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Anno LXVII n. 4 Ottobre-Dicembre 2021 TRIMESTR ALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALV ATORE LOSCHIAVO

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Page 1: Anno LXVII n. 4 Ottobre-Dicembre 2021

Anno LXVII n. 4 Ottobre-Dicembre 2021

TRIMESTRALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO

Page 2: Anno LXVII n. 4 Ottobre-Dicembre 2021

IN QUESTO NUMERO:

Editoriale, Memoria e storia p. 4

W. Iorio, Tito Lucrezio Caro p. 5

E. Aloja, Testimonianze ianuariane collinari.2 p. 8

G. Scotto di Perta, Il “Monastile” di Procida p. 10

S. Zazzera, Il gatto dell’Annunciazione p. 12

M. Forgione, La pizza p. 15

E. Notarbartolo, Benino p. 17

F. Ferrajoli, Il costume procidano p. 18

P. Carzana, Philipp Mainländer.2 p. 19

M. Piscopo, Lo “struscio” p. 22

A. La Gala, Napoli deluse Oscar Wilde p. 23

R. Pisani, “Il ritorno di una penna”.1 p. 25

A. Imperatore, Il “surrogato” p. 28

Dossier Archivi:30 settembre p. 30Un appello per gli Archivi p. 31

T. Biondi, Il ragù della nonna p. 34

A. Ferrajoli, “Malafémmena” p. 35

A. Schioppo, Il cortile p. 36

F. Lista, “Panorama” p. 37

M. Vitiello, La vestizione della sposa p. 40

N. Dente Gattola, Con la cultura si mangia (e nonsolo...) p. 42

P. Lubrano Lavadera, Costruire le ragioni del dialogo p. 45

A. Grieco, Una favola d’amore nell’Italia coloniale p. 48

A. Di Corcia, “Solo la pioggia” p. 50

C. Zazzera, Sport “minori”? p. 51

Libri & Libri p. 53

La posta dei lettori p. 56

Direttore responsabile: SERGIO ZAZZERARedattore capo: CARLO ZAZZERARedazione: ANTONIO LA GALA,FRANCO LISTA,ELIO NOTARBARTOLO,MIMMO PISCOPO,GABRIELE SCOTTO DI PERTAPast-director: ANTONIO FERRAJOLI

Direzione, redazione, amministrazione:via G. Sagrera, 9 - 80129 Napoli- tf. 081.5566618 - e-mail: [email protected]

Registrazione:Tribunale di Napoli, n. 3458 del 16 ottobre 1985.

Fascicolo chiuso l’11 dicembre2021, pubblicato online ai sensidell’a. 3-bis l. 16 luglio 2012, n. 103.

diffusione gratuita

è vietata la riproduzione integrale degliarticoli contenuti in questo numero,senza l’autorizzazione della direzionedel periodico o degli autori degli scrittiche s’intende riprodurre; quella par-ziale dovrà indicare gli estremi della fonte.

https://www.facebook.com/ilrievocatore

Anno LXVII n. 4 Ottobre-Dicembre 2021

In copertina:Zampognari al Petraio

(gouache - sec. XX - coll. priv.)

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Presepe della Reggia di Caserta

IL DIRETTORE E LA REDAZIONE DI

AUGURANOBUON NATALE E FELICE ANNO 2022

A TUTTI I LETTORI

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Ottobre-Dicembre 2021Anno LXVII n. 4

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Editoriale

MEMORIA E STORIA

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Èinvalso l’uso, da qualche tempo, di attribuire la patente di“storico” a persone che svolgono l’attività – pur sempre

meritoria – di raccolta e diffusione di ricordi, sia personali, chealtrui, relativi a personaggi, luoghi, avvenimenti, a rischio di di-spersione. Senonché, altro è “storia”, altro è “memoria”, e varràla pena che ci si chiarisca le idee al riguardo.“Memoria” è la mera catalogazione/narrazione di fatti, dei loroprotagonisti e del loro teatro di svolgimento. “Storia”, viceversa,è l’attività d’interpretazione di tali fatti, al fine della ricerca delleloro cause e dell’eventuale concatenazione di più tra essi. In re-altà, fra tali due categorie se ne inserisce una terza: la “Cronaca”,che all’esposizione degli avvenimenti associa, per lo più, il puntodi vista dell’articolista, che, però, non può essere ancora consi-derato “giudizio storico” vero e proprio.Con ciò, non s’intende, affatto, sminuire il valore dell’opera dei memorialisti (e degli articolisti), fon-damentale per la conservazione del ricordo di quanto essi narrano e, soprattutto, per la sua trasmis-sione alle generazioni future: non v’è dubbio, infatti, che la conoscenza del passato sia essenziale perla progettazione del futuro. Del resto, tanti accadimenti del passato ci sono noti proprio attraversogli scritti di memorialisti – fra i tanti, citiamo Enrico di Lorena, duca di Guisa (nell’illustrazione), perla Napoli dei tempi di Masaniello, Carlo De Nicola per quella del 1799, Alfredo Parente per quelladelle Quattro Giornate –, ai quali dobbiamo essere grati per l’impegno del quale si sono fatti rispet-tivamente carico.Il frutto di questo loro impegno, poi, ha costituito, e continua a costituire, il punto di partenza dellastoria, vale a dire, dell’operato degli storici, i quali si cimentano – come si è già detto – nell’attività difar emergere le cause di quei fatti e le relazioni fra gli stessi.Ciò posto – e come può risultare evidente, scorrendone le annate precedenti –, Il Rievocatore ha sem-pre guardato con attenzione, fin dalla sua nascita, sia alla memoria, che alla storia, nella consapevo-lezza della pari rilevanza del prodotto di entrambe tali attività, e si propone di continuare – magari,con l’aiuto di quei lettori che intendessero cimentarsi nella collaborazione – in tale direzione il propriopercorso.

Il Rievocatore

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di Walter Iorio

Le origini dell'autore del De rerum natura,erano incerte fino ad almeno la prima metà

del secolo scorso, quando ancora si era incertisulla provenienza laziale o campana del poeta;ma non pochi elementi descrittivi, tuttavia, de-sumibili dalla lettura del poema sembrano orarisolvere l'enigma.La geografia mate-riale, infatti, dell'os-servatorio speculativo,evocato dalla rifles-sione filosofica di Lu-crezio può risolvereogni dubbio in merito.Allo sguardo ammi-rato del poeta nonsfugge l'incanto delpaesaggio campanoche si estende dal-l'acrocoro dei MontiLattari alla foce stabiese del fiume Sarno con iriverberi favolosi dell'azzurro profondo e mor-bido del golfo di Castellammare osservati daquella altezza suggestiva e del verde umido edelettrico di quella lussureggiante vegetazionemontano-costiera; e nemmeno gli sfugge lospettacolo di un'umanità febbrile ed efferve-scente di vita che da quelle contrade si estendefino alla plaga voluttuosa dell'area flegrea,

zona amena e rinomata per trasgressive va-canze estive di epoca romana, medioevale e ri-nascimentale1.Ma Lucrezio sapeva anche del risvolto contra-stante di questo paradiso terrestre e conosce-va bene «i drammi del cielo e della terra (…) i

tuoni, i fulmini, i fuo-chi sotterranei, i vul-cani, le epidemie chesono grandi malattiedell'universo»2.Lo spirito del poeta,pensoso della dupli-cità della condizionesollecitava riflessioniprofonde sul destinocomune dell'uomo,generando umori al-terni nel suo animomutevole, che lo indu-

ceva spesso nella dissacrazione di luoghi co-muni e di pregiudizi insensati come si evinceper esempio dalla lettura, del libro IV, 1133-1149 del suo capolavoro. Ognuno può ricono-scere in essi i segni di quell'ironia pungente, allimite del sarcasmo, con cui agli fustiga la ri-dicola cecità mentale di certi uomini che, men-tendo a se stessi, si illudono di amare donnebellissime e degne di gareggiare con le dee del-

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TITO LUCREZIO CAROPoeta napoletano o giù di lì

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l'Olimpo (da leggere e gustare assolutamente!)e che è cosa tutta partenopea, come quella chesi avverte in tanti ineleganti giudizi sull'aspettofisico e sul comportamento di certe amiche co-muni.Ma il poeta-filosofo sapeva pure che quei luo-ghi erano stati teatro della sanguinosa battagliadel Vesuvio che aveva contrapposto le plebi ri-voltose di Spartaco alle forze regolari romanedurante la guerra servile del 73-71 a.C.: luoghi,del resto, in cui avrebbe perso la vita, a di-stanza di un secolo circa, il celebre scienziatoPlinio il Vecchio, comandante della flotta ro-mana incaricato di studiare i fenomeni sismicidi quella zona così trepidamente narrati dal ni-pote Plinio il Giovane nell'Epistula 6,16; e luo-ghi, infine, dove, in età moderna, il pessimismodel più maturo Leopardi si sarebbe mitigatoun poco nei versi ultimi de La ginestra. Tutti questi elementi, insoma, rimandano le in-dagini a località molto celebri dell'area urbanao metropolitana di Napoli e di Pompei (comesosteneva Ettore Paratore) o di Ercolano (comeaffermava Concetto Marchesi) in senso stretto. A ben vedere, del resto, il pensiero filosoficolucaneo ereditato dalla precettistica epicureanon poteva radicarsi e connotarsi meglio innessun'altra area della Magna Graecia se nonin paesaggi favolosi e terribili al tempo stessocome questi del litorale partenopeo, nei cuipressi, del resto erano già attivi alcuni centri di

irradiazione filosofica epicurea3. Né si dimentichi che, non lontano da questi ter-ritori, era già fiorita la luminosa filosofia ra-zionalistica eleate sorta intorno al pensiero diParmenide e dei suoi allievi, di cui alcuniorientamenti sarebbero stati accolti successiva-mente in quello di Epicuro.Ma quali fossero i motivi della reticenza geo-grafica di Lucrezio è difficile comprendere,perché, evidentemente, già ai suoi tempi Na-poli era una delle città maggiori della Penisolae non lo erano da meno Pompei ed Ercolano,parimenti indiziate di avergli dato i natali: sem-bra infatti poco credibile che il poeta mancassedi un certo orgoglio municipalistico... A menoche egli non volesse scrostare l'insegnamentodel maestro Epicuro da riduttive determina-zioni spaziali e temporali e sottolineare piutto-sto il valore di quella dottrina nobilissima.

Bibliografia:L. Bignone-M.R. Posani, Il poema della natura, Fi-renze 1963.P. Boyance, Lucrèce et l'Epicureisme, in Revuebelge de Philologie et d'Histoire, 43.1, 1965, pp.91 ss. (tr. it. a c. di G. e L. Villa, Lucrezio e l'epicu-reismo, Brescia 1970).Lucrezio, De rerum natura, a c. di O. Cescatti, Mi-lano 1979.G. B. Conte - E. Pianezzola, Storia e testi della let-teratura latina.3, Firenze 1995, n. e.F. Cupaiuolo, Storia della letteratura latina, Napoli

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Il Settore giovani dell’Ente culturale“Nicola Vigliotti” di San Lorenzello –fondato da Maria Luisa d’Aquino e pre-sieduto da Alfonso Gua-rino – è in progressivacrescita: il 30 ottobre

scorso, si è proceduto all’ammissione di nuovisoci, il cui ingresso nel sodalizio varrà sicura-mente a realizzare la trasmissione alle nuovegenerazioni del prezioso patrimonio laurentino di cultura etradizioni, come auspica anche questo periodico.

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1994.F. Della Corte, Disegno storico della letteratura la-tina, Torino 1957.G. Della Valle, Tito Lucrezio Caro, e l'epicurei-smo.1, Napoli 1935.C. Marchesi, Storia della letteratura latina.1, Mi-lano-Messina 19538.G. Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, L'attivitàletteraria nell'antica Roma, Palermo-Firenze 1989.N. Palermo, Disegno storico della letteratura la-tina, Roma 1970.E. Paratore, Storia della letteratura latina,Firenze,1959; Id., L'epicureismo e la sua diffusionenel mondo romano, Roma, 1960; Id., La problema-tica dell'epicureismo a Roma, in Romanae Litterae,Roma 1976, poi in Aufstieg und Niedergang der rö-mischen Welt, 1.4, 1973, pp. 116 ss., e in AntiquitéClassique, 45.2, 1976, p. 676.M.S. Poplawskj, Lucrèce et les Romains, in Eos,31, 1928, pp, 237 ss.B. Riposati, Storia della letteratura latina, Firenze,1972.Plinio il Giovane, Opere, a c. di F. Trisoglio, Torino1973.___________ 1 Di avviso simile era già un celebre accademico federi-ciano di Napoli, secondo cui «Se a duemila anni di di-stanza noi possiamo ancora ricostruire l'ambiente in cuifu concepito e sviluppato il De rerum natura, ne siamodebitori a questi scarsi, sporadici ma inconfondibili ac-

cenni concernenti paesaggi, uomini, dèi; a que-ste brevirievocazioni di credenze, costumanze, fatti storici; aquesti echi campani di cui risuona così spesso il poemadella Natura» (G. Della Valle, Tito Lucrezio Caro e l'epi-cureismo.1, Napoli 1935, p. 557 s.); anzi «Il De rerumnatura è il vero precursore delle Georgiche; è nato sottoil medesimo cielo, fu composto nel medesimo lembo diterra, per un medesimo bisogno spirituale, coltivando lemedesime campagne. Sono ambedue poemi della Cam-pania felix» (ibid., pp. 380 ss.).2 L. Bignone - M.R. Posani, Il poema della natura, Fi-renze 1963, pp. XII ss. Né c'è da meravigliarsi, pertantose «ora invece la natura è tutta un cospirare di formeostili e tremende che schiaccia l'umanità smarrita sottoil peso del suo anonimo furore» (E. Paratore, Storiadella letteratura latina, Firenze, 1959, p. 273).3 «La biblioteca di Ercolano contiene molti trattati diEpicuro e, fra gli altri, proprio quello in cui Lucrezio ri-prende il titolo, il perì physeos in trentasette libri» (P.Boyance, Lucrèce et l'Epicureisme, in Revue belge dePhilologie et d'Histoire, 43.1,1965, pp. 91-94 (trad. it. acura di G. e L. Villa, Lucrezio e l'epicureismo, Brescia1970, pp. 45 ss.). Si tenga poi presente che «Filodemofondò a Ercolano una scuola nella Villa di Pisone, Sironeistituì un circolo a Napoli altri intellettuali come ValerioSorano, Ignazio e Gaio Amafinio contribuirono conopere poetiche in cui trattavano il problema della na-tura» fra cui «si distinse Lucrezio, che in definitiva ful'interprete più incisivo del pensiero del maestro» (G.Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, L'attività letterarianell'antica Roma, Palermo-Firenze 1989, p 188).

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Il Centro per la Storia dell'Arte e dell'Architettura delle Città Portuali,che nasce dalla collaborazione tra il Museo e Real Bosco di Capodi-monte, l'Edith O’Donnell Institute of Art History (TX, USA), la FranklinUniversity, Switzerland, e gli Amici di Capodimonte Ets, e che ha sedenell’edificio settecentesco “La Capraia” nel Real Bosco di Capodi-monte di Napoli, bandisce borse di soggiorno per Research Resi-dents per l’anno accademico 2022-23, destinate a dottorandi in storiadell'arte, dell'architettura, storia della musica e archeologia. Il bandoè disponibile all’indirizzo Internet: https://tinyurl.com/LaCapraia2022-2023Call; le candidature vanno indirizzate alla Center CoordinatorFrancesca Santamaria ([email protected]) entro il28 Gennaio 2022.

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Eusebia: La forza della Fede.L'artistico altorilievo marmoreo del Meconio,sito lungo la navata destra della Basilica Pon-tificia di Antignano (v. foto in questa pagina),custodisce la memoria della prima liquefazionedel sangue di San Gennaro.Una millenaria tradi-zione popolare, risa-lente al IV secolodell'era cristiana, efonti epigrafiche po-steriori collocanol'evento soprannatu-rale nel PraediumAntinianum, la statiosita presso l'ottavomiliario dell'anticaVia Puteolis Neapo-lim per Colles. Unasolenne processioneliturgica, organizzata dalle diocesi di Napoli edella Campania, era partita dall'Agro Mar-ciano, la località della prima sepoltura, per latraslazione dei resti del capo e del corpo di SanGennaro alle Catacombe di Capodimonte,dove le sacre reliquie sarebbero state venerateda un maggior numero di fedeli. Vescovi, pre-

sbiteri, diaconi e popolo devoto furono testi-moni oculari di quel primo meraviglioso por-tento quando, nella sosta collinare, Eusebia, lanutrice del Santo, nata e residente ad Anti-gnano, donò due balsamari contenenti il san-gue del vescovo di Benevento, nato nel cuore

della Neapolis greco-romana.«Sanguis martyrumsemen Christiano-rum»: sfidando lacondanna a morte de-cretata dall'ultimoeditto dioclezianeo,ella, al tramonto del19 settembre 305,aveva raccolto, conun fuscellino, il san-gue dell'intrepidoatleta di Cristo dal

terreno prospiciente il Forum Vulcani, la Sol-fatara di Pozzuoli.Lì, per ordine del giudice romano Draconzio,erano stati decollati il Vescovo Gennaro e seimartiri campani. Per anni, nell'ecclesia dome-stica antiniana, Eusebia aveva custodito il san-gue del Martire secondo una pia tradizione

TESTIMONIANZE IANUARIANE COLLINARI.2

di Ennio Aloja

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delle prime comunità cristiane. Emblema dellapietà popolare del Praedium evangelizzato, nelI secolo, dal proselitismo paolino, la nutrice delSanto sarà eternata nelle pagine del Falcone edella Serao e nell'altorilievo basilicale. Il Me-conio l'ha immaginata, in ginocchio, mentreoffre le ampolline al vescovo di Napoli, guidadella processione liturgica.

Il “Cippo” di San Gennaro ad Antignano:un piccolo monumento in memoria di ungrande evento.Questa cinquecentesca testina marmorea diSan Gennaro, sopravvissuta miracolosamenteall'impietosa iconoclastia della speculazioneedilizia, è stata ed è testimonedella secolare devozione del po-polo di Antignano al Santo Mar-tire. La comunità cristiana delPraedium Antinianum, là doveavvenne il primo miracolo, de-dica a San Gennaro un'edicola e,in epoca normanna, a poca di-stanza, anche una chiesetta che,in una carta notarile del XV se-colo, viene citata con il titulus di"San Gennariello". Nel Cinquecento l'icona marmo-rea del Santo sovrasta l'altarinodell'antica edicola, meta della suggestiva pro-cessione primaverile degli "Inghirlandati". Nel1707, trasformata l'edicola in Cappella, la te-stina marmorea del Santo ed una lapide ricor-dano il suo primo miracolo. Nel 1897, giàdistrutta la Basilica Ferdinandea, anche questaCappella, detta "Vacchiano", viene demolita:l'altarino, la lapide e la statua lignea trovano ri-paro in "San Gennariello alle Gradelle", mentrela testina di San Gennaro viene collocata sullaporta centrale della Chiesa che, nel secondodopoguerra, sarà chiamata "Piccola Pompei". Il popolo di Antignano, deciso a ripristinare lamemoria del Santo Patrono, si stringe intornoa due valenti sacerdoti che, non a caso, si chia-mano Gennaro Sperindeo e Gennaro Errico.Tra l'inizio e la metà del Novecento, «labo-riosa populari stipe undique recollecta», siedifica la splendida Basilica Pontificia. Nel1941, auspice lo Sperindeo, la testina di San

Gennaro ritorna, con maggiore visibilità, nelsito originario. Da settant’anni l'epigrafe sot-tostante l'icona ci ricorda che qui, nel cuore an-tico del Vomero, è avvenuto «il primomeraviglioso portento della liquefazione delsangue di San Gennaro».

