espressione più radicale un po’ prima della metà del V secolo. Il principale rappresentante, il monaco Eutiche [...] avversava in modo rude il nestorianesimo sostenendo che bisognava riconoscere “una sola natura del Verbo incarnato”. La natura divina assorbirebbe quella umana. Nel 451, il concilio di Calcedonia condannò la dottrina di Eutiche e opponendo la famosa definizione secondo la quale Cristo è “riconosciuto in due nature, senza confusione, senza cambiamento, giacché la differenza delle nature non viene affatto soppressa a causa dell’unione, bensì viene salvaguardata la proprietà dell’una e dell’altra natura. Cfr. M. FÉDOU, Monofisismo, in P. CODA (cur.), Dizionario, pp. 886-888.
321 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 239.322 «Cum autem Ecclesia sit in Christo veluti sacramentum seu signum et instrumentum intimae cum Deo
unionis totiusque generis humani unitatis». LG, n 1, p. 5; «Christus quidem exaltatus a terra omnes traxit ad seipsum (cfr. Io. 12,32 gr.); resurgens ex mortuis (cfr. Rom. 6,9) Spiritum suum vivificantem in discipulos immisit et per eum Corpus suum quod est Ecclesia ut universale salutis sacramentum constituit; sedens ad dexteram Patris continuo operatur in mundo ut homines ad Ecclesiam perducat arctiusque per eam sibi coniugat [...]». LG, n. 48, p. 53.
323 «Unde Ecclesia, donis sui Fundatoris instructa fideliterque eiusdem praecepta caritatis, humilitatis et abnegationis servans, missionem accipit Regnum Christi et Dei annuntiandi et in omnibus gentibus instaurandi, huiusque Regni in terris germen et initium constituit». LG, n. 5, p. 8.
«la Chiesa in quanto sacramento, deve essere segno per il mondo dei valori del Vangelo. Così le realtà regolate dal Diritto positivo canonico debbono corrispondere all’utopia evangelica senza contraddirle [...]. Qualunque norma o struttura ecclesiastica deve essere al servizio di questa missione comunitaria [così come] l’amministrazione della giustizia [...] avrà come scopo fondamentale la promozione della comunione ecclesiale, nella salvaguardia dei diritti personali dei membri del Popolo di Dio»324.
Nella storia della Canonistica già il cardinal Soglia, nella seconda metà del XIX
secolo, aveva sostenuto che il luogo teologico del Diritto ecclesiale doveva essere
definito a partire dal dogma dell’Incarnazione325 e, in ambito ecclesiologico, il cardinal
Newman si riferiva all’Incarnazione come all’archetipo del principio ‘sacramentale’ che
occuperebbe un ruolo centrale nell’interpretazione del carattere giuridico della Chiesa,
costituendone il fondamentale principio d’unità326 . Le norme positive veicolano
giuridicamente, quindi, le verità della Rivelazione e della Tradizione nelle concrete
esigenze del Popolo di Dio. È in sostanza, quella del Diritto, come si è già avuto modo
di mettere in evidenza, una funzione di mediazione, di strumentalità327. Esso non
assurge ontologicamente ad altri livelli se non a quello di realtà umana, al pari di
qualunque altro Ordinamento giuridico328. Questo perché la Chiesa conserva e non
perde la sua dimensione storica, contingente, umana. È un vero Diritto alla pari di
qualunque altro Diritto, sotto il profilo ontologico e funzionale, sociale ed
antropologico, collocandosi e rimanendo all’interno dell’ambito “umano”, cui la
struttura teandrica della Chiesa fa riferimento:
«Se il Diritto, nella verità del suo concetto, è relazione tra pari, esso, anche nella sua forma Canonistica, sarà sempre e comunque Diritto “civile”, regolerà cioè sempre e comunque relazioni sociali tra gli uomini, dato che nessun uomo potrà mai essere ritenuto estraneo ad una qualsivoglia civitas. […] Il Diritto canonico non è diverso nella sua essenza dal Diritto “civile”; essendo a pieno titolo Diritto, anch’esso farà riferimento ad una civitas ed avrà come obiettivo garantirne la possibilità.Non appare teologicamente necessario considerare il Diritto canonico una realtà diversa dal Diritto in quanto tale, solo perché la funzione del Diritto canonico si inserisce nella missione salvifica del Corpo di Cristo»329.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
324 M. J. ARROBA CONDE, Diritto, p. 16; nota 22, p. 16. [Il testo tra parentesi quadre è un’aggiunta alla citazione].
325 Cfr. G. SOGLIA, Institutiones Ius Publici Ecclesiastici, Laureati, 1842 (successivamente pubblicate come Institutionum Iuris Publici Ecclesiastici, Mutinae, 1850).
