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Il semestrale di documenti ufficiali dell'arcidiocesi di Pescara-Penne. Anno 2011, II semestre

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BOLLETTINO UFFICIALE

DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA

DI PESCARA-PENNE

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periodico della diocesi di pescaraanno 63 - n° [email protected]

presidente:s. e. r. mons. tommaso [email protected]

direttore responsabile:dott. ernesto grippo

direttore:dott.ssa lidia [email protected]

programma editorialea cura del dott. simone [email protected]

amministratore:sac. antonio di giulio

editore:curia arcivescovile metropolitana pescara-pennesede legale:curia arcivescovile metropolitana pescara-pennepiazza spirito santo, 565121 pescara

fotocomposizione e stampa:tipografia grafica ltd65016 montesilvano (pe)

rivista diocesanac..c.p. n° 16126658periodico registrato presso il tribunale di pescaraal n° 11/95 in data 24.05.1995spedizione in abb. postale 50% pescara

curia metropolitanapiazza spirito santo, 5 - 65121 pescara - tel. 085-4222571 - fax 085-4213149

www.diocesipescara.it

arcivescovadopiazza spirito santo, 5 - 65121 pescara - tel. 085-2058897

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INDICE

LA PAROLA DI BENEDETTO XVI

DISCORSI

7 Ai giornalisti durante il volo verso Madrid12 Alla festa di accoglienza dei giovani15 Alle famiglie e ai sacerdoti19 Ai giovani fidanzati23 Al Parlamento Federale31 Alla Celebrazione Ecumenica35 Ai Seminaristi40 Alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia

nel mondo “Pellegrini della vertià, pellegrini della pace”

45 Ai Membri del Governo, i Rappresentanti delle Istituzioni della Repubblica,il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle principali Religioni

51 Alla Caritas Italiana nel 40° di fondazione55 Ai detenuti59 Risposte alle domande dei detenuti

MESSAGGI

67 Per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù77 Al Cardinale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, in occasio-

ne dell’Incontro Internazionale di preghiera per la pace “Bound to live to-gether”: Religioni e Culture in Dialogo, organizzato dalla Comunità diSant’Egidio”

80 Al Signor Jacques Diouf, Direttore Generale della F.A.O., in occasione dellaGiornata Mondiale dell’Alimentazione 2011

83 Per la Giornata Missionaria Mondiale 201187 Al secondo Congresso Nazionale della Famiglia in Ecuador90 Per il Natale 2011

OMELIE

93 Ai Primi Vespri della Solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio Te Deum diringraziamento

MOTU PROPRIO

98 Porta Fidei

LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANI

CEI - CONSIGLIO PERMANENTE - ROMA, 26/29 SETTEMBRE2011116 Comunicato finale

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INDICE

MESSAGGI123 Messaggio per la 6ª Giornata per la Salvaguardia del Creato128 Per la Giornata del Ringraziamento

LA PAROLA DI MONS. VALENTINETTI

NOMINE E DECRETI133 Nomine137 Escardinazione - Ordinazione e Ministeri138 Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali139 Statuto della Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali Ec-

clesiastici143 Componenti della Commissione Arte Sacra

IN DIOCESI

NOTIZIE147 Notizie in breve149 Notizie in rassegna

La missione riparte da Montesilvano - di Davide De Amicis152 Una casa accogliente è “Mia Gioia” - di Simone Chiappetta153 Desocializzati in una società desocializzante - di Davide De Amicis155 Gravelli, il nunzio gentile - di Simone Chiappetta

APPROFONDIMENTI156 “Formare alla vita secondo lo Spirito” - del dott. Salvatore Martinez

VARIE199 Omelia del Cardinale Jean Louis Tauran durante la commemorazione del

XXX Anniversario della Morte di Monsignor Gravelli

SPECIALE VLLAZNIA

209 Con Sapa per essere chiesa missionaria - di Simone Chiappetta211 “Vllaznia” Sapa e Pescara sempre più sorelle - di Simone Chiappetta213 L’Albania, tra la voglia di dimenticare e celare la storia - di Simone Chiap-

petta215 L’Arcidiocesi di Pescara una Chiesa in missione - di Davide De Amicis

AMMINISTRAZIONE

221 Errata corrige

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LA PAROLADI BENEDETTO XVI

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LA PAROLA DI BENEDETTO XVIDISCORSI

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Ai giornalisti durante il volo verso Madrid

Volo Papale verso la Spagna,in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

Giovedì, 18 agosto 2011

P. Lombardi: Santità, benvenuto tra noi, grazie mille, come al soli-to, di darci questo breve incontro durante il volo di andata. La “comu-nità volante” dei giornalisti, qui, è composta di 56 persone di tantiPaesi diversi, ma i giornalisti che la aspettano a Madrid sono più di4.000: quasi 5.000. E’ un record per la Spagna e anche per gli avveni-menti mondiali. Ci impegneremo tutti, naturalmente, a dare l’eco ade-guata alle sue parole per questo bellissimo avvenimento. Come al so-lito, le propongo alcune domande che mi sono state date nei giornipassati dai giornalisti qui presenti.

Santo Padre, siamo alla 26a Giornata Mondiale della Gioventù, la12a celebrata con un grande incontro mondiale. Giovanni Paolo II,che le ha inventate, ora è Beato ed è Protettore ufficiale di questaGMG di Madrid. All’inizio del Suo Pontificato ci si era domandati selei avrebbe continuato sulla linea del suo Predecessore. Ora lei è giàalla sua terza Giornata mondiale, dopo Colonia e Sydney. Come vedeil significato di questi eventi nella “strategia” pastorale della Chiesauniversale nel terzo Millennio?

Santo Padre: Cari amici, buongiorno! Sono contento di andare convoi in Spagna per questo grande avvenimento. Dopo due GMG vissu-te anche personalmente, posso soltanto dire che è stata realmenteun’ispirazione quella che è stata donata a Papa Giovanni Paolo II,quando ha creato questa realtà di un grande incontro dei giovani edel mondo con il Signore. Direi che queste GMG sono un segnale, unacascata di luce; danno visibilità alla fede, visibilità alla presenza di Dionel mondo e creano così il coraggio di essere credenti. Spesso i cre-denti si sentono isolati in questo mondo, quasi perduti. Qui, vedonoche non sono soli, che c’è una grande rete di fede, una grande comu-nità di credenti nel mondo, che è bello vivere in questa amicizia uni-

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versale. E così, mi sembra, nascono amicizie, amicizie oltre i confinidelle diverse culture, dei diversi Paesi. E questa nascita di una reteuniversale di amicizia, che collega mondo e Dio, è un’importanterealtà per il futuro dell’umanità, per la vita dell’umanità di oggi. Natu-ralmente, la GMG non può essere un avvenimento isolato: fa parte diun cammino più grande, va preparato da questo cammino della Croceche trasmigra in diversi Paesi e già unisce giovani nel segno della Cro-ce e nel meraviglioso segno della Madonna. E così la preparazionedella GMG è molto più che preparazione tecnica di un avvenimentocon tanti problemi tecnici, naturalmente; è una preparazione interiore,un mettersi in cammino verso gli altri, insieme verso Dio. E poi, dopo,segue la fondazione di gruppi di amicizia, tenere questo contatto uni-versale che apre le frontiere delle culture, dei contrasti umani, religio-si, e così è un cammino continuo che poi guida ad un nuovo vertice,ad una nuova GMG. Mi sembra, in questo senso, che si debba vederela GMG come segno, parte di un grande cammino; crea amicizie, aprefrontiere e rende visibile che è bello essere con Dio, che Dio è connoi. In questo senso, vogliamo continuare con questa grande idea delBeato Papa Giovanni Paolo II.

P Lombardi: Santità, i tempi cambiano. L’Europa e il mondo occi-dentale in generale vivono una crisi economica profonda, ma che ma-nifesta anche dimensioni di grave disagio sociale e morale e di grandeincertezza per il futuro, che diventano particolarmente dolorose per igiovani. Nei giorni scorsi abbiamo visto, ad esempio, i fatti avvenuti inGran Bretagna, con scatenamento di ribellione o di aggressività. Allostesso tempo ci sono segni di impegno generoso ed entusiasta, di vo-lontariato e solidarietà, di giovani credenti e non credenti. A Madridincontreremo moltissimi giovani meravigliosi. Quali messaggi può da-re la Chiesa per la speranza e l’incoraggiamento dei giovani del mon-do, soprattutto quelli che sono oggi tentati di scoraggiamento e di ri-bellione?

Santo Padre: Ecco. Si conferma nell’attuale crisi economica quantoè già apparso nella precedente grande crisi, che la dimensione etica,cioè, non è una cosa esteriore ai problemi economici, ma una dimen-sione interiore e fondamentale. L’economia non funziona solo con

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un’autoregolamentazione di mercato, ma ha bisogno di una ragioneetica per funzionare per l’uomo. E appare di nuovo quanto aveva giàdetto nella sua prima enciclica sociale Papa Giovanni Paolo II, chel’uomo dev’essere il centro dell’economia e che l’economia non è damisurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti,include responsabilità per l’altro e funziona veramente bene solo sefunziona in modo umano, nel rispetto dell’altro. E con le diverse di-mensioni: responsabilità per la propria Nazione e non solo per sestessi; responsabilità per il mondo – anche una Nazione non è isolata,anche l’Europa non è isolata, ma è responsabile per l’intera umanità edeve pensare ai problemi economici sempre in questa chiave della re-sponsabilità anche per le altre parti del mondo, per quelle che soffro-no, hanno sete e fame, non hanno futuro. E quindi – terza dimensio-ne di questa responsabilità – è la responsabilità per il futuro. Sappia-mo che dobbiamo proteggere il nostro pianeta, ma dobbiamo proteg-gere – tutto sommato – il funzionamento del servizio del lavoro eco-nomico per tutti e pensare che il domani è anche l’oggi. Se i giovanidi oggi non trovano prospettive nella loro vita, anche il nostro oggi èsbagliato e “male”. Quindi, la Chiesa con la sua dottrina sociale, conla sua dottrina sulla responsabilità verso Dio, apre la capacità di ri-nunciare al massimo del profitto e di vedere le cose nella dimensioneumanistica e religiosa, cioè: essere l’uno per l’altro. Così si possonoanche aprire le strade. Il grande numero di volontari che lavorano indiverse parti del mondo, non per sé ma per l’altro, e trovano propriocosì il senso della vita, dimostrano che è possibile fare questo e cheun’educazione a questi grandi scopi, come cerca di fare la Chiesa, èfondamentale per il nostro futuro.

P Lombardi: Santità, i giovani del mondo di oggi vivono general-mente in ambienti multiculturali e multiconfessionali. La tolleranza re-ciproca è più necessaria che mai. Lei insiste sempre molto sul temadella verità. Non pensa che questa insistenza sulla verità e sull’unicaVerità che è Cristo sia un problema per i giovani di oggi? Non pensache questa insistenza li indirizzi alla contrapposizione e alla difficoltàdi dialogare e cercare insieme agli altri?

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Santo Padre: Il collegamento tra verità e intolleranza, monoteismoe incapacità di dialogo con gli altri, è un argomento che spesso ritor-na nel dibattito sul cristianesimo di oggi. E, naturalmente, è vero chenella storia ci sono stati anche abusi, sia del concetto della verità, siadel concetto del monoteismo; ma sono stati abusi. La realtà è total-mente diversa. L’argomento è sbagliato, perché la verità è accessibilesolo nella libertà. Si possono imporre con violenza, comportamenti,osservanze, attività, ma non la verità! La verità si apre solo alla libertà,al consenso libero, e perciò libertà e verità sono intimamente unite,l’una è condizione per l’altra. E, del resto, cercare la verità, i veri valo-ri che danno vita e futuro, é senza alternativa: non vogliamo la men-zogna, non vogliamo il positivismo di norme imposte con una certaforza; solo i valori veri portano al futuro e diciamo che è necessario,quindi, cercare i valori veri e non permettere l’arbitrio di alcuni, nonlasciare che si fissi una ragione positivista che ci dice, circa i problemietici, i grandi problemi dell’uomo: non c’è una verità razionale. Que-sto sarebbe veramente esporre l’uomo all’arbitrio di quanti hanno ilpotere. Dobbiamo essere sempre alla ricerca della verità, dei veri va-lori; abbiamo un nucleo nei valori, nei diritti umani fondamentali; altrisimili elementi fondamentali sono riconosciuti e, proprio questi, cimettono in dialogo l’uno con l’altro. La verità come tale è dialogicaperché cerca di conoscere meglio, di capire meglio e lo fa in dialogocon gli altri. Così, ricercare la verità e la dignità dell’uomo è la mag-giore difesa della libertà.

Padre Lombardi: Un ultima domanda, Santità. Le Giornate Mon-diali della Gioventù sono un tempo bellissimo e suscitano molti entu-siasmi, ma i giovani poi tornano a casa e ritrovano un mondo in cui lapratica religiosa è in diminuzione fortissima. Molti di loro probabil-mente non si vedranno più in chiesa. Come si può dare continuità aifrutti delle Giornate Mondiali della Gioventù? Pensa che diano effetti-vamente frutti di lunga durata al di là dei momenti di grande entusia-smo?

Santo Padre: La seminagione di Dio è sempre silenziosa, non ap-pare subito nelle statistiche. E con il seme che il Signore mette nellaterra con le GMG, è come con il seme del quale Egli parla nel Vange-

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lo: qualcosa cade sulla strada e si perde; qualcosa cade sulla pietra, esi perde; qualcosa cade tra i rovi, e si perde; ma qualcosa cade sullaterra buona e porta grande frutto. Proprio così è anche con la semina-gione della GMG: molto si perde – e questo è umano. Con altre paro-le del Signore: il granello di senape è piccolo, ma cresce e diventa ungrande albero. Con altre parole ancora: certamente, molto si perde,non possiamo subito dire: da domani ricomincia una grande crescitadella Chiesa. Dio non agisce così. Ma cresce in silenzio e tanto. Sodalle altre GMG che sono nate tante amicizie, amicizie per la vita; tan-te nuove esperienze che Dio c’è. E su questa crescita silenziosa noi ri-poniamo fiducia e siamo sicuri, anche se le statistiche non parlerannomolto, che il seme del Signore realmente cresce e sarà per moltissimepersone l’inizio di un’amicizia con Dio e con altri, di un’universalitàdel pensiero, di una responsabilità comune che realmente ci mostrache questi giorni portano frutto. Grazie!

P. Lombardi: Grazie a lei, Santità, di questa conversazione che giàci orienta verso i temi essenziali di questi giorni bellissimi. Le faccia-mo, naturalmente, i nostri auguri perché siano giorni – nonostante ilcaldo – pieni di gioia e di soddisfazioni. Però, prima di lasciarla torna-re al suo posto, volevo dire che anche per la nostra comunità oggi èun giorno di festa in particolare, perché c’è una delle nostre decane,una che ha fatto tutti i viaggi di Giovanni Paolo II e tutti i suoi, tranneuno solo, perché non stava molto bene, e che oggi compie gli anni.Gli anni sono naturalmente pochi, anche se i viaggi sono stati molti.Si tratta di Paloma Gómez Borrero a cui tutti facciamo gli auguri, eglieli facciamo insieme a lei.

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Alla festa di accoglienza dei giovani

Plaza de Cibeles, Madrid in SpagnaGiovedì, 18 agosto 2011

Cari amici,

ringrazio per le affettuose parole che mi hanno rivolto i giovanirappresentanti dei cinque continenti. Saluto con affetto tutti coloroche sono qui radunati, giovani di Oceania, Africa, America, Asia edEuropa; e anche coloro che non sono potuti venire. Vi tengo semprepresenti e prego per voi. Dio mi ha concesso la grazia di potervi ve-dere e udire più da vicino, e di porci insieme in ascolto della sua Pa-rola.

Nella lettura che è stata proclamata, abbiamo ascoltato un passodel Vangelo nel quale si parla di accogliere le parole di Gesù e dimetterle in pratica. Vi sono parole che servono solamente per intratte-nere e passano come il vento; altre istruiscono la mente in alcuniaspetti; quelle di Gesù, invece, devono giungere al cuore, radicarsi inesso e forgiare tutta la vita. Senza ciò, rimangono vuote e divengonoeffimere. Esse non ci avvicinano a Lui. E, in tal modo, Cristo continuaad essere lontano, come una voce tra molte altre che ci circondano ealle quali ci siamo già abituati. Il Maestro che parla, inoltre, non inse-gna ciò che ha appreso da altri, ma ciò che Egli stesso è, l’unico checonosce davvero il cammino dell’uomo verso Dio, perché è Egli stes-so che lo ha aperto per noi, lo ha creato perché potessimo raggiunge-re la vita autentica, quella che sempre vale la pena di vivere, in ognicircostanza, e che neppure la morte può distruggere. Il Vangelo prose-gue spiegando queste cose con la suggestiva immagine di chi costrui-sce sopra la roccia stabile, resistente agli attacchi delle avversità, con-trariamente a chi edifica sulla sabbia, forse in un luogo paradisiaco,potremmo dire oggi, ma che si sgretola al primo soffio dei venti e sitrasforma in rovina.

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Cari giovani, ascoltate veramente le parole del Signore, perché sia-no in voi "spirito e vita" (Gv 6,63), radici che alimentano il vostro es-sere, criteri di condotta che ci assimilano alla persona di Cristo: esserepoveri di spirito, affamati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore,amanti della pace. Fatelo ogni giorno con costanza, come si fa con ilvero Amico che non ci defrauda e con il quale vogliamo condividereil cammino della vita. Ben sapete che, quando non si cammina al fian-co di Cristo, che ci guida, noi ci disperdiamo per altri sentieri, comequello dei nostri impulsi ciechi ed egoisti, quello delle proposte chelusingano, ma che sono interessate, ingannevoli e volubili, lasciano ilvuoto e la frustrazione dietro di sé.

Approfittate di questi giorni per conoscere meglio Cristo e avere lacertezza che, radicati in Lui, il vostro entusiasmo e la vostra allegria, ivostri desideri di andare oltre, di raggiungere ciò che è più elevato, fi-no a Dio, hanno sempre un futuro certo, perché la vita in pienezza di-mora già nel vostro essere. Fatela crescere con la grazia divina, gene-rosamente e senza mediocrità, prendendo in considerazione seriamen-te la meta della santità. E, davanti alle nostre debolezze, che a volte ciopprimono, contiamo anche sulla misericordia del Signore, che èsempre disposto a darci di nuovo la mano e che ci offre il perdono at-traverso il Sacramento della Penitenza.

Edificando sulla ferma roccia, non solamente la vostra vita sarà soli-da e stabile, ma contribuirà a proiettare la luce di Cristo sui vostri coe-tanei e su tutta l’umanità, mostrando un’alternativa valida a tanti che sisono lasciati andare nella vita, perché le fondamenta della propria esi-stenza erano inconsistenti. A tanti che si accontentano di seguire lecorrenti di moda, si rifugiano nell’interesse immediato, dimenticandola giustizia vera, o si rifugiano nelle proprie opinioni invece di cercarela verità senza aggettivi.

Sì, ci sono molti che, credendosi degli dei, pensano di non aver bi-sogno di radici, né di fondamenti che non siano essi stessi. Desidere-rebbero decidere solo da sé ciò che è verità o no, ciò che è bene omale, giusto e ingiusto; decidere chi è degno di vivere o può esseresacrificato sull’altare di altre prospettive; fare in ogni istante un passo

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a caso, senza una rotta prefissata, facendosi guidare dall’impulso delmomento. Queste tentazioni sono sempre in agguato. È importantenon soccombere ad esse, perché, in realtà, conducono a qualcosa dievanescente, come un’esistenza senza orizzonti, una libertà senza Dio.Noi, in cambio, sappiamo bene che siamo stati creati liberi, a immagi-ne di Dio, precisamente perché siamo protagonisti della ricerca dellaverità e del bene, responsabili delle nostre azioni, e non meri esecuto-ri ciechi, collaboratori creativi nel compito di coltivare e abbellire l’o-pera della creazione. Dio desidera un interlocutore responsabile, qual-cuno che possa dialogare con Lui e amarlo. Per mezzo di Cristo lopossiamo conseguire veramente e, radicati in Lui, diamo ali alla nostralibertà. Non è forse questo il grande motivo della nostra gioia? Non èforse questo un terreno solido per edificare la civiltà dell’amore e del-la vita, capace di umanizzare ogni uomo?

Cari amici: siate prudenti e saggi, edificate la vostra vita sulla baseferma che è Cristo. Questa saggezza e prudenza guiderà i vostri passi,nulla vi farà temere e nel vostro cuore regnerà la pace. Allora saretebeati, felici, e la vostra allegria contagerà gli altri. Si domanderannoquale sia il segreto della vostra vita e scopriranno che la roccia chesostiene tutto l’edificio e sopra la quale si appoggia tutta la vostra esi-stenza è la persona stessa di Cristo, vostro amico, fratello e Signore, ilFiglio di Dio fatto uomo, che dà consistenza a tutto l’universo. Eglimorì per noi e risuscitò perché avessimo vita, e ora, dal trono del Pa-dre, continua ad essere vivo e vicino a tutti gli uomini, vegliando con-tinuamente con amore per ciascuno di noi.

Affido i frutti di questa GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙalla Santissima Vergine Maria, che seppe dire "sì" alla volontà di Dio, eci insegna come nessun altro la fedeltà al suo divin Figlio, che seguìfino alla sua morte sulla croce. Mediteremo tutto ciò più attentamentenelle diverse stazioni della Via Crucis. Preghiamo che, come Lei, il no-stro "sì" di oggi a Cristo sia anche un "sì" incondizionato alla sua ami-cizia, alla fine di questa Giornata e durante tutta la nostra vita. Grazie.

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Alle famiglie e ai sacerdoti

Cattedrale di San Ciriaco, AnconaDomenica, 11 settembre 2011

Cari sacerdoti e cari sposi

Il colle su cui è costruita questa Cattedrale ci ha consentito un bel-lissimo sguardo sulla città e sul mare; ma nel varcare il maestoso por-tale l’animo rimane affascinato dall’armonia dello stile romanico, arric-chito da un intreccio di influssi bizantini e di elementi gotici. Anchenella vostra presenza – sacerdoti e sposi provenienti dalle diverse dio-cesi italiane – si coglie la bellezza dell’armonia e della complementa-rità delle vostre differenti vocazioni. La mutua conoscenza e la stimavicendevole, nella condivisione della stessa fede, portano ad apprez-zare il carisma altrui e a riconoscersi all’interno dell’unico “edificiospirituale” (1 Pt 2,5) che, avendo come pietra angolare lo stesso CristoGesù, cresce ben ordinato per essere tempio santo nel Signore (cfr Ef2,20-21). Grazie, dunque, per questo incontro: al caro Arcivescovo,Mons. Edoardo Menichelli – anche per le espressioni con cui lo ha in-trodotto – e a ciascuno di voi.

Vorrei soffermarmi brevemente sulla necessità di ricondurre Ordinesacro e Matrimonio all’unica sorgente eucaristica. Entrambi questi statidi vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona se stesso per lasalvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una mis-sione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amo-re a servizio della comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio (cfrCatechismo della Chiesa Cattolica, n. 1534). Questa prospettiva con-sente anzitutto di superare una visione riduttiva della famiglia, che laconsidera come mera destinataria dell’azione pastorale. È vero che, inquesta stagione difficile, essa necessita di particolari attenzioni. Nonper questo, però, ne va sminuita l’identità e mortificata la specifica re-sponsabilità. La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene insostituibileper i figli, fondamento indispensabile della società, comunità vitaleper il cammino della Chiesa.

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LA PAROLA DI BENEDETTO XVIDISCORSI

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A livello ecclesiale valorizzare la famiglia significa riconoscerne larilevanza nell’azione pastorale. Il ministero che nasce dal Sacramentodel Matrimonio è importante per la vita della Chiesa: la famiglia è luo-go privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questafinalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un donoprezioso per l’edificazione della comunità. La vicinanza del sacerdotealla famiglia, a sua volta, l’aiuta a prendere coscienza della propriarealtà profonda e della propria missione, favorendo lo sviluppo di unaforte sensibilità ecclesiale. Nessuna vocazione è una questione privata,tantomeno quella al matrimonio, perché il suo orizzonte è la Chiesaintera. Si tratta, dunque, di saper integrare ed armonizzare, nell’azionepastorale, il ministero sacerdotale con “l’autentico Vangelo del matri-monio e della famiglia” (CEI, Direttorio di pastorale familiare, 25 lu-glio 1993, 8) per una comunione fattiva e fraterna. E l’Eucaristia è ilcentro e la sorgente di questa unità che anima tutta l’azione dellaChiesa.

Cari sacerdoti, per il dono che avete ricevuto nell’Ordinazione, sie-te chiamati a servire come Pastori la comunità ecclesiale, che è “fami-glia di famiglie”, e quindi ad amare ciascuno con cuore paterno, conautentico distacco da voi stessi, con dedizione piena, continua e fede-le: voi siete segno vivo che rimanda a Cristo Gesù, l’unico Buon Pa-store. Conformatevi a Lui, al suo stile di vita, con quel servizio totaleed esclusivo di cui il celibato è espressione. Anche il sacerdote ha unadimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di Cristo Sposo,che dà la vita per la Chiesa sua sposa (cfr Esort. ap. postsin. Sacra-mentum caritatis, 24). Coltivate una profonda familiarità con la Paroladi Dio, luce nel vostro cammino. La celebrazione quotidiana e fedeledell’Eucaristia sia il luogo dove attingere la forza per donare voi stessiogni giorno nel ministero e vivere costantemente alla presenza di Dio:è Lui la vostra dimora e la vostra eredità. Di questo dovete essere te-stimoni per la famiglia e per ogni persona che il Signore pone sullavostra strada, anche nelle circostanze più difficili (cfr ibid., 80). Inco-raggiate i coniugi, condividetene le responsabilità educative, aiutatelia rinnovare continuamente la grazia del loro matrimonio. Rendeteprotagonista la famiglia nell’azione pastorale. Siate accoglienti e mise-ricordiosi, anche con quanti fanno più fatica ad adempiere gli impegni

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LA PAROLA DI BENEDETTO XVIDISCORSI

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assunti con il vincolo matrimoniale e con quanti, purtroppo, vi sonovenuti meno.

Cari sposi, il vostro Matrimonio si radica nella fede che “Dio èamore” (1Gv 4,8) e che seguire Cristo significa “rimanere nell’amore”(cfr Gv 15,9-10). La vostra unione – come insegna San Paolo – è se-gno sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa (cfr Ef 5,32), amo-re che culmina nella Croce e che è “significato e attuato nell’Eucari-stia” (Esort. ap. Sacramentum caritatis, 29). Il Mistero eucaristico inci-da sempre più profondamente nella vostra vita quotidiana: traete ispi-razione e forza da questo Sacramento per il vostro rapporto coniugalee per la missione educativa a cui siete chiamati; costruite le vostre fa-miglie nell’unità, dono che viene dall’alto e che alimenta il vostro im-pegno nella Chiesa e nel promuovere un mondo giusto e fraterno.Amate i vostri sacerdoti, esprimete loro l’apprezzamento per il genero-so servizio che svolgono. Sappiate sopportarne anche i limiti, senzamai rinunciare a chiedere loro che siano fra voi ministri esemplari chevi parlano di Dio e che vi conducono a Dio. La vostra fraternità è perloro un prezioso aiuto spirituale e un sostegno nelle prove della vita.

Cari sacerdoti e cari sposi, sappiate trovare sempre nella santa Mes-sa la forza per vivere l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, nelperdono, nel dono di sé stessi e nella gratitudine. Il vostro agire quo-tidiano abbia nella comunione sacramentale la sua origine e il suocentro, perché tutto sia fatto a gloria di Dio. In questo modo, il sacrifi-cio di amore di Cristo vi trasformerà, fino a rendervi in Lui “un solocorpo e un solo spirito” (cfr Ef 4,4-6). L’educazione alla fede dellenuove generazioni passa anche attraverso la vostra coerenza. Testimo-niate loro la bellezza esigente della vita cristiana, con la fiducia e lapazienza di chi conosce la potenza del seme gettato nel terreno. Co-me nell’episodio evangelico che abbiamo ascoltato (Mc 5,21-24.35-43),siate, per quanti sono affidati alla vostra responsabilità, segno dellabenevolenza e della tenerezza di Gesù: in Lui si rende visibile come ilDio che ama la vita non è estraneo o lontano dalle vicende umane,ma è l’Amico che mai abbandona. E nei momenti in cui si insinuassela tentazione che ogni impegno educativo sia vano, attingete dall’Eu-caristia la luce per rafforzare la fede, sicuri che la grazia e la potenza

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di Gesù Cristo possono raggiungere l’uomo in ogni situazione, anchela più difficile.

Cari amici, vi affido tutti alla protezione di Maria, venerata in que-sta Cattedrale con il titolo di “Regina di tutti i Santi”. La tradizione nelega l’immagine all’ex voto di un marinaio, in ringraziamento per lasalvezza del figlio, uscito indenne da una tempesta di mare. Lo sguar-do materno della Madre accompagni anche i vostri passi nella santitàverso un approdo di pace.

Grazie.

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Ai giovani fidanzati

Piazza del Plebiscito, AnconaDomenica, 11 settembre 2011

Cari fidanzati!

Sono lieto di concludere questa intensa giornata, culmine del Con-gresso Eucaristico Nazionale, incontrando voi, quasi a voler affidarel’eredità di questo evento di grazia alle vostre giovani vite. Del resto,l’Eucaristia, dono di Cristo per la salvezza del mondo, indica e contie-ne l’orizzonte più vero dell’esperienza che state vivendo: l’amore diCristo quale pienezza dell’amore umano. Ringrazio l’Arcivescovo diAncona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, per il suo cordiale eprofondo saluto, e tutti voi per questa vivace partecipazione; grazieanche per le domande che mi avete rivolto e che io accolgo confidan-do nella presenza in mezzo a noi del Signore Gesù: Lui solo ha paroledi vita eterna, parole di vita per voi e per il vostro futuro!

Quelli che ponete sono interrogativi che, nell’attuale contesto so-ciale, assumono un peso ancora maggiore. Vorrei offrirvi solo qualcheorientamento per una risposta. Per certi aspetti, il nostro è un temponon facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tantecose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Ca-na, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa. Soprattutto ladifficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sul-l’avvenire. Questa condizione contribuisce a rimandare l’assunzione didecisioni definitive, e incide in modo negativo sulla crescita della so-cietà, che non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di energie, dicompetenze e di creatività della vostra generazione.

Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescin-dere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto amuoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perime-tro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflettein un relativismo che intacca i valori essenziali; la consonanza di sen-

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sazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più importante dellacondivisione di un progetto di vita. Anche le scelte di fondo allora di-ventano fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso vieneritenuta espressione di libertà, mentre ne segnala piuttosto la carenza.Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparenteesaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende afarla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore.

Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non per-dete mai la speranza. Abbiate coraggio, anche nelle difficoltà, rima-nendo saldi nella fede. Siate certi che, in ogni circostanza, siete amatie custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Perquesto è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghie-ra personale e comunitaria, sia costante, fedele, proprio come è ilcammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama. Nullaci può separare dall’amore di Dio! Siate certi, poi, che anche la Chiesavi è vicina, vi sostiene, non cessa di guardare a voi con grande fidu-cia. Essa sa che avete sete di valori, quelli veri, su cui vale la pena dicostruire la vostra casa! Il valore della fede, della persona, della fami-glia, delle relazioni umane, della giustizia. Non scoraggiatevi davantialle carenze che sembrano spegnere la gioia sulla mensa della vita.Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò iservi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: “Qualsia-si cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ultimedi Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo testamento spirituale, eavrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa!

Come fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre allameraviglia dell’incontro e fa scoprire la bellezza di esistere e di esserepreziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu sei impor-tante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammi-no. Non rinunciate a perseguire un ideale alto di amore, riflesso e te-stimonianza dell’amore di Dio! Ma come vivere questa fase della vo-stra vita, testimoniare l’amore nella comunità? Vorrei dirvi anzitutto dievitare di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti; fatepiuttosto che la vostra relazione diventi lievito di una presenza attivae responsabile nella comunità. Non dimenticate, poi, che, per essere

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autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a parti-re dall’attrazione iniziale e dal “sentirsi bene” con l’altro, educatevi a“volere bene” all’altro, a “volere il bene” dell’altro. L’amore vive digratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro.

Cari amici, ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci hacreati, e la cui grazia santifica la scelta di un uomo e di una donna diconsegnarsi reciprocamente la vita nel matrimonio. Vivete questo tem-po del fidanzamento nell’attesa fiduciosa di tale dono, che va accoltopercorrendo una strada di conoscenza, di rispetto, di attenzioni chenon dovete mai smarrire: solo a questa condizione il linguaggio dell’a-more rimarrà significativo anche nello scorrere degli anni. Educatevi,poi, sin da ora alla libertà della fedeltà, che porta a custodirsi recipro-camente, fino a vivere l’uno per l’altro. Preparatevi a scegliere conconvinzione il “per sempre” che connota l’amore: l’indissolubilità, pri-ma che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissu-to, oltre ogni mutevole situazione umana. E non pensate, secondouna mentalità diffusa, che la convivenza sia garanzia per il futuro.Bruciare le tappe finisce per “bruciare” l’amore, che invece ha biso-gno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisognodi dare spazio a Cristo, che è capace di rendere un amore umano fe-dele, felice e indissolubile. La fedeltà e la continuità del vostro volervibene vi renderanno capaci anche di essere aperti alla vita, di esseregenitori: la stabilità della vostra unione nel Sacramento del Matrimo-nio permetterà ai figli che Dio vorrà donarvi di crescere fiduciosi nellabontà della vita. Fedeltà, indissolubilità e trasmissione della vita sono ipilastri di ogni famiglia, vero bene comune, patrimonio prezioso perl’intera società. Fin d’ora, fondate su di essi il vostro cammino verso ilmatrimonio e testimoniatelo anche ai vostri coetanei: è un servizioprezioso! Siate grati a quanti con impegno, competenza e disponibilitàvi accompagnano nella formazione: sono segno dell’attenzione e dellacura che la comunità cristiana vi riserva. Non siete soli: ricercate e ac-cogliete per primi la compagnia della Chiesa.

Vorrei tornare ancora su un punto essenziale: l’esperienza dell’amo-re ha al suo interno la tensione verso Dio. Il vero amore promettel’infinito! Fate, dunque, di questo vostro tempo di preparazione al ma-

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trimonio un itinerario di fede: riscoprite per la vostra vita di coppia lacentralità di Gesù Cristo e del camminare nella Chiesa. Maria ci inse-gna che il bene di ciascuno dipende dall’ascoltare con docilità la pa-rola del Figlio. In chi si fida di Lui, l’acqua della vita quotidiana si mu-ta nel vino di un amore che rende buona, bella e feconda la vita. Ca-na, infatti, è annuncio e anticipazione del dono del vino nuovo del-l’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il Signore ci raggiunge, cirinnova e trasforma. Non smarrite l’importanza vitale di questo incon-tro: l’assemblea liturgica domenicale vi trovi pienamente partecipi:dall’Eucaristia scaturisce il senso cristiano dell’esistenza e un nuovomodo di vivere (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 72-73).E non avrete, allora, paura nell’assumere l’impegnativa responsabilitàdella scelta coniugale; non temerete di entrare in questo “grande mi-stero”, nel quale due persone diventano una sola carne (cfr Ef 5,31-32).

Carissimi giovani, vi affido alla protezione di San Giuseppe e diMaria Santissima; seguendo l’invito della Vergine Madre – “Qualsiasicosa vi dica, fatela” – non vi mancherà il gusto della vera festa e sa-prete portare il “vino” migliore, quello che Cristo dona per la Chiesa eper il mondo. Vorrei dirvi che anch’io sono vicino a voi e a tutti colo-ro che, come voi, vivono questo meraviglioso cammino di amore. Vibenedico con tutto il cuore!

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Al Parlamento Federale

Reichstag di Berlin in GermaniaGiovedì, 22 settembre 2011

Illustre Signor Presidente Federale!Signor Presidente del Bundestag!Signora Cancelliere Federale!Signora Presidente del Bundesrat!Signore e Signori Deputati!

È per me un onore e una gioia parlare davanti a questa Camera alta– davanti al Parlamento della mia Patria tedesca, che si riunisce quicome rappresentanza del popolo, eletta democraticamente, per lavora-re per il bene della Repubblica Federale della Germania. Vorrei ringra-ziare il Signor Presidente del Bundestag per il suo invito a tenere que-sto discorso, così come per le gentili parole di benvenuto e di apprez-zamento con cui mi ha accolto. In questa ora mi rivolgo a Voi, stimatiSignori e Signore – certamente anche come connazionale che si sa le-gato per tutta la vita alle sue origini e segue con partecipazione le vi-cende della Patria tedesca. Ma l’invito a tenere questo discorso è rivol-to a me in quanto Papa, in quanto Vescovo di Roma, che porta la su-prema responsabilità per la cristianità cattolica. Con ciò Voi riconosce-te il ruolo che spetta alla Santa Sede quale partner all’interno della Co-munità dei Popoli e degli Stati. In base a questa mia responsabilità in-ternazionale vorrei proporVi alcune considerazioni sui fondamentidello Stato liberale di diritto.

Mi si consenta di cominciare le mie riflessioni sui fondamenti deldiritto con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Pri-mo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasionedella sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Checosa chiederà il giovane sovrano in questo momento? Successo, ric-chezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questoegli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile,perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il

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bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto la Bibbia vuole indi-carci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico. Ilsuo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politiconon deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La poli-tica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizio-ni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successosenza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell’azione politi-ca effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, allavolontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto. Il successo puòessere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffa-zione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – e al-lora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” hasentenziato una volta sant’Agostino. [1] Noi tedeschi sappiamo per no-stra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio.Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsidel potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Statoera diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventatouna banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare ilmondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto ecombattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamen-tale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistatoun potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolar-mente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può mani-polare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escluderealtri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa ègiusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero di-ritto e il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la que-stione decisiva davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trova-no anche oggi.

In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello dellamaggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nel-le questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignitàdell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel pro-cesso di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità de-ve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. Nel terzo seco-lo, il grande teologo Origene ha giustificato così la resistenza dei cri-

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stiani a certi ordinamenti giuridici in vigore: “Se qualcuno si trovassepresso il popolo della Scizia che ha leggi irreligiose e fosse costretto avivere in mezzo a loro … questi senz’altro agirebbe in modo molto ra-gionevole se, in nome della legge della verità che presso il popolodella Scizia è appunto illegalità, insieme con altri che hanno la stessaopinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in vigo-re…” [2]

In base a questa convinzione, i combattenti della resistenza hannoagito contro il regime nazista e contro altri regimi totalitari, rendendocosì un servizio al diritto e all’intera umanità. Per queste persone eraevidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era in-giustizia. Ma nelle decisioni di un politico democratico, la domanda suche cosa ora corrisponda alla legge della verità, che cosa sia veramen-te giusto e possa diventare legge non è altrettanto evidente. Ciò che inriferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia la cosa giu-sta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di persé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramente è giu-sto e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato faciletrovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze edelle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più diffi-cile.

