appunti diritto del lavoro

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APPUNTI DIRITTO DEL LAVORO Prof. Berretta 24/11/2006 Il diritto del lavoro disciplina i rapporti contrattuali, il cui oggetto è costituito da una prestazione finalizzata alla percezione di un corrispettivo. Si tratta di una disciplina nettamente diversa rispetto al diritto privato: infatti, se tutti gli altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda l’essere per il lavoratore. Tuttavia, non sempre questa diversità è stata percepita; si pensi, ad es. , alla distinzione, nella tradizione romanistica, tra locatio operis e locatio operarum. Una prima regolamentazione giuridica dei rapporti individuali di lavoro la si riscontra nel codice civile del 1865, in cui il contratto di lavoro viene ricondotto allo schema della locazione di opere. Vi era sancito: una identità formale della posizione giuridica delle due parti; il divieto di rapporti a tempo indeterminato. La ratio di questa regola stava nel tentativo di evitare forme di schiavitù. Nel codice civile del 1942, è già possibile notare alcune diversità del diritto del lavoro rispetto al diritto comune dei contratti: l’art 2126 regola gli effetti che derivano dall’accertamento della nullità del contratto di lavoro. Si tratta di una evidente eccezione al principio secondo cui un contratto nullo non produce effetti. Altra peculiarità è rappresentata dalla corrispettività attenuata (art. 2110 c.c.): vi sono casi in cui, nei contratti sinallagmatici, il contratto perdura nonostante il venir meno della prestazione del lavoratore (malattia, infortunio, gravidanza ecc.) – casi in cui il lavoratore non può o non è in grado di lavorare. Con la riforma del 1973 viene, inoltre, introdotto il principio dell’autonomia negoziale limitata: il lavoratore è considerato un contraente “parzialmente incapace”, presumendo che si trovi in una posizione di metus. 1

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Page 1: Appunti Diritto Del Lavoro

APPUNTI DIRITTO DEL LAVORO Prof. Berretta

24/11/2006

Il diritto del lavoro disciplina i rapporti contrattuali, il cui oggetto è costituito da una

prestazione finalizzata alla percezione di un corrispettivo.

Si tratta di una disciplina nettamente diversa rispetto al diritto privato: infatti, se tutti gli

altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda l’essere per il

lavoratore.

Tuttavia, non sempre questa diversità è stata percepita; si pensi, ad es. , alla distinzione,

nella tradizione romanistica, tra locatio operis e locatio operarum.

Una prima regolamentazione giuridica dei rapporti individuali di lavoro la si riscontra nel

codice civile del 1865, in cui il contratto di lavoro viene ricondotto allo schema della

locazione di opere.

Vi era sancito:

• una identità formale della posizione giuridica delle due parti;

• il divieto di rapporti a tempo indeterminato.

La ratio di questa regola stava nel tentativo di evitare forme di schiavitù.

Nel codice civile del 1942, è già possibile notare alcune diversità del diritto del lavoro

rispetto al diritto comune dei contratti: l’art 2126 regola gli effetti che derivano

dall’accertamento della nullità del contratto di lavoro.

Si tratta di una evidente eccezione al principio secondo cui un contratto nullo non produce

effetti.

Altra peculiarità è rappresentata dalla corrispettività attenuata (art. 2110 c.c.): vi sono casi

in cui, nei contratti sinallagmatici, il contratto perdura nonostante il venir meno della

prestazione del lavoratore (malattia, infortunio, gravidanza ecc.) – casi in cui il lavoratore

non può o non è in grado di lavorare.

Con la riforma del 1973 viene, inoltre, introdotto il principio dell’autonomia negoziale

limitata: il lavoratore è considerato un contraente “parzialmente incapace”, presumendo

che si trovi in una posizione di metus.

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Page 2: Appunti Diritto Del Lavoro

Il lavoratore è, infine, limitato nella sua disposizione dei diritti: si tratta di un principio

generale posto a tutela del lavoratore, il quale non potrà stipulare transazioni, né compiere

atti abdicativi di rinuncia, se non dietro il supporto dei sindacati o dei funzionari pubblici

a ciò preposti.

Gli elementi di specialità rispetto al diritto comune dei contratti si sono intensificati nella

legislazione speciale successiva, contribuendo ad una maggiore complessità della

disciplina del diritto del lavoro.

L’autonomia del diritto del lavoro rispetto al diritto privato è sancita dalla Costituzione

del 1948, decisivo spartiacque rispetto alle ideologie del codice civile.

L’art. 1 Cost. stabilisce, innanzitutto, che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro;

Art. 4 - sancisce il riconoscimento del diritto al lavoro, anche se in via programmatica;

Art. 35 - riconosce la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni;

Art. 36 - Diritto ad una retribuzione proporzionata al lavoro e sufficiente a garantire una

esistenza libera e dignitosa;

Art. 37 - Uguaglianza tra donne e uomini che lavorano.

La nostra Costituzione è stata definita laburista per l’ampia espressione e tutela del diritto

al lavoro, anche nei suoi aspetti collettivi (artt. 39 – 40: libertà sindacale e diritto di

sciopero).

Non basta, tuttavia, enunciare i diritti, ma occorre anche garantirne l’effettività, tenuto

conto del concreto contesto economico e sociale dove si suppone che debbano operare.

Pertanto una disposizione fondamentale del nostro ordinamento è il 2° comma dell’art. 3

Cost. Tale principio impone alla Repubblica di intervenire nei rapporti sociali e di lavoro:

proprio perché il costituente era cosciente che, nei fatti, i cittadini NON sono ancora

pienamente uguali (comma 1), ha sentito il bisogno di programmare la rimozione degli

ostacoli che si frappongono alla effettiva uguaglianza (comma 2).

Il disegno di emancipazione e trasformazione prospettato dalla Costituzione si realizza

attraverso una ridefinizione di DUE tipi di rapporti giuridici:

• I rapporti verticali tra cittadini e Stato

• Ma anche i rapporti orizzontali tra cittadini.

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Page 3: Appunti Diritto Del Lavoro

Si parla, a tal proposito, di costituzionalizzazione del diritto del lavoro.

Il diritto del lavoro è un diritto diseguale perché disciplina un rapporto che per sua stessa

natura è diseguale.

La Costituzione parla di un lavoro identificato sostanzialmente con il lavoro subordinato,

secondo un preciso modello empirico: “l’operaio-massa” dell’industria taylorista.

Il lavoro subordinato rappresentava, pertanto, la fattispecie sociale prevalente.

Oggi questa visione è stata nettamente superata, in seguito al passaggio ad una fase post-

industriale: è cambiata l’organizzazione del lavoro, mentre l’economia globale non è più

incentrata sull’industria ma sul terziario; le industrie seguono, oggi, un processo di

esternalizzazione, mantenendo solo una parte del ciclo produttivo all’interno; vi è inoltre

la tendenza a localizzare le attività produttive all’estero; infine una forte crescita della

disoccupazione.

Questi mutamenti hanno portato ad una denazionalizzazione delle politiche del lavoro,

mettendo in crisi i 4 pilastri del diritto del lavoro in Italia:

1. lo Stato – nazione;

2. la grande fabbrica;

3. la piena occupazione;

4. la rappresentanza generale del lavoratore tramite il sindacato.

La denazionalizzazione delle politiche del lavoro è stata anche influenzata dal diritto del

lavoro comunitario, dalla nuova politica occupazionale comunitaria nel trattato di

Amsterdam e dall’unione monetaria con le sue conseguenze.

Le funzioni tradizionali del diritto del lavoro sono:

• Correzione delle distorsioni di un mercato del lavoro dove l’offerta (dei lavoratori)

è più debole della domanda (degli imprenditori): l’intervento della norma

inderogabile deve essere finalizzata a riequilibrare il potere contrattuale;

• Garanzia dell’interesse delle imprese a limitare la concorrenza “sleale” al ribasso.

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Page 4: Appunti Diritto Del Lavoro

L’ordinamento giuridico del lavoro in Italia è stato costruito sul presupposto che i rapporti

tra datori e prestatori di lavoro siano presidiati da regole vincolanti, dettate dal legislatore

o convenute in sede di contrattazione collettiva.

Un’impostazione precettiva e prescrittiva che, nella normalità dei casi, produce norme

inderogabili, cioè tali da escludere la libera pattuizione individuale e comunque tali da

non lasciare alcuna flessibilità alle parti, se non in senso migliorativo per il lavoratore.

Spesso si tratta di precetti eccessivamente rigidi, sovente inattuabili, tali da favorire

l’evasione e gli aggiramenti, fomentando comunque il contenzioso

Sul piano della ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del lavoro si potrebbe

peraltro rinunciare definitivamente ad una definizione generale e astratta di lavoro

subordinato, indicando invece, di volta in volta, il campo di applicazione di ogni

intervento normativo.

Non è indubbio che il progresso tecnologico, così come i mutamenti nelle condizioni di

mercato, abbiano modificato profondamente l’ambiente nel quale le imprese si trovano ad

operare. Si è così determinata una crescente necessità di reagire con maggiore flessibilità ai

cambiamenti sul fronte dell’ offerta e della domanda. Al fine di trarre pieno vantaggio da

questo potenziale evolutivo, appare evidente la necessità di adattare il presente quadro

regolatorio, a queste nuove circostanze. L’attuale quadro riflette, infatti, un’organizzazione

del lavoro oggi completamente superata.

Il lavoro subordinato implica l’applicazione di tutti gli effetti tipici della subordinazione

(tassatività) e in modo inderogabile, anche contro la volontà del singolo lavoratore

(inderogabilità). – es. il pagamento dei contributi è un effetto tassativo e inderogabile

della subordinazione –

In tale assetto normativo, il rischio è però quello di attribuire tutela a soggetti che non ne

avrebbero bisogno, rispetto ad altri lavoratori autonomi che, invece, potrebbero averne

bisogno.

L’art. 2094 c.c. ci da una qualificazione in termini giuridici del lavoro subordinato:

“E’ lavoratore subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa,

prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione

dell’imprenditore”.

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Page 5: Appunti Diritto Del Lavoro

La causa del contratto è rappresentata dalla prestazione dell’attività lavorativa dietro

retribuzione.

La formulazione, alquanto generica, è stata oggetto di numerosi tentativi interpretativi, al

fine di ridimensionare il campo di applicazione.

Un primo tentativo, compiuto dalla dottrina, rinvia alla tradizione romanistica in crisi che

distingueva tra locatio operarum (obbligazione di mezzi) e locatio operis (obbligazione di

risultato): il dato essenziale della distinzione è rappresentato, qui, dalla diversa

ripartizione dei rischi – nel primo caso incombeva sul datore di lavoro; nel secondo sul

lavoratore.

Molteplici sono state le critiche a questa impostazione: innanzitutto si è rilevato che

identico può essere, nelle due tipologie, l’oggetto della prestazione; inoltre anche nella

locatio operarum il risultato non è affatto indifferente, ma è rilevante; infine la ripartizione

dei rischi non è un elemento costitutivo della fattispecie, ma è la sua conseguenza.

Un secondo tentativo di ridimensionamento della nozione di subordinazione è stato

rinvenuto valorizzazione dell’elemento della eterodeterminazione: si può considerare

lavoratore subordinato qualunque debitore di opere tenuto ad obbedire alle disposizioni

da un soggetto che per legge, e per contratto, è autorizzato ad esercitare il potere di

determinare luogo e tempo dell'adempimento, controllandone altresì l'esecuzione.

Tuttavia anche questa nozione tecnico-funzionale non è esente da contestazioni, in virtù

del fatto che i lavoratori , pur essendo subordinati, non sono soggetti altrui potere e

determinazione.

Un’ altra impostazione fa riferimento alla nozione socio-economica di subordinazione, in

cui l’elemento fondamentale è rappresentato dall’alienità dei mezzi di produzione, che nel

lavoro subordinato sono sempre nella disponibilità del datore di lavoro: la disciplina

protettiva del diritto del lavoro si dovrebbe applicare, pertanto, a tutti i soggetti

socialmente ed economicamente deboli.

In realtà, si tratta di una impostazione ideologica difficilmente applicabile al caso concreto:

infatti è pacifico che non sempre chi dispone dei mezzi di produzione non si trovi in una

posizione di debolezza.

In concreto si è contrapposto un approccio “pragmatico” della giurisprudenza, secondo il

metodo tipologico, basato sugli indici di subordinazione: sottoposizione alle direttive

tecniche, al potere di controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore.

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Page 6: Appunti Diritto Del Lavoro

Secondo alcune sentenze l’elemento decisivo è la contestualità del controllo rispetto allo

svolgimento della prestazione.

Altri indici giurisprudenziali sono:

•Il vincolo di orario;

• Le modalità della retribuzione;

• L’imputazione del rischio della prestazione;

•La concessione di periodi di riposo, senza incidenza nel trattamento retributivo;

•L’esclusività della dipendenza da un solo datore di lavoro.

Fondamentale nell’ambito della qualificazione del rapporto di lavoro risulta, comunque, la

volontà delle parti; secondo, infatti, una recente sentenza della Cassazione, nella

qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, anche a fronte di una

manifestazione di volontà delle parti nel senso dell'autonomia, deve tenersi conto

prevalentemente delle concrete modalità di svolgimento, le quali possono anche

evidenziare che il rapporto lavorativo si è invece realizzato nelle forme proprie della

subordinazione.

Un esempio di dissidio giurisprudenziale è rappresentato dal caso dei pony express per il

riconoscimento della subordinazione: il Tribunale di Milano stabilì che non ha natura

subordinata, mancando l'essenziale requisito della continuità, la prestazione lavorativa

resa, con l'impiego di mezzi propri, da motociclisti addetti al ritiro ed al recapito di

plichi (c.d. <pony express>), che non sono tenuti a presentarsi ogni giorno al lavoro e

possono anche rifiutare le singole prestazioni loro richieste.

Dunque, elemento decisivo per la qualificazione fu considerato il POTERE DI

CONTROLLO; pertanto i pony express furono considerati lavoratori autonomi.

A partire dagli anni ’90, si registra una crisi strutturale della subordinazione sia sul fronte

interno – in seguito alla frammentazione del lavoro subordinato in lavori atipici – sia sul

fronte esterno – con la crescente diffusione dei lavori non subordinati - .

Dilagante è, inoltre, l’emergere di una terza strada intermedia tra subordinazione e

autonomia, cioè la parasubordinazione (es. consulenti aziendali, amministratori di società,

revisori contabili, agenti di commercio, informatori farmaceutici, giornalisti free lance).

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Page 7: Appunti Diritto Del Lavoro

I lavoratori parasubordinati non sempre si caratterizzano per l’esercizio di “nuove”

professioni: si tratta invece di professioni per la maggior parte consolidate, che vengono

però esercitate sotto una nuova veste contrattuale.

Dal punto di vista giuridico, sono rapporti di collaborazione che si concretano in una

prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a

carattere subordinato.

Caratteristiche fondamentali sono:

• CONTINUATIVITA’: si deve trattare di prestazione di opera di durata;

• COORDINAZIONE: deve sussistere una inerenza funzionale alla attività del

committente;

• NATURA PREVALENTEMENTE PERSONALE DELL’OPERA: Elemento

generalmente considerato decisivo ai fini della qualificazione.

Per quanto riguarda gli effetti della parasubordinazione, si individuano, nell’ambito dei

lavoratori autonomi, alcune tipologie che si presumono caratterizzate da una situazione di

debolezza socio-economica simile a quella dei lavoratori subordinati tale da giustificare

una parziale estensione delle tutele.

La norma che definisce la parasubordinazione è inserita nel codice di procedura civile,

perché viene estesa, in primo luogo, la tutela processuale.

Una tappa del consolidamento del lavoro parasubordinato è rappresentato

dall’assoggettamento ai contributi INPS delle prestazioni continuative e coordinate e

dall’estensione delle tutele previdenziali su base strettamente contributiva.

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Page 8: Appunti Diritto Del Lavoro

01/12/2006

Fino a pochi anni fa, per fattispecie “standard” di lavoro subordinato si intendeva un

rapporto di lavoro costituito a tempo indeterminato, avente ad oggetto una prestazione di

lavoro svolta a tempo pieno ed instaurato a seguito di una attività di mediazione tra

domanda e offerta di lavoro, sottoposta a una serie di vincoli di natura pubblicistica.

Questi erano i 3 cardini della tradizione giuslavoristica italiana.

Nel 1949 si stabilì che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro dovesse avvenire tramite

collocamento pubblico, nel rispetto di vincoli determinati.

Infatti, con la l. 264/1949 venne introdotto un sistema fondato esclusivamente sul

collocamento pubblico: il datore di lavoro, che avesse avuto bisogno di lavoratori,

avrebbe dovuto presentarsi presso il collocamento; qui venivano redatte le “liste di

collocamento” in cui vi erano iscritti i vari lavoratori.

Si trattava di un sistema assai rigido che vietava l’assunzione diretta da parte del datore di

lavoro.

Un primo cambiamento si registrò con la l. 223/1991, con la quale si ribadiva l’obbligo di

assunzione mediante collocamento e il divieto di assunzione diretta, ma si ammetteva, al

contempo, la richiesta nominativa e non più numerica: il datore di lavoro, infatti, avrebbe

potuto scegliere il lavoratore da assumere, senza rispettare l’ordine numerico stabilito

dalle liste.

Nel 1996 (l. 608) si supera anche l’obbligo del preventivo passaggio dal collocamento: si

ammette cioè una prima generalizzazione dell’assunzione diretta, con obbligo di

comunicazione successiva.

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Page 9: Appunti Diritto Del Lavoro

Tre furono gli eventi che prepararono alla riforma successiva:

1. pressioni per un federalismo a Costituzione invariata che assicurasse maggiore

autonomia;

2. condanna del monopolio pubblico ad opera della Corte di Giustizia europea;

3. giudizio favorevole nei confronti delle agenzie private di mediazione.

Con il d.lgs 469/1997 (c.d. leggi Bassanini), si cercò di dare una risposta alle esigenze

sempre più pressanti: il collocamento assunse la funzione di servizio pubblico, passando

da una condizione statica ad una dinamica.

I centri per l’impiego (nuova cellula del collocamento), infatti, non registrano più solo le

domande-offerte di lavoro, ma svolgono anche un ruolo attivo: operavano colloqui,

proponevano iniziative di inserimento lavorativo e organizzavano la formazione e la

riqualificazione dei lavoratori.

In particolare le funzioni attribuite a questi nuovi centri riguardano:

1. competenze in materia di stato di disoccupazione;

2. misure di politica attiva in favore del lavoratore disoccupato (es. colloqui , proposte

di inserimento lavorativo ecc).

I Centri per l’Impiego iniziano a strutturarsi sempre più sul territorio anche se permane

una frattura geografica tra centro-nord e sud del Paese che indebolisce in parte l’efficacia

complessiva dell’azione dei nuovi soggetti di intermediazione della domanda e offerta sul

mercato del lavoro, dal momento che proprio al sud, dove il problema occupazionale si

pone con maggiore urgenza e intensità, il livello di adeguamento dei centri risulta ancora

basso.

Un altro importante cambiamento riguardò l’apertura del sistema all'attività dei soggetti

privati, sulla base di specifiche modalità autorizzative e di accreditamento.

In passato ai privati veniva riconosciuta, infatti, solo la limitata facoltà di svolgere delle

attività di ricerca e selezione del lavoro.

Le leggi hanno, inoltre, compiuto una importante “regionalizzazione” delle competenze

del collocamento: infatti la Provincia viene individuata come livello operativo prioritario

rispetto alle funzioni e ai compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro.

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Page 10: Appunti Diritto Del Lavoro

Nel 2002 sono state abolite le liste di collocamento e il libretto di lavoro ed imposta la

contestualità dell’obbligo di comunicazione delle assunzioni.