326 Cfr. J. N. NEWMAN, An Essay on the Developement of Christian Doctrine, Westminster, 1968. 327 Qui, si rinvia a quanto già detto al paragrafo 1.1.1.2.328 Cfr. P. ERDÖ, Teologia, p. 98.329 P. ERDÖ, Teologia, p. 98.
Ciononostante, per essere un Ordinamento giuridico di una comunità di fede con
fondazione divina, quale è quella cristiana, fa sì che sia caratterizzato da un quid pluris
rispetto a qualunque altro Ordinamento giuridico, tanto che «la differenza tra i due
Diritti dipende dall’orizzonte in cui il Diritto canonico si muove»330.
L’introduzione del concetto di sacramento, in riferimento al mistero della Chiesa
e, a fronte di quest’ultimo, al Diritto canonico, ha consentito di raggiungere diversi
vantaggi dottrinali. Innanzitutto, si è potuto mettere in evidenza la dimensione misterica
della Chiesa senza incorrere nell’errore di identificarla solamente con la sua dimensione
‘istituzionale’. A consentito di evitare un’erronea spiritualizzazione, come se fosse una
sorta di prolungamento dell’Incarnazione, mantenendo, sulla base del concetto
dell’analogia, una reale chiarezza del rapporto sussistente tra la realtà divina e quella
umana. In ultimo, ha reso immune la Chiesa stessa e il suo Ordinamento giuridico dal
rischio d’incorrere nell’autoreferenzialità, proprio perché essendo inviata non può
fermare l’attenzione a sé stessa, ma deve mantenersi necessariamente protesa a livello
universale331.
1.2 LA SALUS ANIMARUM
Quanto è stato detto a proposito dei principi ‘istituzionale’, ‘personalistico’,
‘comunionale’, ‘pastorale’ e ‘sacramentale’, deve sempre raccordarsi con la salus
animarum che in Ecclesia suprema lex est (cfr. Can. 1752). Il Diritto canonico stesso,
nella sua globalità, a differenza di qualunque altro Ordinamento giuridico, non può non
avere come orientamento di base e suo fine precipuo il riferimento alla salvezza delle
anime, dal momento che si qualifica come instrumentum communionis, con tutte le sue
norme ed istituzioni, a servizio della universale norma missionis. In questo modo i
christifideles possono conoscere la grandezza della loro vocazione che supera le
coordinate dello spazio e del tempo, vivere secondo le esigenze ascetiche ed apostoliche
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
330 F. D’AGOSTINO, Fondazione del Diritto, in G.I.D.D.C. (cur.), Fondazione del Diritto. Tipologia e interpretazione della norma canonica, Milano, 2001, pp. 15; 16.
331 Cfr. P. GHERRI, Lezioni, p. 249.
dell’essere figli di Dio e raggiungere il fine per il quale sono stati creati e redenti, cioè
la visione beatifica del Regno332:
«il fine dell’Ordinamento canonico non è, come negli altri Ordinamenti, circoscritto negli angusti limiti della vita umana e della realizzazione dei beni temporali necessari alla medesima. Il Diritto della Chiesa, come ha le sue profonde radici in un Ordinamento supremo che non conosce limiti di spazio e di tempo [...] così ha il suo fine supremo in un bene oltremondano che non ha l’eguale, assoluto, immutabile, insostituibile: la salvezza eterna delle anime»333.
L’uomo, ogni uomo, trova la propria salvezza solo nell’incontro con Cristo di cui
la norma canonica diventa un’indicazione preziosa e un elemento di verifica, come
scrisse Pedro Lombardia:
«la norma aparece como un indicador que señala el camino de la salvación y como una medida de los actos, internos y externos del hombre, que anticipa de alguna manera la valoración de que ha de ser objeto en el juicio definitivo»334.
