cammino ragazzi avvento 2011

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Oratorio “San Giovanni Bosco” Brembate di Sopra FAMIGLIA COMUNITÀ LAVORO FESTA CAMMINO DI AVVENTO 2011 BUON NATALE!

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cammino di avvento per ragazzi 2011

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Page 1: cammino ragazzi avvento 2011

  Oratorio “San Giovanni Bosco” Brembate di Sopra

FAMIGLIA

COMUNITÀ

LAVORO

FESTA

CAMMINO DI AVVENTO 2011

BUON NATALE!

Page 2: cammino ragazzi avvento 2011

  LA FESTA È… Eccoci alla fine del cammino! La festa del Santo Natale è vicinissima! E proprio di festa hai letto e pregato in questa ultima tappa di Avvento. Prova a pensare… la festa è il tempo che lega tutte le altre tappe: la famiglia fa festa, la comunità intera fa festa, il lavoro è intervallato da feste! Leggi questi ultimi pensieri sulla festa… √ la festa è un dono grande per ogni famiglia e per

tutta la comunità √ la festa è la conferma che la vita è buona, che è

fatta per la gioia √ la festa è come l’abbraccio del buon Dio: chiama

a raccolta tutte le persone, senza escludere nes-suno e per tutti ha dei doni grandissimi

√ la vera festa è sempre segno di pace e concordia

Natale è Gesù, il Figlio di Dio,

che viene ad abitare tra di noi, portando gioia profonda in ogni cuore.

Scrivi tu una preghiera a Gesù per la festa del Nata-le… O mio buon Gesù, il Santo Natale è davvero molto vi-cino… Ti prego per questi giorni di festa: ____________________________________________________

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Page 3: cammino ragazzi avvento 2011

 

INTRODUZIONE

Carissimi ragazzi,

il tempo dell’Avvento è davvero un tempo

prezioso, un dono grande che il buon Dio ogni

anno ci fa, perché la festa del Santo Natale ogni

volta sia l’occasione per gustare la gioia grande

che solo Gesù può portare ai nostri cuori.

Prima di darvi alcune indicazioni pratiche per

usare bene questo libretto e quindi per vivere al

meglio questo tempo, leggete queste poche

righe che esprimono molto bene la grandezza di

questo tempo.

“La grazia particolare di questo periodo liturgico

sta nel dare una nuova direzione ai nostri occhi

e alle nostre orecchie, ridestando le percezioni

del cuore e cercando con gli occhi del cuore

Colui che è la speranza di tutta l’umanità, Gesù

nostro Signore”

Michael D. O’Brien

Rivolgiamo quindi i nostri occhi, le orecchie e il

cuore verso Gesù nostro Signore, origine della

nostra gioia: questo è ciò che vi auguro di vivere

in questo tempo santo.

Buon cammino!

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fiato. «Gesù» disse don Camillo levando gli occhi al cielo «tutto questo l'hanno organizzato soltanto per far di-spetto a me!» «Se per fare un dispetto a te, essi fanno festa alla Ma-dre di Dio, perché ti crucci?» «Gesù» ansimò don Camillo «essi non vogliono rendere grazia a nessuno, essi fanno questo per ingannare la gente.» «Non possono ingannare me, don Camillo.» «Ho capito, Signore» ansimò ancora don Camillo. «Al-lora ho sbagliato io! Allora ho fatto male a non volere in processione la banda che aveva suonato Bandiera rossa.» «Non hai sbagliato, don Camillo. Tanto è vero che non una sola ma quattro bande hanno suonato stasera per rendere grazia alla Madre di Dio.» «Gesù» insisté don Camillo. «Secondo me, questo di- pende dalla nuova politica della Russia...» «Don Camillo» rispose il Cristo. «Secondo me questo dipende dal fatto che Peppone non è la Russia.» In fondo don Camillo pensava la stessa cosa e, in cuor suo, ringraziò la geografia.

 

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Page 4: cammino ragazzi avvento 2011

 ISTRUZIONI PER L’USO

Queste sono le istruzioni per usare bene questo

libretto: sarà la vostra guida fino alla festa del

Santo Natale.

Le settimane dell’Avvento sono 4: ogni

settimana incontrerai un tema su cui

pregare, riflettere e imparare.

Per ogni settimana troverai:   - il calendario con gli impegni

- un’opera d’arte sul tema

- la testimonianza di una mamma

- un racconto di Guareschi

- una riflessione riassuntiva

- la preghiera per la sera

Nel calendario della settimana troverai

dei piccoli quadrati come questo:

ti ricordano gli appuntamenti della

settimana. Segnerai con una x i quadrati ogni

volta che riuscirai ad essere

fedele agli appuntamenti.

Durante tutto il tempo

dell’Avvento e del Natale ti verrà chiesto di rac-

cogliere un po’ di risparmi per i missionari che si

occupano dei bambini poveri del mondo.

Per costruire il salvadanaio puoi usare il foglio

che ti è stato consegnato insieme al libretto.

Il salvadanaio con i tuoi risparmi va portato in

chiesa il 6 gennaio, festa dell’Epifania, alle 15.

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di Stalin e allora don Camillo, inviperito per il fatto di aver dovuto subire una processione senza musica, appena la vede si ferma e...». L'ipotesi di don Camillo non contemplava i possibili av-venimenti dopo la fermata. Don Camillo sapeva che, se quelli della Casa del Popolo avessero provocato, egli si sarebbe fermato. Non sapeva quel che egli a-vrebbe detto o fatto dopo essersi fermato. E questa incognita lo riempiva di angosciosa preoccupazione.

***

Cadde la sera e, quando suonarono le campane, tut-te le finestre si illuminarono. Tutte, eccettuate quelle della Casa del Popolo. La processione si mosse. Le bambine e le donne inco-minciarono a cantare «Mira il tuo popolo». Ma come era pieno di malinconia quel canto che si levava nell'aria deserta della sera. Le altre volte c'e-rano le trombe di Tofini a impastare quelle voci, a far-ne un'unica voce possente. E adesso le voci non riuscivano a cementarsi in muro sonoro. Mancava la calce di Tofini. La gente avvertì questo senso di disagio: e, mano a mano che il corteo si appressava alla Casa del Popo-lo, il disagio aumentava perché era evidente che, stavolta, non avrebbero neppure tirata fuori la stella di lampadine. Oramai la testa della processione era a dieci metri dalla Casa del Popolo e allora don Camillo sussurrò: «Signore, rossa o verde o gialla, fate che la stella ven-ga fuori. O, se non la stella, almeno almeno una lam-padina, perché quella casa buia e chiusa mi dà l'idea angosciosa di appartenere a un mondo che si è sot-tratto alla Grazia di Dio. Gesù, fate che almeno un lume si accenda dietro quelle finestre e ci dica che la Grazia Divina non ha abbandonato quella triste ca-sa... Non so se dico bene, Gesù: so soltanto che quel buio mi fa paura...». La testa della processione passò davanti alla porta della Casa del Popolo. E non ci fu nessun segno di vi-ta. Non c'era più niente da sperare e la processione con-tinuò il suo lento andare. L'immagine della Madonna oramai stava per passare davanti alla casa buia e non si poteva immaginare che accadesse il miracolo adesso. Difatti non accadde nessun miracolo. Accadde semplicemente che tutte le finestre si spa-lancarono inondando la notte con un fiume di luce. Nello stesso istante partì dal campo sportivo della Ca-sa del Popolo una formidabile bordata di fuochi d'arti-ficio che esplosero alti nel cielo. E nello stesso istante i quattro corpi bandistici di Torricella, Gaggiòla, Roc-chetta e del Tofini, che aspettavano nascosti nel corti-le, attaccarono «Mira il tuo popolo». Le bordate di fuochi artificiali continuavano con ritmo serrato: e il cielo pareva un cinematografo a colori. Se fosse scoppiata una bomba atomica non avrebbe fatto quel colpo. La gente, con gli occhi persi nel cie-lo e le orecchie rintronate dalle note degli ottoni e dagli scoppi dei fuochi d'artificio, non capiva più nien-te. Il primo a riprendersi fu don Camillo. E, quando si fu ri-preso, si accorse con orrore che il corteo era immobile e la Madonna, già da un pezzo, era ferma lì, davanti alla Casa del Popolo. «Avanti!» ruggì don Camillo. Il corteggio riprese la marcia e si levò un canto pos-sente. Mille voci che erano diventate una voce sola perché ora le sorreggevano gli ottoni frementi di quattro bande in gara fra di loro a chi ci metteva più

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  PRIMA SETTIMANA DI AVVENTO dal 27 novembre al 3 dicembre

LA FAMIGLIA

PREGHIERA PER LA FAMIGLIA

da recitare tutte le sere prima di andare a dormire

Ti ringrazio Gesù

per la famiglia che mi hai regalato. Proteggila sempre contro ogni male.