La Cappella Vacchiano e la Basilica Ferdi-nandea: la memoria di San Gennaro cancel-lata dalla speculazione edilizia.Nel 1707 l'edicola che ricordava il primo mi-racolo di San Gennaro ad Antignano è trasfor-mata in Cappella e la cinquecentesca iconamarmorea del Santo Patrono è collocata sul suofrontespizio (v. foto in questa pagina).

Nel 1857 Ferdinando II di Bor-bone acquista dalla famiglia DeSimone sia questa Cappella che ilterreno circostante. Il re, accantoallo storico tempietto, vuole in-nalzare una Basilica dedicata alSanto Patrono di Napoli e delRegno delle due Sicilie. Il 4 mag-gio 1859 il Cardinale Arcive-scovo Sisto Riario Sforza getta laprima pietra della Basilica:l'opera, affidata a Giuliano Ta-gliatatela, è disegnata dal Cap-pelli sul modello della Basilica di

San Francesco di Paola.Purtroppo la Basilica, ennesima testimonianzadella devozione dei Borbone di Napoli a SanGennaro, non sarà mai completata per le notevicende che segnano la fine del Regno Utriu-sque Siciliae e la nascita dell'unità d'Italia.Anche la settecentesca Cappella, detta poi Vac-chiano dal cognome degli ultimi proprietari,nel 1897, viene abbattuta senza nessuna regi-strazione comunale, nonostante fosse stata di-chiarata monumento nazionale da un decretoumbertino.La speculazione edilizia, al posto della BasilicaFerdinandea, innalza un palazzone e l'abbatti-mento della Cappella viene motivato con l'al-largamento dell'antico tracciato viario cheproseguiva lungo Conte della Cerra e via Sal-vator Rosa. (2. Fine)

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IL “MONASTILE” DI PROCIDA

di Gabriele Scotto di Perta

Dopo la partenza dei monaci Benedettini daProcida, la Sede Apostolica diede inizio

all’era degli Abati Commendatari per il go-verno dell’Abbazia di S. Michele Arcangelo.Dal 1489 fino al 1600 inoltrato, eminenti pre-lati della Curia Romana furonochiamati, con il titolo di AbatiCommendatari, con giurisdi-zione vescovile, a governarel’Abbazia e i suoi beni.Il primo abate nominato fu An-tonio Arcamone, nel 1439; il suosuccessore fu, nel 1520, GiovanCarlo Cossa, membro della no-bile famiglia napoletana, anchesignori delle isole di Ischia eProcida.L’abate Cossa è rimasto nellastoria per aver fatto redigere, nel1521, un accuratissimo inventa-rio di tutti i beni dell’Abbaziaesistenti sul territorio. Questo documento, oltrea mettere ordine e a fare chiarezza sul patrimo-nio abbaziale, e di conseguenza sulla com-menda, risulta ancora oggi prezioso per iricercatori e per gli storici. Per chi avesse inte-

resse a conoscere e a consultare l’inventario,lo si trova integralmente riportato nel volumedi Michele Parascandolo, Procida dalle originiai tempi nostri. Nel documento trovasi anche un passaggio che

riguarda l’argomento che si va atrattare. Infatti, a proposito del“Monastile” di Procida esso rife-risce che in un luogo fu trovatauna grande “starza” con case,palmenti, cantine con attrezzi dalavoro, con al centro una cap-pella dedicata a S. Sebastiano,molto malmessa, con a fianco un“Monastile” tenuto da monache,ultimo presidio benedettino ri-masto ancora sull’isola. Le mo-nache si occupavano di assisterela gente della “Starza”, sia spiri-tualmente che nelle difficoltàdella vita giornaliera, e per tradi-

zione il giorno dell’Assunta offrivano noci evino a tutto il popolo. Peraltro, la cappellaaveva un orientamento completamente oppo-sto, rispetto alla chiesa della SS. Annunziata(nelle due immagini), successivamente sorta al

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Descrivere il passato, comprendere il presente,prevedere il futuro.

Ippocrate

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suo posto, dove tuttora si trova.Ma anche questo sarebbe presto finito, graziealle frequenti incursioni piratesche, che in queitempi tormentavano tutte le coste italiane, e inmodo particolare le isole, dove avvenivanosaccheggi e deportazioni di uomini e di giovanidonne da vendere nei mercati degli schiavi. Lemonache, impaurite da quei terribili eventi, la-sciarono l’isola per rifugiarsi nel più sicuromonastero di S. Gregorio in Napoli. Ed è cosìche finì anche il “Monastile” di Procida.La tradizione vuole che anche le incursioni pi-ratesche abbiano avuto fine, grazie al potenteArcangelo Michele apparso nei cieli di Procidain tutto il suo sfolgorante splendore, che, ar-mato di una spada fiammeggiante, liberòl’isola dalle devastanti flotte saracene. © Riproduzione riservata

UNA “PULCINELLATA” DI ROBERTO ALBIN

La sede della Biblio-mediateca “Ethos e Nomos” (via Ber-

nini, 50) ha ospitato, il pomeriggio del 16 ottobre scorso,

la presentazione del testo teatrale Pulcinella contro il

Fantasma del Castello di Roccacavolo (Napoli, La Valle del

Tempo, 2021), dell’ attore e autore di teatro Roberto

Albin. Coordinati da

Barbara Abatino, ne

hanno discusso, insieme

con Maria Maddalena Erman, au- trice

della prefazione, Sergio Zazzera e Franco

Lista, rispettivamente direttore e redat-

tore di questo periodico.

Al termine della discussione, Albin ha intrattenuto i nu-

merosi giovanissimi presenti fra il pubblico, con uno spet-

tacolino di guarattelle tratto dal volumetto presentato e

con l’interpretazione del canto popolare Cicerenella, ac-

compagnato alla chitarra dal suo giovane allievo Mario

Scamardella. La presentazione è stata ripetuta, anche con

la partecipazione dello storico prof. Silvio De Maio, il 4

dicembre scorso, al Centro di formazione culturale e professionale “Alberto

Hurtado” di Scampia.

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IL GATTO DELL’ANNUNCIAZIONE(e perché ce n’è uno nella Grotta del Presepe)

di Sergio Zazzera

In uno dei numeri precedenti ho trattato di unfil rouge che lega i miei due “luoghi delcuore” – Procida e San Lorenzello –1; questavolta vorrei illu-strarne un altro.Sull’altare mag-giore della chie-sa procidana del-la SS. Annun-ziata – l’antico“Monastile” be-nedettino fem-minile –2 cam-peggia la pala,di un formatoinsoli tamentequadrato, dell’Annunciazione(v. foto accan-to), nel cui an-golo in basso adestra, attraver-so gl’intagli del-la decorazione dell’inginocchiatoio, fa capo-lino l’immagine di un gatto3. Dal 22 settembre 1963 fu inviato a reggerel’ufficio parrocchiale di questa chiesa il sacer-dote don Salvatore Verlezza, dell’ordine dei

Vocazionisti, nato a Santa Maria a Vico (CE)il 19 gennaio 1932 e morto a Napoli il 21 aprile2000, il quale aveva appreso – e soleva ripetere

– il modo di direlocale: ‘A vatta èd’’a Marònna (Ilgatto è dellaMadonna), ado-perato per giu-stificare l’esor-tazione a nonmaltrattare i fe-lini. Modo di di-re, ch’egli ricon-duceva alla pre-senza dell’ani-male nell’iconasopra menziona-ta, attribuendo,altresì, a talepresenza il va-lore di “firma”dell’autore, un

preteso artista locale, il cui cognome sarebbestato, per l’appunto, Gatto (o Gatta)4.Orbene, per quanto la suggestiva ipotesi da luiformulata abbia trovato seguito anche da partedi qualche autore5, pur in assenza di qualsiasi

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riscontro circa l’effettiva esistenza di un pittoreprocidano così chiamato, credo, viceversa, chela stessa possa essere smentita, per più versi. Dev’essere rilevato, innanzitutto, che la pre-senza del gatto nell’iconografia dell’Annuncia-zione, pur non particolarmente diffusa, siriscontra in altridipinti, dalle con-notazioni topogra-fiche più varie: ilpiù celebre èquello di LorenzoLotto (1534 ca. -Recanati, Museocivico), precedutodi qualche annoda quello del Ga-rofalo (BenvenutoTisi; 1528 - Ro-ma, Musei Capi-tolini) e seguitoda quello di LelioOrsi (1555-60 -Novellara, MuseoGonzaga), non-ché, a lunga di-stanza di tempo, da quello di un ignoto artistadel secolo XIX (Mondolfo, Collegiata S. Giu-stina), ispirato, però, da Federico Barocci, pit-tore marchigiano, anch’egli del secolo XVI.Inoltre, nel suo recente volume sulle chiese diProcida, Stefano De Mieri assegna la pala a unnon meglio identificato Maestro di Procida, at-tivo tra la fine del secolo XVI e i primi del suc-cessivo6.Venendo, ora, a San Lorenzello, sulla paretedestra del presbiterio della chiesa della Con-gregazione di Santa Maria della Sanità è pre-

sente un affresco dell’Annunciazione (v. foto inquesta pagina), di mano di Bernardino Rullo,pittore toscano del sec. XIX, nel cui angolo inbasso a sinistra è presente un gatto bianco7.È, dunque, soprattutto nel sec. XVI che al gattoriserva uno spazio l’iconografia dell’Annuncia-

zione, nella qualeesso è rappresen-tato, per lo più,nascosto o in fu-ga. Ciò è stato ri-condotto da qual-che autore a unassunto caratteresatanico dell’ani-male8, che, tutta-via, non trova ri-scontro nella vi-sione che ne ave-va il mondo anti-co, dal momentoche esso era sim-bolo, rispettiva-mente, di libertànell’antica Romae di gioia nell’an-

tico Egitto9. Credo, perciò, che gli atteggia-menti con i quali la bestiola è raffigurata neivari dipinti sia riconducibile, molto più sem-plicemente, allo spavento provocato dall’im-provvisa apparizione dell’ Arcangelo. Vorrei prospetta-re, ora, la mia lettura del rap-porto fra la Madonna e il gatto, ricordando unaleggenda che, in più versioni differenti, narradella presenza del gatto nell’episodio della Na-tività10. Dalla comparazione fra tutte tali ver-sioni, al netto delle rispettive varianti, il datocomune che emerge è quello della presenza

Si è spento a Napoli, il 21 settembre scorso, il dr.

LUIGI BOTTE

già Questore di Avellino, che era nato a San Lorenzello (BN) il 21marzo 1958. Alla famiglia e agli amici dell’Ente culturale “San Lo-renzo Martire - Nicola Vigliotti”, del quale lo scomparso era fra gli ani-matori, giungano le condoglianze del direttore e della redazione di

questo periodico.

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nella Grotta di Betlemme del felino, cheavrebbe dormito nella mangiatoia, accanto alBambino Gesù, e che la Vergine avrebbe acca-rezzato, chiamandolo Michele11, così che essosi sarebbe ritrovata impressa sul capo quellalettera “M” – iniziale del nome di entrambiloro –, che tuttora è dato riconoscere sullafronte dei soriani. Ebbene, ponendo in relazione l’immagine delgatto nell’iconografia dell’Annunciazione conla sua presenza nelle leggende della Natività,credo di poter ipotizzare che si sia trattato, inentrambi i casi, dello stesso animale, che po-trebbe aver seguito la Vergine nel viaggio daNazaret a Betlemme – a dorso d’asino, accantoa Lei –. Soprattutto, però, la leggenda spiega ilmotivo per cui la statuina del gatto figura in pa-recchi presepi (fra i quali, manco a dirlo, ilmio)12.__________1 Cfr. S. Zazzera, Due immagini della “Madonna in-cinta”, in Il Rievocatore, gennaio-marzo 2017, p. 16 ss.2 Sulla quale cfr., da numerose, diverse angolazioni, M.Parascandola, Cenni storici intorno alla città ed isola diProcida, Napoli 1892, p. 161 ss.; M. Parascandolo, Pro-cida dalle origini ai tempi nostri, Benevento 1893, p. 60ss.; S. Cacciuttolo, In giro per Procida tra passato epresente, Napoli 1990, p. 215 ss.; F. Ferrajoli, Guida diProcida, Napoli 1993, p. 89; M. Barba - S. Di Liello - P.Rossi, Storia di Procida, Napoli 1994, p. 96 s.; S. Zaz-zera, Conoscere l’isola, Napoli 2003, p. 38 ss.; S. DeMieri, Splendori di un’isola, Napoli 2016, p. 145 ss.3 Cfr. S. De Mieri, o. c., p. 146 ss.4 Ricevo queste notizie relative a don Salvatore Verlezzadal mio amico com.te Matteo Germinario, che ringra-

zio.5 Come S. Cacciuttolo, o. c., p. 217.6 Cfr. S. De Mieri, o. c., p. 145 ss.7 Cfr. N. Vigliotti, Il Venerabile Oratorio ossia Congre-gazione sotto il titolo di Santa Maria della Sanità in SanLorenzello, San Lorenzello 2008, p. 30 ss.; A. Ferrara,La memoria e lo zelo di Luigi Fato, Salerno 2009, p. 24.In un’altra Annunciazione, dipinta da Carlo Scognami-glio e presente nella Parrocchiale della cittadina, il gattonon è raffigurato (cfr. S. Zazzera, Due interessanti di-pinti in Alta Valle Telesina, in Il Rievocatore, aprile-giu-gno 2016, p. 19 ss.). 8 Cfr. M. Feuillet, Lessico dei simboli cristiani, tr. it.,Cesena 2006, p. 53. 9 Cfr. C. Gatto Trocchi, Enciclopedia illustrata dei sim-boli, Roma 2004, p. 173, 324. Tuttavia, secondo A. M.di Nola, Il diavolo, Roma r. 1999, p. 319 s., nell’imma-ginario popolare il demonio può assumere le sembianzedi gatto nero.10 Cfr., fra i tanti, i racconti di Mary Rhudy(https://www.gcomegatto.it/come-un-gatto-protesse-gesu-leggenda/), di Isabella Dalla Vecchia (https://www.quattrozampe.online/), di Beta (La Leggenda dellaGatta di Natale, in Positanonews, 29 novembre 2020:https://www.positanonews.it/) e di Michele Pappacoda(Il gatto a Betlemme tra leggenda e realtà: http://miki-vettica.over-blog.it/).11 Il che vale a negarne in maniera più vigorosa la va-lenza satanica, dal momento che Michele (Mi-Cha-El =Quis ut Deus) è l’Arcangelo che combatte i demoni, findal momento della loro ribellione: cfr. N. Ricci, Le gran-dezze di S. Michele Arcangelo, Angri 1899, p. 251 ss.;S. De Candia, Defende nos in proelio, Cercola 2017, p.19, 85 s.12 Eppure, R. De Simone, Il presepe popolare napole-tano, Torino 1998, non menziona il gatto tra le figure delPresepe (p. 19 ss.) e, tanto meno, tra i suoi «elementi de-moniaci» (p. 35 ss.).

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La Fondazione “Felice Gianani” bandisce un concorsoper titoli ad una borsa di studio di €. 10.300,00, intitolataal nome di Felice Gianani e riservata a cittadini del-l’Unione Europea che abbiano conseguito una laurea

specialistica/magistrale o un titolo equivalente posteriormente al 30 giugno 2018 con il mas-simo della votazione presso una Università od un istituto equiparato, i quali desiderino perfe-zionare, in un Paese diverso da quello di provenienza, gli studi intrapresi in materiagiuridico-economica (law and economics) con riferimento ai mercati finanziari nazionali ed in-ternazionali, attraverso la frequenza di un corso di studi o lo svolgimento di un programma diricerca di durata prevista non inferiore a 9 mesi. La domanda di partecipazione dovrà pervenire,entro il 31 dicembre 2021, alla Segreteria del concorso - Piazza del Gesù, 49 - 00186 Roma,o all’indirizzo [email protected], al quale possono essere chieste ulteriori informazioni.

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LA PIZZA

di Mario Forgione

Non ha una precisa data di nascita né unluogo specifico di provenienza. Si indica,

un po’ a casaccio, un secolo: il XV, e un luogo,Napoli. Ma nessuno può testimoniare che nellasplendida capitale del regno conteso tra an-gioini e aragonesi, in quel mitico Quattrocentoche vide Napoli vivere la sua particolare sta-gione rinascimentale, ci fossero forni a legnacon la bocca di fuoco spalancata per ingoiareimpasti d’acqua e farina lievitata, ricoperti disugo rosso, disseminati di spicchi d’aglio, ir-rorati d’olio. Di certo i pomodori non avevano

ancora attraversato l’Atlantico, ma già la farinalievitava, già c’era il miracoloso criscito,l’aglio sfrigolava nell’olio bollente, il forno eral’antico depositario dei segreti della cucina findai tempi più remoti, tant’è che proprio a Na-poli esistevano corporazioni e botteghe di for-nai. Il rapporto tra mulino, farina e forno risalealla notte dei tempi.Tuttavia Napoli, nel XV secolo, è la patria dei“mangiafoglie”. La pizza, co- me la si intendeoggi, è ben lungi dalla tavola dei napoletanidove abbondano broccoli d’ogni tipo e forma,

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Pagine vive.1

Il 31 ottobre scorso, nella Cattedrale di Na-poli, l’arcivescovo mons. Domenico Batta-glia, ha ordinato i nuovi vescovi ausiliaridella sua diocesi, nominati da Papa France-sco, nelle persone di don Francesco Bene-duce, don Gaetano Castello e del nostroamico don Michele Autuoro (nella foto), al

quale, insieme con i suoi confratelli, formuliamo l’augu-rio di un proficuo ministero pastorale.

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provenienti dalle terre paludose che circondanoe quasi stringono d’assedio le mura della città.C’è il parulano, non ancora il pizzaiuolo. Verràquando la farina avrà un suo prezzo politico,un suo giro d’appalti, un suo magistrato del-l’Annona. Sul desco povero compare la schiac-ciata, erede dellapicea romana, rica-vata dai rimasugli difarina fermentata dalvago sapore aciduloche il fuoco di legnaassorbe per restituireun sottoprodotto delpane, povero di sa-pore, sul quale chipuò cosparge un’om-bra d’olio e tritura uno spicchio d’aglio.Questa la genesi della pizza, al di là di unaserie di luoghi comuni che la vogliono reginadel desco popolare. In realtà sa di poco, mariempie la pancia. Nasce a Napoli in epoca spa-gnola, ai primordi del Viceregno, forse agli al-bori del Cinquecento, ma è plausibile che sianata anche altrove, in quei tempi se non prima.A Napoli però riceve la consacrazione, perchéentra in sintonia con la fervida immaginazionedel popolo e il suo bisogno inesausto di soddi-sfare una fame perenne. Ci vuol poco – si dice– per fare una pizza. È vero: ma quel poco èarricchito dalla fantasia dei napoletani, senzala quale la pizza è un impasto informe scarsa-mente commestibile. Diventa fonte e grembo

d’infiniti sapori a condizione che vi si ag-giunga il tocco della mano maestra che stende,accarezza, cosparge, allunga, dilata la piccolacupola, invitandola a spandersi sul marmodove viene gremita e invasa da intingoli variche conosciamo, raccolti da vasi e vasetti,

prima d’essere rapi-damente ridistesasulla pala di legnoun attimo prima co-sparsa di un velo difarina; poi la mossarapida e sapiente chelibra la pala all’in-terno del forno e lascuote di quel tantoper separarla dalla

sua viaggiatrice; infine l’altra pala, di ferro, chela solleva dopo pochi preziosi secondi, con- sen-tendole qualche giravolta all’interno del mo-stro di fuoco per poi deporla sul fresco delbanco dove sfrigola di gioia, di piacere, final-mente resa a propria immagine e somiglianza,lei, la pizza, il cibo degli dei.Tutto questo accade a Napoli, e solo a Napoli;meglio ancora nel centro antico dove si con-serva il calore, il colore, l’odore di milioni dipizze impresse nella memoria del gusto. Que-sta è la pizza da celebrare; le altre, quelle chene usurpano il nome, meritano di bruciare ineterno nelle fiamme dell’inferno.