Tale affermazione permette di dire, a scanso di equivoci, che il dato teleologico
della salvezza eterna è certamente il fine ultimo del Diritto canonico, ma solo in
maniera mediata. Non sarà da intendere in senso immediato, in quanto ciò
significherebbe attribuirgli una trascendenza che non gli appartiene335 e per la quale,
pertanto, non potrebbe conservare la sua propria identità336 di prodotto della
Canonistica; cioè scienza giuridica, con oggetto giuridico e che si avvale, per la sua
indagine di ricerca, di metodiche giuridiche, seppure con contenuto precipuamente
teologico e pastorale337. Meglio dire che la salvezza delle anime è il fine mediato del
Diritto canonico, nel senso che questa è l’aspirazione costante, la finalità ultima e il
metro di verifica della razionalità di ogni norma e istituzione ecclesiastiche. Per dirlo
con le parole di Jimenéz Urresti, la salus animarum sarebbe il fine meta-giuridico del
Diritto canonico in quanto, se si volesse indicare un fine immediato del Diritto canonico
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
332 Cfr. J. HERRANZ, Salus animarum, p. 293.333 P. FEDELE, Discorso generale sull'Ordinamento canonico, Padova, 1941, p. 30.334 P. LOMBARDIA, Norma y Ordenamiento jurídico en el momento actual de la vida de la Iglesia, in AA.
VV., La norma en el Derecho canónico. Actas del III Congreso internacional de Derecho canónico (Pamplona, 10-15 de octubre de 1976), vol. I, Pamplona, 1979, p. 849.
335 Cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni, p. 15.336 Cfr. Á. MARZOA, Traslado de párrocos, in AA.VV., Comentario, vol. IV/2, p. 2211337 Cfr. T. JIMÉNEZ URRESTI, De la Teología, p. 380.
questo sarebbe da ravvisare nella edificazione del «bene politico della Chiesa»338 tanto
che
«muovendosi sul piano della strumentalità e della positivizzazione, ordina i suoi mezzi sociali strumentali (leggi) al suo fine e prescrive una condotta sociale con giudizi pratici, di modo che la “verità canonica” consiste in questa adeguazione dei suoi mezzi al fine inteso dal Legislatore, cioè nella sua efficacia»339.
Il riferimento alla salus animarum acquista la sua valenza nei confronti dell’intero
sistema canonico non solo come ratio fundamentalis e come fine mediato, ma anche nel
momento interpretativo ed applicativo delle norme:
«per indagare e accertare la ratio di uno specifico testo legislativo, [...] interpretare e applicare le norme positive nel modo più corretto e più rispondente non solo alla lettera ma anche e soprattutto alla mens Legislatoris, [...] risolvere eventuali antinomie tra le varie disposizioni di legge, [...] supplire lacune legislative nella regolamentazione di una determinata materia o nella risoluzione di un particolare caso pratico controverso»340.
In questo senso si esprimeva il Giacchi dicendo che «il giurista deve tener conto
di questo fine nell’interpretare norme dubbie, o nell’indagare quale sia la ratio di una
singola disposizione, o nel risalire ai principi generali»341. Anche se immediatamente, lo
stesso autore, riduceva la portata della salus animarum a sostegno dell’autonomia del
carattere positivo dell’Ordinamento giuridico canonico, dicendo che non può in nessun
modo sostituire le norme positive dettate dal Diritto della Chiesa; nel senso che
l’Ordinamento della Chiesa è pur sempre un Ordinamento positivo nel quale la certezza
del Diritto, la sua stabilità, le garanzie in esso considerate non possono essere affatto
sacrificate ad esigenze, pur nobilissime, che in esso non siano state espressamente o
implicitamente riconosciute342.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
338 T. JIMÉNEZ URRESTI, Diritto canonico, p. 31. [Il corsivo è proprio della citazione]. Ciò che secondo Hervada, sarebbe la somma delle condizioni della vita del Popolo di Dio, che permettono che si possa perseguire con pienezza e facilità l’uso dei mezzi necessari e convenienti per la salvezza e la santità, così come per il compimento della missione apostolica dei fedeli e la missione pastorale della gerarchia. Tutto ciò secondo il cammino segnato dall’azione dello Spirito Santo. Cfr. J. HERVADA, Coloquios propedeuticos de Derecho canónico, Pamplona, 1990, p. 147.