L’ultima novità in materia di servizi pubblici per l’impiego è rappresentata dalla c.d.

riforma Biagi (d.lgs 276/2003), che introduce il c.d. sistema misto e la borsa-lavoro: si

tratta di un sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro, alimentato da tutte le

informazioni utili a tale scopo, immesse liberamente nel sistema stesso sia dagli operatori

pubblici e privati, sia direttamente dai lavoratori e dalle imprese; e' liberamente accessibile

da parte dei lavoratori e delle imprese e deve essere consultabile da un qualunque punto

della rete.

Il mercato del lavoro si apre totalmente ai privati: private sono, infatti, le agenzie di lavoro

interinale, che possono compire:

1. attività di somministrazione;

2. attività di intermediazione;

3. attività di ricerca e selezione del personale;

4. attività di supporto alla ricollocazione professionale.

I soggetti legittimati allo svolgimento di queste attività devono essere iscritti in un

apposito albo presente al Ministero del Lavoro; tali attività possono, inoltre, essere

esercitate dalle università, dai Comuni, dalle Camere di Commercio ecc.

Nel caso in cui queste attività fossero esercitate abusivamente o mediante lo sfruttamento

dei minori, sono previste sanzioni penali (arresto fino ai 6 mesi), con aggravanti (fino a 18

mesi); se l’attività svolta è priva di scopo di lucro, le sanzioni sono pecuniarie.

Il Decreto ha, inoltre, introdotto lo statuto dei disoccupati, assicurando il diritto del

lavoratore alla determinazione dell’ambito di diffusione dei propri dati; il divieto di

indagini sulle opinioni e di trattamenti discriminatori e, infine, il divieto di oneri in capo ai

lavoratori.

Nel caso della utilizzazione diretta, la prestazione lavorativa non viene impiegata

direttamente dal datore di lavoro, ma da altre imprese che tendono così ad esternalizzarsi,

utilizzando la manodopera senza assumere, però, i lavoratori.

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Page 11: Appunti Diritto Del Lavoro

I soggetti saranno dipendenti dell’agenzia, ma lavoreranno all’interno dell’impresa che ha

richiesto la manodopera: si crea così una scissione tra funzionalità formale e funzionalità

sostanziale.

Un caso esemplare delle contraddizioni che la legge portava con sé in seguito a tale

scissione si verificò in Sicilia, nella base militare di Sigonella: qui veniva gestita una mensa,

in cui le materie prime e le attrezzature provenivano dall’America, poichè l’esercito

americano non poteva ricevere nulla che provenisse dall’esterno, mentre la manodopera

veniva fornita dall’appaltatore ( italiano ). I giudici del lavoro, chiamati a risolvere la

contraddizione, stabilirono che il lavoratori dovevano essere considerati alle dipendenti

americani.

In passato l’utilizzazione di prestazioni lavorative di fatto era considerata illecita (l.

1369/1960): era vietato all’imprenditore affidare a terzi la mera esecuzione di prestazioni

di lavoro.

In realtà dal principio di necessaria coincidenza tra titolarità formale e titolarità sostanziale

del rapporto di lavoro derivava che:

• Per chi utilizza la prestazione : l’impossibilità di utilizzare lavoratori senza un

adeguato titolo giuridico;

• Per chi assume i lavoratori : l’impossibilità di indirizzare stabilmente la prestazione

di propri dipendenti a favore di terzi.

Si creò così un rapporto trilaterale – imprenditore, intermediario, lavoratori:

1. Datore di lavoro che necessita di prestazioni – soggetto interposto: rapporto di

interposizione (illecito);

2. Soggetto interposto – lavoratori: titolarità formale del rapporto di lavoro;

3. Datore di lavoro che necessita di prestazioni – lavoratori: effettiva utilizzazione

delle prestazioni.

La ratio del divieto stava nel tentativo di evitare fenomeni di elusione fraudolenta delle

normative di tutela: l’esternalizzazione, infatti, veniva concepita come uno strumento di

sostituzione di lavoratori dipendenti con altri lavoratori e di ridimensionamento degli

organici ai fini di sottrarsi alle normative.

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Page 12: Appunti Diritto Del Lavoro

Inoltre, poteva avere l’effetto di ridurre le garanzie dei dipendenti del terzo

somministratore, normalmente meno solido dell’impresa che esternalizza.

La conseguenza della violazione del divieto fu la ricomposizione della scissione tra

titolarità sostanziale e formale del rapporto di lavoro: il datore di lavoro che necessita di

prestazioni detiene la titolarità formale del rapporto e sfrutta effettivamente la

prestazione dei lavoratori.

Già nell’ottica della legge del 1960 c’erano casi in cui la somministrazione di manodopera

svolgeva una funzione economicamente apprezzabile; pertanto, poteva non essere

socialmente pericolosa.

Moltiplicandosi poi questi casi, è comprensibile che anche giudici e ispettori del lavoro si

siano fatti carico dell’esigenza di temperare gli effetti del divieto.

A ciò si accompagnò anche un regime di divieto “formalmente” assoluto, ma temperato da

una «chiusura d’occhio selettiva» da parte di giudici e ispettori del lavoro.

Questo assetto normativo subisce un primo scossone con la legge Treu (l. 196/1997), con

la quale si determina un primo parziale superamento in via legislativa del divieto di

interposizione: si consente, infatti, anche nel nostro ordinamento giuridico l’utilizzo di

lavoratori dipendenti da agenzie di lavoro interinale.

La ratio di tale modifica stava nel tentativo di rafforzare la posizione dell’intermediario,

che si trasforma in una vera e propria agenzia, e di diminuire i rischi per i lavoratori,

aumentando le garanzie a loro favore.

Le rigidità nell’utilizzo della forza-lavoro introdotte dalla legge n. 1369/1960, non

trovavano, infatti, pari nella legislazione degli altri Paesi.

Pratiche di outsourcing, ampiamente diffuse in altri contesti (ad esempio negli Stati Uniti e

in Gran Bretagna), sono in Italia tuttora vietate.

Il riferimento è, in particolare, all’istituto del c.d. leasing di manodopera: una tecnica

innovativa di gestione del personale imperniata su rapporti con agenzie specializzate nella

fornitura a carattere continuativo e a tempo indeterminato (e non a termine, come nel lavoro

interinale) di parte della forza-lavoro di cui l’azienda ha bisogno.

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Page 13: Appunti Diritto Del Lavoro

La particolarità introdotta dalla legge Biagi è lo staff leasing, con il quale si prendono in

affitto per un tempo indeterminato i lavoratori e l’eliminazione del principio della

temporaneità connaturato al lavoro interinale.

La fattispecie si realizza tramite due contratti collegati: un contratto di somministrazione

concluso fra l’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice ed un contratto di

lavoro subordinato concluso fra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore.

Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto,

denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, denominato somministratore, a

ciò autorizzato.

Si distingue, inoltre, tra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato,

quest’ultima, però, è ammessa soltanto in alcune ipotesi tassativamente indicate dalla

legge (es. marketing, pulizia, trasporti, call center, ecc.).

Per il contratto di somministrazione è richiesta la forma scritta ad substantiam: la violazione

di tale obbligo determina la nullità del contratto e l'instaurazione di un rapporto di lavoro

subordinato alle dipendenze dell'utilizzatore.

E’ comunque molto difficile per il lavoratore venire a conoscenza della mancata

pattuizione in forma scritta del contratto di somministrazione, al quale lui è estraneo.

Per quanto riguarda l’inserimento dei lavoratori somministrati nell’impresa,

l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo

determinato è affidata ai contratti collettivi stipulati da sindacati più rappresentativi;

nessun limite, invece, per quanto riguarda la somministrazione a tempo indeterminato.

Il contratto di somministrazione di lavoro è vietato:

a) per la sostituzione di lavoratori in sciopero;

b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si

sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato

lavoratori adibiti alle stesse mansioni, ovvero nelle quali sia operante una sospensione dei

rapporti o una riduzione dell'orario;

c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

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Page 14: Appunti Diritto Del Lavoro

Il contratto di lavoro subordinato, concluso tra l’agenzia di lavoro e il lavoratore, può

essere:

• A tempo determinato: il termine, inizialmente posto al contratto di lavoro, può in

ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto;

• A tempo indeterminato: i rapporti di lavoro sono soggetti alla disciplina generale

dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali.

In caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato è nulla ogni clausola diretta a

limitare, la facoltà dell'utilizzatore di assumere il lavoratore; la disposizione non trova

applicazione nel caso in cui al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo

quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore.

I lavoratori somministrati hanno diritto a un trattamento economico e normativo uguale a

quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte

(l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore).

La disposizione non trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione

conclusi da soggetti autorizzati, nell'ambito di specifici programmi di formazione,

inserimento e riqualificazione professionale erogati a favore dei lavoratori svantaggiati:

l’idea è quella di accrescere l’occupazione di categorie deboli attraverso una deviazione

dal principio di uguaglianza.

Nel caso in cui la somministrazione avvenga fuori dai casi e dai limiti previsti dalla legge,

il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze

dell’utilizzatore.

Quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere

norme inderogabili, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20

euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione.

Un altro modo, attraverso il quale l’imprenditore usa manodopera senza instaurare un

rapporto di lavoro subordinato, è l’appalto (art. 1655 c.c. L’appalto è il contratto con il

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Page 15: Appunti Diritto Del Lavoro

quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio

rischio, il compimento di un’opera o di un servizio).

L’esternalizzazione non si traduce in una mera fornitura di manodopera quando

l’appaltatore è un vero imprenditore, che si obbliga a realizzare un servizio.

L’appalto di servizi è, invece, un’attività che può svolgersi anche senza un’azienda, intesa

come insieme di beni idonei all’esercizio di un’impresa.

Poiché appalto di servizi e staff leasing sono apparsi come due fattispecie tra loro in

concorrenza, la giurisprudenza, cercando di sanare questo conflitto, ha individuato quale

elemento distintivo tra appalto di servizi e fornitura di manodopera l’esercizio del potere

direttivo.

Così anche la riforma Biagi ha ribadito che il contratto di appalto si distingue dalla

somministrazione di lavoro per l’esercizio di un potere direttivo.

Ed è, appunto, questa, la maggiore critica mossa alla legge: incongruenza tra definizione

codicistica e definizione lavorista.

Una legge, questa, che punta sulla flessibilità del mercato del lavoro, in controtendenza

rispetto alle scelte compiute nella stessa materia dall’Europa.

02/12/2006

IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Mentre il contratto a termine – a tempo pieno o parziale – è caratterizzato dall’atipicità

temporale del contratto di lavoro; invece il contratto a tempo parziale è caratterizzato

dall’atipicità temporale della prestazione di lavoro.

Nel codice del 1865 si intendeva tutelare il lavoratore vietando le assunzioni a tempo

indeterminato: le uniche assunzioni lecite erano quelle a termine.

Nel codice del 1942 la regola diventa l’indeterminatezza del contratto di lavoro, reputando

il contratto di lavoro a tempo indeterminato e mostrando forme di ostilità nei confronti del

lavoro a tempo determinato.

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Page 16: Appunti Diritto Del Lavoro

In realtà, con il passare del tempo mutò questo atteggiamento di netto disfavore verso la

liberalizzazione (1987 – 1997 – 2001).

Nel 1962, la legge 230 rappresentò un esempio paradigmatico di una stagione particolare

del diritto del lavoro: il contratto a tempo determinato poteva essere stipulato solo in

presenza di precise ragioni giustificative tipizzate, utilizzando, quindi, tutte le tecniche che

di norma rivelano l’intenzione di considerare la fattispecie come un’eccezione rispetto lo

standard (tassatività delle ipotesi, forma scritta, parità di trattamento, interpretazioni

giurisprudenziali restrittive ecc.).

Il contratto a tempo determinato era così ammesso nelle ipotesi in cui era richiesto dalla

natura dell’attività, derivante dal carattere stagionale ( es. bagnini) ovvero per la

sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto.

Nel 1987 si deciderà di coinvolgere i sindacati, i quali, mediante i contratti collettivi,

avrebbero individuato di volta in volta termini e modalità per una utilizzazione flessibile

della manodopera.

Con il d.lgs. 368/2001 si attua la liberalizzazione nell’uso del contratto a termine, con la

possibilità di far fronte a ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o

sostitutivo.

La riforma del 2001 nasce da una direttiva CE del 1998 che prevedeva un principio di non

discriminazione e una prevenzione degli abusi derivante dall’impiego successivo di più

contratti a termine; il decreto rappresenta, dunque, la sua attuazione nell’ordinamento

interno: si tratta del primo atto di una “modernizzazione” del mercato del lavoro italiano.

I divieti d’uso di questa tipologia contrattuale sono, d’altronde, molto simili a quelli

imposti al contratto di subordinazione.

Le clausole di contingentamento sono degli strumenti con i quali si affida ai contratti

collettivi l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a tempo

determinato; in seguito alla riforma del 2001, però, si assiste ad un vero e proprio

“svuotamento” di queste clausole, in quanto moltissime tipologie di contratto a termine

sono state esentate da queste limitazioni.

IL COMPUTO DEI DIPENDENTI

Tradizionalmente normativa e giurisprudenza consideravano i lavoratori a termine come

computabili; il d.lgs. 368/2001 prevede, invece, che debbano considerarsi dipendenti

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Page 17: Appunti Diritto Del Lavoro

dell’impresa soltanto i lavoratori a termine, il cui contratto abbia una durata superiore a 9

mesi.

Ai lavoratori a termine vengono, comunque, riconosciuti il diritto alla parità di

trattamento; i diritti di precedenza in caso di nuove assunzioni; il diritto ad essere formati.

Un problema particolare posto dalla giurisprudenza è quello che si debba considerare

licenziamento la scadenza di un termine posto illecitamente: si ritiene generalmente che

non possa trovare applicazione la disciplina del licenziamento.

Per quanto riguarda, invece, la disciplina del recesso ante tempus, questa è ammessa nella

misura in cui sia presente una giusta causa ed un rimedio risarcitorio correlato al periodo

che è stato precluso al lavoratore.

Il fine essenziale della direttiva è quello di prevenire gli abusi derivanti dalla successione

di contratti a termine.

Nel nostro ordinamento, lo scopo della direttiva è stato recepito e tradotto seguendo tre

fasi precise: continuazione; proroga; riassunzione.

CONTINUAZIONE

1. Nel caso in cui il rapporto di lavoro continua “di fatto” è previsto un periodo di

tolleranza e il datore di lavoro è tenuto a corrispondere una maggiorazione per

ogni giorno di continuazione pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40%

per ciascun giorno ulteriore;

2. se il rapporto di lavoro si protrae oltre il periodo di tolleranza, si determina la

conversione ex nunc (contratto a tempo indeterminato “da ora”);

La proroga è ammissibile per una sola volta, se la durata del contratto è inferiore ai 3 anni:

in questi casi la proroga è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività

lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato.

La proroga non è in mai ammessa quando la durata del contratto sia superiore ai 3 anni.

RIASSUNZIONE SUCCESSIVA

Nell’ambito di questo settore, il legislatore ha previsto dei termini superati i quali ritiene

che si voglia intenzionalmente frodare la legge: quindi se la riassunzione avviene entro 10

giorni dalla data di scadenza di un contratto fino a 6 mesi – se di durata superiore entro 20

gg – il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

Se si tratta di due assunzioni successive a termine, ilo rapporto di lavoro si considera a

tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

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Page 18: Appunti Diritto Del Lavoro

La situazione attuale contempla una liberalizzazione quasi totale attuata con la tecnica

della clausola generale; in definita rinnovabilità del rapporto con il rispetto degli intervalli

minimi; nessun limite di durata massima.

Il contratto a termine può essere utilizzato anche dal datore di lavoro pubblico; la diversità

rispetto al privato sta nel fatto che anche quando vi sia uso dello strumento contrattuale

contrario rispetto alla legge, la violazione non si risolve in una conversione del rapporto in

contratto indeterminato (ferma restando ogni responsabilità e sanzione), poiché nella

Pubblica Amministrazione si accede mediante concorso che non può essere aggirato.

Si è, quindi, posta una questione di costituzionalità rispetto all’art. 3 Cost.: la norma,

infatti, introduce una differenziazione del trattamento rispetto ai lavoratori privati, che

contravviene al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.

La Corte Costituzionale (sent. 89/2003) ha ammesso l’esistenza di una disparità di

trattamento, pur tuttavia tale disparità deve, comunque, ritenersi legittima in quanto è

posta a tutela e salvaguardia delle esigenze della Pubblica Amministrazione.

La Corte di Giustizia dalla CE ha però rimesso in discussione questo “precariato di Stato”

che sembra aprire una fase del tutto nuova, nell’ambito dell’utilizzo dei rapporti a termine

da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il contratto a termine determinato da chiunque è stipulato deve essere sorretto dalla

sussistenza di una causa-obiettiva; in assenza di questa ragione obiettiva posta a

fondamento della conclusione di un contratto a termine, si viola il disposto comunitario e

deve essere disapplicata.

05/12/2006

TIPOLOGIE CONTRATTUALI A ORARIO RIDOTTO FLESSIBILE

Il contratto di lavoro a tempo parziale ha 3 obiettivi principali:

1. Interesse generale: La rimodulazione dei tempi di lavoro come strumento di

politica occupazionale;

2. Interesse dell’impresa: Utilizzo più flessibile della forza-lavoro;

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Page 19: Appunti Diritto Del Lavoro

3. Interesse del lavoratore: Gestione personalizzata dei propri tempi di vita e di

lavoro.

5.

La scelta di incentivare il part-time, in funzione di politica occupazionale, si inserisce in

una tendenza che ha origine in ambito comunitario; in particolare la CE aveva previsto

l’inserimento della gestione flessibile del lavoro, nell’ambito delle politiche di

“adattabilità”, promuovendo l'annualizzazione dell'orario di lavoro, la riduzione

dell'orario di lavoro e degli straordinari, l'accesso alle interruzioni di carriera, lo sviluppo

del lavoro part-time ecc.

Ai fini della definizione di “part-time”, la legge intende:

a) Per tempo pieno l'orario normale di lavoro o l'eventuale minor orario normale fissato

dai contratti collettivi applicati;

b) per tempo parziale l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un

lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello prima indicato.

La disciplina tipizza due modalità di lavoro part-time:

• Part-time orizzontale: svolgimento della prestazione tutti i giorni, ma a orario

ridotto rispetto a quello contrattuale;

• Part-time verticale: svolgimento di una prestazione di lavoro a tempo pieno in

alcuni giorni o periodi, alternati ad altri giorni o periodi di non lavoro.

Per l’instaurazione di un lavoro a tempo parziale sono ammesse due possibilità:

stipulazione diretta ovvero trasformazione di un precedente lavoro full time; in

quest’ultimo caso il legislatore presume la trasformazione di un contratto di lavoro a

tempo pieno in un rapporto a tempo parziale sulla base di un accordo delle parti,

risultante da atto scritto, convalidato dalla Direzione Provinciale del Lavoro.

A tal proposito uno tra i maggiori problemi dibattuti riguarda il requisito della forma: la

legge stabilisce, infatti, che “il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per

iscritto”.

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Page 20: Appunti Diritto Del Lavoro

Prima della riforma del 2000 la giurisprudenza riteneva che la forma scritta era richiesta ad

substantiam actus e non ai fini della prova; la legge, inoltre, prevedeva due distinte

possibilità di produzione degli effetti della nullità: effetto modificativo: la nullità della

clausola di riduzione dell’orario e la sua sostituzione ex art. 1419 c.c. sulla base di una

“presunzione di tempo pieno”; effetto estintivo: la nullità della clausola determina la

nullità dell’intero contratto.

La soluzione di tale dissidio giurisprudenziale giunse definitivamente con il d.lgs 61/2000

mediante il quale si stabilì che nel contratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta è

richiesta a fini di prova. In difetto di prova, su richiesta del lavoratore potrà essere

dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno.

In Italia, l’incentivazione del part-time ha seguito due tappe fondamentali:

• Nel 2000 si procedette ad un riconoscimento di benefici di carattere contributivo e si

affidò la gestione della flessibilità all’autonomia collettiva;

• Nel 2003, invece, si cercò di flessibilizzare la prestazione e si affidò la gestione della

flessibilità all’autonomia individuale.