Come si riconosce ciò che è giusto? Nella storia, gli ordinamentigiuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla basedi un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto.Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha maiimposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamen-to giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla na-tura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armo-nia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppo-ne l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio.Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosoficoe giuridico che si era formato sin dal secolo II a. Cr. Nella prima metàdel secondo secolo precristiano si ebbe un incontro tra il diritto natu-rale sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del dirittoromano. [3] In questo contatto è nata la cultura giuridica occidentale,

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che è stata ed è tuttora di un’importanza determinante per la culturagiuridica dell’umanità. Da questo legame precristiano tra diritto e filo-sofia parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo svi-luppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Dirittiumani e fino alla nostra Legge Fondamentale tedesca, con cui il no-stro popolo, nel 1949, ha riconosciuto “gli inviolabili e inalienabili di-ritti dell'uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pacee della giustizia nel mondo”.

Per lo sviluppo del diritto e per lo sviluppo dell’umanità è stato de-cisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro il dirittoreligioso, richiesto dalla fede nelle divinità, e si siano messi dalla partedella filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ra-gione e la natura nella loro correlazione. Questa scelta l’aveva giàcompiuta san Paolo, quando, nella sua Lettera ai Romani, afferma:“Quando i pagani, che non hanno la Legge [la Torà di Israele], per na-tura agiscono secondo la Legge, essi… sono legge a se stessi. Essi di-mostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come ri-sulta dalla testimonianza della loro coscienza…” (Rm 2,14s). Qui com-paiono i due concetti fondamentali di natura e di coscienza, in cui“coscienza” non è altro che il “cuore docile” di Salomone, la ragioneaperta al linguaggio dell’essere. Se con ciò fino all’epoca dell’Illumini-smo, della Dichiarazione dei Diritti umani dopo la seconda guerramondiale e fino alla formazione della nostra Legge Fondamentale laquestione circa i fondamenti della legislazione sembrava chiarita, nel-l’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento dellasituazione. L’idea del diritto naturale è considerata oggi una dottrinacattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere aldi fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzio-narne anche soltanto il termine. Vorrei brevemente indicare come maisi sia creata questa situazione. È fondamentale anzitutto la tesi secon-do cui tra l’essere e il dover essere ci sarebbe un abisso insormontabi-le. Dall’essere non potrebbe derivare un dovere, perché si tratterebbedi due ambiti assolutamente diversi. La base di tale opinione è la con-cezione positivista, oggi quasi generalmente adottata, di natura. Se siconsidera la natura – con le parole di Hans Kelsen – “un aggregato didati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti”, allora

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da essa realmente non può derivare alcuna indicazione che sia inqualche modo di carattere etico. [4] Una concezione positivista di natu-ra, che comprende la natura in modo puramente funzionale, così co-me le scienze naturali la riconoscono, non può creare alcun ponteverso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzio-nali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione po-sitivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. Inessa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambitodella ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devonoessere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambitodella ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominioesclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nellanostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethose del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione dramma-tica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica;invitare urgentemente ad essa è un’intenzione essenziale di questo di-scorso.

Il concetto positivista di natura e ragione, la visione positivista delmondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza uma-na e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente ri-nunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura che corri-sponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Do-ve la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, rele-gando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa ridu-ce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista del-l’Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivi-smo come cultura comune e come fondamento comune per la forma-zione del diritto, riducendo tutte le altre convinzioni e gli altri valoridella nostra cultura allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l’Eu-ropa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di man-canza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremistee radicali. La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista enon è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale,assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci dia-mo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue lecose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in

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tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risor-se” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spa-lancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, ilcielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto.

Ma come lo si realizza? Come troviamo l’ingresso nella vastità, nel-l’insieme? Come può la ragione ritrovare la sua grandezza senza scivo-lare nell’irrazionale? Come può la natura apparire nuovamente nellasua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni? Ri-chiamo alla memoria un processo della recente storia politica, nellasperanza di non essere troppo frainteso né di suscitare troppe polemi-che unilaterali. Direi che la comparsa del movimento ecologico nellapolitica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non avendo forsespalancato finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che anela all’ariafresca, un grido che non si può ignorare né accantonare, perché vi siintravede troppa irrazionalità. Persone giovani si erano rese conto chenei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la mate-ria non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stes-sa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue indica-zioni. È chiaro che qui non faccio propaganda per un determinatopartito politico – nulla mi è più estraneo di questo. Quando nel nostrorapporto con la realtà c’è qualcosa che non va, allora dobbiamo tuttiriflettere seriamente sull’insieme e tutti siamo rinviati alla questionecirca i fondamenti della nostra stessa cultura. Mi sia concesso di sof-fermarmi ancora un momento su questo punto. L’importanza dell’eco-logia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natu-ra e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza unpunto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste ancheun’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deverispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltantouna libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spiritoe volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ri-spetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello cheè, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizzala vera libertà umana.

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Torniamo ai concetti fondamentali di natura e ragione da cui erava-mo partiti. Il grande teorico del positivismo giuridico, Kelsen, all’età di84 anni – nel 1965 – abbandonò il dualismo di essere e dover essere.(Mi consola il fatto che, evidentemente, a 84 anni si sia ancora in gra-do di pensare qualcosa di ragionevole.) Aveva detto prima che le nor-me possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza – aggiunge –la natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontàavesse messo in essa queste norme. Ciò, d’altra parte – dice – presup-porrebbe un Dio creatore, la cui volontà si è inserita nella natura. “Di-scutere sulla verità di questa fede è una cosa assolutamente vana”,egli nota a proposito.[5] Lo è veramente? – vorrei domandare. È vera-mente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifestanella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiri-tus?

A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturaledell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Diocreatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’ugua-glianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’invio-labilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolez-za della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste cono-scenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Igno-rarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione dellanostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. Lacultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Ro-ma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica deiGreci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro formal’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilitàdell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabiledell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del di-ritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico.

Al giovane re Salomone, nell’ora dell’assunzione del potere, è stataconcessa una sua richiesta. Che cosa sarebbe se a noi, legislatori dioggi, venisse concesso di avanzare una richiesta? Che cosa chiederem-mo? Penso che anche oggi, in ultima analisi, non potremmo desidera-re altro che un cuore docile – la capacità di distinguere il bene dal

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male e di stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e la pace.Vi ringrazio per la vostra attenzione.

[1] De civitate Dei IV, 4, 1. [2] Contra Celsum GCS Orig. 428 (Koetschau); cfr A. Fürst, Monotheismus und Monarchie.

Zum Zusammenhang von Heil und Herrschaft in der Antike. In: Theol.Phil. 81 (2006)321 – 338; citazione p. 336; cfr anche J. Ratzinger, Die Einheit der Nationen. Eine Vi-sion der Kirchenväter (Salzburg – München 1971) 60.

[3] Cfr W. Waldstein, Ins Herz geschrieben. Das Naturrecht als Fundament einer menschli-chen Gesellschaft (Augsburg 2010) 11ss; 31 – 61.

[4] Waldstein, op. cit. 15 – 21.[5] Citato secondo Waldstein, op. cit. 19.

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Alla Celebrazione Ecumenica

Chiesa dell'ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt in GermaniaVenerdì, 23 settembre 2011

Cari fratelli e sorelle nel Signore!

“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno inme mediante la loro parola” (Gv 17,20): così ha detto Gesù nel Cena-colo, al Padre. Egli intercede per le generazioni future di credenti.Guarda al di là del Cenacolo verso il futuro. Ha pregato anche pernoi. E prega per la nostra unità. Questa preghiera di Gesù non è sem-plicemente una cosa del passato. Sempre Egli sta davanti al Padre in-tercedendo per noi, e così in quest’ora sta in mezzo a noi e vuole at-trarci nella sua preghiera. Nella preghiera di Gesù si trova il luogo in-teriore, più profondo, della nostra unità. Diventeremo una sola cosa,se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera. Ogni volta che, comecristiani, ci troviamo riuniti nella preghiera, questa lotta di Gesù ri-guardo a noi e con il Padre per noi dovrebbe toccarci profondamentenel cuore. Quanto più ci lasciamo attrarre in questa dinamica, tantopiù si realizza l’unità.

È rimasta inascoltata la preghiera di Gesù? La storia del cristianesi-mo è, per così dire, il lato visibile di questo dramma, in cui Cristo lot-ta e soffre con noi esseri umani. Sempre di nuovo Egli deve sopporta-re il contrasto con l’unità, e tuttavia sempre di nuovo si compie anchel’unità con Lui e così con il Dio trinitario. Dobbiamo vedere ambeduele cose: il peccato dell’uomo, che si nega a Dio, si ritira in se stesso,ma anche le vittorie di Dio, che sostiene la Chiesa nonostante la suadebolezza e attira continuamente uomini dentro di sé, avvicinandolicosì gli uni agli altri. Per questo, in un incontro ecumenico, non do-vremmo soltanto lamentare le divisioni e le separazioni, bensì ringra-ziare Dio per tutti gli elementi di unità che ha conservato per noi esempre di nuovo ci dona. E questa gratitudine deve al contempo esse-re disponibilità a non perdere, in mezzo ad un tempo di tentazione edi pericoli, l’unità così donata.

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L’unità fondamentale consiste nel fatto che crediamo in Dio, Padreonnipotente, Creatore del cielo e della terra. Che lo professiamo qualeDio trinitario – Padre, Figlio e Spirito Santo. L’unità suprema non è so-litudine di una monade, ma unità attraverso l’amore. Crediamo in Dio– nel Dio concreto. Crediamo nel fatto che Dio ci ha parlato e si è fat-to uno di noi. Testimoniare questo Dio vivente è il nostro comunecompito nel momento attuale.

L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza beneanche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, lasua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’or-dine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzioninoabbastanza bene anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allonta-na da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere,nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, “per-de” sempre di più la vita. La sete di infinito è presente nell’uomo inmodo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio eha bisogno di Lui. Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempodeve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e conciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno. Naturalmente di que-sta testimonianza fondamentale per Dio fa parte, in modo assoluta-mente centrale, la testimonianza per Gesù Cristo, vero Dio e vero uo-mo, che è vissuto insieme con noi, ha patito per noi, è morto per noie, nella risurrezione, ha spalancato la porta della morte. Cari amici,fortifichiamoci in questa fede! Aiutiamoci a vicenda a viverla! Questo èun grande compito ecumenico che ci introduce nel cuore della pre-ghiera di Gesù.

La serietà della fede in Dio si manifesta nel vivere la sua parola. Simanifesta, nel nostro tempo, in modo molto concreto, nell’impegnoper quella creatura che Egli volle a sua immagine, per l’uomo. Vivia-mo in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incer-ti. L’etica viene sostituita con il calcolo delle conseguenze. Di fronte aciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile del-l’uomo, dal concepimento fino alla morte – nelle questioni della dia-gnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia. “Solo chi conosce Dio, co-nosce l’uomo”, ha detto una volta Romano Guardini. Senza la cono-

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scenza di Dio, l’uomo diventa manipolabile. La fede in Dio deve con-cretizzarsi nel nostro comune impegno per l’uomo. Fanno parte di ta-le impegno per l’uomo non soltanto questi criteri fondamentali diumanità, ma soprattutto e molto concretamente l’amore che Gesù Cri-sto ci insegna nella descrizione del Giudizio finale (Mt 25): il Dio giu-dice ci giudicherà secondo come ci siamo comportati nei confronti dicoloro che ci sono prossimi, nei confronti dei più piccoli dei suoi fra-telli. La disponibilità ad aiutare, nelle necessità di questo tempo, al dilà del proprio ambiente di vita è un compito essenziale del cristiano.

Ciò vale anzitutto, come detto, nell’ambito della vita personale diciascuno. Ma vale poi nella comunità di un popolo e di uno Stato, incui tutti noi dobbiamo farci carico gli uni degli altri. Vale per il nostroContinente, in cui siamo chiamati alla solidarietà in Europa. E, infine,vale al di là di tutte le frontiere: la carità cristiana esige oggi il nostroimpegno anche per la giustizia nel vasto mondo. So che da parte deitedeschi e della Germania si fa molto per rendere possibile a tutti gliuomini un’esistenza degna dell’uomo, e per questo vorrei dire una pa-rola di viva gratitudine.

Infine vorrei ancora accennare ad una dimensione più profondadel nostro obbligo di amare. La serietà della fede si manifesta soprat-tutto anche quando essa ispira certe persone a mettersi totalmente adisposizione di Dio e, a partire da Dio, degli altri. I grandi aiuti diven-tano concreti soltanto quando sul luogo esistono coloro che sono to-talmente a disposizione dell’altro e con ciò rendono credibile l’amoredi Dio. Persone del genere sono un segno importante per la veritàdella nostra fede.

Alla vigilia della mia visita si è parlato diverse volte di un donoecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da una tale visita. Non c’èbisogno che io specifichi i doni menzionati in tale contesto. Al riguar-do vorrei dire che questo, come per lo più è apparso, costituisce unfraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo. Quando unCapo di Stato visita un Paese amico, generalmente precedono contattitra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più ac-cordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi

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si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambe-due le parti, così che poi il trattato può essere firmato. Ma la fede deicristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svan-taggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosache noi escogitiamo e concordiamo. È il fondamento su cui viviamo.L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi,bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fedemediante il pensiero e la vita. In questa maniera, negli ultimi 50 anni,e in particolare anche dalla visita di Papa Giovanni Paolo II, 30 annifa, è cresciuta molta comunanza, della quale possiamo essere solograti. Mi piace ricordare l’incontro con la commissione guidata dal Ve-scovo [luterano] Lohse, nella quale ci si è esercitati insieme in questopenetrare in modo profondo nella fede mediante il pensiero e la vita.A tutti coloro che hanno collaborato in questo – per la parte cattolica,in modo particolare, al Cardinale Lehmann – vorrei esprimere vivoringraziamento. Non menziono altri nomi – il Signore li conosce tutti.Insieme possiamo tutti solo ringraziare il Signore per le vie dell’unitàsulle quali ci ha condotti, ed associarci in umile fiducia alla sua pre-ghiera: Fa’ che diventiamo una sola cosa, come Tu sei una sola cosacol Padre, perché il mondo creda che Egli Ti ha mandato” (cfr Gv17,21).

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Ai seminaristi

Cappella di San Carlo Borromeo del Seminariodi Freiburg im Breisgau, Germania

Sabato, 24 settembre 2011

Cari seminaristi, cari fratelli e sorelle!

È per me una grande gioia poter incontrarmi qui con giovani, chesi incamminano per servire il Signore; che ascoltano la sua chiamata evogliono seguirlo. Vorrei ringraziare in modo particolarmente calorosoper la bella lettera, che il Rettore del seminario e i seminaristi mi han-no scritto. Mi ha veramente toccato il cuore vedere come avete riflet-tuto sulla mia lettera e su di essa avete sviluppato le vostre domandee risposte; con quale serietà accogliete ciò che ho tentato di proporree, in base a questo, sviluppate la vostra propria via.

Certamente la cosa più bella sarebbe se potessimo avere un dialo-go insieme, ma l’orario del viaggio, al quale sono obbligato e devoobbedire, purtroppo, non permette cose del genere. Posso quindi sol-tanto cercare di sottolineare ancora una volta alcuni pensieri alla lucedi ciò che avete scritto e di ciò che io avevo scritto.

Nel contesto della domanda: “Di che cosa fa parte il seminario; checosa significa questo periodo?” in fondo, mi colpisce sempre più ditutto il modo in cui san Marco, nel terzo capitolo del suo Vangelo, de-scrive la costituzione della comunità degli Apostoli: “Il Signore fece iDodici”. Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creati-vo. Ed Egli li fece, “perché stessero con Lui e per mandarli” (cfr Mc3,14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembracontraddittoria. “Perché stessero con Lui”: devono stare con Lui, perarrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; de-vono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e die-tro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che parto-no, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uo-mini in cammino – verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso

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ciò che è molto lontano da Lui. E tuttavia, questi aspetti paradossalivanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempreanche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorellasmarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, al-lora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se voglio-no essere veri inviati, devono stare sempre con Lui. San Bonaventuradisse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano,si muovono sempre all’interno di Dio. Così è anche qui: come sacer-doti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gliuomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare so-lo rimanendo sempre presso di Lui. Ed imparare ciò, questo insiemedi uscire fuori, di essere mandati, e di essere con Lui, di rimanerepresso di Lui, è – credo – proprio ciò che dobbiamo imparare nel se-minario. Il modo giusto del rimanere con Lui, il venire profondamenteradicati in Lui – essere sempre di più con Lui, conoscerLo sempre dipiù, sempre di più non separarsi da Lui – e al contempo uscire sem-pre di più, portare il messaggio, trasmetterlo, non tenerlo per sé, maportare la Parola a coloro che sono lontani e che, tuttavia, in quantocreature di Dio e amati da Cristo, portano nel cuore il desiderio di Lui.

Il seminario è dunque un tempo dell’esercitarsi; certamente anchedel discernere e dell’imparare: Egli mi vuole per questo? La vocazionedeve essere verificata, e di questo fa poi parte la vita comunitaria e faparte naturalmente il dialogo con le guide spirituali che avete, per im-parare a discernere ciò che è la sua volontà. E poi apprendere la fidu-cia: se Egli lo vuole veramente, allora posso affidarmi a Lui. Nel mon-do di oggi, che si trasforma in modo incredibile e in cui tutto cambiacontinuamente, in cui i legami umani si scindono perché avvengononuovi incontri, diventa sempre più difficile credere: io resisterò pertutta la vita. Già per noi, ai nostri tempi, non era tanto facile immagi-nare quanti decenni Dio avrebbe forse inteso darmi, quanto sarebbecambiato il mondo. Persevererò con Lui così come Gli l’ho promes-so?... È una domanda che, appunto, esige la verifica della vocazione,ma poi – più riconosco: sì, Egli mi vuole – anche la fiducia: se mivuole, allora anche mi sorreggerà; nell’ora della tentazione, nell’oradel pericolo sarà presente e mi darà persone, mi mostrerà vie, mi so-sterrà. E la fedeltà è possibile, perché Egli è sempre presente, e per-

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ché Egli esiste ieri, oggi e domani; perché Egli non appartiene soltan-to a questo tempo, ma è futuro e può sorreggerci in ogni momento.

Un tempo di discernimento, di apprendimento, di chiamata… Epoi, naturalmente, in quanto tempo dell’essere con Lui, tempo di pre-ghiera, di ascolto di Lui. Ascoltare, imparare ad ascoltarlo veramente –nella Parola della Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa, nella liturgiadella Chiesa – ed apprendere l’oggi nella sua Parola. Nell’esegesi im-pariamo tante cose sul ieri: tutto ciò che c’era allora, quali fonti vi so-no, quali comunità esistevano e così via. Anche questo è importante.Ma più importante è che in questo ieri noi apprendiamo l’oggi; cheEgli con queste parole parla adesso e che esse portano tutte in sé illoro oggi, e che, al di là del loro inizio storico, recano in sé una pie-nezza che parla a tutti i tempi. Ed è importante imparare questa attua-lità del suo parlare – imparare ad ascoltare – e così poterne parlareagli altri uomini. Certo, quando si prepara l’omelia per la Domenica,questo parlare… o Dio, è spesso così lontano! Se io, però, vivo con laParola, allora vedo che non è affatto lontana, è attualissima, è presen-te adesso, riguarda me e riguarda gli altri. E allora imparo anche aspiegarla. Ma per questo occorre un cammino costante con la Paroladi Dio.

Lo stare personalmente con Cristo, con il Dio vivente, è una cosa;l’altra cosa è che sempre soltanto nel “noi” possiamo credere. A voltedico: san Paolo ha scritto: “La fede viene dall’ascolto” – non dal legge-re. Ha bisogno anche del leggere, ma viene dall’ascolto, cioè dalla pa-rola vivente, dalle parole che gli altri rivolgono a me e che posso sen-tire; dalle parole della Chiesa attraverso tutti i tempi, dalla parola at-tuale che essa mi rivolge mediante i sacerdoti, i Vescovi e i fratelli e lesorelle. Fa parte della fede il “tu” del prossimo, e fa parte della fede il“noi”. E proprio l’esercitarsi nella sopportazione vicendevole è qualco-sa di molto importante; imparare ad accogliere l’altro come altro nellasua differenza, ed imparare che egli deve sopportare me nella mia dif-ferenza, per diventare un “noi”, affinché un giorno anche nella par-rocchia possiamo formare una comunità, chiamare le persone ad en-trare nella comunanza della Parola ed essere insieme in cammino ver-so il Dio vivente. Fa parte di ciò il “noi” molto concreto, come lo è il

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seminario, come lo sarà la parrocchia, ma poi sempre anche il guarda-re oltre il “noi” concreto e limitato al grande “noi” della Chiesa di ogniluogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto.Quando diciamo: “Noi siamo Chiesa” – sì, è vero: siamo noi, non qua-lunque persona. Ma il “noi” è più ampio del gruppo che lo sta dicen-do. Il “noi” è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi etutti i tempi. E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste,per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può maiesserci una maggioranza contro gli Apostoli e contro i Santi: ciò sareb-be una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: Siamolo! Siamolo pro-prio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insie-me con gli altri!

Credo che, in base all’orario, dovrei forse concludere. Vorrei soltan-to dirvi ancora una cosa. La preparazione al sacerdozio, il camminoverso di esso, richiede anzitutto anche lo studio. Non si tratta di unacasualità accademica che si è formata nella Chiesa occidentale, ma èqualcosa di essenziale. Sappiamo tutti che san Pietro ha detto: “Siatesempre pronti ad offrire a chiunque vi domandi, come risposta, la ra-gione, il logos della vostra fede” (cfr 1Pt 3,15). Il nostro mondo oggi èun mondo razionalistico e condizionato dalla scientificità, anche semolto spesso si tratta di una scientificità solo apparente. Ma lo spiritodella scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere,del rifiuto di tutto ciò che non è razionale, è dominante nel nostrotempo. C’è in questo pure qualcosa di grande, anche se spesso dietrosi nasconde molta presunzione ed insensatezza. La fede non è unmondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un dipiù, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dàanche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto invista di Dio e a partire da Dio. Per questo è importante essere infor-mati, comprendere, avere la mente aperta, imparare. Naturalmente, fravent’anni saranno di moda teorie filosofiche totalmente diverse daquelle di oggi: se penso a ciò che tra noi era la più alta e la più mo-derna moda filosofica e vedo come tutto ciò ormai sia dimenticato…Ciononostante non è inutile imparare queste cose, perché in esse cisono anche elementi durevoli. E soprattutto con ciò impariamo a giu-dicare, a seguire mentalmente un pensiero – e a farlo in modo critico

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– ed impariamo a far sì che, nel pensare, la luce di Dio ci illumini enon si spenga. Studiare è essenziale: soltanto così possiamo far fronteal nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede. Stu-diare anche in modo critico – nella consapevolezza, appunto, che do-mani qualcun altro dirà qualcosa di diverso – ma essere studenti at-tenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi alSignore e per Lui.

Sì, potrei dire ancora tante cose, e dovrei forse farlo… Ma ringrazioper l’ascolto. E nella preghiera tutti i seminaristi del mondo sono pre-senti nel mio cuore – non così bene, con i singoli nomi, come li ho ri-cevuti qui, ma tuttavia in un cammino interiore verso il Signore: cheEgli benedica tutti, a tutti dia luce ed indichi loro la strada giusta, e cidoni molti buoni sacerdoti. Grazie di cuore.

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Alla Giornata di riflessione, dialogo e preghieraper la pace e la giustizia nel mondo

“Pellegrini della verità, pellegrini della pace”

Assisi, Basilica di Santa Maria degli AngeliGiovedì, 27 ottobre 2011

Cari fratelli e sorelle,distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali edelle religioni del mondo,cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa GIOVANNIPAOLO II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni delmondo ad ASSISI per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenutoda allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande mi-naccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta indue blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisioneera il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava ilconfine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde –senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, chestavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevanoperso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essereliberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione dellecause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una rispo-sta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, lacausa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il po-tere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontàdi essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenzache non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti perquesta vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria dellapace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non so-lamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, maanche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche mo-do anche con la preghiera per la pace.

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Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo direche da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anchese la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo,purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ri-petutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzial-mente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo.La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato ingran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene frainte-sa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi espaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovotutti noi.

Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti dellaviolenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possonoindividuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che so-no diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poinei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, alposto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devonocolpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza al-cun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudel-mente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa deldanneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Vienemesso fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comune-mente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamoche spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il ca-rattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la cru-deltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto amotivo del “bene” perseguito. La religione qui non è a servizio dellapace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamen-te sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fo-mentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fattola violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccu-pare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, ve-diamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenzaviene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappre-

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sentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire– e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la ve-ra natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuiscealla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale siala vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dalfatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteran-no: ma esiste veramente una natura comune della religione, che siesprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste do-mande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo reali-stico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si col-loca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compitoche da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Comecristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nomedella fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo,pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato unutilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la suavera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padredi tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra lorofratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo èper noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrirecon l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e dellapace” (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qual-che responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la re-ligione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nono-stante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace diDio nel mondo.

Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata reli-giosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circala loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una se-conda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazio-ne esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, dellasua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò.I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa unafonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quin-di la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltàe una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo

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non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé,ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi diconcentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’as-senza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato;vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenzadella quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, uncambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’ave-re e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta piùl’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degene-ra, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifestanel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi,che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono se-dotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa unacosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo lanostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace èdistrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.

L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo.Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente al-l’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto breve-mente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una conce-zione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte diviolenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto retta-mente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla neces-sità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, dellareligione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione diDio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mon-do in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento difondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere eche tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del ge-nere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse sof-frono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sonointeriormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità,

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pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte.Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale preten-dono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, inveceche polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che laverità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di es-sa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché nonconsiderino Dio come una proprietà che appartiene a loro così dasentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste perso-ne cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle reli-gioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è nonraramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende an-che dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio.Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo anoi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio– il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invita-to rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi,che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Sitratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino ver-so la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsicarico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenzadistruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesacattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegnoper la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere“pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Vi ringrazio.

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Ai Membri del Governo, i Rappresentantidelle Istituzioni della Repubblica,

il Corpo Diplomatico e i Rappresentantidelle principali Religioni

Palazzo Presidenziale di Cotonou in Benin Sabato, 19 novembre 2011

Signor Presidente della Repubblica,Signore e Signori rappresentanti delle Autorità civili,politiche e religiose,Signore e Signori Capi di missione diplomatica,Cari fratelli nell’Episcopato, Signore, Signori, cari amici

DOO NUMI! [saluto solenne in lingua fon] Ella ha voluto, SignorPresidente, offrirmi l’occasione di questo incontro dinanzi ad una pre-stigiosa assemblea di Personalità. E’ un privilegio che apprezzo senti-tamente, e La ringrazio di cuore per le cordiali parole che Lei mi hapoc’anzi indirizzato a nome dell’intero popolo del Benin. Ringrazioanche la Signora Rappresentante dei Corpi Costituiti, per le sue paroledi benvenuto. Formulo i migliori voti nei riguardi di tutte le persona-lità presenti che sono protagonisti, a diversi livelli, della vita nazionaledel Benin.

Spesso, nei miei precedenti interventi, ho unito alla parola Africaquella di speranza. L’ho fatto A LUANDA DUE ANNI FA e già in uncontesto sinodale. La parola speranza figura del resto più volte nell’E-sortazione apostolica postsinodale Africae munus che firmerò fra po-co. Quando dico che l’Africa è il continente della speranza, non facciodella facile retorica, ma esprimo molto semplicemente una convinzio-ne personale, che è anche quella della Chiesa. Troppo spesso il no-stro spirito si ferma a pregiudizi o ad immagini che danno della realtàafricana una visione negativa, frutto di un’analisi pessimista. Si è sem-pre tentati di sottolineare ciò che non va; meglio ancora, è facile assu-mere il tono sentenzioso del moralizzatore o dell’esperto, che imponele sue conclusioni e propone, in fin dei conti, poche soluzioni appro-

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priate. Si è anche tentati di analizzare le realtà africane alla maniera diun etnologo curioso o come chi non vede in esse che un’enorme ri-serva energetica, minerale, agricola ed umana facilmente sfruttabileper interessi spesso poco nobili. Queste sono visioni riduttive e irri-spettose, che portano ad una cosificazione poco dignitosa dell’Africa edei suoi abitanti.

Sono consapevole che le parole non hanno dovunque il medesimosignificato. Ma, quella di speranza varia poco secondo le culture. Al-cuni anni fa, ho dedicato una Lettera enciclica alla speranza cristia-na. Parlare della speranza, significa parlare del futuro, e dunque diDio! Il futuro si radica nel passato e nel presente. Il passato, noi lo co-nosciamo bene, addolorati per i suoi fallimenti e lieti per le sue realiz-zazioni positive. Il presente, lo viviamo come possiamo. Al meglio,spero, e con l’aiuto di Dio! E’ su questo terreno composto da molte-plici elementi contradditori e complementari che si tratta di costruire,con l’aiuto di Dio.

Cari amici, vorrei leggere, alla luce di questa speranza che ci deveanimare, due realtà africane che sono di attualità. La prima si riferiscepiuttosto in maniera generale alla vita sociopolitica ed economica delContinente, la seconda al dialogo interreligioso. Queste realtà interes-sano tutti noi, perché il nostro secolo sembra nascere nel dolore e fa-ticare a far crescere la speranza in questi due campi particolari.

In questi ultimi mesi, numerosi popoli hanno espresso il loro desi-derio di libertà, il loro bisogno di sicurezza materiale, e la loro vo-lontà di vivere armoniosamente nella diversità delle etnie e delle reli-gioni. E’ anche nato un nuovo Stato nel vostro Continente. Numerosisono stati anche i conflitti generati dall’accecamento dell’uomo, dallasua volontà di potere e da interessi politico-economici che escludonola dignità delle persone o quella della natura. La persona umana aspi-ra alla libertà; vuole vivere degnamente; vuole buone scuole e alimen-tazione per i bambini, ospedali dignitosi per curare i malati; vuol esse-re rispettata; rivendica un modo di governare limpido che nonconfonda l’interesse privato con l’interesse generale; e soprattutto,vuole la pace e la giustizia. In questo momento, ci sono troppi scan-

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dali e ingiustizie, troppa corruzione ed avidità, troppo disprezzo etroppe menzogne, troppe violenze che portano alla miseria ed allamorte. Questi mali affliggono certamente il vostro Continente, maugualmente il resto del mondo. Ogni popolo vuole comprendere lescelte politiche ed economiche che vengono fatte a suo nome. Egli siaccorge della manipolazione, e la sua reazione è a volte violenta.Vuole partecipare al buon governo. Sappiamo che nessun regime po-litico umano è l’ideale, che nessuna scelta economica è neutra. Ma es-si devono sempre servire il bene comune. Ci troviamo dunque davantiad una rivendicazione legittima che riguarda tutti i Paesi, per unamaggiore dignità, e soprattutto una maggiore umanità. L’uomo vuoleche la sua umanità sia rispettata e promossa. I responsabili politici edeconomici dei Paesi si trovano di fronte a decisioni determinanti e ascelte che non possono più evitare.

Da questa tribuna, lancio un appello a tutti i responsabili politici edeconomici dei Paesi africani e del resto del mondo. Non private i vo-stri popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il lo-ro presente! Abbiate un approccio etico con il coraggio delle vostreresponsabilità e, se siete credenti, pregate Dio di concedervi la sa-pienza. Questa sapienza vi farà comprendere che, in quanto promoto-ri del futuro dei vostri popoli, occorre diventare veri servitori dellasperanza. Non è facile vivere la condizione di servitore, restare integriin mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti. Il potere,qualunque sia, acceca con facilità, soprattutto quando sono in giocointeressi privati, familiari, etnici o religiosi. Dio solo purifica i cuori ele intenzioni.

La Chiesa non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcunasoluzione politica. Essa ripete: non abbiate paura! L’umanità non è so-la davanti alle sfide del mondo. Dio è presente. E’ questo un messag-gio di speranza, una speranza generatrice di energia, che stimola l’in-telligenza e conferisce alla volontà tutto il suo dinamismo. Un Arcive-scovo di Toulouse, il Cardinale Saliège, diceva: “Sperare, non è ab-bandonare; è raddoppiare l’attività”. La Chiesa accompagna lo Statonella sua missione; vuole essere come l’anima di questo corpo indi-cando infaticabilmente l’essenziale: Dio e l’uomo. Essa desidera com-

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piere, apertamente e senza paura, questo immenso compito di coleiche educa e cura, e soprattutto che prega continuamente (cfr Lc 18,1),che indica dove è Dio (cfr Mt 6,21) e dov’è il vero uomo (cfr Mt 20,26e Gv 19,5). La disperazione è individualista. La speranza è comunione.Non è questa una via splendida che ci è proposta? Invito ad essa tuttii responsabili politici, economici, così come il mondo universitario equello della cultura. Siate, anche voi, seminatori di speranza!

Vorrei ora affrontare il secondo punto, quello del dialogo,interreli-gioso. Non mi sembra necessario ricordare i recenti conflitti nati innome di Dio, e le morti date in nome di Colui che è la Vita. Ogni per-sona di buon senso comprende che bisogna sempre promuovere lacooperazione serena e rispettosa delle diversità culturali e religiose. Ilvero dialogo interreligioso rigetta la verità umanamente egocentrica,perché la sola ed unica verità è in Dio. Dio è la Verità. Per questo fat-to, nessuna religione, nessuna cultura può giustificare l’appello o il ri-corso all’intolleranza e alla violenza. L’aggressività è una forma rela-zionale piuttosto arcaica che fa appello ad istinti facili e poco nobili.Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio per giu-stificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomo-danti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore.

Non posso conoscere l’altro se non conosco me stesso. Non possoamarlo se non amo me stesso (cfr Mt 22,39). La conoscenza, l’ap-profondimento e la pratica della propria religione sono dunque essen-ziali al vero dialogo interreligioso. Questo non può cominciare checon la preghiera personale e sincera di colui che desidera dialogare.Che egli si ritiri nel segreto della sua camera interiore (cfr Mt 6,6) perdomandare a Dio la purificazione del ragionamento e la benedizioneper il desiderato incontro. Questa preghiera chiede anche a Dio il do-no di vedere nell’altro un fratello da amare, e nella tradizione che eglivive un riflesso della verità che illumina tutti gli uomini (cfr Conc.Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 2). Conviene dunque che ognuno siponga in verità davanti a Dio e davanti all’altro. Questa verità nonesclude, e non è una confusione. Il dialogo interreligioso mal compre-so porta alla confusione o al sincretismo. Non è questo il dialogo chesi cerca.

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Nonostante gli sforzi compiuti, sappiamo anche che, talvolta, il dia-logo interreligioso non è facile, o anche che è impedito per diverseragioni. Questo non significa affatto una sconfitta. Le forme del dialo-go interreligioso sono molteplici. La cooperazione nel campo socialeo culturale può aiutare le persone a comprendersi meglio e a vivereinsieme serenamente. E’ anche bene sapere che non si dialoga perdebolezza, ma dialoghiamo perché crediamo in Dio, Creatore e Padredi tutti gli uomini. Dialogare è un modo supplementare di amare Dioed il prossimo nell’amore della verità (cfr Mt 22,37).

Avere speranza non significa essere ingenui, ma compiere un attodi fede in Dio, Signore del tempo, Signore anche del nostro futuro. LaChiesa cattolica attua così una delle intuizioni del Concilio Vaticano II,quella di favorire le relazioni amichevoli tra essa e i membri di religio-ni non cristiane. Da decenni, il Pontificio Consiglio che ne ha la ge-stione, tesse legami, moltiplica gli incontri, e pubblica regolarmentedocumenti per favorire tale dialogo. La Chiesa tenta così di porre ri-medio alla confusione delle lingue e alla dispersione dei cuori natedal peccato di Babele (cfr Gen 11). Saluto tutti i responsabili religiosiche hanno avuto l’amabilità di venire qui ad incontrarmi. Voglio assi-curare a loro, come pure a quelli di altri Paesi africani, che il dialogoofferto dalla Chiesa cattolica viene dal cuore. Li incoraggio a promuo-vere, soprattutto tra i giovani, una pedagogia del dialogo, affinchéscoprano che la coscienza di ciascuno è un santuario da rispettare, eche la dimensione spirituale costruisce la fraternità. La vera fede con-duce invariabilmente all’amore. E’ in questo spirito che vi invito tuttialla speranza.

Queste considerazioni generali si applicano in maniera particolareall’Africa. Nel vostro Continente sono numerose le famiglie i cui mem-bri professano credenze diverse, e tuttavia le famiglie restano unite.Questa unità non è solamente voluta dalla cultura, ma è un’unità ce-mentata dall’affetto fraterno. Naturalmente, talvolta ci sono anche del-le sconfitte, ma anche parecchie vittorie. In questo campo particolare,l’Africa può fornire a tutti materia di riflessione ed essere così una sor-gente di speranza.

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Per finire, vorrei utilizzare l’immagine della mano. La compongonocinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la lo-ro unità forma la mano. La buona intesa tra le culture, la considerazio-ne non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto dei dirittidi ciascuno sono un dovere vitale. Occorre insegnarlo a tutti i fedelidelle diverse religioni. L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolocieco, e il dialogo un’apertura! Non è questo un buon terreno in cuisaranno seminati dei semi di speranza? Tendere la mano significa spe-rare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c’è di più bel-lo di una mano tesa? Essa è stata voluta da Dio per donare e ricevere.Dio non ha voluto che essa uccida (cfr Gen 4,1ss) o che faccia soffri-re, ma che curi e aiuti a vivere. Accanto al cuore e all’intelligenza, lamano può diventare, anch’essa, uno strumento di dialogo. Essa puòfare fiorire la speranza, soprattutto quando l’intelligenza balbetta e ilcuore inciampa.