339 T. JIMÉNEZ URRESTI, Diritto canonico, p. 31. [Il corsivo è proprio della citazione].340 J. HERRANZ, Salus animarum, p. 293. [Il corsivo è proprio della citazione].341 O. GIACCHI, Diritto canonico e dogmatica giuridica moderna, in O. FUMAGALLI CARULLI (cur.),
Chiesa e Stato nella esperienza giuridica (1933-1980), vol. I, Milano, 1981, p. 104. [Il corsivo è proprio della citazione].
342 Cfr. O. GIACCHI, Diritto, pp. 104-105. [Il corsivo è proprio della citazione].
Di parere opposto al Giacchi è stato il Fedele, il quale, proprio considerando la
peculiarità dell’Ordinamento giuridico canonico, sosteneva che:
«in nessun caso, la Chiesa, pur di fare salvo il principio della certezza e della stabilità del Diritto, viene meno alla sua divina missione che consiste nel realizzare la salus animarum. Né ad essa potrebbe mai venir meno, poiché non si può mettere in dubbio che tra il principio di Diritto divino che postula la risoluzione del conflitto, tra lex e bonum animarum, e il principio della certezza e della stabilità del Diritto è quest’ultimo che deve restare sacrificato»343.
Con queste ultime affermazioni il Fedele non aveva comunque l’intenzione di
negare o sopprimere il valore della giuridicità dell’Ordinamento canonico, ma ribadire
soltanto la superiorità della salus animarum come fine ultimo del Diritto canonico;
l’orientamento giusto da adottare e l’impegno ad individuare mezzi idonei, sufficienti e
necessari per soddisfarlo344.
Secondo il principio soteriologico dell’incarnazione, quando ci si riferisce alla
salus animarum in prospettiva personalista, non si può non avere del christifidelis, ma
in generale di tutta l’umanità, una chiara e irrinunciabile prospettiva unitaria della
persona, capace di considerarlo nella compiutezza della sua verità esistenziale, cioè di
essere formato di anima e corpo. Se così non fosse si finirebbe
«inevitabilmente per rilevare il numero di “esemplari umani” [...] quelle anime – di fatto incorporee, astoriche e generiche – che popolavano gli orizzonti teologici e pastorali post-tridentini e pre-conciliari, ponendosi come le “referenti” istituzionali delle norme canoniche codificate dal Gasparri, nella [...] problematica indistinzione tra Diritto canonico e Teologia morale»345.
L’odierna sensibilità teologica ci consente, al contrario, di individuare nella
persona una realtà complessa e composita che fa sì che l’annunzio del Vangelo non si
rivolga ad un’anima rivestita di corpo, ma ad un’anima incarnata, considerandola come
unica condizione di possibilità tanto del bios quanto dell’anima346. Già in San Tommaso
è pacifica l’affermazione della positività del corpo in riferimento all’uomo e
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
343 P. FEDELE, Lo spirito, pp. 209-210. [Il corsivo è proprio della citazione].344 Cfr. P. FEDELE, Lo spirito, p. 210.345 P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, p. 15.346 Cfr. F. D’AGOSTINO, Zoé, bios, psyché: fondazione concettuale e conseguenze pratiche del discorso
sulla vita, in AA. VV., Nuove Frontiere del Diritto. Dialoghi su giustizia e verità, Bari, 2001, pp. 109-118.
l’impossibilità di dissociare, nell’anthrôpos, la dimensione materiale da quella spirituale
contro qualunque tentativo dualista347. Semmai
«per l’antropologia tomista la dualità tra anima e corpo è localizzata sul piano metafisico dei principi dell’essere: l’anima, in quanto forma, e il corpo, in quanto materia prima. Ma nell’essere umano concreto non c’è lo spirito da una parte e la materia dall’altra. [...]. Non esiste nell’uomo, in quanto spirito incarnato, un atto solamente spirituale, slegato dalla sensibilità, dalla materia. Ogni atto spirituale è anche materiale, e ogni atto materiale è anche spirituale»348.