Il d.lgs. 61/2000 presenta disposizioni significative nell’ottica della flessibilizzazione del

part-time con la possibilità di lavoro supplementare e clausole flessibili.

Nell’ambito della politica comunitaria, invece, l’obiettivo principale consiste nella

diffusione di un part-time volontario , introducendo un rapporto tra volontarietà del part-

time e programmabilità della prestazione: per essere volontario il part-time deve essere

quanto più possibile programmabile.

LAVORO SUPPLEMENTARE

Nell’ambito del part-time orizzontale è ammesso il lavoro supplementare; il “vecchio”

d.lgs 61/2000 prevedeva, a tal proposito, che l'effettuazione di prestazioni lavorative

supplementari è ammessa esclusivamente quando il contratto di lavoro a tempo parziale

sia stipulato a tempo indeterminato; invece il “nuovo” d.lgs 61/2000 stabilisce che, nelle

ipotesi di lavoro a tempo parziale, anche a tempo determinato, il datore di lavoro ha

facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari. Dunque, il lavoro

supplementare, nell’ambito del part-time, è ammesso sia per quanto riguarda le

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Page 21: Appunti Diritto Del Lavoro

prestazioni di lavoro a tempo indeterminato, che per quanto riguarda quelle a tempo

determinato.

La circolare ministeriale 9/2004, inoltre, prevede che in ipotesi di superamento dei limiti

consentiti al lavoro supplementare le conseguenze non devono essere di natura

necessariamente economica ( es. riposi compensativi).

Il “vecchio” d.lgs 61/2000 aveva previsto il principio c.d. della “doppia chiave”: questo

principio regolava due distinte ipotesi per le quali era necessario il ricorso o meno al

consenso del lavoratore in caso di presenza del contratto collettivo; infatti in assenza del

contratto collettivo, bastava il consenso del lavoratore; in presenza del contratto collettivo,

invece, non occorreva il consenso del lavoratore.

In realtà, oggi, il contratto collettivo non rende obbligatorio il lavoro supplementare, in

quanto il legislatore specifica che il rifiuto, da parte del lavoratore, non può integrare in

nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.

Anche la riforma Biagi interviene su lavoro supplementare; ne consegue la convenienza

del datore di lavoro di fissare un orario minimale per poi adattarlo di volta in volta alle

esigenze organizzative.

CLAUSOLE FLESSIBILI

Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata

della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al

giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

La Corte Costituzionale, chiamata a giudicare la legittimità costituzionale delle clausole

“elastiche”, ha affermato, in proposito che la programmabilità, da parte del lavoratore

deve essere salvaguardata, anche al fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a

tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente a realizzare un'esistenza

libera e dignitosa.

La Corte ha, inoltre, chiarito che il legislatore ha inteso stabilire che, nel contratto di

lavoro, deve essere determinata la distribuzione dell’orario giornaliero e cioè la

collocazione nell'arco della giornata.

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Page 22: Appunti Diritto Del Lavoro

Il “vecchio” d.lgs. 61/2000 prevedeva il ricorso alle clausole elastiche solo in riferimento

ad un diretto intervento dei contratti collettivi, determinando le condizioni e le modalità a

fronte delle quali il datore di lavoro può variare detta collocazione.

Il “nuovo” d.lgs. 61/2000, invece, attribuisce direttamente alle parti del contratto la

possibilità di concordare alle clausole elastiche relative alla variazione della collocazione

temporale della prestazione, rimettendo, altresì, ai contratti collettivi la facoltà di stabilire

condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la

collocazione temporale della prestazione lavorativa.

La nuova formulazione del testo di legge non ripropone il requisito del contratto

effettivamente applicato. Ci si chiede allora se il datore di lavoro, che applica un contratto

che non regolamenta il lavoro flessibile, possa mutuare la regolamentazione contenuta in

un contratto diverso da quello applicato.

La circolare ministeriale 9/2004 ha cercato di dare una risposta a questo interrogativo,

sostenendo che, in mancanza di una regolamentazione per via collettiva, le parti possono

comunque accordarsi per lo svolgimento di lavoro flessibile ma devono regolamentarne

condizioni e modalità, nonché stabilire le forme e la misura della compensazione.

La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro richiede sempre il consenso del

lavoratore, formalizzato attraverso uno specifico atto scritto.

Inoltre in tutte le ipotesi in cui è necessario l’accertamento della consistenza dell’organico,

i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in

proporzione dell’orario svolto.

Altre modifiche riguardano il passaggio dal part-time al full-time: in passato era previsto

un diritto di precedenza ex lege; adesso, in seguito alla riforma, il passaggio è ammesso

solo se previsto nel contratto individuale.

Invece, per quanto riguarda il passaggio contrario da full-time al part-time, mentre in

passato era necessaria la convalida amministrativa ovvero l’assistenza sindacale, adesso è

ammessa solo la convalida amministrativa.

In virtù di tale regolamentazione, ci si è chiesti se esiste effettivamente un “diritto al part-

time”: in realtà una risposta affermativa è ammessa solo con riferimento al lavoro pubblico

e in caso di particolari patologie oncologiche.

CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE

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Page 23: Appunti Diritto Del Lavoro

L’obiettivo che le riforme intendono perseguire è la massima flessibilità nell’ambito del

mercato del lavoro, attribuendo al datore di lavoro la possibilità di determinare l’an e il

quantum della prestazione.

Il d.lgs. 276/2003 definisce il contratto di lavoro intermittente come il contratto mediante

il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la

prestazione lavorativa nei limiti stabiliti dalla legge.

Dal testo del decreto sono ricavabili tre modelli:

1. lavoro intermittente con obbligo di disponibilità: in cui cambia lo schema causale

del contratto di lavoro – non lavoro contro retribuzione, ma messa a disposizione

contro indennità;

2. lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità: pone entrambe le parti in una

situazione prossima a quella del classico “pagherò se vorrò” esempio di condizione

meramente potestativa che comporta la nullità del contratto;

3. lavoro intermittente con obbligo di disponibilità (ma senza indennità): Nel caso

di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonché nei

periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l'indennità di

disponibilità è corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso di effettiva chiamata

da parte del datore di lavoro (dubbia compatibilità costituzionale della fattispecie).

I tratti di disciplina comuni ai tre modelli riguardano il preavviso ( non inferiore ad 1

giorno), i presupposti soggettivi (disoccupati con meno di 25 o più di 45 anni) e i

presupposti oggettivi (prestazioni di carattere discontinuo o intermittente).

L’INDENNITA’ DI DISPONIBILITA’

La misura dell’indennità non è determinata dalla legge, ma è rinviata ad altre sedi di

determinazione; è esclusa dal computo di ogni istituto di legge e di contratto collettivo e

non matura durante la malattia, che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare.

L’indennità mensile di disponibilità , divisibile in quote orarie, è determinata nel 20%

della retribuzione prevista dal contratto collettivo applicato.

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Page 24: Appunti Diritto Del Lavoro

Per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla

chiamata del datore di lavoro non e' titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori

subordinati (es. riposo settimanale).

Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del

contratto,la restituzione della quota di indennità corrisposta anticipatamente, o alla

circostanza che essa abbia continuato ad essere erogata nonostante il rifiuto,

nonché un congruo risarcimento del danno.

15/12/2006

GLI ISTITUTI DEL DIRITTO DEL LAVORO SUBORDINATO

LA RETRIBUZIONE

Le posizioni soggettive delle parti nello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato

possono essere così schematizzate:

1. diritti personali del lavoratore

• a non essere discriminato;

• ad un ambiente di lavoro salubre;

• alla riservatezza;

• alla tutela della sua dignità.

2. diritti professionali del lavoratore

• alla tutela della sua professionalità;

• a gestire i tempi di non-lavoro;

• alla retribuzione;

• a non essere licenziato senza giusta causa o giustificato motivo.

Gli obblighi del lavoratore si sostanziano, invece, nella fedeltà e non concorrenza nei

confronti del datore di lavoro, oltre che un obbligo di diligenza.

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Page 25: Appunti Diritto Del Lavoro

Il datore di lavoro esercita dei poteri di controllo della prestazione ed un potere

disciplinare; mentre prerogativa datoriale consiste nel sospendere o interrompere

l’attività, o parte di attività, produttiva in occasione di crisi.

L’art. 2094 c.c. inquadra la retribuzione come prestazione fondamentale a cui è obbligato il

datore di lavoro nei confronti del prestatore di lavoro; la retribuzione, quindi, è il

principale elemento causale del contratto di lavoro subordinato.

Da ciò si desume che il lavoro gratuito è ammissibile solo con riferimento al lavoro

familiare e al volontariato: in questi casi, infatti, l’obbiettivo perseguito è diverso in quanto

nell’ambito di una struttura familiare si adempie ad un obbligo di solidarietà, mentre

nell’ambito del volontariato spicca l’elemento idealistico.

In secondo luogo, la retribuzione è anche oggetto di un diritto costituzionale: l’art 36 Cost.

stabilisce, infatti, che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità

e quantità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia

un’esistenza libera e dignitosa.

I profili della norma costituzionale sono due:

1. l’obbligazione sociale;

2. l’obbligazione corrispettiva.

La retribuzione, dunque, acquista una differente dimensione economico-sociale per le due

parti: rilevanza patrimoniale dell’obbligazione per il datore; mezzo tipicamente esclusivo

per il mantenimento proprio e della famiglia per il lavoratore.

Il lavoratore non può essere privato della retribuzione e non può essere pignorato più di

1/5 della retribuzione posta la natura alimentare del credito retributivo.

La retribuzione, intesa come obbligazione “corrispettiva” presenta alcune ricadute

giuridiche circa il problema della parità di trattamento retributivo a parità di mansioni

svolte.

Il principio ha un suo implicito riconoscimento nella Costituzione ai sensi dell’art. 3 –

principio di uguaglianza formale e sostanziale – e l’art. 36 – proporzionalità - .

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Page 26: Appunti Diritto Del Lavoro

Nel 1979 la legge Treu si preoccupa di chiarire che se la retribuzione è una funzione della

prestazione, a pari prestazione dovrebbe seguire una pari retribuzione.

Nel 1989 la Corte Costituzionale sembra accogliere le posizioni che prospettano l’esistenza

di un principio generale di parità di trattamento nel rapporto di lavoro, affermando che il

potere del datore di lavoro non può svolgersi in termini di discrezionalità o di arbitrio, ma

deve essere sorretto da una causa coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento e

non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla

sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.

La sentenza della Suprema Corte è stata però smentita nel 1993 in riferimento a

differenziazioni di origine collettiva: nel nostro ordinamento non è possibile individuare

un principio che imponga la parità di trattamento tra lavoratori dipendenti che

svolgano identiche mansioni.

L'art. 36 cost. si limita a garantire la sufficienza e la proporzionalità della retribuzione

alla qualità e alla quantità del lavoro prestato; il canone della ragionevolezza, che

rappresenta un utile criterio di valutazione del rispetto, da parte del legislatore del

principio di uguaglianza posto dall'art. 3 Cost., non può essere applicato con la stessa

efficacia nella valutazione dei regolamenti privati di interessi che siano frutto

dell'autonomia contrattuale.

Ne consegue che è precluso al giudice l'esame della razionalità del regolamento

contrattuale, a meno che risultino violate specifiche norme di diritto positivo.

Una conseguenza dell’assenza del principio di parità del trattamento può consistere

nell’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non può

costituire titolo per attribuire ad altro lavoratore, che si trovi nell’identica posizione, un

diritto a ottenere lo stesso beneficio.

Posto che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore alla parità di trattamento, deve

considerarsi legittimo un accordo collettivo che diversifichi la posizione di alcuni

lavoratori in relazione a determinate circostanze personali, essendo preclusa al giudice

del merito la valutazione della razionalità del regolamento di interessi posto in essere dalle

parti sociali, a meno che non sia denunciata la violazione di specifiche norme di diritti

positivo.

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Page 27: Appunti Diritto Del Lavoro

L’art. 37 Cost. stabilisce la parità di diritti e trattamento tra uomo e donna: la retribuzione

diventa anche oggetto prioritario dei divieti di discriminazione sul lavoro.

Nel 1986 una sentenza della Corte di Cassazione stabilì l’unilateralità dell’art. 37 Cost.: in

essa, infatti, si affermò che il principio della parità salariale a parità di lavoro, enunciato

nell'art. 37 cost. esclusivamente in favore delle donne e dei minori, non è estensibile, in

via di inversione, in favore degli uomini le cui prestazioni siano retribuite in misura

inferiore a quella delle donne, essendo riferito a soggetti considerati dai costituenti in via

esclusiva.

Fra gli strumenti di attuazione dei principi costituzionali, un problema particolare si pone

in relaziona alla garanzia di un salario che garantisca il precetto costituzionale; una prima

soluzione è stata prospettata dalla Francia mediante il salario minimo legale.

In Italia, invece, si è addossato ai giudici il ruolo di garanti dell’art. 36 Cost. che usano

come parametro i contratti collettivi: l’art. 2099 c.c. stabilisce, infatti, che in mancanza di

norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice.

La retribuzione è intesa, tra le sue varie funzioni, anche come strumento di adattamento

rispetto al contesto territoriale; in passato si riteneva che la retribuzione si doveva

differenziare per aree geografiche.

Più specificamente il problema era quello se si dovesse ammettere una deroga dei livelli

retributivi fissati dal contratto nazionale di categoria per incentivare le imprese ad

investire in aree del paese ad alto tasso di disoccupazione.

A tal proposito, si è proposto di sperimentare le c.d. gabbie salariali, soprattutto in

seguito alla riorganizzazione dello Stato in senso federale; le gabbie sono, inoltre, proposte

come strumento di politica per gli investimenti e lo sviluppo.

Nell’ambito della nozione giuridica di retribuzione, un problema fondamentale è quello

circa l’individuazione della retribuzione parametro; a partire, infatti, dalla retribuzione

parametro si calcolano il TFR, i contributi previdenziali, l’indennità nei periodi di

sospensione, la tredicesima e le maggiorazioni ( straordinario, notturno e festivo).

In alcuni casi è la legge ad individuare la stessa retribuzione parametro: l’art. 2121 c.c.

prevede la c.d. indennità di mancato preavviso, stabilendo che l’indennità si calcola con

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Page 28: Appunti Diritto Del Lavoro

riferimento a tutti quei compensi caratterizzati dalla continuità; la legge, invece, che regola

il TFR – trattamento di fine rapporto – considera la retribuzione parametro come tutte le

somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale con

esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.

Per quanto riguarda, invece, la nozione di retribuzione assoggettabile a contributi

previdenziali e a prelievo fiscale, la legge stabilisce che per la determinazione della base

imponibile, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro

a qualunque titolo in relazione al rapporto di lavoro.

Per gli altri istituti non regolati dalla fonte legislativa, i criteri giurisprudenziali utilizzati

per riconoscere la natura retributiva di una elargizione a favore del lavoratore sono:

l’obbligatorietà, la corrispettività e la continuità.

Intorno agli anni ‘70-’80 vigeva il principio giurisprudenziale della onnicomprensività della

retribuzione, secondo cui l’intera retribuzione funge sempre da base di calcolo per tutte le

attribuzioni che su di essa si calcolano.

Secondo molti giuslavoristi, però, una cosa è ritenere che una determinata indennità è

retributiva, nel senso che non è discrezionale ma dovuta dal datore; un’altra è, invece,

sostenere che per questo motivo va computata per calcolare le maggiorazioni per lavoro

straordinario, notturno, tredicesima, la retribuzione festiva o feriale.

Invero, l’onnicomprensività è un fattore di crescita del costo del lavoro complessivo poiché

ogni aumento di ogni singola voce retributiva si riflette su tutti gli altri istituti.

Nel 1984, grazie ad un intervento dalla Cassazione a Sezioni Unite, si poté superare il

principio di onnicomprensività: l’onnicomprensività non costituisce un principio generale

dell’ordinamento e la determinazione della retribuzione-parametro è materia di

competenza della contrattazione collettiva.

IL RECESSO DEL CONTRATTO DI LAVORO

L’ impostazione originaria, ancora presente nel codice civile, prevede il principio generale

della libera recedibilità: ognuna delle due parti può liberamente recedere dal rapporto di

lavoro alle medesime condizioni.

Nel codice del 1865 la libera recedibilità bilaterale era considerata una conquista di civiltà

giuridica per il lavoratore, elevato alla condizione di libero contraente formalmente posto

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Page 29: Appunti Diritto Del Lavoro

su un piano di parità negoziale – vi era sottesa una ratio simile a quella che sorreggeva il

divieto di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Nel codice civile del 1942 veniva, invece, previsto il recesso ad nutum, in base al quale

ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando

il preavviso nei tempi e nei modi stabiliti (art. 2118 c.c.) – attribuendo pari significato

giuridico a dimissioni e licenziamento.

L’unico limite imposto alle parti fu, dunque, il preavviso o la corrispondente indennità

sostitutiva.

L’obbligo del preavviso non incide, d'altronde, sul principio di libera recidibilità nella

misura in cui è posto a carico di entrambe le parti e quando i motivi della decisione

datoriale rimangono insindacabili.

In alcuni casi viene, però meno anche l’obbligo del preavviso, qualora si verifichi una

causa, c.d. giusta, che non consenta la prosecuzione del rapporto.

Per recedere da un rapporto di lavoro senza preavviso occorre, quindi, dimostrare la

sussistenza di una giusta causa; mentre l’unica conseguenza che deriva dalla mancanza di

una giusta causa non è l’invalidità del recesso, ma la necessità di concedere il preavviso (o

la relativa indennità).

Nel sistema del codice civile, la libertà di licenziare non viene intaccata né dall’obbligo di

preavviso – perché il licenziamento con preavviso rimane insindacabile dal giudice – né

dalla previsione della giusta causa – perché la mancanza di giusta causa, anche ove

accertata dal giudice, lascia comunque libero il datore di licenziare, con l’unico limite della

indennità sostitutiva del preavviso.

Nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione, si determina una progressiva

riduzione della libera recidibilità da principio ad eccezione residuale.

Già nel 1945, infatti, si bloccarono i licenziamenti con una misura eccezionale e 5 anni

dopo, nella successiva contrattazione interconfederale, si stabilì il principio per cui il

licenziamento doveva sempre essere motivato.

Nel 1966 con la legge n° 604, il principio del licenziamento motivato, prima rimesso ai

contratti collettivi, venne attribuito direttamente alla legge.

La l. 108/1990 sistematizza, infine, questa disciplina e introduce alcune novità ma di

portata limitata.

La tendenza evolutiva dell’ordinamento italiano si muove lungo due direttrici:

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Page 30: Appunti Diritto Del Lavoro

1. selezionare le ipotesi di legittimo recesso del rapporto per iniziativa del datore di

lavoro;

2. sottoporre il giudizio di legittimità del recesso al controllo giudiziale.

Il principio della motivazione del licenziamento trova un suo esplicito riconoscimento

anche nella Costituzione Europea, dove si stabilisce il diritto alla tutela di ogni lavoratore

contro ogni licenziamento ingiustificato.

La disciplina del licenziamento oggi contempla due diversa tipologie di normative

riguardanti i limiti e i rimedi: si può legittimamente licenziare in presenza di una giusta

causa o di un giustificato motivo, mentre le conseguenze di un licenziamento illegittimo

sono il risarcimento ovvero la reintegra del posto di lavoro.

La l. 604/1966 non dà una nuova definizione della giusta causa, ma ne cambia la funzione:

non più finalizzata al mero riconoscimento del preavviso, ma elevata ad elemento di

legittimità del licenziamento – il licenziamento come recesso “vincolato”, costituendo la

fattispecie più grave che giustifica la risoluzione del rapporto.

La legge in questione introduce anche la legittimità del giustificato motivo, che può

essere:

• soggettivo : ricorre in seguito ad un notevole inadempimento degli obblighi

contrattuali, ma non così grave da giustificare un licenziamento per giusta causa;

• oggettivo : ricorre in seguito a ragioni attinenti all’attività produttiva,

all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento dello stesso (al giudice è

preclusa la possibilità di sindacare la scelta compiuta dal datore di lavoro; potrà

solo verificare la sussistenza del nesso di causalità tra scelta datoriale e

licenziamento).