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“IL SENSO DEL SACRO”La Cappella Palatina di Castelnuovo ha ospitato,dal 15 settembre al 17 ottobre, la IV edizione dellamostra “IL SENSO DEL SACRO”, alla quale hannopartecipato, con loro opere, il redattore di questatestata, Franco Lista (nella foto, la sua opera), egli amici della stessa, Carlo Cottone, Maria PiaDaidone, Fortunato Danise, Paola Lista, Luciana

Mascia, Maria Petraccone, Elena Saponaro, Rino Vellecco e FrancoZoleo, con i quali il direttore e la redazione si complimentano.

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BENINOSimbologia del Presepe (non solo) napoletano

di Elio Notarbartolo

Acasa nostra, da piccolissimi, si faceva solol'albero di Natale. La famiglia di mio padre

era di origini evangeliche, e quando mio padremorì – avevo solo tre anni – mia madre pro-mise a mio padre di continuare ad educare isuoi tre figli nel solco della religione evangelica.Fu, però, mia madre, quando diventammo piùgrandi, che ci feceil primo presepe,giacché noi invi-diavamo quelloche trovavamo acasa di tutti gliamichetti. Così fuche a casa nostra sifaceva l'albero e ilpresepe: tutti e due.Mia madre era dieducazione cattolica e ci comprò i primi "pa-stori" spiegandoci chi fossero e chi rappresen-tavano. Ci comprò anche "Benino e la suacapanna di paglia".«Bisogna metterlo lontano dalla grotta e in unposto un po' elevato», ci disse.Non ho mai incontrato Benino nella letturadella Bibbia e non ne ho sentito raccontare danessuno. Benino e la sua strana capanna erano,però, sempre presenti in tutti i presepi che ve-devamo a Napoli nelle case degli amici, anchequando siamo diventati più grandi.Solo più tardi ho saputo cosa volesse rappre-

sentare questo pastorello che era rappresentatodisteso, vestito poveramente, e dormiente nellasua particolare capanna.Benino rappresenta gli umili, i poveri di spiritoche non hanno bisogno di vedere la magnificascena degli Angeli che illuminano il cielo not-turno, suonano una musica melodiosa e si af-

follano a schieraintorno alla grottadella Natività. luisogna tutta lascena: la sua sem-plicità lo ha la-sciato nella con-vinzione che lapromessa fatta daDio agli uomini dimandare suo fi-

glio, il Messia, si sta avverando. Benino non è come un qualunque san Tom-maso che deve "vedere". Lui può dormire e laNatività la può vedere con gli occhi della fede.È un personaggio, dunque, importante del pre-sepe, ma, in questi ultimi anni, quando sonopassato per via san Gregorio Armeno dove sisono concentrati i venditori di pastori, non miè sembrato più di vedere né Benino né la suacaratteristica capannella di paglia. La capan-nella, no, non la fanno più, sicuramente.

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IL COSTUME PROCIDANO

di Ferdinando Ferrajoli

Non solo le giovani Procidane hanno ser-bato l’antica bellezza delle Sirene, ma

conservano ancora il grecismo parlato nel dia-letto e il costume alla greca1 che indossano inoccasione di al-cune feste tradi-zionali dell’isola.Il costume constadel cappottino, ozimarra, di setarossa o verde or-nata da un meravi-glioso ricamo inoro, il quale, par-tendo dalle mani-che, si ricongiun-ge riccamente die-tro le spalle e, daqueste, scende artisticamente sul petto, or-nando i due lembi della zimarra; al di sottodella quale spicca una sottana di damasco dicolore giallo avorio, e sopra quest’ultima, unfantasioso grembiule cremisi, orlato anch’essod’oro, completa il vestito.Questo seducente e armonioso costume restaincorniciato da uno scialle di seta di coloreavorio, orlato di una ricca frangia, il quale, ca-pricciosamente, scende dalle spalle, incrocian-dosi sul petto, e resta fissato da un ricco spillod’oro; completano la decorazione gli orecchinie un lungo “laccio” (collana) d’oro, il quale dalcollo scende giù sul bel seno, mentre sobriepantofole, ricamate in oro senza tacchi alti, cal-zano soltanto la punta del piede.

Si resta davvero entusiasti nell’ammirare l’ab-bigliamento delle Procidane, le quali portanolunghi capelli avviluppati nel caratteristico faz-zoletto, dal quale sfuggono, con pittoresco di-

sordine, delle gran-di ciocche; e spe-cialmente quandosono giovani ebelle, e la vita nonè che sorriso e a-more, le loro carniabbronzate dallasalsedine e dalsole, spiccano co-me ambra rosatada quel costumeorientale, mentre illoro corpo fluttua

sotto le sfolgoranti pieghe delle vesti, dallequali s’intravedono le belle e perfette forme delcorpo.

___________1 Il 1° volume del Poliorama Pittoresco descrivendol’Abito delle donne di Procida dice fra l’altro: «Non sap-piam dire se le antiche donne della Grecia o delle colo-nie adoperassero camice oppur no: certo è che le figuredipinte sui vasi italo-greci vestono talvolta una tunicadalla quale escono le braccia nude, talvolta, benché piùdi rado, queste mostransi vestite; fluttua spesso la tunica,o pur è fermata in qualche figura da una o due cinture.Questa tunica per l’appunto è con le stesse varietà l’abitocomune di Procida».

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Filippo Molino, Donne di Procida(ill. dal Poliorama pittoresco, 1936)

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PHILIPP MAINLÄNDER.2L’angelo del dolore

di Paolo Carzana

In Mainländer si evidenzia la sostanziale im-possibilità di dare senso all’esistenza e

quindi non solo la difficoltà di vivere ma altresìquella, ben più totalizzante, di procreare.Quando, finalmente, riuscì a trovare a Lipsiauna casa editrice disposta a pubblicargli la Fi-losofia della redenzione chiese ai responsabili,tramite alcune lettere affidate alla sorella, la so-stituzione del proprio cognome da Batz aMainländer dichiarando in proposito, che

«nulla avrebbe aborrito di più, che essere esposto agliocchi del mondo… Dovrei perciò chiederLe cortese-mente di darmi la Sua garanzia di non nominarmi maicome l’autore della Filosofia della redenzione. Natural-mente Le rivolgo la stessa cortesia, nel caso in cui Leidovesse respingere l’edizione dell’opera. Per questo la-voro io sono Philipp Mainländer e voglio che ciò sia sino

alla morte e per tutto il tempo a venire».

La pubblicazione dell'opera era l'ultimo attoche il giovane filosofo attendeva per coniugarein modo definitivo la sua vita al suo pensiero,mostrando con l'esempio che delle cose dav-vero importanti (tale era per lui la dottrina delpessimismo) non si deve dare solo divulga-zione ma anche concreta testimonianza: infatti,con germanica coerenza, nella notte fra il 31marzo ed il 1° aprile del 1876, Mainländer,dopo aver ricevuto nella sua residenza di Of-fenbach le prime copie, fresche di stam-pa,della sua opera utilizzò quei volumi come pie-distallo per impiccarsi. Estremo gesto di concordanza con il suo pen-siero: aveva trentaquattro anni.

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Nel corso della cerimonia svoltasi, il 29 set-tembre scorso, nel teatro Augusteo, l’Ordinedei medici-chirurghi e odontoiatri di Napoliha conferito la medaglia d’oro per i 50 annidalla laurea al dr. BASILIO MELE, medico-chi-rurgo specialista in odontoiatria, al quale Il

Rievocatore porge le più vive felicitazioni.

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Mainländer edificò un sistema filosofico in cuiera concentrato il pessimismo dei suoi duemaestri, Leopardi e Schopenhauer, basato sulprincipio secondo cui «il non essere è preferi-bile all'essere». Esattamente come affermavaFilippo Ottonieri (guar-da caso, stesso nome dibattesimo) in una delleOperette morali delGrande Recanatese,Detti memorabili di Fi-lippo Ottonieri: «Di-mandato a che nascanogli uomini, rispose perischerzo: a conoscerequanto sia più spedienteil non esser nato».Per ischerzo?Come Schopenhauer,Mainländer pensa chenoi non conosciamo lacosa in sé ma solo le ap-parenze e che, perciò, ilmondo non è che una nostra rappresentazioneindividuale. Tuttavia, mentre per Schopenha-uer la cosa in sé è «volontà di vita», concepitacome forza cieca, Philipp sostiene invece cheessa è «volontà di morte». Mainländer afferma: «Dio è morto e la suamorte fu la vita del mondo» coniando perprimo un'espressione, «Dio è morto», che saràresa famosa da Nietzsche, il quale, però, maigli riconobbe la paternità di alcun proprio filo-sofema: definì sprezzantemente il pensatore diOffenbach sul Meno, ne La gaia scienza, «ildolciastro apostolo della castità».Mainländer trasforma e radicalizza il pessimi-

smo schopenhaueriano in una "metafisica del-l'entropia": si tratta di un concetto mutuatodalla termodinamica. L’entropia dà la misuradel “disordine” di un sistema chiuso ed èun’entità che cresce nel tempo in modo irre-

versibile. Quando l’en-tropia del Cosmo,inteso come sistemachiuso, avrà raggiuntovalori infiniti sarà an-che la fine di Tutto3:l’Universo si spegnerà.Che è esattamente ciòche Mainländer au-spica.

«Simile alla peste asiaticaesalata dai vapori delGange, l’orrenda dispera-zione varcava a gran passi laterra»4.

Da questo sentire il gio-vane tedesco ricava concoerenza tutto il suo

pensiero: la sua filosofia della Storia soggettaalla Legge Universale del Dolore, la sua poli-tica, la sua etica, la sua difesa della verginità edel suicidio. In questa scelta radicale egli vede la possibilitàdi una «redenzione dall'esistenza», la disingan-nata aspettativa di potere alla fine «guardarenegli occhi il Nulla assoluto», speranza cheegli si affrettò a esaudire da sé, senza aspettarei tempi imposti da Madre Natura. D’altra partenel 1886 Nietzsche ne Al di là del bene e delmale scrisse: «Se guarderai a lungo nell'abisso,l'abisso guarderà dentro di te».La Filosofia della redenzione suscitò nell'im-

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Il Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo organizza il XXXI Se-minario residenziale di studi, che si svolgerà a San Miniato, dal 2 al 5febbraio 2022, al quale potranno partecipare dodici studiosi, mediantevalutazione comparativa dei titoli e dei curricula, che dovranno perve-nire, a corredo dell’istanza e dell’altra documentazione necessaria,entro il 2 gennaio 2022, all’indirizzo di posta elettronica:[email protected], al quale potrà essere richie-sto anche il bando.

Philipp Mainländer

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mediato l'interesse del pubblico ma poi fu ra-pidamente dimenticata.La sorella Minna, che lo aveva seguito nei suoistudi filosofici e che con lui aveva composto ildramma Gli ultimi Hohenstaufen, raccolse isaggi lasciati dal fra-tello, tra cui uno sulbuddhismo e uno chesviluppava l'etica scho-penhaueriana della tol-leranza e della solida-rietà, e nel 1886 li pub-blicò come secondovolume della Filosofiadella redenzione: quin-di si suicidò anche lei. Terzo suicidio in fami-glia.L’opera di Mainländerè stata, nel XX secolo,oggetto di solitarie masignificative rivisita-zioni da parte, in parti-colare, del grande poeta argentino Jorge LuisBorges (1899-1986) e del filosofo rumenoEmil M. Cioran (1911-1995), altro funereocampione di pessimismo. Secondo il filosofo sionista Theodor Lessing(1872-1933), assassinato dai nazisti, nella Fi-losofia della Redenzione «forse il più radicalesistema pessimistico noto in tutta la letteraturafilosofica mondiale» Mainländer proclama che

«le determinazioni volitive attivate dalla raggiunta con-sapevolezza che il non-essere è meglio che l'essere, rap-presentano il principio morale più alto di tutti, e, dunque,il più alto senso della vita».

Mainländer fece una filosofia che più che lanegazione della vita predicava l’amore dellamorte e in questo senso va oltre Schopenhauer.La morte è sentita, per il filosofo di Danzica,

come tragedia, mentreper Philipp è beatitu-dine:

«Sugli atri fiori della morteposa/ lo spirito mio come leapi sui fiori/ di primavera,di cui nessun gli nega/ ildolce veleno del suo ca-lice».

Se è vero che i sistemifilosofici sono autori-tratti inconsapevoli deifilosofi che li hannogenerati, come affermaNietzsche, la Filosofiadella redenzione pos-siede allora una stra-niante grandiosità e una

cupa potenza artistica: in tal modo essa diventaun sintomo del senso di morte che, nel mondointero, troverà la sua massima e catastrofica espres-sione nel secolo successivo. (2. Fine)__________3 Un’eccellente trattazione del tema dell’entropia la sipuò trovare nel racconto di fantascienza del grande IsaacAsimov, L’ultima domanda (The last question), 1956.Lo stesso autore definì questo racconto il migliore cheavesse mai scritto.4 A. de Musset, La confessione di un figlio del secolo,Firenze 1954 (p. I, cap. II).

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L’Angelo del dolore (Roma, Cimitero acattolico)

È deceduto in Roma, il 18 settembre scorso, il prof.

FRANCESCO GUIZZIstorico del diritto romano, allievo di Antonio Gua-rino, giudice emerito della Corte Costituzionale egià membro laico della stessa e del C.S.M., che era

nato a Salerno il 28 ottobre 1933. Alla famiglia e al mondo accademicoIl Rievocatore porge vivissime condoglianze.

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LO “STRUSCIO”

di Mimmo Piscopo

La liturgia del credo ecclesiastico, estesa ad unasuggestiva sacralità, riportava nel tempo un attra-

ente cerimoniale che anche i grandi magnificavanoper il clima di profonda religiosità, constatato dai variStendhal, Goethe, Manzoni che lo analizzavano.La settimanache precede laPasqua, dove ilGiovedì Santosignifica il cul-mine della Pas-sione, l’omag-gio ai Sepolcricommemora ilCristo mortocelebrato se-condo luoghi etradizioni con riti diversi, dalla lavanda dei piedi a do-dici popolani da parte dei nobili, da tempo praticato,alle suggestive e toccanti processioni di penitenti findal 1500, poi da Carlo III di Borbone e da FerdinandoIV che il 18 marzo 1804 sancì la data d’inizio dellatradizione di recarsi, dopo aver fatto i Sepolcri, conl’adorazione in chiese in numero dispari, al passeggioin strade e quartieri storici della città.Nel tempo, questa tradizione è stata ridimensionata;tuttavia essa resta radicalmente popolare, tra sacro eprofano: il passeggio veniva svolto con appariscenteesibizione di moda femminile e di vanitosi completidi candido lino degli uomini dalle “pagliette” estive.La fiumana attraversava via Toledo, Chiaia e viaDuomo, “…tra il rumore di scarpe nuove e abiti astrascico…” di donne che per l’occasione, davano

vita a una divertente esibizione scenografica.Lo “struscio” rappresentava l’omaggio all’entrantesplendore primaverile, risveglio della natura, che se-guiva alla tristezza dei cupi giorni invernali, con la“strusciante” esibizione di vesti, acconciature e par-

rucche tali dacomportare in-vidie e bisbigli,il cui risultatocreava malu-mori e malcon-tenti di mariti efidanzati, o a-micizie che por-tavano spessoad adeguate si-stemazioni fa-

miliari.Tra lo “strusciare” delle lunghe vesti e il chiacchie-riccio maschile tra la folla, non mancavano coloriteesibizioni popolaresche, con inevitabili liti per incautie ammiccanti sguardi.Tutto ciò è andato scomparendo, tranne che, da partedi nostalgici in alcuni quartieri cittadini, i ricordi chenel tempo sono andati sempre più abbandonati. Ri-cordi di passate generazioni, dalle quali le nuove at-tingono sparute notizie di questo culto storico, nonpiù proponibile per il parossismo odierno, laddove lo“struscio” apparirebbe anacronistico, non più com-preso, ma soffocato ed ironizzato da un dilagante, do-loroso materialismo.

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NAPOLI DELUSE OSCAR WILDE

di Antonio La Gala

Napoli è stata uno scenario in cui alcunigrandi scrittori che l’hanno visitata perché

attratti da essa, spesso ne hanno riportato espe-rienze singolari. Uno di questi è Oscar Wildeche venne a Napoli nel 1897. Lo scrittore, dopo due anni di detenzione peromosessualità, uscì da un car-cere inglese nel maggio 1897.Nel corso di un breve sog-giorno in Francia, da giugno asettembre, con l’aiuto di dueamici, Robert Ross e ReginaldTurner, tentò di ritornare aduna vita “normale”, a «esseretentato dalla virtù», proponen-dosi per breve tempo una vitatranquilla, con moglie e figli.Assunse il nome di Sebastian Melmoth (ilsanto trafitto dalle frecce e il tenebroso eroe diun romanzo). Ben presto però riprese una fitta e contrastatacorrispondenza con il perduto compagno LordAlfred Douglas, figlio di Lord Queensberry,l’uomo che lo aveva fatto imprigionare per lasua relazione con il figlio. Nonostante l’oppo-sizione degli amici, con decisione improvvisa,Oscar e Alfred partirono separatamente, di na-scosto, da Parigi dove si trovavano, per Napoli.I due compagni il 21 settembre erano all’HotelRoyal des Etrangères, in via Partenope, dovetrascorsero due settimane, lasciando un contodi 68 sterline che successivamente vennero pa-gate da altri, fra cui la famiglia Douglas, al-

l’oscuro della nuova convivenza del figlio con Oscar.Si stabilirono poi a Villa Giudice, a Posillipo,in un appartamento di sette camere. Posillipoallora era considerato un piccolo centro fuoriNapoli. A loro servizio, nelle sette camere, ave-vano una cameriera, un cuoco e due ragazzi,

nonostante disponessero dicirca dieci scellini al giorno.La venuta dello scrittore a Na-poli fu oggetto anche di un cu-rioso equivoco. Sebbene Wildesoggiornasse sotto falso nome(per non spaventare il po-stino!), si venne a sapere delsuo arrivo in città. Quando siseppe della sua presenza in unavilla di Posillipo, un giornali-

sta, perlustrando la strada di Posillipo, vide inuna carrozzella una coppia composta da unuomo obeso dalle guance flaccide, l’aspetto di-sfatto, ma molto distinto e un giovane biondodall’aspetto aristocratico. La carrozzella sceseverso il mare e si fermò presso la Grotta di Se-iano. Il reporter li scambiò per Wilde e Dou-glas. I due non erano però Oscar e Alfred, marispettivamente un malandato conte diploma-tico spagnolo a Napoli per cure mediche e ungiovane diplomatico omonimo di Douglas,proprietario della villa Gaiola a Posillipo. Su-bito pervenne la smentita a cui Matilde Seraonon credette e con uno pseudonimo scrisse sulMattino del 7 ottobre: «C’è o non c’è? Qual-cuno ha avvistato a Napoli Oscar Wilde, il de-