L’uomo non sarebbe, pertanto, la risultante di un semplice composto di spirito e
materia, bensì un’originaria individualità. L’anima è la forma del corpo349. Il corpo è
l’attualità dell’anima, riceve l’essere sostanza dall’anima; è sostanza animata350.
In questa prospettiva i destinatari delle attenzioni pastorali della Chiesa – i fedeli
rispetto ai pastori – non sarebbero da considerare solo come referenti di una relazione
meramente spirituale, da soddisfare unicamente a livello sacramentale, bensì
comprensiva della complessità della loro realtà personale, fatta di istanze spirituali,
materiali e sociali. Verrebbero, così, ad essere superate
«certe spiritualità falsamente cristiane [...] apparentemente ortodosse, [che] si limitano a configurare un progetto d’annuncio che non tiene conto dei corpi, che considera solamente la salvezza delle anime, trascurando anche gli spazi della redenzione: l’umano, l’ambiente, il cosmo. Occorre ritornare alla sana antropologica biblica che lega in un
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
347 «[...] Dato autem quod sit potentia activa, ulterius non recte procedit: non enim in anima sunt duae formae sed una tantum quae est eius essentia, quia per essentiam suam spiritus est, et per essentiam suam forma corporis est, non per aliquid superadditum. Unde ratio superior et inferior non fundantur super duas formas sed super unam essentiam animae. Nec etiam verum est quod ratio inferior fundetur super essentiam animae secundum illam habitudinem qua est animae solummodo illae potentiae quae sunt organis affixae, qualis non est ratio inferior. Dato etiam quod illa potentia quam nominat synderesis sit idem quod ratio superior vel inferior, nihil prohibet nomine rationis nominari illam potentiam absolute, nomine autem synderesis nominari eandem cum habitu ibi inhaerente». THOMAS AQUINAS, Quaestiones Disputatae De Veritate, quaest. 16, art. 1, ad 13, in Opera Omnia, tomus XXII/2, Roma, 1976, pp. 506-507; «Preterea. Quecumque conueniunt ad unum esse ita se habent quod, corrupto uno, corrumpitur aliud. Set et corpus conueniunt ad unum esse, scilicet ad esse hominis. Ergo, corrupto corpore, corrumpitur anima»; «Ad undecimum dicendum quod licet anima et corpus conueniant ad unum esse hominis, tamen illud esse est corpori ab anima; ita quod anima humana esse suum, in quo subsistit, corpori communicat, ut in premissis quaestionibus ostensum est. Et ideo, remto corpore, adhuc remanet anima». THOMAS AQUINAS, Questiones Disputatae De anima, quaest. 14, ad 11, in Opera Omnia, tomus XXIV/1, Roma, 1996, pp. 124; 128; cfr. THOMAS AQUINAS, Summa Contra Gentiles cum commentariis Ferrariensis, lib. II, c. 69, in Opera Omnia, tomus XIII, Roma, 1918, pp. 447-448.
348 I. SANNA, L’identità, pp. 369-370.349 Cfr. STh, pars I, quaest. 76, artt. 1-3 in Opera Omnia, tomus V, Roma, 1889, pp. 208-223.350 Cfr. STh, pars I, quaest. 29, art. 2, in Opera Omnia, tomus IV, Roma, 1888, pp. 330-331; STh, pars. I,
quaest. 89, artt. 1-5 in Opera Omnia, tomus V, Roma, 1889, pp. 370-381.
rapporto decisivo il materiale e lo spirituale. Anzi, tutto ciò che è carnale è spirituale e viceversa»351.
Dello stesso tenore è anche il Catechismo della Chiesa Cattolica quando, sulla
base dei riferimenti scritturistici, affermando che l’uomo nella sua natura unisce il
mondo spirituale e il mondo materiale in maniera indissolubile come due aspetti della
stessa persona reciprocamente necessari ed essenziali, dice:
«La persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio simbolico, quando dice che “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7). L’uomo tutto intero è quindi voluto da Dio. Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine anima indica la vita umana, oppure tutta la persona umana. Ma designa anche tutto ciò che nell’uomo vi è di più intimo e di maggior valore, ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio: “anima” significa il principio spirituale nell’uomo. Il corpo dell’uomo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”: è corpo umano proprio perché è animato dall’anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel corpo di Cristo, il tempio dello Spirito: Unità di corpo e di anima, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora, non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno. L’unità dell’anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l’anima come la “forma” del corpo; ciò significa che grazie all’anima spirituale il corpo composto di materia è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell’uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura»352.