Secondo le Sacre Scritture, tre simboli descrivono la speranza per ilcristiano: l’elmo, perché protegge dallo scoraggiamento (cfr 1 Ts 5,8),l’ancora sicura e salda che fissa in Dio (cfr Eb 6,19) e la lampada chepermette di attendere l’aurora di un nuovo giorno (cfr Lc 12,35-36).Avere paura, dubitare e temere, porsi nel presente senza Dio, o nonavere nulla da attendere, sono atteggiamenti estranei alla fede cristia-na (cfr S. Giovanni Crisostomo, Omelia XIV sull’Epistola ai Romani, 6:PG 45, 941c) e, credo, ad ogni altra credenza in Dio. La fede vive ilpresente, ma attende i beni futuri. Dio è nel nostro presente, ma è an-che nel futuro, “luogo” della speranza. La dilatazione del cuore è nonsoltanto la speranza in Dio, ma anche l’apertura alla cura delle realtàcorporali e temporali per glorificare Dio. Seguendo Pietro, di cui sonoil successore, auguro che la vostra fede e la vostra speranza siano inDio (cfr 1 Pt 1,21). E’ questo l’augurio che formulo per l’Africa intera,che mi è tanto cara! Abbi fiducia, Africa, ed alzati! Il Signore ti chiama.Dio vi benedica. Grazie.

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Alla Caritas Italiana nel 40° di fondazione

Basilica VaticanaGiovedì, 24 novembre 2011

Venerati Fratelli, cari fratelli e sorelle!

Con gioia vi accolgo in occasione del 40° anniversario dell’istitu-zione della Caritas Italiana. Vi saluto con affetto, unendomi al ringra-ziamento dell’intero Episcopato italiano per il vostro prezioso servizio.Saluto cordialmente il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente dellaConferenza Episcopale Italiana, ringraziandolo per le parole che mi harivolto a nome di tutti. Saluto Mons. Giuseppe Merisi, Presidente dellaCaritas, i Vescovi incaricati delle diverse Conferenze Episcopali Regio-nali per il servizio della carità, il Direttore della Caritas Italiana, i di-rettori delle Caritas Diocesane e tutti i loro collaboratori.

Siete venuti presso la tomba di Pietro per confermare la vostra fedee riprendere slancio nella vostra missione. Il Servo di Dio PAOLO VI,NEL PRIMO INCONTRO NAZIONALE CON LA CARITAS, NEL 1972,così affermava: "Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vo-stra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica"(Insegnamenti X [1972], 989). A voi, infatti, è affidato un’importantecompito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, dellasocietà civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr Fil 2,15).Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona delVangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimo-nianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminarequesta prospettiva: «Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede,attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù nonè la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che sirende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,5-6). Questo è il distinti-vo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voiè chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo dasempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza

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di servizio, consapevolezza della responsabilità. «L’amore del Cristo in-fatti ci possiede» (2 Cor 5,14), scrive san Paolo. E’ questa prospettivache dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in cuivivete.

Cari amici, non desistete mai da questo compito educativo, anchequando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati. Vive-telo nella fedeltà alla Chiesa e nel rispetto dell’identità delle vostreIstituzioni, utilizzando gli strumenti che la storia vi ha consegnato equelli che la «fantasia della carità» – come diceva il beato GIOVANNIPAOLO II – vi suggerirà per l’avvenire. Nei quattro decenni trascorsi,avete potuto approfondire, sperimentare e attuare un metodo di lavo-ro basato su tre attenzioni tra loro correlate e sinergiche: ascoltare, os-servare, discernere, mettendolo al servizio della vostra missione: l’ani-mazione caritativa dentro le comunità e nei territori. Si tratta di unostile che rende possibile agire pastoralmente, ma anche perseguire undialogo profondo e proficuo con i vari ambiti della vita ecclesiale, conle associazioni, i movimenti e con il variegato mondo del volontariatoorganizzato.

Ascoltare per conoscere, certo, ma insieme per farsi prossimo, persostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi necessita disentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei di-scepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possa-no sentire il calore di Dio e lo possano sentire tramite le nostre manie i nostri cuori aperti. In questo modo le Caritas devono essere come“sentinelle” (cfr Is 21,11-12), capaci di accorgersi e di far accorgere, dianticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzionenel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. L’in-dividualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, ilrelativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e co-munità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dellosguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comu-nitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo inprofondo cambiamento.

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Scorrendo le pagine del Vangelo, restiamo colpiti dai gesti di Gesù:gesti che trasmettono la Grazia, educativi alla fede e alla sequela; gestidi guarigione e di accoglienza, di misericordia e di speranza, di futuroe di compassione; gesti che iniziano o perfezionano una chiamata aseguirlo e che sfociano nel riconoscimento del Signore come unica ra-gione del presente e del futuro. Quella dei gesti, dei segni è una mo-dalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso isegni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera dicarità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande.Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che ave-te saputo inventare. Rendetele, per così dire, "parlanti", preoccupan-dovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qua-lità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nasco-no dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione versochi fa più fatica. Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveria crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nellasequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i pro-pri obblighi. Ricordiamo quanto insegna il CONCILIO VATICANO II:«Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avven-ga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo digiustizia» (Apostolicam actuositatem, 8). L’umile e concreto servizioche la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la co-scienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collabo-razione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussi-diarietà.

Fin dall’inizio del vostro cammino pastorale, vi è stato consegnato,come impegno prioritario, lo sforzo di realizzare una presenza capilla-re sul territorio, soprattutto attraverso le Caritas Diocesane e Parroc-chiali. È obiettivo da perseguire anche nel presente. Sono certo che iPastori sapranno sostenervi e orientarvi, soprattutto aiutando le comu-nità a comprendere il proprium di animazione pastorale che la Cari-tas porta nella vita di ogni Chiesa particolare, e sono certo che voiascolterete i vostri Pastori e ne seguirete le indicazioni.

L’attenzione al territorio e alla sua animazione suscita, poi, la capa-cità di leggere l’evolversi della vita delle persone che lo abitano, le dif-

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ficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive.La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione eprevisione, un «cuore che vede» (cfr Enc. Deus caritas est, 25). Rispon-dere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anchelasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo diGesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si ac-costavano. È in questa prospettiva che l’oggi interpella il vostro mododi essere animatori e operatori di carità. Il pensiero non può non an-dare anche al vasto mondo della migrazione. Spesso calamità naturalie guerre creano situazioni di emergenza. La crisi economica globale èun ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità. Ildivario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana ditante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchiconcentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici. Il crescente disa-gio, l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giova-nile indicano il rischio di un calo di speranza. L’umanità non necessitasolo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, comeGesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ del-la loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La no-stra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’èbisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma per-ché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza.Cari amici, aiutate la Chiesa tutta a rendere visibile l’amore di Dio. Vi-vete la gratuità e aiutate a viverla. Richiamate tutti all’essenzialità del-l’amore che si fa servizio. Accompagnate i fratelli più deboli. Animatele comunità cristiane. Dite al mondo la parola dell’amore che viene daDio. Ricercate la carità come sintesi di tutti i carismi dello Spirito (cfr 1Cor 14,1).

Sia vostra guida la Beata Vergine Maria che, nella visita ad Elisabet-ta, portò il dono sublime di Gesù nell’umiltà del servizio (cfr Lc 1,39-43). Io vi accompagno con la preghiera e volentieri vi imparto la Be-nedizione Apostolica, estendendola a quanti quotidianamente incon-trate nelle vostre molteplici attività. Grazie.

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Ai detenuti

Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia, RomaDomenica, 18 dicembre 2011

Cari fratelli e sorelle!

con grande gioia e commozione sono questa mattina in mezzo avoi, per una visita che ben si colloca a pochi giorni dalla celebrazionedel Natale del Signore. Rivolgo un caloroso saluto a tutti, in particola-re al Ministro della Giustizia, On. Paola Severino, e ai Cappellani, cheringrazio per le parole di benvenuto, rivoltemi anche a nome vostro.Saluto il Dott. Carmelo Cantone, Direttore della Casa Circondariale, e icollaboratori, la polizia penitenziaria e i volontari che si prodiganoper le attività di questo Istituto. E saluto in modo speciale tutti voi, de-tenuti, manifestandovi la mia vicinanza.

«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). Queste sono leparole del giudizio finale, raccontato dall’evangelista Matteo, e questeparole del Signore, nelle quali Egli si identifica con i detenuti, espri-mono in pienezza il senso della mia visita odierna tra voi. Dovunquec’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è Cristostesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto. È questa la ragioneprincipale che mi rende felice di essere qui, per pregare, dialogare edascoltare. La Chiesa ha sempre annoverato, tra le opere di misericor-dia corporale, la visita ai carcerati (cfr Catechismo della Chiesa Cattoli-ca, 2447). E questa, per essere completa, richiede una piena capacitàdi accoglienza del detenuto, «facendogli spazio nel proprio tempo,nella propria casa, nelle proprie amicizie, nelle proprie leggi, nelleproprie città» (cfr CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità,39). Vorrei infatti potermi mettere in ascolto della vicenda personaledi ciascuno, ma, purtroppo, non è possibile; sono venuto però a dirvisemplicemente che Dio vi ama di un amore infinito, e siete sempre fi-gli di Dio. E lo stesso Unigenito Figlio di Dio, il Signore Gesù, ha fattol’esperienza del carcere, è stato sottoposto a un giudizio davanti a untribunale e ha subito la più feroce condanna alla pena capitale.

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In occasione del mio recente viaggio apostolico in Benin, nel no-vembre scorso, ho firmato una Esortazione apostolica postsinodale incui ho ribadito l’attenzione della Chiesa per la giustizia negli Stati,scrivendo: «È pertanto urgente che siano adottati sistemi giudiziari ecarcerari indipendenti, per ristabilire la giustizia e rieducare i colpevo-li. Occorre inoltre bandire i casi di errori della giustizia e i trattamenticattivi dei prigionieri, le numerose occasioni di non applicazione dellalegge che corrispondono ad una violazione dei diritti umani e le in-carcerazioni che non sfociano se non tardivamente o mai in un pro-cesso. La Chiesa riconosce la propria missione profetica di fronte acoloro che sono colpiti dalla criminalità e il loro bisogno di riconcilia-zione, di giustizia e di pace. I carcerati sono persone umane che meri-tano, nonostante il loro crimine, di essere trattati con rispetto e di-gnità. Hanno bisogno della nostra sollecitudine» (n. 83).

Cari fratelli e sorelle, la giustizia umana e quella divina sono moltodiverse. Certo, gli uomini non sono in grado di applicare la giustiziadivina, ma devono almeno guardare ad essa, cercare di cogliere lospirito profondo che la anima, perché illumini anche la giustizia uma-na, per evitare – come purtroppo non di rado accade – che il detenu-to divenga un escluso. Dio, infatti, è colui che proclama la giustiziacon forza, ma che, al tempo stesso, cura le ferite con il balsamo dellamisericordia.

La parabola del vangelo di Matteo (20,1-16) sui lavoratori chiamatia giornata nella vigna ci fa capire in cosa consiste questa differenzatra la giustizia umana e quella divina, perché rende esplicito il delica-to rapporto tra giustizia e misericordia. La parabola descrive un agri-coltore che assume degli operai nella sua vigna. Lo fa però in diverseore del giorno, così che qualcuno lavora tutto il giorno e qualcun al-tro solo un’ora. Al momento della consegna del compenso, il padronesuscita stupore e accende un dibattito tra gli operai. La questione ri-guarda la generosità - considerata dai presenti ingiustizia - del padro-ne della vigna, il quale decide di dare la stessa paga sia ai lavoratoridel mattino, sia agli ultimi del pomeriggio. Nell’ottica umana questadecisione è un’autentica ingiustizia, nell’ottica di Dio un atto di bontà,

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perché la giustizia divina dà a ciascuno il suo e, inoltre, comprende lamisericordia e il perdono.

Giustizia e misericordia, giustizia e carità, cardini della dottrina so-ciale della Chiesa, sono due realtà differenti soltanto per noi uomini,che distinguiamo attentamente un atto giusto da un atto d’amore. Giu-sto per noi è “ciò che è all’altro dovuto”, mentre misericordioso è ciòche è donato per bontà. E una cosa sembra escludere l’altra. Ma perDio non è così: in Lui giustizia e carità coincidono; non c’è un’azionegiusta che non sia anche atto di misericordia e di perdono e, nellostesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfetta-mente giusta.

Come è lontana la logica di Dio dalla nostra! E come è diverso dalnostro il suo modo di agire! Il Signore ci invita a cogliere e osservareil vero spirito della legge, per darle pieno compimento nell’amore ver-so chi è nel bisogno. «Pieno compimento della legge è l’amore», scrivesan Paolo (Rm 13,10): la nostra giustizia sarà tanto più perfetta quantopiù sarà animata dall’amore per Dio e per i fratelli.

Cari amici, il sistema di detenzione ruota intorno a due capisaldi,entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minac-ce, dall’altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità esenza escluderlo dalla vita sociale. Entrambi questi aspetti hanno la lo-ro rilevanza e sono protesi a non creare quell’«abisso» tra la realtà car-ceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elementofondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei dirittie della dignità delle persone. La vita umana appartiene a Dio solo,che ce l’ha donata, e non è abbandonata alla mercé di nessuno, nem-meno al nostro libero arbitrio! Noi siamo chiamati a custodire la perlapreziosa della vita nostra e di quella degli altri.

So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rende-re ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di de-tenuti che lo sottolineano. E’ importante che le istituzioni promuova-no un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino lestrutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontinomai una “doppia pena”; ed è importante promuovere uno sviluppo

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del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia semprepiù adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anchealle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione.

Cari amici, oggi è la quarta domenica dell’Avvento. Il Natale del Si-gnore, ormai vicino, riaccenda di speranza e di amore il vostro cuore.La nascita del Signore Gesù, di cui faremo memoria tra pochi giorni,ci ricorda la sua missione di portare la salvezza a tutti gli uomini, nes-suno escluso. La sua salvezza non si impone, ma ci raggiunge attra-verso gli atti d’amore, di misericordia e di perdono che noi stessi sap-piamo realizzare. Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gliuomini torneranno a Dio con cuore rinnovato. Chiediamogli nel silen-zio e nella preghiera di essere tutti liberati dalla prigionia del peccato,della superbia e dell’orgoglio: ciascuno infatti ha bisogno di uscire daquesto carcere interiore per essere veramente libero dal male, dalleangosce e dalla morte. Solo quel Bambino adagiato nella mangiatoia èin grado di donare a tutti questa liberazione piena!

Vorrei terminare dicendovi che la Chiesa sostiene e incoraggia ognisforzo diretto a garantire a tutti una vita dignitosa. Siate sicuri che iosono vicino a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, ai vostri bambini, aivostri giovani, ai vostri anziani e vi porto tutti nel cuore davanti a Dio.Il Signore benedica voi e il vostro futuro!

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Risposte alle domande dei detenuti

Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia, RomaDomenica, 18 dicembre 2011

Domanda

Mi chiamo Rocco.Innanzitutto volevo porgerLe il nostro ed il mio personale ringrazia-

mento per questa visita che ci è molto gradita ed assume, in un mo-mento così drammatico per le carceri italiane, un grande contenuto disolidarietà, umanità e conforto. Desidero chiedere a Vostra Santità sequesto suo gesto sarà compreso nella sua semplicità, anche dai nostripolitici e governanti affinché venga restituita a tutti gli ultimi, compre-si noi detenuti, la dignità e la speranza che devono essere riconosciu-te ad ogni essere vivente. Speranza e dignità indispensabili per ripren-dere il cammino verso una vita degna di essere vissuta.

Risposta del Santo Padre

Grazie per le sue parole. Sento il suo affetto per il Santo Padre, esono commosso da questa amicizia, che sento da tutti voi. E vorrei di-re che penso spesso a voi e prego sempre per voi perché so che èuna condizione molto difficile che spesso, invece di aiutare a rinnova-re l’amicizia con Dio e con l’umanità, peggiora la situazione, anche in-teriore. Io sono venuto soprattutto per mostrarvi questa mia vicinanzapersonale e intima, nella comunione con Cristo che vi ama, come hodetto. Ma certamente questa visita, che vuole essere personale a voi, èanche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini, al nostroGoverno il fatto che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceriitaliane. E certamente, il senso di queste carceri è proprio quello diaiutare la giustizia, e la giustizia implica come primo fatto la dignitàumana. Quindi devono essere costruite così che cresca la dignità, siarispettata la dignità e voi possiate rinnovare in voi stessi il senso delladignità, per rispondere meglio a questa nostra vocazione intima. Ab-biamo sentito il Ministro della Giustizia, abbiamo sentito come sente

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con voi, come sente tutta la vostra realtà e così possiamo essere con-vinti che il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per mi-gliorare questa situazione, per aiutarvi a trovare realmente, qui, unabuona realizzazione di una giustizia che vi aiuti a ritornare nella so-cietà con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e con tut-to il rispetto che esige la vostra condizione umana. Quindi, io, inquanto posso, vorrei sempre dare segni di quanto sia importante chequeste carceri rispondano al loro senso di rinnovare la dignità umanae non di attaccare questa dignità, e di migliorare la condizione. E spe-riamo che il Governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per ri-spondere a questa vocazione. Grazie.

Domanda

Mi chiamo Omar.Santo Padre, vorrei domandarti un milione di cose, che ho sempre

pensato di chiederti, ma oggi che posso mi rimane difficile farti unadomanda. Sono emozionato per l’evento, la tua visita qui in carcere èun fatto molto forte per noi detenuti cristiani cattolici, e perciò piùche una domanda preferisco chiederti di permetterci di aggrapparcicon te con la nostra sofferenza e quella dei nostri familiari, come uncavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene.

Risposta del Santo Padre

Anch’io ti voglio bene, e sono grato per queste parole che toccanoil mio cuore. Penso che questa mia visita mostra che vorrei seguire leparole del Signore che mi toccano sempre, dove dice - l’ho letto nelmio discorso - nell’ultimo giudizio: “mi avete visitato nel carcere e so-no stato io che vi ho aspettato”. Questa identificazione del Signorecon i carcerati ci obbliga profondamente, e io stesso devo chiedermi:ho agito secondo questo imperativo del Signore? Ho tenuto presentequesta parola del Signore? Questo è un motivo perché sono venuto,perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno diquesto riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenzadel Signore, il Quale, nel giudizio ultimo, ci interrogherà proprio suquesto punto e, perciò, spero che qui, sempre più, possa essere rea-lizzato il vero scopo di queste case circondariali: quello di aiutare a ri-

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trovare se stessi, di aiutare ad andare avanti con se stessi, nella ricon-ciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovonella società e aiutare nel progresso dell’umanità. Il Signore vi aiuterà.Nelle mie preghiere sono sempre con voi. Io so che per me è un ob-bligo particolare quello di pregare per voi, quasi di “tirarvi al Signore”,in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta: la preghie-ra è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che ci sia,per così dire, un forte cavo che vi “tira al Signore” e ci collega anchetra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi.Siate sicuri di questa forza della mia preghiera e invito anche gli altriad unirsi con voi nella preghiera, e così trovare quasi un’unica cordatache va verso il Signore.

Domanda

Mi chiamo Alberto.Santità, Le sembra giusto che dopo aver perso uno dopo l’altro tutti

i componenti della mia famiglia, ora che sono un uomo nuovo, e dadue mesi papà di una splendida bambina di nome Gaia, non mi con-cedano la possibilità di tornare a casa, nonostante abbia ampiamentepagato il debito verso la società?

Risposta del Santo Padre

Anzitutto, felicitazioni! Sono felice che Lei sia padre, che Lei si con-sideri un uomo nuovo e che abbia una splendida figlia: questo è undono di Dio. Io, naturalmente, non conosco i dettagli del suo caso,ma spero con Lei che quanto prima Lei possa tornare alla sua fami-glia. Lei sa che per la dottrina della Chiesa la famiglia è fondamentale,importante che il padre possa tenere in braccio la figlia. E così, pregoe spero che quanto prima Lei possa realmente avere in braccio sua fi-glia, essere con la moglie e la figlia per costruire una bella famiglia ecosì anche collaborare al futuro dell’Italia.

Domanda

Santità, sono Federico, parlo a nome delle persone detenute delG14, che è il reparto infermeria.

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Cosa possono chiedere degli uomini detenuti, malati e sieropositivial Papa? Al nostro Papa, già gravato dal peso di tutte le sofferenze delmondo, chiedono che preghi per loro? Che li perdoni? Che li tengapresente nel suo grande cuore? Sì, noi questo vorremmo chiedere, masoprattutto che portasse la nostra voce dove non viene sentita. Siamoassenti dalle nostre famiglie, ma non dalla vita, siamo caduti e nellenostre cadute abbiamo fatto del male ad altri, ma ci stiamo rialzando.

Troppo poco si parla di noi, spesso in modo così feroce come avolerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani. Lei è ilPapa di tutti e noi la preghiamo di fare in modo che non ci vengastrappata la dignità, insieme alla libertà. Perché non sia più dato perscontato che recluso voglia dire escluso per sempre. La sua presenzaè per noi un onore grandissimo! I nostri più cari auguri per il SantoNatale, a tutti.

Risposta del Santo Padre

Si, mi hai detto parole veramente memorabili: siamo caduti, ma sia-mo qui per rialzarci. Questo è importante, questo coraggio di rialzarsi,di andare avanti con l’aiuto del Signore e con l’aiuto di tutti gli amici.Lei ha anche detto che si parla in modo “feroce” di voi. Purtroppo èvero, ma vorrei dire che non c’è solo questo, ci sono anche altri cheparlano bene di voi e pensano bene di voi. Io penso alla mia piccolafamiglia papale; sono circondato da quattro “suore laiche” e parliamospesso di questo problema; loro hanno amici in diverse carceri, rice-viamo anche doni da loro e diamo da parte nostra dei doni. Quindiquesta realtà è presente in modo molto positivo nella mia famiglia epenso che lo sia in tante altre. Dobbiamo sopportare che alcuni parli-no in modo “feroce”, parlano in modo “feroce” anche contro il Papa,e, tuttavia, andiamo avanti. Mi sembra importante incoraggiare tuttiche pensino bene, che abbiano senso delle vostre sofferenze, abbianoil senso di aiutarvi nel processo di rialzamento, e, diciamo, io farò lamia parte per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non inmodo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno puòcadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui, e noi dobbiamo coope-rare in spirito di fraternità e di riconoscimento anche della propria fra-

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gilità, perché possano realmente rialzarsi e andare avanti con dignità etrovare sempre rispettata la propria dignità, perché cresca e possanocosì anche trovare gioia nella vita, perché la vita ci è donata dal Si-gnore, con una sua idea. E se riconosciamo questa idea, Dio è connoi, e anche i passi oscuri hanno il loro senso per darci una maggioreconoscenza di noi stessi, per aiutarci a diventare più noi stessi, più fi-gli di Dio e così essere realmente felici di essere uomini, perché creatida Dio, anche in diverse condizioni difficili. Il Signore vi aiuterà e noisiamo vicini a voi.

Domanda

Mi chiamo Gianni, del Reparto G8.Santità, mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di

noi, mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti? Se io lachiedessi in ginocchio, da solo, dentro una stanza, rivolgendomi al Si-gnore, mi assolverebbe? Oppure sarebbe un’assoluzione di diverso va-lore? Quale sarebbe la differenza?

Risposta del Santo Padre

Sì: è una grande e vera questione quella che Lei porta a me. Direidue cose. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e convero amore di Dio prega che Dio perdoni, Egli perdona. E’ sempredottrina della Chiesa che se uno, con vero pentimento, cioè non soloper evitare pene, difficoltà, ma per amore del bene, per amore di Dio,chiede perdono, riceve perdono da Dio. Questa è la prima parte. Seio realmente riconosco che ho fatto male, e se in me è rinato l’amoredel bene, la volontà del bene, il pentimento per non aver risposto aquesto amore, e chiedo da Dio, che è il Bene, il perdono, Egli lo do-na. Ma c’è un secondo elemento: il peccato non è solamente una cosa“personale”, individuale, tra me e Dio. Il peccato ha sempre ancheuna dimensione sociale, orizzontale. Con il mio peccato personale,anche se forse nessuno lo sa, ho danneggiato anche la comunionedella Chiesa, ho sporcato la comunione della Chiesa, ho sporcato l’u-manità. E perciò questa dimensione sociale, orizzontale, del peccatoesige che sia assolto anche a livello della comunità umana, della co-munità della Chiesa, quasi corporalmente. Quindi, questa seconda di-

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mensione del peccato, che non è solo contro Dio ma concerne anchela comunità, esige il Sacramento, e il Sacramento è il grande dono nelquale posso, nella confessione, liberarmi da questa cosa e posso real-mente ricevere il perdono anche nel senso di una piena riammissionenella comunità della Chiesa viva, del Corpo di Cristo. E così, in questosenso, l’assoluzione necessaria da parte del sacerdote, il Sacramento,non è un’imposizione che – diciamo - limita la bontà di Dio, ma, alcontrario, è un’espressione della bontà di Dio perché mi dimostra cheanche concretamente, nella comunione della Chiesa, ho ricevuto ilperdono e posso ricominciare di nuovo. Quindi, io direi di tenere pre-senti queste due dimensioni: quella verticale, con Dio, e quella oriz-zontale, con la comunità della Chiesa e dell’umanità. L’assoluzione delprete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per assolvermi realmen-te da questo legame del male e re-integrarmi nella volontà di Dio,nell’ottica di Dio, completamente, nella sua Chiesa, e darmi la certez-za, anche quasi corporale, sacramentale: Dio mi perdona, mi ricevenella comunità dei suoi figli. Penso che dobbiamo imparare a capire ilSacramento della Penitenza in questo senso: una possibilità di trovare,quasi corporalmente, la bontà del Signore, la certezza della riconcilia-zione.

Domanda

Santità, mi chiamo Nwaihim Ndubuisi, reparto G11.Santo Padre, lo scorso mese è stato in visita pastorale in Africa, nel-

la piccola nazione del Benin, una delle nazioni più povere del mon-do. Ha visto la fede e la passione di quegli uomini verso Gesù Cristo.Ha visto persone soffrire per cause diverse: razzismo, fame, lavoro mi-norile…

Le chiedo: loro pongono la speranza e la fede in Dio e muoionotra povertà e violenze. Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta so-lo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede? Grazie, Santo Padre.

Risposta del Santo Padre

Vorrei innanzi tutto dire che sono stato molto felice nella sua terra;l’accoglienza da parte degli africani è stata calorosissima, ho sentitoquesta cordialità umana che in Europa è un po’ oscurata, perché ab-

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biamo tante altre cose nel nostro cuore che rendono un po’ duro an-che il cuore. Qui [in Benin] c’era una cordialità, per così dire, esube-rante, ho sentito anche la gioia di vivere, e questa era una delle im-pressioni belle per me: nonostante la povertà e tutte le grandi soffe-renze che ho anche visto – ho salutato lebbrosi, malati di Aids, ecce-tera –, nonostante tutti questi problemi e la grande povertà, c’è unagioia di vivere, una gioia di essere una creatura umana perché c’è unaconsapevolezza originaria che Dio è buono e mi ama, ed essere uomoè essere amato da Dio. Quindi questa era per me l’impressione, dicia-mo, preponderante, forte: vedere, in un Paese sofferente, gioia, alle-grezza più che nei Paesi ricchi. E questo a me fa anche pensare chenei Paesi ricchi la gioia è spesso assente; siamo tutti pienamente occu-pati con tanti problemi: come fare questo, come impostare questo, co-me conservare questo, comprare ancora. E con la massa delle coseche abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questaesperienza originaria che Dio c’è e che Dio mi è vicino. Perciò direiche avere grandi proprietà e avere potere non rende necessariamentefelici, non è il più grande dono. Può essere anche, direi, una cosa ne-gativa, che mi impedisce di vivere realmente. Le misure di Dio, i crite-ri di Dio, sono diversi dai nostri. Dio dà anche a questi poveri gioia, ilriconoscimento della sua presenza, fa sentire che è vicino a loro an-che nella sofferenza, nelle difficoltà e, naturalmente, ci chiama tuttiperché noi facciamo di tutto affinché possano uscire da queste oscu-rità delle malattie, della povertà. È un compito nostro, e così nel farequesto anche noi possiamo divenire più allegri. Quindi le due partidevono completarsi: noi dobbiamo aiutare perché anche l’Africa, que-sti Paesi poveri, possano trovare il superamento di questi problemi,della povertà, aiutarli a vivere, e loro possono aiutarci a capire che lecose materiali non sono l’ultima parola. E dobbiamo pregare Dio: mo-straci, aiutaci, perché ci sia giustizia, perché tutti possano vivere nellagioia di essere tuoi figli.

Un detenuto legge una preghiera

Santità, mi chiamo Stefano, reparto G 11

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Preghiera dietro le sbarre

O Dio, dammi il coraggio di chiamarti Padre.Sai che non sempre riesco a pensarti con l’attenzione che meriti.Tu non ti sei dimenticato di me, anche se vivo spesso lontanodalla luce del tuo volto.Fatti sentire vicino, nonostante tutto, nonostante il mio peccatogrande o piccolo, segreto o pubblico che sia.Dammi la pace interiore, quella che solo tu sai dare.Dammi la forza di essere vero, sincero; strappa dal mio volto lemaschere che oscurano la consapevolezza che io valgo qualcosasolo perché sono tuo figlio. Perdona le mie colpe e dammi insiemela possibilità di fare il bene.Accorcia le mie notti insonni;dammi la grazia della conversione del cuore.Ricordati, Padre, di coloro che sono fuori di qui e che mi voglionoancora bene, perché pensando a loro, io mi ricordi che solo l’amo-re dà vita, mentre l’odio distrugge e il rancore trasforma in infernole lunghe e interminabili giornate. Ricordati di me, o Dio. Amen.

Dopo la preghiera letta da un detenuto il Papa ha detto:

Cari amici ho detto che tutti noi siamo figli di Dio, da figli preghia-mo adesso insieme al nostro Padre, come il Signore ci ha insegnato dipregare:

Padre nostro….

Al termine della sua visita il Papa ha pronunciato le seguenti parole:

Cari amici, un cordiale grazie per questa accoglienza, auguro a tuttiun buon Natale. Che un po’ della luce del Signore ci venga. Avventoè tempo di attesa: non siamo ancora arrivati, ma sappiamo che andia-mo verso la luce e che Dio ci ama. In questo senso, buona domenicae anche buon Natale. Auguri! Grazie.

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Per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

"RADICATI E FONDATI IN CRISTO, SALDI NELLA FEDE" (cfr. Col 2,7)

Cari amici,

ripenso spesso alla GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ DISYDNEY DEL 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede,durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’in-tensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo.Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vi-ta di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo sirivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luo-go a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima dellastorica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fecetappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momentoin cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, cisiamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati inCristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo even-to così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale.E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fedein Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono inLui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per lavita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore perciascuno di noi.

1. Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni

In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono ilprofondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nellaverità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruirerapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondareuna famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una realesicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamen-te, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sonole questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domandadel posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i

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piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gio-ventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita piùgrande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamoperderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è gran-de, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza.Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante ladittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire,“rinchiusi” dal potere dominante. Quindi, volevamo uscire all’apertoper entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credoche, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale cisia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualco-sa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’a-nelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuotoche svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creatoper ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente.Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quandonon riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fat-to che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, eper questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale lapersona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioiae alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere dieliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; elimi-narlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsidella pienezza e della gioia: “la creatura, infatti, senza il Creatore sva-nisce” (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura at-tuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende adescludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza al-cuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sonoalla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della di-gnità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, siconstata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un ve-ro rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede rice-vuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.

Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cam-mino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete ilfuturo della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai

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cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, delle basi soli-de! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hannopunti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando cosìprofondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto siequivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento as-soluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, confor-mismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di riceveredalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scel-te e costruire la vostra vita, come una giovane pianta ha bisogno diun solido sostegno finché crescono le radici, per diventare, poi, un al-bero robusto, capace di portare frutto.

2. Radicati e fondati in Cristo

Per mettere in luce l’importanza della fede nella vita dei credenti,vorrei soffermarmi su ciascuno dei tre termini che san Paolo utilizzain questa sua espressione: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fe-de” (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: “radicato” evocal’albero e le radici che lo alimentano; “fondato” si riferisce alla costru-zione di una casa; “saldo” rimanda alla crescita della forza fisica o mo-rale. Si tratta di immagini molto eloquenti. Prima di commentarle, vanotato semplicemente che nel testo originale i tre termini, dal puntodi vista grammaticale, sono dei passivi: ciò significa che è Cristo stes-so che prende l’iniziativa di radicare, fondare e rendere saldi i creden-ti.

La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato alsuolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senzaradici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono lenostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del no-stro Paese, che sono una componente molto importante della nostraidentità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: “Bene-detto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Ècome un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la correntestende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie riman-gono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di pro-durre frutti” (Ger 17,7-8). Stendere le radici, per il profeta, significa ri-

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porre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senzadi Lui non potremmo vivere veramente. “Dio ci ha donato la vita eter-na e questa vita è nel suo Figlio” (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presentacome nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo cre-dere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con GesùCristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un di-namismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cri-sto ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e sirealizza in pienezza. C’è un momento, da giovani, in cui ognuno dinoi si domanda: che senso ha la mia vita, quale scopo, quale direzio-ne dovrei darle? E’ una fase fondamentale, che può turbare l’animo, avolte anche a lungo. Si pensa al tipo di lavoro da intraprendere, aquali relazioni sociali stabilire, a quali affetti sviluppare… In questocontesto, ripenso alla mia giovinezza. In qualche modo ho avuto benpresto la consapevolezza che il Signore mi voleva sacerdote. Ma poi,dopo la Guerra, quando in seminario e all’università ero in camminoverso questa meta, ho dovuto riconquistare questa certezza. Ho dovu-to chiedermi: è questa veramente la mia strada? È veramente questa lavolontà del Signore per me? Sarò capace di rimanere fedele a Lui e diessere totalmente disponibile per Lui, al Suo servizio? Una tale deci-sione deve anche essere sofferta. Non può essere diversamente. Mapoi è sorta la certezza: è bene così! Sì, il Signore mi vuole, pertantomi darà anche la forza. Nell’ascoltarLo, nell’andare insieme con Lui di-vento veramente me stesso. Non conta la realizzazione dei miei propridesideri, ma la Sua volontà. Così la vita diventa autentica.

Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terre-no, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Median-te la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa ècostruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esem-pi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primoè Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva dilasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto.“Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fuchiamato amico di Dio” (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa ri-spondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e met-tendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli:

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“Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?”(Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, ag-giunge: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette inpratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavatomolto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la pie-na, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché eracostruita bene” (Lc 6,47-48).

Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che“ha scavato molto profondo”. Cercate anche voi, tutti i giorni, di se-guire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condivi-dere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di af-frontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le de-lusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente propostepiù facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, nonvi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autenti-ca, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cam-mino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ri-cevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsa-bilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete acoloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire lavostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fededella Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fattavostra!

3. Saldi nella fede

Siate “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). LaLettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per ri-spondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi.Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenzeculturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostrocontesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello deiColossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicistache vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, pro-spettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’espe-rienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: preval-

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gono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e trai popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, làdove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adoranonella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la ci-viltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cre-sce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristia-ni che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sonoattratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo.Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciatoraffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul pia-no morale.

Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ri-corda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fonda-mento della nostra vita, il centro della fede cristiana. Tutte le filosofieche lo ignorano, considerandolo “stoltezza” (1 Cor 1,23), mostrano iloro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uo-mo. Per questo anch’io, come Successore dell’apostolo Pietro, deside-ro confermarvi nella fede (cfr Lc 22,32). Noi crediamo fermamenteche Gesù Cristo si è offerto sulla Croce per donarci il suo amore; nellasua passione, ha portato le nostre sofferenze, ha preso su di sé i no-stri peccati, ci ha ottenuto il perdono e ci ha riconciliati con Dio Pa-dre, aprendoci la via della vita eterna. In questo modo siamo stati li-berati da ciò che più intralcia la nostra vita: la schiavitù del peccato, epossiamo amare tutti, persino i nemici, e condividere questo amorecon i fratelli più poveri e in difficoltà.

Cari amici, spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la ne-gazione della vita. In realtà, è il contrario! Essa è il “sì” di Dio all’uo-mo, l’espressione massima del suo amore e la sorgente da cui sgorgala vita eterna. Infatti, dal cuore di Gesù aperto sulla croce è sgorgataquesta vita divina, sempre disponibile per chi accetta di alzare gli oc-chi verso il Crocifisso. Dunque, non posso che invitarvi ad accoglierela Croce di Gesù, segno dell’amore di Dio, come fonte di vita nuova.Al di fuori di Cristo morto e risorto, non vi è salvezza! Lui solo può li-berare il mondo dal male e far crescere il Regno di giustizia, di pace edi amore al quale tutti aspiriamo.

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4. Credere in Gesù Cristo senza vederlo

Nel Vangelo ci viene descritta l’esperienza di fede dell’apostoloTommaso nell’accogliere il mistero della Croce e Risurrezione di Cri-sto. Tommaso fa parte dei Dodici apostoli; ha seguito Gesù; è testimo-ne diretto delle sue guarigioni, dei miracoli; ha ascoltato le sue parole;ha vissuto lo smarrimento davanti alla sua morte. La sera di Pasqua ilSignore appare ai discepoli, ma Tommaso non è presente, e quandogli viene riferito che Gesù è vivo e si è mostrato, dichiara: “Se non ve-do nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel se-gno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”(Gv 20,25).

Noi pure vorremmo poter vedere Gesù, poter parlare con Lui, sen-tire ancora più fortemente la sua presenza. Oggi per molti, l’accesso aGesù si è fatto difficile. Circolano così tante immagini di Gesù che sispacciano per scientifiche e Gli tolgono la sua grandezza, la singola-rità della Sua persona. Pertanto, durante lunghi anni di studio e medi-tazione, maturò in me il pensiero di trasmettere un po’ del mio perso-nale incontro con Gesù in un libro: quasi per aiutare a vedere, udire,toccare il Signore, nel quale Dio ci è venuto incontro per farsi cono-scere. Gesù stesso, infatti, apparendo nuovamente dopo otto giorni aidiscepoli, dice a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie ma-ni; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo,ma credente!” (Gv 20,27). Anche a noi è possibile avere un contattosensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della suaPassione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolar-mente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a “vedere”, a“incontrare” Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsicibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui ilSignore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdo-no. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelliche sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto.

Aprite e coltivate un dialogo personale con Gesù Cristo, nella fede.Conoscetelo mediante la lettura dei Vangeli e del Catechismo dellaChiesa Cattolica; entrate in colloquio con Lui nella preghiera, dategli

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la vostra fiducia: non la tradirà mai! “La fede è innanzitutto un’adesio-ne personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, èl’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato” (Catechismo dellaChiesa Cattolica, 150). Così potrete acquisire una fede matura, solida,che non sarà fondata unicamente su un sentimento religioso o su unvago ricordo del catechismo della vostra infanzia. Potrete conoscereDio e vivere autenticamente di Lui, come l’apostolo Tommaso, quan-do manifesta con forza la sua fede in Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”.