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cadente inglese che diede così larga copia diargomenti ai cronisti per un processo ripu-gnante». Il lungo articolo proseguiva con for-tissime critiche allo scrittore inglese. La presenza di Wilde non fu gradita dal mondoculturale locale e nemmeno dagli Inglesi pre-senti in città. Lo scrittore divenne subito og-getto di risolini di scherno, denigrazioneaperta, curiosità sfacciata. In una lettera del 1°ottobre, definendo «insignificanti» i giornalistinapoletani, esprimeva il desiderio di essere la-sciato in pace dai fastidiosi giornali locali.Il soggiorno a Posillipo in Villa Giudice, nonfu esente da problemi. Nelle prime due nottiWilde fu costretto ad uscire a ora avanzata eandarsene a piedi a dormire in un albergo dellaRiviera di Chiaia, a causa dei topi e delle zan-zare che infestavano la sua stanza. Le sue pas-seggiate notturne furono interpretate daigiornalisti che lo tallonavano, come uscite per“avventure”.Wilde spesso andava in giro per la costa e leisole del golfo. A Capri, nell’albergo Quisi-sana, appena si sedette con l’amico a tavola percenare, il proprietario, su sollecitazione di al-cuni cittadini britannici di riguardo che ave-vano riconosciuto il “poeta maledetto”, loinvitò ad allontanarsi. L’episodio si replicò in un altro locale. I due(chi sa se riuscirono a cenare qualcosa), deci-sero di andar via dall’isola, ma si era fatto tardiper prendere un vaporetto. Mentre vagavanoper l’isola incontrarono il medico svedese AxelMunthe che li ospitò per un po’ nella sua no-tissima Villa San Michele. (Già allora gli Sve-desi erano di idee più “aperte”).Quando Wilde tornò a Napoli, trovò Villa Giu-dice ancora infestata da topi e zanzare; ritornòall’Hotel di via Partenope. Pare che andassealla ricerca di una maga per allontanare i rodi-tori, rifiutandosi di ricorrere ai gatti, che es-sendo molto superstizioso, considerava animalidi malaugurio.Nel periodo posillipino i rapporti fra Oscar eAlfred spesso erano litigiosi e freddi. Ne è te-stimone la loro espressione amara in una foto-grafia scattata sotto la pergola di un ristorantenei pressi di S. Lucia dove i due appaiono ele-

gantemente vestiti con cravatta bianca, papil-lon e paglietta.A fine novembre, anche in seguito a difficoltàeconomiche, lord Douglas andò via da Napoli.L’inverno vide Wilde aggirarsi tristemente perla città, rimuginando addirittura idee suicide.Spesso si rifugiava ai tavoli del Gambrinusdove le guide turistiche, una volta scoperto ilcaffè in cui egli sostava, lo includevano nelloro giro.Dopo un breve soggiorno a Taormina per ac-compagnare un suo amico russo, quando tornòa Posillipo Wilde scoprì che un domestico, acui aveva affidato la custodia delle sue cosenella villa, era scappato con tutti i suoi vestitilasciando solo i libri, che lo scrittore non riuscìa portar via, tant’è che venticinque anni dopofurono ritrovati da una signora inglese, nuovaaffittuaria della villa. I libri sono sempre fra lecose meno rubate. Oltre al furto di vestiti, l’abbandono di VillaGiudice fu determinato anche dal fatto cheOscar ricevette un’intimazione ad andar viadalla villa dal nuovo proprietario, che eramanco a dirlo il marchese Queensberry, ilpadre di Alfred (la vita è piena di sorprese). Laproprietà della villa infatti era passata alla fa-miglia di Douglas, pare in una partita a cartefra la coppia Wilde-Douglas junior e il signor Giu-dice. Da allora essa assunse il nome di villa Douglas.Wilde si trasferì a Palazzo Bambino, in Via S.Lucia 31, prima di andar via da a Napoli, ametà gennaio, Il fallimento della permanenza napoletana fudeterminante per il pensiero e la produzione ar-tistica di Wilde. Infatti il “decadente inglese”era venuto a Napoli anche per passare da unadimensione di “dandismo” ad una di “viscera-lità”. Ma la sua maniera di porsi come personaed intellettuale “diverso” non incontrò il favoredella cultura napoletana che lo emarginò net-tamente, senza dubbi e senza appello. Sebbene fu a Napoli che ultimò La ballata delcarcere di Reading e dette mano ad altre sueopere, nel complesso il suo soggiorno napole-tano si risolse per lui nel frustante crollo delmito della “visceralità” mediterranea.

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“IL RITORNO DI UNA PENNA”.1

di Raffaele Pisani

Il “Milite ignoto” come me lo raccontavaE.A. Mario.Nel 1921 – come mi raccontava E.A. Mario,mio adorato Maestro – fu stabilito dal Governoitaliano che la salma non identificata di un ca-duto in combattimentodurante l’ultima guerraavesse una dgna sepol-tura nell’Altare dellaPatria in Roma, comesimbolo rappresenta-tivo di tutti coloro cheavevano sacrificato laloro vita per l’Italia eche la morte aveva resoirriconoscibili muc- chi diossa senza nome. Aggiungeva che la Gran- deGuerra era stata una sciagura che aveva pro-dotto distruzione e morte, una bestia divora-trice di tutti i buoni sentimenti. Purtroppo

l’uomo dimentica in fretta e, appena un ven-tennio dopo, versò altri fiumi di sangue e dimorte. Ricordo che da uno dei tanti raccoglitori con-servati nella libreria del suo studio, “nonno

Mario” estrasse unacartella piena di arti-coli e foto varie di quelparticolare evento checommosse l’intera Na-zione. Me li mostravae mi raccontava i toc-canti momenti di quellastraordinaria giornatache ancora lo com-muovevano – e mi

commuovevano –, coin- volgendomi ed emozio-nandomi fortemen-te. In quella tomba, diceva,posta al centro del Vittoriano, ogni mamma edogni papà avrebbero potuto finalmente pregare

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Il direttore e la redazione di questo periodico sono vi-cini al collega Franco Lista e alla sua famiglia, nella do-lorosa circostanza della scomparsa della cognata

ANGELA SAPONARO

deceduta in Roma il 15 novembre scorso.

Raffaele Pisani, poeta e scrittore napoletano in “volontario esilio” a Catania, che ha collaborato conquesto periodico durante le precedenti gestioni, torna a scrivere per i nostri lettori, da questo numero,con una rubrica che raccoglierà riflessioni sue su una serie di argomenti di attualità.

* * *

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e onorare la memoria del proprio figlio soldato,caduto per la Patria e, purtroppo, rimasto“ignoto”. Quella tomba e quella salma erano ilsimbolo che avrebbe dato vita eterna a tutti inostri soldati morti e mai identificati. Dalle disposizioni impartite al riguardo erascritto: «Il treno speciale che dovrà trasportarea Roma il “Militeignoto” partirà daAquileia alle ore 8la mattina del 1° no-vembre e fermerà atutte le stazioni.Vietati i discorsi.Sarà osservato unreligioso silenzio.Ove intervenisseromusiche, queste nonpotranno suonare che La Leggenda del Piavesolo al momento della partenza del convoglio». Era orgoglioso il mio amatissimo Maestrodella sua Leggenda del Piave, e ne aveva bendonde: è stata l’ode e la melodia che lo hannoreso immortale. E non aveva assolutamenteimportanza per lui che il suo Inno non gliavesse dato alcun riscontro economico inquanto, come Inno, diventava proprietà delloStato e non veniva riconosciuto alcun dirittoall’autore. Né in quei meravigliosi anni – dal1953 al 1961 (morì il 24 giugno 1961) – tra-scorsi quasi tutti come “nipote acquisito” nellasua casa in affitto, a Napoli, al viale Elena 30

(oggi viale Gramsci), ho mai sentito una solaparola di rancore o di rammarico per questo“torto” subito che però non aveva assoluta-mente intaccato la nobiltà del suo animo. Ma torniamo al “Milite ignoto”. Non era untreno quello partito da Aquileia, ma il carrodella gloria, ricoperto di fiori, che si fermava a

tutte le stazioni dovel’intera popolazioneattendeva in silen-zio… e se non c’erala banda che suo-nava c’erano i bam-bini delle scuole cheintonavano som-messamente l’Innotra uno sventolio ditricolori. Il treno

giunse a Portonaccio – una stazioncina romana– alle 21,45 del giorno 3. Piovigginava... Ap-pena il convoglio si fermò, s’udì la Leggendadel Piave risuonare sottovoce e tutte le personeche avevano atteso l’arrivo del feretro si ingi-nocchiarono. Tutti avevano gli occhi pieni dilacrime. La mattina seguente, sull’Altare dellaPatria, presenti il Re e tutte le autorità, oltrealla folla che si pigiava nella grande piazza Ve-nezia, al momento della tumulazione del Sol-dato ignoto, La leggenda del Piave fufinalmente e solennemente eseguita dallabanda dei Carabinieri.

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La Società Napoletana diStoria Patria comunica che,grazie all’iniziativa e alla col-laborazione di Elena Vigi-lante e Agnese Bertolotti, è in

rete la propria pagina Facebook, consultabileall’indirizzo Internet: https://www.facebook.com/SocietaNapoletanaDiStoriaPatria/.

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Caro “Le Figaro”, Napoli è il mondo!Caro Le Figaro, dal 1953 al 1961 ho studiatoarmonia della poesia e della melodia con E.A.Mario, ultimo Poeta e Melodista (maiuscolo èvoluto!) della grande scuola di letteratura na-poletana. Su una parete del suo studio c’era unamattonellina di ceramica con scritto: «Non dirdi me se di me non sai, pensa di te poi di medirai!». Tu hai definito Napoli “il terzo mondo d’Eu-ropa”. Ma tu la conosci la mia città? Non vo-glio assolutamente negare che ci siano cose chenon vanno, ma dire che è una città da terzomondo è un mortificante giudizio.È un grande errore, sai, fare di“tutta l’erba un fascio”. Qualemotivo ti ha spinto a emettere unacosì dura sentenza? Acredine, in-vidia, gratuita offesa, pura maldi-cenza? Perché hai voluto darequesto schiaffo a una terra che ilmondo intero da secoli riconoscegenerosa e amabile e capace di af-fascinare ogni viaggiatore la-sciando nell’animo sensazioniinimmaginabili? Napoli è una città che si fa nobileanche nella sua parte più plebea evedrai la sua gente, all’occorrenza, semprepronta ad aiutare, accogliere e difendere chi èvittima di un sopruso o è afflitta da una qual-siasi difficoltà. È una delle rare città al mondoche non ti fa sentire mai solo! Forse ti hannosviato i racconti di alcuni cineasti che, per farpresa su un certo tipo di spettatori, calcano lamano quasi sempre a sottolineare solo le nostrenegatività? Ogni città ha mille sfaccettature esi sbaglia sempre a generalizzare. Pensa acome sarebbe il mondo senza Napoli. Che ne sai della sua storia e della sua cultura?Che ne sai della sua gente ricca di umanità e dislanci generosi? Napoli è una città che, nono-stante le difficoltà che la assillano – che sonolo specchio dei tempi – rimane comunque unacittà unica, irripetibile, magica... Per dare ungiudizio su Napoli non basta un occhio di-stratto e superficiale, Napoli è tutta da scopriree il rischio che si corre è di restarne ammaliati!

L’Intelligenza artificiale potrà aiutarci acreare cultura?Qualche giorno fa ho “visto” l’Intelligenza ar-tificiale. Una giovane bellezza perfetta nei li-neamenti, incarnato luminoso, occhimeravigliosi e il viso illuminato da un sorrisodolce e accattivante, capace addirittura di mu-tare espressione a seconda di ciò che le sussur-rava il suo “creatore” e pronta ad assecondarlo,senza batter ciglio. Un nuovo “essere” che siaggiunge a noi umani. Vi rendete conto di cosa siamo capaci? LaLuna è stata conquistata, siamo a un passo

dallo sbarco su Marte e siamostati così intelligenti addirittura daarrivare anche a realizzare qual-cosa che ci assomiglia... Siamoperò ancora tanto lontani da con-cretizzare ciò che veramente servesu questo angolo di Paradiso cheil buon Dio ci ha generosamentedonato e che noi, da ingrati qualisiamo stati e continuiamo ad es-sere, abbiamo rovinato. Continuiamo a sfruttare la Terraper il tornaconto di alcuni, camuf-fando l’ingordigia, chiamandolaprogresso e ricchezza. Un pro-

gresso che spesso non riusciamo a gestire sa-pientemente e una ricchezza riservata solo apochi. Ci siamo volontariamente resi schiavi diuna pazza corsa verso un consumismo irrefre-nabile. Pensiamo di essere intelligenti ma nonriusciamo a comprendere che la prima cosa sucui puntare è un vaccino per debellare l’igno-ranza. È l’ignoranza il più pericoloso dei viruse c’è un solo vaccino capace di neutralizzarlo:la cultura! Se si riuscirà a far diventare la cul-tura il primo e vero patrimonio dell’umanità,ci salveremo. Comprendiamola questa verità per il bene no-stro e della nostra Terra. Solo così non ci saràpiù fame nel mondo, né eccessive disugua-glianze sociali, né tutte le ingiustizie che infie-riscono su quella larga fascia di “ultimi” chenon hanno voce per reclamare i propri diritti.

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IL “SURROGATO”

di Alfredo Imperatore

Il “surrogato” è una materia di minor valorein sostituzione di un’altra genuina, rispettoalla quale è meno costosa. Ad es. il giallo dianilina per lo zafferano, la margarina per ilburro, la sacca-rina per lo zuc-chero, l’orzo e lacicoria per ilcaffè, il carcadèper il tè e… chipiù ne ha più nemetta.A proposito dellamargarina ricor-diamo che noi,incominciammoa conoscerla conla venuta degli “Alleati” nel Meridione tra lafine del 1943 (con le Quattro giornate di Na-poli 27-30 settembre 1943) e l’inizio del 1944,sbarco delle truppe Angloamericane ad Anzioe Nettuno.

Ricordo ancora, che mia nonna, man mano chemangiava i chicchi d’uva, metteva i semi in unangolo del piatto. Poi abbrustoliva questi vi-naccioli con appositi abbrustu- laturi, e con essi

faceva un surro-gato del caffè si-mile a quellodell’orzo, il cuisapore era piut-tosto gradevole.La stessa cosa sifaceva, sempreper risparmiare,allorché si com-prava il caffècrudo e dopoaverlo abbrusto-

lito e macinato, si metteva nella caffettiera perpreparare ‘na tazzulella ‘e cafè. Ottimo l’odoreche si diffondeva per la casa ma, guai a di-strarsi e togliere il tutto con un po’ di ritardo,il caffè subito si bruciava, e allora la bevanda

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Napoli ha continuato a dare molto all’Italia, all’Europa ed al Mondo: essaesporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, isuoi artisti, i suoi cineasti… Con generosità, certo. Ma anche per necessità.Mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori.

Fernand Braudel (1902 - 1985)

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invece di essere «nettarea ove abbronzata» dipariniana memoria, diveniva proprio ‘na cio-feca.Molte vecchie abitudini legate al risparmio, avolte di pochissimo, vanno ormai scomparendoanche dalla memoria. Il sale è stato sempre uno

dei generi alimentari di bassissimo costo, spe-cie fino a quando è stato monopolio statale e sivendeva solo nelle tabaccherie. In più, la dif-ferenza di prezzo tra il sale grosso (noi diciamo“doppio”) e quello fine, era, ed è tuttora, vera-mente esigua. Eppure, le nostre madri, per ri-sparmiare, avevano l’abitudine di comprarequello grosso, per poi “raffinare” stendendolosu di un marmo, e frantumare con una bottiglia,ovviamente di vetro, in quanto allora la plasticanon esisteva; ciò, in un’economia “consumi-

stica” come la nostra, non è più concepibile.Tutte le persone di una certa età ricordano chele camicie degli uomini erano vendute rigoro-samente con il colletto e i polsini di ricambio,da sostituire quando gli originali erano logori,e anche qui… chi più ne ha più ne metta.Di poi il peltro è un surrogato dell’argento,l’orpello è l’oro di 12 carati rispetto a quello di18 (a Napoli, con riferimento a quello di 12 ca-rati diciamo: «L’oro di Bologna si fa rosso perla vergogna»).Si possono surrogare tante altre cose come: uninsegnante con un sostituto, surrogare un cre-ditore, cioè subentrare in un diritto, ecc.Interessanti i surrogati… morali! Il così dettomisticismo surroga la teosofia invece della re-ligione (Fanfani), ma questo è un altro di-scorso!Da dove vien fuori la parola “surrogato”? Sitratta di un participio passato, di un aggettivoe anche di sostantivo maschile proveniente dallat. subrogare = surrogare, composto da sub =sotto e rogare = chiedere. Si tratta, perciò, diun sottoprodotto, in quanto sostituisce un altroche ovviamente ha maggior valore.

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Con nota n. 0013827-P del 27 ot-tobre scorso, la SoprintendenzaA.B.A.P. di Napoli ha sottoposto atutela il pannello in ceramica poli-croma ad altorilievo di mq. 10 ca.,

raffigurante Cristo lavoratore, opera dell’artista napoletana DIANA

FRANCO, che decora un ambiente della ex-Manifattura tabacchi divia E. Gianturco, vietandone il distacco, ai sensi dell’a. 50, co. 1, d.lv. 42/2004, p. 2a. Il provvedimento scongiura il pericolo di danneg-giamento o distruzione, al quale era esposta l’opera, a seguito del-l’alienazione dell’edificio a privati.

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Qui di seguito pubblichiamo il testo di due documenti, diffusi il primo dall’Associazione Amicidegli Archivi Onlus di Napoli e il secondo dall’Associazione Nazionale degli Archivisti italiani,trasmessici entrambi dalla Società napoletana di storia patria, che ringraziamo.

* * *

30 SETTEMBRE

30settembre 1943 giovedì: è un anniversario sempre più da ricordare mentre, invece, apparesempre meno importante. Il 30 settembre 1943, a Villa Montesano - San Paolo Belsito

(nella foto) fu distrutta una parte delle memorie storiche del Regno di Napoli e 53.000 pergamenerisalenti al ducato bizantino.L’Associazione vuole ricordare que-sto anniversario a tutti gli archivistiitaliani su Archivi 23 perché nell’in-cendio furono distrutte anche me-morie provenienti da altri Archivi diStato (Torino, Firenze, Venezia,Lucca, Pisa). Questo 30 settembre 2021 è un 30settembre da ricordare anche per unaltro avvenimento che unì tutti gliArchivi di Stato d’Italia: il 30 set-tembre 1963 fu firmato il Decreton.1409 del Presidente della Repub-blica Italiana Antonio Segni “La legge sugli archivi” firmato dai componenti del Governo Gio-vanni Leone, Mariano Rumor, Emilio Colombo, Giacinto Bosco, in attuazione della LeggeDelega 17/12/1962 n. 1863 firmata dal Presidente della Repubblica Antonio Segni e dai com-ponenti del Governo Fanfani, Taviani, Bosco, Trabucchi, Andreotti, Piccioni, Tremelloni.La Legge sugli Archivi va ricordata per tutto quello che di utile e necessario per l’Archivisticaera stato stabilito. La successiva riforma della dirigenza dello Stato e poi l’istituzione del Mini-stero per i Beni Culturali hanno, di fatto, modificato i contenuti della legge.Il 30 settembre 2021, su Archivi 23, l’Associazione auspica che sia rivolto un pensiero di grati-tudine verso i firmatari del Decreto, con l’auspicio che gli attuali responsabili dei Beni Culturali,nel rispetto di quella normativa, riconosca agli archivisti il ruolo che allora fu assegnato (Archi-vista di Stato, Ricercatore Storico scientifico del Consiglio Nazionale delle Ricerche) e all’Ar-chivistica l’importanza come scienza basilare, non ausiliaria, della Storia.

