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Il novellino

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  • Letteratura italiana Einaudi

    Il Novellino

  • Edizione di riferimento:in La letteratura italiana. Storia e testi, a cura diC. Segre,Riccardo Ricciardi editore, Milano-Napoli 1959

    Letteratura italiana Einaudi

  • I 1II 2III 4IV 6V 7VI 8VII 9VIII 11IX 13X 14XI 15XII 16XIII 16XIV 17XV 17XVI 18XVII 18XVIII 19XIX 19XX 20XXI 22XXII 24XXIII 25XXIV 26XXV 27XXVI 28XXVII 29XXVIII 30XXIX 30XXX 31

    Sommario

    Letteratura italiana Einaudi

  • XXXI 32XXXII 32XXXIII 33XXXIV 34XXXV 35XXXVI 36XXXVII 37XXXVIII 38XXXIX 38XL 39XLI 40XLII 41XLIII 42XLIV 42XLV 43XLVI 43XLVII 44XLVIII 45XLIX 45L 46LI 47LII 47LIII 48LIV 49LV 50LVI 50LVII 51LVIII 51LIX 52LX 53

    Sommario

    ivLetteratura italiana Einaudi

  • LXI 55LXII 56LXIII 58LXIV 59LXV 63LXVI 65LXVII 65LXVIII 66LXIX 67LXX 67LXXI 68LXXII 69LXXIII 70LXXIV 71LXXV 72LXXVI 73LXXVII 74LXXVIII 75LXXIX 75LXXX 77LXXXI 77LXXXII 78LXXXIII 80LXXXIV 81LXXXV 82LXXXVI 83LXXXVII 83LXXXVIII 84LXXXIX 84XC 85

    Sommario

    vLetteratura italiana Einaudi

  • XCI 85XCII 86XCIII 86XCIV 87XCV 87XCVI 88XCVII 90XCVIII 90XCIX 91C 93

    Sommario

    viLetteratura italiana Einaudi

  • 1Letteratura italiana Einaudi

    Questo libro tratta dalquanti fiori di parlare, di belle cortesie edi be risposi e di belle valentie e doni, secondo che per lo tem-po passato hanno fatti molti valentei uomini.

    I

    Quando lo Nostro Signore Ges Cristo parlava uma-namente con noi, infra laltre sue parole, ne disse chedellabondanza del cuore parla la lingua. Voi chavete icuori gentili e nobili infra li altri, acconciate le vostrementi e le vostre parole nel piacere di Dio, parlando,onorando e temendo e laudando quel Signore nostroche nam prima che elli ne criasse, e prima che noi me-desimi ce amassimo. E [se] in alcuna parte, non dispia-cendo a lui, si pu parlare, per rallegrare il corpo e sove-nire e sostentare, facciasi con pi onestade e [con] picortesia che fare si puote. E acci che li nobili e gentilisono nel parlare e ne lopere quasi comuno specchioappo i minori, acci che il loro parlare pi gradito,per chesce di pi dilicato stormento, facciamo qui me-moria dalquanti fiori di parlare, di belle cortesie e dibelli risposi e di belle valentie, di belli donari e di belliamori, secondo che per lo tempo passato hanno fatto gimolti. E chi avr cuore nobile e intelligenzia sottile s l[i]potr simigliare per lo tempo che verr per innanzi, e ar-gomentare e dire e raccontare in quelle parti doveavranno luogo, a prode e a piacere di coloro che nonsanno e disiderano di sapere. E se i fiori che proporre-mo fossero misciati intra molte altre parole, non vi di-spiaccia; ch l nero ornamento delloro, e per un frut-to nobile e dilicato piace talora tutto un orto, e perpochi belli fiori tutto un giardino. Non gravi a leggitori:ch sono stati molti, che sono vivuti grande lunghezza di

  • Il Novellino

    tempo, e in vita loro hanno appena tratto uno bel parla-re, od alcuna cosa da mettere in conto fra i buoni.

    II

    Della ricca ambasceria la quale fece lo Presto Giovanni al nobi-le imperatore Federigo.

    Presto Giovanni, nobilissimo signore indiano, man-doe ricca e nobile ambasceria al nobile e potente impe-radore Federigo, a colui che veramente fu specchio delmondo in parlare e in costumi, e am molto dilicato par-lare, e istudi in dare savi risponsi. La forma e la inten-zione di quella ambasceria fu solo in due cose, per vole-re al postutto provare se lo mperadore fosse savio inparlare e in opere. Mandolli per li detti ambasciadori trepietre nobilissime, e disse loro: Donatele allo mpera-dore, e direteli da la parte mia che vi dica qual la mi-gliore cosa del mondo; e le sue parole e risposte serbere-te, e aviserete la corte sua e costumi di quella, e quelloinverrete, raccontarete a me sanza niuna mancanza. Fuoro allo mperadore dove erano mandati per lo lorosignore; salutrlo, siccome si convenia per la parte dellasua maestade, e per la parte dello loro soprasc[r]itto si-gnore donrli le sopradette pietre. Quelli le prese e nondomand di loro virtude: fecele riporre, e lodolle moltodi grande bellezza. Li ambasciadori fecero la dimandaloro, e videro li costumi e la corte. Poi, dopo pochi gior-ni, adomandaro commiato. Lo mperadore diede loro ri-sposta, e disse: Ditemi al signore vostro, che la miglio-re cosa di questo mondo si misura. Andr liambasciadori, e rinunziaro e raccontaro ci ch aveanoveduto e udito, lodando molto la corte dello mperado-

    2Letteratura italiana Einaudi

  • re, ornata di bellissimi costumi, e l modo de suoi cava-lieri. Il Presto Giovanni, udendo cioe che raccontaro isuoi ambasciadori, lod lo mperadore, e disse cheramolto savio in parola, ma non in fatto, acci che nonavea domandato della virt di cosie care pietre. Ri-mand li ambasciadori, e offerseli, se li piacesse, che lfarebbe siniscalco della sua corte. E feceli contare le suericchezze e le diverse ingenerazioni de sudditi suoi, e lmodo del suo paese. Dopo non gran tempo, pensando ilPresto Giovanni che le pietre chavea donate allo mpe-radore avevano perduta loro vertude, dapoi che nonerano per lo mperadore conosciute, tolse uno suo caris-simo lapidaro e mandollo celatamente nella corte dellomperadore, e disse: Al postutto metti lo ngegno tuoche tu quelle pietre mi rechi; per niuno tesoro rimanga. Lo lapidaro si mosse, guernito di molte pietre di granbellezza; e cominci presso alla corte a legare sue pietre.Li baroni e li cavalieri veniano a vedere di suo mistiero.Luomo era molto savio: quando vedeva alcuno chaves-se luogo in corte, non vendeva, ma donava; e don anel-la molte, tanto che la lode di lui and dinanzi allo mpe-radore: lo quale mand per lui, e mostrolli le sue pietre.Lodolle, ma non di gran virtude. Domand savessepiue care pietre. Allora lo mperadore fece venire le trepietre preziose ch elli desiderava di vedere. Allora il la-pidaro si rallegr, e prese luna pietra, e miselasi in ma-no, e disse cos: Questa pietra, messere, vale la miglio-re citt che voi avete. Poi prese laltra, e disse: Questa, messere, vale la migliore provincia che voi ave-te. E poi prese la terza, e disse: Messere, questa valepi che tutto lo mperio; e strinse il pugno con le so-prascritte pietre. La vertude delluna il cel, che nol po-tero vedere; e discese gi per le grdora, e torn al suosignore Presto Giovanni e presentolli le pietre con gran-de allegrezza.

    Il Novellino

    3Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    III

    Dun savio greco, ch uno re teneva in pregione, come giudicduno destriere.

    Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava co-rona di re e avea grande reame, e avea nome Filippo, eper alcuno misfatto tenea uno savio greco in pregione. Ilquale era di tanta sapienzia, che nello ntelletto suo pas-sava oltre le stelle. Avenne un giorno che a questo signo-re fu appresentato delle parti di Spagna un nobile de-striere di gran podere e di bella guisa. Adomand losignore mariscalchi, per sapere la bont del destriere: fu-li detto che in sua pregione avea lo sovrano maestro in-tendente di tutte le cose. Fece menare il destriere al cam-po, e fece trarre il greco di pregione, e disseli: Maestro,avisa questo destriere, ch m fatto conto che tu se mol-to saputo. El greco avis il cavallo, e disse: Messere,lo cavallo di bella guisa, ma cotanto giudico, che l ca-vallo nutricato a latte dasin[a]. Lo re mand in Ispa-gna ad invenire come fu nodrito, e invenero che la de-striera era morta, e il puledro fu nutricato a latte dasina.Ci tenne il re a grande maraviglia, e ordin che li fossedato uno mezzo pane il d alle spese della corte. Un gior-no avenne che lo re adunoe sue pietre preziose, e riman-doe per questo prigione greco, e disse: Maestro, tu sedi grande savere, e credo che di tutte le cose tintendi.Dimmi, se ti intendi delle virt delle pietre, qual ti sem-bra di pi ricca valuta? Il greco avis, e disse: Messe-re, voi quale avete pi cara? Lo re pres[e] una pietraintra laltre molto bella, e disse: Maestro, questa misembra pi bella e di maggiore valuta. El greco la pre-se, e miselasi in pugno, e strinse e puos[e]lasi allorec-chie, e poi disse: Messere, qui ha un vermine. Lo remand per maestri e fecela spezzare, e trovaro nella detta

    4Letteratura italiana Einaudi

  • pietra un vermine. Allora lod il greco doltremirabilesenno, e istabilio che un pane intero li fosse dato pergiorno alle spese di sua corte. Poi dopo molti giorni lo resi pens di non essere legittimo. [Lo] re mand per que-sto greco, ed ebbelo in luogo sacreto, e cominci a parla-re e disse: Maestro, di grande scienzia ti credo, e mani-festamente lhoe veduto nelle cose in chio thodomandato. Io voglio che tu mi dichi cui figliuolo io fui. El greco rispuose: Messere, che domanda mi fate voi?Voi sapete bene che voi foste figliuolo del cotal padre. E lo re rispuose: Non mi rispondere a grado. Dimmi si-curamente il vero; e se nol mi dirai, io ti far di malamorte morire. Allora il greco rispuose: Messere, io vidico che voi foste figliuolo duno pistore. E lo re disse: Vogliolo sapere da mia madre. E mand per la madree costrinsela con minacce feroci. La madre confess laveritade. Allora il re si chiuse in una camera con questogreco e disse: Maestro mio, grande prova ho vedutodella tua sapienzia; pregoti che mi dichi come queste co-se tu le sai. Allora il greco rispose: Messere, io lo vidir. Il cavallo conobbi a latte dasin[a] essere nodritoper propio senno naturale, acci chio vidi ch avea liorecchi chinati, e [ci] non propia natura di cavallo. Ilverme nella pietra conobbi, per che le pietre natural-mente sono fredde, e io la trovai calda. Calda non puoteessere naturalmente se non per animale lo quale abbia vi-ta. E me, come conoscesti essere figliuolo di pistore? El greco rispuose: Messere, quando io vi dissi del caval-lo cosa cos maravigliosa, voi mi stabiliste dono dunmezzo pane per d; e poi quando della pietra vi dissi, voimi stabiliste uno pane intero. Pensate che allora mavidicui figliuolo voi foste: che se voi foste suto figliuolo di re,vi sarebbe paruto poco di donarmi una nobile citt; ondea vostra natura parve assai di meritarmi di pane, siccomevostro padre facea. Allora il re riconobbe la vilt sua, etrasselo di prigione e donolli molto nobilemente.

    Il Novellino

    5Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    IV

    Come un giullare si compianse dinanzi ad Alessandro dun ca-valiere, al quale elli avea donato per intenzione che l cavaliereli donerebbe ci chAlessandro li donasse.