Secondo la giurisprudenza, rientrano nella nozione di giusta causa non solo i gravissimi

inadempimenti contrattuali, ma anche circostanze esterne al sinallagma contrattuale,

talmente gravi però da incidere sul rapporto fiduciario concretamente considerato.

Nel caso di recesso per giusta causa, particolari rapporti possono costituirsi tra giudizio

penale e giudizio civile, comportando anche eventuali situazioni paradossali come ad es. il

caso di un soggetto che, assolto in sede penale, viene comunque licenziato ovvero il caso

contrari di un soggetto che condannato viene comunque reintegrato sul posto di lavoro.

30

Page 31: Appunti Diritto Del Lavoro

La mancanza di giusta causa o giustificato motivo fa sì che il licenziamento sia

annullabile; il licenziamento è, invece, nullo nei casi in cui:

• è discriminatorio,

• è intimato durante il periodo di malattia o maternità;

• avviane in occasione di matrimonio della lavoratrice.

Il licenziamento è inefficace quando è privo delle formalità prescritte.

Il licenziamento, infatti, deve essere comunicato per iscritto, senza bisogno di esplicitare le

ragioni; è data al lavoratore la possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni.

Il datore di lavoro ha, quindi, l’obbligo di rispondere entro 7 giorni e i motivi, adesso

esplicitati, non potranno più essere modificati.

16/12/2006

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Al datore di lavoro è riconosciuto il potere di applicare sanzioni disciplinari ai suoi

dipendenti: l’art. 7 dello Statuto dei lavoratori stabilisce, infatti, che le norme disciplinari,

relative alle infrazioni e alle relative sanzioni, devono essere portate a conoscenza dei

lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti; il datore non può irrogare

sanzioni senza aver preventivamente contestato l’addebito al lavoratore e averlo sentito a

sua difesa; il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale.

La norma parla di sanzioni conservative: richiamo verbale, richiamo scritto, multa e

sospensione.

In realtà si pone il problema di comprendere se queste disposizioni si applicano al

licenziamento disciplinare ovvero il licenziamento è una sanzione disciplinare.

31

Page 32: Appunti Diritto Del Lavoro

La fonte del problema deriva dal fatto che lo stesso Statuto dispone che non possono

essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di

lavoro.

Diverse sono le conseguenze pratiche perché:

• se il licenziamento è qualificato come sanzione disciplinare si applica l’art. 7 dello

Statuto, con conseguente possibilità di contestare l’addebito e di difesa del

lavoratore assistito dal sindacato;

• se il licenziamento non è qualificato come sanzione disciplinare, invece, si applica la

disciplina ordinaria (l. 604/1966), con conseguente comunicazione scritta del

recesso è possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni.

La giurisprudenza ha ritenuto il licenziamento come una sanzione ontologicamente

disciplinare, poiché l’area della giusta causa è pressoché interamente coperta da

licenziamenti disciplinari.

La l. 604/1966

dispone che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni

dalla ricezione della sua comunicazione ovvero della comunicazione dei motivi, ove

questa non sia contestuale a quella del licenziamento.

La ratio della brevità del tempo messo a disposizione per l’impugnativa si giustifica in

virtù della necessità di evitare un possibile licenziamento del datore di lavoro e per

assicurare la certezza dei termini giuridici.

L’impugnativa può essere giudiziale o stragiudiziale; nel 1998 è stato introdotto l’obbligo

di far procedere il contenzioso, espletando il tentativo di conciliazione: il giudice, ove

rilevi che non è stato promosso tale tentativo, sospende il giudizio e fissa alla parti il

termine perentorio di sessanta giorni per consentirne l’espletamento (nel ’98 infatti il

contenzioso in materia di diritto del lavoro è passato nelle mani del giudice

amministrativo ed è stata introdotta una fase pre-giudiziale).

I RIMEDI

32

Page 33: Appunti Diritto Del Lavoro

In caso di licenziamento illegittimo – perché privo di giusta causa o giustificato motivo – i

rimedi sono il risarcimento (tutela obbligatoria) ovvero la reintegra nel posto di lavoro

(tutela reale).

La tutela obbligatoria prevede che, quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi

del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a

riassumere il lavoratore o, in mancanza, a risarcire il danno, versandogli un’indennità di

importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima

retribuzione globale di fatto.

Si tratta di una norma pragmatica poiché, nell’ambito della tutela obbligatoria, il

licenziamento privo di giustificazione è illegittimo, ma è ugualmente idoneo a produrre i

suoi effetti; inoltre in seguito alla finta alternativa tra riassunzione e pagamento

dell’indennità si determina una “monetizzazione” di fatto del licenziamento.

La tutela reale, invece, si sostanzia nella reintegra del lavoratore nel posto di lavoro; essa

si applica nei casi di inefficacia o nullità del licenziamento: è come se il licenziamento non

avesse mai prodotto i suoi effetti.

Il datore di lavoro sarà così tenuto a pagare al lavoratore una indennità commisurata alla

retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva

reintegrazione, al versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali.

La differenza di fondo rispetto alla tutela obbligatoria consiste nel fatto che

qui un atto invalido non è idoneo a produrre effetti.

Alcuni nodi applicativi problematici riguardano, però:

• l’esecuzione dell’ordine di reintegra;

• la detraibilità dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percepiendum.

Per quanto attiene alla reintegra nel posto di lavoro in funzione non sanzionatoria, la l.

322/1995 ha introdotto un nuovo articolo nelle disposizioni attuative al codice di

procedura penale, stabilendo che chiunque sia stato licenziato perché sottoposto alla

misura della custodia cautelare in carcere ovvero degli arresti domiciliari ha diritto di

essere reintegrato nel posto di lavoro in caso di sentenza di assoluzione, di

proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero di provvedimento di archiviazione.

33

Page 34: Appunti Diritto Del Lavoro

Il lavoratore ha, inoltre, la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della

reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto: è

stata così giuridificata una prassi transattiva.

Il principio della libera recedibilità si applica ancora nei casi di lavoratori domestici o

ultrasessantenni, in possesso dei requisiti della pensione, lavorati in prova o dirigenti.

E’ bene notare che le tre discipline del licenziamento continuano tutte a trovare

applicazione.

L’intensità della tutela dipende dalle dimensioni dell’unità produttiva ove avviene il

recesso: infatti le unità produttive fino a 15 dipendenti rientrano nell’area della stabilità

obbligatoria, con alternativa rimessa al datore di lavoro; mentre le unità con più di 15 o

datori con più di 60 dipendenti ricadono nell’area di stabilità reale, con conseguente

ordine giudiziale di reintegra.

Due eccezioni importanti a questa regola sono rappresentate da:

• licenziamento discriminatorio: anche nelle piccole imprese, e anche nell’area del

licenziamento ad nutum, si applica la tutela reale;

• organizzazioni di tendenza: anche nelle grandi imprese, si applica la tutela

obbligatoria.

22/12/2006

LICENZIAMENTO COLLETTIVO

In tema di licenziamenti collettivi, va annoverata la l. 223/1991 che nasce da una direttiva

comunitaria del 1975, la prima in materia sociale e di licenziamenti collettivi al livello

europeo.

La direttiva prevedeva l’adozione di regole uniformi di fronte alle possibili crisi aziendali

per tutti gli Stati dell’Unione; inoltre perseguiva obiettivi di carattere economico, volti a

34

Page 35: Appunti Diritto Del Lavoro

instaurare una tutela dei lavoratori con una procedura uniforme in tutta Europa, al fine di

evitare il fenomeno del c.d. dumping sociale a scapito dei lavoratori.

In Italia la direttiva fu recepita con un evidente ritardo, causato dal fatto che il legislatore

italiano aveva già raggiunto, sin dal 1965, un contratto collettivo, in tema di licenziamenti

collettivi.

In realtà questa giustificazione venne ritenuta insufficiente, poichè i contratti collettivi non

hanno efficacia “erga omnes”, ma si applicano solo ai soggetti, aderenti alle organizzazioni

sindacali stipulanti.

La Corte di Giustizia Europea ha ritenuto, infatti, che il solo accordo interconfederale non

basta, ma è necessario adottare una legge che abbia efficacia per tutti.

Esistono tre tipologie di crisi dell’azienda:

• La crisi temporanea che non importa un cambiamento sostanziale nel “dopo crisi”.

• La crisi che induce ad un riposizionamento competitivo dell’impresa.

• La crisi come presagio e preludio alla “fine”.

La fattispecie del licenziamento collettivo ricorre quando un’impresa che occupa più di 15

dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro,

intende effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità

produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia.

Il licenziamento collettivo per riduzione di personale richiede la sussistenza di

determinati requisiti; occorre, infatti, che:

• nell’impresa siano occupati circa 15 dipendenti;

• l’impresa intenda operare 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni;

• i licenziamenti debbano essere motivati da una riduzione o trasformazione

dell’attività o del lavoro – es. c.d. licenziamento tecnologico.

Il Ministero del lavoro ha precisato che:

– in presenza di licenziamenti che interessano più unità produttive di province

diverse e che rispondono ad un unico disegno organizzativo, il requisito

delle 5 unità non deve necessariamente ricorrere in ciascuna unità

produttiva, essendo sufficiente (ma necessario) che sia presente in una sola

unità locale;

35

Page 36: Appunti Diritto Del Lavoro

– la procedura originariamente attivata per almeno 5 lavoratori può

concludersi - previo accordo sindacale - con il licenziamento di un solo

lavoratore

Il licenziamento è legittimo se le causali invocate dal datore ricorrono realmente e non

hanno natura congiunturale; deve, inoltre, sussistere un imprescindibile nesso eziologico

tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso; il licenziamento

non deve mascherare la sostituzione di personale indesiderato, ovvero non deve mirare ad

evitare la tutela approntata dalla disciplina sui licenziamenti individuali

A prima vista sia il licenziamento collettivo che il licenziamento individuale per

giustificato motivo presentano ragioni similari, concettualmente hanno, infatti, alla base le

medesime motivazioni: ciò che li distingue è solo il numero dei lavoratori coinvolti e la

tempistica, come identificati dalla legge; cambia, inoltre, la tutela in quanto nel

licenziamento individuale si pone grande attenzione agli interessi dei lavoratori, mentre

nel licenziamento collettivo la tutela prevista è volta a far fronte ad una crisi aziendale: qui

la priorità è, infatti, costituita dalla tutela del patrimonio aziendale a scapito dei lavoratori.

La legge 223/1991 prevede, inoltre, la diversa fattispecie di licenziamento collettivo per

messa in mobilità: qui l’intervento della “cassa integrazione guadagni” è utile per

l’imprenditore affinché possa riavviare il lavoro; nel caso in cui egli non riesca a ripartire e

intenda ridurre il personale, dovrà, allora, avviare la procedura della c.d. mobilità.

Il legislatore ha, inoltre, introdotto la c.d. procedimentarizzazione del potere datoriale:

impone, cioè, al datore di lavoro il rispetto di una procedura per meglio tutelare i

lavoratori.

Tale procedimentarizzazione è scandita da diverse fasi:

1. Comunicazione scritta, preventiva : il datore di lavoro invia una dettagliata

comunicazione ai sindacati – interni all’azienda, alle organizzazioni territoriali e al

Ministero del Lavoro – indicante i motivi che sono all’origine della eccedenza del

personale e le ragioni tecniche, organizzative e produttive che non consentono

l’adozione di misure idonee ad evitare, in tutto o in parte, i licenziamenti; le

informazioni devono essere dettagliate e prevedere tutti gli aspetti previsti dalla

legge. L’obiettivo principale è quello di attivare la concertazione tra le parti; è

inoltre imposto l’obbligo al datore di lavoro di evitare di far comprendere, dalla

comunicazione, quali lavoratori rischiano il licenziamento e quali, invece, no;

36

Page 37: Appunti Diritto Del Lavoro

2. Fase sindacale : entro 7 giorni dal ricevimento di questa comunicazione le

organizzazioni sindacali possono chiedere un “esame congiunto”, da esperirsi entro

45 giorni, avente ad oggetto: le cause dell’eccedenza strutturale; la possibilità di

diversa utilizzazione del personale in esubero; l’eventuale utilizzo di contratti di

solidarietà o di forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. In questa fase si

cerca di riportare al minimo gli effetti sociali; i sindacati, inoltre, chiedono

l’assistenza di periti e tecnici di fiducia in grado di valutare il rispetto degli obblighi

procedurali;

3. Fase amministrativa : si tratta di una fase eventuale, che si apre solamente nei casi in

cui, trascorsi 15 giorni, non si raggiunge un accordo. Promotrice è un’autorità

amministrativa (es. l’agenzia o il ministero per il lavoro), per incentivare un

incontro fra le parti.

Le parti possono, quindi, giungere a siglare degli accordi – ad es. il comando temporaneo

o distacco, la riduzione degli orari di lavoro, i contratti di solidarietà ecc.

Nel corso di queste fasi è, inoltre, ammessa la possibilità di introdurre una deroga al

principio per cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto

o equivalenti (art. 2103 c.c.): è, infatti, ammesso un “demansionamento”.

Ciò si spiega considerando che si tratta per un verso di un rimedio per evitare il

licenziamento e per altro verso di una deroga che non vincola i lavoratori, i quali ben

potrebbero rifiutare la dequalificazione, andando però incontro al rischio del

licenziamento.

Esaurita la procedura o raggiunto l’accordo sindacale, l’impresa ha facoltà di collocare in

mobilità i lavoratori, comunicando il recesso nel rispetto dei termini di preavviso.

L’atto di recesso individuale non deve necessariamente contenere l’indicazione della

motivazione alla base del provvedimento.

Per quanto riguarda, invece, la scelta dei lavoratori da licenziare, attraverso il contratto

collettivo, le parti debbono individuare un criterio di selezione dei lavoratori da licenziare,

non operare direttamente una scelta degli stessi. L’accordo riguarda l’individuazione di

una regola, di uno strumento di selezione dei lavoratori, che spetta poi al datore di lavoro

applicare rendendo conto delle modalità con cui lo applica.

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Page 38: Appunti Diritto Del Lavoro

Laddove il procedimento applicativo non è necessario, perché il criterio rimanda

immediatamente ai singoli lavoratori da licenziare, tale criterio sarà illegittimo in quanto

frutto di un c.d. accordo “fotografia”.

Nella scelta dei criteri, interviene anche la legge (nel caso in cui le parti non sono state in

grado di accordarsi), che fissa criteri di carattere sociale ed economico, sulla base di una

graduatoria che tenga conto del nucleo familiare a carico, dell’anzianità di servizio, delle

esigenze tecnico-produttive, ecc.

Il licenziamento dovrà essere comunicato al lavoratore, alle agenzie per il lavoro, al

Ministero e ai sindacati, includendo le modalità di scelta adottate.

La comunicazione alle autorità amministrative assolve ad uno scopo precipuo: mediante

tale comunicazione i lavoratori licenziati verranno iscritti nelle liste di mobilità, con la

possibilità di percepire una indennità, la copertura figurativa utile ai fini previdenziali e

l’accesso facilitato a nuove opportunità occupazionali.

Alle liste di mobilità possono accedere anche i lavoratori licenziati per giustificato motivo

oggettivo da imprese che non possono attivare la procedura (meno di 16 dipendenti): essi

però non percepiscono l’indennità di mobilità.

CONSEGUENZE SULL’EVENTUALE INVALIDITA’ DEL LICENZIAMENTO

Si pongono ulteriori questioni in merito al corretto rispetto della procedura o della erronea

applicazione dei criteri di scelta:

• Nel caso di violazione di norme procedurali – vizi sostanziali - , i licenziamenti

operati sono inefficaci, con conseguente applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei

Lavoratori e diritto di reintegra del posto di lavoro;

• Nel caso di violazione dei criteri di scelta, il licenziamento è annullabile e il

lavoratore – accertata dal giudice la violazione – ha diritto ad essere reintegrato.

In questo caso il datore di lavoro potrà licenziare un altro dipendente applicando

correttamente i criteri di scelta.

12/01/2007

L’ORARIO DI LAVORO

Il d.lgs. 66/2003 recepisce nel nostro ordinamento la direttiva comunitaria 93/104 in tema

di orario di lavoro: a livello comunitario negli anni c’è stato un conflitto fra paesi più

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Page 39: Appunti Diritto Del Lavoro

EUROPEISTI - maggiormente disposti a cedere poteri alla comunità - e paesi meno

EUROPEISTI ( es. Gran Bretagna) - paesi liberali che mostrano scetticismo nell’intervento

dell’Unione Europea, sia nell’ambito monetario che legislativo.

Nella materia sociale, poi, l’approvazione di norme richiede l’unanimità e ciò ha impedito

l’adozione di direttive e regolamenti in questa settore.

L’unica eccezione è costituita, invece, dalla materia “salute e sicurezza nell’ambiente di

lavoro”, in cui basta la semplice maggioranza.

La base giuridica della direttiva sull’orario di lavoro diventa così il settore della “salute e

sicurezza nell’ambiente di lavoro”, due materie, comunque, collegate fra loro dal fatto che

tanto più lungo è l’orario di lavoro, quanto più questo incide sulla salute e la sicurezza dei

lavoratori.

La Gran Bretagna fece ricorso alla Corte di Giustizia, credendo che la direttiva esorbitasse

dalle base giuridiche e puntando l’attenzione su una norma che prevedeva il riposo

domenicale. La Corte stabilì la legittimità della direttiva, escludendo, però, che il riposo

potesse avvenire solo di domenica,ma in qualsiasi giorno settimanale.

Nella regolamentazione giuridica, l’orario di lavoro assolve ad una tradizionale funzione:

esso costituisce, infatti, il parametro attraverso il quale si stabilisce la retribuzione.

La necessità di fissare limiti massimi alla durata della prestazione lavorativa richiedibile

dal datore risponde, inoltre, all’esigenza di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Il tempo di lavoro assume diverse qualificazioni giuridiche e si distingue tra orario

normale di lavoro, orario massimo e orario “medio” (flessibile).

Nel tempo si è cercato di stabilire dei “limiti invalicabili” dell’orario di lavoro,cercando di

trovare un equilibrio tra il tempo di lavoro e tempo di non-lavoro (pausa e riposo

giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali).

Si cerca di scoraggiare, inoltre, l’introduzione di orari reputati “antisociali” (es. orario

notturno): l’ordinamento regolamenta il lavoro notturno, sia sotto il profilo della durata,

che sotto quello della tutela della salute e sicurezza del lavoratore o della lavoratrice

addetta a lavori notturni e consentito solo in presenza di determinate situazioni e

precauzioni.

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Page 40: Appunti Diritto Del Lavoro

La Costituzione disciplina il tempo di lavoro all’art. 36, 2° e 3° comma: “la durata massima

della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”; “il lavoratore ha diritto al riposo

settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi”. La Costituzione introduce,

quindi, una riserva di legge in materia di tempo di lavoro.

Prima della entrata in vigore della Costituzione del 1948, il Regio decreto 692/1923

individuava il limite massimo del tempo di lavoro in 8 ore giornaliere o 48 settimanali –

soglia rimasta in vigore fino al 1997.

La legge Treu ( 196/1997) stabilì 40 ore settimanale, riducibili dalla contrattazione

collettiva - orario di normale superabile con lo straordinario – fu questa legge e la

conseguente rivolta di Rifondazione Comunista (che chiedeva di stabilire un limite

massimo nelle 35 ore) che determinò la crisi del 1° governo Prodi.

In realtà, già nel settore privato, la contrattazione collettiva, specie a partire dagli anni ’60,

aveva ridotto progressivamente il tempo di lavoro sino a 40, 39 o 38 ore settimanali; quindi

la legge Treu si limitò a fotografare una situazione già “di fatto” esistente e operante nella

realtà sociale. Nel settore pubblico, invece, la legge fissò il limite delle ore settimanali a 36

ore, secondo un criterio di maggior favore per il lavoro pubblico.