Senza questa visione d’insieme dell’uomo, il Diritto canonico sarebbe incapace di
rivolgersi al concreto christifidelis, hinc et nunc, e svierebbe dalle reali istanze poste da
una concreta situazione giuridica personale da tutelare353 . Ciò diventa ancora più
evidente e necessario se si concorda che il fine della salus animarum non è né
individuale né sociale, ma conviene proprio all’uomo in quanto persona, facendo
contemporaneamente appello alla sua capacità decisionale nel rispetto della sua libertà:
«La legge ecclesiastica suppone che il fine soprannaturale dell’uomo è fondamentalmente personale: esso non è né individuale né puramente sociale. Non è un fine individuale, perché l’uomo più che individuo è persona, e quindi non può essere condotto autoritativamente al suo fine: è lo stesso fedele che deve conseguire attraverso l’uso
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
351 E. SCOGNAMIGLIO, Il volto dell’uomo. Saggio di antropologia trinitaria II. La risposta e le domande, Milano, 2008, p. 295.
352 CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Testo integrale e commento teologico, in R. FISICHELLA (cur.), Casale Monferrato, nn. 362-365, p. 82. [Il corsivo è proprio della citazione].
353 Cfr. P. GHERRI, Diritto canonico, Antropologia e Personalismo, pp. 15-16.
responsabile della sua libertà. E non è neppure un fine meramente sociale, perché non è il Popolo di Dio – considerato esclusivamente come collettività, indipendentemente dai suoi componenti – che tende a questo fine: è ogni battezzato, ogni fedele concreto, che è personalmente chiamato a conseguirlo. Da qui la convenienza che, per rispondere adeguatamente alla suprema lex della salus animarum, l’Ordinamento giuridico del Popolo di Dio sia un modello nella tutela efficace dei diritti umani»354.
Probabilmente, secondo quanto detto, la categoria della salus animarum in chiave
personalista sarebbe più idoneamente resa con l’espressione, salus personarum. In tal
senso si potrebbe, forse, meglio porre l’accento sulla dimensione unitaria di anima e
corpo, sull’essere individuale e sociale referente e destinatario del Diritto, senza voler
comunque limitare la sua portata giuridica alla sola prospettiva terrena del christifidelis,
ma integrando insieme il bene spirituale delle anime con quello della dimensione
prettamente psico-fisica.
1.3 LA NORMA POSITIVA
La Chiesa, come comunità fraterna che vive nella storia, ha bisogno per la sua
complessità istituzionale e pastorale, in senso strumentale, di norme che si offrano alla
collettività, al fine di orientarne e governarne l’esistenza nel pieno rispetto della
ricchezza valoriale e della tutela terrena ed eterna di ogni fedele. Queste nel loro
insieme compongono l’Ordinamento giuridico ecclesiale che, in quanto formato da
leggi formalmente poste dalla competente autorità, costituisce il Diritto positivo.
Rispetto all’insieme, la norma rappresenta, quindi, uno dei suoi elementi-base, un
tassello dell’intero mosaico giuridico.
Senza voler creare alcuna opposizione tra l’aspetto visibile della Chiesa e quello
invisibile, le leggi ecclesiastiche esercitano la loro azione prevalentemente nella
dimensione esterna e visibile, rivestendosi dei caratteri propri di ogni norma giuridica,
qualunque sia l’Ordinamento specifico di appartenenza. Questi sono: la generalità,
l’astrattezza, la certezza e l’esteriorità355. La legge è generale perché indirizza il suo
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
354 J. HERRANZ, Studi sulla nuova legislazione della Chiesa, Milano, 1990, pp. 119-120. [Il corsivo è proprio della citazione].
355 Cfr. M. PARADISO, Corso di Istituzione di Diritto privato, 3ª ed., Torino, 2004, pp. 12-13.
precetto non specificamente a un singolo individuo, bensì a tutti, alla generalità dei
consociati. È astratta in quanto detta una regola destinata a disciplinare tutti i rapporti e
le situazioni suscettibili di rientrare nel modello prefigurato. Certa perché si prefigge
l’assenza del dubbio di diritto o di fatto, nel senso che in base a quanto stabilito dalla
legge, i singoli sanno preventivamente i precetti che debbono osservare e quali
conseguenze dovranno sopportare in caso di inosservanza. L’esteriorità, infine, indica
che i rapporti regolati si svolgono nel mondo esterno e godono di pubblicità.