    Stando Alessandro alla citt di Giadre con moltitudinedi gente ad assedio, un nobile cavaliere era fuggito di pre-gione. Ed essendo poveramente ad arnese, misesi ad an-dare ad Alessandro che donava larghissimamente sopra lialtri signori. Andando per lo cammino, trov uno uomodi corte nobilemente ad arnese. Domandollo dove anda-va. Lo cavaliere rispuose: Vo ad Alessandro, che mi do-ni, acci chio possa tornare in mia contrada onorata-mente. Allora il giullare rispuose, e disse: Che vuoli tuchio ti doni? e tu mi dona ci ch Alessandro ti doner. Lo cavaliere rispuose: Donami cavallo da cavalcare, esomiere e robe e dispendio convenevole [a] ritornare inmia terra. Il giullare li le don, e in concordia cavalcaroad Alessandro, lo quale aspramente avea combattuta lacittade di Giadre, era partito dalla battaglia e faceasi sot-to un padiglione disarmare. Lo cavaliere e l giullare sitrassero avanti. Lo cavaliere fece la domanda sua ad Ales-sandro umile e dolcemente. Alessandro non li fece mot-to, n [li] fece rispondere. Lo cavaliere si part dal giulla-re, e misesi per lo cammino a ritornare in sua terra.

    Poco dilungato lo cavaliere, li nobili cittadini di Gia-dre reca[ro] le chiavi della citt ad Alessandro con pienomandato dubbidire a lui siccome a lor signore. Alessan-dro allora si volse inverso i suoi baroni, e disse: Dovchi mi domandava chio li donasse? Allora fu tramessoper lo cavaliere chadomandava il dono. Lo cavalierevenne; e Alessandro parl, e disse: Prendi, nobile cava-liere, le chiavi della nobile citt di Giadre, che la ti donovolentieri. Lo cavaliere rispuose: Messere, non mi do-

    6Letteratura italiana Einaudi

  • nare cittade; priegoti che mi doni oro o argento o robe,come sia tuo piacere. Allora Alessandro sorrise, e co-mand che li fossero dati duemila marchi dargento. Equesto si scrisse per lo minore dono che Alessandrodon mai. Lo cavaliere prese i marchi e donolli al giulla-re. Il giullare fu dinanzi ad Alessandro, e con grandestanzia adomandava che li facesse ragione, e fece tantoche fece restare lo cavaliere. E la domanda sua si era dicotale maniera dinanzi ad Alessandro: Messere, io tro-vai costui in cammino: domandalo ove andava, e perch.Dissemi che ad Alessandro andava perch li donasse.Con lui feci patto. Donagli, ed elli mi promise di donareci chAlessandro li donasse. Onde elli hae rotto il patto:cha rifiutata la nobile cittade di Giadre, e ha presi i mar-chi. Per chio dinanzi alla vostra signoria adomando chemi facciate ragione e sodisfare quanto vale pi la citt che marchi. Allora il cavaliere parl, e primamente con-fess i patti; poi disse: Ragionevole signore, que che midomanda giucolare, e in cuore di giucolare non puotediscendere signoria di cittade. Il suo pensero fu dargen-to e doro; e la sua intenzione fu tale. E io ho pienamentefornita la sua intenzione. Onde la tua signoria proveggianella mia diliveranza, secondo che piace al tuo savio con-siglio. Alessandro e suoi baroni prosciolsero il cavalie-re, e commendrlo di grande sapienzia.

    V

    Come uno re comise una risposta a un suo giovane figliuolo, laquale dovea fare ad ambasciadori di Grecia.

    Uno re fu nelle parti di Egitto, lo quale avea uno suofigliuolo primogenito, lo quale dovea portare la corona

    Il Novellino

    7Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    del reame dopo lui. Questo suo padre dalla fantilitades comminci e fecelo nodrire intra savi uomini di tem-po, s che, anni avea quindici, giamai non avea vedutaniuna fanciullezza. Un giorno avenne che lo padre licommise una risposta ad ambasciadori di Grecia. Il gio-vane stando in su la ringhiera per rispondere alli amba-sciadori, il tempo era turbato, e piovea; volse li occhiper una finestra del palagio, e vide altri giovani che ac-coglievano lacqua piova[n]a, e facevano pescaie e mu-lina di paglia. Il giovane vedendo ci, lasci stare la rin-ghiera e gittossi subitamente gi per le scale delpalagio, e and alli altri giovani che stavano a riceverelacqua piova[n]a; e cominci a fare le mulina e le bam-bolitadi. Baroni e cavalieri lo seguirono assai, e ri-menrlo al palazzo; chiusero la finestra, e l giovane die-de sufficiente risposta. Dopo il consiglio si partio lagente. Lo padre adun filosofi e maestri di grandescienzia; propuose il presente fatto. Alcuno de savi ri-putava movimento domori, alcuno fievolezza danimo;chi dicea infermit di celabro, chi dicea una e chi unal-tra, secondo le diversit di loro scienzie. Uno filosofodisse: Ditemi come lo giovane stato nodrito. Fulicontato come nudrito era stato con savi e con uomini ditempo, lung[i] da ogni fanciullezza. Allora lo savio ri-spuose: Non mi maravigliate se la natura domanda cichella ha peduto; ragionevole cosa bamboleggiare ingiovanezza, e in vecchiezza pensare.

    VI

    Come a David re venne in pensiero di volere sapere quanti fos-sero i sudditi suoi.

    8Letteratura italiana Einaudi

  • David re, essendo re per la bont dIddio, che di pe-coraio lavea fatto signore, li venne un giorno in pensie-ro [di volere] al postutto sapere quanti fossero i sudditisuoi. E ci fu atto di vanagloria, onde molto ne dispiac-que a Dio. E mandolli langelo suo, e feceli cos dire: David, tu ha peccato. Cos ti manda a dire lo Signoretuo: o vuoli tu stare tre anni in[f]er[m]o, o tre mesi nellemani de nemici tuoi, o stare al giudicio delle mani deltuo Signore. David rispuose: Nelle mani del mio Si-gnore mi metto: faccia di me ci che li piace.

    Or che fece Iddio? Punillo secondo la colpa: ch qua-si la maggior parte del populo suo li tolse per morte, ac-ci che elli si vanaglori nel grande novero; cos loscem, e appiccol il novero. Un giorno avenne che, ca-valcando David, vide langelo di Dio con una spadaignuda, chandava uccidendo. E comunque elli vollecolpire uno, e David smontoe subitamente, e disse: Messere, merc per Dio! Non uccidere linnocenti, mauccidi me cui la colpa. Allora, per la dibonarit diquesta parola, Dio perdon al popolo, e rimase lucci-sione.

    VII

    Qui conta come langelo parl a Salamone, e disseli che torreb-be Domenedio il reame al figliuolo per li suoi peccati.

    Leggesi di Salamone che fece un altro dispiacere aDio, onde cadde in sentenzia di perdere lo reame suo.Langelo li parl, e disse: Salamone, per la tua colpa tuse degno di perdere lo reame. Ma cos ti manda lo No-stro Signore, che per li meriti della bont di tuo padreelli nol ti torr nel tuo tempo, ma per la colpa tua lo

    Il Novellino

    9Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    torr al figliuolo. E cos dimostra i guiderdoni del pa-dre meritati nel figliuolo, e le colpe del padre pulite nelfigliuolo. Nota che Salamone studiosamente lavor sot-to l sole; con ingegno di sua grandissima sapienzia fecegrandissimo e nobile regno. Poi che lebbe fatto, provi-desi, che non voleva che l possedessero aliene rede, ciostrane rede, fuori del suo legnaggio. E accioe tolse moltemogli e molte amiche per avere assai rede; e Dio provi-de, quelli ch sommo dispensatore, s che tra tutte lemogli e amiche, cherano cotante, non ebbe se non un fi-gliuolo. E allora Salamone si provide di sottoporre edordinare s lo reame sotto questo suo figliuolo, lo qua-le Roboam avea nome, chelli regnasse dopo lui certa-mente. Chel fece dalla gioventudine infino alla senettu-te ordinare la vita al figliuolo con molti amaestramenti econ molti nodrimenti. E pi fece: che tesoro li ammas-soe grandissimo, e miselo in luogo sicuro. E pi fece:che incontanente poi s brig che in concordia fu contutti li signori che confinavano con lui, e in pace or-din[o]e e dispuose sanza contenzione tutti i suoi baroni.E pi fece: che lo dottrin del corso delle stelle, e inse-gnolli avere signoria sopra i domon. E tutte queste cosefece perch Roboam regnasse dopo lui. Quando Sala-mone fue morto, Roboam prese suo consiglio di gentevecchia e savia; propuose e domand consiglio, in chemodo potesse riformare lo populo suo. Li vecchi linse-gnaro: Ragunerai il populo tuo, e con dolci parole di-rai che tu li ami siccome te medesimo e chelli sono lacorona tua, e che, se tuo padre fu loro aspro, che tu sarailoro umile e benigno, e dovelli li avesse faticati, che tu lisoverrai in grande riposo. E se in fare il tempio fuorogravati, tu li agevolerai. Queste parole linsegnaro i sa-vi vecchi del regno. Partissi Roboam, e adun uno con-siglio di giovani, e fece loro simigliante proposta. Equelli li addomandaro: Quelli con cui prima ti consi-gliasti, come ti consigliaro? E quelli irracont loro a

    10Letteratura italiana Einaudi

  • motto a motto. Allora li giovani dissero: Elli tinganna-ro, perci che i regni non si tengono per parole, ma perprodezza e per franchezza. Onde se tu dirai loro dolciparole, parr che tu abbi paura del popolo, onde esso tisoggiogher e non ti terr per signore, e non ti ubbidi-ranno. Ma fae per nostro senno: noi siamo tutti tuoi ser-vi, e l signore puote fare de servi quello che li piace.Onde d loro con vigore e con ardire chelli sono tuttituoi servi, e chi non ti ubbidir, tu lo pulirai, secondo latua aspra legge. E se Salamone li grav in fare lo tempio,e tu li graverai [in altro], se ti verr in piacere. Il popolonon tavrae per fanciullo, tutti ti temeranno, e cos terrailo reame e la corona. Lo stoltissimo Roboam si tenneal giovane consiglio. Adun il popolo, e disse parole fe-roci. Il popolo sadir. I baroni si turbaro; fecero postu-re e leghe. Giuraro insieme certi baroni, sicch in trenta-quattro d, dopo la morte di Salamone, perd delledodici parti le diece del suo reame per lo folle consigliode giovani.

    VIII

    Come uno figliuolo duno re don uno re di Siria scacciato.

    Uno signore di Grecia, lo quale possedea grandissimoreame, e avea nome Aulix, avea uno suo giovane figliuo-lo, al quale facea nodrire e insegnare le sette liberali arti,e faceali insegnare vita morale, cio di be costumi. Ungiorno tolse questo re molto oro e diello a questo suo fi-gliuolo, e disse: Dispendilo come ti piace. E co-mand a baroni che no li insegnassero spendere, ma so-lamente avisassero il suo portamento e l modo chellitenesse. I baroni seguitando questo giovane, un giorno

    Il Novellino

    11Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    stavano con lui alle finestre del palazzo. Il giovane stavapensoso; vide passare per lo cammino gente assai nobile,secondo larnese e secondo le persone. Il cammino cor-rea a pi del palagio. Comand questo giovane che fos-sero tutte quelle genti menate dinanzi da lui. Fue ubbi-dita la sua voluntade, e vennero i viandanti dinanzi dalui. E luno chavea lo cuore pi ardito e la fronte pi al-legra si fece avanti, e disse: Messere, che ne domandi? El giovane rispuose: Domandoti onde se e di checondizione. Ed elli rispuose: Messere, io sono di Ita-lia e mercatante sono molto ricco, e quella ricchezza chiho no lho di mio patrimonio, ma tutta lho guadagnatadi mia sollicitudini. El giovane domand il seguente,lo quale era di nobili fazioni, e stava con peritosa facciae stava pi indietro che laltro, e non cos arditamente.Quelli disse: Che mi domandi, messere? El giovanerispuose: Domandoti donde se e di che condizione. Ed elli rispuose: Io sono di Siria, e sono re; e ho s sa-puto fare che li sudditi miei mhanno cacciato. Allorail giovane prese tutto loro e diello a questo scacciato. Ilgrido and per lo palagio. Li baroni e cavalieri ne ten-nero grande parlamento, e tutta la corte sonava della di-spensagione di questo oro. Al padre furono ricontatetutte queste cose, e le domande e le risposte a motto amotto. Il re incominci a parlare al figliuolo, udentimolti baroni, e disse: Come dispensasti? che pensieroti mosse? qual ragione ci mostri che a colui che per suabont avea guadagnato non desti; e a colui chavea per-duto per sua colpa e follia tutto desti? Il giovane saviorispuose: Messere, non donai a chi non mi insegnoe,n a neuno donai; ma ci chio feci fu guiderdone e nondono. Il mercatante non mi insegn neente; no li eraneente tenuto. Ma quelli chera di mia condizione, fi-gliuolo di re, e che portava corona di re, il quale per lasua follia avea [s] fatto che i sudditi suoi laveano cac-ciato, minsegn tanto che i sudditi miei non cacceranno

    12Letteratura italiana Einaudi

  • me. Onde picciolo [guiderdone] diedi a lui di cos riccoinsegnamento. Udita la sentenzia del giovane, il padree li suoi baroni li commendaro di grande sapienzia, di-cendo che grande speranza ricevea della sua giovanezzache ne li anni compiuti sia di grande valore. Le letterecorsero per li paesi a signori e a baroni, e fronne gran-di disputazioni tra li savi.