Il d.lgs 66/2003 fa salvo il ruolo tradizionalmente svolto dalla contrattazione collettiva in

materia di orario di lavoro: molti sono i rinvii e molte le deroghe consentite alla

contrattazione collettiva, anche di secondo livello.

La nuova normativa sull’orario di lavoro si applica a tutti i settori di attività, pubblici e

privati, compresi gli apprendisti maggiorenni.

Sono fatte salve alcune “tassative” eccezioni (con applicazione di discipline speciali):

1) Gente di mare;

2) Personale di volo nell’aviazione civile;

3) Autotrasportatori;

4) Personale della scuola, forze armate, forze di polizia, vigili urbani;

Il decreto definisce l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a

disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Sono esclusi dall’orario di lavoro:

1) Riposi intermedi e soste di lavoro non inferiori a quindici minuti e complessivamente

non superiori a due ore nella giornata lavorativa;

40

Page 41: Appunti Diritto Del Lavoro

2) Il tempo impiegato per recarsi nel posto di lavoro.

Vi sono poi dei casi dubbi:

a) il tempo per raggiungere la sede di lavoro in caso di trasferta o, comunque, in

ipotesi di funzionalità dello spostamento alla prestazione lavorativa;

b) il tempo per indossare gli indumenti o gli strumenti di lavoro;

c) Il tempo della “reperibilità”.

Il lavoratore deve conoscere, sin dall’assunzione, l’orario di lavoro: la lettera di assunzione

deve, infatti, indicare l’orario normale di lavoro e specificarne la distribuzione nella

giornata, nella settimana, nel mese e nell’anno.

Il decreto stabilisce che l’orario normale di lavoro non può superare le 40 ore settimanali,

ma la contrattazione collettiva potrà stabilire una durata minore e riferire l’orario normale

sulla scorta di una media relativa ad un periodo non superiore ad un anno.

Il decreto limita fortemente il ricorso al lavoro straordinario, prestato oltre l’orario

normale, vista la possibilità del lavoratore di flessibilizzare il proprio orario di lavoro.

In difetto di regole definite dalla contrattazione collettiva, lo straordinario è ammesso

previo accordo e per un numero di ore non superiore a 250 ORE annuali.

Salva diversa disposizione dei contratti collettivi il ricorso al lavoro straordinario è inoltre

ammesso con riferimento a:

a) Casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle

tramite l’assunzione di altri lavoratori;

b) Casi di forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro

straordinario possa dare luogo ad un pericolo grave e immediato ovvero un danno alle

persone o alla produzione.

Il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni

previste dalla contrattazione collettiva.

Inoltre, i contratti collettivi possono consentire che i lavoratori usufruiscano di riposi

compensativi, in aggiunta o in alternativa alle maggiorazioni.

Nella pratica, si registra una tendenza al sempre più frequente ricorso alle c.d. banche

delle ore individuali, mediante le quali il lavoratore potrà sempre controllare il tempo di

lavoro prestato e, infine chiedere il riposo compensativo ovvero il pagamento dello

straordinario.

41

Page 42: Appunti Diritto Del Lavoro

RIPOSO

Al lavoratore spettano ogni 24 ore 11 ore di riposo consecutivo; il riposo deve essere fruito

in modo consecutivo , fatte salve la attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati

durante la giornata.

Benché la legge non faccia espresso riferimento alla “durata giornaliera della prestazione

di lavoro”, dalla disposizione sul riposo giornaliero si ricava una durata massima

giornaliera dell’orario di lavoro pari ad un massimo di 13 ORE.

Il lavoratore ha diritto ad almeno 24 ORE consecutive di riposo ogni sette giorni, di regola

in coincidenza con la domenica; due eccezioni a tale regola sono rappresentate da:

a) I casi di riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica;

b) I casi di periodicità diversa da quella prevista dalla legge (riposo su base

multiperiodale).

Il lavoro domenicale, in ragione del suo particolare carattere disagiato, va retribuito in

ogni caso con una specifica maggiorazione, ancorché sia previsto un riposo compensativo

in altro giorno della settimana; in caso di mancata fruizione del riposo compensativo, è

dovuto anche il risarcimento del danno per “usura” psico-fisica.

Altro diritto riconosciuto ai lavoratori è quello delle ferie: secondo la consolidata

interpretazione giurisprudenziale, la ratio di questo diritto deve essere intesa nell’esigenza

di reintegrare le energie psico-fisiche del lavoratore, oltre che consentire la fruizione di

quote di tempo da dedicare alla famiglia, agli hobbies, etc.

Per queste ragioni, le ferie non sono cumulabili con altri periodi di congedo (per es.

maternità).

Il lavoratore ha diritto ad almeno 4 SETTIMANE di ferie all’anno, che non possono essere

sostituite da una indennità “per ferie non godute”, salvo in caso di risoluzione anticipata

del rapporto di lavoro.

La contrattazione collettiva potrà stabilire condizioni di miglior favore (per es. la quinta

settimana di ferie).

IL LAVORO NOTTURNO

E’ considerato lavoratore notturno il lavoratore che svolge durante il periodo notturno 3

ORE del suo orario giornaliero normale o una parte del suo orario, secondo le norme

definite dai contratti collettivi e, in mancanza, 80 GIORNI lavorativi all’anno.

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Page 43: Appunti Diritto Del Lavoro

Per periodo notturno si intende, invece, il periodo di almeno 7 ore consecutive,

comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino (es. dalle 22 alle 5).

Il lavoro notturno è vietato nelle ipotesi di donne in stato di gravidanza o puerperio e

minori di 18 anni, compresi gli apprendisti.

Non sono, invece, obbligati a prestare lavoro notturno:

a) la lavoratrice madre di un bambino fino a 3 anni;

b) il genitore unico affidatario di un figlio fino a 12 anni;

c) i genitori che abbiano a proprio carico un disabile.

Per il lavoro notturno è stabilito una soglia massima di 8 ore ogni 24 ore: la contrattazione

collettiva può definire eventuali riduzioni di orario ed eventuali trattamenti indennitari

nei confronti dei lavoratori notturni.

L’esecuzione di lavoro notturno in modo continuativo o in turni regolari, deve essere

comunicato annualmente alla Direzione Provinciale del Lavoro ed alle rappresentanze

sindacali, salvo sia previsto dal contratto collettivo.

il lavoratore verrà adibito al lavoro diurno, qualora sopraggiungano condizioni di salute,

che comportino la inidoneità al lavoro notturno, in mansioni equivalenti se esistenti e

disponibili; se non è possibile, si seguono le modalità stabilite dalla contrattazione

collettiva.

MANSIONI

Il d.lgs. 152/1997 ha imposto al datore di lavoro, pubblico e privato, l’obbligo di fornire al

lavoratore una serie precisa e dettagliata di informazioni relative al rapporto di lavoro:

tipo di lavoro, durata, data di inizio e luogo di lavoro; inquadramento, livello e qualifica

del lavoratore; importo della retribuzione; orario di lavoro e periodo feriale.

La mansione identifica i compiti in concreto espletati dal lavoratore, costituendo in senso

proprio “l’oggetto dell’obbligazione di lavoro”.

La qualifica costituisce la “sintesi” concettuale di un complesso di mansioni: l’insieme

delle mansioni svolte determina il riconoscimento di una specifica qualifica del lavoratore

(per es. saldatore, elettricista; oppure archivista, fattorino).

L’inquadramento nella categoria costituisce il criterio “superiore” di classificazione, tale

da inglobare al suo interno le mansioni e la qualifica: infatti, a seconda delle mansioni

svolte e, dunque, della qualifica attribuita, il lavoratore viene inquadrato in una delle

categorie previste dalla legge o, in qualche caso, dalla contrattazione collettiva.

43

Page 44: Appunti Diritto Del Lavoro

L’art. 2095 c.c. specifica le diverse categorie legali: operai, impiegati, quadri e dirigenti;

mentre una categoria introdotta dalla contrattazione collettiva è rappresentata dalla figura

del funzionario nel settore creditizio - assicurativo, come categoria contrattuale

intermedia fra l’impiegato e il dirigente e prossima, per certi versi, al quadro.

La legge sull’”impiego privato” stabilisce che l’impiegato si caratterizza per:

1) la continuità del rapporto;

2) la professionalità dell’attività svolta;

3) la collaborazione di concetto/ordine, esclusa ogni prestazione che sia semplicemente di

manodopera.

Implicitamente, ne deriva che l’operaio è colui le cui prestazioni si caratterizzano per la

prevalente manualità.

L’impiegato svolge attività di collaborazione all’impresa, mentre l’operaio collabora

nell’impresa, assumendo rilievo il contributo alla produzione della medesima.

Bisogna dire che la distinzione fra operaio e impiegato è ormai rilevante unicamente sotto

il profilo dell’inquadramento, mentre dal punto di vista normativo le differenze, un tempo

rilevanti, si sono assottigliate.

Restano delle diverse discipline, nei CCNL, sul periodo di preavviso e sulla durata dei

periodi di prova (di solito più brevi per gli operai).

Si aggiunga, inoltre, che la necessità di conoscenze teoriche, anche per gli operai, e la

conseguente riduzione dell’apporto manuale a causa dello sviluppo tecnologico, hanno di

fatto assottigliato notevolmente le differenze tra queste due categorie.

Quadri: questa categoria affonda le sue origini storiche nell’esigenza di differenziazione

del ceto impiegatizio “alto”, che però non poteva aspirare alla categoria dirigenziale.

La legge 190/1985 li definisce: “prestatori di lavoro subordinato che, pur non

appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di

rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”,

rinviando la definizione dei requisiti di appartenenza alla categoria ai contratti collettivi.

Tuttavia i contratti collettivi hanno prevalentemente favorito l’accesso alla nuova categoria

degli impiegati di grado più elevato, con l’attribuzione di benefici, non particolarmente

rilevanti, specie di natura economica.

44

Page 45: Appunti Diritto Del Lavoro

Esempio rilevante è l’evoluzione della contrattazione collettiva nel settore creditizio: a

seguito della legge del 1985, si è mantenuta in vita la figura del “funzionario”, sotto -

inquadrando la nuova figura del “quadro”.

Dirigenti: Il problema definitorio è particolarmente rilevante, in quanto si tratta di un

soggetto che è facile confondere con altri, operanti nella sfera giuridica dell’impresa, ma

sulla base di un rapporto di lavoro non subordinato: per es. il mandatario, il procuratore.

La legge definisce dirigenti “i direttori tecnici ed amministrativi e gli altri capi di ufficio, di

servizi con funzioni analoghe”.

La definizione tradizionale, però, della categoria dirigenziale risale all’interpretazione

giurisprudenziale che considera il dirigente come l’alter ego dell’imprenditore, colui cioè

che esercita le proprie funzioni con ampiezza e discrezionalità di poteri su tutta l’impresa

ed essendo sottoposto esclusivamente alle direttive generali del datore di lavoro.

Il nuovo approccio giurisprudenziale, alla luce dei contratti collettivi, è caratterizzato da

una operazione tendente ad allargare “verso il basso” la figura del dirigente, mediante una

proliferazione di figure che sono prive di poteri così ampi, quali quelli implicati dalla

nozione di alter ego dell’imprenditore. Da qui dunque l’individuazione di diversi “gradi”

della stessa unitaria categoria.

Il riconoscimento della qualifica dirigenziale comporta, d'altronde, un trattamento di

specialità, con riferimento, ad es., al regime previdenziale, alla mancata applicazione della

disciplina limitativa e di tutela in materia di licenziamenti individuali e della disciplina in

materia di orari di lavoro.

La contrattazione collettiva ha utilizzato, nel corso degli anni, diverse tecniche ai fini

dell’inquadramento dei lavoratori nelle diverse categorie: fino agli anni ’60, infatti, si era

affermata una distinzione netta, all’interno dei contratti collettivi, di singole “Parti”

dedicate a disciplinare il trattamento economico-normativo degli appartenenti alle diverse

categorie legali; a partire dagli anni ’70, invece, al sistema dell’inquadramento nelle

categorie legali si è sostituito il c.d. inquadramento unico, fondato su una serie di livelli

contrattuali (dei veri e propri contenitori) all’interno dei quali convergono qualifiche sia

operaie che impiegatizie.

45

Page 46: Appunti Diritto Del Lavoro

Per quanto concerne, invece, il potere di modifica delle mansioni, esistono due interessi

talvolta contrapposti:

a) Quello del creditore di lavoro ad un impiego “elastico” della prestazione, in

relazione alle mutevoli esigenze dell’organizzazione produttiva;

b) Quello del lavoratore alla conformità della prestazione alle mansioni convenute al

momento dell’assunzione o comunque compatibili con la categoria di

appartenenza.

L’art. 2103 cod. civ. (vecchio testo) attribuiva al datore di lavoro il potere di adibire il

prestatore di lavoro ad una mansione diversa da quella per la quale è stato assunto,

purché ciò non comporti una diminuzione della retribuzione o un mutamento sostanziale

della sua posizione.

La giurisprudenza, però, aveva di fatto interpretato in maniera non rigorosa questo

principio, arrivando ad ammettere anche le modificazioni peggiorative – purchè

consensuali - della mansione e le modificazioni unilaterali che non recassero un evidente e

grave vulnus alla dignità del lavoratore e alla sua collocazione nell’ambiente di lavoro .

Il nuovo art. 2103 c.c., a seguito della riforma introdotta dallo Statuto dei lavoratori,

ammette la modifica unilaterale della mansione, da parte del datore di lavoro, nel contesto

di una serie di limiti posti a garanzia del lavoratore:

1) Modifiche migliorative (o in senso verticale): sono ammesse e danno diritto, in

presenza di talune condizioni, alla promozione;

2) Modifiche dirette ad attribuire mansioni equivalenti (o in senso orizzontale): sono

rigorosamente regolate;

3) Modifiche peggiorative (o “verso il basso”): sono, in linea di principio,

implicitamente vietate.

Lo ius variandi verticale comporta l’adibizione del lavoratore a mansioni superiori; si

distingue tra spostamento temporaneo – dà solamente diritto al trattamento retributivo

più elevato – e spostamento definitivo – che avviene quando il lavoratore viene adibito a

mansioni superiori per oltre 3 mesi. Questa seconda ipotesi è sottoposta ad una deroga,

relativa al caso in cui lo spostamento è finalizzato alla sostituzione di un lavoratore assente

con diritto alla conservazione del posto di lavoro.

46

Page 47: Appunti Diritto Del Lavoro

Il periodo in cui il lavoratore opera la sostituzione nella mansione superiore deve essere

EFFETTIVO; l’adibizione deve essere PIENA e il periodo deve essere CONTINUATIVO,

fermo restando il possibile configurarsi di una serie di mini-sostituzioni, con effetti

fraudolenti.

Fermo il potere unilaterale di assegnazione da parte del datore di lavoro, la promozione

può essere rifiutata dal lavoratore, non gradendo questi di assumere le maggiori

responsabilità connesse all’acquisizione della qualifica superiore.

Lo ius variandi, in senso orizzontale, è lecito nel caso in cui si registri anche la “equivalenza

professionale”, cioè non si pregiudichi il bagaglio di perizie ed esperienze che

rappresentano il patrimonio professionale del lavoratore.

Un particolare problema che si pone riguarda il trattamento economico in caso modifiche

in senso orizzontale: il problema è se il lavoratore vanta un diritto a conservare il quantum

di retribuzione acquisito nella precedente mansione o possono essere legittimamente

sottratte alcune quote di salario. La giurisprudenza ritiene che non viga un principio di

“irriducibilità” della retribuzione, sicché possono sottrarsi somme connesse a particolari

profili della prestazione che vengono meno a seguito dell’esercizio dello ius variandi.

Lo ius variandi non può comportare l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori: infatti,

sia l’autonomia individuale che collettiva non possono, in linea di principio, disporre una

modificazione peggiorativa della mansione.

In caso di adibizioni inferiori, nonostante il divieto, il lavoratore ha diritto alla tutela

giudiziaria, potendo chiedere al giudice l’accertamento del suo diritto ad essere

riassegnato alla mansione antecedente; un risarcimento del c.d. “danno alla

professionalità” e dei danni maturati ad altro titolo, in alcuni casi anche in ragione del

configurarsi del c.d. mobbing.

PUBBLICO IMPIEGO

Nel silenzio della disposizione legale, non è ammesso lo ius variandi in peius; è ammesso,

invece, lo spostamento ad una “mansione equivalente nell’ambito della classificazione

professionale prevista dai contratti collettivi” e lo spostamento a mansioni superiori nei

casi previsti dalla legge.

47

Page 48: Appunti Diritto Del Lavoro

Il dipendente pubblico potrà essere adibito a mansioni superiori nel caso di obiettive

esigenze di servizio e nel caso di sostituzione di dipendente assente con diritto alla

conservazione del posto: in tutti questi casi, per il periodo della prestazione, il lavoratore

ha diritto al trattamento economico per la qualifica superiore.

Infatti, l’accesso all’impiego pubblico e la progressione alla carriera dovrebbero avvenire

tramite concorsi pubblici: in caso di violazione o elusione di tali obblighi il dirigente che

ha proceduto all’assegnazione, con dolo o colpa grave, incorre in responsabilità contabile,

mentre l’assegnazione non avrà luogo.

TRASFERIMENTO GEOGRAFICO

Ai sensi dell’art. 2103, ult. parte, il lavoratore “non può essere trasferito da una unità

produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e

produttive”.

Il presupposto per la legittimità del licenziamento è, dunque, l’esistenza di una ampia

motivazione, che deve essere portata a conoscenza del lavoratore, se richiesto; il

trasferimento per ragioni discriminatorie è radicalmente nullo; mentre il trasferimento del

dirigente sindacale, privo di previo nulla osta dell’organizzazione sindacale di

appartenenza, è nullo.

13/01/2007

LAVORO A PROGETTO

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Page 49: Appunti Diritto Del Lavoro

L’art. 409 c.p.c. individua i soggetti che hanno diritto all’applicazione del processo di

lavoro ed includendo, in questa facoltà, i “collaboratori continuativi per una prestazione

prevalentemente personale”.

L’utilizzo di questa forma di collaborazione si è sviluppata nel corso del tempo, mentre la

legge Biagi sostituisce questa forma di collaborazione continuativa, con il c.d. lavoro a

progetto; si tratta di una prestazione d’opera di durata caratterizzata da:

• CONTINUAZIONE nel tempo;

• COORDINAZIONE: attività che ha un’inerenza funzionale con l’attività del

committente;

• NATURA PREVALENTEMENTE PERSONALE: il lavoro personale del

prestatore deve prevalere sugli altri elementi.

In base al d.lgs 276/2003 l’elemento decisivo di questa forma di collaborazione è il

progetto: la collaborazione deve, infatti, consistere in una attività coordinata e

continuativa, legata al progetto di lavoro; l’elemento “progetto” deve costituire un limite

per i possibili abusi di questa forma lavorativa.

Il lavoro a progetto è anche definito da una circolare ministeriale, che lo qualifica come

un’attività produttiva ben identificata e funzionale al perseguimento dello scopo o

risultato finale.

Nel caso di mancanza dell’elemento “progetto” in un contratto di lavoro a progetto, il

contratto è nullo e può essere convertito in contratto di lavoro a tempo determinato.

L’art. 69.3 del decreto stabilisce, inoltre, che il controllo giudiziario deve essere limitato

all’accertamento dell’esistenza del progetto e il giudice non può spingersi sino al punto da

chiedere spiegazioni all’imprenditore – chiaro manifesto della limitazione dei controlli da

parte della giurisprudenza del lavoro.

Ai soggetti che continuamente coordinano con un committente si è ritenuto utile estendere

alcune tutele previste per i lavoratori subordinato – es. tutela processuale: processo gratuito,

orale e celere; ma anche tutela previdenziale: pagamento di una aliquota contributiva del

10% con un fondo INPS dedicato alla “parasubordinazione”; nel 2000 è stata, inoltre,

estesa la tutela antinfortunistica, con l’iscrizione dei lavoratori parasubordinati all’INAIL –

La legge Biagi ha, inoltre, stabilito che il compenso del lavoratore deve essere

proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e deve tener conto dei compensi

49

Page 50: Appunti Diritto Del Lavoro

normalmente corrisposti per analoghe prestazioni autonome nello stesso luogo di

esecuzione.