A queste caratteristiche si aggiungerebbero l’imperatività, l’intersoggettività e
l’elasticità che, sebbene comuni a tutte le norme di qualunque sistema giuridico,
sarebbero da intendere in maniera particolare nell’Ordinamento canonico356. La
particolarità, per quanto concerne l’imperatività, risiederebbe nella sua duplice origine:
dai presupposti teoligici, ai quali è necessariamente riferita, e dall’autorità che la
promulga. Il carattere intersoggettivo si avvarrebbe del fatto che il Diritto canonico è
chiamato a difendere e favorire l’identità, la specificità dei carismi del singolo e la
necessaria relazione di questi in rapporto alla communio, in modo tale che le norme
giuridiche si differenzino da quelle morali. L’elasticità sarebbe dettata dal fatto che
essendo la norma giuridica strumentale alla salvezza, questa in determinati casi
dovrebbe avere la capacità di superare la propria naturale rigidità. In altre parole,
l’elasticità della norma troverebbe la propria spiegazione nella considerazione che
nell’Ordinamento canonico la verità sostanziale prevale sulla certezza formale. Ciò
spiegherebbe l’esistenza di istituti giuridici particolari quali: la dispensa, il privilegio,
l’indulto, la tolleranza, la dissimulatio e l’aequitas canonica.
La norma è una sintesi di contenuto e forma, espresso con un linguaggio preciso,
chiaro e semplice, senza ampollosità o complicazioni lessicali357. La forma, o figura
esterna, diviene lo strumento necessario perché il contenuto della legge, il valore pre-
giuridico, possa essere esteriorizzato, imposto e fatto osservare. Questa non può
pretendere di comprendere ed esaurire tutta la ‘sostanza’ a cui si riferisce358. Ne
consegue che, poiché il Diritto divino è sovra ordinato a quello umano, il Diritto della
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
356 Cfr. A. LONGHITANO, Il Diritto, pp. 122-123.357 Cfr. J. HERVADA - P. LOMBARDIA, Introducción, p. 89.358 Cfr. P. FEDELE, Lo spirito, p. 212.
Chiesa è per sua natura incompatibile con ogni concezione formalistica e positivistica
che attribuisca alle prescrizioni legali un valore assoluto ed esclusivo. La sua certezza,
quindi, non è di carattere formale, bensì sostanziale, in quanto non è assicurata dalla
legalistica osservanza delle singole disposizioni stabilite dall’autorità ecclesiastica, ma
dalla coerenza dell’intero sistema giuridico, nella sua globalità e nelle sue
specificazioni, ai principi fondamentali posti dal Diritto divino e naturale.
Concretamente ciò significherebbe che il senso di ogni norma non potrà essere desunto
partendo solo ed esclusivamente dalla sua lettera, cioè dalla sua formulazione testuale,
ma è sempre necessario riferirsi, per la sua piena comprensione, all’insieme del
depositum fidei e dei principi dell’intero Ordinamento canonico, in modo tale che il
processo di applicazione della norma al caso concreto possa essere coerente e non
tradisca la propria fonte. In altri termini, dalla lettera della legge si dovrebbe cogliere lo
spirito, cioè la sostanza, seppure nella consapevolezza che quest’ultima non può essere
totalmente sondata ed esaurita. Stando così le cose, si garantisce un sistema giuridico
efficace, certo e fedele ai principi fondamentali dell’Ordinamento giuridico canonico,
permettendo di sostenere che tra la ‘forma’ e la ‘sostanza’ delle norme del Diritto
canonico intercorre un intimo, necessario e vitale rapporto359, direttamente funzionale
alla salus animarum.