Associazione Amici degli Archivi Onlus Napoli

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Documenti

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DOSSIER ARCHIVI

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UN APPELLO PER GLI ARCHIVIMemoria storica del Paese

Nel corso dell’ultimo anno l’Associazione Nazionale Archivistica Italiana, insieme all’As-sociazione dei Docenti Universitari di Scienze Archivistiche e alle società delle discipline

storiche, ha partecipatoa numerose iniziativeper segnalare la situa-zione di imminente col-lasso degli istitutiarchivistici statali. Negliultimi mesi, questa col-laborazione si è estesa acoinvolgere, in modi di-versi, un grande numerodi società, associazioni,consulte universitariedelle discipline umani-stiche e sociali e in generale delle professionalità – accademiche e non – che trovano negli archivie nelle sovrintendenze archivistiche risorse preziose. Si tratta, come è ben noto, di una crisi ormai strutturale, aggravata e resa più evidente dalla pan-demia, ma in rapida evoluzione da molti anni. Alle origini del fenomeno c’è certamente il man-cato turn over del personale, ma fra le cause c’è anche la lunga disattenzione nei confronti delsettore in termini di stanziamenti finanziari, soluzioni di prospettiva ampia alle esigenze di spa-zio, mancato investimento adeguato nei progetti di digitalizzazione e di gestione e conservazionedei documenti digitali. Né può dirsi rosea la situazione degli archivi non statali, come quelli degli enti pubblici o degli istituti culturali (ma sono solo esempi) rispetto ai quali incide pesantemente l’impossibilità diuna incisiva attività di tutela da parte delle Soprintendenze archivistiche (ormai con personaletotalmente insufficiente) e, anche in questo caso, la frequente indifferenza delle amministrazioniad alcune delle quali sembra interessare poco la buona gestione della propria documentazionecorrente e la consultabilità della propria documentazione storica. È una condizione che, oltre apenalizzare chiunque voglia consultare gli archivi storici e i cittadini che chiedono documenta-zione, pregiudica gravemente tutta la platea degli archivisti libero professionisti, molto spessodotati di elevata formazione universitaria e post-universitaria. L’interesse comune degli studiosi delle discipline umanistiche e storiche e del personale degli istituti archivistici è stato all’origine delle iniziative condivise, nate dalla consapevolezza chenon c’è ricerca senza la disponibilità dei documenti archivistici e non c’è significato nella con-servazione degli stessi se non possono essere resi accessibili. La loro estensione ai firmatari diquesto appello è testimonianza dell’urgenza della questione.Occorre infatti rammentare che la situazione generale degli Archivi di Stato e delle Soprinten-denze archivistiche è ulteriormente peggiorata nel corso dell’ultimo anno e si avvia ad un ag-gravamento nel prossimo. L’organico è ormai ridotto a meno della metà. Mancano gli archivistidi Stato, i custodi, i funzionari amministrativi, gli addetti alla movimentazione e questi ultimi(indispensabili per le sale di studio) sono in parte esentati dalle commissioni mediche a svolgere

L’Archivio di Stato di Napoli

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le mansioni di presa e ricollocamento dei materiali perché afflitti da situazioni invalidanti. Infattil’età media del personale è intorno ai 60 anni. Questa situazione è generalizzata, colpisce archivipiccoli, medi e grandi ma certamente appare con più evidenza nei grandi istituti, con più sedi dagestire, maggiori quantitativi di documentazione, più numerose richieste di accesso. Facendoriferimento ai dati 2018, gli ultimi disponibili sul web nelle statistiche del Ministero, un istitutodi media grandezza che conservava 125.019 pezzi di materiale cartaceo, registrava 1529 presenzeper un totale di 3308 pezzi consultati, ha attualmente circa 13 unità di personale (dato da sitoweb), un grande istituto che conservava (sempre dati del 2018) 461.459 pezzi cartacei, riceveva12.612 studiosi per un totale di 21.410 pezzi consultati può contare su 25 unità di personale,ossia meno del doppio con quattro volte più documentazione e un pubblico potenziale diecivolte maggiore. Una situazione in rapido deterioramento, perché non pochi di quei 13 e 25 an-dranno in pensione alla fine dell’anno. E questo senza contare che gli archivisti di Stato, accanto alla gestione della sala di studio, al riordinamento e all’inventariazione, ai progetti di restauro e di digitalizzazione, devono ancheessere presenti nelle commissioni di sorveglianza e scarto di tutti gli uffici statali della provinciadi competenza per garantire il delicatissimo compito di proporre gli scarti della documentazionenon a conservazione illimitata e il versamento negli archivi di Stato della documentazione rite-nuta di importanza storica. Compito che per gli enti pubblici è svolto dagli archivisti delle Soprintendenze per una interaregione. Su ciascun funzionario gravano numerosi uffici e se questo compito non venisse svoltocon cura e diligenza i contemporaneisti non potrebbero, nel giro di qualche anno, contare sulladisponibilità di documentazione, analogica o digitale che sia. In un recente incontro la Direzione generale Archivi ha fatto presente che sono a rischio di chiu-sura 25 istituti che scenderanno a breve al di sotto delle quattro unità. È del tutto evidente, quindi, che l’alleanza fra ricercatori e archivisti per reclamare con forza un rapidissimo intervento delle autorità politiche per risolvere questo problema e scongiurare unacatastrofe per la ricerca, ma anche per tutti i cittadini che trovano negli archivi la documentazionedi cui hanno bisogno per fini amministrativi o per qualunque legittima ragione, è un esito naturaledi questa situazione. La pandemia ha bloccato anche i concorsi già banditi (ma ora ripresi) per gli addetti all’acco-glienza e alla vigilanza e per i funzionari amministrativi i quali, però, difficilmente colmerannotutte le lacune esistenti a causa della generale crisi di personale di tutto il Ministero. Si constatacon soddisfazione che nelle ultime settimane, anche grazie alla collaborazione fra il Ministeroe la Direzione generale degli Archivi di Stato, le cose si stanno muovendo. Cruciale sembral’impegno del Ministero a nuovi bandi annunciati (per esempio, quello di 270 posti da funzio-nario archivista). L’apertura al 100% della capienza di archivi e biblioteche sembra possibile

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Una serie di eventi si svolgerà, nel corso delprossimo anno, nel Comune di Minturno, percelebrare il 190° anniversario della costruzione

del PONTE SUL GARIGLIANO, primo ponte, almondo, sospeso a catenaria in ferro e a colonneseparate, secondo un programma redatto dalComune stesso e dal Comitato “Luigi Giura”,

approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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grazie all’inclusione dei musei e di ‘altri istituti e luoghi della cultura’ (archivi e biblioteche,come recita il Codice dei beni culturali, art. 101, sono ‘istituti e luoghi della cultura’) nellerecenti disposizioni urgenti del decreto legge 139/2021 dell’8 ottobre scorso in materia di ria-perture post-Covid. Sono segnali importanti. Anche alla loro luce, cosa chiediamo, dunque, con la massima forza? Che si avviino tempestivamente le procedure per il previsto massiccio ingresso di personale nelsettore archivistico e che tali procedure prevedano percorsi rigorosi, attenti alla qualità e allostesso tempo rapidi. Secondo uno studio recente presentato da Forum P.A. (https://www.forumpa.it/riforma-pa/con-corsi-pubblici-ecco-il-vademecum-fpa-movimenta-forumdd/) questo si può fare in 20 settimanesenza perdere garanzie allo stesso tempo di alta professionalità e di correttezza e trasparenza,semplicemente prendendo esempio da alcune buone pratiche già messe in atto in Italia. Tali provvedimenti, solo se tempestivamente messi in atto, potranno restituire alla comunitàdegli studiosi e dei cittadini risorse fondamentali per l’identità culturale del Paese. Solo un in-tervento più che immediato potrà infatti scongiurare quella che in uno degli incontri ricordatiall’inizio è stata definita una emergenza democratica.

Aderiscono all’appello: Associazione Nazionale Archivistica Italiana (ANAI) Associazione Italiana dei Docenti Universitari di Archivistica (AIDUSA) Società Italiana degli Storici Medievisti (SISMED) Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna (SISEM) Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO)Consulta Universitaria per la Storia Greca e Romana (CUSGR)Società Italiana degli Storici economici (SISE) Società Italiana delle Storiche (SIS) Associazione Italiana di Public History (AIPH)Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti (AIPD) Consulta Universitaria dei Paleografi, Diplomatisti e Codicologi (CuPaDiC) Associazione Italiana di Cultura Classica (AICC) Consulta Universitaria di Filologia Classica (CUFC) Società Italiana di Storia della Critica d’Arte (SISCA) Associazione Nazionale Archeologi(ANA)Società degli Archeologi Medievisti Italiani (SAMI) Società Italiana di Filologia Romanza(SISFR) Società Italiana di Antropologia Culturale (SIAC) Associazione Italiana di Storia dell’Architettura (AISTARCH) Società Italiana di Storia del Diritto (SISD)

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Il direttore e i redattori di questo periodico partecipano aldolore della gentile signora Enrica e dei figli per la scom-parsa dell’architetto

FRANCO CASSESE

avvenuta in Napoli il 24 novembre scorso.

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IL RAGÙ DELLA NONNA

Tavola calda, ore 13. Folla di gente cheviene di corsa, lascia il danaro nelle mani

avide del padrone, divora una minestra fatta “inserie”, e fila via. Mi sento disumanato in questaatmosfera da catena di montaggio del cibo, dicorsa al piatto, in questa bolgia allucinante dicento bocche che ma-sticano pasta e fagioli.Qui, più che altrove,s’avverte il ritmo diun’epoca massificantee disumana, che ci ri-duce in uomini-robot,in “macchine chimiche”.Tavola calda, mac-chine-umane che “fan-no” carburante. In fret-ta. Su lunghe tavole dimarmo, che sanno diobitorio. Quando arri-vano, hanno lo sguardospento, sono a riserva: come le auto che se-gnano rosso; e fanno l’acquolina in boccacome il cane di Pavlov mentre il benzinaroriempie la scodella di brodaglia.Avverto un senso di freddo, di nausea, di sgo-mento. E sento pietà per me stesso, per i mieivicini: per il Professore miope con la testa nelpiatto; per la mondana dalla voce endovenosa;per la studentessa con il libro di filologia ro-manza; per il mendicante e per tutte queste po-

vere macchine-umane, che si carburano rumo-rosamente con pasta e fagioli.Lascio la minestra dopo qualche cucchiaiata ecerco conforto in un po’ di mistura che chia-mano vino.Poi torno al giornale.

Ora sono qui, a batteresulla tastiera dellamacchina da scrivere,con la mistura in corpoche mi fa girare la testae con questo scemocuore che si fa prenderedalla nostalgia…Penso ai lunghissimipranzi d’altri tempi:d’inverno accanto alcamino e d’estate, sottoil pergolato dell’uvafragola – preparati conamore dalla nonna

buonanima, che si levava alle 5 per fare il ragùnel tegamone di creta.(Oh! cosa non darei, nonna Palmira, per ba-ciare come allora le vostre belle mani operose!per gustare le vostre “braciole” stupende!).E penso anche con tanta nostalgia al dopopranzo: al rosolio della zia monaca, alla siestanelle lenzuola profumate di spigo, ed al silen-zio del mio paese nella “controra”…(1984-85)

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di Tommaso Biondi

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Pagine vive.2

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“MALAFÉMMENA”

L’indimenticabile Totò è un grande e così re-sterà in eterno.

Malafémmena è un termine non gradito, per lesofferenze del cuore di uomini non corrisposti;si tratta di donne ingannatrici che fanno alte-rare l’equilibrio della convivenza nella vita dicoppia.Il Principe nella sua vita ebbe molte donne, mail suo immenso dolore fu per una sola, da luiamata senza essere corrisposto, per cui nel1951 scrisse quella melodia struggente, in uncarnale dialetto napoletano, esprimendo tuttoil suo straziante sentimento amoroso: nei versiprevalgono parole incisive e dolci:

Tu sì ‘a cchiù bella fémmena,te voglio bene e t’odio,nun te pozzo scurdà.Te voglio ancora bene,ma tu nun sai pecché:pecché l’unico ammoresì stata tu pe’ mme.

Si trovava a Formia per girare le scene di unodei suoi moltissimi film, quando trovò l’ispi-razione di scrivere la straziante canzone.Scrisse i primi versi su un pacchetto di sigarettee li fece leggere al suo autista, che li approvòcon entusiasmo.Il cantante Giacomo Rondinella diede vita aquesto capolavoro, portandolo al successo, mala sua prima presentazione avvenne alla Piedi-

grotta, quando fu cantata da Mario Abbate e in-cisa su disco dalla Vis Radio. Tra gli altri in-terpreti ricordiamo Roberto Murolo, MarioMerola, Claudio Villa e Renato Carosone.Non a caso Totò conclude con i versi:

Fémmena,tu sì na malafémmena,sì tu peggio ‘e na vipera,m’hê ‘ntussecato l’ànema,nun pozzo cchiù campà.

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di Antonio Ferrajoli

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IL CORTILE

di Alessandra Schioppo

Da bambina anch'io ho giocato qualchevolta nei vecchi cortili del mio paese,

dove abitava mio nonno,ormai già quasi del tutto in di-suso, sostituiti dal "fuori", dalmoderno, dalla città a duepassi, dalle palestre, dai centricommerciali e da tanto altro.Il cortile era un microcosmonel macrocosmo del paese,luogo di accoglienza e di so-cializzazione, una grande fa-miglia allargata ante litteram,luogo che dava spazio a tuttiazzerando le differenze so-ciali.Le famiglie condividevano sestesse. I bambini giocavano tutti insieme, i figlidei signori con i figli dei contadini e tutte lecase erano aperte a tutti. Quello che c'era ba-stava per divertirsi durante i pomeriggi assolatie per riempire di schiamazzi l'intero cortile.Le donne anziane sedute fuori che parlavanotra loro, sorvegliavano e ricamavano. Quelle

più giovani intente a lavare le bianchissimelenzuola di una volta alleggerendo le fatiche

con canti e pettegolezzi in at-tesa del rientro dalle campa-gne dei mariti alla sera.Si apparteneva al cortile incui si abitava come ad unapiccola patria nel paese, ilnome del cortile diventavaquasi sempre una sorta dipraenomen latino che indi-cava origine e tutta la discen-denza.Guardo a questo con unacerta malinconia perché lecose antiche mi piacciono,perché il moderno porta con

sé non solo progresso.Cosa abbiamo perduto? La centralità della fa-miglia nella società è ancora fondamentale pertutti?Non voglio essere polemica, solo sollevarequesta osservazione.

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“PANORAMA”Arte triste in un luogo gioioso

di Franco Lista

Le prime avvisaglie culturali a “Procida, Ca-pitale della cultura 2022” andrebbero ana-

lizzate alla luce di una critica analitica, reattivasoprattutto al conformismo e al già visto. In termini di produzione e fruizione “Pano-rama” mostra d’arte che, anticipando le mani-festazioni del 2022, avrebbe dovuto farscoprire la “bellezza” dell’arte contemporaneae, soprattutto, riscoprire l’amenità del territorioisolano. In soli tre giorni, ai primi di settembredi quest’anno, ecco diverse opere sparpagliatesull’isola.Diverso era il criterio-guida, annunciato nel dé-pliant: «…è una mostra diffusa che presentaoltre cinquanta opere tra scultura, pittura,video, performance e altre installazioni effi-

mere». Dunque, una “mostra diffusa”, allar-gata, estesa, distribuita con criterio sull’isola?Forse si cercava di mettere in pratica lo slogandi Procida Capitale, «La cultura non isola».L’isola non isola e l’isolano non è isolato, di-rebbe Totò! Ovvietà palese, poiché tutte le ma-nifestazioni culturali, naturalmente,dovrebbero realizzare un felice connubio conil territorio. La cultura attiva, per essere tale, deve connet-tersi con i luoghi e dare vita a fattive relazioni.Purtroppo, con “Panorama” ciò non è accadutoe, dunque, in evidente contrasto con quanto sidichiarava. Ignorando l’interezza e la storiaplurimillenaria di Procida, l’isola è apparsa piùutilizzata come una sorta di paesaggistica “ve-

APPELLO DEL “PAST-DIRECTOR”Il Past-Director di questo periodico, già primario ospedaliero di cardiologia, lancia ailettori il seguente appello, con preghiera di diffusione:Non vaccinarsi è da suicidi: il Ministero della Salute ha emesso una circolareper la stagione corrente, invitando a vaccinarsi, sia contro il Covid-19, checontro l’influenza. È bene ascoltare il Governatore De Luca, quando im-partisce continui consigli in tal senso ai cittadini. Ma io stesso vi esorto:vaccinatevi! (A.F.)

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trina: un panoramico red carpet in piena esplendente solarità, sotto la “luce” della inve-stitura a Capitale della cultura. Ecco dunque “Panorama”, grande mostrad’arte onnicomprensiva. Numerose gallerieconsorziate in Italics (da Gagosian alle nostreArtiaco e Trisorio) hanno presentato opere mo-derne e contemporanee, instal-lazioni, pezzi di arte storica eantiquariato sul territorio iso-lano che va da Terra Murata al-l’Olmo.Da questa limitata diffusionedell’arte è restata esclusa laChiaiolella, con la sua bellacortina di case di tipica “archi-tettura senza architetti”.Così facendo si è ribadita latradizionale separazione dellaChiaulédda dal resto dell’isola.Solo chi non conosce l’isola, enon si documenta, poteva com-mettere un errore del genere!Vale la pena, in proposito, ricordare il dato sto-rico, ricorrendo alle puntuali precisazioni con-tenute nel Vèfio di Vittorio Parascandola.Chiauleddìsco, cioè abitante della Chiaulédda,«…è nato con valore spregiativo, esaspera-zione di rivalità di quartiere, dovuta ad un re-lativo isolamento della Chiaiolella, a certedifferenze di usi e costumi, ai maggiori contatticon la vicina Ischia e, soprattutto, per certe no-tevoli differenze di idioma. Quasi per voler ne-gare il diritto di cittadinanza procidana agliisolani di quella contrada».Allora, “Panorama” è panorama artistico in un

panorama paesaggistico dimezzato! In contra-sto con l’obiettivo dichiarato e certo non chia-rito nella conversazione pubblica introdotta dalcuratore e dal direttore di Procida Capitale.Abbiamo, in quella sede, solo ascoltato che“Panorama” è «il primo episodio di una seriedi appuntamenti espositivi», che metteranno in

stretta relazione arte e territo-rio.Il Sancta sanctorum artisticodella mostra è stato allestito,giustamente, nella cappella delConservatorio delle orfane aTerra Murata. Qui, collocatel’una di fronte all’altra, dueopere tanto distanti nel tempoche nelle modalità espressive:la seicentesca Adorazione deipastori, di Matthias Stomer,prestata dal Museo di Capodi-monte, e il grande ovale Con-cetto spaziale. La fine di Dio,

1963, di Lucio Fontana (v. foto in questa pa-gina), della Tornabuoni Arte. Dalla volta dellaCappella pendeva un trofeo di bandiere, Il cieloe dintorni, di Giulio Paolini, del gallerista Al-fonso Artiaco.Nello stesso storico Conservatorio abbiamoammirato un piccolo, prezioso dipinto del 1937di Alberto Savinio e un arazzo del 1918, Ta-rantella, di Fortunato Depero fornito dalla MLFine Art.L’antiquariato era presente con due teste di fine‘700, Berenice e Aristotele, di Filippo Taglio-lini e soprattutto con la bella copia ottocentescadella famosa Venere della Grotticella del

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Giambologna (v. foto in questa pagina). Quest’ultima è stata accostata al dipinto mate-rico di Giovanni Anselmo intitolato Oltremareverso est nord-est, fornito daTucci Russo Studio per l’ArteContemporanea. Un accosta-mento, occorre dire, ben riuscitograzie anche al raccolto spazioespositivo del neoclassico ga-zebo del giardino di Palazzo Ga-latola-Costagliola, recentementee felicemente restaurato.Tra gli artisti presenti, per la qua-lità delle opere, emergevano leopere di Paladino, Ontani, Pe-none.Il contemporaneo in mostra nonha rinunciato alle ormai desuetee conformistiche provocazioni,prova ne siano alcune installa-zioni che hanno assunto il banale come valoree non certo la «trasfigurazione del banale» diArthur Danto (v. foto in fondo alla pagina pre-cedente). Che è ben altra cosa!Proprio queste opere sono state semplicementemotivo di curiosità e di ilarità per alcuni visi-tatori; per altri, giudicate distorsioni estetiche,in parte ricompensate solo dalla bellezza deiluoghi.Al di là delle criticità rilevate, occorre dire che“Panorama” non consente altro che un’etero-diretta ricognizione sullo stato dell’arte attuale,specie se questa mostra si confronta con undavvero illustre precedente.