    IX

    Qui si ditermina una nova quistione e sentenzia che fu data inAlessandria.

    In Alessandria, la qual nelle parti di Romania (acciche sono dodici Alessandrie, le quali Alessandro fece ilmarzo dinanzi chelli morisse); in quella Alessandria so-no le rughe ove stanno i saracini, li quali fanno i mangia-ri a vendere, e cerca luomo la ruga per li piue netti man-giari e pi dilicati, siccome luomo fra noi cerca dedrappi. Un giorno di luned un cuoco saracino, lo qualeavea nome Fabrat, stando alla [c]ucina sua, un poverosaracino venne alla cucina con uno pane in mano: da-naio non avea da comperare da costui; tenne il pane so-pra il vasello, e ricevea il fummo che nusciva: e inebria-to il pane del fumo che nuscia del mangiare, e quelli lomordea; e cos il consum di mangiare. Questo Fabratnon ve[n]deo bene questa mattina; recolsi a ingiuria e anoia, e prese questo povero saracino, e disseli: Pagamidi ci che tu hai preso del mio. Il povero rispuose: Ionon ho preso della tua cucina altro che fummo. Di cichai preso del mio mi paga dicea Fabrat. Tanto fu lacontesa, che per la nova quistione e rozza, non mai piavenuta, nandaro le novelle al Soldano. El Soldano per

    Il Novellino

    13Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    molta novissima cosa raun savi, e mand per costoro.Form la quistione. I savi saracini cominciaro a sottiglia-re, e chi riputava il fummo non del cuoco, dicendo mol-te ragioni: il fummo non si pu ri[t]e[n]ere [che] tornaad alimento, e non ha sustanzia n proprietade che siautile; non dee pagare. Altri dicevano: lo fummo era an-cora congiunto col mangiare, era in costui signoria, e ge-neravasi della sua propietade, e luomo sta per venderedi suo mistiere, e chi ne prende usanza che paghi. Mol-te sentenzie vebbe. Finalmente fu il consiglio: Poichelli sta per vendere le sue derrate, e altri per compe-rare, tu, giusto signore, fa che l facci giustamente paga-re la sua derrata, secondo la sua valuta. Se la sua cucinache vende, dando lutile propiet di quella, suole pren-dere utile moneta; e ora cha venduto fummo, ch laparte sottile della cucina, fae, signore, sonare una mone-ta, e giudica che l pagamento sintenda fatto del suonochesce di quella. E cos giudic il Soldano che fosseosservato.

    X

    Qui conta duna bella sentenzia che di lo Schiavo di Bari trauno borghese e un pellegrino.

    Uno borghese di Bari and in romeaggio, e lasci tre-cento bisanti a un suo amico con queste condizioni epatti: Io andr, siccome a Dio piacer; e sio non rive-nisse, darali per la anima mia; e sio rivegno a certo ter-mine, daramene quello che tu vorrai. And il pelle-grino in romeaggio, e rivenne al termine ordinato, eradomand i bisanti suoi. Lamico rispuose: Conta ilpatto. Lo romeo lo cont a punto. Ben dicesti, dis-

    14Letteratura italiana Einaudi

  • se lamico te, diece bisanti ti voglio rendere; i dugen-to novanta mi tengo. Il pellegrino cominci ad adirar-si dicendo: Che fede questa? tu mi tolli il mio falsa-mente. E lamico rispuose soavemente: Io non ti fotorto; e sio lo ti fo, sianne dinanzi alla signoria. Ri-chiamo ne fue. Lo Schiavo di Bari ne fu giudice. Udiole parti. Form la quistione. Onde nacque questa sen-tenzia, e disse cos a colui che ritenne i bisanti: Rendi[i] dugento novanta bisanti al pellegrino, e l pellegrinone dea a te [i] diece che tu li hai renduti; per che lpatto fu tale: ci che tu vorrai mi renderai. Onde i du-gento novanta bisanti ne vuoli, rendili; e i diece che tunon volei, prendi.

    XI

    Qui conta come maestro Giordano fu ingannato da un suo fal-so discepolo.

    Uno medico fu, lo quale ebbe nome Giordano, il qua-le avea uno suo falso discepolo. Inferm uno figiuoloduno re. Il maestro vand, e vide chera da guerire. Ildiscepolo, per trre il pregio al maestro, disse al padre: Io veggio chelli morr certamente. E contendendocol maestro, s fece aprire la bocca allo nfermo, e col di-to stremo li vi puose veleno, mostrando molta conoscen-sa, in su la lingua. Luomo morio. Lo maestro se nande perd il pregio suo, e l discepolo li guadagn. Allora ilmaestro giur di mai non medicare se non asini, e fece lafisica delle bestie e di vili animali.

    Il Novellino

    15Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XII

    Qui conta de lonore che Minadab fece al re David, suo natu-rale signore.

    Aminadab, conduttore e mariscalco del re David,and con grandissimo esercito di gente, per comanda-mento del re David, ad una citt de Filistei. UdendoAminadab che la citt non si potea pi tenere, e chesavrebbe di corto, mand al re David che li piacesse divenire alloste con moltitudine di gente, perch dottavadel campo. Il re David si mosse incontanente, e and nelcampo Aminadab, suo mariscalco. Domandoe: Perchmi ci ha fatto venire? Aminadab rispuose: Messere,per che la citt non si pu pi tenere, e io volea che lavostra persona avesse lo pregio di cos fatta vittoria, anziche la[v]esse io. Combatteo la citt, e vinsela; e lo pre-gio e lonore nebbe David.

    XIII

    Qui conta come Antinogo riprese Alessandro perchelli si face-va sonare una cetera a suo diletto.

    Antinogo, conducitore dAlessandro, faccendo Ales-sandro uno giorno per suo diletto sonare una cetera,Antinogo prese la cetera e ruppela e gittolla nel fango, edisse ad Alessandro cotali parole: Al tuo tempo ed eta-de si conviene regnare e non ceterare. E cos si pu di-re: il corpo regno; e vil cosa la lussuria, e quasi a mo-do di cetera. Vergognisi dunque chi dee regnare invirtude, e diletta in lussuria.

    16Letteratura italiana Einaudi

  • Re Poro, il quale combatt con Alessandro, a un man-giare fece tagliare le corde della cetera a uno ceteratore,e disse queste parole: Meglio tagliare che s[on]are:che a dolcezza di suoni si perdono le virtudi.

    XIV

    Come uno re fece nodrire uno suo figliuolo diece anni in luogotenebroso, e poi li mostr tutte cose, e pi li piacque le femine.

    A uno re nacque uno figliuolo. I savi strologi provide-ro che selli non stesse anni diece che non vedesse il sole,[che perderebbe lo vedere]. Allora [il re] il fece notrica-re e guardare in tenebrose spelonche.

    Dopo il tempo detto lo fece trarre fuori, e innanzi luifece mettere molte belle gioie e di molto belle donzelle,tutte cose nominando per nome. E dettoli le donzelle es-sere dimon, e poi li domandaro qual desse li fosse pigraziosa, rispuose: I domon. Allora lo re di ci simaravigli molto, dicendo: Che cosa tirnnia belloredi donna!

    XV

    Come uno rettore di terra fece cavare un occhio a s e uno al fi-gliuolo per osservare giustizia.

    Valerio Massimo nel libro sesto narra che Calogno es-sendo rettore duna terra, ordin che chi andasse a mo-glie altrui dovesse perdere li occhi. Poco tempo passan-do, vi cadde un suo figliuolo. Lo popolo tutto li gridava

    Il Novellino

    17Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    misericordia; ed elli pensando che misericordia era cosbuona e utile, e pensando che la giustizia non vuole pe-rire, e lamore de suo cittadini che li gridavano mercl[o] stringea, providesi dosservare luno e laltro, cio[]giustizia e misericordia. Giudic e sentenzi chal fi-gliuolo fosse tratto luno occhio, e a se medesimo laltro.

    XVI

    Qui conta della gran misericordia che fece san Paulino vesco-vo.

    Beato Paulino vescovo fu tanto misericordioso, checheggendoli una povera femina misericordia per un suofigliuolo chera in pregione, e beato Paulino rispuose: Femmina, non ho di che ti sovenire daltro; ma fa cos:menami alla carcere, ov il tuo figliuolo. Menlvi. Edelli si mise in pregione in mano de tortri, e disse: Rendete lo figliuolo a questa buona donna, e me riteneteper lui.

    XVII

    Della grande limosina che fece uno tavoliere per Dio.

    Piero tavoliere fu grande uomo davere, e venne tantomisericordioso che mprima tutto lavere dispese a po-veri per Dio, e poi, quando tutto ebbe dato, ed elli si fe-ce vendere, e l prezzo diede a poveri tutto.

    18Letteratura italiana Einaudi

  • XVIII

    Della vendetta che fece Iddio duno barone di Carlo Magno.

    Carlo Magno essendo ad oste sopra i Saracini, vennea morte. Fece testamento. Intra le altre cose, giudic suocavallo e sue arme a poveri; e lasciolle a un suo barone,che l[e] vendesse, e desseli a poveri. Quelli si tenne, enon ubbidio.

    Carlo torn a lui e disse: otto generazioni di penemhai fatte sofferire in purgatorio, per Die, per lo caval-lo e larmi che ricevesti! Ma, grazia del Signore mio, ione vo, purgato, in cielo; e tu la comperai amaramente. Ch, udenti centomilia genti, venne un truono da cielo,e andonne con lui in abisso.

    XIX

    Della grande libert e cortesia del Re Giovane.

    Leggesi della bont del Re Giovane, guerreggiandocol padre per lo consiglio di Beltrame. Lo quale Beltra-mo si vant chelli avea pi senno che niuno altro. Di cinacquero molte sentenzie, delle quali ne sono qui scrittealquante. Beltrame ordin con lui chelli si facesse dareal padre la sua parte di tutto lo tesoro. Lo figliuolo li do-mand tanto chelli lebbe. Quelli li fece tutto donare agentili genti e a poveri cavalieri, s che rimase a neente, enon avea che donare. Un uomo di corte li adomandche li donasse. Quelli rispuose chavea tutto donato: Ma tanto m rimaso ancora, chiho nella bocca un lai-do dente, onde mio padre ha offerti duo mila marchi a

    Il Novellino

    19Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    chi mi sa s pregare chio lo diparta dagli altri. Va a miopadre, e fatti dare li marchi; e io il mi trarr alla tua ri-chiesta. Il giullare and al padre e prese i marchi, edelli si trasse il dente.

    E uno altro giorno avenne chelli donava a uno gentiledugento marchi. El siniscalco, overo tesoriere, presequelli marchi, e mise uno tappeto in una sala e versollivisuso, e uno luffo di tappeto mise di sotto, perch il mon-te paresse maggiore. E andando il Re Giovane per la sala,li le mostr il tesoriere, dicendo: Or guardate, messere,come donate! vedete quanti sono dugento marchi, che liavete cos per neente. E quelli avis, e disse: Piccolaquantitate mi sembra a donare a cos valente uomo.Dar[a]line quattrocento, che troppo credeva che fosseropi i dugento marchi, che non mi sembr[a]no a vista.