Secondo S. Tommaso, la legge è un «quaedam rationis ordinatio ad bonum
commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata»360. Questa definizione dice
innanzitutto che l’elemento sostanziale della norma è l’ordinatio, cioè l’essere un atto
della volontà del superiore col quale si impone ad una comunità di fare o non fare
alcunché, non secondo i criteri dell’arbitrarietà, ma razionalmente in armonia con la
prassi (ordinatio rationis). Chiaramente, riferendosi alla normativa ecclesiale, la
razionalità di cui parla l’Aquinate è quella intesa alla luce della fede, coerente, pertanto,
con l’ordine divino naturale e positivo. Una regola a questo contraria, infatti, non
costituirà mai una vera norma, anzi sarebbe propriamente una corruzione della norma,
perché la ragione e la legge umana devono essere fondamentalmente subordinate alla
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
359 Cfr. O. GIACCHI, Il Consenso nel matrimonio canonico, Milano, 1968, p. 1.360 STh, pars. I-II, quaest. 90, art. 4, in Opera Omnia, tomus VII, Roma, 1892, p. 152.
sapienza di Dio e alla sua legge361. Precisa ancora la definizione tomista che la legge è
ordinatio ad bonum commune. In ambito naturale, il bene comune comporta in primo
luogo, oltre al benessere sociale, allo sviluppo ed alla pace, il rispetto della persona e
dei suoi diritti fondamentali. In ambito ecclesiale, essendo la legge finalizzata a
custodire e a favorire la crescita della communio tra i fedeli, e potenziare nel singolo e
nella comunità l’armonico sviluppo della vita di grazia, dei carismi e una coerente
testimonianza di fede nel loro comportamento esteriore362, il bene comune implica il
riconoscimento, la promozione e la tutela delle situazioni giuridiche soggettive del
battezzato.
Nella Chiesa, a differenza degli Stati, la legge costituisce una sorta di ‘eccezione’
alla modalità ordinaria di governo. La potestas regiminis è svolta in larga maggioranza
attraverso l’esercizio della potestà esecutiva, come d’altra parte dimostrano
autorevolmente le Decretali che, per oltre quindici secoli, hanno costituito lo strumento
princeps del governo ecclesiastico universale. L’autorità ecclesiastica legifera solo per
necessità urgente e generale. Infatti «affinché [...] nasca una nuova legge occorre che
essa venga riconosciuta necessaria e non più procrastinabile»363. Ciò dimostra che,
prima ancora che alla legge, la priorità in seno alla comunità ecclesiale è da attribuire
all’azione dello Spirito Santo, alla vita evangelica, all’esercizio della carità fraterna che
ne costituiscono il vero Dritto.
L’iter di genesi di una legge ecclesiastica, che si configura come un opus
sapientiae dell’intera comunità ecclesiale, un discernimento delle reali esigenze della
comunità alla luce del disegno di Dio, ha il suo compimento con l’atto di promulgazione
ad opera di chi è incaricato del bene della comunità (ab eo qui curam communitatis
habet promulgata). Atteso il tempo della vacatio legis, necessario per la debita
conoscenza della legge da parte di coloro che devono applicarla, essa entra in vigore e
chiede di essere accolta nella prassi effettiva della comunità a cui si rivolge. La
recezione da parte della comunità non è però estrinseca alla vita della legge; a questo
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
361 Cfr. IOANNES PAULUS PP. II, Litterae Encyclicae: Veritatis Splendor, 6 augusti 1993, in AAS, LXXXV (1993), n. 44, p. 1168.
362 Cfr. SDL, p. XI.363 P. GHERRI, Ius Administrativum Canonicum I, p. 99.
proposito recita il Decretum Gratiani: «leges instituuntur, quum promulgantur;
firmantur, quum moribus utentium approbantur»364. Nella stessa prospettiva di
osservanza, più che di obbedienza, con la Sacrae Disciplinae Leges, dove, con un
rimando al contesto biblico dell’alleanza, si sottolinea che all’offerta salvifica da parte
di Dio corrisponde l’assunzione di doveri specifici da parte dell’uomo, Giovanni Paolo
II ha collocato l’accoglienza del Codice: «canonicae leges suapte natura observantiam
exigunt»365.
CAPITOLO I - FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
364 GRATIANUS, Concordia discordantium canonum. De Iure divinae et humanae constitutionis, dist. IV, cap. II, pars III, in PL, tomus CLXXXVII, Paris, 1891, col. 35.
365 SDL, p. XIII.