Dona alla mia famiglia un cuore grande,

perché sappia amare come Te.

IMPEGNI PER LA SETTIMANA Segna con una crocetta gli impegni che sei riuscito a rispettare questa settimana

Incontro di catechesi Messa della domenica 27 novembre Preghiera del mercoledì 30 novembre

Preghiera della sera

dom lun mar mer gio ven sab

Lettura di “Una mamma racconta…” Lettura di “Racconto di Giovannino” Lettura di “La famiglia è…” Risparmi nel salvadanaio

Primi passi, Vincent Van Gogh

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«Ordini dall'alto, signor sindaco. Io debbo fare come fa lei: obbedire agli ordini dei superiori». «E se i superiori danno degli ordini cretini?» gridò Pep-pone. «Non saprei. Il caso a me non si è mai presentato per-ché i miei superiori mi hanno sempre impartito ordini giusti» replicò calmo don Camillo. Peppone strinse i pugni: «È inutile che faccia lo spiritoso, reverendo poco rive-ribile! Se lei non ha una coscienza, io ce l'ho. E non posso ammettere che, per colpa mia, un poveraccio venga danneggiato in questo modo». «Per colpa sua? Lei non ha nessuna responsabilità, si- gnor sindaco. Lei non ha suonato Bandiera rossa: è la banda Tofini che l'ha suonata. E appunto per questo io debbo sostituire "La Verdiana" con altra banda.» Don Camillo era calmo ma deciso e Peppone non in-sistette. «Ci rivedremo a Filippo!» disse Peppone avviandosi verso la porta. E lo disse con tale fierezza e decisione da rendere di secondaria importanza il pur increscioso incidente di cui era rimasto vittima Filippo.

***

Dopo mezzogiorno il paese incominciò a smaniare. Succedeva così tutti gli anni, il giorno della processio-ne notturna della Madonna. Nelle prime ore del po-meriggio tutti entravano in agitazione. Tutte le finestre si spalancavano e, a ogni finestra, c'era gente indaf-farata a preparare luminarie e addobbi. Lampioncini di carta, stelle di lampadine, lucerne, candele, lumini: in ogni finestra doveva luccicare per forza qualcosa la sera della processione. E da ogni davanzale doveva penzolare qualcosa. Un drappo di damasco rosso con frange di oro, un tappeto, un fe-stone di fiori veri o di fiori di carta, una coperta da let-to, un lenzuolo, una trapunta, uno scendiletto. C'era da commuoversi a girar per le strade, quella se-ra. E lo spettacolo più commovente l'offrivano le fine-stre delle case più povere, che erano le meglio ad-dobbate perché dove non ci son quattrini ci si deve arrangiare mettendo in moto il cervello e il cervello conta sempre più dei quattrini. Il paese incominciò a smaniare nelle prime ore del po- meriggio e smaniò per il tempo occorrente a portare a termine l'addobbo delle finestre. Poi la gente si mise calma. Ma era una calma appa-rente in quanto dentro ogni cervello si agitavano pa-recchi appassionanti interrogativi: «Come avrebbe fatto don Camillo? Avrebbe ceduto ricorrendo al To-fini? Avrebbe resistito rinunciando alla musica? E la Casa del Popolo? Avrebbe mollato all'ultimo momen-to come era successo l'anno prima? O stavolta non avrebbe mollato?». L'anno precedente, fino a pochi minuti prima che arri-vasse la processione, la Casa del Popolo era l'unico edificio del paese che non avesse un lume alle sue finestre. Anzi, tutte le gelosie erano chiuse e la casa dava una lugubre idea di morte. Ma, quando la pro-cessione si era messa in moto, una finestra al primo piano della Casa del Popolo si era aperta e qualcuno aveva appeso al davanzale una stella di lampadine bianche, rosse e verdi. Appena passata la processione la stella era stata riti-rata. Cosa sarebbe successo questa volta? In paese funzionava il totostella e le eventualità erano tre: «La mettono come l'anno passato. Non la mettono per niente. La mettono ma tutta di lampadine rosse anzi-ché tricolori». Don Camillo ammetteva una quarta ipotesi: «La mettono di lampadine rosse con al centro il ritratto

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Page 6: cammino ragazzi avvento 2011

 UNA MAMMA RACCONTA… Senza la nostra famiglia saremmo soli e do-vremmo affrontare la vita soltanto con le nostre forze e le nostre capacità. La famiglia infatti è un dono che Dio ci concede per farci compagnia e per offrirci il Suo aiuto. Con questo grande regalo Gesù ci ricorda ogni istante che ci vuole bene e che è sempre con noi. Ad esempio se uno è triste, in famiglia c’è sempre qualcuno o una situazione che lo aiuta a recuperare il sorriso; se uno sta sbagliando e non sta vivendo bene, è in famiglia che trova qual-cuno che lo corregge amorevolmente; se uno ha una gioia da condividere, la famiglia è il pri-mo luogo dove poter festeggiare insieme. Ma perché tutto questo spesso “funziona”?! Perché ciò che tiene insieme una famiglia è l’amore, segno dell’amore infinito ed eterno di Dio per ciascuno di noi.

La famiglia è un regalo di Dio

Nella famiglia Dio ci fa compagnia e

ci aiuta La famiglia è il segno dell’amore

infinito di Dio per noi

Il Tofini si sentì vittima di una crudele ingiustizia e si ri-bellò: «Reverendo, questo non è il modo di ragionare! O-gnuno ha il suo mestiere che gli dà da mangiare: se fosse vero che chi lavora per i comunisti è un cattivo cristiano, dove andremmo a finire? I tipografi non po-trebbero più stampare giornali comunisti, i farmacisti non potrebbero più vendere medicinali ai comunisti. Quando uno fa semplicemente il suo mestiere, la poli-tica e la religione non c'entrano. Quando uno fa il medico, cura dei malati, non dei comunisti o dei libe-rali e via discorrendo. Quando uno fa il tipografo, stampa dei giornali o dei libri per un cliente, non fa della propaganda. Quando noi suoniamo, eseguia-mo della musica a pagamento, facciamo il nostro mestiere di musicanti. Bandiera rossa o la sinfonia del Guglielmo Tell per noi è lo stesso. Le note sono messe in modo diverso ma sono sempre le stesse: do, re, mi, fa, sol, la, si». Il Tofini non era impappinato e sapeva spiegarsi. Però neppure don Camillo era impappinato: «Giusto: purché non sia roba proibita dalla legge, una suonata vale l'altra. Quindi quella volta in piazza, se, finita l'esecuzione a richiesta di Bandiera rossa, fossi arrivato io e vi avessi domandato di suonare Bianco-fiore, voi l'avreste suonato». Il Tofini si strinse nelle spalle: «Già! Per prendere un sacco di legnate!». Don Camillo sorrise: «E allora? Biancofiore non è musi-ca proibita dalla legge: perché non l'avresti suona-to?». «Se mi pagano i «rossi» mica posso suonare l'inno dei loro avversari!» «Esatto. Ma quando tu ragioni così non fai più della musica, fai della politica nel senso più comune e sporco della parola. Tu sei cosciente del valore politico e, quindi, propagandistico di quel che suoni. E se accetti di suonare Bandiera rossa, inno de-gli scomunicati, tu, oltre a essere un cattivo suonatore, sei anche un cattivo cristiano.» Il Tofini si agitò: «La teoria è bella, ma la pratica è diversa. Bisogna pensare che si deve vivere!». «Bisognerebbe pensare invece che si deve morire e che è ben più importante il conto col Padreterno che il conto col bottegaio.» Il Tofini sghignazzò: «Il guaio è che, mentre il Padreterno può aspettare, il bottegaio non aspetta e se non pago il conto non mangio!». Don Camillo allargò le braccia: «Ti pare che questo sia un ragionare da buon cristia-no?». «È un ragionare da poveretto che per vivere deve ar-rangiarsi.» «D'accordo: ma ci sono dei poveretti come te che, per vivere, si arrangiano senza comportarsi da cattivi cristiani. Perché dovrei aiutare te invece di loro? Alle processioni e ai funerali, al posto della "Verdiana" suo-neranno le bande di Torricella, di Gaggiòla o di Roc-chetta. Balordi come voi ma più a posto di voi.» Al pensiero di dover perdere i servizi alle processioni e ai funerali, il Tofini diventò furioso e, uscito dalla cano-nica, corse da Peppone e gli raccontò ansimando tutta la storia. Allora Peppone andò a trovare don Camillo. «Siamo dunque arrivati a negare lavoro a dei disgra-ziati solo perché hanno suonato in piazza l'inno di un Partito permesso dalla legge?» urlò indignato Peppo-ne. Don Camillo allargò le braccia desolato:

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Page 7: cammino ragazzi avvento 2011

  RACCONTO DI GIOVANNINO Giovannino Guareschi (1908-1968) è uno scrittore ita-liano, famoso per i racconti di don Camillo e Peppo-ne, racchiusi nell’opera “Mondo piccolo”. Ogni settimana troverai un suo racconto, che parla del tema della settimana. Questo racconto è come la fotografia di una famiglia, legata da un amore profondo, forte nell’affrontare le fatiche della vita, piena di fede nel buon Dio, al quale affida i desideri, le speranze, le paure… Puoi leggerlo anche da solo, però sarebbe bello leg-gerlo con un grande… sono sicuro che a loro piacerà di più! Prima storia Io abitavo al Boscaccio, nella Bassa, con mio padre, mia madre e i miei undici fratelli: io, che ero il più vec-chio, toccavo appena i dodici anni e Chico che era il più giovane toccava appena i due. Mia madre mi consegnava ogni mattina una cesta di pane, un sac-chetto di mele o di castagne dolci, mio padre ci met-teva in riga nell'aia e ci faceva dire ad alta voce il Pa-ter Noster: poi andavamo con Dio e tornavamo al tramonto. I nostri campi non finivano mai e avremmo potuto cor-rere anche una giornata intera senza sconfinare. Mio padre non avrebbe avuto neppure mezza parola an-che se noi gli avessimo calpestato tre intere biolche di frumento in germoglio o se gli avessimo divelto un fila-re di viti. Eppure noi sconfinavamo sempre e ci dava-mo parecchio da fare. Anche Chico, che aveva due anni appena e aveva la bocca piccolina e rossa e gli occhi grandi con lunghe ciglia e ricciolini sulla fronte come un angioletto, non si faceva certamente scap-pare un papero quando gli arrivava a tiro. Poi, ogni mattina, appena partiti noi, venivano alla fattoria delle vecchie con sporte piene di paperi, di gallinelle, di pulcini assassinati, e mia madre, per ogni capo morto, dava un capo vivo. Noi avevamo mille galline che razzolavano per i nostri campi, ma quando si doveva mettere qualche pollo a bollire nella pentola, bisognava comprarlo. Mia madre scuoteva il capo e continuava a cambia-re paperi vivi con paperi morti. Mio padre faceva la faccia scura, si arricciava i lunghi baffi e interrogava brusco le donnette per sapere se si ricordavano chi dei dodici era stato a fare il colpo. Quando qualcuna gli diceva che era stato Chico, il più piccolino, mio padre si faceva raccontare per tre o quattro volte la storia, e come aveva fatto a lancia-re il sasso, e se era un sasso grosso, e se aveva colpito il papero al primo colpo. Queste cose le ho sapute tanto tempo dopo: allora non ci si pensava. Ricordo che una volta mentre io, lanciato Chico contro un papero che passeggiava come uno stupido in mezzo a un praticello spelac-chiato, stavo con gli altri dieci appostato dietro un ce-spuglione, vidi mio padre a venti passi di distanza che fumava la pipa all'ombra di una grossa quercia. Quando Chico ebbe spacciato il papero, mio padre se ne andò tranquillamente con le mani in tasca e io e i miei fratelli ringraziammo il buon Dio. «Non si è accorto di niente» dissi io sottovoce ai ragaz-

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RACCONTO DI GIOVANNINO Questa storia racconta che la festa è il momento che unisce tutti nella gioia. Ci rivedremo a Filippo Don Camillo aspettava pazientemente che il polla-strello gli arrivasse a tiro, e l'attesa fu lunga ma non vana perche" , una bella mattina, il pollastrello si pre-sento# in canonica. «Reverendo, c'è qualche cambiamento di program-ma o si fa come per gli anni passati?» «Tutto esattamente come gli anni scorsi» rispose don Camillo. «Eccettuato un piccolo particolare: niente banda nella processione.» Il «piccolo particolare» fece rimanere senza fiato il pol- lastrello che si chiamava Tofini ed era il capo della banda musicale del paese. «Niente banda?» balbettò il Torini. «E perché?» «Direttive dall'alto» spiegò don Camillo allargando le braccia. Il Tofini non riusciva a credere alle sue orecchie: «Volete dire che le bande non possono più suonare nelle processioni?» esclamò. «No» precisò con calma feroce don Camillo. «Voglio dire che la tua banda non può più suonare nella mia processione.» La banda di strumenti a fiato diretta dal Tofini si chia-mava «La Verdiana» ma, ciononostante, era, musi-calmente parlando, una banda di fuorilegge. Co-munque non era inferiore alle altre bande della zona e a nessuno era mai balenata l'idea che «La Verdia-na» potesse essere sostituita da altro complesso musi-cale nelle processioni, nei funerali o nelle feste patriot-tiche che si svolgevano in paese. Il Tofini era sbalordito. «Reverendo, se fino a ieri andavamo bene, e oggi non ci volete più, cosa significa? Che non sappiamo più suonare?» «Non avete mai saputo suonare, ma la ragione è un'altra e voi la sapete meglio di me.» «Noi non sappiamo niente, reverendo!» «Allora domandate conto in giro e fatevi dire chi era-no quelli che due mesi fa, in piazza, hanno suonato Bandiera rossa.» Il Tofini guardò stupito don Camillo: «Reverendo, eravamo noi: ma io non ci vedo niente di male». «Io, invece, ce lo vedo.» Il Tofini protestò: «Reverendo, ci conoscete bene. Sa-pete che nessuno di noi ha mai fatto della politica. Noi suoniamo per chi ci paga: il sindaco ci ha chia-mato per fare della musica in piazza e noi abbiamo suonato dei pezzi d'opera e delle marce. Poi tutta la gente si è messa a gridare che voleva Bandiera rossa, il sindaco ci ha ordinato di suonare Bandiera rossa e noi abbiamo suonato Bandiera rossa». «E se vi avessero chiesto Giovinezza o la Marcia reale le avreste suonate?» «No: quella è roba proibita dalla legge. Bandiera rossa non è proibita dalla legge.» «Dalla legge della Chiesa, però, è proibita» replicò don Camillo. «Quindi, se tu rispetti le leggi dello Stato e non quelle della Chiesa, significa che tu sei un buon cittadino ma un cattivo cristiano. Come buon cittadi-no puoi continuare a suonare per la piazza. Come cattivo cristiano non puoi più continuare a suonare per la Chiesa.»