    XX

    Della grande libert e cortesia del Re dInghilterra.

    Lo Giovane Re dInghilterra sp[e]ndea e donava tut-to. Un povero cavaliero avis un giorno un coperchioduno nappo dariento; e disse nellanimo suo: sio possonascondere quello, la masnada mia ne potr stare moltigiorni. Misesi il coperchio de largento sotto. Il siniscal-co, a[l] levare le tavole, riguard largento. Trovrlo me-no. Cominciaro a metterlo in grido e a cercare i cavalierialla porta. Il Re Giovane avis costui che laveva, e ven-ne senza romore a lui e disseli chetissimamente: Metti-lo sotto a me, che non sar cerco. E lo cavaliere pienodi vergogna cos fece. El Re Giovane li le rend fuoridella porta, e miselile sotto; e poi lo fece chiamare e do-nolli laltra partita.

    20Letteratura italiana Einaudi

  • E p[i] di cortesia fece una notte che poveri cavalierientrarono nella camera sua, credendo veramente che loRe Giovane dormisse. Adunaro li arnesi e le robe a guisadi furto. Ebbevene uno che malvolentieri lasciava unaricca coltre che l Re avea sopra; presela, e cominci a ti-rare. Lo Re, per non rimanere scoperto, prese la sua par-tita, e teneva siccome que tirava; tanto che per far pitosto, li altri vi puosero mano. E allora lo Re parl: Questa sarebbe ruberia e non furto; cio a trre per for-za. Li cavalieri fuggiro, quando ludiro parlare, cheprima credevano che dormisse.

    Un giorno lo re vecchio, padre di questo Re Giovane,lo riprendea forte, dicendo: Dov tuo tesoro? Ed el-li rispuose: Messere, io nho pi che voi non avete. Quivi fu il s e l no. Ingaggirsi le parti. Aggiornaro ilgiorno che ciascuno mostrasse il suo tesoro. Lo Re Gio-vane invit tutti i baroni del paese, che al cotale giornofossero in quella parte. Il padre quello giorno fece ten-dere uno ricco padiglione, e fece venire oro ed argentoin piatt[i] e a vasella, e arnese assai e pietre preziose infi-nite, e vers in sui tappeti, e disse al figliuolo: Ov iltuo tesoro? Allora il figliuolo trasse la spada del fode-ro. Li cavalieri adunati trassero per le vie e per le piazze.Tutta terra parea piena di cavalieri. Il re non poteo ripa-rare. Loro rimase alla signoria del Giovane, lo qualedisse a cavalieri: Prendete il tesoro vostro. Chi preseoro, chi vasello, chi una cosa, chi unaltra, s che di subi-to fu distribuito. Il padre ragun poi suo sforzo perprenderlo. Lo figliuolo si rinchiuse in uno castello, eBeltrame dal Bornio con lui. Il padre vi venne ad asedio.Un giorno, per troppa sicurt, li venne un quadrello perla fronte disaventuratamente, ch la contraria fortuna lseguitava, che luccise.

    Ma innanzi chelli morisse vennero a lui tutti i suoi[creditori], e adomandaro loro tesoro cha lui aveanoprestato. El Re Giovane rispuose: Signori, a mala sta-

    Il Novellino

    21Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    gione venite, ch l vostro tesoro dispeso; li arnesi sonodonati; il corpo infermo: non avreste ormai di me buo-no pegno. Ma fe venire uno notaio; e quando il notaiofu venuto, disse quello Re cortese: Scrivi chio obligolanima mia a perpetua pregione, infino a tanto che voipagati siate. Morio questi.

    Dopo la morte, andaro al padre suo e domandaro lamoneta. Il padre rispuose loro aspramente, dicendo: Voi siete quelli che prestavate al mio figliuolo, ondellimi facea guerra; e imper, sotto pena del cuore e delavere, vi partite di tutta mia forza. Allora luno parl,e disse: Messere, noi non saremo perdenti, ch noiavemo lanima sua in pregione. E lo re domand: Inche maniera? E quelli mostraro la carta. Allora lo pa-dre sumili, e disse: Non piaccia a Dio che lanima dicos valente uomo stea in pregione per moneta; e co-mand che fossero pagati. E cos furo. Poi venne Beltra-mo dal Bornio in sua forza; e quelli lo domand, e disse: Tu dicesti chavei pi senno che uomo del mondo; or,ov tuo senno? Beltrame rispuose: Messere, io lhoperduto. E quando lhai perduto? Messere, quandovostro figliuolo morio. Allora conobbe lo re che l sen-no chelli avea, si era per bont del figliuolo: s li per-don, e donolli nobilemente.

    XXI

    Come tre maestri di nigromanzia vennero alla corte dellomperadore Federigo.

    Lo mperadore Federico fue nobilissimo signore, e lagente chavea bontade vena a lui da tutte le parti, perche luomo donava volentieri e mostrava belli sembianti a

    22Letteratura italiana Einaudi

  • chi avesse alcuna speziale bont. A lui venieno sonatori,trovatori e belli favellatori, uomini darti, giostratori,schermitori, dogni maniera gente. Stando lo mperadoreFederigo, e facea dare lacqua, le tavole coverte, s giunse-ro a lui tre maestri di negromanzia con tre schiavine. Sa-lutrlo cos di subito, ed elli domand: Qual il mae-stro di voi tre? Luno si trasse avanti, e disse: Messere,io sono. E lo mperadore il preg che giucasse cortese-mente. Ed elli gittaro loro incantamenti, e fecero loro arti.Il tempo incominci a turbare; ecco una pioggia repente,e tuoni e folgori e baleni, e parea che fondesse una gra-gnuola che parea copelli dacciaio: i cavalieri fuggendoper le camere, chi in una parte chi in unaltra. Rischiaros-si il tempo. Li maestri chiesero commiato, e chiesero gui-derdone. Lo mperadore disse: Domandate. Que do-mandaro il conte di San Bonifazio, che era pi presso allomperadore. Que dissero: Messere, comandate a costuiche vegna in nostro soccorso contra li nostri nemici. Lomperadore li le comand molto teneramente.

    Misesi il conte in via colloro. Menrlo in una bellacittade; cavalieri li mostr[ar]o di gran paraggio, bel de-striere e bellarme li apprestaro, e dissero al conte: Questi sono a te ubbidire. Li nemici vennero a batta-glia. Il conte li sconfisse e franc lo paese. E poi ne fecetre delle battaglie ordinate in campo. Vinse la terra. Die-dergli moglie. Ebbe figliuoli. Dopo, molto tempo tennela signoria.

    Lascirlo grandissimo tempo; po ritornaro. Il figliuo-lo del conte avea gi bene quarantanni. Il conte era vec-chio. Li maestri tornaro, e dissero che voleano andare avedere lo mperadore la corte. El conte rispuose: Lomperio fia ora pi volte mutato; le genti fiano ora tuttenuove; dove ritornerei? E maestri dissero: Noi vi tivolemo al postutto menare.

    Misersi in via; camminaro gran tempo. Giunsero incorte. Trovaro lo mperadore e suoi baroni, chancor si

    Il Novellino

    23Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    dava lacqua, la qual si dava quando il conte nand comaestri. Lo mperadore li facea contare la novella; quela contava: I ho poi moglie; e figliuoli channo qua-rantanni. Tre battaglie di campo ho poi fatte; il mondo tutto rivolto: come va questo fatto? Lo mperadore lile fa ricontare con grandissima festa a baroni e a cava-lieri.

    XXII

    Come allo mperadore Federigo fugg un astore dentro in Me-lano.

    Lo mperadore Federigo stando ad assedio a Melano,s li fugg uno suo astore, e vol dentro a Melano. Feceambasciadori, e rimand per esso. La podestade ne ten-ne consiglio. Aringatori vebbe assai. Tutti diceano checortesia era a rimandarlo pi cha tenerlo. Un melanesevecchio di gran tempo consigli a la podest, e disse co-s: Come ci lastore, cos ci fosse lo mperadore, chenoi lo faremmo disentire di quell[o] chelli fa al distrettodi Melano. Perchio consiglio che non li si mandi. Tor-naro li ambasciatori, e contaro allo mperadore siccomeconsiglio nera tenuto. Lo mperadore, udendo questo,disse: Come pu essere? trovossi in Melano niuno checontradicesse alla proposta? Rispuosero li ambascia-dori: Messere s. E che uomo fu? Messere, fu unvecchio. Ci non pu essere, rispuose lo mperadore che uomo vecchio dicesse s grande villania. Messe-re, e pur fue. Ditemi, disse lo mperadore di che fa-zione, e di che era vestito? Messere, era canuto e vesti-to di vergato. Ben pu essere, disse lo mperadore dacch vestito di vergato: che gli un matto.

    24Letteratura italiana Einaudi

  • XXIII

    Come lo mperadore Federigo trov un poltrone a una fonta-na, e chieseli bere, e poi li tolse il suo barlione.

    Andando lo mperadore [Federigo] a una caccia conveste verdi, siccomera usato, trov un poltrone insembianti a una fontana; e avea distesa una tovagliabianchissima in su lerba verde, e avea suo tamericecon vino, e suo mazzero molto pulito. Lo mperadoregiunse e chieseli bere. El poltrone rispuose: Con cheti dare io bere? A questo nappo non porrai tu bocca.Se tu hai corno, del vino ti do io volentieri. Lo mpe-radore rispuose: Prestami tuo barlione, e io berr perconvento che mia bocca non vi appresser. E lo pol-trone li le porse. [Que bev] e tenneli lo convenente,poi non li rendeo; anzi spron il cavallo e fugg col bar-lione.

    Il poltrone avis bene [alle vestimenta da caccia] chede cavalieri de lo mperadore fosse. Laltro giorno andalla corte. Lo mperadore disse alli uscieri: Se ci vieneun poltrone di cotal guisa, fatelmi venire dinanzi e non lifermate porta. Il poltrone venne; fu dinanzi [allomperadore.] Fece il compianto di suo barlione. Lomperadore li fece contare la novella pi volte in grandesollazzo. Li baroni ludiro con gran festa. E lo mpera-dore disse: Conosceresti tu tuo barlione? S, messe-re. Allora lo mperadore lo si trasse di sotto, per dare adivedere chelli era suto. Allora lo mperadore, per lanettezza di colui, li donoe riccamente.

    Il Novellino

    25Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XXIV

    Come lo mperadore Federigo fece una quistione a due savi, ecome li guiderdon.

    Messere lo mperadore Federigo s avea due grandis-simi savi: luno avea nome messere Bolghero, e laltromessere M[artino]. Stando lo mperadore un giorno traquesti savi, luno s era dalla destra parte e laltro dallasinistra. E lo mperadore fece loro una quistione, e disse: Signori, secondo la vostra legge possio a sudditi mieia cu io mi voglio trre a uno e dare ad un altro, sanzal-tra cagione a ci, chio sono signore, e dice la legge checi che piace al signore s legge intra i sudditi suoi? Di-te sio lo posso fare, poich mi piace. Luno de due sa-vi rispuose: Messere, ci che ti piace puoi fare [diquello] de sudditi tuoi sanza colpa. Laltro rispuose, edisse: Messere, a me non pare; per che la legge giu-stissima, e le sue condizioni si vogliono giustissimamen-te osservare e seguitare. Quando voi togliete, si vuole sa-pere perch, e a cui date. Perch luno savio e laltrodicea vero, ad ambidue donoe. Alluno don cappelloscarlatto e palafreno bianco; e allaltro don che facesseuna legge a suo senno. Di questo fu quistione intra savi,a cui avea pi riccamente donato. Fue tenuto cha coluichavea detto che poteva dare e trre come li piaceva,donasse robe e palafreno come a giullare, perch lavealodato. A colui che seguitava la giustizia, s diede a fareuna legge.

    26Letteratura italiana Einaudi

  • XXV

    Come il Soldano don a uno dugento marchi, e come il tesorie-re li scrisse, veggente lui, ad uscita.