Mi riferisco alla bella mostra “L’agave su loscoglio”, del 1987, con opere di artisti di note-volissima caratura, da Afro, Burri, Scialoja a

Nagasawa, Twombly, Vedova,curata da Vittorio Rubiu e testi-moniata dallo splendido cata-logo dell’Electa.Aver visto “Panorama” ha si-gnificato anche mettere anudo l’assenza di strumentididatticamente utili (checerto non possono limitarsi asintetiche didascalie) tali dafar vivere e comprendere,agli occhi dei fruitori, l’artecontemporanea e la comples-sità dei suoi linguaggi. Naturalmente, per realizzareun’esperienza autenticamenteculturale, per intrecciare dav-

vero il felice connubio arte-territorio, gli orga-nizzatori avrebbero dovuto mettere un forteaccento sulla bellezza di Procida, sulla neces-sità di “conservarne l’integrità”, come ebbe ascrivere Giulio Carlo Argan, a proposito dellalunga e importante presenza di Cesare Brandisull’isola.Con la fermezza che lo caratterizzava, ag-giunse poi: «Le acque del golfo sono state vio-late dai pirati, e i pirati della speculazione e delturismo sono più feroci e vandalici dei sara-ceni». L’isola di Procida «conservi dunque in-tatto il suo passato, se vuole avere un futuro».

PREMIO GIUSEPPE GALASSO 2021 - QUARTA EDIZIONELa Società Napoletana di Storia Patria bandisce il premio“Giuseppe Galasso”, del valore di 5.000 euro, dedicato allamemoria del grande storico, che sarà assegnato a un’operamonografica originale a stampa di singolo autore italianoo straniero, pubblicata in prima edizione negli anni 2020 e2021, su argomenti di storia e di storia della cultura relativi

all’età medievale, moderna e contemporanea. Le Case editrici sono invitate a pre-sentare la domanda di partecipazione, allegando 5 copie dell’opera proposta(oltre il testo in pdf), entro il 15 marzo 2022, da indirizzare a: Società Napoletanadi Storia Patria, Castelnuovo (Maschio Angioino), via Vittorio Emanuele III, 80133Napoli, e all’indirizzo di posta elettronica: [email protected].

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LA VESTIZIONE DELLA SPOSAAlla scoperta dei costumi molisani

di Maurizio Vitiello

Sabato 25 settembre 2021, alle ore 18.00,presso il foyer dell’Auditorium “Unità

d’Italia” di Isernia, si è tenuto l’Educational“La vestizione della sposa. Alla scoperta deicostumi molisani”. L’evento è stato fortementevoluto dalla Pro-Loco diIsernia ed è stato inseritonel cartellone del settem-bre isernino, che ha ri-scontrato successo.Il progetto è stato ideatoe curato da AntonioScasserra, ex-direttoredel Musec, nato nel 2010e portato nelle piazze,castelli e palazzi moli-sani, ma presentato an-che nei luoghi di culturadi Roma e in Sardegna,per eventi di grande re-spiro, in collaborazionecon il Ministero dei Beni Culturali, ora Mini-stero della Cultura, riscuotendo sempre unenorme consenso di critica e di pubblico. Nonostante la triste chiusura del museo, Anto-nio Scasserra, convinto più che mai della pub-blica fruizione della sua collezione che, purrimanendo un patrimonio privato, riveste uninteresse culturale storico-antropologico nazio-nale, intende continuare e ripartire con la sua“missione” riguardo la conoscenza e la valo-rizzazione dei costumi tradizionali del Molise

proprio da Isernia, il capoluogo pentro, dovetutto è nato e da poco concluso con la chiusuradi quello che era uno dei musei più interessantid’Italia, ma non, fortemente, pubblicizzato. “La vestizione della sposa. Alla scoperta dei

costumi molisani” è uneducational che sinte-tizza i risultati di anni distudio e di ricerca del suoideatore, ma anche delsuo vissuto personale efamigliare, in quanto gliantichi rituali matrimo-niali, non solo sono statistudiati da Antonio Scas-serra, ma anche vissuti inoccasione del suo matri-monio nel settembre del2012, ripercorrendo e ri-vivendo, passo passo,tutti i cerimoniali con-

suetudinari, proprio come si faceva una volta. Lo scopo principale dell’Educational è quellodi far conoscere a un pubblico, il più vasto evariegato possibile, il giorno più significativodelle ragazze di un tempo, mettendo in scenaquella che era realmente la vestizione di unasposa contadina la mattina delle nozze. Un ri-tuale arcaico davvero suggestivo e pieno di si-gnificati antropologici che riassume tutta lacultura popolare relativa all’uso dei costumi egioielli tradizionali particolarissimi.

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Un modo diverso e originale di attivare una di-vulgazione culturale portando alla conoscenzadel pubblico uno degli aspetti meno conosciutie più interessanti della cultura molisana, in ma-niera del tutto originale.È stata una serata dav-vero interessante sotto ilprofilo culturale e moltocoinvolgente sotto il pro-filo emotivo. Scasserraha raccontato, magistral-mente, il mondo dei co-stumi tradizionali moli-sani accompagnando ilpubblico presente in unasorta di viaggio neltempo in cui, le protago-niste di una volta, rivis-sute attraverso ragazze incostume che hanno offi-ciato dal vivo la vesti-zione di una sposa. È stato uno sguardo suun mondo affascinante,ormai scomparso, in cui sono stati rivissuti ritiancestrali e svelati oggetti misteriosi carichi disignificati. Nell’occasione sono stati presentati dei mera-vigliosi costumi e gioielli antichi della colle-

zione Scasserra, che riguardano i paesi del cir-condario isernino, tra i più rinomati per i loroabiti tradizionali; in particolare, c’è stata la per-formance della ragazza che ha incarnato la

parte della sposa ve-stendo, per la prima voltadopo il restauro, l’anticocostume di Isernia, cheera esposto al Musec emai indossato da de-cenni.Per rendere ancor piùsuggestiva l’atmosfera, ilracconto è stato arric-chito da accompagna-menti musicali eseguitidal vivo dal maestro Er-nest Carracillo. Ha pre-sentato l’evento SilvanaPalumbo, che si è spesapiù di chiunque altro perriproporre tale eventonella sua amata Isernia.È giusto ripercorrere le

radici, anche attraverso la moda delle epochepassate e riprendere gioielli e monili da indos-sare nuovamente.

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“EIP ITALIA - SCUOLA STRUMENTO DI PACE”PREMIA “ETHOS E NOMOS”

Un significativo riconoscimento è stato attribuito allaBiblio-mediateca “Ethos e Nomos”. Il 10 novembrescorso, infatti, nell’Auditorium della Regione Cam-pania, il vicesindaco del Comune di Napoli, ArmidaFilippelli, ha consegnato a Marisa Lembo e GiustinoGatti, fondatori e animatori di quel centro culturale,il premio istituito da “EIP Italia - Scuola strumento

di pace”, istituzione presieduta da Anna Paola Tantucci, per la promozione della cul-tura verso i giovani e le fasce sociali svantaggiate. Nell’occasione sono state donatecopie del volume di Giovanni Aliotta, Biodiversità e sostenibilità, ai dirigenti scolasticidei licei “Calamandrei” e “Pansini”, da consegnare agli studenti dei due istituti cheabbiano riportato la migliore votazione nella materia Scienze naturali. Il Rievocatoresi complimenta con gli amici Lembo e Gatti, la cui meritoria attività è giunta con suc-cesso al terzo anno.

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CON LA CULTURA SI MANGIA(E NON SOLO…)

di Nico Dente Gattola

Qualche anno fa, un ministro del governoBerlusconi disse che con la cultura non si

mangia, nel senso che a suo giudizio non davala possibilità di poter vivere. Opinione noncondivisibile ma da rispettare, anche perché nelnostro paese la materia non è mai stata esatta-mente al centro delle attenzioni politiche: bastipensare che il dica-stero della cultura èsorto solo nel 1974con l’esecutivo Mo-ro IV, quindi tuttosommato in epocaabbastanza recente.Ma al giorno d’oggicom’è il rapportodell’Italia con lacultura? E comeviene considerata la questione dalle istituzionia livello locale e nazionale?Molto è cambiato rispetto al passato, poichéoggi la cultura è considerata come una testimo-nianza della grandezza della nostra civiltà maanche come una sorta di asset economico: nona caso una parte rilevante del PIL nazionale èdata dall’industria culturale. Quello che peròtalvolta ancora oggi manca è la percezione delvalore intrinseco della cultura, che può essereuna forza rigeneratrice contribuendo al miglio-ramento dell’ambiente circostante. Per capirci,

soprattutto in città come Napoli, il recuperodelle aree degradate dovrebbe avere come ca-posaldo una vera iniezione culturale e poi,certo, declinarsi in altri ambiti e risolvere le re-lative problematiche.Questo perché solo la cultura è in grado di ope-rare un reale cambiamento negli ani- mi delle

persone, da cui par-tirà un vero processovirtuoso, poiché gliinteressati avrannomaggiore rispetto inprimo luogo per sestessi e per il postoche li ospita. È per-fettamente inutile,procedere al rifaci-mento di strade e

marciapiedi e al restauro di monumenti nelcentro storico di Napoli, se non si aiutano lepersone ad acquisire la consapevolezza del va-lore dei monumenti che li circondano: dopo unpoco, le opere d’arte saranno nuovamente im-brattate e, cosa ancor peggiore, saranno visteancora come un corpo estraneo, quasi come un“ingombro” nello svolgimento della propriavita quotidiana. Concetti che valgono in qual-siasi città italiana, perché ovunque l’aspettoformativo viene sottovalutato, quasi come senon si conoscesse appieno il ruolo che la cul-

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tura può esercitare.Questo spiega il perché a livello nazionale lacultura e il turismo siano spesso (come nel go-verno attuale) due dicasteri autonomi; spesso,perché, per esempio, l’esecutivo Conte I avevacreato due dicasteri autonomi mentre il ConteII li aveva nuovamente accorpati; atteggia-mento, questo, sbagliato, poiché lascia alle al-chimie politiche del momento una scel- ta chedovrebbe es-sere invececontinuativa enon ondivaga opeggio legata ascelte politiche,premesso che ilturismo è persua stessa essenza espressione di cultura equindi sarebbe opportuno che fosse compresonell’ambito del dicastero dei beni culturali.Questo perché la cultura non può essere com-pressa nella mera tutela di un bene, come unmonumento, ma è qualcosa di dinamico che haappunto come sua declinazione il fare turismo.La speranza è che in futuro si torni definitiva-mente ad un accorpamento, anche perché il ri-schio di continui equivoci tra i due ministeri èalquanto alto ed in verità il turismo è comedetto una conseguenza della cultura. Per amordel vero, va chiarito come si tratti di un errorein cui sono caduti indistintamente sia governidi centrosinistra che di centrodestra, senza di-stinzione, il che dimostra come nel nostropaese non si siano ancora comprese le poten-zialità della cultura.La situazione non cambia se rivolgiamo la no-stra attenzione alle Regioni e ai Comuni, in cuinon di rado (se istituiti) i due elementi restano

separati o accade che la delega alla cultura siadi competenza diretta del Sindaco o del Presi-dente di Regione: a Napoli il neosindaco Gae-tano Manfredi ha inteso trattenere per sé ladelega alla cultura e questo può avere una du-plice interpretazione. In primo luogo, non è im-probabile che l’ex-ministro, come del resto hafatto capire, intenda gestire il settore in primapersona, avendone probabilmente compreso le

potenzialità; e,se le circostan-ze politiche gliconsentirannodi seguirlo inprima persona,visto lo spes-sore del perso-

naggio, è probabile che la circostanza possaessere foriera di novità positive e non solo perNapoli.Potrebbe anche però essere che Manfredi trat-tenga per sé la delega, in attesa che si attestinogli equilibri in comune, forse per bilanciare ul-teriormente il peso tra i singoli partiti o anche,perché no, in attesa di trovare un nome all’al-tezza, in grado di poter svolgere con la dovutacompetenza l’incarico. Sicuramente non sitratta di una sottovalutazione dell’importanzadella cultura per la nostra città, ma di valuta-zioni politiche che sono perfettamente legit-time, soprattutto in una fase come questa, incui la consiliatura è appena cominciata.Di sicuro non sono facili le sfide che attendononei prossimi anni il Sindaco o chi avrà, al li-mite, la delega, in una città come tante cittàd’arte, alle prese tra l’eterno dilemma se asse-condare i c.dd. “flussi di massa” o invece daremaggiore attenzione al c.d. “turismo di nic-

LA CROSTATA DI ALBICOCCHE DELLA MAMMA

Mia madre, che era un’ottima cuoca, per l’estate consigliava questa crostata. Ingredienti (per 5-7 persone): per la pasta frolla, farina bianca gr. 700, 5 tuorlid’uovo, una busta di vanillina, buccia d’arancia grattugiata, zucchero semolatogr. 170, margarina gr. 70; per guarnire, marmellata di pesche gr. 130, 7 albi-cocche sciroppate, fragoline di bosco gr. 130. Incrociare sulla superficiedelle strisce di pasta frolla; infornare per il tempo necessario e cospar-

gere di zucchero a velo. (A.F.)

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chia”: questione non di poco conto, poiché ine-vitabilmente finirà con il condizionare anchela concezione di cultura con ricadute nella quo-tidianità.La scelta di assecondare un turismo per cosìdire senza limite, avrà ricadute anche sulla qua-lità della vita dei centri storici, che saranno sot-toposti a flussi di visitatori sempre più impo-nenti e, oltre ad un evidente logoramento dellecondizioni dei monumenti, è chiaro che si ri-schia di assistere ad un progressivo spopola-mento dei centri, che saranno ridotti ad un b&bo a una friggitoria a cielo aperto; conseguenzeche ricadranno a lungo andare anche sui turisti,che si troveranno a visitare città vuote, unasorta di “ teatro di posa”, da cui ogni forma divita vera è andata via.È chiaro che si tratta di una provocazione, magià oggi molti preferiscono nelle grandi cittàd’arte, come Roma, Firenze o Napoli, trasfor-mare i propri appartamenti in b&b, piuttostoche concederli in affitto. Ecco perché – e sitorna sempre allo stesso punto – sarebbe op-portuno in primo luogo avere chiara la lineaculturale che si vuole imprimere al paese: nonè vero che si tratta di una scelta inutile, poichédalla cultura dipenderanno anche la qualità deiflussi turistici che arriveranno nel nostro paese,ovvero nelle nostre città.In questo senso un passo importante è statofatto con la creazione anche per l’Italia dellaCapitale della cultura da parte del MIBAC, ini-ziativa che di per sé potrebbe apparire di scarsarilevanza e altamente retorica, ma non è così.Infatti al di là della modalità di partecipazionee di scelta e del premio economico che ne de-riva, l’iniziativa ha uno spessore di primo li-vello, poiché foriera di iniziative culturali per

la città prescelta, che per un anno si vedrà alcentro di iniziative culturali che inevitabil-mente finiranno anche con l’attirare flussi tu-ristici.Certo è opportuno che vi siano progetti ade-guati e che non vi sia uno spreco di denaro(pubblico o privato, non ha rilevanza), ma daciò può nascere la spinta per un ulteriore rilan-cio e per intercettare flussi turistici che in pre-cedenza non avevano compreso le potenzialitàculturali della città.Verso tale direzione, molto interessante e fo-riera di prospettive positive per l’intera isola,può essere interpretata la nomina di Procida aCapitale della cultura per l’anno 2022. Impor-tante è che l’isola si faccia trovare pronta, conun progetto culturale all’altezza, e che ogniambito dell’organizzazione, dai trasporti al-l’accoglienza, funzioni perfettamente, e di si-curo ciò accadrà. La posta in gioco è alta,poiché in caso di successo vi saranno flussimaggiori di turisti che inevitabilmente sarannoattratti da un’offerta culturale migliore; e que-sto, si badi, non riguarda la sola isola di Pro-cida ma l’intera area.Non bisogna infatti dimenticare che, senzaun’offerta culturale adeguata, prima o poianche i turisti preferiranno altre mete, con con-seguenze in tutti i campi, finanche per l’occu-pazione, visti i numeri del settore soprattuttoin zone come il napoletano. Ecco perché è cor-retto dire che con la cultura si mangia e nonsolo, soprattutto in un momento storico comequesto, in cui l’Italia sta attraversando una fasedi deindustrializzazione che appare (è il casodi dirlo) ancora in pieno svolgimento.

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Il volume

iÉÅÅxÜÉ áâÄ|àtÜ|Édel quale è autore il nostro direttore responsabileSERGIO ZAZZERA (ed. Cuzzolin), di recente pub-blicazione, è reperibile nelle librerie napoletane.

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COSTRUIRE LE RAGIONI DEL DIALOGOIntervista a Giuseppe Lupo

di Pasquale Lubrano Lavadera

Tra i giovani scrittori italiani Giuseppe Lupoè una delle voci più incisive della nostra

letteratura. Affascinato dalla modernità e dalletrasformazioni antropologiche. ha guardatocon attenzione la civiltà industriale e il mondocontemporaneo in tutte le sue sfaccettature, fer-mando lo sguardo sulla vicenda esistenzialedell'umanità più varia, entrando con grande ca-pacità introspettiva negliultimi decenni con i dueultimi romanzi Gli annidel nostro incanto eBreve storia del mio si-lenzio. Storie emblematiche se-gnate da malinconia esperanza, dove il sog-getto predominante restasempre la famiglia, finoad ieri porto sicuro, orainvece segnata da evi-denti crepe. Ma, purnelle debolezze del pre-sente, nulla è perduto per sempre.Giuseppe Lupo ci consegna pagine intrise dimemoria evocativa e riabilitante, in un intrec-cio spesso iperbolico di quadri indimenticabili:racconti intensi, a tratti poetici che ci permet-tono di cogliere le voci segrete dei nostri terri-tori esistenziali, in una narrazione "fluviale"che nel suo scorrere porta a valle ciottoli e pe-pite d'oro, punto di arrivo di ogni storia. "Vi-vere non è trasferirsi sulla scacchiera del

tempo, ma sognare di tornare a casa e, in attesadi farlo, girare il mondo", continuando a scri-vere.

Quando è cominciato per lei questo sognodella scrittura?Negli anni in cui ero studente all’università, aMilano. Ci ero andato con l’idea non soltanto

di studiare, ma di diven-tare scrittore. Diciamoche il mio approdo a Mi-lano aveva una motiva-zione di secondo grado,perché Milano era perme la città dei libri edelle parole.

Ci ha donato in questianni nove romanzi.Un'attività continua esempre nuova.La ragione profonda èperché cerco di mettereordine dentro di me.

Sono una persona interiormente disordinata e,per pensare, devo camminare. Anche quandostudio cammino. Scrivere è come camminaresullo spazio di un foglio. Dunque scrivo perchého l’illusione di organizzare il mio tempo in-teriore. Dopo nove libri di narrativa ho un miopubblico che mi segue. Scrivo per chiunquevoglia conoscere le storie che mi porto dentroo che scopro affrontando la dimensione quoti-diana del vivere.

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Cosa l’affascina di più della natura umana? Il mistero, le contraddizioni, le debolezze, lacapacità progettuale.

Quali i temi fondamentali dei suoi romanzi?Sono affascinato dalla modernità che si puòmanifestare attraverso l’irruzione degli elettro-domestici o delle automobili (come ho raccon-tato negli Anni del nostro incanto) o attraversola cultura (come ho raccontato in Breve storiadel mio silenzio). Però ho raccontato anche ledistanze geografiche, la solitudine della memo-ria, la labirinticità dell’Appennino e la geome-tria della pianura Padana, la scoperta dellinguaggio, l’incontro delle religioni, l’epicadella memoria personale e dell’immaginazionecollettiva.