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Page 8: cammino ragazzi avvento 2011

 zi. Ma allora io non potevo capire che mio padre ci aveva pedinati per tutta la mattinata, nascondendosi come un ladro, pur di riuscire a vedere come Chico ammazzava i paperi. Ma io sto uscendo dal seminato: questo è il difetto di chi ha troppi ricordi. Io devo dirvi che il Boscaccio era un paese dove non moriva mai nessuno, per via di quell'aria straordinaria che vi si respirava. Al Boscaccio sembrava quindi impossibile che un bambino di due anni potesse ammalarsi. Invece Chico si ammalò sul serio. Una sera, mentre stavamo per tornare a casa, Chico si sdraiò improvvi-samente per terra e cominciò a piangere. Poi smise di piangere e si addormentò. Non si volle svegliare e io lo presi in braccio. Chico scottava, sembrava pieno di fuoco: allora noi tutti provammo una paura terribile. Il sole tramontava e il cielo era nero e rosso, le ombre lunghe. Abbando-nammo Chico in mezzo all'erba e fuggimmo urlando e piangendo come se qualcosa di terribile e di miste-rioso ci inseguisse. «Chico dorme e scotta... Chico ha il fuoco dentro la testa!» singhiozzai io appena mi trovai davanti a mio padre. Mio padre, lo ricordo bene, staccò la doppietta dalla parete, la caricò, se la mise sottobraccio, e ci seguì senza dir nulla, e noi camminammo stretti attorno a lui e non avevamo più paura perché" nostro padre era capace di fulminare un leprotto a ottanta metri di di-stanza. Chico era abbandonato in mezzo all'erba scura, e con la sua lunga veste chiara e i suoi ricciolini sulla fronte sembrava un angelo del buon Dio cui si fosse guastata un'aluzza e che fosse caduto nel trifoglio. Al Boscaccio non moriva mai nessuno, e quando la gen-te seppe che Chico stava male, tutti provarono un enorme sgomento. Anche nelle case si parlava sotto-voce. Per il paese bazzicava un forestiero pericoloso e nessuno di notte si azzardava ad aprire una finestra per paura di vedere, nell'aia imbiancata dalla luna, aggirarsi la vecchia vestita di nero e con la falce in mano. Mio padre mandò a prendere col calessino tre o quattro dottori famosi. E tutti toccarono Chico e gli appoggiarono l'orecchio alla schiena, poi guardaro-no mio padre senza dir niente. Chico continuava a dormire e a scottare, e il suo viso era diventato più bianco del lenzuolo. Mia madre piangeva in mezzo a noi e non voleva più mangiare; mio padre non si sedeva mai e continuava ad arric-ciarsi i baffi, senza parlare. Il quarto giorno i tre ultimi dottori, che erano arrivati in-sieme, allargarono le braccia e dissero a mio padre: «Non c'e che il buon Dio che possa salvare il vostro bambino». Ricordo che era mattina: mio padre fece un cenno con la testa e noi lo seguimmo nell'aia. Poi con un fi-schio chiamò i famigli: erano cinquanta fra uomini, donne e bambini. Mio padre era alto, magro e potente, con lunghi baffi, un grande cappello, la giacca attillata e corta, i cal-zoni stretti alla coscia e gli stivali alti. (Da giovane mio padre era stato in America, e vestiva all'americana.) Faceva paura quando si piantava a gambe larghe davanti a qualcuno. Mio padre si piantò a gambe larghe davanti ai famigli e disse: «Soltanto il buon Dio può salvare Chico. In ginocchio: bisogna pregare il buon Dio di salvare Chico». Tutti ci inginocchiammo e cominciammo a pregare

UNA MAMMA RACCONTA… Ci sono dei momenti particolari in cui è impor-tante fermarsi ed insieme ricordare o festeggiare un avvenimento, una ricorrenza, un successo raggiunto. Sono questi i momenti di festa, che all’interno della famiglia segnano il tempo che passa e le tappe che si susseguono: i compleanni, le ricor-renze religiose (Natale, Pasqua), ma anche dei traguardi raggiunti (una promozione, un succes-so scolastico o sportivo,…). La festa è un grande dono, da condividere con gioia con tutti i nostri cari, a partire dalla famiglia e dai parenti, ma da aprire anche ad amici e, perché no, magari anche a qualcuno che sap-piamo solo o che vive un momento difficile. La festa infatti è un modo eccezionale col quale ci ricordiamo che la vita è positiva, che il tempo che passa scorre verso un bene ultimo e che tut-to ciò che di bello viviamo non è solo per noi, ma è da condividere con chi ci sta vicino. Nella normalità, la festa più significativa e ricor-rente è la Domenica, nella quale ricordiamo vita morte e Resurrezione di Gesù. Alla Domenica ci piace non solo riposare, ma anche fare insieme qualcosa di speciale, invitare qualche amico o imbandire la tavola del pranzo in modo un po’ più ricco del solito.

La festa è un dono grande

da vivere e da condividere

La festa ci ricorda che la vita è buona

La festa che colora ogni settimana è la domenica,

giorno in cui Gesù vince contro il male, rende la nostra vita bella

e ci prepara un posto in paradiso

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Page 9: cammino ragazzi avvento 2011

  ad alta voce il buon Dio. Le donne dicevano a turno delle cose e noi e gli uomini rispondevamo: «Amen». Mio padre rimase a braccia conserte, fermo come una statua davanti a noi fino alle sette di sera, e tutti pregavano perché avevano paura di mio padre e perché volevano bene a Chico. Alle sette di sera, mentre il sole cominciava a tramon-tare, venne una donna a chiamare mio padre. Lo se-guii. I tre dottori erano seduti pallidi attorno al letto di Chi-co: «Peggiora» disse il più anziano. «Non arriverà a domattina.» Mio padre non disse nulla, ma sentii che la sua mano stringeva forte la mia. Uscimmo: mio padre prese la doppietta, la caricò a palla, se la mise a tracolla, prese un grosso pacco, me lo consegnò. «Andiamo» disse. Camminammo attraverso i campi: il sole si era nasco-sto dietro l'ultima boscaglia. Scavalcammo il muretto di un giardino e bussammo a una porta. Il prete era solo in casa e stava mangiando al lume della lucerna. Mio padre entrò senza levarsi il cappel-lo. «Reverendo» disse mio padre «Chico sta male e sol-tanto il buon Dio può salvarlo. Oggi, per dodici ore, sessanta persone hanno pregato il buon Dio, ma Chi-co peggiora e non arriverà a domattina.» Il prete guardava mio padre con gli occhi sbarrati. «Reverendo» continuò mio padre «tu soltanto puoi parlare al buon Dio e fargli capire come stanno le co-se. Fagli capire che se Chico non guarisce io gli butto all'aria tutto. In quel pacco ci sono cinque chili di di-namite da mina. Non resterà più in piedi un mattone di tutta la chiesa. Andiamo!» Il prete non disse parola: si avviò seguito da mio pa-dre, entrò in chiesa, si inginocchiò davanti all'altare, giunse le mani. Mio padre stava in mezzo alla chiesa, col fucile sotto- braccio, a gambe larghe, piantato come un maci-gno. Sull'altare ardeva una sola candela e tutto il resto era buio. Verso mezzanotte mio padre mi chiamò: «Va' a vede-re come sta Chico e torna subito». Volai fra i campi, arrivai a casa col cuore in gola. Poi ritornai e correvo ancora più forte. Mio padre era ancora lì, fermo, a gambe larghe, col fucile sottobraccio, e il prete pregava bocconi sui gradini dell'altare. «Papà» gridai col mio ultimo fiato. «Chico è migliorato! Il dottore ha detto che è fuori pericolo! Il miracolo! Tut-ti ri-dono e sono contenti!» Il prete si alzò: sudava e il suo viso era disfatto. «Va bene» disse bruscamente mio padre. Poi, mentre il prete guardava a bocca aperta, si tolse dal taschino un biglietto da mille e l'infilò nella cassetta delle ele-mosine. «Io i piaceri li pago» disse mio padre. «Buona sera.» Mio padre non si vantò mai di questa faccenda, ma al Boscaccio c'è ancora oggi qualche scomunicato il quale dice che, quella volta, Dio ebbe paura.

racconto tratto da “Mondo piccolo”

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QUARTA SETTIMANA DI AVVENTO dal 18 al 24 dicembre

LA FESTA

PREGHIERA PER LA FESTA

da recitare tutte le sere prima di andare a dormire

Gesù, la festa è

un bellissima esperienza! Aiutami a viverla sempre al meglio, perché sia per me e per i miei cari

un’occasione per gustare la tua gioia.