    Saladino fu soldano, nobilissimo signore, prode e lar-go. Un giorno donava a uno dugento marchi, che l[i]avea presentato uno paniere di rose di verno a una stufa.E l tesoriere suo dinanzi da lui li scrivea ad uscita: scor-seli la penna, e scrisse trecento. Disse il Saladino: Chefai? Disse il tesoriere: messere, errava; e volle dan-nare il sopra pi. Allora il Saladino parl: Non danna-re; scrivi quattrocento. Per mala ventura se una tua pen-na sar pi larga di me.

    Questo Saladino, al tempo del suo soldanato, ordinuna triegua tra lui e Cristiani, e disse di volere vedere inostri modi, e se li piacessero diverrebbe cristiano. Fer-mossi la triegua. Venne il Saladino in persona a vederela costuma de Cristiani. Vide le tavole messe per man-giare con tovaglie bianchissime; lodolle molto. E videlordine delle tavole ove mangiava il re di Francia, par-tit[e] dallaltre; lodollo assai. Vide le tavole ove mangia-va[no] i maggiorenti; lodolle assai. Vide come li poverimangiavano in terra [v]ilemente. Questo riprese forte ebiasim molto, che li amici di lor Signore mangiavanopi vilmente e pi basso.

    Poi andaro li Cristiani a vedere la costuma [loro]. Vi-dero che i Saracini mangiavano in terra assai laidamente.El Soldano fece tendere suo padiglione assai ricco l do-ve mangiavano, e in terra fece coprire di tappeti, i qualierano tutti lavorati a croci spessissime. I Cristiani stoltientraro dentro, andando con li piedi su per quelle croci,sputandovi suso siccome in terra. Allora parl il Solda-no, e ripreseli forte: Voi predicate la croce, e spregiate-la tanto? Cos pare che voi amiate vostro Iddio in sem-

    Il Novellino

    27Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    bianti di parole, ma non in opera. Vostra maniera e vo-stra guisa non mi piace. Ruppesi la triegua, e ricomin-ciossi la guerra.

    XXVI

    Qui conta duno borghese di Francia.

    Uno borghese di Francia avea una sua moglie moltobella. Un giorno era a una festa con altre donne della vil-la; e avevavi una molto bella donna la quale era moltosguardata dalle genti. E la moglie del borghese dicevainfra se medesima: Sio avesse cos bella cotta comella,io sarei altress sguardata comella: perchio sono altressbella come sia ella. Torn a casa al suo marito, e mo-strolli cruccioso sembiante. Il marito la domandava so-vente perchella stava crucciata. E la donna rispuose: Perchio non sono vestita sicchio possa dimorare conlaltre donne. Ch a cotale festa laltre donne, che nonsono s belle comio, erano sguardate, e io no per mialaida cotta. Allora suo marito le promise, del primoguadagno che prendesse, di farle una bella cotta. Pochigiorni dimor che venne a lui uno borghese, e doman-dolli diece marchi in prestanza. E offersegliene due mar-chi di guadagno a certo termine. Il marito rispuose: Ionon ne far neente, per che lanima mia ne sarebbeobligata allo nferno. E la moglie rispuose: Ahi di-sleale traditore, tu l fai per non farmi la mia cotta. Al-lora il borghese, per la puntura della moglie, prest lar-gento a due marchi di guiderdone, e fece la cotta a suamogliere. La mogliere and al monisterio con laltredonne.

    In quella stagione vera Merlino. E uno parl, e disse:

    28Letteratura italiana Einaudi

  • Per san Ianni, quella bellissima dama. E Merlino, ilsaggio profeta, parl, e disse: Veramente bella, se inemici di Dio non avessero parte in sua cotta. E la da-ma si volse, e disse: Ditemi come i nemici di Dio han-no parte in mia cotta. Rispuose: Dama, io lo vi dir.Membravi quando voi foste a cotal festa, dove laltredonne erano sguardate pi che voi, per vostra laida cot-ta, e tornaste a vostra magione, e mostraste cruccio a vo-stro marito, ed elli impromise di farvi una cotta del pri-mo guadagno che prendesse, e da ivi a pochi giornivenne un borghese per diece marchi in presto a duemarchi di guadagno, onde voi vinduceste vostro mari-to? E di s malvagio guadagno vostra cotta. Ditemi, da-ma, sio fallo di neente. Certo, sire, no; rispuose ladama e non piaccia a Dio, nostro sire, che s malvagiacotta stea sor me. E veggente tutta la gente, la si spo-gli. E preg Merlino che la prendesse a diliverare di smalvagio periglio.

    XXVII

    Qui conta duno grande moaddo a cui fu detta villania.

    Uno grande moaddo and ad Alessandria, e andavaun giorno per sue bisogne per la terra, e un altro li venadi dietro e dicevali molta villania e molto lo spregiava; equelli non facea niuno motto. E uno li si fece dinanzi, edisse: Oh, ch non respondi a colui che tanta villania tidice? E quelli, sofferente, rispuose e disse a colui che lidicea che rispondesse: Io non rispondo, perchio nonodo cosa che mi piaccia.

    Il Novellino

    29Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XXVIII

    Qui conta della costuma chera nello reame di Francia.

    Costuma era nel reame di Francia che luomo cheradegno dessere disonorato e giustiziato, s andava in sulo carro. E se avenisse che campasse la morte, mai nontrovava chi volesse usare n stare con lui per niuna ca-gione. Lancialotto, quandelli venne forsennato peramore della reina Ginevra, s and in su la carretta e fe-cesi tirare per molte luogora, e da quello giorno innanzinon si spregi pi la carretta: che le donne e li cavalieridi gran paraggio vi vanno ora su a sollazzo. Ohi mondoerrante e uomini sconoscenti, di poca cortesia, quantofu maggiore il Signore nostro che fece lo cielo e la terra,che non fu Lancialotto che fu un cavaliere di scudo, emut e rivolse cos grande costuma nel reame di Fran-cia, chera re[a]me altrui! E Ges Cristo nostro signore,non poteo [fare], perdona[ndo] a suoi offenditori, cheniuno uomo perdoni. E questo volle e fece nel reamesuo a quelli che l puosero in croce: a coloro perdon, epreg il padre suo per loro.

    XXIX

    Qui conta come i savi astrologi disputavano del cielo impirio.

    Grandissimi savi stavano in una scuola a Parigi e di-sputavano del cielo impireo, e molto ne parlavano diside-rosamente, e come stava di sopra li altri cieli. Contavano ilcielo dov Giupiter, Saturno e Mars, e quel del sole, e diMercurio e della luna; e come sopra tutti stava lo mpireo

    30Letteratura italiana Einaudi

  • cielo, e sopra quello sta Dio padre in maiestade sua. Cosparlando, venne un matto, e disse loro: Signori, e soprail capo di quel Signore che ha? E luno rispuose a gab-bo: Havi un cappello. Il matto se nand, e savi rima-sero. Disse luno: Tu credi al matto aver dato un cappel-lo, ma elli rimaso a noi. Or diciamo: sopra capo che ha? Assai cercaro loro scienzie; non trovaro neente. Alloradissero: Matto colui ch s ardito che la mente mettadi fuori dal tondo; e via pi matto e forsennato colui chepena e pensa di sapere il suo Principio; e sanza verunosenno chi vuol sapere li Suo profondissimi pensieri.

    XXX

    Qui conta come un cavaliere in Lombardia dispese il suo.

    Uno cavaliere di Lombardia era molto amico dellomperadore Federigo, e avea nome G., il quale non aveareda niuna; bene avea gente di suo legnaggio. Puosesi incuore di volere tutto dispendere a la vita sua, sicch nonrimanesse il suo dopo lui. Estim quanto potesse vivere,e soprapuosesi bene anni diece. Ma tanto non si sopra-puose, che dispendendo e scialacquando il suo li annisopravennero e soperchiolli tempo, e rimase povero,chavea tutto dispeso. Puosesi mente nel misero statosuo, e ricordossi dello mperadore Federigo: ch grandeamistade avea [avuta] co lui, e nella sua corte avea moltodispeso e donato. Propuosesi dandare a lui, credendoche laccogliesse a grandissimo onore. And allo mpe-radore, e fu dinanzi da lui. Domand chi e fosse, tuttoche bene lo conoscea. Quelli li ricont suo nome. Do-man[d] di suo stato. Cont lo cavaliere come li era in-contrato, e come il tempo li era soperchiato. Lo mpera-

    Il Novellino

    31Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    dore rispuose: Esci di mia corte, e sotto pena della vitanon venire in mia forza, imper che tu se quelli che nonvolei che dopo i tuoi anni niuno avesse bene.

    XXXI

    Qui conta duno novellatore chavea mes[s]ere Azzolino.

    Messere Azzolino avea un suo novellatore, il quale fa-cea favolare quanderano le notti grandi di verno. Unanotte avenne che l favolatore avea grande talento didormire; e Azzolino il pregava che favolasse. El favola-tore incominci a dire una favola duno villano che aveasuoi cento bisanti, il quale and a uno mercato a compe-rare berbici, ed bbene due per bisante. Tornando conle sue pecore, un fiume chavea passato era molto cre-sciuto per una grande pioggia che venuta era. Stando al-la riva, vide un pescatore povero con un suo burchiello adismisura piccolino, s che non vi capea se non il villanoe una pecora per volta. Allora il villano cominci a pas-sare con una berbice e cominci a vogare: lo fiume eralargo. Voca, e passa. E lo favolatore rest di favolare. EAzzolino disse: Va oltre. E lo favolatore rispuose: Lasciate passare le pecore, poi conter il fatto. Che lepecore non sarebero passate in uno anno, s che intantopuot bene ad agio dormire.

    XXXII

    Delle valentie che fe Riccar lo Ghercio dellIlla.

    32Letteratura italiana Einaudi

  • Riccar lo Ghercio fu signore dellIlla, e fu grande gen-tile uomo di Provenza, e di grande ardire e prodezza adismisura. E quando i Saracini vennero a combattere laSpagna, elli fu in quella battaglia che si chiam la Spa-gnata, e fu la pi perigliosa battaglia che fosse dallo tem-po di quella di Troiani e de Greci in qua. Allora erano liSaracini grandissima multitudine, e con molte genera-zioni di stormenti: sicch Riccar il Ghercio fu il condut-tore della prima battaglia. E per cagione che li cavallinon si poteano mettere avanti per lo s[p]avento dellistormenti, comand a tutta sua gente che volgessero tut-te le groppe de cavalli alli nemici; e tanto ricularo, chefuro tra i nemici. E poi, quando furo misciati intra ne-mici cos riculando, ebbe la battaglia dinanzi e venienouccidendo a destra e a sinestra, s che misero i nemici adistruzione.

    E quando il conte di Tolosa si combattea col conte diProvenza altra stagione, s dismont del distiere Riccarlo Ghercio, e mont in su uno mulo; e l conte disse: Che ci, Riccardo? Messere, voglio dimostrare chionon ci sono n per cacciare n per fuggire. Qui dimo-str la sua grande franchezza, la quale era nella sua per-sona oltre alli altri cavalieri.

    XXXIII

    Qui conta una novella di messere Imberaldo del Balzo.

    Messere Imberal del Balzo, grande castellano diProenza, vivea molto ad algura a guisa spagnuola; e unofilosafo chebbe nome Pittagora fu di Spagna e fece unatavola per istorlomia, la quale, secondo i dodici segnali,verano molte significazioni danimali: quando li uccelli

    Il Novellino

    33Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    sazzuffano; quando uomo truova la donnola nella via;quando lo fuoco suona; e delle ghiandaie e delle gazze edelle cornacchie, [e] cos di molti animali molte signifi-cazioni, secondo la luna. E cos messere Imberal, caval-caldo uno giorno con sua compagnia, andavasi prenden-do guardia di questi uccelli, perch si temea diincontrare algure. Trov una femina in cammino, e do-mandolla, e disse: Dimmi, donna, se tu hai trovati oveduti in questa mattina di questi uccelli, siccome corbi,cornille o gazze? E la donna rispuose: Segner, ie vituna cornacchia in su uno ceppo di salice. Or mi d,donna, verso qual parte teneva volta sua coda? E ladonna rispuose: Segner, ella lavea volta verso il cul. Allora messere Imberal temeo lagura, e disse alla suacompagnia: Conveng a Dieu, ie non cavalcherai [n]iuoi ni deman a questa agura. E molto si cont po lanovella in Proenza, per novissima risposta chavea fatta,senza pensare, quella femina.