5. Sorretti dalla fede della Chiesa, per essere testimoni

In quel momento Gesù esclama: “Perché mi hai veduto, tu hai cre-duto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).Egli pensa al cammino della Chiesa, fondata sulla fede dei testimonioculari: gli Apostoli. Comprendiamo allora che la nostra fede persona-le in Cristo, nata dal dialogo con Lui, è legata alla fede della Chiesa:non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membridi questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che do-na sicurezza alla nostra fede personale. Il Credo che proclamiamo nel-la Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in unDio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: “Ogni credente è comeun anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere sen-za essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribui-sco a sostenere la fede degli altri” (Catechismo della Chiesa Cattolica,166). Ringraziamo sempre il Signore per il dono della Chiesa; essa cifa progredire con sicurezza nella fede, che ci dà la vera vita (cfr Gv20,31).

Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Crocegloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di sestessi; nella fede hanno trovato la forza per vincere le proprie debo-lezze e superare ogni avversità. Infatti, come dice l’apostolo Giovanni,“chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio diDio?” (1 Gv 5,5). E la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore.Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della for-za della fede che si esprime nella carità: sono stati artigiani di pace,promotori di giustizia, animatori di un mondo più umano, un mondo

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secondo Dio; si sono impegnati nei vari ambiti della vita sociale, concompetenza e professionalità, contribuendo efficacemente al bene ditutti. La carità che scaturisce dalla fede li ha condotti ad una testimo-nianza molto concreta, negli atti e nelle parole: Cristo non è un benesolo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividerecon gli altri. Nell’era della globalizzazione, siate testimoni della spe-ranza cristiana nel mondo intero: sono molti coloro che desiderano ri-cevere questa speranza! Davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, mortoda quattro giorni, Gesù, prima di richiamarlo alla vita, disse a sua so-rella Marta: “Se crederai, vedrai la gloria di Dio” (cfr Gv 11,40). Anchevoi, se crederete, se saprete vivere e testimoniare la vostra fede ognigiorno, diventerete strumento per far ritrovare ad altri giovani comevoi il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo!

6. Verso la Giornata Mondiale di Madrid

Cari amici, vi rinnovo l’invito a venire alla Giornata Mondiale dellaGioventù a Madrid. Con gioia profonda, attendo ciascuno di voi per-sonalmente: Cristo vuole rendervi saldi nella fede mediante la Chiesa.La scelta di credere in Cristo e di seguirlo non è facile; è ostacolatadalle nostre infedeltà personali e da tante voci che indicano vie piùfacili. Non lasciatevi scoraggiare, cercate piuttosto il sostegno dellaComunità cristiana, il sostegno della Chiesa! Nel corso di quest’annopreparatevi intensamente all’appuntamento di Madrid con i vostri Ve-scovi, i vostri sacerdoti e i responsabili di pastorale giovanile nellediocesi, nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movi-menti. La qualità del nostro incontro dipenderà soprattutto dalla pre-parazione spirituale, dalla preghiera, dall’ascolto comune della Paroladi Dio e dal sostegno reciproco.

Cari giovani, la Chiesa conta su di voi! Ha bisogno della vostra fedeviva, della vostra carità creativa e del dinamismo della vostra speran-za. La vostra presenza rinnova la Chiesa, la ringiovanisce e le donanuovo slancio. Per questo le Giornate Mondiali della Gioventù sonouna grazia non solo per voi, ma per tutto il Popolo di Dio. La Chiesain Spagna si sta preparando attivamente per accogliervi e vivere insie-me l’esperienza gioiosa della fede. Ringrazio le diocesi, le parrocchie,

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i santuari, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesia-li, che lavorano con generosità alla preparazione di questo evento. IlSignore non mancherà di benedirli. La Vergine Maria accompagni que-sto cammino di preparazione. Ella, all’annuncio dell’Angelo, accolsecon fede la Parola di Dio; con fede acconsentì all’opera che Dio stavacompiendo in lei. Pronunciando il suo “fiat”, il suo “sì”, ricevette ildono di una carità immensa, che la spinse a donare tutta se stessa aDio. Interceda per ciascuno e ciascuna di voi, affinché nella prossimaGiornata Mondiale possiate crescere nella fede e nell’amore. Vi assicu-ro il mio paterno ricordo nella preghiera e vi benedico di cuore.

Dal Vaticano, 6 agosto 2010,Festa della Trasfigurazione del Signore

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Al Cardinale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, in occasione dell'Incontro

Internazionale di preghiera per la pace "Bound to Live Together":

Religioni e Culture in dialogo, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio

Monaco di Baviera, 11 - 13 settembre 2011

Al mio venerabile fratello Reinhard Cardinale Marx Arcivescovo di Monaco e Frisinga

Tra poche settimane cadrà l’anniversario dei venticinque anni dal-l’invito rivolto dal beato Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle di-verse religioni del mondo a riunirsi ad Assisi per un incontro interna-zionale di preghiera per la pace. A partire da quel memorabile evento,anno dopo anno, la Comunità di Sant’Egidio realizza un incontro perla pace, per approfondire lo spirito di pace e di riconciliazione e affin-ché Dio, nella preghiera, ci trasformi in uomini di pace. Sono lietoche l’incontro di quest’anno si svolga a Monaco, città di cui sono statoVescovo, alla vigilia del mio viaggio in Germania e in preparazione al-la cerimonia di commemorazione del venticinquesimo anniversariodella preghiera mondiale per la pace di Assisi, che avrà luogo nelprossimo mese di ottobre. Volentieri assicuro agli organizzatori e aipartecipanti dell’incontro di Monaco la mia vicinanza spirituale e rivol-go loro di cuore tutti i miei voti perché sia benedetto.

Il titolo dell’incontro per la pace «Bound to live together» / «Convi-vere – il nostro destino» ci ricorda che noi esseri umani siamo legatigli uni agli altri. Questo vivere insieme è in fondo una semplice predi-sposizione, che deriva direttamente dalla nostra condizione umana. Èdunque nostro compito darle un contenuto positivo. Il vivere insiemepuò trasformarsi in un vivere gli uni contro gli altri, può diventare uninferno, se non impariamo ad accoglierci gli uni gli altri, se ognuno

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non vuole essere altro che se stesso. Ma aprirsi agli altri, offrirsi aglialtri può essere anche un dono. Così tutto dipende dall’intendere lapredisposizione a vivere insieme come impegno e come dono, daltrovare la vera via del convivere. Tale vivere insieme, che un tempopoteva rimanere confinato ad una regione, oggi non può che esserevissuto a livello universale. Il soggetto del convivere è oggi l’umanitàtutta intera. Incontri come quello che ebbe luogo ad Assisi e quelloche si tiene oggi a Monaco sono occasioni nelle quali le religioni pos-sono interrogare se stesse e chiedersi come diventare forze del convi-vere.

Quando ci riuniamo tra cristiani, ricordiamo che per la fede biblicaDio è il creatore di tutti gli uomini, sì, Dio desidera che noi formiamoun’unica famiglia, in cui tutti siamo fratelli e sorelle. Ricordiamo cheCristo ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (Ef 2, 16 ss). Dob-biamo apprenderlo continuamente. Il senso fondamentale di tali in-contri è che noi dobbiamo rivolgerci ai vicini e ai lontani nello stessospirito di pace che Cristo ci ha mostrato. Dobbiamo imparare a viverenon gli uni accanto agli altri, ma gli uni con gli altri, ovvero dobbiamoimparare ad aprire il cuore agli altri, a permettere che i nostri similicondividano le nostre gioie, speranze e preoccupazioni. Il cuore è illuogo in cui il Signore ci si fa vicino. Per questo, la religione, che èincentrata sull’incontro dell’uomo con il mistero divino, è legata inmodo essenziale alla questione della pace. Se la religione fallisce l’in-contro con Dio, se abbassa Dio al nostro livello invece di elevare noiverso di Lui, se Lo rende, in un certo senso, una nostra proprietà, allo-ra in tal modo può contribuire alla dissoluzione della pace. Se essa in-vece conduce al divino, al creatore e redentore di tutti gli uomini, al-lora diventa una forza di pace. Sappiamo che anche nel cristianesimoci sono state distorsioni pratiche dell’immagine di Dio, che hanno por-tato alla distruzione della pace. A maggior ragione siamo tutti chiamatia lasciare che il Dio divino ci purifichi, per diventare uomini di pace.

Non dobbiamo mai venire meno ai nostri comuni sforzi per la pa-ce. Per questo le molteplici iniziative in tutto il mondo, come l’incon-tro annuale di preghiera per la pace della Comunità di Sant’Egidio, ealtre simili, hanno un così grande valore. Il campo in cui deve prospe-rare il frutto della pace deve sempre essere coltivato. Spesso non pos-

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siamo fare altro che preparare incessantemente e con tanti piccoli pas-si il terreno per la pace in noi e intorno a noi, anche pensando allegrandi sfide con cui si confronta non il singolo, ma l’intera umanità,come le migrazioni, la globalizzazione, le crisi economiche e la tuteladel creato. Infine, sappiamo però che la pace non può semplicementeessere «fatta», ma che sempre è anche «donata». «La pace è un dono diDio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente com-piuto» (Messaggio per la giornata mondiale della pace 2011, 15). Pro-prio per questo è necessaria la testimonianza comune di tutti coloroche cercano Dio con cuore puro, per realizzare sempre più l’idea diuna convivenza pacifica tra tutti gli uomini. Dal PRIMO INCONTRODI ASSISI, 25 ANNI FA, si sono svolte e si svolgono molte iniziativeper la riconciliazione e per la pace, che riempiono di speranza. Pur-troppo, però, ci sono state anche molte occasioni perdute, molti passiindietro. Terribili atti di violenza e terrorismo hanno ripetutamentesoffocato la speranza della convivenza pacifica della famiglia umanaagli albori del terzo millennio, vecchi conflitti covano sotto la cenereo scoppiano nuovamente e ad essi si aggiungono nuovi scontri e nuo-vi problemi. Tutto ciò ci mostra chiaramente che la pace è un manda-to permanente a noi affidato e contemporaneamente un dono da in-vocare. In tal senso, che l’incontro per la pace di Monaco e i colloquiche vi avranno luogo possano contribuire a promuovere la reciprocacomprensione e il convivere, preparando così alla pace una via sem-pre nuova nel nostro tempo! Per questo invoco su tutti i partecipantiall’incontro per la pace di quest’anno a Monaco la benedizione di Dioonnipotente.

Da Castel Gandolfo, 1 settembre 2011

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Al signor Jacques Diouf,Direttore Generale della F.A.O.,

in occasione della Giornata Mondialedell’Alimentazione 2011

17 ottobre 2011

Al Signor Jacques DioufDirettore Generale della F.A.O.

1. L’annuale celebrazione della Giornata Mondiale dell’Alimentazio-ne, mentre intende ricordare la fondazione della FAO e il suo impe-gno a favore dello sviluppo agricolo per combattere la fame e la mal-nutrizione, è anche occasione per sottolineare la situazione di tantinostri fratelli e sorelle che mancano del pane quotidiano.

Nei nostri occhi restano impresse le dolenti immagini delle nume-rose vittime della fame nel Corno d’Africa, e ogni giorno un nuovo ca-pitolo si aggiunge a quella che è una delle più gravi catastrofi umani-tarie degli ultimi decenni. Di fronte alla morte per fame di intere co-munità e al loro abbandono forzato dei territori di origine, certo, è es-senziale l’aiuto immediato, ma occorre anche approntare interventi amedio e lungo termine perché l’attività internazionale non sia ridotta adare risposte solo alle emergenze.

La situazione è certamente resa ancora più complessa dalla difficilecrisi che, a livello mondiale, sta investendo i diversi settori dell’econo-mia e che colpisce duramente soprattutto i più indigenti, condizionan-do peraltro la produzione agricola e la conseguente possibilità di ac-cesso agli alimenti. Nondimeno, lo sforzo dei Governi e delle diversecomponenti della Comunità internazionale deve essere orientato ascelte efficaci, coscienti che la libertà dal giogo della fame è la primae concreta manifestazione di quel diritto alla vita che, pur solenne-mente proclamato, resta spesso lontano da una effettiva attuazione.

2. Il tema scelto per questa Giornata: “Prezzi degli alimenti: dallacrisi alla stabilità” invita giustamente a riflettere sull’importanza dei

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diversi fattori che possono fornire a persone e comunità le risorse es-senziali, a partire dal lavoro agricolo che deve essere considerato noncome attività secondaria, ma quale obiettivo di ogni strategia di cresci-ta e di sviluppo integrale. Questo è ancor più importante nel momen-to in cui la disponibilità di cibo è sempre più condizionata dalla vola-tilità dei prezzi e da repentini cambiamenti climatici, mentre si registraun continuo abbandono delle aree rurali con una diminuzione com-plessiva della produzione agricola e quindi delle scorte alimentari. Difronte a questa realtà, purtroppo, qua e là sembra prevalere l’idea diconsiderare gli alimenti come una qualsiasi merce e quindi sottopostianche a manovre speculative.

Non è possibile tacere il fatto che, nonostante i progressi sin quirealizzati e le fondate speranze per un’economia sempre più rispetto-sa della dignità di ogni persona, il futuro della famiglia umana ha bi-sogno di un nuovo slancio per superare le attuali fragilità e incertezze.Nonostante la dimensione globale che stiamo vivendo, sono evidenti isegni della profonda divisione tra quanti mancano del quotidiano so-stentamento e coloro che dispongono di ingenti risorse, usandolespesso per fini non alimentari o addirittura distruggendole, a confer-ma che la globalizzazione ci fa sentire vicini, ma non fratelli (cfr Cari-tas in Veritate, 19). Vanno perciò riscoperti quei valori inscritti nelcuore di ogni persona e che da sempre ne hanno ispirato l’azione: ilsentimento di compassione e di umanità verso gli altri, accompagnatial dovere di solidarietà e alla realizzazione della giustizia, debbonotornare ad essere la base di ogni attività, anche di quelle realizzatedalla Comunità internazionale.

3. Di fronte all’ampiezza del dramma della fame, l’invito alla rifles-sione, l’analisi dei problemi e la stessa disponibilità a intervenire nonbastano. Troppo spesso questi elementi rimangono senza risposta per-ché rinchiusi nella sfera delle emozioni e non riescono a scuotere lacoscienza e la sua ricerca della verità e del bene. Sono ricorrenti i ten-tativi di giustificare comportamenti e omissioni dettate dall’egoismo eda obiettivi o interessi particolari. Diversamente, l’intento di questaGiornata dovrebbe essere l’impegno a modificare comportamenti edecisioni per rendere sicuro che ogni persona, oggi e non domani,

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abbia accesso alle risorse alimentari necessarie, e che il settore agrico-lo disponga di un sufficiente livello di investimenti e di risorse tali dadare stabilità alla produzione e quindi al mercato. È facile ridurre ogniconsiderazione alla domanda di alimenti da parte di una popolazionecrescente, ben sapendo che le cause della fame sono altrove e moltis-sime sono le sue vittime tra i tanti Lazzaro ai quali non è consentito disedersi alla mensa del ricco Epulone (cfr Paolo VI, Populorum Pro-gressio, 47).

Si tratta, dunque, di assumere un atteggiamento interiore responsa-bile, capace di ispirare un diverso stile di vita, una necessaria sobrietàdi comportamenti e di consumi così da favorire il bene anche dellegenerazioni future in termini di sostenibilità, di tutela dei beni dellacreazione, di distribuzione delle risorse e, soprattutto, di impegni con-creti per lo sviluppo di interi popoli e Nazioni. Da parte loro i benefi-ciari della cooperazione internazionale sono chiamati a utilizzare re-sponsabilmente ogni solidale contributo "in infrastrutture rurali, in si-stemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in for-mazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioè diutilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economichemaggiormente accessibili a livello locale" (Caritas in Veritate, 27).

4. Tutto questo potrà realizzarsi se anche le Istituzioni internaziona-li garantiranno con imparzialità ed efficienza il loro servizio, ma nelpieno rispetto delle convinzioni più profonde dell’animo umano edelle aspirazioni di ogni persona. In questa prospettiva la FAO potràconcorrere a garantire un’alimentazione adeguata per tutti, a rafforzarei metodi di coltivazione e di commercializzazione e a proteggere ifondamentali diritti di quanti lavorano la terra, senza mai dimenticare ivalori più autentici di cui il mondo rurale e quanti in esso vivono, so-no custodi.

La Chiesa cattolica è vicina alle Organizzazioni che operano per ga-rantire la nutrizione. Essa, attraverso le sue strutture e agenzie di svi-luppo, continuerà ad accompagnarle fattivamente in questo sforzo af-finché ogni popolo e comunità disponga della necessaria sicurezzaalimentare, che nessun compromesso o negoziato, per quanto autore-vole sia, potrà garantire senza una reale solidarietà e un’autentica fra-ternità. “La rilevanza di questo obiettivo è tale da esigere la nostra

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apertura a capirlo fino in fondo e a mobilitarci in concreto con il ‘cuo-re’, per far evolvere gli attuali processi economici e sociali verso esitipienamente umani” (Caritas in Veritate, 20).

Con questi sentimenti auguro a Lei, Signor Direttore Generale, di pro-seguire nell’impegno verso gli i più bisognosi che ha caratterizzatoquesti anni di responsabilità e dedizione, mentre invoco sulla FAO, suognuno degli Stati membri e sul personale tutto abbondanti benedi-zioni dell’Onnipotente.

Per la Giornata Missionaria Mondiale 2011

23 ottobre 2011

"COME IL PADRE HA MANDATO ME, ANCH’IO MANDO VOI" (Gv 20,21)

In occasione del GIUBILEO DEL 2000, il Venerabile GIOVANNIPAOLO II, all’inizio di un nuovo millennio dell’era cristiana, ha ribadi-to con forza la necessità di rinnovare l’impegno di portare a tutti l’an-nuncio del Vangelo "con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora"(Lett. ap. Novo millennio ineunte, 58). È il servizio più prezioso che laChiesa può rendere all’umanità e ad ogni singola persona alla ricercadelle ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza.Perciò quello stesso invito risuona ogni anno nella celebrazione dellaGiornata Missionaria Mondiale. L’incessante annuncio del Vangelo, in-fatti, vivifica anche la Chiesa, il suo fervore, il suo spirito apostolico,rinnova i suoi metodi pastorali perché siano sempre più appropriatialle nuove situazioni - anche quelle che richiedono una nuova evan-gelizzazione - e animati dallo slancio missionario: «La missione rinno-va la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entu-siasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova

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evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegnonell’impegno per la missione universale» (Giovanni Paolo II, Enc. Re-demptoris missio, 2).

Andate e annunciate

Questo obiettivo viene continuamente ravvivato dalla celebrazionedella liturgia, specialmente dell’Eucaristia, che si conclude sempre rie-cheggiando il mandato di Gesù risorto agli Apostoli: “Andate…” (Mt28,19). La liturgia è sempre una chiamata ‘dal mondo’ e un nuovo in-vio ‘nel mondo’ per testimoniare ciò che si è sperimentato: la potenzasalvifica della Parola di Dio, la potenza salvifica del Mistero Pasqualedi Cristo. Tutti coloro che hanno incontrato il Signore risorto hannosentito il bisogno di darne l’annuncio ad altri, come fecero i due di-scepoli di Emmaus. Essi, dopo aver riconosciuto il Signore nello spez-zare il pane, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemmedove trovarono riuniti gli Undici» e riferirono ciò che era accaduto lo-ro lungo la strada (Lc 24,33-34). Il Papa GIOVANNI PAOLO II esortavaad essere “vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correre dai nostrifratelli a portare il grande annunzio: “Abbiamo visto il Signore!”" (Lett.ap. Novo millennio ineunte, 59).

A tutti

Destinatari dell’annuncio del Vangelo sono tutti i popoli. La Chiesa,"per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missio-ne del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegnodi Dio Padre" (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2). Questa è "lagrazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profon-da. Essa esiste per evangelizzare" (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nun-tiandi, 14). Di conseguenza, non può mai chiudersi in se stessa. Si ra-dica in determinati luoghi per andare oltre. La sua azione, in adesionealla parola di Cristo e sotto l’influsso della sua grazia e della sua ca-rità, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tuttii popoli per condurli alla fede in Cristo (cfr Ad gentes, 5).

Questo compito non ha perso la sua urgenza. Anzi, «la missione diCristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo

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compimento … Uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che talemissione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte leforze al suo servizio» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 1).Non possiamo rimanere tranquilli al pensiero che, dopo duemila anni,ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ancoraascoltato il suo Messaggio di salvezza.

Non solo; ma si allarga la schiera di coloro che, pur avendo ricevu-to l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato e abbandonato, nonsi riconoscono più nella Chiesa; e molti ambienti, anche in società tra-dizionalmente cristiane, sono oggi refrattari ad aprirsi alla parola dellafede. È in atto un cambiamento culturale, alimentato anche dalla glo-balizzazione, da movimenti di pensiero e dall’imperante relativismo,un cambiamento che porta ad una mentalità e ad uno stile di vita cheprescindono dal Messaggio evangelico, come se Dio non esistesse, eche esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile, della carrie-ra e del successo come scopo della vita, anche a scapito dei valorimorali.

Corresponsabilità di tutti

La missione universale coinvolge tutti, tutto e sempre. Il Vangelonon è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto, ma è un dono da con-dividere, una bella notizia da comunicare. E questo dono-impegno èaffidato non soltanto ad alcuni, bensì a tutti i battezzati, i quali sono"stirpe eletta, … gente santa, popolo che Dio si è acquistato” (1Pt2,9), perché proclami le sue opere meravigliose.

Ne sono coinvolte pure tutte le attività. L’attenzione e la coopera-zione all’opera evangelizzatrice della Chiesa nel mondo non possonoessere limitate ad alcuni momenti e occasioni particolari, e non posso-no neppure essere considerate come una delle tante attività pastorali:la dimensione missionaria della Chiesa è essenziale, e pertanto va te-nuta sempre presente. E’ importante che sia i singoli battezzati e sia lecomunità ecclesiali siano interessati non in modo sporadico e saltuarioalla missione, ma in modo costante, come forma della vita cristiana.La stessa Giornata Missionaria non è un momento isolato nel corsodell’anno, ma è una preziosa occasione per fermarsi a riflettere se e

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come rispondiamo alla vocazione missionaria; una risposta essenzialeper la vita della Chiesa.

Evangelizzazione globale

L’evangelizzazione è un processo complesso e comprende vari ele-menti. Tra questi, un’attenzione peculiare da parte dell’animazionemissionaria è stata sempre data alla solidarietà. Questo è anche unodegli obiettivi della Giornata Missionaria Mondiale, che, attraverso lePontificie Opere Missionarie, sollecita l’aiuto per lo svolgimento deicompiti di evangelizzazione nei territori di missione. Si tratta di soste-nere istituzioni necessarie per stabilire e consolidare la Chiesa me-diante i catechisti, i seminari, i sacerdoti; e anche di dare il propriocontributo al miglioramento delle condizioni di vita delle persone inPaesi nei quali più gravi sono i fenomeni di povertà, malnutrizionesoprattutto infantile, malattie, carenza di servizi sanitari e per l'istruzio-ne. Anche questo rientra nella missione della Chiesa. Annunciando ilVangelo, essa si prende a cuore la vita umana in senso pieno. Non èaccettabile, ribadiva il Servo di Dio PAOLO VI, che nell’evangelizza-zione si trascurino i temi riguardanti la promozione umana, la giusti-zia, la liberazione da ogni forma di oppressione, ovviamente nel ri-spetto dell’autonomia della sfera politica. Disinteressarsi dei problemitemporali dell’umanità significherebbe «dimenticare la lezione che vie-ne dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso» (Esort.ap. Evangelii nuntiandi, 31.34); non sarebbe in sintonia con il com-portamento di Gesù, il quale “percorreva tutte le città e i villaggi, inse-gnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno eguarendo ogni malattia e infermità” (Mt 9,35).

Così, attraverso la partecipazione corresponsabile alla missione del-la Chiesa, il cristiano diventa costruttore della comunione, della pace,della solidarietà che Cristo ci ha donato, e collabora alla realizzazionedel piano salvifico di Dio per tutta l’umanità. Le sfide che questa in-contra, chiamano i cristiani a camminare insieme agli altri, e la missio-ne è parte integrante di questo cammino con tutti. In essa noi portia-mo, seppure in vasi di creta, la nostra vocazione cristiana, il tesoro

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inestimabile del Vangelo, la testimonianza viva di Gesù morto e risor-to, incontrato e creduto nella Chiesa.

La Giornata Missionaria ravvivi in ciascuno il desiderio e la gioia di“andare” incontro all’umanità portando a tutti Cristo. Nel suo nome viimparto di cuore la Benedizione Apostolica, in particolare a quantimaggiormente faticano e soffrono per il Vangelo.

Dal Vaticano, 6 gennaio 2011, Solennità dell’Epifania del Signore

Al II Congresso Nazionale della Famiglia

Ecuador, 9-12 novembre 2011

Al venerato fratelloAntonio Arregui YarzaArcivescovo metropolita di GuayaquilPresidente della Conferenza Episcopale Ecuatoriana

In occasione del Secondo Congresso Nazionale della Famiglia, salu-to con affetto i pastori e i fedeli della Chiesa in Ecuador che, nel qua-dro della Missione Continentale auspicata ad Aparecida dall’Episcopa-to Latinoamericano e dei Caraibi e in preparazione al VII IncontroMondiale delle Famiglie, che si terrà a Milano, si propongono di por-tare a termine un processo di riflessione sul Vangelo che permetta allecoppie sposate e alle famiglie cristiane di rispondere alla loro identità,vocazione e missione.

Il tema del Congresso, «La famiglia ecuatoriana in missione: il lavo-ro e la festa al servizio della persona e del bene comune», riconosceche la famiglia, nata dal patto di amore e dal dono di sé totale e sin-

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cero di un uomo e una donna nel matrimonio, non è una realtà priva-ta, chiusa in se stessa. Essa, per sua vocazione, presta un servizio me-raviglioso e decisivo al bene comune della società e alla missione del-la Chiesa. In effetti, la società non è una mera somma di individui, mail risultato di rapporti fra le persone, fra uomo e donna, fra genitori efigli, fra fratelli, rapporti che si fondano sulla vita familiare e sui vinco-li di affetto che da essa derivano. Ogni famiglia dona alla società, at-traverso i suoi figli, la ricchezza umana che ha vissuto. A ragione sipuò affermare che dalla salute e dalla qualità delle relazioni familiaridipendono la salute e la qualità delle stesse relazioni sociali.

In tal senso, il lavoro e la festa riguardano in modo particolare esono profondamente vincolati alla vita delle famiglie: condizionano leloro scelte, influenzano i rapporti fra i coniugi e fra i genitori e i figli,e incidono sui vincoli della famiglia con la società e con la Chiesa.

Attraverso il lavoro, l’uomo sperimenta se stesso come soggetto,partecipe del progetto creatore di Dio. Perciò la mancanza di lavoro ela sua precarietà attentano contro la dignità dell’uomo, creando nonsolo situazioni d’ingiustizia e di povertà, che spesso degenerano in di-sperazione, criminalità e violenza, ma anche crisi d’identità nelle per-sone. È pertanto urgente che nascano ovunque misure efficaci, pro-getti seri e adeguati, e anche una volontà incrollabile e sincera cheporti a trovare cammini affinché tutti abbiano accesso a un lavoro di-gnitoso, stabile e ben remunerato, mediante il quale si santifichino epartecipino attivamente allo sviluppo della società, coniugando un im-piego intenso e responsabile con tempi adeguati per una ricca, fecon-da e armoniosa vita familiare. Un ambiente familiare sereno e costrut-tivo, con i suoi obblighi domestici e con i suoi affetti, è la prima scuo-la di lavoro e lo spazio più indicato affinché la persona scopra le suepotenzialità, accresca il suo desiderio di superamento e realizzi le suepiù nobili aspirazioni. Inoltre, la vita familiare insegna a vincere l’egoi-smo, a nutrire la solidarietà, a non disdegnare il sacrificio per la feli-cità dell’altro, a valorizzare ciò che è buono e retto e ad applicarsi conconvinzione e generosità a favore del benessere comune e del benereciproco, in quanto si è responsabili verso se stessi, gli altri e l’am-biente.

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La festa, da parte sua, umanizza il tempo aprendolo all’incontrocon Dio, con gli altri e con la natura. Per questo le famiglie hanno bi-sogno di recuperare il significato autentico della festa, specialmente ladomenica, giorno del Signore e dell’uomo. Nella celebrazione eucari-stica domenicale, la famiglia sperimenta qui e ora la presenza realedel Signore Risorto, riceve la vita nuova, accoglie il dono dello Spirito,incrementa il suo amore per la Chiesa, ascolta la Parola divina, condi-vide il Pane eucaristico e si apre all’amore fraterno.

Con questi sentimenti, mentre ribadisco la mia vicinanza e il mioaffetto agli amatissimi figli e figlie di questa Nazione, affido i frutti diquesto Congresso alla potente intercessione di Nuestra Señora de laPresentación del Quinque, celeste patrona dell’Ecuador, e come pe-gno di abbondanti favori divini, imparto con piacere a tutti i presentil’implorata Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1 novembre 2011

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Per il Natale 2011

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terraagli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlem-me, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là diogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di MariaVergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.

Così lo invoca un’antica antifona liturgica: “O Emmanuele, nostrore e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Si-gnore nostro Dio”. Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo èil grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo asuperare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano inuna mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda ver-so di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemmedalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, perfarla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sullaroccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).

Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per vole-re di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che signi-fica “Salvatore” (cfr Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padreper salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nellastoria: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuosodi fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, didecidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone del-la vita e della morte (cfr Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il gran-de peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidan-doci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: “Veni ad salvandum nos!- Vieni a salvarci!”.

Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone giànella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infattisiamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr Est [gre-

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co] 10,3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Luiè il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la sal-vezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con ilnostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invoca-re aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, eche può venire in nostro soccorso.

Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non so-lo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Sestesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino infondo la nostra condizione (cfr Es 3,7-12). La risposta che Dio ha datoin Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giun-gendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, madivina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva sceglieredi salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma èquella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione,del dialogo, della collaborazione.

Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questoNatale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Ver-gine Maria, e diciamo: “Vieni a salvarci!”. Lo ripetiamo in unione spiri-tuale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili,e facendoci voce di chi non ha voce.

Insieme invochiamo il divino soccorso per le popolazioni del Cor-no d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvoltaaggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità interna-zionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi prove-nienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità.

Il Signore doni conforto alle popolazioni del Sud-Est asiatico, parti-colarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravisituazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni.

Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora og-gi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pacee stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggian-do la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi. Faccia cessare le

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violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca lapiena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni unrinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le compo-nenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali.

La nascita del Salvatore sostenga le prospettive di dialogo e di col-laborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Nataledel Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africa-na dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudanper la tutela dei diritti di tutti i cittadini.

Cari fratelli e sorelle, rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlem-me: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portatoal mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apria-mogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli confiducia e speranza: “Veni ad salvandum nos!”.

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Ai Primi Vespri della Solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio

Te Deum di ringraziamento

Basilica VaticanaSabato, 31 dicembre 2011

Signori Cardinali,venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,distinte Autorità,cari fratelli e sorelle

Siamo raccolti nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespridella solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per rendere grazieal Signore al termine dell’anno, cantando insieme il Te Deum. Ringra-zio voi tutti che avete voluto unirvi a me in questa circostanza sempredensa di sentimenti e di significato. Saluto in primo luogo i SignoriCardinali, i venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, i religio-si e le religiose, le persone consacrate ed i fedeli laici che rappresen-tano l’intera comunità ecclesiale di Roma. In modo speciale saluto leAutorità presenti, ad iniziare dal Sindaco di Roma, ringraziandolo peril dono del calice che, secondo una bella tradizione, ogni anno si rin-nova. Auspico di cuore che non manchi l’impegno di tutti affinché ilvolto della nostra Città sia sempre più consono ai valori di fede, dicultura e di civiltà che appartengono alla sua vocazione e alla sua sto-ria millenaria.

Un altro anno si avvia a conclusione mentre ne attendiamo unonuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre. Se si pen-sa all’esperienza della vita, si rimane stupiti di quanto in fondo essasia breve e fugace. Per questo, non poche volte si è raggiunti dall’in-terrogativo: quale senso possiamo dare ai nostri giorni? Quale senso,in particolare, possiamo dare ai giorni di fatica e di dolore? Questa èuna domanda che attraversa la storia, anzi attraversa il cuore di ognigenerazione e di ogni essere umano. Ma a questa domanda c’è una ri-sposta: è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a

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Betlemme e che oggi è il Vivente, per sempre risorto da morte. Neltessuto dell’umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze,irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cri-sto Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Na-scita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio. Dio eterno è en-trato nella nostra storia e rimane presente in modo unico nella perso-na di Gesù, il suo Figlio fatto uomo, il nostro Salvatore, venuto sullaterra per rinnovare radicalmente l’umanità e liberarla dal peccato edalla morte, per elevare l’uomo alla dignità di figlio di Dio. Il Natalenon richiama solo il compimento storico di questa verità che ci riguar-da direttamente, ma, in modo misterioso e reale, ce la dona di nuovo.

Come è suggestivo, in questo tramonto di un anno, riascoltare l’an-nuncio gioioso che l’apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani della Galazia:«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, natoda donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto lalegge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). Queste paroleraggiungono il cuore della storia di tutti e la illuminano, anzi la salva-no, perché dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienez-za del tempo. Non c’è, dunque, più spazio per l’angoscia di fronte altempo che scorre e non ritorna; c’è adesso lo spazio per una illimitatafiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo eal quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno.Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavodi un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica,dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato neltempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e cheha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva divita l’amore, che è eterno.

La Chiesa vive e professa questa verità ed intende proclamarla an-cora oggi con rinnovato vigore spirituale. In questa celebrazione ab-biamo speciali ragioni di lodare Dio per il suo mistero di salvezza,operante nel mondo mediante il ministero ecclesiale. Abbiamo tantimotivi di ringraziamento al Signore per ciò che la nostra comunità ec-clesiale, nel cuore della Chiesa universale, compie al servizio del Van-gelo in questa Città. A tale proposito, unitamente al Cardinale Vicario,

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Agostino Vallini, ai Vescovi Ausiliari, ai Parroci e all’intero presbiteriodiocesano, desidero ringraziare il Signore, in particolare, per il pro-mettente cammino comunitario volto ad adeguare alle esigenze delnostro tempo la pastorale ordinaria, attraverso il progetto «Apparte-nenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale». Esso ha l’obiettivo diporre l’evangelizzazione al primo posto, al fine di rendere più respon-sabile e fruttuosa la partecipazione dei fedeli ai Sacramenti, così checiascuno possa parlare di Dio all’uomo contemporaneo e annunciarecon incisività il Vangelo a quanti non lo hanno mai conosciuto o lohanno dimenticato.

La quaestio fidei è la sfida pastorale prioritaria anche per la Diocesidi Roma. I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessie negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo,a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo? Oc-corre dare il primato alla verità, accreditare l’alleanza tra fede e ragio-ne come due ali con cui lo spirito umano si innalza alla contemplazio-ne della Verità (cfr Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, Prologo);rendere fecondo il dialogo tra cristianesimo e cultura moderna; far ri-scoprire la bellezza e l’attualità della fede non come atto a sé, isolato,che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento co-stante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profondadella persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta diravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di genera-re cultura e impegno sociale.

In questo quadro di riferimento, nel Convegno diocesano delloscorso giugno la Diocesi di Roma ha avviato un percorso di approfon-dimento sull’iniziazione cristiana e sulla gioia di generare nuovi cri-stiani alla fede. Annunciare la fede nel Verbo fatto carne, infatti, è ilcuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deveriscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescin-dibile. Soprattutto le giovani generazioni, che avvertono maggiormen-te il disorientamento accentuato anche dall’attuale crisi non solo eco-nomica ma anche di valori, hanno bisogno di riconoscere in Gesù Cri-sto «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (Conc. Vat. II,Cost. Gaudium et spes, 10).

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I genitori sono i primi educatori alla fede dei loro figli fin dalla piùtenera età; pertanto è necessario sostenere le famiglie nella loro mis-sione educativa attraverso opportune iniziative. In pari tempo, è au-spicabile che il cammino battesimale, prima tappa dell’itinerario for-mativo dell’iniziazione cristiana, oltre a favorire la consapevole e de-gna preparazione alla celebrazione del Sacramento, ponga adeguataattenzione agli anni immediatamente successivi al Battesimo, con ap-positi itinerari che tengano conto delle condizioni di vita che le fami-glie devono affrontare. Incoraggio quindi le comunità parrocchiali e lealtre realtà ecclesiali a proseguire con impegno nella riflessione perpromuovere una migliore comprensione e recezione dei Sacramentiattraverso i quali l’uomo è reso partecipe della vita stessa di Dio. Nonmanchino alla Chiesa di Roma fedeli laici pronti ad offrire il propriocontributo per edificare comunità vive, che permettano alla Parola diDio di irrompere nel cuore di quanti ancora non hanno conosciuto ilSignore o si sono allontanati da Lui. Al tempo stesso, è opportunocreare occasioni di incontro con la Città, che consentano un proficuodialogo con quanti sono alla ricerca della Verità.

Cari amici, dal momento che Dio ha mandato il suo Figlio unigeni-to, perché noi potessimo ottenere la figliolanza adottiva (cfr Gal 4,5),non può esistere per noi compito più grande di quello di essere total-mente al servizio del progetto divino. A tale proposito desidero inco-raggiare e ringraziare tutti i fedeli della Diocesi di Roma, che sentonola responsabilità di ridonare un’anima a questa nostra società. Graziea voi, famiglie romane, prime e fondamentali cellule della società!Grazie ai membri delle molte Comunità, delle Associazioni e dei Mo-vimenti impegnati ad animare la vita cristiana della nostra Città!

«Te Deum laudamus!» Noi ti lodiamo, Dio! La Chiesa ci suggeriscedi non terminare l’anno senza rivolgere al Signore il nostro ringrazia-mento per tutti i suoi benefici. È in Dio che deve terminare l’ultimanostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia. Dimenticare questo fi-ne della nostra vita significherebbe cadere nel vuoto, vivere senzasenso. Per questo la Chiesa pone sulle nostre labbra l’antico inno TeDeum. È un inno pieno della sapienza di tante generazioni cristiane,che sentono il bisogno di rivolgere in alto il loro cuore, nella consa-

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pevolezza che siamo tutti nelle mani piene di misericordia del Signo-re.

«Te Deum laudamus!». Così canta anche la Chiesa che è in Roma,per le meraviglie che Dio ha operato e opera in essa. Con l’animo col-mo di gratitudine ci disponiamo a varcare la soglia del 2012, ricordan-do che il Signore veglia su di noi e ci custodisce. A Lui questa seravogliamo affidare il mondo intero. Mettiamo nelle sue mani le trage-die di questo nostro mondo e gli offriamo anche le speranze per unfuturo migliore. Deponiamo questi voti nelle mani di Maria, Madre diDio, Salus Populi Romani. Amen.