IMPEGNI PER LA SETTIMANA Segna con una crocetta gli impegni che sei riuscito a rispettare questa settimana

Incontro di catechesi Messa della domenica 18 dicembre Preghiera del mercoledì 21 dicembre

Preghiera della sera

dom lun mar mer gio ven sab

Lettura di “Una mamma racconta…” Lettura di “Racconto di Giovannino” Lettura di “La festa è…” Risparmi nel salvadanaio

Buon pastore, Arcabas

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Page 10: cammino ragazzi avvento 2011

 LA FAMIGLIA È… Eccoci giunti alla fine di questa prima tappa del cammino verso il Santo Natale. Questa settimana hai pregato e riflettuto sul tema del-la famiglia… Sono sicuro che molte cose le conoscevi già, altre le hai imparate e c’è anche qualcosa che non hai capi-to molto. Questa brevissima riflessione è un aiuto a “tirare le somme”, a mettere in ordine i tanti pensieri che ti sono nati in questa settimana. √ la famiglia è un dono grande del buon Dio √ in famiglia sperimenti l’amore √ la famiglia è il modo più facile per capire che il

buon Dio ti vuole davvero bene √ la tua famiglia ha una persona in più: Gesù infatti

è sempre tra voi √ la famiglia ti protegge e ti sostiene nelle fatiche, se

ti sai affidare √ la famiglia è forte solo se altre persone l’aiutano e

l’accompagnano √ la famiglia è forte quando si affida al buon Dio

Natale è Gesù, il Figlio di Dio,

che viene ad abitare tra di noi, portando amore e perdono nelle famiglie.

Scrivi tu una preghiera a Gesù per la tua famiglia… O mio buon Gesù, mentre aspetto il Santo Natale ti prego per la mia famiglia: ____________________________________________________

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IL LAVORO È… Sei quasi alla fine del cammino… Spero tu non sia troppo stanco! Spero soprattutto che questo cammino ti stia aiutan-do a mettere un po’ di ordine alle tue idee, prima sul-la famiglia, poi sulla comunità, ora con il lavoro. Ecco un piccolo elenco di pensieri sul lavoro che ti sa-ranno utili per riassumere: √ il lavoro è tutto ciò che faccio per aiutare il buon

Dio a rendere più bello questo mondo

√ anche lo studio è lavoro, se viene fatto con impe-gno, mettendo in gioco tutte le tue capacità

√ il buon Dio ti chiede di lavorare bene, perché ciò

che fai renda felice te e le persone che hai ac-canto

Natale è Gesù, il Figlio di Dio,

che viene ad abitare tra di noi, portando valore e significato al nostro lavoro.

Scrivi tu una preghiera a Gesù per il tuo lavoro… O mio buon Gesù, mentre aspetto il Santo Natale ti prego per il mio lavoro, lo studio: ____________________________________________________

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  SECONDA SETTIMANA DI AVVENTO dal 4 al 10 dicembre

LA COMUNITÀ

PREGHIERA PER LA COMUNITÀ

da recitare tutte le sere prima di andare a dormire

Ti ringrazio Gesù

per la comunità di Brembate Sopra. Fa che sia accogliente con tutti,

come un abbraccio. Fa che tutte le famiglie trovino in lei sostegno e compagnia.

IMPEGNI PER LA SETTIMANA Segna con una crocetta gli impegni che sei riuscito a rispettare questa settimana

Incontro di catechesi Messa della domenica 4 dicembre Preghiera del mercoledì 7 dicembre

Preghiera della sera

dom lun mar mer gio ven sab

Lettura di “Una mamma racconta…” Lettura di “Racconto di Giovannino” Lettura di “La comunità è…” Risparmi nel salvadanaio

L’alb

ero

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sghignazzò. «Tu vuoi fare il meccanico?» «Sì, signore» rispose Gigino. «Qui non ci sono signori!» urlò Peppone. E gli occhi di Gigino si riempirono di lacrime. «Sì, capo» sussurrò Gigino. Peppone grugnì, si volse, raccolse la chiave inglese e riprese a lavorare accanto al motore. Gigino guardò don Camillo e don Camillo gli fece cenno di sì. Allora Gigino si tolse il cappottino e, sotto, aveva la sua brava tuta di tela blu. Peppone buttò via la chiave inglese e cominciò a la-vorare con le chiavi fisse. Svitò quattro dadi del sedici poi gli serviva la chiave del quattordici. E se la trovò davanti al naso. Tremava, la chiave del quattordici, perché Gigino aveva una paura maledetta, ma era una chiave del quattordici e Peppone l'agguantò con malgarbo. Don Camillo allora si avviò; quando fu sulla porta si rivolse a Gigino: «Giovanotto» disse «qui si lavora, non si fa della politi- ca. Se senti quel disgraziato lì parlare di politica, lascia tutto e torna a casa». Peppone levò gli occhi e guardò cupo don Camillo.

*** Il padre arrivò dopo una decina di giorni e don Camil-lo lo ricevette con tutti i riguardi. «Ha messo la testa a posto?» s'informò il padre. «È un bravo ragazzo» rispose don Camillo. «Dov'è adesso?» «Sta studiando» rispose don Camillo. «Lo andiamo a trovare.» Quando giunsero all'officina di Peppone don Camillo si fermò e aperse la porta. Gigino stava lavorando alla morsa con la lima. Venne avanti Peppone e il padre di Gigino lo guardò a bocca aperta. «È il padre del ragazzo» spiegò don Camillo. «Ah!» disse Peppone con aria poco benevola squa-drando diffidente il signore pieno di dignità. «Fa bene?» balbettò il signore. «È nato per fare il meccanico» rispose Peppone. «Fra un anno non saprò più cosa insegnargli e bisognerà mandarlo in città a lavorare nella meccanica di alta precisione.» Don Camillo e il padre di Gigino tornarono in silenzio alla canonica. «Cosa dico a mia moglie?» domandò sgomento il padre di Gigino. Don Camillo lo guardò. «Dica la verità: lei è contento di aver preso una laurea e di essere finito caporeparto in un ufficio statale?» «Il mio sogno era di diventare specialista di motori a scoppio» sospirò il padre di Gigino. Don Camillo allargo# le braccia: «Dica questo a sua moglie!». Il padre di Gigino sorrise tristemente. «Preghi per me, reverendo. Verrò tutte le settimane a trovare Gigino. Se occorre qualcosa mi scriva. Non a casa però: mi scriva in ufficio.» Poi si fece raccontare come era andata la faccenda della presentazione a Peppone e, quando seppe il particolare della chiave del quattordici che era pro-prio del quattordici e ci voleva quella del quattordici, gli brillavano gli occhi. «Mio padre» esclamò «era il primo tornitore della città. Buon sangue non mente!»

racconto tratto da “Mondo piccolo”

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 UNA MAMMA RACCONTA… La nostra famiglia è la prima, piccola comunità con la quale possiamo condividere ogni mo-mento della nostra vita. Ma se essa rimanesse da sola, a poco a poco si chiuderebbe in se stessa e si spegnerebbe. Anche la famiglia infatti ha bisogno di una com-pagnia più grande che la sostenga nella fatica quotidiana e la incoraggi nell’amore a Dio ed ai fratelli. Questa compagnia è la Comunità cristiana, cioè il pezzetto di Chiesa più vicino. La Comunità è un piccolo popolo, fatto di per-sone come noi in cammino verso Gesù, che de-sidera vivere insieme gioie e dolori, necessità e abbondanza, successi e fallimenti. Ancora una volta, essa è segno della presenza amorevole e costante di Dio, attraverso i gesti più diversi: dalla Messa domenicale alla vicinan-za in un momento doloroso; dalla catechesi ad una vacanza insieme; dall’aiuto economico a qualcuno in difficoltà alla condivisione di una cena, … tutto nella comunità diventa spunto per godere insieme della compagnia di Gesù.