    XXXIV

    Come due nobili cavalieri samavano di buono amore.

    Due nobi[li] cavalieri samavano di grande amore;luno avea nome messere G., e laltro messere S. Questidue cavalieri saveano lungamente amato. Luno di que-sti si mise a pensare, e disse cos: Messere [S.] ha uno[bello] palafreno; sio li le cheggio, darebbelmegli? Ecos pensando facea il partito, nel pensiero, dicendo: Sdarebbe; [non darebbe]. E cos tra l s e l no vinse ilpartito che non li le darebbe. Il cavaliere fu turbato; ecominci a venire col sembiante strano contro a lamicosuo. E ciascuno giorno i[l] pensare cresceva, e rinnovel-

    34Letteratura italiana Einaudi

  • lava il cruccio. Lasciolli di parlare, e volgeasi, quandellipassava, in altra parte. Le genti si maravigliavano, ed ellimedesimo si maravigliava forte.

    Un giorno avenne che messere S., il cavaliere il qualeavea il palafreno, non poteo pi sofferire. And a lui edisse: Compagno mio, perch no mi parli tu? perchse tu crucciato? Elli rispuose: Perchio ti chiesi lopalafreno tuo, e tu lo mi negasti. E quelli rispuose: Questo non fu giammai, non pu[] essere. Lo palafrenoe la persona sia tua: chio tamo come me medesimo. Allora il cavaliere si riconcili, e torn in su lamistadeusata, e riconobbe che non avea ben pensato.

    XXXV

    Qui conta del maestro Taddeo di Bologna.

    Maestro Taddeo leggendo a suoi scolari in medicina,trov che [chi] continuo mangiasse nove d petroncia-no, diverebbe matto. E pro[va]valo secondo la fisica.Un suo scolaro, udendo quel capitolo, propuosesi di vo-lerlo provare. Prese a mangiare de petronciani, e in ca-po de nove d venne dinanzi al maestro, e disse: Mae-stro, il cotale capitolo che leggeste non vero, perchio lhoe provato, e non sono matto. E pure alzasi emostrolli il culo. Scrivete, disse il maestro che tuttoquesto del petronciano e provato ; e facciasene nuovachiosa.

    Il Novellino

    35Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XXXVI

    Qui conta come uno re crudele perseguitava i Cristiani.

    Fue uno re molto crudele, il quale perseguitava il po-pulo di Dio. Ed era, la sua, grandissima potenza, e nien-te poteva acquistare contro a quel populo, per che Diolamava. Quel re ragion con Barlam profeta, e disse: Dimmi, Barlaam, che ci, che li miei nemici sono assaiio pi poderoso di loro, e non posso loro tenere niunodanno? E Barlam rispuose: Messere, per che sonopopulo di Dio. Ma io far cos, chio andr sopra loro emaladicerolli; e tu darai la battaglia, e avrai sopra lorovittoria.

    Salio questo Barlam in su uno asino, e and su a unmonte. El populo era quasi che gi al piano, e quelli an-dava per maladirli di su il monte. Allora langelo di Dio lisi fece dinanzi, e non lo lasciava passare. Ed elli pungealasino, credendo che ombrasse; e quelli parl: Non mibattere; ch v[e]di qui langelo di Dio con una spada difuoco che non mi lascia andare. Allora lo profeta Bar-lam guard e vide langelo. E langelo parl: Che ci,che tu vai a maladire il populo di Dio? Incontinente lobened, se tu non vuoli morire, come tu il volevi maledi-re! And il profeta, e benedicea lo populo di Dio. E lore dicea: Che fai? Questo non maladire. E que ri-spuose: Non pu essere altro, per che langelo dIddioil mi comand. Onde fa cos. Tu hai di belle femine; ellinhanno dischesta. Tone una quantit, e vestile ricca-mente, e poni loro da petto una [n]usca doro o darien-to, cio una boccola con uno fibbiaglio, ne la qual sia in-tagliata lidola che tue adori (che adorava la statua diMars). E dirai cos loro, chelle non consentano [a neu-no] se non promettono dadorare quella figura di Mars.E poi, quando avranno peccato, io avr bala di maladirli.

    36Letteratura italiana Einaudi

  • E lo re cos fece. Tols[e] di belle femine, e mandollein quello modo nel campo. Li uomini nerano vogliosi:consentivano, e adoravano lidole; poi peccavano conloro. Allora lo profeta and, e maladisse lo populodIddio. E Dio no li atoe. E quello re diede battaglia esconfisseli tutti. Onde li giusti patiro la pena dalquantiche peccaro. Ravidersi e fecero penitenzia, e cacciaro lefemine e riconcilirsi con Dio. E tornaro ne la loro li-bertade.

    XXXVII

    Qui conta duna battaglia che fu tra due re di Grecia.

    Due re furo nelle parti di Grecia, e luno era pi po-deroso che laltro. Furo insieme a battaglia: lo pi pode-roso perdeo. Torn, e and in una [sua] camera, mara-vigliandosi siccome avesse sognato, e al postutto noncredeva avere combattuto. Intanto langelo di Dio vennea lui, e disse: Come stai? che pensi? tu non hai sogna-to, anzi combattuto, e se isconfitto. E lo re guardlangelo, e disse: Come pu essere? Io avea tre cotantigente di lui. E langelo rispuose: Per t avenuto,che tu se nemico di Dio. Allora lo re rispuose: O[r] lo nemico mio s amico di Dio, che per mabbia vin-to? No, disse langelo ch Dio fa vendetta del ne-mico suo col nemico suo. Va tu con loste tua da capo, etu lo sconfiggerai, comelli ha fatto te. Allore questiand, e ricombatt col nemico suo, e sconfisselo e prese-lo, siccome langelo avea detto.

    Il Novellino

    37Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XXXVIII

    Duno strologo chebbe nome Melisus, che fu ripreso da unadonna.

    Uno lo quale ebbe nome Melisus, grandissimo savioin molte scienzie; e spezialmente in istrologia, secondoche si legge in libro sesto di Civitate Dei, e conta chequesto savio alberg una notte in una casetta duna fe-minella. Quando and la sera a letto, disse a quella femi-nella: Vedi, donna, luscio mi lascerai aperto stanotte,perchio mi sono costumato di levare a provedere le stel-le. La femina lasci luscio aperto. La notte piovve; edinanzi [da la casa] avea una fossa, ed empiessi dacqua.Quando elli si lev, s vi cadde dentro. Quelli comincia gridare aiutorio. La femina domand: Che hai? Que rispuose: Io sono caduto in una fossa. Ohi cat-tivo! disse la femina or tu badi nel cielo, e non ti saitener mente a piedi? Levossi questa femina, e aiutollo:che periva in una fossatella dacqua per poca e per catti-va providenza.

    XXXIX

    Qui conta del vescovo Aldobrandino, come fu schernito da unfrate.

    Quando il vescovo Aldobrandino vivea al vescovadosuo dOrbivieto, e stando un giorno al vescovado a ta-vola, overano frati minori a mangiare, ed eravene unoche mangiava una cipolla molto savorosamente e con fi-ne appetito; il vescovo, guardandolo, disse a uno

    38Letteratura italiana Einaudi

  • do[n]zello: Vammi a quello frate, e dilli che volentierili acambiarei a stomaco. Lo donzello and e dissegli-le. E lo frate rispuose: Va d a Messere che ben credoche volentieri macambierebbe a stomaco, ma non a ve-scovado.

    XL

    Duno uomo di corte chavea nome Saladino.

    Saladino, lo quale era uomo di corte, essendo in Cici-lia un giorno ad una tavola per mangiare con molti cava-lieri, davasi lacqua; e uno cavaliere disse: Lva[ti] labocca e non le mani. E Saladino rispuose: Messere,io non parlai oggi di voi. Poi quando piazzeggiavanocos riposando in su il mangiare, fue domandato il Sala-dino per un altro cavaliere cos dicendo: Dimmi, Sala-dino, sio volesse dire una mia novella, a cui la dico perlo pi savio di noi? E l Saladino rispuose: Messere,ditela a qualunque vi pare il piue matto. [I] cavalier[i]mettendolo in questione, pregrlo chaprisse sua rispo-sta; el Saladino rispuose: A li matti ogni matto par sa-vio per la sua somiglianza. Adunque quando al mattosembrer uomo pi matto, fia quel cotale pi savio, perche l savere contrario della mattezza. Ad ogni mattoi savi paiono matti: siccome a savi i matti paiono vera-mente matti e di stoltizia pieni.

    Il Novellino

    39Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    XLI

    Una novella di messere Polo Traversaro.

    Messere Polo Traversaro fu di Romagna, e fu lo pinobile uomo di tutta Romagna; e tutta quasi la signoreg-giava a cheto. Avea tre cavalieri molto leggiadri, e nonparea loro che in tutta Romagna avesse uomo che potes-se sedere con loro in quarto. E per l ov elli teneanocorte aveano una panca di tre, e pi non ve ne capevano;e niuno era ardito di sedervi, per temenza della loro leg-giadria. E tutto che messere Polo fosse loro maggiore,ed ellino nellaltre cose lubbidiano, ma pure in quelloluogo leggiadro non [o]sava sedere, tutto che confessa-vano chelli era lo migliore uomo di Romagna, e l pipresso da essere il quarto che niun altro.

    Che fecero i tre cavalieri, vedendo che messere Polo liseguitava troppo? Rimuraro [mezzo] un uscio dun loropalagio perch non vi entrasse. Luomo era molto grossodi persona: non potendovi entrare, spogliossi ed entrviin camicia. Quelli, quando il sentiro, entraro ne le letta,e fiecersi coprire come malati. Messere Polo li credevatrovare a tavola; trovgli ne le letta: confortgli, e do-mandolli di lor mala voglia; e avidesene bene, e chiesecommiato, e partissi da loro.

    Quelli cavalieri dissero: Questo non giuoco. Andrne a una villa delluno, ove avea bello castelletto,con fosso e ponte levatoio. Posersi in cuore de fare quiviil verno. Un die vand messere Polo con buona compa-gnia; e quando ellino vollero entrare dentro, elli levaro ilponte. Assai pot dire, che non ventrarono; ritornaroindietro.

    Passato il verno, ritornaro a la cittade. Messero Polo,quandelli tornaro, non si lev, e que ristettero; e lunodisse: O messere, per mala ventura, che cortesia sono

    40Letteratura italiana Einaudi

  • le vostre? quando i forestieri giungono a citt, voi non[vi levate per] loro? E messere Polo rispuose: Perdo-natemi, messeri, chio non mi levo, se non per lo ponteche si lev per me. Allora li cavalieri ne fecero gran fe-sta. Morio luno de cavalieri, e quelli segaro la sua terzaparte de la panca ove sedeano quando il terzo fu morto,perch non trovaro in tutta Romagna niuno cavaliereche fosse degno di sedere in suo luogo.

    XLII

    Qui conta bellissima novella di Guiglielmo di Berghedam diProenza.

    Guiglielmo di Berghedam fue nobile cavaliere diProenza al tempo del conte Raimondo Berlinghieri. Ungiorno avenne che cavalieri si vantavano, e [Guiglielmo]si vant che non avea niuno nobile uomo in Proenza,che no gli avesse fatto votare la sella e giaciuto con suamogliera. E questo disse in udienza del conte. El conterispuose: Or [me]? Guiglielmo disse: Voi, signore?io lo vi dir. Fece venire suo destriere sellato e cin-ghiato bene, li sproni in pi, mise il pi ne la staffa; equando fu [cos] ammannato, parl al conte, e disse: Voi, segnore, n metto n traggo. E monta a cavallo esprona e va via. El conte sadiroe molto; que non venivaa corte.