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Porta Fidei

Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” con la quale si indice

l'Anno della fede

1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di co-munione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempreaperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Paroladi Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia chetrasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammi-no che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4),mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e siconclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, fruttodella risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito San-to, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui(cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e SpiritoSanto – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8):il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la no-stra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurre-zione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa at-traverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.

2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ri-cordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere inluce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusia-smo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’iniziodel pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa,come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uominifuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figliodi Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capitaormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione perle conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, conti-nuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere co-mune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma

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spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile rico-noscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo ri-chiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi nonsembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di unaprofonda crisi di fede che ha toccato molte persone.

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce siatenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire dinuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltareGesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zam-pillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nu-trirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e delPane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giornicon la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, maper il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo po-sto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosadobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamola risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui cheegli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la viaper poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede.Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario del-l’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di No-stro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nelladata dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubbli-cazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dalmio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di il-lustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo docu-mento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sino-do Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio dellacatechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’E-piscopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale delSinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione dellafede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera

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compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e risco-perta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a cele-brare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di DioPaolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martiriodegli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della lorotestimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perchéin tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della me-desima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in ma-niera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore,umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse ri-prendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificar-la, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che siverificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità diuna simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede delPopolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da se-coli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di es-sere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova alfine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dalpassato.

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo An-no come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben co-sciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla pro-fessione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenutoche far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimoanniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’oc-casione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Pa-dri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “nonperdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi venganoletti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati cometesti qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizionedella Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, co-me la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: inesso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del se-colo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi adaffermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione aSuccessore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giu-

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sta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una gran-de forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10].

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimo-nianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nelmondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di ve-rità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costi-tuzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo,innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciòsanta e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continua-mente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa«prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e leconsolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signorefino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscita-to trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le dif-ficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelarein mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il miste-ro di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pie-nezza della luce” [11].

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autenticae rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nelmistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’A-more che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediantela remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questoAmore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimosiamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu ri-suscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noipossiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede,questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novitàdella risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensierie gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lenta-mente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente ter-minato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo dellacarità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione

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che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29;2Cor 5,17).

7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo checolma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allo-ra, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo atutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristoattira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convocala Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che èsempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convintoimpegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per risco-prire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fe-de. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigorel’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. Lafede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ri-cevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e digioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza econsente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti,il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signo-re di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, at-testa sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ip-pona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sap-piamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fi-no a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosiscritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la veritàdella fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio diricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricer-ca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta dellafede”.

Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altrapossibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbando-narsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si speri-menta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovidi tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo digrazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono

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prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera de-gna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutaretutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire laloro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondocambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’oppor-tunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedralie nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostrefamiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio edi trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunitàreligiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche enuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblicaprofessione del Credo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspira-zione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione,con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensifi-care la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Euca-ristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insiemela fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspi-chiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua cre-dibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissutae pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impe-gno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno.

Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare amemoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana pernon dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole den-se di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sullaredditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santomistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno peruno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della ma-dre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voidunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovetetenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlonelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormitecon il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” [16].

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10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a com-prendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, mainsieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmentea Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto concui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostoloPaolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive:“Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fe-de” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene allafede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la per-sona fin nel suo intimo.

L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Raccontasan Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato perannunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Si-gnore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Ilsenso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna chela conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuo-re, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che con-sente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere chequanto è stato annunciato è la Parola di Dio.

Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica unatestimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pen-sare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con ilSignore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce allacomprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché èatto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che sicrede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenzaquesta dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timo-re la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo cheabilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendolafranca e coraggiosa.

La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme co-munitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fededella Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficacedell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Comeattesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede dellaChiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al mo-

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mento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessatadai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea li-turgica dei fedeli. "Io credo": è anche la Chiesa nostra Madre, che ri-sponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noicrediamo»” [17].

Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è es-senziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente conl’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La co-noscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelatoda Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando sicrede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garantedella sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere ilsuo mistero di amore [18].

D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contestoculturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fe-de, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della ve-rità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un au-tentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla stradache conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti,porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esi-genza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nelcuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cer-cheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20]. Proprio a questo in-contro la fede ci invita e ci apre in pienezza.

11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti dellafede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica unsussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti piùimportanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fideidepositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniver-sario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo IIscriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto impor-tante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io loriconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della co-munione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento dellafede” [21].

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È proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprime-re un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fon-damentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattoli-ca la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchez-za di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto neisuoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa,dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Cate-chismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesaha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per darecertezza ai credenti nella loro vita di fede.

Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica pre-senta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quo-tidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentatonon è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chie-sa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sa-cramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a co-struire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione difede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che so-stiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamentodel Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se po-sto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.

12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolicapotrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto perquanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinantenel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congrega-zione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteridella Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed aicredenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modipiù efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.

La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato auna serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalitàche, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali aquello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavianon ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scien-za non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se pervie diverse, tendono alla verità [22].

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13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storiadella nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio trasantità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uo-mini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comu-nità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare inognuno una sincera e permanente opera di conversione per speri-mentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.

In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “coluiche dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui tro-va compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioiadell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la for-za del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinan-zi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della suaIncarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolez-za umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. Inlui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gliesempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostrastoria di salvezza.

Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncioche sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizio-ne (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Al-tissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfrLc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Fi-glio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giu-seppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzionedi Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella suapredicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Confede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendoogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniticon lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).

Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfrMc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno diDio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero incomunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento,lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati ri-conosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35).

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Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portareil Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, an-nunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testi-moni.

Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intornoall’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazionedell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovveni-re alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).

Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la veritàdel Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino aldono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.

Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, la-sciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, lapovertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tar-da a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favo-re della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto adannunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tut-ti (cfr Lc 4,18-19).

Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cuinome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessatola bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a da-re testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella profes-sione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai qualifurono chiamati.

Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del SignoreGesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.

14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensi-ficare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque ri-mangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la piùgrande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti -che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava:“A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha leopere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella so-no senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice lo-ro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro ilnecessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è

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seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe di-re: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le ope-re, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18).

La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sa-rebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esi-gono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cam-mino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore achi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cuiandare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflet-te il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere inquanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tuttoquello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’a-vete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da nondimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Eglisi prende cura di noi. È la fede che permette di riconoscere Cristo edè il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa no-stro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamocon speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli euna terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).

15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiedeal discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessacostanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invi-to rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede.Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sem-pre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere isegni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi adiventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cuiil mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibiledi quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore,sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio edella vita vera, quella che non ha fine.

“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa que-sto Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con CristoSignore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e lagaranzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostoloPietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ri-

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colmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflittida varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto piùpreziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà.Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete inlui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete lamèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita deicristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza.Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai no-stri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascolta-re la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono dicomprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze diCristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fe-de conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha scon-fitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui:Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permanein Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.

Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha credu-to” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.

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[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS97(2005), 710.

[2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010):Insegnamenti VI,1(2010), 673.

[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),113-118.

[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II,B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.

[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio deiSanti Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.

[6] Ibid., 198.[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX cente-

nario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fe-de” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.

[8 ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS

93(2001), 308.[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.[12] De utilitate credendi, 1,2.[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),

116.[16] Sermo 215,1.[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-

3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS

100(2008), 722.[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),

115 e 117.[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32,

86-87.

LA PAROLA DI BENEDETTO XVIMOTU PROPRIO

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LA PAROLADEI VESCOVI ITALIANI

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LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANICEI - CONSIGLIO PERMANENTE

Conferenza Episcopale Italiana

CONSIGLIO PERMANENTERoma, 26 - 29 settembre 2011

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LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANICEI - CONSIGLIO PERMANENTE

COMUNICATO FINALE

Piena consonanza e sincera gratitudine ha raccolto la prolusionecon cui il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card. An-gelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, ha aperto i lavori della sessioneautunnale del Consiglio Episcopale Permanente (Roma, 26-29 settem-bre 2011). Egli ha offerto una riflessione a tutto campo, caratterizzatadalla preoccupazione per le conseguenze della crisi economica e so-ciale che colpisce soprattutto le fasce deboli, ma anche animata dallaferma volontà di offrire all’Italia il contributo specifico dell’esperienzacristiana.

Consapevoli dell’impossibilità di rimanere “spettatori intimiditi” erassegnati a subire una sorta di “oscuramento della speranza colletti-va”, i membri del Consiglio Permanente – riprendendo e approfonden-do l’analisi “severa, coraggiosa e pacata” del Presidente – non si sonosottratti alla responsabilità di un ascolto attento del presente, volto afavorire il discernimento e il giudizio. L’orizzonte ermeneutico dellaGiornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 16-21 agosto 2011) e delCongresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011) hafornito gli elementi per una lettura di fede anche di questo tempo. Nel-le “fotografie” emerse dal confronto appare un Occidente scosso dauna globalizzazione non governata e da un generale calo demografi-co e, nel contempo, incapace di correggere abitudini di vita che lopongono al di sopra delle proprie possibilità. Di qui la questione etica,che investe la cultura in molti ambiti, e il rischio diffuso di un progres-sivo impoverimento delle famiglie, a fronte di provvedimenti economiciche stentano a contenere la gravità della crisi.

I Vescovi hanno dato voce alle molteplici iniziative con cui la Chie-sa sostiene il bene comune, da quelle caritative a quelle formative,educative e culturali, volte anche a favorire l’adesione ai valori dell’u-manizzazione – o valori irrinunciabili, per cui l’etica della vita è fon-damento dell’etica sociale – e la partecipazione attiva dei cattolici allavita pubblica. Nello specifico, ha preso forma l’urgenza di “concorrerealla rigenerazione del soggetto cristiano”, ossia alla riproposta in chia-ve sociale dell’esperienza di fede, riconosciuta come questione decisi-va.

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In questa prospettiva, il Consiglio Permanente ha formulato il pro-gramma di lavoro della CEI per il quadriennio 2012-2015, mettendo afuoco soggetti e metodi dell’educazione cristiana; ha approvato il pro-prio contributo di studio sui Lineamenta della prossima Assemblea ge-nerale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata al tema della nuovaevangelizzazione; ha esaminato la bozza del testo esplicativo, per la si-tuazione italiana, delle Linee-guida della Congregazione della dottri-na della fede circa gli abusi sessuali su minori compiuti da chierici;ha discusso una prima ipotesi di lavoro in vista della prossima Setti-mana Sociale dei cattolici italiani.

Si è inoltre proceduto alla verifica dell’andamento del Prestito dellasperanza, all’approvazione del messaggio per la Giornata per la vitadel 2012 e al vaglio della proposta di un sussidio pastorale per l’ac-compagnamento dei fidanzati. Infine, è stata presentata la relazionefinale dell’attività della commissione di studio sulle piccole diocesi e siè nuovamente affrontata la questione della cura pastorale dei fedelicattolici orientali provenienti dall’estero.

1. Con la sapienza della dottrina sociale

Il clima di insicurezza diffuso nel corpo sociale, e rafforzato dal di-sorientamento culturale e morale, ha trovato nei Vescovi interlocutoriattenti, partecipi e consapevoli della responsabilità a contribuire perfarvi fronte con quella speranza certa che ha il volto di Gesù Cristo.Consapevoli del loro ruolo di pastori, essi hanno espresso preoccupa-zione per la situazione in cui versa il Paese e che colpisce pesante-mente il mondo del lavoro e, quindi, le famiglie; hanno lamentato lafatica a reagire adeguatamente alla crisi, purtroppo accompagnata daldeterioramento del senso civico e della vita pubblica; hanno messo inguardia dall’incidenza che la questione morale ha sull’educazione esulla cultura del Paese, veicolando una visione individualistica dell’esi-stenza tanto più superficiale, quanto più irresponsabile e fuorviante.

Questa crisi complessiva – hanno rilevato – infrange i legami di so-lidarietà, scatena aggressività e diffonde indifferenza e cinismo. I dina-mismi in atto, se letti con la sapienza della dottrina sociale della Chie-sa, richiedono il recupero di un respiro di speranza, che passa attra-verso la riaffermazione del primato della persona e della famiglia e

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necessita di percorsi culturali e politici innovativi, all’interno dei qualila responsabilità dei cattolici è chiamata a spendersi con ritrovato vi-gore.

Riprendendo i contenuti della prolusione, i Vescovi hanno sottoli-neato come la Chiesa non si limiti a generici richiami, ma viva nel ter-ritorio – a partire dal tessuto parrocchiale – un’effettiva prossimità allavita della gente. Ne sono espressione le molteplici iniziative solidalipromosse dalla Caritas e da Migrantes a livello nazionale e diocesano,come pure il Prestito della speranza – la cui utilità è stata ribadita –,senza dimenticare la generosa disponibilità di tanti sacerdoti, diaconi,consacrati e consacrate, la presenza operosa dei laici nel mondo dellasanità e dell’assistenza, l’impegno oneroso – spesso nemmeno suffi-ciente ad assicurarne la sopravvivenza – nella scuola paritaria.

2. Una Chiesa eucaristica, dal volto giovane

La missione prioritaria a cui la Chiesa avverte di essere chiamata –hanno sottolineato i Vescovi – non può che essere l’educazione allafede, a pensare la fede e a pensare nella fede. Da essa, infatti, sgorgala speranza: perciò la questione di Dio rimane la questione decisiva. IlConsiglio Permanente ha espresso questa convinzione riprendendo apiù riprese il Magistero di Papa Benedetto XVI, in particolare quelloespresso nella recente visita in Germania (22-25 settembre).

Anche l’esito positivo della Giornata Mondiale della Gioventù diMadrid e del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona – è stato rile-vato da più voci in seno al Consiglio – confermano ampiamente taleprospettiva. Per entrambi gli eventi, i Vescovi hanno espresso apprez-zamento per il servizio svolto dai media ecclesiali (Avvenire, Tv2000,Radio InBlu, l’agenzia Sir, Radio Vaticana) e dall’Ufficio Nazionale perle comunicazioni sociali. In particolare, si è evidenziato come la parte-cipazione di circa centodiecimila giovani italiani all’evento madrilenosia stata caratterizzata dall’ascolto attento delle catechesi, dalla dispo-nibilità all’approfondimento, da una partecipazione vivace ai momentisacramentali e di preghiera, non disgiunti dalla capacità di sopportarequalche disagio logistico. Analogamente il volto di popolo di Dioemerso in occasione del Congresso Eucaristico ha svelato la presenzadi una Chiesa viva, per la quale il culto eucaristico ha una rilevanza

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sostanziale; una Chiesa innervata dalla vita buona del Vangelo, costan-temente alimentata dalla fedeltà al mandato originario del suo Signo-re: “Fate questo in memoria di me”.

All’interno di questo orizzonte, il Consiglio Permanente ha definitoil programma di lavoro della CEI per la prima metà del decennio2011-2020, dedicato all’educazione. Assodata la necessità di superareun’impostazione “puerocentrica”, sulla scorta degli Orientamenti pa-storali i Vescovi hanno collocato il compito educativo nell’odierna sta-gione culturale, evidenziando il ruolo che sono chiamati ad assumeresoggetti istituzionali quali la famiglia, la parrocchia e la scuola, e quin-di la condizione degli educatori e degli adulti in genere.

Ribadita la scelta di dedicare la prima metà del decennio al rappor-to tra educazione cristiana e comunità ecclesiale, mentre la secondametà volgerà l’attenzione alla relazione tra educazione cristiana e città,è stata confermata la centralità del ruolo della comunità e l’obiettivodi puntare alla maturità della fede, assumendo un concetto integraledi iniziazione cristiana, che si compie nel contesto di una comunitàche celebra e vive secondo verità. Questa visione complessiva si èsposata con la proposta di articolare i prossimi anni attorno ad alcunitemi di fondo: la formazione cristiana degli adulti e della famiglia(2012); gli educatori nella comunità cristiana (2013); i destinatari dell’i-niziazione cristiana (2014); gli itinerari e gli strumenti dell’iniziazionecristiana (2015).

In Italia la Chiesa continua a essere percepita come un’istituzioneaffidabile, perché vive in mezzo alla gente. Questo non riduce, tutta-via, il rischio che l’esperienza religiosa sia sperimentata in manieraprivatistica: ciò è stato rilevato nel contributo preparato sui Lineamen-ta della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, de-dicati alla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cri-stiana. Tra i punti di forza del caso italiano, è stata sottolineata l’espe-rienza del progetto culturale, la revisione dell’impostazione dell’inizia-zione cristiana e la ricerca di una pastorale marcatamente missionaria.

Dando attuazione alle direttive della Santa Sede, il Consiglio Per-manente ha esaminato la bozza del testo che mira a esplicare, in rap-porto alla realtà italiana, le Linee-guida pubblicate nel mesi scorsi dal-la Congregazione della dottrina della fede circa gli abusi sessuali su

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minori compiuti da chierici. Il dibattito ha dato voce alla necessità diun sempre più rigoroso percorso formativo nei seminari, luogo di pre-parazione dei sacerdoti di domani; alla piena disponibilità nel porsi inascolto delle vittime; all’accompagnamento dei sacerdoti coinvolti, fer-ma restando l’assunzione delle conseguenze penali dei comportamen-ti di ciascuno. Il testo sarà perfezionato alla luce delle osservazioniemerse, per essere approvato in una prossima sessione di lavoro.

3. Nel nome della famiglia

La premura per la famiglia ha trovato espressione anche nella sceltadi dedicare a tale tema la XLVII Settimana Sociale dei cattolici italiani,che è in programma nell’autunno del 2013. È stata così accolta la pro-posta del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Socialidi far convergere l’attenzione sulla famiglia, in relazione all’importan-za determinante che essa ha per la crescita del Paese, esplicitandoquanto già emerso nella Settimana Sociale di Reggio Calabria. L’inten-to è quello di approfondirne i fondamenti antropologici, teologici egiuridico-costituzionali; gli aspetti educativi, sociali ed economici; ilrapporto tra famiglia e lavoro; il confronto con la situazione legislativadi altri Paesi europei. A tale proposito, il Consiglio ha apprezzato lavolontà di promuovere – in continuità con la tradizione delle prece-denti edizioni – quattro seminari, che si svolgeranno tra l’autunno2011 e la primavera 2012 nelle diverse aree del Paese. Con particolareinteresse verrà seguito il VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano,30 maggio – 3 giugno 2012), alla luce del quale saranno precisati icontenuti della prossima Settimana Sociale. Nella linea dell’attenzionealla famiglia, il Consiglio Permanente ha accolto la proposta dellacompetente Commissione Episcopale di elaborare un vademecum cheaccompagni la preparazione dei fidanzati al matrimonio e ha licenzia-to il testo del Messaggio per la Giornata per la vita, che sarà celebratail 5 febbraio 2012.

4. Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha proceduto alle se-guenti nomine:

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- Membro della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dia-logo: S.E. mons. Beniamino PIZZIOL, Vescovo di Vicenza.

- Presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di interven-to a favore dei beni culturali ecclesiastici: S.E. mons. Simone GIU-STI, Vescovo di Livorno.

- Economo della Conferenza Episcopale Italiana: don Rocco PEN-NACCHIO (Matera – Irsina).

- Coordinatore Nazionale della pastorale per gli immigrati indiani si-ro-malabaresi: don Paul Stephen CHIRAPPANATH (Irinjalakuda deiSiro-Malabaresi).

- Coordinatore Nazionale della pastorale per gli immigrati cinesi: donPietro CUI XINGANG (Baoding).

- Coordinatore Nazionale della pastorale per gli immigrati sri-lankesi-cingalesi: don Joe Neville PERERA (Colombo).

- Coordinatore Nazionale della pastorale per gli immigrati ungheresi:mons. László NEMÉTH (Esztergom-Budapest).

- Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana peril Settore Giovani: don Vito PICCINONNA (Bari – Bitonto).

- Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana perl’Azione Cattolica Ragazzi: don Dino PIRRI (San Benedetto delTronto – Ripatransone – Montalto).

- Assistente Ecclesiastico Generale dell’Associazione Guide e ScoutsCattolici Italiani (AGESCI): padre Alessandro SALUCCI, OP.

- Assistente Ecclesiastico Generale della Branca Lupetti/Coccinelledell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI): donAndrea DELLA BIANCA (Concordia - Pordenone).

- Assistente Ecclesiastico Generale della Branca Esploratori/Guidedell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI): donAndrea MEREGALLI (Milano).

- Assistente Ecclesiastico Nazionale del Movimento Adulti Scout Cat-tolici Italiani (MASCI): padre Francesco COMPAGNONI, OP.

- Incaricato presso la Federazione Organismi Cristiani Servizio Inter-nazionale Volontariato (FOCSIV): mons. Alessandro GRECO (Taran-to).

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- Presidente Nazionale del Movimento di Impegno Educativo dell’A-zione Cattolica (MIEAC): prof.ssa Elisabetta BRUGÈ.

- Conferma del presbitero membro del “team pastore” nazionale del-l’Associazione Incontro Matrimoniale: don Giuseppe GRECO (Saler-no – Campagna – Acerno).

La Presidenza, nella riunione del 26 settembre, ha proceduto alleseguenti nomine:

- Membri del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento afavore dei beni culturali ecclesiastici: don Gaetano COVIELLO (Bari– Bitonto); padre Gabriele INGEGNERI, OFM Cap.; don FedericoPELLEGRINI (Brescia); don Valerio PENNASSO (Alba); mons. Stefa-no RUSSO, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ec-clesiastici; don Francesco VALENTINI (Orvieto – Todi).

- Direttore del Centro Studi per la scuola cattolica: prof. Sergio CICA-TELLI.

- Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore –sede di Milano: don Pier Luigi GALLI STAMPINO (Milano).

- Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore –sede di Roma: don Luciano Oronzo SCARPINA (Nardò - Gallipoli).

- Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore –sede di Piacenza: don Stefano FUMAGALLI (Porto – Santa Rufina).

- Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore –sede di Brescia: don Roberto LOMBARDI (Brescia).

Roma, 30 settembre 2011

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Messaggio per la 6ª Giornataper la salvaguardia del creato

1 settembre 2011

“IN UNA TERRA OSPITALE, EDUCHIAMO ALL’ACCOGLIENZA”

Il tema della 6ª Giornata per la salvaguardia del creato è assai si-gnificativo nel contesto del dibattito ecclesiale e culturale odierno. Es-so si articola in quattro punti, in continuità con l’argomento trattatol’anno passato, Custodire il creato, per coltivare la pace, nella linea de-gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio cor-rente: “La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quellodi tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’edu-cazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori,è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educareall’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietàe al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mon-dialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economiae all’uso saggio delle tecnologie” (Educare alla vita buona del Vange-lo, n. 50).

La Giornata diventa così occasione di un’ulteriore immersione nellastoria, per ritrovare le radici della solidarietà, partendo da Dio, checreò l’uomo a sua immagine e somiglianza, con il mandato di faredella terra un giardino accogliente, che rispecchi il cielo e prolunghil’opera della creazione (cfr Gen 2,8-15).

1. L’uomo, creatura responsabile e ospitale

La Sacra Scrittura, infatti, narra che l’uomo venne posto da Dio nelgiardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Affidandogli laterra, Dio gli consegnò, in qualche modo, tutta la sua gratuità. L’uomodiventa così la creatura chiamata a realizzare il disegno divino di go-vernare il mondo nello stile della gratuità, con santità e giustizia (cfr

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Sap 9,2-3), fino a giungere alla meta di riconoscersi, per grazia, figlioadottivo in Gesù Cristo (cfr Ef 1,5).

Accogliendo l’intero creato come dono gratuito di Dio e agendo inesso nello stile della gratuità, l’uomo diviene egli stesso autentico spa-zio di ospitalità: finalmente idoneo e capace di accogliere ogni altroessere umano come un fratello, perché l’amore di Dio effuso dalloSpirito nel suo cuore lo rende capace di amore e di perdono, di ri-nuncia a se stesso, “di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pa-ce” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 79).

È il cuore dell’uomo, infatti, che deve essere formato all’accoglien-za, anzitutto della vita in se stessa, fino all’incontro e all’accoglienza diogni esistenza concreta, senza mai respingere qualcuno dei propri fra-telli. Il Santo Padre ci ricorda che: “se si perde la sensibilità personalee sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme diaccoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vi-ta tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” (Caritasin veritate, n. 28).

L’ospitalità diventa così, in un certo senso, la misura concreta dellosviluppo umano, la virtù che getta il seme della solidarietà nel tessutodella società, il parametro interiore ed esteriore del disegno dell’amo-re che rivela il volto di Dio Padre. Diventando ospitale, l’uomo rico-nosce con i fatti a ogni persona il diritto a sentirsi di casa nel cuorestesso di Dio.

2. Il problema dei rifugiati ambientali

In questa delicata stagione del mondo il tema dell’ospitalità richia-ma con drammatica urgenza le dinamiche delle migrazioni internazio-nali, nel loro legame con la questione ambientale. Sono sempre piùnumerosi, oggi, gli uomini e le donne costretti ad abbandonare la loroterra d’origine per motivi legati, più o meno direttamente, al degradodell’ambiente. È la terra stessa, infatti, che – divenuta inospitale a mo-tivo del mancato accesso all’acqua, al cibo, alle foreste e all’energia,come pure dell’inquinamento e dei disastri naturali – genera i cosid-detti “rifugiati ambientali”. Si tratta di un fenomeno che può avere unadimensione nazionale, laddove gli spostamenti avvengano all’internodi un Paese o di una regione; ma che si caratterizza sempre più spes-

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so per la portata globale, con migrazioni che interessano talvolta po-poli interi, sospinti dagli eventi a spostarsi in terre lontane.

In questo processo gioca un ruolo non trascurabile il mutamentodel clima, che attraverso la variazione repentina e non sempre preve-dibile delle sue fasce, rischia di intaccare l’abitabilità di intere aree delpianeta e di incrementare, di conseguenza, i flussi migratori.

Per quanto sia possibile prevedere, non si è lontani dal vero imma-ginando che entro la metà di questo secolo il numero dei profughiambientali potrà raggiungere i duecento milioni.

Si comprende bene, allora, il senso dell’accorato richiamo del Papanel Messaggio per la giornata della pace dell’anno 2010: “Come rima-nere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenome-ni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e laperdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumie delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento dieventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropi-cali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti ‘profughiambientali’: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vi-vono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affronta-re i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato?” (n. 4).

3. Educare all’accoglienza

È questo lo scenario cosmico e umano dentro il quale la Chiesa èchiamata oggi a rendere presente il mistero della presenza di Cristo,via, verità e vita, riproponendone con forza il messaggio di solidarietàe di pace. Attraverso la sua opera educativa, “la Chiesa intende esseretestimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienzadel povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto,pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e deidiritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero,immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella sal-vaguardia del creato” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24).

Ecco perché educare all’accoglienza a partire dalla custodia delcreato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello,anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il do-no del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità di

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rendere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere, sull’e-sempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio nei con-fronti di ogni persona umana. È così che la custodia del creato, auten-tica scuola dell’accoglienza, permette l’incontro tra le diverse culture,fra i diversi popoli e perfino, nel rispetto della identità di ciascuno, frale diverse religioni, e conduce tutti a crescere nella reciproca cono-scenza, nel dialogo fraterno, nella collaborazione più piena.

Ciò può realizzarsi senza mai dimenticare la necessità che la Chie-sa, con il coraggio della parola e l’umiltà della testimonianza, continuia proclamare che è proprio Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, lapresenza profonda che permette il disvelarsi del disegno di Dio sul-l’uomo e sul cosmo, perché “tutto è stato fatto per mezzo di lui e sen-za di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1,3). È in Cristo chela solidarietà diventa reciprocità, esercizio di amore fraterno, gara nel-la stima vicendevole, custodia dell’identità e della dignità di ciascuno,stimolo al cambiamento nel vivere sociale.

È consolante rilevare come, sull’insieme di questi temi, le diverseChiese e comunità cristiane abbiano raggiunto una significativa sinto-nia: il mondo ortodosso, a partire dal Patriarcato ecumenico, ha dedi-cato al problema della salvaguardia responsabile del creato documen-ti, momenti di riflessione ed iniziative; le diverse denominazioni evan-geliche condividono la preoccupazione per l’uso equo e solidale dellerisorse della terra, in un impegno concreto e fattivo. Tutte convergononella sollecitudine verso i più poveri, verso le vittime delle guerre, deidisastri ambientali e della ingiusta distribuzione dei frutti della terra.

La Giornata per la salvaguardia del creato si conferma, così, ancheuna felice occasione di incontro ecumenico, che mostra come il dialo-go fra i credenti in Cristo salvatore non si limiti al confronto teologico,ma tocchi il comune impegno per le sorti dell’umanità.

Tutti siamo chiamati a cooperare perché le risorse ambientali sianopreservate dallo spreco, dall’inquinamento, dalla mercificazione e dal-l’appropriazione da parte di pochi. Il fatto che, in questo sforzo condi-viso, le Chiese riescano a parlare con una voce sola, rappresenta unagrande testimonianza cristiana, che rende di sicuro più credibile l’an-nuncio del Vangelo nel mondo di oggi.

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4. I miti, eredi di questo mondo

“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra” (Mt 5,5). Sentirsicustodi gli uni degli altri è l’effetto dinamico dell’essere dono nell’ac-coglienza. Sappiamo, però, che la mitezza coincide con la purezza delcuore: è uno stile di vita e di relazioni a cui il cristiano aspira, perchéin esso arde la pienezza dell’umiltà contro la prevaricazione e l’egoi-smo. Sono i miti i veri difensori del creato, perché amano quanto ilPadre ha creato per la loro sussistenza e la loro felicità.

Dio infatti “ha creato il mondo per manifestare e per comunicare lasua gloria, in modo che le sue creature abbiano parte alla sua verità,alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le hacreate” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 319).

Tutti abbiamo bisogno di Dio: riconoscendoci opera delle sue ma-ni, sue creature, siamo invitati a custodire il mondo che ci ha affidato,perché, condividendo le risorse della terra, esse si moltiplichino, con-sentendo a ogni persona di condurre un’esistenza dignitosa.

Roma, 12 giugno 2011, Solennità di Pentecoste

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Per la Giornata del Ringraziamento

Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro,

la giustizia e la pace

13 novembre 2011

SOLO CON DIO C’È FUTURO NELLE NOSTRE CAMPAGNE!

Ancora una volta ci è concesso di elevare a Dio, Padre provviden-te, un inno vivissimo di lode per i frutti della terra e del lavoro del-l’uomo, celebrando l’annuale Giornata del ringraziamento.

Ringraziare è sempre un gesto alto e bello, che nobilita chi locompie. Per noi è un atto doveroso, soprattutto al termine di un an-no agricolo segnato dalle conseguenze di una grave crisi economica efinanziaria, ma anche gravido di quella speranza che sgorga dal pri-mato che riconosciamo a Dio solo.

Per questo, abbiamo scelto come titolo di questa Giornataun’espressione evocativa, che ci rimanda al dialogo serrato che il Pa-pa Benedetto XVI ha sviluppato nel suo recente viaggio in Germania:“Solo con Dio c’è futuro”, anche nelle nostre campagne!

Solo con Dio, infatti, c’è il gusto del lavoro. Solo con lui il sudoredella fronte è asciugato da mani solidali. Dio entra così nelle nostrefatiche, si fa compagno di strada di ogni nostro passo, verso mete diluminosa speranza.

Nelle nostre terre, in ogni angolo d’Italia, ne sono segno perenne letante pievi di campagna: sono chiese semplici, belle, a misura d’uo-mo. Per secoli sono state compagne di viaggio nelle mille vicende, se-gnate dalla fatica e dalla speranza, del nostro vivere sociale.

Queste pievi, amate e curate, testimoniano che Dio è lo sposo fe-dele delle nostre terre. Ci dicono con eloquenza che noi appartenia-mo a lui, che con Dio possiamo davvero aspirare a un futuro di be-nessere e di forza. Vere catechesi di bellezza, ci ricordano che Dio vamesso al primo posto, perché solo allora ogni altra realtà sta al suogiusto posto.

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Quando, invece, non c’è Dio nella vita delle nostre campagne, an-che il pane non solo non ci sazia, ma anzi si trasforma in pietra, pe-sante e rude. Quando viviamo nell’egoismo, nella chiusura del cuoree delle mani, nel latifondo e nei respingimenti, nell’inquinamento del-le terre, nella speculazione sul grano, nel lavoro nero degli immigrati,il nostro pane diventa pietra e serve a innalzare muri tetri e invalicabi-li.

Al contrario, se con la forza del Vangelo e la chiarezza della dottri-na sociale della Chiesa sapremo porre Dio al vertice di ogni nostrafatica, allora ogni lavoro diverrà pane che sazia, le nostre mani si apri-ranno all’accoglienza fraterna e gli immigrati saranno accolti e rispet-tati nella loro dignità di persone.

Così il grano biondeggerà sulle nostre colline, per farsi pane condi-viso, offerto al cielo da comunità ospitali e vivaci, fedelmente vicinealla gente dei campi e delle montagne.

Se la terra sarà amata come dono gratuito di Dio Padre, sarà anchecustodita da imprenditori agricoli intelligenti e attivi, capaci di speran-za, pronti a investire, per “intraprendere” anche con notevoli rischieconomici. Vorremmo, in particolare, esprimere la nostra ammirazionee benedire l’opera di quei giovani imprenditori che hanno scelto di ri-tornare alla terra, nel lavoro agricolo. Essi sono cresciuti più del seiper cento in tutta Italia, indice di un riscoperto amore alla terra, sceltaper vocazione e non per costrizione. È consolante constatare cheproprio nell’agricoltura le nuove leve stanno ritrovando dignità e for-za.

Non basta, però, ammirare chi investe nella terra. Questi giovanivanno aiutati e accompagnati, a cominciare da un chiaro impegnoeducativo, nella linea degli Orientamenti pastorali per il decennioEducare alla vita buona del vangelo. È un impegno che parte dallascuola, dove si apprende la stima per ogni arte e ogni impiego. Tuttii lavori hanno pari dignità, perché è l’uomo a dare dignità al lavoro enon il lavoro a rendere grande l’uomo: il lavoro, infatti, è fatto perl’uomo!

In quest’azione di sostegno e promozione, è decisivo il ruolo degliistituti di credito: pensiamo, in particolare, alla nobile tradizione delle

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casse rurali, oggi banche di credito cooperativo, nate all’interno del-le comunità ecclesiali e che tanto hanno giovato a trasformare lecampagne, costituendone un elemento di garanzia e di sviluppo so-ciale, economico e culturale (cfr Frutto della terra e del nostro lavoro,n. 17).

È anche evidente che, in una crisi tanto dura, non dovranno certoessere le campagne a pagare il prezzo più alto. Per questo va rilan-ciata la cooperazione, perla di autentica crescita in tante terre d’Italia.

Dio, Padre provvidente, ci doni stagioni ricche di frutti e terre be-nedette, perché non manchi mai il pane fragrante sulle nostre mensee il pane del cielo nelle nostre chiese.

Roma, 4 ottobre 2011 Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia

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Nomine

• Il 14 luglio il Sac. Michele Lentini è stato nominato Commissariodelle Confraternite del SS. Rosario, del SS. Nome di Gesù e di S.Antonio di Padova in Città Sant’Angelo.

• Il 1 settembre il Sac. Pietro Bonamoneta sj è stato nominato ViceParroco di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo in Pescara.

• Il 1 settembre il Sac. Tommaso Fallica è stato nuovamente nominatosegretario particolare di Mons. Arcivescovo.

• Il 1 settembre il Sac. Domenico Di Pietropaolo è stato nominato Di-rettore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile dell’Arcidiocesi.

• Il 1 settembre il Dott. Bruno Marien è stato confermato a Direttoredell’Ufficio di pastorale Scolastica dell’Arcidiocesi.

• L’8 settembre il Sac. Andrea Cericola è stato nominato Amministra-tore Parrocchiale dell’Assunzione B. V. Maria in Castiglione a Ca-sauria.

• Il 18 ottobre Padre Rocco Ruccolo ofm è stato nominato Parrocodella B. V. Maria Stella Maris in Pescara.

• Il 18 ottobre Padre Camillo D’Orsogna ofm è stato nominato VicarioParrocchiale della B. V. Maria Stella Maris in Pescara.

• Il 9 novembre il Sac. Mauro Pallini è stato nominato Parroco dellaB. V. Maria dele Grazie in Torre de’ Passeri.

• Il 9 novembre il Sac. Paolo Lembo è stato nominato AmministratoreParrocchiale della B. V. Maria del M. Carmelo in Montesilvano.

• Il 9 novembre il Sac. Sergiy Znak è stato nominato Vicario Parroc-chiale del SS. Cuore di Gesù in Pescara.

• Il 9 novembre il Sac. Giuseppe Femminella è stato nominato Ammi-nistratore Parrocchiale della Trasfigurazione di N. S. Gesù Cristo inPescara.

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• Il 22 novembre il Sac. Tommaso Fallica è stato nominato Presidentedella Commissione Diocesana per l’Arte e i Beni Culturali.

• Il 30 novembre il Sac. Rafael Melecki è stato nominato Amministra-tore Parrocchiale di S. Marina in fraz. Roccafinadamo, Penne.

• Il 5 dicembre il Sac. Marco Pagniello è stato nominato Direttore del-la Fondazione Caritas Onlus per il quinquennio 2011-2016.

• Il 7 dicembre il Sac. Tommaso Fallica è stato nominato Maestro del-le celebrazioni liturgiche dell’Arcidiocesi.

• Il 7 dicembre Padre Andrea Pittau sj è stato nominato Vicario Par-rocchiale di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo in Pescara.

• L’8 dicembre il Sac. Vito Cantò è stato nominato consulente diocesa-no del Movimento Pro Sanctitate.

• L’ 8 dicembre il Sac. Rodolfo Soccio è stato nominato Assistente Dio-cesano dell’Unitalsi.

• L’ 8 dicembre il Sac. Antonio Di Giulio è stato nominato Parroco diS. Andrea Apostolo in Corvara.

• L’ 8 dicembre Padre Bijumon Alex, della Congregazione Missionaridel SS. Sacramento, è stato nominato Amministratore Parrocchialedi S. Rocco in Vicoli.

• L’ 8 dicembre il Sac. Roberto Bertoia è stato confermato CancelliereArcivescovile.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giorgio Moriconi è stato confermato nell’Uffi-cio di Vicario Episcopale per la Pastorale.

• L’ 8 dicembre il Sac. Marco Spadaccini è stato confermato nell’Uffi-cio di Vicario Giudiziale.

• L’ 8 dicembre il Sac. Antonio Di Giulio è stato confermato nell’Uffi-cio di Economo Diocesano.