La comunità cristiana è un dono grande per tutte le famiglie

La comunità è il popolo

degli amici di Gesù

La comunità è il segno che Dio

si prende cura delle famiglie

Prima di addormentarsi, don Camillo si rigirò nel letto parecchio. «Il meccanico» borbottava. «Vuole fare il meccani-co!»

***

La mattina don Camillo si alzò come il solito che era ancor buio, per la prima Messa: ma stavolta si studiò di non fare baccano per non svegliare il signorino che dormiva nella stanzetta vicina. E, prima di scendere, aperse cautamente la porta per controllare se tutto funzionava bene nella camera dell'ospite. E trovò il letto rifatto alla perfezione e Gigino seduto nella sedia ai piedi del letto. La cosa lo lasciò sbalordito. «Perché non dormi, tu?» disse di malumore. «Ho già dormito.» Quella mattina pioveva e faceva un freddo infame e così l'unico ad ascoltare la Messa di don Camillo era Gigino. E don Camillo fece anche il suo bravo ser-moncino e parlò dei doveri dei figli, e del rispetto che i figli debbono avere per la volontà dei genitori, e fu uno dei discorsi nei quali mise maggiore impegno. E il povero Gigino, solo e sperduto nella chiesa semibuia e deserta dove la voce tonante del colossale sacer-dote rimbombava e ingigantiva, sentendosi dire «voi ragazzi», aveva l'idea di essere responsabile, davanti a Dio, dei peccati di tutti i ragazzi dell'universo.

***

«Nome, cognome, paternità, luogo e data di nascita, luogo di residenza e numero del telefono!» ordinò don Camillo a Gigino quando ebbero consumata la cola-zione. Il ragazzo lo guardò impaurito poi disse tutto quello che doveva dire e don Camillo andò al posto pubbli-co a telefonare. Gli rispose la signora. «Vostro figlio è mio ospite. Non datevi pensiero perché qui è al sicuro da ogni pericolo» spiegò don Camillo dopo essersi qualificato. Poi sopraggiunse il padre e don Camillo rassicurò anche lui e gli diede un consi-glio: il ragazzo era un po' scosso. Si rendeva conto del male che aveva fatto ed era pentito sinceramente. Lo lasciassero tranquillo qualche giorno da lui che a-vrebbe fatto in modo di convincerlo a mettersi di buona volontà a studiare come intendevano i genito-ri. Avrebbero, a loro completa sicurezza, ricevuto dal vescovado conferma di quanto appreso attraverso il telefono. Telegrafassero se permettevano che il ra-gazzo rimanesse qualche giorno ospite di don Camil-lo. Il telegramma arrivò nel primo pomeriggio. «I tuoi genitori ti hanno concesso di restare con me un po' di tempo» disse allora don Camillo a Gigino. E Gigino finalmente sorrise. Don Camillo si mise il tabarro e uscì con Gigino. Arriva-rono fino all'estremità del paese e si fermarono da-vanti all'officina di Peppone. Peppone stava smon-tando pezzo per pezzo un motore d'automobile e, quando vide don Camillo, buttò per terra la chiave inglese e si mise i pugni sui fianchi. «Qui non si parla di politica» disse cupo Peppone «qui si lavora.» «Bene» rispose don Camillo accendendo il suo mezzo toscano. Poi spinse avanti Gigino. «Che roba è?» domandò Peppone. «Questo è un borghese che è scappato di casa per-ché lo vogliono far studiare e invece lui vuol fare il meccanico. Ti interessa?» Peppone guardò il ragazzo esile ed elegante poi

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  RACCONTO DI GIOVANNINO Questa storia racconta come è fatta una comunità cristiana, cosa la tiene unita, cosa la rende forte… La processione Tutti gli anni, per la sagra del paese, si portava in pro- cessione il Cristo Crocifisso dell'altare, e il corteo arri-vava fin sull'argine e c'era la benedizione delle ac-que, perché il fiume non facesse mattane e si com-portasse da galantuomo. Anche quella volta pareva che tutto dovesse funzio-nare con la solita regolarità e don Camillo stava pen-sando agli ultimi ritocchi da dare al programma della funzione, quando apparve in canonica il Brusco. «Il segretario della sezione» disse il Brusco «mi manda ad avvertirvi che quest' anno parteciperà alla proces-sione tutta la sezione al completo con bandiera.» «Ringrazio il segretario Peppone» rispose don Camillo. «Sarò felicissimo che tutti gli uomini della sezione siano presenti. Però bisogna che siano tanto gentili da la-sciare a casa la bandiera. Bandiere politiche in cortei sacri non ce ne devono essere. Questi sono gli ordini che ho io.» Il Brusco se ne andò e poco dopo arrivava Peppone rosso in faccia e con gli occhi fuori dalla testa. «Siamo cristiani come tutti gli altri!» gridò Peppone en-trando in canonica senza neanche domandar per-messo. «Cosa abbiamo noi di diverso dall'altra gen-te?» «Che quando entrate in casa d'altri non vi levate il cappello» rispose tranquillo don Camillo. Peppone si tolse con rabbia il cappello. «Adesso sei uguale agli altri cristiani» disse don Camil-lo. «Perché non possiamo venire alla processione con la nostra bandiera?» gridò Peppone. «Cos'ha la nostra bandiera? È la bandiera dei ladri e degli assassini?» «No, compagno Peppone» spiegò don Camillo ac-cendendo il toscano. «È una bandiera di partito e non ci può stare. Qui si fa della religione, non della politi-ca.» «E allora anche le bandiere dell'Azione Cattolica voi le dovete lasciare fuori!» «E perché? L'Azione Cattolica non è un partito politi-co, tanto è vero che il segretario sono io. Anzi io con-siglio te e i tuoi compagni di iscrivervi.» Peppone sghignazzò. «Se volete salvare la vostra animaccia nera dovreste iscrivervi voi al nostro Partito.» Don Camillo allargò le braccia. «Facciamo così» rispose sorridendo «ognuno rimane dov'è e amici come prima.» «Io e voi non siamo mai stati amici» affermò Peppone. «Neanche quando eravamo in montagna assieme?» «No! Era una semplice alleanza strategica. Per il trionfo della causa ci si può alleare anche coi preti.» «Bene» disse tranquillo don Camillo. «Però se volete venire in processione la bandiera la lasciate a casa.» Peppone strinse i denti. «Se voi credete di poter fare il Duce vi sbagliate, reve-rendo!» esclamò Peppone. «O con la nostra bandiera o niente processione!» Don Camillo non si impressionò. "Gli passerà" disse fra sé. E difatti nei tre giorni che precedettero la domeni-ca della sagra non si sentì fiatare sull'argomento. Ma la domenica, un'ora prima della Messa, arrivò in ca-

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La signora ebbe una crisi di pianto e le due ragazze guardarono con aria di rimprovero il padre. Non c'era nessuna necessità, perbacco, di dire una cosa simile. Ma il padre aveva da tanto quella cosa lì, sullo stomaco, e doveva ben dirla.