In realtà, questa disposizione pone il problema di capire come e chi possa stabilire quando

il compenso sia proporzionato alla quantità e qualità del lavoro.

La nuova finanziaria riproduce questa definizione, ma tenendo conto dei compensi

spettanti per analoghe prestazioni di lavoro subordinato: il parametro sarà quindi il

contratto collettivo; la norma acquista così rilevanza applicativa.

Altra garanzia, introdotta a favore dei lavoratori parasubordinata, in caso di gravidanza,

malattia e infortunio. consiste nella sospensione del rapporto senza erogazione del

corrispettivo ovvero proroga del termine di conclusione del rapporto (per poi riprenderlo

fino alla scadenza).

Oggetto del contratto è il raggiungimento dell’obiettivo del rapporto stesso.

DIRITTO SINDACALE

16/01/2007

50

Page 51: Appunti Diritto Del Lavoro

Il diritto sindacale nasce in Inghilterra a cavallo tra il XIX e XX secolo, come conseguenza

della rivoluzione industriale: la formazione della coalizione sindacale supplisce, sul piano

collettivo, alla debolezza contrattuale del singolo lavoratore; la coalizione imprenditoriale

si costituisce principalmente come risposta alla coalizione operaia, ma anche per un auto-

interesse ad uniformare le condizioni di lavoro come elemento di un mercato non soggetto

a degenerazioni concorrenziali.

Il contratto collettivo emerge in questa fase come strumento naturale di mediazione del

conflitto sociale: rappresenta, infatti, il raggiungimento dell’equilibrio tra i contrapposti

interessi e una garanzia di tregua sociale.

I primi concordati di tariffe si preoccupano di risolvere i principali aspetti conflittuali tra

le classi; due erano, infatti, i temi scottanti: la retribuzione ( per i lavoratori: strumento

principale di sussistenza; per le imprese: un costo) e la tutela dell’ambiente di lavoro ( per i

lavoratori: un diritto fondamentale; per le imprese: un costo e un vincolo gestionale).

Oggi lo strumento di composizione dei conflitti rimane uguale: il contratto collettivo

rappresenta, infatti, la sede naturale di governo dei processi produttivi.

La Costituzione Repubblicana del 1948 si preoccupa di sancire il principio di libertà di

organizzazione sindacale – art. 39 - il diritto di sciopero – art. 40 - e la predisposizione di

un modello specifico di contrattazione; su questi presupposti si è sviluppato un

ordinamento sindacale di fatto, la cui razionalizzazione giuridica si fonda ancora in buona

misura sulle regole del diritto privato.

Il diritto sindacale si caratterizza per il bassissimo tasso di giuridificazione: le norme che

disciplinano questo settore sono poche, mentre l’assetto dei rapporti istantanei tra le parti

sociali è contenuto all’interno dei contratti collettivi.

Proprio a tal proposito giova citare la teoria formulata dal filosofo tedesco Kelsen, il quale

riteneva che “il diritto sindacale fosse un ordinamento giuridico autonomo che dialoga

con l’ordinamento giuridico statale”.

L’associazionismo sindacale vede il proliferare di differenti forme e modelli di

organizzazione e precisamente:

1. SINDACALISMO DI MESTIERE: aggrega sindacalmente i lavoratori sulla base

della loro professione - es. sindacato nel quale si organizzano i camionisti, quale

che sia l’attività svolta nella impresa presso la quale sono occupati.

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Page 52: Appunti Diritto Del Lavoro

Si tratta di un modello tipico degli USA, ma poco diffuso in Italia (anche se non

mancano le eccezioni);

2. SINDACALISMO DI INDUSTRIA: Aggrega sindacalmente i lavoratori sulla base

del settore produttivo nel quale operano, a prescindere dal tipo di mansioni svolte -

es. sindacato nel quale si organizzano tutti i dipendenti delle imprese tessili

(camionisti, contabili, addetti alla lavorazione del prodotto). Modello accolto in

Italia;

3. STRUTTURE SINDACALI ORIZZONTALI: raggruppano tutti i lavoratori residenti

in un area territoriale determinata – es. le Camere del lavoro e le Unioni sindacali;

4. STRUTTURE SINDACALI VERTICALI: raggruppano ai vari livelli i lavoratori

appartenenti ad una professione o ad una categoria – es. le federazioni provinciali,

regionali o nazionali di categoria.

In Italia c’è una combinazione dei due modelli, ma le funzioni negoziali sono esercitate

prevalentemente dalle strutture verticali.

Mentre la Camera del lavoro si occupa di questioni ad ampio spettro e coinvolge tutti i

lavoratori dell’area territoriale cui si riferisce, fornendo loro i più svariati servizi, invece la

federazione si preoccupa di determinate categorie e le tutela attraverso gli accordi e lo

strumento collettivo ( alla contrattazione prende parte il segretario della federazione

nazionale di categoria).

L’art. 39 Cost. stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera – principio costituzionale di

libertà sindacale - ; si tratta di una nozione con molti possibili significati e parte della

dottrina ha cercato di compiere una destrutturazione concettuale di questo principio.

In particolare, la concezione riduttiva del principio di libertà sindacale ha creduto di

poter affermare l’equivalenza concettuale dell’art. 39 Cost. con l’art. 18 Cost. : il principio

di libertà sindacale si trasforma, quindi, in una mera espressione particolare del principio

generale di libertà d’associazione.

Inoltre, alla stregua della concezione liberale classica, la libertà associativa figura quale

sinonimo di assenza formale di divieti di associazione – ciò che non è proibito, è permesso

- ma un principio di libertà associativa inteso in questo senso implica solo una tutela nei

confronti di ingerenze esterne volte ad impedire l’esercizio del diritto di associazione.

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Page 53: Appunti Diritto Del Lavoro

A questa impostazione riduttiva si affianca una concezione attiva del principio di libertà

sindacale che implica non solo la garanzia di non ingerenza, ma anche un intervento

promozionale e di sostegno.

Un altro possibile doppio significato del principio di libertà sindacale allude alla

distinzione tra libertà sindacale positiva - libertà per i singoli lavoratori di aderire ad una

associazione sindacale – e libertà sindacale negativa - libertà per i singoli lavoratori di non

aderire ad una associazione sindacale; il nostro ordinamento giuridico garantisce non solo

la libertà positiva, ma anche quella negativa, tradotta in una norma dello Statuto dei

Lavoratori che si preoccupa di affermare il divieto di discriminazione dei lavoratori con

riferimento ad una eventuale appartenenza o meno ai sindacati.

L’Italia ha quindi compiuto una scelta diversa rispetto all’esperienza anglosassone - in cui

i closed shop e l’union shop obbligano i lavoratori ad aderire alle organizzazioni sindacali e i

datori di lavoro ad assumere solo lavoratori iscritti al sindacato.

Ma il principio di tutela della libertà sindacale ha anche assunto una veste internazionale

(convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; Carta

sociale europea; Convenzioni OIL; patto internazionale sui diritti economici sociali e

culturali).

Il principio di libertà sindacale trova la sua concretizzazione sotto un duplice piano:

• Sul piano classico delle garanzie di non ingerenza: lo stato non può

compiere atti che risultino lesivi di tale libertà e non può imporre la

rilevanza della categoria di azione del sindacato;

• Sul piano attivo della dimensione promozionale: l’attenzione si sposta

dalla astensione dei pubblici poteri alla collaborazione richiesta nei

rapporti intersoggettivi di carattere privato - Il diritto a svolgere attività

sindacale nei luoghi di lavoro; il diritto a partecipare liberamente alle

azioni di autotutela; il diritto di usufruire dei diritti sindacali di natura

collettiva.

Lo Statuto dei lavoratori (l. 300/1970) rappresenta una legge di attuazione dei principi

costituzionali, in cui sono espressi i diritti di garanzia individuale – che attribuiscono i

diritti civili e politici costituzionali anche ai cittadini che svolgono la propria attività

nell’ambito dell’impresa – e misure di sostegno al sindacato - la legislazione

53

Page 54: Appunti Diritto Del Lavoro

“promozionale” del sindacato nell’impresa come attuazione del principio costituzionale di

libertà sindacale.

La norma, sintesi delle due dimensioni, è certamente l’art. 28 della l. 300/1970, norma di

effettività che legittima l’azione giudiziaria da parte degli organismi locali

dell’organizzazione sindacale nazionale che ne abbia interesse ( l’interesse va valutato alla

stregua dell’esigenze collettive e non del singolo caso concreto).

I soggetti della libertà sindacale nell’ordinamento italiano sono le organizzazioni

sindacali, titolari dei diritti attribuiti dalla Costituzione; sono sindacali tutte le

organizzazioni, anche occasionalmente costituite per la tutela di interessi economico

professionali, che attivano strumenti di azione collettiva.

L’art. 39 Cost. parla di tutela dell’organizzazione e non dell’associazione , poiché

l’organizzazione è concetto più ampio di associazione che consente di ampliare la tutela

alle forme di sindacalismo spontaneo e fluido (es. i Cobas).

Il modello organizzativo scelto dall’organizzazione sindacale è l’associazione non

riconosciuta: la Costituzione attribuisce a carico dei sindacati una personalità giuridica

speciale, con la registrazione degli stessi presso uffici locali o centrali; la norma, tuttavia, è

rimasta inattuata a causa del rifiuto dei sindacati di subire qualsiasi forma di ingerenza da

parte delle autorità amministrative.

Il modello dell’associazione non riconosciuta comporta una debolissima regolazione

giuridico - normativa che trova la sua norma paradigmatica nell’art. 36 c.c. :

“L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone

giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”.

Il principio di autoregolamentazione per la gestione degli affari interni del sindacato ha

permesso di stabilire autonomamente le regole della democrazia interna e si coniuga con

la sempre forte aspirazione politica dei sindacati.

La disciplina codicista è però al più idonea a regolare l’attività interna, ma non anche

l’attività esterna; questa scelta è poco efficace dal punto di vista dei rappresentati

patrimoniali, infatti in caso, ad es. , di assunzione di obbligazioni, alle quali non è possibile

far fronte, la responsabilità và al tesoriere che risponde del mancato adempimento delle

obbligazioni – trattandosi di autonomia patrimoniale imperfetta.

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Page 55: Appunti Diritto Del Lavoro

24/01/2007

La Costituzione Italiana contempla tre disposizioni che disciplinano soggetto ed azione

sindacale: il principio di libertà di organizzazione sindacale ( art. 39.1), il diritto di

sciopero ( art. 40) e un modello di contrattazione collettiva ( art. 39.2 ss rimasto inattuato).

Malgrado ciò, la razionalizzazione giuridica del soggetto e dell’azione sindacale, si fonda

ancora in buona misura sulle regole del diritto privato.

La scelta del modello dell’associazione non riconosciuta costituisce sicuramente una

reazione all’esperienza corporativa del regime fascista allorché i sindacati erano soggetti

pubblici, sottoposti ad un rigido sistema di controlli.

Le relazioni industriali sono figlie dei tempi, pertanto è possibile distinguere diverse fasi:

• ANNI ’50: si registra una forte centralizzazione della contrattazione collettiva, in

cui prevalgono gli accordi interconferenziali, che valgono per tutti i lavoratori a

prescindere dal settore economico di appartenenza (nascono proprio in questa fase,

ad es. , gli accordi sui licenziamenti collettivi), mentre i contratti aziendali ancora

NON esistono;

• ANNI ’60: si afferma il contratto nazionale di categoria quale contratto principale,

contemporaneamente al nascere di contratti collettivi a livello aziendale ( solo nelle

aziende più grandi); sorge l’esigenza di regolamentare i rapporti fra i contratti

collettivi di categoria e i contratti aziendali. Le clausole di rinvio erano contenute

nei contratti collettivi nazionali di categoria, con le quali si assegnava un ruolo

specifico ai contratti collettivi aziendali – es. “premi di produttività”, materia,

questa, disciplinata dai contratti aziendali; mediante le clausole di tregua le parti

sociali disciplinavano, invece, i modi di esercizio del diritto di sciopero, impedendo

che si realizzasse un eccessivo incremento della contrapposizione tra lavoratori e

datore di lavoro;

• ANNI ’68 – ’73: si registra una forte aggressività da parte dei sindacati,

contemporaneamente all’esplosione del pluralismo sindacale – anche di ridotte

dimensioni e critica alle confederazioni storiche (CGL, CISL, UIL). La contrattazione

si sposta a livello aziendale: il contratto aziendale diventa prioritario rispetto al

contratto interconferenziale. Questa rivendicazione nasce dal “basso”, direttamente

55

Page 56: Appunti Diritto Del Lavoro

dai lavoratori e viene regolamentata dallo Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970):

L’obiettivo dello Statuto era quello di rafforzare la presenza sindacale nei luoghi di

lavoro in una fase in cui l’organizzazione sindacale appariva insidiata da due lati:

dagli imprenditori sempre ostili al riconoscimento del sindacato nell’azienda e dai

gruppi spontanei che tendevano a contestare la funzione del sindacato. Solo i

sindacati “maggiormente rappresentativi” possono creare Rappresentanti Sindacali

Aziendali (RSA); si cerca, così, di limitare lo spontaneismo sindacale.

• ANNI ’80: si riafferma l’importanza dei contratti collettivi interconferenziali allo

scopo di affrontare la crisi economica, che nel frattempo era scoppiata in Italia, e di

riorganizzare la materia del costo del lavoro, che era notevolmente aumentato – es.

accordo sulla scala mobile a livello nazionale ( si blocca la corsa della retribuzione e

si prevede una “indicizzazione” – l’inflazione era pari al 10%). Il governo interviene

direttamente anche nella contrattazione mediante gli accordi triangolari (Governo,

sindacati, datori di lavoro), assumendosi impegni legislativi e di risorse economiche

ed introducendo meccanismi che permettevano l’ingresso dei giovani nel mondo

del lavoro;

• ANNI ’90 AD OGGI: viene approvato il protocollo del 1993, considerato la “carta

costituzionale delle relazioni industriali italiane” che stabilì le competenze e

l’oggetto della contrattazione collettiva, disciplinando i compiti nei vari livelli della

contrattazione e regolamentando le procedure del rinnovo dei contratti.

PROCEDURE DI RINNOVO DEI CONTRATTI

3 mesi prima la scadenza del contratto collettivo, si avviano le trattative per il rinnovo; i

sindacati presentano la piattaforma rivendicativa; nei 3 mesi prima della scadenza fino ad 1

mese successivo la scadenza è vietato scioperare.

Se l’accordo non viene trovato, allora si dovrà prevedere una indennità di “vacanza

contrattuale”.

In caso di violazione di queste regole procedurali, è bene ricordare che, non essendo

giustiziabili ed essendo impegni politico - sindacali, non si può chiedere il risarcimento.

L’art. 28 dello Statuto sanziona, però, le condotte antisindacali, con la cessazione degli

effetti e delle condotte.

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Page 57: Appunti Diritto Del Lavoro

Il termine unico di durata dei contratti collettivi è pari a 4 anni ad eccezione della parte

retributiva – che si contratta ogni 2 anni.

RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE

In passato, nel caso di difformità tra contratto collettivo & contratto aziendale, si sono

usati diversi criteri:

1. FAVOR LAVORATORI: prevale il contratto che prevede migliori condizioni per i

lavoratori;

2. GERARCHIA: si cerca di elaborare una gerarchia tra i contratti, stabilendo che il

contratto collettivo è gerarchicamente superiore rispetto a quello aziendale – in

realtà questo criterio non ha appigli normativi;

3. CRONOLOGICO: si applica il contratto più recente.

Il protocollo introduce un criterio di SPECIALITA’: il contratto collettivo è un contratto

“quadro”, mentre quello aziendale può intervenire a regolamentare soltanto alcune

specifiche materie.

Nel settore della retribuzione, il contratto aziendale si occupa solo degli istituti retributivi

collegati alla produttività, mentre paga base e contingenze vengono regolamentate dal

contratto nazionale.

Lo Statuto dei lavoratori inserisce i sindacati aziendali nella dialettica tra spontaneismo e

organizzazione, determinando un coordinamento stabile tra attività sindacale aziendale e

sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale ( lo spontaneismo è stato

sempre invocato dalla CISL, mentre la CGL ha sempre invocato una maggiore

organizzazione).

L’art. 19 dello Statuto stabilisce che rappresentanze sindacali aziendali possono essere

costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito:

A) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano

nazionale;

B) delle associazioni sindacali, non affiliate alle queste confederazioni, che siano firmatarie

di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva.

57

Page 58: Appunti Diritto Del Lavoro

Si riconosce la spontaneità nella formazione delle RSA, su iniziativa dei lavoratori; ma la

RSA deve avere un punto di riferimento esterno: deve cioè operare nell’ambito delle

associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

La norma prevede un duplice criterio:

• Criterio storico: fotografa la realtà italiana;

• Criterio empirico: in base al quale, anche se le RSA non sono affiliate a queste

organizzazioni, devono però aver stipulato contratti collettivi nazionali.

Si riteneva che l’art. 19 fosse incostituzionale, dunque, perché contrastante con la libertà di

organizzazione sindacale.

La Corte Costituzionale, chiamata a sindacare sulla legittimità costituzionale di questa

norma, ha ritenuto che la scelta di introdurre una differenziazione di trattamento per i

sindacati, non comportasse una reale disparità: si tratta, infatti, di una differenziazione di

trattamento razionale, tesa ad evitare una eccessiva “frammentazione” delle organizzazioni

sindacali – sentenza n°30/1990.

In realtà, questa tecnica di selezione dei soggetti che possono costituire RSA, appare

invecchiata e, a causa della crisi che attraversa i sindacati maggiormente rappresentativi, si

rischia di ledere la libertà sindacale ( tipico esempio di sentenza monito).

Nel 1195 è stato indetto un referendum abrogativo mediante il quale l’art. 19 è stato

modificato, eliminando il riferimento alle confederazioni maggiormente rappresentative.

Oggi l’art. 19 legittima la costituzione di RSA nell’ambito delle associazioni firmatarie di

contratti collettivi applicati nell’unità produttiva.

Il criterio storico è stato eliminato, mentre il criterio tecnico – empirico allude sia al

contratto collettivo nazionale sia al contratto aziendale.

Neppure questo nuovo inquadramento, però, è esente da critiche: infatti, ci si chiede se

questo criterio sia davvero ragionevole e allargasse troppo l’operatività dell’art. 19.

Il problema che si pone è quello riguardante la distinzione tra sottoscrizione del contratto

effettivo e sottoscrizione del contratto per adesione: molto spesso le organizzazioni

sindacali aderiscono successivamente al contratto senza partecipare alla contrattazione:

possono considerarsi firmatari?

La Corte Costituzionale considera firmatari solo i sindacati che hanno sottoscritto

effettivamente il contratto, partecipando anche alla contrattazione e alle trattative.

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Page 59: Appunti Diritto Del Lavoro

Ma ancora una volta ci richiede chi debba decidere quali organizzazioni sindacali devono

sedere al tavolo delle trattative.

Recentemente le vecchie RSA sono state sostituite dalle rappresentanze sindacali unitarie,

nel tentativo di contemperare l’esigenza di avere un unico soggetto che rappresenti i

lavoratori e la necessità di includere anche le organizzazioni non legittimate a creare RSA.

Le RSU sono elette liberamente, tuttavia 1/3 delle rappresentanze vengono eletti

nell’ambito dei sindacati maggiormente rappresentativi.

26/01/2007

CONTRATTO COLLETTIVO

Il contratto collettivo rappresenta una fonte del diritto del lavoro, che pone però due

distinte questioni:

1. efficacia soggettiva : cioè permette di stabilire a chi non si applica il contratto

collettivo;

2. efficacia oggettiva : cioè permette di individuare gli effetti che il contratto produce

nei confronti dei soggetti a cui si applica.