• L’ 8 dicembre Mons. Giovanni Lizza è stato confermato nell’Ufficiodi Vice Cancelliere.

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• L’ 8 dicembre il Sac. Dario Trave è stato confermato nell’Ufficio diArchivista Diocesano.

• L’ 8 dicembre il Sac. Tommaso Fallica è stato confermato nell’Uffi-cio dei Beni Ecclesiastici e Arte Sacra, nell’Ufficio di Direttore delMuseo Civico Diocesano in Penne.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giuseppe Di Bartolomeo è stato confermatonell’Ufficio di Bibliotecario Diocesano.

• L’ 8 dicembre la Dott.ssa Lidia Basti è stato confermata Delegata Ar-civescovile per il Bollettino Diocesano.

• L’ 8 dicembre il Sac. Fernando Pallini è stato confermato DelegatoArcivescovile per la Cappella Universitaria.

• L’ 8 dicembre il Sac. Marco Pagniello è stato confermato nell’Ufficiodi Direttore della Caritas Diocesana.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giovanni Campoverde è stato confermato nel-l’Ufficio del Catecumenato Adulti.

• L’ 8 dicembre il Sac. Simone Chiappetta è stato confermato nell’Uffi-cio Comunicazioni Sociali.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giuseppe Femminella è stato confermato nel-l’Ufficio Cultura.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giorgio Campilii è stato confermato DelegatoArcivescovile per la Consulta Laici.

• L’ 8 dicembre Padre Maurizio Erasmi ofm Conv. è stato confermatoDelegato Arcivescovile per la Vita Consacrata.

• L’ 8 dicembre il Sac. Gino Fortunato è stato confermato DelegatoArcivescovile per il Diaconato Permanente e i Ministeri istituiti.

• L’ 8 dicembre il Sac. Achille Villanucci è stato confermato nell’Uffi-cio di Direttore per l’Ecumenismo.

• L’ 8 dicembre il Sac. Giampaolo Galeazzi è stato nominato Direttoredell’Ufficio Missionario.

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• L’ 8 dicembre il Sac. Maurizio Volante è stato nominato DelegatoArcivescovile per la Cappella Universitaria.

• L’ 8 dicembre la Dott.ssa Roberta Fioravanti è stata confermata ad-detta nella Segreteria Episcopale di Curia.

• L’ 8 dicembre Padre Roberto Di Paolo ofm è stato confermato Dele-gato Arcivescovile per la Formazione degli Operatori pastorali.

• L’ 8 dicembre il Sac. Cristiano Marcucci è stato confermato nell’Uf-ficio di Pastorale Familiare.

• L’ 8 dicembre il Diacono Giancarlo Cirillo è stato confermato nel-l’Ufficio di Pastorale Sanitaria.

• L’ 8 dicembre Padre Aldo D’Ottavio omi è stato confermato nell’Uffi-cio di Pastorale Sociale e del Lavoro.

• L’ 8 dicembre il Sac. Fernando Pallini è stato nominato Direttoredell’Ufficio di Pastorale Biblica.

• L’ 8 dicembre Mons. Giuseppe Comerlati è stato confermato Refe-rente Diocesano per il Cammino Neocatecumenale.

• L’ 8 dicembre il Sac. Vito Cantò è stato confermato nell’Ufficio Litur-gico Diocesano.

• L’ 8 dicembre il Sac. Massimiliano De Luca è stato confermato nel-l’Ufficio Turismo, sport e Pellegrinaggi.

• L’ 8 dicembre il Sac. Emilio Lonzi è stato confermato Direttore del-l’Ufficio Catechistico Diocesano.

• L’ 8 dicembre il Sac. Andrea Di Michele è stato confermato Direttoredell’Ufficio di Pastorale Vocazionale.

• L’ 8 dicembre il Sac. Remo Chioditti è stato confermato Direttore diRadio Speranza.

• Il 21 dicembre il Sac. Valentino Iezzi è stato nominato AssistenteEcclesiastico Diocesano MAS (Movimento Apostolico Sordi).

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Escardinazione

• In data 16 novembre il Sac. Augusto Spanò è stato escardinato dalClero di Pescara per la Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno.

Ordinazioni e Ministeri

• Il 9 ottobre è stato istituito nel Ministero dell’Accolitato il signor En-rico Goussot della Parrocchia S. Luigi in Pescara.

• Il 9 ottobre sono stati istituiti in vista del Diaconato permanente nelMinistero del Lettorato i Sigg. Fulvio Cicchinelli della parrocchiaGesù Bambino in Pescara, Giangabriele Cilli della Parrocchia B. V.Maria Lauretana in Cappelle sul Tavo, Sergio Diella della ParrocchiaS. Luigi in Pescara, Erminio Fragassi della Parrocchia S. Cristoforoin Moscufo, Giancarlo Mincone della Parrocchia Immacolata Con-cezione B. V. M. in Pescara.

• Il 13 novembre il Sem. Lorenzo Di Domenico è stato ordinato Dia-cono in Elice da Mons. Tommaso Valentinetti.

• Il 7 dicembre il Sem. Michele Cocomazzi ha ricevuto il ministerodell’Accolitato e il Sem. Luigi Marrone quello del Lettorato presso ilSeminario Regionale “S. Pio X” in Chieti da Mons. Angelo Spina,Vescovo di Sulmona.

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Commissione Diocesanaper l’Arte Sacra e i Beni Culturali

I Beni Culturali della Chiesa, nella loro consistenza e rilevanza,hanno funzione catechetica, liturgica, pastorale e per questo, patri-monio della fede e tradizione. Per perseguire, valorizzare, incentivaree tramandare tali finalità è opportuno avvalersi della collaborazione edelle competenze degli uffici predisposti, oltre che degli enti civilipreposti alla conservazione dei beni monumentali ed artistici. Pertan-to:

VISTI i cann. 491 § 2 e 535 §§ 4-5 del Codice di Diritto Canonicocirca gli archivi storici diocesani e parrocchiali; il can. 1189 sul restau-ro delle immagini sacre rilevanti per antichità, arte e culto; il can. 1216sulle norme da seguire nella costruzione e nel restauro delle chiese; ilcan. 1220 § 2 sul dovere di proteggere i beni sacri e preziosi; il can.1234 § 2 sulla conservazione delle testimonianze votive dell’arte e del-la pietà popolare; il can. 1292 § circa l’alienazione di oggetti di valorestorico e artistico;

CONSIDERATO che "Nella diocesi il compito di coordinare, disci-plinare e promuovere quanto attiene ai beni culturali ecclesiasticispetta al Vescovo che, a tale scopo, si avvale della collaborazione del-la Commissione diocesana per l’Arte Sacra e di un apposito Ufficiopresso la Curia diocesana" (I Beni culturali della chiesa in Italia.Orientamenti, documento CEI promulgato il 9 dicembre 1992);

VISTA la necessità di promuovere iniziative volte alla salvaguardia,alla fruibilità e alla valorizzazione del patrimonio storico, culturale eartistico dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne, e al fine difavorire in questo ambito la pastorale e la catechesi;

PRESO ATTO delle norme concordatarie e le conseguenti intese in-tercorse tra il Ministero per i Beni culturali e la Conferenza EpiscopaleItaliana (13 settembre 1996; decreto n°1445/C, 15 gennaio 1999) e inconformità alle normative canoniche vigenti, nonché delle norme del-l’Episcopato Italiano per la tutela e conservazione del patrimonio sto-rico-artistico della Chiesa in Italia;

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VOLENDO migliorare e incrementare la conservazione, la salva-guardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali della nostraChiesa;

D E C R E T I A M O

è istituita nell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne la Com-missione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali Ecclesiastici consede presso la Curia Metropolitana in Piazza Spirito Santo, 5 – 65121Pescara, ed è approvato lo Statuto in allegato, composto da n° 9 arti-coli che costituiscono parte integrante del presente decreto.

Dato a Pescara, dalla Nostra Curia Metropolitana, nel giorno 22 No-vembre 2011, memoria di Santa Cecilia, Vergine e Martire.

Tommaso ValentinettiArcivescovo

Sac. Roberto BertoiaCancelliere

Statutodella Commissione Diocesana per l'Arte Sacra

e i Beni Culturali Ecclesiastici

1. DENOMINAZIONE E SEDE

La Commissione Diocesana per l'Arte Sacra e i Beni Culturali Eccle-siastici, istituita da S. Ecc.za Mons. Tommaso Valentinetti, ArcivescovoMetropolita di Pescara-Penne, con decreto del 22 Novembre 2011

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prot. n. 568/11, è organo consultivo dell'Ordinario diocesano in mate-ria di Arte per La liturgia e Beni Culturali.

La Commissione ha sede presso la Curia Metropolitana di Pescara-Penne, Piazza Spirito Santo 5, 65121 Pescara.

2. FINALITÀ

Compiti specifici della Commissione sono: • Offrire indicazioni all’Ufficio Arte Sacra e Beni Culturali circa il pro-

gramma annuale di attività e ogni altra questione che venga ritenu-ta utile dal direttore;

• Dare un parere circa le disposizioni di carattere generale predispo-ste dall’Ufficio e circa le principali scelte in materia di Beni Cultura-li-Arte Sacra da operarsi da parte della Diocesi;

• Dare un parere per il rilascio di autorizzazioni dal parte dell’Ordina-rio relative a interventi concernenti opere di valorizzazione artisticae interventi di restauro e consolidamento circa i beni mobili, immo-bili storici, artistici, culturali e gli acquisti e i prestiti di beni cultu-rali, quanto stabilita dal decreto diocesano in materia di atti distraordinaria amministrazione; il parere della Commissione può es-sere inoltre richiesto dal direttore dell’Ufficio anche in riferimentoad altri casi di autorizzazioni o su altre materie che siano di compe-tenza dell’Ufficio. I componenti la Commissione, che avessero inessere rapporti con le parrocchie o gli enti interessati alla specificaautorizzazione, sono tenuti a non partecipare alla formazione delparere della Commissione.

• Collaborare con il direttore dell’Ufficio, nella sua qualità di delegatodell’Arcivescovo per i rapporti regionali e nazionali secondo le di-sposizioni dell’Intesa, per quanto concerne i programmi o propostedi programmi pluriennali o annuali, o anche le singole iniziative inmateria di Beni Culturali Ecclesiastici da concordare con le compe-tenti Soprintendenze.

• In riferimento a interventi che investono più competenze, la Com-missione può essere invitata a sedute comuni con altri uffici dioce-sani, da stabilirsi di volta in volta.

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3. RIFERIMENTI NORMATIVI

L'attività della Commissione ha come riferimento specifico, oltre al-le disposizioni canoniche universali, nazionali e diocesane, le "Normeper la tutela e la conservazione del patrimonio storico-artistico dellaChiesa in Italia", approvate dalla X Assemblea generale della C.E.I. epromulgate il 14 giugno 1974, gli Orientamenti "I beni culturali dellaChiesa in Italia", approvati dalla XXXVI Assemblea generale dellaC.E.I. e promulgate il 9 dicembre 1992 e, per quanto riguarda i pro-getti di nuove chiese e di adeguamento liturgico, le Note pastorali del-la C.E.I. "La progettazione di nuove chiese" del 18 febbraio 1993 e "L'a-deguamento delle chiese secondo la riforma liturgica" del 31 maggio1996.

4. COMPOSIZIONE

Sono membri di diritto della Commissione il direttore dell'Ufficio diCuria competente in materia di arte e beni culturali, il direttore del-l'Ufficio liturgico diocesano, il direttore dell’ufficio diocesano Ediliziadi Culto; ne fanno parte inoltre competenti in materia storica, artistica,architettonica. Il presidente della Commissione ha facoltà di invitareesperti che possano offrire il loro contributo in termini di competenzaspecifica relativamente su singole questioni su cui la Commissione èchiamata a pronunciarsi.

5. PRESIDENTE

Il Presidente della Commissione è nominato dal Vescovo diocesa-no. Il segretario è scelto dal Presidente tra i membri che la compon-gono.

6. RIUNIONI

La Commissione si riunisce in base alle necessità su convocazionedel Presidente. L'ordine del giorno viene predisposto dal Presidente odal Segretario, su mandato del Presidente; la istruzione delle pratichein vista delle riunioni è demandata al competente Ufficio di Curia.

Le riunioni sono valide quando è presente la maggioranza assolutadei componenti. Le decisioni vengono prese a maggioranza semplice

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dei presenti. Le decisioni della Commissione vengono sottoposte allavalutazione dell'Ordinario diocesano e, se approvate, vengono messein esecuzione dal competente Ufficio di Curia.

7. NOMINA E DURATA DELLE CARICHE

La nomina di tutti i membri della Commissione compete all'Ordina-rio diocesano, su proposta del direttore dell’Ufficio Arte Sacra e BeniCulturali. La durata del mandato è di cinque anni e può essere rinno-vato per un secondo quinquennio consecutivo.

8. GRUPPI

La Commissione può promuovere giornate di studio, corsi, aggior-namenti, in collaborazione con altre istituzioni, invitando formatori eesperti, al fine di una conoscenza creativa su tematiche pertinenti o suargomenti scelti ad hoc. A termine del corso si rilascia un attestato difrequenza.

9. PUBBLICAZIONE DI ATTI RILEVANTI

Le decisioni della Commissione che hanno ricevuto il consenso del-l'Ordinario diocesano vengono periodicamente pubblicate sul Bolletti-no Ufficiale della Diocesi a cura del competente Ufficio di Curia.Eventuali dichiarazioni, circolari e comunicazioni preparate dallaCommissione d'intesa con il competente Ufficio di Curia, possono es-sere resi pubblici solo previa approvazione dell'Ordinario diocesano.

Per tutto quanto non specificato nel presente Statuto, si rimanda aldiritto universale e particolare, ferme restando le vigenti disposizioniin materia di legge civile.

Il presente Statuto è approvato e per la durata di cinque anni.

Pescara, 22 Novembre 2011

Tommaso ValentinettiArcivescovo

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Componenti della CommissioneArte Sacra

• Sac. Tommaso Fallica Presidente Ufficio Arte Sacra e Beni Culturali;

• Sac. Nino Di Francesco Direttore Ufficio Edilizia di Culto;

• Sac. Vito Cantò Direttore Ufficio Liturgico;

• Arch. Antonio Celenza Funzionario per i Beni Culturali e membroCDAE;

• Arch. Giovanni Cieri;

• Dott.ssa Valeria Bulferi

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IN DIOCESI

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IN DIOCESINOTIZIE

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Notizie in breve

• Chiude la sede parrocchiale della Trasfigurazione del Signorein Via Colle Marino, 127 a Pescara per varie anomalie impianti-stiche e strutturali dell’immobile (ex scuola) di proprietà del Comu-ne di Pescara.luglio

• Inaugurata la casa di accoglienza “Per voi dopo di noi”in Via Maiella a Pescara. Dotata di 8 posti letto per accogliere tem-poraneamente adulti colpiti da sindrome di Down. 15 luglio

• II Rassegna dei Cori DiocesaniParrocchia S. Stefano, 18 settembre dalle 18 in poi

• Messa del Mandato CaritasCentro Emmaus in Colle San Donato, 30 settembre alle 18:30

• Anno giubilare per la Parrocchia dello Spirito Santoaperto il 1 ottobre

• Oratorio Sacro in onore del Beato Giovanni Paolo II della Co-rale Polifonica “Schola cantorum” della Parrocchia S. PietroMartire23 ottobre alle 21

• L’Istituto superiore di scienze religiose “Toniolo” inaugural’anno accademico 2011-2012 con la prolusione del professor Ar-mando Matteo, docente di Teologia fondamentale presso la Pontifi-cia Università Urbaniana di Roma “La prima generazione incredula.Il rapporto tra i giovani e la fede”Museo delle Genti d’Abruzzo a Pescara, 28 ottobre alle 18

• Oltre 100 ragazzi abruzzesi della Tendopoli di S. Gabriele perfesteggiare i vent’anni del gruppo parrocchiale di FontanelleParrocchia S. Pietro Martire, 30 ottobre

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IN DIOCESINOTIZIE

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• V Convegno diocesano dei laiciOasi dello Spirito, Montesilvano 5 novembre

• Corso diocesano per animatori liturgici parrocchiali “La litur-gia: alchimia di fiori, colori, odori… che eleva a Dio”Istituto Superiore di Scienze Religiose “Giuseppe Toniolo” Pescara,14 novembre (inizio)

• Convegno “S.o.s. vogliono informarmi – Carta o rete: istruzio-ni per entrare nella notizia” in occasione dell’anniversario di la-porzione.it, alla presenza di Fabio Zavattaro, giornalista e vaticani-sta del Tg1Centro Emmaus in Colle San Donato, 26 novembre

• Consacrazione nell’Associazione Fraternità Betania presiedutadall’Arcivescovo di Adelaide D’Amico e Fabiola Ferretti27 novembre

• Veglia di preghiera “State attenti vegliate!” presieduta dall’Arci-vescovoChiesa dello Spirito Santo, 9 dicembre alle 21

• Solenne commemorazione di Mons. Giovanni Gravelli nelXXX anniversario della morteParrocchia S. Michele, Città Sant’Angelo, 11 dicembre alle 17

• Concerto di Natale con il coro della diocesi di Roma e l’orchestraFideles et Amati diretta da Mons. Marco Frisina a favore del Proget-to Provita, sistema di accesso al microcredito rivolto a famiglie epersone in difficoltà economica, gestito dalla Fondazione Caritas.Chiesa dello Spirito Santo, 18 dicembre alle 20

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Notizie in rassegna

La missione riparte da Montesilvanodi Davide De Amicis

DA GIOVEDÌ 6 A SABATO 8 OTTOBRE, SI È SVOLTO IL CONVEGNO

PER DIRETTORI E OPERATORI DEGLI UFFICI MISSIONARI DIOCESANI.DON GIANNI CESENA, DIRETTORE DI MISSIO: “BISOGNA ELABORARE

NUOVI PERCORSI PER METTERE IN RELAZIONE L’UFFICIO MISSIONI

CON IL RESTO DELLA PASTORALE”

da www.laporzione.it 10 ottobre 2011

Sì è svolto a Montesilvano, da giovedì a sabato scorsi, il Convegnodei Direttori dei Centri missionari del Centro Italia, dal tema “Missio-ne: dall’incontro alla testimonianza, nel solco di un progettomissionario diocesano”, al quale hanno partecipato 60 operatorimissionari giunti da Abruzzo, Lazio, Molise, Marche, Toscana e Sarde-gna, che hanno affollato il centro congressi del “Grand Hotel Monte-silvano”.

Un appuntamento nel quale confrontarsi sull’elaborazione di nuoviprogetti missionari esportabili nelle diocesi italiane, alla luce dei nuoviorientamenti pastorali della Conferenza episcopale italiana, per il de-cennio 2010-2020, in materia di educazione: «Le iniziative missionarie– spiega don Gianni Cesena, direttore dell’Ufficio nazionale per lacooperazione missionaria fra le Chiese e direttore di Missio – conten-gono sempre aspetti formativi. Il tema dell’educazione vogliamo farlonostro e accanto a questo vogliamo elaborare un progetto nuovo, chenon sia alternativo a quello delle diocesi, ma che sia un percorso pro-gettuale che faccia sentire la missione non solo di alcuni, ma di tuttala Chiesa».

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Appare indubbiamente una sfida avvincente, quella di rilanciare lamissione nelle Chiese locali, in quella provincia italiana un po’ son-necchiante e secolarizzata, nella quale la fede rischia di divenire sem-plice routine, in questo contesto di crisi economica, politica e morale.Un concetto emerso, giovedì pomeriggio, nella relazione iniziale dimonsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, Presidentedella Commissione Episcopale per l’Evangelizzazione dei popoli ePresidente di Missio, dal titolo “La natura missionaria e universale del-la Chiesa locale”.

Il presule ha parlato della crisi che ci attanaglia come di una crisispirituale, interiore all’essere umano. Uno stato d’animo che, di questitempi, ciascuno vive rinchiudendosi in sé stesso: «Al contrario – esortadon Gianni Cesena – l’impegno missionario sta nel guardare al di fuo-ri di noi, perché le risorse migliori stanno negli altri popoli, nella lorovoglia di fare di crescere e nella passione che noi abbiamo, forti diuna cultura segnata dalla relazione, di relazionarci con loro. È questoil compito degli uffici missionari diocesani, da diffondere all’internodelle comunità parrocchiali».

In parallelo, però, appare indispensabile anche la prosecuzionedell’impegno contrario: «Abbiamo annunciato il Vangelo – aggiunge ildirettore dell’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria – finoagli estremi confini della Terra, abbiamo sostenuto opere, inviato per-sone. Tutto questo non deve terminare, perché il patrimonio millena-rio della fede che ci appartiene deve essere annunciato e consegnatoad altri, perché nello scambio ciascuno possa arricchirsi». E per tradur-re in pratica questi intendimenti, all’indomani, gli operatori missionarisi sono suddivisi in quattro laboratori tematici, “Pensare la MissinoDiocesana” e il suo inserimento nella pastorale missionaria, l’anima-zione missionaria, la cooperazione missionaria fra le Chiese e la cen-tralità della formazione.

Un momento fondamentale, in cui gli operatori diocesani si sonoascoltati, per proporre e condividere nuovi percorsi, nuove strategieorganizzative per le singole realtà: «Appartenendo alle diocesi – sotto-linea don Gianni – gli uffici e i centri missionari devono capire come

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poter entrare in relazione con le altre istanze pastorali presenti nellediocesi e collaborare ad una pastorale che, nel suo complesso, siadavvero missionaria, capace di annuncio e in grado di inquadrare al-cuni fenomeni che ci preoccupano, come un certo calo delle presenzenelle chiese, così come il calo delle vocazioni e delle vocazioni mis-sionarie».

A seguito dei laboratori, è quindi intervenuto monsignor Dome-nico Pompili, Sottosegretario della Cei, che relazionato sull’elabora-zione dei piani pastorali diocesani, alla luce degli Orientamenti pasto-rali dell’episcopato italiano. Sabato, infine, ha concluso il convegnomonsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne ePresidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, chepresieduto la liturgia eucaristica mattutina, prima dei saluti finali.

Ovviamente immancabile, tra i partecipanti, la presenza della dele-gazione pescarese la quale è sicuramente uscita rinvigorita dal mee-ting missionario: «Su tutto – ha riflettuto don Tonino Di Tommaso,direttore dell’ufficio Missioni diocesano – mi resterà impresso che peressere missionari bisogna essere uomini di pensiero, la missione nonpuò operare se l’azione dei parroci, dei laici non è nutrita dal pensie-ro, e uomini di Dio, perché la missione nasce dall’eucaristia, dalla pre-ghiera. Da questi due spunti dovrà partire, anche da parte mia, unnuovo impulso per sostenere i parroci in questa iniziativa».

E non passa inosservata, sempre di questi tempi, la presenza deigiovani nel movimento missionario pescarese: «A livello diocesano –precisa Simona Acciavatti, componente di “Missio giovani” nella par-rocchia della Beata Vergine Maria di Montesilvano – cerchiamo di es-sere presenti nella Pastorale giovanile, nella Congregazione dei laici,nell’ufficio missionario. Cerchiamo di far conoscere a tutti quelli cheincontriamo la dimensione missionaria, anche se la nostra chiamataviene già dal battesimo. Elaboriamo, quindi, anche nuovi strumentiper coinvolgere la nostra diocesi un po’ addormentata».

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Una casa accogliente è “Mia Gioia”di Simone Chiappetta

SARÀ INAUGURATA VENERDÌ 21 OTTOBRE LA CASA FAMIGLIA

“PAPA GIOVANNI XXIII” DI COLLECORVINO.AD ACCOGLIERE, CRISTIANO E SIMONA.

da www.laporzione.it19 ottobre 2011

Condivisione, accoglienza, semplicità. Sembrano essere queste leparole scelte da Cristiano e Simona, una giovane coppia di Montesil-vano, che da circa un anno ha accolto la proposta delle comunità fa-miglia Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi.

«Siamo una famiglia normale – spiega subito Cristiano – formata dauna mamma e un papà che hanno scelto di aprirsi all’accoglienza diogni tipo e soprattutto abbiamo voluto aprire le porte di casa agliemarginati, a coloro che più difficilmente troverebbero possibilità inuna famiglia “classica” o in delle strutture».

La casa, che verrà inaugurata venerdì 21 ottobre, alle 17, conuna tavola rotonda di presentazione presso la sala consiliare del Co-mune di Collecorvino – dove i giovani hanno scelto di trasferirsi – conla celebrazione della messa nella chiesa parrocchiale del Paese e conla visita alla struttura, ha come nome “Mia Gioia”, un aggettivo e unsostantivo che dicono tutto sulle motivazioni degli sposi e sulle fina-lità di far propria la difficoltà altrui, condividendola e trasformandolain serenità. «Mia gioia – continua Cristiano – è tratto dal brano di Isaia62 e dice la chiara fiducia del vivere di provvidenza, nella comunionedei beni, in semplicità e letizia», ma con responsabilità perché «l’acco-glienza – specifica la coppia – avviene ovviamente mantenendo l’e-quilibrio esistente nella famiglia stessa e conta sull’aiuto di tanti. Noicondividiamo le croci degli altri, ma anche noi sentiamo il bisogno diessere visitati e sostenuti».

Da circa un anno Cristiano e Simona hanno scelto di lavorare allacomunità educativa residenziale ed ora ufficializzano un percorso che

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li ha visti già capaci di partecipare la propria vita in modo stabile,continuativo, definitivo, oblativo ai loro tre figli, al quarto atteso perfebbraio, ad una donna pakistana con figli minori e ad una adolescen-te in affido di origine sarda. In questo modo si vuole rispondere allanecessità essenziale e profonda di chi viene accolto: «il bisogno disentirsi amati da qualcuno e il bisogno di essere utile ed importanteper qualcuno; in definitiva una relazione significativa con un papà euna mamma. Le persone o i ragazzi accolti non si sentono più assisti-ti, ma scelti e stimati da figure genitoriali».

Desocializzati in una società desocializzantedi Davide De Amicis

SALVATORE MARTINEZ INTERVIENE, A MONTESILVANO,AL CONVEGNO DIOCESANO DEI LAICI

da www.laporzione.it6 novembre 2011

Oltre 500 persone, tra laici, sacerdoti, religiosi e movimenti eccle-siali, ieri hanno gremito l’Oasi dello Spirito di Montesilvano Colle, par-tecipando al quinto Convegno diocesano dei laici dal tema “Educa-re alla vita buona del Vangelo-Radicati in Cristo con la grazia delBattesimo”. L’evento, organizzato dalla Consulta dei laici dell’arcidio-cesi di Pescara-Penne, non ha mani conosciuto una presenza simile,costringendo gli organizzatori a suddividere i partecipanti in due salein collegamento audio-video.

Del resto il tema, quello dell’emergenza educativa a cui la Chiesaha dedicato il prossimo decennio, è di quelli più sentiti da chi, comegenitori, insegnanti e catechisti, ogni giorno è chiamato a formare i

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più giovani, la classe dirigente di domani che dovrà andare oltre lacrisi sociale, morale, economica e politica in atto, elaborando nuovipercorsi educativi: «Non ci aspettavamo – ha spiegato monsignorTommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne – un’affluenzadi fedeli così numerosa, che ha fatto discernimento su quest’argomen-to così delicato, il quale ci introdurrà meglio alla cosiddetta nuovaevangelizzazione».

Tutto questo, grazie alla testimonianza offerta da Salvatore Marti-nez, presidente del movimento ecclesiale “Rinnovamento nello SpiritoSanto”, secondo il quale la crisi globale che stiamo vivendo è frutto diuna profonda crisi spirituale: «Stiamo assistendo – ha riflettuto Marti-nez, parlando ai laici – ad una separazione tra etica e spirituale im-possibile, perché è lo spirito che rende l’uomo capace di resistere alletentazioni. Oggi, l’uomo è desocializzato, in una società desocializzan-te, dove ognuno fa vigere le proprie norme, con la conseguenza diavere dirigenti, politici e sacerdoti incoscienti».

L’educazione, al contrario, deve passare attraverso l’autorevolezzadelle persone: «In primo luogo – ha concluso il presidente di Rinnova-mento nello Spirito – bisogna dare fiducia allo Spirito Santo, che ha lacapacità di suscitare nel cuore dei credenti una nuova responsabilitàverso l’altro. E, tra le pieghe di una società scontenta, c’è una nuovagenerazione di famiglie, di giovani che sta riprendendo il Vangelo, im-pegnandosi a riproporlo nella propria comunità».

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Gravelli, il nunzio gentiledi Simone Chiappetta

CITTÀ SANT’ANGELO RICORDERÀ, DOMENICA 11,MONSIGNOR GIOVANNI GRAVELLI, NEL XXX ANNIVERSARIO

DEL SUO INGRESSO NELL’ETERNA PACE.

da www.laporzione.it9 dicembre 2011

L’arcivescovo – di origine angolana – nato il 12 marzo del 1922 funominato arcivescovo di Suas nel dicembre del 1967 e nunzio aposto-lico nello stesso anno in Bolivia. Nel 1973 fu trasferito, sempre comenunzio apostolico, nella Repubblica Domenicana dove svolse il suoservizio fino all’11 dicembre 1981, anno della sua morte.

Alle 17, così, la sua città di origine lo commemorerà nella Collegia-ta parrocchiale attraverso il saluto di apertura di monsignor Tomma-so Valentientti, arcivescovo di Pescara-Penne, l’intervento del Cardi-nale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dia-logo religioso, presidente della Commissione per le relazioni con i mu-sulmani e la presentazione della Pubblicazione commemorativa “IlNunzio, apostolo della fede e della carità”. Alle 18 la concelebrazionesolenne presieduta dallo stesso cardinal Tauran.

«Monsignor Gravelli – spiega il prof. Contardo Romano, autore del-la pubblicazione – è stato un vescovo di grande fede e grande carità.Ricordo, ancora, quando il giovane don Giovanni, nel 1959, incaricatocome consigliere di nunziatura a Parigi, ricuperò un vecchio edificioin dissesto per farne un’opera di carità per la salute dei più bisognosi,così come la sua attenzione “sempre gentile” ai malati del Policlinicodi San Salvador. Altri sono gli esempi che potrei citare nel ministerodel vescovo di Città Sant’Angelo, dalle testimonianze di GiuseppeContarini, ambasciatore italiano a El Salvador, alla massima onorificen-za ricevuta dal presidente della Repubblica Domenicana».

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“Formare alla vita secondo lo Spirito”(Educare alla vita buona del Vangelo, 22)

dott. Salvatore MartinezPresidente Rinnovamento nello Spirito Santo

Convegno Ecclesiale DiocesanoPescara, 5 novembre 2011

La sfida educativa

Il 21 gennaio 2008, il Santo Padre Benedetto XVI inviava alla Dio-cesi e alla Città di Roma una lettera sull’emergenza educativa. Un attod’amore e di responsabilità, che riproponeva l’urgenza di un’analisiapprofondita del nostro tempo.

Educare non è mai stato facile; oggi, educare cristianamente, poi,sembra diventare sempre più arduo, improduttivo, talvolta impopola-re. Già nel libro del profeta Osea, in quel meraviglioso capitolo 11 incui Dio è l’educatore, il pedagogo dell’umanità, si constata questa dif-ficoltà: «Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano,ma essi non compresero che avevo cura di loro (alla lettera “che loeducavo, che lo facevo crescere”» (Os 11,3).

Si chiede Benedetto XVI, nella lettera citata: “Dobbiamo dunque da-re la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educa-re? È forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in ge-nere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il ri-schio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o megliola missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltantole responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono enon devono essere nascoste, ma anche un'atmosfera diffusa, unamentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valoredella persona umana, del significato stesso della verità e del bene, inultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmet-tere da una generazione all'altra qualcosa di valido e di certo, regole

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di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la pro-pria vita”.

Educare, oggi, è, prima di ogni altra definizione, “insegnare agliuomini l’arte di vivere” (card. Joseph Ratzinger, Giubileo degli inse-gnanti, dicembre 2000), di vivere una vita buona; è introdurre la veravita tra le pieghe di un’umanità sempre più irretita dalla sovranità del-la morte, dal potere della legge, dalla libido del consenso, dall’onni-scenza della tecnologia, fattori che snaturano la cifra umana e divinadel nostro esistere, che stanno ammorbando l’uomo e il suo destino.

La Chiesa è stata, rimane e sarà, come scriveva nel 1961 GiovanniXXIII, “Mater et magistra”. La Chiesa ha sempre educato al bene co-mune; meglio potremmo dire al senso del bene comune e all’impegnoper il bene comune. Un’educazione alla verità del bene e del male,un’educazione alla libertà come superamento di ogni tentazione egoi-stica e individualistica, un’educazione alle responsabilità sociali, mora-li, spirituali che incombono su chi è stato chiamato da Dio ad eserci-tar e il dono dell’autorità sugli uomini.

Vorrei leggere con Voi una pagina antica, eppure sempre attuale, ri-salente ad Agostino. Vi coglieremo tutto l’afflato, la cura, la pedagogiache la Chiesa ha sempre usato sul tema dell’educazione, così da po-tersi davvero ritenere “Mater et Magistra”:

“O Chiesa cattolica, o madre dei cristiani, tu educhi e ammaestritutti: i fanciulli con tenerezza infantile, i giovani con forza, i vecchicon serenità, ciascuno cioè secondo l’età, secondo le sue capacità nonsolo corporee, ma anche psichiche. Tu assoggetti le donne ai loro mari-ti, non per soddisfarne la libidine, ma per diffondere la prole e percreare, in casta e fedele obbedienza, la società familiare. Tu preponigli uomini alle consorti, non perché disprezzino il sesso debole, maperché vivano nella legge dell’amore sincero. Tu assoggetti i figli ai ge-nitori in una specie di obbedienza libera, e anteponi i genitori ai figlicon un dominio che è amore. Tu stringi i fratelli ai fratelli con un vin-colo religioso che è più saldo e più stretto del legame del sangue. Turinforzi, per il reciproco amore, ogni parentela e ogni gruppo sociale,conservandone i vincoli posti dalla natura o dalla volontà. Tu insegni

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ai servi a restare fedeli ai loro padroni, non tanto per la costrizionecui li assoggetta la loro condizione, quanto per il piacere di compiereil loro ufficio. Tu rendi i padroni miti con i servii, nella considerazio-ne del sommo Dio che è padrone comune, e li rendi più inclini adaverne cura che a punirli. Tu unisci i cittadini ai concittadini, le gentialle altre genti e gli uomini tra di loro, nel ricordo dei primi comuniprogenitori, e non solo in società, ma quasi in fraternità. Insegni aigovernanti ad aver cura dei loro popoli e imponi ai popoli di assogget-tarsi ai governanti. A chi si debba rendere onore e dare affetto, per chisi debba avere reverenza o sentire timore, chi consolare, ammonire,esortare, chi debba essere educato, ammonito o giudicato, tu lo inse-gni a tutti con solerzia, mostrando che non si deve dare tutto a tutti,ma a tutti amore e a nessuno ingiustizia” (in I costumi della Chiesacattolica, I,30,62-63).

Educazione e libertà

Ancora nella lettera alla Diocesi di Roma, il Santo Padre BenedettoXVI evidenzia un aspetto centrale della nostra riflessione odierna: iltema della libertà.

Ricorda il Santo Padre che “il rapporto educativo è anzitutto l’in-contro di due libertà e l’educazione ben riuscita e formazione al rettouso della libertà. Dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà”.

Un tema caro anche al card. Camillo Ruini, il quale introducendo il“Rapporto - proposta sull’educazione”, curato dal Comitato per il Pro-getto Culturale della CEI, ha ben precisato in cosa consiste questo ri-schio. Scrive: “Viviamo in una società dove sembra che tutto sia possi-bile indifferentemente; il trionfo della differenza, esaltata come prete-sto per affermare a qualsiasi livello il diritto di fare ciò che ci piace. Setutto è ugualmente possibile, allora anche la differenza diventa indif-ferente. Volevamo che il nostro io fosse in primo luogo autonomo e li-bero, e invece brancoliamo nel buio, fatichiamo sempre di più a dareun senso alla nostra libertà”.

In definitiva l’uomo può volgersi al bene, conosce ed esperimentail bene soltanto nella libertà.

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Una libertà che discende dalla verità. Ce lo annunzia Gesù nel Van-gelo di Giovanni; ce lo spiega efficace mente Benedetto XVI nella Ca-ritas in veritate. Per ben 39 volte, nell’enciclica, il Pontefice richiama laparola “libertà”, che essenzialmente libertà di scelta da usare semprein modo responsabile. Dirà il pontefice, al n.70: “Anche quando operamediante un satellite o un impulso elettronico a distanza, l’agire del-l’uomo rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile”.

Ebbene, venendo al nostro tempo, più il tessuto sociale si fa “liqui-do”, per riprendere la celebre espressione di Bauman, vorrei dire li-quidato da un uso irresponsabile della libertà umana, è più diventadifficile cogliere i segni, l’originalità, l’incidenza, l’efficacia dell’incultu-razione della nostra fede cristiana.

È bene ricordare che l’uomo e la donna sono nati per essere liberie alla libertà devono essere educati, ma ad una libertà realizzabile in-teriormente, in contatto con l’universale, che è infinito, quindi al di làdi ogni costrizione. Una libertà che deve contemplare l’educazione al-l’autocontrollo e alla disciplina.

A ben vedere due tragedie continuano a consumarsi. La prima: lanostra educazione tende a proporre come un valore l’accumulo deibeni materiali ben oltre le proprie necessità nel nome della libertà edella felicità. Ciò porta ad un consumismo irrazionale che distrugge lalibertà, determina la miseria e porta quindi alla perdita di se stessi. Èquesto il primo significato di “perdere la propria vita” di cui parla Ge-sù quando siamo così avari da non fare della nostra vita un dono difelicità per gli altri e la rendiamo un accumulo di felicità per se stessi.

L’altra grande tragedia nella nostra educazione è che il paradigmadominante ha separato l’etica dalla metafisica, l’etica dallo spirituale.Ne consegue che cambia la visione del reale, la percezione delle rela-zioni con il risultato che si separa il senso morale dal valore dell’esi-stere, si perde la tensione verso le virtù, si smarrisce la passione per laconversione personale e comunitaria.

Chi pone rimedio a questi squilibri? Se non ci sveglieremo dal tor-pore che è sceso sulle nostre responsabilità educative tornando a vi-

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vere in armonia con noi stessi, con le nuove generazioni, con le altrereligioni, con le differenti visioni del mondo, noi renderemo la nostraterra sempre meno riflesso del cielo e l’uomo e la donna sempre me-no riflesso del divino.

Oggi l’universalità della nostra fede è sfidata dall’universalismo del-la modernità. Attenzione: l’universalismo rende le differenze irrilevan-ti, cioè non rende possibile l’affermarsi di una verità da cui la libertàdiscende, perché rifiuta d’idea di Assoluto, di verità assolute entro lequali sono i confini della nostra libertà di uomini in quanto uomini.