***

Gigino arrivò con la corriera delle sei del pomeriggio. Gironzolò per il paese e subito venne sera. Incominciò a piovigginare e il ragazzo si riparò sotto il porticato in fondo alla piazzetta. Guardò le vetrine delle tre o quattro bottegucce. Aveva ancora in tasca duecento lire e avrebbe volu-to entrare nel caffè per bere una tazza di latte, ma non trovava il coraggio di farlo. Traversò la piazza e andò a rifugiarsi nella chiesa. Si mise nell'angolo più nascosto e, verso le dieci, quando don Camillo andò a dar la buona notte al Cristo dell'altar maggiore, tro-vò Gigino addormentato su una panca. Il ragazzo, svegliato d'improvviso dall'urlaccio di don Camillo, vedendosi davanti quell'omaccio nero che pareva ancora più colossale nella penombra della chiesa, sbarrò gli occhi. «Cosa fai qui?» domandò don Camillo. «Scusi signore» balbettò il ragazzo. «Mi sono addor-mentato senza volere.» «Ma che signore!» borbottò don Camillo. «Non vedi che sono un prete?» «Scusi, reverendo» mormorò il ragazzo «vado via subi-to.» Don Camillo vide quei due grandi occhi pieni di lacri-me e agguantò per una spalla Gigino che già s'era avviato verso la porta. «E dove vai?» domandò. «Non lo so» rispose Gigino. Don Camillo cavò fuori dall'ombra il ragazzo, lo spinse davanti all'altar maggiore dove c'era luce, e lo squa-drò attentamente. «Oh, un signorino» disse alla fine. «Vieni dalla città?» «Sì.» «Vieni dalla città e non sai dove vai. Hai del dana-ro?» «Sì» rispose il ragazzo mostrando i due biglietti da cento lire. Don Camillo si avviò verso la porta rimorchiandosi Gi-gino. Quando furono arrivati in canonica, don Camillo prese tabarro e cappello: «Seguimi» disse brusco. «Andiamo a sentire cosa pen-sa di questa storia il maresciallo.» Gigino lo guardò sbalordito. «Non ho fatto niente» balbettò. «E allora perche" sei qui?» urlò don Camillo. Il ragazzo abbassò la testa. «Sono scappato da casa» spiegò. «Scappato. E per qual ragione?» «Vogliono per forza farmi studiare, ma io non capisco niente. Io voglio fare il meccanico.» «Il meccanico?» «Sì, signore. Tanti fanno il meccanico e sono contenti. Percé non posso essere contento anch'io?» Don Camillo riappese all'attaccapanni il tabarro. La tavola era ancora apparecchiata. Don Camillo frugò nella credenza e trovò un po' di formaggio e un pezzettino di carne. Poi si mise a sedere e stette a guardarsi come uno spettacolo Gigino che mangiava secondo tutte le re-gole della buona creanza. «Il meccanico vuoi fare?» domandò a un certo punto. «Sì, signore.» Don Camillo si mise a ridere e il ragazzo arrossì. Il letto dell'ospite era sempre pronto, al primo piano, e così non fu difficile sistemare il ragazzo. Prima di lasciarlo solo nella stanza, don Camillo gli buttò sul letto il suo tabarro. «Qui non ci sono i termosifoni» spiegò. «Qui fa freddo sul serio.»

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 nonica gente spaventata. La mattina presto la squa-dra di Peppone era passata in tutte le case e aveva avvertito che, se uno andava in processione, voleva dire che non gli premeva la salute. «A me non l'hanno detto» rispose don Camillo. «Quindi la cosa non mi interessa.» La processione doveva svolgersi alla fine della Messa. E, mentre in sagrestia don Camillo stava indossando i paramenti d'uso, arrivò un gruppo di parrocchiani. «Cosa si fa?» gli chiesero. «Si fa la processione» rispose tranquillo don Camillo. «Quelli sono capacissimi di but-tare bombe sul corteo!» gli obiettarono. «Voi non po-tete esporre i vostri fedeli a questo pericolo. Secondo noi si dovrebbe sospendere la processione, avvertire la forza pubblica della città e fare poi la processione quando fossero arrivati carabinieri in quantità suffi-ciente per tutelare la sicurezza della gente.» «Giusto» osservò don Camillo. «Nel frattempo si po-trebbe spiegare ai martiri della religione che hanno fatto malissimo a comportarsi come si sono comporta-ti, e che invece di andare a propagandare il cristiane-simo quando era proibito, dovevano aspettare che arrivassero i carabinieri.» Poi don Camillo indicò ai presenti da che parte fosse la porta, e quelli se ne andarono brontolando e di lì a poco entrò in chiesa un gruppo di vecchi e vecchie. «Noi veniamo, don Camillo» dissero. «Voi invece andate a casa subito!» rispose don Camil-lo. «Dio terrà conto delle vostre pie intenzioni. Questo è proprio uno di quei casi in cui vecchi, donne e bambini debbono starsene a casa.» Davanti alla chiesa era rimasto un gruppetto di perso-ne, ma quando dal paese si udirono degli spari (ed era semplicemente il Brusco che a scopo dimostrativo faceva fare i gargarismi al mitra sparacchiando in a-ria) anche il gruppetto superstite se la squagliò e don Camillo, affacciandosi alla porta della chiesa, trovò il sagrato deserto e pulito come un biliardo. «E allora non si va, don Camillo?» chiese in quel mo- mento il Cristo dell'altare. «Deve essere magnifico, il fiume, con tutto questo sole. Lo vedrò proprio volen-tieri.» «Si va sì» rispose don Camillo. «Guardate però che sta- volta ci sono io solo. Se vi accontentate...» «Quando c'è don Camillo ce n'è anche di troppo» dis-se sorridendo il Cristo. Don Camillo si adattò addosso rapidamente la barda-tura di cuoio col supporto per il piede della croce, cavò l'enorme Crocifisso dall'altare, lo infilò nel suppor-to, poi alla fine sospiro# : «Però potevano farla anche un tantino più leggera questa croce». «Dillo a me» rispose sorridendo il Cristo «che me la sono dovuta portare fin lassù e non avevo le spalle che hai tu.» Pochi minuti dopo don Camillo, reggendo il suo e-norme Crocifisso, usciva solennemente dalla porta della chiesa. Il paese era deserto: la gente si era rintanata in casa per la paura e spiava attraverso la fessura delle gelo-sie. "Deve dar l'idea di quei frati che giravano soli con la croce nera, nelle strade delle città popolate dalla pe-stilenza" osservò don Camillo tra sé. Poi si mise a sal-modiare col suo vocione baritonale e la voce ingigan-tiva nel silenzio. Traversò la piazza, prese a camminare al centro della via principale e anche qui era silenzio e deserto. Un piccolo cane uscì da una via laterale e, quieto quieto, si mise a camminare dietro a don Camillo.