    Un giorno si ragunaro donne a uno nobile convito.Mandaro per Guiglielmo de Berghedam; e la contessa vifu, e dissero: Ora [ci] d, Guiglielmo, perch hai tu co-s onite le nobili donne di Proenza? cara la comperrai. Catuna avea uno ma[tte]ro sotto. Quella che parlava,disse: Vedi, Guiglielmo, che per la tua follia ti convie-

    Il Novellino

    41Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    ne morire. E Guiglielmo, vedendo che s era sorpreso,parl e disse: Duna cosa vi prego, donne, per amore:che mi facciate un dono. Le donne rispuosero: Do-manda, salvo che non domandi tua scampa. AlloraGuiglielmo parl, e disse: Donne, io vi priego peramore che quale di voi la pi putta mi dea imprima. Allora luna riguard laltra: non si trov chi prima li vo-lesse dare; e s scamp a quella volta.

    XLIII

    Qui conta di messere Rangone, come elli fece a un giullare.

    Messere Iacopino Rangoni, nobile cavaliere di Lom-bardia, stando uno giorno a una tavola, avea due ingaista-re di finissimo vino innanzi, bianco e vermiglio. Un giuco-lare stava a quella tavola, e non sardiva di chiedere diquel vino, avendone grandissima voglia. Levossi sue, eprese uno muiuolo, e lavollo [molto bene e] di vantaggio.E poi che lebbe cos lavato molto, gir la mano, e disse: Messere, io lavato lhoe. E messere Iacopino di dellamano ne la guastada, e disse: Tu il pettinerai altrove chenon qui. Il giullare si rimase cos, e non ebbe del vino.

    XLIV

    Duna quistione che fu posta ad uno uomo di corte.

    Marco Lombardo fue nobile uomo di corte e saviomolto. Fue a uno Natale a una cittade dove si donavano

    42Letteratura italiana Einaudi

  • molte robe, e non nebbe niuna. Trov un altro uomo dicorte, lo qual era nesciente apo lui, e avea avute robe. Diquesto nacque una bella sentenzia; ch quello giullaredisse a Marco: Che ci, Marco, chi ho avute setterobe, e tu non niuna? E s se tu troppo migliore e pisavio di me. Qual la ragione? E Marco rispuose: Non per altro, se non che tu trovasti pi de tuoi che ionon trov delli miei.

    XLV

    Come Lancialotto si combatt a una fontana.

    Messere Lancialotto si combattea un giorno a una fon-tana con uno cavaliere di Sansogna, lo quale avea nomeA[libano]; e combatevansi aspramente a le spade, di-smontati de loro cavalli. E quando presero lena, do-mand luno del nome dellaltro. Messere Lancialotto ri-spuose: Da poi che tu disideri mio nome, or sappi chiho nome Lancialotto. Allora si ricominci la meslea, elo cavaliere parl a Lancialotto, e disse: Pi mi nuocetuo nome che la tua prodezza. Perch saputo il cavalie-re chera Lancialotto, cominci a dottare la bont sua.

    XLVI

    Qui conta come Narcis [s]innamor de lombra sua.

    Narcis fu molto buono e bellissimo cavaliere. Ungiorno avenne chelli si riposava sopra una bellissima

    Il Novellino

    43Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    fontana, e dentro lacqua vide lombra sua molto bellis-sima. E cominci a riguardarla, e rallegravasi sopra allafonte, [e lombra sua facea lo simigliante]. E cos crede-va che quella ombra avesse vita, che istesse nellacqua, enon si accorgea che fosse lombra sua. Cominci adamare e a innamorare s forte, che la volle pigliare. Elacqua si turb; lombra spario; ondelli incominci apiangere. E lacqua schiarando, vide lombra che pian-gea. Allora elli si lasci cadere ne la fontana, sicchaneg.

    Il tempo era di primavera; donne si veniano a dipor-tare alla fontana; videro il bello Narcis affogato. Congrandissimo pianto lo trassero della fonte, e cos rittolappoggiaro alle sponde; onde dinanzi allo dio damoreand la novella. Onde lo dio damore ne fece nobilissi-mo mandorlo, molto verde e molto bene stante, e fu ed il primo albero che prima fa frutto e rinnovella amore.

    XLVII

    Qui conta come uno cavaliere richiese una donna damore.

    Uno cavaliere pregava uno giorno una donna damo-re, e diceale intra laltre parole chelli era gentile e riccoe bello a dismisura: E l vostro marito cos laido, co-me voi sapete. E quel cotal marito era dopo la paretedella cammera. Parl, e disse: Messere, per cortesia,acconciate li fatti vostri, e non isconciate li altrui!

    Messere Lizio di Valbona fu [l] laido, e messere Ri-nieri da Calvoli fu laltro.

    44Letteratura italiana Einaudi

  • XLVIII

    Qui conta del re Curado, padre di Curradino.

    Leggesi del re Currado, padre di Curradino, chequando era garzone, s avea in compagnia dodici gar-zoni di sua etade. Quando lo re Currado fallava, i mae-stri che li erano dati a guardia non lo battevano, mabattevano questi garzoni, suoi compagni. E que dicea: Perch battete voi costoro? Rispondeano li maistri: Per li falli tuoi. E que dicea: Perch non battetevoi me? ch mia la colpa. E li maistri rispondeano: Perch tu se nostro signore. Ma noi battiamo costoroper te: onde assai ti dee dolere, se tu hai gentil cuore,chaltri porti pene de le tue colpe. E perci si diceche lo re Currado si guardava di fallire per la piet dicoloro.

    XLIX

    Qui conta duno medico di Tolosa, come tolse per moglie unanepote de larcivescovo di Tolosa.

    Uno medico di Tolosa tolse per moglie una gentiledonna di Tolosa, nepote de larcivescovo. Menolla. Indue mesi fece una fanciulla. Il medico non ne mostrnullo cruccio, anzi consolava la donna, e mostravale ra-gioni secondo fisica che ben poteva essere sua di ragio-ne. E con quelle parole e con belli sembianti fece s chela donna no la pot traviare. Molto onoroe la donna nelparto. Dopo il parto s le disse: Madonna, io vho ono-rata quanti ho potuto. Priegovi, per amore di me, che

    Il Novellino

    45Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    voi ritorniate omai a casa di vostro padre. E la vostra fi-gliuola io terr a grande onore.

    Tanto andaro le cose innanzi, che larcivescovo sentche l medico avea dato commiato a la nepote. Mandper lui. E acci chera grande uomo, parl sopra a luimolto grandi parole, mischiate con superbia e con mi-nacce. Quandebbe assai parlato, el medico rispuose edisse cos: Messere, io tolsi vostra nepote per moglie,credendomi della mia ricchezza potere fornire e pascerela mia famiglia. E fu mia intenzione davere uno figliuo-lo lanno, e non pi. Onde la donna ha cominciato a farefigliuoli in due mesi; per la qual cosa io non sono s agia-to, se l fatto dee cos andare, chio li potesse notricare, evoi, non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse apovertade. Perchio vi chieggio mercede che voi la diatea un pi ricco omo chio non sono, [che possa notricareli suoi figlioli] s che a voi non sia disinore.

    L

    Qui conta di maestro [Francesco], figliuolo di maestro [Accor-so].

    Maestro Francesco, figliuolo di maestro Accorso del-la citt di Bologna, quando ritorn dInghilterra, doveera stato longamente, fece una cos fatta proposta dinan-zi al Comune di Bologna, e disse: Un padre duna fa-miglia si part di suo paese per povertade, e lasci i suoifigliuoli e andonne in lontane provincie. Stando unotempo, ed elli vide uomini di sua terra. Lamore de fi-gliuoli lo strinse a domandare di loro. E quelli rispuose-ro: Messere, vostri figliuoli hanno guadagnato, e sonoricchi. E quelli, [u]dendo cos, propuosesi di ritornare.

    46Letteratura italiana Einaudi

  • E ritorn in sua terra; trov li figliuoli ricchi. Adoman-doe a suoi figliuoli che l rimettessero in su le possessio-ni, s come padre e signore. I figliuoli negaro, dicendocos: Padre, noi il ci avemo guadagnato, non ci hai chefare: s che ne nacque piato. Onde la legge volle che lpadre fosse al postutto signore di ci chaveano guada-gnato i figliuoli. E cos andomando io al Comune di Bo-logna che le possessioni de miei figliuoli siano a mia si-gnoria: cio de miei scolari, li quali sono gran maestridivenuti, e hanno molto guadagnato poi chio mi partda loro. Piaccia al Comunale di Bologna, poi chio sonotornato, chio sia signore e padre, s come comanda lalegge che parla del padre della famiglia.

    LI

    Qui conta duna guasca, come si richiam a lo re di Cipri.

    Era una guasca in Cipri, alla quale fu fatta un d mol-ta villania e onta tale, che non la poteo sofferire. Mossesie andonne al re di Cipri, e disse: Messere, a voi sonogi fatti diecimila disinori, e a me n fatto pur uno; prie-govi che voi, che tanti navete sofferti, minsegniate sof-ferire il mio uno. Lo re si vergogn e cominci a ven-dicare l[i] su[oi], e a non voler[n]e pi sofferire.

    LII

    Duna campana che sordin al tempo di re Giovanni.

    Il Novellino

    47Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    Al tempo di re Giovanni dAcri fue ordinata unacampana, che chiunque ricevea un gran torto s landavaa sonare; il re raguna[va i] savi a ci ordinati, acci cheragione fosse fatta. Avenne che la campana era moltotempo durata, che la fune per la piova era venuta meno,sicch una vitalba vera legata. Ora avenne che uno ca-valiere dAcri avea uno suo nobile destriere, lo quale erainvecchiato s che sua bont era tutta venuto meno: sic-ch per non darli mangiare il lasciava andare per la ter-ra. Lo cavallo per la fame aggiunse con la bocca a quellavitalba per rodegarla. Tirando, la campana son. Li giu-dici si adunaro, e videro la petizione del cavallo, che pa-rea che domandasse ragione. Giudicaro che l cavalierecui elli avea servito da giovane il pascesse da vecchio. Ilre li costrinse, e comand sotto gran pena.

    LIII

    Qui conta duna grazia che lo mperadore fece a un suo baro-ne.

    Lo mperadore don una grazia a un suo barone, chequalunque uomo passasse per sua terra, che li togliessedogni magagna evidente uno danaio di passaggio. Il ba-rone mise a la porta un suo passeggiere a ricogliere ilpassaggio. Un giorno avenne che uno, chavea m[eno]un piede, venne alla porta: il pedaggiere li domand undanaio. Quelli si contese, azzuffandosi con lui. Il pedag-giere il prese. Quelli difendendosi trasse fuori un suomoncherino: chavea meno luna mano. Allora il pedag-giero il vide; disse: Tu me [ne] darai due, luno per lamano e laltro per lo piede. Allora furono alla zuffa: ilcapello li cadde di capo. Quelli avea meno luno occhio.

    48Letteratura italiana Einaudi

  • Disse il pedaggiere: Tu mi ne darai tre. Piglirsi aicapelli; lo passeggiere li puose mano in capo. Quelli eratignoso. Disse lo passeggiere: Tu mi ne darai ora quat-tro. Cos convenne, a colui che sanza lite potea passareper uno, pagasse quattro.

    LIV

    Qui conta come il piovano Porcellino fu accusato.

    Uno piovano, il quale aveva nome il piovano Porcelli-no, al tempo del vescovo Mangiadore fu acusato dinanzidal vescovo chelli guidava male la pieve per cagione difemine. Il vescovo, facendo sopra lui inquisizione, tro-vollo molto colpevole. E stando in vescovado, attenden-do laltro d dessere disposto, la famiglia, volendoli be-ne, linsegnaro campare.

    Nascoserlo, la notte, sotto il letto del vescovo. E inquella notte il vescovo vavea fatto venire una sua amica;ed essendo entro il letto, volendola toccare, lamica nonsi lasciava, dicendo: Molte impromesse mavete fatte, enon me ne attenete neente. Il vescovo rispuose: Vitamia, io lo ti prometto e giuro. Non, disse quella iovoglio li danari in mano. El vescovo levandosi per an-dare per danari, per donarli allamica, el piovano usc disotto il letto, e disse: Messere, a cotesto colgono elleme! Or chie potrebbe fare altro? Il vescovo si vergo-gn, e perdongli; ma molte minacce li fece dinanzi allialtri cherici.