La nostra identità cristiana non può essere meticciata; le culturepossono, ma non la fede. La fede salda la nostra vita e deve renderlaimpenetrabile ad ogni negoziazione delle verità di Dio. Sono eterne,per questo non negoziabili. Sono divine, per questo non riducibiliumanamente. Tra il nostro “essere cristiani in questo mondo” e “l’esse-re uomini di questo mondo” non potrà mai esserci coincidenza: ed ec-co il nostro permanente soffrire, il disagio della coscienza, il prezzodel morire come cifra irriducibile dell’autenticità della fede.

Educazione e identità

Definire la nostra identità “cristiana” non significa appena qualifi-carla, aggettivarla, ma sostanziarla, personificarla nell’esigente leggedell’incarnazione. Significa considerarla racchiusa in un’origine e inuna meta già segnate, perché di origine divine; un principio e un fineche, proprio perché divini, fanno della nostra vita terrena una parteci-pazione al primato del Figlio di Dio nella storia. Altro che remore, ri-pensamenti, fallimenti annunciati.

Guardiamo, per un istante, come il tema e la sfida dell’identità cri-stiana sono considerati dai pensatori del nostro tempo. Scomodiamoancora uno dei sociologi più in voga del momento, Zygmunt Bauman.Intervistato da Benedetto Vecchi, proprio sul tema dell’identità, lo stu-dioso polacco afferma: «L’identità ci si rivela unicamente come qual-cosa che va inventato, piuttosto che scoperto, qualcosa che è ancoranecessario costruire da zero» (in “Intervista sull’identità”, Laterza2003, pag.13).

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È accettabil e una simile definizione: l’identità è qualcosa che va in-ventato? No, ma essa è in linea con il nostro tempo. Si pensi alla pro-posta di legge che giace in Parlamento, in forza della quale sarebbepermesso ad ogni cittadino di darsi il cognome che vuole. Ed eccocicosì all’“anno zero”! Non si sarebbe più in alcuna relazione parentalecon il passato, né “figliati” da quelle memorie – cristiana, familiare, so-ciale, affettiva – di cui ogni uomo è chiamato a farsi custode e inter-prete nello spazio e nel tempo che gli è dato di vivere. Ciascunoavrebbe il potere di inventarsi la vita che vuole, di assegnarsi il desti-no che vuole.

Quanto va accadendo ci dice che si può parlare d’identità in duemodi: o in termini “speculativi” o in termini “contemplativi”. In termi-ni speculativi, per la sociologia corrente, l’identità è un problema. Piùla vita si fa liquida, più le radici vengono estirpate, più le memorievengono adulterate o cancellate e più l’uomo relativizzato diventa unserio problema a se stesso.

Ma così non è per noi. L’identità, è prima di tutto “identificazione”.Non qualcosa che va inventato, semmai Qualcuno – il Cristo – che vacercato, scoperto, accolto, amato, condiviso. Ecco perché un cristianosa che solo contemplando diviene ciò che deve essere. Solo assimi-lando la volontà di Dio, espressa nelle Sacre Scritture, trova e riceve lasua vera identità. Solo amando e servendo l’uomo, il cristiano identifi-ca e riflette l’immagine del Dio amante di ogni uomo.

Dunque non “identità-invenzione”, bensì “identità-identificazione”.Questo binomio è pregnante nel Nuovo Testamento, in modo specialein S. Paolo. A conferma, mi limito ad una tra le tante referenze bibli-che che qui potrebbero fiorire. Scrive S. Paolo, nella seconda lettera aiCorinti: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio lagloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagi-ne, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).

A viso scoperto, senza complessi d’inferiorità, senza crisi identitarie,senza vergogna di dirsi cristiani, noi riproduciamo l’identità di Cristo.«Io, ma non più io» ci ricordava Benedetto XVI a Verona. E aggiunge-

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va: «È stata così cambiata la mia identità essenziale ed io continuo adesistere soltanto in questo cambiamento» (Discorso ai partecipanti alIV Convegno Ecclesiale Nazionale, 18.10.2006).

È in questo respiro che plaudiamo alla scelta dei nostri Vescovi diaver scelto di operare una approfondita verifica dell’azione educativadella Chiesa in Italia, così da promuovere con rinnovato slancio que-sto servizio al bene della società, mediante la pubblicazione dei nuovi“Orientamenti pastorali” per il decennio 2010 – 2020 dal titolo: “Edu-care alla vita buona del Vangelo”.

I Vescovi lo definiscono «un investimento educativo capace di rin-novare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presentee significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione pergli adulti» (n.3), senza del resto celare “le difficoltà nel processo di tra-smissione dei valori alle giovani generazioni e di formazione perma-nente degli adulti” (ibidem).

Ed è guardando ai temi di fondo posti dai nostri Vescovi alla nostraconsiderazione, a tutti chiedendo un nuovo, personale impegno testi-moniale, che proviamo ad approfondire il nostro tema, ricordandoche ogni “educatore è soprattutto un testimone … che compie il suomandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona”(n.29).

La desocializzazione in atto

Siamo andati avanti così rapidamente, a cavallo tra due millenni,che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre animedi raggiungerci. Sì, l’anima è rimasta indietro, lasciata per strada tra ilflusso delle cose e degli eventi. Il progresso non può avanzare più infretta della nostra intelligenza e della nostra coscienza, perché è unprodotto della nostra intelligenza e della nostra coscienza. Non puòavanzare più in fretta della nostra umanità, perché è un frutto dellanostra umanità.

Urge un nuovo afflato di sapienza sullo svilimento dell’umano a cuiandiamo progressivamente assistendo, in special modo osservando le

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conseguenze dei fenomeni di de-socializzazione in atto che in specialmodo attaccano il futuro della famiglia.

L’uomo, le relazioni interumane, la convenzioni sociali, infatti, sonosempre più basate su paradigmi che agiscono in senso desocializzantee quindi spersonalizzante.

La solitudine della persona, i rapporti svuotati di profondità e au-tenticità, l’indebolimento generale dei costumi e delle regole su cui sifonda una comunità ne sono un triste ritornello cantato da tutti.

La desocializzazione in atto ha tre evidenti conseguenze:

• L’uomo desocializzato è anche un uomo de-culturalizzato: con l’e-liminazione di un contesto comunitario efficace si indebolisce finoa disperdersi l’eredità culturale, il grande collante della coesionesociale di una comunità. Il rischio sempre più evidente è l’anonimiae l’anonimato di ogni secolare tradizione; in special modo la fami-glia e tutti i tradizionali soggetti educativi preposti alla trasmissionedelle memorie (cristiana, culturale, sociale). Ne consegue che è im-pugnato il senso della responsabilità e ogni forma di “relazione pa-rentale” con il passato.

• L’uomo desocializzato è anche un uomo de-spiritualizzato: le “virtùrelativistiche” e i paradigmi materialistici (egoismo, superbia, avari-zia, invidia; spirito di competizione, rifiuto di regole oggettive, inu-tilità del trascendente) tendono ad attaccare e ridurre la vita spiri-tuale, a scoraggiare l’apertura dell’anima verso Dio, a indebolire l’a-pertura del cuore verso il prossimo. La sterilità della vita spiritualeo il ricorso a forme pseudo-spirituali (non riconcilianti, ma alienan-ti), influiscono decisamente nella consumazione dell’antropologiacristiana.

• L’uomo desocializzato è anche un uomo de-moralizzato: il tempopost moderno o neo pagano tende a determinare una società “neu-tra”, un luogo in cui tutti i valori sono da accettare indistintamente,“al di là del bene e del male ”, gettando in tal modo l’uomo in unmondo di amoralità in cui alla “coscienza” si sostituisce l’istinto e la

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soddisfazione di ogni bisogno o impulso fisico. Vengono così ridi-colizzate le “virtù” che generano comportamenti positivi (pazienza,costanza, rettitudine, integrità) e minate, preziosissime per accomu-nare le persone in un progetto valido e vitale il cui primo fine è di-fendere e diffondere il bene.

Ed ecco la scena che è sotto i nostri occhi, rappresentazione di unasocietà desocializzata.

• Una società senza memoria e senza sogni. È in atto una grossa crisidella temporalità, l'incapacità di vivere la propria vita come unastoria, in cui c'è una progettualità che responsabilizzi.Lo smarrimento del senso del tempo è il peggiore veleno alla con-temporaneità di Cristo, alla necessità che Dio si faccia contempora-neo ad ogni uomo.Senza una visione “cristiana” della storia e dell’uomo, a partire dalcentro del tempo e della storia che è Gesù di Nazareth, a partiredalla sua vittoria definitiva sul male, a partire dallo spazio nel qualesi esperimenta la sua presenza - che è la comunità cristiana - lenuove generazioni vivranno con una visione parziale, riduttiva, in-capace di soddisfare il loro cuore.a. tempo ecologico, con una visione pagana e panteista della vita;b. tempo tecnologico, con una volontà incontrollata di manipolazio-

ne e di dominio delle cose;c. tempo nichilista, con una progressiva acquisizione della morte di

Dio e di una pretesa autosufficienza;d. tempo marxista, con una falsa conquista della pari dignità socia-

le causa di profonde alienazioni;e. tempo capitalistico, con un’irrefrenabile corsa all’accumulo di ric-

chezze;f. tempo sincretistico, con una pericolosa affermazione di eresie e

di stili di vita islamici e orientaleggianti estranei alla nostra fedecristiana.

• Una società senza il pudore dei sentimenti. Società senza privacy,in cui l'intimità, il pudore dei sentimenti tende a sparire perché or-mai tutto diventa pubblico, tutto è oggetto di spettacolo.

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Un segno di questo stravolgimento è dato dalla rincorsa a rendereprivato il fatto più pubblico della storia umana, cioè la morte e larisurrezione di Gesù Cristo simboleggiate da un crocifisso che deveessere rimosso perché offensivo; e, di contro, rendere pubblico ilfatto più privato della storia di ogni uomo, il sesso, la sessualità,che deve essere sbandierata e salutata come sinonimo di felicità edi modernità oltre ogni ragionevole limite.

• Una società senza luoghi. Un luogo conferisce una particolare iden-tità. Oggi non c'è più distinzione dei modi e degli stili di vita, bensìun'omogeneizzazione. I ragazzi a scuola si comportano esattamentecome in piazza o nei pub.I luoghi sono interscambiabili, non rimandano più a codici identifi-cativi, così che fioriscono i “non luoghi” che stanno velocementesostituendo i “luoghi” che tradizionalmente sono stati identificatividel processo educativo di un giovane, cioè a dire la famiglia, lachiesa, la scuola.Quali sono questi non luoghi? La notte, la rete internet, gli ipermer-cati, i grill delle autostrade. Luoghi alienanti, in cui vige la culturadella simulazione che attenta all’autenticità degli stili di vita. È lasindrome del camaleonte, second life.Oggi si vale per contatti, quasi sempre virtuali e non più per incon-tri virtuosi.

Una nuova “etica delle virtù”

Cosa ci è chiesto di fare? Cosa dobbiamo tornare a fare?

Intanto proporre una nuova etica delle virtù. Perché il divario trafede e cultura, tra fede e stili di vita non si allarghi ulteriormente, oc-corre che la famiglia promuova e pratichi un nuovo ethós, un’eticadelle virtù che segni una profonda stagione di conversione degli stilidi vita sociali. Non possiamo più sfuggire a questa responsabilità!

Ritengo che non ci sia pericolo peggiore per la coscienza sociale diun popolo che l’insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare edell’immoralità, che dell’irrazionalità è la figlia maggiore.

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È paradossale che l’assuefazione ai mali sociali, che denigrano ladignità della persona, si vada giustificando con l’idea che sia sinonimodi modernità una vita pubblica moralmente inquinata, in cui sia veralibertà l’autonomia da ogni diritto o da ogni verità; sia vera libertà l’af-fermarsi del bene individuale su ogni bene oggettivo.

Per un cristiano la morale è il legame tra il cielo e la terra; è la mo-rale che autentica i rapporti di fraternità fra gli uomini, fra i popoli.Mancano della vera nozione di moralità coloro che la concepisconosolo in modo puramente individuale e individualista, mentre essa hasempre un carattere pubblico, collettivo, sociale.

Senza una morale religiosa, senza un rimando ai valori dello Spiri-to, la morale razionale rimarrà solo nell’ordine materiale, umano epresto scadrà nel calcolo, nel vantaggio immediato, nell’egoismo.

In questo contesto s’inserisce la necessità di progettare una nuovacultura, che risponda, contemporaneamente, alle aspirazioni piùprofonde dell’uomo e alle sfide decisive delle culture del nostro tem-po. Possiamo definirla una “cultura dello spirituale”, una cultura cheha la sua fonte sorgiva nella permanente effusione d’amore che dalgiorno di Pentecoste lo Spirito Santo incessantemente rinnova nellastoria della Chiesa e del mondo.

“Educare alla vita buona”: il primato dello Spirito

Nei nuovi Orientamenti pastorali risalta in modo efficace l’esigenzadi ricentrare i nostri processi formativi e i nostri progetti educativi sul-la persona dello Spirito Santo, il Maestro interiore che prosegue il mi-nistero di Gesù Maestro nella vita di ogni discepolo del Signore.

In special modo nei numeri 22 – 24 del documento, si afferma che«la Chiesa promuove nei suoi figli anzitutto un’autentica vita spiritua-le,cioè un’esistenza secondo lo Spirito (cf Gal 5,25) (n.22). Non unosforzo volontaristico, né episodico, bensì «un cammino attraverso ilquale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensionedel mistero di Dio e dell’uomo» (ibidem).

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E ancora aggiungono i nostri Vescovi: «L’accoglienza del dono delloSpirito porta ad abbracciare tutta la vita come vocazione … Per questoè importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscerela vita come dono e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore» (n.23).

Magistero e predicazione nel primato dello Spirito

Il primo magistero che il Cristo dà in dono alla sua Chiesa è quellodello Spirito Santo. Un primato indiscutibile negli insegnamenti ultimidi Gesù:

• «Lo Spirito vi insegnerà ogni cosa» (Gv 14,26).• «Lo Spirito prenderà del mio e ve lo darà» (Gv 14,26).• «Lo Spirito vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).• «Lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).• «Lo Spirito vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13).• «Lo Spirito mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete te-

stimonianza» (Gv 15,26-27).

Primo, allora, nel senso che tutti gli atti magisteriali della Chiesa so-no, di quel magistero trascendente dello Spirito Santo, indicazionechiara e sicuro veicolo di fede.

Due affermazioni antiche qui giovano:

“L’inizio della fede, anzi la stessa pia disposizione a credere, è innoi in forza di un dono della grazia, cioè della «ispirazione dello Spiri-to Santo», il quale porta la nostra volontà dall’incredulità alla fede”(Concilio di Orange [529 ],Can.5 [“De grazia ”]).

“Nessuno può aderire alla predicazione del Vangelo senza l’illumi-nazione e l’ispirazione dello Spirito Santo, che dà a tutti la docilità nelconsentire e nel credere alla verità” (Concilio Vaticano I, Cost. dogma-tica “Dei Filius”, c.3).

Secondo san Paolo, che sintetizza su questo punto una teologia la-tente in tutto il Nuovo Testamento, tutto l’essere cristiano - la vita nuo-va dei figli di Dio - è una vita da vivere secondo lo Spirito.

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L’attività fondamentale dello Spirito di Dio è suscitare e svilupparenei cristiani la fede in Gesù.

• Soltanto lo Spirito ci consente di chiamare Dio: «Abbà, Padre!» (cfGal 4, 6).

• Senza lo Spirito noi non possiamo dire: «Gesù è Signore» (cf 1 Cor12, 3).

• Dallo Spirito provengono tutti i carismi che edificano la Chiesa, co-munità dei cristiani (cf 1 Cor 12, 4; 14, 1).

• È in questo senso che san Paolo affida ad ogni discepolo di Cristola consegna: «Siate ricolmi dello Spirito» (cf Ef 5, 18), raccomandan-dosi che «non venga spento lo Spirito» (cf 1 Ts 5, 19) o che non«venga contristato» (cf Ef 4, 30) da una condotta insipiente.

Ci chiediamo, allora, se l’orizzonte catechetico contemporaneo siacoincidente con il rinnovamento della teologia realizzatosi intorno alConcilio Vaticano II. In special modo, se è rispettoso dell’esigenza diporre in modo più chiaro i rapporti tra teologia morale e teologia spi-rituale.

Giova poi ricordare che la struttura essenziale della nostra catechesiè, prevalentemente, cristologico-trinitaria. Dal Vaticano II la Chiesacontinua ad evidenziare una prospettiva imprescindibile dell’esperien-za cristiana nella riproposizione della fede, prospettiva che è disattesada tanta catechesi corrente: è il profilo pneumatologico e un’ecclesio-logia nell’orizzonte pneumatologico.

“La Chiesa, quando adempie alla missione, che è sua, di far cate-chesi – come del resto ogni cristiano che in tale missione s’impegnanella Chiesa e in nome della Chiesa – deve essere pienamente coscientedi agire come strumento vivente e docile dello Spirito Santo. Invocarecostantemente questo Spirito, essere in comunione con lui, sforzarsi diconoscere le sue autentiche ispirazioni, deve essere l’atteggiamento del-la Chiesa docente e di ogni catechista” (Giovanni Paolo II, Esortazioneapostolica “Catechesi Tradendae”, n.72).

Lo Spirito Santo è il nostro vero presupposto di originalità, è ciòche distingue noi credenti in Cristo, ontologicamente, da ogni altro

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credente in Dio. Ogni pretesa di novità, di adeguamento della nostraformazione ai tempi correnti può legittimamente ed efficacemente av-venire nello Spirito Santo.

Solo lo Spirito ci unisce al Gesù della storia, fa di noi l’itinerario diGesù, rende Gesù contemporaneo ad ogni generazione. Se l’uomo è“la via della Chiesa” (“Centesimus Annus”, n. 53), questa via passadalla porta dello Spirito Santo, come ci ricorda il card. J. Ratzinger inuna sua celebre opera: “È interessante ricordare che la Chiesa anticanon aveva alcuna strategia per l’annuncio della fede ai pagani e cio-nonostante il suo tempo divenne un periodo di grande successo missio-nario. La conversione del mondo antico al cristianesimo non fu il ri-sultato di un’attività pianificata, ma il frutto della fede nel modo comesi rendeva visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chie-sa:l ’invito reale, da esperienza a esperienza e niente altro. La comu-nità di vita della Chiesa invitava alla partecipazione a questa vita incui si svelava la verità da cui veniva questa vita. Viceversa l’apostasiadell’età moderna si fonda sulla caduta di verifica della fede nella vitadei cristiani. La nuova evangelizzazione di cui abbiamo oggi così ur-gente bisogno, non la realizziamo con teorie astutamente escogitate:l’insuccesso catastrofico della catechesi moderna è già troppo evidente.Soltanto l’intreccio tra una verità in sé evidente e la verifica nella vitadi questa verità può far brillare quell’evidenza della fede attesa dalcuore umano: solo attraverso questa porta lo Spirito Santo entra nelmondo” (in “Guardare Cristo”, Jaca Book, Milano 1989).

L’uomo spirituale tra eternità ed interiorità

È lo Spirito che educa e rieduca i cristiani ad investire in eternità,cioè a guardare lontano, sfuggendo agli orizzonti miopi del mondo.Lo Spirito dona agli uomini di ogni secolo uno sguardo escatologico,cioè orientato alle cose ultime, alle cose del cielo. Sempre, infatti, loSpirito comunica al credente la vera, ultima intelligenza della sua esi-stenza, segnata nel contempo dalla grazia e dal peccato.

Il nostro linguaggio, allora, è orientato alle realtà celesti? Orienta al-l’immortalità terrena o alla vita eterna? È facile constatare che il nostrolinguaggio si sta facendo sempre più povero: stiamo smettendo di

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parlare – poiché i più tacciono – di tutte le cose che più ci interessanoda credenti e da uomini: la verità di Dio sull’uomo, la speranza, il do-lore, il senso ultimo della vita, l’interiorità, la morte, la risurrezione, ilparadiso, l’inferno, il giudizio.

Non è possibile tacere, semmai davanti alla svogliatezza corrente oal tentativo di banalizzazione che porta taluni sino ad irridere i granditemi della spiritualità cristiana, si deve trovare un livello di parola, dicomunicazione più profondo. Dobbiamo dare voce all’interiorità: ini-ziare i credenti al linguaggio dell’interiorità, liberando e guarendo laparola che è ammalata di esteriorità, che non sembra più riconoscerele mozioni dello Spirito, i suoi richiami.

La Chiesa, nella sua verità più profonda, è soltanto desiderio diDio, apertura totale a lui. Noi, figli della Chiesa, siamo anche figli delnostro tempo, agitato, complesso, spesso ostile al mondo di Dio, lon-tano dalla scoperta del primato della vita interiore.

Lo Spirito Santo è già un al-di-là all’interno delle nostre vite. Ogniesodo dalle nostre certezze, da ogni sicurezza umana, il nostro ricen-trarci su Gesù è sempre un varcare la soglia del mistero dello Spiritoin noi. Così scopriamo quell’uomo interiore, l’uomo nuovo nascostodel cuore.

Lo Spirito Santo fa sì che «l’uomo nascosto nel profondo del cuore»(cf 1 Pt 3, 4), si risvegli in noi. Ed eccoci così alle soglie della preghie-ra. Solo la preghiera desta il cuore; solo la preghiera lo tiene sveglio.La preghiera spiega al cuore la Parola, perché introduce nei misteri in-dicibili di Dio: se la ragione non sa capirli, il cuore può crederli.

Solo la preghiera ha il potere «di fare abitare la Parola di Cristo nelnostro cuore in tutta la sua abbondanza» (Col 3, 16).

È questo il nostro cielo sulla terra; così noi diventiamo «tempio delloSpirito Santo» (1 Cor 6, 19), cioè liturgia vivente di un mondo nuovo.

La preghiera è sovrabbondanza del cuore; è l’acqua che rinfresca isemi del Verbo posti nel nostro cuore dallo Spirito. Riappropriarsi del-

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l’intimità con Dio, così tanto trascurata dal frenetismo e dall’attivismoecclesiale, significa lasciare riappacificare il cuore e la Parola.

Dobbiamo raggiungere il centro del nostro cuore, lasciare che vipenetri la Parola di Dio. È questo l’incontro decisivo nel camminoesodale della Parola, da noi al mondo, dalla terra al cielo, dall’implici-to all’esplicito. Il cuore dell’uomo è stato fatto per accogliere la Paroladi Dio.

La Parola si adatta naturalmente e soprannaturalmente al cuore: laParola deve essere seminata nel cuore (cf Mt 13, 19; Lc 8, 12); il cuoredeve essere purificato in vista della Parola (cf Mt 5, 8; Eb 10, 22; Lc 8,15).

Chi provvede a questo intimo incontro? Chi permette questa corri-spondenza, così che Parola e cuore possano riconoscersi? Forse la so-ciologia, la pedagogia, la filosofia, la scienza o la tecnologia?

Lo Spirito è amore; il mondo manca di un cuore generante amore;la Chiesa ha bisogno di nuove risorse d’amore. Guardiamo alle nostrecomunità: o hanno riserve spirituali da offrire o perdono d’incidenza efiniscono con essere disertate.

Auspichiamo, pertanto, che si compia il passaggio da un cattolicesi-mo di tipo sociologico, dove permangono forme esteriori - spesso so-lo razionali, prive di un autentico assenso interiore - a un cattolicesi-mo più propriamente pneumatologico, fatto di cristiani che manifesta-no la presenza dello Spirito, il primato dell’interiorità a partire da unapreghiera fervente.

Dallo Spirito verità e profezia

Paolo VI, sul rapporto tra evangelizzazione e Spirito Santo, ci ricor-da: “Si può dire che lo Spirito Santo è l'agente principale della evange-lizzazione. È lui che spinge ad annunziare il vangelo e che nell'intimodelle coscienze fa accogliere e comprendere la parola di salvezza. Masi può parimenti dire che egli è il termine della evangelizzazione: eglisolo suscita la nuova creazione, l'umanità nuova a cui l'evangelizza-zione deve mirare” (in “Evangelii Nuntiandi”, n.75).

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Tre affermazioni sono contenute in questo testo: lo Spirito Santoagisce sull'evangelizzatore spingendolo ad evangelizzare e dando for-za alla sua parola; lo Spirito Santo agisce sul destinatario dell'evange-lizzazione muovendolo ad accogliere il messaggio; lo Spirito Santo èal termine della evangelizzazione, nel senso che è lui stesso la salvez-za e la vita nuova annunciata nel Vangelo.

Tutto l’insegnamento di Gesù, la missione stessa di Gesù, è orienta-ta alla consegna dello Spirito Santo: solo mediante lo Spirito oggi, co-me a partire dalla Pentecoste per gli apostoli, è possibile rimanere ve-ramente fedeli al Vangelo e consegnare Gesù al mondo.

Attesta il libro dell’Apocalisse: «La testimonianza di Gesù è lo spiritodi profezia» (Ap 19, 10).

L’umanità ha bisogno della verità di Cristo, di essere sottoposta al-l’azione dello Spirito di profezia che incessantemente, al prezzo delmartirio, ci fa gridare che «solo Gesù è il Signore e il Salvatore» (cfr Fil2, 10-11). Ogni spirito tenebroso che spegne l’amore di Gesù nelmondo; ogni spirito tenebroso che fa appassire la fede nel cuore deifigli di Dio, si vince con lo Spirito di profezia.

C’è un mondo seminato di menzogne; gli uomini sono sempre piùattratti da proposte di salvezza infondate, estranee al Vangelo: è tem-po di aprire le porte ad una nuova irruzione dello Spirito di verità,mediante il quale è possibile dare profeticamente risposte a questomondo “insensato” che sembra avere desideri contrari allo Spirito diCristo perché – come dice Gesù – «non mi conosce e non mi compren-de dal momento che ha per padre il diavolo, omicida fin da principio,il falso, il padre della menzogna» (cfr Gv 8, 42-44).

Ha scritto Blaise Pascal: “La storia della Chiesa deve essere chiama-ta propriamente la storia della verità” (Pensiero n. 858).

Verità che, inesorabilmente, ci pone dinanzi ad una scelta: “con Cri-sto o contro Cristo”. È tutta qui la sfida. Non “con Cristo o senza Cri-sto”, perché essere senza Cristo, vivere senza Cristo significa già vive-re “contro Cristo”.

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Affermava Alessandro Manzoni: “Tutto si spiega con il Vangelo diCristo, tutto deve confermare il Vangelo di Cristo” (in “Osservazionisulla morale cattolica”).

Il Vangelo è parola di verità: ricevere il Vangelo è fare la verità; an-nunziare il Vangelo è insegnare agli uomini come si può essere vera-mente felici, in Gesù, se si è veri.

Si vorrebbe rendere “facile ” il cristianesimo, togliendo da esso ognisegno di contraddizione rispetto allo spirito del mondo. Noi viviamodentro il Vangelo, non dentro le voglie e le fantasie degli uomini. Noinon vogliamo un cristianesimo “diminuito”, cioè triste, avvilito, inatti-vo, pessimista, logico, comodo.

A noi è chiesto di assumere, difendere e condividere il destino diCristo. Ecco perché Sant’Agostino annota: “Non riducete il Vangelo aprivata verità per non esserne privati” (in “Confessioni, X, 23).

Bisogna essere desti! Il cristianesimo non è fatto per gente che dor-me, che vive senza aspirazioni, meccanicamente. Cristo è passione,sacrificio, offerta, presenza attiva, relazione con tutti. Il cristianesimo èfatto per uomini e donne forti, confortati dallo Spirito e da Lui raffor-zati dinanzi alle prove.

Sì, noi vogliamo un cristianesimo forte! Gesù così ci ha pensati, ca-pacitandoci per grandi imprese. Ci ha resi tali mediante lo Spirito aPentecoste: forti nella convinzione, forti nelll’annuncio del bene, fortinella denuncia del male.

Don Luigi Sturzo, giudicando le involuzioni che la storia del primoNovecento aveva drammaticamente registrato, così si esprimeva dal laterra d’esilio: “Cristo portò in terra un Vangelo che ripudia qualsiasipervertimento e oppressione umana, qualsiasi predomino del mondosullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazione spiri-tuale del male e una spirituale affermazione del bene (in “The preser-vation of the Faith”, Londra, 1938).

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La nuova evangelizzazione, appello-esito dello Spirito

Davanti alla scristianizzazione imperante e alla scarsa incisività dimolte proposte formative, i Vescovi italiani si sono preoccupati di in-dicare una nuova conversione pastorale per le nostre chiese, da rea-lizzarsi mediante l’insostituibile azione dello Spirito Santo.

“Negli ultimi decenni e anche recentemente non sono mancati, nel-la vita della Chiesa, cristiani – vorremmo dire “profeti” – dallo sguar-do penetrante, i quali hanno intuito e intravisto la necessità di espe-rienze di vita, personali e comunitarie, fortemente ancorate al vangeloper dare un avvenire alla trasmissione della fede in un mondo in fortecambiamento. Abbiamo bisogno di cristiani con una fede adulta, co-stantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamataalla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con pienaadesione e con grande umiltà e mitezza il vangelo. Ma ciò è possibilesoltanto se nella Chiesa rimarrà assolutamente centrale la docile acco-glienza dello Spirito, da cui deriva la forza di plasmare i cuori e di farsì che le comunità divengano segni eloquenti a motivo della loro vita“diversa”. Ciò non significa crederci migliori, né comporta l’esigenzadi separarsi dagli altri uomini, ma vuol dire prendere sul serio il van-gelo, lasciando che sia esso a portarci dove noi, forse, non sapremmoneppure immaginare e a costituirci testimoni” (in “Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia”, n. 45).

Parole chiare, che indicano una netta prospettiva d’impegno spiri-tuale ancor prima che pastorale.

Paolo VI, precursore della sfida della nuova evangelizzazione, al-l’indomani della chiusura del Vaticano II, consapevole dei pericoli cheincombevano sulla Chiesa post conciliare, chiamò all’appello tutti icristiani-evangelizzatori a spendersi per l’opera di diffusione del Van-gelo: “Noi esortiamo tutti coloro che, grazie ai carismi dello SpiritoSanto e al mandato della Chiesa, sono veri evangelizzatori, ad esseredegni di questa vocazione, ad esercitarla senza le reticenze del dubbioe della paura, a non trascurare le condizioni che renderanno taleevangelizzazione non soltanto possibile, ma anche attiva e fruttuosa”(in “Evangelii Nuntiandi”, n. 74).

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Un dovere essenziale, che deve coinvolgere tutta la nostra vita eimpegnare tutte le risorse d’amore che la fede sa sprigionare, che nonammette ambiguità o riduzioni davanti alle sfide culturali e sociali delnostro secolo.

Un monito a lasciar trasparire tutta la forza della parola di Dio –senza rivestirla di opinioni personali o di un vago buon senso chefunge da “ammorbidente” della Parola – lo troviamo in una lettera deldottore della Chiesa S. Teresa d’Avila :“Coloro che predicano il Vange-lo non ottengono che gli uomini si convertano, perché i predicatorihanno troppo buon senso. Purtroppo non ne sono privi per avere inve-ce il grande fuoco dell’amore di Dio. È per questo che la loro fiammariscalda poco”.

L’appello alla “nuova evangelizzazione” – dal discorso all’Assem-blea del CELAM del 9 marzo 1983 – ha trovato in Giovanni Paolo IIun appassionato e instancabile testimone. Nella sua lettera Apostolicapostgiubilare il Papa aveva fortemente richiamato i vescovi e i battez-zati a riflettere sull’urgenza di un nuovo primato spirituale per la Chie-sa del terzo millennio: “C’è una tentazione che da sempre insidia ognicammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che irisultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare.Guai a dimenticare che «senza Cristo non possiamo fare nulla» (cf Gv15, 5)... Ho tante volte ripetuto in questi anni l’appello della nuovaevangelizzazione. Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occor-re riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervaderedall’ardore della predicazione Apostolica seguita alla Pentecoste. Dob-biamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale escla-mava: «Guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9, 16) (in “No-vo Millennio Ineunte, nn. 38.40)

Dal suo esordio, il ministero petrino di Benedetto XVI è stato tuttoorientato a riaffermare l’unità e l’unicità della fede in Cristo. Un impe-gno arduo, non sempre accolto e compreso, specie quando venato direalismo nella denuncia della manifesta debolezza dei cristiani che vi-vono in questo secolo.

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Va detto che ciascuno dei richiami di Benedetto XVI a ripristinare ilprimato della fede, del linguaggio della fede, è stato e continua ad es-sere come un raggio di luce benefico, capace di rischiarare “quellamiopia spirituale che fa male alla speranza” (card. Camillo Ruini, re-lazione al IV Convegno Nazionale delle Chiese d’Italia, Verona, 20 ot-tobre 2006)

Benedetto XVI ha affermato che bisogna “rendere visibile il grandesì della fede, quel grande sì che, in Gesù Cristo, Dio ha detto all ’uomoe alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà, alla nostra intel-ligenza. La fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo”(Discorso ai partecipanti al Convegno IV Convegno Nazionale delleChiese d’Italia, Verona, 19 ottobre 2006)

Il testimone del Risorto serve la storia parametrandola al Vangelo,cioè alla Verità di Dio. Vive del dinamismo dello Spirito, smuove lecoscienze addormentate, impigrite, esteriorizzate, che confondono ilmale con il bene e il bene con il male, obbedendo al comando diDio: «Guai a coloro che chiamano bene il male e il male bene, checambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’ama-ro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5,20)

Ancora Papa Ratzinger a Verona: “In un mondo che cambia, il Van-gelo non muta. La Buona Notizia resta sempre la stessa: Cristo è mortoed è risorto per la nostra salvezza! Nel suo nome recate a tutti l’annun-cio della conversione, ma date voi per primi testimonianza di una vitaconvertita e perdonata. Sappiamo bene che questo non è possibile sen-za essere «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49), cioè senza la forzainteriore dello Spirito del Risorto”.

Una Chiesa in stato di missione

La missione non è un compito che si aggiunge alla vocazione e allavita cristiana, non è un programma o una strategia pastorale, non è af-fatto un proselitismo fanatico, ma la comunicazione del dono dell’in-contro con Cristo, la condivisione della verità, della bellezza e dellafelicità incontrata e destinata al bene di tutti.

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Essa deve essere vissuta come proposta di condivisione della pro-pria esperienza fatta alla libertà degli altri, prossimi o lontani, per pas-sione per la loro vita e il loro destino. In tal modo il richiamo a una“nuova evangelizzazione” (Giovanni Paolo II, all’Assemblea del CE-LAM, Port-au-Prince, 9.111.1983) è tanto più urgente in quanto molti-tudini di uomini vivono “come se Dio non esistesse” (ChristifidelesLaici, 34) e “il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno partedella Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio èquasi raddoppiato” (Redemptoris Missio, 3).

“Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare mis-sionari – ripeteva con insistenza Giovanni Paolo II -, e questo vale siaper le persone che per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscirefuori di se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, comin-ciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo impera-tivo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movi-menti, parrocchie e opere di apostolato della Chiesa. Solo diventandomissionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioniinterne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede” (Novo MillennioIneunte, nn. 31.43).

Il radicamento nell'identità cristiana, cattolica, non si realizza rin-chiudendosi in “ghetti” a scopo protettivo, o accomodandosi in com-pagnie gradevoli e gratificanti, ma è condizione e impeto rinnovatoper farsi presenti in modo esplicito, visibile, senza timori né calcoli, intutti gli ambienti e le situazioni della vita come comunicatori dellostraordinario dono dell'incontro con Cristo per mezzo dello SpiritoSanto che vive in noi e ci spinge, ci muove fuori di noi stessi.

Sì, lo Spirito ci apre alla solidarietà con il mondo. L’inquietudinedel mondo è già invocazione della nostra speranza. La degenerazionedel mondo è già richiesta di figliolanza divina. Il peccato del mondo ègià ricerca della grazia. Quanti tesori rimangono ancora nascosti! LoSpirito non ci chiede di rispondere con l’intimismo della fede (deriva),né con un entusiasmo ir-responsabile (assenza).

È nostra responsabilità di fede che questo mondo sia ordinato dalloSpirito di Dio e disponibile agli autentici bisogni dell’uomo. Dobbia-

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mo credere che lo Spirito di Dio vuole permeare della nostra fede inGesù il mondo della tecnica, della scienza, dell’economia che spessosentiamo ostili alla nostra visione della vita. Occorre che le vie delprogresso, che mai prima del Novecento l’uomo aveva conosciutonella forza e nel potere travolgente con cui oggi si presentano, sianodisponibili allo Spirito.

Dio non si pone contro questo mondo da lui creato: lo vuole pienodi quello Spirito con il quale ci ha creati e ci tiene in vita. QuandoGesù parla del mondo contrario allo Spirito di Dio, ci parla di quelmondo senza lo Spirito di verità, alieno e allergico alla Parola di Dio,quel mondo che non vuole la deificazione dell’uomo, ma la sua mate-rializzazione fino a ridurlo ad un nulla; quel mondo che non ha perregola aurea l’impegno generoso della carità, ma il disimpegno crude-le dell’egoismo.

La coscienza sociale di un popolo può essere risvegliata, può farsinuova cultura, novità di vita, solo a partire dai valori dello Spirito.Ora, per rifare il tessuto cristiano della società a noi laici cristiani èchiesto, senza deroghe, di saper superare la frattura tra Vangelo e vitache permane nelle nostre esistenze pubbliche e private, ricomponen-do così, proprio nella nostra quotidiana attività, l'unità di una vita chenel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi.

A tal proposito il Concilio Vaticano II ha affermato: «Il distacco chesi constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidia-na, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo» (Gaudium etSpes,n.43).

La Chiesa come “popolo di Dio”

La Chiesa è un popolo visibile, una presenza concreta nella storia,che rende vivo il mistero divino d’amore che l’ha generata e la man-tiene, sfidando i secoli e ogni sorta di male.

Il concetto di “popolo di Dio” è un concetto spirituale, non scienti-fico. È significativo che né le filosofie, né le scienze umane abbianodato molta importanza a questo concetto. Il popolo è una realtà es-

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senziale per comprendere il cristianesimo di ogni tempo e i fenomenidi risveglio carismatico che lo hanno attraversato lungo i secoli.

Un concetto che ritorna d’attualità, che è stato troppo trascurato,anche dalla teologia post conciliare, spesso eliminato dal vocabolariocorrente, perché sembrava una categoria troppo sociologica, speciequando poteva evocare il marxismo.