EFFICACIA SOGGETTIVA

Un secolo dopo le prime esperienze negoziali, l’efficacia soggettiva del contratto collettivo

è ancora un problema; esistono almeno tre tentativi, superati o falliti per motivi diversi, di

risolvere il problema.

1. SOLUZIONE CORPORATIVA: entrambi i problemi (efficacia soggettiva e

oggettiva) erano risolti attraverso la pubblicizzazione del sindacato e delle sue

attività contrattuali; il contratto collettivo diventava, così, una fonte del diritto,

poiché ricompresso tra le norme corporative, con efficacia generale. Questo metodo

risolveva i problemi dell’efficacia, ma a prezzo della compressione della libertà

sindacale;

2. SOLUZIONE IMMAGINATA DAL COSTITUENTE: l’art. 39.1 sancisce la libertà di

organizzazione sindacale e prevede la registrazione dei sindacati che producono

contratti collettivi erga omnes. La scelta costituzionale si fondava sulla

consapevolezza della frammentazione ideologica del sindacalismo italiano e sulla

necessità di trovare un criterio in grado di conciliare pluralismo sindacale e

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Page 60: Appunti Diritto Del Lavoro

disciplina unitaria dei rapporti di lavoro. In realtà, l’impostazione costituzionale è

rimasta inattuata a causa dei timori di ingerenza statuali nella vita associativa

interna, con conseguenti controlli sulla democraticità; a ciò si aggiunse anche

l’opposizione dei sindacati minoritari, collaterali alle forze di governo e ai quali era

preclusa la possibilità di intervenire nella definizione del contratto collettivo.

3. LEGGE VIGORELLI ( 741/1959): prevedeva un meccanismo di recezione dei

contratti collettivi attraverso una serie di decreti delegati, mediante i quali si

riconosceva efficacia erga omnes anche ai contratti collettivi.

L’art. 39 Cost. finì per operare in senso “ostativo” per l’elaborazione di altri meccanismi, i

quali finivano per essere dichiararti incostituzionali rispetto allo stesso.

L’insuccesso dei tentativi determina il ritorno al punto di partenza: l’efficacia del contratto

collettivo affidata alle regole del diritto comune dei contratti.

Sulla base del principio della rappresentanza di diritto comune, il contratto collettivo

avrebbe dovuto vincolare soltanto gli iscritti alle organizzazioni sindacali che lo hanno

stipulato.

In via generale, quindi il contratto collettivo ha efficacia soggettiva limitata ai lavoratori

iscritti ai sindacati stipulanti e occupati alle dipendenze di un impresa iscritta

all’associazione datoriale stipulante.

Tuttavia nella prassi, problemi di natura gestionale e contabile inducono i datori di lavoro

- a prescindere dai vincoli giuridici - a non operare distinzioni di trattamento fra iscritti e

non iscritti alle associazioni sindacali ( es. difficoltà di pianificazione dei costi, doppia

contabilità, ecc.).

La tesi della “doppia iscrizione” è solo un punto di partenza, in buona misura superato:

Sul piano dei fatti, l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi di diritto comune si è

rivelata molto più ampia.

Nella seconda metà degli anni ‘70, la giurisprudenza di legittimità accoglie e ratifica una

precedente tesi dottrinaria: elemento decisivo per la generalizzazione degli effetti del

contratto collettivo è costituito dalla iscrizione DEL SOLO DATORE DI LAVORO.

Pertanto, nell’azienda, il cui datore di lavoro non è iscritto all’associazione stipulante, si

crea un’ area di non applicazione del contratto collettivo (anche i lavoratori iscritti al

sindacato rimangono esclusi).

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Page 61: Appunti Diritto Del Lavoro

In realtà è la giurisprudenza ha giocare, proprio in questo ambito, un ruolo fondamentale,

prospettando al contempo diverse soluzioni:

Clausola esplicita di rinvio contenuta nel contratto individuale;

Il comportamento concludente: applicazione spontanea e costante del

contratto collettivo da parte del datore di lavoro che non vi sia tenuto;

In sede processuale: necessità di eccepire la non applicazione del contratto

collettivo al momento della costituzione in giudizio.

Di notevole rilevanza pratica è la tesi giurisprudenziale regina, che si basa sul combinato

disposto degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c.

L’art. 36 Cost. sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e

sufficiente; l’art. 2099 c.c. stabilisce, invece, che in mancanza di norme corporative o di accordo

tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice. L’intervento del giudice ex art. 2099

consente, quindi, di adeguare il contenuto del contratto ai principi costituzionali,

affermando il diritto ad una retribuzione sufficiente.

Il lavoratore dovrà, perciò, rivolgersi al giudice che determinerà la retribuzione ai sensi

dell’art. 2099 c.c. e dovrà fornire sia il parametro di valutazione che l’atto – rappresentato

dal contratto collettivo.

A partire dagli anni ’50, la giurisprudenza consolidata utilizzò quale parametro della

sufficienza le tabelle retributive contenute nei contratti collettivi, nelle quali era possibile

ravvisare quei dati di esperienza – come momento di equilibrio tra confliggenti interessi -

che potevano costituire un ragionevole punto di riferimento per il giudizio equitativo.

L’estensione indiretta dei contratti collettivi fondata sull’art. 2099 si fonda su una

interpretazione analogica della norma: i giudici intervengono non solo quando manca

l’accordo sulla retribuzione, ma anche quando l’accordo c’è ma è nullo in quanto contrario

all’art. 36 Cost.

La tesi regina però risolve solo in parte il problema dell’efficacia soggettiva dei contratti

collettivi di diritto comune nell’ordinamento italiano, in quanto il giudice è vincolato al

rispetto del solo precetto costituzionale, mentre il contratto collettivo resta solamente un

parametro: rimane una tipica espressione giudiziale dell'equità del caso singolo, inidonea

a produrre effetti al di là delle parti in giudizio ed è limitata alle sole clausole retributive.

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Page 62: Appunti Diritto Del Lavoro

L’estensione dell’efficacia dei contratti collettivi si è fondata anche su meccanismi legali

che impongono al datore di lavoro, a prescindere dalla sua appartenenza o meno ai

sindacati, l’applicazione dei contratti collettivi – es. art. 36 dello Statuto dei Lavoratori

stabilisce che i soggetti imprenditori, che beneficiano di contributi di varie forme per conto

di enti pubblici (opere o servizi) sono tenuti al rispetto dei contratti collettivi.

Tutte le tesi giurisprudenziali elaborate al fine di estendere la sfera di efficacia del

contratto collettivo di diritto comune presuppongono la funzione acquisitiva del contratto

collettivo; infatti, storicamente il problema dell’efficacia soggettiva dipendeva dalla

richiesta dei lavoratori di applicare il contratto.

Ma nei casi di contrattazione ablativa, il problema sociale non è più la richiesta di

applicazione del contratto, ma la “fuga” dallo stesso: oggi, quindi, il contratto collettivo, se

prima rappresentava un veicolo per l’acquisizione di nuovi diritti per i lavoratori,

rappresenta anche lo strumento per la distribuzione di “sacrifici” – es. in tema di cassa

integrazione guadagni, il contratto collettivo prevede criteri più rigorosi e rigidi rispetto a

quelli previsti dalla legge.

La Corte Costituzionale, chiamata a sindacare la legittimità costituzionale della l. 223/1991

( in materia di licenziamenti collettivi ed efficacia generalizzante di questi accordi) rispetto

all’art. 39 Cost., ha rigettato la questione, stabilendo che essa è infondata nella parte in cui

prevede che un accordo sindacale possa stabilire criteri di scelta dei lavoratori da

licenziare per riduzione di personale diversi da quelli previsti dalla stessa norma.

La Corte è riuscita a superare l’effetto di blocco dell’art. 39 Cost. evidenziando che gli

accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità

non appartengono alla specie dei contratti collettivi normativi, i soli di cui si occupa l'art.

39 Cost. : si tratta di un tipo diverso di contratto, la cui efficacia si esplica esclusivamente nei

confronti degli imprenditori stipulanti; dunque i contratti collettivi di

procedimentalizzazione NON SONO i contratti collettivi di cui si occupa l’art. 39 Cost.

Sono contratti diversi perché il contratto collettivo incide sul singolo prestatore di lavoro

soltanto indirettamente, attraverso l'atto di recesso del datore, vincolato dalla legge al

rispetto dei criteri di scelta concordati in sede sindacale; il diritto alla conservazione del

posto non preesiste all'accordo sindacale, ma dipende da questo e si identifica col diritto

all'applicazione dei criteri di scelta in esso previsti.

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Page 63: Appunti Diritto Del Lavoro

Secondo la Consulta, il problema dell'efficacia erga omnes del contratto collettivo si pone

solo per i contratti normativi, non per quelli che proceduralizzano poteri datoriali

altrimenti illimitati.

Secondo parte della giurisprudenza, poi, si può considerare conforme a Costituzione una

forma di federalismo retributivo, in quanto il contratto collettivo rappresenta un mero

parametro dal quale è legittimo discostarsi.

In seguito ad una pronunzia di II grado, in cui il Tribunale riteneva che in Sicilia, per

ragioni legate all’ambiente e al minor costo della vita, non si dovesse applicare per intero il

contratto collettivo in tema di retribuzione, ma solo parzialmente, la Cassazione ( 2001) ha

ricostruito l’iter argomentativi che il giudice deve seguire per derogare il contratto

collettivo: egli dovrà verificare concretamente il potere d’acquisto della forza lavoro.

Tale valutazione dovrà essere compiuta con riferimento al costo dei beni primari e dei

fondamentali servizi pubblici – dati oggettivi hanno, infatti, dimostrato che sui Siciliani

gravano oneri più pesanti in tema di servizi sanitari -; la Cassazione ha inoltre aggiunto

che esiste un “minimo” costituzionale a cui il giudice deve uniformarsi ( paga – base &

contingenze), altrimenti si rischia di legittimare forme di sfruttamento.

Questa sentenza ha così di fatto limitato il potere discrezionale del giudice, il federalismo

retributivo e le c.d. gabbie salariali.

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Page 64: Appunti Diritto Del Lavoro

27/01/2007

EFFICACIA OGGETTIVA

Il problema dell’efficacia oggettiva del contratto collettivo riguarda il rapporto tra

contratto collettivo e contratto di lavoro individuale: si vuole, cioè, evitare che i lavoratori

finiscano per vanificare la funzione della contrattazione collettiva, accettando condizioni

di lavoro deteriori rispetto a quelle collettive.

Tradizionalmente si ritiene che la legge determini i minimi riconosciuti, il contratto

collettivo deroghi in meius, mentre il contratto di lavoro individuale deroghi solo in meius

il contratto collettivo.

In realtà, la stessa natura giuridica del contratto collettivo pone il problema di capire

perché il contratto individuale non lo possa derogare.

Diverse sono, quindi, state le giustificazioni fornite per spiegare questa inderogabilità:

1. GIURISPRUDENZA: adotta una sorta di “scorciatoia”, ricorrendo all’art. 2077 c.c.

in base al quale i contratti individuali devono uniformarsi alle disposizioni dei

contratti collettivi le clausole difformi dei contratti individuali sono sostituite di

diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni

più favorevoli ai prestatori di lavoro. Questa ricostruzione pragmatica,

apparentemente semplice e inattaccabile, in realtà non può essere accettata perché

l’art. 2077 si riferisce esclusivamente ai contratti collettivi corporativi, rientranti tra

le fonti del diritto, e questo richiamo già basta a rendere questa soluzione

inappropriata;

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Page 65: Appunti Diritto Del Lavoro

2. DOTTRINA: invita a ricorrere alle regole privatistiche ed in particolare: teoria del

mandato, in base alla quale il lavoratore, aderendo al sindacato, automaticamente

conferisce un mandato a formulare contratti collettivi.

A ciò si può obiettare però che sicuramente lo schema della rappresentanza è utile a

spiegare il vincolo soggettivo, ma non riesce, invece, a chiarire perché il lavoratore

non possa riappropriarsi della materia, modificando la disciplina stabilita dal

sindacato. Ricorrendo alle norme del codice civile – che sanciscono l’irrevocabilità

del mandato quando questo è conferito anche nell’interesse del mandatario ovvero

da più persone per un interesse comune – si può sostenere che la pattuizione

difforme del contratto individuale viene qualificata come una revoca del mandato

conferito alla associazione sindacale; una revoca giuridicamente impossibile, vista

la particolare natura del mandato. Ma neppure questo iter argomentativi ci soddisfa

poiché si finisce per ritenere impossibile anche una deroga in meius; inoltre, se

nonostante il divieto di revoca, in via di fatto, si dovesse stipulare un contratto

individuale difforme rispetto a quello collettivo, allora sorgerebbe solo un obbligo

di risarcimento dei danni che deve però essere richiesto da tutti i lavoratori;

ALTRA PARTE DELLA DOTTRINA, invece, fonda il potere originario dei sindacati

sull’art. 39 Cost. : dalla Costituzione sarebbe possibile ricavare una riserva a favore dei

sindacati a regolare gli interessi collettivi dei lavoratori.

Il sindacato non è rappresentante di interessi altrui, ma gestisce un interesse proprio ed

esclusivo. Questa impostazione si fonda, però, su una norma Costituzionale, di fatto,

rimasta inattuata e risulta, quindi, priva di qualsiasi appiglio giuridico.

Fino al 1973, non esistevano norme in grado di integrare gli effetti del contratto, nel senso

di “obbligare le parti” alla inderogabilità in peius del contratto collettivo ad esse

applicabile; nel 1973, però, a seguito di una modifica sostanziale del processo del lavoro è

stata introdotta una regola attinente le rinunzie e le transazioni, compiute dai lavoratori.

L’art. 2113 c.c. (modificato) stabilisce, infatti, che le rinunzie e le transazioni che hanno per

oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei

contratti collettivi, non sono valide.

Il lavoratore non può disporre dei propri diritti – né con rinunzie, né con transazioni – che

gli sono stati riconosciuti dai contratti collettivi ( di diritto comune e non più corporativi).

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Page 66: Appunti Diritto Del Lavoro

La pattuizione individuale peggiorativa è un atto di rinuncia (invalido) ad un diritto

inderogabile.

Tuttora permane la divaricazione tra dottrina e giurisprudenza che continua, ancor’oggi,

ad applicare l’art. 2077 per giustificare l’inderogabilità del contratto collettivo rispetto a

quello individuale.

Ma l’inderogabilità del contratto collettivo di cui parla il 2077 consiste nella nullità e

sostituzione automatica delle clausole individuali difformi; mentre, invece,

L’inderogabilità di cui parla il 2113 si identifica nella annullabilità di quelle clausole

(qualificate alla stregua di rinunzie o transazioni).

LO SCIOPERO

L’art. 40 Cost. sanziona lo sciopero come diritto pubblico di libertà; si tratta di un

riconoscimento importante “in sé e per sé” - durante il regime fascista, costituiva, infatti,

un reato.

Né la Costituzione, né la legge ci danno, però, una definizione dello sciopero e così nel

tempo sono state elaborate diverse nozioni.

Lo sciopero è, quindi, stato definito come “astensione concertata e completa dal lavoro,

effettuata dai lavoratori nei confronti di un datore di lavoro per tutelare un proprio interesse

economico – professionale”.

Si tratta di una definizione dottrinale troppo antica e inadeguata; la completezza dovrebbe

essere uno dei requisiti della nozione, ma vi sono forme di sciopero che si caratterizzano

proprio per l’incompletezza: i lavoratori cercano di fare il massimo danno al datore di

lavoro e al contempo il minimo danno per sé stessi – es. sciopero articolato distinto in

sciopero a singhiozzo, in cui si alternano periodi di lavoro a momenti di sciopero

comportando quindi il massimo danno per il datore, e lo sciopero a scacchiera, in cui si

alternano nello sciopero i vari reparti.

La definizione dottrinale, inoltre, considera lo sciopero come un’astensione effettuata per

tutelare un proprio interesse economico – professionale; si cerca così di delimitare la

nozione di sciopero, ma, soprattutto negli ultimi anni, almeno il 50% degli scioperi non

perseguono questi scopi, né presentano queste caratteristiche – si pensi agli scioperi

politici in cui le rivendicazioni sono rivolte a soggetti terzi rispetto ai datori di lavoro.

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Page 67: Appunti Diritto Del Lavoro

Pertanto, se si accettasse questa definizione, gran parte degli scioperi, regolarmente

effettuati, sarebbero illegittimi; questi limiti sono, quindi, stati superati tanto dalla

dottrina, quanto dalla giurisprudenza.

La Cassazione, nella sentenza 711/1980, ha stabilito che si considera sciopero ciò che tale è

considerato dalla prassi nelle relazioni industriali italiane e, non esistendo

nell’ordinamento una definizione di sciopero, non sono ammissibili limiti interni.

In realtà un limite interno va ravvisato nella necessità di distinguere tra “danno alla

produzione” (ammissibile) e “danno alla produttività” ( cioè capacità dell’impresa di

sopravvivere allo sciopero – inammissibile).

Vi sono, infatti, attività produttive che richiedono di non spegnere i forni e quindi lo

sciopero non può riguardare i lavoratori occupati a mantenere acceso il forno – c.d.

comandate: gruppi di lavoratori che, pur se in sciopero, devono assicurare la presenza sul

posto di lavoratori.

Il diritto di sciopero va, inoltre, incontro a limiti esterni, nel senso che esso può essere

limitato solo in considerazione dell’esigenza di tutelare altri diritti di pari dignità

costituzionale: è, quindi, inevitabile la necessità di operare un “contemperamento” tra

diritto di sciopero e diritti della persona costituzionalmente garantiti.

Il primo intervento normativo – dopo i vari tentativi di “autoregolamentazione”, intorno

agli anni ’80 – risale alla l. 146/1990, con la quale si stabiliscono i diritti della persona

costituzionalmente tutelati che non devono essere intaccati dallo sciopero; i servizi

funzionali al soddisfacimento di tali diritti; le prestazioni minime da garantire.

Prima dell’entrata in vigore di questa legge, con una serie di sentenze interpretative di

rigetto (che quindi lasciavano in vita le norme incriminatrici), la Corte Costituzionale

aveva stabilito che l’esercizio del diritto di sciopero è costituzionalmente tutelato anche nel

caso di abbandono individuale o collettivo di pubblico servizio, in quanto il

contemperamento tra diritto di sciopero e altri diritti costituzionali non può comportare

una compressione totale del primo.

Deve però essere comunque assicurato - per legge, per accordo o per

autoregolamentazione - un nucleo minimo di prestazioni indispensabili.

La legge, originariamente, riguardava solo i lavoratori subordinati, ma nel 2000 è stata

estesa anche ai lavoratori autonomi – sottoposti quindi alle regole sulle astensioni nei

“servizi pubblici essenziali” ( es. avvocati, farmacisti, autotrasportatori ecc.).

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Page 68: Appunti Diritto Del Lavoro

Diritti della persona costituzionalmente tutelati sono:

Vita;

Salute;

Libertà e Sicurezza;

Libertà di circolazione;

Assistenza e previdenza sociale;

Istruzione e Comunicazione.

Nell'ambito dei servizi pubblici essenziali, il diritto di sciopero è esercitato nel rispetto di

misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili; le imprese

erogatrici dei servizi pubblici essenziali concordano nei contratti collettivi le prestazioni

indispensabili che sono tenute ad assicurare.

L’autonomia collettiva non deroga, né in melius, né in peius la legge: il suo intervento ne

consente lo stesso funzionamento.

Gli accordi sono sottoposti al vaglio della Commissione di garanzia dello sciopero nei

servizi pubblici essenziali, composta da 9 membri nominati dal Presidente della

Repubblica su indicazione dei Presidenti delle Camere, ogni 4 anni – è , quindi, un

organismo di derivazione parlamentare, composto da persone con specifiche competenze

tecniche.

Se la Commissione non ritiene idoneo l’accordo, allora formula una proposta, sottoposta al

vaglio delle parti: se queste accettano, l’accordo viene siglato; in caso contrario, la

Commissione potrà regolamentare provvisoriamente.