Gli anni dell'infanzia, però, assumono unospazio particolare nella sua poetica…Credo esista una lunghissima tradizione che as-segna alla memoria dell’infanzia la funzione diprincipio. Tutto ciò che siamo da adulti, dagrandi, lo dobbiamo a quel segmento di tempoche va da quando cominciamo a ricordare aquando perdiamo l’incanto e l’innocenza.

Primeggia nelle sue opere la memoria.È la nostra carta di identità. Noi siamo memo-ria, il nostro corpo è memoria, perfino le cica-trici sono memoria. E tuttavia viviamodisperatamente nel combattersi della memoriacon la dimenticanza.

Volgendo lo sguardo al passato, quali sonostati gli anni della sua formazione e quali isuoi maestri?Ho avuto la fortuna di essere figlio di maestrielementari e, nello specifico, di essere andatoa scuola avendo per maestra mia madre. Nonsono mai riuscito a capire dove finisse la mae-stra e cominciasse la mamma. Questo l’ho rac-contato in Breve storia del mio silenzio. Nonsono mai entrato in conflitto con chiunque mipotesse insegnare qualcosa. Con il tempo poiuno si sceglie i proprio maestri, li individua inbase ai propri orientamenti, in relazione alleaspettative che in essi ripone.

C'è qualcuno dei suoi libri al quale si sente più

legato?I libri sono i figli: nessun padre dirà mai aper-tamente a chi è più affezionato.

Ritiene che la sua scrittura abbia subito neglianni delle trasformazioni?Penso di sì, ma non tocca a me indicare quali.I lettori sono i più attrezzati per farlo.

Quali sono state le più importanti trasforma-zioni del romanzo come genere?È una domanda che presuppone un ragiona-mento grande quanto il mondo. Penso che il ro-manzo, come genere letterario, subiscavariazioni in base al rapporto all’epoca con cuisi confronta. E questo giustifica l’avvicendarsidei generi nel tempo. Nonostante questi cam-biamenti, però, credo avesse ragione WalterBenjamin quando indicava tre elementi costi-tutivi nell’esercizio di raccontare: il raccontodell’agricoltore e il racconto del navigante, ra-dunati entrambi nel racconto dell’artigiano.

Esistono temi più urgenti per il romanzo oggi?Tutti gli argomenti possono essere urgenti. Ilproblema è come vengono raccontati.

Quale rapporto si può oggi stabilire tra lette-ratura e realtà?Leggo troppi libri che vogliono raccontare ilmondo così com’è, con i quali però dissento.Penso che un libro abbia l’obiettivo di raccon-tare il mondo come dovrebbe essere o come ilsuo autore vorrebbe che fosse.

Che importanza dà nella sua vita personale esociale al valore della pace?Bene primario, ma va contestualizzato in un“qui e ora”.

Dio, l'assoluto... una parola impegnativa?È il mistero che accompagna la vita di ogniuomo, anche di chi non crede. Ma è “il pro-blema”, non la soluzione ai nostri problemi.

Si può parlare di una società letteraria e, al-l'interno di essa, di un dialogo fra scrittori?Non penso esista più una società letteraria cosìcome la si intendeva nello scorso secolo. Tuttoè ormai demandato alla liquidità dei rapportiche si instaurano tramite social o la rete, perciò

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tutto divento poco controllabile. C’è un proli-ferare di relazioni interpersonali, ma sono re-lazioni con un tasso di normalità alterato.

Che posto occupa nella sua vita il dialogo conchi la pensa diversamente.Mi arricchisce e mi fa da stimolo.

Ci sarà un posto per la cultura in futuro?Spero di sì, anche perché il Covid19 ci ha in-segnato che la competenza salva e l’incompe-tenza uccide. Spero che questo aiuti aripristinare un’idea di cultura intesa come pro-gettualità, dunque costruzione.

Oggi si tenta di mettere in discussione la vi-sione della famiglia uomo-donna. Quale il suopensiero?Sono curioso su tutto e guardo alle frontierecon grande interesse, però su questo tema restodell’idea che è un fatto naturale la distinzionetra i sessi.

La pandemia ha messo in crisi il sistema capi-talistico. Quali i temi dell'economia che piùl'affascinano oggi?Mi piacerebbe pensare che sia percorribilel’ipotesi di un capitalismo solidale, magari re-cuperando il senso del fare impresa come pro-getto umano e non soltanto finanziario.

Oggi a vari livelli la politica editoriale è incrisi…Frequento il mondo editoriale da tempo e sonocosciente della crisi strutturale. Una soluzionesarebbe quella di avvicinare alla lettura. Questorisolverebbe molti problemi. Ma lettori non sinasce, si diventa. Ed è una sfida che va ingag-giata fin dalle scuole elementari.

Purtroppo la scuola oggi è in profonda crisi ri-spetto al dettato costituzionale di una scuolache formi l'uomo e lo aiuti a rimuovere gliostacoli frapposti da situazioni di disagio e disottocultura.Il problema è progettuale: bisogna capire aquale scopo l’istituzione scolastica debba ri-spondere. L’impressione è che negli ultimi de-cenni si sia perduto il senso del fare scuola o,meglio, che la scuola sia stata pensata per altro.I tempi però ci stanno portando a maturare il

bisogno di una scuola che, tradizionalmente,riproponga il valore del conoscere e dello stu-diare.

Molti giovani oggi amano scrivere. Cosa di-rebbe loro? Di leggere e di studiare in maniera accanitatutto ciò che passa sotto gli occhi. Di non sen-tirsi mai appagati dei risultati raggiunti. Diavere l’umiltà per cercare sempre di imparare.In un certo senso il mio Breve storia del miosilenzio è anche una specie di manuale peraspiranti scrittori.

Un mondo unito dalla fraternità è stato il sognodi uomini e donne ieri. Possiamo oggi conti-nuare a coltivare questo sogno?Dipende dal grado di cultura che riusciremo araggiungere e dal tipo di progettualità che riu-sciremo a coltivare. Sentirci fratelli solo perobbedire a uno slogan serve poco. Bisogna co-struire le ragioni del dialogo, che passano dalriconoscimento dell’identità e della diversità.

* * *Giuseppe Lupo nasce in Lucania (Atella, 1963) edopo gli studi superiori si trasferisce a Milano, perfrequentare l'Università, e dove attualmente vive conla famiglia. Insegna Letteratura italiana contempora-nea all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dirige leriviste Appennino e dal 2017 Studi Novecenteschi.Collabora con Il Sole 24 Ore e L'Avvenire.Autore di diversi saggi, ricordiamo Sinisgalli e la cul-tura utopica degli anni Trenta (1996) per Vita e Pen-siero; L'Utopia della ragione. Raffaele Croviintellettuale e scrittore (2003) Aliberti; Vittorini po-litecnico (2011) Franco Angeli, A Praga con Kafka(2020) Perroni.L'esordio nella narrativa avviene nel 2000 con il ro-manzo L'americano di Celenne, che si aggiudica treimportati riconoscimenti come opera prima: il PremioBerto, il Premio Mondello e in Francia il “Prix du pre-mier roman”. Seguono poi Ballo ad Agropinto (2004),La Carovana Zanardelli (2008), L'ultima sposa diPalmira (2011) Premio Selezione Campiello e Pre-mio Vittorini; Viaggiatori di nuvole (2013), L'alberodi stanze (2015) straordinaria metafora contempora-nea della Torre di Babele, e infine gli ultimi due: Glianni del nostro incanto (2017) col quale riceve il Pre-mio Viareggio-Répaci, e Breve storia del mio silenzio(2019) che entra nella selezione del Premio Strega2020. Tutti i romanzi sono pubblicati da Marsilio Editore.

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Letture.1

UNA FAVOLA D'AMORE NELL'ITALIA COLONIALE

di Antonio Grieco

Pur vivendo lontano da Napoli,Mario Prisco – scrittore napole-tano e tra i maggiori studiosi diRoberto Bracco, di cui ha curatola riedizione delle sue opere piùrilevanti – non ha mai abbando-nato le sue radici pubblicando vo-lumi che – come, solo per citarnequalcuno, Port’Alba o la magiadei libri (edito da Stamperia delValentino nel 2017) – rinviano auna Napoli sottratta al folklore in-sieme ad aspetti inediti della suastoria e cultura. Aggiungiamo che i volumi suRoberto Bracco, pubblicati da Editoria & Spet-tacolo, insieme a suoi saggi come L'alfieredella scena (pubblicato da Oèdipus nel 2011),sono sempre più preziosi oggi, quando la cittàsembra aver definitivamente cancellato dallasua memoria collettiva uno degli autori piùprestigiosi del teatro italiano ed europeo delNovecento. Ma, come si accennava, Prisco èsoprattutto uno scrittore, un narratore di fervidaimmaginazione che pur partendo talvolta dasotterranee trame individuali, racconta storieche lasciano intravedere sullo sfondo profondelacerazioni storico-politiche. Il suo ultimo romanzo, Il paziente scaduto e ilsole di Mogadiscio, per esempio, è una delicatastoria d’amore che si svolge tra Napoli e Mo-

gadiscio (prima e dopo il secondoconflitto mondiale), ma che inogni momento evoca l’avventuracoloniale dell’Italia in Somalia, inquella parte della terra d'Africa danoi conosciuta col nome di “Terradegli Aromi”. Insomma, Il pa-ziente scaduto, che prende l'abbri-vio dal drammatico dialogo inospedale tra l'autore di questolibro e il suo caro amico Maurizioin fin di vita, indirettamente cispinge a riflettere sui disastri per-

petrati in quella terra da noi europei, con un co-lonialismo che sin dall'Ottocento e poi colFascismo ha oppresso le inermi popolazioni diquei paesi con inaudita e brutale violenza raz-zistica. Il maggior merito di Prisco, in un periodo incui sembra prevalere un dissennato revisioni-smo storico, è di averci ricordato, per il tramitedi una bella favola d'amore, cos'è stata l’Italia,e quali sofferenze ha procurato il nostro Paesein quel mondo incantato non ancora travolto daun selvaggio e autodistruttivo processo di mo-dernizzazione. Lo sfondo del romanzo è que-sto, ma la storia che l'autore ci narra – che,come accennavamo, inizia con le visite inospedale dell'autore al suo amico morente – èdavvero struggente sin dalle prime pagine

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quando Maurizio, lo convince a ricostruire –riprendendo le lettere che lui gelosamente cu-stodisce a casa in un cassetto – la storia tra suopadre, Rino, impiegato a Mogadiscio in un'im-presa commerciale, e la sua giovane madre,Renata, che vive a Napoli con la sua famiglianella zona di Piazza Mazzini, in una abitazionenon lontana da quella del suo futuro sposo.Quando Rino, nell'immediato dopoguerra,torna per un breve periodo a Napoli, in unacittà ancora devastata dalle macerie dellaguerra, vede Renata in un mercatino rionale ecolpito dalla sua semplicità e bellezza, imme-diatamente se ne innamora. I due si conosconoin un breve incontro familiare e da lì nasce unaaffettuosa amicizia che, attraverso un continuoe appassionato scambio epistolare tra Napoli eMogadiscio, presto si trasforma in una travol-gente storia d'amore. Rino, più grande di Re-nata di diversi anni, quando ritornerà inSomalia al suo lavoro, vivrà solo nel ricordo dilei: «il pensiero, le scriverà, di poter leggerepresto le tue parole mi rende felice e allevia lelunghe giornate di lavoro», e vive nella spe-ranza che prima o poi i loro destini si ricon-giungeranno. Renata, sempre più affascinatadalle sue sincere parole d'amore, e, impazientedi poter ricambiare il suo affetto, a un certopunto gli chiede anche di parlargli della Soma-lia, della vita in quei paesi così diversa dallanostra. Ora, anche lei comincia a sognare diunirsi a Rino, ma prima di pensare ad una ra-dicale svolta nella sua vita, desidera prima ditutto di studiare e superare il concorso magi-strale che le consentirà di aiutare la famiglia edi raggiungere una certa indipendenza econo-mica. Indubbiamente, la parte più intensa diquesto romanzo è sia nelle visite dell'autore aMaurizio, che nelle stupende, romantiche, let-tere che i due amanti si scambiano: «le tue pa-role, scrive Renata, mi sono sembrate petali dirose portate dal vento. In esse ho sentito il de-siderio che ho di te». I due finiranno per spo-sarsi per procura, come era spesso in uso inquei tempi e dopo molto tempo riusciranno adunirsi a Mogadiscio, dove lei insegnerà in unascuola italiana. Purtroppo, dopo un ricoverod'urgenza in ospedale che porterà a un aborto

spontaneo, sarà costretta a ritornare a Napolianche per curare una preoccupante tubercolosibilaterale. Qui, ricoverata all'ospedale Principedi Piemonte, guarirà e solo dopo qualche annoriuscirà a riabbracciare Rino che tornerà defi-nitivamente a Napoli dopo aver vissuto a Mo-gadiscio in solitudine momenti drammaticicome la morte di suo fratello Enzo; alla fine,Rino e Renata avranno un figlio che chiame-ranno Maurizio, il nome dell'amico dell'autore,che completerà la ricostruzione della storia deisuoi genitori poco prima della sua morte. Questa in breve la trama del romanzo, che hail pregio di scavare in profondità (ricordandoin questo molto la poetica bracchiana) nellavita interiore dei personaggi, e che in qualchemodo si può leggere anche in chiave politicaper lo sguardo lucido e critico di Prisco sulleresponsabilità dell'Occidente verso quei Paesi.Da questa angolazione, esemplare ci è sem-brata la storia di Amina, moglie a Mogadisciodi un suo amico napoletano, che ci parla dellecondizioni inumane in cui sono costrette a vi-vere le giovani africane, trattate come merci siadagli oppressori stranieri che dagli arcaici clanfamiliari; una amara, drammatica condizioneumana, che spinge Rino ad una definitiva presadi coscienza su ciò che ha davvero significatola presenza degli europei in Africa: «Una sortadi impunità sessuale, pensa, riflettendo su unaconversazione tra i suoi amici, li aveva con-vinti che le donne somale avessero un'identitàsolo sessuale». Da qui un'altra, necessaria ideadi mondo, perché a dominare nelle nostre so-cietà consumistiche come in quelle del TerzoMondo, ieri come oggi, è sempre un maschili-smo che semina morte e cancella con inauditaviolenza l'innocenza della donna. Nel far rivi-vere la bella favola d'amore tra Rino e Renata,sembra, insomma, che Prisco in ogni istanteabbia pensato all'amore per l'Altro comel'unico vero antidoto alla violenza cieca degliuomini dentro la Storia.

MARIO PRISCO, Il paziente scaduto e ilsole di Mogadiscio (Torino, Robin&sons,2021), pp. 284, €. 18,00.

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Letture.2

“SOLO LA PIOGGIA”

di Anna Di Corcia

Bruciante, duro, senza retorica,l’ultimo romanzo di Andrej

Longo, Solo la pioggia, uscito asettembre per i tipi di Sellerio,dopo le precedenti fatiche Dieci eChi ha ucciso Sarah che hannoreso noto lo scrittore campano diorigini ischitane, e che uscirannoa breve in ristampa presso lastessa casa editrice.Il romanzo offre un intenso spac-cato di una parte della società na-poletana che vive immersa negliinteressi legati al cemento, agli appalti e alladroga, quella consistente parte di società civileamata dal popolo dei diseredati e di chi vive inuna città che non garantisce diritti, perché inqualche modo sostituisce con il “sistema” unostato assente e risulta allo stesso tempo odiataperché diffonde paura.Protagonisti sono tre fratelli: Papele, Carminee Ivano Corona che condividono gli affari. Ilgiorno dell’anniversario della morte del padredecidono di darsi appuntamento al cimitero epoi a cena per raccontarsi dei ricordi che an-cora li legano. Gli intrecci, la relazione affet-tiva tra i tre, cresciuti perseguendo gli obiettividella famiglia Corona sul mercato per accapar-rarsi il rispetto di tutti, a costo di usare le ma-

niere più dure e disumane pur dirisultare persuasivi e temuti, simisurano sulla tavola di una cenainfinita, fatta di risate e buon ciboma anche di tensioni irrisolte chea poco a poco riaffiorano fino ainvadere il presente, giungendo daun antico passato con l’inauditaviolenza di un fiume in piena chetravolgerà tutti. Papele, protago-nista indiscusso della malavita lo-cale sembra quasi incarnarel’irrevocabile destino del giova-

nissimo Papilù, protagonista di uno dei più beiracconti di Dieci, giovane intraprendente, co-stretto a fare i conti troppo presto con le regoledella strada che nella proiezione del tempo,bene si adatterebbe a divenire da grande comePapele, se qualcosa non intervenisse a cam-biarne la linea dritta segnata dal destino.Un libro secco che va dritto al pentagrammaemotivo del lettore e non lascia tregua, dell’ini-zio alla fine in un ritmo che rende la lettura in-trigante fino all’ultimo rigo.

ANDREJ LONGO, Solo la pioggia (Pa-lermo, Sellerio, 2021), pp. 176, €. 14,00.

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Letture.3

SPORT “MINORI”?

di Carlo Zazzera

“Le Varie” è la denominazione correntedegli sport cosiddetti “minori” (che

poi, in realtà, minori non sono); e LeVarie è ilnome della casa editrice napoletana che dedicala propria attenzione proprio a questa parte dimondo dello sport.Una storia degli albori della pallacanestro aNapoli, fino agli anni d’oro deigrandi successi della Partenope, conoltre duecento foto d’epoca. È que-sto il filo conduttore di Quando ilbasket era leggenda, il volumeedito proprio da LeVarie e scritto daManfredo Fucile e Stefano Prestisi-mone.La scoperta della palla al cesto nel1912, con le prime partite in cittàgiocate all’Istituto Salesiani del Vo-mero, l’epopea della Partenope neltempio dei canestri: la palestra Coni ai Cavallidi Bronzo, ex-maneggio dei Borbone, un gio-iello incastonato tra Maschio Angioino, Pa-lazzo Reale, Teatro San Carlo e BibliotecaNazionale. Un percorso minuzioso di raccontoe ricerca con quasi 200 foto d’epoca: le sfidedel dopoguerra agli americani, i primi feno-

meni USA sbarcati dalle navi e ingaggiati alvolo negli anni ’50. Quindi l’approdo di Gio-vanni Borghi e la costruzione della Ignis Sudche portò poi al trionfo del club napoletano inCoppa delle Coppe nel 1970 al palasport MarioArgento con la maglia Fides davanti a un pub-blico record. Un trofeo che non sarebbe arri-

vato senza l’assurdo “scippo” diAtene dell’anno prima, tra sassi,violenze e minacce. E poi una pas-serella di campioni ormai entratinel mito, ritratti umani struggenti,leggende metropolitane, i campiscoperti come teatri di mille batta-glie, le straordinarie generazioni dicoach e arbitri. E sullo sfondo laNapoli in chiaroscuro di queglianni. «È il racconto di un’epoca che può

essere definita leggendaria. Ne ha le caratteri-stiche. Storie sportive straordinarie lontane neltempo e che con gli anni hanno acquisito unalone speciale. Storie raccontate, tramandate,a volte amplificate, come accade alle impresetitaniche. Di sicuro è un libro che mancava, chemai nessuno aveva provato a scrivere, forse

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perché intimidito dalla mole di lavoro che oc-correva per la ricostruzione. Ma in realtà piùche la storia minuziosa e didascalica della pal-lacanestro napoletana degli albori, magari no-iosamente partita per partita, è statoprivilegiato il racconto, la parteumana, le curiosità, le piccole-grandistorie, i retroscena, le testimonianze.È un libro che racconta un’era fon-damentale, ma non è un manuale perspecialisti della materia. È un librodi sport e vita, di storia della città»,spiega Stefano Prestisimone. «Sono stato sollecitato più volte afare un libro che potesse ricordare inparte un periodo storico, in parte per-sonale che, avendo molte testimo-nianze cartacee e fotografiche, potesseracchiudere dei bellissimi ricordi da condivi-dere con orgoglio. L'idea originale è stata diStefano e suo fratello Paolo che avevano pen-sato di raccogliere la storia del Basket dagli al-bori agli anni ‘70 in un unico volume, cosa chesi sposava perfettamente con il mio sogno.Loro ci stavano già lavorando da sei o setteanni. Ora, questo mio piccolo desiderio è di-ventato finalmente realtà», aggiunge ManfredoFucile.Viceversa, l’editore Absolutely Free pubblicala storia dell’ultimo atleta, almeno finora, pas-sato dal canottaggio all’America’s Cup, maanche la rivincita personale di chi ha persoall’ultimo soffio l’oro olimpico e si trova a sfi-dare nuovamente chi gliel’ha sfilato. C’è que-sto, infatti, ma anche tanto altro, in DentroLuna Rossa, il libro di Gianluca Atlante cheracconta l’esperienza di Romano Battisti nel-

l’ultima edizione della gara velica più anticadel mondo, a bordo della barca italiana vinci-trice della Prada Cup 2021 e finalista nell’ul-tima America’s Cup.La rivincita è quella che vede il campione la-

ziale andare dalla conquista dellamedaglia d’argento nel “doppio” nelcanottaggio ai Giochi di Londra2012, dietro alla Nuova Zelanda, alritagliarsi un posto nell’equipaggiodel Team di “Luna Rossa Prada Pi-relli” per la corsa alla Coppa Ame-rica, proprio contro il Team NewZealand di Joseph Sullivan, che nel2012 gli strappò l’oro olimpico.Una sfida nella sfida, supportata sinda subito dal Gruppo Sportivo delle

Fiamme Gialle che lo ha messo nelle condi-zioni ottimali per dedicarsi anima e corpo aquesto nuovo importante obiettivo.Un volume che vede la prefazione di DavideTizzano, uno dei primi canottieri a passare allavela, il primo a salire a bordo di un classeCoppa America con il “Moro di Venezia” nel1992. Una storia che parla delle ambizioni diun atleta e della sua passione per lo sport a tuttotondo.