Il Concilio Vaticano II riportò all’attenzione del mondo intero unanuova nozione di Chiesa. La gerarchia non è il solo elemento attivo ei laici non sono un mero oggetto, privati di iniziativa e di responsabi-lità. Il cristiano è un membro del popolo di Dio, in tutte le attivitàumane e dentro la cultura di un popolo specifico. L’insieme di tutti ipopoli, la loro complessa e variegata realtà umana, fanno l’universalitàdella Chiesa, il popolo di Dio.

Essere membro del popolo di Dio non significa separarsi dagli altriper praticare atti separati, in quanto sacri, religiosi (visione liturgico-sacramentale della Chiesa). Questi, seppure indispensabili, non costi-tuiscono tutta la vita e la realtà della Chiesa, poiché i cristiani offronoa Dio la loro vita in mezzo al loro popolo (dimensione missionario-carismatica della Chiesa).

Cosa ci costituisce un popolo, il popolo di Dio? La vita comune, lavita sofferta. Chiesa di popolo, significa che non siamo un raggruppa-mento di individui, in cui ciascuno si preoccupa per se stesso. Attenti:c’è il rischio di precipitare nella stessa deriva individualistica che ca-ratterizzò la fine degli anni Sessanta, anni della contestazione, proprio nel tempo in cui il Concilio ci concludeva e annunciava al mondol’opera di rinnovamento dello Spirito. La bandiera dell’individualismosventolava forte allora, sta tornando a sventolare anche oggi, in untempo che non è anticlericale nella facciata, ma nel profondo, anticri-stiano.

Individualismo è sinonimo di relativismo: ed ecco l’orgoglio elevatoall’onnipotenza, l’apostasia, il rifiuto di Dio. Ecco l’inferno.

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La Chiesa è un popolo perché genera una comunione spirituale,che si incarna in una comunione visibile. La nostra condivisione nonè un fatto solo spirituale, ma è fatta di contatti umani, di convivenzecomunitarie, di un agire comune, che include realtà materiali, implicafattori puramente umani, relazioni fatte di simpatia, di affinità elettive,ma anche di scontri, di cadute, di disaffezioni. Un popolo che vive,che comunica sentimenti, emozioni. Un popolo incarnato.

Un popolo di attesa, di fiducia, di destino, che lotta contro il male,che cade e si rialza. Un popolo che conosce il martirio morale, cultu-rale e sociale della fedeltà a Cristo, in famiglia, nel posto di lavoro,con le persone che incontra.

Un popolo che ha un’identità forte, subito visibile, che attrae anchequando sembra essere contestata. Un popolo che non ha paura, cheguarda in faccia Dio senza nascondersi dinanzi al peccato. Un popoloche guarda in faccia Satana quando bisogna muovere guerra al pecca-to.

Un popolo profetico, che non si è stancato di ascoltare Dio, di in-terrogare Dio, di cercare le soluzioni di Dio. Un popolo che ha il co-raggio di parlare, di dire la verità, di fare gli interessi di Dio, di discer-nere il bene dal male e il male dal bene in un tempo in cui tutti dico-no “che male c’è”, mentre già il male ha catturato l’uomo e lo sta di-struggendo.

Non un popolo separato, in un territorio separato, in una storia se-parata, parallela. Non un popolo accanto ad altri, ma un popolo den-tro gli altri.

Perché non c’è fede senza incarnazione umana. Non è vera fede senon implica la sua realizzazione in una realtà umana, fatta di gesti, disegni, di incontri, di amicizia, di solidarietà, di dialogo, di apertura allavita, di difesa del bene, di condanna del male.

Il popolo di Dio è una realtà dinamica, perché costantemente all’er-tata e movimentata dallo Spirito Santo. Non è una giurisprudenza, néuna pedagogia, né una sociologia: è una pneumatologia, cioè una

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realtà che obbedisce allo Spirito, che vive la sua vera libertà piacendoa Dio, non agli uomini. Lo Spirito è legge interiore, è principio unifi-catore, è anelito alla purezza, alla giustizia, alla promozione umana.

Il credente è reso dallo Spirito capace di rispondere. Questa “abili-tazione a rispondere” (respons-abilità) è dono dello Spirito.

Amare è “rimanere nell’amore”: uno sguardo alla famiglia cri-stiana

Con lo Spirito la famiglia, la piccola chiesa domestica, ha un altroparametro per l’uomo, persona e non oggetto di manipolazioni diogni sorta: questo parametro è il Vangelo dell ’amore, cioè la Verità diDio per il bene di ogni uomo, e non il “dato relativo”, la mia verità, ilmio bene.

Noi crediamo fermamente che il dono dello Spirito Santo è coman-damento di vita per la famiglia cristiana, è rigenerazione dell’amoresacramentale che consente agli sposi di progredire verso una più pie-na, ricca, consapevole comunicazione d’amore a tutti i livelli: dei cor-pi, dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze, delle volontà, delle ani-me.

Dalla collaborazione degli sposi con lo Spirito dipende il successodel matrimonio cristiano: gli sposi non possono attuare al livello pro-prio della comunione delle persone la verità biblica «i due sarannouna sola carne» (Gen 2,24) se non mediante le forze soprannaturaliprovenienti dallo Spirito.

È in atto una grande confusione tra l’amore di Dio e l’amore delmondo, come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI sin dal primo para-grafo della Lettera Enciclica “Deus Caritas Est”, confusione che inqui-na fortemente la fede della famiglia e la fede nella famiglia, speciequando le menzogne del mondo addormentano la coscienza di ciòche è vero amore.

• Oggi è considerato un atto d’amore giustificare la soppressione del-la vita, per non vedere soffrire il proprio parente: e così si legittimal’eutanasia!

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• È considerato un atto d’amore giustificare la distruzione di un matri-monio, per mettere fine alle tante sofferenze della coppia: e così silegittima il divorzio!

• È considerato un atto d’amore giustificare l’interruzione di una gra-vidanza, quando al nascituro sarebbe assicurata una vita difficile: ecosì si legittima l’aborto!

Chiediamoci: dov’è finito Cristo? dove abbiamo accantonato lo Spi-rito di profezia, la verità di Cristo, che sempre reclama il martirio so-ciale? L’amore è donazione, non privazione; è offerta, non rinuncia; èvita, non morte; è dialogo, non rifiuto preconcetto.

Una verità laica questa, iscritta nel codice genetico di ogni uomo.Pensate, se ne fece sostenitore finanche l’ateo e irriverente Carl Marx,il quale un giorno scrisse: “Quando tu ami senza provocare amore,cioè quando il tuo amore come amore non produce amore reciproco,e attraverso la tua manifestazione di vita, di uomo che ama, non faidi te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura”(in Manoscritti economico-filosofici, 1844). Quanto è vera questaespressione, ancor più pensando alle famiglie!

Come fare perché questo accada, perché accada proprio nelle no-stre case? Accogliendo l’invito di Gesù: “Rimanete nel mio amore” (Gv15, 9b). Gesù sembra dirci: prima di fare del mio amore una lezioneai vostri figli, procuratevi di farne esperienza.

Afferma ancora S. Agostino: “Se tu abiti nello Spirito, lo Spirito abi-terà in te”. Resta nell’amore e l’amore resterà in te”. (Commento allaprima lettera di S. Giovanni, 7,10).

“Rimanere” è il verbo spirituale di una famiglia, per cui la grandesfida non è quella di creare una famiglia, bensì di conservarla cristia-na. Una famiglia “che si fa da sé”, che non si lascia fare continuamen-te dallo Spirito, si fa male, farà del male ai propri figli, impoverirà laChiesa, non potrà stupire il mondo.

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Educare in famiglia è evangelizzare

“Onora tuo padre e tua madre” non è solo un comandamento bi-blico, un principio comune a tutte le religioni. È anche un impegnolaico, perché non esiste saggezza umana o civiltà degna di questi no-me che non ricordi a dei figli di onorare i propri genitori, il propriopassato, le proprie tradizioni. Un padre e una madre. Non un padreche funge da madre o una madre che funge da padre. Non c’è spazioper mistificazioni o scimmiottamenti della verità. La posta in palio,l’avvenire delle nuove generazioni, è troppo alta. I giovani non sannopiù stare al mondo perché stiamo smettendo di insegnare loro “comesi vive”, di rimanere nell’amore e non di consumarlo.

Chi non difende la famiglia oggi offende i giovani che verranno do-mani, se qualcuno ha davvero a cuore il futuro!

La storia umana è fatta di corsi e ricorsi. Ma ora sta accadendoqualcosa di inedito e di drammatico: si vuole alterare il corso naturaledella storia umana.

Mai, in nessuna civiltà, era avvenuto che si ridicolizzasse, si bollas-se d’infamia un bene così profondamente umano, così profondamentealleato del futuro dell’uomo come la famiglia: divorzio, aborto, euta-nasia, fecondazione artificiale ne sono un evidente segno.

Mai era avvenuto che, in nome della famiglia, il nucleo naturale piùlaico e universale che la storia conosca, si offendesse la dignità di mi-lioni di cittadini, strumentalizzando anche la loro genuina fede in Dio:mettere la vita ai voti in un referendum.

È triste assistere al comportamento di molti genitori cristiani chestanno rinunciando alla trasmissione della fede ai loro figli, assecon-dando una certa psicologia che invita a rispettare la libertà dei ragazzicosì che possano “costruire l’autostima”. Cosa significa costruire l’au-tostima? Se significasse lasciare un ragazzo in balia del proprio io, cosìche diventi maestro di se stesso, decidendo senza Dio ciò che è benee ciò che è male, ebbene - se questo accadesse - noi staremmo alle-vando in casa degli atei!

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S. Giovanni Crisostomo, in un’Omelia sulla prima lettera a Timoteo,ammonisce: “Un grande pegno ci è stato affidato: i nostri figli. Preoc-cupiamoci, dunque, di loro e facciamo di tutto perché il Maligno nonce li porti via. Ma tra di noi avviene tutto il contrario. La nostra preoc-cupazione è lasciare proprietà ai nostri figli e per accumulare benimateriali non ci diamo pensiero di loro”. (Omelie sulla prima lettera aTimoteo, 9,2).

Ancora s. Giovanni Crisostomo, in un’altra Omelia sulla lettera agliEfesini, così si rivolgeva ai genitori cristiani: “Vuoi che tuo figlio sia ob-bediente? Allevalo fin dall’inizio, educandolo e ammonendolo nel Si-gnore”. Non credere che sia inutile per lui ascoltare le Sacre Scritture.Non dire: «È roba da monaci e non voglio farlo monaco». Non è neces-sario che diventi monaco: Fallo cristiano! Ricorda: non farai mai tan-to per lui, quanto insegnandogli ad essere cristiano. Di fronte alla cu-ra spirituale dei figli, tutto per noi sia secondario!” (Omelie sulla lette-ra agli Efesini, 21,1-2).

Se c’è crisi d’identità della famiglia cristiana non si deve certo alle“dimissioni” dello Spirito Santo dalla storia umana, piuttosto alle no-stre “diserzioni”. L ’invito di S. Paolo è chiaro: “Non estinguete lo Spiri-to Santo” (1 Ts 5,19).

S. Agostino, in una sua Lettera a Bonifacio, così commenta questaespressione paolina a proposito di quei genitori che trascurano l’edu-cazione alla fede dei propri figli. Vengono definiti “assassini spiritua-li”. Scrive: “Quando S. Paolo afferma: Non spegnete lo spirito! (1Ts 5,19) non intende certo che lo Spirito possa essere spento. Lo fa per met-tere in guardia i cristiani. Anche i genitori sono chiamati giustamentespegnitori quando non lasciano ai loro figli la Chiesa per madre e Dioper padre. Così facendo costringono i figli propri e altrui al servizio deldemonio” (Le Lettere, I, 98, 3 [a Bonifacio ]).

L’arte della preghiera nella famiglia

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Ineunte, ciha ricordato che c’è bisogno di “un cristianesimo che si distingua nel-l’arte della preghiera” (cf NMI, n. 32). Siamo esortati dal Papa “a non

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dare per scontata la preghiera … a imparare a pregare, quasi appren-dendo sempre nuovamente quest’arte” (cf Ibid.). Quanto è vero tuttoquesto nelle nostre case!

La famiglia, quando prega, è vigilante, profetica, innamorata, incar-nata, in comunione. Niente più della preghiera deve essere al centrodei pensieri di una famiglia cristiana - se non vuole cadere sotto i col-pi della scristianizzazione imperante - perché niente più della preghie-ra preme alla Chiesa. Come piccola chiesa domestica, la famiglia è“segno e strumento dell’intima unione con Dio” (Lumen Gentium,n.1).

È possibile spiegare cosa significa pregare in famiglia? Forse è me-glio provarlo con la propria esperienza. Dobbiamo cercare di educarele famiglie alla preghiera, alla confidenza con Dio, così da aiutarle aritrovare intimità familiare, capacità di dialogo e di ascolto fra i mem-bri della famiglia stessa.

I figli devono tornare ad imparare dai genitori la necessità di lodareil Signore in ogni circostanza, favorevole o contraria, per cui la lodediventa uno stile di vita. Si sviluppa, in tal modo, una “dipendenza daDio” che genera pace e gioia anche nel tempo della prova, che infon-de nel cuore dei figli “l’onore verso Dio e l’onore verso i genitori”. Di-viene, così, più naturale osservare i comandi di Dio e ricercare il suovolere.

Davanti alle prove della vita, di estrema importanza è la preghieradi intercessione. La Scrittura ampiamente attesta come Dio doni ai ge-nitori il potere di benedire i figli nel tempo della prova, specie nellamalattia. Nel gesto invocatorio degli sposi sulla loro creatura si mani-festa l’amore di Dio che consola e libera dal male.

La famiglia cristiana … “non è di questo mondo”

“La Famiglia è il cuore della nuova evangelizzazione” (EvangeliumVitae, n. 92). La famiglia ha una missione specifica, che la impegnanella trasmissione del Vangelo, al punto che la stessa vita familiare di-venta itinerario di fede e d’iniziazione cristiana.

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Il futuro della “nuova evangelizzazione” passa in maniera ineludibi-le dalla famiglia: essa è chiamata a divenire sempre di più “sacramen-to dell’evangelizzazione”, volto di una chiesa profetica e mai arrende-vole.

Sentiamo assai vere, a tal riguardo, le parole contenute nella Fami-liaris Consortio (n. 52): “Nella misura in cui la famiglia cristiana ac-coglie il Vangelo e matura nella fede diventa comunità evangelizzan-te”.

Se “la Chiesa esiste per evangelizzare” (cf Evangelii Nuntiandi, 14)cosa accade se essa non recupera la potenza dell’annuncio del Vange-lo a partire dalle famiglie, le piccole chiese domestiche? Accade chetenda a morire? Gesù ha detto: «Le porte degli inferi non prevarranno»(cf Mt 16, 18), ma è anche vero che se si spegne la fede, il mysteriuminiquitatis dilagherà sempre di più. Una vita piena nello Spirito Santo,l’unzione della sua potenza carismatica non sono soltanto di confortoper le famiglie, ma – mediante esse – motivo di speranza per la Chie-sa tutta e per il mondo.

In un tempo che genera «genitori carnefici di vite indifese» (Sap 12,6), in cui “il fratello dà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli in-sorgono contro i genitori fino a farli morire» (cf Mt 10, 21), si avverteil bisogno di famiglie che siamo “primizie nel giardino di Dio”, comela famiglia di Stefanàs, lodata da S. Paolo «per aver dedicato se stessaal servizio della fede» (cf 1 Cor 16, 15).

La parola del Signore ci fa da monito: «Se qualcuno non si prendecura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui harinnegato la fede ed è peggiore di un infedele» (1 Tm 5,8). Voglia loSpirito Santo dilatare i nostri cuori e donarci una nuova cura d’amo-re per le nostre famiglie.

La storia della salvezza è la storia della tenerezza di Dio, che ci haamati e ha dato la sua vita per noi (cf Gal 2, 20). La famiglia cristianaè tenerezza ferita, tenerezza tradita e crocifissa, ma pur sempre e persempre, con l’Eucaristia, l’ostensione del sacramento della tenerezza

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divina, del Dio amore. Sì, nella fragile esperienza terrena di ogni fami-glia cristiana rivive la stessa fragilità della carne del Figlio di Dio.

I Padri della Chiesa definiscono la famiglia cristiana una “comunitàdi pazienti”, cioè di credenti che non si arrendono al male e condivi-dendo con Cristo il suo fallimento terreno fanno di ogni “croce quoti-diana” un anticipo di cielo, una profezia compiuta del trionfo della ri-surrezione. Fin quando sarà sulla terra, la famiglia cristiana sarà sem-pre in segreta empatia con la sofferenza umana; nessun male potràmai ottenebrare il suo volto “sovraumano”, così da far scomparire itratti di Cristo, quel meraviglioso profilo divino che la rende unica.

La famiglia cristiana è e rimarrà in ogni tempo il migliore “laborato-rio di speranza” per la salvezza di un’umanità che dispera, perché ma-lata d’amore.

Solo l’amore, alla fine, rimarrà. Così possiamo dire che la famiglia èorientata al cielo, data per il mondo “senza essere del mondo” (cf Gv17, 11.16). Mutuando le parole di Gesù davanti a Pilato vorremmopoter dire che “la famiglia cristiana non è di questo mondo” (cf Gv18,3 6). Esiste come profezia per trasformarlo, per testimoniare che“essere di Cristo” significa divenire “bersaglio di ogni contraddizione”(cf Lc 2, 34).

Una famiglia cristiana che vive dello Spirito Santo non perderà maiil coraggio; ogni impresa, come Maria, le sembrerà possibile. Non ciperdiamo d’animo, allora, e facciamo della gioia del Cristo risorto lanostra migliore linfa vitale. Se Cristo ha vinto la morte, tutto può esse-re vinto. Se Cristo è risorto, tutto può tornare in vita. Questa è la no-stra speranza viva!

Il binomio “fede e morale”

Non c ’è dubbio che oggi, non meno di ieri, sia da riformulare conresponsabilità e chiarezza il rapporto tra “fede e morale”. Lo imponela nostra coscienza cristiana, dal momento che morale e politica rien-trano proprio nella sfera della coscienza intesa come atto che uniscela nostra conoscenza razionale con il nostro libero agire.

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La politica, l’economia, senza morale, sono sempre impolitiche eanti economiche. Il fine della politica è intrinsecamente sociale, perciòrazionale e morale, e dal momento che il fine della politica consistenel perseguimento e nella realizzazione del bene comune, per esseredavvero a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale.

Per un cristiano, la moralità presuppone la maturazione di una co-scienza che, alla luce della fede – quindi della Parola di Dio e del Ma-gistero – deve essere educata, illuminata, formata dalla riflessione ra-zionale in un clima di libertà, per discernere con convinzione, concoerenza e sicurezza il bene dal male.

E così ci imbattiamo subito in un problema imperante, che già ilprofeta Isaia 5 ,20 denuncia un grave delitto dinanzi a Dio e agli uo-mini, un delitto che deturpa la storia e altera la cifra della nostra veraumanità: “guai a chi chiama il bene male e il male bene”.

Ebbene è quello che va accadendo e l’alterazione della coscienzacomune si fa sconvolgimento morale della coscienza sociale. Diciamo-celo francamente: non si corregge l’immoralità con una predica dome-nicale o scrivendo articoli nei giornali. Bisogna correggere la vita pub-blica; bisogna moralizzare la vita pubblica; bisogna immettere nellasocietà una nuova generazione di uomini e donne con una forte pas-sione, animata dalla fede, dalla speranza, dalle carità cristiane, che siimpegnino a ricercare il bene pubblico basato sulla morale, che senta-no nella loro coscienza il primato l’impero della morale fecondato dal-l’amore per Dio e per gli uomini. Uomini e donne che abbiano unaconcezione religiosa della vita da cui deriva il senso della responsabi-lità morale e della solidarietà sociale.

Sant’Agostino affermava che “se la fede non è pensata allora è nul-la” (in De Praedestinatione sanctorum, 2,5). Quindi più che “ripensa-re” al passato, dobbiamo “pensare” il presente come uomini spirituali,cioè valutando la realtà come uomini – ricorderebbe S. Paolo – chehanno “il pensiero di Cristo” (1 Cor 2,16).

Il credente è il realista per eccellenza. Non si rifugia nostalgicamen-te nel passato, né invoca un futuro depressivo o repressivo. Il cristia-

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no è colui che con S. Paolo ripete: «La realtà è Cristo» (Col 2,17). Ladifferenza la fa Cristo. Il dilemma è tutto qui. Se Cristo c’è o non c’è.Perché se Lui non c’è, allora anche io sono assente, insignificante, im-potente. O la mia fede genera Cristo nella storia, o il mio essere laiconel mondo profumerà di morte e non di vita, non basterà a salvare lamia anima, figurarsi essere di aiuto per gli altri.

La nostra laicità parte dal reale, lo include, lo assume, aspira a tra-sfigurarlo. È una laicità aperta all’uomo perché già spalancata a Cristo.Se è chiusa la porta della nostra fede in Dio, sarà sigillata la porta del-la nostra fiducia nell’uomo. La misura della nostra laicità è insiemeuno spazio antropologico e teologico inscindibili: l’uomo e Dio; ancormeglio l’uomo in Dio e Dio nell’uomo.

La realtà si può guardare, giudicare, abbracciare in due modi: ob-bedendo allo spirito di questo mondo, oppure obbedendo allo Spiritodi Dio. Da una parte le tenebre della menzogna, dell’inganno, dellafalsità; dall’altra la luce della verità, della sincerità, dell’onestà.

La nostra laicità è lo spazio creativo dell’amore, di un amore com-passionevole per questo nostro mondo. La nostra laicità è la capacitàinteriore di vedere il bene che manca tra le pieghe del male evidente,delle strutture di peccato che colpevolmente stanno espatriando Diodalla storia. Un Dio che, al massimo, si vorrebbe come “un al di là”,un Dio scomodo, troppo esigente per essere parte di questo nostrotempo ondivago. Cristo, invece, si è posto come Signore del “di qua”e a noi - per fede - chiede di governare con Lui questo nostro mondo.

Dobbiamo trovare, senza indugiare, il nostro massimo livello diconvergenza ecclesiale intorno all’uomo, che invece sta diventandonel nostro tempo il massimo livello di conflitto. Attorno all’uomo, alsuo destino, ai suoi diritti nativi si sono formati schieramenti moltopericolosi che stanno muovendo e ancor più muoveranno guerra.

L’uomo non può essere ideologizzato. E questo significa che la no-stra missione evangelizzatrice deve riportare in modo molto chiaro ilprimato del Vangelo rispetto a idee che hanno come obiettivo quello

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di rendere l’Io come un’entità assoluta, vera e propria idolatria, fruttodel relativismo odierno. L’Io assoluto è il peggior nemico dell’uomo.

C’è, talvolta, tra noi, una sorta di complesso d’inferiorità dinanzi al-l’ineluttabile male che si accanisce sulla storia, un’inquietudine che ciassale dinanzi al tentativo corrente di privare il cristianesimo di ognirilievo pubblico. Si vorrebbe una sorta di cristianesimo svilito, diluito,anonimo, una chiesuola in cui riparare per trovare protezione.

Un’inquietudine che io ritengo salutare, che dovrebbe svegliare dalsonno, dal torpore spirituale che spesso alligna tra di noi. Ecco perchéè imprescindibile che la parola “bene comune” si coniughi con “iden-tità cristiana”. Potrà mai una identità cristiana mondanizzata, relativiz-zata, perbenizzata, generare il “bene comune”, così come esige la Tra-dizione cristiana dei martiri e dei santi che ci hanno preceduto?

La nostra fede non è mondana, ma è per il mondo. È coinvolta conil mondo e deve coinvolgere il mondo.

Ebbene, come ha scritto un celebre martire cristiano evangelico delNovecento, Dietrich Bonhoeffer, «noi cristiani dobbiamo tornare all’a-ria aperta; dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spiritualecon il mondo» (in “Resistenza e Resa”).

Dal suo esilio londinese, nel giugno 1938, giudicando le rivoluzioniche la storia coeva aveva drammaticamente registrato (la socialista, lanazi-fascista, la messicana), così si esprimeva nel suo scritto “The pre-servation of the Faith”: «Per noi, la prima, vera, unica rivoluzione fuquella del cristianesimo. Cristo portò in terra un Vangelo che ripudiaqualsiasi pervertimento e oppressione umana, qualsiasi predomino delmondo sullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazionespirituale del male e una spirituale affermazione del bene. Il nostromondo è un mondo che deve essere creato a nuovo con fiducia nelpensiero cristiano, il quale è sempre vivo e sempre potente per le tra-sformazioni» .

Un’analisi efficacissima, irrinunciabile, basata sulla singolare con-vergenza fra il Cristianesimo e ciò che è autenticamente umano. In

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un’altra opera dello stesso periodo londinese don Sturzo scriverà:«L'errore moderno è consistito nel separare e contrapporre Umanesimoe Cristianesimo: dell'Umanesimo si è fatto un'entità divina; della reli-gione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche unasetta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisognaristabilire l'unione e la sintesi dell'umano e del cristiano; il cristiano ènel mondo secondo i valori religiosi; l'umano deve essere penetrato diCristianesimo» (in “Miscellanea londinese”, vol. III).

È questa una splendida traduzione dell’espressione “bene comune”.

Ogni epoca storica vive il tempo della crisi. Qualcuno dice: “Malatempora currunt”. I tempi sono difficili. Ma non sono mai stati facili emai lo saranno! «Vivete bene il tempo e lo cambierete; e se lo cambieretenon avrete più da lamentarvi» (in “Discorsi” 311, 8,8) ricordavaSant’Agostino alla generazione di cristiani del suo tempo.

È incredibile assistere alla domanda di molti cristiani del nostrotempo che si chiedono: “ma cosa c’entra la fede con la mia vita, conla mia vita pubblica, con i miei principi morali, con le mie scelte fami-liari”?

Vorrei che a rispondere fosse quel grande genio del Novecento cheè stato il servo di Dio Paolo VI, che patì i travagli di un’epoca consu-mandosi nella fatica di trovare adesione convinta alla sua lettura dellastoria. Nella Enciclica sull’evangelizzazione nel mondo contempora-neo,“Evangelii nuntiandi”, Paolo VI scrive: «È indispensabile raggiun-gere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i criteri digiudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero,le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contra-sto con la parola di Dio e con il disegno di salvezza» (n.19).

Anche Papa Benedetto XVI, in occasione del Viaggio negli StatiUniti, così si è pronunziato il 18 aprile 2008, parlando ai Vescovi: «Èforse coerente professare la nostra fede la domenica e poi, lungo la set-timana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrariea tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttarei poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari

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all’insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddi-cono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento allamorte naturale? Occorre resistere ad ogni tendenza a considerare lareligione come un fatto privato. Solo quando la fede permea ogniaspetto della vita, i cristiani diventano davvero aperti alla potenza tra-sformatrice del Vangelo» .

Questa nostra fede genera un’identità che personifica, non che alie-na. Deve generare un corpo sociale, umano e divino insieme, che è ilnostro essere la Chiesa nel mondo.

Una cultura della Pentecoste

Una definizione del Concilio Vaticano II fa da monito di speranzaal terzo millennio di vita cristiana: “Legittimamente si può pensare cheil futuro dell’umanità è riposto nella mani di chi saprà trasmettere allegenerazioni di domani «ragioni di vita e di speranza»” (in “Gaudiumet Spes” n. 31).

A fare da eco a questa esigente prospettiva è Papa Benedetto XVI,sin dalle prime battute del suo pontificato: “La storia non è in mano apotenze oscure, al caso o alle sole scelte umane. Sullo scatenarsi dienergie malvagie, sull'irrompere veemente di Satana, sull'emergere ditanti flagelli e mali, si innalza il Signore. Dio non è indifferente allevicende umane, ma in esse penetra realizzando i suoi progetti e le sueopere efficaci” (Udienza generale, 11 maggio 1995).

L’avventura dell’umanità non è confusa e senza significato, né è vo-tata senza appello alla prevaricazione dei prepotenti e dei perversi.Infatti, esiste la possibilità di riconoscere l’agire divino dello Spiritonella storia.

Che fiducia abbiamo nella presenza e nell'azione dello Spirito San-to, in questo nostro tempo, nei travagli della cultura del nostro tempo?Un nuovo millennio di vita cristiana è sorto, ma quale premessa ab-biamo posto perché la verità di Cristo e il pensiero umano si incontri-no, perché la terra non sfidi il cielo, perché l’amore di Dio non siaelemento accessorio nella costruzione del nuovo mondo?

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Eppure, ci ricorda Giovanni Paolo II, “lo Spirito Santo rende laChiesa amica di ogni autentica ricerca del pensiero umano e stimasinceramente il patrimonio di sapienza elaborato e trasmesso dalle di-verse culture. In esso ha trovato espressione l'inesauribile creativitàdello spirito umano indirizzato dallo Spirito di Dio verso la pienezzadella verità” (Udienza generale, 16 settembre 1998).

A Pentecoste si inaugura la civiltà dell’amore, perché lo Spirito èbenefico ed amico degli uomini, fondatore della nuova antropologiaportata da Cristo.

A Pentecoste scaturisce una nuova sociologia, “la sociologia del so-prannaturale” (vedi L. Sturzo, H. De Lubac, K. Rahner), un nuovoumanesimo permeato dei valori dello Spirito.

Al mondo manca ancora la lezione di fraternità universale dellaPentecoste; alla teologia dominante manca ancora la cultura del so-prannaturale della Pentecoste; ai sistemi politici e sociali manca anco-ra il dinamismo d’amore della Pentecoste!

Amicizia contesa quella con lo Spirito Santo. Amicizia delusa permolti; perduta e non ritrovata per altri; presunta e non vissuta per tan-ti altri ancora.

Quanti cristiani sembrano vivere un’esistenza prepentecostale:

• dove c’è paura non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è indifferenza non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è impotenza non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è disorientamento non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è confusione non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è pigrizia non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è bene personale non c’è cultura della Pentecoste;• dove c’è individualismo non c’è cultura della Pentecoste.

La cultura della Pentecoste è l’antidoto al “male oscuro” del mondo.

La cultura della Pentecoste è una nuova sapienza, un nuovo mododi intrecciare le vicende umane che non esclude Dio, ma lo include,

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che vede Dio nelle pieghe di un’umanità che incarna i paradossievangelici delle Beatitudini.

A Pentecoste, con l’effusione dello Spirito Santo, il mondo intero -non solo il Cenacolo, la Chiesa - diventa il luogo spirituale dell’amoredi Dio.

A Pentecoste comincia la vera vita interiore della storia umana: gliuomini imparano “dal di dentro” che cosa significa vivere, amare, sof-frire, dare la vita per ciò in cui si crede.

A Pentecoste nasce il pre-politico, cioè la premessa, l’orientamento,il senso che ogni atto umano e sociale volto al bene comune deveavere.

Prima di Pentecoste gli apostoli erano smarriti, pensavano di averesmarrito il Cristo, si ritrovavano incapaci di progettare il loro futuro, ri-piegati sul loro passato, tra nostalgia e rimpianti. Con l’avvento delloSpirito, tutto d’improvviso cambia: Pietro e gli altri apostoli si ritrova-no “uomini nuovi ”. Nasce un nuovo “stile di vita”, una nuova cultura:nasce la cultura della Pentecoste.

“Nel nostro tempo, avido di speranza, continuate ad amare e a fareamare lo Spirito Santo. Aiuterete a far sì che prenda forma quella cul-tura della Pentecoste che sola può fecondare la civiltà dell’amore e del-la convivenza tra i popoli” (Udienza privata ai responsabili del Rinno-vamento nello Spirito, nel XXX anniversario della nascita del Movi-mento in Italia,14 marzo 2002).

La cultura della Pentecoste è l’esatto contrario della cultura del re-lativismo.

“Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi de-cenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero”, consta-tava il cardinale J. Ratzinger nella sua omelia del lunedì 18 aprile2005, in occasione della “Missa pro eligendo Romano Pontifice”.

“Ogni giorno si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degliuomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore.” “Il relativismo, cioè

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il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare co-me l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni” (Omelia cita-ta).

Se soffiano venti di dottrine umane ingannevoli e ingannatrici, sof-fia ancor più potente lo Spirito Santo e spazza via ogni avversione aCristo e al Suo Vangelo. Soffia, lo Spirito Santo, e vuole restituire allastoria di ogni terra calpestata dal piede di un credente, la bellezza del-la Chiesa.

“Il relativismo è una sfida aperta, la più grande sfida del nostrotempo”, ebbe a dire Benedetto XVI ai giovani di Roma (6 aprile 2006,Incontro per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù).

Una sfida aperta a Dio e in fondo all’uomo stesso. Sfida aperta algenere umano, che, quasi impazzito, a furia di contemplarsi narcisisti-camente, finisce con il combattere se stesso, il proprio destino di feli-cità nel tentativo di eliminare Dio dalla storia, il divino dal cuore delmondo, dal cuore della famiglia, dal cuore dell’uomo, dal cuore di unbambino, se fosse possibile già dal suo concepimento.

Con la cultura della Pentecoste la Chiesa è resa forte dallo Spiritoper difendere l’uomo dalla sua cultura di morte, così che la scienza siallei con la coscienza e s’ispiri all’etica, perché non tutto ciò che è tec-nicamente possibile è moralmente lecito. La posta in gioco è non sologrande, ma decisiva. Il servizio che la Chiesa offre per la promozioneintegrale dell’uomo è oggi, più che in passato, davvero insostituibile.

Con la cultura della Pentecoste la Chiesa ha un altro parametro perl’uomo, persona e non oggetto di manipolazioni di ogni sorta: questoparametro è il Vangelo, cioè la Verità di Dio per il bene di ogni uomo,e non il “dato relativo”, cioè la mia verità, per il bene mio e di chi siassocia al mio pensiero.

Non ci sarà cultura della Pentecoste se non restituiremo all’uomociò che è costitutivo della sua umanità, se non lo salveremo dalla suapenosa alienazione, da questo stato di “riproduzione meccanica”, ani-male, nella quale l’insipienza collettiva vuole costringerlo.

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Il tempo che viviamo è sempre più pervaso da siccità di valori spi-rituali, un’epoca che sconcerta per l’aridità desertica che contraddistin-gue moltissimi uomini incapaci di indicare risposte di senso ad unagenerazione che sta smarrendo la verità sull’uomo.

Stiamo supinamente accettando che il regno del soggettivismo esa-sperato continui a produrre e a giustificare il moltiplicarsi di violenzae di crudeltà. Sì, perché l’egoismo è scuola di crudeltà!

Cultura della Pentecoste è la risposta a questa idolatria dell’io –“egolatria” – che è aperta opposizione a Dio e al suo sapiente disegnocreatore.

Cultura della Pentecoste, allora, non è appena un sistema di valoriispirati a Cristo, ma è la riproposizione pratica, vitale del pensiero diCristo. Non è un giudizio sulla società, ma un impegno concreto perrinnovarla. Non è “delegare” ad altri la propria coscienza civile, marendersi protagonisti di una nuova testimonianza d’amore.

Così rivive il Vangelo, rinasce la Chiesa, rifioriscono gli amici di Ge-sù!

Riprendere il Vangelo!

È il Vangelo la migliore scuola di laicità possibile per l’umanità,perché nessuno più di Gesù ha insegnato agli uomini l’arte di vivere,partendo dal posto più insignificante della geopolitica del tempo, unastalla di Nazareth, e occupando infine il posto più infame per la politi-ca del tempo, cioè la croce, per dire con i fatti come si ama, come sista dalla parte della gente fino a dare la vita per i propri nemici.

Utopia? Ma allora lasci perdere chi pensa di dirsi cristiano assumen-do una responsabilità sociale o politica. Non esiste altra via. Che ci sivoglia assimilare al “cristianesimo dell’essere lievito” o al “cristianesi-mo dell’essere luce”, non si può sfuggire alla prova del Vangelo.

L’indimenticato Papa Giovanni Paolo II, con ferma lungimiranzasentenziava: “Non c’è soluzione alla questione sociale al di fuori delVangelo” (in “Centesimus Annus ”, 3).

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Con S. Paolo dovremmo fare del Vangelo il nostro vanto, perchéniente di meglio, di buono, di vero, di divino possiamo trovare in nes-suna altra scienza umana, teologica, sociologica, filosofica più delVangelo di Gesù.

Urge tornare al Vangelo. Senza mezze misure, senza accomoda-menti di senso e di prassi, senza vergogna di dirsi cristiani. Il Vangeloè passione, è sacrificio, è coerenza tra la fede che si professa e la vitache si conduce.

Il cristianesimo è una via da percorrere, una verità da annunciare,una vita da vivere. È tutto qui il contenuto pratico della nostra laicità,del nostro essere laici in questo mondo. La cifra la misura della nostralaicità è Cristo. Chi sta dalla parte di Cristo non soccombe, resiste aisecoli.

Urge un rinnovamento. Una seria, profonda stagione di rinnova-mento che abbia un segno distintivo di svolta, un’espressione autenti-ca di fede in un gesto alla portata di tutti: riprendere il Vangelo tra lemani. Rimetterlo nel cuore, nella testa, nella volontà. Quanto più sivorrebbe una vita ispirata al Vangelo di Gesù, una cultura, una so-cietà, una politica ispirata al Vangelo, tanto più è urgente riprendere ilVangelo tra le mani.

Epilogo

Vorrei concludere con un’immagine, come ci viene raccontata dal-l’evangelista Giovanni: Gesù che incontra Nicodemo (in Gv 3,1-21). Èl’umiltà della natura umana (Nicodemo) che incontra la potenza dellanatura divina (Gesù). Nicodemo, un anziano rabbino, incontra Gesù,un giovane rabbino, convinto che dietro quella potente parola accre-ditata da segni e miracoli si nasconda qualcosa di più di un semplicemaestro. “Cosa devo fare?”, chiederà Nicodemo a Gesù. Nicodemo èdeciso a mandare in crisi le sue certezze. Invoca una nuova vita. EGesù non lo delude. “Fai la verità e così rinascerai.. Perché ciò che ènato dalla carne è carne, ma ciò che è nato dallo Spirito è Spirito.Opera la verità e verrai alla luce, perché appaia chiaramente che letue opere sono state fatte in Dio”.

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Il miracolo di una vita nuova, di una cultura nuova, di una famiglianuova, di un Paese nuovo non risiede nelle nostre forze umane, manella forza dello Spirito Santo, perché appaia chiaramente che è operasua, proprio attraverso le nostre debolezze e infermità.

Voglia lo Spirito Santo sostenere ancor più il cammino di questaChiesa Arcidiocesana di Pescara – Penne. Rendere ancor più attrattivala comunione tra tutti e ciascuno dei Suoi membri intorno al Pastoreche la guida. Farne un dono contagioso di gioia e di speranza perogni uomo.

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Omelia del Cardinale Jean Louis Taurandurante la commemorazione del XXX Anniversario

della Morte di Monsignor Gravelli

Città S. Angelo11 dicembre 2011

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