Gli accordi devono indicare intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno

sciopero – rarefazione soggettiva - e la proclamazione del successivo al fine di evitare che

sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi – rarefazione oggettiva.

La legge impone, a carico delle imprese che organizzano lo sciopero, un obbligo di

preavviso, indicante la durata, le modalità e le motivazioni dello stesso, e l’obbligo di

darne comunicazione a tutti gli utenti, mediante i “mass – media”.

Un problema che frequentemente ricorre è il c.d. effetto annuncio: si determina un danno

al datore di lavoro attraverso il semplice annuncio anticipato dello sciopero – proprio

perché gli utenti, alla notizia dello sciopero, eviteranno già in anticipo la fruizione dei

servizi coinvolti nelle date degli scioperi - ; pertanto è vietata la possibilità di revocare lo

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Page 69: Appunti Diritto Del Lavoro

sciopero, salvo che non vengano meno le ragioni oggettive che avevano indotto a

proclamarlo.

IL RUOLO DELLA COMMISSIONE PRIMA DELLO SCIOPERO

Ruolo di mediazione: Ricevuta comunicazione di uno sciopero, la Commissione può

assumere informazioni o convocare le parti per verificare se sono stati esperiti i tentativi di

conciliazione;

Ruolo di garante della legalità: La Commissione può invitare i soggetti interessati a

riformulare la proclamazione in conformità alla legge e agli accordi o codici di

autoregolamentazione;

Ruolo di avvio della procedura di precettazione: La Commissione Segnala all’autorità

competente le situazioni nelle quali dallo sciopero o astensione collettiva può derivare un

imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente

tutelati

IL RUOLO DELLA COMMISSIONE DOPO LO SCIOPERO

Ruolo sanzionatorio: La Commissione valuta il comportamento delle parti e se rileva

inadempienze o violazioni degli obblighi delibera le sanzioni previste dalla legge.

L’apertura del procedimento viene notificata alle parti, che hanno trenta giorni per

presentare osservazioni e per chiedere di essere sentite.

Per quanto riguarda le sanzioni, anche in caso di inottemperanza all’ordinanza di

precettazione, non si applicano sanzioni penali ( sono infatti stati abrogato gli artt.

330/333).

Sono previste sanzioni disciplinari per chi esercita forme di lotta in contrasto con le

disposizioni; sanzioni pecuniarie, sospensione dei contributi ed esclusione dalle trattative

per i sindacati.

Con la l. 146/1990, novellata nel 2000, si è potenziato il ruolo delle associazioni degli utenti

e dei consumatori: le associazioni degli utenti riconosciute sono legittimate ad agire in

giudizio, anche al solo fine di ottenere la pubblicazione, a spese del responsabile, della

sentenza che accerta la violazione dei diritti degli utenti - dell’utilità di questa sentenza è

lecito dubitare!

Diversamente andrebbero le cose, se, mediante le class action, si ammettessero le

violazioni dei diritti degli utenti, poiché questi ultimi potrebbero così chiedere il

risarcimento dei danni.

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Page 70: Appunti Diritto Del Lavoro

In ultimo, è possibile prospettare per il futuro forme di sciopero virtuale, che colpiscano le

imprese, comportino una perdita per i lavoratori, ma non danneggino gli utenti: lo

sciopero viene proclamato, ma i lavoratori continuano a svolgere la prestazione,

garantendo il servizio agli utenti; i lavoratori perdono la retribuzione come se si

astenessero dal lavoro e le imprese versano ad un fondo di utilità sociale il doppio delle

retribuzioni perse dai lavoratori.

29/01/2007

IL PUBBLICO IMPIEGO

L’evoluzione storica della normativa in materia di pubblico impiego procede seguendo

varie fasi:

1. ANNI 1923/1957: sono solo atti unilaterali di natura legislativa o regolamentare che

regolano la disciplina unitaria del pubblico dipendente. Il Regio Decreto, entrato in

vigore nel 1923, rappresenta la prima legge in materia di diritto del lavoro che

introduce una prima regolamentazione dettagliata riguardante tutto

indistintamente il personale (civile, militare, magistrati, insegnanti ecc); l’elemento

caratterizzante di questa regolamentazione sta nella minore tutela riconosciuta al

pubblico dipendente rispetto al privato, ma sicuramente compensata da una

maggiore remunerazione. Lo status di dipendente pubblico contempla molteplici

obblighi, una gerarchia interna rigorosa e importanza sociale del ruolo.

2. DAL 1957 ALLA FINE DEGLI ANNI ‘70: Il Testo Unico degli impiegati civili dello

Stato rappresenta la base della disciplina unitaria del pubblico dipendente,

sostituendo gruppi e gradi con carriere e qualifiche; gli impiegati vengono distinti

in carriere – direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria -; le qualifiche, nell’ambito

di ogni carriera, sono di tipo gerarchico e non funzionale; alla qualifica iniziale si

accedeva mediante concorso, mentre alle altre qualifiche per promozione. Fino agli

anni ’60 il trattamento economico e normativo del lavoro pubblico era fissato in via

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Page 71: Appunti Diritto Del Lavoro

esclusiva per legge o per regolamento; nel ’63 le confederazioni sindacali

pervengono ad un accordo con il governo, in cui si afferma il principio della

chiarezza retributiva; inoltre i sindacati iniziano ad affermare il principio della

regolamentazione dl rapporto di pubblico impiego attraverso la contrattazione; nel

1976 le confederazioni si impegnano in modo diretto a sostegno dell’azione svolta

dalla federazione di categoria.

3. DAGLI ANNI ’70 AL D.LGS. 29/1993: la l. 312/1980 riorganizza il sistema del

pubblico impiego, prevedendo la soppressione del regime delle carriere,

l’istituzione di qualifiche funzionali, una retribuzione riferita ad ogni qualifica e,

infine, l’istituzione di 8 livelli professionali. La legge sancisce,inoltre, i principi

dell’efficienza, economicità, efficacia e redditività. Altre importanti modifiche

sono state introdotte con la legge quadro 93/1983, che ha cercato di evolvere il

sistema precedente, riconoscendo un ruolo primario alla contrattazione sindacale: il

trattamento economico e normativo dei dipendenti pubblici è, infatti, determinato

dagli accordi collettivi, recepiti però formalmente da un atto unilaterale (es.

decreto). Emerge, inoltre, l’esigenza di affermare una minore burocrazia a

vantaggio di una maggiore efficienza/efficacia. Nel 1990 si provvede, inoltre, alla

regolamentazione nel diritto di sciopero dei servizi pubblici essenziali, estendendo

l’applicazione dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori ai dipendenti pubblici –

repressione della condotta antisindacale.

4. DALLA LEGGE QUADRO DEL ’83 AL D.LGS 29/1993: dalla legge quadro del

1983 emersero, però, con evidenza numerosi problemi, riguardanti, ad es. , la

sistematica violazione nel recepimento dei CCNL (slittamento dei termini), un

reciproco sconfinamento dei limiti di competenza ( i CCNL intervengono su matetie

coperte da riserva di legge e la legge interviene su materie riservate alla

contrattazione), infine, mancato rispetto dei tetti di spesa. Il d.lgs. 29/1993 apre l’era

della privatizzazione del rapporto di lavoro di diritto pubblico ed assoggetta i

dipendenti pubblici alla disciplina privatistica ed alla contrattazione collettiva. Nel

1998 viene definitivamente sancito il passaggio della materia contenziosa dal

giudice amministrativo a quello ordinario.

5. DAL DECRETO DEL ’98 AL D.LGS. 165/2001: Nuovo Testo Unico dei dipendenti

pubblici. Viene accentuato il carattere privatistico del rapporto di lavoro

71

Page 72: Appunti Diritto Del Lavoro

nell’ambito del pubblico impiego, prevedendo: regole oggettive e trasparenti per la

partecipazione delle organizzazioni sindacali alla contrattazione collettiva;

riduzione dei tempi per la contrattazione nazionale ( con l’abolizione del controllo

preventivo di legittimità della Corte dei Conti); rafforzamento dell’autonomia della

contrattazione integrativa.

In un arco di tempo relativamente lungo si giunge alla definitiva affermazione del

principio della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego.

Alla luce del d.lgs. 165/2001, tutti gli aspetti giuridico -economici del rapporto di pubblico

impiego sono previsti e disciplinati da norme amministrative programmatiche e dalla

contrattazione collettiva.

Il Testo Unico ha voluto affermare un recupero di efficienza ed efficacia nell’ambito delle

amministrazioni pubbliche: la troppa burocrazia è stata considerata un fattore negativo e il

legislatore ha ritenuto che si dovessero trasporre le regole del privato nel pubblico.

Si è, quindi, cercato di promuovere una direzione manageriale delle risorse umane,

rafforzando il ruolo dei dirigenti, separando la politica dall’amministrazione e attribuendo

ai dirigenti le capacità e i poteri che sono riconosciuti al datore di lavoro.

Le disposizioni del d.lgs. 165 disciplinano l’organizzazione degli uffici ed i rapporti di

lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; per amministrazioni

pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato.

I dipendenti pubblici escludi dall’applicazione del decreto, in relazione alle funzioni e

ruoli svolti, sono:

1. Magistrati;

2. Avvocati e procuratori dello stato;

3. Personale militare e forze di polizia;

4. Personale carriere diplomatiche e prefettizie;

5. Dipendenti enti speciali e autorità garanti - es. Banca d’Italia;

6. Professori universitari.

L’ambito di applicazione del Testo è certamente nazionale, anche se è fatto salvo alle

Regioni a Statuto Speciale di scegliere se attuare o meno il procedimento di

privatizzazione.

Per quanto concerne le fonti, si applicano le norme del codice civile e le leggi riguardanti i

rapporti di lavoro subordinato, salvo quanto diversamente stabilito dal decreto.

72

Page 73: Appunti Diritto Del Lavoro

La contrattazione diventa la fonte di ogni regolamentazione del rapporto di pubblico

impiego, già dalla costituzione del rapporto – prima la costituzione avveniva tramite atto

di nomina; oggi la costituzione avviene tramite la stipula del contratto.

E’ rimessa alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento economico

fondamentale e accessorio; l’amministrazione pubblica è tenuta ad applicare il contratto

collettivo a tutti i propri dipendenti, a prescindere dall’appartenenza o meno alle

organizzazioni stipulanti.

Il contratto collettivo pubblico ha comunque natura giuridica diversa rispetto a quello

privato ed è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

L’art. 97 Cost. impone alle P.A. un comportamento imparziale, pertanto, anche in assenza

di un espresso precetto normativo, tale obbligo è direttamente desumibile dalla

Costituzione.

L’art. 4 del decreto attribuisce, inoltre, agli organi di Governo funzioni di indirizzo

politico-amministrativo e di specificazione degli obiettivi e programmi da attuare; mentre

i dirigenti partecipano alla gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, svolgendo

attività di gestione finalizzata al raggiungimento dei risultati; essi sono, infatti,

responsabili, in via esclusiva, dell'attività amministrativa , della gestione e dei relativi

risultati, partecipando al processo di formulazione degli obiettivi e al ruolo assegnato alla

politica.

ACCESSO AL PUBBLICO IMPIEGO

La regola generale prevede che l’accesso al pubblico impiego possa avvenire solo tramite

pubblico concorso; le eccezioni a questa regola riguardano le assunzioni tramite le liste di

collocamento per le mansioni di contenuto professionale limitato , per i disabili, le vittime

della mafia e altre categorie protette.

Le procedure selettive devono essere uniformate a criteri di pubblicità – imparzialità –

economicità e celerità di espletamento (strumentali a quest’ultimo principio possono

essere le preselezione); si devono, inoltre, assicurare pari opportunità tra uomini e donne,

vietando ogni forma di discriminazione sia essa diretta che indiretta – pertanto la

commissione di valutazione deve essere costituita per 1/3 da donne.

E’, infine, ammessa la possibilità di ricorrere ad un decentramento delle procedure di

reclutamento: i concorsi vengono gestiti su base regionale per evitare forme di

affollamento.

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Page 74: Appunti Diritto Del Lavoro

Il decreto legittima, inoltre, l’utilizzo da parte delle P.A. di forme di contratto di lavoro

“flessibile” di assunzione del personale; l’unico chiaro discrimine rispetto al settore

privato consiste nella impossibilità di stabilizzazione, trasformando questi contratti di

lavoro in contratti di lavoro a tempo indeterminato – si noti, inoltre, che mentre alle P.A. è

concesso di stipulare contratti di “collaborazione coordinate e continuative”, ciò è

impedito ai privati che possono solamente stipulare contratti di lavoro a progetto.

La progressione in carriera avviene tramite il concorso, ma ci si chiede se sia lecito indire

un concorso “interno”; chiamata a sindacare sulla legittimità costituzionale di queste

forme concorsuali, la Corte Costituzionale ha ribadito che il concorso interno rappresenta

una vera e propria eccezione alla regola generale che impone che il concorso sia aperto a

tutti: sono, pertanto, legittime le riserve di posti agli interni.

Il concorso interno deve ritenersi legittimo in quanto si tratta di una normale progressione

interna, non è più assunzione ma semplice reclutamento.

L’art. 52 del suddetto decreto stabilisce che il lavoratore sia adibito alle mansioni per le

quali è stato assunto ovvero a mansioni equivalenti, considerate tali le mansioni così

qualificate nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi ( a

differenza del settore privato, dove qui l’equivalenza viene ravvisata nella possibilità di

utilizzare il patrimonio professionale acquisito; nel settore pubblico, invece, la nozione di

equivalenza è affidata alla contrattazione collettiva: rinvio vincolante per l’individuazione

delle mansioni equivalenti).

Nel settore pubblico, l’adibizione del lavoratore a mansioni superiori non comporta

l’acquisizione della qualifica superiore automaticamente, ma solo il diritto al trattamento

economico previsto per la qualifica corrispondente per tutto il periodo di effettiva

prestazione delle mansioni.

LA GIURISDIZIONE

Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie

relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle P.A. , nonché le controversie relative a

comportamenti antisindacali od alle procedure di contrattazione collettiva; restano, invece,

devolute al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali

per l’assunzione dei dipendenti delle P.A. – a queste regole si sottraggono i dipendenti

esclusi dalla privatizzazione ai sensi del d.lgs. 165/2001, per i quali permane la

giurisdizione esclusiva amministrativa.

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Page 75: Appunti Diritto Del Lavoro

Nelle controversie individuali di lavoro deve essere preliminarmente esperito il tentativo

obbligatorio di conciliazione; dopo 90 giorni dal tentativo di conciliazione, in assenza di

risposta, si procede all’azione giudiziaria.

L’art. 69 prospetta la fase del regime transitorio, stabilendo che le controversie a partire

dal 1° Luglio 1998 debbano essere esercitate innanzi al giudice ordinario, con un termine

ultimo di decadenza previsto per il 15 Settembre 2000.

Questa disposizione ha, però, di fatto comportato una forte compressione dei diritti dei

dipendenti pubblici poiché ha previsto un termine decedenziale relativamente breve e

poco pubblicizzato.

LE SANZIONI

L’Art. 55 del decreto richiama espressamente l’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori,che regola

il procedimento per l’applicazione delle sanzioni.

L’individuazione dei comportamenti illeciti e le definizioni delle sanzioni sono pertanto

rimesse anch’esse alla contrattazione collettiva, in funzione integrativa del codice civile e

dello statuto dei lavoratori.

I presupposti di fondo sono, pertanto, uguali:

1. affissione del codice disciplinare;

2. individuazione dell’ufficio per i procedimenti disciplinari che, su segnalazione del

capo struttura, istruisce il procedimento;

3. contestazione per iscritto dell’addebito e assegnazione al lavoratore di un termine

per la difesa non inferiore a 5 giorni;

4. possibilità del lavoratore di essere sentito con l’assistenza di un procuratore o di un

rappresentante sindacale;

5. possibilità di riduzione della sanzione tramite il patteggiamento e conseguente non

impugnabilità.

La sanzione può essere impugnata da parte del lavoratore tramite ricorso al giudice o

attraverso un arbitrato; in quest’ultimo caso le parti concordano di deferire la controversia

ad un “arbitro” unico scelto di comune accordo; se l’accordo non viene raggiunto, allora si

effettuerà un sorteggio dell’arbitro nell’ambito degli elenchi.

Ciascuna delle parti può rifiutare l'arbitro sorteggiato, qualora il medesimo abbia rapporti

di parentela o affinità con l'altra parte o motivi non sindacabili di incompatibilità

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Page 76: Appunti Diritto Del Lavoro

personale; un secondo rifiuto consecutivo comporta la rinuncia all'arbitrato, ferma

restando la possibilità di adire l'autorità giudiziaria.

L’arbitrato può essere impugnato dinnanzi al giudice del lavoro, ma solo per questioni di

carattere “formale”: questa scelta è incentivata dal fatto che, nel corso della procedura, le

sanzioni disciplinari restano sospese sino al definizione della controversia.

31/01/2007

IL LAVORO RIPARTITO

Si tratta di una nuova tipologia di contratto che obbliga solidalmente 2 o più lavoratori a

svolgere un'unica prestazione lavorativa.

In realtà non è un’assoluta novità, in quanto oggi la regolamentazione di questa tipologia

contrattuale si trova all’interno della legge Biagi, ma già in passato, con la circolare

ministeriale 43/1998 veniva regolamentato questa particolare forma di lavoro.

Tale richiesta di regolamentazione proviene principalmente dal mondo delle imprese, in

particolare dalla catena alimentare Mc Donald che già in passato faceva largo uso di

questa tipologia contrattuale, anche in altri Stati.

Un istituto già applicato in Italia, senza problemi né difficoltà e contenuto in una circolare,

è stato invece oggetto di una specifica normativa ad hoc – si assiste, quindi, ad una

evidente contraddizione tra le necessità di flessibilità e la crescente produzione di norme.

Caratteristiche del lavoro ripartito sono:

1. vincolo di solidarietà: può riguardare solo 2 lavoratori al fine di evitare

complicazioni previdenziali; l’obbligazione si estingue in virtù dell’adempimento di

uno solo dei lavoratori co-obbligati;

2. ogni lavoratore è personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento

dell’intera prestazione lavorativa;

3. le dimissioni o il licenziamento di uno dei 2 lavoratori comporta l’estinzione del

rapporto di lavoro: il contratto di lavoro può trasformarsi in un normale contratto a

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Page 77: Appunti Diritto Del Lavoro

tempo pieno su richiesta del datore di lavoro e accettazione del lavoratore

superstite.

Il lavoro ripartito è una forma di part-time distinta, però, dal fatto che il datore di lavoro si

assicura la disponibilità di 2 lavoratori pagando una sola retribuzione, con evidenti

vantaggi dal punto di vista organizzativo e gestionale.

Il contratto di lavoro deve essere stipulato in forma scritta e deve indicare la percentuale di

prestazione lavorativa di cui si fa carico ogni lavoratore, oltre che la collocazione

temporale.

Grava sui lavoratori l’obbligo di informare settimanalmente il datore della ripartizione

dell’orario fra i lavoratori, con possibilità di modificare l’orario, salvo l’obbligo della

cadenza settimanale.

In caso di impedimento di uno dei co-obbligati, l’adempimento dell’intera prestazione è a

carico dell’altro; trova applicazione, in quanto compatibile, tutta la disciplina del lavoro

subordinato.

I lavoratori ripartiti hanno diritto ad essere trattati pro quota alla stregua degli altri

lavoratori, aventi analogo inquadramento; sono estesi anche i diritti sindacali, in quota o

proporzione: nel caso in cui un lavoratore ha diritto a 10 ore di partecipazione

all’assemblea sindacale retribuite, allora si effettua una proporzione tra la percentuale di

lavoro prestata da ciascuno.

Ai fini delle prestazioni previdenziali e assistenziali, i lavoratori ripartiti sono assimilati ai

lavoratori a tempo parziale; mentre il calcolo dei contributi viene effettuato non

preventivamente, ma mensilmente, salvo conguaglio a fine anno a seguito dell’effettivo

svolgimento dell’attività lavorativa.

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