MANFREDO FUCILE - STEFANO PRE-STISIMONE, Quando il basket era leggenda- La Napoli dei canestri dagli albori agli anni’70 (s. l. ma Napoli, LeVarie, 2021), pp. 160,€ 12,50.

GIANLUCA ATLANTE, Dentro LunaRossa (Roma, Absolutely Free, 2021), pp.144, €. 16,90.

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Con decreto n. 13 del 17 novembre scorso, ilSindaco del Comune di San Lorenzello (BN) hanominato componente della Commissione to-ponomastica SERGIO ZAZZERA, direttore di que-sto periodico, al quale l’intera redazioneformula cordiali auguri di buon lavoro.

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LIBRI & LIBRI

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ALESSANDRO BARBERO, Dante (Bari, G. Laterza & figli, 2020), pp. 362, €. 20,00.Il ritratto del Dante politico è fatto emergere, non soltanto dalle sue opere – sia quelle poli-tiche, che la Commedia stessa –, ma anche da quelle di suoi contemporanei – in primis, Pe-trarca e Boccaccio – e dalla documentazione dell’epoca. Da cui, peraltro, la sua consumataesperienza di storico consente all’a. di delineare anche l’immagine della Firenze e degli altriComuni e Signorie del tempo, non soltanto per il profilo politico, ma anche per quello delle

usanze e della vita quotidiana. (S.Z.)

ALFREDO ARCUNO, Il Vomero (Roma, ed. Morghen, rist. 2021), pp. IV+52, €. 10,00.Imprescindibile per la conoscenza – sia pure “a volo d’uccello” – di un Vomero quasi tren-tenne, il volumetto, introvabile da lungo tempo, torna ora in libreria, in edizione anastatica.La sproporzione fra la parte descrittiva e quella delle biografie dei titolari delle strade delquartiere è chiarita dall’a. con l’intento di presentare ai giovani studenti l’identità di tali per-sonaggi; ciò non toglie che il testo può ben valere a destare l’interesse e/o a soddisfare la

curiosità anche dei meno giovani. (S.Z.)

ANDREA CAMILLERI, Riccardino (Palermo, Sellerio, 2020), pp. 292, €. 15,00.Più che per la storia in sé, parecchio più involuta di tutte le altre di Camilleri e del commis-sario Montalbano, vale la pena intrattenersi su questo romanzo, per segnalare l’originalenovità della tecnica narrativa, che fa leva, da una parte, sul dualismo fra il “commissariovero” e il “personaggio letterario” e, dall’altra, sui frequenti, accesi dialoghi fra il primo diessi e l’autore del racconto. Ed è un peccato che Camilleri – il quale ha scritto questo ro-

manzo tra il 2004 e il 2005, pur disponendo che la sua pubblicazione fosse postuma – non vi sia ricorsoin altri racconti pubblicati in precedenza. (S.Z.)

ANNA ROSARIA MEGLIO, Le prime Grazielle (Casalnuovo di Napoli, IOD, 2021),pp. 210, €. 15,00.Quanto sia importante la memoria, al fine dello studio della storia, lo sa bene chi abbiafamiliarità con la materia; e il concentrato di memoria che l’a. offre in questo volume èdavvero consistente. In esso trovano spazio le prime “Grazielle” (ragazze che fanno rivi-vere il mito lamartiniano) della Sagra del mare, le tradizioni (l’eduardiana «vita che con-tinua»), i personaggi, le attività, attraverso il frequente ricorso alla tecnica dell’intervista.

E da esso emerge, in definitiva, quell’identità procidana, significata dall’orgoglio degl’isolani “dentro”e dalla nostalgia di quelli “fuori” dall’isola. (S.Z.)

PIETRO PERONE - LEANDRO DEL GAUDIO (a c.), Per Giancarlo Siani. Dalla veritàsul delitto al mistero del dossier (Napoli, Il Mattino, 2021), pp. 144, f. c. Nel 36° anniversario dell’uccisione di Giancarlo Siani, cronista di Il Mattino, il quotidianoha offerto ai suoi lettori una silloge degli articoli sul caso e sui suoi sviluppi giudiziari, pub-blicati fra il 1993 e il 2000, preceduti da interventi di direttori, redattori e opinionisti delmedesimo e da due interviste a vincitori del Premio Siani (di Leandro del Gaudio a Roberto

Saviano e di Antonio Menna a Lirio Abbate). (S.Z.)

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DOMENICO REA, La mia Napoli (Napoli, ed. San Gennaro, 2021), pp. 80, €.9,00.L’abilità narrativa di Rea rende il volumetto – che raccoglie una serie di suoi ar-ticoli, pubblicati a suo tempo, a cura dell’A.A.C.S.T. di Napoli – un racconto,più che una descrizione, della città e di alcune personalità che la caratterizzarono.E dispiace l’abbondanza di refusi, che costella il testo, così, come qualche punto

di corpo dei caratteri in più non avrebbe guastato. (S.Z.)

RAFFAELE PISANI, Napoli Nobel…issima (Napoli, Grimaldi & c., 2021), pp. 36, €.14,00.Non tarderà a ricredersi il lettore, qualora fosse convinto che destinataria delle favole siasoltanto l’infanzia: la favola (meglio, forse, apologo) che Pisani racconta sembra voler in-durre non soltanto le giovani generazioni, ma anche quelle “diversamente giovani”, a unmaggior amore per la loro città, suggerendo loro i comportamenti più idonei a promuovere

Napoli, da “città più settentrionale dell’Africa” a “città più meridionale della Scandinavia”. (S.Z.)

GINO CASTALDO - ANTONIO TRICOMI, Canta Carosone (Torino-Napoli, GEDI-Guida, 2021), pp. 176, f. c.A venti anni dalla sua scomparsa, la Repubblica commemora il musicista napoletano conun volume collettaneo, offerto ai propri lettori, nel quale, oltre a scritti del direttore e diredattori del quotidiano, sono pubblicati gli “Omaggi” di Renzo Arbore e Rosario Fiorelloe le “Voci” di alcune personalità del panorama artistico e culturale italiano contemporaneo,fra le quali Enzo Avitabile, Edoardo Bennato, Stefano Bollani, Tullio De Piscopo, Peppino

di Capri, Mimmo Di Francia, Claudio Mattone, Aurelio Musi, Fausta Vetere. (S.Z.)

AA. VV., The Passenger. Napoli (Milano, Iperborea, 2021), pp. 192, €. 19,50.Definito “Guida” da più recensori, il volume – che soffre dei limiti di un lavoro realizzatoa più mani – si propone, in realtà, soltanto d’illustrare alcuni aspetti di Napoli; e, tuttavia,il proposito non può dirsi completamente attuato. Positivi, infatti – per soffermarsi sugliesempi più evidenti –, sono il contributo di Paolo Macry alla comprensione delle testimo-nianze attuali di passate gestioni amministrative particolarmente caratterizzate (Lauro, Bas-solino, De Magistris; ma già è assente Valenzi), quello di Piero Sorrentino sulle ex-zone

industriali di San Giovanni a Teduccio e Bagnoli e quello di Raffaella Ferrè sulle testate giornalistichenapoletane. Viceversa, è difficile comprendere l’essenza del quartiere Vomero attraverso il saggio di Cri-stiano de Majo, o quella delle nuove proposte musicali attraverso quello di Francesco Abazia. E perfinolo scritto di Carmen Barbieri sui cimiteri – il più osannato nelle recensioni – piuttosto che descrivere larealtà cimiteriale napoletana, consiste nella narrazione (pur condotta con scaltrita mano affabulatoria) diuna realtà genealogico-famigliare del tutto personale. (S.Z.)

p. ATTILIO M. CARRELLA OSM, Santa Maria del Parto a Mergellina e il poeta Ja-copo Sannazaro (Gorle, VELAR, 2019), pp. 48, €. 5,00.Stor ia , a r te e v i ta quot id iana de l la ch iesa , che domina i l lungomare d iMergel l ina , t rovano inquadramento ne l l ’ i l lus t raz ione de l la f igura de l -l ’umanista Jacopo Sannazaro, che ne fu i l fondatore , e nei suoi rapport icon l ’ordine rel igioso dei Servi di Maria , a l quale i l sacro luogo è tut toraaffidato. Un ricco apparato d’immagini, anche d’epoca, integra il volumetto. (S.Z.)

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Bisogna essere come i raggi del sole, che si posano continua-mente sopra l’immondizia e nonostante questo non si sporcanomai.

San Vincenzo de’ Paoli

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CLEMENTINA GILY REDA, Bruno Mago (Napoli, Stamperia del Valentino, 2021),pp. 164, €. 16,00.È l’ultimo del “trittico” che Clementina Gily ha scritto su Giordano Bruno, nell’arco cheva dal 2019 al 2021. Il pensiero del Nolano per la scrittrice è sempre stato un argomentoforte e pervasivo, del quale ha parlato ai suoi studenti della Federico II per oltre vent’anni.Intanto, per quanto riguarda l’accessibilità alla lettura, questo libro non ha nessun caratteredi chiusura accademica o di approccio forzatamente specialistico. La Gily, con una scrit-

tura estremamente ricca e vivace, al di fuori del linguaggio criptico di certi filosofi, tratta Giordano Brunocon raro acume critico e dialettico, attualizzandone il suo complesso e multiforme pensiero, rendendoloancora vivo e utile alla società. «La vera magia di Bruno sta nella sua attualità sconcertante», scrive Cle-mentina Gily nell’introduzione del suo originale saggio, centrato principalmente sul rapporto tra imma-gine e pensiero. (F.L.)

TOMMASO MONTANARI, Chiese chiuse (Torino, Einaudi, 2021), pp. 144, €.12,00.Chiese dirute, dissestate o pericolanti; chiese aperte con ingresso a pagamento; chiese a de-stinazione mutata; chiese alienate: insomma, chiese, in un modo o nell’altro, chiuse, negate.È questo il panorama degli edifici sacri analizzato dall’a., il quale, poi, conclude la sua di-samina suggerendo, come linee guida di un percorso, volto a porre rimedio a tutte queste si-

tuazioni, a dir poco, anomale, la Costituzione della Repubblica Italiana e il Vangelo. (S.Z.)

PASQUALE PERSICO, Tandem (Napoli, Guida, 2021), pp. 206, €. 15,00.Cronistoria del viaggio compiuto da un artista, un naturalista e un economista, alla risco-perta e alla rivalutazione dei luoghi visitati (principalmente la Lucania, ma anche la Cala-bria e la Romagna, e perfino San Pietroburgo), con un occhio al progetto economico(industria, commercio, agricoltura) e uno alla salvaguardia e alla promozione della cultura(patrimonio archeologico, architettonico, artistico: le tre ar- dell’etimologia di “fare”). Laconclusione dell’itinerario coincide col fallimento del progetto, che non è un evento ne-

gativo, perché consente d’individuarne le criticità e di porvi rimedio. (S.Z.)

VALERIO CAPRARA - TITTA FIORE - FEDERICO VACALEBRE (a c.), Il nostroTotò. A prescindere (Napoli, Il Mattino, 2021), pp. 144, f. c.Al più geniale dei comici italiani di tutti i tempi (e a uno fra i più geniali di tutto il mondo)Il Mattino ha dedicato l’antologia, offerta in omaggio ai lettori, di scritti, dai quali emergela miriade d’immagini che hanno concorso alla configurazione del personaggio Totò. Ibrevi scritti, che ricordano momenti della vita e tratti della personalità del grande attore,sono in parte inediti e in parte tratti dall’archivio del quotidiano; e a questi ultimi ha reso

un cattivo servizio l’OCR, utilizzato dalla redazione in maniera evidente, ma soprattutto incontrollata,con la conseguenza della diffusione di refusi in parecchie pagine. (S.Z.)

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NAPOLI, RESTI DEL TEATRO ROMANO DETTO DELL'ANTICAGLIA

Risalente al I sec. d. C. (edificato su un precedente edificio greco del V sec. a.C.), inglobato nelle case, nei bassi, nella città. Uno sfregio o un diamante inca-stonato? Napoli è anche questo, contrasti, amore ed odio, nonsensi . . . Siamocosì, figli della Magna Grecia, Apollo e Dioniso nelle nostre radici.(Alessandra Schioppo)

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LA POSTA DEI LETTORI

Grazie per averci citato e per l’augurio di lunga vita alla nostra rivista.Essere annoverati tra le testate amiche ci riempie di orgoglio. Ancora

grazie. Buon lavoro.Stefania Bertucci (e-mail)

Risponde il direttore:È la signora Bertucci, vera e propria “anima” del periodico Vomero Magazine, a meritare ilnostro ringraziamento: la testata, a nome della quale ci scrive, è divenuta, ormai, un importantetassello del mosaico-storia contemporanea del Vomero, contribuendo validamente alla conser-vazione di un patrimonio di notizie (la “memoria”, di cui all’editoriale di questo numero), chetornerà utile a chi vorrà, in futuro, occuparsi della storia del quartiere. E, poi, …non per nulla,tra i suoi collaboratori figura il nostro redattore Mimmo Piscopo.

* * *

Il Rievocatore ringrazia i lettori Filiberto Ajello, Sergio Attanasio, Renato Casolaro, Nicola Cim-mino, Gemma Colesanti, Mariateresa Cupaiuolo, Alberto Del Grosso, Antonino Demarco, Sergiode Matthaeis, Antonio Filippetti, Gabriella Fiore, Giovanni Galatola, Fabio Gargano, AnnibaleLaudato, Adolfo Mutarelli, Francesco Ottaviani, Emilio Pellegrino, Raffaele Pisani, Lina Proietti,Angelo Sannino, Mario Scudieri e Giovanni Villani, che gli hanno indirizzato messaggi di com-piacimento.

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TESTATE AMICHE

TRAVEL [email protected]

dir. resp. Federico Klausner

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CRITERI PER LA

COLLABORAZIONE

La collaborazione a Il Rievocatore s’intende a ti-tolo assolutamente gratuito; all’uopo, all’attodell’invio del contributo da pubblicare ciascun col-laboratore rilascerà apposita liberatoria, sul mo-dulo da scaricare dal sito e da consegnare o farpervenire all’amministrazione della testata in ori-ginale cartaceo completamente compilato.Il contenuto dei contributi - che la rivistapubblica anche se tale contenuto non è con-diviso dalla redazione, purché non conten-gano estremi di reato - impegna in manieraprimaria e diretta la responsabilità dei ri-spettivi autori.Gli scritti, eventualmente corredati da illustra-zioni, dovranno pervenire esclusivamente informato digitale (mediante invio per e-mail oconsegna su CD) alla redazione, la quale se ne ri-serva la valutazione insindacabile d’inserimentonella rivista e, in caso di accettazione, la sceltadel numero nel quale inserirli. Saranno restituitiall’autore soltanto i materiali dei quali sia stata ri-fiutata la pubblicazione, purché pervenuti me-diante il servizio di posta elettronica.L’autore di un testo pubblicato dalla testata potràfar riprodurre lo stesso in altri volumi o riviste,anche se con modifiche, entro i tre anni successivialla sua pubblicazione, soltanto previa autoriz-zazione della redazione; l’eventuale pubblica-zione dovrà riportare gli estremi della fonte.La rivista non pubblica testi di narrativa,componimenti poetici e scritti di criticad’arte riflettenti la produzione di un singolo arti-sta vivente. Gli annunci di eventi saranno inseriti,sempre previa valutazione insindacabile da partedella redazione, soltanto se pervenuti con un an-ticipo di almeno sette giorni rispetto alla datadell’evento stesso. I volumi, cd e dvd da recensiredovranno pervenire alla redazione in dupliceesemplare.È particolarmente gradito l’inserimento di note apie’ di pagina, all’interno delle quali le citazioni dibibliografia dovranno essere necessariamentestrutturate nella maniera precisata nell’appositasezione del sito Internet (www.ilrievocatore.it/col-labora.php).

La vita è una farsa dovetutti abbiamo una parte.

Arthur Rimbaud

UN PO’ DI STORIA

Alla metà del ventesimo secolo Napoli an-noverava due periodici dedicati a temi distoria municipale: l’Archivio storico per leprovince napoletane, fondato nel 1876 dallaDeputazione (poi divenuta Società) napole-tana di storia patria, e la Napoli nobilissima,fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi chegravitava intorno alla personalità di Bene-detto Croce e ripresa, una prima volta, nel1920 da Giuseppe Ceci e Aldo De Rinaldise, una seconda volta, nel 1961 da RobertoPane e, poi, da Raffaele Mormone.In entrambi i casi si trattava di riviste re-datte da “addetti ai lavori”, per cui Salva-tore Loschiavo, bibliotecario della Societànapoletana di storia patria, avvertì l’esi-genza di quanti esercitavano il “mestiere”,piuttosto che la professione, di storico, dipoter disporre di uno strumento di comuni-cazione dei risultati dei loro studi e delleloro ricerche. Nacque così Il Rievocatore, ilcui primo numero data al gennaio 1950, chegodé nel tempo della collaborazione di fi-gure di primo piano del panorama culturalenapoletano, fra le quali mons. Giovan Bat-tista Alfano, Raimondo Annecchino, p. An-tonio Bellucci d.O., Augusto Crocco, GinoDoria, Ferdinando Ferrajoli, Amedeo Ma-iuri, Carlo Nazzaro, Alfredo Parente.Alla scomparsa di Loschiavo, la pubblica-zione è proseguita dal 1985 con la direzionedi Antonio Ferrajoli, coadiuvato dal com-pianto Andrea Arpaja, fino al 13 dicembre2013, quando, con una cerimonia svoltasi alCircolo Artistico Politecnico, la testata èstata trasmessa all’attuale direttore, SergioZazzera. Da quel momento, la pubblica-zione del periodico avviene in formato di-gitale.

Ricordiamo ai nostri lettori che tuttii numeri della serie online di questoperiodico, finora pubblicati, possonoessere consultati e scaricati libera-mente dall’archivio del sito:

www.ilrievocatore.it.

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