    Il Novellino

    49Letteratura italiana Einaudi

  • Il Novellino

    LV

    Qui conta una novella duno uomo di corte chavea nome Mar-co.

    Marco Lombardo, [uomo di corte] savissimo pi cheniuno de suo mestiere, fu un d domandato da un pove-ro orrievole uomo e leggiadro, il quale prendea i danariin sagreto da buona gente, ma non prendeva robe. Era aguisa di morditore e avea nome Paolino. Fece a Marcouna cos fatta quistione, credendo che Marco non vi po-tesse rispondere: Marco, disse elli tu se lo pi sa-vio uomo di tutta Italia, e se povero e disdegni lo chie-dere: perch non ti provedesti tu s che tu fossi s riccoche non ti bisognasse di chiedere? E Marco si volsedintorno, poi disse cos: Altri non vede ora noi e nonci ode. Or tu comhai fatto? E l morditore rispuose: Ho fatto s chio sono povero. E Marco disse: Tiellocredenza a me, e io a te.

    LVI

    Come uno della Marca and a studiare a Bologna.

    Uno della Marca andoe a studiare a Bologna. Venner-li meno le spese. Piangea. Un altro il vide, e seppe per-ch piangeva; disseli cos: Io ti fornir lo studio, e tumimprometti che tu mi dara mille livre al primo piatoche tue vincerai. Lo scolaio studi e torn in sua terra.Quelli li tenne dietro per lo prezzo. Lo scolaio, per pau-ra di dare il prezzo, si stava e non avogava; e cos aveaperduto luno e laltro: luno il senno, laltro i danari. Or

    50Letteratura italiana Einaudi

  • che pens quelli de danari? Richiamossi di lui e dielliun libello de duemila livre, e disseli cos: O vuogli per-dere, o vuogli vincere. Se tu vinci, tu mi pagherai la pro-messione. Se tu perdi, tu mi adempierai il libello. Allo-ra lo scolaio il pag, e non volle piatire con lui.

    LVII

    Di madonna Agnesina di Bologna.

    Madonna Agnesina di Bologna istando un giorno inuna corte da sollazzo, ed era donna dellaltre: intra lequali avea una sposa novella, alla quale voleva fare direcomella fece la [prima notte]. Cominciossi madonnaAgnesina alle piue sfacciate, e domand imprima loro.Luna dicea: Io il presi [con le due mani] ; e laltre di-ceano in altro sfacciato modo. Domand la sposa novel-la: E tu come faccesti? E quella disse molto vergo-gnosamente, con gli occhi chinati: Io il presi con ledue dit[a]. Madonna Agnesina rispuose e disse: Deh, cagiu ti fossello!

    LVIII

    Di messere Beriuolo, cavaliere di corte.

    Uno cavaliere di corte chebbe nome messere Beriuo-lo era in Genova. Venne a rampogne con uno donzello.Quello donzello li fece la fica quasi infino allocchio, di-cendoli villania. Messere Brancadoria il vidde; seppeli

    Il Novellino

    51Letteratura italiana Einaudi

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    reo. Venne a quello cavaliere di corte: confortollo che ri-spondesse e facesse la fica a colui che la faceva a lui. Madio, rispuose quello non far: chio non li fareiuna de le mie per cento delle sue.

    LIX

    Qui conta dun gentile uomo che lo mperadore fece impendere.

    Federigo imperadore fece impendere un giorno ungrande gentile uomo per certo misfatto. E per fare riluce-re la giustizia, s l faceva guardare ad un grande cavalierecon comandamento di gran pena, che no[l] lasciassespiccare. S che questi non guardando bene, lo mpiccatofu portato via. S che quando quelli se navide, prese con-siglio da se medesimo per paura di perdere la testa. Eistando cos penso[so] in quella notte, s prese ad andaread una badia chera ivi presso, per sapere se potesse tro-vare alcuno corpo che fosse novellamente morto, acciche l pottesse mettere alle forche in colui scambio.Giunto alla badia la notte medesima, s vi trov una don-na in pianto, scapigliata e scinta, forte lamentando; edera molto sconsolata, e piangea uno suo caro marito loquale era morto lo giorno. El cavaliere la domand dol-cemente: Madonna, che modo questo? E la donnarispuose: Io lamava tanto, che mai non voglio esserepi consolata, ma in pianto voglio finire li miei d. Allo-ra il cavaliere le disse: Madonna, che savere questo?Volete voi morire qui di dolore? Ch per pianto n perlagrime non si pu recare a vita il corpo morto. Ondeche mattezza quella che voi fate? Ma fate cos: prende-te me a marito, che non ho donna, e campatemi la perso-na, perchio ne sono in periglio, e non so l dovio mi na-

    52Letteratura italiana Einaudi

  • sconda: che io per comandamento del mio signore guar-dava un cavaliere impenduto per la gola; li uomini delsuo legnaggio il mhanno tolto. Insegnatemi campare,che potete, e io sar vostro marito, e terrvi onorevole-mente. Allora la donna, udendo questo, si innamor diquesto cavaliere e disse: Io far ci che tu mi comande-rai, tant lamore chio vi porto. Prendiamo questo miomarito, e traiallo fuori della sepultura, e impicchiallo inluogo di quello che v tolto. E lasci suo pianto; e attrarre il marito del sepulcro, e atollo impendere per lagola cos morto. El cavaliere disse: Madonna, elli aveameno un dente della bocca, e ho paura che, se fosse rive-nuto a rivedere, chio non avesse disinore. Ed ella,udendo questo, li ruppe un dente di bocca; e saltro vifosse bisognato a quel fatto, s lavrebbe fatto. Allora ilcavaliere, [vedendo] quello chella avea fatto di suo mari-to, disse: Madonna, siccome poco v caluto di costuiche tanto mostravate damarlo, cos vi carebbe vie menodi me. Allora si part da lei e andossi per li fatti suoi, edella rimase con grande vergogna.

    LX

    Qui conta come Carlo [dAngi] am per amore.

    Carlo, nobile re di Cicilia e di Gerusalem, quando eraconte dAngi s am per amore la bella contessa di[T]eti, la quale amava medesimamente il conte dUniver-sa. In quel tempo il re di Francia avea difeso sotto penadel cuore, che niuno torniasse. Il conte dAngi, volendoprovare qual meglio valesse darme, o lui o l contedUniversa, s si provide, e fu con grandissime prechierea messere Alardo di Vallieri, e manifestolli dove elli ama-

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    va, e che sera posto in cuore di provarsi in campo colconte dUniversa, pregandolo per amore che accatasse laparola dal re, che solo un torniamento facesse con sua li-cenzia. Quelli domandando cagione, il conte dAngilinsegn in questa guisa: Il re s quasi beghino, e perla grande bontade di vostra persona elli spera di prende-re e di fare prendere a voi drappi di religione per avere lavostra compagnia; onde in questa domanda sia per voichesto in grazia che un solo tornemento lasci a noi fedire;e voi farete quanto che a lui piacer. E messere Alardorispuose: Or mi d, con te, e perder io la compagniade cavalieri per uno torniamento? E l conte rispuose: Io vi prometto lealmente chio vi ne deliberr. E s fe-ce elli in tal maniera come io vi conter.

    Messere Alardo se nand al re di Francia e disse: Messere, quandio presi arme il giorno di vostro corona-mento, allora portarono arme tutti li migliori cavalieridel mondo; onde io per amore di voi volendo in tutto la-sciare il mondo e vestirmi di drappi di religione, piacciaa voi di donarmi una nobile grazia, cio che un tornia-mento feggia, l ove sarmi la nobilit di cavalieri, sicchle mie armi si lascino in cos grande festa comelle si pre-sero. Allora lo re lot[r]i. Ordinossi un torniamento.Dalluna parte fu il conte dUniversa, e dallaltra il contedAngioe. La reina con contesse e dame e damigelle digran paraggio furo alle loggie, e la contessa di Teti vifue. In quel giorno portaro arme li fiori di cavalieri delmondo da una parte e dallaltra. Dopo molto torneare, ilconte dAngioe e quello dUniversa fecero diliverarelaringo, e luno incontro allaltro si mosse alla forza depoderosi destrieri, con grosse aste in mano. Or avenneche nel mezzo de laringo il destriere del conte dUni-versa cadde col conte in uno monte, onde le donne di-scesero delle logge e portrlone in braccio molto suave-mente. E la contessa di Teti vi fue. Il conte dAngi silamentava fortemente dicendo: Lasso! perch non

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  • cadde mio cavallo, siccome quello del conte dUniversa,che la contessa mi fosse tanto di presso quanto fo a lui! Partito il torneamento, il conte dAngi fu alla reina, echies[e]le merc, chella per amore de nobili cavalieri diFrancia dovesse mostrare cruccio al re; poi nella pace gliadomandasse un dono, e l dono fosse di questa manie-ra: che al re dovesse piacere che giovani cavalieri diFrancia non perdessero s nobile compagnia comeraquella di messere Alardo di Valleri. La reina cos fece.Crucci col re, e nella pace li domand quello chellavolea. E l re le promisse il dono. E fu diliberato messereAlardo di ci chavea promesso, e rimase co li altri nobi-li cavalieri torneando e faccendo darme, siccome la ri-nomea per lo mondo si corre sovente di grande bonta-de, doltrama[ra]vigliose prodezze.

    LXI

    Qui conta di Socrate filosofo, come rispose a Greci.

    Socrate fue nobile filosofo di Roma, e al suo tempomandaro i Greci nobile e grandissima ambasceria ai Ro-mani. E la forma della loro ambasciata si fu per difender-si da Romani del trebuto che davano loro con ragione. Efue loro cos imposto dal Soldano: Andrete e usereteragione; e se vi bisogna, userete moneta. Li ambascia-dori gionsero a Roma. Propuosersi la forma della loroambasciata nel Consiglio di Roma. Il Consiglio di Romas provide la risposta della domanda de Greci, che si do-vesse fare per Socrate filosofo, sanza niun[o] altro tenoreriformando il Consiglio, che Roma stesse a ci che perSocrate fosse risposto. Li ambasciadori andaro col doveSocrate abitava, molto di lungi da Roma, per opporre le

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  • Il Novellino

    loro ragioni dinanzi da lui. Giunsero alla casa sua, la qua-le era di non gran vista. Trovaro lui che cogliea erbetta.Avisrlo da lunga. Lomo era di non grande apparenza.Parlaro insieme, considerante tutte le soprascritte cose.E dissero intra loro: Di costui avremo noi grande mer-cato, acci che sembiava loro anzi povero che ricco.Giunsero, e dissero: Dio ti salvi, uomo di grande sa-pienzia, la quale non pu essere piccola, poi che Romanithanno commessa cos alta risposta. Mostrrli la[ri]formagione di Roma, e dissero a lui: Proporremodinanzi da te le nostre ragionevoli ragioni, le quali sonomolte. El senno tuo proveder il nostro diritto. E sappia-te che siamo di ricco signore; prenderai questi perperi, iquali sono molti, e al nostro signore neente, e a te puessere molto utile. E Socrate rispuose alli ambasciado-ri, e disse: Voi pranzerete inanzi, e poi intenderemo avostri bisogni. Tennero lo nvito, e pranzaro assai catti-vamente, sanza molto rilevo. Dopo il pranzo parl Socra-te alli ambasciadori, e disse: Signori, quale meglio trauna cosa o due? Li ambasciadori rispuosero: Le due. E que disse: Or andate a ubbidire a Romani co lepersone: ch se l Commune di Roma avr le persone deGreci, elli avr le persone e lavere. E sio togliesse loro, iRomani perderebbero la loro intenzione. Allora li am-basciadori si partiro dal filosafo assai vergognosi, e ubbi-diro a Romani.

    LXII

    Qui conta una novella di messere Ruberto.

    Arimini monte si in Borgogna, e havi un sire che sichiama messere Ruberto, ed contado grande. La con-

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  • tessa antica e sue cameriere