RACCONTO DI GIOVANNINO Questa storia racconta che il lavoro mette in gioco tutte le nostre qualità, ci rende capaci di fare grandi cose e ci riempie di soddisfazioni. Gigino Gigino si sentì addosso gli occhi della madre e delle due sorelle, ma non alzò la testa dal piatto. La cameriera tornò in cucina e la signora ripetè: «E allora?». «Ho parlato con tutti i professori e col pre-side» spiegò il padre. «Hanno detto che va ancora peggio dell'anno scorso.» Gigino aveva quattordici anni ed era in seconda media: ripetente della secon-da media, dopo aver fatto per due anni la prima. «Mascalzone!» disse la signora rivolta verso Gigino. «Lezioni private di latino, lezioni di matematica, soldi, sacrifici!» A Gigino vennero le lacrime agli occhi. La signora si protese sopra la tavola, agguantò Gigino per i capelli e gli sollevò il viso. «Mascalzone!» ripetè. La signora si rivolse al marito: «Ma cosa fa? Che mascalzonate combina?». «Niente» spiegò il padre allargando le braccia. «Co-me condotta è a posto e nessuno si lamenta. Quando lo interrogano non risponde, quando fa i compiti in classe non riesce a scrivere una parola che non sia una bestialità. I professori non me lo hanno detto ma mi hanno fatto capire che per loro è un cretino.» «Non è un cretino!» gridò la signora. «È un vigliacco! Ma è ora di finirla: bisogna trovare il modo di farlo stu-diare. Sono pronta a sopportare tutti i sacrifici dell'uni-verso, ma deve andare in collegio.» Le due sorelle guardarono Gigino con disprezzo. «Per causa sua poi ne dobbiamo soffrire noi!» esclamò la maggiore che era già all'università. «Dobbiamo soffrirne noi che non ne abbiamo nessuna colpa» aggiunse l'altra che era una delle brave del liceo. «Ne soffriamo tutti» disse il padre. «Quando in una fa- miglia c'è una disgrazia pesa su tutti. A ogni modo, a costo di scannarmi, lo metterò in collegio.» Gigino era un ragazzo timido, di quelli che parlano poco: ma quella volta la disperazione lo prese e par-lò. «Non voglio più studiare!» disse. «Voglio fare il mec-canico!» La signora scattò in piedi e diede uno schiaffo a Gigi-no. «Voglio fare il meccanico!» ripetè Gigino. Il padre intervenne: «Calmati, Maria. Non bisogna far scenate. Lascialo dire: andrà in collegio e là troveran-no il modo di farlo studiare». «Non voglio più studiare!» insistette Gigino. «Voglio fare il meccanico.» «Vattene nella tua stanza!» disse il padre. Gigino se ne andò e il consesso riprese la discussione. «È più che mai necessario chiuderlo in collegio» affermò la signo-ra. «Oramai si ribella e qui succederebbero scenate d'inferno.» «Provvederò subito» assicurò il padre. «Oggi sono riu-scito a mantenermi calmo, ma in seguito non so se ci riuscirei più.» «È un ragazzo che ci farà rodere il fegato a tutti» disse la signora. «D'altra parte non possiamo permettere che, a forza di ripetere le classi, diventi la favola della città. Quando si ha un decoro bisogna mantenerlo a ogni costo.» «Certamente» approvò il padre. «Il figlio del nostro u-sciere che ha fatto la prima media con Gigino è già due classi più avanti di lui.»

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  «Passa via!» borbottò don Camillo. «Lascialo» sussurrò dall'alto il Cristo. «Così Peppone non potrà dire che alla processione non c'era neanche un cane.» La strada svoltava nel fondo e poi finivano le case, e dopo c'era la viottola che portava sull'argine. E, ap-pena svoltato, don Camillo si trovò improvvisamente la strada sbarrata. Due o trecento uomini avevano bloccata tutta la strada e stavano lì muti, a gambe larghe e a braccia conserte, e davanti c'era Peppone cupo, colle mani sui fianchi. Don Camillo avrebbe voluto essere un carro armato. Ma non poteva essere che don Camillo e quando fu arrivato a un metro da Peppone si fermò. Allora cavò l'enorme Crocifisso dal fodero di cuoio e lo sollevò brandendolo come una clava. «Gesù» disse don Camillo «teneteVi saldo che tiro giù!» Ma non ce ne fu bisogno perché, capita al volo la si-tuazione, gli uomini si ritrassero verso i marciapiedi e, come per incanto, un solco si aperse nella massa. Rimase in mezzo alla strada soltanto Peppone, con le mani sui fianchi e piantato sulle gambe aperte. Don Camillo infilò il piede del Crocifisso nel supporto di cuoio e marciò diritto su Peppone. E Peppone si sposto# . «Non mi scanso per voi, mi scanso per lui» disse Pep-pone indicando il Crocifisso. «E allora togliti il cappello dalla zucca!» rispose don Camillo senza guardarlo. Peppone si tolse il cappello e don Camillo passò so-lennemente fra gli uomini di Peppone. Quando fu sull'argine si fermò. «Gesù» disse ad alta voce don Camillo «se in questo sporco paese le case dei pochi galantuomini potesse-ro galleggiare come l'arca di Noè, io Vi pregherei di far venire una tal piena da spaccare l'argine e da sommergere tutto il paese. Ma siccome i pochi galan-tuomini vivono in case di mattoni uguali a quelle dei tanti farabutti, e non sarebbe giusto che i buoni do-vessero soffrire per le colpe dei mascalzoni tipo il sin-daco Peppone e tutta la sua ciurma di briganti sen-zadio, vi prego di salvare il paese dalle acque e di dargli ogni prosperità.» «Amen» disse dietro le spalle di don Camillo la voce di Peppone. «Amen» risposero in coro, dietro le spalle di don Camil-lo, gli uomini di Peppone che avevano seguito il Cro-cifisso. Don Camillo prese la via del ritorno e quando fu arri-vato nel sagrato e si volse perché il Cristo desse l'ulti-ma benedizione al fiume lontano, si trovò davanti: il cagnetto, Peppone, gli uomini di Peppone e tutti gli abitanti del paese. Il farmacista compreso che era ateo ma che, perbacco, un prete come don Camillo che riuscisse a rendere simpatico il Padreterno non lo aveva mai trovato!

racconto tratto da “Mondo piccolo”

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UNA MAMMA RACCONTA… Dio Padre è chiamato “il grande lavoratore” perché ogni istante, senza sosta, crea noi e le cose che ci circondano. Ma ognuno di noi ha un lavoro, perché ognuno di noi ha un compito. Ma qual è il compito? Vivere la propria vita co-me un regalo e spenderla senza riserve per rin-graziare Dio di questo grande regalo. Lavoro infatti non è solo quello che porta uno stipendio, ma ogni attività con la quale collabo-riamo con Dio alla realizzazione di un pezzetto di mondo più bello, più utile, più umano. Per una mamma lavoro è fare bene la mamma, per un papà è fare bene il papà. Per un bambino o un ragazzo lavoro è applicarsi con responsabilità a scuola, ma anche vivere bene in famiglia, svolgere con passione uno sport, coltivare seriamente un hobby o un’amicizia. Insomma, lavorare significa appassionarsi ed im-pegnarsi perché ciò che si ha tra le mani, qual-siasi cosa, porti frutto.

Il lavoro è tutto quello che faccio

per aiutare Dio a rendere il mondo

più bello

Quando lavoro bene io sono come Dio:

creatore di bellezza e di bontà

Si lavora per ringraziare Dio di tutti i suoi doni e

per far fruttare tutto ciò che ci da

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Page 16: cammino ragazzi avvento 2011

   

LA COMUNITÀ È… Fine della seconda settimana. Siamo già a metà cammino! La comunità cristiana come una grande famiglia, cammina con te, preparandosi a vivere le feste del Santo Natale. Proviamo a riassumere quello che hai incontrato in questa settimana: √ la comunità, come la tua famiglia, è un prezioso

dono del buon Dio

√ la comunità è come un abbraccio del buon Dio: accoglie chiunque desideri incontrare Gesù

√ la comunità è il popolo degli amici di Gesù, che si

sostengono e si fanno compagnia √ ciò che tiene unita la comunità non è la simpatia

delle persone, ma la fede che ciascuno ha in Ge-sù

√ quando in una comunità cristiana la fede è forte,

anche chi non crede (come nel racconto “La processione”) viene conquistato

Natale è Gesù, il Figlio di Dio,

che viene ad abitare tra di noi, portando pace e unità nella comunità.

Scrivi tu una preghiera a Gesù per la tua comunità… O mio buon Gesù, mentre aspetto il Santo Natale ti prego per la mia comunità: ____________________________________________________

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TERZA SETTIMANA DI AVVENTO dal 11 al 17 dicembre

IL LAVORO

PREGHIERA PER IL LAVORO

da recitare tutte le sere prima di andare a dormire

Voglio ringraziarti Gesù anche per il mio lavoro.

Aiutami a viverlo come occasione per essere un po’ come te, costruttore di cose buone,

per la felicità di tutti.

IMPEGNI PER LA SETTIMANA Segna con una crocetta gli impegni che sei riuscito a rispettare questa settimana

Incontro di catechesi Messa della domenica 11 dicembre Preghiera del mercoledì 14 dicembre

Preghiera della sera

dom lun mar mer gio ven sab

Lettura di “Una mamma racconta…” Lettura di “Racconto di Giovannino” Lettura di “Il lavoro è…” Risparmi nel salvadanaio

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